Friday, July 5, 2024

GRICE ITALICO A/Z C3

 

Grice e Caluso: l’implicatura conversazionale degl’initiati e gl’initiante – initians, initiatum – inizianti -- losofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo italiano. Valperga: essential italain philosopher. Grice: “Noble Italians love a long surname, so this is Valperge-Di-Caluso,” and so Ryle had in under the “C””.  Tommaso Valperga di Caluso. Discendente dai Valperga, nobile famiglia piemontese, nei primi anni della giovinezza si sentì attratto dalla carriera delle armi. A Malta, ospite del governatore dell'isola, si addestra alla vita marinara imparando le dottrine nautiche e fu capitano sulle galee del re di Sardegna. Entrato poi a Napoli nella congregazione dei padri filippini fu professore di teologia.  Tornato a Torino studia fisica e matematica sotto la guida del BECCARIA, con Lagrange, Saluzzo e Cigna. Frequentatore delle riunioni culturali sampaoline nelle sale della casa di Gaetano Emanuele a di San Paolo ritrova l'Alfieri, che aveva conosciuto a Lisbona. Scopre in lui il futuro poeta e tra loro nacque una profonda amicizia.  Eccelse negli studi filosofici e apprese l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo e conobbe con sicurezza il latino, il greco, il copto e l'ebraico. Insegna a Torino. Fu direttore dell'osservatorio astronomico di palazzo Madama, incarico che cede al Vassalli Eandi.  Membro della Massoneria. "Le veglie di Torino, Joseph de Maistre", in: Storia d'Italia, Annali, Esoterismo, Gian Mario Cazzaniga, Einaudi, Torino. Fratello del viceré di Sardegna. Altre opere: “Literaturae Copticae rudimentum” Parmae, Ex regio typographaeo); “La Cantica ed il Salmo secondo il testo ebreo tradotti in versi” (Parma, tipi bodoniani); “Prime lezioni di gramatica Ebraica” (Torino, Stamperia della corte d'Appello, Tommaso Valperga di C., Thomae Valpergae inter Arcades Euphorbi Melesigenii latina carmina cum specimine graecorum, Augustae Taurinorum, in typographaeo supremae curiae appellationis; Principes de philosophie pour des initiés aux mathématiques, Turin, Bianco. Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Renzo Rossotti, Le strade di Torino.L'‘Orlando Innamorato' in «Giornale storico della letteratura italiana», Milena Contini, La felicità del savio. Ricerche su Tommaso Valperga di C., Alessandria, Edizioni dell'Orso. Traduttore in piemontese dell'incipit dell'Iliade, in «Studi Piemontesi», Milena Contini, Le riflessioni di Tommaso Valperga di Caluso sulla lingua italiana, in La letteratura degli italiani. Centri e periferie, Atti del Congresso Adi, Pugnochiuso D. Cofano e S. Valerio, Foggia, Edizione del Rosone. Ugolini mors. Traduzioni latine di Inferno XXXIII, in «Dante. Rivista internazionale di studi su Alighieri»,  Poetica teatrale: traduzioni ed esperimenti, in La letteratura degli italiani II. Rotte, confini, passaggi, Atti del Congresso Adi, Genova A. Beniscelli, Q. Marini, L. Surdich, DIRAS, Università degli Studi di Genova. Il corpo martoriato. L'interesse di Caluso per quattro atroci fatti di sangue, in Metamorfosi dei lumi 7: il corpo, l'ombra, l'eco, Clara Leri, Torino, aAccademia university press, Versione latina di Inferno, in «Lo Stracciafoglio». Plagio dal Villebrune apposto al Petrarca: un'appassionata confutazione di “meschine, arroganti e scortesi” calunnie sull’Africa, in «Sinestesie», Un maestro da ricordare, in «Rivista di Storia dell'Torino.” Principi di Filosofia per gl' Iniziati nelle matematiche di Tommaso Valperga-C. volgarizzati dal Conte con Annotazioni di Rosmini-Serbati (Turin). See also Cerruti's La Ragione Felice e altri miti (Florence). C.: motivi prerosminiani del sentimento   fondamentale   corporeo. demiurgo  piemontese.  L’interesse del C. per l’omicidio e il “lato oscuro” non è mai stato indagato, perché la critica, nella rappresentazione dell’abate, ha sempre privilegiato l’immagine severa e inflessibile di maestro onnisciente e di saggio imperturbabile, scolpita dai biografi ottocenteschi. Questo ritratto idealizzato e deformato dell’abate ha generato non pochi equivoci interpretativi: se si studia la sua vita attraverso i suoi diari e il suo ricco epistolario e si analizzano con attenzione le sue opere tanto edite quanto inedite, ci si accorge, infatti, che la sua personalità è tutt’altro che granitica. Prima di accingersi a esaminare la sua figura è necessario quindi liberarsi di questi stereotipi: il fatto che l’ottimista abate, come lo definì il Foscolo, avesse dedicato molti scritti allo studio della ragione non esclude affatto che egli fosse incuriosito anche dalla parte irrazionale dei uomini, anzi le sue considerazioni sui “limiti della ragione” si collocano perfettamente all’interno delle sue riflessioni sulle facoltà intellettive. L’inedito Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Naziona. Gli studi calusiani sulla ragione, e in particolar modo sul rapporto tra ragione e virtù, sono inseriti nelle opere dedicate alla felicità, tema particolarmente caro a lui, che si impegnò nell’indagine di questo complesso concetto dalla gioventù fino all’estrema vecchiaia: è possibile, infatti, seguire l’evoluzione della riflessione del Caluso sulla felicità dalle lettere al nipote degli anni Sessanta del Settecento fino al Della felicità de’ governati. Il tema della felicità pervade tutta la produzione dell’autore; esso non è affrontato solo nella saggistica filosofica, nelle lettere intime ad amici e parenti e nelle poesie, ma si ritrova anche nei trattati didattici e in alcune opere erudite, perché e convinto che il fine di ogni studio fosse la felicità, la quale puo essere conquistata solo attraverso una profonda passione per le lettere e per le scienze.  A proposito del concetto calusiano di “rassegnazione” si legga il seguente passo, tratto della lette. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit. Diderot constata che nella pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tu… L’indagine sulla felicità porta inevitabilmente il Caluso a scontrarsi con lo studio della ragione. Secondo C., la ragione ha un duplice ruolo: da un lato ci fornisce gli strumenti adatti a conquistare la felicità, dall’altro ci fa acquisire la coscienza di non avere sempre il dominio su ciò che accade. La consapevolezza porta alla rassegnazione, questa rassegnazione però aiuta sì a sopportare i casi della vita, ma non dona la felicità, come teorizzavano gli stoici. C. pensa, quindi, che i poteri della ragione siano limitati. Questa presa di coscienza però non lo porta a meditare sul fatto che la felicità possa essere disgiunta dalla ragione. Infatti, se da un lato ammette che anche il più saggio tra gli uomini è vittima della sofferenza («né sognai che ad uom concesso viver fosse ognor lieto, o ne’ tormenti sdegnerò dir misero il Saggio stesso»), dall’altro non arriva a constatare, come avevano fatto, per esempio, Diderot e Voltaire, che spesso nella vita reale gli uomini privi di ragione e di virtù sono felici. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero necessarie all’uo... Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino (Varia). I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e di Les aventures du Marquis de Bel. La ragione ha anche il fondamentale compito di dominare le passioni. Ripropone la celebre esortazione platonica alla misura, ripresa da molti autori, tra i quali Rousseau, che in più luoghi sottolineò come la ragione avesse la funzione di equilibrare i moti violenti dell’animo. E convinto che i sentimenti estremi causassero soltanto sofferenza. Non invita certo ad anestetizzare gli affetti, anzi pensava che non vi fosse nulla di peggio che una vita senza passioni ed emozioni («Che un dolce pianto è più felice molto / Non delle noie sol, ma dell’inerte Ghiaccio d’un cor, cui ogni affetto è tolto»), ma crede che la morbosità fosse una pericolosa malattia. Nella Ragione felice egli porta l’esempio della follia amorosa di Polifemo per Galatea. Il poeta descrive la corruzione del corpo del ciclope, consumato dal desiderio ed incapace di dominarsi («Odil che fischia, livido qual angue / Le spumeggianti labbra, e l’occhio in foco / Vedil cerchiato di vermiglio sangue»). L’autore crede che solo i casti amori, congiunti a «l’arti e gli studi, possano regalare la felicità. Questo riferimento all’amore platonico è un omaggio alla principessa di Carignano, dedicataria del poemetto, che teorizza come la felicità si fonda sulla rinuncia alla passione sia nel saggio filosofico inedito Sur l’amour platonique sia nei due romanzi, anch’essi inediti, L’Amour vaincu e Les nouveaux malheurs de l’amour. Euforbo Melesigenio, Versi italiani. La follia amorosa non è l’unica passione condannata da C.. Infatti deplora ogni sentimento capace di far perdere il controllo delle proprie azioni. Nel poemetto La Tigrina o sia la Gatta di S. E. la madre donna Emilia, composto a Napoli, descrive le funeste conseguenze della gelosia, mentre nei “Varia Philosophica” presenta l’esempio della vendetta: L’inedito VARIA PHILOSOPHICA, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Univers. Onde sono le passioni uno scaldamento di fantasia, una specie di pazzia, che perverte il giudicio, e ne fa credere che in quella tal cosa passionatamente voluta vi sia per noi un bene, un piacere, una soddisfazione che veramente non vi è né la ragione per tanto ve la può trovare. Tale è per esempio la vendetta. T. Valperga di C., Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie. La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre15 Id, Di Livia Colonna. Si dedicò allo studio dei limiti della ragione in una serie di scritti e appunti su fatti di sangue; nell’articolo Di Livia Colonna, per esempio, ricostruisce la tragica fine della nobildonna romana basandosi sulla raccolta di poesie Rimedi diversi autori, in vita, e in morte dell’ill. s. Livia Colonna («Da parecchi versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554, al più tardi, e certamente non prima del 1550, fu Livia trucidata barbaramente» Quest’opera comprende numerosi componimenti dedicati a Livia Colonna, scritti da trentuno poeti, tra i quali anche il Caro e il Della Casa.  In un brano del Della certezza morale ed istorica sottolinea come sia importante esaminar. Cita le seguenti fonti: G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani genti. Ricorda che vari poeti avevano scritto «molte dolenti rime» su questo tema e cita un pass. Sottolinea che la raccolta, non essendo dotata né di prefazione né di note, non permette di contestualizzare i fatti ai quali si allude nelle rime, ma aggiunge che, vista la notorietà del casato di Livia, non gli è stato difficile identificare la donna e reperire informazioni in merito alla sua vita17: Livia nacque da Marcantonio Colonna e Lucrezia della Rovere; è rapita da Marzio Colonna duca di Zagarolo, che in questo modo riuscì a sposare la bellissima e ricchissima giovinetta; qualche anno dopo perse, e di lì a poco riacquistò, la vista 18, nel 1551 rimase vedova. Dopo aver elargito queste informazioni, C. passa a parlare del tema che lo ha maggiormente interessato:  Valperga di C., Di Livia Colonna. Ma qui veniamo al punto, che ha stimolata la mia curiosità, e richiede più diligenti ricerche. Da parecchj versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554 al più tardi, e certamente non prima del 1550, e Livia trucidata barbaramente. L’abate fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Dom. Egli deduce da alcune evidenti allusioni presenti nelle rime della raccolta che Livia fu uccisa dal proprio genero Pompeo Colonna, che aveva sposato la figlia Orinzia20 poco tempo prima. Rivolta la carta 87 delle mentovate rime si legge, che l’uccisore l’empio ferro tinse nel proprio sangue, e alla carta si fa dire a Livia già ferita, che fai figliuol crudele? Pompeo suo genero aveva tratto il sangue dallo stesso casato, non che da Camillo suo padre, da Vittoria sua madre, anch’essa Colonna. E qual altro assassino, che un genero, poteva chiamarsi figliuolo da una donna giovine, che non avea prole maschile? Identificato l’assassino, passa a esaminare i possibili moventi dell’omicidio: Pompeo fu spinto a uccidere la suocera dall’avidità, dall’ira o dal senso dell’onore. L’autore sembra propendere per il primo movente: nelle rime, infatti, si legge che la nobildonna fu uccisa «sol per far ricco un uomo; l’abate riflette inoltre sul fatto che, con la morte di Livia, Orinzia avrebbe ereditato numerosi poderi, sui quali avrebbe poi messo le mani Pompeo, dato che «ognun sa quanto facilmente dell’aver della moglie sia più ch’essa padrone un marito fiero e imperioso». Per quanto concerne invece il movente dell’ira, suggerito dal fatto che «la mano del parricida vien detta forse di sangue ingorda più che di vero onor, C. non si profonde in ipotesi specifiche, ma si limita a osservare che i motivi di astio tra persone «che hanno a fare insieme» sono innumerevoli. Questo movente può essere collegato con quello dell’onore: la collera di Pompeo, infatti, potrebbe essere stata causata dalla scoperta o dal sospetto che la suocera si fosse sposata segretamente con un servo. L’autore trae questa idea da un verso del Dardano, nel quale si fa riferimento alla mano mozzata di Livia -- E la recisa man, l’aperto lato -- l’abate immagina che Pompeo avesse mutilato la suocera per punirla d’aver concesso la propria mano a un servitore. C. riflette inoltre sul fatto che questo terzo movente può essere collegato anche col primo, dato che il matrimonio di Livia avrebbe ridotto l’eredità di Pompeo: ogni matrimonio della suocera dovea spiacergli per lo pensiero che in conseguenza n’andrebbe ad altri gran parte di quello che aspettava dover dalla suocera, quando che fosse, venir a lui. Zannini, Livia Colonna tra storia e lettere  in Studi offerti a Giovanni. L’interpretazione calusiana del verso del Dardano è criticata da Zannini nel saggio Livia Colonna tra storia e lettere, nel quale egli fa numerosi riferimenti al “cittadino” Tommaso Valperga di C., che centosettant’anni prima, «imbastì su fragilissime basi la trama di un romanzetto che avrebbe potuto incontrare fortuna, come altri fatti di sangue del secolo xvi, presso fantasiosi lettori. Archivio di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, Processi, I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla... Chiodo, Di alcune curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Gandolfo Porrino custodito nel F. Zannini ricava dai documenti processuali, trascritti in appendice al saggio, che Livia fu uccisa da due sicari assoldati da Pompeo, che non partecipò attivamente all’omicidio della suocera, ma si limitò ad assistere. I giudici stabilirono che il movente del crimine fu il denaro; nelle carte del processo e nel documento di condanna contro il mandante Pompeo Colonna e gli esecutori Paciacca di Terni e Filippo di Metelica, non vi è alcun accenno né alla mutilazione della mano né al matrimonio di Livia con un domestico. Lo studioso riflette inoltre sul fatto che nel xvi secolo difficilmente sarebbero stati scritti e pubblicati tutti quegli elogi» su Livia, se quest’ultima avesse «abbandonato la castità vedovile per unirsi a un servitore. Egli quindi ritiene che C. abbia mal inteso il verso del Dardano, che doveva invece essere interpretato in un altro modo: «dando a “mano” il senso di “fianco”, avremmo una plausibile spiegazione del sogno. Infatti Livia scopertosi il “lacero petto” non poteva in tal guisa mostrare una “mano”, ma un fianco con una profonda lacerazione». Contro questa interpretazione polemizza, giustamente, Domenico Chiodo, che difende le ragioni del C.: «le sue [dell’abate] capacità di lettura erano infinitamente superiori alle ‘ragionevoli’ supposizioni del nostro contemporaneo. L’opera è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su 5 carte scritte sia sul recto ...  È bene precisare che il Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il ... Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-ago ... Anche ai tempi del C. era stata sollevata una critica alla ricostruzione dell’abate; nel manoscritto inedito Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano, conservato presso il Castello di Masino, Verani dichiara di non fidarsi delle parole dei poeti della raccolta, perché: «la maggior parte di essi soggiornavano lontano dalla Capitale del Mondo Cattolico e perciò soggetti a ricevere da’ loro corrispondenti varie o false o almen dubbiose relazioni. Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di Livia, non vi è a ... Egli spiegava diversamente il significato dei versi citati da C. e in questo modo metteva in discussione sia la colpevolezza di Pompeo sia l’interpretazione del verso del Dardano. Altrettanta fede merita il sogno del Dardano, a cui non comparve Livia con la recisa man, l’aperto lato, sembrandomi assai più probabile che al primo colpo ella cercasse di ripararsi colla mano, ed anche al secondo, onde la mano venisse gravemente ferita, ma non recisa. L’articolo di lettera è conservato presso gli Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (La sua spiegazione ha invece persuaso il Vice Bibliotecario di Mantova Negri, che in una lettera scrive a Napione di aver trovato un epigramma latino che confermava le ipotesi d’C.; nel componimento però non vi è un riferimento esplicito alla mutilazione della mano. Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che n ... Il manoscritto è vergato su 6 carte, compilate sia sul recto sia sul ... C. si occupa anche di un altro fatto di cronaca nera dai risvolti torbidi e brutali: l’assassinio di una contessa da parte di un ufficiale francese40. Presso il Fondo Peyron sono conservati due documenti, scritti da mani diverse41, concernenti la vicenda del delitto della Contessa Aureli della Torricella; le prime due carte contengono una raccolta di cinque testimonianze intorno a Monsù, ovvero Monsieur, Bresse («Memorie intorno Monsù Bresse che uccise la Contessa Aureli della Torricella, nata Colli, famiglia patrizia della Presente Città di Cherasco»), mentre le successive quattro carte contengono un racconto particolareggiato dei fatti. Il narratore formula varie ipotesi sulle origini del Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può ... Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’al ... La vicenda esposta nel secondo documento è la seguente: l’ufficiale francese Monsieur Bresse42 è follemente innamorato della Contessa Aureli della Torricella che però, pur apprezzando la sua compagnia, non vuole concedersi all’amico. Dopo un anno di incessanti nonché vani corteggiamenti, Bresse sale a casa della donna e, approfittando di un momento di intimità, tenta per l’ennesima volta di sedurla; la Contessa Aureli però si nega in modo risoluto e la fermezza del suo rifiuto umilia a tal punto il Bresse da farlo cadere in preda a un raptus omicida: egli brandisce la spada e sferra sei colpi nel petto della donna. La vittima, nel tentativo di difendersi, si taglia di netto un dito della mano e il suo disperato schermirsi eccita ancor più il furore sadico del Bresse, che la colpisce sul volto con pugni e con l’elsa della spada. Finito il massacro, l’assassino chiude la porta a chiave e torna a casa, dove, colto dal rimorso e dall’orrore delle proprie azioni, si toglie la vita con un colpo di baionetta in mezzo agli occhi. La Contessa intanto, non ancora sopraffatta dalla morte, striscia in un lago di sangue e tenta di alzarsi aggrappandosi alla tappezzeria, che cede per il peso del corpo e fa ricadere a terra la donna ormai agonizzante. L’Aureli viene ritrovata qualche ora dopo col volto tumefatto, il petto squarciato dalle ferite e un orecchio aperto in due. Più tardi viene rinvenuto anche il cadavere del Bresse, che dopo essere stato conservato tre giorni nella sabbia, viene seppellito, secondo un ordine giunto da Torino, come si farebbe con «dei cani o degli asini morti». Il racconto si conclude con una tirata moraleggiante contro la pratica del cicisbeismo, ormai diffusasi anche presso le «petecchie di Cherasco» che fanno carte false per procurarsi un «damerino». Il suo comment si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È da segnalare i ... C. scrisse alcune considerazioni in merito al secondo documento del manoscritto. Questa non è relazione, ma novella, a imitazione di quelle del Boccaccio, benché non molto felicemente lavorata. Le ultime parole sono d’un impostore, che le ha aggiunte a disegno di far credere che fosse questo un ragguaglio fatto a un Cardinale. Ma oltre che vi stanno appiccicate collo sputo, e non sono dello stile del rimanente, non si confanno in modo alcuno col titolo e cominciamento. Senza dubbio l’autore finì ove ha posta la stelletta. È qui del rimanente questa novella molto mal concia del suo copista. L’abate quindi commenta il manoscritto da due diversi punti di vista: da un lato dimostra la falsità delle dichiarazioni che chiudono il racconto e dall’altro critica i contenuti e lo stile della narrazione. Per quanto concerne il primo aspetto, C. fa riferimento all’ultima frase del testo, scritta dopo un asterisco: «E con questa scrizione sonomi ingegnato di contentare l’eminenza vostra, alla quale contarlo profondissime riverenze divotamente mi raccomando. Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto infatti è preceduto da un breve r ... Le argomentazioni addotte dall’abate per smascherare la contraffazione sono convincenti: lo stile dell’ultima frase non si sposa con quello del racconto e anche il contenuto di questa presunta aggiunta è svincolato dalle altre parti del testo. La nostra analisi grafologica ha stabilito che l’ultima frase fu scritta dalla stessa mano del resto del testo; questo dimostra che il documento posseduto dal Caluso non è l’originale, ma è una trascrizione realizzata da un copista inesperto, che non si era accorto della falsificazione. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto, l’abate sottolinea che il testo del secondo documento non possiede né lo stile né la struttura di un resoconto rigoroso e oggettivo, ma somiglia a una novella di poco valore47. Questo giudizio è dovuto allo stile lambiccato e ridondante del narratore, che in diversi punti cade nel comico involontario.  16Questo caso di omicidio-suicidio avvenuto nella provincia cuneese del Settecento stimolò la curiosità del Caluso, che, come abbiamo visto, si era già interessato al delitto di Livia Colonna. Molti sono i punti di contatto tra i due fatti di cronaca: in entrambi i casi si ha una bellissima nobildonna massacrata e mutilata (a Livia, secondo la ricostruzione dell’abate, viene tagliata la mano, mentre alla Contessa vengono recisi un dito e parte di un orecchio) da una persona apparentemente fidata e intima (Livia è trucidata dal genero, mentre la Contessa è uccisa dal proprio cavalier servente). T. Valperga di C., Versi italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il melodramma ita-liano: un incontro. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine Houdar de La Motte,  che ebbe uno straor ... C. si era interessato anche a un terzo caso riguardante una bella e sfortunata vittima di un efferato omicidio dalle conseguenze raccapriccianti: il sonetto Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta dei Versi italiani, infatti, è dedicato a Inês de Castro, che, come ricorda l’abate nell’intestazione, fu «fatta uccidere da Alfonso VI re di Portogallo, perché sposa di Pietro suo figlio, poi successore, che la fece dissotterrare e coronare». Le notizie indicate dall’autore sono corrette: Inês de Castro è l’amante del principe Pietro di Portogallo al giorno nel quale fu pugnalata barbaramente di fronte ai propri figlioletti da due sicari mandati dal re Alfonso VI, che era stato indotto ad autorizzare questo gesto sanguinoso da tre consiglieri, preoccupati dalla crescente prepotenza dei fratelli della donna, che si erano conquistati la fiducia e l’appoggio del principe. Pedro perdette il senno per lo shock e, raggruppate alcune milizie, mosse guerra contro il proprio padre, con il quale stipulò una tregua solo grazie all’intercessione della madre. Una volta divenuto re, Pedro diede sfogo alle proprie vendette e ai propri deliri: condannò a morte due dei consiglieri del padre, ai quali venne strappato il cuore di fronte ai cortigiani e ai militari d’alto rango, costretti ad assistere a questa atroce punizione, e fece disseppellire e ricomporre il cadavere di Inês, affinché la salma della propria amata fosse incoronata dal vescovo “regina di Portogallo”. Questo fatto sanguinoso ispirò molti autori, primo tra tutti Camões, che cantò le lacrime di Inês nei Lusiadi; nel Settecento e nell’Ottocento la dolorosa vicenda di Inês ebbe ampia fortuna sia nel mondo del teatro musicale sia in ambito tragico. Nel sonetto calusiano, Inês ricorda la propria triste vicenda terrena e la propria incoronazione post mortem e sottolinea la crudeltà del re e l’efferatezza dell’omicidio:  Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta Ebbi scettro e corona, in vita affanni; Benché pur di pensar foss’io contenta Fra gli opposti furor di due tiranni.  Amando me, cagion de’ nostri danni L’un, di me privo Re crudel diventa; Sdegnando, credé l’altro i miei verd’anni Ragion di Re troncar con man cruenta.  Ahi suocero spietato! e in che t’offese Beltà modesta, umil, se de’ suoi rai Perdutamente il tuo figliuol s’accese?  C., Versi italiani. Io vinta, mal mio grado il riamai. E se incolpi Imeneo, che a noi discese, Mio bel fallo sarà che non peccai. C. si dilungò nella descrizione di un macabro fatto di cronaca anche nella lettera al nipote Giovanni Alessandro Valperga marchese di Albery nella quale viene narrato l’agghiacciante suicidio del giovane professore torinese Don Casasopra, che, caduto in un profondissima depressione, si era tolto la vita in quella notte. Cipriani, Le lettere inedite d’C. al nipote Giovanni Alessandro si trovò il letto imbrattato copiosamente di sangue ed egli con un laccio al collo, soffocato presso a una scanzia, ed era lacerato di colpi di temperino, che alcuni dicono giungere al numero di vent’otto. Se ne poté conchiudere che egli cominciò per tentar d’uccidersi sul letto con volersi tagliare i polsi alle mani e alle tempia e poi si dié tre colpi di punta verso il cuore, e tardando forse la morte, o che immediatamente egli siasi anche a ciò trasportato, egli passò a impicarsi. La cagione si può credere una frenesia nata di malinconia e d’accension di sangue. Se indaghiamo in modo approfondito i quattro casi che attirarono la curiosità dell’abate, ci accorgiamo subito che l’elemento che li accomuna è la brutalizzazione del corpo. Livia e la Contessa Aureli non sono semplicemente uccise con violenza; i loro corpi sono massacrati in modo gratuito, perché la maggior parte delle ferite inferte non sono funzionali alla morte delle donne, ma sono frutto della rabbia e del sadismo degli assassini (la criminologia contemporanea cataloga questi atti come overkilling, considerandoli una importante aggravante in sede processuale). In questo modo gli omicidi privano le donne non solo della vita, ma anche della bellezza e, quel che è peggio, della dignità: lo spettacolo che si apre a coloro che trovano i cadaveri infatti è indecente. L’insistere sull’avvenenza delle due donne quindi è funzionale per creare il contrasto tra ante e post flagitium; il potere deturpante della follia colpisce la sensibilità del lettore, che inevitabilmente resta più impressionato di fronte al corpo straziato di due belle e giovani donne rispetto a quello, per esempio, di uomini adulti. L’assassino di Livia – anzi, stando alle carte processuali, i due killer assoldati da Pompeo – mutila la donna per lanciare un messaggio, mentre Bresse stacca un dito e parte di un orecchio alla Contessa perché non sa dominare la propria furia. Tanto i primi quanto il secondo non portano con loro le parti mozzate per farne un trofeo o una macabra reliquia, perché non sono mitomani o psicopatici, i primi, infatti, lavorano “su commissione”, mentre il secondo agisce in preda a un raptus. A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari, Laterza. Nel terzo caso, quello di Inês, si assiste a un ribaltamento di prospettiva: all’amputazione si sostituisce la ricomposizione del cadavere; opposto è anche il tipo di follia che provoca il “gesto”, si passa dal furore omicida al furore amoroso, che sembra essere ancora più sconcertante. Anche in questo caso il contrasto tra la «beltà onesta, umil» di Inês e la sua salma ricomposta – o meglio quello che resta della sua salma dopo oltre due anni di decomposizione – è molto forte; l’incapacità di dominare il desiderio di vedere riconosciuto il ruolo di regina all’amatissima defunta porta Pedro a spalancarne la bara (la cui chiusura, ci insegnano gli antropologi, segna «la fine di ogni possibilità di intervento sociale, culturale e affettivo sul corpo») e a plasmare una creatura mostruosa. Nel quarto caso è l’accumulo verticale di violenze autoinflitte a creare ribrezzo: la mente allo stesso tempo si serve del corpo e lotta contro esso, che da un lato si fa strumento di tortura e dall’altro si ribella, resistendo alla morte il più possibile. Ciò che sconvolge è la frenetica impazienza del Casasopra, che desidera a tal punto annullare la propria esistenza da suicidarsi, potremmo dire, tre volte contemporaneamente. L’abate quindi osserva una terza tipologia di follia, quella suicida. C.. si concentra tanto sul corpo mutilato delle vittime quanto sul corpo mutilante dei carnefici, che possono trasformarsi a loro volta in vittime di se stessi; in Don Casasopra carnefice e vittima coesistono, mentre Bresse, spinto dal rimorso, decide di togliersi la vita in modo razionale, per quanto è possibile, contrariamente al professore torinese che cede invece alla «frenesia». Negli occhi di C. è assente la pietà cristiana, non perché egli fosse insensibile alle sciagure, ma perché l’interesse che lo spinge a osservare questi fatti di sangue è di tipo scientifico; egli, in generale nei suoi scritti filosofici, evita di introdurre considerazioni di carattere teologico o semplicemente religioso, perché non sente l’esigenza, provata da molti suoi contemporanei, di conciliare il cristianesimo con la filosofia dei lumi o con le correnti filosofiche antiche, i concetti di virtù o di colpa vanno intesi sempre in senso laico. Lo sguardo scientifico è evidente, per esempio, nella descrizione del terrificante suicidio del professore torinese. L’abate non spende parole di pietà per il Casasopra, ma presenta subito le proprie ipotesi in merito alle cause di un gesto così estremo: egli suppone che la follia suicida sia stata scatenata dalla combinazione di una causa psicologica («malinconia») e una organica («accension di sangue»). Senza la sentenza scientifica finale, la descrizione del suicidio del Casasopra potrebbe avere anche un che di farsesco (un farsesco funereo, ma pur sempre farsesco): l’immagine di un uomo che con ventotto coltellate e i polsi tagliati tenta di impiccarsi però non fa sorridere cinicamente, perché C. descrive il tutto come un caso clinico e non come una scena, mi si passi il termine, splatter, anzi comic splatter.  C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco. L’abate non sovrappone la fiction agl’oggetti della propria RIFLESSIONE FILOSOFICA. La componente orrorifica, per esempio, è molto presente nel Masino, poemetto popolato da mostri, diavoli, folletti malvagi e morti resuscitati; questo testimonia che egli non fu immune all’influenza dell’Arcadia lugubre, ma tutto ciò non ha nulla a che vedere con i quattro casi dei quali ci stiamo occupando, che non sono trattati come storie, come racconti, ma come fatti di cronaca, recente o lontana, da esaminare. La terrificante incoronazione di Inês è sviluppata sì in un sonetto, ma la prefazione in prosa che illustra la vicenda storica testimonia che l’autore aveva compiuto studi approfonditi sull’episodio, forse durante il suo soggiorno lusitano. Il corpo smembrato viene “osservato” non con compiacimento morboso, ma con l’occhio attento del filosofo, che, studiando il potere della ragione, è costretto a indagarne anche i limiti e le ombre. C. in verità non censura in alcun modo i particolari più macabri delle vicende, come l’arto mozzato di Livia, la pozza di sangue nella quale striscia la Contessa, il foro in mezzo alle ciglia di Bresse (poi sotterrato come la carogna di un animale), lo scettro ricevuto da Inês «in freddo marmo», le ventotto ferite del Casasopra; questo sguardo fisso sui dettagli più agghiaccianti però non è fine a se stesso, ma serve a “toccare con mano” quanto orrore generi la follia. Così nella vicenda di Inês, ciò che disgusta maggiormente il lettore non è il ripugnante cadavere ricomposto, ma la pazzia di Pedro: insomma il mostro non è lo scheletro di Inês, ma Pedro stesso.  L’interesse per i fatti di sangue dimostra come sia fuorviante e falsa la rappresentazione di C. come saggio rintanato nel proprio rassicurante romitorio, dal quale contempla con indifferenza il mondo e le sue passioni; egli, al contrario, era attaccato alla “vita reale” (ne è una riprova il fatto che nelle sue opere preferisce sempre offrire esempi tangibili, senza abbandonarsi a teorie fumose o ad astratte elucubrazioni) ed era desideroso di studiare l’uomo “vero” – quello che, a volte, cede alla brutalità e alla follia più nera – e non l’uomo ideale. Il Caluso crede che ogni progresso sia possibile solo partendo dall’analisi di «ciò che esiste», egli non vuole proporre un modello utopistico di uomo perfetto, ma desidera ragionare concretamente sulla natura umana, sulle sue luci e sui suoi spettri. Sulla figura dell’abate di C. si vedano gli studi del Calcaterra e, soprattutto, del Cerruti (M. Cerruti, La ragione felice e altri miti del Settecento, Firenze, Olschki, Le buie tracce: intelligenza subalpina al tramonto dei lumi; con tre lettere inedite di Tommaso Valperga di C. a Bodoni, Torino, Centro studi piemontesi; Un inedito di Masino all’origine dell’opuscolo dibremiano ‘Degli studi e delle virtù di C.’, «Studi piemontesi», Inoltre mi permetto di rinviare anche alla mia monografia:Contini, La felicità del savio. Ricerche su C., Alessandria, Edizioni dell’Orso. Si legga il seguente passo, tratto da una lettera del Foscolo alla Contessa d’Albany: «e io lasciai l’ordine ch’ella, e il pittore egregio, e l’ottimista abate di Caluso avessero l’edizione in carta velina» (Foscolo, Epistolario, a cura di Carli, Firenze, Monnier). Questo appellativo si riferisce, ovviamente, alla più famosa composizione dell’abate, il poemetto in terza rima La Ragione felice, composto a Firenze, come precisa l’abate stesso nell’introduzione alla raccolta Versi italiani (Euforbo Melesigenio, Versi italiani di Tommaso Valperga Caluso fra gli Arcadi Euforbo Melesigenio, Torino, Barberis. L’inedito Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca di Torino, ora pubblicato in Contini, La felicità. A proposito del concetto calusiano di rassegnazione, si legga il seguente passo, tratto della lettera alla Contessa d’Albany. De’ cardinali Doria lodo la rassegnazione, virtù troppo necessaria alla felicità, o per parlare più esattamente a scemare l’infelicità nostra, onde io ne fo uno de’ punti precipui della mia filosofia, d’acquetarsi alla necessità» Pélissier, Le portefeuille de la comtesse d’Albany, Paris, Fontemoing, Melesigenio, Versi italiani cit. Diderot aveva constatato che nella pratica quotidiana si incontravano uomini felici, pur essendo tutt’altro che virtuosi, e lo stesso ragionamento era stato presentato da Voltaire a proposito della razionalità. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero necessarie all’uomo per sfuggire la noia era stato sottolineato con forza dall’abate Du Bos nel primo capitolo delle Réflexions critiques sur la poésie et la peinture (1718), opera che eserciterà una grande influenza sull’estetica settecentesca. In questi versi il Caluso non fa riferimento alla noia, ma descrive uno stato d’animo ancora peggiore: l’apatia.  Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Reale di Torino (Varia).  10 I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e di Les aventures du Marquis de Belmont écrites par lui même ou les nouveaux malheurs de l’amour (Varia) sono conservati presso la Biblioteca Reale di Torino. Euforbo Melesigenio, Versi italiani. L’inedito “Varia Philosophica”, ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Universitaria di Torino è riprodotto in CONTINI “L’attività filosofica di C.”, Mattioda, Torino, C., Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie des sciences littérature et beaux-arts de Turin, X-XI, Torino, Imprimerie des sciences et des arts. La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre nel 1555.  15 Id, Di Livia Colonna. C. in un brano del “DELLA CERTEZZA MORALE ED ISTORICA” sottolinea come sia importante esaminare le notizie riferite dai poeti. Diciamone adunque partitamente vediamo prima qual sia L’ESAME DEL FATTO per trarne i precetti per questa prima parte anche per la critica degli avvenimenti che ci siano tramandati dagli scrittori di qualche genere, e partitamente da’ Poeti. (“DELLA CERTEZZA MORALE ED ISTORICA” Fondo Peyron). L’abate cita le seguenti fonti. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani gentilhuomo fiorentino. Divisa in libri XXII, Firenze, Giunti, e Santis, Columnensium procerum imagines, et memorias nonnullas hactenus in vnum redactas, Roma, Bernabo. C. ricorda che vari poeti avevano scritto molte dolenti rime su questo tema e cita un passo di un madrigale del Caro. Presso la Biblioteca Apostolica Vaticana è conservato il manoscritto Composizioni latine et volgari di diversi eccellenti authori sovra gli occhi della Ill. Signora Livia Colonna (Capponi).  C., Di Livia Colonna. L’abate fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Domenico Santi chiamata Orintia, Oritia, trovisi altrove chiamata Ortenzia”. Zannini, Livia Colonna tra storia e lettere in Studi offerti a Giovanni Incisa della Rocchetta, Roma, Società romana di storia patria, Archivio di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, Processi.   I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni oculari.  La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla gola e molteplici volte ai fianchi, ma non fece alcun riferimento alla mutilazione di arti. Chiodo, Di alcune curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Porrino custodito nel Fondo Cian, «Giornale storico della letteratura italiana», L’opera è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su V carte scritte sia sul recto sia sul verso, a parte l’ultima, scritta solo sul recto.  È bene precisare che Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il saggio del C.. Probabilmente questo anonimo amico aveva poi consegnato all’abate lo scritto del Verani. Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano (Fondo Masino).  Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di Livia, non vi è altro documento, ch’io sappia, se non la semplice osservazione del Sansovino, di cui non possiamo fidarci, poiché non Livia, ma Lucia donna di Marzio Colonna, la quale fu morta da Pompeo suo genero. Quindi è che non so indurmi a credere Pompeo capace di sì orrido fatto, e molto meno per un vile interesse o di eredità o di dote o di qualunque altro motivo o di odio e vendetta a noi ignoto». Egli in un passo successivo sottolinea anche che Livia chiamò “figliuolo” il proprio uccisore non perché era suo genero, ma per intenerirlo e indurlo a desistere dal gesto delittuoso. L’articolo di lettera è conservato presso gl’Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (St. Patria). Non si tratta della lettera originale del Negri al Napione, ma di una copia dello stesso Napione, che, su richiesta del Balbo, trascrisse la parte della lettera che riguardava C. Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che nell’adunanza della Patria Società letteraria propose la composizione di una novella su questo argomento (C. Calcaterra, Le adunanze della ‘Patria Società Letteraria’, Torino, SEI). Non era presente a questa adunanza, in quanto entrerà nella Filopatria ; sappiamo però che egli intervenne a qualche assemblea anche prima di questa data e che intrattenne stretti rapporti coi Filopatridi. Probabilmente quindi l’abate si interessò alla vicenda di Bresse grazie a qualche conversazione con gli amici e colleghi torinesi. Il manoscritto è vergato su 6 carte, compilate sia sul recto sia sul verso: le prime due sono scritte da una mano, mentre le altre 4 da un’altra. Entrambe le grafie non sono riconducibili a quella di C.. Il narratore formula varie ipotesi sulle origini di Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può essere identificato con un ugonotto, un massone o un ex chierico. Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’allora profess. di Retorica D. Castellani, ed è questa in data 9 giorni dopo l’avvenimento». Annotazione scritta dalla stessa mano che aveva compilato il primo dei due documenti (Memoria intorno a Bresse; Fondo Peyron). Il commento del C. si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È da segnalare inoltre che nel verso dell’ultima carta si leggono alcune prove di firma del C. Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto infatti è preceduto da un breve riassunto: «Un’ufficiale di Francia ama una Donna Piemontese per lo spazio di più di un anno, e perché da lei gli è vietato il venir ad ottenere qualche suo fine poco onesto, la uccide, e ultimamente pentito di tanta atrocità usata, da se medesimo si dà la morte. C., Versi italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il melodramma italiano: un incontro obbligato, in Inês de Castro: studi, a cura di P. Botta, Ravenna, Longo. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine Houdar de La Motte, che ebbe uno straordinario successo di pubblico e venne tradotta dall’Albergati (Albergati Capacelli, Paradisi, Scelta di alcune eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto italiano, Liegi ma Modena. C., Versi italiani. Cipriani, Le lettere inedite di C.al nipote, marchese di Albery conservate nei fondi del castello di Masino, tesi di laurea, relatore Marco Cerruti, Torino, Università degli Studi,  A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari, Laterza. C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco, ambasciatore in Portogallo e futuro viceré di Sardegna. In questo periodo venne a contatto con la cultura portoghese, spagnola e inglese e, come tutti sanno, conobbe e “iniziò alla poesia” l’amico Alfieri. Declension Edit First/second-declension adjective.  Number Singular Plural Case / Gender Masculine FeminineNeuter Masculine Feminine Neuter Nominative initiātus initiāta initiātum initiātī initiātae initiāta Genitive initiātī initiātae initiātī initiātōrum initiātārum initiātōrum Dative initiātō initiātōinitiātīs Accusative initiātum initiātam initiātum initiātōs initiātās initiāta Ablative initiātō initiātāinitiātō initiātīs Vocative initiate initiāta initiātum initiātīinitiātae initiāta References Edit initiatus in Charles du Fresne du Cange’s Glossarium Mediæ et Infimæ Latinitatis (augmented edition with additions by D. P. Carpenterius, Adelungius and others, edited by Favre)  Warburton. DISSERTAZIONE   SULL’INIZIAZIONE A’MISTERII ELEUSINI; OVVERO, NUOVA SPIEGAZIONE DEL LIBRO VI  DI VIRGILIO, tratta dalla sessione della Divinici  della Mistione di Mose  MOSTI ATA  DA WARBURTON  Stenda Sdiva VENEZIA  Curii. Al NOBILE SIGNOR BARONE   GIROLAMO TREVISAN   VICE-PRESIDENTE AL TRIBUNAL D'APPELLÒ  ìli VENEZIA bLÌ EDITORI, Non il paiavinó nobile sangue j che nelle vene vi scorre, non l'antichità de’ vostr’avi 3 non gli onori e le cariche eh  tra gli altr’uomini vi distinguono j furonoj Egregio Signore le cagioni che ci  spinsero a umiliarvi rispettosi la presente dissertazione: cerchino altri sì fatte cose o per vite adulazione bassissima, o per  mercarsi non mentati favori o per altr’indiretti fini del generoso animo vostro  onninamente indegni ma sì bene ci mossero e i rari vostri talenti che fecervi un  giorno brillare guai lucidissima stella nel veneto foro, e il genio che nutrite verace per ogni sorta di letteratura. Possian  dunque dire che vi appartenga questa operetta come a quelt esimio personaggio che di vera FILOSOFIA lo spirito fornito e  di fino critico gusto le bellezze ammirare sapete della veneranda antichità. Accogliete pertanto di buon cuore quelh che  offerir vi possiamo e siate certo che cm-  ptiratorì ognora de’ vostri pregii e delle  virtù vostre conserveremo per voi quella  stima, venerazione e rispetto con cui di  essere ci protestiamo,   là zs. X inalrtiente comparisce alla veduta del dotto mondo il vero VIRGILIO: il suo poema veste le ingenue sembianze, di cui lo adorna  il suo autore: quello che finora hanno gl’amatori della sapienza, i filosofi. In esso riconosciuto  di bello ora di nuova luce rifulge; e quanto a’ critici è parato di riscontrarvi dì assurdo e sconcio, e al rigore dell’epiche leggi incoerente ad un tratto dileguasi. Cosi felici effetti ha prodotti la presente dissertazione. Il giudizioso inglese che l'ha scritta facendosi a contemplar di pie fermo quel filo  segreto che l’Omero latino condusse in questo divino poema, colpi nell'intimo sno spirito, scoperse le ragioni, di tutto ciò, che  introduce nell'ENEIDE VIRGILIO, e l'ipotesi sua co quella vasta erudizione che possede,  colle cose, costumi, e opinioni dell'antichità  raffrontando , comprese ch’ella regge con  mirabile armonia e alle idee dell'autore e  alla natura dell' epica poesia ed alla sapienza degl’antichi FILOSOFI. Se ciò  sia vero, lo scorge il leggitore leggendo l’opera presente, e dopo letta, a rileggere ponendosi, e studiare VIRGILIO attentamente,  L'Autore della Disseriazione non ebbe in vista che d'illustrare il VI Libro dell'ENEIDE. Ma la sua scoperta è di un uso universale per l’intero poema virgiliano, che pell’intelligenza d’ogn’altro, e spezialmente di  quello d' Omero . Quindi è che noi creduto abbiamo di fare cosa graia alla letteraria  repubblica nel dare alla luce quest’opera  dall’inglese nell’italico idioma rrcala-, e vi-  viamo colla fiducia, che i leggitori ci sajjra,n,  po grado di sì utile impresa. Per solo bene e vantaggio della società letteraria ci siam noi mossi a riprodurre U  presente Dissertazione; e come sapevamo esser rarissima e ricercata, abbiamo tostamente procurato dì ripiegarla e correggerla; di  note fornirla e d'illustrare con alcuni cenni la  vita del suo Autor valoroso, e farne così al  collo pubblico un dono, Di quanto pregb  ella sia, quanta contenga erudizione non è  a dire; sarebbe desiderabil cosa che tutti ì italiani delle lettere amanti, i quali Unto vanno affaticandosi per isludiare l’epico latino, prima attentamente leggessero questa  dissertazione che porge la chiave a bene,  eziandio comprenderne tutto il poema. Non  dubitiamo pertanto, che gl’eruditi non ci appiani grado di questa, benché leggiera,  fatica j e il lor favore in adesso ci serve di sprone, onde farsi strada ad imprese maggiori. Ha l’uomo collo ed erudito noniolo, ma piu audio l'imperito e l'indotto un desiderio pressoché costante, una voglia direi qnati innata di voler investigar n conoscere in azioni e le gesta, di  que' tra suoi simili, che sugli altri emersero t p er gebio peti tiratore e sagace , o per talenti  letterari e politici, o per dignità ragguardevoli, o per onori non comuni, o per altra mai  dote, la quale tulio scioperato vulgo distinguere ne li faccia, fi da questo desiderio, è da  questa voglia che riconoscer debbe la repubblica  letteraria e scientifica quei lumi tutti, che (les-  sa per opera de' suoi membri possiede in riguar-  do alla virtù, e al merito de' più chiari eroi,  che ognora illustre la resero. È perciò eh' ab-  biamo creduto noi opportuno il dar qui in ri-  stretto (come la parvità del volume lo esige)  alcuni cenni sulla vita del chiarissimo autore  della presente Dissertazione. Warburton nacque nel Dicembre  del ni Ì 11 effe ì ce n tono van torto il vigesimoqnarto giorno a Nevarck sul fiume Trent nella gran  Brettagna, nella qual città occupava suo padre  il posto di Procuratore. Warburton di perspicace acume dotato e non vulgare  talento nelle principali Università l' ordinario corio degli stadi! a percorrer lì diede, e riportatane  laurea nelle teologiche discipline colla fama di  letterato ed erudito quegli sturili a ricominciar  ritiro»; , che più alla naturale sua inclinazione  si confacevano ; ben persuaso che le scuole non  additino che i mezzi, onde fare di vera sapien-  za l'acquisto. Si applicò quindi alla erudizione  sacra e profana, non che all' amena letteratura ,  e ben presto mature fratta produsse . Tardi pe-  rò agli onori ed alle dignità elevato il volle for-   long^-iaa jamfls tardi altrettanto più sublime-  mente innalzollo. Aveva egli trascorsi cinquan-  tasei anni dell'età sua, quando Giorgio II. che  allor l'Inghilterra reggeva con suo grazioso decreto il fece sno Cappellano., e in breve forni-  re di un canonicato in Durbatn ne lo volle.  Proseguiva frattanto le sue erudite fatiche iti  nostro Guglielmo, quando l'anno correndo niil-  Jesettecen sessanta videsi egli al decanato di Bristol inopinatamente eletto, la qual dignità non  fece che servirgli di scala all' onor vescovile,  di cui tra non molto con soddisfazione e con-  tentamento di que' tutti , che le di lui virtù,  conoscevano , fu giustamente insignito. Fugli a  sua sede destinata Gloceiter, che a reggere cominciò con non ordinaria: moderazione e prudenza da meritarne de' suoi connazionali gli applau-  si . Ognor vigilante, sobrio, amico dì tutti, vero filantropo degno stato sarebbe (se altronde 1*  provvidenza non avesse rettissim amente disposto)  d'essere ortodosso, e di possedere diocesi orto-  dossa . Tra le cure però di suo vescovato tener  godeva in casa letteraria conrersazione e giocon- ila, onde il ma affaticato spirito alquanto ri-  crearsi potesse ; e come dotato era dal Cielo di  eccellente memoria, e per meno de' suoi travi.,  gli di vasta erudizione, così sapea talmente a  lempo con istradivi aneddoti la compagnia rav.  vivaio, ch'era egli della società chiamato l'ido-  lo e la delizia. Fra tante virtù aveva tuttavia  il difetto a' suoi patrioti universalmente comu-  ne, quello cioè, di essere nell'odio terribile,  quanto nell'amicizia tenero e dolce: a sua lau-  de per altro riflettali die una legg'"^ «mpen-  aazione, una minima protesta discuta era a cai-  marlo sufficiente. Sin qui il Warburton non ci  i prelenta che personaggio di rare qualità , di  cariche e di onori fornito ; ma è tempo che renda di pubblico diritto le immense fatiche, che  per naturale suo genio a sostenere ai accinse. Sempre amico delle lettere, e della gloria de'  auoi cittadini volle egli darne un saggio col pre-  siedere all' impressioni! delle opere del grande  Shakespear, la quale più nitida rese per nota-  bili correzioni, ed illustrò con crìtiche note,  dove tutto it giudicio risplende , che tanto i ve-  ri dai troppo creduli critici distingue. L'amici-  zia stretta .col Pope lo indusse pure a, sopran ten-  dere alla stampa de' di lui lavori, che colla usa-  ta sua diligenza presto trasse a line. Persuaso  che allora camminarebbe meglio la società, quan-  do la religione e la politica si congi ungessero  insieme a formarne i reali vantaggi , diede alla  luce delle sode dissertazioni sulla unione appunto della Religione, della Morale, e della Politi-  ca , le quali poi trasportò in gallica lingua Stefano di Silhouette, e in due voltimi di vite.  Per porgere, dirà coi), pascolo alla sua estcìis.  «ima erudizione scrisse auche un discorso intorno al terremoto, e all'eruzione ignea, che im-  pedirono all' Apostata Imperatore la restaurazio-  ne del Tempio santo , Ma tntto questo sapere  diWarburton è nn nulla in paragone della critica, del genio, della erudizione, che dispiegò  in un'opera, la quale nei fasti delle scienze  renderlo doveva immortale, e cui, come osser-   Vano -d«» JrttWMti " ili maaturl delle rìcer-   che antiche leggeranno sempre con -piacere,  ed anche con frutto e vale a dire la di-  vina legazione di Masè dimostrata in quattro  volumi distribuita. II filosofo di Farne/ cerco  tosto di accreditare coli' autorità di Warbnrton  tutte le imposture, gli errori , le follie, le men-  zogne , che sacrilegamente «parie aveva nel Li-  bro dei Libri; quindi è che astenere non si potò dal non tributare in larga copia all'Anglo  Prelato gli encomii li più seducenti e lusinghieri . Guglielmo pero che aveva nel petto nn fon-  do di virtù bastante a far argine a coteste vi-  lissime adulazioni, e che l'empietà appieno conosceva dell' autore della Pulcella d' Orleans, in  una seconda edizione a provare si fece che il  aig. di Voltaire non solo non avea l'opera inte-  sa , ma che l' avea falsamente citata , peggio in-  terpretata, e impudentemente calunniato Tanto-  re di essa. L'Oracolo della Francia allora canto Dóion. degli Uom. Ili, v. gli nelle più amate invettive, nei sarcasmi più  «cuti , nelle ingiurie più maldicenti gli clogii  che aveva al Vescovo di Glocesttr prodigalizza-  to, a cu! non degnò egli rispondere mostrando  colla sua grandetta d'animo di quelle ingiurie  la insussistenza , e procacciando così alla sua  opera più durevole fama. Osservan nullameno ì  Critici che più perfetto ne sarebbe il lavora t so  ognor vi rispondesse il lucido ordine di Orazio,  « se più digerita la erudizione ne fosse. Chec-  ché peto sia, resr eterno il nome del celebre  Inglese, e dì questo n'hanno un bel saggio i  leggitori nella presente disseriazione » di' è da  quello ricavata -   Una vita sobria e morigerata fece trarre al  Warborton pacifici giorni e tranquilli da nessun  malore sturbati ; sicché carico d'anni in Glocetcr ai siile Gingno del niilles ettecen setlantanove  compi sua mortale carriera da tutti ì suoi , non  monodie dalia letteraria repubblica meritamente  compianto, lira egli di statura alta, grosso e  corpulento anzicheno , di carnagione rubicondo ,  di temperamento forte e robusto.   Questo è quanto abbiamo di lui potuto rac-  cogliere , e succintamente esporli benevolo leg-  gitore ;   Vive ; Vali : si quid navìitì reHiut istis  Candidai imperli: li »m, bit Mere memi». Virgilio nel libro Yl.;"cfi*r fl "Capo 3'opera  dell'Eneide, ha per dileguo di descrivere l'iniziazione del suo eroe ne' misterii, e di mettere  lotto l'occhio de' suoi leggitori almeno ima parte dello Spettacolo Eleusino, in cui tutto face-  vasi per mezzo di decorazioni e macchine, e in  cui la rappresentazione della storia di Cerere da-  va occasione di far comparire tal Teatro il Cielo, l'Inforno, i Campi Élisii , il Purgatorio, tutto ciò che ha relazione eoa lo stato avvenire degli uomini.   Ma acciocché il lettore non si offenda di questta proposizione che può sembrare nti paradosso,  sarà cosa utile l'esaminare qual sia il carattere  dell' ENEIDE. Tutti e due i Poemi di Omero contengono la  narrazione di un'azione semplici; ed unica, de-  tonata ad insegnare un punto di morale egual-  mente semplice, ed in questo genere ammirasi  con tutta la ragione questo filosofo. E impossibile che in ciò VIRGILIO lo superasse. Il suo  vero modello e perfetto; niente mancatagli,  ii maniera che i maggiori partitami del FILOSOFO LATINO, senza eccettuarne Scalugero', ridotti si no a (allenare, eh' e FILOSOFO LATINO, e lo Scaligero stessa ha sostenuta, clic lutto il vantaggia di Virgilio aopra Ornerò consiste negli Episodi i j nelle descrizioni , comparazioni, nella netiena, e purità dello stile, è nella aggiustateza dei pensieri ; ma ninno ha conosciuto a mio  credere il principal vantaggioeli' égli ha sopra  il Poeta Greco: Egli trovò il Poetila Epico mesto già nel primo ordine di tutte l'opere dello  spirito umano; ni* ciò non ancora soddisfaceva  a'suoi alti disegni. Non bastavagli | clip l' istrui-  te gli uomini nella morale fosse il fine del Poe-  Ina Kpico; neppure l'insegnare la Fisica j come  ridi col oiam ente s'immaginarono alcuni antichi.  Egli è vero, ch'ei compiaceva^' di queste due  •otta d» studii; ma voleva comporre un Poema,  che fosse un sistema di politica. In fatti ì ta-  le la ina Eneide in versi, come in prosi sono  i sistemi politici, e le Repubbliche di Platone,  e di CICERONE; e quegli insegna con l'esempio  e con le azioni di un eroe ciò, che questi insegnano coi precetti . Cosi Virgilio portò il poema epico ad nn nuovo grado di perfezione, e  come di Menandio disse Vellejo Pater colo inve-  niebat, neque imitandum rclinquebat . Benché  possa ognun vedere facilmente t che sotto il carattere di ENEA rappresenta: i OTTAVIANO; pure  siccome credevasi^ che questi ammaestramenti  politici destinati veramente per utile di tutto il  genere umano riguardassero il solo principe;  così niuno ha compresa la natura dell' “Eneide”.  la questa ignoranza i Poeti, che vennero dopo, volendo imitare questo Poema, dì cai non conoscevano il vero genio, riuscirono ancora peg-  gio di quello,- che sarebbero riusciti, se si fos-  sero contentati di prendere per modello il semplice piano di Omero. M. Pope gran Poeta de nostri tempi, é giudice competente in tali materie , dice nella prefazione all' Ilìade spiegando-  ne la cagione. Gli altri Poeti Epici , dice egli, banco seguito Io stesso metodo ; ( ciò* quel  di VIRGILIO, che unisce due Favole insieme,  n t jj- 'A una sola ) ma- in ciir st-som» tanto avanzati, che hanno introdotta una inokipli-  „ cita di favole, con cui hanno interamente  „ distratta l'unità dell'azione, e l'iianprolungata in ana maniera del lotto irragionevole, cosicché i lettori più non sanno dove sieno -, .Tale fu la rivoluzione, che cagiona Virgilio in  questo nobil genere dì poesia. Egli lo porto ad  un punto di perfezione , a cui non sarebbe mai  giunti) con tutta la sublimità del suo genio ira*  za l'assistenza del più gran Poeta . Egli non eb-  be se non il soccorso della unione dell' Iliade e dell'Odissea, che potesse fargli eseguire il bel  progetto, che si aveva formato. Imperciocchi  pel dare un sistema di politica nella condotta  di un gran Principe bisogna fargli comparire ed  osservare tutte le situazioni, e tutte le circo-  stanze, in cui no Principe come tale può ritrovarsi . Quindi bisogno , che rappresentasse Enea  in viaggio come Ulisse , in battaglia come Achil-  le ; ed in ciò non dubito * che questo grand*  ammirator di Virgilio di sopra citato, e che cosi bene ha imitata la purità del suo itile si compiaccia di vede re , clic questi è la vera iti   gìone della condotta del suo Maestro , piuttosto  che l'altra da lui rapportata. VIRGILIO non  avendo un genio ooil Tiro, e cosi feconda  j, come Omero, vi supplì con la «celta di ari oggetto più esteso, e di una più lunga durata dì tempo, epilogando in un solo Poema il disegno dei due poemi del Greco Poeta. Ma se avendo scelto lo «tesso soggetto di Oncia, fu obbligato a trascrivere quella semplicità  della favola, clic Aristotele, ed il Bosiù di luì  interprete trovano divina io Omero, questo stesso gli ha prodotti altri considerabili vantaggi  Dell' esecuzione del suo Poema; poiché questi  ornamenti , e queste decorazioni , di cui non han  saputo i Crìtici rendere altra ragione se non di  sostenere la dignità del Poema, diventano, secondo il fine del Poema, punti essenziali del  suo soggetto. Cosi i Principi e GL’EROI scelti  per attori, che paiono a prima vista un semplice ornamento, diventano la essenza medesima  del Poema j e i prodigi! e le interposizioni degli Dei destinati solo a produr maraviglie diventano con questo nuovo disegno del Poeta una  parte essenziale dell'azione. Qui vedesi lo spi-  rito medesimo degli antichi Legislatori, i quali  pensavano sopra tutto a riempire lo spìrito delle  idee della Provvidenza. Questa è dunque la vera ragione di tante maraviglie e funzioni, che  incontransi nell’ENEIDE, per cui alcuni Critici  moderni accusano il nostro Poeta di poco giu-  dicio, imitando Omero di una maniera troppo  fervile nel suo Poema, composto nel secolo di ROMA il più ili um'Bato e il pili polito . 11. Adis-  >0D , di cui non devesi parlare, se non con termini di estimazione , eoa) parla in proposito del  maraviglialo in VIRGILIO. Se qualche paisà   dell' Eneide può criticarti per questo titolo ,   egli è il principio del terzo libro , in cui  „ rappresentasi Enea, che lacera un mirto, da cui sgorga sangue. Questa circostanza sembra  ,, avere il mirabile senza il probabile; perch' è   descritta come prodotta da cagion naturala  senza J' auìtóox* di, alcun» Dtilà. , a. d' alcuna "sovrannaturale potenza capace di produrla. Ma l'Autore non si è ricordato in que-  sta osservazione delle parole dette d’ENEA in  questa occasione; Nympbas -ùtntTabaT agrtsirt Gradi-vamquc Pattern, qui prieiidet Bruii  Rite steundartnt visus, omtnqut levarcnr. I presagii di questa specie poiché ve n' erana  di due sorta sono sempre considerati conte  prodotti da una potenza sovrannaturale. Cosi  quando gli Storici ROMANI raccontano una piog-  gia di sangue, egli era un presagio simile a  quello del nostro Poeta , il quale si è certame»-  te contenuto dentro i confini del probabile, asserendo ciò che gii storici pia gravi riferiscono  ad ogni pagina de' loro annali . Questo prodigio  non era destinato a sorprendere il lettore. VIRGILIO, come si è detto , Teste i caratteri di un (0 lib. m.J+ »- J<-i9 ledisi atore , e vuole eoi prodigi! e cui prestigi!  persuadere il popolo che iddio s'interpone negli  affari di questo mondo; e questo era il metodo  degli Antichi . Plutarco adv. CoieC- c' insegna,  die Licurgo co) meno di divinazioni e di pre-  «agii santificò gli Spartani, NUMI I ROMANI,  Solone gli Ateniesi, e Deucalione tutti i Greci 10 generale , e col mezzo delta speranza e del  timore mantennero nello spirito di questi popoli   11 rispetto alla Religione. Cosi molto a proposi-  to colloca VIRGILIO U scena di <)m-*to accidente  tra i popoli barbari e grossolani della Tracia per  ispirare dell'orrore a'coslumi selvaggi e crudeli,  e desiderio di nno stato civile e polito.   L'ignoranza del vero fine dell'Eneide Ila fat-  to cadere i Critici in diversi errori poco onore-  voli a VIRGILIO, non solo intorno al piano ed al  lavoro del silo Poema, nia intorno al carattere   venerazione profonda agii Dei hanno tanto offe-  so r Ememont scrittore celebre Francese, che b& detto essere questo Ero e più proprio a fondare una Religione, che uoa Monarchia, Ma non ha saputo, che nel carattere di ENEA Ila voluto rappresentare un perfetto legislatore ebbe saputo ancora che ufficio de' legislatori era  non meno stabilire una Religione, che fondare uno Stato. E sott» qaeita doppia idea VIRGILIO rappresenta ENEA  InferTtttjue Dras Lalla  Eoe"!- Uh I. veri. j>. io. ti «ostro Critico egualmente li offende dell'  umanità di ENEA, dia della tua pietà. Elift  consiile, secondo lui, in una grande facilità piangere, ma egli non ha intesa la Ltlk-zzatì  questa parte del suo carattere. Per dare l'idea  ài un legislatore perfetto , bisogna rappresentarlo penetrato da sentimenti di umanità. Era tanto  piil necessario dare un simile «empio, quanto  vediamo per isperienza, che i politici del comune sono troppo spogliati .di qaciti untimi:!!-  ti. Questo punto di vista, lotto coi rappresentiamo L’ENEIDE serve a giustificare gli altri  caratteri, che metti! in iscena il Poeta. Il dotto Autor delle ricerche sulla vita» e sugli acrlr-  tì di Omero mi permetterà di avere una opinion  ne diversa dalla sua riguardo alla uniformità de caratteri, che regna nell'ENEIDE. Io la tengo  per effetto di un premeditato disegno, non già  di costume e di abito. VIRGILIO, dio' egli, era avvezzo allo splendor della corte, alla magnificenza di un palazzo , alla pompa di un equi-  ,, paggio reale .rizioni di que-  „ ala aorte di vita io» più magnifiche e più nobili di quelle di Omero. Egli osserva già   la decenza, e quelle maniere polite , che reit-  „ dono un uomo tempre eguale a se stesso , e  „ rappresenta tutti i personaggi, che si rasromigliano nella loro condotta, e nelle loro maniere. Ma poiché l'Eneide è un sistema di  politica, e che la dui azione eterna di uno Stato, la forma della magistratura, ed il piano del  governo erano, come lenimmo osserva questa  bi |9 giudicioso «rittore, con famigliari al fotta,  niente più conveniva al suo disegno, quanto  descrivere costumi politici. Imperciocché ufficio  di un legislatore È rendere gli uomini dolci ed  umani i e se non pub obbligarli a rinunciare inera mente a' loro selvaggi costumi , impiegarli al*  nieno a coprirli. Questa chiave dell' Eneide non solo serve 1  piegare molli passi , che pajono soggetti alla  Critica, ma a discoprir la bellezza di un gran  numero d'incidenti, che nel corso del Poema  s'incontrano. Prima di finire questo articolo mi si permetta di osservare, che questa è la seconda specie  (Jet Poema Ippico. Il nostro compatriota il gran  Milton ha prodotta la terza, perchè, come VIRGILIO tenta di sorpassare Omero, Milton volle  sorpassar tutti e due . Egli trovò Omero in pos-  sesso della morale, e VIRGILIO della politica. A  (ui restava, solo la Religione . figli prese questo oggetto, come se avesse voluto con (oro dividere  il governo dei mondo poetico, e per mezzo della dignità, e della eccellenza del suo soggetto si mise alla testa di questo triumvirato,  prr formare il quale vi vollero tanti secoli. Ecco Ì tre °eneri del Poema epico il soggetto  generalm-'te parlando è la condotta dell'uomo,  che si può considerare riguardo alla Morale , alla Politira, e alla Religione. Omero, Virgilio,  « Milton hanno ciascun di loro inventata la specie . eh - è sua particolare e l'hanno portata dal  primo saggio alla perfezione, cosiceli* è irapoi. Il   libile inventare altro di nuoro nel genere Epico. Supposto adunque, die l'Eneide rappresenti  la condotta degli antichi legislatori , non può  credersi che un maestro così perito, corno VIRGILIO, potesse dimenticarsi un dogma, eli' era il  fondamento ed il sostegno della politica , Cioè il  dogma de' premìi e delle pene nell'altra Vita.  Quindi veggiamo , eli' egli ce he ha dato uh  completo sistema ad imitazione di quelli, ch'egli  h» presi per esemplari i come Platone: nella »U  alone di Ero, e CICERONE NEL SOGNO DI SCIPIONE. E come il legislatore cercava di dar [teso a  questo dogma con una istituzione affatto straor-  dinaria, in cui rappresentati lo stato de' morti  in uno spettacolo pieno di pompa; cosi la de-  tenzione di tale spettacolo poteva dare molta  grazia e bellezza al Poema. La pompa e la se  lennità di queste rappresentazioni doveva natii*  ralulente invitare il Poeta a descrìverle, trovan*  do in ciò occasione di mettere in opera tut-  ti gli ornamenti della poesia. Io dico dunque t  Senteii 1» spirilo di pitti» che pirli i un Iniiino non pu-  tirebbe al Warburton per buone rune quello proposi noni riguirl  do al Milena ; direbbe egli quindi , col cometuo de' piti meni  fiati Critici, il rrtxo bega lil immuriate suo Taiio, che n-olio  primi del Milton prese a soggetto il vcrti Religione ; ne dlipiiindo le posta rigore) intente il Poeta In^lett tra gli Epici tlii-  •ificarsi , iccorderebbegli di buon cuore il quarto luugu come a  quellu , il quale secondo che ilice Ugone Bliir " ha calcita una  «rida del culto nuova a straordinaria N. D. E. ch'egli la ha fatto, « che la distesa di Ehm   all' Inferno non e altro, che una rappresenta-  jione enigmatica della sua iniziazione a' miste-  ri»   Eia disegno di VIRGILIO dare nella persona di  ENEA l' idea di un legislatore perfetto. L' iniziazioni' a' mUterij rendeva sacro il carattere di  un legislatore , e ne santificava le funzioni. Non  è da stupirli ebe dì proprio tuo esempio volete nobilitare una istituzione, di cui egli stesso  era l' autore i e perciò sono «tati iniziati tutti  gli antichi Eroi e Legislatori.   Fintantoché i miiterìi non aveano passato an-  noia l'Egitto, dove erano nati, e che cola  andavano per essere iniziati i Greci legislatori,  è cosa naturale , che di questa cerimonia non  li parlasse, se non in termini pomposi ed allegorici. A Ciò contribuiva parte la natura dei  costumi degli Egiziani, parte il carattere dei  viaggiatori j ma sopra tutto la politica de 1 legislativi , i quali ritornando al paese volevano infivilii e un popolo selvatico, e giudicavano per  se «tessi vantaggioso, e necessario pel popolo  parlare della loro iniziazione , in cui lo stato  de' morti era stato Joro rappresentato in Spetta-  tolo, come di una vera discesa all'Inferno. Cosi fecero Orfeo, Bacco, ed altri. Continuò a  praticarsi questa maniera di parlare anche dap-  poiché furono introdotti in Grecia i mìsterii»  come vedesi nelle /avole di Ercole, di Tese*  discesi aiT Inferno . Ma peli' allegoria eravi sem-  pre qualche cosa, che discopriva ]a verità na- ccsitt (otta gli emblemi. Così per esempio di.  cerati di Orfeo, che disceso era ali 1 Inferno pei  meno della sua cetra:   Tbrticta frctus cythara , fidì&utJUI Cancri s  Il clie moitra ad evidenza, ch'era in qualità di  legislatore, perchè si sa che li cetra È il tirar  bolo delle leggi, per meno delle quali rese cir  lite un popolo grossolano e barbaro . Nella fa-  vola di Ercole reggiamo la storia vera unita al-  la favola nata da quella, e intendiamo ch'egli  veramente fu iniziato ne' mister» Eleusini im-  mediata Diente prima della sua undecima fatica ,  clic fu il levare Cerbero dall' inferno; e lo Scoliate di Omero ci espone, che il fine di questa  iniziazione era preservarlo da disgrazia in questi  impresa pericolosa. Pare, che Euripide ed Aristofane confermino la nostra, opinione della di-  scesa all' Inferno. Euripide Bel suo Ercole Furioso rappresenta questo Eroe di ritorno dall'In-  ferno per soccorrere la sui famiglia : eslermina  il tiranno Leuco; Giunone per vendicarsi lo fi  perseguitar dalle furie, e nei suo furore egri  uccide sua moglie, ed i suoi figliuoli presili per  nemici. Ritornato in se stesso, Tese suo amico lo consola, e lo scusa cogli «empii scellera-  ti degli Dei, il che incoraggi va gli uomini a  commettere i più gravi eccessi ; e questa opi-  nioni: cercatati di abolire ne' misteri) , scoprendo la falsità del Politeismo. Ora egli è chiaro  Eoeiu. Lib. VI. vcrs.uo.  6 i  abbastanza , eh' Euripide ha rollilo farci sapere  coia egli pensasse della favolosa discesa all' In-  ferno , quando fa risponder Ercole , come un  nomo die ritorna dalla celebrazione de' misteri! ,  a cai sicnsi confidati i segreti. " Gl’esempii degli Dei , che voi mi citate , egli dice , niente significano: io non saprei crederli rei delle  4> colpe, che loro vengono imputate . Non potso intendere come un Dio sia sopra un altro Dio. Rigettiamo adunque le favole ridicole,  „ che ci raccontano i Poeti itegli Dei „Aristofane nelle Rane apertamente palesa ciò, che  intendeva per la discesa degli antichi all' Infer-  no nell'equipaggio, che da a Bacco, quando lo  introduce a ricercare della strada tenuta da Ercole: sul qnal fatto lo Scoliaste c' insegna, che cel celebrarti i mister» Eleusini usavasi di far  portare dagli asini le cose bisognevoli per que-  sta cerimonia. Quindi nacqne il proverbio: dsi-  nus portat mysteria. Il poeta dunque introduce  fiacco col suo bastone seguitato da Janzio mon-  tato sul!' asino con nn fardello ; e perche non si  dubiti del suo disegno , avendo Ercole a Bacco  detto che gli abitatori dei campi Elisiì son gli  iniziati , Janzto risponde: " Io fono 1' asino , che  porta i misterii Ecco dunque come riguardo a molte favole  antiche l'espressioni sublimi e magnifiche nel  parlar de' misteri! hanno persuaso alla credula  posterità, che là dentro vi fosse un non so che  di miracoloso . Nè dee maravigliarsi , che ne' tem-  pi antichi n compiacessero d'esprimere con uno  stile il più straordinario le cose più. ordinarie;  a5   poiché un Autor moderno, come Apukjo, 6  per imitar gli antichi , o per accomodarsi allo  itile solito de 1 misterii descrive nel fine del Li-  tro II. la sua iniziazione: decessi confittium  mortis, t> calcato Proserpina limine per omnia  veSus dementa remeavi . NoSe media vidi So~  lem candido coruscantem lamine, Dcos Inferos  é> lieos supero: , accessi corani t> adoravi de  proLìmo. Enea non avrebbe potuto descrivere  con altri termini il ino viaggio notturno dopo  che fu fatto uscire per la porta a Avorio. È  •tato dunque obbligato VIRGILIO a fare iniziare  il suo Eroe," e la favolosa, antichità gli sugge-  riva di chiamare distesa all'Inferno questa ini-  ziazione . Di questo vantaggio ha saputo profit-  tale con molto giudicio , poiché questa funzione  anima tutta la sua favola, che seni» questa al-  legoria sarebbe troppo fredda per un Poema Epico. Se avessimo ancora un antico poema attribui-  to ad Orfeo, e intitolato discesa all' Inferno t  forse vedremmo clic il soggetto di esso era sem-  plicemente l'iniziazione di Orfeo, e che il (let-  to ha somministrata a VIRGILIO l'idea del VI.  libro della sua ENEIDE. Checchi; ne sia, Servio  ha ben compreso il fine di questo Poeta, osser-  vando contenti-visi molte cose prese dalla pro-  fonda scienza de' Teologi d'Egitto: Multa per  altam scientiam Theologicorum jEgyptiorum j ì  quali hanno inventati i dogmi, die insegnavan-  i ne' misterii . Con dire che questo era il dise-  gno principale del Poeta , io non pretendo assi-  curare , ch'egli abbia avuta altra guida, fuor  che se medesimo. Egli ha presi da Omero mot-  ti ile' suoi Episodi! , t da Piatane, «me ce-  drassi.   L' iniziato aveva un conduttore chiamato Jc-  tofanta Mistagogo , il quale uomo o donna che  fosse , gì' insegnava le ceremonie preparatorie ,  lo conduceva allo spettacolo misterioso , e glie-  ne spiegava le parti diverse. VIRGILIO ha data  ad ENEA la Sibilla per conduttrice , e la chiama  Vatet, magna Sacerdos , edoàa carnet; e sic.  come il Mistagogo doveva viver celibe come Girolamo ossei va de Monogamìa Sierophanta  «pud Alkenas evitat i-irum, t> sterna debilita-  te fit costui ; cosi la Sibilla Cu man a non era  maritata .   Il primo comando, che ad Enea dà la Pro-  fetessa è di cercare IL RAMO D’ORO:  1 Annui & folth, & lento vimini ramiti  Junanì ìnferne di&ut tactr. Di questa particolarità Servio non sa come ren-  dere ragione, c s'immagina che forse il poeta  alluda ad un albero, eh' era in mezzo al sacro  bosco del Tempio dì Diana in Grecia. Quando  un fuggitivo si era colà ricoverato, e poteva  svellere un ramo di quel!' albero gelosamente cu-  stodito da' Sacerdoti , egli aveva l'onore di bat-  tersi con un di loro a colpi di pugno, e le gli  riusciva di superarlo, veniva ad occupare il su*  posto . Questa spiegazione, quantunque troppo  lontana dal soggetto, fu dopo Servio ammessa     di emìa Uh «Lvm.fj7.iit. 10 mancanza d'altra migliora dall'Abate Banier   11 migliore interprete delle favole antiche. Ma  io penso che questo ramo rappresenti la corona  di mirti , di cui , secondo lo Scoliaste d' Aristo,  fané nelle Rane , ornavansi gì' iniziati nella celebraiion de' misteri!. Primieramente perchè di-  ce, che il ramo d'oro è consecrato a Proserpi»  ni, «da lei era pure consecrato il mirto. In  tutta questa favola si parla solo di Proserpina,  e niente di Cerere , e perchè si descrive V iniziazione come un'attuale discesa all'Inferno, e  perchè quantunque nella celebrazione delle Cere*  uionie misteriose s'invocasse anzi Cerere, eh  Proierpina, questa però sola presiedeva agli spet-  tacoli , ed il libro VI. dell' Eneide non contie-  ne , se non la descrizione degli spettacoli rap-  presentati ne' misterii . In secondo luogo la qua-  lità pieghevole di questo ramo d 1 oro , lento vi-  mine , rappresenta benissimo i teneri rami del  mirto. In terzo luogo sono le colombe di Venere quelle , che dirigono Enea verso 1' albero :   dum maxima] ècroi   Matctnas agnoicit avei . . Esse volano verso l'albero, vi si fermano corner  se fossero avvezzate. L'albero apparteneva alla  famiglia , questo era il sito , ove posavano eoa  piacere , perchè il mirto era consecrato a Venere :   Sedìbut optati s gemina mfer arbore sederti   (r) Eneid. Lib. VI. veri. (») 1. e. ver». *oj.  Ma iti qtleHo passo trovasi ancor più di lellez-  ?a e di aggi urtai ez za di quello elle a prima vi-  sta apparisca . Imperciocché non solamente il  mirto era sacro a Proserpina , come insegna Por-  firio lib. IV. de abstinentia, egualmente che a  Venere; ma le colombe erano sacre ancora a  Proserpina .   Preso eh' ebbe il ramo e coronatosi di mir-  to, Enea entra nella grotta della Sibilla : Et vath portai sub nBa Syèìllé (t).   E ciò dinotava l'iniziazione a 1 piccioli ttìttèruf  poiché nella Orazione XII. insegna Dico Grisotomo, che facevasi in una . piccioli e stretta  cappella come può supporti la grotta della Si-  lilla. GH iniziati he' piccioli misteri! cViiamavansi  Misi ce . Poscia la Sibilla conduce linea al sito  d'onde doveva scendere all'Inferno:  Hit iBìs propen extquhuT practpta SyBilla (ij.   Ciò significa l'iniziazione he' gran misteri i , pi"  iniziati de' quali chiamavansi Epopta . Questa  iniziazione fassi di notte . Il luogo simile a quel-  lo , dove Dione dice , che celebravansi t gran  disteni, è un Duomo mistico di una grandez-  za e di una magnificenza maravigli osa :   Spttttnca alia fuìt, vasloqut immotili blatH  Scrupia, tuia iecu nigre nmorkmqtu ttntbrit (j)  Ecco come descrive)! l'accoglimento fatto ai  ENEA {Sub pedièus mugire niam , & fuga tapt* moviji  Silvarum , vistque canti ululare per umbram ,  Adottami* Dia . Procul o procul M profani ,  Conclamai Vaiti , loloquc abiliti" 'uro (l) .   Claudiano fa un» descrizione semplice t senza  artificio del principio di queste formidabili ce->  remonie , da cui apparisce, questa di Virgilio  essere un'esatta descrizione dell'aprirti U scena  de' misteri! E-li sul principio del Libro I. del rapimento  di Proserpina imita la sorpresa e lo stordimento  di nn iniziato, e gettasi, per eoli dire, corno  U Sibilla in mezzo alla scena:   furint aniro je imnhtit, aperto Grtssui ttmiruttt profani..   Egli sgrida come estatico ;   Jam furor bumanos nostro de pt8ere reiuut  Expulit  Jam mibi ctrminiur (rtpidit delubro movirt  Sedibts, O elaram dispergere fulmina tutti*, .y  Adoemum testala Dei.- fam maga*! ab imìi  Auditur fremitus Irrris templumque remugit  Cecropidum; sanBasque faets extdlit Eleusu,  pingue, Triptotemi stridunt & squammea curva  {il Enrid. lib. VI. mi». >5i> e segg. <>) l «• »**  <(J Cluni, lib. L vets. 4. Colla kvma.. (l)   Ecce frocul ternij Utente variata figuri?  Ex»h*r (1)     Molto lene s* accordano queste dae descrizioni  con Je relazioni degli antichi Greci autori in  tal propolito, se considerali l'idea generale da-  taci da Dione nell'orazione XII. cori queste pa-  role : " Coi) succede allorché conducesi un Gre*  ,, co od un Barbaro per essere iniziato in un   certo Duomo mistico di grandezza e di mignificenza mirabile, dov' egli vede varii spettacoli mistici, e lente nello stesso tempo una  „ moltitudine di voci, dove la luce e le tene-  „ bre alternativamente appariscono ad eccitare   vajii movimenti ne' sensi di lui, c dove gli  „ si presentano dinanzi mille altre cose atraor-   Quelle parole viso canes ululare per umbram  fono chiaramente spiegate da Platone ne' suoi  acolii sopra gli oracoli di Zoroaitro. Questo è  „ l'uso, dic'egli, nella celebrazione de' misterii, di presentare dinanzi gli Iniziati de' fati-  „ tasmi sotto la figura di cani e d' altre Torme e visioni mostruose. Le parole procul o procul este profani della Sibilla sono una ietterai  traduzione del formolafio uiitàto dal Mlstagogo  nell'apertura de'tniiterìi ;   ,'s-ti Bt'faha  e!«d. rie lUp. Prwnp. Hb. L Vm. J. fte.  (i) lo iteti, v. if. L* Sibilla dice ad ENEA, che «'armi di tutto  il suo coraggio per avere a muoversi a combat-  tere contro i più spaventevoli ©Igeili ;   Tuqtu invidi vtam, -uagindqu, ,rip t fammi  JVW aaìmh opus, Mm«, nunc pefore firmo (i).   E infatti troviamo ben presto l'Eroe impegnato  in un combattimento: Carripit bic tubila inpidus fm-mìdine firmm  JEnts, tniSamque acitm wniintib** ofcn (2). .  Tale appunto ci rappresentano gli Anticlù l'ini-  ziato nel principio deJle ceremonie . " Entrando  „ net Duomo mistico, dice Témistio Oration. in.  „ Pattern, si riempie di spavento e di orrore,  „ ed il suo animo ha occupato daila inquietu-  „ dine e dal timore. Egli non può avamara  „ un sol passo, e non «a come entrare nel di-  „ ritto cammino che lo conduce al luogo, dc-i  „ ve vuol arrivare finoattantocliè il Profeta '(Vaies) 0 il condottiero apra il vestibolo del  „ Tempio,,. Proclo sovra Platone PhxA. libr. III.  e XVIII. dice; " Come ne* santissimi misterii  „ prima che si apra la scena delle mistiche fun-  « lioni, l'anima déH'iniiiato I .orpreaa da spa-  „ vento } eoil ec. t j Poco dopo si spiega la cagione dello spaven-  to di Enea, e lo vediamo involto fra tanti ma-  li reali e immaginari» di questi vita, e di tut-  te le malattie dello spirito e del corpo e dì  (> E«i4 Lib. VL vtrs. >*•. Ut. (», L a *n. „ 0. «1.  tutte le terribile! visu forma de' Centauri , del*  ]e Sciite, delle Chimere, delle Gorgoni e delle  Arpie- Ecco ciò che Platone chiama nel luogo  eitato c'Mo'kot* t»'( fiopeaV e«^t«V(/«t* forme e vi-  (ioni mostruose, che vedevansi peli' i egre sjo de*  ju i steri i . Celso, come nel vero libro IV. scrive  pcntro di lui Origine , dice, che i fantasmi me-  desimi si presentavano nelle cerimonie di Bac-  co. Secondo Virgilio incontravansi nell'entrata  Vestibulum ante ìpmm , e c'insegna Temistio  che il vestibolo del Tempio era il Teatro di  fante visioni orribili vi tì?*t* Teff ««off. Interrom-  pe il Poeta la sua narrazione nel)' aprirsi di que-  sta scena , e quasi volesse fare solennemente la  propria apologia, grida;   Di, quibus imperium est animrrum umbraque siteniei  Et ebani & pbiegetbon teca noEle liltntia tate ,  Sh mibì fas nudità hquì , ih nuvnìnt vtitro  Pandcre rei alta ttrra & rsligine menai Egli sapeva d'impiegarsi in una impresa empia ,  poiché tale credevasi la rivelazion de'misterìi. Ciaudiano nel «ovracìlato Poema dove apertamen-  te confessa di trattare de' mister» Eleusini in  tempo, in cui più non erano in venerazione,  fegue perù l'uso antico, e cosi si scusa;   Di quib«, ìmmnm (*)   Voi mibi sacrarum penetrati* paudìte rerum ,  Et vestii secreta pali, qua lampade Dìtem FU- (i) Elisili. Lib. VI. v«n. :Ó4. c segg,  IO Ciani Lib. J. veri. »g, Fitti t amor, quo duBa ftroV Prostrpina taptu  Peiltdit dolale cbaos , quantasqu* per oras  Sollicito gtrtttrì» erraverit ansia turiu ,  linde dai* papali s fruga , & glandi TtliSa  Ceutrit invintii Dodonia qusrcui ariitii (l) .  Se in Roma con tanta severità si fosse punita  la rivelazion de' misteri! , come facevaai in Gre-  cia , non avrebbe oiato Virgilio scrivere questa  portimi di Poema. Come per6 trattavasì da em-  pio , al dir di Svetonìo nella vita di Augu-  sto C. xeni., quello ebe rivelava i misterii, Vir-  gilio lo fa di nascosto e nel tempo stesso si giù-  sii Rea presso coloro che potessero penetrare il  suo disegno. Intanto l'Eroe e la guida conti-  ptiano il loro viaggio:   l lbant obscuri sala sub naBt per umbram Perque demos Ditis vacuas & inania regna;  Quale per ìnctrtam luna-m sub luce maligna  Est iier in lilvis , ubi ectlum condidìt umbra  Jupiier, & rebus nox abslulit atra colorem (2).   Questa descrizione mi fa sovvenire dì un passo  di Luciano nel suo dialogo n/pivw. e del Tiranno. Andando insieme all' altro mondo una  compagnia dì persone di condizioni diverse , Mi-  cillo grida: " Ah! come qui e oscuro I Dov'à  il bel Nagillo! Chi distingue adesso la belleiza di Simiche e di Prine? Tntto qui ras-  „ somigliasi: tutto è dello stesso colore, non li possono fare confronti. Lo stesso mio vecchia Citai. 1, c veti. 1;. te. Eneìd. lib. VI. veri.  mantello, che si Imito tra a vedere, adesso  „ è tanto bello, quarto la porpora di sua Maetà, eh' è qui in nostra compagnia. In verità  „ 1" un e l'altra tono svaniti ai nostri occhi, e  ,, nascosi sotto lo stesso velo. Ma amico Cinico dove sei? Dammi la mano. Tu che sei iniziato ne' misterii Eleusini , dimmi un poco: non rassomiglia questo al viaggio , che facesti all'oscuro? Cìnico: Oh affatto affatto . Guarda una delle furie che -viene dal di lui seguito con le torcia accese in mano e col suo terribile sguardo. Giunto linea in sulle rive di Cocito stupisco  in vedere tante ombre erranti intorno di questo  £ume , è in atto d' impazientarsi perchè non  vengono tragittate, e intende dalla sua condut-  trice, esser quelle ombre di persone insepolte,  e perciò condannate a errar qua e là sulle spon-  de del nume per lo spazio di cent'anni prima  di poterlo passare:   H*C cmnis i guani cernili inopi inhumataqul turba m  Portitor Hit Ciana; hi, quo: tithit unda, irpulii ,  Net rlpai dal tir horrtndas , ntc rauca fiutila  Transportart prius, quam ssdibui oisa quierunt;  Ctmsm trranr annui , volitantqui hxc litiora circitm ,  Tum demum admìiii stagna txopiata revhunt. Ni crediamo, che quest'antica nozione sia sta-  ta del volgo superstizioso: ella è una delle in-  venzioni più serie defili antichi Legislatori dì W EneiA Lib, VL vus. jjj. « ssg^.  «ver saputo imprimere qnesta idea nello spirito  dei popolo. Ma può dubitarli, .che loro non  debba attribuirsi, poiché viene dagli Egiziani. Questi gran maestri di sapienza pensarono, dia  mollo giovasse alla sicurezza de' loro cittadini la  pubblica e solenne sepoltura de' morti, senza di  che facilmente e impunemente si potevano rem'  mettere mille secreti omioidii . Quindi introdussero il costarne de' pubblici funerali e pomposi C'insegnano Erodoto e Disdoro di Sicilia, che  l'esequie si facevano presso gli Egiziani con più  ceremonie di quello che si masse da altri popoli. Ma per più assicurarne l'usanza con un mo-  tivo di Religione oltre quel del costume, inse-  gnavano al popolo , che i morti non potevano  giungere al luogo del loro riposo nel!' altro mon-  do prima-che in questo non fosseio. loro fatti  gli onori del funerale j la qual condizione deva  per necessità aver portati gli uomini ad osser-  vare seriamente tutte le ceremonie dei funerali.  Con che il legislatore otteneva il- ano intento,  ch'era la sicurezza del suo popolo. Questa no-  zione si sparse tanto e tanto profondamente s'im-  presse nello spirito degli uomini, che queJtoj  che di essenziale vi era in questa sop^tizione  si conservato sino al presente nella maggior  parte delle genti colte . Se ben si ridette, ì) avvi una cosa, la quale ben dimostra di quanta  importanza credevano gli antichi che fosse ìa se-  poltura de'morti. Omero, 5ofocle ed Euripide  sono senza dubbio i più gran Poeti tra Greei. Ora, secondo l' osservazione de'C/itici , nell'Iliade, nell' Ajace, e ne' Fonici I trovasi una viaio sa crjnlinnazion della favoli, e le vien retta  I' uniti dell'azione colla celebrazione dt' funerali ài Patroclo, di Ajace, e di Polinice . Ma non  rifl: -l'ino questi Critici elle gli antichi risguar.  davano l'isequie. come una parte inseparabile  delia tocidì, e della morte di un uomo. Quin-  di qu'.aii gran Maestri, dell'unità e del dovere  non potevano erodere finita l'azione, prima che  non si l'ossero compiuti gli ultimi doveri verso  oVmnrti 11 legislatore degli Egiziani trovò un altra  vantaggio in questa opinione dtl popolo sulla,  necessità de' funerali pel riposo de' morti , ed  era di dare un castigo a' debitori, che non pa-  gavano, da cui nasceva alla società un consi-  derabile vantaggio. Imperciorrhe invece di seppellir vivi i debitori che non pagavano, come  generalmente si usava tra barbari, gli Egizii ,  popolo colto ed umano, fecero una legge, che  comandava di lasciare insepolti i cadaveri di  questi debitori, Si noi sappiamo dalla storia che  il terrore di questo castigo produsse l'effetto,  che bramavano. Pare elle siasi ingannato il Mar-  sliani nella sess. IV. §. III. del suo Catone Cronico, supponendo che questo divieto di seppellire avesse dato luogo alla opinione de' Greci, i  quali credevano ch'errassero qua e là gli spiriti  degli insepolti mila terra. Laddove la natura  stessa della cosa dimostra chiaramente la legge  essere fondata su questa opinione, ch'ebbe la  sua origine dall'Egitto, e non l'opinione sulla,  legge, essendo questa opinione la cosa sola, chej  alla legge dai- potesse qualche autorità. Ché Se il Poeta non avesse creduta la cosa  tanto importante, egli non vi si sarebbe coti  lungo tempo fermato, non l'avrebbe di poi ri-  petuta, non l'avrebbe espressa con tanta fot**)  nè avrebbe rappresentato il suo Eroe pensoso «  sommamente attento alla medesima: Cunstitit Aitcèisa satuj, Gf vestigi» pressi:  Multa putans, (aggiunge) sarttmquc animo miseratiti  iniquam. Il pass» è commentato da SERVIO: Iniqua enini  sors est puniri propter alteriut negligentiam ;  nequé enim juìs culpa sua caret sepulcto Qua 1  le ingiustizia-' dice qui Mr. Bayle. Jn una risposta alle ricerche di un Provinciale toni. IV.  Gap. KXir. Era forse colpa di quelle anime ella  non fossero sotterrati i loro corpi? Ma non sa'  pendo l'origine di questa opinione, non ne ba  saputo l'uso, e perciò egli attribuisce a super-  stizione 1' effetto di una savia politica. VIRGILIO colle pai-ole Sortem itllquatn intende, che in que-»  sta civile istituzione , come in molte altre, un  bene generale sovente diventa un male per un  particolare. Alle rive di Cucilo vedevasi Carolile con la  sua barca. Sono persuasi tutti i dotti, che costui era veramente un Egiziano esistente in car-  ne ed ossa. Gli Egiziani non men degli altri  popoli nelle descrizioni delle cose . dell' altro mon-  do prendevano l'idea delle eose di questo fami. £0 Mi Lib. VI. TOt.|ii.jia. jlìari . Nelle fero funebri ccteinonie , che pres-  so loro erano *di maggiore importanza che pres-  so le altre nazioni, come osservammo, usavano  ai trasportare i corpi dall'altra parte del Nilo  per la palude, ossia lago Acberonzio, e niettevansi incerte, volte sotterranee. Nella loro lin-  gua il barcaiuolo chiamaTaii Caronte. Ora nel-  le descrizioni dell' altro mondo , clic facevano ne'  loro miiterii, era cosa molto naturale prender  l'idea da ciò , che faceva*! nelle ceremonie fu-  nerali . Sarebbe facile il provare, quando bisognane, clie gli Egiziani cambiarono in favole  queste cose reali , e non già i Gxeci , come ta-  luni hanno pensato. Passato ch'ebbe il fiume, Enea si trova nel-  la regione de' morti : il primo incontro spaven-toso se e il Cerbero : Hit ingens latrata regna tri tauri  Personal, adversa ricuBans immani s in entro. Questo veramente è \\ fantasma dei misteri! ,  che sotto il detto del sovrastato Catane appari-  va sotto la figura di un catte kWì* ; e nella fa-  vola di Ercole sceso all'Inferno, che altro non  significa, se non la tua iniziazione a' ni i steri i ,  si dice ch'egli andò all'Inferno per di là con-  durne Cerbero. La region dell'Inferno era divi-  sa in tre parti secondo Virgilio: il Purgatorio,  l'Inferno, e i Campi Eliti i . Dcifobo , ch'era  nel Purgatorio dice ;   Ditcedam, txpltèo numeram ttddaraue ìimbris (l) .  (i) Eneid lib. VI. veri. 417. 4l 8. L e. T«t. j«- Di Teseo ch'i nel fecondo si dice:   itdit alirrji<mqiit stdtbit   Infcl.x TitJtUt (l).   Nei misteri! queste regioni erano precisamente  divise nella stessa maniera. Platone nel Fedone  parla delle anime, che sono sepolte nel fango e  nelle sozzure, e che devono stare nel fan-o e  nelle tenebre fino a che si purificano per un  lungo corso di anni, come qui insegna Virgilio .  E Celso, come nel libro Vili, riferisce Orio-  ne, dice che ne' misterii inseguavasi la eternità  delle pene.   Ciò , che qui merita osservazione e che mol-  to serve al disegno presente si È che le virtù e  i vizj annoverati dal Poeta, e che popolano que-  ste tre regioni sona precisamente quelli , ch«  hanno più relazione alla società. Quindi bene  scorgesi che Virgilio aveva le stesse mire, eh' eh-  bero ne' mìsterii gli institntorì. Il Purgatorio, eh' è la prima, divisione è po-  polato da quelli , che hanno uccisi se «essi,  dagli stravaganti innamorati, da' viziosi guerrie-  ri, in una parola da quelli, che lasciato libero  il corso alle loro violenti passioni erano piutto-  sto infelici, che sfortunati. E notisi che tra  questi trovasi un iniziato. Ctrtrìqut sacrum Volybettn Insegnavasi pubblicamente ne' misteri; , che sen-  za la virtù, l'iniziazione a nulla serviva; lad- EmiA lib. vL tot. t,j. <„ 1. e.  dove gli iniziati , che attaccatami alla pratica  delle virtù avevano nell 1 altra vita molti vantag-  gi sopra gli altri. Di tutti i disordini, che li  puniscono nel Purgatorio, niuno più pernicioso  alla società dell'omicidio di se medesimo. Quindi la condizione infelice di tutti questi omicidi  si nota più distesamente di tutte le altre:   Prima dande trneni matti (net, qui liii Ittbum  liticarti peperere menu, iucemqia pittisi  Projicirt animai . Quam vtllenc ctètre in alta  Nunc & paupiriem, & dumi per/erre- labore: Prosegue esattamente il Poeta cib, che insegna-  tasi ne' mister» , dove -non solo proibì vasi il dar  la morte a «e stesso, ma spiegatasi ancora la  cagione di questa colpa . I discorsi , che ci ven-  gono fatti continuamente nelle ceremonie , e uè 1  tuisterii, dtCe Platone nel Fedone, che Iddio ci  ha messi in questa vita, come in un posto,  che senza di fui permissione non dobbiamo giammai abbandonare, possono essere troppo difficili  per noi a sorpassare la nostra capacità.   Tutto va bene sin qui. Ma che diremo dei  fanciulli e degli uomini condannati ingiustamen-  te , che il Poeta mette nel Purgatorio T Non è  così facile Io spiegare, perchè colà sieno queste  due sorta dì persone, e lì commentatori taciotio  al solito su questo soggetto. Se consideriamo il  caso de' fanciulli vedremo impossibile renderne  la ragione, se non con questo sistema. Eneid. Lib. VX Tcn, 414. e «gg-  il  Contìnua anditi vocei , vagilài & ingerii  Infamumque anime fieniej in limine primo ;  Quqi dulcit vile exorlis , & ali ubere rapini  Abstulh atra dies , & funere menit acerba. Queste par che {onero le grida e le lamentazio-  ni che Procolo nel Litro X. della Repubblica di  Fiatone, dice che sentivansi ne' misteri! Bisogna solamente indagare l'origine di una si straordinaria opinione. Io credo, che questa sia un’altra institniione elei legislatore destinata alla conservazione de’ fanciulli, come 1’institurioni de’ funerali è destinata alla conservazione de’ padri- Niuna cosa poteva più impegnare i pa.  dii nella cura della vita de* loro figliuoli , <ju au-  to questa terribile dottrina. Né si dica , che  l'amore de'padrì è per se stesso bastevolmente  possente, e non ha bisogno di nuovi motivi,  che loro suggeriscano di conservare ì loro figliuoli. Si sa che l'uso orribile e contro natura di esporre ì figliuoli era tra gli antichi universalmente stabilito, ed aveva questo del tatto  svelti dal cuore i sentimenti di natura, e quel-  li ancora della morale. Bisognava a questo disordine opporre un forte riparo ed io nino persuaso che i magistrati abbiano usato questo artificio di far credere nel Purgatorio i fanciulli  jnortì in tenera età per islabilire l' instiluto e  ravvivare ì naturali sentimenti, ch'erano quasi  «tìnti . In fatti niuna cosa era più degna della  (ij Eneìi Lib. VL Ven, ^t, e Kg*.   vigilanza de' t»agistr*ti ; poiché, cerne saggia-   jneuta dice Pericle della gioventù " distruggere i fanciulli è lo stesso che togliere dall'anno  la primavera. Qui pure scandalezzas'i Mr.  Bayle nel luogo addotto di sopra La prima cosa, die* egli, die incontratasi nell'ingresso dell'Inferno era il luogo de'fancinlli elle continuaniente piangevano, e poi quello delle persone ingiustamente condannate a morte. Clic liawi di più. irragionevole e scandaloso,  s , quanto la pena di queste picciole creature ,  che non avevano commesso ancora peccato alcuno, e la pena di quelli, l'innocenza dei  quali era stata oppressa dalla calunnia ? Ab-  biamo spiegato ciò die risguarda i fanciulli,  esamineremo il. restante dell'obbiezione . Ma non  è da stupirsi che il Bayle non abbia potuto digerire questa dottrina intorno a' fanciulli, imperciocché forse il gran Platone medesimo se n'è scandaleizato. Riferendo *gli nel X. della  Repubblica la visione di Ero di Panfili* intorno  la distribuzione de' castighi e de' prernii dell'air  tra vita, quando arriva a parlare de'Ia condir  zione de' fanciulli j s'esprime in questa maniera  ben degna da osservarsi : " Ma riguardo a quel?  ,, li, cha rouojono in tenera età, Ero diceva  cose che non meritavano d'essere ricordale. Il racconto di quanto tiro vide nel]' altro mon-  do è un compendio di quanto gli Egiziani insegnano in questo proposito, a non dui»'»  punto che la dottrina de' fanciulli nel Purgatorio fosse ciò che non meritasse essere ricordato .  Piatone se ne offese, perchè non riflettè sulla   •ligio*, sull'uso «ti questa dottrina, come lo  abbiamo «piegato. Bisogna cercare un'altra soluzioni; per quelli  clic ingiustamente erano condannati, a questa k  la Maggior difficolta dall'Eneide.-   lini juxia falso damnati crimine morti i .  JW viro bit line soni d*t* , irne judiee icdts :  Quciitor Mimi uraam tnmet : Me sihntum  'Concilittmque -uoeat , vitaique & elimina discìt. Sembra queata essa una gran confusione ed una  grande ingiustizia. Quelli che sono ingiustamen-  te condannati non solo trovatisi in un luogo di  pene , ma dopo essere tutti rappreientati «otto  la medesima idea sono poscia distinti in due  classi, 1' una da' colpevoli e l'altra d'innocen-  ti. Per inviluppare questa difficoltà bisogna ri-  cordarsi la vecchia storia riportata da Platone  nel Gorgia. Al tempo di Saturno aravi una legge intorno agli nomini, e sempre osservata dagli Dei, che quando un uomo fosse vissiuto secondo le regole della giustizia e della  ,, pietà, era dopo morte trasportato nei!' isola  de' Beati, dove godeva di tutte le felicità  ,, senza una di que' mali, che tormentano gli  „ uomini : ma quegli eh' era ingiusto ed empio  era gettato in un lago di pene, prigione dcl-  ,, la divina giustizia chiamato il Tartaro. Ora  „ al tempo di Saturno e sul principio del regno di Giove, i giudici , cui era commesso  (»J Eneid. Lib. VI. veri. 43I. < ttgg. ,, 1' eseguir questa légge , erano semplice mente  „ uomini , che giudicavano i vivi e stabilìvan»  „ a ciascuno il luogo e il giorno , in cui do-  ,, ve vano morire. Quindi nascevano molti giu-  tt dìcii ingrusti e mal fondati: perciò Plutone,  „ e quei ch'erano alla custodia delle Isole Bea-   te andarono a trovar Giove, e gli lappresen-  „ taro no che gli uomini discendevano ali' Inlev-  „ no mal giudicati, non meno quando venivano assolti, che condannali. Allora il padre  M degli Dei rispose : io liuiedierò a questo dìsordine. I falsi giurflciì nascono in parte dal corpo, onde sono involti i giudicati, perchè   ti giudicano ancor viventi. Malti di essi sot-   to una bella apparenza nascondono un cuora  „ corrotto, la lor nascita, le lor ricchezze in-  „ gannano , e quando vengono per essere giudi-   cali, trovano facilmente i falsi testimoni!   della loro vita e de' loro costumi . Questo è   ciò, che rovescia la giustizia, ed accieca i  „ giudici. Un' altra cagione di questo disordine   si è che i giudici medesimi sono imbarazzati  ,, da questa massa corporea. L' intelletto na-  „ scondesi sotto il manto degli occhi e della  I, orecchie , e sotto l'iutpenetrabil velo della   carne: ostacoli tutti , che impediscono ai giu-   dici di giudicar rettamente. In primo luogo  ,, adunque io farò , che i giudici non sappiano  H preventivamente il giorno della morte, e or-   dinerò a Prometeo di loro togliere questa prescienza. In secondo luogo poi farò sì, che  t , quelli, i quali verranno ad essere giudicati,  „ flieno spogliali di tutto ciò che li cuopre, e t , in avvenire saranno giudicati Bell' altro moa-  do. fcl cnuie saranno eiii totalmente spogliati è ben conveniente che tali sieno i loto gin»  „ dici , perchè all' arrivo di ogni novello abi-  „ tante, che viene libero di tutto ciò die circondollo sulla terra , e lascia addietro tutti 1  suoi ornamenti, possa l'anima vedere ed ei«  sere cosi in istato di pronunciare nn giusto  „ giudicio . Quindi comecché io non aveva pre-r  t , veduto tutte queste cose, prima ohe voi ve  ne accorgeste , ho pensato di metter per gìu-  ,, dici i miei proprii figliuoli . Due di questi  „ Minoase e Radamanto sono Asiatici , Europeo  „ è il terzo Baco. Quando morranno avranno i  loro tribunali nell'Inferno, appunto nel mezzo del aito, che si divide in due strade,  1’una delle quali conduce all' Isole Beate, l'altra al Tartaro. Radamento giudichi gli  ,, Asiatici. ttaco gli Europei, ma a Minosse io  „ db una suprema autorità ; egli sarà giudice  di appellazione, quando gl’altri saranno dui»-  Luisi in qualche caso oscuro e difficile, affinehè con tutta equità possa a ciascuno assegnar-  „ 9i il luogo dovuto „ . La materia comincia  cos'i a dilucidarsi. Egli e chiaro, che parlando  il Poeta dei falsamente condannati, allude *  quest' antica favola . Quindi per le parole falsa  damnati crimine mortis Virgilio non intende,  come potrebbe immaginarsi, innocente! addirli  ob infetta* calumnias , ma homines indigne & perperam adjudicali, assolti o condannati che  fieno . imperciocché pronunciando i giudici più  sovente sentenza di condanna, ebe dì assoluzione mentii per figura la maggior parte pri tutto . Forse Virgilio aveva scritto: Hos juxta fal-  so damnati tempore mortis; onde segue:   tftc viro. h<e line sarte data, sìne /«die* stdes (i),  Vitaiqye & crimine discit. Accordandosi con questa spiegazione { la qual  suppone una mal data sentenza sia di assoluzione o di condanna ) la conferma nel tempo stesi  so, e tutto ciò è ben legato con una serie con-  tinuata. Resta una sola difficoltà, e,' per dire  il vero , ella nasce piuttosto ila una negligenza  di Virgilio, die di chi lo legge. Troviamo que-  ste persone mal giudicate messe di g.à con altri  colpevoli in un luogo destinato per essi , vale a  dire nel Purgatorio. Ma per inavvertenza del  Poeta sono mal collocati ; poiché vedesi dalla favola , che dovrebbero essere messi sul confine  delle tre divisioni , dove la grande strada si par-  te in duo l'una che conduce al Tartaro e l'al-  tra agli Elisir, che Virgilio descrive cosi:   Bit focus est , parti; ubi se via findir in améas ,  Desterà qua D 'ilis magni sub mania tendi! :  lìec iter Elysium nobis : et ini* mahrum  Exercet panar, & ad ìmpia Tartara mietil Ricercando il principio e l'origine della favola  io penso così. C insegna Diodoro di Sicilia , che  usavano gli Egizii di stabilire alcuni giudici al-  la sepoltura di tutti i particolari , per esanima- to Eneid. Lib-VI. ras. 4 ;i. (.) j. c . T er<-4!i-  (j) t c. i4 a. t «g E . re la loro vita e condotta , -onde sì assolvessero  o co ad annaserò secóndo le favorevoli o toni ra-  ri u testimoniarne ctie. avessero. Questi giudici  erano Sacerdoti , e pretendevano che le loro sentente fossero ratificate nel soggiorno delle om-  bre. La parzialità e i regali forse ottennero col  tempo ingiuste sentenze, e il favore particolare  vinse la giustizia. Di che potendosi scandalezza-  re il popolo, fu creduto a proposito dare ad in-  tendere ch'era riserbata al Tribunale dell'altro  mondo la sentenza, che doveva decidere della  sorte di ciascuno, se io non m'inganno; quin-  di ebbe origine la favola generale . Havvi però  una circostanza , di cui norr si pub rendere pie-  namente ragione , cioè " de' giudici che in que-  ,, sto mondo pronuncian sentenza, predicono il  „ giorno della morte del colpevole, dell* ordine  ,1 dato a Prometeo di abolire la loro giurisdizio- ,> ne, e privarli di questa prescienza. Per la  che intendere, supponiamo ciò eh' è probabile,  che il postume riferito da Diodoro fosse nato  da un altro mo più antico, cioè, che i Sacer-  doti giudicavano i colpevoli in vita per delitti,  di cui il tribunale civile non poteva rilevare la  verità. Se cos'i è , ne nasceri che per la predi-  zione della morte del colpevole a' intenderà la  pena della morte, a cui veniva condannato; e  Prometeo che toglie loro il dono della prescien-  za vorrà dire, che il magistrato civile abolì la  loro giurisdizione. Questo nome di Prometeo  ben conviene al magistrato, il quale forma lo  spirito ed i costumi del popclo colie arti neces-  sarie alla pubblica felicità . Ecco secondo il mio     48   parete, l'orìgine della favola di Platone ; e pa-  re infanti ch'egli intendesse cosi , poiché facen-  dola/accontare da Socrate , gli (a dire : " Ascòl-  „ late un famoso racconto , clic voi forse tratterrete da favola; ma per me la chiamo una  il vera storia. Io spero di avere con questa spiegazione sod-  disfatto , la quale era necessaria per le osserva-  lioni fatte in tal proposito da Mr. Addisson  Voi. II. in un discorso espressamente composto  per ispiogare la discesa di Enea all'Inferno.  " Veggonsi , dice questo celebre autore, i caratterì di tre sorta di persone situate a'eon- ni: ni saprei dire la cagione, perchè cosi particolarmente collocate in questo aito: se  „ non fosse, perchè non pare ch'alcun di loro  „ dovesse essere collocato tra morti, non aven-  „ do ancora compiuto il corso degli anni asse-  D 8 nat 'S'> sulla terra . I primi sona le anime  ,i de' fanciulli levati dal mondo con una morte  „ immatura : i secondi sono gli uccisi ingiusta-  „ mente con una iniqua sentenza: in teno Ino-  „ go quei, che lassi dì vìvere, sì sono da se  „ medesimi uccisi ma  Trovami poscia due episodii 1' nn sopra Didone, e l'altro sopra Deifobo, ad imitazione di  Omero, ne' quali non evvi alcuna cosa al mio  proposito , se non fosse l' orribile descrizione di  Deifobo, il cui fantasma rappresentato mutilato  ci dimostra, secondo la filosofia di Platone,, che  i morti non solo conservano tutte le passioni  dell' anima , ma i segni ancora e i difetti del  corpo .Passata eh' ebbe Enea la prima divisione, ar»  riva si confini del Tartaro , dove gli viene di-  spiegato tutto ciò che riguarda le colpe e le  pene degli abitanti in questi luoghi terrìbili.  La sua conduttrice lo instruiice di tutto, e per  fargli intendere l'ufficio del Jerofanta» onta in-  terprete dei misteri! , co»l gli dice i   «•' Dm intlytt Ttucrmn t .   Nulli fai. casta tceltratum iati litri .limta i  Std mi , tura luci! Uicati prarfteit Avermi »  Ipsa Dtum panai datai t , perqm omnia duxìt (i) Osservisi che ENEA vien condotto per le regioni  del Purgatorio, e dei Campi filili! , ma che il  Tartaro gli ri fa vedere da lungi, e ne dice la  cagione la sua condottrice t   Ti.m dimum borritone ,tridtntei eardine iter*   Panduntstr porte . Cernii custodia qualij   V estibulo stdeat? fatiti que Unum* itrvtt? (i)   Negli spettacoli e nelle rappresentazioni de' mi-  sterii non poteva essere difesamente . I colpevoli condannati alle pene eterne iono primiera-  mente coloro , che per ischi vare il castigo de' ma-  gistrati avevano peccato aegretamente:   Gnotsius htc Rhadamantui baiti durissima tigna,  Cairigatqui, aud'stqui dolci, tuéigitqui fami,  Qua; quii «pud Superai farlo Ulatui inani.  Distaili in itram commina piacula mortem. Endd. lib. VI. re» jfc. c"il^ {,) 1. £ . T(n . K .   (3; L e. ma. j«. tt.   d  Appunto per quelle colpe e«e»«o i legiilatori   d'inculcare il dogma delle pene dell'altra vita;  In scendo luogo fili Atei , che prendevano a  icheruo la Religione e gli Dei :   Bit 8W **ti9**f urr*Titdnià fui" (i).  Il die era conforme alle leggi di Caronda, che  al riferir di St-bro strili. XLU. dice; Il disprez-  zo degli Dei ita una, delle colpe pili grandi.  Il Pu- ta pailicolarnirnlv insiste, su quella specie  d'empirti, perei gli uomini pretendevo.» gli  onori dovuti agli Dei t  V 'idi & erudita dansim Salmaaia panar ,  fìum Ji«mma,-Jbvii, & -tmitut imitttur Oìymfi (l) Sema dubbiò egli voleva censurare l'Apoteosi,  che già incorni oci ava ad introdurli in Roma ;  ed io credo che nella Ode III. del Libro!., del-  la quale il «oggetto «.Virgilio, abbia voluto  Orario rimproverare questa MB* a' mai ..citta-  dini: . Calum ipsxm pitimus stùtiitìa Wtfw  Tir nostrum paiimur stilili   Iraconda Jbvtm ponete fulmina (j) -   In quarto luogo" i traditori, e -gli adulteri, che  duo perturbatori dell* salute pubblica e pri-  vata i   Quiqut ab kMteriltm erti, quiqut arma secati  Impia ; nec viriti àomm-runi fallire Uixsr. s ,  M tntid. lìb vi- mi. s ao. u) L c wn. jij. j«-   (riHorit.ivivttnl.ee. lucimi panarti euptclant (i) Vendidit hic aura patri ani , daminumquC pitentem   ImpOfuit, fixit legai prstio a'tque rtfixir,   Hic thtlamum invaili.,., velitojqw hymenxos.(& .  È degna di osserva/ione non dirsi solamente gli  adulteri, ma ancora gli uccisi per cagion di.  adulterio; per far intondere che dinanzi, al tri-  bunale della giustìzia divina -non bastano a punir  questa colpa i castighi umani anidra i jiiù -severi.   La ijMott*-ed uitira»-«p»cie tn-cqlpewiiii sano  Vi intrusi ne' misteri! , e i violatori di e ni ,  rappresentati tutti e due sotto il carattere di  Teseo :1  s Sedet <eftrnUmqùl sed&iir  \ ' "  Infelix Thtsexi, PblttyajqHe rniterrimus orma   ' Mmonet & magna itstsiur voce per umbra: ;  Discile jitiiiiiam moniti, & non lemiere D/oe'j (;)..   Secondo la favola Teseo e Piritoo disegnarono  di rapire Proserpina dall' Inferno , ma colti sul  latto, Piritoo fu gettato a Cerbero, « T«eo  incatenato, finche da Ercole fu liberato. Con  che ci s» diedi; ad intendere , che clandestina-  mente si , erano, instrutli dei misteri i , e puniti .  A questo proposito mi sovviene una Storia rac-  contata da Livio nel Libro X.X.XI, Gli Ateniesi impegnarono in una guerra, contra Filippo  per un motivo dì poca importanza , in tempo ,  in ,cui altro non restava loro dell' antico splen-  dore, che la. fierezza . .JSV giorni dell' iuiziazio.   (0 tfc'd. Lib. VI.' tu. <sij. ftfe M L o. ttiMM. *«• *»!•  (j» I. e. * 7 . e »fg.   d i     „ da, glor.ni MT-i*«W. >«>•   L ,„.«:,., . ™» .•p<«™ k Si ?™"*   culto segreta , entrarono con 1. ™rb. nel leu,-  2 di ferm. « —ita»—"•>"•   «uri .1 Presidente de' miste,,,, e benché tale  chiaro che innocentemente , e per fello era»,  entrati nel tempio, furono '•"> m °""' ™" =  rei di un enorme delitto .   Forse per Fregi» intendono i popoli deil. Beo-.  a ì, dì cui riferisce Paosania, 1 queir perrron  tntt'i dal fulmine, dal terremoto e dalla peate.  Quindi generalmente Fregia »o» dire •£ e.pr.  3 i „crMe S M. L'officio dato qui • Te.» i.  ..orlare alla pietà, a nino megli», «M  onmeni.a nello spettacolo, de' mr.ter,,, rapp.e-  ienl.ndo egli on. persona, che fjli««« P™'«  tìii. Co.1 l'idea noitr. intorno la drsces» d’ENEA all'Inferno toglie un» difficolti non m»,  .piegai» da' Critici. Non et» .(* no officio »~  «1, e r.r«r di propello gridar conimnamen .  air orecchio de' coodaun.ti, che Imparasse™ la  pietà e la ri.ercnra »er,o gli Dei! Qoantonqu.  Lesta sentenza insegni una importanti,....» re.  A.', era peri inolile predicarla a peranno , eh.  più n»n potevano sperare il perdono. Scarrone,  che ha impiegato il suo poco «lento per me*-  fere in ridicolo il pii util'Po. ma , che ma, st»  .fato composto, non ha mancato di far. guest»  flessa obbietione :  Li itnlmxn i eviene e btlla ,   Ma all' Infima non Val *iU Infitti , secondo l’idea comune della discesa d’ENEA all'Inferno, VIRGILIO fa rappresentare a  Teseo un personaggio fuori di proposito. Ma  questo continuo avvertimento diviene il più ra-  gionevole ed il più utile, quando suppongasi  (come è di fatto) die VIRGILIO faccia nna rap-  presentazione di cià die facevasi e dicevasi nel celebrare gli spettacoli de' ìnisterii, poiché in  questo caso serviva d' avvertimento ad una mol-  titudine di spettatori viventi Aristide negli Bicaimi dice, che non mai cantavanii parole più  proprie a spaventare , qnanto in questi misterii^  perchè le voci e gli spettacoli insieme uniti,  dovevano fare una più profonda impressione sul-  lo spirito degli iniziati". Ma da un passo ili Pin-  daro io conchiudo, elle ne' spettacoli dei miste*  rii (donde gli uomini han prese tutte le idee  delle regioni Infernali ) nsavasì , che ogni col-  pevole rappresentato nel ano attuale castigo fa-'  cesse agli assistenti una esortazione contro la  colpa da lui commessa; " Volgendosi , son parole di Pindaro, a. Pyth., volgendosi conti-  n nuamente sulla sua rapida-ruota , grida a' mor-  ii 'ali ) che sempre situo disposti s confessare   la loro gratitudine verso a' benefattori per le  », grazie da loro ricevute „ . La parola mortali  fa chiaramente «edere, che questo discorso fa*  «evali agli uomini di questo mondo.   II Poeta cosi finisce il catalogo de' dannati :   Ami amati immane ntfns ausoqne patiti (l) . «) Sncid. ta.VI. ver», fi*.   d 3 Erìit"~~ a,s,i C,, :,!',i   •t™/a e dell' appro^aiione degli Un. ma era un  traodo, che sono estn.lmmt, "SS"".   Punto il Tartaro  g™to • «o» 1 "" "S" l '"  tìl, ENEA si purifica: - ... 0,, r J«« "*'». IW '««"'   Entra dopo nel soggiorno de' Beati:   Dtvvttrt Ivor «W» ^ fl "" r '''' T " Vff4  Fun'uw°r«'" nìmotvw, irdtiqac itti al :  Lvgì°* bic campo, etitr, O '«•»'»' "  T U ,purta: lOÌemqM luam , s«n Wrr-r nonno" (a) .   Cosi precisamente Temistlo, Orolion. jnPniranj  ocsc.iv. P Iniriato nel momento the i. apre »  ecena r " Essendosi purificato , scuopresi ali mi-  „ ilato una legione tutta illuminala e rtsplen-  „ dente di una ohiareaaa divina. Son dissipate  „ in un tempo le nuvole e le false tenebre , e  „ l'anima trovasi, per cosi dire, dalla piUter-  „ libile oscuriti nel piii chiaro e sereno g.or-  „ no „ . Questo passaggio dal Tartaro agli Elia*  fa dire ad Aristide negli Eleusini , die da one-  ste ceremonie nasce nel tempo stesso ed onoro  e piacer. , che sorprende . Qui Virgilio abban-   l.jlasld. Lib.V».,.n. «i>. ijsì «>' "" '1*' « '' IS ' donando Omero, eseguendo la dilettevole de-  crÌzioDe« die nella rappresentazione rie' niisterìi  faceva»! ne'Cauìpi Elisii , schivi» un gran 'difet-  to, nel -quale era caduto il' ano mae>tro , che  Ila fatta una pittura sì poco gradevole de' to-  schi fortunati, che non faceva alcuna voglia di  vivere in quel luogo : onde ha rovinato il dise-  gno de' legislatori , che mlrvano i popoli per-  suaiì dell' tsistcniS di quel felice soggiorno.  Egli introduce il suo Eroe e favorito, e gli fa  aire ad Ulisse, eh' ei vorrebbe essere piuttosto  un semplice artigiano sulla terra, di quello che  comandare nella regione de' morti ; e tutti i suoi  Eroi sono egualmente rappresentati in uno stata  infelice. Oltre di che per togliere agli uomini  tutti gli stimoli delle grandi e belle azioni , rap-  presenta la Tama e la gloria, come cose imperi,  tinenti e ridicole r quando erano i più ponenti  motivi della virtù nel mondo Pagano, e di cui  non mai bisogna privare gli nomini interamen-  te i laddove Virgilio, che nel tuo Poema non '  avea altro 'fine, che procurare il bene della -so-  cietà, rappresenta l'amore della fama e della  gloria, come tini possente paciose ancora Dell'  altro mondo . La semplice promessa fatta dalla  Sibilla a Palinuro di eternare il suo nome , con-  sola la di lui ombra, hanclrt ti tm>HM»!W (?'  infelici: Mtirnumqm lecui Pali nari nomtn èaèiéit .  ììis diciis cura tuoi», puhnsque'parump»r Corde dolor iriiti : gauJtt cognomini urrà (l) 0) Enrid. llfc. VI, va*. H» !*»• ì*)-   d 4  Queste dispiacevc-li descrizioni dell'altro auindo,  e le porie licenziose degli Dei, It une e le al-  tre tanto dannose alla società, persuasero Plato-  ne a bandire dalla Repubblica Omero.   Io queste beate regioni il Poeta, assegna, il  primo luogo a' legislatori e a quei , che trassero  gH uomini dallo stato di semplice natura , « gli  ridussero a vivere io società:   Magnanimi Hercu, natii mtliorièus annìs (i).   Capo di questi è Orfeo, il più celebre legislatori d’Europa, ma più conosciuto in qualità  di Poeta . Imperciocché essendo scritte in versi  le prime leggi, onde fossero più facili a rite-  nersi a memorie, la favola ci ha .supposto Or-  .feo colla forza della sua armonìa raddolcite i  costumi selvaggi di Tracia: ;   Tbrticius lunga cum utìtr Sacndos   Oil'/^uirur nxmtrii septem discrimina veeitm (i) .    Egli fu il primo, che dall'Egitto portò i mi-  steri in quella parte d' Europa. Il secondo luo-  ^o è assegnato a' buoni cittadini e a quei, che  •i sono sacrificati per la patria:   Hit nfanus ub patriam pugnando vulnera passi (3).   .Trovami in terzo luogo i sacerdoti pieni di vir-  tù e dì pietà;  Quiqut Sucrrdmis casti, dum vita mantbat ;  Quiaut pìi vaifs , O" fiaia digna lucuti (4>- (1) Eneid. Lib. VL ras. (i) 1 e. veri. f*s- «4<-   (j) L c. ra. Kb. (4, J. C vers. c fri. (tu   *?   Essendo necessario il bene della società, ohe   coloro i quali presiedevano alla Religione vivi-s-  iero santamente , e non insegnassero' degli Dei ,  le non cose convenienti alta loro natura. L'ul-  timo luogo è assegnato agli inventori delle arti  liberali e. meccaniche:   Inventai aut qui viram excoluere per ariti f  Quiqut mi mimarti alio! fecere merendo (l).   In tntto questo Virgilio ha esattamente spiegata  quanto iniegnavasi nella celebrazione de' miste*  rìi, ne' quali continuamente i oca! cavasi , clic la  VÌrtil sola pub rendere gli uomini felici : le ce-  remonie , le lustrazioni, i sacrifìci] niente vale*  yano senza della virtù . Passa trinami Enea uà  gran numero di persone dalle due parti di  Stige :   Malrei atque viri defun&aque carperà vita  Magnsnimum herount, patri inuptieqai parila' (l).  Sane circum innumere gemei papali qa; valabant (j ) Aristide c'insegna, che negli spettacoli de' mi-  aterii apparivano agli iniziati truppe in numera,  bili d'uomini e di donne.   Per convincere interamente . il lettore della  verità drlla nostra interpretazione, VIRGILIO nota  una particolarità , malgrado questa conformità  perfetta tra Io spettacolo da lui rappresentato e  qurllo dV mistcrii . Questo è il famoso segreto  àv misteriì , il quale era il domata della unità (i) E«id. LiU VI. vtrt. Étfj. («4. tu L e. ver*. jo*.  (jtJ.cvert.7c5.  (**>  fli Dio , particolarità , clie se avesse tralasciala  Virgili» bisognerebbe confessare, che quantum  quo avesse per fine di rappresentare V iniziazio-  ne a' misterri , non 1' avesse rappresentata perfet-  tamente- Ma egli era troppo eccellente pittore  per non lasciare qualche equivoco nel suo qua-  dro. Quindi copchiucie l'iniziazione del -suo Eroe  con fida'n Jogli , come solevasi , i secreti e il dogma  dell'unità. Senza di questo l'iniziato non era  arrivato ancora al grado più alto di perfezione,  -e non potevasi chiamarlo già Tf.iìhoths nel si-  gnificato tutto esteso di questa parola. Quindi  -il Poeta- introduce Museo', ch'era stato Jerofan-  t» in Atene, e che qui conduce Enea verso il  luogo, -dove apparitagli l'ombra di sno Padre,  * gii insegna' la' secreta dottrina sublime della .  perfelione con queste .sublimi espressioni: Principiti cmlmn ac tèrra! eamposque liquentts, Lucintemque glohiim Lunr Titnnìaqtte astra' 'Spirilui rteMrr ai'tt ; TÒtumqitr infitta p'rV àrtui 'Mtnt agitai materni & magno s: forfore miictti  Txtle bominum ptcudùmqite gtitur vititqut velatlnn ,  Et qu/e marmoreo feri mostra sub aquari pontus CO - Segue Anchise «piegando )a natura e l'uso del  Purgatorio, il elle non era» fatto -nel passare  di Knea per quella regione. Viene poi alla dot-  Irina della Metempsicosi o trasmigrazione: do^  trina che insegnavasi ne'niistem per gimlificare  gli. attributi morali della divinità. Quest' OSS* 1   Uf Eatid. Ub.VI. vtts.,714. e tegg. I J N:l'"J il': L.l  »9  (o sv^gwwce al Poeta l'episodio il più belio ci)*  immaginarsi potesse, facendogli passare 'dìnan-  , come in rassegna la sua posterità , e' cosi fi-  Bisce lo spettacolo \-' '('   I» questo viaggio che fa' l'Eroe per le tré  regioni de' morti, abbiamo dimostrato di uianò '  in mano con l'-atrtorift- di' qnalelfd 'autore' la  conformità de' suoi avvenimenti a quelli' degli  iniziati. Ora tinnendo in.urr putito' solò di vi-  sta le cose' qua * là disperse, diverrà cosi lu-  minosa U nostra spiegazione , elle non potrà pifi  dubitarsene; perciò rapporterò un passo consere  vatoci dallo Stobeo nel sermone CXIX. , il qua-  le contiene una descrizione degli spettacoli de'  misterii, che 'Si accorda affano cogli avvenimen-  ti di Enca> L'anima prova' nella morte' le pas-  sioni medesime, «he sente nell' iniziazione a' ini-  iterii; ed osservisi che le parole corrispondono  alle cose ; Poiché rrttu;^ significa morire , e  essere iniziato.- Nella prima scena altro  non vi è, «he errori, incertezze, viaggi fatico-  si e penosi, e spettacoli fra le tenebre folte  nella notte. Arrivati a' confini della morte, e  della iniziazione tutto appariva sotto un terribi-  le aspetto ; " tutto * Órrortf , ' timore , ' tremore 'e  spavento . Ma ' passati' questi' spaventi sopravvie-  ne una luce miracolosa e divina: vaglie piana-  re e prati smaltati di fiori sì presentano loro da  ogni parte: inni e cori di musica dilettano le  orecchie loro: sentono le stìblimi dottrine della  sacra scienza, ed hanno visioni sante e veneran-  de .. Cosi, veri ,. perfetti , iniziati, dimeni*"»  ione- più ristretti; ma coronati e trionfanti pai- «o   reggia? per le regioni de'Beati, MmttHli con  uomini canti e virtuosi , ed a loro talento ede-   Finito il viaggio torna ENEA con la condotw  trice rielle regioni superne per la porta d' avo-  rio . C* insegna esserci due porte , I 1 una di cor-  no , per cui escono le vere visioni , V altra di  avorio , per cui escono le false :  Sunigimine tornili pan* : quorum altèri fenar ite. (i)  E termina t   Froiequiiur ditti s (i) .   A questo passo freddamente osserva Servio , stm-  plice grammatico, voler significare il Poeta, che  il tutto da lui detto «falso, e nenia fondamen-  to: Vu.lt autem intelligi, falsa <«c omnia qua  dixìt. Questa pure è la spiegaiione di tatti i  Critici. Il P. U Rue, che per altro è uno de'  valenti, dice quasi lo stesso; C.um igiturFirgi-  lius&nearn eburnea porta emiitit, indicai pro-  feSoj quidquid a se de ilio inferorum adita.  diSum est, in fabulis esse numerandum . PER SIGNIFICARE LA QUALE OPINIONE SI DICE CHE VIRGILIO ERA EPICUREO, e che nelle sue Georgiche  tratta da favola tutto ciò , che dicesi Jdl' Inferno !   Felix, qui potui, rerum eognueert c«u !!as , \ Atqut moi UI Bm „ fI & InnorìSift fatum   Sabfidi ptdièut, urephumqu! Mehcrenth nari (;). (0 E« c id. tib. Vi. veri. B,j. {1) I. e. veri. tft.   ti) Graie. lib.II. virilo, 491,49», Se li* vuol dar fede a coloro , avrà dunque il  divino Virgilio terminata la più Leila delle sue  opere in una maniera ridicola. Egli ha scritto  Don per dilettare l'orecchio, ed i fanciulli nel-  le lunghe iceie dell'Inferno con racconti simili  alle favole Milrsiaue ; ma per ì ostruire degli no-  cini e de' cittadini , c per insegnar loro r do-  veri della umanità c delta società. Dunque do-  veva essere il fine di questo VI. litro, in pri-  jno luogo d' insegnare la dotlrina di una vita  avvenire , utile in questo mondo ; e ciò ha fat-  to il Poeta, rappresentando con qnal regolato-  no distribuiti i premi! e le pene : io secondo  luogo d'impegnare gli Eroi in imprese degna  di loro. Ma le crediamo a questi Critici, dopo'  d' aver impiegate tutte le forze del sno spirito'  in questo libro per giungere a questo fine , arrivato alla conclusione, con un sol tratto dì  penna distrugge tutto, come *e avesse detto: Ascoltate, miei cittadini , io ho procurato d’insinuarvi la virtù, dì allontanarvi dal vizio per rendere felice tutta intera la società, e procurare il bene di ognuno in particolare . li par imprimale nel vnslro spirito queste  ,j verità , che voleva insegnarvi , vi ho proposto  ,, nn grand' esemplare , vi ho descritti gli av-  „ veni menti del famoso vostro antenato , del  „ fondatore del vostro impero; e per maggior  „ vostro onore l'ho rappresentato, come un Eroe  „ perfetto, gli ho fatta eseguire 1* azione più  „ ardita, ma insieme la più divina, vale a di-  „ re lo stabilimento della polizia civile : anzi  t , per rendere il suo carattere piti rispettabile! 6=  e date alle sue ..leggi maggior- »m*irt,- gli   „ ho, fatto intraprendere, il viaggio^ di cui . c -  , f dete la relazione .- Ma. per paura,, elle toì ne  „ riportiate qualche vantaggio, ed il mio Emo  „ qualche giuria , vi, avverto * che tutto questo  lunghissima discorso di uria vita, avvenire al-  „ tio non\ è.,, che va* Ridicola e puerile finrio-  »> ? e » < d »' personaggio rappresentato dei dd-  „ sito Eroe è un, sogno vano. In somma tutto  „ c(ò che avete inteso, dovete riputarlo, come  y scherzo, che niente significa, e da cui non  v dovete cavare conseguenza jlcunj., e» Boa  , t ch'il Poeta aveva, voglia dì ridere,, e di hur-  g larsi delle vostrr; superstizioni „ . Cosi, si fa-  rebbe parlare Virgilio, seguitando Ja interpreta-  zione de' critici antichi e- moderni» La writàui  è , che non si potrebbe iciogliere .questa terribi-  le difficoltà senza, questo, nuovo aisteina , . secondo il quale aititi non intende VIRGILIO per.que-  ?* *-?!!?.* della discesa all' Inferno , the . Ja ini-  ziazione a' misterii . Ciò spiega, l' enigma , PJ 1 as-solve, il Pj^taj. Jaiperciocclià,.^tslf «M» dise-  gno di descriyer.e,. qu L ^ta. iniiiazioae., come è  credibile, avrà senza, dubbio scoperta con. qual-  che segno, fa, «qa, interuiono. secreta) ma dovu  poteva palesarla, meglio,. c l>e » thiudemle il  suo libro? Kgli f, a j uuque ^iv-pna bellissima  invenzione migliorato ciò, «li*» Omero, racconta  delle due.porte, quella di corno destinata alle visioni vere, e. quella di avorio , alie.fali. . Per  la puma dimostra Virgilio la realità di una vi-  ta avvenire; ma in questo ciò ch'egli vide non  era all' lni eino , ( „, a , nel tempio di Cerere. O.,—  sta rappresent.izionc chiamasi MÙàoe, o la favo-  la per eccellenza. Questo è secondo il staso ve-  lo ^ queste parole : Mitra canihali pnftBa nitet Eltphnnta ;  Sud Uba ad calum mìttum insomma mamffi.   ÌA* quantunque non avessero niente di reale i  sogni , che uscivano per questa porti ,So- non  dubito , di' ella ir» /atti, non vi- latte-. Questa  era la. »tasni&cai porta del tempio , onde usciva-  no gl'iniziati, quando era compita la ceremo-  uia. Questo tempio era di una numeri-- gran-*  dezia,. come lo descrive Apulejo lilr. II. Senws  duxit me protinus ad forcs adìs amplissima.  È» curiosa . la descrizione , che ne fa Vìrruvio da  antiquitate nella prefazione del lì tir. VII. Eleusince- Cereris , (a Praserpina celiata immani ma-  gnitudine.,. Dorico ordine, sine exterioribus co-  tumnii. ad laxamentum usui sacrificiorum per-  r.exit. Eum autem postea , cum Bememus Pha-  lera-u? Athenis rerum potiretyr , • Philon. mite  templum. in. fronte columms constilutis Prosty-  lum fecit- auéìo vestibolo, laxnmentum initian-  libus r . operisque Aummain adjecil autloritatem •  Eravi dunque- uno spazio assai lungo capace di  tutti questi ipettacoU* e, dì tutte le rappiesen-  tazioni. K. poiché ne. abbiamo tanto parlato, a  riferitene alcune varie particolarità c/na e là: di-  sperse, non sarà cosa imitile, prima di finire ,  darne in poche parole: una idea generale.     M Intii^Ub. Vt. Ì9S, Ijrd.     To credo adunque , che la celebrazioni' Jé' tnl-  sttrii consi.ieise principalmente io una specie  di rappresentazione drammatica della stona dì  Cerere , la quale dava occasione di esporre agli  occhi de*apettarori queste tre cose, che sopra  tulio inspgnavansi ne' murarli . I." , l'origine o  l’istituzione della società : IT. la dottrina do*  pniiiii e delle pene di un'altra vita': ' fi f.' Ir  falsiti del Politeismo, e la dottrina della unità'  di Dio. Apollodoro nel Libr. I. Cap V. della  sua Biblioteca c'insegna, che come Cerere avera stabilite leggi nella Sicilia e nell'etica, e ,  ,eCondo la tradizione , aveva incivHili gli abt-'  tanti di que'due paesi, e raddolciti i loro co-  stumi selvaggi , ciò diede luogo alla rappresen-  tazione del primo degli artìcoli' sopradetti . Bio»  doro di Sicilia dice, che nel tempo della festa  di Cerere, che durava dieci giorni in Sicilia,  rappresentavano 1' antica maniera di vìvere , pri-  ma die gli uomini avessero imparato a lemìua-  re, e a servirsi delle biade. 11 secondo articolo  nasceva dalla cara , ebe Cerere si prese di an-  dare all' Inferno a cercare sua figliuola Proser-  pina, e finalmente il tino ' dal rapimento della  fgliuola .   Queste sono le osservazioni , che io ha fatte  iti questo famoso viaggio di Enea, e (se non  m' inganno) questa mia idea non solo illustra e  toglie molte difficoltà in ogni altro sistema in-  tollerabili; ma sparge copiosa grazia sopra tutto  il Poema. Imperciocché questo famoso Episodio  Conviene perfettamente bene al «oggetto genera-  la dell' Banda, eh' è lo stabilimento di onesta-  to»  «8   lo, e di nna Religione , poiché, secondo ti co-  t'Aiv.ic degli antichi, chiunque intraprendeva un  cosi difficile disegno era obbligato nidisptnsabit-  uiente di preparatisi colla iniziazione ai mifterii . Multa eximia t dice M. Tullio, divinaque  videntur Athence tua peperisse , atque in vitaru  Jiominum attutisse t tum nihilmelius illit myste-  fili, quibus ex. agresti immanique vita exculti,  ad humanitqteni istituti. & mingali sumus ;  jnitiaque, ut appeilanlur , & vera principia vi-  fa> cognop'uns . Neque salum cum Imtitia vi-  vendi rationem occepimus , at alani cum sp$  mfiiiori moriendi (i).  £] M- X. Ci.tq. dci«gi. Ubi. II. Clf.KlV-.  -=»   JftllM qu*lt si <t> U tptigt%ìw di Dkrìl ttìiSfznwi appwni***ti d'Miittrii Sfattoti.   I Sacerdoti primari! ne'mbterìi, che chiama-  vansi Hierophanta: } per conservare la castità  i' ungevano di cicuta • Un antico interprete A  Senio, alla jatif* V. -dice: Cicuta colorem i*  notti frigorit sui vi extinguit} unde Sacerdòti»  Cereri* Eleusina liquore ejtu ùngebantur, ut  concubiti* abstiner^nt. Altri vogliono che beve»  •ero la cicuta. S. Girolamo Lìbr. V. cont. Jovin.  ba coti : Bierophantct Athenìensium cicuta sor~  bilioni castrati, & pouquam in Pontificatavi  fuerìnt eleSi, viro* esse desivere.   latitati Inter mortuos honoratioret foie ere-  debantur. Scholiattes Ariitophanii in Ranis art:  ConspeBiores mnf apud inferni initiati- Diogene» Lantius in vita Diogeni* Cenici : Jpud ìn-  fero! priori loco initiati honoratUur .   (Tantaìo all'inferita.)   Né i Sacerdoti, né gli assistenti nell'antico  Egitto palesarono giammai ciò , che «veano ve-  duto nello spettacolo: né vi é esempio, eh*  qnantunque ne] fine d e ' sacrifici, le obbiezioni  fossero portate da dieciottò femmine figlinolo  de' Sacerdoti , alcun mai siasi attutato di queito  spettacolo, Orfeo Ita espressa la riterva, ali*  quale sopra quoto punto erano obbligati dalla  ttiaoti del loogo, «aito I 1 immagine di Tantalo  in meno alle acque senza poterne bevete. ' 1  Quelli j che andarono per J' iniziazione ne'ino-  ghi sotterrane» dell'Egitto, sentirono ntl primo  ingresso vagiti di bambini. Qtlelti erano i fi.  gliuoli de' Sacerdoti , che colà vanivano partoriti ed educati. Orfeo a questa verità suppose  ttaa dottrina, che i bambini di latte defunti  /ussero collocati nel]' mgreiso dell'Infero. Ne'soUeranei luoghi dell' Egitto e.avi un luo-  go chiamato il campp delle, lagrime ìugens som-  pur. Era uno spailo largo tre giugeii , ltrng»  nove circondato da quattro strade. Ivi si casti-  gavano sopra il Sudicio di tre Sacerdoti gli er-  rori degli ufficiali di secondo ordine, con castighi proporzionati , i più umani , come per aver  mancato più volte «Haipontntlìtà de' loro ufi»  cii. Là castigavano gli uomini, facendo loro  voltare un cilindro di sasso nulla cima di oli  collina, che andava dalla parte opposta. Le donne attingevano, acqua da profondi pozzi per versarla in un canale , che scorreva per questo earr£>  po di lagrime. Quindi e facile riconoscere l'ori-  gine del sasso di Sisifo, del vaso delle Danaidi  presso Orfeo. In caso di viola zion di secreto,  erano tanto i Sacerdoti, che gl'iniziati e gli  ufficiali destinali ad essere loro aperto il petto,  strappato il cuore, e dato a divorarlo agli il Celli di rapina . Quindi Orfeo immagino la per»  di, Prometeo e. di Tizio. Ami dalla grandezza  del campo è tram ia grandezza gigantesca di  Tizio , che steso a terra occupa ls spazio di no.  « giugeri. Eravi pure' un giardino chiamato Eliso . L(  luce del iole, che si ammirava era indebolita ,  .perchè cadeva dall'altezza di dieciotto piedi.  Ciò fece nascere ad Orfeo, il pensiero di dare  all' Elifo un iole particolare ed astri particola-  ri. Nel fondo settentrionale' dell' eliso era vi il  Tartaro , in cai face vanii le rapprese stazio ci da Sacerdoti e dalle Sacerdotesse. Facevar»i' vedere  in lontananza grandissima molte persone, cha  per la distanza e per la poca luce, non potcva-  no essere distinte . In fatti gli iniziati e i con-  sultanti credevano: veramente rTedefe trasportati  nel toggiòrfao dell'altra vita J e non credevano  veramente vivi, se non quelli, che gli accom»  pago a vano .   Salendo per ima scala sontuosa all'Edificio  del Teatro, vedevano a traverso de' giardini , come in un vasto sotterraneo , un' canale diacqUe  spiritose e sulfuree accese , che parevano uri na-  rne di fiamme .   Un uomo, che torni alla Ida elsa, dice il  P. Bossù, la contesa di due altri nori'ha' in w  niente di grande; ma diventano azióni illustri,  quando è Ulisse , che ritorna in Itaca, Achille  ed Agamemnone, che contrastano. Vi sono del-  le azioni per se stesse importanti, come lo sta-  bilimento ( o la rovina di ano Stato, o di una  Religione; e tutt'è l'azione dell’ENEIDE. Egli  ha conosciuta la gran differenza tra i Poemi di  Omero e di VIRGILIO. È mirabile che da ciò non  abbia compreso di una specie differente essrre  l'Eneide dall'Odissea, e dallMliade. Una delle ragioni ancora per cui vieppiù SÌ manifesta la falliti della glosa dì Servio e Jt"  moi seguaci nell' asserire, che Virgilio [scendo  uscire dall' In Temo il im Eroe per la porla di  Avorio abbia voluto sigili (icari* mere stato simi-  le a un sogna tutto il precidente. racconto , udì  delle ragioni , dico, è che dentro il racconto VIRGILIO fa profetare Anchise di cose già succedute, ma succedute di Catto. Dunque come poteva  far passare per falso quello» oh' «0 , verissimo Quindi le sue descI  Questo sapiente Dottor Inglese Warburton  e quegli) clic ha preso a difendere altamente  nelle sue Dissertazioni , o Lettere filosofiche e  morali (tradotte in Francese, conte li osservo  nei cenni mila vita del Warburton premesti a  questa edizione, dal Sig. di Silhouette, e im-  presse in Londra nel 1742 colla traduzione de'  aggi lulla Mitica e sull'uomo, e di-IP epistole  morali entro una raccolta intitolata Melange da  Litteraiure. & de Philotophieì Pope il quale fu  acerbamente attaccato dal Sig. di Crousaz e da  molti altri scrittori, e fra questi dal Ratina , a  cui rispose addi aS Aprile 1741 il Sig. di  Kamseais, cosi pure al Sig. Montesquieu autore  delle 'lettere Fiamminghe e delle Persiane.  10 Warburton raccolse ed impresse in IX. volti-  mi tutte le varie opere del Pape, che ave va-  gliene data l'incombenza col lasciargli tatti »   Cicerone parla de' mister» Eleusini, ne' quali  pretende il Sig. di Middeleton nella sua vita ,  essersi fatto egli iniziare nel primo suo viaggio  in Atene 1' anno di Roma 67Ì, e di sua  et* XXVIII. , ne parla, dico, Tisi c. Quasi. i>3,,  e 3 ed  «pressa ni enti: ilice de Legìbus I. sopracit;  Initiaguc, ut appellatiti , (s vera principia uè-  Ite cognovimut : neque soliim cum Imiti» vivendi rationem ticcepimus , sed etiam cum spe me-  liori moriendi. Questi m uteri i si celebravano in  determinate stagioni dell'anno con inoltre solen-  ni , e con una gran pompa di macchine : il che  tirava un concorso di popolo frequentissimo da  tutti i paesi. L. Crasso giunse per sorte in Ate-  ne due giorni dopo, ch'erano stati celebrali,  ed avendo invano desiderato che si replicassero,  non si volle più fermare, e partì corrucciato da  quella città (CICERONE, DE OR. de Ora*. 5. io. ) . Ciò fa  Tevere quanto i magistrati Ateniesi fossero guar-  dinghi nel rendere que' misterii troppo familia-  ri , » tu ire non vollero permetterne la vista fuo-  ri di i. mpo ad uno de' primi Oratori e Senato-  ri di Roma. Stimati che nella decorazione fol-  lerò i appiè sentati il Cielo, l'Inferno, il Purga-  torio e tutto quello che -si riferiva allo «tato  futuro de' molti, a bella posta per inculcare sen-  iibilmente , ed esemplificare le iiotljine promul-  gate ayli iniziati : e siccome erano un argomen-  to accomodato alla poesia però cosi frequente-  mente vi alludono i poeti antichi. Cicerone in  una sua lettera ad Attico il prega a richiesto,  di Chilio poeta eccellente di quel secolo , che  trasmettagli una relazione de 1 riti Eleusini, che  probabilmente destinatasi per un Episodio , o  abbellimento a qualche opera di Chilio. '   I miiterìì della Dea Cerere , ossia le ceremo-  nie religiose, che facevausi in di lei onore,  chiamavano Eleutinia dalia città dell' Attica det- ta da alcuni Elettiti; ma da altri con più fon-  daon-nto Eleusine, oggi Leptiaa. Le ceremonio  Eleusine piano presso i Citici le feste più toJ  leoni e sacrosante , onde per eccellenza furori  dette i Misteri! senz'altro aggiunto. La città di  Eleusina era così gelosa di questo privilegio di  celebrare i misterii , che ridotta dagli Ateniesi  agli estremi, si arrese con questa sola condizio-  ne, che non le si levassero le feste Eleusine. Contuttociò le stesse feste divennero comuni a  tutta la Grecia.   Le crremonie al dir di Arnobio , e di Late  lamio , erano una imitazione, o rappresentazio-  ne di ciò, che i Mitologi c'insegnano della Dea  Cerere . Esce duravan più giorni , ne' quali si  correva con torcie accese in mano, si sacrificavano vittime a Cerere e a Giove , ai facevano  delle libazioni con due vasi, uno dei quali sì  versava air Oriente e l'altro all'Occidente. I festeggiami si portavano in pompa alta città di  Eleusi , e sulla strada di tratto in tratto si fa-  ceva alto, e ti cantavano inni, e l'immolava-  no vìttime ; e tutto questo face va lì non solo  andando da Atene ìn Eleusi , ma nel ritorno  ancora. Del resto si era obbligato ad un invio-  labil secreto, e la legge condannava a morte  chiunque aveste ardito di pubblicare i misterii ,  Anzi la slessa pana incorrevano quelli ancora ,  che avessero data retta a' violatori del segreto .  I Candiotti erano i soli, cui si potevano sco-  prire . Le feste Eleusine nominavangi pure EVi-  xpuW cioè abscondita poste sotto chiave. Onde  ebbe a dir Sofocle aell' Edipo Coloneo , che la     Nngtia  de'Saeirdoti Ettmoìpidi era serrata con  chiavi d'oro. Non ostante un %\ severo decreto  Tertulliano, Teddofeto , Aruobio , Clemente Ale*,  mandrino affermano, che nelle feste Eleusine si  mostrava una parte oicena. Ma questa impart-  itone potrebbe essere mal fondata; poiché ia  tjuesti in iste ni nulla v'era di scritto, v'era la  Ifìtì grave di torte le pene per chi violava il Je-  eretó 4 n* v'ha esempio ch'alcuno l'abbia mai  violato ,    V erano due sorta di feste Elusine le grandi  e le picciole. Il detto fin ora riguarda le gran-  di . Le picciolo' erano state instìtuìte in grazia  di ErcoW. Qoesto Eroe avendo chiesto di essere  iniziato a* mi iteri i Eleusini, e gli Ateniesi non  potendo compiacerlo , perchè la legge vietava che  't'ammettesse alcnn forastiere, ne volendo con-  -tnttociò contristarlo , initituirono altre fe*te; Elea*  line, coi poteste egli assistere . Le grandi si ce-  lebravano nel radi e di Roedromìone , che corri-  (ponile al nostro Agosto, e le picciole nel me»  /Intheucrione , che corrisponde al mese di Gen-  naio secondo Scaligero, al mese di Mano secon-  do Xilaadro . Non veniva alcuno ammesso alla partecipazio-  ni; di questi miiterii, se non per gradi. Prima  bisognava purificarsi: dipoi si era ricevuto agli  Eleusini minori] in fine li era ammesso ed ini-  ziato ai grandi, o aia maggiori . Que' eh' erano  ascrini, a' piccioli , ehiamavanii Mysti , * que'  ch'erano iniziati ai grandi, Epopti ed Efori,  TÀeh a dire Inspmori . Ed ordinariamente dovc^  *ari sostenere una prova di cinque anni per passare da* piccioli Eleo» ini 'a' grandi . Qualche  volta un anno bastava,' dopo il' quale- spaziò di  tempo si era immediatamente ammuso a quanta  Véra di più secreto in quelle religione ceremo*  aiti. Giovanni Menrsio ha composto un trattata  sugli Eleusini , nel quale prora la maggior par-  te de' fatti j che noi qui sopra abbiamo narrati La cognizione e par coti dire , la chiara con-  templazione de" miiterii Eleusini , chiamossi Au-  lópsto. In che consistesse non ai sa. Solo si  legge negli antichi scrittori , che un Sacrificato-  re detto Midranes immolava a Giove una troja,  pregna ; : e dopo avere ite ta la di lei pelle in  terra, su quella li faceva stare chi doveva es-  sere purificato . Questa ceremonìa era accompa-  gnata da preghiere , le quali un austero digiuna  doveva aver preceduto . Di poi dopo qualche  ablazione fatta coli' acque del mare, si corona?  va l'iniziando con nn cappello di fiori . Dopo  queste prove il candidato poteva aspirare alla  qualità di Itiysta , o d' Infoiato a' misteri! .   Quanto raccontano gli antichi de' mostri e  delle terribili apparizioni, ch'avevano gì* inizia*  ti ai misterii Eleusini si può provare . con quan-   -trizio, ch'è una grotta piccìola cavata nel sasso  di una isoletta del lago d'Erma nel li Contea di  Pungali nell'Irlanda. Tutti i pellegrini ch'an-  davano a visitar il Purgatorio di S. Patrizio non'  potevano entrare , se prima non vi si erano pre-  parati con lunghe vigilie e con rigorosi digiuni j  nel qnal tempo v'era chi loro empiva la testa  di terribili racconti? La prensione, i raccon-     ti, la deboteeza, le Miche operavano in guiia   nella immaginazione di qui;' malconci pellegrini ,  ch'entrati nella; picciola caverna in meno a  quelle angusìic , ove regnava, una osciiriiiini»  notxe, credevano divedere realmente lutto quel-  lo , che avevano sentito narrarli; onde usciti  tutto ipacciavan per vero e reale , sebbene non  fosse rtato tale, che nella loro riicaldata e tur-  bata nfcntUt*;   Seneca nelle questioni naturali Lìbr. Vili.  Gap. XXXI. fa menzione di qoeito proverbio;  Eleusina servai, quod ostendai revisentibus . Sì  dice contro chi vuol dire , e inoltrare tutto ciò  che fa, od ha tenia frapponi dimora, tigli è  preso di qui, che i ebbe ni nel tempio di Cererà  vi foriero molli ornamenti sacri , su' quali cade-  va r Auptosla, pure non li inoltravano ohe, *e-  paraUmcnte, ed in diversi tempi. Fine delle Osservotiorti . A. Cuti. The belief in an underworld is very old, and most peoples imagine the dead as going somewhere. Yet they each have their own elaboration of these beliefs, which can run from extremely detailed, to a rather hazy idea. The Romans belong to the latter category. They do not seem to have paid much attention to the afterlife. Thus, Virgil, when working on his “Aeneid”, had a little problem. How should he describe the underworld where Aeneas was going? To solve this problem, VIRGILIO draws on three important sources, as Norden argues in his commentary: Homer’s Nekuia, which is by far the most influential intertext, and two lost poems about descents into the underworld by Heracles and Orpheus. Norden is fascinated by the publication of the Apocalypse of Peter, but he is not the only one: this intriguing text appeared in, immediately, three edition. Moreover, it also inspires the still useful study of the underworld by Dieterich. When Norden published his commentary on Aeneid, and he continued working on it, his essay still impresses by its stupendous erudition, impressive feeling for style, [In general, see Bremmer, The Rise and Fall of the Afterlife (London). 2 For Homer’s influence, see Knauer, “Die Aeneis und Homer” (Göttingen). Norden, KleineSchriften zum klassischenAltertum (Berlin), ‘Die Petrusapokalypse und ihre antiken Vorbilder’. In his monumental commentary, Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6. A Commentary” (Berlin) mistakenly states it was 1 Enoch. For the bibliography, see the most recent edition: Kraus and T. Nicklas, “Das Petrusevangelium und die Petrusapokalypse (Berlin). Dieterich, “Nekyia” (Leipzig and Berlin). For Dieterich, see most recently H.-D. Betz, The “Mithras” Liturgy (Tübingen) Wessels, Ursprungszauber. Zur Rezeption von Hermann Useners Lehre von der religiösen Begriffsbildung (London); H. Treiber, ‘Der “Eranos” – Das Glanzstück im Heidelberger Mythenkranz?’, in W. Schluchter and F.W. Graf (eds), Asketischer Protestantismus und der ‘Geist’ des modernen Kapitalismus, Tübingen, many interesting glimpses of Dieterich’s influence in Heidelberg; Tommasi, Albrecht Dieterich’s Pulcinella: some considerations a century later, St. Class. e Or. F. Graf, ‘Mithras Liturgy and Religionsgeschichtliche Schule, MHNH Norden, P. Vergilius Maro AeneisVI (Leipzig) 5 (sources). ingenious reconstructions of lost sources and all-encompassing mastery of Roman literature. It is, arguably, the finest commentary of the golden age of German Classics.7 Norden’s reconstructions of Virgil’s sources for the underworld in Aeneid VI have largely gone unchallenged, and the next worthwhile commentary, that by Austin clearly did not feel at home in this area. Now the past century has seen a number of new papyri of literature as well as new Orphic texts, and, accordingly, a renewed interest in Orphic traditions. Moreover, our understanding of Virgil as a philosophical bricoleur or mosaicist, as Horsfall calls him, has much increased in recent decades. It may therefore pay to take a fresh look at Virgil’s underworld and try to determine to what extent these new discoveries enrich and/or correct Norden’s picture. We will especially concentrate on the Orphic, Eleusinian, and Hellenistic backgrounds of Aeneas’s descent. Yet a Roman philosopher may hardly avoid his *own* Roman tradition, and, in a few instances, we will also comment on these aspects. As Norden observes, Virgil divides his picture of the underworld into six parts, and we will follow these in our argument. For Norden, see most recently E. Mensching, Nugae zur Philologie-Geschichte, 14 vols (Berlin). Rüpke, “Römische Religion” (Marburg); B. Kytzler et al., Norden (Stuttgart); W.M. Calder III and B. Huss, “Sed serviendum officio...” The Correspondence between Wilamowitz-Moellendorff and Eduard Norden (Berlin); W.A. Schröder, Der Altertumswissenschaftler Eduard Norden. Das Schicksal eines deutschen Gelehrten Abkunft (Hildesheim); A. Baumgarten, ‘Eduard Norden and His Students: a Contribution to a Portrait. Based on Three Archival Finds’, Scripta Class. Israel; Horsfall, Virgil, “Aeneid”, with additional bibliography, although overlooking Neuhausen, ‘Aus dem wissenschaftlichen Nachlass Franz Bücheler’s (I): Eduard Nordens Briefe an Bücheler’, in Clausen (ed.), Iubilet cum Bonna Rhenus. Festschrift zum 150 jährigen Bestehen des Bonner Kreises (Berlin) (important for the early history of the commentary) and --  Rüpke, ‘Dal seminario all’esilio: Norden e Jaeger,’ Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia (Siena). See now also O. Schlunke, ‘Der Geist der lateinischen Literatursprache. Eduard Nordens verloren geglaubter Genfer Vortrag’, A&A 8 For a good survey of the status quo, seeA. Setaioli,‘Inferi’,inEVII, Austin, P. Vergili Maronis Aeneidos liber sextus (Oxford, 1977). For Austin  see, in his inimitable and hardly to be imitated manner, J. Henderson, ‘Oxford Reds’ (London) Horsfall(ed.), A Companion to the Study of Virgil (Leiden) See especiallyN. Horsfall, VIRGILIO: l’epopea in alambicco (Napoli). Norden, AeneisVI,208 (sixparts). As Horsfall,Virgil,“Aeneid”6, has used my previous articles for his commentary, I will refer Horsfall only in cases of substantial disagreements or improvements of my analysis. I freely make use of]. Before we start with the underworld proper, we have to note an important verse. At the very moment that Hecate is approaching and Aeneas will leave the Sybil’s cave to start his entry into the underworld, at this emotionally charged moment, the Sibyl calls out. “Procul, o procul este, profani.” Austin just notes: ‘a religious formula’, whereas Norden comments. “Der Bannruf der Mysterien ἑκὰς ἑκάς.” However, such a cry is not attested for the Mysteries in Greece but occurs only in Callimachus. In Eleusis it is *not* the ‘uninitiated’ but those who cannot speak proper Greek or had blood on their hands that are excluded. But Norden is on the right track. The formula alludes to the beginning of the, probably, oldest Orphic theogony which has now turned up in the Derveni papyrus (Col, ed. Kouremenos et al.), but allusions to which can already be found in Pindar, the Italic philosopher Empedocles of Girgenti -- who was heavily influenced by the Orphics -- and Plato. “I will sing to those who understand: close the doors, you uninitiated.” A further reference to the Mysteries can probably be found in Virgil’s subsequent words. “Sit mihi fas audita loqui” -- as it was forbidden to speak about the content of the Mysteries to the non-initiated.  my ‘The Roman Tour of Hell’, in T. Nicklas et al. (eds), Other Worlds and their Relation to this World (Leiden); ‘Roman Tours of Hell: in W. Ameling (ed.), Topographie des Jenseits (Stuttgart) 13–34 (somewhat revised and abbreviated as ‘De katabasis van Aeneas’ Lampas) and ‘Descents to Hell and Ascents to Heaven’, in Collins, Oxford Handbook of Apocalyptic Literature (Oxford). For the entry, see H. Cancik, Verse und Sachen (Würzbur) (‘Der Eingang in die Unterwelt. Ein religionswissenschaftlicher Versuch zu Vergil, Aeneis VI, fi). For further versions of this highly popular opening formula, see Weinreich, Ausgewählte Schriften II (Amsterdam); Ried- weg, Hellenistische Imitation eines orphischen Hieros Logos (Munich); A. Bernabé, ‘La fórmula órfica “Cerrad las puertas, profanos”. Del profano religioso al profano en la materia’, ‘Ilu  and on OF 1;  Beatrice, ‘On the Meaning of “Profane” in Antiquity. The Fathers, Firmicus Maternus and Porphyry before the Orphic “Prorrhesis” (OF 245.1 Kern)’, Ill. Class. Stud., who at p. 137 also observes the connection with Aen. 6.258. In addition to the opening formula, see also Hom. H. Dem.; Eur. Ba.; Diod. Sic.; Cat. - “orgia quae frustra cupiunt audire profane”; Philo, Somn.; Horsfall on Aen. For the secrecy of the Mysteries, see Horsfall on Aen. The ritual cry, then, is an important signal for our understanding of the text, as it suggests the theme of the Orphic Mysteries and indicates that the Sibyl acts as a kind of mystagogue for Aeneas. After a sacrifice to the chthonic powers and a prayer, Aeneas walks in the ‘loneliness of the night’ to the very beginning of the entrance of the underworld, which is described as “in faucibus Orci” -- an expression that also occurs elsewhere in Virgil and other Latin philosophers. Similar passages suggest that the Roman philosophers imagine the ‘underworld’ as a vast hollow space with a comparatively narrow opening. “Orcus” can hardly be separated from Latin “orca,” -- and we find here an ancient idea of the underworld as an enormous pitcher with a narrow opening. This opening must have been proverbial, as in Seneca’s Hercules Oetaeus. Alcmene refers to fauces only as the entry of the underworld. All kinds of ‘haunting abstractions’ (Austin), such as War, Illness and avenging Eumenides, live here. In its middle, there is a dark elm of enormous size, which houses the dreams. The elm is a kind of arbor infelix, as it does not bear fruit (Theophr. HP Norden), which partially explains why Virgilio chose this tree, a typical arboreal Einzelgän- ger, for the underworld. Another reason must have been its size, “ingens”, as the enormous size of the underworld is frequently mentioned in Roman philosophy. In the tree the empty dreams dwell. There is no equivalent for this idea, but Homer (Od.) situates the dreams at the beginning of the underworld. Virgil places here all kinds of hybrids and monsters, some of whom are also found in the Greek underworld, such as Briareos (Il.). Others, though, are just frightening figures from mythology, such as the often closely associated Harpies and Gorgons, or hybrids like the Centaurs and Scyllae. According to Norden ‘alles ist griechisch gedacht’,  For similar ‘signs’, see Horsfall,Virgilio (‘I segnali per strada’). Verg. Aen. with Horsfall ad loc.; Val. Flacc.; Apul. Met. 7.7; Gellius; Arnob.; Anth. Lat. Wagenvoort, Studies in Roman Philosophy (Leiden) 102–131 (‘Orcus’); for a possibly, similar idea in ancient Greece, see West on Hes. Th. See also ThLL. For a possible echo of the Italic philosopher Empedocles of Girgenti B121DK, see Gallavotti,‘Empedocle’, EVII. For a possible source,see Horsfall, Virgilio. Most important evidence: Macr. Sat., cf. J. André, ‘Arbor felix, arbor infelix’, in Hommages à Jean Bayet (Brussels); J. Bayet, “Croyances et rites dans la Rome antique” (Paris) Lucrezop; Verg.Aen. (ingens!); Sen.Tro. Horsfallon Aen.; Bernabéon OF717 (=P. Bonon.4).33. but that is perhaps not quite true. The presence of Geryon (“forma tricorporis umbrae”) with Persephone in an Etruscan tomb as Cerun points to at least one Etruscan-Roman tradition. From this entry, Aeneas proceeds along a road to the river that is clearly the border to the underworld. In passing, we note here a certain tension between the Roman idea of “fauces” and a conception of the underworld separated from the upperworld by a river. Virgil keeps the traditional names of the rivers as known from Homer’s underworld, such as Acheron, Cocytus, Styx, and Pyriphlegethon, but, in his usual manner, changes their mutual relationship and importance. Not surprisingly, we also find there the ferryman of the dead, Charon. Such a ferryman is a traditional feature of many underworlds, but iCharon is mentioned in the late archaic Minyas (fr. 1 Davies/Bernabé), a lost Boeotian epic. The growing monetization of Athens also affects belief in the ferryman, and the custom of burying a deceased with an obol, a small coin, for Charon becomes visible on vases, just as it is mentioned first in Aristophanes’ Frogs. Austin (ad loc.) thinks of a picture in the background of Virgil’s description, as is perhaps possible. The date of Charon’s emergence probably precludes his appear- [See Nisbet and Hubbard on Hor. C. 2.14.8; P. Brize, ‘Geryoneus’, in LIMC at no. 25. 28 A. Henrichs, ‘Zur Perhorreszierung des Wassers der Styx bei Aischylos und Vergil’, ZPE. Pelliccia, ‘Aeschylean ἀμέγαρτος and Virgilian inamabilis’, ZPE. Horsfall on Aen. Note its mention also inOF717.42. 30 L.V. Grinsell, ‘The Ferryman and His Fee: A Study in Ethnology, Archaeology, and Tradition’, Folklore; Lincoln, ‘The Ferryman of the Dead’, J. Indo-European Stud.; Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death to the End of the Classical Period (Oxford); Oakley, Picturing Death (Cambridge); J. Boardman, ‘Charon I’, in LIMC, Debiasi, ‘Orcomeno, Ascra e l’epopea regionale minore’, in E. Cingano (ed.), Tra panellenismo e tradizioni locali: generi poetici e stroriografia (Alessandria), Oakley, Picturing Death, with bibliography; add R. Schmitt, ‘Eine kleine persische Münze als Charonsgeld’, in Palaeograeca et Mycenaea Antonino Bartonĕk quinque et sexagenario oblata (Brno); Gorecki, ‘Die Münzbeigabe, eine mediterrane Grabsitte. Nur Fahrlohn für Charon?’, in M. Witteger and P. Fasold, “Des Lichtes beraubt. Totenehrung in der römischen Gräberstrasse von Mainz-Weisenau (Wiesbaden); G. Thüry, ‘Charon und die Funktionen der Münzen in römischen Gräbern der Kaiserzeit’, in O. Dubuis and S. Frey-Kupper, Fundmünzen aus Gräbern (Lausanne)] ance in the poem on Heracles’ descent, although he seems to have been present already in the poem on Orpheus’ descent. Finally, on the bank of the river, Aeneas sees a number of souls and he asks the Sibyl who they are. The Sibyl, thus, is his ‘travel guide’. Such a guide is not a fixed figure in Orphic descriptions of the underworld, but a recurring feature of later tours of hell and going back to 1 Enoch. This was already seen, and noted for Virgil, by Radermacher, who had collaborated on an edition with translation of 1 Enoch. Moreover, another formal marker in later tours of hell is that the visionary often asks: ‘Who are these?’, and is answered by the guide of the vision with ‘these are those who...’, a phenomenon that can be traced back equally to Enoch’s cosmic tour in 1 Enoch. Such demonstrative pronouns also occur in the Aeneid, as Aeneas’ questions can be seen as rhetorical variations on the question ‘who are these?’, and the Sibyl’s replies contains “haec”, “ille” and “hi”. In other words, Virgil uses this tradition to shape his narrative, and he may have used some other Hellenistic motifs as well. Leaving aside Aeneas’s encounter with different souls and with Charon, we continue our journey on the other side of the Styx. Here Aeneas; Contra Norden, Aeneis; Stuckenbruck, ‘The Book of Enoch: Its Reception in Second Temple Jewish and in Christian Tradition’, Early Christianity; Radermacher, Das Jenseits im Mythos der Hellenen (Bonn) 14–15, overlooked by M. Himmelfarb, Tours of Hell, Philadelphia, and wrongly disputed by H. Lloyd-Jones, Greek Epic, Lyric and Tragedy (Oxford) 183, cf. J. Flemming and L. Radermacher, Das Buch Henoch (Leipzig). For Radermacher, see A. Lesky, Gesammelte Schriften (Munich); Wessels, Ursprungszauber. As was first pointed out by Himmelfarb, Tours of Hell, Himmelfarb, Tours of Hell; J. Lightfoot, The Sibylline Oracles (Oxford), who also notes the passage “contains three instances each of “hic” as adverb and demonstrative pronoun - a rhetorical question answered by the Sibyl herself, and several relative clauses identifying individual sinners or groups’. Add Aeneas’s questions in the Heldenschau especially, – “quis”, “pater”, “ille” -- ), and further demonstrative pronouns. 39 Differently, Horsfallon Aen.  and the Sibyl are immediately welcomed by Cerberus who first occurs in Hesiod’s Theogony but must be a very old feature of the underworld, as a dog already guards the road to the underworld in ancient mythology. After Cerberus is drugged, Aeneas proceeds and hears the sounds of a number of souls. Babies are the first category mentioned. The expression “ab ubere raptos” suggests infanticide, which is also condemned in the Bologna papyrus, a katabasis in a papyrus from Bologna, the text of which seems to date from early imperial times and is generally accepted to be Orphic in character. This papyrus, as has often been seen, contains several close parallels to Virgil, and both must have used the same identifiably Orphic source. Now ‘blanket condemnation of abortion and infanticide reflects a moral perspective. As we have already noted moral influence, we may perhaps assume it here too, as abortion and infanticide in fact occurs almost exclusively in ‘moralistic’ tours of hell’. Indeed, the origin of the Bologna papyrus should probably be looked for in Alexandria in a milieu that underwent moral influences. We may add that the so-called Testament of Orpheus is a revision of an Orphic poem and thus clear proof of the influence of Orphism on Egyptian (Alexandrian?) moralism. Yet some of the Orphic material of Virgil’s and the papyrus’ source must be older than the Hellenistic period. M.L. West, Indo-European Poetry and Myth (Oxford). For the text, with extensive bibliography and commentary, see Bernabé, Orphicorum et Orphicis similium testimonia et fragmenta.  (OF), who notes: ‘omnia quae in papyro leguntur cum Orphica doctrina recentioris aetatis congruunt’. This has been established by N. Horsfall, ‘P. Bonon.4 and Virgil, Aen.6, yet again’, ZPE; See also Horsfall on Aen. Lightfoot, Sibylline Oracles, 513 (quotes), who compares 1 Enoch 99.5; see also Himmelfarb, Tours of Hell; D. Schwartz, ‘Did People Practice Infant Exposure and Infanticide in Antiquity?’, Studia Philonica Annual; Stuckenbruck, 1 Enoch (Berlin and New York, Shanzer, ‘Voices and Bodies: The Afterlife of the Unborn’, Numen, with a new discussion of the beginning of the Bologna papyrus, in which she argues that the papyrus mentions abortion, not infanticide. 44 A. Setaioli, ‘Nuove osservazioni sulla “descrizione dell’oltretomba” nel papiro di Bologna’, Studi Ital. Filol. Class. Riedweg, Hellenistische Imitation eines orphischen Hieros Logos and ‘Literatura órfica’, in A. Bernabé and F. Casadesus (eds), Orfeo y la tradicion órfica (Madrid); F. Jourdan, Poème judéo-hellénistique attribué à Orphée: production juive et réception chrétienne (Paris). After the babies we hear of those who were condemned innocently, suicides, famous mythological women such as Euadne, Laodamia, and, hardly surprisingly, Dido, Aeneas’ abandoned beloved. In this way Virgil follows the traditional combination of ahôroi and biaiothanatoi. The last category that Aeneas meets at the furthest point of this region between the Acheron and the Tartarus/Elysium are war heroes. When we compare these categories with Virgil’s intertext, Odysseus’ meeting with ghosts in the Odyssey, we note that, before crossing Acheron, Aeneas first meets the souls of those recently departed and those unburied, just as in Homer Odysseus first meets the unburied Elpenor. The last category enumerated in Homer are the warriors, who here too appear last. Thus, Homeric inspiration is clear, even though Virgil greatly elaborates his model, not least with material taken from Orphic katabaseis. Aeneas then reaches a fork in the road, where the right-hand way leads to Elysium, but the left one to Tartarus. The fork and the preference for the right are standard elements in eschatological myths, which suggests a traditional motif. Once again, we are led to the Orphic milieu, as the Orphic Gold Leaves regularly instruct the soul ‘go to the right’ or ‘bear to the right’ after its arrival in the underworld, thus varying Pythagorean usage for the upper world. Virgil’s description of Tartarus is mostly taken from the Odyssey. Grisé, Le suicide dans la Rome antique (Paris). These two heroines are popular in funereal poetry in Hellenistic-Roman times: SEG 52.942, 1672. For the place of Dido in Book VI and her connection with Heracles’ katabasis, see R. Nauta, ‘Dido en Aeneas in de onderwereld’, Lampas See, passim, S.I. Johnston, Restless Dead (Berkeley, Los Angeles, London, 1999); Horsfall on Aen. 6.426–547. 50 Norden, AeneisVI,238–239. 51 Pl.Grg. 524a, Phd.108a; Resp.10.614cd; Porph.fr. 382;Corn.Labeofr. 7. 52 A. Bernabé and A.I. Jiménez San Cristóbal, Instructions for the Netherworld (Leiden) 22–24 (who also connect 6.540–543 with Orphism); F. Graf and S.I. Johnston, Ritual Texts for the Afterlife: Orpheus and the Bacchic Gold Tablets (London) no. 3.2 (Thurii) = OF 487.2, 8.4 (Entella) = OF 475.4, 25.1 (Pharsalos) = OF 477.1. For the exceptions, preference for the left in the Leaves from Petelia (no. 2.1 = OF 476.1) and Rhethymnon (no. 18.2 = OF 484a.2), see the discussion by Graf and Johnston, Ritual Texts. The two roads also occur in the Bologna papyrus, cf. OF 717.77 with Setaioli, ‘Sulla descrizione’. Smith,‘The Pythagorean Letter and Virgil’s GoldenBough’, Dionysius -- but the picture is complemented by references to other descriptions of Tartarus and to contemporary Roman villas. What does our visitor see? Under a rock there are “moenia” encircled by a threefold wall. The idea of the mansion is perhaps inspired by the Homeric expression ‘house of Hades’, which must be very old as it has Hittite, Indian and Irish parallels, but in the oldest Orphic Gold Leaf, the one from Hipponion, the soul also has to travel to the ‘well-built house of Hades’. On the other hand, Hesiod’s description of the entry of Tartarus as surrounded three times by night seems to be the source of the three-fold wall. Around Tartarus there flows the river Phlegethon, which comes straight from the Odyssey, where, however, despite the name Pyriphlegethon, the fiery character is not thematized. In fact, fire only later became important in ancient underworlds. The size of the Tartarus is again stressed by the mention of an “ingens” gate that is strengthened by columns of adamant, the legendary, hardest metal of antiquity, and the use of special metal in the architecture of the Tartarus is also mentioned in the Iliad (‘iron gates and bronze threshold’) and Hesiod (‘bronze fence’). Finally, there is a tall iron tower, which according to Norden and Austin is inspired by the Pindaric ‘tower of Kronos’. However, although Kronos is traditionally locked up in Tartarus, Pindar situates his tower on one of the Isles of the Blessed. As the tower is also not associated with Kronos here, Pindar, whose influence on Virgil was not very profound, will hardly be its source. Given that the Tartarus is depicted like some kind of building with a gate, “vestibulum” and threshold, it is perhaps better to think of the towers that form part of Roman villas. The “turris aenea” in 54 Cf.A. Fo,‘Moenia’,in E VIII.557–558. 55 Il. VII.131, XI.263, XIV.457, XX. 366; Emp. B 142 DK, cf. A. Martin, ‘Empédocle, Fr. 142 D.-K. Nouveau regard sur un papyrus d’Herculaneum’, Cronache Ercolanesi 33 (2003) 43–52; M. Janda, Eleusis. Das indogermanische Erbe der Mysterien (Innsbruck, 2000) 69–71; West, Indo-European Poetry, Note also Aen.: domos Ditis. 56 Grafand Johnston, RitualTexts,no. 1.2=OF474.2. 57 For Hesiod’sinfluence on Virgil, see A. LaPenna, ‘Esiodo’, in EVII,386–388;HorsfallonAen. 7.808. 58 Lightfoot, Sibylline Oracles, 514. 59 Lexikon des frühgriechischen Epos I (Göttingen) s.v.; West on Hesiod, Th. 161; Lightfoot, Sibylline Oracles, 494f. 60 On Kronos and his Titans, see Bremmer, Greek Religion and Culture, the Bible, and the Ancient Near East (Leiden). For rather different positions, see Thomas, “Reading Virgil and His Texts” (Ann Arbor) and Horsfall on Aen. 3.570–587. 62 Norden, Aeneis VI, 274 rightly compares Aen. 2.460 (now with Horsfall ad loc.), although 3 pages later he compares Pindar; E. Wistrand, ‘Om romarnas hus’, Eranos 37 which Danae is locked up according to ORAZIO may be another exam-ple, as before Virgil she is always locked up in a bronze chamber (Nisbet and Rudd ad loc.). Traditionally, Tartarus was the deepest part of the Greek underworld, and this is also the case in Virgil. Here, according to the Sibyl, we find the famous sinners of mythology, especially those that revolted against the gods, such as the Titans, the sons of Aloeus, Salmoneus, and Tityos. However, Virgil concentrates not on the most famous cases but on some of the lesser-known ones, such as the myth of Salmoneus, the king of Elis, who pretended to be Zeus. His description is closely inspired by Hesiod, who in turn is followed by later authors, although these seem to have some additional details. Salmoneus drove around on a chariot with four horses, while brandishing a torch and rattling bronze cauldrons on dried hides, pretending to be Zeus with his thunder and lightning, and wanting to be worshipped like Zeus. However, Zeus flung him headlong into Tartarus and destroyed his whole town. Receiving nine lines, Salmoneus clearly is the focus of this catalogue, as the penalty of Tityos, an “alumnus” of Terra, is related in 6 lines, and other sinners, such as the Lapiths, Ixion, and Pirithous, are; Opera selecta (Stockholm). For anachronisms in the Aeneid, see Horsfall, Virgilio, Il. , 478; Hes. Th. 119 with West ad loc.; G. Cerri, ‘Cosmologia dell’Ade in Omero, Esiodo e Parmenide’, Parola del Passato; D.M. Johnson, ‘Hesiod’s Descriptions of Tartarus (Theogony 721–819)’, Phoenix; Except for Salmoneus, they are als opresent in ORAZIO’s s underworld: Nisbet and Ruddon Hor. Compare Soph. fr10c6 (makingnoisewithhides, cf. Apollod.1.9.7, to be read with Smith and Trzaskoma, ‘Apollodorus: Salmoneus’ Thunder-Machine’, Philologus and Griffith, ‘Salmoneus’ Thunder-Machine again’); Man. (bronze bridge); Greg. Naz. Or. 5.8; Servius and Horsfall on Aen.  (bridge). 66 In line 591, aere, which is left unexplained by Norden, hardly refers to a bronze bridge (previous note: so Austin) but to the ‘bronze cauldrons’ of Hes. fr. 30.5, 7. 67 For the myth, see Hes. fr. 15, 30; Soph. fr. 537–541a; Diod. Sic.; Hyg. Fab. 61, 250; Plut. Mor. 780f; Anth. Pal. 16.30; Eust. on Od. Hardie, Virgil’s Aeneid: cosmos and imperium (Oxford); D. Curiazi, ‘Note a Virgilio’, Musem Criticum; A. Mestuzini, ‘Salmoneo’, in EV IV, 663–666; E. Simon, ‘Salmoneus’, in LIMC; Austint ranslates ‘son’, as Homer (Od.) calls him a son of Gaia, but Tityos being a foster son is hardly ‘nach der jungen Sagenform’ (Norden), cf. Hes. fr. 78; Pherec. F 55 Fowler; Apoll. Rhod.; Apollod. 1.4.1. For alumnus meaning ‘son’, see ThLL s.v. 69 Ixion appears in the underworld as early as Ap. Rhod. 3.62, cf. Lightfoot, Sibylline Oracles, 517] mentioned only in passing. It is rather striking, then, that Virgil spends such great length on Salmoneus, but the reason for this attention remains obscure. Moreover, the latter sinners are connected with penalties, an overhanging rock and a feast that cannot be tasted, which in mythology are normally connected with Tantalus We find the same ‘dissociation’ of traditional sinners and penalties in later works. Apparently, specific punishments gradually stopped being linked to specific sinners. Finally, it is noteworthy that the furniture of the feast with its golden beds points to the luxury-loving rulers of the East rather than to contemporary Roman magnates. After these mythological exempla there follow a series of mortal sinners against the family and familia, then a brief list of their punishments, and then more sinners, mythological and historical. In the Bologna papyrus, we find a list of sinners, then the Erinyes and Harpies as agents of their punishments, and subsequently again sinners. Both Virgil and the papyrus must therefore go back here to their older source, which seems to have contained separate catalogues of nameless sinners and their punishments. But what is this source and when was it composed? Here we run into highly contested territory. Norden identifies three katabaseis as important sources for Virgil, the ones by Odysseus in the Homeric Nekuia, by Heracles, and by Orpheus. Unfortunately, Norden does not date the last two katabaseis, but thanks to subsequent findings of 70 J. Zetzel, ‘Romane Memento: Justice and Judgment in Aeneid 6’, Tr. Am. Philol. Ass. Bremmer,‘Orphic,Roman, Jewish and ChristianToursofHell’. 72 Note also Dido’s aurea sponda (Aen.); Sen. Thy. 909: purpurae atque auro incubat. Originally, golden couches were a Persian feature, cf. Hdt.; Esther 1.6; Plut. Luc. 37.5; Athenaeus 5.197a. 73 P. Salat, ‘Phlégyas et Tantale aux Enfers. À propos des vers 601–627 du sixième livre de l’Énéide’, in Études de littérature ancienne, Questions de sens (Paris, 1982) 13–29; F. Della Corte, ‘Il catalogo dei grandi dannati’, Vichiana, Opuscula IX (Genova) Powell, ‘The Peopling of the Underworld: Aeneid, in Stahl (ed.), Vergil’s Aeneid: Augustan Epic and Political Context, London; Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes influence of Heracles’ katabasis -- with Lloyd-Jones, Greek Epic, on Bacch. and F. Graf, Eleusis und die orphische Dichtung Athens in vorhellenistischer Zeit (Berlin) on Ar. Ra. 291, where Dionysus wants to attack Empusa), 309–312 (see also Norden, Kleine Schriften, Horsfall on Aen. Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes influence of Orpheus’ katabasis on lines 120 (see also Norden, Kleine Schriften, Horsfall on Aen. 6.120. papyri we can make some progress here. On the basis of a probable fragment of Pindar, Bacchylides, Aristophanes’ Frogs, and the mythological handbook of Apollodorus, Hugh Lloyd-Jones reconstructs an epic katabasis of Heracles, in which he was initiated by Eumolpus in Eleusis before starting his descent at Laconian Taenarum. Lloyd- Jones dated this poem to the middle of the sixth century, and the date is now supported by a shard in the manner of Exekias that shows Heracles amidst Eleusinian gods and heroes. The Eleusinian initiation makes Eleusinian or Athenian influence not implausible, but as Parker comments, once the (Eleusinian) cult had achieved fame, a hero could be sent to Eleusis by a non-Eleusinian poet, as to Delphi by a non-Delphian. However, as we will see in a moment, Athenian influence on the epic is certainly likely. Given the date of this epic we would still expect its main emphasis to be on the more heroic inhabitants of the underworld, rather than the nameless categories we find in Orphic poetry. And in fact, in none of our literary sources for Heracles’s descent do we find any reference to nameless humans or initiates seen by him in the underworld, but we hear of his meeting with MELEAGRO and his liberation of Theseus. Given the prominence of nameless, human sinners in this part of Virgil’s text, the main influence seems to be the katabasis of Orpheus rather than the one of Heracles. There is another argument as well to suppose here use of the katabasis of Orpheus. Norden notes that both Rhadamanthys and Tisiphone  recur in Lucian’s Cataplus in an Eleusinian context. Similarly, he observed that the question of the Sibyl to Musaeus about Anchises can be paralleled by the question of the Aristophanic Dionysos to the Eleusinian initiated where Pluto lives [The commentary of  W. Stanford on the Frogs (London) is more helpful in detecting Orphic influence in the play than that by K.J. Dover (Oxford). Lloyd-Jones, ‘Heracles at Eleusis: P. Oxy. 2622 and P.S.I. 1391’, Maia = Greek Epic; see also R. Parker, Athenian Religion (Oxford)  Boardman et al.,‘Herakles’,inLIMCIV. Parker, Athenian Religion, Graf, Eleusis, 146 n. 22, who compares Apollod., cf. 1.5.3 (see also Ov. Met.; P. Mich. Inv., re-edited by M. van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? (Leiden); Servius on Aen.), argues that the presence of the Eleusinian Askalaphos in Apollodorus also suggests a larger Eleusinian influence. This may well be true, but his earliest Eleusinian mention is Euphorion and he is absent from Virgil. Did Apollodorus perhaps add him to his account of Heracles’s katabasis from another source? Contra Graf, Eleusis, 145–146. Note also the doubts of R. Parker, Polytheism and Society at Athens (Oxford, 2005) 363 n. 159. Meleager: Bacch., with Cairns ad loc. Norden, AeneisVI, 274f. Frogs 161ff, 431ff). Norden ascribes the first case to the katabasis of Orpheus and the second one to that of Heracles. His first case seems unassailable, as the passage about Tisiphone has strong connections with that of the Bologna papyrus, as do the sounds of groans and floggings heard by Aeneas and the Sibyl (cf. OF 717.25; Luc. VH.). Musaeus, however, is mentioned first in connection with Onomacritus’ forgery of his oracles in the late sixth century and remained associated with oracles by Herodotus, Sophocles and even Aristophanes in the Frogs. His connection with Eleusis does not appear on vases before the end of the fifth century and in texts before Plato. In other words, it seems likely that both these passages ultimately derive from the katabasis of Orpheus, and that Aristophanes, like Virgil, had made use of both the katabaseis of Heracles and Orpheus. To make things even more complicated, the descent of both Heracles and Orpheus at Laconian Taenarum shows that the author himself of Orpheus’s katabasis also used the epic of Heracles’s katabasis. We have one more indication left for the place of origin of the Heracles epic. After the nameless sinners we now see more famous mythological ones. Theseus, as Virgil stresses, sedet aeternumque sedebit. The passage deserves more attention than it has received in the commentaries. In the Odyssey, Theseus and Pirithous are the last heroes seen by Odysseus in the underworld, just as in Virgil Aeneas sees Theseus last in Tartarus, even though Pirithous has been replaced by Phlegyas. Originally, Theseus and Pirithous are condemned to an eternal stay in the underworld, either fettered or grown to a rock. This is not only the picture in the Odyssey, but seemingly also in the Minyas (Paus., cf. fr. dub. 7 = Hes. fr. 280), and certainly so on Polygnotos’ painting in the Cnidian lesche (Paus.) and in Panyassis (fr. 9 Davies = fr. 14 Bernabé). This clearly is the older situation, which is still referred to in the hypothesis of Critias’ Pirithous (cf. fr. 6). The situation must have changed through the katabasis of Heracles, in which Heracles liberates Theseus but, at least in some sources, left Pirithous where he was.87 This liberation is most likely another testimony for an Athenian connection of the katabasis of Heracles, as Theseus was Athens’ na- [83 Norden, Aeneis; Hdt.7.6.3 (forgery: OF 1109 = Musaeus, fr. 68),8.96.2 (=OF69), 9.43.2 (=OF70); Soph.fr. 1116 (= OF 30); Ar. Ra. 1033 (= OF 63). 85 Pl. Prot. 316d = Musaeus fr. 52; Graf, Eleusis, 9–21; Lloyd-Jones, Greek Epic, 182–183; A. Kauf- mann-Samaras, ‘Mousaios’, in LIMC, no. 3. 86 As is also observed by Norden, Aeneis VI, 237 (on the basis of Servius on Aen. 6.392) and Kleine Schriften, 508–509 nos 77 and 79. 87 Hypothesis Critias’ Pirithous (cf. fr. 6); Philochoros FGr H 328 F 18; Diod. Sic. 4.26.1, 63.4; Hor. C.; Hyg. Fab. 79; Apollod. 2.5.12, Ep. 1.23f. ] tional hero. The connection of Heracles, Eleusis and Theseus points to the time of the Pisistratids, although we cannot be much more precise than we have already been. In any case, the stress by Virgil on Theseus’s eternal imprisonment in the underworld shows that he sometimes opts for a version different from the katabaseis he in general followed. Rather striking is the combination of the famous Theseus with the obscure Phlegyas who warns everybody to be just and not to scorn the gods. Norden unconvincingly tries to reconstruct Delphic influence here, but also, and perhaps rightly, posits Orphic origins. His oldest testimony is Pindar’s Second Pythian Ode, where Ixion warns people in the underworld. Now Strabo calls Phlegyas the brother of Ixion, whereas Servius calls him Ixion’s father. Can it be that this relationship plays a role in this wonderful confusion of sources, relationships, crimes and punishments? We will probably never know, as Virgil often selects and alters at random. After another series of nameless human sinners, among whom the sin of incest is clearly shared with the Bologna papyrus, the Sibyl urges Aeneas on and points to the mansion of the rulers of the underworld, which is built by the Cyclopes – “Cyclopum educta caminis moenia.” Norden calls the idea of an iron building ‘singulär’ but it fits other descriptions of the underworld as containing iron or bronze elements. Austin compares Callimachus, for the Cyclopes as smiths using bronze or iron, but it has escaped him that Virgil combines here two traditional activities of the Cyclopes. On the one hand, they are smiths and as such forged Zeus’s thunder, flash and lightning-bolt, a helmet of invisibility for Hades, the trident for Poseidon and a shield for Aeneas For this case, see also Horsfall,Virgilio,49. 89 D. Kuijper,‘Phlegyas admonitor’, Mnemosyne; Garbugino,‘Flegias’,in EV II, 539–540 notes his late appearance in our texts. Even though it is a different Phlegyas, one may wonder whether Statius, Thebais 6.706 et casus Phlegyae monet does not allude to his words here: admonet ... “discite iustitiam moniti...”? The passage is not discussed by R. Ganiban, Statius and Virgil (Cambridge, 2007). 91 Norden, Aeneis, compares, in addition to Pindar (see the main text), Pl. Grg. 525c, Phaedo 114a, Resp. 10.616a. 92 To be addedt o Austin. Berry, “Criminals in Virgil’s Tartarus: Contemporary Allusions in Aeneid” – CQ; Cf.Horsfall,‘P. Bonon.4andVirgil,Aen.6’. Aen. 8.447).95 Consequently, they were known as the inventors of weapons in bronze and the first to make weapons in the Euboean cave Teuchion. On the other hand, early traditions also ascribed imposing constructions to the Cyclopes, such as the walls of Mycene and Tiryns, and as builders they remained famous all through antiquity. Iron buildings thus perfectly fit the Cyclopes. In front of the threshold of the building, Aeneas sprinkles himself with fresh water and fixes the golden bough to the lintel above the entrance. Norden and Austin understand the expression “ramumque adverso in limine figit” as the laying of the bough on the threshold, but “figit” seems to fit the lintel better. One may also wonder from where Aeneas suddenly got his water. Had he carried it with him all along? Macrobius (Sat. 3.1.6) tells us that washing is necessary when performing religious rites for the heavenly gods, but that a sprinkling is enough for those of the underworld. There certainly is some truth in this observation. However, as the chthonian gods are especially important during magical rites, it is not surprising that people did not go to a public bath first. It is thus a matter of convenience rather than principle. But to properly understand its function here, we should look at the golden bough first. The Sibyl tells Aeneas to find the golden bough and to give it to Proserpina as her due tribute. The meaning of the golden bough has gradually become clearer.Whereas Norden rightly rejects the interpretation of Frazer’s Golden Bough, he clearly was still influenced by his Zeitgeist with its fascination with fertility and death and thus spends much attention on the comparison of the bough with mistletoe. Yet by pointing to the Mysteries he already came close to an important aspect of the bough.103 95 Hes. Theog.; Apollod. 1.1.2 and 2.1, 3.10.4 (which may well go back to an ancient Titanomachy); see also Pindar fr. 266. 96 Istros FGrH 334 F 71 (inventors); POxy. 10.1241, re-edited by Van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? (Teuchion). 97 Pin d. fr. 169a.7; Bacch. 11.77; Soph.; Hellanicus FGrH 4 F 87 = F 88 Fowler; Eur. HF 15, IA 1499; Eratosth. Cat. 39 (altar); Strabo; Apollod.; Paus.; Anth. Pal. 7.748; schol. on Eur. Or. 965; Et. Magnum 213.29. 98 As is argued by Wagenvoort, Pietas (Leiden) (‘TheGoldenBough’); Eitrem, Opferritus und Voropfer der Griechen und Römer (Kristiania, 1915) 126–131; Pease on Verg. Aen. 4.635. 100 For Aeneas picking the bough on a mosaic, see D. Perring, ‘“Gnosticism” in Fourth-Century Britain: The Frampton Mosaics Reconsidered’, Britannia -- Compare J.G. Frazer, Balder the Beautiful = The Golden Bough VII.2 (London) 284 n. 3 and Norden, Aeneis VI, 164 n. 1. 102 As observed by Wagenvoort,Pietas, Norden,Aeneis. Combining three recent analyses, which have all contributed to a better understanding, we may summarize our present knowledge as follows. When searching for the golden bough, Aeneas is guided by two doves, the birds of his *mother* Aphrodite. The motif of birds leading the way derives from colonisation legends, as Norden and Horsfall have noted, and the fact that there are two of them may well have been influenced by the age-old traditions of two leaders of colonising groups. The doves, as Nelis has argued, can be paralleled with the dove that led the Argonauts through the clashing rocks in Apollonius of Rhodes’ epic. Moreover, as Nelis notes, the golden bough is part of an oak tree, just like the golden fleece, both are located in a gloomy forest and both shine in the darkness. In other words, it seems a plausible idea that Virgil also had the golden fleece of the Argonautica in mind when composing the episode of the golden bough. This is not wholly surprising. The expedition of Jason and his Argonauts also was a kind of quest, in which the golden fleece and the golden bough are clearly comparable. In addition, Colchis was situated at the edge of Greek civilisation so that the journey to it might not have been a katabasis but certainly had something of a Jenseitsfahrt. Admittedly, the Argonautic epic does not contain a golden bough, but Michels points out that in the introductory poem to his Garland MELEAGRO mentions ‘the ever golden branch of divine Plato shining all round with virtue’ (Anth. Pal. = Meleager; Gow-Page, West). Virgil certainly knows Meleager, as Horsfall notes, and he also observes that the allusion to Plato prepares us for the use Virgil makes of eschatological myths in his description of the underworld, those of the Phaedo, Gorgias and Er in the Republic. In this section on the Golden Bough, I refer just by name to West, ‘The Bough and the Gate’, in S.J. Harrison, Oxford Readings in Vergil’s Aeneid (Oxford); Horsfall, Virgilio (with a detailed commentary) and D. Nelis, Vergil’s Aeneid and the Argonautica of Apollonius Rhodius (Leeds). The first two seem to have escaped Turcan, ‘Le laurier d’Apollon (en marge de Porphyre)’, in A. Haltenhoff and F.-H. Mutschler (eds), Hortus Litterarum Antiquarum. Festschrift H.A. Gärtner (Heidelberg), West, Indo-EuropeanPoetry; Bremmer, Greek Religion and Culture. For the myth of the Golden Fleece, see Bremmer, Religion and Culture. For the expedition of the Argonauts as Jenseitsfahrt, see K. Meuli, Gesammelte Schriften (Basel); Hunter, The Argonautica of Apollonius: literary studies (Cambridge) Michels, ‘The Golden Bough of Plato’, Am. J. Philol. For Michels, see J. Linderski, ‘Agnes Kirsopp Michels and the Religio’, Class. However, there is another, even more important bough. SERVIO tells us that those who have written about the rites of Proserpina assert that there is “quiddam mysticum” about the golden bough and that people could not participate in the rites of Proserpina unless they carried the golden bough. Now we know that the future initiates of Eleusis carried a kind of pilgrim’s staff consisting of a single branch of myrtle or several held together by rings. In other words, by carrying the bough and offering it to Proserpina, queen of the underworld, Aeneas also acts as an Eleusinian initiate, who of course had to bathe before initiation. Virgil will have written this all with one eye on OTTAVIANO, who was an initiate himself of the Eleusinian Mysteries. Yet it seems equally important that Heracles too had to be initiated into the Eleusinian Mysteries before entering the underworld. In the end, the golden bough is also an oblique reference to that elusive epic, the Descent of Heracles. Having offered the golden bough to Proserpina, Aeneas may now enter Elysium, where he now comes to “locos laetos” (cf. “laeta arva”) of “fortunatorum nemorum.” The stress on joy is rather striking, but on a Orphic Gold Leaf from Thurii we read, “Χαῖρε, χαῖρε.” Journey on the right-hand road to holy meadows and groves of Persephone’. Moreover, we find joy also in  prophecies of the Golden Age, which certainly overlap in their motifs with life in Elysium. Once again Virgil’s description taps Orphic poetry, as “lux perpetua” is also a typically Orphic motif, which we already find in Pindar and which surely must [Servius, Aen. 6.136: licet de hoc ramo hi qui de sacris Proserpinae scripsisse dicuntur, quiddam esse mysticum adfirment ad sacra Proserpinae accedere nisi sublato ramo non poterat. inferos autem subire hoc dicit, sacra celebrare Proserpinae. The connection with Eleusis is also stressed by G. Luck, Ancient Pathways and Hidden Pursuits (Ann Arbor) (‘Virgil and the Mystery Religions’. R. Parker,Miasma (Oxford,); Suet. Aug.; Dio Cassius;  Bowersock, “Augustus” (Oxford) 68. 112 For woods in the underworld, see Od.; Graf and Johnston, Ritual Texts for the Afterlife (Thurii) = OF 487.5–6; Verg. Aen.; Nonnos, D. 19.191. 113 GrafandJohnston, RitualTexts for the Afterlife, no. 3.5–6=OF487 Oracula Sibyllina: ‘Rejoice, maiden’, cf. E. Norden, Die Geburt des Kindes (Stuttgart) have had a place in the katabasis of Orpheus, just as the gymnastic activities, dancing and singing almost certainly come from the same source, even though OTTAVIANO must have been pleased with the athletics which he encouraged. The Orphic character of these lines is confirmed by the mention of the Threicius sacerdos (with Horsfall), obviously Orpheus himself. After this general view, we are told about the individual inhabitants of Elysium, starting with genus antiquum Teucri, which recalls, as Austin sees, “genus antiquum Terrae, Titania pubes” opening the list of sinners in Tartarus. It is a wonderfully peaceful spectacle that we see through the eyes of Aeneas. Some of the heroes are even “vescentis”, on the grass, and we may wonder if this is not also a reference to the Orphic ‘symposium of the just’, as that also takes place on a meadow. Its importance was already known from Orphic literary descriptions, but a meadow in the underworld has also emerged on the Orphic Gold Leaves. The description of the landscape is concluded with the picture of the river Eridanus that flows from a forest, smelling of laurels. Neither Norden nor Austin explains the presence of the laurels, but Virgil’s first readership will have had several associations with these trees. Some may have remembered that the laurel is the highest level of re-incarnation among plants in the Italic philosopher Empedocles of Girgenti, whereas others will have realised the poetic and Apolline connotations of the laurel. After Trojan and nameless Roman heroes, priests, and poets, Aeneas sees those who found out knowledge and used it for the betterment of life – “inventas aut qui vitam excoluere per artis”  tr. 115 Pind. fr. 129; Ar. Ra.; Plut. frr. 178,211; Visio Pauli21, cf.Graf, Eleusis, Horsfall, Virgilio, For the Titans being the ‘olden gods’, see Bremmer, Greek Religion and Culture,78. 118 Graf, Eleusis, Pind. fr. 129; Ar. Ra.326; Pl. Grg. 524a, Resp.; Diod. Sic.; Bernabéon OF61. 120 Graf and Johnston, Ritual Texts for the Afterlife, no. 3.5–6 (Thurii) = OF 487.5–6, no. 27.4 (Pherae) = OF. The Eridanus also appears in Apollonius Rhodius as a kind of otherwordly river, but there it is connected with the myth of Phaethon and the poplars, and resembles more Virgil’s Avernus with its sulphur smell than the forest smelling of laurels in the underworld. For the name of the river, see Delamarre, ‘  Ἠριδανός, le “fleuve de l’ouest”,’ Etudes Celtiques. Horsfall, ‘Odoratum lauris nemus – Aeneid” Scripta Class. Perhaps, readers may have also thought of the laurel trees that stand in front of OTTAVIANO’s domus on the Palatine, given the importance of OTTAVIANO in this book, cf. A. Alföldi, Die zwei Lorbeerbäume des Augustus (Bonn); M. Flory, ‘The Symbolism of Laurel in Cameo Portraits of Livia’, Mem. Am. Ac. Rel. Austin). As has long been seen, this line closely corresponds to a line from a cultural-historical passage in the Bologna papyrus where we find an enumeration of five groups in Elysium that have made life livable. The first are mentioned in general as those who embellish life with their skills – “αἱ δε βίον σ[οφί]ῃσιν ἐκόσμεον” -- to be followed by the poets, ‘those who cut roots’ for medicinal purposes, and two more groups which we cannot identify because of the bad state of the papyrus. Inventions that both improve life and bring culture are typically sophistic themes, and the mention of the archaic ‘root cutters’ instead of the more modern ‘doctors’ implies an older stage in the sophistic movement. The convergence between Virgil and the Bologna papyrus suggests that we have here a category of people seen by Orpheus in his katabasis. How- ever, as Virgil sometimes comes very close to the list of sinners in Aristophanes’ Frogs, both poets must, directly or indirectly, go back to a common source, as must, by implication, the Bologna papyrus. This Orphic source apparently was influenced by the cultural theories of the Sophists. Now the poets occur in Aristophanes’ Frogs too in a passage that is heavily influenced by the cultural theories of the Sophists, a passage that  Graf connects with Orphic influence. Are we going too far when we see here also the shadow of Orpheus’s katabasis? Having seen part of the inhabitants of Elysium, the Sibyl asks Musaeus where Anchises is. Norden persuasively compares the question of Dionysus to the Eleusinian initiates where Pluto lives in Aristophanes’ Frogs. In support of his argument Norden observes that, normally, the Sibyl is omniscient, but only here asks for advice, which suggests a different source rather than an intentional poetic variation. Naturally, Norden infers from the comparison that both go back to the katabasis of Heracles. In line with our investigation so far, however, we rather ascribe the question to Orpheus’s katabasis, given the later prominence of Musaeus and the meeting with Eleusinian initiates. Highly interesting is also another observation by Norden. Norden notes that Musaeus shows them the valley where Anchises lives from a height – “desuper ostentat” -- and compares a [Treu, ‘Die neue ‘Orphische’ Unterweltsbeschreibung und Vergil’, Hermes ‘die primitiven Wurzelsucher’. 124 Norden, Aeneis VI,287–288; Graf, Eleusis,146n. 21compares Aen.6.609 with Ar. Ra.149–150 (violence against parents), with Ra. (violence against strangers) and 6.612–613 with Ra. 150 (perjurers). Note also the resemblance of 6.608, OF 717.47 and Pl. Resp. 10.615c regarding fratricides, which also points to an older Orphic source, as Norden already saw, without knowing the Bologna papyrus. Graf,Eleusis,34–37. 126 Neither Stanford nor Dover refers to Virgil. number of Greek, Roman and Christian Apocalypses. Yet his comparison confuses two different motifs, even though they are related. In the cases of Plato’s Republic and Timaeus as well as in CICERONE’S “IL SOGNO DI SCIPIONE” (Mozart) (Rep.) souls see the other world, but they do not have a proper tour of hell (or heaven) in which a *supernatural* person (Musaeus, il divino, [arch]angel, Devil) provides a view from a height or a mountain. That is what we find in 1 Enoch (17–18), Philo (SpecLeg 3.2), Matthew (4.8), Revelation (21.10), the Testament of Abraham, the Apocalypse of Abraham (21), the Apocalypse of Peter, which was still heavily influenced by traditions, and even the late Apocalypse of Paul (13), which drew on earlier sources. In other words, it is hard to escape the conclusion that Virgil draws here too, directly or indirectly, on this very old sources. With this quest for Anchises we have reached the climax of LIBER VI. It would take us much too far to present a detailed analysis of these lines but, in line with our investigation, we will concentrate on Orphic and Orphic-related (Orphoid) sources. Aeneas meets his father, when the latter has just finished reviewing the souls of his line who are destined to ascend ‘to the upper light’. They are in a valley, of which the secluded character is heavily stressed, while the river Lethe gently streams through the woods. The Romans paid much attention to this river. Those souls that are to be reincarnated drink the water of forgetfulness. After Aeneas wonders why some would want to return to the upper world, Anchises launches into a detailed cosmology and anthropology drawn straight from The Porch – IL PORTICO -- before we again find Orphic material. The soul locks up in the body as in a prison, which Vergil derived almost certainly straight from Plato, just like the idea of engrafted --  concreta – evil [Contra Horsfallon Aen.6.792. 128 For the reference to metempsychosis, see Horsfallon Aen.6.724–751.129679–680 penitus convallevirenti inclusas animas; 703: vallereducta; 704: seclusumnemus. Theognis 1216 (plain of Lethe); Simon. Anth.Pal.7.25.6(house of Lethe); Ar.Ra.186(plain of Lethe); Pl. Resp. 10.621ac (plain and river); TrGF Adesp. fr. 372 (house of Lethe); SEG (curse tablet: Lethe as a personal power). For its occurrence in the Gold Leaves, see Riedweg, Mysterienterminologie, 40. 131 Soul: Pl. Crat. 400c (= OF 430), Phd. 62b (= OF 429), 67d, 81be, 92a; [Plato], Axioch.; G. Rehrenbock, ‘Die orphische Seelenlehre in Platons Kratylos’, Wiener Stud. The penalties the souls have to suffer to become pure may well derive from an Orphic source too, as the Bologna papyrus mentions clouds and hail, but it is too fragmentary to be of any use here.On the other hand, the idea that soul has to pay a penalty for the deeds in the upperworld twice occurs in the Orphic Gold Leaves. Orphic is also the idea of the “rota” through which the soul has to pass during its Orphic reincarnation. But why does the cycle last a thousand years before the soul can come back to life – “mille rotam volvere per annos --? Unfortunately, we are badly informed by the relevant authors about the precise length of the reincarnation. The Italic philosopher Empedocles of Girgenti mentions ‘thrice ten thousand seasons’ and Plato mentions ‘ten thousand years’ and, for a PHILOSOPHICAL life, ‘three times thousand years’. But the myth of Er mentions a period of thousand years. This will be Virgil’s source here, as also the idea that the soul has to drink from the river Lethe is directly inspired by the myth of Er where the soul drinks from the River of Forgetfulness and forgets about their stay in the other world before returning to earth (Resp. 10.621a). It will hardly be chance that with the references to the end of the myth of Er, we have also reached the end of the main description of the underworld. In the following Heldenschau, we find only one more intriguing reference to the eschatological beliefs of Virgil’s time. At the end, father and son wander in the wide fields of air – “aëris in campis latis” -- surveying everything. In one of his characteristically wide-ranging and incisive discussions, Norden argues that Virgil alludes here to the belief that the soul ascends to the moon as their final abode. This belief is as old, as Norden argues, as the Homeric Hymn to Demeter, where we already find ‘die Identifikation der Mondgöttin Hekate mit Hekate als Königin der Geister und des Hades’. However, it must be objected that verifiable associations between the two (i.e. Hecate and the moon) do not survive from Bernabé, ‘Una etimología Platónica: Sôma – Sêma’, Philologus -- For the afterlife of the idea, Courcelle, Connais-toi toi-même de Socrate à Saint Bernard, 3 vols (Paris) 2.345–380. Engrafted evil: Pl. Phd. 81c, Resp., Tim. 42ac. Plato and Orphism: A. Masaracchia, ‘Orfeo e gli “Orfici” in Platone’, in idem (ed.), Orfeo e l’Orfismo (Rome), reprinted in his Riflessioni sull’antico (Pisa); Treu, ‘Die neue ‘Orphische’ Unterweltsbeschreibung’, 38 compares OF 717.130–132; see also Perrone, ‘Virgilio Aen. VI 740–742’, Civ. Class.Crist.; Horsfall on Aen. 6.739. 133 Graf and Johnston, Ritual Texts 6.4 (Thurii) = OF 490.4; Graf and Johnston 27.4 (Pherae) = OF 493.4. 134 OF338,467,Graf and Johnston, Ritual Texts, 5. 5 (Thurii) = OF 488.5, withBernabéadloc. 135 Pl. Resp. 10.615b, 621a. Curiously, Norden does not refer to this passage in his commentary on this line, but at p. 10–11 of his commentary. 136 Norden, AeneisVI,23–26, also comparing Servius; Ps. Probusp. 333–334. [Moreover, the identification of the moon with Hades, the Elysian Fields or the Isles of the Blessed is relatively late. It is only later that we start to find this tradition among pupils of Plato, such as, probably, Xenocrates, Crantor and Heraclides Ponticus, who clearly want to elaborate their master’s eschatological teachings in this respect. Consequently, the reference does indeed allude to the soul’s ascent to the moon, but not to the ‘orphisch-pythagoreische Theologie’ (Norden). In fact, it is clearly part of the Platonic framework of Virgil. In the same century Plato is the first to mention Selene as the mother of the Eleusinian Musaeus, but he will hardly have been the inventor of the idea. Did the officials of the Eleusinian Mysteries want to keep up with contemporary eschatological developments, which increasingly stressed that the soul goes up into the aether, not down into the subterranean Hades? We do not have enough material to trace exactly the initial developments of the idea, but it was already popular enough for Antonius Diogenes to parody the belief in his “Wonders Beyond Thule”, a parody taken to even greater length by Lucian in his True Histories. Virgil’s allusion, therefore, must have been clear to his contemporaries. S.I. Johnston,Hekate Soteira (Atlanta)31. 138 W. Burkert, LoreandSciencein AncientPythagoreanism (CambridgeMA,1972) 366–368,who also points out that there is no pre-Platonic Pythagorean evidence for this belief; see also Cumont, Lux perpetua (Paris) Gottschalk, Heraclides of Pontus, Oxford, Wilamowitz rejects the‘Mondgöttin Heleneoder Hekate’ already in his letter thanking Norden for his commentary, cf. Calder III and Huss, “Sed serviendum officio...”, 18–21 at 20. 140 Pl. Resp. 2.364e; Philochoros F Gr H328 F208, cf. Bernabéon Musaeus 10–14T. 141 A. Henrichs,‘ Zur Genealogiedes Musaios’, ZPE 58(1985)1–8. 142 IG I3 1179.6–7; Eur. Erechth. fr. 370.71, Suppl., Hel. 1013–1016. Or. 1086–1087, frr. 839.10f, 908b, 971; P. Hansen, Carmina epigraphica Graeca saeculi IV a. Chr. n. (Berlin and New York, 1989). For Antonius’ date, see Bowersock, “Fiction as History: Nero to Julian” (London), whose identification of the Faustinus addressed by Antonius with Martial’s Faustinus is far from compelling, cf. R. Nauta, “Poetry for Patron”s (Leiden). Bowersock has been overlooked by Möllendorff, Auf der Suche nach der verlogenen Wahrheit. Lukians Wahre Geschichten (Tübingen) whose discussion also sup- ports an earlier date for ANTONIO against the traditional one. When we now look back, we can see that Virgil has divided his underworld into several compartments. His division contaminates Homer with later developments. In Homer, virtually everybody goes toHades, of which the Tartarus is the deepest part, reserved for the greatest e Titans. A few special heroes, such as Menelaus and Rhadamanthys, go to a separate place, the Elysian Fields, which is mentioned only once in Homer. When the afterlife became more important, the idea of a special place for the elite, which resembles the Hesiodic Isles of the Blessed, must have looked attractive to a number of people. However, the notion of re-incarnation poses a special problem. Where do those stay who have completed their cycle and those who are still in process of doing so? It may now be seen that Virgil follows a traditional Orphic solution in this respect, a solution that had progressed beyond Homer in that MORAL criteria had become important. In his Second Olympian Ode Pindar pictures a tripartite afterlife in which a sinner is sentenced by a judge below the earth to endure terrible pains. He who is a good man spends a pleasant time with ‘il divino.’ He who has completed the cycle of reincarnation and has led a blameless life joins the heroes on the Isles of the Blessed. A tripartite structure can also be noticed in the Italic philosopher Empedocles of Girgenti, who speaks about the place where the great sinners are, a place for those who are in the process of purificaton. For Hades, Elysium and the Isles of the Blessed, see Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death, Mace, ‘Utopian and Erotic Fusion in a New Elegy by Simonides (West2)’, ZPE. For the etymology of “Elysium”, see R. Beekes, ‘Hades and Elysion’, in J. Jasanoff (ed.), Mír curad: studies in honor of Calvert Watkins (Innsbruck) 17–28 at 19–23. Stephanie West (on Od. 4.563) well observes that Elysium is not mentioned again before Apollonius’ Argonautica. For good observations, see Molyviati-Toptsis, ‘Vergil’s Elysium and the Orphic-Pythagor- ean Ideas of After-Life’, Mnemosyne. However, some would now replaced Molyviati’s terminology of ‘Orphic-Pythagorean’, which Molyviati inherits from Dieterich and Norden, with ‘Orphic-Bacchic’, due to new discoveries of Orphic Gold Leaves. Moreover, Molyviati overlooks the important discussion by Graf, Eleusis, 84–87; see also Graf and Johnston, Ritual Texts, For the reflection of this scheme in Pindar’s threnos fr. 129–131a, see Graf, Eleusis, 84f. Given the absence of Mysteries in Pindar, O. 2 and Mysteries being out of place in Plutarch’s Consolatio one wonders with Graf if τελετᾶν in fr. 131a should not be replaced by τελευτάν. 147 For the identification of this place with Hades, see A. Martin and O. Primavesi, L’Empédocle de Strasbourg (Berlin). Alfonso, ‘La Terra Desolata. Osservazioni sul destino di Bellerofonte (Il.)’, MH  and a place for those who have led a virtuous life on earth: they will join the tables of the gods. The same division between the effects of a good and a bad life appears in Plato’s Jenseitsmythen. In the Republic the serious sinners are hurled into Tartarus, as they are in the Phaedo, where the less serious ones may be still saved, whereas those who seem to have lived exceptionally into the direction of living virtuously pass upward to a pure abode. But those who have purified themselves sufficiently with philosophy will reach an area even more beautiful, presumably that of the gods. The upward movement for the elite, pure souls, also occurs in the Phaedrus and the Republic whereas in the Gorgias they go to the Isles of the Blessed. All these three dialogues display the same tripartite structure, if with some variations, as the one of the Phaedo, although the description in the Republic is greatly elaborated with all kinds of details in the tale of Er. Finally, in the Orphic Gold Leaves the stay in Tartarus is clearly presupposed but not mentioned, due to the function of the Gold Leaves as passport to the underworld for the Orphic devotees. Yet the fact that in a Leaf from Thurii the soul says: ‘I have flown out of the heavy, difficult cycle of reincarnations’ suggests a second stage in which the souls still have to return to life, and the same stage is presupposed by a Leaf from Pharsalos where the soul says: ‘Tell Persephone that Bakchios himself has released you from the cycle.’ The final stage will be like in Pindar, as the soul, whose purity is regularly stressed, will rule among the other heroes or has become a god instead of a mortal. When taking these tripartite structures into account, we can also better understand Virgil’s Elysium. It is clear that we have here also the same distinction between the good soul and the super-good soul. The good soul has to return to earth. The super-good soul can stay forever in Elysium. Moreover, the place of the super-good soul is higher than the one of a soul who has to return. That is why a soul that will return is in a valley BELOW the area where Musaeus is. Once again, Virgil looks at Plato for the construction of his underworld. Graf and Johnston, Ritual Texts, 5.5 = OF 488.5; Graf and Johnston 26a.2 = OF .485.2. Dionysos Bakchios has now also turned up on a Leaf from Amphipolis: Graf and Johnston, Ritual Texts, 30.1–2 = OF 496n.1–2.5. 150 Graf and Johnston, Ritual Texts, (all Thurii), 9.1 (Rome) = OF 488.1, 490.1, 489.1, 491.1. 151 Graf and Johnston, Ritual Texts  (Petelia) = OF 476.11; Graf and Johnston, Ritual Texts, 3.4 (Thurii) = OF 487.4 and ibidem 5.9 (Thurii) = OF 488.9, respectively.This was also seen by Molyviati-Toptsis,‘Vergil’s Elysium’,43, ifnotveryclearly explained. But as we have seen, it is not only Plato that is an important source for Virgil. In addition to a few traditional autochtonous indigenous *Roman* details, such as the fauces Orci, we have also called attention to Orphic and Eleusinian beliefs. Moreover, and this is really new, we have pointed to several possible borrowings from 1 Enoch. Norden rejects virtually all Jewish influence on Virgil in his commentary, and one can only wonder to what extent his own Jewish origin played a role in this judgement. More recent discussions have been more generous in allowing the possibility of Jewish-Sibylline influence on Virgil and Horace. And indeed, Alexander Polyhistor, who works in Rome during Virgil’s lifetime and writes a book On the Jews, knows the Old Testament and was demonstrably acquainted with Egyptian-Jewish Sibylline literature. Thus it seems not impossible or even implausible that among the Orphic literature that Virgil had read, there also were (Egyptian- Jewish?) Orphic katabaseis with Enochic influence. Unfortunately, we have so little left of that literature that all too certain conclusions would be misleading. In the end, it is still not easy to see light in the darkness of Virgil’s underworld. For the Orphic influence, see also the summary by Horsfall,Virgil,“Aeneid” Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6, 2.650 is completely mistaken in mentioning Norden’s ‘pressing and arguably misleading, belief in the importance of Jewish texts for the understanding of Aen.6’: Norden, Aeneis Buch VI, 6 actually argued that from the ‘jüdische Apokalyptik ... kaum ein Motiv angeführt werden kann, das sich mit einem vergilischen berührte’.For Norden’s attitude towards Judaism, see J.E. Bauer, ‘Eduard Norden: Wahrheitsliebe und Judentum’, in B. Kytzler et al (eds), Norden (Stuttgart); Nisbet, Collected Papers on Latin Literature (Oxford); Bremmer, ‘The Apocalypse of Peter: Greek or Jewish?’, in idem and I. Czachesz (eds), The Apocalypse of Peter (Leuven)  at 3f. 156 C. Macleod, Collected Essays (Oxford) (on Horace’s Epode 16.2); Nisbet, Collected Papers, Watson, A Commentary on Horace’s Epodes (Oxford) (on Horace’s Epode 16); L. Feldman, ‘Biblical Influence on Vergil’, in S. Secunda and S. 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Keywords: principi di filosofia per gli initiate nelle matematiche, implicature corporali, l’iniziazione di Enea, l’iniziaione di Ottaviano,  the golden bough, Turner, misterij eleusini, una moda tra la nobilita romana – eleusi destrutta da Alarico – iniziato, iniziante, aspirante, gl’aspiranti – eneide, Virgilio, poema  epico, la fonte di Virgilio e un poema perduto sulla discesa d’Ercole all’inferno a lottare contro Cerbero – fatica 10 – statuaria – statua di Antino a Eleusi. L’iniziazione come contemplazne, il role dell’iniziato, iniziato e inizianti --. La radice indo-germanica di Eleusi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caluso” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Camilla: l'literae Humaniores – in literabus humanioris -- dell’huomo – opp. Lit. div. filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Grice: “You gotta love Camilla; I mean, if his name were not Camilla, I would call him Grice: he philosophised on all that I’m into: mainly ‘uomo’ (since he was an ancient Italian, he used the mute ‘h’ (dell’huomo’): his anima, the concetti dell’animma that he ‘dichara’ in il suo palare – la bellezza is without equal --.” De' misterii e maravigliose cause della compositione del mondo, 1564 Giovanni Camilla (scritto anche Camilli o Camillo) (Genova), filosofo.  Opere Giovanni Camilla, De' misterii e maravigliose cause della compositione del mondo, In Vinegia, Gabriele Giolito de Ferrari, 1564. Note  Camilla, Giovanni CERL cnp Filosofia Matematica  Matematica Categorie: Medici italianiFilosofi italiani ProfessoreXVI Genova. Ma che dirassi parlar del della lingua e diverso parlare cosi pronunciato distintamente, beneficio de i denti e delle labra, il quale cosi bene DICHIARA I CONCETTI DELL’ANIMA? CAM. Pensate che se piu l'huomo andasse considerando le cose maravigliose del divino, tanto piu se gli infiammerebbe l'animo di riconoscerne altre e contemplarne, e quanto piu sta involto e privo delle scienze e cognitione di tai cose tanto manco ne prende maraviglia, e se ne in fiamma. Liv. Avanza, l'uomo tutti gl’altri animali di sottigliezza di sangue, di memoria, bellezza di corpo, e larghezza di spalle. cresce sino a XXII anni. Hora che veggiamo al trissino da piccioli atti e quasi instrutti benissiino in diverse scienze oarti, è cosa manifesta. Onde quel Mercurio gran filosofo Mercurio Trimegisto chiama l'huomo Tremigi - un grande miracolo. Oltre poi, che con l'intelletto sto. intende, capisce e discorre sopra ogni cosa, e chiamato un picciol mondo; e tantage, cosi bella dignità di eso ON Elle 80 E. =.. 0. cica. la conoscevano benissimo quegli ans huomo viene tutta dall'anima. E questo ui basti qudra to alla dichiaratione di quelle cose, che sono chiamate naturali, veniamo hora alle Mathematiche. CAM; Se io debbia hauere queſto a caro, laſciolo confiderda re a uoi: essendo, che tai ragionamenti sopra tante ecoſi belle coſe, miſaranno aſſai facile uia ad intendea re poi eſſe scienze. -- diverso parlare cosi pronunciato distintamente beneficio de i denti e della labra, il quale cosi benedichiara i concetti dell'anima? AVO PRIMO, OVERO Proemio. a carte; Della virtù; Dell'amicitia; Dell'amore; Del Cielo e delle Stelle; De gl’elementi; Di quelle cose che fi generano nell'aere; Dell'anima; Dell'anima dell'huomo; Delle Piante; De gli animali sensitiui, e prima di quelli, che non hanno ſangue; Di quelli Animali, che hanno sangue primieramente de pesci; De gli uccelli; De gl’animali quadrupedi; Dell’uomo; Della Arithmetica, e fue parti; Della Muſica; Della Geometria, e ſue parti; Della Coſmografia; Dell'arte del nauigare, e de' precetti, chi fi debbono ofleruare a intender quella; Della fPerſpectiua, & inſiemedella Symetria dell'uomo; Dell'Aſtronomia; Della Metafisica. DELLA PERSPESTTIVA, ET insieme della Simetria dell'huomo; Sole pche Holl Utre, Duit 3 bel A PERSPETTIVA dunque, Perspetti - stando nel mezo della Geometria 4a,. Aſtronomia, proua neceſſaridal incnte molte coſe, che in eſſe ſi ri = * trouano. Onde che'l Sole illumini pru dela metà della terra, e che lucendo non ſi poſſa illumini no ueder le stelle, lo proua il Perſpettivo: dicendo,'piu della che ogni corpo luminoſosferico illumina una piu pica metà della ciola sfera piu dela metà. Nella Geometria etiandio queſto è manifefto, come nell'arte di rileuo, ſecondo*; ſi vedono in Romaalcủne statue, con tanto artificio store fatte, che quantunque una ſia piu grande dell'altra, @unapoſta in alto, l'altra a baſſo, paiono nondia 1: meno tutte diunamedeſima groſſezza e grandezza. Effetti del la perſpect e cio come ſi faccid', diſſe il Perſpettiuo', la comprena tiua, en fione della quantità della coſa urſibile proceder dalla din comprenſione della piramideralioſa, e dalla compaa ratione dellabafi alla quantità dell'angulo,o alla lun= ghezza della diſtanza. Perla medeſima hanno detto gli Aſtrologile stelle effer corpi sferici'e tondi: pera cioche daejja uien- lor"detto i corpi sferici da lunge ofind pri parere piani; l'eſempio ſia di uno ouo: oltre di ciò Le ſtelle le stelle nell'Orizonte apparere piu grandi, etiano, a ell'Ori dio l'iſteſſo Orizonte alla terra contingente, e piu: zones apo lontano di qual ſi uoglia altro punto aßegnato nel ciez iori, per lo. L'iſteſſo fàil naturale, il quale afferma, che l'oca chio non baſterebbe a comprender la grandezza delle coſe,s'eglinon fuſſe tondo. & etiandio ſenza luce 1. non uederſi niente. Per queſta ſi ſono ritrouati gli fpecchi: imperoche il raggio dell'occhio cadente pera pendicularmenteſopra delloſpecchio, ritorna adietro, e coſi fa, che l'imagine èueduta. Si danno ancora le cagioni, perche nella piu parte de gli ſpecchiſi ueda stig als t'imagine dalla banda dilà di ello ſpecchio, &in alcue ni dinanzi: o oltre di ciò coſi diſcoſta e lontana dallo specchio, quanto é l'occhio lontano da eſo, e di molte altre. si sà ancora la diuerſa compofitioneloro, coa me de' tondi, concaui, colonnari, piramidalize triana Pianeri og ifcintilla. gulari. Laſcioper hora, chela reuerberatione de nocome raggi faccia le stelle fille ſcintillare: imperoche i pia = le ftefle fiłnetinon ſcintillano. Proua ultimamente, perche nela l'acqua le coſe paiano piu grandi, e fuori dal ſuo luos Perche le coſepaia. 80;imperochenon ſipuò diſcernere e giudicare la no mag. grandezza di una coſa per raggio rotto: e per ciò le giori nel ſtelle nell'orizonte appaiono piu uicine a noi, che nel l'acqua. Meridiano. Si danno inſieme congnitioni di Iride, e molte altre; la enumeratione delle quali troppo longa ſarebbe a dirle. CAM. Veramente tutte le ſcienze ſono di talforte tra loro ordinate, che’n loro a punto ſi uede fe. COM Iron chat lan ED fi uede una ciclopedia. Liv. Tal dunque è la pera ſpettiua, la cui conſideratione e di raggio retto, rea feffo, erotto. nella quale non ui marauigliate che ſi ueggiano coſi eccellenti e buoni Scultori: eſſendo che scultura ciò ſiuedafacilmente nella Chimica,Ectypoſi, Celaa parci d tura, Plaſtica, Proplaſtica, Paradigmatica, Tomia fa. ca., Colaptica, le quali ſonotutte parti della Scultuz ra, o hanno della ſua cognitione bisogno. Hora di queſte non voglio io parlare, eccetto ſe a voi pareſſe della simetria dell'huomo; dcció da eſſa comprendiate ogn’hora piu le marauiglioſe opere di Dio. Cam. Queſto miſarebbe di grandißimo contento, è maßime che per la intelligenza loro ſi potrebbono etiandio conſiderar le parti de gli animali ſenza ragione.Liv. Queſta miſura dunque, la quale Simetria chiamiamo, Simetria duenga che'n tutte le coſe create da Dio ſia maraui: dell'huog glioſa, è però di marauiglia e stupore grandißimo mo. nell'huomo. imperoche miſurate tutte le parti effatta = mente, dalle quali è compoſto, iui non ſi uede altro, che ogni coſa piena di harmonia e perfettißima in tuta ti i numeri. E perciò hanno diuiſo il corpo dell'huomo in noue parti, le quali tutte ſi prendonodalla faccid;. hauendola coſi poſta diſopra Iddio grandißimo,aca ciò tutte le altre pigliaſſero la miſura da eſſa, come contenuta da tutto il corpo noue uolte: s'intende però queſto degli huominifatti, e non de' fanciulli, i quaa li non ſono eccetto quattro. La proportion poi de membri tra loroquanta fia, è coſa di grande contemplatione. Quanto é dalle ciglia ſino alla fine del nära ſo, tanto dal mento fino alla gola quanto dal labro di fopra ſino alla punta del naſo, tanto é la larghezza del naſo di ſotto, è la concauità de gl'occhi, quanto dalla cima del fronte fino alle ciglia, tanto ſino alla punta del naſo, o etiandio fino al mento. Hora che tanto ſia la faccia, quant'è la mano, e dalle congiunz ture di eſa fi ueggiano le proportioninella faccia,¿ coſa aſſai ben chiara. Della larghezza, che ne dires di eſſo al naſo, tanto la larghezza della bocca, quanto la longhezza del naſo, tanto é la larghezza delle anche, quanto ſono due faccie inſieme. L'altezza poi, cioè quello, che uolge e circonda all'intorno, e mard uigliosa. uolge la teſta, e in quella parte del fronte tre faccie, il petto cinque, il uentre, paſſato però l'ombilico, quattro. Laſcio ultimamente, che con tenga l'huomo la figura circolare, e quadrata, e che da eſſo ſia cauata la proportione e miſura di far caſei, Fabriche Rocche, Caſtelli, e Chieſe. Hauete hora viſto la dir moſtrate uifione del corpo del'huomo, quanto ſia artificioſa, e dalla fime. tria del di quanta armonia e contemplatione. E di qui conſie l'huomo. deriate qual Geometria,qual Muſico debbia eſſer l'aua tore e fattore di tutto queſto, CA M. Veramente da tutte le coſe da D1o create ſiamobenißimoinſegnati uiuer bene: imperoche hauendo ogni noſtra parte del corpo con tal proportione diſpoſta, e fatta, ci mom che 3 stra, 1 C,. stra, che ordiniamo i coſtuminoſtri; acciò in ſi bel corpo poſſa eſſere una bella anima. Liv. E queſto ulbaſti in queſti ragionamenti, & andiamo alla Aſtro. nomia. Cam. Come a uoi pare. His “Enthusiasm” has a brief section on ‘parlare humano’, parabolize – wondering how men can ‘express’ the ‘conceptions’ of their ‘souls’ – via this ‘parlare’ – also philosophised on symmetry, which is like K. O. Apel’s reciprocity.  Literae humaniores, nicknamed classics, is an undergraduate course focused on classics (Ancient Rome, Latin, and philosophy) at Oxford. The name means literally "more human literature" and is in contrast to the other main field of study when the Oxford began, i.e. res divinae, or literae divine, “Lit. div.”. “Lit. Hum.” is concerned with *human* learning; “Lit. div.” with learning treating of the divine. “Lit. Hum.” originally encompassed mathematics and natural sciences as well. It is an archetypal humanities course.  Oxford's classics course, also known as greats, is divided into two parts, lasting V terms and VII terms respectively, the whole lasting IV years in total, which is one year more than most arts degrees.  The course of studies leads to a B. A. Lit. Hum. degree. Throughout, there is a strong emphasis on first-hand study of primary sources in Latin.  In the first part -- honour moderations, “mods” – the pupil concentrates on Latin; in the second part the pupil must choose VIII essays from philosophy. The teaching style consists of a weekly tutorial in each of the two main subjects chosen, supplemented by this or that lecture. The main teaching mechanism is the weekly essay -- one on each of the two main chosen subjects, to be read out at a 1-to-1 tutorial. This affords the pupil plenty of practice at writing a short, clear, and well-researched essay. The emphasis is on the study of an original text in Latin, assessed by gobbet, a short commentary on an assigned primary source. In a typical ‘text’ essay, the pupil must comment on an paragraph in Latin selected by the examiner -- from the set books. Marks are awarded for recognising the context and the significance of the paragraph. The course of moderation, –  the exam conducted by a moderator) runs for the initial V terms of the course. The aim is for the pupil to develop an ability to read in Latin. Virgil is compulsory. Other paragraphs are chosen from a given list. There are also unseen translations from Latin, and compulsory translation into prose. The tutorial fellow in philosophy is free to concentrate on teaching philosophy, not Latin. The mods examination has a reputation as something of an ordeal.

XII three-hour essays across seven consecutive days. Pupils for Lit. Hum. mods face a much larger number of exams than undergraduates reading for any other degrees at Oxford sit for their mods, prelims or even, in many cases, finals.  A pupil who successfully passes his mods may then go on to study the full greats course in his remaining VII terms. The traditional greats course consists of philosophy. The philosophy includes Plato and Aristotle, and also modern philosophy, both logic and ethics, with a critical reading of standard texts -- from Plato's Republic and Aristotle's Nicomachean Ethics to more modern philosophers, such as Kant. The regulations governing the combinations of essays are moderately simple. The pupil must take at least four essays based on the study of ancient texts in the original Latin. It is compulsory also to offer essays in unprepared translation from Latin; these essays counted "below the line" — the pupil is required to pass them, but they do not otherwise affect the overall class of the degree. G. E. M. Anscombe, British analytic philosopher H. H. Asquith, former Prime Minister of the United Kingdom J. L. Austin, philosopher of language A. J. Ayer, British analytic philosopher Isaiah Berlin, historian of ideas, Oxonian professor George Curzon, 1st Marquess Curzon of Kedleston, Viceroy of India and Foreign Secretary Emma Dench, British ancient historian, McLean Professor of Ancient and Modern History at Harvard University Peter Geach, British analytic philosopher John Murray Gibbon, Canadian writer Barbara Hammond, English social historian, first woman to take a double first R. M. Hare, English moral philosopher, Oxonian professor H. L. A. Hart, British legal philosopher Denis Healey, Labour politician Gerard Manley Hopkins, English poet Alfred Edward Housman, English classical scholar and poet (failed in finals) Boris Johnson, Prime Minister of the United Kingdom from 24 July 2019 Ronald Knox, Catholic priest, theologian, writer and apologist Anthony Leggett, theoretical physicist and winner of Nobel Prize in Physics C. S. Lewis, novelist, poet, academic, medievalist, literary critic, essayist, lay theologian, and Christian apologist Harold Macmillan, Prime Minister of the United Kingdom, read mods (Latin and Greek), the first half of the four-year Oxford greats course, at Balliol from 1912 to 1914, interrupted by service in the First World War Reginald Maudling, Conservative politician Iris Murdoch DBE, novelist and philosopher Charles Prestwich Scott, editor of the Manchester Guardian daily newspaper (now The Guardian) Peter Snow CBE, British television and radio presenter, historian Reginald Edward Stubbs, British colonial governor Ronald Syme, New Zealand-born historian and classicist Oscar Wilde, Irish writer and poet, attained a double first Bernard Williams, British moral philosopher, attained a double first with formal congratulations in the second part Emily Wilson, British classicist, first woman to publish a translation of Homer's Odyssey into English. N. T. Wright, British Anglican bishop and academic Yang Xianyi, translator of Dream of the Red Chamber into English See also Edit History portal University of Oxford portal Philosophy, politics and economics Quadrivium Trivium References: Standen, Naomi. "HIS 1023 Encounters: What is a gobbet?". www.artsweb.bham.ac.uk. Retrieved 14 July 2018. External links Edit Brown, Peter (2003). "Tempora mutantur". Oxford Today. Archived from the original on 27 May 2011. Retrieved 14 January 2006. Cook, Stephen (18 February 2003). "Latin types". The Guardian. Retrieved 8 September 2006. "The Classics Faculty at Oxford". Retrieved 12 July2005. "The Philosophy Faculty at Oxford". Retrieved 8 September 2006. Last edited 6 days ago by ManyMoreYears RELATED ARTICLES Classics -- Study of the culture of (mainly) ancient Greece and Ancient Rome; Honour Moderatons; Classical Tripos -- Degree course at the University of Cambridge. Giovanni Camillo. Giovanni Camilli. Giovanni Camilla. Keywords: dell’huomo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Camilla” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Cammarata: l’implicatura conversazionale del giusto – giussum giustum – giure – iure – giudico – giudicare -- la giustizia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania). Filosofo italiano. Grice: “You gotta love Cammarata; for one, like Austin, he goes by initials, and indeed like me, A. E. – he is the Italian Hart – he thinks legality comes first, justice second – and he is possibly right – his example is Oreste’s murder and the institution of justice in Athens – However, that’s because of his Magna Grecia background – Speranza tells me that at Rome, things are different, since it’s all Brutus and the beginning of the republic – ‘il ratto di Lucrezia,’ as he puts it.” -- Fu uno dei più conosciuti rettori dell'Trieste per la difesa della quale ricevette la medaglia d'oro della Cultura e dell'Arte, mentre all'Ateneo fu conferita nel 1962 la medaglia d'oro al valor civile.  Biografia Nel corso della sua carriera insegnò filosofia del diritto e altre materie giuridiche nelle Messina, Macerata, Trieste, Napoli e Roma. Allievo di Giovanni Gentile, aderì all'idealismo immanentista. Gli scritti principali di filosofia del diritto sono inseriti, in massima parte, in Formalismo e sapere giuridico, Giuffrè 1963. Buona parte degli scritti riguardanti invece la "questione di Trieste" sono pubblicati in Fra la teoria del diritto e la questione di TriesteScritti inediti e rari, Eut, Trieste. Fu anche un notevole fotografo, come documentano le due mostre (Trieste Gorizia ) a lui dedicate.   Cammarata, Angelo Ermanno, in Dizionario di filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,  Opere di Angelo Ermanno Cammarata,. Filosofia Università  Università Filosofo Avvocati italiani Insegnanti italiani Professore Catania RomaFilosofi del diritto. Il secondo giorno sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità, all’audacia e alla sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di difendere contraddizione si anorme. Anche non tenendo conto che, se si applicasse questo criterio, tutta la filosofia dei accademici sarebbe un' immoralità, perchè il loro metodo e di difendere in ogni quistione le soluziori opposte. Idue discorsi (tesi ed antitesi, positio e contra-positio, posizione e contra-posizione), tenuti in giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la sintesi, o com-posizione) e si propongano il medesimo fine: mostrare la falsità della dottrina della tesi di Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in questa parte della filosofia, molto più che in altre, sono dipendenti da Platone e da Aristotele, bisogna prendere le mosse da questi. Leggiamo in Lattanzio. Carneades autem, ut Aristotelem refelleret ac Platonem, justitiae patronos, prima illa disputatione collegit ea omnia, quae pro justitia dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades, quoniam erant infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam refellendi, quia refelli posse intellexit (Lattanzio, Instit. div.). E al trove. Nec immerito extitit Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui refelleret istorum (Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam, quæ fundamentum stabile non habebat, everteret, non quia vituperandam esse iustitiam sentiebat, sed ut illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil firmi de iustitia disputare (Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la prima orazione non era che un esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione, un'esposizione delle idee accettate da Diogene, che Carneade s'appresta a confutare nel vegnente giorno (Cic., de rep.); confutazione, la quale non aveva per iscopo di vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la loro teoria dommatica – il domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma il sapere. Su questo si dovrà tornare più innanzi. E caso a noi pervennero frammenti solamente della seconda orazione. Questa sola offriva una filosofia nuova, dava una scossa inaspettata e forte all'intelligenza dei romani. Perciò eam disputationem, qua iustitia evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur (Lattanzio, Instit. dio.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo singolare di scorso nelle sue linee generali. Per Carneade, non esiste una giustizia (giurato – iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse le medesimecose sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o cattive, morali o immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le dolci e le amare. Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una grandissima diversità di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra il popolo romano e il popolo sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al Trastevere, da tempo a tempo. I cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il brigantaggio. I Lacedemoni dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano toccare col giavellotto. Gli Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che loro apparteneva ogni terra che producesse olive e biade. I barbari galli stimano disonorevole cosa procurarsi il frumento col lavoro, invece che colle armi. I romani vietano ai Transalpini la coltivazione dell'ulivo e della vite, per impedire la concorrenza ai loro prodotti e dar a questi un valore più elevato. Gli semitici egiziani, che hanno una storia di moltissimi secoli, adorano come divinità il bue e belve di ogni genere. I semitici Persiani, disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i tempii, persuasi essere cosa illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione tutto il mondo, fossero rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e Alessandro manda ad esecuzione la guerra contro i greci per punire quei numi. I Tauri, gli Egiziani, i barbari galli (“Norma”) e i Fenici credeno che tornassero assai accetti alle loro deità il sacrifizio umano. Si dice: E dovere dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum) ubbidire alla legge. Quale legge? A la legge di ieri, o alla legge di oggi? A quelle fatte in questo lato del Tevere, o nel Trastevere? Se una un imperativo o una legge suprema, universale, trascendente, kantiana, costante s'impone alla coscienza dell’uomo, come pretende Diogene, coteste variazioni non sarebbero possibili. Perciò non esiste un diritto naturale, nè un uomo che per natura arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius) è una invenzione dell’uomo a scopo di utilità e didifesa; come prova anche il fatto che non raramente la legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura a questo sesso un particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’, attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera, per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della propria conservazione e felicità (Cic., de rep.). La storia insegna che ogni popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi altrui, ma unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando a un Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a Lelio il saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult, all'erudito Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone, l'implacabile nemico di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla presenza dei colti ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli altri, ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il criterio direttivo della vostra vita non e il  giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara; poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie* sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui, col rubire, siete per venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che avesse potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri esempi, che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o Alessandro, infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al cielo colle lodi, è la negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità del proprio paese, naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente il territorio altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è colui che acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e nazioni, colma l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che è peggio, non solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi esortano e incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla malvagità non manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e ingiustizia, che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli che hanno diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi preferiscono chiamarsire per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o per ischiatta, o per potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città, costituiscono una setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il popolo ha il sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo si chiama libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e una classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto fra popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la giustizia è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è naturale che cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni: recare *in-giuria* e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè riceverne, egli repute ottima la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti. Poscia la terza, che dona quiete e sicurezza; ultima e più infelice la condizione di chi sia costretto ad essere continuamente in armi, sia perchè faccia, sia perché riceva *in-giurie”. Adunque alla Hobbes lo stato naturale dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta (uomo uominis lupo), la guerra, la discordia, la rapina, la violenza, l'inganno, in una parola, la negazione del giurato (giusgiurato). La giustizia è una virtù che si esercita per effetto di debolezza e per proprio tornaconio. Ma Diogene, come vedemmo, considera il giurato (iusiuratum) verso gli uomini. Carneade dove notare che l’istituzione del tempio esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi avversari e dei filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si acquista, non si allarga potere, non si fonda regno senza le armi, le guerre, le vittorie; le quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la distruzione di città. E dalle distruzioni non vanno immuni le oggetti addorati nei tempi, ne dalle stragi si sottragge il sacerdote del tempio; né dalle rapine i  tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità nemiche, quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splendidi i trionfi dei generali romani! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente non viene osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere senza danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di risparmiare tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a ciascuno il suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non sminuire la felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non ha mai l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il popolo attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto; bensì al sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il ‘scitum’ i generali di ROMA hanno il soprannome di grandi. La violenza, la forza, la negazione del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma per nascondere la propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato (iusiuratum), il popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando delle favole da sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna un titolo di nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli stati liberi o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il comandare con la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del giurato (iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e soffocano il sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di qualsiasi negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con qualunque mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi, la fine della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di un individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche desiderabile. L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo l'estinzione di tutto il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della gloria diverso e molto più intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa guisa parere *giustificati* (giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum -- anche gli atti di violenza e di frode, che avevano per I scopo la conservazione e la potenza del proprio stato; o, per meglio dire, il popolo e gl'individui non hanno coscienza di un principio o imperativo che governa la propria vita. Credeno, i Romani pei primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente negano il giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione tra fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum) (Cic., de fin.). Il medesimo conflitto tra il giurato e il ‘scitum’ dimostra egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che sa difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede quello degli altri. Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e assai chiari e appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale vuole vendere uno schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre. Egli solo conosce questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si, s'acquista  fama di uomo onesto, perchè non inganna, maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto; se no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio, perchè inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore lo sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio, sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai, dovrai avvertirlo del pericolo, o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto; se parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep.). Dunque qui pure si presenta la contraddizione: chi è giusto, è stolto; chi è sapiente, è ingiusto. Ma in questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di vantaggi più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe più spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare, vede un altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che vale a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e si pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo.  Cosicchè il giure naturale, la giustizia naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo -- principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto perchè e peggiore di quello. Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci credere che egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse un sentimento più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi il malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic. de leg.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del diritto è l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità, inclinazione che ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per distinguere il giurato dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade, generatrice del diritto è l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e altrettanta opinione, la quale non deriva da un imperativo kantiano, o un principio naturale fisso, come provano la loro varietà e il dissenso degli uomini (Cic., de leg.). Alla teoria giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o dommatico, che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua filosofia. L'egoismo e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione all'idealismo morale di Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il sollen) ma l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale – come il principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto pratico della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la ragione pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è assai lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo prudente s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il fatto che si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce una teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding formula.Wundt. Wundt Zeitungsausschnitte 100. Wundt. Wundt. Estate Wundt Brief von Luigi Credaro an Wilhelm Wundt. Grice: “Excellent philosopher, comparable with Hart – only not Jewish and thus friendly with the Fascists!” A student of Gentile, more of an idealist than a positivist, but still. Angelo Ermanno Cammarata. Keywords: la giustizia, H. L. A. Hart, il giusto, -- giusto – la persecuzione dei Cristiana fatta da Nerone e giusta in accordo con la legge romana – Tacito – Suetonio – Claudio – I Cristiani e I giudei di Trastevere confessano  il deilitto dell’incendio di Roma. Cfr. la rivincita del paganesimo, I giudei erano esclusi dalla prattiche religiose romane, ma la setta Cristiana no. montanismo,  moiaismo. I Cristiani si refusano  ad assistir al rituale religioso romano. Tacito giudica al  Cristiano enemico del genero umano. Giustizia divina,  giusto legale – giusto morale – la persecuzione dei eretici dalla chiesa, l’inquisizione, la contra-riforma, l’inizio della filosofia romana come una ‘woke’ da parte dall’elite romana dei scipione sulla relativita del concetto del giusto. Il primo discorso di Carneade e un cliché deliberativo. Fu il secondo discorso di Carneade che dimostra ai romani il potere dell’argumentazione – questo culto all’argumentazione dialettica fino al lit. hum. Oxon e la Unione di Parla – l’argumentazione scolastica – tesi, responsio, objection, ad p, contra p. tractatus – il dialogo filosofico, eirenico, diagoge, epagoge.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cammarata” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Campa: l’implicatura conversazionale dell’elogio della stoltizia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Presicce). Filosofo italiano. Grice: “You gotta love Campa; he has a gift for unusual metaphors: la fantasmagoria della parola, -- my favourite has to be his conjunct, ‘stupidity and unfaithfulness!’ --  Grice: “Philosophy runs out of names: there are British philosophers G. R. Grice and H. P. Grice, and Itallian philosophers R. Campa, and R. Campa.” Riccardo Campa  Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai cercando il sociologo, vedi Riccardo Campa (sociologo).  Riccardo Campa con il premio Nobel Eugenio Montale, Riccardo Campa (Presicce), filosofo. Storico della filosofia italiano, la cui indagine teorica si è incentrata sulla relazione fra la cultura umanistica e la cultura scientifica, delineando il percorso storico della cultura occidentale, in particolare nell'ambito europeo-latinoamericano.   Negli anni sessanta e settanta ha diretto la Biblioteca delle idee, sotto la presidenza scientifica del premio Nobel Eugenio Montale e contemporaneamente è stato condirettore responsabile del periodico Nuova Antologia, nel quale ha pubblicato saggi di letteratura e filosofia sul pensiero del Novecento; vi ha inoltre tradotto e pubblicato testi di Borges, Uscătescu, Segre, Chastel, Kaufmann, Gasset.   C.con Borges a Roma. ) «doctor honoris causa en las ciudades de Atenas y Nueva York, alfa y omega del conocimiento de lo que constituye Occidente [...] Asombra en su obra la recopilacion enciclopedica del pensamiento europeo, cimentada en la razon que la describe.» «C. ha ricevuto dottorati honoris causa nelle città di Atene e New York, l'alfa e l'omega della conoscenza di ciò che costituisce l'Occidente [...] Sorprende nella sua opera la raccolta enciclopedica del pensiero europeo, fondata sulla ragione che lo descrive.»  (Domingo Barbolla Camarero, Prologo, in Riccardo Campa La razon instrumental. El mesianismo nostalgico de la contemporaneidad, Madrid, Biblioteca Nueva, ) Ha partecipato, a seguito di regolare concorso a livello internazionale, al Forum Europeo di Alpbach, al Collège de France, e all'Universidad Internacional Menéndez Pelayo, e ha insegnato presso diverse università italiane e straniere (Bologna, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università per stranieri di Siena, Universidad de Morón), tenendo corsi di storia delle dottrine politiche, storia della filosofia,,storia delle Americhe e diritto politico. C. all'Università per Stranieri di Siena. Ha diretto l'Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e successivamente ha coordinato in Italia e nell'America Latina le attività celebrative del V Centenario dell'America, per disposizione del Ministero degli Affari Esteri.. Vicepresidente della Commissione Nazionale per la promozione della cultura italiana all'estero. Quale ormai consolidata personalità-ponte fra i due mondi, geograficamente separati ma culturalmente legati dalle comuni radici, svolge le funzioni di Direttore del Centro Studi, Documentazione e Biblioteca dell'Istituto Italo-Latino Americano di Roma. Contemporaneamente è stato Vicedirettore della Società Alighieri. Ha presieduto il Forum Internazionale sulla Società Contemporanea di Madeira e, alla scadenza di questo mandato, è stato eletto a Roma presidente della Federazione Internazionale di Studi sull'America Latina e i Caraibi.  In questo ambito, con il suo operato, ha garantito l'interscambio delle figure intellettuali più significative fra la cultura latinoamericana e quella europea, favorendone la reciproca conoscenza.  Riceve la nomina di Director Emeritus del Vico Chair of Italian Studies en Dowling, Nueva York nel.  Studioso di diverse discipline: dalla linguistica teorica alla filosofia del linguaggio, dalla filologia all'analisi letteraria alla storia della lingua; dalla filosofia teoretica alla filosofia della scienza, nella gestione della complessa realtà istituzionale, ha assunto l'incarico di Direttore del Centro di Eccellenza della Ricerca dell'Siena.  Già Ordinario del S.S.D SPS/2 (Storie delle dottrine politiche) presso la Facoltà di Lingua e Cultura Italiana dell'Università per Stranieri di Siena, gli è stato conferito il titolo di "Professore emerito".  Opere: Appartengono, fra gli altri, alla produzione classica:  Il potere politico nell'America Latina, Edizioni di Comunità, Milano; Il riformismo rivoluzionario cileno, Marsilio, Padova; Appunti per una storia del pensiero politico latino-americano, Lugano, Pantarei, 1971; L'universo politico omogeneo, Istituto Editoriale Internazionale, Milano; Las nuevas herejias, Biblioteca de Estudios Criticos, Madrid, Ediciones Istmo; La visione e la prassi: profilo di Bolìvar (pref. diPignatti, intr. di R. Medina Elorga, postfaz. di L. C. Camacho Leyva), Istituto Italo Latino-Americano, Roma; A reta e a curvaReflexōes sobre nosso tempo (Riflessioni con Oscar Niemeyer), São Paulo, Max Limonad, 1986; El estupor de EpicuroEnsayo sobre Erwin Schrödinger, Buenos Aires-Madrid, Alianza; La emocion: la filosofia de la infidelidad (prol. di R. H. Castagnino), Editorial Sudamericana, Buenos Aires, La escritura y la etimologia del mundo (con un saggio di Roland Barthes), Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1989; La malinconia di EpicuroRiflessioni in penombra con Jorge Luis Borges, Buenos Aires, Editorial SudamericanaFondazione Internazionale Jorge Luis Borges, 1990; La primeva unità: saggio sulla storia, Le Monnier, Firenze, 1990; La practica del dictamen: del ius a la humanitas, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires, 1990; El sondeo de la apariencia: el libro y la imagen, Gedisa, Buenos Aires; La trama del tiempo: ensayo sobre Italo Calvino, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos Aires, L'avventura e la nostalgia: Omaggio al Portogallo, Presidenza dei Consiglio dei Ministri, Roma 1994 La metarrealidad, Buenos Aires, Biblios, 1995; Le daimôn de la persuasion, Toulouse Cedex, Éditions Universitaires du Sud; The Renaissance and the invention of method, New York, Dowling College, 1998; La metafora dell'irrealtà: saggio su "Le avventure di Pinocchio", M. Pacini Fazzi, Lucca, 1999, L'esilio saggi di letteratura Latinoamericana, Il Mulino, Bologna, 2000; Il sortilegio e la vanità: saggio su Louis-Ferdinand Céline, Welland Ontario, Soleil; Caratterizzano la produzione più recente:  L'immediatezza e l'estemporaneità, New York, Dowling College PressBinghamton University, 2000; L'età delle ombre, New York, Binghamton University, 2001; Dismisura, Bologna, il Mulino; Le vestigia di Orfeo. Meditazioni in penombra con Jorge Luis Borges, Bologna, Il Mulino, 2003; A modernidade, Lisboa, Fim de século, 2005; Della comprensioneCompendio di mitografia contemporanea, Bologna, il Mulino; Ontem. L'elegia del Brasile, Bologna, il Mulino, 2007; Vicinanze abissali. L'approssimazione nell'epoca della scienza, Bologna, il Mulino, 2009; Langage et stratégie de communication, Paris, L'Harmattan; El Inca Garcilaso de la Vega, Madrid, Binghamton University, Ediciones ClasicasEdiciones del Orto,; I Trattatisti spagnoli del diritto delle genti, Bologna, Il Mulino,; La place et la pratique plébiscitaire, Paris, L'Harmattan,; El sortilegio de la palabra, Madrid, Biblioteca Nueva,; Elegy. Essays on the Word and the Desert, University Press Of The South,; L'America Latina. Un profilo, Bologna, Il Mulino,; La filosofia de la crisis. Epicureismo y Estoicismo, Editorial Sindéresis, Madrid,; El tiempo de la inedia. El invierno de Gunter, AntropiQa 2.0, Badajoz,; La eventualidad y la inexorabilidad. El invierno de Gunter, Editorial Sindéresis, Madrid,; La Destreza y el engano. Ensayo sobre Don Quijote de Miguel de Cervantes Saavedra, Ediciones Clasicas, Madrid,; L'America Latina. Un compendio, Bologna, Il Mulino,; Octavio Paz. El desconcierto de la modernidad, Ediciones Clasicas, Madrid,; La parola, Bologna, Il Mulino,; Cervantes. La linea del horizonte, Valencia, Albatros,, L'elegia del Nuovo Mondo, Bologna, Il Mulino,. La mundializacion, Valencia, Albatros,. Il convivio linguisttico. Riflessioni sul ruolo dell'italiano nel mondo contemporaneo, Roma, Carocci,  Note  Anno di conseguimento del titolo di Professore.  Ne ha diretto l'Istituto Storico-politico della Facoltà di Scienze Politiche.  Con decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, vi è stato nominato Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche.  Dopo averne curato, dal 2003 al 2005, il XII Congresso Internazionale, designato dall'Accademia delle Scienze di Russia ed eletto dall'Osaka.  Luigi Trenti, Il viaggio delle parole: scritti in onore di C., Perugia, Guerra Editore, 2008.  Antonio Requeni, Nueva vision de la literatura argentina, "Les Andes", 16 settembre 1984, 3° Seccion pag.1. Antonio Requeni, Presencia cultural de Italia en la Argentina, "La Prensa"; Requeni, Los intelectuales del mundo: hoy, Riccardo Campa: la Argentina, en el laberinto de Borges, "La Nacion", 20 Jesus Francisco Sanchez, Crisis del neocapitalismo podria hacer renacer ideas del socialismo y la izquierda: Ricardo Campa, "El Sol de Durango", 22 ottobre 2008, 6/A Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Riccardo Campa Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Riccardo Campa Filosofia Letteratura  Letteratura Filosofo del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici della filosofia italiani; PresicceProfessori dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. De oxgin^natalibns & patria  Jlultitia. StultitiamN dturd cffe atnicam  & humantgeneris per co\ inuos  mulieru partm coferuatricein. Pueritia fdelem ejfe affeclam.  i v« Nec mn. Adolescentia. Omni homini ejfs nccejfariam. Senibmmaximofo Utio. ^  xxi, Uec agrauibits& cordatisvi'   malienam.  vt 1 1 . ttiam commenthiis Gentilium   deaftrufamiliarem.  ix. Inea fouenda muliehem maximefexttmoccHpari..  %, Eandem amoris & amicitia   effe conciliatricem*  luu Con ; ugia & conctltare & fouere. Onmihominttm atati &ordi~ } ttifuccurrere. Ammum homhvbi»addere.  x i v» i n b: llis mx» n-m vim habere.  ' Vti  A B6VMET, ytietiamtn regendis Rebm pu~   hllLU,.   Et commodifmum etfe ' tam  conferuandaquam recuptra,-   di, iibertatu remedium.  xvi i. Gloria 6 bonoris inflrumen-  tum.   xvi n.Wferiarum vitahuman opti»   tnumcondtmentum x i x. Fontem.UtitU ac bUaritatu ap. L Duicem & dmakikm ejfe de qu4   msagimiu stultittam. 1 1. Faettsfimiltarem.  uu Nu nonlttstrarum&morum   Miagiftris.  i v. Maxtm^TadagogU. j   v. ltew<L Grammatick Vulgatibus.   vi. LibrorumScriptoribm.  vi i . Aftrologis.   VI 1 1 Magis-KccromAnticis & Diui-  natofibus.   ix. tuforibus,   x. Htigantibus  x i Chymic sjeu Akbymiftis. 1*4; A'rg vment Capit. Venatoribus. Attcupibus. Pifcatmbus. labricAntibus. Ambitiofo  rvM. antibus. Amantibus Hofientibus.Vriuilegiatts. iiiam Safritn Erasmo in Italia, Erasmo da Rotterdam. Riccardo Campa. Campa. Keywords. la stoltizia. Stoltus, stoltizia, stolto, stolto per Christo, pazzia, moria, enkoniom moirae ovvero laus stoltitiae. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campa” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Campa: l’implicatura conversazionale della rivincita del paganesimo romano – filosofia romana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Mantova). Filosofo italiano. Grice: “You gotta love Campa – he is right that ‘artificial species’ is an oxymoron – as is ‘transhuman’ – but his philosophising about the heathens, which is how Nero found the Christians, is very relevant!”  Conosciuto soprattutto per i suoi studi nel campo dell'etica della scienza e del transumanesimo e, precisamente, per la sua difesa dell'idea di evoluzione autodiretta. Svolge ricerche sia nella veste di Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica all'Università Jagellonica di Cracovia, sia nella veste di Presidente dell'Associazione Italiana Transumanisti, della quale è fondatore.  Si laurea a Bologna. Ha conseguito il titolo di Giornalista professionista presso l'Ordine dei giornalisti di Roma, il dottorato in Epistemologia all'Università Copernicus di Torun e l'abilitazione in Sociologia all'Università Jagellonica di Cracovia. Nell'ambito della sociologia della scienza, è annoverato tra gli allievi di Merton, fondatore di questa disciplina. A differenza di alcuni continuatori della scuola costruttivista, Merton ha sempre mostrato un atteggiamento positivo nei confronti delle scienze, e C. è rimasto fedele a questa impostazione. A tal proposito, il filosofo argentino-canadese Bunge ha rimarcato il fatto che «Campa è uno degli ultimi esemplari rimasti di una specie in estinzione: lo studioso pro-scienza della comunità scientifica».  I suoi studi hanno ricevuto una certa attenzione da parte dei media dopo che Fukuyama, all'epoca consigliere per la bioetica del presidente statunitense Bush, ha definito il transumanesimo «l'idea più pericolosa del mondo». Secondo Fukuyama il transumanesimo è una nuova forma di biopolitica che, pur essendo liberale e non coercitiva, rischia di minare il concetto di uguaglianza tra gli uomini. Simili posizioni critiche hanno assunto, in Italia, Veneziani, Ferrara, Rossi, e diversi opinionisti del quotidiano cattolico Avvenire, che hanno criticato le idee di C. e di altri filosofi e scienziati transumanisti (tra i quali, Bostrom, Hughes, Stock, e More), stimolando un dibattito ad ampio raggio sulle prospettive aperte dalle nuove tecnologie. Campa ha difeso le idee transumaniste in numerose pubblicazioni, interviste e dibattiti pubblici, apparendo talvolta anche in televisione, e sostenendo che le tecnologie emergenti e convergenti GRIN (un acronimo per Genetica, Robotica, Informatica e Nanotecnologia) non rappresentano un rischio inutile, come lasciano intendere i critici, ma un'opportunità di sviluppo in linea con l'atteggiamento prometeico che caratterizza la storia della civiltà occidentale. Le sue valutazioni, sull'opportunità di allungare la vita media e potenziare le facoltà mentali e fisiche dell'uomo, sono soprattutto di ordine etico e sociale. È autore di numerosi articoli e saggi, tra i quali spiccano sette libri monografici. Il filosofo è nudo (Marszalek) Etica della scienza pura (Sestante) Mutare o perire. La sfida del transumanesimo (Sestante) Le armi robotizzate del futuro. Il problema etico (CEMISS) Trattato di filosofia futurista (Avanguardia 21 Edizioni, ) La specie artificiale. Saggio di bioetica evolutiva (D) La rivincita del paganesimo. Una teoria della modernità (D) Creatori e Creature. Anatomia dei movimenti pro e contro gli OGM (D Editore, ) La società degli automi. Studi sulla disoccupazione tecnologica e sul reddito di cittadinanza (D) Credere nel futuro: Il lato mistico del transumanesimo (Orbis Idearum Press, ) È inoltre curatore della serie "Divenire. Rassegna di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano". Cerimonia di abilitazione all'Cracovia C. Cipolla, Manuale di sociologia della salute, Angeli, C., Epistemological Dimensions of Robert K. Merton's Sociology, Copernicus University Press, quarta di copertina. Fukuyama, “Transhumanism: The World's Most Dangerous Idea”, Foreign Policy, La versione italiana è apparsa sul Corriere della Sera con il titolo “Biotecnologie: la fine dell'uomo”,.  M. Veneziani, “Attenti l'uomo è fuori moda. La scienza prepara “l'oltreuomo”, Libero,  G. Ferrara, “Mettere in dubbio il dubbio”, Il Foglio,  Rossi, Speranze, Il Mulino, Bologna  A. Galli, “Nietzsche, profeta dell'eugenetica”, Avvenire,  Rassegna stampa degli articoli pro e contro il transumanesimo.  “Nascita del superuomo”, documentario di RAI 3,  Archiviato  in.; “Futuro in pillole”, puntata de Le Invasioni Barbariche condotta da Daria Bignardi, LA7;“Musica maestro”, servizio biografico di RAI 1, Sito della rivista Divenire, Mazzotti, Il Prof che suonava il rock, Gazzetta di Mantova, Guerra, Futurismo per la nuova umanità, Armando, Roma.  Il transumanismo. Cronaca di una rivoluzione annunciata, Lampi di Stampa, Milano C. biografia e  nel sito "transumanisti".   RIVINCERE. Di nuovo vincere. Lat. De nuo vincere. G. V. II, 14, 1. E l'uno gli rubello Alamagoa, el'altro la Spagna, poi le rivinselor oper forza. Dant. Conv. 127.  e questo senso non si acconcia cogli esempi di cassa riversala, nè digente riversata. Conveniva adunque portare la dichiarazione così: Riversatoda Riversare SII; nel qual paragrafo Riversare sta per Voltare a rovescio o sotto sopra. E inquesto significato dee si prendere la cassa riversata di Landolfo. Riversalo poi vale Resupino, Colla faccia volta all'insù nell'esempio d’ALIGHIERI, e richiede paragrafo separato. 414 OsseRVAZIONE Che Riversato venga da riversare siamo d'accordo. Ma il senso genuino di riversare è Versar di Nilovo, notato di Giudice non è metafora alcuna. Ei parla del terreno preparato per ricevere i denti del dragone da cui dovevano germogliare i guerrieri. E terreno rivesciato, cioè rivoltato, aralo è parlar proprio, non metaforico. Nè VIRGILIO parla figurało allorchè disse : Georg. I, 64. Pingue solum fortes inverlant tauri; Vomere terras invertere. esempio sopra RIVERSATO.Add. da Riversare. BOCCACCIO (si veda) nov.14,10. Che riversata , per forza Landolfo andò sotto l'onde. ALIGHIERI, Inf.: Noi passamm'oltre là'velagelata Ruvida mente un'altra gente fascia, Non volta in giù, ma tutta riversata. RIVESCIARE. S1. Permetaf. Guid. G. Il campo dunque è rivesciato; Iasone ardito, e tosiano al dragone si dirizza. OSSERVAZIONE Nell'. Per lunga riposanza in laoghi scuri, e freddi, e con affreddare lo corpo dell'occhio con acqua chiara, rivinsi la virtù disgregata, che tornai nel primo buono stato della vista. Sust, verbal. Il rivincere. Lat . Recuperatio. Introd. Virt. Della rivinta delle terre di quà da mare , che fa la fede cristiana. Osservazione — Non avendo noi il positivo Vivare, il composto Rivivare o è scorretta lezione in luogo di Ravvivare, o è voce pessimamente creata e indegna di starsi nella famiglia delle buone. E che bisogno n'ha ella la nostra lingua possedendo già Ravvivare? Almeno la Crusca l'avesse data per v. A. RIVOCARE. Richiamare, Far ritornare. s Per Mutare, Slornare, e Annullare il falto. AGGIUNTA, Rivocare in forse per Mettere in dubbio. Car. ENEIDE VIII, 620. E ti con questi preghi cessa di rivocar la possa inforse cel tuo volere.VIRGILIO. Ib.v.403. Absiste precando Viribus indubitare tuis. m OSSERVAZIONE Se gl’accademici avessero fatta magogiore attenzione agli esempi che ponevano sotto il verbo “rivincere”, si sarebbero accorti che nell'ano e nell'altro propriamente esso valeRicuperare,2 non già Vinceredi nuovo , in lat. Denuo vincere. Quindi non sarebbero an dati nella contraddizione di spiegare il sostantivo verbale Rivinta , e l'esempio che gli corrisponde , col latino Recuperatio, dandogli origine dal verbo Rivincere (in lat. recuperare) in un senso dal Vocabolario non accettato. Milano, Ibrjglii e Segati: Torino, E. Loesclier: Paris, A. Fontennoing).  L'opuscolo che qui ripresento agli studiosi ha suscitato dappertutto discussioni vivaci, ed era naturale  che le suscitasse. Era naturale, infatti, che molti facessero discendere la questione in un terreno scabro  ed irto di passioni; e pur gli altri, avvezzi per abito  della mente e per austera severità di propositi, a non  mirare se non alle ragioni obbiettive, era naturale che  molto s' interessassero dell' argomento, vedendo qui  posti quesiti altissimi non di storia soltanto, ma al-  tresì di psicologia popolare, e tentatane, come meglio  si è potuto, la soluzione. Ora, dopo si lungo dibatter  di ragioni avversarie, è tempo che riprenda la parola  io. La mia tesi si fonda sopra alcune contingenze di  fatti, la cui evidenza non può sfuggire ad un esame  impregiudicato. Si riassumano, di grazia, le ragioni  delle due parti tra le quali pende 1' accusa dell' in-  cendio di Roma. Se da una parte troviamo un uomo,  scelleratissimo quanto si vuole, dall'altra troviamo una  comunità segreta, della quale alcuni membri sono dediti al delitto per testimonianza degli scrittori pagani,  Questa prefazione fu pubblicata dinanzi alla seconda edizione (Torino 1900), e dinanzi alla edizione francese (Paris). L’incendio di roma e I PRIMI CRISTIANI  e dagli stessi apostoli son dichiarati indegni di predicare Cristo. Ma quell' uomo quando seppe che la sua  casa bruciava, torna a ROMA, tenta arrestare le fiamm e,  si mescolò in mezzo al popolo, girò di qua e di là  senza guardie  prese tutti i provvedimenti consigliati  dalla immanità del disastro ; e, mentr'ei cercava porre  riparo, scoppiò novello incendio; degli altri si sa che  di tanto in tanto prorompevano alla rivolta, che pre-  dicavano la conflagrazione del mondo, cui doveva  seguire il regno della giustizia; che tal regno essi aspet-  tavano dopo quello dell'Anticristo, che per essi l'Anti-Cristo è NERONE, che credevano, durante la loro  vita, essere riserbati al nuovo regno di luce e di bene;  che a ROMA augurarono ancora, pel corso di lunghi  secoli, distruzione e sterminio, che dopo la rovina  della potenza romana aspettavano il loro trionfo ; qual  meraviglia che tutto questo complesso di aspettazioni  e speranze abbia eccitato le menti incolte e fanatiche  degli schiavi miserrimi e li abbia spinti all' atto forsennato? Si aggiunga a tutto questo, che gli arrestati  furon confessi, secondochè mi pare avere ora novellamente dimostrato. In ogni movimento di rivendicazione sociale che si determina nelle masse, vediamo  tosto scindersi due partiti : quello dei più esaltati,  pronti all' azione immediata, e quello delle menti più  calme, che mal giungono a tenere a freno i primi.  Quei generosi che, scorti dal raggio della loro fede,  vennero a dare alle plebi la coscienza dei diritti umani,  mal poterono con tutti i loro consigli di temperanza,  reprimerne le turbolenze impetuose. Qual nuova concezione sarebbe mai questa, che la plebe romana, la  cui vita, da secoli, era stata tutto un seguito di con-  vulsioni e di fremiti, di sedizioni e rivolte, proprio  all' epoca di NERONE fosse diventata di tanti agnellini,  quando più ributtante era lo spettacolo delle umane  ineguaglianze, e più turbinavano nel suo seno le nuove correnti rivendicatrici! Tutt' altro! Anche in quella  moltitudine erano i falsi dottori, dei quali parla la co-  siddetta Secunda Petri, i quali promettendo agli altri la  libertà erano però essi stessi servi della corruzione,  i quali dopo esser fuggiti dalle contaminazioni del mondo  per la conoscenza di Gesù., si erano di nuovo in quelle  avviluppati; e, secondo le brutali imma-  gini che ivi troviamo, erano come cani tor-  nati al vomito loro, come porche lavate che di nuovo  si voltolano nel fango. Quando certi stati di aspetta-  zione angosciosa si determinano nelle masse, basta una  scintilla per spingerle ad eccessi inopinati. L'aununzio  della distruzione ignea decretata da Dio per la loro  generazione, la credenza che il regno di Dio non verrebbe, se non fosse distrutta la romana potenza, fu la  scintilla delle fiamme che divamparono sterminatrici.  Essi credevano compire la volontà divina, essere gli  esecutori della divina vendetta. Vano è parlare qui di  significati allegorici. Quando pur si potesse provare  che le allegorie che or si vogliono vedere sotto l' idea  del fuoco, si scorgessero pure dai primi proseliti, e  come tali si spiegassero (il che non è affatto), tutto  ciò sarebbe vano lo stesso. Il popolo interpreta le pa-  role nel loro senso materiale, e quando sente fuoco, in-  tende fuoco e nuli' altro.   Un' obbiezione, a prima giunta grave, mi fu fatta  da un chiaro critico : come mai ninno degli scrittori,  anche pagani, accusa di tale scempio i cristiani ? Pure,  la ragione di ciò credo poterla indicare. Il nodo della  questione credo che stia in ciò, che gii esecutori mate-  riali furono veramente i servi di NERONE, e che questi  interrogati perchè scagliassero le faci, dicevano di  agire per istigazione altrui. La credenza nella colpevolezza di NERONE si radicò quindi nelle coscienze, ed  ancor più crebbe dopo la morte di lui. Suole infatti  avvenire che a quelli che si rendono tristamente famosi per le turpitudini loro, tutte il popolo attribui-  sca le altre scelleraggini, delle quali suoni incerta e  dubbiosa la fama. E l' accusa o il sospetto dovè nascere nel popolo per naturale reazione di pietà verso  i condannati, qualche tempo dopo il disastro e il processo ; che altrimenti non si spiegherebbe come Ne-  rone non fosse stato ucciso dall' ira popolare, quando  si mescolò senza guardie in mezzo al popolo. E dovè  afforzarsi, quando Nerone o gli adulatori suoi espressero l' intenzione di chiamar dal suo nome la rifatta  città: che allora l'ambizione parve al popolo sufficiente motivo, a spiegar lo sterminio. E poiché NERONE dall'incendio di ROMA, che egli aveva visto, prese  poi r ispirazione per iscrivere il carme sulla rovina di  Troia, carme che forse cantò sul teatro della rinnovata sua casa, nacque più tardi in mezzo al popolo, la  fama che egli avesse cantato sulle rovine della patria. Del resto, che vi fossero scrittori che esplicitamente accusassero i cristiani, non credo sia da revocare in dubbio. Tacito stesso, direttamente o indiret-  tamente, deve averne usufruito qualcuno, come mi pare  possa dimostrarsi. Perchè tali scrittori non sieno stati  conservati, è vano chiedere. Durò per secoli la di-  struzione sistematica di tutto ciò che fosse avverso al  Cristianesimo. Gli scritti contro la nuova religione  sono periti; le accuse che al Cristianesimo si facevano,  le conosciamo, salvo pochi accenni qua e là, solo per  bocca dei difensori. Or questi scritti apologetici sono  di alcuni secoli posteriori a Nerone e ciascuno di essi  parla delle dottrine e dei costumi dei cristiani del  tempo suo ; non potremmo dunque aspettarci di tro-  vare in essi alcun tentativo di difesa contro un' accusa  che ninno più muoveva, essendo ormai invalsa anche  tra i pagani 1' opinione che accusava Nerone. Ma se  del fatto determinato, e cioè dell' incendio Neroniano  non si fa più parola, si fa per contro parola molto spesso delle tendenze rivoluzionarie e distruggitrici.  Tali tendenze erano forse una di quelle scelleraggini inerenti alla setta (flagitia cohaerentìa nomini),  alle quali accenna PLINIO (si veda), a proposito dei cristiani  di Bitinia. L'accusatore dei cristiani nell’Octavius di  Minucio Felice narra che essi, raccolta  dalla peggior feccia i più ignoranti e le credule fem-  minette, naturalmente deboli per la debolezza del loro  sesso, istituiscono una plebe di sacrilega congiura; e  più giù che essi alla terra e perfino all'uni-  verso e alle stelle minacciano incendio (e cioè la conflagrazione cosmica), e macchinano rovina. Ottavio ne  li difende, e la sua difesa è pur molto  istruttiva per noi. E, secondo lui, un volgare errore il  credere che non possa venire improvviso l' incendio  punitore; i saggi stessi dell'antichità, egli dice, e i  poeti han parlato della conflagrazione cosmica, del fiume  di fuoco e della Stigia palude, a punizione dei perversi. Ma niuno, ei soggiunge che non sia  sacrilego, delibera che sieno puniti con tali tormenti,  per quanto meritati, coloro che non riconoscono Dio,  come gli empii e gì' ingiusti. Ahimè, mite filosofo  antico, la storia posteriore ti ha dato torto! Non è  questa una risposta alle accuse e ai timori, che si nutrivano a riguardo dei cristiani ? Se dunque dell' accusa particolare, quella riguardante l' incendio neroniano, non si fa più motito, per le ragioni sopradette,  non si può dire che- ogni eco dell' accusa generica sia  spenta per sempre.   Altra obbiezione mi fu fatta, circa il criterio informatore di queste ricerche. Voi, mi si è detto, state  al giudizio degli scrittori pagani, per quanto riguarda  la moralità dei primi cristiani. Ora per lunghi secoli  continuarono le accuse contro i cristiani, e furono fra  le più atroci e terribili. Gl’apologisti cristiani opposere ad esse recise smentite. Perchè non si deve credere che sieno calunnie pur le accuse scagliate contro  i cristiani dei primi tempi? Senouchè, a proposito  di queste ultime, le accuse non partono solo da scrit-  tori pagani, ma altresì da cristiani, in passi dei quali  r interpretazione non può esser dubbia. Ma tal giudizio non riguarda tutta intera la comunità. Ohi nega  che in questa fossero spiriti superiori, ardenti del-  l' amore divino del bene ? Ma le novità, e novità tali,  quali eran quelle che nelF ordine sociale annunziava  il Cristianesimo, sogliono attrarre gli spiriti più turbolenti, e più esaltati, cui non par vero di coprire con  la nobiltà di un vessillo la licenza degli atti proprii.  E, se guardiani bene, pure tutte quelle orrende accuse  fatte in seguito ai cristiani, i riti dell' uccisione del  fanciullo, della Venere promiscua dopo la cena ed  altri simili, hanno tale spiegazione. Anche gli scrittori  cattolici riconoscono che tali calunnie si debbano a  tutte quelle sette di Carpocraziani, Nicolaiti, Gnostici,  che tali orrendi riti praticavano, e si arrogavano il  nome di cristiani. Che la chiesa abbia potuto respingere dal proprio seno questi sciagurati, e si sia andata man mano epurando, torna certo ad alta sua  gloria. Ma ciò stesso ne induce ad andar molto cauti,  quando vogliam negare a priori che nei primi tempi Si è sostenuto da alcuni che la critica moderna riferisca a quistioui di dogma e di gerarcliia i noti passi di Paolo,  nei quali esorta i Cristiani di Roma all' obbedienza e alla man-  suetudine; e si è citato in proposito Renan. Ma Renan dice  di quei passi (Saint Pani). Il semble qu'à l'epoque où  il écrivait cette épitre aux Romains diverses eglises, surtout  l'Église de Rome comptaient dans leur sein soit des disciples de Juda le Gaulonite, qui niaient la légitimité de l'impot et préchaient la róvolte contre l'autorité romaine, soit des ébionites  qui opposaient absolument i'un à l'autre le régne de Satan et le  régne du Messie, et identificient le monde présent avec l'empire  du Démon {Epiph. haer., XXX, 16; Honiél. pseudo-clém.). ldella chiesa potesse esservi ima moltitudine di faci-  norosi, pronti ad interpretare a lor modo le nuove  dottrine e a trascendere ad ogni eccesso. E la lettera di PLINIO si osserva, non è te-  stimonio dell' innocenza cristiana? Migriamo pure, se  cosi vuoisi, da Roma in Bitiuia, dai tempi di NERONE  a quelli di Traiano. La lettera domanda all' imperatore se debba punirsi la setta come tale o i delitti  ad essa connessi, e riferisce che degli interrogati alcuni dichiararono repiicatamente esser cristiani, e, senza  voler sapere che cosa ciò significasse, PLINIO, per la  loro ostinazione, li mandò al supplizio; altri negavano  essere stati mai cristiani ; altri affermarono essere, e  poi il negarono, dicendo essere stati, or più non esserlo ; tutti questi maledicevano Cristo, e veneravano  l' immagine dell' imperatore. Pur nel tempo in cui  erano cristiani asserivano altro non aver fatto se non  raccogliersi, venerare Cristo come se fosse un Dio, ed  obbligarsi con giuramento non a commettere delitti,  ma anzi a non commetterne. Due ancelle messe ai tormenti, non rivelarono se non una superstitio prava,  ìmmodica. Se questi infelici erano così invasi dalla  paura, da indursi a sconfessare la loro fede e maledire Cristo, si potrebbe mai aspettare da essi che rivelassero alcuna cosa che potesse danneggiarli? Ma  sieno stati pure innocentissimi i Cristiani di Bitinia  al tempo di Traiano ; che cosa prova ciò per alcune  fazioni dei cristiani di Roma al tempo di Nerone? Questo credemmo opportuno avvertire, circa le  ragioni generali e di metodo. Alle osservazioni sui singoli punti si risponderà nelle note o anche nel testo.  Non era possibile confutare partitamente ciascuno degli scritti venuti in luce. Quest' opuscolo sarebbe diventato un volume, con poco frutto dei lettori e degli  studii. Ne del resto era decente sottoporre alla considerazione dei lettori, scritti, nella maggior parte dei  quali la forma irosa mal si dibatte fra le scabrosità  della materia, e dalle ambagi del ragionamento guizza  ed erompe il vituperio. I fatti e le ragioni apportate  io ho tenuto in conto ; dei vituperii non mi curo, né  di essi conservo rancore. Mi conforta il consentimento  pressoché unanime a me venuto da coloro che rappresentano il più bel vanto degli studii italiani. In  mezzo alle loro voci o alle voci di quelli che, pur di-  scordi, seppero tener la misura, suonò un coro stridulo  di voci insolenti. Persone rese fanatiche da religioso  ardore si scagliarono contro di me, a contaminare la  purità delle intenzioui mie. In tale impresa l' igno-  ranza e la malafede fecero l'estrema lor possa. Io non  perderò la calma per le intemperanze altrui. Quel medesimo coro ha accompagnato sempre ogni opera di verità e di luce. Mentre la procella batteva alla mia  porta, io ripensavo mestamente che cosa mai potesse  suscitare in tanti animi impeti cosi vivaci contro di  me. Era là, in quei cuori angosciati, tutto lo schianto  come di una cara visione che si dilegui, come di una  zona luminosa sulla quale inopinatamente si effondano  tenebre. Povere anime desolate, ebbre di radiose speranze, io non ho offeso la vostra fede. Potreste voi  mai sostenere che, pur quando gran parte del mondo  fu conquistata alla luce e all'amore della vostra idea,  il fanatismo e l'errore sieno tosto dispariti dalla terra,  e cieche cupidigie e biechi livori non abbiano ancora  agitato gli spiriti? Perchè dovrebbe dunque ripugnare  alla vostra fede, l'ammettere che ciò sia avvenuto pure  agl'inizii della nuova era umana, in mezzo a gente  nei cui animi era 1' eredità di secolari rancori ?     Il primo quesito che si presenti alla mente di chi  esamini i racconti degli storici snll' incendio neronia-  no, è questo: l'incendio fu ordinato da Nerone? Degli  scrittori più antichi lo affermano Suetonio e Dione  Cassio, i quali ci hanno pure esposto le ragioni di tal  loro convinzione: sicché la notizia da essi data ha solo  valore in quanto possano averlo tali ragioni: di che  tosto vedremo. Tacito si avvale di fonti diverse, né  sembra aver fatto studio per rendere coerente il racconto suo; sicché prendendo or dall'uno autore or dall'altro, riesce ad indurre nel lettore ora 1' una convin-  zione or l'altra. Si mostra in principio esitante tra due  autorità di fonti: quelle che attribuivano il disastro  al caso e quelle che lo attribuivano a Nerone;  ma Si potrebbe obbiettare che uno storico può narrar cosa  vera, ma poi sbagliare nell' assegnare lo cause. E ciò è appunto  quello che penso io, e che dichiaro pure più sotto; le particola-  rità dell'incendio, narrate dagli storici non sono certo inventate  da essi, e sono, secondo ogni legittima presunzione, vere; la causa  dell'incendio, cioè l'ordine di Nerone, dobbiamo giudicarla alla  stregua delle ragioni che essi apportano di tal loro convinzione.  Giacche 1' attribuire l' incendio o al caso o all' ordine dell' uno  dell'altro, è convinzione o apprezzamento, non è fatto.  Lo afierma anche PLINIO (si veda) il Veccbio; e il suo accenno. N. II.: ad Neronis principis incendia, quihus cremava Urbem), prova che pochi anni dopo l'incendio, l'opinione  era già invalsa. Verisimilmente la medesima convinzione espri-     ll' ipotesi del caso doveva cadere per lui, che poco dopo  narra come certo il fatto che nessuno osò opporsi alla  violenza del fuoco, poiché uomini minacciosi vietavano  di estinguere le fiamme, anzi le ravvivavano, dicendo  di agire per consiglio altrui. E bensì vero che Tacito  aggiunge essere incerto se ciò facessero, per potere  senza freno abbandonarsi alle rapine o per vero comando: ma è evidente che la prima ragione non regge.  Giacché se essi giungevano a imporsi tanto con le minacele da impedire ogni tentativo di estinzione, pote-  vano pure senz' altro esercitare liberamente il saccheggio.   E del resto il ripetersi della cosa, con i medesimi  particolari, per tutta Roma, non significa 1' obbedienza  ad una parola d' ordine? Questa esclude il caso. E lo  esclude pure il fatto che, tosto allo spegnersi del primo,  si riaccese un secondo incendio, che proruppe dagli meva PLINIO nelie Storie civili che furono fonte a Tacito. La  narrazione di Sulpicio Severo (II, 29) è presa interamente da  Tacito, di cui riproduce molte frasi. Quella di Orosio è derivata, con qualche esagerazione di notizia, da Suetonio.  L'iscrizione in C. I. L., VI, 826 ha qvando vrbs per novem   DIES — ARSIT NERONIANIS TKMPORIBVS.  Importanti monumenti sono pure le are site in ciascuna  regione della città, sulle quali nei tempi successivi si celebra-  vano il 23 Agosto i sagritìzi incendiorum arcendorum causa;  alcune di tali are sono conservate ; cfr. Lanciani, Bull. com.; Hùlsen, Rom. Mitt. ;  Richter, Top.j- Una minaccia d' incendio  è attribuita a Nerone dall' autore dell' Ottavia, v. 882, Stazio  nella Silva dedicata alla vedova di Lucano ha infandos domini nocentis ignes. In tutta la letteratura di opposizione  a Nerone l'accusa dovè essere accolta con fervore. Alcune di  versità di particolari dalla narrazione tacitiana sono nella cor-  rispondenza apocrifa di Seneca e S. Paolo (v. Ramorino, Vox Urbis). Tra i moderni, oltre Aubè,  Schiller ed altri, lo Herstlet negò con buone ragioni, l'attribu-  zione a Nerone (Treppenwitz der Weltg.). Molti  l'attribuiscono al caso (ad es. AUard, Marucchi). I particolari  dell' incendio sono contrari a tale ipotesi: per ammetterla, biso-  gnerebbe ritenere falsi tutti i particolari narrati dagli antichi. orti di Tigellino e devastò un' altra parte della città.  Del resto Tacito sembra nou aver ridotto ad unità di  pensiero questa parte dell' opera sua: e aver piuttosto  abbozzato appunti da fonti discordi: vedremo infatti  essere molto probabile che una delle sue fonti accu-  sasse esplicitamente i cristiani. Suetonio accusa Nerone. E l'accusa egli fonda sopra tre  fatti. In un banchetto, avrebbe un convitato detto in  greco: quando io sia morto, si mescoli la terra col  fuoco », e Nerone avrebbe soggiunto; auzi quando  io sia vivo; di più, parecchi consolari sorpresero nei  loro possedimenti i servi imperiali, con stoppa e faci;  e per paura, neppur li molestarono; infine Nerone, de-     '-> Altro indizio che Tacito non abbia riassunto in una con-  cezione unica il fatto storico, ma abbia solo unito notizie di-  scordi da fonti diverse, si trae anche da questo. Ei riferisce  la voce che Nerone al tempo del disastro cantasse l'incendio  di Troia sul teatro domestico. Ma qual teatro? Quando ei 'tornò  da Anzio il palazzo imperiale bruciava ! Altra contraddizione. Debbo notare a tal proposito come a me abbia prodotto ingrata meraviglia, che del mio giudizio su Tacito altri  abbia menato scalpore, come di giudizio a bella posta indotto  per iscemare l'autorità di lui ed infirmarne la fede. Dopo tanti  studii perseguiti da tanti anni, sul materiale storico di Tacito,  sul suo fosco vedere, sulle sinistre interpretazioni sue, sulla  sua costante avversione per alcuni personaggi, si avrebbe il  diritto di pretendere che tanta mole di lavoro non fosse stata  fatta invano. Il Fabia, Le sources de  Tacite, osserva, contro L. Von Ranke, che Tacito si  astiene dall' accusare o dall' assolvere Nerone, adoperando frasi  come pervaserat rumor, videbatur, crederetnr. Ma a me paiono  giuste le seguenti considerazioni del Von Ranke, Weltgeschichte,  Leipzig: Es ware nun unsin-  nig zu denken, dass Nero, der sich bei dern Brande wurdig  betragen batte, jetzt, um eia durchaus falsches Geriicht nieder-  zuschlagen, zur Verfolgung \inschuldiger Lente geschritten  wàre. Man kann nicht anders als annehmen dass diese Stelle  aus des zweiten Nero anklagenden Ueberlieferung stammt. Die Nichtswiirdigkeit des Kaisers liegt eben darin, dass er den  Brand selbst angelegt hat und auf anderen die Schuid schiebt.  So die zwejte Ueberlieferung.] siderando sul Palatino l'area di alcuni granai costruiti  con pietra, li fece prima abbattere e poi fece ad essi  appiccare il fuoco. Anche Cassio Dione è esplicito, e  (juasi a riprova della sua accusa apporta due fatti:  die cioè Nerone aveva fatto voto di vedere la distru-  zione di Roma e che egli chiamò felice Priamo, perchè  aveva visto perire la patria sua. [Or veramente, se questi sono i fondamenti della  secolare accusa, lo storico spassionato dovrà rimanere  ben perplesso prima di confermarla. Certo fu uomo  di si efferate nefandezze Nerone, che non è a temere  gli si gravi troppo la soma dei delitti con un altro  misfatto; pure, giudicando senza prevenzioni, è facile  scorgere quanta sia la vacuità delle ragioni che gli  antichi apportano per incolparlo anche di questo.  Quanto ai servi di lui, sorpresi ad incendiare, il fatto  ha ogni verosimiglianza, ma ha ben altra spiegazione,  come si dirà in seguito. Quanto ai granai del Pala-  tino, è naturale che, quando tutto intorno era di-  strutto, visti superstiti quegl' informi ruderi, ei li fa-  cesse abbattere e incendiare, volendo liberare l' area  per la futura sontuosa sua casa. *' Quanto all' aneddoto,  raccontato da Dione Cassio, eh' egli avesse fatto voto  di veder distrutta la città, esso è infirmato dal fatto  che, .saputo appena che il fuoco s' approssimava al pa- [Questo passo di Suetonio (Ner.) ha fatto uscire di  careggiata non pochi. L'abbattimento e l'incendio dei granai  Suetonio lo apporta, perchè serve a dimostrare, secondo lui,  che Nerone non fece mistero dell' ordine d' incendiare {incendit   urbem tam palam ut bellicis machinis lahefactata atqiie   infiammata sint, ecc.). E chiaro che 1' argomentazione non è va-  lida. Se Nerone dette senza mistero 1' ordine di abbattere quei  granai, dovè dunque darlo quando tornò da Anzio; e allora tutto  intorno era già divorato dalle fiamme.] lazzo imperiale, egli rientrò in Roma, eppure non si  potè impedire (dice Tacito) che il Palatino e la reggia  e tutti i luoghi intorno fossero preda alle fiamme. Rimangono altri due aneddoti, e quello di Priamo e  quello del banchetto. E non è improbabile che Nerone  paragonasse sé stesso a Priamo, cui toccò di veder  distrutta la patria sua, e si chiamasse, ammettiamo  pure, fortunato di veder cosa unica al mondo: ma ciò  non si può apportare qual prova a confermare che  l'ordine partisse da lui. Ne tale deduzione si può  trarre dai motti di spirito, che secondo Suetonio ri-  ferisce, avrebbe egli scambiato con un suo convitato  in un banchetto. Che anzi, chi ben guardi, l'inter-  pretazione di qu3Ì motti è ben altra. Giacché se il  convitato disse: Ivj.oò Savóvro? Y^ia at/Gr^uo ttd.oi egli voleva evidentemente significare: « purché io sia morto,  si mescoli la terra col fuoco », e cioè, a un dipresso:  purché io non abbia più a correrne pericolo, caschi  pure il mondo! » Ed è naturale quindi che Nerone  rispondesse: « anzi, purché io continui a vivere » (immo  inquit, i'j.o'j Cwvioc). — Ci siamo indugiati in siffatti particolari aneddotici, non per conchiudere da essi soli,  che fu ingiusta l'accusa, ma solo per affermare che  non ci è dato indagare la verità da siffatte fonti.  Questi scrittori hanno poco discernimento critico.  Quando raccolgono fatti, ci offrono materiale prezioso:  quando li interpretano e ne tra^ggono deduzioni, sco-  prono tutto il debole dell'arte loro. Noi dunque dob-  biamo battere altra via. Dobbiamo esaminare le par- [Ed era la casa sontuosa, eh' egli stesso aveva fatto smi-  suratamente ingrandire, sicché comprendeva ormai tutta l'area  dal Palatino all'Esquilino. Il nome di Domus Transitoria (Suet.  Nei') trasse in uno strano errore il Renan, il quale credette  vedere in quello l'intenzione di Nerone di far, poi, una casa  definitiva. Ma transitoria significa solo che quella casa metteva  in comunicazione, come dice Tacito {Ann.) il Palatium  con gli orti di Mecenate ! Pascal] ticolarità tutte del disastro ìq relazione al carattere  ed ai fatti di Nerone. * Dobbiamo vedere quale poteva  essere per lui il movente ad emanare l'ordine sciagu-  rato, quali i mezzi per attuare l' immane disegno.  La capacità a delinquere di Nerone è fuori di ogni  discussione; e veramente, se solo ad essa noi dovessimo aver ricorso, la questione non sussisterebbe più.  Ma vi ha tempre e caratteri diversi di delinquenza:  alcuni sono nati alle audacie più forsennate, alle più  temerarie scelleraggini: altri praticano il delitto per  coperte insidie e per nascosti raggiri. Nerone, quale  cÀ risulta da tutti gli atti della sua vita, fu insi-  dioso e vile; sospettoso di tutto e di tutti, sempre  premuroso d' ingraziarsi il popolo con feste e largi-  zioni; assalito alcuna volta da crisi convulse, e trepidante per divina vendetta, superstizioso come un  fanciullo. Quando scoppiò l' incendio, egli era ad  Anzio. Scoppiò per ordine suo? Ma allora il suo  tristo segreto fu affidato non ad uno o due dei più  intimi, ma a centinaia, forse a migliaia di servi e  pretoriani!" Giacché per tutta Roma furono dissemi- [Mi si è mosso rimprovero che tali particolarità io de-  suma da quegli stessi scrittori, dei quali ho cercato infirmare  la fede. Ma le dichiarazioni che qui precedono sono esplicite ;  i fatti non sono certo inventati dagli scrittori : le deduzioni  che essi ne traggono sono erronee. In tutte le scelleratezze di Nerone si vede manifesto lo  studio di coprire nel segreto dei pochi fidati il misfatto. Il man-  dare l'ordine da Anzio a Roma a centinaia di servi e soldati, e il  tornare poi in mezzo al popolo, suppone un coraggio che non pos-  siamo davvero attribuirgli. Né è dato supporre che Nerone abbia  confidato l'ordine solo a qualche intimo. Questi non avrebbe po-  tuto fare se non trasmettere gli ordini imperiali; e Nerone capiva  che 1' ordine sarebbe stato quindi annunziato ai servi o soldati  solo come ordine suo. lnati coloro che impedivano ogni tentativo di estin-  zione, *" ed erano come riferisce Dione Cassio, anche  vigili e soldati che ravvivavano il fuoco. E si sup-  ponga pure che costoro nell' ebbrezza forsennata di  quelle notti infernali, obbedissero, senza esitanza, ad  un ordine che si diceva lor mandato dall' imperatore  lontano: ma quando poi l'imperatore tornò, e tentò  arrestare le fiamme, (Tac. Ann.), a chi obbe-  divano coloro che dagli orti di Tigellino fecero pro-  rompere novello incendio? E, se avesse dato l' ordine, sarebbe tornato Nerone? Un ordine, diffuso fra tanti servi e soldati,  non poteva rimanere un segreto per il popolo: avrebbe  Si potrebbe osservare : Perchè dovevano essere centi-  naia ? Non bastavano forse anche pochi per appiccare l'incen-  dio, se questo cominciò dalle bofteghe ripiene di merci accen-  sibili, e fu alimentato dal vento? Sennonché supposto pure che  pochi abbiano appiccato l' incendio, moltissimi dovevano pure  essere quelli che ordirono il complotto. Ed infatti per tutta  Roma erano sparsi coloro che impedivano ogni tentativo di  estinzione. Questi dovevano essere a parte del segreto, e per  essere sparsi in tutta Roma dovevano essere moltissimi. La  qual notizia della impedita estinzione non può essere revocata  in dubbio.- Se non v'era forte mano organizzata ad impedire  1' estinzione, molto prima dei nove giorni si sarebbero sedate  le fiamme. Non potevano certo obbedire a Nerone, poiché da lui ricevevano ormai l'ordine di arrestare le fiamme, non di riaccen-  derle. Si è sospettato potesse essere una finzione di Nerone il  tentativo di arrestare le fiamme. Ma ad ogni modo questa finzione non poteva avere efletto se non con opere di estinzione.  E non è consentaneo al carattere di Nerone che egli in mezzo  alla disperazione del popolo si fosse esposto al pericolo di rinnovare l'ordine incendiario. E Tigellino non avrebbe fatto incominciare dalla casa sua, lasciando intatto il Trastevere.  Si può pensare: col non tornare, avrebbe accresciuto i  sospetti. Ma questi apprezzamenti e calcoli di mente fredda di-  sdicono al carattere di Nerone. Si esamini, di grazia, il suo  contegno dopo 1' uccisione della madre (Tac. Ann.). E  cosi quando gli fu annunziata la defezione degli eserciti, non  osò presentarsi in pubblico, temendo esser fatto a brani (Suet.  Ner.). egli affrontato la plebe, pazza d' ira e di terrore? ''  E perchè l' avrebbe dato, quest' ordine ? Perchè, si risponde, non soffriva le vie tortuose e irregolari, con  le loro pestifere esalazioni, e voleva il vanto d'essere  chiamato fondatore di Roma; ojDpure, perchè voleva  godere lo spettacolo delle fiamme e cantare l'incendio.  Ed altri ancora risponde : dette l' ordine in un accesso  di pazzia.   Or veramente, quanto alle vie tortuose e strette,  la ragione non regge. L' incendio fu appiccato a tutte  le regioni più nobili e suntuose di Roma; perirono i  templi vetusti, i bagni, le passeggiate, i luoghi di de-  lizia, le case più ricche. Le regioni dei poveri, rot>curo  Trastevere, il centro della comunità giudaica e cristiana, furono rispettati. Eppure anche nel Traste-  vere aveva Nerone i suoi orti Domiziani e il suo circo,  che poteva desiderare di vedere sgombri dalle casupole e dalle viuzze che li circondavano. Voleva  godere lo spettacolo delle fiamme? Ma si sarebbe su-  bito mosso da Anzio; il ritardo poteva togliergli l'oc-  casione di goderlo! Rimane dunque che egli avesse  ordinato l' incendio in un accesso di pazzia. Ma quando  egli tornò a Roma, e, come riferisce Tacito {Ann. XV, 39\  cercò di opporsi al fuoco, ed aprì per ristoro al po-  polo il campo di Marte, i portici e le terme di Agrippa,  Che Nerone sin dalla prima notte del suo ritorno si ag-  girasse senza guardie per la città, è afìermato da Tacito stesso,  quando narra che Subrio Flavio aveva già prima della congiura  Pisoniana fatto il disegno di uccidere Nerone cum ardente domo  per noctem huc Ulne cursaret incustoditus! (Ann.) '' Non poteva regolare, si può dire, la direzione delle fiamme. Ma certamente, se il suo scopo era quello di togliere le  viuzze stretto e le case luride non sarebbe ricorso alle fiamme.  Bastava che il suo disegno d' abbellire Roma egli enunciasse,  per essere esaltato da tutto il popolo, e avere il concorso di tutti  i cittadini. E quando anche alle fiamme avesse voluto ricorrere,  avrebbe cominciato dai quartieri luridi, non da quelli nobili e  sontuosi.] gli orti suoi, e fece costrnire provvisorie capanne, e  diminuì il prezzo del frumento, era certamente nel  possesso delle facoltà sue : e allora chi rinnovò l' in-  cendio negli orti di Tigellino?  Ed ancora, si  ponga mente ad altre osservazioni. Nerone voleva sal-  vare la casa sua, ed infatti vi si adoperò, tornato a  Roma: avrebbe egli ordinato che si cominciasse ad  appiccare il fuoco proprio a quella parte del circo.  che era contigua al Palatino? Nerone amava credersi e farsi credere artista fine e di greco gusto. Non  avrebbe egli fatto mettere al sicuro le più belle opere  di scultura, i monumenti dei più chiari ingegni, i capilavori dell'arte greca? Anche questi perirono tutti,  e Nerone mandò gli emissarii suoi, per l'Asia e per la  Grecia, a depredarne dei nuovi. Quanto più si consideri l'accusa fatta a Nerone, tanto più essa risulta  incoerente e contradditoria. Ma dunque, chi ordinò  l'incendio? Quali furono gì' incendiarii? Quale scopo  ebbero? Chi incolpò i Cristiani? E quali erano i Cri-  stiani allora? Dobbiamo, per l' esposizione nostra, cominciare  dall'ultimo quesito, e poi a mano a mano, attraverso  gli altri, giungere sino al primo.   Sulla prima comunità cristiana in Roma abbiamo   E opportuno pnre notare che J racconto riguardante  Nerone, che sulle rovine «ii Roma canta i' incendio di Troia è  ritenuto, per buone ragioni, una leggenda. Y. Renan, JJ Anii-  christ che prese probabilmente i suoi argomenti  dalla nota del Fabricio a Cassio Dione. Non vale il dire: ricevuto il comando, non si badò più  a nulla. Sta pur sempre, che se il primo incendio cominciò dalla  casa di Nerone, e il secondo dalla casa di Tigellino, le fiaiume  forono appiccate da nomini che erano nemici di tatto l'ordine  sociale, che era rappresentato da quei di; e. scarsissimi documenti: pure ci viene da essi qualche  lume. Chi immagina i Cristiani al tempo di Nerone,  e anche prima, tutti intenti a bizantineggiare su que-  stioni di dogma, non può spiegare l' aggregarsi di  sempre nuovi proseliti alla parola evangelica. Se Ta-  cito dice che i cristiani erano allora « una immensa  moltitudine, ninna ragione v' ha per iscemare il  valore a siffatta testimonianza. Ora una immensa  moltitudine non si poteva commuovere per controversie riguardanti solo il, dogma giudaico. Ci vuole  altro per muovere le turbe. Se soltanto tali quesiti  avessero formato oggetto della predicazione evangelica, i gentili avrebbero probabilmente risposto come  il proconsole Corinzio rispose ai Giudei che accusa-  vano Paolo: « sono questioni di parole: pensateci voi.  Il cristianesimo dovè invece assumere ben presto in  Roma un contenuto sociale ed economico. Quel che  importava era il complesso delle aspirazioni e delle  rivendicazioni messianiche, era la parola dolce, che  per prima affermava 1' eguaglianza umana, e promet-  teva lo sterminio degli empii, e prossimo il regno della  giustizia. Ora questa sete ardente di rivendicazioni  umane era comune tanto al giudaismo quanto al cristianesimo. La differenza era in ciò, che per il cri-  stianesimo il Messia era già venuto, ma doveva tosto  tornare a disperdere le potenze maleJBche sulla terra;  il giudaismo non sapeva accomodarsi all'idea di un  Messia, che non avesse levato sugli empi la sua spada  di fuoco, e assicurato la supremazia al suo popolo   La testimonianza di Tacito è i-insaldata da quella di  Clem. Rom. Ad, Cor., I, 6 (nokò t:).YjOoc;), e da quella dell' ^joo-  calisse, VII, 9 {o/'koc, t:oXù<;) e da quella di S. Paolo che ai Fi-  lippesi dice, parlando dei cristiani di Roma : « Molti dei miei  fratelli nel Signore ». Contro siffatte testimonianze non v'è una  sola prova di fatto. Nulla trovo in proposito nel lavoro del-  l' Harnach, GescJdchte der Verbreitung des Christenthuvis, in  Sitzunysb. d. Akad. d. Wiss. zu Berlin.  leletto e feimato l' impero nella divina Gerusalemme,  bella d'oro, di cipresso e di cedro. Ma in sostanza  r una aspettazione e l' altra di un prossimo rinnova-  mento umano aveva un contenuto sociale; e a guardar  l'una e l'altra dal di fuori, era facile confonderle.  Quindi è che Giuseppe Flavio e Giusto di Tiberiade  non distinguono i cristiani dai giudei; e Tacito in un  passo (Bist.) confonde gli uni e gli altri; cosi  Suetonio, quando dice {Claud.) Jndaeos imimlsore  Chresto assidne tumultuantes Roma expnUf, intende evi-  dentemente (per quanto stranamente sia stato interpre-  tato questo passo) per Judaei i Cristiani, immaginando  Cristo ancor vivo ai tempi di Claudio,v anzi eccitatore  dei Giudei nei loro tentativi di riscossa. Che poi  la coscienza umana si sia spostata non verso il giudai-  smo, ma verso il cristianesimo, la ragione è manife-   Impulsore non può voler dire « a cagione » bensi « per  eccitamento ». È da mettere a riscontro questo passo di Sue-  tonio con un passo degli Atti degli Apostoli, nel quale si ha  questa notizia < [Paolo ^ trovato un certo Giudeo,  per nome Aquila, di nazione Pontico, da poco venuto in Italia,  insieme con Priscilla sua moglie (perciocché Claudio aveva comandato che tutti i Giudei si partissero di Roma), si accostò  a loro ; e poiché egli era della medesima arte, dimorava in casa  loro ». Ora è importante il fatto che Aquila e Priscilla erano  appunto cristiani: cfr. Rom.; Corint.; Tim.; Ada, E che il fossero anche  prima d'incontrarsi con Paolo si può con qualche probabilità  dedurre dal fatto che appunto in casa loro andò ad abitare  Paolo a Corinto. Paolo, Eom., li chiama suoi « coope-  ratori ». Cfr. De Rossi Bnll. ardi, crisi; Allard, Hist. des persécut..  E probabile dunque che Claudio scacciasse dalla città i Giudei  cristiani, non tutti i Giudei : tanto piìi che dei Giudei Cassio  Dione dice che Claudio ritenendo pericoloso a cagione  del loro numero scacciarli dalla città, si limitò a interdirne le  adunanze. E che 1' espulsione ordinata da Claudio non riguar-  dasse propriamente i Giudei viene indirettamente provato dal  fatto che Giuseppe Flavio, solitamente cosi bene informato di  tutto ciò che riguardai suoi compatrioti, non menziona di Clau-  dio se non atti di favore per essi {Ant, Ind.). sta. L'uno infatti rimaneva chiuso nel suo rigido par-  ticolarismo di razza, l'altro abbracciava nell'amor suo  l'universo. L'uno esaltava il popolo eletto dal Signore  e destinato al trionfo; l'altro predicando l'eguaglianza  umana volse la propaganda sua tra i Gentili. Di più  ancora, gli uni spostavano indefinitamente i termini  della dolce promessa, gli altri annunciando imminente  il desiderato ritorno, parevano soddisfare la impazienza  di rinnovamento umano, che è cosi caratteristica della  società romana del primo secolo. È facile immaginare quanto larga e immediata  diffusione avesse il cristianesimo tra gli schiavi, i quali  sentivano più che mai prepotente la brama di rivendicazioni e da secoli prorompevano di tratto in tratto  alla rivolta. D' altra parte, come avviene in tutti i  movimenti umani, si aggregava alle idee nuove quel  sostrato tenebroso della società che spunta fuori solo  nei giorni più torbidi, giungendo ad ogni eccesso cui  spingano le bieche passioni e i rancori lungamente  soffocati. Tali uomini gettavano fosca luce su tutta  intera la chiesa. Tacito dice: « odiati pei loro delitti »  i Cristiani, e meritevoli di ogni « pena più esemplare »  (Ann.); e Suetonio parla di essi come di gente  « malefica » (Ner.). Tacito e Suetonio hanno delle  virtù e delle colpe umane gli stessi concetti che ne  abbiamo noi. Quando essi parlano di delitti e male-  fizi, non è possibile assumere tali parole in signifi-  cato men tristo dell'usuale. La castità, la temperanza,  la rinuncia ai piaceri, l'odio per le turpitudini, erano  pure per essi tali pregi, che ne avrebbero commosso  di ammirazione reverente l'animo. Si potrebbe pen-  sare a calunnie sparse ad arte nel popolo. Ma è pur l'incendio di eoma e r primi cristiani vero che nelle stesse fonti cristiane abbiamo la prova  che molti nelle varie chiese fossero indegni di predicare la croce di Cristo. Paolo stesso, nella lettera  scritta da Roma ai Filippesi, così parla di alcuni, che  si erano aggregati alla nuova fede: « Molti dei fra-  telli nel Signore, rassicurati per i miei legami, hanno  preso vie maggiore ardire di proporre la parola di  Dio senza paura. Vero è che ve ne sono alcuni che  predicano Cristo anche per invidia e per contesa,  ma pure anche altri che lo predicano per buona affezione. Quelli certo annunziano Cristo per contesa,  non puramente, pensando aggiungere afflizione ai  miei legami; ma questi lo fanno per carità, sapendo  ch'io son posto per la difesa dell' evangelo ». A quante  interpretazioni han dato luogo queste parole! Eppure  a dichiarazione di esse mi pare che possano servire  quelle che Paolo aggiunge poco dopo:Siate miei  imitatori, o fratelli, e considerate coloro che camminano cosi Perciocché molti camminano, dei quali  molte volte vi ho detto, e ancora al presente vi dico  piangendo, che sono i nemici della croce di Cristo; il  cui fine è perdizione, il cui Dio è il ventre, la cui  gloria è nella confusione loro; i quali hanno il pensiero e l'affetto nelle cose terrene. Noi viviamo nei  cieli, come nella città nostra, onde ancora aspettiamo  il Salvatore. E più giù: « La vostra mansuetudine  Tali parole scritte ai Filippesi liHiiiio riscontro con quelle  della lettera ai Romani « lo vi esorto, fratelli, che  vi guardiate da coloro che commettono dissensi e scandali, con-  tro la dottrina che avete imparato e vi ritragghiate da essi.  Perciocché essi non servono al nostro Signore Gesù Cristo, ma  al proprio ventre, e con dolce e lusinghevole parlare seducono  il cuore dei semplici ». Dunque quelli che « non servono a Dio,  ma al proprio ventre », non si trovavano solo a Filippi, ma anche a Roma. Ingiusto è quindi l'appunto mossomi dal sig. Fr.  Cauer, in Beri, philol. Wock. Sulla recensione  del Cauer v. anche App. II, nota 1. Circa le varie questioni ri-  guardanti la lettera ai Filippesi, e propriamente la sua genui-  l' incendio di roma e i primi cristiani     sia nota a tutti gii uomini, il Signore è vicino. Non  siate con ansietà solleciti di cosa alcuna ». "" Il Signore  è vicino! Dunque, egli dice, siate mansueti, e cioè non  vi abbandonate a moti incomposti, aspettate con  calma e fiducia. Il seme gettato aveva fruttificato dovunque ; era seme di amore e fruttificò la rivolta. Ed  in Roma quali erano coloro che predicavano Cristo per  invidia e contesa? Erano quelli che avevano l'animo  alle cose terrene, che avevano invidia dei beni altrui, e prorompevano in contese e sommosse: questi,  sì, aggiungevano afflizione ai legami di Paolo. Egli  infatti doveva essere giudicato da Cesare e aveva  tutto l'interesse che non apparisse perturbatrice dello  Stato la sua dottrina; sul puro campo religioso l'assoluzione era sicura, giacche Roma in religione non  conobbe mai l' intolleranza. La nascente chiesa cristiana era già fin d' allora scissa in fazioni. AH' in-  fuori delle dispute dommatiche che tanto travagliarono a Paolo la nobile vita, era vivo nel primitivo  cristianesimo il dissenso tra quelli che cercavano in-  culcare l'aspettazione fidente della divina giustizia,  e quelli che volgevano le nuove dottrine a scopi di  immediate rivendicazioni materiali. Dagli scrittori mo-  derni è stato ampiamente studiato in che cosa consi- nità e l'unicità della sua composizione, v. gli autori citati presso  Clemen, Proleqom. z. Chron. der Paulinischen Briefe, Halle, Qualche scrittore ha accennato che tutti questi passi si  riferiscano a scismi e divisioni interne della nascente Chiesa,  per questioni di dogmi e di gerarchia. Quale relazione abbiano  il dogma e la gerarchia col ve>itre, di cui parla Paolo, col pen-  siero e V affetto volto ai beni terreni, non so vedere. Che se poi  invece si vuol parlare di scismi e divisioni riguardanti vera-  mente l'attaccamento ai beni terreni, si vuol supporre cioè che  avessero assunto il nome di Cristiani, uomini avidi ed invidiosi  dei beni altrui, allora siamo pienamente d'accordo; ed io posso  anche nutrire non vana speranza che i miei contraddittori siano  per venire nell' avviso mio.  l stessero i dissensi dommatici; ma non per questo dob-  biamo noi credere che solo ad essi si riducessero le  divisioni della prima chiesa. Anzi, chi ben guardi, a  riprovare il partito delle rivendicazioni sociali si trovavan concordi pur quelli che nel dogma eran dissen-  zienti; e se da una parte Paolo protesta esservi nella  Chiesa alcuni che sono nemici della croce di Cristo,  perchè il loro Dio è il ventre, il loro affetto è alle cose  terrene, Pietro parla a lungo di quelli tra i Cristiani  che sono schiavi di lor lascivia, che come animali senza  ragione vanno dietro all' impeto della natura, destinati a perire nella loro corruzione, essi che reputano  tutto il loro piacere consistere nelle giornaliere delizie, e non restano giammai di peccare, adescando le  anime deboli, ed avendo il cuore esercitato all' avarizia  (II Petrij 2). E, come Paolo, anche Pietro, nella P'' epi-  stola (la cui attribuzione è sicura) esorta i Cristiani alla  soggezione verso le autorità terrene, i sovrani e i governatori, e a ritenerli come inviati da Dio stesso, per  punire i malfattori e premiare quelli che fanno bene  (I). L'esortazione prova appunto che tra i Cristiani fosse una fazione turbolenta (cfr.Tim.).  È dato pensare col Eénan {Saint Paul) a quelle  sette cristiane che negavano la legittimità dell' im-  posta, che predicavano la rivolta contro l' impero, e  identificavano anzi l' impero al regno di Satana. La  maggior parte della prima chiesa sarà stata di persone invase dall'amor del bene e da fraterna carità; ma  la turbolenza fremeva in quella massa disforme, e la  parola apostolica mal giungeva a frenarla. Or qui è da  richiamare quel che abbiam sopra visto, riferito da  Suetonio, che cioè sotto Claudio i Cristiani tumul-  tuassero e fossero espulsi da Roma. Anche quel passo  è stato soggetto a tante interpretazioni! Pure a con-  ferma della nostra, basta rammentare il passo di Tacito  [Ann.) « quella perniciosa superstizione soffocata per il momento, prorompeva di nuovo », il quale  passo ci lascia anche comprendere che più d' uno do-  vettero essere i tentativi di soffocare il cristianesimo  nascente. -' Perchè soffocarlo, se non fosse stata in esso  una fazione rivoluzionaria? In Roma tutti i culti vivevano alla luce del sole. '" E che tal fazione avesse in  Roma il Cristianesimo, si deduce dalia lettera stessa  di Paolo ai Romani. Vi s' industria in ogni maniera di  incutere il rispetto all' autorità, tenta perfino di far  credere divina la potestà terrena: « Ogni persona sia  sottoposta alle potestà superiori, perciocché non vi è  potestà se non da Dio ; e le potestà che sono, sono da  Dio ordinate. Talché chi resiste alla podestà, resiste  all'ordine di Dio, e quelli che vi resistono riceveranno  giudizio sopra di loro » ecc. (7?o?»., 13). Indi pure si  spiega perchè ai cristiani si facesse accusa di professare  l'odio del genere umano. Tacito anzi dice che 1' accusa  fu provata (Ann.) odio humanis generis conoictì  sunt  Si è tentato d' interpretare il passo, adducendo  Pih d" uno, ho detto.^Le parole di Tacito sono : Auctor  nominis eius Christus, Tiberio iviperitante, jyer procuratorem P.  Pilatum sujypiicio adfectus fuerat; represscique in praesens exi-  tiabilis superstitio rursum erumpebnt. Se Tacito avesse voluto  dire che la repressione fu una sola, avrebbe detto eruperat;  invece eruinpebat è imperfetto iteratiro, in relazione con quel-  V in praesens. E il significato è: « ogni volta che era repressa  erompeva di nuovo. I provvedimenti repressivi presi in Roma contro certi  culti e cerimonie fui-ono determinati da ragioni di moralità e di  quiete pubblica ; cfr. Aubé, Histoìre des pemécutionfs;  De Marchi, Rendiconti Istituto Lomb. Giugno 1900; Ferrini,  Esposizione storica e dottrinale del diritto penale romano, Milano, Se il Cristianesimo avesse avuto un  solo carattere religioso sarebbe stato tollerato, come era tol-  lerato anzi qualche volta (Joseph. Ant. jud.), anche  favorito il giudaismo, che pur pretendeva all'esclusiva verità  del suo unico Dio, e pure aveva contrario il sentimento pubblico  Di simili accuse parlano spesso più tardi gli apologisti, Tertulliano, Apol.; hostes maluistis rocare generis humani; sicché a me sembra vano il tentativo d'in-  la rinuncia, che i cristiani professavano, ai beni e ai  piaceri della vita. Vani sforzi! Il mondo classico aveva  visto in tal genere le aberrazioni estreme della scuola  cinica, la quale tuttora vigeva (A)tn.); ed aveva  ancora, fiorente nel suo seno, l'ideale della virtù stoica. Gli è elle ogni rivendicazione di una classe sociale  contro l'altra, diventa necessariamente lotta e quindi  odio di classe. Strana sorte! Cristo e i suoi apostoli  insegnavano 1' amore; gettata la loro parola nelle mol-  titudini, era seme che fruttava 1' odio umano.   Fra quelle turbe, inasprite da secolari dolori, avide  della agognata riscossa, passò la figura dolce e confortatrice di Paolo. Persegui tenacemente e con fervore  divino, l'opera sua; diresse con la mansuetudine quei  cuori tempestosi, convertì quanti più potè tra i Preto-  riani ed i servi di Nerone (Ai Filipp.).  Finito poi, con l'assoluzione, il processo a suo carico,  non è certo che egli sia rimasto in Roma. L' ajino seguente, proruppe l'incendio. Il Signore è vicino ! aveva annunziato Paolo, e  tutta la letteratura evangelica contiene questo grido  angoscioso di aspettazione : « Io vi dico in verità che  alcuni di quelli che sono qui presenti, non proveranno  la morte, primachè non abbiano veduto il Figliuolo  dell' uomo venire nel suo regno. Io vi dico che   terpretare : d' essere odiati dal genere umano. Come può essere per alcuno un capo di accusa l'odio alti-ui? E si poteva  asserir seriamente che tutto il genere umano si unisse ad odiare  quella Chiesa segreta ed ignota? E ad ogni modo quando pur  si volesse sforzare la frase sino a tal senso, ci si guadagnerebbe ben poco. V. però su tutta la cronologia di Paolo, Harnack A., Die  Chronologie des altchristlichen Litteratur.  questa generazione non perirà, prima che tutto questo  avvenga. Cielo e terra periranno, ma non periranno le  mie parole. Così concordemente gli evangeli di Matteo, di Marco e di Luca. E la lettera di Jacopo. Siate  pazienti, fortificate i cuori vostri, la venuta del Signore  è vicina. E la lettera agli Ebrei. Ancora un breve  tempo e colui che deve venire, verrà e non tarderà ».  E Paolo stesso ai Romani. La notte è avanzata, e il  giorno è vicino. È noto che il dogma posteriore spostò  indefinitamente la speranza di questo avvento divino ma i cristiani di allora l'aspettavano per la loro ge-  nerazione. Paolo nella prima ai Tessalonicesi così dice:  « Noi viventi siamo riserbati sino alla venuta del Si-  gnore ». E gli oppressi, i conculcati, i disprezzati, si  estasiavano al prossimo adempimento della dolce pro-  messa. Ma quando, quando tornerà il liberatore, a sol-  levare gli umili, a punire gli empi ? « Quando avrete  veduto l'abbominio della desolazione, detta dal profeta   Daniele, posta dove non si conviene » rispondevano   gli evangelii {Marc, 13). « In quei giorni vi sarà affli-  zione tale, qual mai non fu dal principio della creazione  delle cose finora, ed anche mai non sarà! E se il Signore non avesse abbreviati quei giorni, ninna carne  scamperebbe ; ma per gli eletti suoi, il Signore li ha   abbreviati Allora se alcuno vi dice: Ecco qua Cristo,   ovvero: Eccolo là, noi crediate Ma in quei giorni,   dopo quell'afflizione, il sole oscurerà, la luna non darà  più il suo splendore. E le stelle dal cielo cadranno, e  le potenze nei cieli saranno scrollate. E allora gii uo-  mini vedranno il Figliuolo dell'uomo venir dalle nuvole,  con gran potenza e gloria». Così l'idea del prossimo ri-  torno di Cristo era congiunta con quella della fine del  mondo, cui doveva far seguito la rinnovazione delle  cose, e la rigenerata umanità. Cristo stesso indicando  i superbi palagi di Gerusalemme aveva detto : « Vedi  tu questi grandi edifici ? Ei non sarà lasciata pietra sopra pietra». E Griovanni aveva annunziato :.« Fi-  gliuoli è l'ultima ora », (Giov.), e Pietro : « È  prossima la fine delle cose ». È prossima? ma non era  r età di Nerone 1' abbominio della desolazione di cui  aveva parlato il profeta ? ^° E non aveva promesso il  Signore, che sarebbero brevi quei giorni, perchè altri-  menti niuno si salverebbe ? E dopo la distruzione, il  rinnovamento : dopo le ingiustizie secolari, 1' egua-  glianza e la pace ! E il recente convertito trovava nel  fondo oscuro della sua coscienza le reliquie del paganesimo, che vi persistevano tenaci : dunque, pensava, lo  stoicismo non s'ingannava, e pure attraverso il mondo  nostro era penetrato un raggio del vero: era penetrato  per gli oracoli delle Sibille, per le predizioni etrusche,  per le dottrine degli stoici : tutti annunziavano la fine  delle cose e la novella progenie umana; tutti annun-  ziavano il prossimo regno del Sole, cioè del fuoco, che  rigenererebbe l' universo, e Vergilio stesso lo aveva  cantato {Ed.). Ma sopratutto lo stoicismo pareva  dare a queste anime turbate il cupo consiglio, lo stoi-  cismo, che essi sostanzialmente non distinguevano dal  Cristianesimo per il suo contenuto morale, e che come  contenuto sociale aveva le stesse aspettazioni di rinnovamento umano. Or lo stoicismo predicava l'ecp^ros/V,  combustione cosmica, come fine del mondo, e principio della nuova era umana.   Per alcuni stoici questa combustione cosmica do- Nerone era veramente per i cristiani l'Anticristo, la be-  stia nera {-o OY,piov lo chiama V Apocalisse), l'uomo del peccato,  il figliuolo della perdizione, di cui parla la II di Paolo ai Tessa-  lonicesi. Il suo regno era dunque annunzio dell' imminente  regno di Dio (v. la citata lettera di Paolo, cap. II); cfr. Renan,  S. Paul, L' àvOpiD-o; T-r,v àv&[j.[a; è personificazione  della potenza mondana, che deve rivelarsi con impeto prima  della fine del mondo; cfr. Ferrar, The Life and Work of St. Paul, Sulla genuinità della Seconda ai Tessa-  lonicesi, V. Weizsàcker, Zeilschr. f. iciss. TlievL;  Briickner, Chronol. Reihenfolge, veva essere preceduta dal diluvio, secondo l'idea antica  di Eraclito (v. il framm. presso Clemente, Strom.).  Tale è pure l' idea di Seneca, nel quale è così ardente  il desiderio di rinnovamento, che alcune parole di lui  sembrano uscite dalla bocca di un apostolo [Nat. Qw.). Anch' egli cupamente anìiunzia : « Non tarderà  molto la distruzione ! »   E come il vecchio Eraclito, e dietro di Ini le scuole  stoiche, simboleggiando nel fuoco l'anima divina del-  l' universo, aveva detto (presso Ippolito) : « il  fuoco tutto assalendo giudicherà ed invaderà », così nel  dogma cristiano si assegnò all'incendio del mondo l'uf-  ficio di purificazione e giudizio finale. Gli antichi pro-  feti d'Israele erano t\itti pieni di fremiti sdegnosi, di  ansiose aspettazioni dell' ora punitrice. Neil' anima di  Isaia pare accogliersi tutta la protesta dei miseri, l'onta  per la dominazione assira, l'odio per chi procurava la  rovina al popolo. Egli scatta e minaccia : « Voi sarete  come una quercia di cui son cascate le foglie, come un  giardino senz' acqua. Il forte diventerà stoppa, l'opera  sua favilla; l'una e l'altra saranno arse insieme: non  vi sarà niuno che spenga il fuoco » (I). Questi  fremiti sdegnosi si risentiranno più tardi nell'Apoca-  lisse cristiana. E l'idea della combustione del mondo  fu pur congiunta, nel dogma cristiano, a quella del se-  condo avvento di Cristo : « I cieli e la terra del tempo  presente per la medesima parola son riposti, giac-  ché sono riserbati al fuoco, nel giorno del giudizio e  della perdizione degli empi. Or quest'unica cosa non  vi sia celata, diletti, che per il Signore un giorno è  come mille anni, e mille anni come un giorno. Il Signore non ritarda, come alcuni reputano, la sua promessa,  anzi è paziente verso di noi, non volendo che alcuni pe-  riscano, ma che tutti vengano a penitenza. E il giorno  del Signore verrà come un ladro di notte ; in quello i  cieli passeranno rapidamente, gli elementi divampati si dissolveranno ; la terra e le opere che sono in essa  , saranno arse. Poiché tutte queste cose hanno da dis-  solversi, quali vi conviene essere in sante conversazioni  e pietà, aspettando e affrettandovi all' av venirti ento del  giorno di Dio, nel quale i cieli infuocati si dissolveranno, gli elementi infiammati si distruggeranno ! (Così  la così detta Petri, V. anche Cai-m. sibyll.).E certamente, questi  apostoli della dottrina avranno fatto ogni sforzo per  provare che il fuoco era divino, non umano, e per esor-  tare alla calma e all'aspettazione fidente di Dio. Questo  risulta dalle parole che abbiamo citato, anzi risulta da  tutta intera la letteratura apostolica, che è piena di  consigli miti. Ma risulta altresì l'impazienza di alcuni.  Gettate una dottrina come questa, dell'imminente fuoco,  punitore di tutti i gaudenti della terra, in mezzo ad  una turba di schiavi, di gladiatori, di oppressi; e voi  vedrete a tale annunzio in diversa guisa manifestarsi  r animo di ognuno, altri raccogliersi nelle trepidanze  angosciose, altri, i più violenti, i tristi per natura,  correre a sfogare le ultime agognate vendette. Rotti i  vincoli e i freni umani, erompe l'animo dei tristi a sod-  disfare con facile ardire le passioni prima represse o  celate. Le vendette, le violenze e il saccheggio sono le  forme consuete cui irrompono, in tal condizione di spiriti, le turbe forsennate. Altri forse, illusi o fanatici,  avranno creduto trovare giustificazione nella stessa parola divina. Cristo stesso aveva detto : « io sono venuto  a portare il fuoco sopra la terra » (Luca), Essi credevano essere gli esecutori della divina vendetta, essi  dovevano iniziare l'opera redentrice. Le masse esaltate  dal fanatismo sprezzano i consigli della moderazione  e della calma. Fermentano allora in quelle coscienze  commosse tutte le ire e tutti i rancori ; perduti ritegni  e timori umani e divini, gli animi si spingono ad ogni  eccesso.   e Pasotil. ' 10     14r; l'lu quale altra comunità romana in quel tempo po-  tevano essere così vivaci gl'impulsi all'atto forsennato?  Certo, anche gii Ebrei auguravano a Roma stermioio;  ma non aspettavano fiamme vendicatrici per la loro  generazione ; nella Corte di Nerone erano bene accetti;  in lui non vedevano l'Anticristo, il mostro, l'uomo del  peccato, annunzio del prossimo regno di Dio. Solo  dunque 1' ultimo strato sociale, cui si era portata la  parola dell' eguaglianza e dell'amore, poteva erompere  all' opera distruttrice. QuelT ultimo strato sociale era  abbeverato di odio contro tutto 1' ordine presente. Gli  apostoli davano bensì consigli di obbedienza ai loro  padroni; ma dalle loro stesse parole risulta che alcuni  andavan predicando dottrine ben diverse. Si ascolti  Paolo a Timoteo. Tutti i servi che sono  sotto il giogo reputino i loro signori degni di ogni  onore, perchè non sieno bestemmiati il nome di Dio  e la dottrina. E quelli che hanno signori fedeli non  manchino ai proprii doveri verso di essi, perchè son  fratelli; anzi molto più li servano, perchè son fedeli  diletti e che partecipano del benefiziG^. Insegna queste  cose ed inculcale. /Se alcuno insegna/ diversa dottrina, e  non si attiene alle sane parole del signore Gesù Cristo, e  alla dottrina che è secondo pietà, esso si gonfia senza saper  nulla, vaneggiando tra dispute e logomachie, onde sorgono  odi, contese, bestemmie, tristi sospyetti, conjiitti di uomini  viziati di mente e alieni dal vero, che credono la pietà  abbia ad essere un guadagno ». Come scruta addentro  nelle latebre dell'anima lo sguardo profondo di Paolo!  L' amore universale, che egli aveva annunziato diven-  tava naturalmente per il popolo pretesa di rivendica-  zione : la pietà diventava guadagno. E non pure v' erano  quelli che agitavano la questione dello scuotere il giogo  secolare, come indubbiamente risulta dalle parole or  citate di Paolo; ma contro tutta la compagine e l'orga-  nizzazione sociale e l' imjjero stesso si appuntavano gli odii loro. Anzi nel primitivo dogma era che allora av-  verrebbe l' incendio del mondo e quindi il regno della  giustizia, (luaiido avvenisse la fine dell' impero. Certo, in  tale forma noi troviamo più tardi il dogma in Tertul-  liano. « Noi preghiamo, egli dice {Apolog.), per 1' im-  pero e per lo stato romano, noi i quali ben sappiamo  che la massima rovina che sovrasta all'universo intero,  il chiudersi dell' èra nostra, che ci minaccia orrende  sciagure, di tanto sarà ritardata di quanto si prolun-  gherà il romano impero » (così pure nel liher ad Sca-  p ulani).   Qui 1' appressarsi del fato estremo è cagione di  trepidanza, come nel mille; nell'epoca neroniana era  aspettata con fervore di desiderio e si accusava Dio  della ritardata promessa {Petri). Molti passi  della letteratura apostolica attestano il fermento degli  spiriti e la loro desiosa aspettazione dell'ora finale.  A più eccitarli si facevano perfino correre false apo-  calissi [li Tessal.). Si spiega quindi come solo  all' epoca neroniana, potè erompere l' impazienza al-  l' atto forsennato. — E che anche nell'epoca neroniana  si unissero i due concetti della fine del mondo e della  fine dell' impero, si deduce da quel che sopra abbia-  mo visto, che il regno di Dio doveva esser preceduto  dal regno del mostro (11 Tessal.); il mostro era  Nerone.   Se dunque la distruzione dell' impero, rauuienta-  raento dell'Anticristo era il principio della divina giu-  stizia, si richiederà, credo, una volontà ben salda per  negare ancora che questi poveri fanatici, forse indotti  da eccitamenti malvagi, abbiali voluto farla finita con  r impero e con Roma. 11 fuoco, il fuoco devastatore  avrebbe posto fine all'abbominio e rigenerata l'umanità  neir innocenza. Come la potenza della luce era prece-  duta da quella delle tenebre, e il regno di Dio da quello  del mostro, cosi il fuoco divino doveva esser preceduto dal fuoco umano, che avrebbe annientata la sede stessa  dell' impero." Ed ora, dopo aver esaminato quali passioni fre-  mevano nel cuore, quali dottrine esaltavano le menti  di una parte di questa comunità cristiana, torniamo  alla narrazione dell'incendio. Di tante centinaia di sol-  dati e servi incendiari, è possibile che nessuno fosse  riconosciuto ? Non è possibile, che anzi si sapeva che  erano i servi del cubicolo imperiese e i soldati del pre-  torio. E quando furono riconosciuti ed arrestati, perchè  non avrebbero addotto 1' ordine di Nerone ? E Nerone  si sarebbe messo, dinanzi al popolo, allo sbaraglio di  questa terribile prova ? Invece i primi arrestati con-  fessarono. « S' iniziò il processo primamente, dice Ta-  cito {Ann.), contro i rei confessi ; dipoi mol-  tissimi altri, per denunzia di essi, non furono tanto  convinti di avere appiccato il fuoco, quanto di odiare  il genere umano » ^' (o secondo altri : di essere odiati !).  Non come prova, ma come elemento di fatto che può avere  relazione col nostro argomento, crediamo far menzione di una  curiosa scoperta fatta a Pompei. Sopra una muraglia,  tracciate col carbone, si scopersero alcune lettere. Il Kiessling  {Bull. Ist. corr. ardi.) che primo, col Miuervini e  col Fiorelli vide il documento, credette poter leggere ignì gavdb  CHRISTIANE. Le lettere al contatto dell' aria si dileguarono. Due  anni dopo il De Rossi non ne vide più nulla e dovette conten-  tarsi di un fac-simile tracciato dal Minervini. Sul fac-simile  credette dover leggere : avdi cukistianos ; e con altri residui  di lettere sparsi qua e là per le muraglie, tentò tutta una ri-  costruzione, a dir vero un po' romantica, contro la quale qual-  che buona osservazione fece i' Aubé, lILst. des pers. I, pag. 418.   •'Nell'interpretazione di questo passo troppe volte la pas-  sione ha fatto velo all'intelligenza. Riportiamo tutto il passo,  ed esaminiamo le singole espressioni, avvalendoci, in parte,  delle prove già apportate da H. Schiller, in Commentationes  in honorem Th. Mommseni, pag. 41 e segg., per quanto noi non  vogliamo giungere alle esagerate sue conclusioni. La reità dunque fu provata solo in parte per la prima  accusa ; j)er tutti fu provata la seconda accusa, quella     « Ergo, aholrndo rumori Nero subdidit reos et quaesitift-  simis poenis affecit quos per flagitia invisos, vulgus christianos  appellabat. Auctor noìinnis e'ms Christus, ecc. Igitur primiim.  correpti qui fatebantur ; deinde indicio eorum mnltitudo ingens,  haud perinde in crimine incenda quam odio humani generis  convicti sunt ».   Il subdidit reos si vori-ebbe spiegare « sostituì al vero col-  pevole i falsi ». Rimandiamo, per il valore della frase, all' app.  Ili di qnesto studio. Passiamo al primum correpti qui fate-  bantur. Corripere denota l' inizio della procedura penale : cfr.  Ann. II, 28; III, 49, 66; IV, 19, 66; VI, 40; XII, 42. Se la pro-  cedura penale fu iniziata, dovè iniziarsi per il delitto di cui si  tratta, il crimen incenda ; non potè essere per una causa di  religione, che del resto si sarebbe dovuto svolgere dinanzi al  Senato (cfr. Tac. Ann.; Suet. Tib.: Dione; Suet.  Claudio). Nerone era scelleratissimo, ma non era sciocco ;  e una sciocchezza sarebbe stato accusare per il delitto d' in-  cendio, e fare un processo di religione. Pretendere che Nerone  abbia fatto questo, significa supporre senza prove che egli ab-  bia introdotto nella legislazione penale un delitto nuovo ; e ciò  proprio all'indomani dell'assoluzione di Paolo, il quale aveva  potuto per due anni predicare Cristo con ogni franchezza e  senza divieto {Atti upost.). « Furono dunque prima-  mente processati d'incendio quelli che via via confessavano ».  Confessavano che cosa ? Quando fatevi o confiteri sono adope-  rati assolutamente in relazione a un processo significano: «di-  chiararsi reo di quello per cui si è accusati » ; cfr. Ili, 67 ; XI,  1 ; XI, 35 ; Cic. : Mil. 15 ; Lig. 10. Si vuole invece supplire se  Christianos esse. Ma per tal significato il verbo di Tacito sa-  rebbe stato profiteri; cfr. Ilist, III, 51; III, 54; IV, 10; IV,  40. Ann. I, 81 ; II, 10, 42. K dovendo giudicare dell' incendio  era assurdo il chiedere la confessione di altra colpa, dì cui era  competente a decidere solo il Senato. Altra colpa ? Si può pro-  prio seriamente affermare che si ritenesse allora dai Romani  colpa il professare una religione qualsiasi ? In ogni altro caso,  trattandosi di una accusa determinata, quella dell' incendio, a  niuno mai sarebbe venuto in mente che la confessione degli  accusati potesse intendersi di altro che di incendio; e il pre  sentare tale ipotesi sarebbe parsa tale enormità, qual sarebbe  quella ad esempio di colui che nel passo di Cicerone, Mil. 15  « ni,si vidisset posse absolvi eum. qui fateretur » volesse inten-  dere il fateretur in un significato diverso da quello di « essere  reo confesso di omicidio ». Ma la passione spiega qualsiasi  aberrazione. — Segue indicio eorum. Indicium è la denuncia se-   più generica. E cioè : i primi, gli esecutori materiali,  confessarono e denunciarono i compagni (indicio eorum):     greta o la rivelazione fatta da accusati o da colpevoli contro al-  tri colpevoli (Ann.). E poiché l'accusa qui è delV incendio, anche indicium si  riferisce a tale accusa. Nella lettera di Plinio, X, 96 1' accusa è  invece deire.<fser cristiani; e index quindi significa « denunziatore dei Cristiani » e per questo anche nella medesima lettera  cuìifitentes vale « quelli che si confessavano cristiani » : l'accusa  era proprio questa! — Si è obiettato che i Cristiani non pote-  vano denunziare i loro fratelli. Il che può significare che questi  non erano veri Cristiani, che erano povero volgo ignai-o, aggre-  gatosi al partito delle novità per ispirito di rivolta; ma non  ci potrà indurre a sostituire una interpretazione falsa ad una  vera. Anche i Cristiani di Bitinia, interrogati da Plinio, non  potevano maledire Cristo, sconfessare la fede e venerare l'im-  magine di Traiano ; eppure « omnes et imaginem. tiiam deorum-  que mnulacra venerati suni et Christo male dixenmt » (Plinio). — Segue : « haud, jìprinde in crimine incenda  quam odio Immani generis convicti sunt*. Haud perinde quam,  {haud proinde quam), non perinde quam significano : « non  tanto..., quanto » ; cfr. Ann. La seconda cosa si afferma dunque in proporzioni maggiori della  prima, ma tutte e due si affermano. E cioè, nel caso nostro,  la prova della partecipazione all' incendio si ebbe solo per al-  cuni ; tutti furono provati rei {convicti sunt) deW odio Immani  generis. Provati rei, da chi? mi si è detto. Dai ministri di Nerone. Non è questo il significato del convicti sunt, che non de-  nota la dichiarazione di reità fatta da un giudice, bensi la  prova inconfutabile e che non può essere disconosciuta dallo  stesso accusato. Qualcuno ha suggerito invece del convicti co-  niuncti del Mediceo. Il coniuncti è stato forse indotto ilal co-  pista a cagione di quell' in crimine, che pareva non convenirsi  alla costruzione del convicti. E ad ogni modo non potrebbe si-  gnificare se non: « furono congiunti non tanto nell'accusa d'incendio quanto.... ». Il che tornerebbe a quel che dico io, indi-  cherebbe cioè che 1' accusa di incendio non fu abbandonata :  ma poiché non tutti furono trovati colpevoli d' incendio, furono  tutti coinvolti nell'accusa di odio contro il genere umano. Debbo pure avvertire che le parole di Tacito [im) : miseratio  oriebatur, tamquam non utilitate pnblica sed in saevifiam unius  absumerentur non significano già che Tacito credesse inno-  centi i Cristiani, e non sono quindi in contraddizione con tutto  ciò che precede Tacito non dice nam,.... absumebantur ; dice:  < nasceva compassione nel popolo quasiché {tamquam) i Cri-  stiani si facessero perire non per utilità pubblica, ma per sod-     allora non si volle sapere altro, si fece l'arresto in  massa dei cristiani, e ninno di essi smenti la sua fede;  solo questi ultimi- dichiararono non aver preso parte  all'incendio, come i primi; ma era lo stesso, erano tutti  rei di queir odio umano che aveva armato le mani di  fiaccole : furono tutti condannati.   Come si vede. Tacito prese questi particolari da  una terza fonte, e credette doverli registrare come fatti  accertati, pure cercando di smorzare le tinte e adope-  rare espressioni un poco oscure, per non nuocere all'in-  tento suo di gettare qualche sospetto su Nerone.   Il che si rivela pure dalle parole seguenti : « na-  sceva compassione (per i Cristiani condannati ai suppli-  disfare la crudeltà di un solo », il che si riferisce alle voci che  correvano nel popolo accusafcrici di Nerone. Quando il popolo  vide tra i condannati i servi di Nerone e i soldati del pretorio,  non potè non sospettare che essi avessero agito per ordine dell'Imperatore. Tacito parla dei Cristiani come colpevoli, o con-  vinti o confessi, ma distinguendo evidentemente gli esecutori  materiali da colui che poteva aver dato 1' ordine, riferisce non  senza qualche compiacimento le voci popolari accusatrici di  Nerone. Cosi in Ann.,gli fa volgere da Subrio Flavio  l'accusa di incendiai'iìis. In principio, egli presenta due sole  ipotesi : forte an dolo principis, parole alle quali si è attri-  buito il senso che Tacito stesso escludesse ogni sospetto a ri-  guardo dei Cristiani. Ciò non è esatto. Bisogna distinguere gli  esecutori materiali da colui che poteva aver dato l' ordine.  Quanto ai primi egli non ha alcun dubbio, poiché li chiama  sontes et novissima exempla meì'itos, parole che mal s' inten-  derebbero, se non si riferissero ad un determinato ed unico  delitto. Quanto al secondo, egli esprime la convinzione che  1' ordine partisse da Nerone. Convinzione che egli derivò forse  dalle Storie Cimlt di Plinio, e che ebbe del resto origine dal  fatto che tra gli esecutori materiali furono veramente gli schiavi  di Nerone : ma appunto tra questi schiavi erano numerosi i  cristiani. Tacito riferisce pur l'ipotesi del caso: ma la sua nar-  razione esclude l'ipotesi.   Non altrimenti, ad esempio, ei dichiara non potersi incol-  pare Tiberio per la morte di Druso, eppur getta su lui anche  per questo qualche ombra. Non vuol pronunziarsi se Agricola  sia morto di veleno per opera di Domiziano, ed ogni tanto  l' insinua.   zii), benché si trattasse di uomini colpevoli e meritevoli  di ogni più inaudita pena esemplare ».   Ma perchè avrebbero confessato i primi cristiani?  Perchè avrebbero denunciato i compagni ?   E qui, oltre che può tornare in campo la ragione  già detta del necessario riconoscimento di alcuni, si può  volgere la mente anche ad altro.   Neil' ardore del fanatismo, essi avranno creduto  immediato il miracolo. Iddio, Iddio ora tornerebbe,  egli che aveva promesso di tornare dopo la desola-  zione estrema : non finirebbe la loro vita prima che  Iddio tornasse. E confessavano, gloriosi, e denuncia-  vano, per far partecipi alla gloria. " Immaginate que-  sti esaltati a spiegare l'opera loro, la fede loro : l'egua-  glianza dei diritti umani voluta da Dio, la distruzione  di tutto, necessaria per 1' avvento suo. I Romani pri-  mamente allora s' accorsero che quella fede aveva un  contenuto sociale, ed era un pericolo per lo Stato. E  la qualificarono dottrina di odio contro il genere  umano. Era invece la rivendicazione degli oppressi  e degli schiavi : ma questi con erano uomini.   Ma c'è ancora di più: anche dopo, i cristiani non  cessarono di sperare ancora quelle fiamme vendicatrici,  e di auspicarne il ritorno. Alcuni anni dopo, il bagliore  sinistro di quelle fiamme accende la fantasia allo scrit-  tore deìV Apocalisse. Si riconosce oramai da tutti, anche  dagli scrittori cattolici, che in questa, sotto il nome di  Babilonia, si cela quello di Roma, Ora ascoltate il grido  di maledizione e di vendetta su Roma, baccanale di  Ripugna il pensiero che i livori delle fazioni nella na-  scente chiesa, quei livori dei quali abbiamo visto muovere la-  gnanza Paolo, li spingessero alle reciproche accuse. Clemente  Rom. (ad Cor.) dice che le sciagure dei Cristiani  furono effetto della gelosia (St^/ Cr,)vOv). Anche l'Arnold, Die  neronische Christenverfolgung, Leipz. crede  che le denunzie contro i Cristiani sieno state fatte da Cristiani  dissidenti.  Ogni turpitudine, che scaglia il profeta dell' Apocalisse :  « Poi udii un' altra voce che diceva : uscite da essa, o  popolo, mio, acciocché non siate partecipi dei suoi pec-  cati, e non riceviate delle sue piaghe. I suoi peccati  sono giunti l'uno dietro all'altro insiuo al cielo, e Iddio  si è ricordato delle sue iniquità. Rendetele il cambio  di quello che essa vi ha fatto ; anzi rendetele secondo  le sue opere, al doppio : nella coppa nella quale ella  ha mesciuto a voi, mescetele il doppio. Quanto ella si  è glorificata ed. ha lu.<suriato, tanto datele tormento e  cordoglio : perciocché ella dice nel cuor suo : io seggo  regina e non sono vedova, e non vedrò giaminai duolo.  Perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe ;  morte e cordoglio e fame : e sarà arsa col fuoco ; perciocché possente è il Signore Iddio, il quale la giudi-  cherà. E i re della terra, i quali fornicavano e lussu-  riavano con lei, la piangeranno, o faranno cordoglio di  lei, quando vedranno il fumo del suo incendio ».... e così  di seguito che è un sol  fremito di protesta, un sol grido di vendetta contro la  meretrice « ebbra del sangue dei santi e del sangue dei  martiri di Gesù ». E nel capitolo seguente si pregusta  con voluttà frenetica la gioia della sua rovina; « Allelluia! la salute e la potenza e la gloria e 1' onore al Si-  gnore Iddio nostro. Perciocché veraci e giusti sono i  suoi giudizii ; e infatti egli ha giudicato la gran me-  retrice che ha corrotto la terra con la sua fornicazione,  e ha vendicato il sangue dei servi suoi, dalla mano di  lei.... Alleluia! e il, fumo di essa sale nei secoli dei  secoli.   Come si vede, appena pochi anni dopo l'incendio,  si tornava ai folli eccitamenti. Ed il sogno di Roma  divenuta preda alle fiamme turbò anche in seguito le  menti cristiane. In quella strana e lugubre miscela di  fantasie giudaico-cristiane, non senza qualche elemento  pagano, che é conosciuta sotto il nome di « Oracoli si-  l' incendio di roma e i primi cristiani   billini » esso ritorna con cupa insistenza: VII, 113-114;  Vili, 37-47; XII, 32-40. « Verrà dall'alto anche su te,  superba Roma, la celeste sciagura : tu piegherai prima  la cervice, tu sarai distrutta, il fuoco ti consumerà tutta,  piegata sulle fondamenta; la tua ricchezza perirà; il tuo  suolo sarà occupato dai lupi e dalle volpi; sarai allora  tutta deserta, come se giammai fossi stata. Dove sarà  allora il tuo Palladio ? Qual Dio ti salverà ? Un Dio  d'oro, di pietra o di bronzo? Dove saranno allora i  decreti del tuo Senato? Dove quelli di Rea o di Crono?  E la schiatta di Giove e di tutti gli Dei che tu ado-  ravi? Per quanto la punizione qui  sia immaginata come celeste, non è possibile non sen-  tirvi la voce di una umana vendetta. « Quando potrò  io vedere tal giorno? » dice poco dopo il poeta.  E pure il più antico dei poeti latini cristiani, il pio  Commodiano, ha il medesimo voto {i'arm. ap.).  Dov'è più la dottrina della mansuetudine e del perdono? La disposizione d'animo dei primi cristiani era  ben altra. Il loro grido di vendetta sembra, come si  vede dagli esempii apportati, quasi echeggiare pure in  tempi più lontani. « A noi basterebbe, dice Tertulliauo  {Apol. 37), se volessimo vendicarci, una sola notte e  qualche fiaccola ». E poi tosto soggiunge: « Ma non  sia che con umano fuoco si vendichi la divina setta». Infine, notiamo che attribuendo a queste prime  turbe cristiane, fanatiche ed avide delle loro rivendi-   Non vorrei che tali parole venissero tratte da critici  benigni a peggior sentenza eh' io non tenni. Nelle parole di Tertulliano echeggia un grido di vendetta, cui tosto segue un  consiglio di moderazione, non di perdono. La vendetta, la pu-  nizione si aspetta ancora, si aspetta dal fuoco divino. Che cosa  sia questo fuoco divino, spiegano a lungo gli apologisti, ad- cazioni, l' incendio, le particolarità di esso si spiegano  tutte, che invece abbiamo mostrato inesplicabili, secondo la tradizione comune. Anzi dalle notizie che ab-  biamo, ci è dato discernere perfino il piano della scia-  gurata impresa. Anzitutto, si proiittò della lontananza  di Nerone da Roma; la vigilanza era allora diminuita;  i principali cittadini, le cui case erano sacrate al fuoco  devastatore, avevano seguito la corte imperiale. Tra i  pretoriani ed i servi di Cesare erano numerosi i cri-  stiani (Paolo, Ai FilijJ.) : si stabilì che  fossero questi ad appiccare 1' incendio e ad impedire  l'estinzione: così tutti avrebbero creduto trattarsi di  ordini imperiali e ninno avrebbe osato opporsi. Ri-  chiesti perchè scagliassero le faci, risponderebbero che  agivano per istigazione altrui, senza dir di chi (Tacesse sihi mictorem vociferahantur); tutti avrebbero interpretato che essi avevano il comando da Cesare e il  divieto di nominarlo. Tutti i portici, le passeggiate, le  opere d'arte, che avevano allietatogli czii dei potenti,  i templi ove si adoravano gì' idoli della corruzione e  della menzogna, tutti andrebbero distrutti. Il Trastevere, ove era stata primamente accolta l' idea reden-  trice, le case dell' umile plebe, sarebbero salve. Si  comincerebbe dai magazzini di materie infiammabili  presso il Palatino : la prima a bruciare sarebbe la  casa del mostro. Questo fu il piano attuato e riuscito.  Finito il primo incendio, si doveva riappiccare l'in-  cendio alla casa del secondo mostro dell'impero, il mi-  nistro delle turpitudini imperiali, Tigellino. E di là  nuovamente proruppero le fiamme devastatrici.   Per questi fanatici illusi, Nerone, nel parossismo  della ferocia, escogitò incredibili tormenti. Li fé' ero- ducendo i fulmini e i vulcani (Miuucio; Tertul. Apol.):  ina la distinzione sarà stata fatta sempre, o meglio ancora,  sarà stata fatta mai dalle infime turbe ? cifiggere, o sbranare dai cani, o dannare alle fiamme.  Grli orti suoi furono illuminati da quelle fiaccole umane,  in mezzo alle grida selvagge della turba briaca e plau-  dente. Ma da quelle fiaccole spirò più gagliardo il soffio  della idea cristiana. D' allora in poi quella idea, inocu-  lata nel sangue della umanità, ne resse le sorti. Tutta  la trama della storia umana si svolse intorno ad essa.  Quella idea fu gloria e bassezza, eroismo e viltà, amore  e ferocia. Per essa quanto altro sangue fu sparso, quante  altre volte le turbe furono trascinate ad impeti forsennati! Pure, una volta, tornò a risuonare tra gli uomini  la parola buona, ed aleggiò sugli spiriti l'amore, e sorrise alle genti affaticate la pietà del Francescano. Quella  volta Cristo re^nò sulla terra. “Ludis quos prò aeternitate imperii susceptos appellavi Maxiinos voluìt ex utroqiie ordine et sexit plerique  ludicras partes sustinuerunt. Nntissimus eques romanus  elephanto supersedens per catadromum decucurrit. Inducta  est et Afranii togata qiiae Incendium inscribitur: concessumque ut scenici ardentis domus suppellectilem diriperentj  ac sihi haberent. Sparsa et popido missilla omnium rerum  per omnes dies ; singida (/uot/die millia avium cuiusque ge-  neris^ multiplex 2)(^nus^ tesstrae frmnentarlae^ vestis, auruvi,  argentum, gemmae, mn.rgaritae. tabulae pictae^ mancipia,  iumenta, atque etiam maìistietae ferae; novissime naves, in-  sulae, agri.   Hos ludos spectavit e proscenii fastigio ».   Così Snetonio in Nero. In quale occa-  sione celebrò Nerone questi ludi Maximiì Suetouio in  questa parte dell' opera sua enumera disordinatamente  gli spettacoli dati da Nerone. Quello qui accennato è  stato identificato con quello di cui fa menzione Cassio  Dione, o meglio il suo compendi atore Xifilino, in LXI,  17 e 18. La somiglianza infatti è grande: i nobili romani che si prestarono a far da attori e giocatori,  1' elefante funambolo che portava sul dorso un uomo;  i doni gettati al popolo. Di più Cassio Dione ram-  menta le commedie e tragedie rappresentate. Chiama  la festa |j.£7'.atT| 7.7.1 TtrAnizlzozc/.rq: ma l'unione dei due  aggettivi parmi che mostri che [j.sYiatYj è una semplice  qualifica data dall' autore alla festa, non è il nome  proprio di essa, e non risponde perciò al Maximos di  Suetonio. Così pure gli altri punti di simiglianza noii  souo co^i caratteristici clie ci facciano concludere alla  identità delle due feste. Elefanti camminanti sulla fune  {per catadromum) si vedevano in tali feste (cfr. Siiet.  Galb.) ; senatori e cavalieri lottanti nell' arena se ne  videro spesso sotto Nerone (cfr. Suet. Kero^ 12); donazioni al popolo Nerone ne fece immense, ne fece, se-  condo Tacito {Hist.) per più di due miliardi di  sesterzi. Se dunque le somiglianze sono grandi, non  sono tali che ci obblighino a credere all' identità tra  i giuochi rammentati nel passo di Suetonio e quelli  rammentati nel passo di Dione. Il passo di Dione parla di festività celebrate in  onore della madre. Corrispondono queste ai circensi,  rammentati da Tacito, in Ann. E possibile che  a tali circensi alluda Suetonio nelle parole immediata-  mente precedenti a quelle da noi riportate: circensihus  loca equitl secreta a ceteris trihuit ; di essi infatti dice  Tacito che furono liaud promiscuo speciacido. Noi crediamo che il passo di Suetonio riguardi i ludi celebrati  dopo V incendio 1 e cioè, probabilmente, celebrati dopo  È pur da notare che Cassio Dione parlando  dei giuoclii detti Neronéi, li dice istituiti da Nerone per la in-  columità e diuturnità del suo regno. Ma probabilmente confonde  tali giuochi con quelli prò aeternitate impern, secondocliè già  da gran tempo fu riconosciuto (Pauly, lì. Encycì. s. v. Nero). I giuochi Neronéi furono gare quinquennali di arte e  di foiza, istituite sul modello dei giuochi greci; cfr. Tac. Ann.; Suetonio, Nero.  che Roma era stata già in gran parte riedificata, per  propiziarla agli dei. Saetonio dice che Nerone volle si  chiamassero ludi maximi, e cioè, parmi, volle sostituire  al positivo magni il superlativo maxìmi. Ora i ludi  magni si celebravano in occasione di grandi [jericoli,  da cui Roma fosse salva; in occasione cioè di guerre  rischiose (Liv. 36, 2) o di tumulti (LIVIO). Si potrebbe pensare che 1' adulazione avesse suggerito tale  idea, adulazione a Nerone, che si diceva scampato  dalle trame di Agrippina. Ma i ludi, menzionati da  Suetonio, furono 2^'''^ aeternitate imperii; e mi par che  questo ci porti ben lontano dall' ipotesi che si volesse  alludere al preteso pericolo, da cui Nerone era scam-  pato; e i ludi menzionati da Dione neppur furono per  lo scampato pericolo di Nerone, ma anzi furono in  onore della madre. Qual sarà dunque il fatto, durante  il regno di Nerone, che metta in dubbio l' esistenza  stessa dell' impero? Io credo che sia 1' incendio; e ciò  crederei pure, quando non fosse molto suggestiva  quella rappresentazione della togata di Afranio intitolata Incendinm.   Che in questi ludi solenni, destinati ad auspicare,  dopo la riedificazione di Roma, l'eternità dell'impero,  sieno stati celebrati alcuni degli spettacoli che avevano  più stupito i Romani durante i giuochi circensi fatti  dopo la morte di Agri])pina, quale ad esempio quello  dell' elefante funambolo, non può, credo, far meraviglia  ad alcuno. Qualche altro indizio che andremo ora rac-  cogliendo conferma la nostra ipotesi circa l'occasione  e lo scopo di questi ludi maxìmi. Nerone, verista in  arte, volle riprodurre sul teatro la scena deli' incendio :  la casa rappresentata in mezzo alle fiamme (Suet. ar-  dentis domiis) era probabilmente la casa sua, la domus  transitoria che era bruciata (cfr. Tac., ardente  domo). Egli volle che la scena dell' incendio fosse in-  tera, che gli antori depredassero la casa e si tenessero la preda: ut scenici ardentis doinus stopellectilem diripe-  I ì^eiit ac sihi habevent; cfr. Tao. Ann. XV, 38 ut raptus  licentiiis exercerent.  Se il carattere stesso dei ludi maximi deve con-  netterli con una grande pubblica calamità, se la rap-  presentazione dell' Incendium è così suggestiva per noi,  ci si consenta ora di fermarci brevemente su quel che  Suetonio dice, che i ludi furono sUscepti prò aeternitate  imiperii. Nella ricostruzione, che noi tentammo, del pro-  cesso, noi ponemmo che, dopo i primi confessi, arre-  stati in massa i Cristiani, quando s' indagò più adden-  tro la loro dottrina, e si seppe che essi aspettavano la  fine dell'impero e l'imminente regno di Dio, la dot-  trina stessa dovè essere qualificata « di odio contro il  genere umano ». Questa parte della propaganda era  stata certamente svolta solo nelle predicazioni segrete:  quindi il modo misterioso, e per noi incomprensibile,  con cui parla dell' Anticristo e del prossimo regno di  Dio Paolo ai Tessalonicesi, (Tess.). Fin da quando Caligola, con  sacrilega follia aveva voluto essere adorato come Dio,  era cominciato il fermento delle comunità cristiane che  vedevano nell' imperatore divinizzato l' immagine vera  dell'Anticristo, ed aspettavano quindi imminente la  fine dell' impero ed il trionfo loro. A calmare tale fer-  mento è appunto diretta quella parte della lettera di  Paolo. E la dottrina sopravvisse pure all' eccidio; giac-  che ancora in Tertulliano {Apolog.; Ad Scap.)  coincidono i due termini; la fine dell'impero e l'inizio  del nuovo regno nel mondo. Se tal dottrina sentivano  spiegare da quei fanatici i Romani, è naturale che la  qualificassero dottrina di odio contro il genere umano,  e cioè contro la civiltà romana, contro l' impero romano, ' ed è pur naturale che, riedificata Roma, auspi-  cassero l'eternità dell'impero.   Mi si consenta un' altra osservazione. Non fra le  sole turbe impazienti e insoddisfatte era 1' aspettazione  della prossima fine dell' impero. Era altresì negli alti  gradi sociali, fra i filosofi, specialmente stoici, fra gli  aristocratici di antica tempra. La congiura pisoniana  mosse anzi, secondo Tacito, da questo principio:  (Ann. XV, 50) cium scelera princlpis et tìnem adesse  imperii deligendumque qui fessis rebus succurreret inter  se aut inter amicos iaciunt. Dopo tal congiura gran parte  della città doveva essere già riedificata; ed è naturale  quindi che allora si celebrassero i ludi maximi. E poiché  i due gravi avvenimenti ultimi avevan dato la prova di  tante volontà decise ad aspettar la fine dell'impero, era  naturale pure che all' eternità dell' impero si dedicas-  sero i ludi. Il racconto dei quali doveva quindi cadere  in una delle parti perdute di Tacito, dopo il cap. 35  del lib. XVI degli Annali. Tutto questo, si dirà, è una ricostruzione ipotetica. Ma v' è pure un documento che può dare a tale  ricostruzione non lieve conferma, documento che, ben-   Tac. Ann. odio Immani generis. Genus humanian  in Tacito ed in altri scrittori vfvle egli abitanti dell'impero»;  cfr. Coen, Persecuz. neron. pag. 69 dell' estr. Un mio illustre  maestro, il prof. A. Ohiappelli {in Atti della R. Accademia di  Scienze Morali e Politiche di Napoli) sostiene che  odiiim humani generis debba essere interpretato per « misan-  tropia». Che questo sia il significato della frase, quando sia  adoperato in senso filosofico, niuno nega. Ma il nostro caso è  diverso. La rinunzia ai piaceri, la vita ritirata e sdegnosa, la  misantropia insomma, o fosse cristiana, come forse per Pom-  ponia Grecina (Ami.), o fosse stoica, come per Rubellio  Plauto {Ann.), Trasea Peto {Ann.) e tanti altri,  desta l'ammirazione di Tacito, gli commuove di reverenza il  C. Pascal. 11     che non riguardi i ludi maccimi, riguarda però cerimo-  nie pur dedicate all' eternità dell' impero. Questo do-  cumento è un frammento degli Atti degli Arvali, che  si riferisce all'anno 66 d. Cr. [Corp. Inscr. Lat.). Vi si notano i sagrifizii stabiliti  dagli Arvaii ob detecta nefariorum Consilia, e tra gli  altri quello aeternitati ìinperii (Un. 6). Così pure alla   linea 21: reddito sacrificio, quod fratves Arvcdes   voverant oh detecta nefariorum Consilia. Quali erano que-  sti nefariorum Consilia? Qu&Ui dei congiurati di Pisone,  giacché anch' essi, come abbiamo visto, aspettavano la  fine dell' impero; ma pure quelli degl' incendiarli; giac-  ché il nesso tra le cerimonie dedicate all' eternità del-  l' impero e l' incendio è stabilita dal fatto, che durante  quelle cerimonie si rappresentò la fabula Incendium. '  Né bisogna dimenticare un altro fatto. Riman-  gono gli Atti degli Arvali del regno di Nerone, dal-  l' anno 55 in poi (C. I. L.); salvo  quelli dell' anno 64, l' anno dell' incendio, e del se-  guente. Ora gli Atti del 66 sono i primi nei quali alla  serie di tutti gli altri voti, fatti alle altre divinità si  aggiungono quelli all' Aeternitas imiMrii.     Claudite rivos. Spero di non occuparmi più né  dell' incendio né di Nerone. Non fu forse vana questa  lizza d' ingegni, che ebbe origine, su tale speciale que-     petto, non è da lui quaUficata fìagitmm, uon odium hìimoni  generis. Non si possono dunque spiegare né i fìagitia ne V odùim  con ia misantropia. Neil' un caso e nell'altro deve trattarsi,  credo io, di ben altro.   > È qui importante il notare che per Nerone sono distinti i  vota prò aeternìtate imperii dai vota prò salute principis, che sono  menzionati altrove (C. I. L. VI, parte I, pag. 493, lin. 2, 3 e 8:  Tac. Ann. XVI, 22; Suet. NerOy 46). Per Domisciano invece le cestione, dal romanzo del Sienkiewiecz ; lizza nella quale  spiegarono armi poderose di critica e di dottrina uo-  mini quali il Negri, il Coen, il Ramorino, il Chiap-  pelli, il Semeria, il Boissier; né dovrò tacere i lavori,  cosi corretti nella forma polemica, del Mapelli, del-  l' Abbatescianni e del Profumo; ne quello, per più  rispetti notevole, del Ferrara. * Impulsi non nobili e  ambizioncelle presuntuosette e piccine trassero altri,  impreparati, a scritture o invereconde o insensate, ma in una questione siffatta, nella quale sembra esser  così facile l' erudizione, era naturale aspettarselo.     rimonie si congiunsero (C /. L.). Cosi pure per Set-  timio Severo (C /. L. II). V. De Ruggiero, Diz. epigraf. . A Domiziano dunque allude Plinio il Giovane quando  dice a Traiano {Fanegyr. 67): Nuncupare vota et prò aetei'nitate  impeni et prò salute civium, immo prò salute principum ac  pì'oj)ter illos prò aetermtate imperii solebamus. Haec prò impe-  rio nostro in qiiae sint verba suscepta, ojjerae pretium est adno-  tare : si bene rem ]}ublicavi , et ex utilitate omnium  rexeris: digna vota quae semper suscìpiantur semperque sol-  vantur. Diversa naturalnjente àdiW aeternitas imperii è V aeter-  nitas Augusta, titolo che prima fu attribuito solo agli Augusti  morti e consacrati (Boutkowski, Dici), e poi anche agli Augusti viventi; cfr. Eckhel, Doctr.; Aeternitas imperii non si trova, ch'io sap-  pia, prima di Nerone, anzi prima dell'anno 66. Si trova poi più  tardi, per Domiziano. Settimio Severo, sulle monete di Caracalla,  di Geta, ecc.: cfr. Eckhel. Non lavori speciali, ma riassunti o giudizii pubblicarono  il Vaglieri, il Borsari, A. Avancini, D. Avancini, il Ricci (Corrado),  il Thomas, il Toatain, il Martinazzoli, il Dufourcq, il Grasso, il  Fabia, il Bouvier, il Reville, 1' Andresen, ed altri moltissimi.   ^ Molti altri articoli ed opuscoli sbocciarono qua e là in  confutazione del mio: nella maggior parte il fervore dell'in-  tenzione non corrispose al valore. Chi ne vorrà sapere qualche  cosa, potrà leggere i miei articoli in Vox Urbis; in Cultura, e in Bollett.  Filai, class, . Ma, pur dopo, gli scritti continuarono;  e vi fu perfino chi nascondendosi sotto il nome di Vindex pub-  blicò un impudente volume. Fortunatamente si tratta di cosa  destituita di ogni valore ; e disdice quindi alla dignità della  scienza farne parola. Coen pubblica nell’ “Atene e Roma” un lungo studio sulla persecuzione  neroniana. Crediamo opportuno informare i lettori  della parte che riguarda le obbiezioni mosse alla mia  tesi; e fare infine qualche breve osservazione circa  l'ipotesi presentata dal chiaro autore.  Che l'una o l'altra delle opinioni che io mi provai  ad avvalorare di argomenti nel mio opuscolo. L' incendio di Roma e i Cristiani e stata già addotta  da altri, è cosa rimproveratami da più d'uno. Ma, a dir vero, i lettori del mio opuscolo debbono riconoscere  che io esamino e discuto le sole fonti antiche, da ciascuna delle quali cerco trarre qualche elemento, che  mi giovi poi a ricostituire in una concezione unica il fatto storico. Il fare una rassegna, sia pur fugace, delle  opinioni e interpretazioni moderne su ciascun passo,  mi pareva lavoro arido, lungo e pressoché vano, e per  giunta, di necessità monco e incompiuto (ad es., il Coen  stesso non fa menzione dello Cliirac, che va molto al  di là dell' Havet, Rev. Socialiste).   Fondamento principale alla mia tesi io posi nella  credenza diffusa tra i cristiani del primo secolo, che  fosse imminente l'incendio del mondo decretato da  Dio, che dopo tale incendio verrebbe il regno della  giustizia, che la distruzione del mondo presente coin-  ciderebbe con la distruzione dell' impero romano. Tutta  la letteratura apostolica mostra l'impazienza di alcune fazioni cristiane nell' aspettare il regno divino.  Se c'è ipotesi che esca alla luce fornita di tutti i nu-  meri delia probabilità, panni proprio questa, che tale  impazienza abbia trascinato le turbe al fanatismo. Di  tutto ciò non fanno quasi parola i miei contraddittori. Xel citare le antiche scritture cristiane, nelle  quali tali dottrine sono contenute, io non ho preteso  che proprio quelle i Cristiani di Roma leggessero. Ho  addotto quei passi per dichiarare qual fosse il dogma  dei Cristiani del j^rimo secolo, dogma che sarà stato  spiegato principalmente mediante la predicazione orale,  come del lesfco il Coen stesso riconosce. Altra obbiezione mi muove il chiaro autore: onde  io sappia che, prima del 64, Nerone fosse per i Cri-  stiani r Anticristo. La seconda di Paolo ai Tessaloni-  cesi, egli argomenta, è scritta, secondo la data più  discreta, nel primo anno dell' impero di Nerone, o an-  che prima; dunque i contemporanei non potevano vedere allusione a lui nelle parole dell'Apostolo. Senonchè nel mio opuscolo io non sostengo che contro  l'imperatore coìne persona si appuntassero gli odii di  alcune fazioni cristiane; bensì come imperatore e adorato con divini onori (Tessal.). L'imperatore  rappresenta 1' ordine costituito, che era per quelle  fazioni il regno di Satana; come Roma rappresentava  la forza e la potenza centrale di tal regno.   Che ninno degli scrittori pagani (all' infuori di  Tacito Ann.) parli dei Cristiani come colpevoli dell'incendio, malgrado tutte le accuse volte contro di essi in seguito, io spiegai con l'ipotesi che  r accusa contro Nerone nascesse tra i Pagani stessi,  al vedere tra gì' incendiarli i servi di lui. Il Coen mi  obietta: « Non consta che l'opinione la quale faceva  Nerone autore dell' incendio sia invalsa in maniera  così definitiva da far cadere in oblìo ogni altra ver-  sione ». Consta anzi, egli dice, il contrario, se cinquant' anni dopo Tacito pone ancora l'ipotesi del caso. Che r opinione prevalesse in modo definitivo, solo  dopo molti anni, credo probabile; ciò non è infirmato  dall' accenno che Tacito fa al caso. Tutta la narra-  zione che egli fa esclude 1' ipotesi del caso. Tacito  però 1' ha registrata, perchè, com' egli dice, 1' ha trovata in una delle sue fonti. Ma nessuna fonte poteva contenere tale versione, obietta ancora il Coen,  se fosse vera la ricostruzione eh' io faccio degli av-  venimenti. Perchè nessuna f Una fonte trascurata o  non informata di tutti i particolari narrati da Tacito,^  Suetonio e Dione. — Ed ora, il numero dei primi Cri-  stiani in Roma. Tacito, Clemente Romano e l'Apo-  calisse affermano che erano una gran moltitudine o nu-  mero. I primi due, si dice, hanno esagerato; quanta  all' Apocalisse si elevano dubbii di natura diversa.  Esagerato? E perchè? Perchè altra volta Tacito esa-  gera. E sarà vero; ma qual prova v' è che abbia esa-  gerato questa volta ì E perchè avrebbe esagerato anche  Clemente Romano? Sia lecito del resto rammentare  che Paolo (^h* Filii). 1, 14), dice dei cristiani di Roma:  « MOLTI dei fratelli nel Signore » e concludere quindi  ancora una volta che ad infirmare 1' autorità di tali  fonti non ?;'è una sola prova di fatto.   Quanto ai Jìagitia, posso dispensarmi per ora dal  discutere i singoli passi, se l'Autore stesso dichiara: flagitium contiene ordinariamente il duplice  concetto di azione turpe e colpevole ad* un tempo y.  Non sarà dunque errata nell' uso italiano la parola  delitto. E che nei due paesi di Tacito (XV, 44) e di  Plinio (X, 96) si tratti di veri e propri delitti, io con-  fermo per la seguente ragione: che nell'uno seguono  le parole: « colpevoli e meritevoli di ogni maggior pena »,  e nell' altro i flagitia son da mettere in relazione con  gli scelera, dei quali Plinio parla dopo (v. qui appr.  App. IH).  Circa al fatebaiitur, io aspetterò dai miei contrad-  dittori la prova, che esso, detto a proposito di uà pro-  cesso, possa significare altro che la confessione di un  reato. Per ora, rimangono le prove opposte. Mi sia lecito ora fare qualche breve motto, an-  che sull'ultima parte dell'articolo di Coen. Questa parte tende a ricercare la ragione,  per la quale gli occhi di Nerone si appuntarono sui  Cristiani. L'indicazione gli sarebbe dunque venuta  non dagli Ebrei, ma dal popolo stesso, che vedeva i  Cristiani rifiutarsi alle cerimonie propiziatorie, e con-  cepì su di essi il tristo sospetto. Con ciò 1' A., nella  sua cauta riserva, rinunzia ad esprimere il suo avviso  sugli autori veri dell' incendio. Lascia cioè sussistere  ancora le due ipotesi: o il caso o l'ordine di Nerone.  Io oso credere tuttora, che 1' una ipotesi e 1' altra non  resistano all'esame di tutti i particolari dell'incendio,  tramandatici dagli scrittori. Tale esame mi sono adoperato a fare nel mio opuscolo; né credo sarebbe op-  portuno ripeterlo qui. Mi basti solo accennare: per attribuire l'incendio o al caso o a Nerone bisognerebbe  ritener falsi tutti i fatti narratici dagli antichi: che  1' ipotesi del caso non ispiega come mai vi fossero sca-  gliatori notturni di faci; e l'ipotesi dell'ordine nerouiano non ispiega (a tacer di altre ragioni minori)  come mai l' incendio prorompesse proprio accanto al  palazzo imperiale; e come mai, quando Nerone tornò  a Roma, e cercò arrestare il fuoco, e prese tutti i  provvedimenti atti a lenire il disastro, le fiamme di  nuovo si rinnovassero dagli orti di Tigellino, il secondo mostro dell' impero. Nuovo ordine anche questo?  Tutto si può supporre; ma si può proprio credere che si sarebbero fatte abbruciare le regioni più belle e  più nobili di Roma, lasciando intatto il lurido Trastevere, il ceutro della comunità giudaica e cristiana?  Si può proprio credere che un uomo, dopo sei giorni  d' incendio, mentre con tutte le sue forze si adopera  a dar ric^to e pane alla plebe furibonda, possa cimentarsi, in mezzo alla disperazione del popolo, a rin-  novare un ordine simile? Un uomo vile, e che dinanzi  all' ira popolare fuggiva tremebondo, come Nerone?  Le due ipotesi quindi, il caso e 1' ordine di Nerone,  non possono, a mio parere, sussistere. Tacito le enun-  cia, ma perchè utriimque auctores prodidere; ma la nar-  razione stessa che egli fa, esclude 1' una ipotesi e l'altra. Egli evidentemente distingue gli esecutori matericdi  dell' incendio, da colui che poteva aver dato 1' ordine;  che i primi fossero i Cristiani non ha alcun dubbio,  giacché parla di essi come confessi; solo è in dubbio  chi fosse qiieìV auctor che essi dicevano averli incitati;  e riferisce la voce popolare che 1' auctor fosse Nerone.  E perciò appunto alla fine del cap. 44 aggiunge che  i Cristiani benché colpevoli, e meritevoli delle mag-  giori pene, muovevano a pietà, quasiché perissero non  pel pubblico bene, ma per la soddisfazione della cru-  deltà di un solo (in saevitiam unius), e cioè per averne  eseguito gli ordini crudeli, secondochè mi pare che si  debba interpretare questo passo. Ad ogni modo, l'ipotesi che il Coen oppone alla  mia, che cioè l'indicazione dei Cristiani venisse fatta  a Nerone dal popolo, sdegnato che essi si negassero di  partecipare alle cerimonie di espiazione, non urta, se  ben veggo, contro l' ipotesi mia. Per qualunque ragione  tale indicazione sia stata fatta, quel che importa è di vedere se 1' indicazione fu giusta o no. Io penso pur  sempre che l' indicazione fu fatta per il necessario ri-  conoscimento di molti. Non è jjossibile che non fossero  riconosciuti, giacche anzi si sapeva che erano stati i  pretoriani ed i servi di Nerone. Li dovettero, ad esem-  pio, riconoscere quegli uomini consolari, i quali, come  riferisce Suetonio, li sorpresero nei loro fondi ad ap-  piccar l'incendio; e certamente anche molti altri. Riconosciuti, fu giuocoforza che essi confessassero, e che  quindi contro di loro s'iniziasse il processo (Tac. car-  repti qui fatebantur). E logico il supporre che nel furore di repressione che invase gli animi a tale scoperta  non si badasse più che tanto; non si distinguessero i  Cristiani innocenti dai colpevoli, i calmi e pii dai fanatici e dagli esaltati; è logico, perchè è umano; e in  ogni repressione violenta avviene sempre cosi; si sup-  ponga dunque pure che, oltre al necessario riconoscimento di alcuni veri colpevoli, e alle denunzie di questi, molte indicazioni di Cristiani venissero fatte per la  ragione supposta dal Coen; che cosa proverebbe ciò  contro l' ipotesi mia?   Senonchè la congettura del Coen si fonda sopra  un presupposto, a proposito del quale pur mi tocca la  mala ventura di non trovarmi d' accordo con lui. Su  questo presupposto, cioè, che in momenti di furore, il  popolo potesse aver tanta calma da ragionare così:  gli ebrei sono nel loro diritto, di non partecipare alle  nostre funzioni; i gentili noi sono. Sarebbero stati,  credo io, ebrei e cristiani coinvolti insieme nella me-  desima accusa; né i Cristiani erano allora considerati  altrimenti che come fazione dei giudei.  Esce fuori dei limiti della mia ricerca la seducente  congettuì-a del Coen, sulle Banaidi menzionate da Clemente Romano, e sulla probabile relazione che è tra  il passo di Clemente {ad Cor. I, 6) e il passo di Tacito:  « profittata lurio per matronas^ prhnum in Capitolio, deinde  apud proximum mare, vnde hausta aqua temphim et simu-  lacrum deae perspersiìm est ». Poiché le cerimonie qui  descritte sono, come il Coen ben nota (pag. 347-348),  singolari, mi piace richiamare a proposito di quella lu-  strazione apud proximum mare, alcuni versi oraziani:  Vel nos in inare proximum  Gemmas et lapides aurum et inutile,  Summi materiem mali,  Mittamus, scelerum si bene paenitet ».   {Carm.).   La cerimonia apud proximum mare era adunque  rituale per espiazione di delitti?     Anche Gaston Boissier ha voluto volgere al no-  stro argomento la sagacia del suo ingegno; e gli stu-  diosi saran certo grati al grande scrittore ed erudito  francese dello studio pubblicato nel Journal des Savants, Dopo una esposizione sommaria della que-  stione e della tesi da me sostenuta, il Boissier così  dice: « Assurément, tout cela n'est pas im-  possible: quelques insensés, quelques anarchistes se  seraient glissés parmi les premiers disciples du Maitre,  qu'il n'en faudrait pas étre trop surpris, ni en l'en-  dre le christianisme responsable. Remarquons pour-  tant qua la société paienne n'avait pas encore mani-  feste sa baine implacable pour les chrétiens, et n'ayant  pas eu encore l'occasion de leur étre trop sevère, leur  devait étre moins odieuse. C est plus tard, quand'ils  furent poursuivis sans miséricorde qu'on rn'> s' éton-  nerait de trouver chez eux des fanatiques capables de tous les excés. Or, nous voyons qn'à ce moment; méme,  où ils sont si durement traités par l'autorifcè et par  le peuple, ils se vantent d'étre des sujets soumis, ir-  reprochables, d'accepter Jes persécutions sans ré volte,  de prier pour les princes qui les envoient au supplice,  et de ne répondre que par le bien au mal qu'on leur  faisait: il serait dono assez surprenant qu'ils eussent  mis le feu à Rome lorsqa'ils avaient moins à se venger  d'elle ». Se non m'inganno, questo che il Boissier ha  notato, è il corso fatale di ogni setta, è la condizione  stessa del suo vivere. Ogni setta cioè comincia per es-  sere rivoluzionaria, e, messa allo sbaraglio delle dure  prove, delle persecuzioni, dei tentativi di soppressione  di ogni sorta, va perdendo a poco a poco il suo ca-  rattere di opposizione e d' intransigenza, cerca acco-  modarsi ai tempi, vivere nei suoi tempi, diventare,  come oggi si dice, legalitaria. È un processo naturale  ed umano: che meraviglia è che il vediamo riprodotta  qui nella storia del cristianesimo? Non vediamo noi  un fatto che a prima giunta può parere più straordi-  nario ancora : che cioè quando le persecuzioni cessa-  rono e il cristianesimo si fu affermato vittorioso, al-  lora appunto esso cominciò più tenacemente ad abbattere  istituzioni, monumenti, templi, cui gli editti imperiali  mal giungevano a salvare da quelle furie devastatrici?  Non potrebbe qui pure il Boissier domandarsi: perchè  abbattere tutto, se ormai non avevano più da odiare  o da temere nulla, essi, i vittoriosi? li vero è che du-  rante le repressioni violente non scattano gl'impeti  sovversivi; scattano prima, quando ogni furia sembra  ministra di giustizia contro un ordine di cose odiato;  scattano dopo, nell'irruenza dell'agognata vittoria: e  scattano nei più impulsivi e più fanatici, pur contro  i consigli di moderazione e di calma dei prudenti.   Il Boissier continua: « Tout ce qu'on peut dire c'est  que M. Pascal s'est fort habilement servi de son hj'^pothèse pour expliquer les iacidents dont il vient d'étre  question dans le récit de Suétone et de Tacite. Si l'on  crut recounaìtre, dans le gens qui jetaient sur les mai-  sons des étoupes eiiflamraées, des serviteurs de l'empe-  reur, c'est qu'en effet il y avait des chrétiens dans le  palais de Néron ; saint Paul nous le dit, et M. Pascal  pense que ce sout ceux-là qui ont allume l'inceudie.  Les consulaires, qui avaient l'occasion de les reucon-  Irer souvent au Palatin, ne s'y sont pas trompés et  l'on comprend que, saisis de frayeur à leur aspect,  et croyant qu'ils agissaient par l'ordre du prince, ils  les aient laissés faire. L'hypothèse est ingénieuse, mais  ce n'est qu'uue hypothèse; pour voir si elle est d'ac-  cord avec les faits, reprenons le récit de Tacite ». E  qui il Boissier si fa ad esaminare il famoso passo di  Tacito, di che è discorso nel nostro studio nella nota 27  e qui appresso in app. III. Egli riconferma la sua opinione, già altre volte espressa, sopra il gran numero  dei cristiani di Roma; ed in ciò ho la fortuna di trovarmi d' accordo con lui. Ma tal fortuna non mi tocca  per 1' interpretazione del fatehantur tacitiano. Se il  processo era d' incendio, avevo detto io, la confessione  dei cristiani non può intendersi se non per il delitto  d'incendio. E il Boissier mi oppone: « La  nouvelle a dù s'en repandre partout; si elle était aussi  sùre, aussi evidente que le texte de Tacite, inter-  prete de cette manière, semble le dire, Néron avait  tout intérét àia propager; il est impossible qu'il n'ait  pas profité avec empressement de cet aveu, qu'il tra-  vaillait à obtenir, pour se giustifier lui-méme. Quel-  que détesté qu'il pùt étre, il u'j' avait pas moyen  qu'on persistàt à l'accuser d'un crime dont d'autres  se reconnaissaient les auteurs. Comment se fait-il donc  que Tacite, presque au moment méme où il nous rap-  porte cet aveu, ait pu dire qu'on ne sait s'il faut  attribuer l'incendie au hasard ou à la malveillance? Et Suétone, si bien informe d'ordinaire, comment n'a-t-il  rien su de cette procedure, qui, pourtaiit, dufc étre ren-  due publique? Comment le peuple, qui perdait tout à  ce désasfcre, a-t-il été touché de pitie pcur des gens,  qui en étaient la cause et a-t-il crii qu'on les sacri-  fìait uniquement à la cruauté d'un homme? M. Coen  fait remarquer avec beaucoup de force qu'il est aussi  fort étrange que dans la suite, lorsqu'on poursuivait  avec tant d'acharnement les chrétiens et pour tant  de crimes imaginaires, aucune allusion n' ait été faite  à celui dont ils ne pouvaient pas se défendre puisqu'ils  l'avaient avoué ». Ora a ciascuna di queste ragioni le  risposte furono da me qua e là date: e mi converrà ri-  peterle ora, poiché quelle ragioni, messe cosi tutte in-  sieme in fila serrata, sembrano invitto manipolo. Nerone,  dice il Boissier, aveva il maggiore interesse a divulgare  la confessione. Certo, ed anzi appunto per questo forse  egli diede la maggiore pubblicità alle pene nefande! —  Secondo quesito: « se Tacito pone il dubbio che l'in-  cendio fosse dovuto al caso, come può parlare di rei  confessi d'incendio? » A mia volta domanderò: « se Ta-  cito pone il dubbio che l'incendio fosse dovuto al caso,  come può dire che vi erano coloro che impedivano ogni  tentativo d'estinzione, aggiungendo l'ipotesi che ciò  facessero per comando altrui? Gli è che Tacito non  sempre è conseguente; prende  da una fonte la ipotesi del caso, ma la sua narrazione  tutta esclude tale ipotesi. — Terzo quesito: « Suetonio,  sì bene informato, come non ha saputo niente di questo  processo, che pur dovette essere pubblico? » O chi dice  che non abbia saputo niente? Suetonio accusa Nerone  di avere ordinato l'incendio, non di averlo appiccato:  dice che gli esecutori materiali furono i servi di Ne-  rone; e del processo non fa menzione, forse appunto  perchè si trattava di uomini di infima condizione, che  egli supponeva esecutori di ordini imperiali. In altro luogo però pone tra le cose lodevoli del regno di Ne-  rone i supplizii inflitti ai Cristiani. — Quarto quesito:  come il popolo, che perdeva tanto, fu mosso da pietà  per questi uomini, e credette che essi fossero immolati  alla crudeltà di un solo? » Tacito dice che il popolo fu  mosso a pietà per l'inaudita crudeltà delle pene, « òeu-  chè si trattasse dì uomini colpevoli, e meritevoli delle lìing-  giori pene»; si può esser più chiari? ed aggiunge;  « come se essi fossero immolati non al bene pubblico,  ma alla crudeltà di un solo », di quel solo cioè, che,  secondo egli presume, aveva ad essi dato 1' ordine.   Erano poveri schiavi esecutori di ordini : erano  colpevoli, si, ma vittime della crudeltà di chi aveva  dato 1' ordine : questo il pensiero di Tacito. Ma come  potè spargersi la fama di quest' ordine dato da Nerone ? A me non par difficile ravvisarlo. Dice Tacito,  che durante l' incendio, gì' incendiarli interrogati rispondevano agir per ordine. Probabilmente lo stesso  risposero al processo, né discoprirono il loro tristo  consigliere. E poiché tra quelli colti in flagrante e  processati erano pure i servi di Nerone, l' ordine fu  interpretato da molti come ordine dell' imperatore. Si  potè credere che essi non volessero nominarlo per  paura di peggio, o jDerchè ne sperassero le ultime  grazie. Ad ogni modo , nato nel popolo il sospetto  della colpa di Nerone, non era possibile che si dile-  guasse : ne si dileguò. — Ultimo quesito : « ma come  mai, dopo, furono accusati i cristiani di tutti i delitti,  ma non di questo ?» È facile rispondere : i pagani  stessi accusarono Nerone; la persecuzione contro i cri-  stiani fu messa come cosa affatto indipendente dall'in-  cendio, e come tale è già in Suetouio ; chi più pensava  che il fanatismo religioso fosse stato impulso all'incen-  dio ? Il popolo aveva ormai formato la leggenda sua :  l'ordine dato da Nerone ai propri! servi, per loro stessa  confessione : chi distingueva tra quei servi i cristiani dai non cristiani? I due fatti, incendio e persecuzione,  furono interamente disgiunti ; e la leggenda di Nerone  incendiario tenne il campo incontrastato.     Il Boissier aggiunge due considerazioni d' indole  filologica (pag. 164). Affinchè la frase famosa di Ta-  cito correpti qui fatebanhir, avesse il significato eh' io  le attribuisco, egli crede che dovrebbe suonare cosi:  qui c07-repti erant confessi sunt. Ma coìtìjjìo non ha il  significato di « arrestare », bensì quello di « iniziare  il procedimento penale » ; cfr. nota 27 ; dunque cor-  ì-epti qui fatebantur ha precisamente il significato di:  « si processarono quelli che erano rei confessi, e cioè  di volta in volta che alcuno confessava, veniva sotto-  posto a processo ».* Egli aggiunge che nel significato  da me voluto, si sarebbe aspettato confiteri, non fatevi,  trattandosi di delitto, e cita Cicerone, Pro Caecina^ IX:  ita libenter confitelur ut non solum fatevi sed etiam projìtevi  videatur. Faccio osservare prima di tutto che, secondo  la ipotesi mia, i cristiani confessi non dovevano pen-  tirsi o vergognarsi di quel che avevano fatto ; e poi,  che, quando pure le norme dello stile ciceroniano po-  tessero valere per Tacito, questa che qui si j)one, non è  costante neppure per Cicerone: giacche Cicerone stesso  adoperava /aferi per la confessione di omicidio (Mil. 15).  Ma, aggiunge il Boissier, se Tacito avesse voluto dire    Cauer cosi sentenzia {Beri, philolog. Woch.): Tacitus sagt : Die Gestàndigen wurden  verhattet, nicht: die zuerst Verhafteten waren gestilndig. Das  Gesttlndnis ging also der Verhaftung vorheri-. Ma covrepti  non designa la cattura, bensì il processo; ed è naturale clie la  confessione fosse anteriore al processo. - Bene dunque hanno  fatto il Gerber e il Greef nel loro Lexikon 2'aciteum, col sottin-  tendere al fatebantur del nostro passo .se incendisse urbeni.    che i priini cristiani si vantavano nel confessare l'in-  cendio, si sarebbe servito di yrofiteri. O donde mai que-  sta regola? Si vuole un esempio di Tacito in qwì fatevi^  denota un delitto confessato e di cui il colpevole si glo-  ria? Eccolo qui: Ann.: praecipuum auctorem  Asiaticum interficiendi C. Caesaris non extimuisse in  contiene populi Romani fateri gloriamque facino-  ris ulfcro petere.   Infine circa il capo di accusa contro i Cristiani,  la conclusione cui giunge Boissier è la seguente: L'expression non tam in crimine incendii  qtiam odio generis Immani coniunctì siint (cosi egli legge),  semble bien indiquer qua l'accusation d'incendie ne fut  pas abandonnée, mais que, comme ou n'esperait guère  la faire accepter du public, on la dissimula suos celle  à^odium generis immani, qu'on étendit à tout le monde ».  Il che mi pare corrisponda all' opinione mia, che ho  scritto apj)Uuto: « i primi, gii esecutori materiali, con-  fessarono e denunciarono i compagni (indicio eorum) :  allora non si volle sapere altro, si fece 1' arresto in  massa dei ci'istiani, e ninno di essi smentì la sua fede;  solo questi ultimi dichiararono non aver preso parte al-  l'incendio, come i primi; ma era lo stesso, erano tutti  rei di queir odio umano che aveva armato le mani di  fiaccole : furono tutti condannati ». — Ed aggiungerò  che la pena stessa del vivicomburio è un indizio che  l'accusa d'incendio rimase; giacché tal pena è ap-  punto quella che fino dal tempo delle XII Tavole era  comminata per gì' incendi dolosi (cfr. Ferrini, ESPOSIZIONE STORICA E DOTTRINALE DEL DIRITTO PENALE ROMANO). Osservazioni sul passo di Tacito  riguardante l'accusa contro i Cristiani.    (Uallfi Rivista di Filologia). Una delle molte qne.stioni scaturite dalla tratta-  zione di una tési, che è stata in questi ultimi tempi  in vario senso discussa, e che tuttora è oggetto di di-  scussioni non poche, si è quella relativa al significato  della voce jlagitium. Può Jlagitiuvi equivalere a « de-  litto « « scelleraggine, » oppur sempre si deve limi-  tarne il significato, si che esso designi un' azione che  sia solo « ignominiosa « o « vergognosa » ? Affinchè  tal questione non sembri peccare di sottigliezza sover-  chia, e si ravvisi anzi subito qual vantaggio ridondi  dalla soluzione di essa all'intelligenza di alcuni passi,  ci si consenta richiamare qui il ricordo di quei luoghi,  dalla cui controversa interpretazione questo nostro pic-  colo quesito si può dire sbocciato. Tacito in Ann. chiama i Cristiani jper fiagitia invisos. Così Plinio il  Giovane, nella famosa lettera a Traiano sui Cristiani  di Bitinia (X, 96) parla, a proposito di essi, di fiagitia  cohaerentia nomini. Che cosa è dunque che si imputa ai   e. l'ancal. 12     Cristiani con la -pavola, Jlagitia? Quelli che ne vogliono  limitare il significato entro i termini più angusti, ram-  mentano come alla mente dei pagani dovessero sem-  brare vergognosi i severi disdegni dei Cristiani per  tutto ciò che fosse piacere ed ambizione terrena; e  come tutto insomma il contegno loro di rinunzia e di  avversione al mondo si avesse tal taccia. Ma non pochi  scrittori e traduttori vedono in quei Jiagitia dei veri  « delitti », che i pagani, a ragione o torto, attribuivano alla nascente sètta cristiana. Non istarò, per ora,  ad esaminare se sia giusto il concetto, che, agli occhi  di scrittori, quali Tacito e Plinio, potesse sembrar ver-  gognoso il contegno austero di rinunzia e di spregio  per tutti i piaceri mondani, che si suole attribuire ai  Cristiani; scrittori i quali, anzi, pare che allora solo si  commuovano di ammirazione reverente, quando si tro-  vino a discorrere di uomini nei quali sia invitta l'energia del carattere, non cedevole a lusinghe di ambizione  e di potenza o a blandizie ed allettamenti terreni.  Keppur domanderò, se, qualora di semplice rinunzia  al mondo si voglia parlare, trovino spiegazione le per-  secuzioni feroci delle quali Plinio stesso si rese colpevole, condannando, senza processo, i Cristiani; e trovi  spiegazione la domanda che egli fa a Traiano, quando,  sgomento dal continuar la persecuzione, si ferma a  porre il quesito, se la sètta cristiana in sé stessa o i  Jiagitia ad essa inerenti egli debba imnire; era dunque  passibile di pena, per un Plinio, pure la rinunzia ai  mondo? Gioverà però, all' infuori di tali questioni,  trattare l'argomento nostro; ed esaminati altri esempli  ed indagato il significato di fiagìtium in essi, tornare  poi, col risultato ottenuto, al quesito onde prendemmo  le mosse.   L'opinione che il significato di Jlagitiuin debba re-  stringersi in più angusti confini rispetto a quello di  malejìcium, scehis, e simili, trova qualche consenso negli scrittori di siuouimie. Così Schmaifed, Lateìnisclie  Syìionymik: Flagitiwn heisst eine den,  der sie ausfiihrt, e n teli rende Haudluug, Schandthat  und b) oft geradezu Schande, infamia, dedecus », e  il passo apportato a suffragare tal signifi-  cazione è quello noto della Germania di Tacito, 12:  « tamquam scelera estendi oporteat dum puniuutur,  fiagitia abscondi », passo nel quale la parola flagltia  si riferisce alle colpe degl' ignavi et imhelles. Con lo  stesso esempio tacitiano prova lo Schultz, Sinon. la-  tini, trad. Germano-Serafini, § 243, la sua definizione:  « Flagitium^ bruttura, è un delitto contro sé stesso, una  violazione di sé stesso, non già con azioni violente,  ma con azioni moralmente turpi e vergognose ». Con  lo stesso esempio infine il Coen, La persecuzione nero-  niana dei Cristiani, pag. 13 dell' esbr., conferma che  '^fiagitia significhi azioni turpi piuttostochè crinunose »;  e sulla scorta anche di altri passi, determina  il suo concetto cesi: « ftagitium contiene ordinariamente  il duplice concetto di azione turile e colpevole ad un  tempo; però quello della turpitudine primeggia; e pri-  meggia tanto che qualche volta l'altro manca ».   Ora in quel passo di Tacito, e in altri passi affini,  è evidente che fagitium è adoperato in significato ben  ristretto. Ma quando tal significato si vuol porre come  costante in Jlagitium, ed applicarlo in tutti i casi, a me  pare che si vada troppo oltre. Un utile riscontro può  esser dato dalla nostra parola « vergogna ». Certo se  « vergogna » è adoperato da solo, in opposizione a pa-  role di significato più grave, quali « scelleratezze » o  « delitti », ciascuno intenderà trattarsi, di azioni mo-  ralmente, non penalmente condannabili. Ma « una fa-  miglia coperta di vergogna » si dirà pur quella, nella    Nulla trovo nello Schmidt, Handbuch des Lat. u. Griech,  Synonymik, Leipzig, 1889. quale il figlio sia ladro o la moglie adultera; e del  figlio, ad es., di un assassino si dirà che egli sente il  peso delle familiari vergogne. Gli è che tali parole  hanno duplice significato: l'uno specifico e l'altro ge-  nerico; e per questo secondo significato si trovano ad  essere applicate a quelle medesime azioni, a denotare  le quali si richiederebbero nomi specifici ben più  gravi. Ne segue che a determinare di volta in volta  il significato di tali parole, occorra anzi tutto vedere  a quali fatti si accenni, dei quali sia nei singoli passi  discorso. Non altrimenti io credo sia il caso per jla-  gitium. Credo cioè che, quando jlagltnim sia adoperato  in senso specifico, denoti azione turpe e sol moral-  mente condannabile; ma che in senso più lato, e con  riferimenti a fatti concreti, possa applicarsi ad azioni  ben più gravi, a vere scelleratezze. A conferma del qual  significato, ne sia lecito apportare qualche esempio,  che io sceglierò esclusivamente da Tacito: Hist. IV, 58,  « an si ad moenia urbis Germani Gallique duxerint, avvia  patriae inferetisì horret animus tanti flagitiì imagine ».  Trattandosi qui del portare le armi contro la patria,  credo non si reputerà adatta a rendere quel Jiagitium  qualche parola come « turpitudine » o « bruttura »; qui  si tratterà invece di vera e propria « scelleratezza » o  « infamia » o « delitto » ; si tratterà insou^ma di uno  scelìis; e scelus è infatti, immediatamente dopo, chia-  mata una tale azione: « quis deinde t^celeris exitus, cwn  Romanae legiones se cantra derexerint) »   La medesima identità tv a Jiagitium e scelus si scorge  pure nel capitolo precedente, a proposito del giura-  mento fatto dai soldati romani allo straniero. Ivi in-  fatti si legge: {Hist.) « ut, flagitium incognitum  Romani exercitus, in externa verba iurarent, pignusquò  tanti sceleris nece aut vinculis legatorum daretur ». Pure  utile al nostro intento è 1' altro passo {Ann.)  « leviore flagitio legatnm ìnterficietis, qnam ab imperatore descìscitis », e 1' altro (Ann. XV, 45, 8) nel quale  il liberto Aerato, inviato nella Grecia e nell'Asia a  commettere sacrilegi nei templi, è chiamato « cuicum-queflagitioiyvomptus », e l'altro ancora (i4?in.),  nel quale si dice che Nerone imputava ad Agrippina  tutti i flagìtia di Claudio, ^a^tYm dai quali quindi non  si potrebbero logicamente escludere le uccisioni di Si-  lano e di Statilio Tauro e delle ricche matrone e dei  molti cavalieri, procurate da Agrippina, dopo il matri-  monio con Claudio. Non sarebbe difficile addurre altri  esempii: quelli addotti mi paiono per ora sufficienti a  provare questo: che fiagitium sia parola di significato  molto vario circa la gravità del fatto che con esso si  imputa; tanto vario, che da semplice azione « scanda-  losa » può di grado in grado discendere fino a denotare  vera e propria azione « delittuosa » e « scellerata »; ed  essere, come abbiamo già visto, sinonimo di scelns. Il  che tanto più deve valere, se la parola è adoperata in  senso giudiziario: scelas, peccatnm, Jlagitùcm, maleficium,  ^jrohriim, facinus si usano, dice il Ferrini, [Esposizione  storica e dottrinale del diritto penale romano^ P^g- 18j,  promiscuamente nelle fonti medesime, per indicare gli  stessi reati. Vuol dire che, a determinare la gravità  della colpa indicata da fiagitium, converrà esaminare  nei singoli passi a quali fatti esso alluda. E poiché  nel passo di Tacito, Ann. XV, 44 « per fiagitia invisos »  si tratta di tali tatti, per i quali l'A. ritiene evideate-  mente non disdicevole ai Cristiani 1' accusa di « incen-  diarli », quell'accusa cioè per la quale egli dice poco  dopo i Cristiani « colpevoli e meritevoli delle maggiori  pene » ; e poiché nel passo di Plinio « fiagitia  cohaerentia nomini » non può esser dubbio che i fiagitia  sieno gli scelera dei quali l'A. parla poco dopo {/urta,  latrocinia ecc.), deve rimaner ferma la conclusione che  anche in questi due -pàssi fiagitia denoti vere e proprie  « scelleratezze » o « delitti ».  È stata oggetto di controversia la frase sitbdere  reum, che si ritrova tre volte adoperata da Tacito. I  passi sono i seguenti:   Ann. I, 6 17 «metuens ne reus suhderetuv ».   Ann.: mos vulgo [esf] quamvis falsis reum  suhdere ».   Ann. « abolendo rumori Nero stihdidit  reos... qiios... ».   La maggior battaglia si è veramente addensata  sul terzo passo, quello riguardante i Cristiani. Che  cosa vuol dire Tacito? Che Nerone accusò falsamente  i Cristiani? Che li sostituì a se quali colpevoli dello  incendio? O semplicemente che, per isviar la voci  pubbliche che lo accusavano, fece iniziare il processo  contro di loro? Sull'opinione di molti ha avuto cer-  tamente efficacia non poca la frase sìibdere testamen-  tum « far comparire un altro testamento » e cioè, evi-  dentemente, falso), che si ritrova in Tacito stesso,  Ann.: Ma questo verbo siibdere ha sì sva-  riati significati, che, se dovesse valere questa ragione  analogica, si potrebbe, con pari diritto, giungere alle  più avventate conclusioni. E per limitarci a Tacito  solo, si vegga di grazia quanti sono gli usi e i signifi-  cati diversi che può presentare tal verbo. Pugionem  capiti subdere in Hist. è certamente « nascon-  dere il pugnale sotto al guanciale » ; facem subdere in  Hist. II, 35, 6 e Ann. XV, 30, 4 è « accostar di sotto la  face » ; amphitheatro fundamenta subdere in Ann. IV, 62, 5  e animalia aratro subdere in Aìdi. è « sotto-  porre »; imj)erio aliquem subdere in Ann. XII, 40, 16  è « assoggettare all' imperio » ; rumor eni subdere in  Hist. III, 25, 1 e Ann. VI, 36, 3 è « far circolare la  voce »; subditis qui accusatorum nomina sustinerent m  Ann. è « avendo subornato alcuni a soste-  nere le parti di accusatori » e « subornare » è pure nel testo. Una espressione poi che si accosta molto  alla nostra è quella degli Ann. Ili, 67, 13 « ne qìds  necessarionim iuvaret j^ericUtantem^ maiestatis crìmina suh-  dehantur ». Qui si tratterà probabilmente dell'» imbastire  processi di maestà ». Che sia pur questo il significato  della frase subdere reos? Al passo nostro Ann. « abolendo rumori Nero subdidit reos.... quos » tal signi-  ficato non disconverrebbe. Da tutto il passo risulta  anzi che il processo contro i Cristiani fu raffazzonato  o imbastito alla peggio; tanto è vero, che non solo i  rei confessi d' incendio furono condannati, ma altresì  tutti gli altri che essi denunciarono quali aggregati  alla loro sètta, e che quindi furono convinti delVodium  humani generis. Ma v' è un altro passo cui tal signifi-  cato non s' attaglia ed è Ann. I, 39, 6 « utcjue mas vìdgo  qìiamvis falsis reum .subdere ». Qui evidentemente Tacito  vuol dire che il volgo suole delle sue disavventure in-  colpare sempre qualcuno, anche se colpa in realtà non  esista. Saremmo dunque qui a un semplice « incolpare »  o « attribuir la colpa », ma è da notare che reus è qui  adoperato in un senso traslato, non nel senso giudizia-  rio; negli altri due passi invece nei quali si ritrova  presso Tacito 1' espressione subdere reiim, si tratta di  vero e proprio processo, e reus ha quindi il suo signi-  ficato proprio di « accusato ». Qual sarà dunque in questi due passi il significato della frase? A me pare che  l'uno di essi sia molto chiaro, e ci dia pur modo di  scorgere il significato di quello cosi controverso. Questo  uno è il passo Ann. I, 6, 17, che narra della uccisione  di Agrippa Postumo. Tacito dice probabile che Tiberio e Livia abbian procurato la morte di quel giovane sospetto ed odiato. Ma quando il centurione anda ad annunziare a Tiberio essere stato eseguito l'ordine, Tiberio rispose non aver nulla ordinato, e che se ne doveva rendere ragione al Senato, Allora comincia a temere Sallustio Crispo, il quale era a parte del segreto, ed aveva mandato al tribuno il biglietto con l’ordine della  uccisione. Comincia a temere che non ci andasse di  mezzo lui, che non fosse incolpato lui, semplice mandabario: mefuens ne reus subderetnr. Si tratta dunque qui  di un mandante che rimane nell' ombra, e di un mandatario, il quale agisce per ordine suo, e si compromette, e può essere incolpato lui di tutto. Il caso del  processo contro i Cristiani è identico a questo. Tacito  cioè fa capire ogni tanto che Nerone possa essere il  mandante quegli che ha dato 1' ordine (cfr. dolo jprinci-  pis'. mssum incendium): ma non ha dubbio che i Cristiani  sieno gli esecutori^ giacché anzi li dice confessi; ^ quando  dunque dice che Nerone suhdidit reos i Cristiani, egli  vuol solo dire che li mise sotto processo; benché  egli come mandante avesse la colpa maggiore. Questo  il pensiero di Tacito: altra questione è poi se sia at-  tendibile la notizia, oppur solo il sospetto, che l'ordine  partisse realmente da Nerone. Intanto mi preme ram-  mentare come questa frase del suhdidit reos sia stata  addotta da moltissimi come lo scoglio contro cui sa-  rebbe sempre andata a infrangersi l' interpretazione  ohe di tutto il passo Ann. XV, 44 presentai nell' opuscolo. L'incendio di Roma e i primi Cristiani ». Questi  rei erano dunque subditicii! si è detto. Sì, subditicìij a  2 Tac. Ann. XV, 44: correpti qui fatehantur. Fatevi adope-  rato assolutamente a proposito di un processo può riguardare  solo la confessione di quello appunto, che forma materia di ac-  cusa. V. V ine. di Roma, nota 27, in questa ediz. Qui si tratta  di un processo d'incendio; dunque la confessione è d'incendio.  Nella lettera di Plinio X, 96 [97J l' accusa è « di esser cri-  stiani » ; e confitentes sottintende se Christianos esse. Tacito stima più colpevole chi ordina il male che chi  lo eseguisce per ordine. Cfr. An7i. XIV, 14 « et eius flagitium  est, qui jìecuniam oh delieta.... dedit » ; e poco dopo : < merces  ab eo qui iubere potest vim necessifatis affert ». quello stesso modo che era subditìcius Sallustio Crispo,  che per comando di Tiberio aveva fatto uccidere Postumo! Nell'uno caso e nell'altro il maggior colpevole  per Tacito è chi ha dato l’ordine, non chi 1' eseguisce. Questo passo, non che dunque infirmi, conferma anzi tutta l' interpretazione mia; la quale fu, sempre, appunto questa: che, nella mente di Tacito, i colpevoli  di avere appiccato le fiamme fossero i Cristiani, il colpevole di averlo ordinato fosse Nerone.  Riccardo Campa. Keywords: il concetto di  rivincita – rivincita -- la rivincita del paganesimo romano, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campa” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Campailla: l’implicatura conversazionale del concetto di estassi – implicatura estasica – a room in Bloomsbury -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Modica). Filosofo italiano. Grice: “You have to love Campailla; when I philosophised on ‘be orderly,’ I was drawing from Campailla: “Order is the first – ‘ordinato discorso dell’uomo;’ Campailla flouts the maxim: he allows that a man in ecstasi, in mutual contemplation of beauty, say, may lose the order – Oddly, Campailla dedicates more than a section to, then, ‘del disordinato discorso dell’uomo,’ or men, as we’d prefer!”  Grice: “You’ve gotta love Campailla – I would have preferred he chose the Graeco-Roman mythology, but he chose “Adamo,” and he provides, in verse, all I ever philosophised on – human discourse – discorso umano – on top, he considers ‘amore’ as a ‘passione dell’anima,’ and speaks of ‘self-love’ (amore proprio) and even virility and testicles – a Renaissance man!” Nasce sotto la rupe del Castello dei Conti. C., incisione dall'Adamo (Roma-Palermo) Mostrò le sue migliori doti d'ingegno in età matura, giacché, in gioventù, per la sua gracile costituzione, il padre preferì educarlo in campagna affinché si irrobustisse all'aria aperta, piuttosto che indirizzarlo agli studi. Si trasfere a Catania per studiarvi giurisprudenza, ma l'improvvisa morte del padre, che lo lasciava erede di un discreto patrimonio, lo costrinse a ritornare nella città natale, la sua cara Modica, in cui rimase fino alla morte, senza mai muoversi da essa.  Lì, poté dedicarsi interamente agli amati studi, prevalentemente da autodidatta, coltivando con passione ed abnegazione, fra le tante discipline, l'astronomia, le lettere e la filosofia. Sempre da autodidatta, studiò Aristotele e i classici, per poi dedicarsi alla fisica, forse spinto dall'onda emotiva suscitata dal terribile sisma che distrusse Modica e tutto il Val di Noto.  Morì per un colpo apoplettico.. Il suo corpo fu sepolto sotto l'altare maggiore del duomo di San Giorgio in Modica, del quale una lapide, deposta alla sinistra dell'ingresso principale, lo ricorda.  C., filosofo e poeta Studioso di Cartesio, che vuole conciliare con la filosofia scolastica, ne applicò i principi alle sue indagini conoscitive, fatte di osservazione ed esperimenti, divenendo, insieme col filosofo trapanese Michelangelo Fardella, uno dei principali divulgatori delle teorie cartesiane in Sicilia.  Poeta raffinato, fu accademico degli Assorditi di Urbino, dei Geniali di Palermo, e della più celebre Accademia degli Arcadi di Roma; restaurò quindi l'Accademia degli Infocati nella sua città natale. Da alle stampe i primi sei canti (ispirati ai moduli letterari lucreziani) del poema filosofico, in due parti, L'Adamo, ovvero il Mondo Creato, successivamente dedicato, nella sua stesura completa (in XX canti) a Carlo VI d'Austria, Imperatore e Re di Sicilia. Il poema, che conobbe una discreta fortuna e che è stato recentemente ristampato, rappresenta una summa delle idee teologiche, cosmologiche, fisiche e filosofiche dell'autore, alla luce del cartesianesimo.  All'inizio del Settecento, la fama del C., tra l'altro in corrispondenza epistolare con importanti personalità fra i quali Ludovico Antonio Muratori (bibliotecario del Duca di Modena), si diffuse anche all'estero, toccando Lipsia, Parigi, Londra, tanto che il filosofo Berkeley volle conoscerlo personalmente e, poiché C. non si muoveva mai dalla sua città natale (come Kant), fu lo stesso Berkeley a recarsi in Sicilia a trovarlo, informandolo fra l'altro delle nuove teorie newtoniane, le quali verranno poi usate dal C. nelle sue successive opere.  Il Muratori si fece intermediario persino per una cattedra all'Padova da assegnargli, invito che venne pure da Londra, ma il suo ostinato rifiuto a viaggiare e lasciare la sua Modica (in ciò, ancora simile a Kant) lo portò a declinare tali prestigiose ed onorevoli proposte. Per lo stesso motivo, invitato ad assistere all'incoronazione a Re di Sicilia, nella Cattedrale di Palermo, del Duca Vittorio Amedeo II di Savoia, disdisse gentilmente la visita.  Pubblica, rimanendo però incompiuto, il poema sacro L'Apocalisse di San Paolo, in cui, oltre ad affrontare i temi della grazia e della virtù attiva, fornì pure una personale confutazione delle teorie di Miguel Molinos, fondatore del "Quietismo", un'eresia che aspirava all'unificazione con Dio. Infine, nello stesso periodo, iniziò a scrivere il primo volume di un'opera sistematica intitolata Opuscoli filosofici, di cui uscì solo il primo volume (in dialoghi) intitolato Considerazioni sopra la fisica di Newton, contemporaneamente alla stesura di un trattato, in due volumi, di fisica cartesiana, pubblicato postumo sotto il titolo Filosofia per principi e cavalieri.  La cura della sifilide con le botti di C. Pur non essendo medico di professione, C. riuscì tuttavia a promuovere, nella Contea di Modica, gli studi di medicina. Infatti, il suo impegno, quasi umanitario, lo portò a sperimentare le sue famose "botti" (dette poi botti del C.) per la cura non solo della sifilide (considerata, allora, il male del secolo, e ritenuta dalla Chiesa come un castigo di Dio per i peccati degli uomini), ma anche dei reumatismi e, in genere, di qualunque forma di artrosi.  La "botte", in realtà, è una stufa mercuriale con all'interno uno sgabello, sul quale il paziente veniva fatto sedere, in attesa della cura. Questa consisteva nel versare, in un braciere che si trovava pure all'interno della stufa, la relativa dose di cinabro, da cui, per sublimazione, esalavano dei vapori di mercurio, che erano poi assorbiti dal corpo del paziente in piena sudorazione. La novità introdotta dal C. consistette nell'aggiunta di incenso all'interno della botte, in una dose che consentiva, ai vapori sprigionati, di essere più "respirabili" per un certo lasso di tempo, variabile dai 10 ai 20 minuti circa, a seconda dalle condizioni soggettive del paziente.  Il contributo del Campailla consentì pure di modificare la forma della botte, rispetto alle altre già esistenti in Italia ed in Europa, le quali avevano un foro in alto da cui fuoriusciva la testa del paziente che, in tal modo, non poteva respirare i vapori di mercurio medicamentosi. Tuttavia, questi vapori, così esalati, erano curativi solamente per i sifilomi che infestavano la cute, i quali regredivano sì ma senza remissione del morbo (che solo con l'avvento della penicillina si debellerà), con i germi patogeni che continuavano ad agire e moltiplicarsi nel sangue dei soggetti infetti.  Invece, grazie all'innovazione del C., i pazienti, completamente all'interno della botte, potevano ora respirare la miscela di mercurio e incenso, la quale, agendo così in modo sottocutaneo, uccideva i germi diminuendone la carica patogena; spesso, si ottenevano delle guarigioni, a volte anche definitive, che, all'epoca, venivano considerate quasi miracolose. Infatti, un rapporto medico dell'epoca riferisce che  " [...] Dopo la cura mercuriale col metodo C., si può assistere a delle rinascite complete di individui ridotti in condizioni impressionanti di cachessia o con lesioni tali da rendersi impossibile qualsiasi intervento curativo per via percutanea o ipodermica".  I risultati furono talmente soddisfacenti che Modica acquisì notorietà in tutta Europa proprio per le botti del Campailla, ancor oggi esistenti all'interno dell'antico Ospedale di S. Maria della Pietà e visitabili all'interno di un percorso museale appositamente dedicato.  Negli anni a venire, le botti del C. furono, ma con scarsi risultati, imitate altrove, sia in Italia che all'estero: ad esempio, sorse a Palermo, per volere del prof. Mannino della locale facoltà di Medicina, un Sanatorio C. Fu  poi costruita, a Roma, una cosiddetta Botte di Modica; a Milano, ancora negli anni '50, furono costruite botti di vetro sul modello di quelle del C.; mentre, a Parigi, furono fondati istituti a imitazione del Sifilocomio C.palermitano, per la cura delle malattie reumatiche e nevralgiche.  Teatro La rappresentazione Cygnus, atto unico scritto da Nausica Zocco, prende spunto dalla vita e dalle opere di Tommaso Campailla, ed è stato portato in scena l'8 maggio  a Modica, per la regia di Tiziana Spadaro.  Note  L'esatta data di nascita è riscontrabile, come quella di morte, negli appositi registri dell'Archivio Parrocchiale della Chiesa Madre di San Giorgio in Modica.  Taluni, sulla base di nessuna fonte storica attendibile, hanno diffuso l'infondata notizia secondo cui C. stesso sia stato vittima della sifilide, contrariamente al fatto che lo studioso modicano costruì comunque le sue botti, per il trattamento di questa infezione quando aveva solo 30 anni, ma morì a 72 anni, età veneranda e considerevole, per quei tempi, in cui la vita media di un individuo di sesso maschile era di 55-58 anni, per non tener conto poi del fatto che, nel Settecento (e così, fino all'avvento degli antibiotici nel Novecento), un sifilitico aveva comunque delle bassissime aspettative di vita dopo il manifestarsi della malattia, dell'ordine di pochissimi anni. Ad ogni modo, le botti del C. raccolsero, per molti decenni, un gran numero di pareri positivi a favore di un loro benefico influsso contro il morbo. C., "L'Adamo" ovvero "Il mondo creato" poema filosofico, Volume unico, Messina, Chiaramonte e Provenzano, treccani/enciclopedia   Cfr. D. Scinà, Prospetto della storia letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Tipografia Lorenzo Dato, Palermo, Tratto dalla Rassegna di Clinica, Terapia e Scienze Affini, Secondio Sinesio, Vita del celebre filosofo, e poeta Signor D. C. , Patrizio modicano, Siracusa, 1783; ristampa Modica. Guccione, C. ed il suo museo in Modica, Leggio & Diquattro, Ragusa, Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note Domenico D'Orsi, MILANI, Padova, Criscione, C. Un poeta e filosofo modicano, Idealprint, Modica, Guccione, C. il suo museo, la scuola medica modicana, Comune di Modica, Modica, C. e la Scuola Medica Modicana, Ed. Ingegni Cultura Modica, Modica. C., su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di C., su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Sotto il titolo “Disordinato discorso dell’uomo” sono raccolti due saggi pioneristici del filosofo modicano sul ruolo della mente nei sogni, nel delirio, nell’estasi e nella follia. L'estasi (dal greco ἔκστασις, composto di ἐκ o ἐξ + στάσις, ex-stasis,[1] «essere fuori») è uno stato psichico di sospensione ed elevazione mistica della mente, che viene percepita a volte come estraniata dal corpo: da qui la sua etimologia, a indicare un «uscire fuori di sé».  Nonostante la diversità delle religioni, culture e popoli in cui l'estasi è stata sperimentata, le descrizioni circa il modo in cui essa viene raggiunta risultano straordinariamente simili. Si afferma di provare in questi momenti una sorta di annullamento di sé, e di identificazione con Dio o con l'"Anima del mondo". Descrizione ed effetti. Manifestazioni dell'estasi nell'antichità. Il corteo dionisiaco 2.2 L'estasi oracolare 2.2.1 Figure oracolari 3 L'estasi nelle filosofie orientali 4L'estasi in Plotino 5L'estasi cristiana 6L'estasi paradisiaca in Dante 7Il Rinascimento 8L'Ottocento e il Romanticismo. Descrizione ed effetti Psichicamente è caratterizzata dalla cessazione di ogni attività da parte dell'emisfero cerebrale sinistro (noto anche come emisfero dominante o della "razionalità discorsiva"), consentendo così all'emisfero destro (quello recessivo o passivo, detto anche "emotivo") di attivarsi. È uno stato di estrema concentrazione simile per certi versi all'ipnosi, quando ad esempio la mente rimane attonita nel fissare un punto o un oggetto, dimentica di ogni altro pensiero. Generalmente produce uno stato di notevole beatitudine e benessere interiore. Manifestazioni dell'estasi nell'antichità Una simile condizione mentale era nota sin dall'antichità ed era considerata manifestazione diretta della divinità.[4]  Il corteo dionisiaco Nell'antica Grecia erano famose le menadi (o Baccanti), donne greche che partecipavano a riti non ufficiali. Si trattava di culti misterici e iniziatici che si svolgevano al di fuori delle mura della città ed erano aperti agli emarginati della società, quali appunto le donne, gli schiavi e i meteci. I protagonisti di questi culti (detti anche Misteri, connessi sia ai riti dionisiaci che a quelli orfici sorti intorno al VII secolo a.C.), presi in uno stato di trance o estasi ballavano sfrenatamente e uccidevano a mani nude degli animali. Si trattava di elementi legati all'aspetto esoterico della religione greca, che convivevano sotterraneamente con l'exoterismo della religiosità tradizionale.[6]  L'estasi oracolare L'estasi era ciò che rendeva possibili gli Oracoli, essendo vissuta come momento di tramite fra la dimensione terrena e quella ultramondana. A volte lo stato di estasi veniva raggiunto artificialmente mediante l'uso di sostanze psicotrope; la persona coinvolta era portata così a compiere gesti o azioni insoliti.[7]  Figure oracolari Figure emblematiche e famose per le loro estasi collegate al dono della profezia erano le Sibille, donne laiche che gravitavano presso un tempio di Apollo proprio per la loro capacità di connettersi col divino, che proferivano i loro responsi restando nell'ombra, non mostrandosi facilmente agli umani che le avessero consultate ed interrogate; oppure poi la Pizia vera e propria sacerdotessa di Apollo che dimorava nel famoso santuario apollineo di Delfi, la quale si mostrava ai fedeli e proferiva gli oracoli dopo appositi riti e sacrifici. La Pizia raggiungeva uno stato di estasi indotto dai vapori inebrianti che uscivano da una spaccatura del suolo, durante il quale proferiva gli oracoli. In Magna Grecia era invece famosa la Sibilla di Cuma, antica città greca situata nei Campi Flegrei. I responsi delle Sibille tuttavia erano spesso oscuri e non facilmente interpretabili, venendo compresi ora in un senso, ora in un altro.[9]  L'estasi nelle filosofie orientali Nelle religioni asiatiche, come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo, l'estasi è il momento sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno sviluppo delle potenzialità e delle qualità naturali presenti nell'individuo. Questo stato è anche chiamato onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della persona si fonde con il macrocosmo dell'universo. Diventa così possibile una condizione di nirvana, alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza della propria energia. L'estasi in Plotino Secondo Plotino (filosofo ellenistico neoplatonico), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione da Dio: essa è un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale, desiderando ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non possedendolo, ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad ogni pretesa di oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della razionalità, ovvero negando se stesso. Tramite un severo percorso di ascesi, che si serve del metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni, la ragione riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo soggetto/oggetto e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia un semplice panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente un percorso in salita verso la trascendenza.  Il circolo nella filosofia di Plotino: dalla processione all'anima umana, e dalla contemplazione all'estasi. Essendo l'Uno non descrivibile, perché descriverlo significherebbe sdoppiarlo in un soggetto descrivente e un oggetto descritto (e quindi non sarebbe più Uno, ma due), anche l'estasi è di conseguenza uno stato psichico non descrivibile a parole, dato che l'estasi è la condizione stessa dell'Uno che si auto-contempla. Intuirla è possibile solo per via di negazione: tramite il suo contrario, prendendo coscienza di ciò che l'Uno non è, cioè del molteplice. L'Uno stesso, in quanto autocoscienza del pensiero, per intuirsi deve pertanto uscire fuori di sé, diventando molteplice. L'estasi è appunto l'atto con cui l'Uno genera il molteplice: essa è un cogliere tutt'insieme l'uno e i molti, in un circolo che dalla processione ritorna alla contemplazione. Cusano, teologo cristiano del Quattrocento, dirà in maniera simile che l'universo è l'esplicatio dell'Essere, ovvero il fuoriuscire di sé da parte di Dio.  A differenza del Cristianesimo però, secondo Plotino l'estasi non è un dono della divinità, ma una possibilità naturale dell'anima. Essa tuttavia si manifesta non per una propria volontà deliberata, ma da sé, in un momento fuori della portata del tempo. Plotino stesso raggiunse l'estasi solo tre o quattro volte nella sua esistenza. Viverla è infatti dato a pochissimi, in rari momenti della loro vita. L'estasi inoltre non serve ad uno scopo pratico; essendo contemplazione fine a se stessa, in questo mondo non c'è nulla di più inutile. È solo nell'estasi però che l'essere umano ha la rivelazione della sua condizione più vera e autentica. Per il resto la via indicata da Plotino verso la saggezza consisteva in una vita retta, oppure nella ricerca di espressioni artistiche come la musica.  L'estasi cristiana  Santa Teresa d'Avila La filosofia plotiniana diede quindi avvio a una lunga tradizione neoplatonica, che concepiva l'universo animato da un eros o tensione amorosa mirante a ricongiungersi a Dio tramite l'estasi. La teologia di Plotino fu ripresa in particolare da quella cristiana, e rivisitata però alla luce dell'aspetto personale della Trinità. L'estasi venne intesa in un senso più ampio: per il cristianesimo essa non è più soltanto una contemplazione fine a se stessa, ma è funzionale all'azione; deve tendere cioè non solo verso Dio, ma anche verso il mondo. Tale mutamento di prospettiva venne introdotto affiancando all'amore greco di tipo ascensivo, corrispondente al concetto di eros, un amore discensivo corrispondente al concetto evangelico di àgape. L'esperienza estatica cristiana consiste così in una comunione, una sorta di abbraccio col mondo e l'umanità in esso dispersa con lo scopo di alleviarne le sofferenze e ricongiungerla al Padre.  Essa avviene tramite un'illuminazione operata direttamente da Dio. Questi fuoriesce nel mondo non per un atto involontario (com'era nel plotinismo), ma perché ama le sue creature. Identificarsi con la sua estasi divina è, secondo Agostino, la meta naturale della ragione umana, la quale può riuscirci non per una deliberata volontà individuale, ma per una rivelazione da parte di Dio stesso che si rende presente alla nostra mente; l'estasi è dunque essenzialmente un dono, reso possibile per intercessione dello Spirito Santo, grazie a cui l'essere umano trascende i propri limiti e si rende strumento di Dio nel mondo.A differenza di altre religioni la persona coinvolta non perde comunque la propria individualità, pur compenetrandosi in Lui.Per i mistici medioevali, come San Bernardo, o i neoplatonici tedeschi come Meister Eckhart, l'estasi è una visione beatifica che avviene quando l'anima è rapita in Dio, e l'essere si annulla in un Pensiero senza più limiti né contenuto: Dio infatti non può essere oggettivato, perché non è oggetto, ma Soggetto. Si tratta di una comunione mistica accesa da un fuoco d'amore, un'esperienza di beatitudine suprema simile a quelle che saranno riferite in seguito anche da Santa Teresa d'Avila, figura di riferimento della Controriforma. Un'altra testimonianza sull'estasi in tal senso è quella medioevale del beato Jacopone da Todi nella lauda O iubelo de core.  L'estasi paradisiaca in Dante Nel Trecento Dante Alighieri, nel Paradiso della Divina Commedia, di fronte alla visione beatifica di Dio, negli ultimi versi della cantica prova così a descrivere l'estasi, conscio della sua ineffabilità, dell'impossibilità di riferirla a parole in maniera oggettiva:   Dante contempla l'Empireo, incisione colorata dell'originale di Doré «Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova, pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a quella vista nova: veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova;  ma non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un fulgore in che sua voglia venne.  A l'alta fantasia qui mancò possa; ma già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa,  l'amor che move il sole e l'altre stelle]»  (Paradiso) Il Rinascimento Il desiderio di estasiarsi godette quindi di una notevole fortuna durante il Rinascimento. Al di là del significato religioso l'estasi assunse allora principalmente una valenza artistica o estetica. Il bello era visto sia dai filosofi rinascimentali che dagli idealisti romantici come la via privilegiata per ricongiungersi a Dio. Bruno paragonò l'estasi a un eroico furore: non un'attività pacifica che spegnesse i sensi e la memoria, ma al contrario li acuisse, simile a un impeto razionale. A una rivalutazione dell'estasi nell'Ottocento contribuirono sia la Critica del giudizio di Kant, sia l'idealismo di Fichte e Schelling. Kant vedeva nel giudizio estetico un sentimento universale di partecipazione con l'Assoluto, nel quale la ragione non è più vincolata da un'attività conoscitiva soggetta alla necessità delle relazioni causa-effetto, ma è libera nel formulare i propri legami associativi. Per Fichte l'estasi è intuizione intellettuale, l'atto immediato con cui l'Io, nel diventare autocosciente, può intuire se stesso solo in rapporto a un non-io; così nel porre se stesso l'Io pone al contempo anche il molteplice al di fuori di sé. Parimenti Schelling vedeva nell'estasi un'attività infinita con cui Dio crea il mondo. L'uomo può riviverla nell'estasi artistica, che è la manifestazione più tangibile dell'Assoluto, nel quale l'aspetto attivo e passivo, il lato conscio e quello inconscio della mente, non sono più in conflitto tra loro, ma si fondono in una sintesi armonica di comunione cosmica con la Natura. Mantegazza, Le estasi umane, Marzocco, Firenze; La Civiltà Cattolica; Legislative Reference Bureau, Roma; Enciclopedia Treccani alla voce «estasi», di Marco Margnelli e Enrico Comba, Giovetti, Dizionario del mistero; Mediterranee, Atlante illustrato della mitologia del mondo; Giunti; Bianchi, A. Motte e AA.VV., Trattato di antropologia del sacro, Jaca Book, Milano; Diana Tedoldi, L'Albero della musica: tamburo, stati altri di coscienza; Anima Srl; Burkert, La religione greca di epoca arcaica e classica;  Jaca, Messina, Riflessioni e verità; Edizioni del Faro; Aa.vv., Dizionario della Sapienza Orientale: Buddhismo, Induismo, Taoismo, Zen; Mediterranee; Kerouac, Il libro del risveglio, a cura di T. Pincio, Mondadori; Evola, Oriente e Occidente; Mediterranee; «La scienza è ragione discorsiva e questa è molteplicità: perciò, una volta caduta nel numero e nella molteplicità, essa perde l'Uno. È necessario dunque trascendere la scienza e non allontanarsi mai dal nostro essere unitario, ma abbandonare la scienza. [...] Perciò si dice che Egli è ineffabile e indescivibile» (Plotino, Enneadi, VI, 9, 4, trad. di Faggin). Faggin, in La presenza divina; D'Anna editrice, Messina-Firenze; Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo; Il circolo nella filosofia di Plotino, Milano, Rizzoli; Faggin, Mazza, La liminalità come dinamica di passaggio: la rivelazione come struttura osmotico-performativa dell'"inter-esse" trinitario; Gregorian Biblical BookShop; Sulla differenza terminologica tra agape ed eros, cfr. E. Stauffer, Agapao, in G. Kittel-G. Fridrich, Grande lessico del Nuovo Testamento, vol. I, Paideia, Brescia; Bonetti, Matrimonio in Cristo è matrimonio nello Spirito, p. 63, Città Nuova; Julien Ries, Communio, p. 88, Jaca; Come una piccola goccia d'acqua che cada in una grande quantità di vino sembra diluirsi e sparire per assumere il sapore e il colore del vino; così ogni affetto umano, nei santi, deve fondersi e liquefarsi per identificarsi alla volontà divina. Come infatti Dio potrebbe essere tutto in tutto, se nell'uomo restasse qualcosa di umano? Senza dubbio, la sostanza rimane, ma sotto un'altra forma, un'altra potenza, un'altra gloria» (Bernardo di Chiaravalle, De diligendo Deo, 10, trad. di G. Faggin). ^ Santa Teresa d'Avila descrive l'estasi come un momento di "assenza" nel quale afferma di aver percepito tutto il dolore provato da Cristo durante la Passione, ma anche una così grande gioia interiore da coprire il dolore (cfr. Autobiografia). ^ Nella descrizione di Dante si tratta di quella condizione paradossale di «estasi per cui la mente esce di sé e perviene a un potenziamento di sé» (T. Di Salvo, Paradiso, Zanichelli). ^ Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura: da Giorgione a Magritte, p. 432, Pearson Italia S.p.a.;  «Una delle qualità necessarie al sapiente, cioè a colui che intende spingere l'ascesi conoscitiva fino all'estasi e all'indiamento (farsi Dio), è un livello erocio di amore per la bellezza, un furore divino nella terminologia di Ficino» (Ubaldo Nicola, Atlante illustrato di filosofia, p. 238, Giunti). ^ Ubaldo Nicola, Atlante illustrato; Pozzolo, La fede tra estetica, etica ed estatica, p. 64, Gregorian Biblical BookShop, 2011. ^ S. Mati Novalis, Del poeta regno sia il mondo. Attraversamenti negli appunti filosofici, p. 81, Pendragon, 2005. ^ Antonello Franco, Essere e senso: filosofia, religione, ermeneutica, p. 170, Guida; Cfr. anche Luigi Pareyson, Lo stupore della ragione in Schelling, in AA.VV., Romanticismo, esistenzialismo, ontologia della libertà, Mursia, Milano; Carlo Landini, Psicologia dell'estasi, Franco Angeli, Milano 1983 Ioan Petru Culianu, Esperienze dell'estasi dall'ellenismo al Medioevo, Laterza, Bari; Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche dell'estasi, ed. Mediterranee, Razzano, L'estasi del bello nella sofiologia di S. N. Bulgakov, Città Nuova, Merlin, F. Vettori, Un'estetica estatica, edizioni Cleup, Padova; Beatitudine Esperienza extracorporea Illuminazione (Buddhismo) Illuminazione (cristianesimo) Indiamento Misticismo Sofianismo Trance (psicologia) Transverberazione «estasi» Estasi, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Stati di coscienza; Filosofia Portale Filosofia Psicologia Portale Psicologia Religione Portale Religione Categorie: Concetti e principi filosoficiEmozioni e sentimentiFilosofia della menteMisticaTeologia  Comie ſi genera; Nima Ragionevole, come di Anima, come sà, che, fuor del ſuo ſcorre nel Corpo Organico. St.1. Corpofieno, altre Coſe Corporee.27. Obbietti Senſibili terminan le Idee Per le Idee degli Obbietti,nel Senſo nel Senſo Comune. St. 2. Comune rappreſentatele. Corpi Striati, e loro ſtruttura, 3. Cometalora s'inganna. 29. Fornice, e ſua teſtura; Delirio nell'Ubriachezza; Setto Lucido, e ſua fabrica. 5. Vino or fà dormire,or vegliare. 32. Corpo Calloſo, e ſua anatomia. 6. Come alle volte porta il ſonno. 33 Senſo Comune ne 'Corpi Striati. 7. Come talora induce vigilia. 34. Da quali paſſano tutti gli Spiriti Ubriaco, perche Delira. 35. Motivi, e i Senſitivi. 8. Mania, eſuo Delirio. Anima,in quanto ſente,riſiede ne’ Corpi Striati. 9. Siſpiega in particolare. 40. Fantaſia ſi eſercita nel Fornice. Io. Morficati dal Can rabbioſo, e lor Memoria riſiede nel Corpo Callofo.1.1. Delirio. 43. Imaginativa, come ſérve al Di Come prendon proprietà Canine. 44. ſcorrere. 12. E credono, eller Cani. 45. Facoltà Motiva,coni'è eccitata. 13. Core procede tal Trasformazione.46. lilee Senſibili,coine ſi formano,e 's' Delirio Febrile, ò Frene fiu. 48. imprimono nel Cerebro. 14. Come faffi. 49. Spiriti Animali, fimilialla Luce.15. Come ſi dà Febre ſenza Delirio, e Paragone fra queſta, e quelli. 16. Delirio ſenza Febre. Spiriti Animali, comeformano le Cerebro deſtinato agli uficj Anima Idee. 17. li, e il Cerebello à i Vitali. FI. Idee non ſono, che una pittura, in Anatomia del Cerebello. protata nelle pieghe del Cerebro.19. Nervi, che naſcono dalCerebello. 53. Sterienza. · 20. La Mente non bà dominio ſul Cea Idee, come laſciano la loro inpronta rebello. 54. nuel Corpo Calloſo. 22. Comunicazioni fra il Cerebro, e il inima, come ſi rigorda. 24. Cerebello ſcambievoli. 55. Guajti gli organi del Diſcorrere, Impreſſioni del Cerebro,come ſi par iguafla il Diſcorſo Umano. 26. tecipano al Cerebello, e quelle 50. 52. del 227 84. del Cerebello al Cerebro. 58. Come ſi genera. 79. Agitazione Febrile, cagionata al Delirio dellº Incubo, come ſi forma.81. Cerebello, partecipanıloj al Ce Maliæconia Ipocondriaca. rebro, induce il Delirio. 59. SueCagioniantecedenti. 85. Non comunicandoſi, no’l produce.62. Suoi triſti effetti. 86. Delirio de ' Sognanti. 63. Come induce ilDelirj. 89. Sonno, come ſi fa. 64. Per gli efluvj degli Umori, corrotti Cbefia 68. nelle Viſcere, 90. Sogni, come ſi formano. 69. | Rimedj, che riducono allo ſtato di Sogni, perchè ſi formano,à miſura Sanità gli Organi, guariſcono, degli Appetiti, e delle Paffioni dal Delirio. 91. attuali, 74. Diſcorſo depravato per erroriLoa Incubo. 77. gici, e ſuoi rimedja IXIETAS2140S147 Μ Α Ν Ω. ARGOMENTO. 27482 A82FATIRAF ETAFARAYAX 2X1% XKAYARANJE D E l'ordinato pria Diſcorſo Umano Dichiara la Meccanica ragione il dotto Serafin, poi de l’ Inſano Le falſe Idee, l Opere prave eſpone: Qual ne i Senni, anche Savj, il ſogno vana Le incongrue fantaſie finge, e compone; Qual la Ragion prevarica, e travia L ' Ipocondriaca, à l' Uom, Malinconia. STATE 1 sãto, 2.Su queſte Midollar due fondamenta Del Corpo inilerabile, c mortale La propria mole anteriore appoggia Compreſo lò dal tuo dir, cô doglia,e pianto, Il Fornice, che il Cerebro ſoftenta, Lo ſtato lagrimevole, e fatale, Ed in Corpo Calloſo ad alto poggia. Seguì à parlar, per conſolarmialquanto, Sul Midollo allungato ei, dietro, afſenta De l'Anima si nobile, c Immortale; Due pic poſterior, di Volta in foggia: Coin'ella, in queſta fua Corporca mole, Del Palagio cosi de l'Alma intero Intende, idea, membra, diſcorre, e vuole. L'uno, e l'altro loftien doppio Emisfero. 5 E il Serafin: Dopo che invia l'Obbietto Mà del Fornice al tetto interiore, Il Carattere fuo nel Sento eſterno, Qual Zona, un Setto lucido li appende; Per il canal de Nervi, ei và diretto Che, in mezo, da la parte anteriore, Sè ad improntar nel comun Senfo interno. A la poſterior, curvo, diſcende. Queſto è il luogo del Cerebro, ch'eletto A i lati fuoi, con ſempre ugual tcnore E de moti ſenſibili al governo. Di quà, di là ſerie di ſtrie, ſi ſtende, Qual van le linee al centro, in lui convienli, Che tutte in lui riguardano egualmente, Ch’entrin tutte le Idee de gli altri Senſi. Il qual, di Vetro in guiſa, è traſparente. 3. 6. Pria,che il Cervello i ſuoi due faſci accoppi L'ampio Corpo Calloſo è ſovrapoſto In Midollo allungato, e poi Spinale, Al Fornice, e sù quel li ammaſſa, e annette, Da quai ſpuntano pofcia, ad ordin doppi E con ordin mirabile è compoſto Tutti i Nervi del Senſo univerſale, D'inteſti filamenti à retinette, Di Cannei Midollar compon due groppi, Di cui l'immenſo numero diſpoſto Conici, e curvi, in forma lunga ovale In fuperficie vien piane perfette, Che, perchè ſono à lunghe ſtrie ſolcati, Molli così, che ammettono, à l'azzione ' i detti laran Corpi ftriati. De gli Spirti, ogni minima impreffione. Entro de i Midollar Corpi Striati, E de gli eſterni Obbietti lor là dove La reſidenza il Comun Senſo ottiene, Hà la Malizia, d la Bontà compreſa, C'hà de le proprie Glandole irrigati I principj de i Nervi apre, e vi piove Le cavità, di Spiriti ripiene, Copia di Spirti, ove ella vuole, inteſa: Atti ad eſſere impreſli, e conformati I Muſcoli ritira, e i membri move In ogni Idea,che a lor da i Senſi viene, Al'ampleſſo, à la fuga, à la difeſa; Azili, e fnelli, à figlirarſi eſpoſti E quando poi di quei reſta ſicura D'infiniti, in cui fian, modi, diſpoſti. Più Spiriti non manda, e i Nervi ottura 14. I Nervi in lor degli Organi Senſori Spiegami meglio (aggiūge Adam )traslata, Tutti invian de gli Spiriti i refulli: Come i'ldea nel Comun Senſo ha forma: E quei, da lor, de gli Orgeni Motori Come dal Settolucido paſſata, Spontanei tutti han degli Spirti i fluſſi: Entro il Corpo Calloſo imprime l'orma: Cid, che vien dentro ammeſio, ch'eſce fuori E come poi, che in quel reſta improntata, Di Senſitivi, o di Motivi in Auſli, Entro la Fantafia la Copia forma, Del Cerebro, ove l'Alma à regnar ſtarfi, Simile a quella Idea, che pria l'affiſſe: Per queſta regia Via, convien, che palli Cosi ei richiede: E così Quei gli diffe 9. 15. In queſti l'Alma Umana, in quanto ſente, Benchè vario fra loro il naſcimento Corpi Striati aſſiſte, e ognor riſiede: Han la Luce, e gli Spiriti Aninali: Quilegata, à gli Spirti intimamente, Che quella dal ſottil Primo Elemento, La sè, incorporea, à i Corpi aggir concede: Queſti portan dal Terzo i lor natali, Qui l'occhio Spirital ſempr’hàprefente: Ne la velocità, nel movimento, Qui tocca, guſta, odora, afcolta, e vede: Nel Terbar riflettendo angoli eguali Qul le potenze Senſitive hà immote, De l'incidenza à l'angolo, ſembianti Qui non ſentir ciò, che s'idea,non puote. Fra lor ſon inolto, c in eſſere rifranti. 16. La Fantaſia, del Fornice nel Setto Tra gli ſpazi de GloboliCeleſti Lucido, fuole eſercitarli, cui Ruota in centro la Luce, à vorticetti: Come pervio, e diafano perfetto Girano in centro ancor mobili queſti Per ogni parte han via gli Spirti ſui, Sottilmente formatl in Globoletti: Qui le Idee rappreſentano l'aſpetto, Son de la Luce i Corpi agili, e preſti, Che dal Senſo Comun paſſano in lui: Atti à modificarli in vari aſpetti; Le mira in queſto Specchio, e le contempla Queſti da Corpi,onde ſon mai rifelli, L'Alma, e in sè Spirital l'Idee n'eſempla. Tornano poi modificati anch'eſſi. 17. La Idea, dal Setto lucido, leggiera Quale il Lume de i Corpi, onde riflette Entro il Corpo Calloſo alfin trapaſſa, Ovunque dirizzarſi abbia permeſſo, E ne le tele ſue l'Iminago intera, Di quei le colorate Immagginette Imprime, e il ſuo Carattere vi laffa. Modificate al par porta in sè ſteſſo: S'impronta in lor, come Sugello in cera, Ne gli ſpirti de l'Ottiche fibrette Nè per tempo sì facile fi caffa. Quelle dipinge, entro de l'Occhio ammeſlo: Altre Idee in altre fibre impreffe poi Laſciando in quegli Spiriti i modelli Serbano à la Memoria i teſor fuoi. Che ne la fuperficie ebb’ei di quelli. 12. 18. Se diſcorrer talor la Mente hà brame Tal gli Spirti Senſor modificati Sù quelle Idee, che il Comun Senſo invia Da gli obbietti, onde füro indietro ſpinti; Uop'è, che le trafcorſe Idee richiame Nel Comun Senſo portano traslati, Dala Mémoria à la fua Fantaſia. Quegl'Idoletti Mobili diſtinti, Ponle nel Setto lucido ad elame, Che nela Fantafia rapprefentati, Le rigette, o le approva, odia, ò defia, Ne la Memoria alfin reftan dipinti, A miſura, che trae da loro effenze Con quello ſteſſo colorato aſpetto, Utili, a infaufte à sè le conſeguenze. Che in ſuperficie å vea l'efferno Obbietto. L'Adamo del CampaiHas Mmm L'ldos ro. IL DISCORSO UMANO. L'idea, che ne le fibre interiori In queſta forma, Adam, l'Umana Mente; Del Caitofo Midol poi fi figura, Mêtre informa il ſuo Corpo,e leſuc Membra) Per mezo de'caratteri impreſſori Da i fantaſmi di quello è dipendente: Non è, ch'una verilima pittura, Con queſti ſente, immagina, e rimembra: Per via dipinca in lor, non di colori, Mà in sè diſcorre, e vuol liberardente, Mà per mutazion de la teſtura, E ciò clegge, che buon, che bel le ſembra: Chenegli Spiīti !!! tal rifleſſo induce, Pur, de gli Enti Corporei, uop'e, che penſi, Quale iColor riñettono la Luce. Per via d'Idee material di Senſi. 26. Non ſono i Color tutti altro in sè ſterfi, Mà perd, che del Corpo i Morbi fono Che ſuperficie, tal.configurata, Per l'intima union, Morbi de l'Alma, Sù cui rifranti i raggi, e infiem rifleſſi, Perdendo il Corpo il natural ſuo tuono, Han si la rifleſſion modificata, Se inferma è mai la fua Corporea Calma, Che imprimono ne l'Occhio i color Ateli. La Mente, che nel Cerebro ha il ſuo trono Con cui la ſuperficie è colorata: Tra gli Spirti animai non reſta in calma; Cosi Criſtal diafano hà coſtume Perchè di lor difregolato il corſo, Sol culorir per Refrazzione, il Lume. La perturbata Idea turba il Diſcorſo. 21. 27., Si diffé il Serafino, e tenue Stile Che ſien fuori de l'Anima in Natura Che di piun colore affatto intinſe, Corpi reali, e fisici, eſiſtenti, Sù quella, che il veſtia, tela ſottile La Mente entro il ſuo carcere procura Scolpi la fuperficie, e la dipinfe, Da i canvelli ſcoprir de'Sentimenti, E à colorata Immagine fimile, Sol per mezo de'Senſi ella è ſicura, Immago in lei, fenza color, diſinfc, Che fieno quelli al Corpo ſuo preſenti. Che in quel fcolpito Lin con par tenora Nel Comun Senfo, à l'obbiettiva effenza, Il Lume riticttea, qual fa il Colore. De le coſe attual så l'Efiſtenza. 28. Cosi (poi fegue à dir ) la ſola azzione. Sc al Comun Senſo fuo fi rappreſenta De lo Spirto animal rr odifica to, Idea, che altronde ella avvenir ti avvcda, Få nel Corpo calloſo impreſione, L'Obbietto, far non può, che allor non ſenta, Con renderlo, in riflettervi', improntato. E ſentirlo non può, che non lo creda. Tanto, ver'fua natia coſtituzione, Così à l'Occhio ſe alcun ti ſi preſenta, E' quel Midollo tenero formato Tu già mai far potrai, che non lo veda: A''Idea Spiritofa in lei rifleffa Così se ne lo Specchio Immigo eſpreſſa, Ccde la superficie, e reſta impreſa. Noncrederla non puoi da Obbietto impreſa.?? 29. De l'Occhio in modo tal sù la Retina, Or qualvolta à la Mente Idea ſi porta Che ancor 'efla Soſtanza è Midollare, Entro il Senſo Comun per altra via, Se talun filo 1 riguardar ſi oſtina Che per la regia, ed ordinata porta, Illuminofo in Ciel Corpo Solarc, Onde al Senſo Comun l'Idea s'invia, Per molto tempo,ancor, che il guardo inchina, Mà lo Spirto retrograda la porta Del Sol P'linmago lucida gli appare; Da la Memoria, • da la Fantasia, Elabbagliato acume ovunque gira, Per la ſtrada de'Senfi allor la crede Quell'infocato lampo ognor rimira. Da Obbietto eſterno impreſa, e le dà fede. 24. 30. Mà fe di ricordarti unqua defia E Fede tal, che giudica, e diſcorre, La Mente poi di un traſandato Obbietto, Qual ſe agiffe, nel senſo eſterno Obbietto; Al Calloſo Midot, placido, invia E a miſura ingannata amalo, dabborre, Di Spiriti animali un rivoletto, Cheprova in sè ſvegliar gioja, è diſpetto; Che in quell'Idea incontrandoſi per via, Agita i membri, e à un operar traſcorre Torna modificato in Idoletto: Corriſpondente à l'eccitato affetto: Dal Tipo Midollar la forina prende, Depravato cosi delira infano E de l'antica Idea (imil ſi rende. Per morboſa cagion Diſcorſo Umano. A turbar giunge un Senno, anche prudente, Per fimile cagion, ſe non la ſteſſa, De l'afforbito Vin le copia enorme: Mania provien, d'onde Ebrietà provenne Che l'eſaltato Spirito la Mente, Perchè la delirante Ebrezza eſpreſſa Or forza à delirar con vane forme, Di breve tempo è una Mania ſolenne, Or gli Spirti gli ottenebra talmente, E la Mania, nel Senno Umano impreffa, Che n'è ſopito ogni fuo Senſo, e dorme. Di lungo tempo è un'Ebrietà perenne, In diverſi Soggetti hà varj eventi, Furiola Mania, cui fon ſoggetti Ch'or furiofi rende, or fonnolenti. Gli acuti più talor favj Intelletti. 38. Il come ad indagar, contrari, vate, Il Sangue de Maniàci è con ecceffo Effetti à partorir ne gli Ebri il Vino, Tal di Sulfurei ſpiriti impregnato Rifletci, che nel latice vitale Che col reſpir per i Polmoni in eſſo Del Sangue è un doppio fpirito falino: Il Nitro aereo ſpirto infinuato, L'un,che diſciolto entro il fuo Siero è un Sale Spira nel vicendevole congreſſo Urinoſo volatile Alcalino: Indomitaura, ed alito sfrenato, L'altro dentro del Sangue infinuato, Ch'eſalta in movimenti univerfali Con l'Aria, e i Cibi, è un fpirito Nitrato, Pria gli Spirti vitai, poi gli animali, 334 39. In quei,che la purpurea,in copie,han piena, Che concorrendo ai Cerebro, accreſciuta Mafia Sanguigna, di Alcali urinofo, Di moto, e quantità, rapiſcon tutti Lo ſpirito delVin ſi meſce appena, Gl’Idoletti Ideal, che contenuti Che genera un coagolo vifcolo. Trovan nel Setto lucido, e ridutti, La Linfa ingroffa, e i vitai Spirti affrena, O fien da la Memoria, ivi venuti, E concilia un ſonnifero ripoſo. O ne la ſteſſa Fantaſia coftrutti, Tal Miſto, fi condenfa in gelatina, E invianli al Comun Senſo, e de la Mente Lo ſpirito di Vino à quel di Urina, Ingannano colà l'occhio preſente. 34. 40. Mà in quell'Uomo,in cui trovafi eccedente Qui dice Adam: D'un operar al ſcempio Il Sal Nitroſo entro il Sanguigno Umore, De PUman miſerabile Intelletto Mifta appena del Vino è l'Acquardente, Tal che può farlo e furiofo, ed empio, Che à gli Spirti vitai creſce il fervore, Di prudente, che ſia, ſano Soggetto, Spirando un'aura Elaſtica potente, Deh dona à me, mio Precettor, l'eſempio Che gli Spirti animai move à furore. Per farne più diſtinto alcun concetto, Tai lpiran, mitti, un'alito focolo Cosi lo prega, e il Serafin verace Del Viu la Ipirto., e l'Acido Nitroſo, Il di lui bel deſio cosi compiace. Quindi de gii Ebri à i Midollar cannelli Il Sangue del Maniaco un tal fervore Lo Spirito con impeto s'invia: Nel ſuo Corpo talor riſveglia, e crea, Seco il caratter trae, che ne ſuggelli, Che il capo punge, o il petto, e di un dolore Trova de la Memoria, e il porta via, Intenſo à lui fà lovvenir l'Idea, L'aſporta feco al Comun Senſo, e quelli, Quando di un ſuo Nemico oftil furore Che trova, anco tener la Fantafia, Ferillo, e tutto il fatto allor s'idea: Ne i Corpi introducendoli Striati, Poi da la Fantaſia per falla porta Per retrograda frada ivi traşlati. Al fuo Senſo Comun l'Idea fi afporta. 42. Quella Idea crede allor l'Umana Mente E da la vaua Idea l’Alma ingannata, Introdotta per via di eſterni Senfi Che rappreſenta il ſuo fucceſſo antico, Da Obbietto, che fia à l'Organo preſente, Stima ver ciò, che vede, e che aſsaltata Che quei moti Sengbili difpenfi. Sia, già preſente à lui., dal ſuo Nemico. Onde ingannata, avvien, che follemente Si accinge a la difeſa, ed opra irata De la ſtesſa maniera operi, e penſi, Cotr'Uoin, che gli ſi incotra,ancor che amico, Comc fe quell'Obbietto aveffe avante, Che, preoccupata da l'Idea mentita, Di qui la vana Idea forta il ſembiante, Nemico il crede, e contro lyi s'irrita. Mà mirabil vieppiù, più portentoſo Che da quei Solfi indomiti inveſtiti Loſtravoito penſiero è del Diſcorſo Di periferia al centro in mille forme, Di chi dal dente mai del Can rabbioſo Syolgon de Simulacri, ivi ſcolpiti, Prova in un di fue meinbra il fero morſo, L'Idee de la Memoria, à varie torme; Che infetto già dal ſuo velen bavoſo, E ne la Fantaſia poi male uniti E dopo ancor, che lungo tempo è ſcorſo, Soa gi'iacaagruiFantaſmi in ſtuol deforme: Fra mille altri ſintomi alfin riinane, Alfio nel Comua Senſo entran ſovente, Col creder sè già trasformato in Cane. Adingannare, à ſpaventar la Mente. 44. 50. Nè ſolo al par del Canc addenta, e morde, Febricitando il Sangue, uopè, che fpici E ſimile anche al Cane ei latrar s'ode Del Cerebro più Spirti à le latebre: Ma con fame Canina, e voglie ingorde Delicando gli Spirti, uop'è, che giri Prono diyora į cibi, e l'olla rode; Il Sangue in pollazion celeri, e crebre: E con oprar col ſuo penſier concorde Or come Febre è mai lenza Deliri? Le qualità Caninç affettar gode; Come delirj fon mai fenza Febre? Lungi chi vien sà preſentir, dotato Adamo al Serafin cosi propoſe: Di acuto, e ſottiliffimo Odorato. E si ad Adamo il Serafin riſpoſę. 45. Premetto, per ſpiegar, d'onde contratto Per dichiarar Fenoineno si bello, Concetto Uom poſſa aver cotanto ſtrano, Che interamente jo ſviluprar prometto, Che allor, che vien de l'unione à l'atto Dopo gli uſi, che detti hò del Cervello, Il corpo fral con l'Animo ſovrano, Deggio gli uſi anche dir del Cervelletto: Gl'imprime de'luoi Spiriti il contatto Cheagli uficj Animali eletto è quello, L'ldea di eſſer congiunto à Corpo Umano, A gli uli Naturali è queſto eletto: La qual conſiſte in ’ n Caratter tale, Må pria di eſaminar la ſua Natura. Ch'ngli Spirit, Umani è fpeciale, Sentine l'anatomica Struttura. Del rabbioſo Velen taptu inaligna Nel Cranio è, dietro il Cerebro, ripoſto Hà corrottiya attività la Forma, Il picciolo Cervello, e ſegregato, Che gli Spiro animali, ov'egli alligna, In forina quaſi sferica diſpoſto, Ajo: o à poco in sè inuta, e trusforına, E da le due Meningi andò ammantato: In rio Venen l'Aura animal traligna, Di Cannellini hà il ſuo Midol compoko i E di Canin Carattere s'inforina: E il cortice di Glandole am maffato, Cool ne le Materie, oy'i gli ha loco, In cui con Meccaniſmi, al grande eguali, Muta, e trasforma il tutto in foco il Foco. Si prepurun gliSpiriti aniinali. 47. S3 Sentendo aggir quell'Anima infelice Dal Cervelletto fol naſcon produtti Impreſſion di Spiriti Cunini, Quei Nervei tronchi, e quei lor rami varj; La di cui f.colta immaginatrice Che daii gli Spirti à i Muſcoli, coſtrutti Hà depravuti affatto i retti fini, Al miniſter de’moti involontarj. Tradita ancor da quei Fantalmi, elice Da lui movong i Vaſi, e gli Umor tutti, Da ſe Brutali affetti, atti Ferini, Ch'a l'uficio vital ſon neceffari, Adam, nel tuo fullir quanto hai perduto ! Cor, Vene, Arterie, Glandole, Fermenti, Sei ſoggetto ad un Mal,che di Vom fà Bruto. Polmon, Linfa; Inteſtin, Chilo, Alimenti. 48. 54. Dal già detto finor molto evidente Giuridizion ſul Cerebel la Mente Argomentar fi può, come fi dia Punto non tien, nè i ſuoi eſercizi hà noti, Il Diſcorſo de l'Uomo incoerente Non sà, chiuſa entro il Cerebro, nè fente, Nel Delirio Febril, ch'è Freneſia: Come il Chil ſi amminiſtri, e il Sangue ruoti. Che allor, che bolle il Sangue in Febre ardête, Di quel, che dal Cervello è indipendente, S fulfurea falina hà diſcraſia, Fermar non puote, è regolarne i moti. Gi Spiriti nel Cerebro avanzati, Aſſoluti, e diftinti i lor Governi In copia, c mobiltà fon gencrati. Commercio hap fol per ſei Proceſſi alternt. Manda Manda al Cervello il Cervelletto pria E per la via retrograda, ch'è dietro, Doppia Protuberanza orbicolare, Paffa nel Setto lucido il torrente: Più baſſo due proceſſi indi gl'invia Quelle Idee, che vi trova ei ſpinge addietro Per la Protuberanza altra anulare, Verſo i Corpi Striati obliquamente; Due altri alfine imprendono la via E al corſo natural turbando il metro, Da ſuoi due Gambi al Calcc midollare L'offre per falfa porta ivi à Ja Mente E di Spiriti alterni han participi. Che venute credendole da i Senli, De’Nervi il pajo ottavov'hà principja. Vopè, che follemente operi, e penſi. 56. 62. Per l'uno, e l'altro orbicolar Ricetto Se però nel ſol Cerebro è riſtretto Son gli Spirci animai partecipati De'Spirti il moto, e de'fantafmi erranti, Da gli Striati Corpi al Cervelletto, E à trapaſſar non và nel Cervelletto, E daqueſto anco à i Corpi fuoi Striatia Senza febricitar fà deliranti: Per le altre quattro vie con corſo retto Perchè fol ne ſuoi Spiriti è il ſoggetto, Vengono, e ven gli Spiriti mandati, Che fà le Arterie, e il Cor febricitanti; Pe'l calce midollare, ove inſeriſce E quello Spirto, onde il ſuo moto prende Le ſue due braccia il Fornice, e li uniſcea L'Arteria, e il Cor, dal Cerebel diſcende a 57. 63. Sol queſte ſon le occulte vie, per cui Maggior ſoggiunſe Adam ) inêtre a dormea Ciò, che ſuccede in lor di ben, di male, Stupore, è il Delirar di fan penſiero, Mandanſi internamente infra lor dui Che di vani fantaſmi, e incongrue forme Il vital Miniſtero, e l'animale, Ad un ſtuol dona fe si menzogniero, La Potenza animal gli affetti ſui I qual, non ſolo al Ver non è conforme I moti fuoi la Facoltà vitale, Mà par, ch'è falſo, e credefi per vero: Secondo, in Pro comune, à lor conviene, In modo tal, che un Senno, anche prudente, Opporſi al Mele, o farfi incontro al Bene. Di creder gl'impoſſibili conſente. 58. 64; E quinci avvien, che al ſol penſier ſovente Come inganni la Mente à dichiararti Nel Cerebro, o di Gioja, d di Timore, De i Sogni l'incredibile Bugia, Moffo è il Polmone, e il Cor placidamente (Replica Raffael) d'uopo è ſpiegarti, Soſpira il Petto, e batte fpeſſo il Core. Come il Sonno produceſi, e che ſia: Quete, è ſvolte le Viſcere, hà la Mente Mà pienamente, Adam, rammemorarti L'idea de la Salute, ò del Malore: La teſtura del Cerebro dei pria: Intelligenza, e auſiliario impegno Che la foſtanza ſua, teſfuta á velli Paſſa così tra le Provincie, e'l Regno. Di cavi coſta, e sferici Cannelli. 59. 65. Or mentre la febrilc agitazione Che à i lati de'ſuoi concavi Canali Nel Sangue, e ne le.Viſcere ſi avanza, Triangolar fon gl'interſtizj inteſti: Gli efAlvj.al Cervelletto, e la mozione Che in quei ſcorron gli Spiriti animali, Mandar per via de Nervi hà ben poſſariza: E che diſcorre ilSugo nerveo in queſti, Quefto annuncia al Cervel la impreſſione Fatti gli uni di Spiriti vitali, Per doppia orbicolar Protuberanza, L'altro di Umor linfatici digefti: Entro i Corpi Striati, onde la Mente Che ſtan fra lor, quei di elater dotati, Di quel calor febril l'affanno ſente. Queſto di fode fibre, equilibrati. 60. 66. Mà ſe gli effuvi, ei moti ſuoi ſon tali, Mentre gli Spirti à tal ſon rarefatti Che al Cerebel traſceudono le ſponde, Che tengan quei cannelli intumiditi, Nel Cerebro i ſuoi Spiriti animali O'quefti cosi reſtino diſtratti Per l'anular Protuberanza infonde: Da ariditi, ò durezza irrigiditi, Poi da i poſterior recti canali O'il nervco Umor pien di fali acri, ed atti Del calce Midollare alfin trasfonde, Le fibre à ſtimolar, gli Spirti irriti, Del Fornice gli Spirti à le due braccia Sta tempre aperto il Cerebro, e produce E in quel gli eſtranj effuvj infinua, e caccia. Spirti continui, e la Vigilia induce. L'Adamo del Campailla. Nina Per poco influſſo, ò per diſpendj immenfi, Nel tempo del Dormire al Cervelletto Se al minorar fi vien lo Spirto in effi, Copia inaggior di Spirti il Sangue infonde O’i ſuoi interſtiz; il nervco Umor più eféli Che oſtrutto allora il Cerebro, e riſtretco, i; Tien, con più copia, e i cannellin compreffi, Quei,che nõ manda à queſto, à quel trasfondo Queſti già reli vuoti, e non più tenſi Maggior moto pertanto, e più perfetto Chiudonfi, molli, e calcano in sè ſteſſi. Del Torace han le viſcere profonde, Continuar nel Cerebro non porno E quelle de l'Addome, allor, che appieno Gli ſpiriti l'influſſo: e faffi il Sonno. Immerfo è il Corpo Uman del Sonno in feno. 68. 74. Il Sonno è un feriar di Senſi, e Moti, Mà perchè (dice Adam ) ſpelo, à miſura Mà Senli eſterni, e Moti volontarj. Di noſtra Paſſion ſi formi il Sogno? Gli Spirti del Cervel ſtan quafi immoti, Perchè m'idea, dormendo, e mi figura Chiuſe le vie de Senſitivi Affari: Quell'Obbietto,che temo,ò quel,che agogno? Solo i ſuoi membri proſſimi, e i remoti Qualor per breve, in queſta notte oſcura Tutti mantiene in eſercizi varj, Michiuſe al Sonno i rai natio biſogno, (Perchè infuſſo di Spiriti interdetto Vidi nel Sonno il Cherubino armato, Non hà ) la Region del Cervelletto. Che mi avventava in fen brando infocato, 69. 75. Or così ſtando il Cerebro.in quiete, L'Angiol riſpoſe: Il già commeſſo errore In una, in tutto oſcurità diffuſa, Nel ſonno anche ti affigge, e ti tormentas Si occultan le fue Immagini inquiete, Ti ſtringe il Cor, l'anguſtiato Core Ogni altra Idea de i Senti eſterni eſcluſa, L'imprellione al Cercbel preſenta, In folche folitudini fecrete Che pe'i Procelli orbicolar và fuore, La Mente è tutta in sè raccolta, e chiuſa; E al tuo Senſo comun i rappreſenta: E del Cervello il diſcoriivo Mondo Poi ne la Fantaſia forma i'alpetto Dorme in ſilenzio altitlimo, e profondo. Del Cherubin, qual ſe ti apriſſe il petto, 76. Ed ecco, che per cieca obliqua via, Altro ruſcel di Spirti al modo fteffo Di Larvette ideali erranti ſquadre Dal Cervelletto al Cerebro diſcorre; Nel Coinun Senio, o ne la Fantaila E per la via de l'anular Proceſſo Vagan leggicie or fpaventole, ed'adre, Lc radici del Fornice traſcorre. Or veſtite di ainabije bugia, De Cherubin l'idea, che trova in eſſo, Pingon bei Spettri, e Fantafie leggiadre; Seco rapiíce, e ullin valia: deporre E van col Fallo, in naſchera di Vero, Nel Senſorio Comuo: l’Alma, che'l vede De l'Anima à ingannar l'occhio, e’i penſiero. E lente il duolo al Cor, ferito il crede. Tal ſe in Teatro cinbroſo il Popol liede, Anch'io diſs’Eva) in quel notturo orrore, Niirando chiare aprir comiche Scene, Mentre più gli occhi mici pianger nő ponno, E da Mimi larvati aſculta, e vede Viep; iù per lo ſpavento, e pul timore, Tragiche finzion, menzogne amene: Che per quieto oblio, mentre che a !Tonno, Quali del Ver fcordato, ii Falſo crede Strangolate le fauci, oppreſſo il Core E da’luoi Seun italicdotto viene, Sento da un Moftro, infra vigilia, e ſonno: Chefveglia ii Finto in lui, verace intanto Volea gridar, volea fuggir, volea Odio, ) Amer,Picea, d Sdegno,c Rilo,o Piáto. Scuoţer dal ſen la Belva, e non potea. 28. Chile fopite Immagini alCervello Queſto č l'Incubo, Adamo (à dir riprende Svegli, i luoi Spisti in renderne eccitati, A lui rivolto, ii Filico Divino ) Facile è di aſſignar, dal Cerebello, Paroliſino terribile, che apprende Che fieno effiuvi, • Spiriti ſcappati, L'Uoin, mentre che talor dorineſupino. Per quei fentier, che ſon, tra queſto,e quello, Il Petto, e il Core ilmoto ſuo ſoſpende, Ne i Proceſi ſcambievoii, incavati E fofpende ancu i Sangue il ſuo camino; De le Protuberüize orbicolari, Che riſtagnando entro i polmoni in petto E de i terzi Proceſli, ed anulari, Fà un breve si, mà aſſai moleſto effetto. Cio, che il Sonno al Cervel coſtituiſce, Del Morbo Malinconico cagioni Vien l’Incubo à produr nel Cerebello Son, ipaventoſi, e ſubiti tercori Qual, groſſo il nerveoLiquido, impediſce Affetti violenti, e pailioni, Degli Spirti animali il corſo in quello, Ipocondriaci, e Iſterici Malori: Tal di queſto il medemo anche oltruiſce In queſte inordinate ripreſſioni Ogni talor ſuo midollar Canuello, Si guaſtano le Viſcere, e gli Umori: Qualvolta amplia foverchio, in modi vari, Onde mandati al Cerebro, ed eſtratti Di queſto pur le Strie triangolari. Spirti ne fono, à gli uſi lor malatti. 80. 86. Come, al Cervel gli Spiriti impediti, Mal fan l’uſo adempir più principale, Fermanſi gli uſi à gli Organi animali, Ch'è: coʻlor moti armonici, adequata Così, gli Spirti al Cercbel fopiti, Tener de l'Uomo à l'Anima immortale Ceffan quei de le Viſcere vitali, Quella, che al ſommo Ben tendēza hà innata, Il Sengue, e gli altri Liquidi irretiti Mentre in queſto ſuo carcere mortale Ne i polmoni, e lor vafi arteriali. Vive ad un Corpo organico ligata: Ciò nel dornir ſupin ſuccede ſpeſſo: Che priva di lor Tolita Armonia, Che il Cercbel dal Cerebro è compreffo, Sente una interior Malinconia, 81. 87. Prefa daʼNervi impreffion si rea Scemi di loro elaftica potenza, Al Cerebro s'invia dal Cervelletto Debil tai Spirti à ſpanderſi han vigore, La Mente un Moſtro in fantaſia s'idea, E di contrari Agenti à la prelenza Qual ſe l'affoghi, e le comprima il petto: Producon, contraendoſi, il Tiinore. Poi tratta al Comun Senſo è quell’ldea, Grolli, oltre del dover, ne l'aderenza Con un corſo retrogrado indiretto Portan le loro Idee forina maggiore: La Idea ne vede, e la impreſſion ne ſente; Onde di quel,ch'è in sè, ſempre più immenfo Or che ſtupor, fe'l crede ver la Mente? Rapprefentan l'Obbietto al Comun Senfo. 82. 88. Miquel dal Setto lucido repiſce Anzi, però clie indebite miſture Spirto le klee ne'Corpi ſuoi Striati? Di eſtrani effluvj in lor glaſtan le forme Del Cerebel non già, che non fluiſce Appajono d'infolite figure Spirito in lui, chii Cannellin turati. I lor Fantaſmi, e di feinbianza informe: Si parla Adaino: E Raffacl fupplilce Tenebroſe le lınmagini, ed oſcure Del Cerebel gli Spiriti privati, Non terbano à gli Obbietti Idea conforme: Per doppia orbicolar Protuberaliza, Quindi de i Malinconici eſſer dee u Cerebro, che n’hà minor inancanza. Piena la Fantalia d'incongrue Idee. 83. 89. De le vitali ſu Vilcere à l'uſo Inino il M.lincolico à tal ſegno, Tutti gli Spirti il Cercbel riparte; Solo in penſier fantaſtici ſi aggira: Il Cercbro non già, che benchè chiuſo, Pregna hila Fantatia, colmo l'ingegno, Ne reſts pieno, e altrui non ne fi partc. D'incoerenti Idee; ma non deli. a: Reſtande elauſto quel, da queſto infuſo Chc, benchè erranti, in sè ſenza ritegno, Hà lo Spirto animal per quella parte, Le involontarie Immagini riinira, Che dal Corpo Callofo, ove diſcende, Pur ben fi avvede, e noto há ben, che ſia A gli Striati, ivi le Idee diſtende. Sol tutto l'Effer loro in Fantaſia. 84. 90. 11 Sogno paſſaggiera è una Pazizia, Mà ſe da le ſuc viſcere eſalato, Ma la Pazzia poi Sogro è permanente, Per i Nervi, Par vago, e intercoſtale, La Ipocur driaca in cui Malinconia Morbofo effuvio, al Cervelletto alzato, Riduce PUomo à delirar fovente. Per il di dietro al Fornice poi fale, Contraria de Maniaci à la Follia, Ogni incongruo Fantafina, ivi formato, Ch'è cir:Je !, furioia, audace, ardente, Che ne la Fantuſia difpiega l'ale, Quefiriè timida, e imbelle, e'l penſier volto Nel Senforio Comun con feco tira: Hà follecito al Plen, itupido al Molto. L'Alma allor Ver lo giudica, e delira. Del IL DISCORSO UMANO, Del nobile cosi Diſcorſo Umano, De'tanti ancor traccò Logici errori E de'ſuoi varj organici difetti Che al diſcorſo depravauo i Giudici, Filoſofo l'Arcangelo ſovrano, E qual di Verità gli alti ſplendori Con ſottili penfieri, e chiari detti. Oſcurano à la Mente i Pregiudicj: Indi ſpiego i Rimedj, ond'egl’inſano Come la Dialettica riſtori, Reſo, à cagion de gli Organi imperfetti, Con norme, i falli in lei, regolatrici; Poffi à i retti tornar ſuoi Sentimenti, E al fine il giuſto Metodo glieſpone, Con medicarne i gu'aſti ſuoi Stromenti. L'ulo à bene adoptas di fua Ragionc.   Estasi di santa Teresa d'Avila scultura di Gianlorenzo Bernini Lingua Segui Modifica Nota disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi Estasi di santa Teresa d'Avila (disambigua). Estasi di santa Teresa d'Avila Ecstasy of St. Teresa HDR.jpg Autore Bernini Materiale marmo e bronzo dorato per i raggi divini Altezza350cmUbicazione Chiesa di Santa Maria della Vittoria, Roma Coordinate  L'Estasi di santa Teresa d'Avila è una scultura in marmo e bronzo dorato di Bernini, rcollocata nella cappella Cornaro, presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma. La scena raffigurata nell'opera è, per la precisione, una transverberazione e non un'estasi, quindi la scultura è talvolta chiamata anche "Transverberazione di santa Teresa d'Avila".  Storia Modifica Nel 1645 - in un periodo in cui, con il pontificato di Innocenzo X, la straordinaria carriera artistica di Bernini stava conoscendo qualche appannamento - il cardinale Federico Cornaro affidò alle sue qualità di architetto e di scultore la realizzazione della cappella della propria famiglia, nel transetto sinistro della chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma. Bernini, nell'eseguire la commissione, cercò una sua rivincita professionale verso l'atteggiamento tiepido che il nuovo pontefice mostrava nei suoi confronti e chiamò, per così dire, a raccolta tutta la sua inventiva di architetto e di scultore sino a giungere a realizzare uno degli esempi più elevati di arte barocca. L'Estasi di santa Teresa d'Avila, eseguita tra il 1645 e il 1652, una volta portata a compimento piacque immensamente al Bernini, che con una certa modestia la definì come la sua «men cattiva opera» (dunque la migliore delle sue realizzazioni). Lo stesso Filippo Baldinucci, nella biografia dell'artista, riporta che:  «il Bernino medesimo era solito dire essere stata la più bell'opera che uscisse dalla sua mano»  Descrizione Modifica  Visuale della cappella Cornaro: al centro troviamo santa Teresa e il cherubino e, ai lati, si scorgono i vari membri della famiglia Cornaro che si affacciano dai finti balconcini Una delle cifre per intendere l'arte barocca è, come noto, il gusto per la "teatralità": la rappresentazione spettacolare e talvolta anche enfatica degli eventi. In quest'opera Bernini, mettendo a frutto la sua esperienza diretta di organizzatore di spettacoli teatrali, trasforma, in senso non metaforico ma letterale, lo spazio della cappella in teatro.  Per far ciò egli amplia innanzitutto la profondità del transetto; poi, aprendo sulla parete di fondo una finestra con i vetri gialli, pensata per rimanere nascosta dal timpano dell'altare, si procura una fonte di luce che agisce dall'alto, come un riflettore e che conferisce un senso realistico alla irruzione sulla scena di un fascio di raggi in bronzo dorato, così la luce che scende sul gruppo, attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e instabile in modo da rafforzare la sensazione di provvisorietà dell'evento.Si può facilmente immaginare quanto tale effetto, nella penombra della chiesa, dovesse apparire a quel tempo suggestivo. Anche la freccia originaria retta dall'angelo, ora sostituita da un semplice dardo, venne realizzata con dei raggi che scaturivano dalla sua punta, a rappresentarne il fuoco del «grande amore di Dio», come santa Teresa stessa ebbe a dire nella sua autobiografia.  L'elegante edicola barocca, realizzata con marmi policromi, nella quale Bernini colloca la scena dell'Estasi di santa Teresa, funge da boccascena del teatro: essa mostra la figura della santa semidistesa su una vaporosa nuvola che la trasporta – come se fosse operante una macchina da teatro nascosta – verso il cielo. La trasformazione della cappella in teatro diventa letterale con la realizzazione, ai due lati del palcoscenico-altare, di «palchetti» sui quali sono raffigurati – ritratti a mezzobusto – i vari personaggi della famiglia Cornaro. L'evento privatissimo dell'estasi della santa diviene in questo modo evento pubblico, al quale i nobili spettatori paiono assistere non già con trepido stupore e con vivo trasporto devozionale, ma con staccato disincanto; li vediamo anzi - come avviene spesso a teatro - intenti a scambiarsi i loro commenti. Il palchetto sinistro, con i membri della famiglia Cornaro in veste di testimoni attivi dell'evento mistico Ma non è per la famiglia committente, bensì per l'ideale platea dei fedeli che si accostano all'altare – palcoscenico della cappella che Bernini mette in scena l'estasi della santa. Egli dimostra qui tutta la sua maestria di scultore, capace di lavorare il marmo come fosse cera, con estrema attenzione ai particolari. La veste ampia e vaporosa della santa, lasciata cadere in modo disordinato sul corpo, è un capolavoro di virtuosismo tecnico, per effetto del quale il marmo perde ogni rigidezza e la scultura sembra voler contendere alla pittura il primato nella rappresentazione del movimento. Commenta a questo riguardo Ernst Gombrich:  «Perfino il trattamento del drappeggio è, in Bernini, interamente nuovo. Invece di farlo ricadere con le pieghe dignitose della maniera classica, egli le fa contorte e vorticose per accentuare l'effetto drammatico e dinamico dell'insieme. Ben presto tutta l'Europa lo imitò.»  La raffigurazione delle estasi mistiche dei santi e delle loro visioni del divino, rappresenta uno dei temi più cari all'arte barocca: i santi «con gli occhi al cielo aiutano» – seguendo le raccomandazioni dei gesuitisulle funzioni pedagogiche dell'arte sacra – a sentire emozionalmente, con il sangue e con la carne, cosa significhi l'afflato mistico che porta alla comunicazione con Cristo e che è prerogativa della devozione più profonda. Anche sotto questo aspetto, della raffigurazione dell'estasi, l'opera realizzata da Bernini nella cappella Cornaro, sarà destinata a far scuola e ad essere presa a modello innumerevoli volte nella storia dell'arte sacra.  Sul piano iconografico l'Estasi di santa Teresa, che trova il suo prototipo nell'Apparizione di Cristo a Santa Margherita da Cortona di Giovanni Lanfranco (1622),[6] è direttamente ispirata a un celebre passo degli scritti della santa, in cui ella descrive una delle sue numerose esperienze di rapimento celeste:  «Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.»  (Santa Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13) Il resoconto che la santa ci offre è raffigurato quasi alla lettera da Bernini nella sua composizione marmorea, con il corpo completamente esanime e abbandonato della santa, il suo volto dolcissimo con gli occhi socchiusi rivolti al cielo e le labbra che si aprono per emettere un gemito, mentre un cherubino dall'aspetto di fanciullo giocoso, con in mano un dardo, simbolo dell'Amore di Dio, ne scosta le vesti per colpirla nel cuore. Notevole è il contrasto tra l'incarnato liscio e delicato dell'angelo (che fa pensare più a un Eros della mitologia greca che a un'entità spirituale cristiana) e le vesti scomposte della Santa. Il volto della Santa e dell'angelo Interpretazione psicoanalitica Modifica L'interpretazione che studiosi della psicoanalisi come Marie Bonaparte hanno dato (proprio a partire dai resoconti di transverberazione lasciatici da santa Teresa) all'esperienza dell'estasi mistica in termini di pulsione erotica che si esprime sublimandosi nel deliquio dell'afflato spirituale, ha condotto la critica a sottolineare in quest'opera di Bernini la bellezza sensuale e ambigua dei protagonisti, avvalorando così la possibilità di una sua lettura in termini psicoanalitici. Lo psicologo italiano Enzo Bonaventura fa riferimento a Cupido, evidenziando, a livello simbolico, un nesso tra la figurazione greca e la trasfigurazione religiosa nell'arte cristiana[7]. Per provarne la legittimità, occorre solo richiamare la parola di Renan in viaggio a Roma, davanti a questo stesso gruppo statuario: «Si c'est cela l'extase mystique, je connais bien des femmes qui l'ont éprouvée»[8]. Si potrebbe comunque ulteriormente citare il conte de Brosses[9], il Marchese de Sade[10] o lo scrittore Veuillot. Collateralmente a quest'interpretazione che considera l'esperienza di Teresa, e la scultura che la ritrae, nei termini di quello che (per usare un'espressione di Georges Bataille) potremmo chiamare «erotismo sacro», si deve tuttavia osservare che l'approfondimento della biografia dell'artista napoletano ha recentemente messo nella giusta luce la sua religiosità; una religiosità che in quel periodo della sua vita (quando aveva circa cinquant'anni) si era rafforzata attraverso la pratica degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, eseguiti sotto la guida dei padri gesuiti che egli frequentava. Verosimilmente la lettura della vita di santa Teresa non dovette essere un fatto occasionale, limitato a singoli passi, segnalati magari dal committente. Al contrario, alcuni studiosi hanno letto nell'Estasi di santa Teresa anche l'eco del racconto di altre esperienze mistiche, come quella della santa genovese Caterina Fieschi Adorno.  La straordinaria qualità estetica e l'intensa drammaticità del gruppo marmoreo è dunque da collegare alla personale ricerca spirituale di Bernini, al suo impegno a scoprire per sé stesso, per poi mostrare a tutta la comunità dei fedeli il senso di quell'amore espresso oltre ogni misura verso il Redentore, che trova esempio nella vita dei santi.  L'influenza dell'opera di Bernini fu enorme non solo sui contemporanei, ma anche su molti artisti dei secoli successivi. Il famoso compositore Pietro Mascagni, ad esempio, nel 1923 compose una visione lirica per orchestra dal titolo Contemplando la santa Teresa del Bernini, un brano della breve durata di appena quattro minuti. Marder, Bernini and the art of architecture, New York; Marder riferisce a Irving Lavin, Bernini and the Unity of the Visual Arts, New York;  e a William Barcham, Some New Documents on Federico Cornaro's Chapels in Rome, in: Burlinton Magazine, Cricco, Francesco Di Teodoro, Il Cricco Di Teodoro, Itinerario nell’arte, Dal Barocco al Postimpressionismo, Versione gialla, Bologna, Zanichelli; Cocchi, Cappella Cornaro ed estasi di Santa Teresa, su geometriefluide.com. URL consultato il 30 novembre 2016. ^ Oreste Ferrari, Bernini, in Art dossier, Giunti; Gombrich, La storia dell'arte, Milano, Leonardo Arte; Lollobrigida, A. Mosca, Biografia, in Lanfranco a Roma, Milano, Electa; Bonaventura, La psicoanalisi, Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1938 ^ Traduzione libera:  «Se questa è un'estasi mistica, conosco molte donne che l'hanno vissuta»  ^ Cfr. de Brosses:  «Se questo è amore divino, io lo conosco bene!»  ^ Cfr. Marchese de Sade:  «Si stenta a credere che si tratti di una santa»  ^ Cfr. Veuillot:  «[Bisogna] espellere l'opera dal tempio... venderla... o farne calcina!»  ^ Jean-Louis Bruguès, Dizionario di morale cattolica, Edizioni Studio Domenicano; Bataille:  «E la sensibilità religiosa che unisce strettamente desiderio e paura, piacere intenso e angoscia»  ^ Bernini - Estasi di Santa Teresa, su scultura-italiana.com, La Scultura Italiana; Don Michael Randel, The Harvard Biographical Dictionary of Music, Harvard; Bernini Santa Teresa d'Avila Estasi di santa Teresa d'Avila L'Estasi di Santa Teresa d'Avila di Gian Lorenzo Bernini raccontata da Caterina Napoleone, su raiplayradio.it. Portale Architettura   Portale Cattolicesimo   Portale Scultura Ultima modifica 6 mesi fa di eBot Chiesa di Santa Maria della Vittoria (Roma) edificio religioso di Roma. Transverberazione Estasi. Opera. Bernini. Le e&Usi dell’amore di patria. La niftscliera di Mazzini. Patria, e religione^ eroi della patria e santi. Meglio il  i'Jtammiisme che rignonui^a dell'amor di iwitria, Diverse  funoe dell'escisi dell" amor di patria, — 11 ritorno in Italia  dell' autore reduce dair TnfUa. Estasi BoUtarie dei ^andi  amatori della patria. Gli eroi della storia e gli eroi aiiouijiii,  Estasi epidemiche. Incendii delle foreste e iiiceudii del  euore namonale d'uu populu, — Eafliroiiti e ecmsiderazìoiii. Nel mio Mu^eo d'a^ntropologiu di Firenze, in uuo  degli armadii consacrati alle grandi ìndiviilnalitì\  della apecie umana, vi ha la teista di un uomo^ che  ferraa V attenzione del piii frettoloso e .superficiale^  osservatore. Quando devo far da cicerone di mala  voja^lia a qualche importuno, lo aspetto a quell'ar-  madìo, per consolarmi della lunga noia di ripe-  tere davanti alle stosjie vetrine le sten^^e parole.  K VX il visitatore sì ferma e dice; quella te«ta t)  fonte qudìa di un mniof   Siete un buon osservatore, quella testa è di un  santo e fu formata sul cadavere.   E che santo è quello?   Si chiama Giuseppe MazsEiui.   Si potrebbe scrivere un volume su quelFincon-  scia rivelazione dei più voI*(ari osservatori , che  dinanzi alla raaafìhora di Mas^^^ini, domandano so  quello sìa un santo. La fìsonomia a#icetìca è nna delle jiiù CJiratte-  riaticlie , ma anche ana delle piìi iiidefiuiV>ìli, E  il Miizriui Taveva, o morto pareva ad<Urìttiira "n  santo j?iù jflorifìcato ool piiradiso cristiano.   In quella domanda, che prorompe spontanea dal  labbro dei visitatori del mio Museo, vi è tutta la  biografia di un uomo, che amò la patria con fer-  vore mistico e fece della sna polìtica una reli-  gione. E^fli stesso del resto si era asse|?Dato il  suo po.sto nella storia del pensiero italiano, scri-  vendo sulla sua bandiera , Dio e popolo^ due par  role una pih miiitica deiraltra e che messe vicino  non sono che nn f^rido ilei onore lantùato neirin-  finita» poetico deindealita politica. L'amor di patria è uno degli aftotti più alti, ma  più indistinti e la cui analisi psicologica esi^e-  rel>be nn volume. È sentimento di lasso , perchè  molti nomini d' alta e di bas.^ gerarchia non lo  sentono e perchè si dirige, più che ad un lembo  di terra , ad un mito corai)osto di materia e di  idealiti\ e che muta forma e muta confini a s^  condadeì tempi e di conto altre influenze esteriori*   l sentimenti ili lusso, non hanno che raramente la intensa energia degli affetti ut^oessariij ma per  la loro indeterminateaza o h\ sconfinata po.-^Mibi-  lltà dei loro movimenti possono imi facilmente  portarci all'estasi.   Por V uomo selvaggio , sia poi tale perchè non  veste il proprio corpo, o perchè uou vet^ite il pro-  prio pensiero; la patria è poco più che il nido  per r uccello o la tana per le fiero. È la casa iu  cui è nato, è V albero sotto cui ha dormito , è il  fiume iu cui sì è tuffato, il bosco dove ha cac-  ciato , è la terra dove tutti gh uouiini ras.'^omi-  ^liano a Ini j parlano come lui , come lui odiano  l'altra geuto che sta al di là dal monte o «lai mare,   L^t patria, circondata o no dal luare^ è sempre  un'isola; e chi si isola divien parcnttì di tutti co-  loro che stanno nella stessa carcere. La patria  non h che una famiglia più grande di quella che  sì chiude sotto il tetto domestico, non è che una  casa più vasta di quella che alberga una stoasHi  famiglia.   2Jon amare la patria ò una vilti\ del cuore ^ è  un cretinismo del sentimento j quando non sia la  previsione di tempi lontani e migliori , nei quali  la patria dell- uomo sarà tutto il nostro pianeta,  e stranieri soltanto si chiameranno gli aiutanti  tlegli altri mondi coi quali di certo un giorno  parleremo, e forse per farci la guerra.  JJ amor di patria- è figliale e mistico in nna  Tolta sola; è tenero e ascetico, l^^igliale perchè la  patria è la madre universale di tutti quelli che  parlano la stessa lingua, pensano lo stesso Dio e  Bparf^ono insieme lo stesso sangue. Mistico , perchè  la patria non si può baoiarej né abbracciarej e i  suoi confini son segnati sopra una carta, che non  è negli atlanti geografici, ma nel cuore amano.   La patria è uno «lei circoli del paradiso dan-  tesoOj dove da un piccolo cerchio irradiano aonc  piti larghe, come cerchio d'acqua smossa dal ca-  dere di nna pietra. Dal villagjrio adorato dove ci  hanno battezzato e dove speriamo di esser sepolti^  alla provincia, al regno, all'impero, alle colonitv  nostre lontane, la patria si allarga, si allarga sem-  pre, portando seco le tenere oscillaaioni del no-  stro cuore, dei nostri afifetti, della gloria nazionale*   Quel palmo di stoffa che si chiama la nostra  bandiera j che un colpo di sole, uno scroscio di  pioggia pnò impallidire, quella stoffa che costa  poche lire e che una vampa di fiamma può ri-  durre in un pizzico di cenere^ è il simbolo di tutti iJamqr di patria 93   quelli affetti che .si condensano sotto nno stesso  nome, e là dove sì pianta quella bandiera ivi è  la patria^ ivi i ricordi comuni e le tiomuni svimture  e le glorie eomuDi oliiamati a raccolta da im voce  sola^ che le incarua e le personi&ca. Chi analizza un sentimento t^oUa segreta spe-  ranza o colla malignità palese di distruggo rio,  compie opera vana. Se lo fa per Bè non diatnijE^ge  che ciò che non è mai esistito ; se lo fa per altri,  predica nel dea erto ; dacché nessaun ragionamento  ha mai fatto diminuire d' un palpito un grande  amore.   La doìina che tu ami è una die creatura, fa amata  rfrt ceiito uomini ptlmn che tu In aìì^rnssi,,.,   U ohe importa f lo Vmno,   Il Dio che tu adori non è mai cswUto. Moto mo-  siruoso in cui V antropofagia deW uomo quaternario  ti trova insieme alla industria delle simonie^ alle pag-  gio Uologiche,., Mmpio^ tu non sai qneìh che dwL 11 mio Dio esista  ed io VaàoTù.   Lo 8tes30 sarebbe tcntR^r di strappar con vani ragiimumenti a un uomo l'amor di patria^ quando  ej^Iì lo senti.^ palpitare nel più caldo e nel pia  profondo delle vi scerò , quando e^li ne ha fatto  una religione, a cui è pronto a darò tutto quanta  ha, tutto il sanane delle sue vene* L'amor di figlio,  r ani or dì madre, l'amore per la donna amata fiirono  In o^cni tempo «jloriosi olocausti di anime elette  futti 8ul l'alta re della patria. E poi andate a dire  a quei martiri che la patria è il mondo eh' easa  non ha altri contini che lo spazio interijlanetarel Finche lo nazioni esiatono , fìnc^hè le lingue  umano wi contano a luigUaiaj fìnehè metà del ge-  nere umano non può intender Taltra mete, finché  ffBt nonio e uomo vi sono maggiori differenze  psichiche che fì*a un oane e nn lupo; l'amor di  pntria non hi discute^ ma sì 8entt% e nn iiopolo è  tanto pili grande, quanto è pia vivo e calilo e  universale in lui questo sentimento. Benedetto  conto volte il più folle ehmwmismej maledetto il  cinismo dì chi domanda ridendo: 1} che cosa è hi  patHa?   La patria è la terra ^ in cui in ogni 8olco vi è l'amor di patria 05   Il uà gocdola dì f^tangne o ili sudore dei padri do-  stri in ogni pugno d'arena vi è della ceneri^ dei   nostri avi; la patria è la terra in cai dorim» in  nostra madre e dormiranno i nostri figlinoli; è la  storia di tutto il passato, la storia di tanti secoli  ili glorie e di sventare vissuti da coloro che ci  hanno data la vita; la patria è la madre di tutti  quelli clie parlano e sentono come noi ; è quo 11 a  t-erra^ il cui nome solo udit(j pronunziare in terra  lontana ci fa battere il cuore, ci fa baciare un  giornale. È quella parola, che solleva onde di po-  poli a un gritlo rli guerra, cUc fa escire da ogni  capanna nn uomo armato e ad ogni finestra fa  affaciìiarc una testa di donna ijiangente- La pit-  tria è una parola magica che può convertire ogni  uomo in un soldato e ogni donna in nna martire,  che fa* piangere i fanciulli disperati di non esser  ancor uomini e fa pian^^ere i vecchi perchè non  posftom» più imbraudire nn fucile. La patria è  tiuella santa parola, che lUstacca Toperaio dall'of-  iìcintìi , il contatlino dal cami>f> , V uomo di lettere  dal libro, il banchiere dallo scrigno; che strappa  daltc braccia della fanciulla il giovane innamo-  rato; e tutti riunisce in nn^mìca schiera e sotto  uno stesso vessillo, in cui tutti guardano Assi con  occliio d'eroe e amore <\i martire.  Quar altro altare ha tanti adoratori? QuNUaltra     religiane ha tante idolatrie? QuaVè Tara su cui  si portino altrettante vittime ^ che corrono chia-  mate o non ohi amate, ma sorridii^nti e calde d^eu-  tnsia^mo? QuaValtra parola ha tanta onnipotenza,  q 11 al' al tra estasi può superare co deista di sentirsi  in uD^ora sola (livennti trenta milioni di fratelli,  che amano lo stesso amore, che sentono lo stesso  otlio, che so cenano lo stesso sogno di vendetta o  di sdegno?     Le estasi più oomuni dell'amor di patria sono  qaelle che si provano nel rivedere la terra nativa  dopo mesi e anni di lontananza e le altre che si  godono nelle grandi feste, che salutano un grande  trionfo nazionale: solitarie lo prime j associate le  seconde ; grandi entrambe e capaci di voluttà  senza nome.   La. nostalgia è nei trattati di patologia una mar  latti a che si classifica fra le alien azioni mentali.  Beati coloro che possono esser pazai in questo modo;  infelici coloro che per grettezza di cuore o per  esser nati venti o trenta secoli prima del loro  tempo non sono capaci dei rapimenti del rivederti   ]fh patrìft dopo lunghe assenze. Io che ho vissnto  molti anni neir altro emisfero e che ho attraver-  sato l'Oceano per otto volte ho provato quest* e-  stasi in tutti ì suoi gradi e in tutte le sue forme.  Mai l'ho goduta eosì intensa e così profonda  come dopo il mio ultimo viagfi^o nelP India.   L'amor della patria, ai rovescio degli altri amori,  cresce cogli aonì^ e quando io 'ttopo alcuni mesi  di assenza al mio ritorno dall' Tiidia soppi che al-  l^indomani avrei riveduto l'Italia, sentii eho il cuore  batteva forte forte, come dinanzi al sorriso della  donna amata.   Io non vedeva ancora la mia terra, ma la sen-  tivo. Sentivo che essa mi aspettava come ci  aspetta la nostra donna in un ritrovo d' amore  limi^iimente desiderato» La mia patria, Tltalia  mia non poteva esser lontana.. L'onda più azzurra,  il cielo più sereno me lo dicevano ad alta voce ; me  lo diceva il profumo dei fiori d'arancio che mi invia-  Tano gli orti benedetti della Calabria e della Si-  cilia, Ed io guardava fisso davanti a me neir o-  rizzonte lontano j che la mia nave andava conqui-  Esta^i umam,  stando ad ogni moto deir elice. La nebbia sfumava,  Topaie diventttvii oltremare, e fra le nebliie lon-  tane vedeva un mondo, nuovo e antico per me,  la patria dei miei avi. La nebbia diveniva terrai  e cielo; terra e cielo T Italia. — Fra poche ore avrei  baciato quella terra e sul mio capo si sarebbe  disteso l'azzurro ohe mi aveva veduto nascere.  Non sarei più morto in terra straniera e i miei  cari avrebbero potuto piangere inginocchiati so-  pra la mia terra, sopra la terra che aveva gene-  rato me e i miei cari.   E la terra nebbiosa e oscura si disegnava in  coste e in golfi , in monti e in piani ; e in qaei  monti e fra quei seni apparivano poco a pooo  oasuccie bianche incorniciate di pampini ver<li e  riposavano fra boschi di agrumi neri come il  bronzo. In quelle case dormivano uomini che par-  lavano la mia lingua e quella terra mi mandava  come un saluto del cuore i profumi del mio orto,  i profumi della mia giovinezza e tlella mia poeaia.  Là io era amato, là il mio nome non era parob  ignota: qualcuno mi aspettava. Vi erano braccia  aperte impazienti di stringermi al onoro, vi erano  labbra di donna e di fanciulla pronte, impazienti di  baciar le mie labbra. Profumi di fiori e baci ohe  mi chiamavano ad alta voce, con sospiri d' amore,  Come aveva potuto io per così lunghi mesi star  lontano (la quegli alberi benedetti, da qneWe brae-   cift innanioTìtte , da quella terra che ora. la mia ,  la terra della mia culla e della mia iom^ f Nod  avevo io commosso una colpa j che avrei rerlenta  fra poche ore ? Come avevo io potuto sopportare  tanto dolore ?   B la nave camminnva ; e la nave correva e a  destra il continente d'ItalÌM, a sinistra la pììi  ;^ande delle isole d' Italia si avvicinavano a me^  lontaise e vicine, come due braccia aperte all'am-  plesso I — To mi smentivo abbracciato da quelle  braccia gigantesche , mi sentivo inebbriato da  quei profumi ; udiva il mormorio delle voci del-  l'uomo, che dalla riva giungevano fino a me; voci  d'uomo e voci d- Italiani. Perfino Je vele delle  piccole barche che sfì lavano lungo la costa mi pa-  revano pili bianche, più gaie , più snelle d' ogni  altra vela di mare. S^on eran forse vele italiane ì   E r Etna gigante fumava dair alto e il -calca-  gno d' Italia poggiava anir onda azzurra quasi  volesse spiccare il salto alla conquista del mondo.   Avrei voluto gettarmi in quel] ^ onda per sen-  tirmi bagnato dal mare d* Italia, avrei volato lan-  ci armi per giungere più presto a toccare- quella  terra santa, quella terra tlivina, madre di tre civiltà  e aon ancora stanca ; quella terra d' eroi e di  fljartiri, in cui tante genti avevano bevuto le prime fonti tìol pensiero , avevano imi>aruto i  primi canti (Iella poesia. Quanto or^oglio^ quanto  amore e quanta irapazienza di ridare a qnella terra  il bacio di madre ehc mi «fetta va lontano; dai suoi  orti fioriti, dalle 6U© città illuminate dalla gloria,  dalle vette dei suoi monti pittoreschi, dai campi  così fecondi dì vita.   Se qnella non era un' estasi e che cosa è dunque  l'estasi 1 Se quello non era un rapimento dei seasi,  del cuore, dell' amore , del passato che si strìn-  geva col presente; se quella non era una santa  ebbrezza; e che cos'è dunque il rapimento; che  cos'è r ebbrezza! — [ miei occhi eran gonfi di  laf^rimCj ma sorride vauo ; il mio labbro era muto,  ma sorrideva tremando, come davanti a un bacio  ohe dovesse uecìdermi come uomo per trasfor-  marmi in un Dio.     Estasi solitarie d' amor di patria devono pro-  vare quei pochij eletti che nascono per dar libertà  o grandezza alla patria e sognano prima e me>li-  tauo poi l'opera grande che si prefiggono a scopo  della loro vita. Gran parte ili questi amori solitarii e profondi  si eouauma nell^ opera del pensiero, nelle lun^^^he  lotte di prepAvazìon^ ; ma tra le ansie di olii  aspetta e sperando teme ad of^i istante di per-  dere il frutto di tanti sacrifici , di tanti sudori ,  e forse di tanti martirii ; vi devono esr^ere istanti  in cui alla mente riscaldata da tanto entusiasmo  appare V alba della vittoria in nn orizzonte lon-  t-ano e la speranza del premio fa batter forte il  cuore. Quanti^ visioni sublimi devono esser ap*  parse al Mazzini, al Cavour, al Garibaldi, quando  neir esilio o nelgabinetto di ministro o sul campo  di battaglia sognavano di far libera , grande ed  una la nostra patria e sentiviìuo «li poter essere  artefici primi in quest' opera grande ; sogno di  tanti secolij miraggio di tante generazioni.   Le imprese degli eroi riuiangono scritte in ta-  vole di bronzo o in monumenti di marmo, scritte  co[ ferro e col fuoco, colle torture dell* ergastolo  o le lunghe angoseie notturne del pensiero che  non dorme j ma ciò che non rimane scritto è Pe-  stasi che prepara quelle imprese e che le prevede  in anticipazione.   Ogni frutto si feiionda neir amplesso dei petali  profumati e fulgenti di bellezza e ogni figlio di  creatura viva nasce dall' anelito di un grande  amore. Cosi le opere magnanime che salvano un popolo o che Io glorificano, clie rompono le catene  dell' oppressione o allargano le frontiere della patria non 80D0 mai uragani di violenti e o subitanee  divinazioni del geuio ; ma si preparano lenta-  mente e lentamente maturano nei sautiiiirì del  cuore e del pensiero, là dove i ^ermi celati pre-  parano r albero fntnro ohe darà ombra a un' in-  tiera nazione. La poetala sprezzata solo dal volgo  dei faccendieri, perchè non sono capaci d' inten-  derla, è la madre d*ogni opera grande e non e- è  grande soldato o grande uomo di Htato ehe  non fosse anche e soprattutto poeta. Poeta nel so-  gnare imprese che ai più apparivano come pazae  utopie ; poeta uel fan taa ti e are e neir osare ; poeta  uel deliziarsi nelle sante visioni dell'avvenire; poeta  nelle estasi <imorose che mostra^io al eredente  premio lontano di grandi vittorie. Xon invano i Greci  hanno detto che il poeta è un creatore. Né le sante estasi dell' amor di patria anno con-  cesse soltanto agli eroi , ai semidei della storia.  Tutti coloro che hanno fortemente amato la pa-  tria, tutti quelli che hanno dato ad essa il pensiero o il sangne , che hanno cospirato jirìiua e  studiato poi per darle grandezza e pot**iiaa, pouno  nella loro vita aver provato rapioientì delizioM.  OgDuno pia che sé stesso non può dare all' altare  d' na grande affetto e nelle rivoluzioni e nelle  gfaerrej come nelle grandi lotte poli ti <; he gli amanti  della patria possono contarsi a legioni e la storia  li dimenticfi, appunto perchè son troppi. T^a storia  ha fretta e personifica iu nn tipo i martiri minori.  Pellico è il martire delle cospirazioni, Mazzini è  V apostolo della religione della x^atria » Garibaldi  1' eroe, la Cairoli è la martire delle niadri^ Cavour  fe il pensiero in azione, e così via> Per ogni forma  del sagrifìzio y per ogni opera della mente , per  Ogni travaglio dei cuori, la storia segna un indi-  viduo che divien statua, ìdolo e tipo, e dimentica  le molte figure anonime, che si raggruppano in-  torno a quei tipi e fanno loro lieta ghii'landa.   Né questi negletti della storia lamentano l'in-  ^ustìzia : al monumento, alle corone, all' arco di  trionfo essi non hanno pensato mai. Essi hanno  amato la patria e per essa hanno pianto o sono  morti : la loro missione è compiuta e sono felici  come lo furono PeUioo, Garibaldi e Cavour, An-  ch' essi hanno provato le sante estasi della spe-  ranza e della vittoria^ e la patria li ha l)enedetti e  glorificati nel silenzio delle loro case , nel nido delle loro famiglia o dei loro a rio ri. La patria è  grande percliè ebbe dì tali figli e attraverso le  vene e i nervi clic congiunto uo le generazioni  scorre V omla deir entusiasmo fe palpita la voluttà  del sacrifizio. Che cosa sarebbe il Cristo aonzii  gli ApostoU; che cosa avrebbe fatto GarlbaLtU  »euza la coorte dei Mille, e Cavoar senza i pre-  cursori del 31 ?   No (lo voglio ripetere per la centesima volta),  la iiatnra non è così irtginsta come appare alle  esigenze dei più. Le gioie maggiori della vita non  si misurano col metro del ^enio o snlla bilancia  della ricchezza. Tutti, innanzi morire, possono es-  sere baciati dalle labbra innamorate d'una donna;  tutti posisono render quel Via ciò alle labbra d'una  Agli a. Nessuno è così povero da non poter fare  aagrifìzto dì se alla patria , nessuno così infelice  da non provare le estasi dell- affetto e della poe-  sia. Pel sole che dair alto illumina tutte le crea-  ture della terra, nessuno è grande, nessuno picco-  lissimo e i suoi rag^ì entrano beatificando e  consolando nelle ftbre d' ogni cuore, nella porta  iV ogni tugurio. I piccoli numeri di ventano grossi se som muti  iDsieme. Così i piccoU affetti ponno divenire nra*  gani se i cuori battono insieme. CIic! co.sa è una  gocciola? Eppure i* oceano è fatto tii gocciole,  Kessim affetto forse quanto Tamor di jiatria può  per la isna natura moltiplicarsi con grossi numeri  e allora V entusiasmo degli individui diviene onda  che alla^^a le contrade e rapisce nella sua cor-  rente case e villaggi, città e popoli intieri. È que-  sto un punto ancora oscuro della psicologia umana  e che pare dovrebbe formare una delle baai te-  tragone di ciò che suol chiamarsi la fllosofla della  atoria.*   Come 3i sommano due affetti analoghi o eguali ?  Di certo non colla regola aritmetica che 1 + 1^2,  E oome si moltiplica un entusiasmo , quando si  ripete cento, mille, centomila volte nello stesso  tempo in cento, in mille, in centoraila cuori? An-  che qui la regola matematica non serve a spie-  gare r allargarsi e il diffondersi del fenomeno ri-  percosso in tante coscienze umane. Vi sono epidemie  per il sentimento come pei morbi popolari» e il difibiifieriii degli entusiasmi presenta gli sttsa  misteri^ gli stessi salti bizzarri^ gli stesai prodigi  nome V allargarsi ^elle grandi epidemie.   L' incendio dei cuori per influsso d' nna gloria  nazioDale è uno degli spettacoli più grandiosi e  commoventi del mondo utnauo, ed io compiangd  tnttì coloro , cbe nel corso della loro vita non  hanno 'potuto assistere ad una tli queste grandi  feste, nelle quali tutto un popolo canta Tinno  della gioia e lo accompaguauo gli squilli elettri^-  zauti della vittoria e la fanfara del tumulto po-  polare e l'ebbrezza di tanti cuorij che sentono tiel  tempo s^tesso la stessa gioia , clie ardono deHii  stessa febbre, dello stesso delirio.   Kon invano io ho rassomigliato ad un inceufiio  questi rapimenti nazionali: nessuna immagine po-  trebbe rii|»presentare più fedelmente lo svolgerai  di questo fenomeno umano. Ma non ha ad esser?  incendio di pagliaio ^ che le società di assieara-  zioni registrano con dolore, o fi ara me di cucina, che   pompieri benemeriti spengono in un* ora colle  loro pompe. Ci vuole nno di quelli incendi delle  vergini foreste e della pampa ci eli* America meri-  dionale^ che ho le tante volte veduto e ammirato  nei nùei viaggi. La fìatniua è venutu claU* alto o dal Im^^o , da  na ftilinlue o dal focolaio d' un viaggiatore : non  importa. É fiamma che non riguarda le socktà  d^ mmìirazlomf né chiama a i?*è i pompieri. È fuoco  Glie s'allarga a destra e a sinistra^ che sale ìii alto  lim^o le scale delle liane sugli alberi alti come  torri e che rade le erbe del basso come rasoio  ardente. Erbe e cespuglìj alberi e arbusti, piante  di mille anni e florclUai sboceiati ieri, tutto è in-  vaso dalla stessa fiamma, che tutto divora e eon-  sama/ Nessuno resiste a quel fuoco, non U cacto  gonfio di succhi, non le foglie verdi, non i tron-  chi secolari; nessuna pianta, nessuna erba, nessun  insetto che viva su quelle erbe, nessun rettile che  strisci , nesdun piccolo rosicante o armadillo che  s'accovacoi nelle tane, ne^ssuna belva del bosco,  nessun mammifero della pianarti. Dinanzi a riuel  faoco tutti sono eguali e tutte lo creature hanno  ad ardere fiammeggiando , scoppiettando e deto-  nando* Vola la fiamma in colonne , striscia come  onda, divampa come nembo, e non appena il fumo  porta nel fresco del verde il segno preoarsore della distruzìane^ il famo divien calore e il calore  diviea ìucendio,   E riiicendio cammina; prima incerto, poi siouro;  prima trotta, poi galoppa, vola; esaltandosi nel  delirio d' uo' opera gigante di distrazione e di li-  vellazione* I piccioli innalzano il loro fuoco nelle  regioni degli alti; e gli alti precipitano turbinando  e rovesciando i tiazoni incandesoenti nel piano  delle creature minori. E volano le sointiUe e ser-  peggiano le fiamme, uè alcuno al mondo saprebbe  dire chi dia maggior alimento a quelle vampe.  mag;2fior calore in quella voragine j in quella fa-  Cina gigantesca. Screpolano, adoppiano, gemono i  rami succoienti e rovinano i colossi della foresta^  portando lontano lontano T inno di una grande  rivoluzione^ fluchè fra cielo e terra non si distin*  guono più né erbe ne arbusti^ né alberi, né animali;  ma una cosa sola si vede, una cosa sola si sente, il  fuoco trionfatore d'una fiamma invadente e tiranna.  È la festa del fuoco, è V orgia della distruzione;  è la morte di un mondo vecchio che prepara il  terreno a un mondo nuovo. Cosi sono le feste nazionali, non imposte da  decreti di prìncipi o da grida di ministri, ma sorte  spontanee per Tirrompere di un sentimento caldo,  elle infiamma tutti 1 cuori, che riscalda tutte le  coscienze. E le anime fredde sono ravvolte dal-  l' incendio comune, e gli egoisti, volenti o nolenti,  si riscaldano allo stesso fuoco e i timidi non trovan Bcami>o alla fuga. On^ni creatura che abbia  in petto un e nere di uomo deve ardere p consu-  marsi nella stessa fiamma. Padri e figli e ignoti  si abbracciano insieme e in una volta sola, e il  riso e il pianto che si confondono in un turbine  solo fanno ridda e alzano al cielo un grido solo ;  che è r entusiasmo ; s' inebbri ano dello stesso licore che è r affetto di patria. Anche il marmo si  riscalda, se ravvolto dalle fiamme, e anche il ghiac-  cio si discioglie e si consuma fra le vampe d'un  incendio. Saltano le più robuste serrature chiuse  tlalla mano gelosa tleir avarizia , sì spezzano le  catene più robuste saldate dair egoismo e dalla  paura. Ogni "cuore umano ha ad ardere . dello  stesso fuoco; e il ferro robusto e il piombo vileJianno a fondere per una volta almeno in uuo   ft tesso croglaolo , formando una lega che bMì le  le^^i della cliìmica e le analisi della scienza. E  1111 popolo ebbro dì gioia', che non conta pia  nelle sue flohiere né poveri né ricchi, né gio  vani ne vecchi; raa canta con una voce sola, somma  dì tutti i vafiitì, di tntte le poesie , dì tutti gli  urli umani : canta V inno della redenzione o della  vittoria. Chi ha avuto la fortuna di essere già uomo  nel 48 e nel 5^ rammenta questi incendi fìei onori  italiani e per le membra forse già intirizzite tW  freddo dolla vec<3liiaia risente ancora il caldo di  quel fuoco. E rammenta ancora alcuni momenti  di estasi sante, di ineffabili rapimenti^ nei quali  ogni altro sentimento taceva o si eclissava davanti  al divampare subitaneo e irresistibile di un unico  sentimento, V amor di patria. l'amoe di patria 111ir Coa\ come <lair incendio delle foreste ver«:iiii  nello strato dì cenere clie rimane si prepara una  terra feconda per nuove creature a venire ; così  tietlp grandi estasi e nelle sante eìylirezze di mi  popolo trionfante, si prepara un nuovo terreno in  cui sarà scrìtta una nuova f^toria, È per questa  via che lo guerre diventano ri generatrici di nn  popolo stanco; e quando per due o tre i^enerazioni  non di rampa uno di questi incendi rigeneratori, i fanghi, le mutfe e i bacterii invadono ogni tronco  d' albero e ogni seme di pianta, e dalla lenta putrefazione dei  cadaveri, s' innalza un miasma omicida, elle soffoca i bambini nella culla, .sommerge  i giovani nella palude deirozìo e della noia, e uccide i non nati nel ventre delle madri. In tutte le lìngue dei popoli civili voi trovate scritto che vi è un amore platonico, e se si è sentito da tutti il bisogno del vocabolo, vorrebbe dire che la cosa esiste, o nella natura o nel pensiero degli uomini. Noi non ci fermiamo abbastanza sopra i rapporti delle parole colle cose, e ammettiamo si esso e  volentieri  che  tra  i  molti  suoi  capricci  l'uomo  abbia  anche  codesto,  di  fabbricare  parole  per  cose  che  non  esistono. Eppure ciò non è vero o almeno  non è vero che in parte. Se  fabbrichiamo una parola  per  un essere  immaginario,  è  però  vero  che  questo  essere  fu  immaginato  da  noi  e  quindi  esìste  o  è  esistito nel nostro cervello. Il guaio vero che si trova nello studio delle parole come  vestito  delle  cose  è  questo,  che  non  tutti  gli  uomini  applicano  lo  stesso  vocabolo  alla  cosa  stessa,  soprattutto  quando  si  tratta  dì  fenomeni  psicologici. Di  qui  confasione,  anarchia;  torrenti  d'inchiostro  e  spreco  infinito  di  fiato  per  spiegarci,  per  intenderci  e  pur troppo, ahimè, per creare nuove contese e nuove logomachie. Sappiamo tutti che cosa sia un coltello, una mano, un occhio e a queste cose tutti applicano la stessa parola. Andiamo pure quasi  sempre d'accordo nel battezzare il piacere, il dolore, l'odio, la collera e molti altri fatti del mondo psichico, che hanno per tutte le coscienze lo stesso significato e  che  trovano  nel  dizionario  la  loro  rispettiva  veste.   Ma  ben  altro  avviene,  quando  si  tratta  di  fenomeni fugaci e confasi  o  di  momenti  impercettibili  di  un'emozione  o  di  un intreccio di  molteplici  elementi. Allora  la  parola  non  è  che  un'approssimazione grossolana o uno  sbaglio  completo,  e  noi  significhiamo  con  uno  stesso  vocabolo  le  cose  più  diverse,  facendo  come  colui  che volesse  per forza  far entrare  il  proprio  corpo  in un  vestito  che  non  fu  fatto  per  lui.   Questo  accade,  per esempio,  per l' aiwìre piatomeo.  Tutti  adoperano  questa  parola  per  ischerzo  o  sul  serio,  per  ludibrio  o  per  difesa, per  ipocrisia o  per  convinzione,  ma  le  idee  che  si  rivestono  con  questa  stessa  parola  son  così diverse,  come il  sì  e  il  no,  come  il  vizio  e  la  virtù,  come  l'ipocrisia  e  l'idealità.  Proviamoci  a  interrogare,  facciamo  un'inchiesta, muoviamo  un processo alla  parola,  chiamando  al  tribunale  come  giurati  gli  uomini  del  volgo  e  i  filosofi;  gli  uomini  di  buon  senso  e  le  donne oneste; chiamiamo  pure  anche  gli  scettici  e  i  credenti;  i  materialisti  e  gli  idealisti.   Che  cosa  è  l'amore  platonico?   L'amore  platonico  è  un  paradosso,  è  un'utopia;  non  è mai  esistita  e  non  esisterà  mai.   L'amore  platonico  è  una  ipocrisia  che  copre  ben  altra  merce.   L'amore  platonico  è  un  lasciapassare  per  salvare  il  contrabbando.  L'amore platonico  è  una  falsa  chiave  o  un grimaldello per poter penetrare in casa d'altri senz'esser veduti.   L'amore  platonico  è  un  travestimento  dell'  impotenza.  L' amore platonico è  una  maschera  ad  uso  dei  ladri  e  dei  malfattori.   L'amore  platonico  è  la  quadratura  del circolo.   L'amore  platonico  è  la  centesima  versione  della  favola della  volpe,  che  trovava  acerba  l' ava  che  non  poteva  arrivare.   L' amore  platonico  è l' amicizia fra un  nomo  e  nna  donna.   L'amore  platonico  è  amore vero  e  proprio,  ma senza  la  colpa. L' amore  platonico  è  l’ amore  con  tutte  le reticenze imposte dalla religione,  dalla  morale  o  dalla  necessità.   L'amore  platonico  è  il  voglio  e  non  posso. L'amore  platonico  è  l'amore  senza  il  desiderio.   L'amore platonico  è  una  fraternità  delle  anime,  senza  il  possesso  dei  corpi.   L'amore  platonico è  l' ammirazione  senza  il  desiderio.   L'amore  platonico  è  tutto  l'amore,  meno  il  pos-  sesso.   L'amore  platonico  è  tutto  l'amore spogliato  del-  l'animalità.   L'amore  platonico  è  una  doppia  menzogna  a cui  non  crede  nessuno  dei  due  mentitori.   L'amore  platonico  è  il  primo  stadio  dei  grandi  amori  e  l'ultima  fase  dei  piccoli  amori.  L'amore  platonico  è  un  patto  giurato  da  due  che  spergiureranno  domani.   L'amore  platonico  ò  un  giuramento di  marinaro  fatto  durante  la  procella.  L'amore  platonico  è  una concessione  fatta  oggi  da  ano  dei  due  contendenti  colla  speranza  o  la  sicnrezza  di  aver  Taltra  parte  domani  o  posdomani.   L'amore  platonico  può  essere  una  finta  battaglia  fra  due  che  non  sanno  battersi  o  hanno  paura  del  sangue.   L'amore  platonico è  un  vescovato  in  partibus  infidelium  concesso  a  chi  non  si  può dare  una  curia.   L'amore  platonico  è  la  metafisica  dell'amore.   L'amore  platonico  è  la  più  sciocca  parodia  della  più bella, della più grande, della più ardente delle umane  passioni.  L'amore platonico  è  un  leone  di  gesso,  è una tigre di carta pesta, spauracchi da bambini o ninnoli di fanciulli. L'amore platonico è la più alta espressione dell'amore ideale. L'amore  platonico  è  il  trionfo  dell'uomo  sulla  bestia,  è  l'amore  reso  eterno  dall'idealità  delle  aspirazioni.   L'amore  platonico è  la  speranza;  l'amore  vero  è  la  fede.    Estasi  umane,   Vili   Sono trenta  definizioni  molto  diverse  tra  di  loro,  alcune  anzi  opposte  alle  altre,  ma  rappresentano  a  un  dipresso  tutte  le  possibili.  Lasciando  da  parte  quelle  che,  definendo  la  cosa,  la  negano,  mettendo  in  disparte  le  altre  che  sono  ironie  o  malignità, possiam  dire,  che  tutte  hanno  una  parte  di  vero,  per  cui  forse,  mettendole  insieme  in  un  buon  mortaio  di  agata,  che  la  nobiltà  della  materia  esige  tanta  nobiltà  di  strumento,  e  porfirizzando il  tutto  con  pazienza  di  chimico  e  sensualità di  farmacista,  potremmo  forse  sperare  di  avere  la  quintessenza  della  definizione,  la vera  e  unica  e  infallibile definizione  dell'amor  platonico.   Io  mi  son  provato  in  buona  fede  a  questa  operazione chimico-farmaceutica e  confesso  dì  averne  ottenuto  un  polifarmaco  arabico-bizantino  che  mi  richiamava  alla mente i preparati  più bizzarri  del  medio  evo.  Ho  buttato  via  dunque  il mio pasticcio, e facendo  appello  al  senso  comune,  che  anche  nei  più  astrusi  problemi  della  psicologia  spesso li  risolve  meglio  d'ogni  altro  senso,  ebbi  questa risposta. L'amore  platonico  è  il  aentimmto  che  unisce  un  uomo  e  una  donna,  che  pur  desiderandosi,  rinunziano  volontariamente  all'intreccio del  corpi,  maritando  le  anime.   Fin  dove  arrivi  quest'amore,  fino  a quando  possa  vivere,  io  non  so.  Ho  scritto  un  libro  (Le  Tre  Oraaie)  per  dimostrare  la  possibilità  di  quest'amore,  ma  una  gentile  e  dotta  scrittrice  inglese  scrisse  argutamente  neWAcademy  che  io  avevo  tagliato  il  nodo  gordiano,  ma  non  l'aveva sciolto.  Consultai  molti  inglesi,  intenditori  profondi  delle  ipocrisie  dell'amore,  chiedendo  loro  che  cosa  fosse  la  flir-  taUon,  quali  i  confini  entro  i  quali  si  muovesse  questa  intraducibilissima  fra  le  intraducibili  parole e  ne  ebbi  così  svariate  risposte,  le  une  metafisiche, le  altre  ciniche,  da  scoraggiarmi  e da  fJEurmi  desistere  da  ogni  ulteriore  ricerca  in  pro-  posito.  Dunque?   Dunque  io ,  aspettando  da  altri  più  profondi  conoscitori  del  cuore  umano,  definizione  più  precìsa, più scientifica, conservo  la  mia,  bastandomi  per  ora  di  affermarvi  che  io  credo fermamente  nell'esistenza  dell'amore  platonico,  che credo  nella  sua  rarità,  nella  sua  altissima  idealità,  e  che  lo riconosco per uno dei  fiori  più  belli  e  più  fragranti  che  fioriscono nel  cuore   umano.  É  capace di  rapimenti  ineffabili,  di  estasi  degne  di  vivere all'altezza dell'estasi religiosa e  dell'affetto  materno.    Non  ammetto  amore  platonico  fra  dae  vecchi,  fra  due  brutti, fra  due  creature  che  non  possono  desiderarsi.  Si  dice da  tutti,  ma  falsamente,  che  le  anime  non  invecchiano,  ma  invece  le  anime  invecchiano come i corpi,  e  le  anime  che  si  uniscono  nel  santo  vincolo  dell'amore  platonico,  hanno  ad  essere  giovani  e bèlle.   Questo  sentimento  sublime  non  è  possibile  che  a  rare creature  elette,  che  sanno  compiere  il  mi-  racolo di  spogliare  le  anime  da  ogni  veste  corporea, che sanno  spogliare  la  passione  da  ogni  desiderio  della  carne,  e  contemplandosi  si  ammirano e  si amano.   Anche  le  anime  come  i  corpi  hanno  un  sesso,  e nell'amor  platonico  stanno  faccia  a  faccia  e  guardandosi  eternamente  si  rimandano  senza toccarsi, torrenti di  luce  e  di  calore.  Due  astri  che  girano  nella  stessa  orbita,  che  non  si  toccanmai;  che  sorgono  insieme  con  una  stessa alba,  che  collo  stesso  tramonto  svaniscono  e  sfumano  nella  grande  voragine  dell'infinito.  Sempre  in  moto,  ma  sempre  distanti  Vnn  dal*  l'altro,  attratti  allo  stesso  centro  e respinti  dagli stessi poli;  in  relazione  tra  di  loro  soltanto  per  fasci  di  luce e  oitde di calore. L'anima  dell'aomo  fatta di  forza  e di  azione,  l'anima  della  donna  è  fatta  di  grazia  e  di  bontà;  e  queste  dne  natnre  umane  che  sommate  insieme  formano  l'uomo  completo  si  attraggono eternamente, ma non  si  fondono  insieme,  arrestate  dal  dovere,  che  permette  loro  di  amarsi,  ma  proibisce  loro  di  toccarsi  e  di  fondersi.  La massima  delle  attrazioni  diventita  immobilità,  la  massima  delle  forze  divenuta  ammirazione,  contemplazione,  estasi divina.  Nessun attrito, nessuna resistenza, nessuna trasformazione di energia;  nessuna  cenere  perchè  non  vi  è  fiamma;  ma  luce;  nessuna  stanchezza, perchè  non  vi  è  lavoro;  nessuna  morte  perchè  la  vita  è  arrestata  dal  miracolo  sublime  che  faceva  arrestare il sole  nel  cielo  nei  tempi  della  Bibbia.  Nessun  bisogno  di  mutamento,  perchè  solo  la  stanchezza  o  la noia  (che  non  è  altro  che  una  forma  di  stanchezza)  può  dar  desiderio  d' incostanza. L'amore  platonico  deve  essere  puro  da  ogni  voluttà terrena;  è  questa  la  sua  grandezza,  è  questa  l'acqua  lustrale  che  lo  battezza  e  lo  santifica.   Quelle  due immense  forze  che  si  attraggono  senza  toccarsi  e  senza  confondersi,  rimangono  immobili e  fìsse;  ma  se  una  delle  due  vacilla,  dimi-  nuisce d'un battito  solo  la  propria  energia,  la  più  debole  è  subito  attratta dall'altra  e  l'urto  è  irre-  sistibile. Schizza  una  scintilla  o  divampa  una  fiamma  ;  ma  l' amore  platonico  è  distrutto.  Più  volte  i  due  astri  vengono  così  vicini  l'uno  all'altro  che  ne  oorrusoan  lampi.  Son  due  .  creature  che nello  spazio  si  son  toccate  appena  con  un  fremito  di  ali  spasimanti,  ma  l'ala  deve  fuggire  con  santo  e  rapido  pudore  dal  contatto  dell'ala.  Guai  a  chi  crede  o  sogna  che  due  grandi amori  possano  vivere della  vita  celeste  delle  cose  eterne,  dopo  una  carézza  o  dopo  un  bacio.   Molti,  anzi  i  più  degli  amori platonici,  muoiono  in  questa  maniera,  perchè  le  due  anime  innamorate sognano  questo  sogno,  che  si  possa  fermarsi  a  metà  strada  sulla  china   di   certi  pendii;   ohe    li' credono o  sperano   che  Torlo   di   certi   precipizi  possa  essere  pietoso.   Non  un  bacio,  non  una carezza,  non  fosse  che  qaella  delle  ali.  Anche  le  ali  sono  materia  e  materia viva  e  calda.  Quando  due  labbra  si  son  toc-  cate, ahimè, l'amor  platonico  è  ferito  e  per  lo  più  a  morte.  Le  anime  sole  possono  amarsi  platonicamente e la  materia  è  sempre  dotata  di  gravità;  fosse  pnre  piuma  d'ala,  vello di  cotone  o  massa  di  piombo.  Il  precipitare  di  essa  sarà  lento  o  veloce secondo  la  diversa  densità  della  materia:  i  venti  pietosi  delle  reticenze,  delle  difese,  delle  foghe  faranno  volare  per  l'aria  Iqngamente  il  filo di  seta  e  il  fiocco  di  cotone,  ma  fatalmente,  ma  inesorabilmente  avranno  a  cadere.  O  tutto  o  nulla  è  in  amore  un  assioma  di  quasi  matematica  pre-  cisione, e le  donne,  sempre  più  sapienti  di  noi  in  questa  materia,  lo  sanno  e  lo  ripetono  sempre  all'orecchio degli  impazienti. Esse  sono  le  vestali  del-  l'amore platonico,  le  custodi  del  pudore,  e  quando  esse  vengon  meno  per  le  prime  ai  giuramenti  dell'amore platonico, non  v'ha  quasi  uomo  su  questa  terra,  che  le  aiuti  a  salire.  La  caduta  è  fatale,  è  irresistibile!  Al  contrario di  quanto  si  crede  volgarmente,  non  sono  i  piccoli  aniQri,  ma  i  f^frandi  che  soli  sono  capaci  di  salire  alle  altezze dell’estasi  platonica, di subire  quella  sublime  transustanziazione,  che  arresta  il  desiderio  alla  soglia  del  tempio,  che  trasforma  la  più  ardente  delle  passioni in  una  luce  di  luna,  che  illumina,  ma  non  riscalda.   I  piccoli  amori  son  pruriti  animaleschi,  che  si  soddisfano  grattandoci  o  applicandovi  dei  pannolini bagnati  nell’acqua  fredda.  Essi  non  possono  salire  le  alte  cime,  perchè  son  deboli,  molto  meno  poi  possono  attraversare  lo  spazio,  perchè sono  senz'ali.  Molte  false  virtù  non  sono  che  piccoli  amori  domati  coi  fomenti  freddi  e  quando  li  vedo  innalzati  ai supremi onori del sagrificio e dell'eroismo mi vien  voglia  di  ridere.  I grandi  amori  invece  non  si  domano  che  colla  morte  o  con un  miracolo.  Questo  miracolo  è  Vamoi  e  platonico.   II  credente,  pieno  di  fede,  di  speranza  e  soprattutto d'amore  è  venuto  al  tempio,  per  pregare  ed  amare.  È  venuto   da   lontano:   almeno  per  venti,    forse  per  trent'anni  ha  viaggiato  e  sudato  per  monti e  per  valli,  attratto  alla  Mecca  dall'amore.  Nel  lungo  pellegrinaggio  ha  sudato  e  ha  pianto,  ha  patito  la  fame  e  la  sete,  ma  è  giunto  vivo  alle  porte  del  tempio.  I  minareti dorati  scintillano  al sole  e  dalle  porte  aperte  escono  profumi  di mirra  e  di  rose.   I  grandi  amori  sono  religione  o  idolatria,  e  il  pellegrino  s' inginocchia  e  prega  prima  di  essere  ammesso  all'adorazione  del  Dio.  Ed  egli  lo  vede,  ed  egli  lo  sente  vicino.  Nella luce rosea del tempio egli  ha  veduto  il  gran  Dio,  che  dispensa  la  vita  e  la  morte:  ai  suoi  occhi  lampeggianti  d'impazienza  e  di, ardore  hanno  risposto  altri  due  occhi,  lampeggianti e ardenti  come  i  suoi.  Egli  ama  e sarà  amato;  ancora  una  preghiera  e  san consacrato  li in  fondo  al  santuario  del  Sancta  sanctorum,  dove  il  fumo  degli  incensi  gli  nasconde  la  voluttuosa  visione,  dove  un  coro  di  angeli  gli  cela  i  sospiri,  di  chi  come  lui  aspetta  e  desidera.  Un  istante  ancora,  ancora  una  preghiera,  e  tu  avrai  il  premio  del  lungo  pellegrinaggio,  dei  lunghi  dolori  patiti.  Sei  nato  e  hai vissuto  venti,  trent'anni  per  cogliere quel fiore,  che  anch'esso  non  sbocciò  che  dopo  altri  venti  o  trent'  anni  vissuti  da  un'  altra  creatura  che  nacque  e  visse  per  te.  Oh  perchè  quelli  istanti  non  diventan  secoli   e   quei  secoli      Vili    non  ardono  in  un  istante  sulUara  del  desiderio  e  dell'  amore?   Una  voce  vi  ha  chiamato,  vi  chiama.  Voi  siete  esauditi; voi  siete  ammessi  nel  tempio.  La  creatura sognata  per  tanti  anni,  intraveduta  fra  le  nuvole  della  fantasia  e  le  iridi  del  desiderio,  è  là,  vivente,  calda,  giovane,  davanti  a  voi  e  vi  sorride.  Anch'  essa  aveva  sognato,  desiderato,  aspettato:  se  1'  asceta  ha  bisogno  di  un  Dio,  anche Dio ha  bisogno  dell'adoratore,  e  voi  siete  la  creatura  sognata  e  aspettata  da  lei.  Ogni  vostro  sguardo  diventa  una  carezza,  ogni  vostra  carezza un desiderio  di  carezze  nuove,  e  i  baci  aleggiano  per  l'aria  facendo  intorno  a  voi  un  nembo  di  pe-  tali  di  rose.  I  desiderii  son  divenuti  benedizioni:  due  primavere,  due  vite,  due  amori  aspettano  di  fondersi  fra  un  istante  in  un  solo  paradiso  di  fiori,  di  profumi  e  di  voluttà.  Venga  pure  la  morte;  avrete  vissuto abbastanza,  il  mare  vi  sommerga  pure,  il  fuoco  vi  incenerisca,  la  terra  vi  ingoi;  al  di  là  dell'infinito  non  v'  ha  altro  pensabile  ;  al  di  là  del  tutto,  che  cosa  desiderare  ancora?  Amate  e  morite!   Ma  ecco  che  fra  voi  e  lei  un  angelo  o  un  demonio, il fato  o  il  dovere  ha  messo  una  spada  di  fuoco.  Voi  vi  amate  e  vi  amerete  fino  all'  ultimo  respiro,  ma  voi  non  vi  toccherete.  Non  una  carezza,  non  un  bacio;  neppure  i   flati  confonderanno i tepori  delle  anime.   Io  afiretto  colla  penna  impaziente  ciò  che  in  natura  avviene  lentamente,  più  spesso  per  una  serie  non  interrotta  di  uragani.  Senza  lotta,  senza  agonia,  senza  l'orto  di  Getsemani  non  avviene  quella  trasformazione  che  muta  due  desiderii  in  una  rassegnazione,  due  passioni  in  un'estasi,  due  soli nell'astro  della  notte.  Nulla  si  perde  di  quanto  vive  o  si  muove,  non  la  materia,  non  la  forza  che  non  è  altro  che  l'at-  teggiamento della  materia,  e  anche  ì  cataclismi  della  terra  e  del  cielo,  anche  i  cicloni  che  scon-  volgon  la  terra  e  rovesciano  le  città  sono  trasformazioni di forze,  sono  equazioni  matematiche  nelle  quali  il  prima  e  il  poi  si  dimostrano  come  quan-  tità eguali.   Così  avviene  anche  negli  uragani  del  cuore.  Due  amori  dovevano  confondersi  insieme  per  riaccendere la  fiaccola  della  vita,  due  baci  dovevano  sa-  lire al cielo  confusi  in  una  sola  benedizione  della  vita  trionfatrìce.  E   invece,   passata  la  procella,    vin    rasserenato  il  cielo,  noi  vediamo  il  pellegrino  venuto da lontano  al  tempio  d'amore  ancora  sulla  soglia,  ancora  prosternato  e  in  atto  di  rassegnata  e  serena  adorazione.  E^  nel  tempio,  là  in  fondo,  fra  le  nuvole  degli  incensi  e  il  coro  degli  angeli,  immoto  il  Dio,che  guarda  il  pellegrino  con  tenerezza serena;  e  là  rimarranno  entrambi  Dio  e  crea-  tura, idolo e  sacerdote  fino   all'  ultimo  respiro.  L'amore  che  feconda  è  divenuto  l'amore  che ammira; l'amore   che   ama  è   divenuto  l'amore  che  adora;  il  sole  che  tutto   colorisce  e  riscalda  si  è  trasformato  nella  luna,  che  fa  fantasticare  e  sospirare.   Se  avete  letto  la  mia  Filologia  del  dolore,  dovete ricordare  le  pagine,  nelle  quali  ho  tentato  di  studiare  la  psicologia  della malinconia.  Fra  questo  caro  fiore  del  giardino  del  cuore  e  l'amore  platonico  vi  sono  grandissimi  rapporti  di  somiglianza.   L'amore  platonico  è  una  grande  e  soave  ma-  linconia e  chi  l'ha  potuto  e  saputo  godere,  non  rimpiange  la  gioia,  perchè  quel  sentimento  ha  bellezze  più alte,  ha  misteri  più  delicati,  segreti  più  riposti  e  sublimi.  Dei  vulcani,  dei  terremoti,  degli  uragani  che  sono  vita  quotidiana  dell'amore  nulla  è  rimasto  :  delle  battaglie  combattute  nes-  sun  cadavere,  nessun  membro divelto;  il  terreno    l'amob  platonico lacerato  dalle  bombe, solcato  dalle  artiglierie,  madido di  sangue  umano,  è  ritornato  all'aratro;  e  le  spighe  fioriscono,  dove  corsero  i  gemiti  dei  moribondi e gli  urli dei feroci. Una croce di legno piantata sull'orlo del campo  vi  ricorda  però  la  storia  del  dolore  e  spande  all'intorno  un'aria  ma-  linconica.    Non  invano  io  ho  invocato  il  tempio  ad  esprimere e  contenere  i  misteri  dell'amore  platonico,  perchè  questo  ha  forme  mistiche  e  le  sue  estasi  presentano  molti  caratteri  del  rapimento  religioso.   Soffocato  e  spento  il  desiderio,  inutile  la  lotta,  che  cosa  rimane  fuorché  l'adorazione?  E  questa  adorazione  che  prima  è  consagrata  all'  idolo,  si  affina  sempre  più,  man  mano andiamo  perdendo  la  memoria  delle  battaglie  combattute e  la  figura  che  adoriamo  perde  ogni  giorno  più  la  propria  personalit\  per  prendere  forma  di  mito  o  di  simbolo. La  donna  che  adoriamo  d'amore  platonico  non  è  più  per  noi  Laura  o  Beatrice,  ma  è  la  donna,  la  donna  unica  e  sola  che  per  noi  personifica  tutte  le  bellezze,  tutte  le  grazie,  tutti  gli  incanti  di  Venere  e  di  Eva.    La  donna  amata  ha  occhi  che  ci  incantano,  membra  che  le  mani  accarezzano,  chiome  entro  le  quali si  smarriscono  i  desiderii come  in  un  la-  birinto incantato.  La  donna  amata  d' amore  platonico  non  ha  occhi,  non  membra,  non  chiome,  e  perchè  le  avrebbe  se  noi  non  possiamo  baciarli  e  possederli  ?  Dio  ha  forse  occhi,  membra  e  chiome  f  Noi  amiamo  platonicamente,  ma  amando  adoriamo;  e  l'adorazione  è  l'estetica  divenuta  affetto  o  l'affetto divenuto  estetica,  o  direi  meglio  è  un  sentimento che aleggia  eternamente  fra  l'ammirazione di  una  bellezza  assoluta e  un  amore  infinito  per  questa  bellezza,  a  cui  non  osiamo  dar  forma,  perchè  anche  questa  ci  sembra  una  profanazione.   L' amore abbraccia  sempre  qualche  cosa,  colle  mani  o  colle braccia,  colle  labbra  o  col  cuore;  l'amore  platonico  non  abbraccia,  perchè  l'infinito  non  si  stringe;  l'amore  platonico,  contempla,  ammira, adora. Siamo  in  piena  estasi  e  in  estasi  permanente:  nessun  carattere  del  rapimento  gli  manca,  non  la fissazione,  non  lo  sprofondarsi  di  tutte  le  sensazioni in  una  sensazione  sola,  non  la  immobilità  per  tensione  di  tutti  i  muscoli  antagonisti,  non  la  ca-  talessi, non  la  insensibilità  per  eccesso  di  sensazione. E le  estasi  son  due:  due  come  le  creature  che  mutuamente  si  contemplano  e  si  adorano;  due  come  le forze,  che  campate  nello  spazio  e  sempre  lontane  si  invocano  e  si  attraggono  e  eternamente  rimangono  fìsse,  senza  avvicinarsi  di  nna  lìnea  né  toccarsi  mai.  In  cielo  fra  gli  astri  avvengono  que-  sti fenomeni che  gli  astronomi  studiano;  nel  cuore  umano  avvengono  gli  stessi  fenomeni  con  leggi  eguali,  con  eguale  miracolo  di  potenza  e  di  bellezza. Se  l'amore  platonico  per  la  sua  alta  idealità  si  avvicina  ai  rapimenti  mistici  dell'asceta,  ha  per  altri  suoi  caratteri  le  profonde  sensualità  del-l'avarizia.   L'avaro  e l'amor  platonico  hanno  questo  di  co-  mune: possedere un  tesoro  che  contemplano,  che  adorano,  ma  che  non  spendono.   Quella  donna  che voi  adorate,  è  d'  altri  o  di  nessuno  in  apparenza,  ma  nessuno  l'ama  come  voi,  per  nessuno  è  bella  quanto  lo  è  per  vói.  I  vostri  sguardi,  le  vostre  aspirazioni,  i  vostri  pensieri  sempre  rivolti  a  lei  la  circondano  d' un’aureola,  che  la  isola  dal  mondo.  Essa  è  chiusa  in  uno  scrigno  invisibile,  ma  non   meno  inviolabile;   in    uno  scrigno  d'oro  e  di  gemme  di  cui  voi  solo  avete  la  chiave.  E  anch'essa,  voi  lo  sapete,  non  ama  che  voi.  È  il  possesso  potenziale,  è  la  proprietà  ideale.  Gosì  appunto  è  dell'avaro:  egli  contempla  quei fasci  di  biglietti  miracolosi  che  possono  a  un  cenno  trasformarsi  in  gioie,  in  lusso,  in ogni  ben  di  Dio.  E  per  volontà  nostra  quella  donna  è  intangibile,  quel  denaro  '  non  si  muove,  ma  quella  donna  è  nostra,  quel  tesoro  è  nostro.  L'amore  platonico,  ricco  com'  è  di  rapimenti,  ci  presenta  allucinazioni  di  trascendente  bellezza.  Nessuno  più  abile  sarto  per  vestire  i  corpi  nudi,  nessuno  più  ardito  per spogliare  i  corpi  vestiti.   Nelle  visioni  dell'  asceta  Dio  appare  (come  vedremo più  innanzi)  in  aspetti  svariati,  ma  sempre  bellissimo;  e  l'adorazione  che  crea  l'immagine  si  raddoppia  neir estasi  d'ammirazione  di  quelle  bellezze. E così è  noli'  amore  platonico,  in  cui  tutte  le  forze del  pensiero,  tutte  le  energie  del  senti-  mento, concentrandosi  in  un  punto  solo,  danno  tali  ali  alla  fantasia  e  tale  energia  al  suo  pennello da trasformare  l'uomo  in  un  poeta  e  in  un  pittore  in  una  volta  sola.  Poeta  che  abbellisce  e idealizza  tutto  ciò  che  tocca;  pittore  che  della  sua  tavolozza  fa  una  verga  magica  che  tntto  riveste di  un'iride  afiascinante.   La  donna  adorata  e  non  posseduta  è  sempre  Venere  per  noi;  Venere  Afrodite  quando  la  fantasia la spoglia,  Venere Urania quando la  fantasia la  ravvolge  nei  densi  veli della  nostra  gelosia e  del  nostro  rispetto.  Nuda o vestita è sempre una  Dea  per  noi,  e  noi  ne  siamo  i  sacerdoti.  Anche  le  sante  vedono  Dio  nudo  nelle  loro  visioni, né quella  nudità  è  meno  casta  o  meno  pudica.  L'amore  platonico è  tutto  un  pudore,  perchè  il  pudore  è  la  riverenza  dell'amore,  è  la  santificazione del  desiderio.    Oh  quante  volte  nei  sileuzii  della  notte  le  tenebre si illuminano  per  noi  alla  luce  mistica  della  fantasia  e  dall'onda  azzurra  d'un  mare  tranquillo  sorge per  incanto  al  fremito  impercettibile  d'una  brezza  che  vien  dal  profondo  una  visione  di  donna.  E  noi  assistiamo  al  mistico  nascere  della  Dea  d'amore,  assistiamo  al  nascer  della  vita.   Estasi  umane,  vili    E  sorge  dall'onda  Spumeggiante  pregna  degli  inebbrianti  e  salsi  aromi  del  mare  la  visione  della creatura  amata,  della  sola  donna  che  per  noi  è  donna,  e  che  nuda  e  casta  come  una  statua  di  Fidia,  lucente  dell'  onda  che  cade  in  mille  perle  su  quella  perla  sola  che  è  il  corpo  di  lei,  s'innalza  fremente  e  flessuosa,  come una  palma  umana;  e  sorge  e  s'innalza sulle  sue  colonne  di  marmo  pario,  inghirlandata  dalle  chiome  fluenti,  che  fanno  piovere  una  pioggia  di  perle  sui  morbidissimi flanchi intomo a  lei  bolle  e  freme  l'onda,  quasi  ebbra  dei  contatti voluttuosi  della  Dea,  e  guizzano  nereidi  e  naiadi  a  farle  corona  di  bellezze  minori,  mentre  angioletti  rosei  svolazzano  all'intorno  di  lei,  im-  pazienti di  accarezzarla  colle  ali  convulse.  E  nes-  suna lascivia scuote  le  nostre  membra  e  nessun  desiderio  osa  turbare  Testasi  di quella  contemplazione. Voi  siete  sempre  in  ginocchio,  col  corpo  o  col  pensiero,  davanti  alla  divina  immagine  che  adorate.    E  altre  volte  Venere  non  esce  dal  mare,  umida  e  calda  delle  sue  feconde  aspergini,  ma  in  un  bosco di allori  sotto  il  cielo  ellenico,  scende  dal  tempio e  passeggia  sorvolando  sull'erba, quasi  statua  che  ubbidisce  all'evocazione  del  suo  creatore  e  ritoma alla  vita.  E  gli  inni  dei  poeti  e  le  corde  d'oro  delle  arpe  eolie  cantano  e  suonano  le  loro  armonie,  facendo  coro  di  ammirazione  e  osanna  di  adorazione alla dea  della  bellezza,  alla  madre  di  tutti  ì  viventi.  E  noi  prostesi  al suolo  baciamo  l'orma  profumata,  che  il  piede  divino  lascia  sui  muschi  vellutati  e  fra  l'erbe  odorose. Ma  terra  e  mare  non  bastano  più  a  fare  cor-  nice alla  nostra  visione  trascendente  e  noi  vediamo la nostra  Dea  farsi  creatura  alata  e spiccare  il  volo  nelle  alte  regioni  del  cielo.  Non  più  carni  rosee  o  colonne  di  marmo  parlo,  ma  la  carne  dive-vni nuto  opale  e  le  membra  trasformate  in  ali.  E  vìa  per  Paria  e gli  spazi  infiniti  del  vuoto,  un  aleggiar  robusto  e  un  ondeggiar  di  chiome,  or  dorate  dai  raggi  del  sole,  or  argentine  al  chiaror  della  luna,  or  buie  come  le  tenebre  degli  abissi.  E  un  fiam-  meggiar degli astri,  che  anch'essi  nell'eterna  pace  dei  secoli,  fremono  alla vista  di  quella  divina  bel-  lezza e  scintillano  più  caldi  e  più  splendidi,  salutando colle  ebbrezze  della  luce  una  creatura  deUa  terra.   E  noi  dietro  a  quella  visione,  convertiti  da  creature mortali in  un  sospiro  di  desiderio  che  vola  e  insegue  la  donna  alata.  La  via  lattea ci  è  guida  al  nostro  volo  audace  e  tra  la  polvere  degli  astri  che  non  abbiam  tempo  di  ammirare  e  fra  gli  abissi  dell'infinito  e  le  meteore  deUo  spazio  cogli  occhi  fissi  a  quella  creatura  che  è  cosa  nostra  e  di  cui  sentiamo  nel  vuoto infinito  il  batter  dell'ali, Siam  rapiti  in  estasi  e  speriamo  di  confonderci e sparire  in  quella  donna,  che  non  è  più  donna,  ma  angelo;  che  non  è  più  angelo,  ma  Dio;  un  Dio creato  dalla  nostra  fantasia  e  dal  nostro  amore.  Sparire  per  sempre  e  con  lei,  come  dicesi  che  le  comete  attratte  dal  sole  si  consumino  in  un  bacio  ardente  come  loro,  ciclopico  come  lo  spazio.   Sparire  e  confondersi, non  ritrovar  più  il  nostro Io,  non  distinguere  più  qua! differenza passi  tra  noi  e  lei,  fra  l'amare  e  Tessere,  fra  l'uno  e  il  due;  non  ricordarsi  della  terra,  del  nascere  e  del  morire, della gioia  e  del  dolore;  non  pensare  altro  pensiero  che  il  pensiero  di  lei,  perdere  tutta  la  coscienza  e tutta  la  memoria,  per  sommergerle  nel  grande  oceano  di  una  sensazione  sola,  l'estasi;  spogliarsi  di  tutte  le  passioni,  dimenticarle  tutte,  per  non  ardere  che  d'una  sola  passione,  l'amore.  L'uomo  e  la  donna  disgiunti sulla  terra,  ricongiunti nel  cielo  e  per  sempre  con  un  bacio  che  non  ha  domani,  con  un  amplesso  che trasforma  le  anime  nella  carezza  di  quattro  ali.    *    Le  estasi  dell'amore  platonico  non  sono  tutte  di  adorazione,  ma  possono  presentarci  le  forme  della  devozione,  del  sagrifizio  spinto  fino  al  mar-  tirio. Allora noi  abbiamo  i  rapimenti  già  descritti  nell'amore  materno,  nell'amor  figliale  e  negli  altri  affetti  minori.  Inutile  ripetizione  sarebbe  quella  di  ritrarre  i  lineamenti  di  questi  quadri  sublimi,  che  tanto  si  rassomigliano. L'ionico  carattere  che  distingue  tutte  queste  forme  svariate  è  quello  di  essere  accompagnato  dall'ardore della  più  calda  delle  passioni,  di  esser  tutto imbevuto  di  quell'amore  che  fu  chiamato  con  questo  nome  senza  aggiunta  di  alcun  agget-  tivo, quasi  prototipo  di  tutti  gli  altri  amori.   L'amore  platonico  può  essere  potente  e  fecondo  di  estasi,  anche  quando  non  è diviso da  un'altra  creatura.  Anche  quando  vibra  in  un  solo  cuore,  anche  quando  contraddice  (rarissima  eccezione)  il  verso  famoso  del  poeta:   Amor  ch'a  nullo  amato  amar  perdona,   può  durare  tutta  la  vita,  può  essere  il  palpito  di  ogni  ora,  il  sogno  d'ogni  notte,  la  religione  mi-  stica di un solo  cuore.  In  questi  casi  soltanto  vi  ha  di  diverso  e  di  caratteristico  una  soave  ma-  linconia, forse  confortata  da  una  speranza  lontana  che  il  nostro  amore,  pur  rimanendo  sempre  pia*  tonico,  8iia  diviso  da  un'  altr'  anima.  Xie  estasi  dell' amicizia. Rapimenti  dell'amor  fraterno.    Anche  senza  il  fascino  del  sesso,  anche  senza  i  vincoli  del  sangue  l'nomo  può  amar  l'uomo  di  quel  sentimento  che  si  chiama  amicizia.  Ho  gii\  parlato  troppe  volte  e  a  lungo  nella  mia  Fisiologia del piacere e  in  altri  miei  libri  più  recenti  dell'amicizia,  né  starò  a  ripetermi.  Qui  non  dob-  biamo occuparci che  di  quelle  rarissime  forme  di  questo  sentimento  che  possono  portarci  fino  al-  l'estasi.   L'amicizia  è  possibile  fra  uomini  e  uomini,  fra  uomini  e  donne,  fra  donne  e  donne;  ma  il  sesso  è  tale  un  elemento  perturbatore  d'ogni  altro  af-  fetto,  che  non  sia  amore,  da  rendere  1'  amicizia  assai  rara  fra  ue persone  di  sesso  diverso,  e  anche  quando  i  sensi  non  parlano  e  nessun  desiderio accompagna  l'amicizia,  questa  è  però  modi-  ficata profondamente  da  quella  tenerezza  irresistibile che l'uomo  ha  per  la  donna,  di  quel  bisogno  di  protezione  che  la  donna  sente  dinanzi  all'uomo.  Ecco  perchè  preferirei  separare  dal  gruppo  delle  Estasi  umane.  L’ amicizie  vere  quella  che  Tuomo  e  la  donna  pos-  sono intrecciare tra  di  loro,  ravvicinando  queste  alla  famiglia  degli  amori  platonici.    V  amicizia  è  un  sentimento  di  lusso  e  noi  lo  vediamo  mancare  affatto  o  presentarci  forme  atrofiche negli uomini  di  bassa  gerarchia  psichica.  Le  sue  energie  sono  deboli,  talché  cedono  subito  il  campo  ad  altri  sentimenti  più  imperiosi  e  che  hanno  una  grande  missione  nel  ciclo  della  vita.  È  anche  per  questo  che  le  donne  ci  presentano  più  raramente  esempio  di  calde  e  tenere  amicizie.  In  esse  l' amore e  la  maternità  occupano  tanta  parte  del  cuore  da  non  lasciare  il  posto  per  altri  sentimenti  minori,  e  d'altronde  la  galanteria  virile  fa  delle  donne  altrettanti  rivali  e  semina  la  gelosia e  inviperisce  le  vanità  e  solletica  la  malizia  e  la  maldicenza;  per  cui  V  amicizia  fra  donne  è  pianta  rara,  che  vive  per  lo  più  vita  breve  e  fra  le  pareti  di  una  stufa  ben  calda  e  custodita.   Che  l'amicizia  sia  una  pianta  di  lusso  lo  prova  il  vederla  fiorire  nell'  età  delle  massime  energie  affettive,  cioè  nella  giovinezza. Col  primo  aocenno di  capelli  bianchi,  col  primo  chinar  della  curva  vitale,  le  amicizie  nuove  sono  molto  rare  e  le  antiche si  conservano  spesso  per  abitudine,  per  ri-  conoscenza, ma  son  fiacche  e  messe  quasi  sempre nel secondo  giro  degli  affetti.   Se  r  amicizia  è  sentimento  raro,  è  tanto  più  delicato  e  si  muove  in  una  sfera  di  altissima  idea-  lità. Intendo  sempre  parlare  della  vera,  della  sublime amicizia,  di  quel  sentimento  che  fa  di  due  nomini  un  nomo  solo,  che  li  unisce  mano  con  mano,  cuore  con  cuore,  anima  con  anima.  Per  lo  più  fra  la  massa  del  volgo  si  chiamano  con  quésto  nome  simpatie  fugaci,  associazioni  d'interessi,  con-  suetudini d'occasione  ed  altre  cose  ancor  più  vol-  gari e più  basse.  Per  questa  via  di  certo  nessun  rapimento  è  possibile.   Ciò  che  dà  il  marchio  di  nobiltà all'amicizia  è V eleziùne che  ne  è  il  midollo  e  lo  scheletro,  che-  ne  è  il  motivo  informatore.  Non  è  soltanto  negli  ordini  politici  che  relezione  sostituita  all'eredità  o  alla  forza  segna  un  gigantesco  progresso:  anche  nel  campò  degli  affetti  l'elezione  è  il  battesimo  che  li  consacra  ad  una  vita  gloriosa,  che  li  tra-sporta dai  bassi  fondi  delle  necessità  organiche  nel  cielo  dell'  idealità.  Neil'  amore,  nell'  affetto  di  patria,  nella  maternità,  in  tutti  i  potenti  affbtti  che  stringono  l'uomo  coi  vincoli  della  famiglia,  vi è  un  vigore  irresistibile,  vi  è  una  forza  trascen-  dente, ma  nello  stesso  tempo  noi  ci  sentiamo  ra-  piti dal fato,  dalla  necessità:.  Siamo  ben  felici  di  questa  cara  necessità,  Ina  V Io,  sempre  superbo,  sente  qualcosa  più  forte  di  lui  e  riverente  s' inchina e  ubbidisce  alle  leggi  della  natura.   Nell'amicizia  invece  nulla  di  tutto  questo:  nessun fato,  nessuna  necessità,  nessuna  tirannia  d'uomini, di cose  o  di  tempi.  Due  anime  umane  si  incontrano  nel  viavai  della  folla,  si  contemplano  e  s'intendono.  Un  riso  sorriso  in  due,  una  lagrima  pianta  in  due,  un  grido  d'  entusiasmo  escito  prorompente, irresistibile  in  uno  stesso  momento  da  due  petti  umani,  avvicina  i  cuori  e  stringe  le  destre.  Son  due  note  musicali,  che  partito  da  due.  strumenti  lontani  si  sono  incontrate  per l’aria,  formando  un  accordo  d'armonia.   E  quello  stringersi  delle  mani  rivela  nella  sua  espressione  semplicissima  tutta  la  psicologia  più  fine e  più  profonda  dell'amicizia.  In  amore  son  le  labbra  che  tendon  Farco  e  si  cercano;  in  amore  son  le  viscere  che  si  intrecciano  e  si  fecondano:  neir  amicizia  son  le  mani,  che  si  cercano  e  si  stringono;  gli  istrumenti  del  pensiero  e  dell'azione.  Sentire  insieme  e  sentire  egualmente,  ammirare  le  stesse  cose  e disprezzare  gli  stessi  uomini,  par-  lare commossi  cogli  stessi  i)oeti  e  benedire  con una  voce  sola  lo  stesso  sole,  ci  fa  parenti  nelle  anime,  come  in  amore  le  simpatie  fanno  di  due  sangui  un  sangae  solo,  di  dae  desiderii  un  desiderio solo, e colla fiisione intima di due esistenze, creano una terza vita.  L'amicizia  è  una  parentela  d'elezione,  è  un  amore  delle  anime,  è  un  sentire  il  proprio pensiero  sommato a un  altro;  i  proprii  sentimenti,  le  proprie  simpatie,  le  proprie  aspirazioni  ripercossi  sempre  dall'eco  affettuosa  di  un'altra  simpatia,  di  un'altra  natura  umana,  che  risponde  alla  nostra.  Dolcezze  ineffabili,  voluttìi  di  altissima  sfera,  che  fanno  l'uomo  superbo  d'esser  uomo.   Questo  consenso  non  cercato  ma  trovato,  questo combaciarsi  intero  e  completo  di  due  anime,  questo  libero  matrimonio  di  due  nature  umane può  bastare a rapirci  in  estasi  ;  quando  soprattutto  ci  rifugiamo  in  seno  all'  amicizia  per  sfug;^ire  dagli  urli  del  profanum  vulgus;  quando  siamo  inseguiti  dal  latrato  dei  cani  ;  quando  ci  sentiamo  asfissiati  dal  lezzo  del  fango  in  cui  pur  troppo  dobbiamo  le  tante  volte  camminare  e  sommergerci.  È  allora  che  l'oasi  dell'amicizia ci  stende  la  sue  braccia  e  ci  involge  colle  sue  ombre  profumate,  colle  sue  brezze  inebbrianti,  e  proviamo  la  santa  gioia  di  chi  escito  da  una  cloaca  immonda  e  oscura,  si  trova  nell'aperto  cielo  in  mezzo  alla  luce,  all'aria pura;  fors'anche  fra  il  profiimo  dei  fiori  e  il  sorriso dei bambini.   L'estasi  di  due  amici  che  si  comprendono,  che  ^i  stringon  le  mani.  che  si  guardan  negli  occhi,  leggendovi  riflessa  Pimmagine  di  so  stessi,  è  muta  come  quasi  tutti  i  rapimenti  della  vita.  É  muta  ed  è  profonda:  è  serena  eie  azzurra.  Non  si  sa  eome  incominci  e  dove  finisca;  appunto  come  noi  non sappiamo,  guardando  in  alto,  dove  il  cielo  incominci  e  dove  esso  finisca.  Tiriamo  profondo  profondo  il  respiro,  perchè vorremmo quasi ingrandirci di dentro,  come  ci  sentiamo  raddoppiati  di  fuori;  e  il  nostro  Io  si  confonde,  si  sprofonda  con  un'altra  coscienza,  quasi  due  parti  di  un'anima  sola,  che  separate  dalla  violenza,  incontratesi  nello  spazio,  ritornano  ad  essere  una  cosa  sola.  In  quei  momenti  beati  ogni  confine  ben  definito  della  coscienza  si  ofiftisca  e si  sperde  :  ci  pare  di  essere  due,  perchè  godiamo  sentimenti,  bellezze,  splendori el  vero  o  del  buono  in  due;  ci  par  di  essere  uno,  perchè  sentiamo  vibrare  due  coscienze  in  unacocienza  sola;  perchè  le  due  anime  si  son abbrao-  -ciate e  strette  e  confuse  in  un'anima  sola.  Sante  e  care  e  dolci  ebbrezze  dell'amicizia,  che  si  elevano  per  la  loro  purezza  nelle  sfere  più  alte  dei  sentimenti  umani.  Se  sono  men  calde  di  quelle  dell'amore,  sono  però  più  durevoli  e  serene;  se  vi  è  meno  volutto,  vi  è  più  pensiero;  se  vi  è  meno  fuoco,  vi è  più  luce. Ma  perchè  questi  sterili  e  vani  confronti?  Perchè sagrificare  anche  noi  a  quel  maledetto  gallo  d' Esculapio,  che  costringe  sempre  l’uomo  a  confrontare le  cose  che  studia  e  descrive?  Forse  che  si  pota risolvere  il  problema la  rosa  sia  più  bella  del  giglio,  lo  zafiBro  più  splendido  del  diamante, il cavallo  più  bello  del  leone?  Lasciamo  ogni  bellezza  al  suo  posto  e  non  tormentiamo  le  creature  del  nostro  pianeta,  facendole  passare  sotto  le  forche  caudine  delle  nostre  gerarchie.  La  natura  feconda  e  generosa  non  ha  mai  scrìtto  dei  numeri  sulle  proprie  creature:  nessuna  prima,  nessuna ultima, e  il  muschio  microscopico  che  nasce  e  fiorisce  fra  le  fessure  del  tronco  d' una  palma  superba,  è  bello  quanto  l'albero  maestoso  che  le  offre  l'ospitalità;  e  la  stretta  di  mano  dell'amicizia  è  cara  quanto  lo  stringersi  insieme delle labbra innamorate.  Le  estasi  dell'amicizia  sono  di  varie  forme,  ma  quasi  tutte  possono  ridursi  a  queste  due:  estasi  di  simpatm  e  estasi  di  conforto.   Delle  prime  ho  parlato  fin  qui,  riducendole  ad  un'espressione  sola.  Le  altre  sono  più  facili  e  più.  comuni.  Esse  non  sono  che  estasi  di  carità  rese  più  intense,  più  cald,  più poetiche,  perchè  il  sentimento che  le  ispira  è  di  più  alta  natura.  Nella  carità  facciamo  il  bene  agli altri,  solo  perchè  uomini; all'amico  diamo  tutto  noi  stessi,  per  lui  facciamo i  maggiori  sagrifizii,  perchè  uomo  e  perchè  amico.   Dall'elemosina  che  ci  umilia  e  può  anche  avvilirci, incomincia  una  scala  ascendente  e  che  ha  mille  gradini  e  pei  quali  si  sale  alle  forme  più  squisite  della  beneficenza.   Sulla  più  alta  cima  sta  sempre  1'  amicizia,  che  conforta  e  aiuta  e  soccorre  senza  umiliare  e  porge  il  dono  con  tale  delicatezza,  che  mal  sapresti  dire,  se  sia  più  prezioso  il  dono  o  più  caro il  modo con  cui  ti  vien  presentato.    ESTASI  dell'amicizia  Impiccolire  il  sagrifizio  fino  a  nasconderlo  affatto, mostrare  che  chi  dà  è  invece  colui  che  riceve, ohe  il  donatore  rimane  debitore  ;  nascondere  nella  gioia  di  dare  l'orgoglio  di  dare  e  soffocare  fin  dal  suo  nascere l' involontario rossore  di  chi  riceve,  sono  altrettanti  miracoli  che l’amicizia  compie  colla  massima  agilità ,  colla  maggiore  naturalezza di  questo  mondo.   Indovinare  il  dolore  anche  senza il  pianto, presentire l'imbarazzo quando  nessuno  lo  sospetta,  prevedere  la  sventura  prima  che  arrivi,  il  pericolo  prima  che  l'allarme  sia  dato,  non  attender  mai  che  la  mano  si  stenda  a  voi,  ma  stendere  la  vostra  e  nella  stretta  di  mano  nascondere  il  benefizio,  sono  le  prime  lettere  dell'  alfabeto  dell'  amicizia;  son  problemi  elementari che  il  cuore  risolve  di  primo  acchito  e  senza  bisogno  di  studiare  la  matematica.   Davvero  che  in  questi  ca^i  è  diflBcile  dire  chi  più  goda  dei  due,  chi  primo  arrivi  al  rapimento  del  benefizio  fatto  o  della  riconoscenza  caldissima.   L'uno  ha  preveduto,  ha  presentito,  ha indovi-nato. L'  amico  soffre  ed  io  posso  far  tacere  quel  dolore.  L'amico  ha  bisogno  di  soccorso,  di  con-  forto, ed  io  sarò  quei  fortunato  che  potrò  soccorrere e  confortare.  Il  cuore  batte  forte  forte  in  petto,  le  mani  tremano  per  1'  emozione  e  un sorriso involontario e  angelico  corre  sul  nostro  volto.  Tutti  gli  artificii  più  astati  sono  da  noi  adoperati  per  far  sembrar  facile  ciò  che  è  difficile,  naturale  ciò  che  forse  è  per  noi  un  doloroso  sagrìflzio. Nessuna astuzia è  più  raffinata,  nessuna  ipocrisia  più  opaca,  nessuna  fantasia  più  immaginosa  di  quella  che  adopera  l'amico  per  occultare  il  benefizio,  per  giungere  in  tempo;  per  abbellire  la  carità  collo  splendore  della  sorpresa.  Il  dono  dell'amico  è  un  fiore  bello  e  profumato  che  ci  presenta  la  mano  di  un  bambino,  innocente e  giulivo  come  la  bontà  sempre  aperta  dell'uomo  generoso,  rìdente  come  tutte  le  primavere  della  vita  e  della  natura.   E  chi  riceve  ed  è  costretto  a  non  vergognarsi  di  ricevere  e  chi  indovina  tutte  le  sante  astruserie  e  i  fini  accorgimenti  che  accompagnano  V  opera  del  conforto  e  chi  misura  tutta  1' altezza dell'  anima  che  corre  soccorrevole  a  noi,  rimane  confuso  e  commosso  e  dallo  strazio  della  disperazione  è  portato  di  volo  alla  beatitudine  più  sicura  e  più  alta.  L'amico  ci  ha  indovinato  e  l'amico  risponde  con  un'onda  di  riconoscenza;  il  sorriso  di  chi  fa  il  bene  è  nobile  come  il  sorriso  di  chi  lo  riceve,  e  due estasi  si  confondono  in  un'estasi  sola.   Chi  più  felice  dei  due?  Nessuno.  Chi  più  grande?  Nessuno. Quale  il  debitore,  quale  il  creditore?  Nessuno  dei  due;  o  entrambi  creditori,  entrambi  debitori.  Chi  più  bello  del  sole  che  illumina  o  della  terra  che  è  baciata  dal  sole!  Chi  più  bello  del  cielo  che  si  specchia nel mare  o  del  mare  che  si  fa  azzurro  al  sorriso  del  cielo?  Chi  più  dà  e  più  riceve della  gloria  dei  grandi  o  del  riflesso  d' amicizia che  le  turbe  innalzate  dal  genio  rimandano  al  sole  del  pensiero? Beata  ignoranza  codesta,  di  non  poter  distinguere  due  bellezze  che  si  fondono in una  bellezza  sola  ;  due  gioie  che  si unificano ìa una  voluttà  sola;  due  grandezze  che  si  sperdono  e  si  consumano  in  una  sola   immensità.   Non  malediciamo  la  vita,  se  questa  ci  lascia  lo  spazio  e  il  tempo  per  essere  uno  di  questi  amici  o  per  assistere  ad  una  di  queste  scene  del  mondo  morale.  Quante  bassezze,  quante  viltà,  quanto  fango  si  devono trovare nei  sentieri  pedestri  della  vita  por  dimenticare  uno  di  quei  quadri,  quante  tenebre ci  vorranno  per  cancellare  tanta  luce,  quanto  male  per  far  dimenticare  tanto  bene!  Nessun  fiume,  per  fangoso  che  sia,  ha  potuto  togliere  all'oceano  le  sue  trasparenze;  nessun  sofiQo  di  uomo  ha potuto spegnere  il  sole,  nessun  gelo  Tha  mai  potuto  raffreddare! L'affetto che  ravvicina  i  nati  tVuno  stesso  padre  e  d'una  stessa  madre,  esiste  abbozzato  anche  negli  animali.  Gli  uccellini  allevati  in  uno  stesso  nido,  spesso  anche  quando  Thanno  abbandonato,  vivono  assieme  e  si  amano:  spesso  anche  le  scimmie  ed  altri  mammiferi  sentono  di  essere  fréitelli,  ma  queste fratellanze son  pallide  e  di  piccola  durata.  I  colpi  di  fucile del cacciatore crudele,  i  lunghi  viaggi,  i  nuovi  amori,  spezzano  ben  presto  i  vincoli di  fratellanza,  e  dopo  pochi  giorni,  o  poche  settimane,  o  pochi  mesi,  secondo  i  casi;  ogni  riconoscimento di uno  stesso  sangue  si  dilegua  e  scompare.  I  fratelli  possono  intrecciare  un  nuovo  nido,  un  incestuoso  amore,  o  possono  farsi  la  più  spietata  guerra.   Anche  fra  gli  uomini  l'amore  fraterno  è  spesso  pallido  e  non  presenta  che  deboli  energie;  i  molti  cuculi  deposti  nel  nido  d'una  famiglia,  le  antipatie  e  le dissonanze dei  caratteri  troppo  frequenti  ad  onta  della  comune  genealogia,  le  lotte  d'interesse  opposto,  le  lunghe  e  necessarie  assenze  imposte  dalle  vicende  della  vita,   sono   altrettante  cause l'amoe  fraterno che  possono  rallentare  o  rompere  le  catene fraterne. Fra fratello  e  fratello,  fra  sorella  e  sorella  si  aggiunge  poi  la  ruggine  delle  gare  di vanità  e  di  emulazione,  e  questa  ruggine  corrode  più  ohe  la  lima  di  forti  passioni.  Per  tutte  queste  ragioni  i  forti  amori  fraterni  son  rari,  rarissime  le  estasi  affettive.   Oserei  però  dire  che,  meno  rare  eccezioni,  Tamore fraterno  non ci  mostra  scene  commoventi  e  sublimi,  che  quando  è  rafforzato  dalla  simpatia  dei  sessi  opposti.  Earo  V  affetto  intenso  fra  due  fratelli,  forse  più  raro  ancora  quello  fra  due  sorelle;  più  comune  invece  il  sentimento  che  lega  il  fratello  alla  sorella.   Quando  fratello  e  sorella  si  amano  davvero,  si amano  molto, il  sentimento  che  li  unisce  è un'amicizia resa ancor  più  calda  dalla  comunanza  del  sangue  e  può  giungere  a  tanta  forza  e  a  tanta  idealità  da  avvicinarsi  assai  all'  amore  platonico.  Son  due  creature  che  non  possono  amarsi  d'amore,  perchè  troppo  rassomiglianti,  perchè  esciti  dalle  stesse  viscere,  perchè  hanno  ricevuto  il  primo  bacio  dalle  stesse labbra,  perchè hanno  succhiato  dallo  stesso  seno  quel  secondo  sangue  che  è  un  secondo  vincolo  di  parentela.  E  poi  son  cresciuti  insieme,  hanno  respirato  i)er  tanti  anni  l'aria  dello  stesso  nido,  hanno   dormito   tra   le   pareti  della Stessa  casa,  hanno  pregato  sotto  la  vòlta  della  stessa  chiesa,  hanno  pianto  le  tante volte  insieme; hanno  diviso  i  terrori  infantili,  si  sono  inebbriati  insieme  nelle  feste  dell'  infanzia  e  insieme  hanno  subito  le  procelle  dell'adolescenza  e  della  prima  giovinezza.  Come  e  perchè  non  si  amerebbero  quelle  due  creature,  che  vedono  a  vicenda  rispecchiata tanta parte di  sé  stesso  nel  cuore  e  nel  pensiero  dell'altra? La  comunanza  delle  memorie  è  parentela  del  cuori  e  ad  essa  basta  un  cenno,  un  sorriso,  una  parola  per  rifare  quei  viaggi poetici e affascinanti nel  tempo  che  fu.  Quei  due  forse  hanno  già  passata  più  che mezza  la  vita  insieme,  fors'anche  hanno  insieme  composto  nella  fossa  il  loro  babbo  e  la  loro  mamma,  e  in  un  certo  giorno  dell'anno,  anche  lontani  e  senz'essersi  chiamati, si trovano insieme  sopra  una  stessa  tomba.  E  come  e  perchè  quelle  due  creature  non  si  ame-  rebbero; non  si  amerebbero  molto;  non  si  amerebbero sempre?   La  nostra  sorella  slam  noi  stessi  incarnati  in  un  sesso  diverso  e  quando  in  essa  noi  vediamo  riprodotti i nostri lineamenti,  rifatti  gli  stessi  gesti,  riprodotti  gli  stessi  gusti,  le  stesse antipatie;  sor-ridiamo di  compiacenza,  esclamando:  s'io  fossi  una  donna,  sarei  lei!   E  la  nostra  sorella  non  solo  ci  rassomiglia  nel volto,  nei  gesti,  ma  desidera  le  stesse  cose, sorride degli stessi scherzi,  ha  come  noi  qnelle  stesse  debolezze,  delle  quali  dobbiamo  spesso arrossire.  E  si  ride  insieme,  e  si  arrossisce  insieme,  dicendoci nell'orecchio  :  Anche  tuf  —  8Ì  anch^io!   E  la  nostra  sorellina  (che  sorellina  è  sempre  ogni  sorella,  quando  è  molto  amata),  e  la  nostra  sorellina rassomiglia tanto alla  nostra  mamma,  che  la  si  direbbe  la  mamma  ringiovanita.  Essa  ha  per  noi  tenerezze  materne,  indulgenze  materne;  essa  ci  può  abbracciare  e  baciare,  benché  essa  sia  una  donna.  Quanto  è  indulgente  e  buona!  —  Con  lei  possiamo  sfogare  le  nostre  bizze,  confessare  i  nostri rancori; con lei  possiamo  dividere  tutte  le  amarezze  dell'  orgoglio  offeso,  dell'  ambizione  delusa ,  delle  speranze  svanite.  Essa  non  e'  invidia ma ci ama. Essa non riderà di noi, né ci vorr.Y consolare coll’accusarci fattori della nostra sventura. Essa è donna e con noi quasi madre; nessuna osservazione, nessun rimprovero prima di averci medicati e guariti. Nessuna domanda importuna o impertinente prima di averci fasciata la ferita. Possiamo essere più vecchi di lei; essa ci tratterà sempre come bambini, sarà capace perfino di  prenderci fra le sue  braccia  e  di  farci  la  ninna  nanna.   E  la  sorella  si  getta  fra  le  braccia  del  fratello.  come  non  può  fare  colle  braccia  di  nessun  altro  uomo.  Del  marito  ha  suggezione,  del  padre  ha  rispetto;  davanti  al  figlio  vuol  essere  infallibile.  Il  fratello  invece  non  è  né  marito,  né  padre,  né  figlio, ma  un po' di tutto questo. Egli è un uomo e la sorella può appoggiarsi a lui come alla forza che protegge e difende. Egli é un uomo, ma non sarà mai un giudice severo,  perchè anch' egli prima di gridare al peccatore, vorrà guarire il peccato e risanare la ferita. La sorella è sicura che il fratello di lei avrebbe peccato come lei, s'egli si fosse trovato nelle stesse circostanze ed essa è sicura di trovare una grande  indulgenza,  una misericordia grande come quella del Cristo. Ma non occorre peccare per rifugiarsi fra le braccia fraterne del figlio  della  nostra  mamma.  Il  fratello  ha  piti  ingegno  di  noi,  più  di  noi  ha  studiato  e  vissuto.  Egli  ci  darà  la  luce  per  camminare nelle tenebre della vita,  egli  ci  darà  un  braccio  poderoso  per  appoggiarsi,  egli  sarà  la nostra bussola nel  gran  mare  delle  umane  dubbiezze.  E  che  faresti  tu  In  questo  caso  f  Come  esciresii  tu  da  questo   labirinto  f  Dimmi  se   io   ho  fatto   benet  Dimmi  vi  è  ancora  un  rimedio  a  tanto  male  f  „   E  le  domande  si  succedono  le  une  alle  altre,  senza  attender  risposta  e  le  risposte  diventan  altrettante domande; ed è un affollarsi confuso e prorompente di  parole,  di  sorrisi,  di  lagrime:  e  sono  abbracci  che  interrompono  domande  e  risposte  e  sono  baci  che  valgono  più  d'un  volume  di  ragionamenti  e  son  singhiozzi  che  taciono  alla  soavità  d'una carezza e son carezze che vogliono  esser  rimproveri  e  rimangono  invece  carezze  dolcissime  e  sono  due  anime  di  uomo  e  di  donna,  che  possono  vedersi  nudi  l'un  l'altro  senza  arrossire,  perchè  non  hanno  sesso  e  sono  come  Adamo  ed  Eva  prima  che  avessero  bisogno  di  coprirsi  delle  foglie  dell'albero mistico dell'Eden.  n questi casi e in altri consimili  la  commozione  può  giungere  fino  al  rapimento,  e  l'estasi  si afferma con tutti i suoi  caratteri  di  isolamento  dal  mondo  esterno  e  di  concentrazione  di  tutte  le  forze  del  sentimento  e  del  pensiero  in  un  punto  solo  del  mondo  psicologico.  Beati  coloro  che l’hanno  Estasi  liman, provata,  fosse  poi  gioia  che  prendeva  il  posto  d'un  grande  dolore  o  gioia  che  si  faceva  cento  volte maggiore,  perchè  si moltiplicava  colla  igioia  d'  nn'  anima  sorella.   L'amore  fraterno  è  un  sentimento  di  lusso,  tanto  è  vero  che  è  appena  abbozzato  e  fuggevole  negli  animali  e  così  pure  è  debole  nelle  razze  e  nelle  nature  inferiori.  I  sentimenti  di  lusso  sono  i  più  indistinti,  quelli  che  hanno  frontiere  meno sicure,  per  modo che si confondono  facilmente  con  altri  affetti  di  analoga  natura.  L'amore fraterno confina  coir  iimore  platonico  e  coli' amicizia,  e  tanto  è  vero  che  spesso  udiamo  escire  dalle  labbra  commosse  di  due  amici,  che  non  pensan  punto  a  far  della  psicologia,  questi  gridi  dell'anima:   Io  il  amo  più  che  un Fratello. Tu mi sei  più  fraUllo  che  amico. La  nostra  amicizia  è  una  vera  fratellanza  delle  anime. Noi non siamo  amici  ma  frnt4ilU!   E  d' altra  parte  non  di  raro  due  fratelli  escla-  mano alla  lor  volta. Ma  il  nostro  affetto  è  una  santa  amicizia. Ma  anche  senza  i  lincoli  del  sangue  noi  saremmo  due amici. Se mi fosse permesso tentare di  distinguere  il caratt-ere proprio delle estasi dell'amicizia  e  quello  dei  rapimenti  dell'affetto  fraterno,  direi  che  nel  primo  caso  vi  è  una  grande  fratellanza  nell'urna-  nità  che  ci  eleva  al  disopra  del  volgo  e  che  nel  secondo  la  voce  del  sangue  ci  tiene  più  vicini  al  nido  e  quindi  piti  caldi,  più  commossi,  più  inteneriti. Nei rapimenti dell'amicizia  vi  è  più  pensiero, in  quelli  dell'affetto fraterno vi è  più  viscere.Nei primi  la  differenza  di  sesso  turba  l'estasi  o  la  porta  in  altre  regioni,  nei secondi invece questa differenza è quasi sempre necessaria e contribuisce assai ad accendere i cuori, ad affinare, a intenerire, a commuovere gli animi che salgono  insieme in  quest'Olimpo del sentimento. Descrivere  tutte  le  possibili  estasi  umane  s.irebbe  dar  fondo  all'universo  psicologico  e  nessuna  forza  d'uomo  vi  basterebbe. Io mi accontenterli accennare ad alcuni rapimenti dell'affetto fratemo:  altrettanti  quadri  presi  dal  vero  e che potrebbero ispirare il poeta, il pittore, lo scultore.Due fratelli vivono in paesi lontani Uun dall'altro e vengono a conoscere per via indiretta, che il babbo si trova in grave imbarazzo di afifari commerciali. Accorrono non chiamati, si incontrano sulla soglia della casa paterna. Si sorprendono, si  interrogano. Son  venuti  per  la  stessa  ragione  chiamati  dalla  stessa  voce  interiore.  Hanno pensato la stessa cosa, lo stesso piano, gli stessi progetti per salvare l'onore del padre. Lo possono fare e lo faranno. Esaltati, commossi, si gettan nelle braccia l'un dell'altro e godono un soavissimo rapimento dell'anima. Due fratelli che lavorano insieme, hanno pensato uno stesso libro, senza scambiarsi una sola parola. Venuti a comunicarsi a vicenda i loro progetti, si trova che essi si incontrano e si combaciano.Lo stupore diventa ammirazione, l’ammirazione contentezza, beatitudine. Essi si abbraccino, si inebbriano della gioia di aver fusi due pensieri in un solo pensiero. I fratelli De Goncourt devono aver provato più volte quest'estasi deliziosa. Due sorelle hanno perduto runico fratello, vedovoe  padre  di  numerosa  famiglia.  Sul cadavere del  caro  perduto  suggellano un bacio in due,  che  è  conclusione  d'un  giuramento fatto  in silenzio, nello stesso momento. Esse non prenderanno marito,esse daranno tutto il loro tempo, il loro dinaroai nipotini che fanno loro figlinoli, che si stringono al seno in uno slancio di carità generosa. Quelle due anime beate di aver pensato in uno stesso istante la stessa cosa si abbracciano,  si stringon forte forte  cuore  contro  cuore; confondono lagrime, singhiozzi, sorrisi e godono una delle estasii fraterne più complesse e più alte che possa godere anima umana. Una donna è tradita, tradita nel santuario della famiglia, precipitando nella disperazione dall'alto d'ana felicità senza nubi.Tutto si oscura, l’aria diviengelo, la terra spine, il cielo un'uragano. Essa ha un fratello, le scrive una parola sola: Vieni e mi salva! Ma il fratello  ha saputo la sventura piombata sul capo della sorella, prima ancora che la lettera fosse scritta. Suona un campanello, si apre un uscio, vi si precipita un uomo. La sorella lo guarda, non sa piangere e non può ridere. Gli porge la lettera ancora umida dall'inchiostro ed egli legge quelle quattro parole e neppur lui può ridere o piangere o parlare. Perchè quei due fortunati non cadrebbero in estasi in quel momento? Due naufraghi iV una fiera procella della vita son rimasti soli nel mondo. La donna in un mese ha perduto tuttii figliuoli uccisi dalla difterite, ruomo era solo ed è divenuto cieco. Quei due non  hanno più né padre, né  madre, né zii, né cugini, ma essi son fratello e sorella. Questi hanno attraversato continenti e mari e si sono abbracciatiper non separarsi più mai. Perché non cadrebberoessi in estasi? L'estasi è sempre uno stato eccezionale, passeggero,e la più partedegli uomini non l'hanno mai provato.Taluni piìl rozzi e incolti durano fatica anche a immaginarselo. La sua bella etimologia greca f x-a radice, lo star fuori, esprime mirabilmente questo concetto. La parola di estasi è dunque greca, e i greci pia poeti dei latini, dovettero conoscere meglio di questi uno stato di trascendente idealità. I romani, gente positiva, patica, popolo d'azione, non conobbero Vestasi, ma l'indicarono con perifrasi diverse : mentis excessu, animi abalienatio. Tommaso Campailla. Keywords: oposcolo, ecstasi, estasi, animis abalienation, mentis excessus. discorso disordinato, discorso ordinato, discorso umano, uomo, vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campailla” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice e Campanella: l’implicatura conversazionale del katùndi dialit -- utopia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Stilo). Filosofo italiano. Grice: “One has to take Campanella seriously; admittedly, an Oxonian will focus on More, but Campanella is closer to Plato! I especially like that the walls of the city of “Sol” – it’s a proper name for the prince, not the sun! – have all the semiotic elements of the semiotic systems by which the ‘solari’ communicate – Campanella designs a very Griceian model based on ‘efficiency’ and LOVE! There’s ibenevolence everywhere – indeed, it is Campanella’s Sol’s City that I was thinking when inventing the principle of conversational benevolence to be spoken in the City of Eternal Truth!” -- one of the most important of the Italian philosophers.  H. P. Grice enjoyed his philosophical poems. Tommaso Campanella, al secolo chiamato Giovan Domenico C., noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla (Stilo), filosofo, teologo, poeta e frate domenicano italiano. Giovan Domenico Campanella nacque a Stilo, un piccolo borgo della Calabria Ulteriore, al tempo parte del Regno di Napoli (attualmente in provincia di Reggio Calabria) come egli stesso più volte afferma nei suoi scritti e come dichiarò il 23 novembre del 1599 nel carcere di Castel Nuovo a Napoli, al giudice Antonio Peri: «son di una terra chiamata Stilo in Calabria Ultra, mio padre si domanda Geronimo C. e mia madre Caterina Basile». Fino al 1806 si conservava anche l'atto di battesimo nella parrocchia di San Biagio, borgo di Stilo, così redatto: «Battezzato Giovan Domenico C. figlio di Geronimo e Catarinella Martello, nato il giorno da me D. Terentio Romano, parroco di S. Biaggio nel Borgo». Il padre era un ciabattino povero e analfabeta che non poteva permettersi di mandare i figli a scuola e Giovan Domenico ascoltava dalla finestra le lezioni del maestro del paese, segno precoce di quella voglia di conoscenza che non l'abbandonò per tutta la vita.  La famiglia si trasferì nella vicina Stignano e il padre pensò di mandare il figlio presso un fratello, a Napoli, perché vi studiasse diritto, ma il giovane Campanella, per il desiderio di seguire corsi regolari di studi e abbandonare un destino di miseria, più che per una reale vocazione religiosa, decise di entrare nell'Ordine domenicano. Novizio nel convento della vicina Placanica, vi fece i primi studi e pronunciò i voti a quindici anni nel convento di San Giorgio Morgeto, assumendo il nome di Tommaso (in onore di san Tommaso d'Aquino), continuando gli studi superiori a Nicastro e poi, a vent'anni, a Cosenza, dove affrontò lo studio della teologia.  L'istruzione ricevuta dai domenicani non lo soddisfaceva e non gli era sufficiente: «essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato, esaminai tutti i commentatori d'Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le cose ch'essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano rispondere alle miei obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso l'originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di falso».  Fu in particolare il De rerum natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio una rivelazione e una liberazione insieme: scoprì che non esisteva soltanto la filosofia scolastica e che la natura poteva essere osservata per quello che è, e poteva e doveva essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall'uomo, con i sensi e con la ragione, prima osservando e poi ragionando, senza schemi precostituiti e senza mandare a memoria quanto altri credevano di aver già scoperto e di conoscere su di essa. Era il 1588 e Telesio, che da anni era tornato a vivere nella nativa Cosenza, vi moriva ottantenne proprio in quei giorni. Il neofita frate entusiasta non poté sottrarsi a deporre sulla bara, nel duomo, versi latini di ringraziamento devoto. Quelle che dai suoi superiori furono considerate intemperanze gli costarono il trasferimento nel piccolo convento di Altomonte, dove tuttavia il C. non rimase inattivo: la segnalazione di alcuni amici, che gli mostrarono il libro di un certo Jacopo Antonio Marta, napoletano, scritto contro l'amato Telesio, lo spinse a replicare e concluse quella che è la sua prima opera, la Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli due anni dopo.  In essa C. ribadì la sua adesione al naturalismo di Telesio, inquadrato però in una cornice neoplatonica, di derivazione ficiniana, per la quale le leggi della natura non mantengono più la loro autonomia, come in Telesio, ma sono spiegate dall'azione creatrice di Dio, dal quale deriva anche l'ordine provvidenziale che governa l'universo: «chi regola la natura è quel glorioso Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non reprimere le forze della natura, nella quale tuttavia agisce con misura».  C. non poteva rimanere a lungo ad Altomonte: abbandona il convento calabrese e se ne andò a Napoli, ospite dei marchesi del Tufo. Nella capitale del viceregno, pur non abbandonando l'abito di frate, fu tutto inteso ad approfondire i suoi interessi neoplatonici e scientifici, che allora erano connessi strettamente con gli studi alchemici e magici: «scrissi due opere, l'una del senso, l'altra della investigazione delle cose. A scrivere il libro De sensu rerum mi spinse una disputa avuta prima in pubblico, poi in privato con Porta, lo stesso che scrisse la Fisiognomica, il quale sosteneva che della simpatia e dell'antipatia non si può rendere ragione; disputa con lui avuta appunto quando esaminavamo insieme il suo libro già stampato. Scrissi poi il De investigatione rerum, perché mi pareva che i peripatetici ed i platonici portassero i giovani per una via larga ma non diritta alla ricerca della verità». Il De sensu rerum et magia, iniziato a scrivere in latino, fu completato e dedicato al granduca di Toscana Ferdinando I de' Medici; sequestratogli il manoscritto a Bologna dal Sant'Uffizio, fu riscritto in italiano, tradotto in latino  e pubblicato finalmente a Francoforte. C. vi persegue una sintesi di naturalismo telesiano e di platonismo: a Democrito e ai materialisti rimprovera di voler far derivare l'ordine del mondo all'azione degli atomi, che non hanno sensibilità, e agli aristotelici la mancata iniziativa di Dio nella costituzione della natura. D'altra parte egli non intende nemmeno sacrificare l'autonomia delle forze che agiscono nella natura, pur se la spiegazione ultima delle cose va ricercata nella primitiva azione divina.  Secondo C., i tre principi, materia, caldo e freddo, di cui è composta la natura, sono frutto della creazione divina: «Dio prima fece lo spazio, composto pure di Potenza, Sapienza e Amore e dentro a quello pose la materia, che è la mole corporea. Nella materia poi Dio seminò due principi maschi, cioè attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo spazio sono femmine, principi passivi. E questi maschi, da codesta materia divisa, combattendo, formano due elementi, cielo e terra, che combattendo tra loro, dalla loro virtù fatta languida nascono i secondi enti, avendo per guida della generazione le tre influenze, la Necessità, il Fato e l'Armonia, che portano l'Idea».  Le tre primalità (primalitates)che corrispondono alle tre nature divinecostituiscono il triplice carattere di ogni essere: Dio «ha dato a tutte le cose potenza di vivere, sapienza e amore quanto basti alla loro conservazione. Dunque il calore può, sente e ama essere, e così ogni cosa, e desidera eternarsi come Dio e attraverso Dio nessuna cosa muore ma si muta soltanto, anche se ogni cosa pare morta all'altra e in verità è morta, così come il fuoco pare cattivo al freddo ed è veramente cattivo per lui, ma per Dio ogni cosa è viva e buona». Se si considera ogni cosa nel tutto ci si rende conto che nulla muore veramente: «muore il pane e si fa chilo, questo muore e si fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e patisce varie morti e vite, dolori e piaceri».  Dalla Potenza le cose sono solo perché possono essere e hanno una determinata natura; Dio attraverso questa potenza dona la Necessità alle cose, la Sapienza permette alle cose di conoscere il Fato, ossia il saper vedere la successione di causa-effetto nei processi naturali e infine l'Amore permette l'Armonia fra gli esseri, perché questi amano essere così e non diversamente: «tutti gli enti si compongono di Potenza, Sapienza e Amore e ognuno è perché può essere, sa essere e ama essere, combatte contro il non essere e, quando gli manca il potere o il sapere o l'amore dell'essere, muore e si trasmuta in chi ne ha di più».  Tutte le cose hanno sensibilità: «Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché non hanno occhi, né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta in campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all'aquila perché non ha occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia certo corpo e occhi e mani».  Inoltre C. ci parla anche delle primalità del non-essere, presenti inevitabilmente nel mondo finito, che sono l’Impotenza, l’Insipienza e l’Odio: solo in Dio, che è infinito, le primalità dell'essere non sono contrastate dalle primalità del non-essere. A queste tre primalità si contrappongono le potenze negative, che possono variamente combinarsi alle primalità nell'ambito delle varie forme della magia, che è l'insieme delle regole che vanno osservate per intervenire nella natura. Il mago è il sapiente che scopre le relazioni esistenti tra le cose: «beato chi legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non dal proprio capriccio, e impara così l'arte e il governo divino, facendosi di conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio».  La magia si manifesta attraverso le sensazioni, che possono essere negative o positive: sensazioni che l'uomo coglie, e che gli fanno capire di essere parte integrante di un ordine universale; tuttavia, nonostante sia parte di questo ordine, può opporsi a tale ordine, e se si oppone all'ordine universale la magia è negativa, se invece si armonizza, ovvero cerca di seguire l'ordine universale, allora la magia è positiva.  La pubblicazione della Philosophia sensibus demonstrata provocò scandalo nel convento di San Domenico: un domenicano che non frequenta il convento e che rifiuta Aristotele e San Tommaso per Telesio non può essere un buon cattolico. Anche se nessuna affermazione eretica è contenuta nel libro, C. fu arrestato dalle guardie del nunzio apostolico con l'accusa di pratiche demoniache. Non si conoscono gli atti del processo ma è conservato il testo della sentenza, emessa in San Domenico, contro «frater C. de Stilo provinciae Calabriae» dal padre provinciale di Napoli, fra Erasmo Tizzano e da altri giudici domenicani. L'accusa di praticare con il demonio e di aver pronunciato una frase irriverente contro l'uso delle scomuniche vengono a cadere, ma resta quella di essere un telesiano, di non tener conto dell'ortodossia filosofica d’AQUINO (si veda) e di essere stato per mesi «in domibus saecolarium extra religionem»: dopo quasi un anno di carcere già scontato, è allora sufficiente che reciti dei salmi e torni, entro otto giorni, nel suo convento di Altomonte.  C. si guardò bene dall'ubbidire all'ordine del tribunale, che lo avrebbe costretto a rinunciare, a soli 24 anni, a un mondo di cultura nel quale egli era convinto di poter offrire un contributo fondamentale. Così, munito di una lusinghiera lettera di presentazione al granduca di Toscana, rilasciatagli dall'amico ed estimatore, il padre provinciale di Calabria fra Polistena,  C. partì da Napoli alla volta di Firenze, con il suo carico di libri e manoscritti, contando su di un posto di insegnante a Pisa o a Siena.  La prudente diffidenza di Ferdinando I, che non mancò di chiedere informazioni sul suo conto al cardinale Del Monte, ottenendo una risposta negativa, spinse il 16 ottobre Campanella a lasciare Firenze per Bologna, dove l'Inquisizione, che lo sorvegliava, per mezzo di due falsi frati gli rubò gli scritti che si portava appresso, per poterli esaminare in cerca di prove a suo danno. Ai primi del 1593 Campanella fu a Padova, ospite del convento di Sant'Agostino. Qui, tre giorni dopo il suo arrivo, il Padre generale del convento venne nottetempo sodomizzato da alcuni frati, senza che egli potesse identificarli, e perciò, fra i tanti sospettati del grave abuso, anche il C. fu messo sotto inchiesta. Non si sa se dall'inchiesta si passò a un processo che abbia visto imputato, tra gli altri frati, anche C.: in ogni caso egli ne uscì innocente.  Rimase a Padova, probabilmente con la speranza di trovarvi lavoro; vi incontrò Galileo e conobbe il medico e filosofo veneziano Andrea Chiocco. Ma il Sant'Uffizio lo teneva ormai sotto osservazione: fu nuovamente arrestato. Fu accusato di:  aver scritto l'opuscolo De tribus impostoribusMosè, Gesù e Maomettodiretto contro le tre religioni monoteiste, un libro della cui esistenza allora si favoleggiava, ma che nessuno aveva mai letto; sostenere le opinioni atee di Democrito, evidentemente un'accusa tratta dall'esame del suo scritto De sensu rerum et magia, rubatogli a Bologna; essere oppositore della dottrina e dell'istituzione della Chiesa; essere eretico; aver disputato su questioni di fede con un giudaizzante, forse condividendone le tesi, e di non averlo comunque denunciato; aver scritto un sonetto contro Cristo, il cui autore sarebbe stato però, secondo Campanella, Pietro Aretino; possedere un libro di geomanzia, che in effetti gli fu sequestrato al momento dell'arresto. A Padova, in un primo tempo gli furono contestate solo le ultime tre accuse: per estorcere le confessioni, Campanella e due imputati presunti «giudaizzanti», Ottavio Longo, originario di Barletta, e Giovanni Battista Clario, di Udine, medico dell'arciduca Carlo d'Asburgo, furono sottoposti a tortura. Nel frattempo, dall'esame del suo De sensu rerum, fatto a Roma, dovettero trarsi nuove imputazioni, che richiesero lo spostamento del processo da Padova a Roma, dove infatti Campanella fu condotto e rinchiuso nel carcere dell'Inquisizione, Per difendersi dalle nuove accuse di essere oppositore della Chiesa, Campanella scrisse già nel carcere padovano un De monarchia Christianorum, perduto, e il De regimine ecclesiae, ai quali fece seguito, nel 1595, per contestare l'accusa di intelligenza con i protestanti, il Dialogum contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi e, a difesa dell'ortodossia di Telesio e dei suoi seguaci, la Defensio Telesianorum ad Sanctum Officium. La tortura cui fu sottoposto nell'aprile del 1595 segnò la pratica conclusione del processo: il 16 maggio C. abiurava nella chiesa di Santa Maria sopra Minerva e veniva confinato nel convento domenicano di Santa Sabina, sul colle Aventino. Le disavventure giudiziarie di Campanella non finirono però qui. Il 31 dicembre 1596 era stato liberato dal confino di Santa Sabina e assegnato al convento di Santa Maria sopra Minerva; intanto, a Napoli, un concittadino di C., condannato a morte per reati comuni, Scipione Prestinace, prima di essere giustiziato, forse per ritardare l'esecuzione, denunciava diversi suoi conterranei e il Campanella in particolare, accusandolo di essere eretico: così, il 5 marzo, Campanella fu nuovamente arrestato.[25]  Non si conoscono i precisi contenuti della deposizione del Prestinace né i dettagli del nuovo processo, che si concluse: nella sentenza, Campanella fu assolto dalle imputazioni e, diffidato dallo scrivere, liberato «sub cautione iuratoria de se representando toties quoties», finché, consegnato ai suoi superiori, questi lo confinino in qualche convento «senza pericolo e scandalo».  In tutto questo periodo di tempo, il Campanella non era certamente rimasto inoperoso nemmeno sotto l'aspetto della produzione speculativa e letteraria: oltre agli scritti difensivi del De monarchia, del Dialogo contro i Luterani e del De regimine, e ai Discorsi ai prìncipi d'Italia, che è un tentativo di captatio benevolentiae all'indirizzo della Spagna, giustificato dalla difficile situazione giudiziaria, scrisse l'Epilogo magno, destinato a essere integrato nella successiva Philosophia realis, con il Prodromus philosophiae instaurandae, l'Arte metrica, dedicata al compagno di sventura Clario, la Poetica, dedicata al cardinale Cinzio Aldobrandini, e i perduti Consultazione della repubblica Veneta, Syntagma de rei equestris praestantia, De modo sciendi e Physiologia.  Ai primi del 1598 Campanella prese la via di Napoli, dove si fermò diversi mesi, dando lezioni di geografia, scrivendo le perdute Cosmographia e Encyclopaedia facilis e terminando l'Epilogo Magno. In luglio s'imbarcò per la Calabria: sbarcato a Piana di Sant'Eufemia, raggiunse Nicastro e di qui, il 15 agosto, Stilo, ospite del convento domenicano di Santa Maria di Gesù.  Per poco tempo il Campanella rimase tranquillo in convento, dove scrisse il piccolo trattato De predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale affermò la dottrina cattolica del libero arbitrio. In un abbozzo dei suoi Articuli prophetales, appare già l'attesa del nuovo secolo che gli sembra annunciato da fenomeni straordinari: inondazioni del Po e del Tevere, allagamenti e terremoti in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e coincidenze astrologiche. Un nuovo mondo sembra alle porte, a sostituire il vecchio che in Calabria, ma non solo, vedeva «i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze d'ogni specie la Santa Sede sanciva i soprusi e proteggeva i prepotenti. Il clero minore, corrottissimo nei costumi, abusava ogni giorno più delle immunità ecclesiastiche, e profanava in ogni modo il suo ufficio. Fazioni avverse contendevano talvolta aspramente tra loro, e non poche lotte erano coronate da omicidi e delitti d'ogni specie. Gruppi di frati si davano alla campagna, e, forniti di comitive armate, agivano come banditi, senza che il governo riuscisse a colpirli. I nobili e le famiglie private, dilaniate da inimicizie ereditarie, tenevano agitato il paese con combattimenti incessanti tra fazioni l'estrema severità delle leggi, che comminavano la pena di morte per moltissimi delitti anche minimi la frequenza delle liti e delle contese, aumentavano in maniera preoccupante il numero dei banditi». In tale situazione di degrado e nell'illusione di un rivolgimento già scritto nelle stelle, Campanella progettò, senza preoccuparsi di valutare realisticamente le possibilità di realizzazione, la costituzione in Calabria di una repubblica ideale, comunistica e insieme teocratica. Era necessario per questo cacciare gli Spagnoli, ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi: cominciò a predicare dai primi mesi del 1599 l'imminente ed epocale rivolgimento, intessendo nell'estate una fitta trama di contatti con le poche decine di congiurati che aderirono a quella fantastica impresa. Le autorità ebbero ben presto sentore del tentativo di insurrezione e in agosto truppe spagnole intervennero a rafforzare i presidi. Il 17 agosto Campanella fuggì dal convento di Stilo, nascondendosi prima a Stignano, poi nel convento di Santa Maria di Titi; infine, nascosto in casa di un amico, progettò di imbarcarsi da Roccella, ma venne tradito e consegnato il 6 settembre agli spagnoli. Incarcerato a Castelvetere, il 10 settembre firmò una confessione nella quale faceva i nomi dei principali congiurati, negando ogni sua partecipazione all'impresa. Ma le testimonianze dei suoi complici erano concordi nell'indicarlo come capo della cospirazione.  Trasferito a Napoli insieme ai suoi compagni di avventura, Campanella fu rinchiuso in Castel Nuovo. Avvenne il riconoscimento formale dell'accusato, descritto come «giovane con barba nera, vestito di abiti civili, con cappello nero, casacca nera, calzoni di cuoio e mantello di lana». Il Santo Uffizio non ottenne dall'autorità spagnola che i religiosi imputatiCampanella e altri sette frati domenicanifossero trasferiti a Roma e papa Clemente VIII, l'11 gennaio 1600, nominò il nunzio a Napoli, Jacopo Aldobrandini e don Pedro de Vera, che fu fatto ecclesiastico per l'occasione, giudici nel processo che si sarebbe tenuto a Napoli. Ad essi venne aggiunto il 19 aprile il domenicano Alberto Tragagliolo, vescovo di Termoli, già consultore nel primo processo, scelto dal papa per trattare in modo favorevole Campanella, poiché Clemente VIII era, anche se prudentemente, antispagnolo.  C. era passato sotto la giurisdizione del Sant'Uffizio, che nessun tribunale statale poteva violare, nemmeno nei casi di lesa maestà. Ciò permise di ritardare la prevedibile condanna a morte del frate. Durante il processo presieduto dal vescovo Benedetto Mandina, Campanella, sotto tortura, riconobbe le proprie eresie e, in quanto relapso, diventò passibile della pena capitale. La sua strategia di difesa, disperata e rischiosissima, fu quella di fingersi pazzo, poiché un eretico insano di mente non poteva essere messo a morte dal Sant'Uffizio.  I giudici, dubbiosi, lo sottoposero il 18 luglio, per un'ora, al supplizio della corda per fargli confessare la simulazione, ma egli resistette, rispondendo alle domande cantando o dicendo cose senza senso. L'accettazione da parte dei giudici della pazzia avvenne il 4 e 5 giugno 1601, durante una terribile seduta di tortura denominata "la veglia", che consistette in 40 ore di corda alternata al cavalletto, con tre brevi interruzioni. La resistenza morale e fisica di Campanella gli permise di superare la prova, anche se rimase poi tra la vita e la morte per sei mesi.   Frontespizio della Metaphysica Trascorse 27 anni in prigione a Napoli. Durante la prigionia scrisse le sue opere più importanti: La Monarchia di Spagna (1600), Aforismi Politici (1601), Atheismus triumphatus, Quod reminiscetur, Metaphysica, Theologia, e la sua opera più famosa, La città del Sole, in cui vagheggiava l'instaurazione di una felice e pacifica repubblica universale retta su principi di giustizia naturale. Egli addirittura intervenne sul cosiddetto “primo processo a Galileo Galilei” con la sua coraggiosa Apologia di Galileo (scritta nele pubblicata nel 1622).  Fu infine scarcerato nel 1626, grazie a Maffeo Barberini, arcivescovo di Nazareth a Barletta, poi papa col nome di Urbano VIII, che personalmente intercedette presso Filippo IV di Spagna. Campanella fu portato a Roma e tenuto per qualche tempo presso il Sant'Uffizio; fu liberato definitivamente. Visse per V anni a Roma, dove e il consigliere di Urbano VIII per le questioni astrologiche, avendo con successo, secondo il Papa, impedito il verificarsi di profezie che preannunciavano la sua morte imminente in occasione di due eclissi.  Però, una nuova cospirazione in Calabria, portata avanti da uno dei suoi seguaci, gli procurò nuovi problemi. Con l'aiuto del cardinale Barberini e dell'ambasciatore francese de Noailles, fuggì in Francia, dove e benevolmente ricevuto alla corte di Luigi XIII. Protetto da Richelieu e finanziato dal re, vive al convento parigino di Saint-Honoré. Il suo saggio e un poema che celebrava la nascita del futuro Luigi XIV (Ecloga in portentosam Delphini nativitatem).  Gli è stato dedicato un asteroide, 4653 Tommaso.  Il pensiero di C. prende le mosse, in età giovanile, dalle conclusioni cui era giunto Bernardino Telesio; egli si riallaccia quindi al naturalismo telesiano, sostenendo che la natura vada conosciuta nei suoi propri principi, che sono tre: caldo, freddo e materia. Essendo tutti gli esseri formati da questi tre elementi, allora gli esseri della natura sono tutti dotati di sensibilità, in quanto la struttura della natura è comune a tutti gli enti; quindi mentre Telesio aveva affermato che anche i sassi possono conoscere, Campanella porta all'esasperazione questo naturalismo, e sostiene che anche i sassi conoscono, perché nei sassi noi ritroviamo questi tre principi, ovvero caldo, freddo e massa corporea (materia).  Il problema della conoscenza (e la rivalutazione dell'uomo) Il naturalismo di Campanella, in conseguenza di ciò, comporta una teoria della conoscenza essenzialmente sensistica: egli sosteneva infatti che tutta la conoscenza è possibile solo grazie all'azione diretta o indiretta dei sensi, e che Colombo aveva potuto scoprire l'America perché si era rifatto alla sensazione, non di certo alla razionalità. La razionalità deriva dalla sensazione: non esiste una conoscenza razionale intellettiva che non derivi da quella sensitiva. Tuttavia C., a differenza di Telesio, cerca di rivalutare l'uomo e pertanto afferma l'esistenza di due tipi di conoscenze: una innata, una sorta di coscienza interiore, e una conoscenza esteriore, che si avvale dei sensi. La prima è definita ‘sensus inditus', che è la conoscenza di sé, la seconda ‘sensus additus' che è la conoscenza del mondo esterno. La conoscenza del mondo esterno appartiene a tutti, anche agli animali; la conoscenza di sé, invece, appartiene solo all'uomo, ed è la coscienza di essere un essere pensante. Campanella si rifà ad Agostino d'Ippona, poiché afferma che noi possiamo dubitare della conoscenza del mondo esterno, mentre non possiamo dubitare della conoscenza di sé. Questo ‘sensus inditus' sarà poi il punto essenziale della filosofia cartesiana, che si basa sul ‘cogito': io penso quindi esisto (cogito ergo sum).  La religione e la politica In base a queste premesse, Campanella si sofferma sulla religione che egli distingue in due tipologie: una religione naturale e religioni positive. La religione naturale è una religione che rispetta l'ordine universale dell'universo stesso; le religioni positive sono invece religioni che vengono imposte dallo stato. Campanella afferma però che il cristianesimo è l'unica religione positiva, poiché è imposto dallo stato, ma al contempo coincide con l'ordine naturale (cui però aggiunge il valore della rivelazione). Tuttavia anche questa teoria della religione razionale contrastava con i dogmi della Chiesa della Controriforma. Egli sostenne, del resto, la superiorità del potere temporale su quello spirituale, individuando poi il potere supremo, di volta in volta, nella Spagna e poi nella Francia, a seconda di convenienze politiche e personali.  La città del Sole Magnifying glass icon mgx2.svg La città del Sole.  Civitas Solis Campanella fu autore anche di un'importante opera di carattere utopico, ovvero La città del Sole. Nella Città del Sole egli descrive una città ideale, utopica, governata dal Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole, un dio laico proprio di una religione naturale, di cui C. stesso è sostenitore, pur presupponendo razionalmente che coincida con la religione cristiana. Questo re-sacerdote si avvale di tre assistenti, rappresentanti le tre primalità su cui si incentra la metafisica campanelliana: Potenza, Sapienza e Amore. In questa città vige la comunione dei beni e la comunione delle donne. Nel delineare la sua concezione collettivista della società, Campanella si rifà a Platone (V secolo a.C.) e all'Utopia di Moro. Fra gli antecedenti dell'utopismo campanelliano è da annoverare anche La nuova Atlantide di Francesco Bacone. L'utopismo partiva dal presupposto che, poiché non si poteva realizzare un modello di Stato che rispecchiasse la giustizia e l'uguaglianza, allora questo Stato si ipotizzava, come aveva fatto a suo tempo Platone. È però importante sottolineare che, mentre Campanella tratta una realtà utopistica, Niccolò Machiavelli rappresenta la realtà concretamente, e la sua concezione dello Stato non è affatto utopistica, ma assume una valenza di metodo di governo, finalizzato ad ottenere e mantenere stabilmente il potere.  Interpretazioni storiografiche del pensiero politico L'incertezza è già evidente nell'interpretazione della critica idealistica, che, nei limiti di una conoscenza ancora incompleta dell'opera, coglie nel pensiero campanelliano un deciso orientamento in direzione del moderno immanentismo, contaminato tuttavia da residui del passato e della tradizione cristiana e medioevale.  Per Silvio Spaventa, Campanella è il "filosofo della restaurazione cattolica", in quanto la stessa proposizione che la ragione domina il mondo, è inficiata dalla convinzione che essa risieda unicamente nel papato. Non molto dissimile la lettura di Francesco de Sanctis: "Il quadro è vecchio, ma lo spirito è nuovo. Perché Campanella è un riformatore, vuole il papa sovrano, ma vuole che il sovrano sia ragione non solo di nome ma di fatto, perché la ragione governa il mondo". È la ragione che determina e giustifica i mutamenti politici, e questi ultimi "sono vani se non hanno per base l'istruzione e la felicità delle classi più numerose". Tutto ciò conduce Campanella, secondo il pensiero idealista, alla concezione di un moderno immanentismo. Opere Aforismi politici, A. Cesaro, Guida, Napoli An monarchia Hispanorum sit in augmento, vel in statu, vel in decremento, L. Amabile, Morano, Napoli Antiveneti, L. Firpo, Olschki, Firenze; Apologeticum ad Bellarminum, G. Ernst, in «Rivista di storia della filosofia», Apologeticus ad libellum ‘De siderali fato vitando’, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Apologeticus in controversia de concepitone beatae Virginis, A. Langella, L'Epos, Palermo 2004 Apologia pro Galileo, Michel-Pierre Lerner. Pisa, Scuola Normale Superiore, Apologia pro Scholis Piis, L. Volpicelli, Giuntine-Sansoni, Firenze 1960 Articoli prophetales, G. Ernst, La Nuova Italia, Firenze; Astrologicorum libri VII, Francofurti 1630 L'ateismo trionfato, ovvero riconoscimento filosofico della religione universale contra l'antichristianesimo macchiavellesco, G. Ernst, Edizioni della Normale, Pisa; De aulichorum technis, G. Ernst, in «Bruniana e Campanelliana», II, 1996 Avvertimento al re di Francia, al re di Spagna e al sommo pontefice, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Calculus nativitatis domini Philiberti Vernati, L. Firpo, in Atti della R. Accademia delle Scienze di Torino, 74, 1938-1939 Censure sopra il libro del Padre Mostro [Niccolò Riccardi]. Proemio e Tavola delle censure, L. Amabile, Morano, Napoli; Censure sopra il libro del Padre Mostro: «Ragionamenti sopra le litanie di nostra Signora», A. Terminelli, Edizioni Monfortane, Roma 1998 Chiroscopia, G. Ernst, in «Bruniana e Campanelliana», I, 1995 La città del Sole, L. Firpo, Laterza, Roma-Bari Commentaria super poematibus Urbani VIII, codd. Barb. Lat.; Biblioteca Vaticana Compendiolum physiologiae tyronibus recitandum, cod. Barb. Lat. 217, Biblioteca Vaticana Compendium de rerum natura o Prodromus philosophiae instaurandae, FrancofurtiCompendium veritatis catholicae de praedestinatione, L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Consultationes aphoristicae gerendae rei praesentis temporis cum Austriacis ac Italis, L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Defensio libri sui 'De sensu rerum', apud L. Boullanget, Parisiis 1636 Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti e altri eretici, D. Ciampoli, Carabba, Lanciano 1911 Dialogo politico tra un Veneziano, Spagnolo e Francese, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Discorsi ai principi d'Italia, L. Firpo, Chiantore, Torino 1945 Discorsi della libertà e della felice soggezione allo Stato ecclesiastico, L. Firpo, s.e., Torino Discorsi universali del governo ecclesiastico, L. Firpo, POMBA, Torino Disputatio contra murmurantes in bullas ss. Pontificum adversus iudiciarios, apud T. Dubray, Parisiis Disputatio in prologum instauratarum scientiarum, R. Amerio, SEI, Torino 1953 Documenta ad Gallorum nationem, L. Firpo, Olschki, Firenze Epilogo Magno, C. Ottaviano, R. Accademia d'Italia, Roma 1939 Expositio super cap. IX epistulae sancti Pauli ad Romanos, apud T. Dubray, Parisiis 1636 Index commentariorum Fr. T. Campanellae, L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia», II, 1947 Lettere 1595-1638, G. Ernst, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali, Pisa-Roma; Lista dell'opere di C. distinte in tomi nove, L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia», II, 1947 Medicinalium libri VII, ex officina I. Phillehotte, sumptibus I. Caffinet F. Plaignard, Lugduni 1635 Metafisica, Giovanni Di Napoli, (brani scelti del testo latino e traduzione italiana, 3 volumi), Bologna, Zanichelli 1967 Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta propria dogmata. Liber 1ºPonzio, Levante, Bari 1994 Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta propria dogmata. Liber 14º, T. Rinaldi, Levante, Bari 2000 Monarchia Messiae, L. Firpo, Bottega d'Erasmo, Torino 1960 Philosophia rationalis, apud I. Dubray, Parisiis 1638 (comprende Logicorum libri tres) Philosophia realis, ex typographia D. Houssaye, Parisiis 1637 Philosophia sensibus demonstrata, L. De Franco, Vivarium, Napoli 1992 Le poesie, F. Giancotti, Einaudi, Torino; Poetica, L. Firpo, Mondatori, Milano 1954 De praecedentia, presertim religiosorum, M. Miele, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», LII, 1982 De praedestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae cento Thomisticus, apud I. Dubray, Parisiis 1636 Quod reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines terrae, R. Amerio, MILANI, Padova 1939 (L. I-II), Olschki, Firenze; Del senso delle cose e della magia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003 De libris propriis et recta ratione. Studendi syntagma, A. Brissoni, Rubbettino, Soveria Mannelli 1996 Theologia, L. I-XXX, Libro Primo, Edizione Romano Amerio, Vita e Pensiero, Milano, 1936. Scelta di alcune poesie filosoficheChoix de quelques poésies philosophiques, Edizione Marco Albertazzi, Traduzione francese di Franc Ducros, La Finestra editrice, Lavis  Campanella nel cinema La città del sole, regia di Gianni Ameliol A. Casadei, M. Santagati, Manuale di letteratura italiana medievale e moderna, Laterza, Roma-Bari; Firpo, C. «Dizionario biografico degli Italiani», Roma 1974: «Non hanno fondamento le asserzioni ricorrenti, attizzate da un patetico campanilismo, che lo vorrebbero nato nel vicino comune di Stignano». Nel Novecento nacque una disputa campanilistica tra il comune di Stilo e quello di Stignano, che rivendica di aver dato i natali al filosofo calabrese e indica nel proprio territorio la presunta casa natale di Campanella  In Luigi Firpo, I processi di C., Roma; In Opere di Tommaso Campanella, Alessandro d'Ancona, Torino 185412. Un decreto del 16 maggio 1968 ad opera del Ministero della Pubblica Istruzione Caleffi fissa la casa natale di Tommaso Campanella nell'attuale Comune di Stignano, al tempo casale del vastissimo territorio di Stilo, adducendo a prova del fatto l'archivio provinciale di Napoli. La differente indicazione del cognome della madre, Basile e Martello, fa ritenere che quest'ultimo sia un soprannome  Massimo Baldini,Nota biobibliografica, in T. Campanella, La Città del Sole, Newton Compton, Roma; C. Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi, I  Germana Ernst, Tommaso Campanella: The Book and the Body of Nature; Springer Netherlands,.  Gli amici Giovanni Francesco Branca, medico di Castrovillari, e Rogliano da Rogiano, entrambi telesiani, gli segnalarono il libro dell'aristotelico Marta, il Propugnaculum Arìstotelis adversus principia B. Telesii, Roma; Philosophia sensibus demonstrata, impressum Neapoli per Horativm Salvianum 1591  Il libro è andato perduto  T. Campanella, Syntagma de libris propris14  John M. Headley, Tommaso Campanella and the Transformation of the World,  Princeton University Press, 1997.  T. Campanella, De sensu rerum et magia, II, 26  Pubblicata da Vincenzo Spampanato in Vita di Giordano Bruno, Messina; Il cardinale rispose che l'inquisitore fra Vincenzo da Montesanto gli aveva riferito che del Campanella «si rivedono molti libri pieni [...] di leggerezza e vanitade, e [...] ancora non sono chiari se vi sia cosa che appartenghi alla religione»; cfr: lettera del Del Monte a Ferdinando I del 25 settembre 1592 in Archivio di Stato di Firenze, Mediceo, f. 3759  La vicenda di questo sequestro, simulato con il furto, è esaminata da Luigi Firpo, Appunti campanelliani, in «Giornale critico della filosofia italiana», XXI, 1940  Non vi sono documenti relativi a quell'episodio, essendone unica fonte lo stesso Campanella in due sue tarde lettere, a papa Paolo V il 12 aprile 1607 e a Kaspar Schoppe il 1º giugno dello stesso anno, nelle quali Campanella sottolinea la sua innocenza senza entrare in dettagli.  Campanella, lettera a Kaspar Schoppe del 1º giugno 1607: «accusarunt me quod composuerim librum de tribus impostoribus, qui tamen invenitur typis excusis annos triginta ante ortum meum ex utero matri».  Due libri di simile contenuto furono scritti soltanto alla fine del Seicento e ai primi del Settecento.  Campanella, ivi: «quod sentirem cum Democrito, quando ego iam contra Democritum libros edideram».  Ibidem: «quod de ecclesiae republica et doctrina male sentirem».  Ibidem: «quod sim haereticus».  Campanella, lettera al papa del 12 aprile 1607: «Primo ex dicto unius judaizantis molestatus». Il giudaizzante dovrebbe essere un certo Ottavio Longo da Barletta, anch'egli arrestato a Padova e processato a Roma.  Ibidem: «secundo ob rythmum impium Aretini non meum».  «Lecta depositione Scipionis Prestinacis de Stylo, Squillacensis Diocesis, facta in Curia archiepiscopali Neapolitana, Illustrissimi et Reverendissimi Domini Cardinales generales Inquisitionis praefatae mandaverunt dictum fratrem Thomam reduci ad carceres dictae Sanctae Inquisitionis», in L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella88  C. Dentice di Accadia, Tommaso Campanella,  Opere Tommaso Campanella, Apologia pro Galileo, Frankfurt am Main, Gottfried Tampach, 1622. Tommaso Campanella, Metaphysica,  1, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Metaphysica,  2, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Metaphysica,  3, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Poesie, Bari, Laterza; C., Medicinalium libri, Lugduni, ex officina Ioannis Pillehotte: sumptibus Ioannis Caffin, & Francisci Plaignard, 1635. Delle virtù e dei vizi in particolare, testo critico e traduzione Romano Amerio, Ed. Centro internazionale di studi umanistici, Roma, 1978 Studi Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, 3 voll., Morano, Napoli  (ristampa anastatica, Franco Pancallo Editore, Locri 2009). ID., L'andata di Fra Tommaso Campanella a Roma dopo la lunga prigionia di Napoli, Memoria letta all'Accademia Reale di Scienze Morali e Politiche, Tipografia della Regia Università, Napoli 1886 (ristampa anastatica, Franco Pancallo Editore, Locri 2009). ID., Fra Tommaso Campanella ne' castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, 2 voll., Morano, Napoli Giuliano F. Commito, IUXTA PROPRIA PRINCIPIA Libertà e giustizia nell'assolutismo moderno. Tra realismo e utopia, Aracne, Roma; Cunsolo, Tommaso Campanella nella storia e nel pensiero moderno: la sua congiura giudicata dagli storici Pietro Giannone e Carlo Botta, Officina F.lli Passerini e C., Prato 1906. Rodolfo De Mattei, La politica di Campanella, ARE, Roma 1928. ID., Studi campanelliani, Sansoni, Firenze Francisco Elías de Tejada, Napoli spagnola,  IV, cap. II, Tommaso Campanella astrologo e filosofo, Controcorrente, Napoli. Luigi Firpo, Ricerche campanelliane, Sansoni, Firenze 1947. ID., I processi di Tommaso Campanella, Salerno, Roma Antonio Corsano, Tommaso Campanella, Laterza, Bari 1961. Mario Squillace, Vita eroica di Tommaso Campanella, Roma; Pizzarelli, Tommaso Campanella (1568-1639), Nuove Edizioni Barbaro, Delianuova 1981. Donato Sperduto, L'imitazione dell'eterno. Implicazioni etiche della concezione del tempo immagine dell'eternità da Platone a Campanella, Schena, Fasano 1998. Nicola Badaloni, Germana Ernst, Tommaso Campanella, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1999. Silvia Zoppi Garampi, Tommaso Campanella. Il progetto del sapere universale, Vivarium, Napoli 1999. Germana Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari ID., Il carcere, il politico, il profeta. Saggi su Tommaso Campanella, Istituti Editoriali e Poligrafici, Pisa-Roma 2002. Antimo Cesaro, La politica come scienza. Questioni di filosofia giuridica nel pensiero di Tommaso Campanella, Franco Angeli, Milano 2003. Vincenzo Rizzuto, L'avventura di Tommaso campanella tra vecchio e nuovo mondo, Brenner, Cosenza 2004. Arnaldo Di Benedetto, Notizie campanelliane: sul luogo di stampa della «Scelta d'alcune Poesie filosofiche», in Poesia e comportamento. Da Lorenzo il Magnifico a Campanella, Alessandria, Edizioni dell'Orso, 2005 (II edizione),  185–89. Germana Ernst e Caterina Fiorani, Laboratorio Campanella: biografia, contesti, iniziative in corso, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2007. Ylenia Fiorenza, Quel folle d'un saggio, Tommaso Campanella, l'impeto di un filosofo poeta, Napoli, Città del Sole; Gatti, Il gran libro del mondo nella filosofia di Tommaso Campanella, Roma, Gregoriana & Biblical Press,. Sharo Gambino, Vita di Tommaso Campanella, Reggio Calabria, Città del Sole Edizioni, Saverio Ricci, Campanella (Apocalisse e governo universale), Roma, Salerno Editrice,. Luca Addante, Tommaso Campanella. Il filosofo immaginato, interpretato, falsato, Roma-Bari, Laterza,.  Metafisica (Tommaso Campanella) Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a Tommaso Campanella Collabora a Wikiquote Citazionio su Tommaso Campanella Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Tommaso Campanella  Tommaso Campanella, su TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Tommaso Campanella, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Tommaso Campanella, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Tommaso Campanella, su The Encyclopedia of Science Fiction.  Tommaso Campanella, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Opere di Tommaso Campanella, su Liber Liber.  Opere di Tommaso Campanella, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Tommaso Campanella,. Opere di Tommaso Campanella, su Progetto Gutenberg. Audiolibri di C. , su LibriVox.  di Tommaso Campanella, su Internet Speculative Fiction Database, Al von Ruff.   italiana di Tommaso Campanella, su Catalogo Vegetti della letteratura fantastica, Fantascienza.com. Tommaso Campanella, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company.  Archivio Tommaso Campanella, su iliesi.cnr. Le opere di Campanella, su bivio.filosofia.sns. Historiographiae liber unus iuxta propria principia, su imagohistoriae.filosofia.sns. testo tratto da Tutte le opere di Tommaso Campanella, Milano; Germana Ernst, Tommaso Campanella, in Edward N. Zalta, Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Stanford. Filosofia Letteratura  Letteratura Filosofo Teologi italiani Poeti italiani Professore Stilo ParigiDomenicani italiani Letteratura utopica Accademia cosentinaVallata dello Stilaro Ermetisti italianiAforisti italianiItaliani emigrati in Francia. CAMPANELLA STYtL. ORD. PRED. PHILOSOPHI RATIONALIS PARTES V Videlicct: GRAMMATICA DIALECTICA RHETORICA POETICA HISTORIOGRAPHIA iuxta propria principia. S V ORVM OPERVM PARISIIS apud BRAY, via lacobHi, sub Spicis Maturis. iZMtn Pmilfgh Rfgis. ILLVSTRISSIMO y /tAIOyB' EXCELLENTISSIMO D FRANCISCO COMITI DE NOAILLES;  vt nuf uc Ordinis Rcgij £quici Torquato Rhutcnorum ac Supcrioris Anierhias trx^   fcdto, Regi/c]uc Chriftianifliuii, apud Summum Ponuticcm Oiatori. £ TI LLVSTRJSSJM0  C Ji EFERE2SSIMO V. CAR. DENOAILLES. EPISCOPO SANFLORENSI;  intcrioris Consilii Regii McflbrisFia^us. optinui , mci fcxuatorjbus» S. P.   £ natitudinif ita me liht dcmncit, Excellcnci|fimcComc, vr ntm ftaihmeus,  effi Jeieam 4tft€ velim, Et cum tumm era  'JidQtm manitumm tiK ucQM€nfar€ necmejun uekm; hocmihireJldt (ptod pofpmt Muft yVtnuUis temporibus teflimonium Vmutumac meritorum tuorum tdceatur-i  fmllaque obliuione dcleantur, Libertatem, honorem, vi-  Mm tibideheo Cum enim jynagd Potentium [non Deum  neejuejusy nequefaSyVerentes yfed venantes gratiam faljts ha-  inisfatffijuevenabuHs a Catholico "Rege ypofquam in pri^  maperfecutione mc innocentem perDf^cem Alb^t declaraue- T/ttytanquam iterum :(elantes pro Regno ipfns, ijuo poffcnt  Regno ipfus longo tempore ad diuitias cjT* honores laruatos  comparandum ahuti ] perque Vim perque dolos , in partem frada inuidis falfs etiam fratribus illeflis , dum moror in  Ciuitatefan{}a y conarentttrinnocentiftmumadnecem traherr Th (G cncf o(c Heros) mcy cjuem tota fere Romayfum- mufq; Pontifex fcicnttjs & xirtuiibus cunitis nedum iujhtid  omatiffmusy innocentidCHftoSyfapieim amator diljif ejfent  a violentia infdijs pojfetueriy incolumem feruajli: ecum  explorarenthoftes me intuis edibus refugientemy tu illoruehi  debas interea technaSjdum tuo curru noflu fub altma veftc per  4tli} portam veilum y tuifji literls ad Principes & Confules,  obuios futuros commendatUy ad Chriftutnifiimii \fqy Regem  ifjnocentum Refugium, FILOSOFI ac piorum hominum  Tutelam,Mep:e Regis Regum brachium y nauis Pctri facra  aochoram, me tranfmitrerei. Mon fufticit Calamus animi.  m robur,fagacitatem, induftriam , c!T infignia in hoc euen  eufaflay diaue describere. Jd illustrissimum ac reverendissimum Eptfcopum Sanflorenfem ParifioSy te iubenteytan-  (femapplicui.Vtztctefttuus ideftfctizkct tUfuxta Gellij  £thimologiam natura legem, ideoprorfus \t tu mihi af- juit, J^m c ad te Jemomeus^magnamme Carolejqui humani simere€fpifiimeperegririantm,refodH lajfum & ft  nedefunilwn ad vitam rtuocafh^ O* tandem inuiciifsim»  Re^j regijsfaumbuscwmldM&f meexhihmfiu Imem fAi  ^iddefterate G allorum hijlorici narrant ^ & Poetacanunt spes QhriJlianAreipuhlica prafumitexfc[}atq\, Vmo ftutus a miftriss eSr fecurus a calumnijs, ratias Deo ty lemenrifsimo Re^ ac Mmijlris heroicif , nempe fratribid  nobuf imis Noalhjs. Haud efude audco Antiptis fufsim DoBtfsmicmfofitosmof€sac Prafiamiamenarrare, uam [drJkoma(Sr GdUiaadmrantur, & quos euulgauitlibros de  I mpmo iufli & de Triumpho Virtutts, eruditione ac fapicntia  j?!enos , ')4?ijue iffum lofige maps, ^i^mmtifarum pofftt  Chtnms praJkcant. Cenerefi Comiiis iam Mcerelaudes  yereor^cumnecflylns Jicpar, ac perfein hijhrtis commenden-  tur; a fuperiortbusemmfecuiss prafulfere. Ncfie enimre'  censffigloria \/efiraJed ah,exarJio RegniFrancorif fflendebat. Jftabanno mmfimo pofi Chriftum natum certa fcrie  fofi guitrandum, qm primus cognommatus efi de Noailles fijue ad nefira tenfora immmeri de Veftra frofapia cwh  4mnerantm htnes , fiorum alij cum Dom m j^uitania  fr^dpue.tum forisin ifiavna cum Ludouico Kege fan^o  fugnando contra Saracenos fortiter ohierunt i <Jr in Ita^  Md,in Anglia, Poloma^Thracia, totum queadeo ftri Or. ftmtefTarnm^hononfieentifsimis legationtbus perui ati eaiu  JocistUis pro patria perfecere fuaicam ueRefflus (jollis 9Uh tmerunt opera fidelem fed sdamjut, vr femfn' meruerint Ismdmahonii &akipfit^i^mmultisd  Jnterauoseminet magnus ille tuus jintonins fatuor Pegi^  ins acumAMli^M^ Cuitjs cor liurdcgfiLut 1 henefafla, tenet honorijicc: corpus Noaillia, Omino que in  bello TerraMartqy iidem pr^clara j^elJirut OmictoQatba logum hcroum atque geflorum & dtgnitatum perpetua fcrie  Jpendentium fwniamtna modeflia alionim forjan inui.  diamihimirificamnarr itionemahradere iufsityc^uoniam for^  taJfenecUtidihtis augeri, nec ohtrcfldtlombns veflra minui  foteflgloria, renio ad te nohihfsime Comesxujus virtus helli'  caapud RHpcllamaduerfusJnglosenituit & in MonteaU  bano dum oppugnatur Virtute Regis, corufcauit; & qu4  apud Taurinos comtra Hispanos hofles egerisy hifloria non tacet;  trtres inclytifltj tui nuncimitantur. Moxautem in legatione Romana tanta prudentia te gefsifli, Vf summo pontijici et  Romanis Principibus carus, ratufquc femper effes , ac ftmul  Regi tuo fidelifimus \?tihfsimufiji4e ; ^u^ duo Vix coife in  Orator.bus cxteris pojfe \ndtmt(f. Ex hoc jper prouidentiam  Deifalusmeaaffulftt: & cum feruator definls non defiturusy  ConferuatorCarolus frater tuMme Partfisrecepit. Ex hoc  debitum perenniterlaudandi Voj, Praclarissimi fratres, animi  et corporis fuhHmitate antijuorum Oallorum prdfluntiam  redolentes, inmere fuhat: cumque non possim perenniter cum  fim/nortaitSy vos immortalitati erbi aterni committere flu-  deo, Sciefitiarii omnium reformatarum per meinergafluhsnu-  tu Dei , qui est FILOSOFIA RAZIONALE,J}>len-  dor Rationis diuin^, tcfle Jugufl. \eflro nomini confecro. Ef^  ' tn hoc volumine GRAMMATICA NON VULGARIS SED PHILOSOPHICA,  continens semina scientiarum et nationum sermocinia et modum grammaticandi secundum naturam et artem. Hanc  Jemanibus sophiflarum nugacium liberatamytibi Liberatori t ue Orarm^r^flantifsimo^dedtco. jidiacetilh Lo^ic non imehuntuYy dd dircSHonem cognoscima fictihans human£  inftdurata. Hmc dddidi Rhetoricam j & Poeticamyjuas in  froftilfulofueatascm/fiecittiSyi Mufas  duxi, Tandem apponitur JF/tftorioffraphia , atf Adulatonhus Qfmhus Lofjuacihs denigratdj nunc infmm reJHtutd  pmtaictniytfuEgode vefbm nmim diccn nonMli ui fejuenturimelligantl^oalUos meos hacmethodo effe dicen"  das. Sufcif ttecrgoeo quo exhihentMrammQ ( Pr^ftantifsimi  JDofmnf ) non ingratumfortc namm nmit^atiferuiveflri,  edijue, qua foletit me hcnendentia htmmsre s inquo C. mea per totum Orhem veftram teftiftcetur henefiden^  tiam, inque \eftram refonet mam yaktc. Pari/iis   : Jic i;. Mairttj    X Commiflicne RcuerendiiEini Pacris Fracfis Nicolii  Roduifij S. A- Magiftri» & tocuu Ocdinisnoflffi  dicacoium Vicaril Gcncralis Apodoiici » vidi Tomum  primum opcium R. P. M.    N E iti€ , noftn Ordinis, Complcdcntem Grammaticam, Logicam, Rhetoricam, rocfmi. t?c Hirtoriographiam,  nihil .  iii co concra Cacholicam Fidem miicni > imo omnia luo Aucore digna,  ic quamplurinia ad Theofogiam capcrtcndam cllc iudicaui. Qpapto-  - ptcfojanupropria merubrcripri iuc dic 7. Nouciob.  iV. Am^ninui CtUiuJ^ S, The^Ugtd MCPhiUfcphid Ze^«r,»  mm«t CtU^ij 5. ntmuti S, M, fimdentium Alfli ifler*   imfrimMiurJi videhiitur Reucrendt^tw /» M.S^ F^lMiijj,   Iybcnttf Rcuer. P. Nicolao Riccardo» fac, Pal. Apoll. Magiftro  'pcimum volumcnopcium R. P. Mag. C. Ord. .  Prard. Granimatica, Logica, Rcthotici,Pbl:i!>& Hiftoriographia co«.  cextam,non minorc diligencia quam volaprateperlcgt : nintlc]ue quod 1  Catholicam Iqdac Fidcm, aot Chri(Hanosoncndac mores occui nc;  qjiare pubiicis dignum typis conftanter aflcacro , qub duicifonaB^  htlius Campanulae minficus tinnitus r.homnium auribus lladioforum. i  cxaudiacur. In fidcm &'c. Datum Komx m Collcgioiandb Bon^:.  ucncuixdic 10, Augufti. frdTiciicHi Jlfitortiui n fanflc Seu. OrJ, A^in. Ccft, Celie^if   S^.Bonaneniurd in vrhe Regcm e^ l^elior.   EG O Fr. Vinccntius Bartolus  et c» Thcolog. Magifter Ord.Pr2d.  Vifis fupradidlis atccftationibus, conccdofacultatcmcvordine&  commiflionc R^uercndiflimi P. F. Nicolai RodiilHj nollri Ord.  Gen. Magiftri, R.P. M- F. C., eiufdem Ordinis:  Vt librum atticulacuiii RAZIONALE FILOSOFIA  partcscjuinque, typis  mandare poflit. In quorum fidem ins meo figillo munitls manum  propciam apporm. Datum Romxin Conucntu S. M. fupcr Mi^  n^am. Dic 14- Augufti i(»5o.'   Locus iigilli, fr. l^mimiBmtht^ ^mptfAmmn prepris^.  1 Ji^ R 1 M A T V Fr. Ni^Uuu RitCArdins. , facri. C. FILOSOFIA RAZIONALE GRAMMATICALIVM  III PARIS Apud BRAY, via lacobii; fub Spicis Maturis.  M. DC. XXXVIII. Qm Primlegio Regis.  P^G.verp vltimo.tx iijtge.&c, Pdg.^o. verf. y difbioncs diftin-  giiitur , /<r^f> didbioiies noadiftmgauar. P4i. 91. vfr/l6.pcrci,/f^r, .  pcc t», Pag. 6i.verf. 14.. ficu:. /f^^ lanc. Va^. 5. ver/: 10. vccebimjc.  P4. 51. w//: aires, /f; .ai rci. Z»-*. 89- ^'^f- vifi'»»"», amitiim /<x<r.  amatu. P4g 60. pjlt t^^r/: u. pm*tur. Noundum : quod potclUs  impcrarijaeftquudoloa iicurnuior, qua maioccm, vc fdc atltros /.1-  fidejs. Sei eadem vox clt ieprccatiuaicum minoc ad maio;cm, vc fal-  fium me fac Dem. Cumad xqaalcm, est confulciua auc hortatiua, vf  fugecrMest:r -4t. Et maior cnim induic voccmx qualis, & miuoiisA-  c conuccfo pcr accidcns.   Correftio erratorum in Logica.  F.ig.i. verf. 31. faOum, legf fradum. Pag.. verf, 14. voccJi^^*   TOCCt. f>4g. 8. verf 4. quid/^^*quod. p4g. 11. verf 2. vt lege aut. f-i^-  14. vfr/: 8. intcricdliouc, mtcrcaronits.-A-ff-"»' -  cxprcfTa, /f^r cxpretr.Ti. /« e»Jem verf. i3. fy nchailiegoricus , /',^f  ryncacheeor«mati(;us. P^p-. i^, wr/: 17. dcno^iijiaius^^^ djm^A4 4. VfT/. II. vfr/i#, ouAas, lege gutcas. CorreHio Erratorttm in Toetica.  4   F4r.h. t/^r/:io.rerum./f^* vcrum. pag.^o.verf. ij fimplici vc  nutije^e fimpUci iccuiu.i. vuum. In e^dem verf. ic^. fic^u coucca, lejre ficuci e concra. tmiUem verf. ^6. profundit,/ pcrfundic. pag.ou  »t/:}o.dcuncioncm,/tfr <Jcuocioncm. f^j;. 4?. wr/. 5. fomctco, /rg:*-  folo mctro, fdg, ^s.verf: 10. quanciimquc , legt (^uam^um^quc.   C/r<rr4 difcrettom LcP.orm commmmuf.Se Grammatica iii commttni. Definicio Grammadcx.   GrammatiC4 efi ars inSirHmentaUs T^oluU hu^  mana congtHiy rationahilitet fir/jplickcr ^  •* dic£ndi,atqtic confcqucnter fcnhcndi^  . legendi ^mdcfuid animo "^ua^  CHnquc noHtia pcrc€f>imus.IciTVR Ars infnmentalh t\ Tuo gencre^ica &Hino'riogr3phu, quaroninesluntarics  \ki}^ yjf^nicchanicae,rcd fpcculatiusttai inftrumcn.  IX^-^. 4^^/ \{ taiej qiioniam non pcr fc, fcd proptcr princi-  palcs, & proprcraWud funt. Plato ir. Cratilo.dixit, l^mtmeft   infirmwtm mdi^ {uifioKti^ Xoucigo QranMika     1 ^rdmmitknUtiih in (lrumcntunicft, vt fuae partcs. l>ici\.\xx^politit huHiani^zi,  differentiani proedi£lariimartium: nam Logicac (ltn(lrumcn«  tum Mctaphyfici : Rhctorica & Poctica sunt instrumcn- ca Leginjtoris. Grammatica vero totius communitatis him injr. Siqa idem naturale cClcunclis animantibus in societate viuentibus ci, qui concipiuncanimo, SIGNIFICARE  conui.  ifennbus, per mutua officia copulatis sive propter bonum  proprium, fiucahcnum, sive commune proptcrei fadazfunc voces et orationes, htcrarque vocum particula?, ad exprimendum orc vel scripto qujc proferri opuscrunt. Grammatica ergo naturalis est hominis, quatenus poeticus est, anificiahs insuper quatenus voces et orationes ad tcdum vium  confidcrar. Dicitur grammatica esse ars dicendi. Dicimu« cnrm {'^ ./ quidquid animo concipimus. Etquia illud idctu fertbimTT5,-a<rcttrunf^ie5  qula legimus scriptum, ponendum est *ct Atquoniam potest cfl"c grammaticus, qui ncfLit fcnbcrcncc legere, ut excus, videtur Grammatic; i est c instrumentum dicendi  per cflfentiam A fcibcndi&le gcndiconfcq Mcntcr&ad vfimi. Dicitur congruf propter concordiam partium orationis t  6c ratiinahiliter ad differentia sermonrs ac brutorum rautu A  f colloquentium naturaliter, iicmadd: £fcrcntiampcritui. Gramaticorum i vulgari forma. Additur simplicitert iterum ad differentiam rhetorica et  poetica, qaa: ad humanam etiam politiam pertincni sed  addunt figurationcs sii per simplicem sermonem, S\}bdit\ir yqrridcjuid animo quacumque NOTITIA VEL SIGNUM percepimf,  ad difterentiam Hulorio graphite, qiiac iupponit GrammaticS loquentem dcomnibus et habet proobiedo solum a^ia &  di^a notabiliVx^c natura fjiucpohtia Grammatica vctp omnem fcrraoncm, sive famih'arem, fiuc epistolarum, sive  historicum jfiuc scientificum, rc(f\ificatad congruitaicm naturalem et artificialem, vt insii patebit. Pritr jc ergo notiones vocabulis et oratione grammaticali notificant ut : fcicn*  tiasvcr6 Loeicafi deindc fcrmonctra«^lamus.la grammaatica ergo cominentur semina scientiarum. \ o ; cnim aliqi;id taciunt lcirc vulgari modo dc Cim£lis rc-  % & cx his^qua: voce significanius ad scicntias altiorcs cri-  Dur. Qu^ippc qua omnes ex p jecxiftenri fjunt cogniiic vocalnilorum in do oratiorinis; Icd in inventionc ex inspconibus, et kniauombiis cognoscentis per senso iia ani*  s : et notamis et exptimcDtis per lucras vocales,  insonantcs, tanquaoi per clcincntafira, res prxnbtatas coqtie dtcitutikamnuiica Gi «ecl^MM litcr^m cdLati^  idc6 in-oaiinalibus cx iiiiip toruih vocabiilofuni : clarationecxof diaiur; in inucmiufa vcr^ tt imponendo  mfcrutationc. xv,: pupicx Grammatica alia civilis, alia philosophica J  ^Iuilis, pctiiiacft, non scientia Constat enim cx fli^totira*  C^tc «fuque clarorum scriptoruni. Hjhc sequitur Sciop«  ius Tutocbtis Lyf fiusjqui tunclcdt sputant^cin: CICERONE am VIRGILIO calknt § & vocv bu^a U. ph rafcs , ple«  anqgc naturaii f arlotaducrla.cji ptincipum.& vutgi vfu pc» i cptir i tete pjfcia vctii rati^e CfiaftAtjA iamolet. Eft cni M%icfiigan^ntc Hcausdcnotamisim icftigata, copulanrifque & dri^htntis rcs»prout in natura  cpcriunrur» mcthodu 5. Notatcniroc(rcntias, aftufqlic,&:hjt»   )itiidincs, vt if.fj^ viJcbimiif.   Hanc Grammatici vulgares damnarf ut , fi dixcris, vir#  «ofus, ridcanr, qi.oniam CICERONE dicit, ftudiofi) s:5c cnm vo*  :abulacx rcbi]s,non cx autoribus dcccrpimus, exribil.inr. Sco«  iim^findtm Thomam, aliosque, qui mngiscx rci natura  oquuntur damnant ifli, profc£t6 damnati jgnorantix, et Wodicitatiscrgaflulo.Vndi 5 Grcg. maicftattmvcibi Oci fc  rcgults DONATO inclodctcnti^n dcbcrcdcclarauir. Quid noii obloqiiutiircttmiiouascesifiucnimus vocabulis CICERONE in* 4 (jr.min.itic^lium   dicibllcst proptcrcaq ic nou is voccs cxcoc;iramu$ \ NobismJ  uearavocabdla IijBC,prifiialKas, eH\:ntu,cLlcntiarc,matcriarc,  2cc. huturtnodi CICERONE ncti^uc d Upliccrcnc ,liccc ignoca  olim. Itcmquc & ip(c ait : Beatituio & beattta^, vtrunqut  ^nm ifeivfu m jlUctuU funt vitUtbmU : cik vbi 'nuUcr^fi*  -xpfS «iixic , effcntU. At^Caoli opbis lcgcs pr«(icrtbaac: cr-  go^5c (cieatum coardAnc , ciuam Cmraipfeampliairct , (i  occaCio & ftieatia oon dcfutHeac : U Houcius licecc dixie  iempjer. HmttJmiMi Sipajpsm tmideor cum Ungua Catonls OEnti  Sermnem ftstriitm ditdmritjCP* nond rernm   Momina proiuUrir, Lkuii fempenfue Itcchit  Signatum frafente nota odticere noniciL.   rUto p(iinu»-dittr,idca: 5c Aristoteles. Eatiielechia: att  noiicg O£rimaIitas, &qiiiddiiasivi4e primam partem Mec*   libr. I. D/jfercmia inter CimUm Philosophicam. Dlffort Gratiimaricaduilis a Philosophica, in vocibusi  phraH. In vocibus iila fe atur auioritatem vfiim}  k quo adc6 dircedere tjmet  vt nec novarum rerum vocabula  oott^i admicjcac. Vndi polunt dicere, bombardam, fed tdr*  meotumljetticumj quod nomen commune est omoibus machinis: errant ergo primo trahcntcs proprium ad commune J  Sccunvio vniuocamad j Eqiiiuocum: wum cnim brodium non  habcn vocabilum in Latino, rcJ dicitur ius, quod 6c lcgC significat rconfanduc ergo rcnliim. philosophus vcio vocabulum iniicnict proprium in sua Graautica. Quoniam il!i  vocabu^aaifcdiuanon trahunt a fubllantiuo, (icut oporter:  Vtrcascotmcffuudit virtiiofum, hoc nonTtuntur|fed{\udJo-  fii:0 iicunt i qtifi, vo« longe abcft 4 signiticatione vera, dc  )3 im cileoti^ notacc voluot, dicuot  Quod cft  quo     iud crat cffc, Iiidicro quidem modo: cum vocabulum quidditas, & e^Tcntia , fint significantiora brcuiora. Bcnibus^  ic dicat Rcx Turcarum, dicit RcxTiaci^e , tam ridtculosc,  juim superstitiose.   philolophica ergo fcdatur commoditatcm, 3c rationcmj   vocabula significant ex natura rei et non confuudanc  cn fum metaphora x qui uocatione analogia. Ncctcmpusn; ni6cationis fruAra cxpcndant(qu6d niaximum cft dctrincntum:) ficuti faciunt Grammatici, descriptione pro vorabulo utentes. Differunt etiam in phrasi: ciutlis cnim vtiturphraH accepta in foro et curia apud magnates et plcrumqucdicit aliud  i proprio sensu sed vfusfacir, ut sensum alienum vediat oratio. Sic dicunt idem e dio tollcrc, prooccidcrc et pcrdcre. Id autem in philosophia significat de mediocentro m pcri» hcriam trudcrc. Similitcr aiunt, rcdigcrc iiiordincm, pro  >riuarc Magislratu. Atin Philosophia significat ex confuso nordinato, in ordinem tranfirc j ficuti cum Chaos tolUtui  naliquoncgotio, vclinmatcria rerum. Quaproptcr aos grammaticos nil vcrebimus. Eoum enim est confcruarc vocabula ac declararc (Imilitcr &  DratiorKs:Phik) philosophorum vcr6& Anificu cft inucnirc et ordinarc. Proptcrca temcritas Pacdagogorum miranda est, cum  T hcologos cm€ndant, proptcrca quod Ciceronis vocabuli  5c phrafi non vtuntuitcum potius laudarc dcbcrcnr jqiioniAi  omnis Artifcx (ux Artis vocabula inucnirc dcbci jfic clara,  kpropria imponerc. Hoc autem palam est, qupniam ex auiusdcfcdu acciditjvr idem vocabuluiri aliud significat in v-  naartc, et aliud iu altera. Unde, apud rusticos, “liber” significat ‘arboris corticem’. Apud litcraios, “liber” SIGNIFICANT PER METAPHORAM ‘codicem.’ Apud Politl-  :os, libcriatc ffucntcmr; apud oratores, “liber” significant, per metaonymiam, ‘filium.’ Similiter, “verbum,” apud grammaticos, est orationis pars significans solum. Apud theologos, “verbum” significat u test ‘conceptus animi, delaratus aut voce apud physicosacrisvctbcraiioncm notat, apud vulgus locutionem, 6c aliquando omne vocabulum. Proptcrca notaui  tx Yarronc» & Nonio, &Fcftononcxtarcvoc:» bulum apud latinos quod plurcs significationcs non habcar, quoniani  6 grammaticalium. /ucccnio Principuni, et rei publicae mutationcs, 5c f cmpora  jpfairohunt voccsadnouas signirtcaiioacs. Philosophia au-.  fcm non (k*. ria?:crca, Grammntlca ciuilishabct ortatcm, in qua vigcr:  & illam amplcduntiir Grammaiici: dicunt enim sub Cicerone 6v CcrUrcavlulram lingu^m: proprcrca non Plauti, ncc  Ccci!ij»ca? tcrciumqiic fcnprorum priscorum iermoncmac-  ccprantjicurnccrcccntiorum quaiis PliniuSj Ambrosius,  Augunini; s, e AQUINO (si veda) At Philosophica non  agnorcit.rtarcm lingua:, sed raiionalitntcm: amplc^iturqiu:  vocabula bona omnium temporum. Proptcrca 3cnoiia fi£ta-  quc vcrba probcconucnicntia rebus diccndis compk^itur  iuucnirquc: VI cnim Horat. ait. Licuit /(mperqjuJic^I^ Signatnm prafente nota producere nomenl Et f hrafim addcrc: pra:rcrtim cum impcrium rch^gfa,'  et artcs nou2 fucccdunt, & loqucndi modub.-voccs camt  proptcrrcs,non rcs proptcrvocc?. Vndc fon.m Eic;c(:.i«  fticum vtitur vocabulishifcc, canontzarc: {piriruali. ctlutura,6J: aliishuiiifmodi in sensu proprio non L.itin( r»im pri-  fcorum.idqucfi accufcs impcritus&rudis cfiS.NwfwiCLSvnic  authoriiaccm vocdbula fiiniunt. OVpCfftitiose colcns grammaticam civilem, languct id   j3pugna fcrbpxumj crbacaptatjrcscfFugiunt quas  praefcrtim ipfc fuis non infignit notis, et notas alienoruin   r con fatis notas colit &: vt Clemens Alexandrinus i.  Strom. 3. inquit . funt SophiOa: infcliccs, nugiscanoris gariicntes,cum in nominum dcbita, et ccrta didionnm compositione et connexionc tota vita laborent; cicadis apparcnt  loquacioics: U allcgai coiuxa cos rUtoncm, & alios Phi-£amj4ruIlA\ Lfherprmnf. r   oibphos prleium oloacm LcgiUtorcm, ita diccn«  xm. Adlingtia afpicitis, dulcia verba loquentes  Quiltbet at vejirum vulpis veSligia Jigit.  Cun^is efl vobis petulans mens. 'ulpesquidem tnfimulatfone iapientja?»quamnonhabent»  Sr in latcocinio alienaf, (unt fyci^i vulpcs :cum enim de fno  loo habcanc^ nid vcftes, quicquiddixete philosophi mutata r^ene verboruni pro fuo vcndunr. Mcns cnim pctulans vul-  pium fui amorccmmfc ipfamdccipit,putatquc fc plus fci-  :c,quia fcit verba , quim qui ics inucQigauit^nec nifi fua  Grammaticavcftiantur ,rc^la,&vcra, qu» dicit philosophus, reputaf: hincaliena vcndit impudentcr profuis, \*r-'  xsqiiia ornar fois. Horum fcimo cfl calix Babylor.is (in-quit Oiigcncsj in qao errores ctiam pro dodrina, nedum  furra, tradunt bibcihia 5ophi(lar* Vakie caucodum eft crgo  Phtk>rophfs«oe tis Aia icriptacrcdanr, qui, (lcut pcrdiX|io«  jcne, qt^a^noapepeierunt. Honim iniidtasmillies expertui  :oquor. Cauendwineilctiam Philosopho , ncrpernat citti  edl jQttinmat icam >dum tameo rdHisconueniat rcitis.Con«  remnitur enim d.tbtba petulaoti quafi indoiElus: & pucfi  fic^co equaceseorum quorumeft folum grammattca  ri»"ihc tjOtjcat», notanr fimplicitatcmfermonis: rcs cnim  noncurant, quilh|HS£ordctcnusmitcntur & optent pro  gnorantibuscoshabcnt,qui eorutii Grammaticam non (c*  [^anrur. «Sdpicnrespauci (unr, (\uItorum infinitusednumc*  rus :hinc eucnit »vt iiUablustaii^a, diMitiis ^dc do^ioa:ho«  Qorc vacueniur* .De partibHs Qrsmmatiea fSf ^^9^  m   QVoniamGrammatica congruitatem 6t(ktonh (cri-  prionis habct pio obj c^o di^io autcm iit cx vocabu* s ^ ram matic Aliurn   lis : vocabula cx fyllabis-.fyiUbacx liicrisiidcopartcs Gram- inaticx putantr.r 6c dc litiiis i. dicunt Crammatici om«  JiCS. Ittera ^rima parte Grammatica. Litera est elementum primum, idcoque minimum orationis. Dicitur litcra alituro, quafi cxaro, quohiam cxararur  m orcp^imiItuw««tatuLdlij fcflptura per manuamia , Grammatica Graec; Jicitur quafi literatura, quoniatn  dfuis elementis habet etymologiam. Poniturclcmcntum loco gcncris. JEfcmcntum cnim cll id, cx quo aliqiiid primitus componitur. Ponitur primum, ad differentiam syllaba, cx  qna secondo componitur oratio. Ponitur sermonis ad differentiam corpusculonmi atomorum, qu.rcxiftimanturclc.  xncnta rcrum. Additurminimiim, ad ciuficmrci dcdarajioncm:li cracnim iiidiuiiibilis clh   T^e numero Utcrarum.   SVnt autcm litcra: viginii trcs apud latinos A B C D E ^Sj^,i,K,l>m, n, o, p, q, r, f, r, u, x, y, 2, quarum Latinae non  luntnifi dcccn)& noucm,ctenim K,y,z,x,d Gratcisacccpcrunt : vtcbnniurcnim pro K , chjpro y,vtcbamur,vjpro  duplici s s i pro x,vubaniur ,s c. * 'A;'Tandcm h, nonvidctur cfTc iircra, fcd afpirarfonisnota,  addensaliquid fupra vocalcs. Catulhis cnim narrat Arrium foUrcpronuntiarc Hinlidiaccum h,pro lulidiae.  ANDO:  LibeffrimHsl. POflunt inucniri & alix licer t, vt • , parauna « & nia. gnumMtcm duplex g:in vulgan cnim sermone aJiter pronunciamus, gli, in vocabulo agli U in vocabulo mgli gentia. Item non datur g, qua: faciat (bnumx qualcm cmn  omnibus vocalibus. Non cnim ita conronat g,^, (icurg,;,  vndc Arabcs triplcx g, habcnt, iuxta tripliccm pronuM^.  tioncmhuius literae. Pia^tcrca litcra r , alitcr fonat cum a^  5cciim ^ , coniun£ta; proptcrtabcne fuitaddcrc k, &ad-  dcndacHec altcra litera, qi:a^aicdium fonum habct imer r>  & K>vcin vulgari fcrmonecxpcrimur. Pxxierci litctame-  dia imcr dc;^, rcpcricndaei Tctia litercnim pronuntiamus  r, cumdicimiis^rtf/y, & cum dicimus gr^/i^ > prxfertini in  vulgari sermone. Nec fupplet ii;, pro /«nec 0 duplkem^^ji^,  appoitas, vtia] ?pgti(ggi4eclarauimus: qua propter dclinea.  uimuschara^tcrem m€diumhac figura, Hi^ani vero fece.  runt cum cauda f Prarccrcsk indigemus dup'ici /, confi  suntividcliccr» et voca1i: quem ad modum Hirpani^&Heb.2c  Arabcs vtuntur jproptcr cadiximus ;\longx figura? consonantem : qui Hcbra?is cft j/ vcrobrcuis vocalcrr. '^I an-  dcm duplici,vocali et consonanti indigemus, quemaJmo-  dum Hcbrj:is, & Arabibus rationabilitcr vfurpatur, alio-  C]uin mu!ra vocabula faiso pronunti.bnntL:r»vt vt^a. vbi nifi  secundum altcra figura sciibatui pionuniiaiio fallirni. Similircr & iuuenis^6i /V/;v//5cc. consonans v, vocari dcbci vau^  & confonantcs ; Jcd^vcl /«^vt pra:fata lingua admoncnt;  Quaproptcr A Iphabctum nostrum erit quod sequitu|^n.  -^,^,f,k,rf^/,^,G,^^;V,/,w,»>^,f ,r/,/ r,», v,sf , Lkerarum alU ^vocaUs^aliA confonantes. Vocales quiiiqiic a, e^i, o fU^Sc dicuntur vocales, quoniam aiteda vocali sola, moUica vaticutc tnoduiationis, expiiiwuntur.   Cotsronaotcs ^uat yigititi i^d^fti^G^btj^mj^^f^rJ^ Dicumur consonantes quofiiam cum vocalibus simul Ib*  nant. Instrumenta enim vocis, que sunt lingua, palatu noi»  labia,^ gurguiio, vocem (quateit expirart aeris per arteriam  vocalem ibnus) configurant: 6c cum illo dicuntttCCon£6narc  non autem perlbnare vt vocales. ConfonaniiLim alia: dupliccsvt j^jtf,/-, alix simplices» vt  oniacs i^iiqtt^^ 51H3C cnim vilCD» pco duabus; noa autcni  Sunt apud Hebraeos dc Arabes duplices dmnesconrotian  teSydum pun^o intermedio notantur. Apud nos vcrb  fol«ie x.^yt, ftfnt dupliccs abrque pun&osquas autem vq«  lumus duplicaie» duplici codemcharaaerc noeannus. « m Solem contmgi vocales non eiufdeni generls]  con^itmrs, unam syllabam longam   qHamms per se ejfent brenes.  Harum comun flio voci'  SHr Difhthongus.   Sunt autem apui Latinos veteres Dipliihongl q inqne  ^,<r, tu^eUiCiy(cd in v ulgai i Tcl- uionc add Ci t u t to [ D li ilio   gf^qiiot sunt combinationes vocalium inter se, praetcr quam  in fine carminis po<^tici, vbi /ui , tolui , voi, mie &c. pronuntiaiitui dissyllaba, qu alibi pronuntiantur aiOnofylUba  IQirguuntur litec coafonances iamutaS)&;fcmi-vo*     D   Mut^ funtnouem. C D F G K P .ii. 7*. Etdicuntur  mut( I qupniam mutum habcnt fonum , quafiGom nuUa vo»  cali^vel vocalitatisaffiatu proBuncjat.   Semi-vocales sunt VII. ^.ilf.iV. R,s, j,ViSc dicuntuc  semi-vocalcs quoniam habent partem soni vocalinm .£t  quidcni S. apud-^ucretium caJit Inftar vocalis:ait cnim. Sceftra ^tfku^tadem aliis fopitus quieu efim . I^ta diftin£lio fuit vcraapud GrnscoSj Hcbrazos.Sc Arabcs:  qui lircras pronuntianr quali diclioncs: dicunt cnim pro  J4.B.^lpba,Bita,S) CAkfh.Bct:h.i^Eliph,Bat. Scd ia  idiomatc Latioo pronuntiatui limplici sonodc truncatosi  nevocjlibus, idco omnes sunt routae: licet non pofllnc  pronuntiati fine vocali recunduninos: tamen secundum nar  tvfam. omnes intelliguntur fine vocali nobis qui et vocalest  etiapi truncat): proferimua.   D'cLiiKUr liquidx L. H. M. N. quoriini liqucfcunt m  mctrc-.ira, vt fvliabai-n brcucni etiam producanr, accommodantur que brevitati et produ^iomi dur Tunt qua:  fcruant sonum et tempus. Syllaba est Uterarum vfurpatio ] ^nins fo^  ni , "vniufque modulatioms partialis index.   Quonia ex literis syllabx qii possunt esse pars vocabuli  propin c^iior:i moiiiatv^y 111 bi t n n nc iikcnd um; di £t is  iryliabano vcrbo Grx. Hoc est comprchcndo iqiionia Qi plcrumqucplurcs literas comprchcndir. Profe^lb quo nos vti-  niur literis, id valcnt jqua propter usus fecit de litera syllabam,  sed non absque raiione; alioquin de quacumquc litera facerec syllabam. Facit autemdc sola vocali, quoniam sonum  habet , non de consonante, qua: non habcr. Aliquando fic  ex duabus vocalibus j vt diphihongum monosyllabam jali-  qia Jo cx vna vocali, &vna confonanrcjvr,^f,aliqi aJo cx vna  vocali e duabus consonantibus vt J?er. Aliquando cx vna  vocali & tribijs conionantilnis, vt, //r./,3c rizjjaliquanJo cx  vna vocili 3 quaruor consonantibus, vt firum jaliquando cx  vna vocali q; iinquc consonantibus, vt j9/rp, Pluribus noa  viurur LATINII at Tcutonicis & Polonis vsurpatur. Vbi vidcs  n6/oirc cx pluribus vocalib. fi. rifyllaba, nifi abinuiccmabrorbcantur, Qcut in diphthongO i sed ex una tanrum quoniam  ipsa sonum pctfc<S^ um habcr. At ex pluribus consonantibus  .ficri unam syllabam vidimus, quoniam per se sonum noa  liabent, nifi vocalibus copulatx. Plurcs autcni ponuntur ai  modifiationem illius vocalis, tt quod purus lonus non SIGNIFICAT, (bni modulatfo SIGNIFICET vt in Mctaph. doccmus, dc  nominum impositione loquentes m Non reftfc Grammatici dcfiniu DtSyUaba cft comprehensio literarom sub vna vpce& vno spiritu indiftin*  dbo prolaca. Nam syllaba qvando que constac ex una litter;: vc  prima Wmamo. Nec dicas, habct ordiocm ad comprehensionem subrcquentium. Etcnim prscpofitio noti hjbct  ordincm, ncc ,vocatiuum, imo est aliquando litera, 5c  syllaba et DICTIO ET ORATIO. Igitur noa re£le dicirur syllaba  comprehensio literarum, sed potius diccnda crat particula vocabuli roni partcm pctfcctam facicns. Et cnimiiulla cpnfonans potcft faccrc fyllabam, quoniam pcrfc sonum  (lonedic, niacum vocali. Vocalis autcm cdit. idc6 potcft;  c(re syllaba.   DevocsMo] {.farte.^rammatks. Vecabulurne A fonm ort ani^alis frolatus naturalfpus inflrumemis formam, d SIGNIFICANDVM aliquid fim^U^ mmie conaftum. Ponitur /ijwif tanquam genus j Omnis cnira vox sonus  est &noniconucrfo. Dicitjar^/rv&rt/ w minutlr  ad differentiam sonorttm, quQS ventus et tuba, & rcmi , aliae.  queres, cdunt 5 qujc pro pric vocabula non facicnt. Pici-  nii* natuntlihus inHrumentis fomtafut » ad diffcrcntiam fonorum, quos anmul cdit AD SIGNIFICANDUM, scd per instrumcnta artificialia j qualiafunt tympanum et tuba 6C campaia i quibus ab cxuinfcco im^onitur SIGNIFICATIO iattamcii Uit,  conim foni vocab-.ilanon funtiquoniam nec pcr natural/a inftrumcnra.ncc naiuralitcr formantur j (cd pcr artificialia &  anificialitcr. Additur,^^/ SIGNIFICANDUM dctcrmirutte conceptum vjc?:tis , nd cxcludeJum voccs.qua; nihil dcicrminaii  ll5nificanr,aut cx naiura.ficuc intcricdioncsincq e ex im-  pofi:ione, ficui ncmina & vcrba. Scd irdcterminate v t^»/^  f.rf. Et prxtcrca ddhin ial/.ptid fimjjlex mcnte conccpitm-^  quia i:-itcric£lioncs,pafl*ionc5, &affc^ioncs, dcdarant coniplcxcpcr modum oraiionis, nonpcrmodum vocabuli. Vc-  .liim cnim vcro quidquid mcntc apprchendimus, pcrfonuin imiranteTJ iHud in configurationc litcrarum cxprimendo,  vocabulum facimu Vocabuiumautcm vocatur TERMINVS apud Logicos, quia lonos confufos 6c indctcrminatc SIGNIFICANTES ad aliquam ngnificationcm ,qua ita hanc rcm, & noa  aliijscoiifusc fimul intcllic^amus , contrahit. Diciturdidio  apwd Grammarieornu TrrctttrTiiuClXiim di£lio. ctiamvoca*  curoiatio,ne dum parscius, Tfot fnnt genera vocahHlorumyquot funtpaytes orationis immediate.   Oratiocnimcx vocabuHs componitur immcdiate , cx  litcris vcro & fy llabis rcmoie , & rcmotifiirae. Quem  admodum mundusimmcdiatcconftat cxprimis corponbus,  vocjtisclcmcntisjtanqiiamcx vocabulis: prima autcm cor-  poracx caufis matcrialibusadiuis, &idcaljbus, & formalibus tanquam cx fyllabis. Caufa: autem mifta: cx propriis particulib tanquam ex litcris. Vnde LUCREZIO corpuscula indiuidua literis comparar. Quapruprcr in (cqucnti ariiculo tra-  anntcs dc orationc,fimui omfiCS partcs cius,acproindc voca-  bula coDfidcrabinius, Liher primu^s, J5 Gcncra eigo vocabulomtn feptctn sunt iquoniam partcs orationis per feasc fum iioaiiiter reptem. etenim   T)e ^HArta parfe Grammatiu, hoc i[l dc oratione Caf. j. Axt. u  Oratio vocabulorum compUxio, ordinata  ad mamfefiandum quidifuid animo  comfUxe concifttur.  QVomm vna di&io fiu vocabiirum non (kch oratio^  lem^nifi rubauditis pluribusdiSiombi Vt cum qnis  •inttrrogantijV// fanmy retpondct . volo , pcr vnicam diaio-  Hcmiquxviriutc contipctpronon)cn ,& nomcn,^^;;m.  Picptcrca diximus clTe orauonem complexionem vocatulo»  rum. Addimus fri//>7fi/<?raw : quoniam niii ordincntur vocabuIa, noii fjciiintorationem. Vifidican :volo Pctrusfcrum,iguur,cun j&c.nihil SIGNIFICATVR SIGNIFICATIO corationis. Dixi, ad manifefian dum quidquid concipitur rnenti  CQmplexc 5 quoniam^ prmsc Qncipimiis animp fimplices,4  dcinde vocabuiis manifeftanMisjQK^qnci tta vt,^tiQK nenn conceptusexprimant. DemH^Nm^^imus res coiC ceptas,vti funt in natura,& facimusorationcm.VbcabuIaer* '  go (ignificant restoratio complexiones rerum conceptarun9.i.,   pendix, diutfioqne orationls in confufam\  ^ diHm Ham. VpIcxquidcmc(loratiCi aIia confura, aliadi(\in£la. Confi^ia fitabfquQ vocabulis, lcd folum ligQisclIca  tantibus animi pjflioncs, notioncs & afFedioncs. Vnde i Grammaticis vocaturparsorationis 6c intcric^lic:  quoniam aliis partibus orationxs intcriicitur. Scdnonrcftc.  iccnimctiam fola profertur intcricdio vocata: & fignificac  totum quod oratio, fcd confiise;vt ciira ridcns cxprimir, ^h,  ah.ah, Et admirans, P^tpe : 6c imprccans veh\^ plorans^  ehu, Quaproptcr non rcde pars orationis ponitur, cum fic  oratio, ficut cumdico idcm valcf ,ac , cgo pioro &c.   Oratio autcmpcrfcdacft , quardillindc (ignificat & pcr  partes qiiiJqiiid mcnsapcrirc vult.   De partibm oratioms dtllin£ia.Sunt partes.JlTMioms Jl^e99^nomerf /verburril  fartictfmm , fro nomen , ad nomen, adverbium, conimctio.   Probatlo & fufficientia.'   OMnis cnim pars orationis aut SIGNIFICAT ciTcntiam rerum ficcHnomcn, didumquali notamcnencnti^,  vt homo. Aiit fignificat aclum clTcntia?, 5c hoc facit verbum, vt: “amo” : didlum a vcrbcrjtoaere, quoniama£lus prc-  ccdir abcficntia foras, icwx vox in aercm. Aut fignificac  a(flum fimiil cum cflcntia j & fic cft participium , vt amans ,  quoni.mi partimaiflum dcnoiar. Aut fignificat pcrfonam  cllcnticr,& ficcft pronomcn, pofiium loco nominis.vt cgo,  & vos &c. Aut fignificat rcfpcdus intcr c(fcntias, & circun-  ftantiam ,& modum^& fic cft adnomcn, fcu pia? nomcn, vt  contra, propicr, cbm & c.qiioniam nomini prarponitur SIGNIFICANTI ESSENTIAM. Aut SIGNIFICAT moditicationcm & circumstaniiam adus. Sc ficponituraducrbium;fic diftum,qi)oniam  ftat iijxta verbum sigmificativum adus cuiulquc :vr bcrc,   foniicj^: intcridic:  :dno Qicdc.: et SIGNIFICAT :xpriniit|ii   itur^cimilit  > plofo &c.  cntiam rf-   cftcitvW'  afius prc   f bcrci.   Liierprimus. mj   forticer» heri.bis dec. Auc coniuagit effentias inter/e aut  adus incer fe auc efiencias cum  aftibus, auc ipforum  complexiones: & fic vocatur ^oni un£tio, pars fept ima s  vr, &tenini, igicor. De quibus figillatim dicere opor.  tebic.  PArriumorationisapud Latinos,alia:funt declinab  les, vt, nonnen, verbum, participium, &: pronomen  AJia: indeclinabiles,vt pra:pofitio , aduerbi.um,8c con  uindio. Apudquafdamnaciones alicer.   Declinari dicnntur , qua: in fine variant fyllabam att  irariaciottenr MODI SIGNIFICANDI. Qua; non varianr  modum, nec fiineiio vocis,dicuncur {nondedinari} apco'  VQcabulp, ex corporalibus fumpco.  NOMEN est vocabulum, pars Orationis declinabiiis vel particulal>ilis , significans ej OR*hciam. cuiufcun«    quereieximpofitiqiiie,. Quoniam de nomine, vi Oracionem in^redimr, cia^  ^Aac Grammaticus: propterei definttor per hoc,  quod eft- vocahuhtm ,! tanquam per genos : fed ad ^xpli-   candum vfum dicitur, quodeft pars orationis. Qupd  ponitur loco declarati generis. Deinde dicitur decli-  mbjUs^^d diiFerentiamprasnoniiniSi6c Aduerbij,6cCo£^  i $ Grammatlcalium Qtmpanellx]   ittndrlonis, qu^ non declinancur : qttoniam dicunt vnam  modo circun(bantiamvautre(pedum, aut modificatio.  nem e0renciarttm, & adttumeoram. Nttlium vero dicit essentiam quac plures refpe&us 8c circttnftantias habet}  vndeoportcat ipfum declinart IN LINGUA LATINA, et CASUS   admiteere in fine. In ahis aatem lingttisrhabet pro decH-  natione articulosjhorum cafuum notas, quod nuUibi  Kabent Aduerbia , Adnomina» 5c Coniundiones^vt mox  aperinius. Propterea non eft de efientta vocabulorum  efledeclinabilevfed vel declinari ,vt apud Latinos j vel  arciciilari, vc apud vt tlgarcb, & Hebrxosj vel vcrumque,  vtarud Grxcos.   Dixi ^gni^canr. difFv^renciam confignificantium.  Aduerbium cnim & prononien & prienomen , &: Coniuncliio confignificant aliqua circa e{Ientiam.& adus:  nonautem fignihVanrnliquidrarum.   Dixi (ffemUm. f\ A diflPerctTtiam verl3i,5c participij quae  SIGNIFICANDUM, 2c efTcntiam cum a<flu Itemque pronominis, quod mdiuiduaiitates& particuiaritateseircn-  tiae (ignificat j & non efsendam immediace »nifi vc perfo.  nacanu Dixi tandem , '/iif^« >/fei>9 Quoniani Nomina CC  ^erbaab intellec1:u imponnntttr AD SIGNIFICANDUM, & non  ab animi affecflione; quemadmodiim interiediones,  qu£ nulia incellefttts confiderattqne expe^kata» foras  promontttr«   Vrimum (orolUnum correSfmtim dejini   QYiipropcer fallttntar Giainmatici , dicentes  nun ej/e fJrtem 9Mtom$ dedlnaiitm ft^nijUdtuem  fubfianiidm , autifnsUMBm pofrism vel eewimnMtm emtt   cafu. Non enim folam fabfbmtiam ,aut qualitatem, SIGNIFICAT Nomen, fed omnemefsennam jkilicct & quan-  ucaceiu^ fotm.am;)&aAunij^ adionem,6c paiTiQuem,  . ,j,.i^'.d   rimilitudinem A difnmilitudiuem, Sc Relationem, &  >^on-ens. Et enim ScNon.entis datur crscntia ^faltcm  •^iQt^llccflUj quamhocnomen, «//'i/KW^ fignificac. SIGNIFICARE SUBSTANTIAM et quantitatem et qualitatem 6cinruperomnia alia pixdicamenra, est essentiale nominis: sed QUOD SIGNIFICAT propriam. vel communem, eft accidcntalc-, nec ponendum erat Grammaticis in fua definitione j cum nuUi fit vfm , ncque ad noicendum nec ad diftincruendum. Simihteretiam SIGNIFICARE cum cafu, accidic Nomim in aliqua lingua qualis  est latina ScGrxca. In Hebrcxa enim, ITALICA VULGARIS ,  6t Hispanica 6c Gallica non dantur casus nommumi  fcdarticuliipforum cafuumloco ponuntur. Sicucetiam '&: Noinina Latina indecIinabilia, & finccnfibus, vtceUe  U coTnu\ \r\ fingubri. Ergo falluntur Grammaticnn definitione & efscntia Nominis. uotrnodisl> JomenfignifimeJfentiam.   Orrb Nomina fignifican tomnia prjcdicamenta^qua-  tenusfunt cfsentia:,nonautcm vc a(^lus. Siquidem  albefaaio cfsentiam a^ionis dicirj& albatio paflionis;  non autcm aftum ,qui eft albcfncere , albefcere Hoc  cnim verborum eft Praeterea Nominum aVuid efsentiam  puramdicit, vt Amor, 6c Homo aliud vr ad iunaamal-  teriefsenti<j; vchumanum:aliud vt conccrnit aclum in  omni genere. Quod vel e fsentiam aa:ionis , fcu a^lus, vc  li^io ^amatio, au3itio, wc\ efsenciam patienci5-,f »r^,  treatura, amatura:vc\ essentiam instrumenti aausjvc  amAtorium , anditoTinm Jenforium , potef^atorium , qonu-o-  tant. Aliud efscntiam , cum poffibilirace aauiarvc y//-  lefa Biuum: aliud cum pofiibilitace poffibilicace paf-  iiua:vt caJefafHhile : Mud fignificat efientiam ordu  natam ad a^am, exiftcntiamquc vel PRAESENS, vc C ii  p   “amans”, vcl prxteriram, \iamattis, vel futuram : \Z'amX  iur:4S,6c amandus. Aliud totum negotium circa adus, ut nego aamenttintyteri Umentum arfvamentumyVvAgo Paf*  lamento: aliud totaai ncirotiationis 'aut entitatis com-  prelienfionem,vtfl«//<«/^*^», notamen examin ^ Yulg^>  effame^ canamey gentame » & canaglia, rifri/agliaisMvid  .xem cuni efficientia istnetificum dolorifiatniyfrelificum.fic  quxcunqueexfacio, &re,qux fir,coponuntur; aliud cu  plenirudine, roecanditate  viamofofiKm vinofum vm»  iro/ttmtilmd Nomen eflentix comparationem infoper  confignlficat}Vt vinofins^^ fottior\ aiiud fuperlatfonem  vtviniflsfimus ^fortifiimnu Concernunt etlam Nomina <](uanritatem cxprefsain )fedajMid Latinoi foliim dimi-  nutiontmwt i)»munculuty mMsufcuks, Atin vulgari lin-  gua etiara amplificant: dicimos entm “signore” “signorella,” “signora”; {X,o,Stgnorotte “signorino” USggnorotu, Primum  Itfnpl^v^.H^^jpTi^imimiii i 11 irllfiiTimpllfi  C4tj. quartum fiiblimati quintum mihuit ex parte abC  queaoie^lione.   Patet autem > quod differcntia flexionis , & finitionii  vocabulorum indicant refpedlus addicos cfscnciis j vti  mox. deriuando confid Qrabinius.  . Diuifionem fortiuntur Nomina ab cficotia aquan-  titate, anuniero , ab ordin e, a fexu, i formatione.     Diuifio /. ab efentia, feu eJI^MiaU^:Ominum Aibft^ff Pumin > aliud^j^il^*  dinum. Lihr ^ritaus NOMEN SUBSTANTIVUM est, quod per modum subsiftcntislper se, significa c j ut, “homo”. Nomen adiectivum est, quod per modum adiacentis jilceri significa c*  vcalbus,d: ut “humanus”, & rifibilis.   ERgo duplexeft Adied^iuuiHyalcerumrubflantiale  folaquevoce adiediuum , vc i^ir/i^iM/f , & hBhta num animse idiacens j cum dico » Amma raihnalis , vel  humana. Aliud accidencale9 Voce2c re Adie£liuum.vc  maUgnum^ 8c d^flmn adiacent anima: vt cum dico» Ani-  msi cfl maltgna vel dofla i homo albm. DTuifioprimafumiturredcab efrenriaNomjnis^quas ;  est SIGNIFICATIO. Et quoniam res omnis aurefl: substantia, (cueffentia,ricucAtf«ip2c rr/^w^if/a/jaucaccidens ;  , fubAantix- feu efsencix. vc albuSyhCli^eu$\ cum dico,' /  homp eA albus : crianguluscft Ligncus*'- propterea omne. Nomen auteftfubftanciuum, aucadiediuum £c !y Aib- ; ;  ftantiuum , idem qiipd eflentiale in hoc loco. Vnde al-*?h. ^  htdo eft fubftantiinim , duoniam gnificac pcr modum  fubfiftentis, licccalbedil^^ift^c.res fubfiftcns in fc, fed ^  in fubiedo corpore. GrammaBt!ti^innen refpicic modum fignificaiiai,nonrenifignificacam:ficut Metaphy/!^  Aibusvero dicitnradie Aiuumsauiaper jfenon figniii.  cat fiibfiftens ,fcd inhacrensacciaenfbue^Iten. £c;pro«  ptereaetiamly sationalc hpinini eftfftdicAiuum :n$m  licet fitfubftantklcicciindumrem : tamcn (ecundum 8e  fignificandi modum videcur adicdiuum , vt accidensr. GRammatici dixcrnnt, Nomen rubflantiuum efTe  illud^quoddeclinaturpervnam vocem, &; vnum  articulum , vc/^/i:/>orV^«: vcl per duos articulos, 6: vnam  vocem,vc ^/r^c^/j^r^i^mo. Adiedliuum ver6, auodper  tres articulos , 6c vnam vocem : vc hic, hac^ hoc fsliK'  vel per tres arc.& tres voces : vr hacacerjjaeacris, & hoc  <rfrtf •velpertresarc. & duas voces : vc/&i^ , tatU^  n^Us^Schoc rationalei vcl pcr tre$ voces :vc^pfl0;, jtf»^,  bonum. Sed quoniam lingua latina non recipit articulos ficuc Qfxca, deciaracio ipforum eftnulla. Vnde  multiGrammatici non vtuntur articulis indeclinandoi  Vuigaris etiam Lingaa nonhabec-nifiduas voces^ vt plu«  nmum in adie(fbiuis : vc kidiUB ^tiL kUntai^in pluralii  hianchi hianc^iej^^saj^xxtx &: I lifpa ri i^ i^rab^s^fe Hebraci. -PfxtereaHeclaraiio ipforum non d^i nacttca No«-  imnam^feda (Igno adiacence)& vftt;   Vimjio 11. Nominum ex qtiantiMt.  Arck IXL.   Nbminnnalittd commune) aliud propriom. NOMEN COMMUNE est, quoJ plura Itmilin fimul significat, ut “homo”. NOMEN PROPRIUM est quod significat unum, ut, “Roma”,5c /'<r/r«ij& giQptereaciiam vocatur particttlare, &pcrloiiaic.-   Hi£c<Uoifibdici Cttriqoanthate , qaoniam commo. 4idcttr de. multis. N^m “Petrus ed “homo” “Paulus” c^hnmd Vrancifcns  efi homo, Propriu vnifoliconuenit vc “Roma”. Non cniin  dicicur Roma nifi ciuitas illa, in qua Papa regnat.F.t qua-  uis alia; ciuiraces polTint vocari Roma ificut&ali, ho-  mines eciam vocancur Pecrus; camcn incellcdus luiius  Nominis, X<>w^,& “Petrus”, refpicitvnum »cuiusefl: proprium. Sed profe(fl6 grammaticalicer omnia propna  pofTunc ficri communia secundLim. vocem, feupera: qui vocationcm  fcciis tucem fecundum rem ; vc in Logica  docebimus. Reclc camen hanc diuifionem quancitaci  adfcripfimus } quoniam magnirudo & mulcitudo in (1-  significacionc ad quancicacem spedare videcur Nomina  eciam a pronominibu fiunc communia, &: parcicularia,  & singularia i vcjw^w /;<»OT« altquii homo\^ hk homo'S\'  cutfuo inlocodocebimus.   Tslominum , am?ncro. Ominum aliud fingularc, vt homo : aliud plurale, vt  bomines* . T T^cdiuifionon refpiciccolleAionem ,&vnitatem^  XjLficutiam di^la ifedfolum prolationem. Nam A#-  m9 , cft Nomen commune ,& gens , & populus ; plurae-  nim significac, sed pcrmodum vnius colleftiu. Et propter ealicctfit nomen communejnon tamcn est plurale,  icd singulare: hominei autemnumeri est pluralis, quiaplu»  raiicer profertur. £ t hoc in omni lingua similiter. Nominum, ix ordine. Nominum aliud primitivum, aliud derivativum.  i4 ^ramm Atlcalium  PRimiciuumell, quodanulIoefi: gramaticaIicer,vt;55--  moy & mdns. Derivativum, quoclab altero deriuajturivt “humanus” ^h^^oxrnnt : sic “montanus” a “monte”. Semper autem deriuativum est adie(3:iuum,auc verbale: primitivum xionitenv. REclediflindlionem hanc ab ordine fumpfimus. Oi'-  do enim est, vbi datur primum et secundum, 6c  tertium feriatim a primo^ercro quia aliqua nomina sunt  primitus impofitaadaliquid significandum substantive:  dicunturrc£kc pr iiiii ordinis : qu x vero ab eis , dicuntur  deriuaTT, ficutriuus a fonce. Ecquidem datura deriuatione etiam deriuatio. Nam a Marco deriuatur Marcel-  lu5 ra MARCELLO MARCELLINUS Ec a lufto luftinas .drufli-.  no luflmianus. EtquidemJy luflus/umirurfubfiiantiu,  quarcnusab eodenuaturluftinus &Iuflimanu. Non tamen inuenies derivatiuum, quod non fic adiecliuum , vel.  verbale "i patreenimdehuacur paternus Scpatrizarc. DAnturNominapofitiuajVt iu^us-H. conaparatmai  vc iufii6r-H fuperlatiua , vtjuffifiimtts SIGNIFICANTIA magis iustum et maximtiufi: um, & hoc apud Latinos,  non incundis linguis. Et quidem compararivum derivatur a primo cafu. definenTeini.fi.n.itf/ fiaddmius ar, fit  iufiioribifort} Jortior. Ar superlativum regularirer deriuatur a pnmo cafudefinente ini/, autinr,^. vtkiufiif;  & fdftis 'iufiiJHmuf, ftrtifsimus - & a miftr., miferrimus.  EXCEPTIONES LATINORVM. Excipiuncur hnitt ,malus paraas ;;.v;^nflj: ex quibus  noii deruiarur bomor bom^\mus^ 5c walic) ^f.^ruior^  ma(^nior ^rnaUfr-nus ^faf^ifitmui ^waf^nipimu , lcd a bona  meitjr^ optimui ' a malo pcjor^fcfamui \ i paruo nntior^ mir,i-  mus : aaiagno, major^ maKimu!.F.xcipiuntur noniina desinentia in ificus y ytmaj^ Tiifiius ^fiiakfcns hcncfccntue  beneficus^ fimJia : 5c quibusderiuanturw<i^«//ffr77//(;r , w^-  gnt^cenn^imus :*nalif(€ntUr^ malcfcentifiimus : benefcen-  tijlimes , et similiter in similibus. Prsctereo excipiuntur  qu^edamnominain desinentia vtfadliSyhL humilts  quselicec producant faciUof^ humlior it^n^en non ad-  iungunt^icem fafiltfiims kamiiifitmusikd fadUimus U  humslUmus .^radiUmns. Dicimas camen ab vtili vtiltfii'-  iffffi.^pudPliiiium. In vulga naucem lingaaperadiier  bia gtadaadcur, vt fi^ Bonp i l piu h no : ntb pnrfidiu  ^o9i;/^m^i>9r^/jfim^ Gailic^ vetbYm 609*   qaoDiamtercio gradu dift^tfuperlat. apofic, '   Grammatici b an c difti n^lionem vocant /peciei ,vndc  dicunc prnniciuam speciem, & deriuaciuamrfed c^nn  fpecies fitid quodfub fignato genere ponicurraut rei  apparentia : cum hanc diuifionem non ponant fub gene-  reafHgnato vllo,non rede fpecificam vocant. PofTenc  cnim limilicerdiccrcipeciem fingularem &cpluralem: 5C  & deplinaCLoncs eciam fpecies nunciipare. Philofofhifma Grammatkdtiqnis ad diriuationes. F DEriuare'6ft rluum de foncc ducere. Fonscficntii  rcrumeft, vndidacicarexiftentia & adasexiftcn  di, adtuaodii agetidi., fic natioulL Idcirc6 ex nomine,   quod efrcnciam fignificat^cleriuatur verbum. Nec potefl:inueniri verbum, quotInon fit a nominervt cnima  nominederiuatur« (?w/«<«r^,itaacaIore caltre^ caUface^  y^rafrigore  rw/r/V/^^ i ab amore amo :Avita viuo^ abho-  mine homifico erenim vbi non extat verbum ,oportec  illud fingere in GRAMMATICA FILOSOFICA; vt a remo-igare : a capite capitalare - a manu manej^pare dicimus in vulgari idiomate, vt a patre fatri\\ars icc.fpaU  leiiare campegparey fefleggiate. Veruntamen vbi prius reruma <flus, quameflentiain-  notuit deriuauimus nomenA verbo non secundum naturam sed secundum neceffic a^ex c/^; Theos i, vidco dici-  tur5^£;5 Dr«;:&a lego dicitur lcFfor-i &:adiligegere dileUio. Essentia enim diligcntis qua diligens est,  nomen non haber, ficuti multa, quorumeire eft adic-  ctiuumnon fubfiftens.  Quandp veux^ilVnm ctTmftro~a e- xiflendijVel operandi,vel agendi,vel parrendi fimulfignu  ficatur,tunc ad vtrumque fignificandum fex nomina par-  ticipaliaderiuanrur. Duodicunt pocentiam adjndlum,  \l\amafjilc Sc ajnatiuum : fuFiihile & faBiunm , idefi: quod  poteflifieri 6c quod potefb facere : 5c duo significare frentiam cum adlu prxfenti, vt amam & amatum , portans & porcatum : duo vero cum aclu futuro, vt amatnrum &  amjmltirK ifiiFlurum Sc faaendnm, ideft quod facier 6c quodfiec. Duovero praeteritum concemere aclu cuni  cllcntia debcrcnr,qux tamen IN LATINA LINGUA non reperi u n tu r -fed lY^wrf///'w ampliaturad prxfens &prxterr- tum sicut & ly amans. PofTet autcm dlci Amatutam. & Amarans, lcclntum & ledatans :porcatutum &  porcatans. Qui ergo linguam perficere vult confideret. Diciturtamen inaliquibuscacnatum ,ideftquod cx-  n:\uit,8c quod cxnacum efl : fed confufa aclione cum paf.  lioTie per inertiam vfus,cyranni fermonum : non auteni  rationis,qux Rex efl sermonum. Quando essentia non cum aAu, sed cum virtute ad  aclum dicirur, dexiuamus nomcnaliud in torvt Ai^ator, tr   «dificatoivideftqui arcem5c yim ardificaudi babct vci profefnoiicm. Rurrusqtiandoinftrcimen^m vel a!iquid 4nftrtimen taleadillum adum, enunciacur deriuamus nomen aliud inoriam tfinemy Viam dipnvm JotttMium exetutc^  fium^fcnforiumy potiftatorium appetiterittm.  Deriuamns in Mum &a^iuum , quando qiiod de gVr  nere maceriali alicuius eft prohunciamus, vcfa^itium,  nouititium, commendaticium , {litlaticium&Tulg6 niOr  uitizzo, compariccio, acquariccio,  7 Q^ndo mocium efTentia: cum adu: in«r<<deriuamus, V t /^.r, genitura, creatura. Quando congeriem elTenriaram & aAuum eiufdem  generisin entum dcriuamus vocabulum , ut “firmamentum”, documentum, & monumenium vulgo par»  lamento facimenro, magiamento,fentimento.  Item cum pcrtineraliquid adefTedicimus, in ile &ale,  deriuamus : vt/6m/^ ab hero, feruileaferuoiliumilcab  humo, ouikab ouibus : b(aciiiaIeabraciiio : exiciale ab  exicio. Quando ipsu adu, vt cfTentia &q m'ddita5.eft,Tel in ufl vel in ia vel aliter deriuamus vt Amorjlanguorjdoldr, fa-  pi£cia» do<?l rina, led io,amacio,iu fti tia , focutip, difFcritas.  . Quando efrentiam plenam adu , in entia, vt mdQlen^  tia patientia, conniaencia) fomnolencia, pracfentia , clifw  ferenti A^abrentia. Qua:dam dicnnt eflenttam 6e curam uBlva^ in aHmm  deiinatasTC Armencarius, Cbriarius,Commiflarius,de«  pdfitariasjlonuius^ 6c vulgo ftafiiero Caaaliero, fi)mie«  ro&c«^   Qusedam dicunt cflenti & a<ftusfimulmunus, £c iii   ifl»«deriuantur,vt “lanihcium”, “opificium”, “di/ridiuni”, puer.n.  perium, “pontificium”, “sacrificium”, “presbyterium”. Quxdam comparationem dicuncadie< fliuorum, quiedaniiu perlationem m /«r , 6cinij7itai dehuaca, vcio*  ftior, iufl:ifTimus, aiufl:o, &c,   . ii][u^dam dimiautionfim. ia mkm & vxiUm  lum, vtwi^z/i^^a/ai^ peclurculumj corculumj  &mollicel-  lum, marceilum rcribillo, refocillo&c.   Qu^c aucem iiKlinationem,cum adus deleflarione in  cfurn deri uauc ^st,amor9fu>Si fragoftis J carnorus , vinofuj,,  faftidiofus.   Ac in lingua Lacina non reperitur verbum &nomeft  has omnes derijuationesiiabens. Picimusenim , Amol\  aman s , amatum^ amaturum amandum amati^um, “amabile”, amacanumtamatop, amaciflimuus, amantior, sed  deen: amacio, amamencufn^ amaficium, Amatura, Amanitia, Amorofus. amaticium jamaeile :qdxtamen aliisnon  de funtvbcabuiis»   ^ In vuigari linguadefimt dqriuationesiiiiiltx^fed alix  Mifupcr adduntur. Nam alfignpre dicinius signorone-,: signorazzo«figQoreito, signorino, signonizzb, fignorclrr  lo, “Pietro” “Petrone”, “Petrazzo”, “Pecrocco”, “Petrino”, “Petrillo”, “Pietrazzo”. ^r^iriTfff iHdirmd^nii iiilinpni al ti tudi- WMrfiprifaz^^o'^\^t\t\xA\n^modtcam dimi^. nutionem (finorinj^fXus minuic 5c fegregat. Stqrjore/'  h,zd ceoericudiiieiii imbecillam traliic. St^oruz^yO ad  minimura, Suinta nominum dimfio a S^xUr^ Art. Nominum aiiud mafculinum /aliud farmininum, a*  iiud n^ucrum , alittd cc>mmunr,aliud omne y aiiad  promifcudm ^aiiudincertumi; 'Otwenniafbulinumcft qwod mafculum in fexdi^-  rum fignificat: t4>jagta,& dbu*.. Et dcdiDatiir per  arti culumbic. Latifiis, vuigopeiri/. e"'Fxmininum.d[lquod ramiioam fignificar, vtfi: & alba &mtt Uecd£. defignaaturper articalmiH i&^A Vulga  per/tf.   Ncucrum,<iuod'^ecau^ f«minam fignifioar,  iFtcleclinaturper ai^iculuno vc ftudiuiti^^calbam»  ][acionale. 4^eftiVi vulgarifennone arcicttlusneurri. Commane quodfimutma fcuIumdC&rminani figoifi-cat:&notatur perarticttlumJ^i^ et hai homo^ti adue*  ni;&'ratidnalis» »   Omne eft quod fignificat mafCttlum, f^niinam,  neucrum: 6c declinatur pertres artijculos, vc i^ic &: /;/r<:   Promircuum , quod fub vna fcxus (ij^niflcacione Hgnificacvtriufquefcxusanimal, vc hicPaffer,ha:caquila secundum vfum loquendi.   Incercum quod nunc mafculinc, nunc fxmininc pro-  nunciacur Wi&4r^£uiis^.tamlacinc, quam vulgariter, Qunnmisresomnc'in omni rpecie.iubeant-aliqua'  indiuidua fortia, vta<3fiaa in generatione aliqua  imbedlla dcpaffiua in generatipne^pr^fertimanimalitim Larinitamen vfumrermotitsprsd scientes jionragnofcunt fexumn Lfiioanimalibur. Etex his cradiaxerAmcad plaiv ; icas. Pydiagorici aucem (exum-ip x^undlis a g n ofcttnc r^r  bu$ : ira vt agens fit mas , patiens £emina , materiaque.: ammatici raiiien in omnfveliocoonagnofcences, dti-/  ; fftpbj^run^ fettti1i>gc i^omen maribusr   &mininutnffim alias tranftute;   nittt. Qiiaproprer Z)^»/ ^?te4ttt4iiafcul^ , terri^ fx^  mininc: Sci^vis mafculinc, fa:mininc, quoniain bis adioin ifli^.pa/Iiorelucrbat. At in rnultis (^enus non ponunt,ncque.'enim ftudium eft mafculu.s aut fxmina,  &rcdc. Sed rebus fxmintisaliquando danc vtrumque  nomen:Aqua enim dicitur />wy^ flrminine , lateK  mafculinc : & quidem aclus voluncatis vocatur-appetitus  mafculinc, auiditas fxminin^ : et defiderium neutrali ter.,  Scamnura etiaponjcurneutraliter.cum potius Avminine  idebeac ponii qttoniam ittbfiac^vc faemina fedencibuSft  Di^itizecJ by Go Quapropcerdiftinguendficftde feJtoPhyfico &c Grammaticali. Pliyficcenim non daturfexus nifi mafculinus  et fxmininuSjVt in viro 6c muliere:^ promifcuus, in  hermaphrodito , 6c in lymacibus, communis :nam motus vehemenriscft mafculeus, debilis fxmineus. Neu-  trum autc nil videmur dicere : non enim proptcrca quod  noncftmas nec fxmma eH: aliquod genus. Sed porius  eftnullum g;enusphyficum. Sed grammaticalirer dantur fexusplurimiiam di<fti;mafculeus, fa!mineus,neutcr, communis,oranis, promifcuus, &inccrtus, fecundulo-  queadi vfum, qttinon semper nacurac correrpondenr/ed plerumque,in Grammatica humana Grammacica aute  Angelorum melias exprimic&per cercasvoces cetcos  fexus &veracicen   Sexum Grammacici vocanc genus, nbnredevi^on  enim funcduogeneramasft &minat V^in logicapate bic. Nomtniim ajbrmatione   Nominum apud est formxfimplids: aIiudcompo(i«  cx : aliud de compolics. Nomen simplex est unius vocis, compositi pnis ex-  pers, ut “animus”. Compositum nomen est quod ex pluribus nominibus,  componitur j Vt “magnanimus” ex magnus 6C animus.  Decompofitum vcro eft quod ex compofito deriuatur,  non additainterdum compontioneaUa^vc Magnammi-  exmagnaninio.  Onab re hanc distinctionem ex formatione voca-  accipimus. Cumenimres alix conllent ex  NOni   simplici forma , llcut aqua. cuius oinnis pars est aqua ob  ^lDriginalem homogeneam formationem. Aljx conflcnc  "{^tyi comj)ofitaforma,ficuti pirum ex circulo Scangulo. Alix ex pluribus compositis , Ilcut facies hominis ex forma oculi et nasi et genarum et mandibulx, 6>: auris, &  ceterarum partiumjita euenir coportet vocabulis in fui  formationious. Forma enim totius ex formis partiuni;  formx partium ex vnitatibus resultant simplicium formationum ificuciin logicis declarabimus. Vocatur ctiam  figura a Grammaticis simplex composira iquos non fu-  nius imirari '/quoniam formatio propnus quam figura  remhanc elucidac. '   Considerandum quod compositio alia fit cx nomme  &nominevr “magnanimus” ex “magno” ^canimo ta- '  •r^-La ex nomine & verbo , vc “magnificas” ex “magno” et “facio”, j  aliaex nomine& propositione, vt conferuus ex cum fic  seruo, 6ctranrpofirioextrans& pofitione: Aliaex aduerbio & verbo, vcraaleficu5& male&:ficio :alia ex aduerbio 6: nomine vt beneficium. Accidentia communia omnWus Nominihm.  ACcidunc  nominibus declinatio6( cafuSjinllatina-  Grammacica.;    C G  Casus est mutatio noixiinis in fine Teu cadentia di."  dionis in eodemnumer 6,vc Pecxus Peai Pefro. DISTINCTIO CASVVM.   CAfaum aliuseft reftus, qui nomina dnu$'vbcatun  quoniamonmis rei nominatio primainipfo est.   Alius obliquu^quianon adres fblam nominationem, sed enn m ad aliquid circa rcm fpcdat, &: cfl quincuplex, videl Gcniriuusdaciuus accuIaciuus, vocaciuus. 6v ablativus Quibus debet addi aduatiuui, vocatuja GrammacLcis feptimus ca(ufi. Nominativus dicirurcaftis non quiacaclit ab alicjuo, sed quia in finc aliam cadentiam habet quamahj et rcclus dicicur, quoniam reda nominacio cfTencix per ipsum est. Alij dicuncur casus, quoniam a nommacivo U,  ledicudine sijgnificatiomscaduntj &nraulinfine mutant cadentiam. Dicitur gcnitiuus a gignendo, vel quia primus gignitura redo vt quidam volunt , & hoc minime. Nam poctac non magis ingcnitiuo quam in datiuo dicimus, dc-  Patri <i4i/i««i, vicmior eft pzter ^cminjtiuo , qu.im patris.  Gettitiim Si quiadditvnamlitteram fupervtrumque. Sed  dicicur genitiuus A gignendo.quoniam pactcmjip geni-  stiuum poiumus cum nominamus fihum morenij fibrum,  'Vt Pl^tfUsIoannis filius. Sed non solum patrem ,)[fdpofr u. '  fe(rorem,& fubieaum^^^ 5c aha?^luto|poDfe/   fxpe in^enitiifo^v <}uon1am luri^ijf|if^jpfBkm i|«   }$tn cum patfe faJtem Grammw^em^"  » nefcierunc vocabulum explicans omnia.   - ad  adhunc cafum pcrtinentia & declararunt eum amaicri   Dici cur dativus a dpiiando, quoniam ille', ciH quid datur, poniturintali.carttplerttmque»ticel i^itcrdum&tui   aufertur &, cuLtimetur56cc. Accufariuus dicitur abaccufando, cjuoniam patiens.  caufa quafi femper in ipfo ponitur ; accuiatiautem cft pa.  ti. Accufareaucemciletiam adnotare&fugillarc.   Vocatiuus dicitur h vocando; quoniani ciim quem.  piam vocamus , in iioc ca(u oblnjuamusjnomen, vt 6  Petre*'   Ablatiuusabaufcrcndo,quoniamcum abaliquo quid auferimus,ponnnusillumin tali cafu.led etiam caulaa-  genspaiTiuaibi ponitur ,6c inihumenta omnia, quibus, operamur,vtquibusimplcmus&:vacuamus,vt.loquentes  deverbisJ declarabimus. A(fbuatiuus ab acluando^quan-  do forma.inftrumentum & pars indTnmcncalis adum   concexnuncimmanencem,vtini. lib. docebuuus. Non fuiRciuncpracfacrcafus, qubniam Poc Hiaeftno.  minatiui, vocatiui/& ablatiui. Poeriveif6 geniciiii,  datiui in fmorulariter & iterura nomin.i& VocaCiio plural.   ergo alij aidendi crant in cun^s declinationibus, vel  ftandiitTt in.articulis , vel addendi. Nam cum vulgb  dicimus j//>^i/fi/o^/-non habetur in latino mCifMfi^  fhtts , qui n on exprimic quod3ir^idnuit,pr«fertim inan-  tlionomafia. Declinatio est - variacio cafuum nomin.um gene^  jracimt   Quando nominain finccadunc, feu definunt aliter,  cum dicunt efientiRs , 8c alitercum circa elTentias  aliquid de illis dicitur in lina;ua Latina & Grxca : in no-  flraenim vulgari noneft differenriacafuum ,fi?dnumeri  tantum:loco aurem differentiarum pooimus articulos,  quibuscarent Latmi & abundant Graccij & in hifce cafi-  basnonomnia eandem normamferuanc^leddeclinaoc  abeavariando pluribus modis apud Latinos jin vulgari  enimnomiifi duo funtmodi,6canomiQadaisagnofcun.  tur non i genitiais, vc in latina » Giammacici cradide  runc declinationes nominum. DE NVMERO DECLINATIONVM. Sunt^titem Vfeclinaciones nominum fex: prima caiaa i.  genitiuus (ingularisdefinitin, diphth6gum, vt Mufa^  Mufa^. Secundacuiusgcnifiuus fingularisdefinirinijon-  gum vt “dominus”, “domini”. Terria cuiusgenitiuus fingu-,  Jaris definit in is , correptum, vt pater patris . Quartn, cuius gcnitiuus finguiaris definitm i^; producluni, vt vi(u5,  - vifus. Qmnra,cuius genitiuus fingularis definit V/, vtfi-  des fidei & fpcciesfpeciei. Sexra^ cuiu.sgenititt^ifingulaxis de fiuit m ^ , vt cornu cornu,: J,cfuS) lefu.  Nominacioos non indicac declinationes cafuum»]  quoniamconcingic ipfittti tpl«i^bus moJis accipi  i N omina imponencib us , cum prxfercimd lingpa peTe"  mBain kuinam accesfianciur, fed in geniciuo ccncor4^  danc, Bc io^cieceristpropterea a genitiuo babenC; diftinonem -fingular em, vc Poeta poecas » Anchifes Anchi/se»  Eneas Eneae, Adam Adae , Aminchas Amintb«. H^ep  cfmnia n6mjaa fpe&ant ad primam decIiaaciQneni , U  tiberprimHs.  coniieniunt in genitiuo 6i opponuntur nominativo,  Seci profedo Calliqpe est prima: dec]inationis, &: concordat cum aliisin genitivo ,(}uifacit CaI!iope5,propterea.  dicendum quodnomina purtlatina conueninnt,externa  vero variant in eadcm^declinatione: idcm videbi&in^»^  5.&^uai' cai declinatione«&x|uinta&rcxta. In prima Latinorum declinatione n omi hati uus definit  in a, breoe, ablatiQus (imiliter in, a, longumVocatiuus  in a;breue : genitious 8c datiuus in ar.diphthongum   inxe videturvuIgQS latinofumeriraire iomnis (snim  ^e^bet ab omni & /ineulo difbingui , quKndo praefef^fhi   non adeftarticulu5diuingues,nequeprontxciatio.Tgitur  non tt6th dati0us,6c Genitiuusin ^ddtniSt. Loco Quorii  vulgares ponuntartlcuIos^W&«i/, vt,del poeta&jal poe.  tas, icrrbirur.tiecre^ amnormft renuerutponentes poeta  in nominativo, vocatiuo, et ablativo. Nam necvariatur  quantitas in pronunciando nominatiuum & vocatiuurhi  necfi variaturin ablatiuoagnofcitur j cum folum penultimarum in latino agnoscatur quantitas. Prasterea in  plurali latinorum numero prmiac declinationis nominativus vocativus qacdermunt in a:, dipbth6gum, genirivus   in4r«wdatiuus, 6c ablatiuusin, longum , aut inabus^  cumA masculino separamus fa^mineum fexDm : sed profedo nonrecflt, quoniam confunduntorarione similitudinis cafus : idcirco diftinguendi erant faltem per arti- '  culps. Feliciores in hoc ^nt Grxci vulgares vtuntur .  articulis:vt nominatiuo /i peeti - Genitiuo delli poeti:  accufatiuo&/«^/i ^vocatiuo k ppni^ ablatiuo daUipoe-  ii. Sed non refticonfiindantartiailum nominadui 8c  acca&tiui.  Secunda declinatio telatitiisrationdlite Rdicuntenim  Nominatkio Dominas^ genititio Domini,djiduo Domi. .   no»acca&tiao Dominiim, vocattuo ADomiiie» ablati«. finiiDmMQo: Yariantnominatiuum iDus^Dciminas: in  ' VE ij i€^rdmmAticalium C^mpanelU,   cfjVcmagiller : fcamnum in hoc genere neutro con-  fundunt nominatiuum cum accufariuo , vocatiuo in «m:-  & in plurali fcribitur in ^,hi tres earusdermunt.   Incertiadeclinatione nominatiuus multiplicircrvaria-  turin r/>f ponitur,in iz.vtfiElix.mo7j,vt Artneon,in f«,vc  nomen,inrff,vtlaciin es , vt Aucrroes - in ,^,vc omntf :  ia ^ y vt epigrammii : in , is , vt nauis : quas in gcni tiuis-  coniieniunrin,,ff»datiui^ ivis\m accufatiuis in, >fed  neutraomnia , vt innominatiuo r vel in, /w, vt nauim :m  ablatiuo in^/,v«liii«^cumcon£uiu>nedaiiuiy&aliqUan'-  donominatiui. /   Quartacieclittattbin^ irihaber nomtoatiuiinr , &genr.  tiu^m &vocatjiiuftinngulares, quoseonfandit   cunnno*  ininatiulsvocattuis ficaccuiatiiiis p tttraKbus.dact.ttU5lia^ '  bet in , ui, accuCifr iifff,.aBlar.hiv«r.   Quint»concordatinr»ominatijuis in ,«^deGnentibus  fcmpcr Sc geniriuis in cuncbs.io.t ^ fiid t.<i«i £tfhdit genr-  tiuoscimrdatiuisin fingulari. Aceuf. in ,>w , ablat. in,  #, fedvocatiuu5ftnguIaris6c nominatiuus&accur. 5c vo-  cat. pluralrs confunditurcum nominat fingulari. Genitivi rcdc fc haben* in corum pluralicer ^fcd datiui cum ablativis in- confunduntur>-   Sexta declinatio non ponirura Grammariciriponcnc fa-  quidem: NihH .n. commune haber Nominanu{^Ar«y,.  cum cxteris prxfertim cum quinrn,in quaab eisponitur.  Nominat. genir^^iccuf. vocat. ablat. faciunt , a , fcmpor-  in fine. At inpJurali nominatiuo vocariuo & accuf in ^  vt cornua»^nua, vcrua» Prxeereii. feli datiui con-  fufi cuip ablatiuirpluialis» nu^eri ii^ iini copucniua«c  i2ttin.<]uae/untcjuinteti ^'.  A ' ' ^   N. Hogua^ Qrxca St cafus {^iif^ScuIi c^^  tiaruo» nominatarfiadualitiaiiei^*ln tatina' foii tSLfkp  vuljgari^ IlaIa,Franci^ «Hirpana, H^breaAi Af abica,  hl ai;tiajii Droptcrfast <ji*mil5 acciientia > i^Juna exa^ Liberprimus] v   declinadcmemeileVfiomi Qibus* Igtcur nec^cnr^c.cJ'!-  iMttiocUndis quoque^Laiinis. PRononi^ ncdvocabuIiim declinabile confignjficiia^  perfonas, velperfonalia eifentiarum. »r . . r;   ^  E  E     T id circ a d i citur prononcien ^yjoniaiia ponicurloc  proprijnomuii. Rgo femper repwrfJntat efl&ti^run? exilfeiai^s:,  Yelexidentiamprimq, dt Inredorefieiitiimiii^  b]iquo> (ecnndarick   Dlcitur pranotnen vficalttlam jfars orationis drdU  nahilis, ficut& nomen ex fuo genere, qui conuenit  'Cumkliisdiaionibus,&ex difFer^tiaabindeclinabilibus.  Non additur vel art)culahilis , quoniam / articuiorum  'iiobeftarriculus, pronomina autem varticulifunt. Dicitur  cofippiifjcat ferfmas vtl pcrfonalU effentiam ad differentiamNomfnis& verbi: quor^im. iliud %nificante£.  fentias,iftuda6i:us.   Eft aute pcribna quod perreaIiquodparticuIari2itu&'  diftincl uab aliis>& indiuifuminfe,fonatWPf/f«/ UfiU»S'  frimui Martini, Omnis eQimres in-iiiis caiifis habercC» ientiampuram^iicuc i&«j^oite meaynoneiirmiftaniai.^  tcrisc nequ e qua n t i tati,neque qiialitacibus ^erum coext^  ficndum^ NMcftin cera^M^iie inUgho, iiequemmias   E ig. 3& CjrammMicdmn CampandUl   longa, eqa.e curta, nequealba, nequenigra,ncque graiT  cilis, nec craiTa. Sed cum Tentc d^ mence meaxdein&n.  tia^ ided ad eiTendum extra cunc noneft am]>litts pura/ed  liabet fiiarri p.erfoiialtcaijem mixm asm,aUisidDus,non  . ei^Hmdicttur .A.Sed hxc.A.curta,nigra, gracilis, &c.  Sic homo in mente Dei, vel in natura ,Tion eft hic Jiomo,  nifi cum perfeeftextra cauias,^propriamhabet perfo-  mm 3c,dicicurhic homo , 6c petrus,&ille^j5c;ille, &  ego,<£c meiis nofl:er& aliqnis. Pronomen ergo n<jrj  fignificatefTcntiam fed perfonam , vc ^•(^o ^/«vef perfo-  naliavc mcustuvs. Et quoniam porsona eft c^frentict subsistentia, anr singulariras, propcerea rcnipcr pronomen signjficat cirenciara, fed personatam, vei perfonam elTeh-  tic-c Aliquando 5c perdonalia, Cume^itp dicoyf/««j jdf-  fentiam significo , fed cum dico , fjliusmeus , significoeC.  fenciam iiltj perronacafmidell hanc&dam £t propcerea»  vc dicicur in jiij ii nn rtii wlUi i i i ^ [ in mm i Tn i ftu loco no-  minis;iq|j^pniam perfona^nonjeft perfona nificflentix ad  extflrentiiip ^eciufl^. £t in fecundoc Qrollariodiximus,  qttO(f sigmfica*c exiftencias efrentiarum; quidauidenim  In rerum mtterfitate eft, existentiam haber, feanon fiib*  itftentiam, aut, perr<Miacn^nin fic substantia: vcAibum  habec exiftencidfii \ ttd non fubfiftenciam , qooisianmon  exiftit per fe , Ted in perfpnaal^cuiusiyvel in indittjdae a^-  qiiocorpore. Perfena c|ttidem proprii diciturdeiatip  nabilibus creatiiris ^ indtttidiium , & nypoftafis de cttisms  creaturisad exifteritiam dedu(^is. In rcdo igitur ponicur  existentia, in obliquo faltem implicito ,e{r^ntia:'cum  dicojille “homo” id est illa perfona hominis etc. Ego Petrus: homoenim fic Petrus fccun Jano ponuntur j &aliquando exprefse in obliquo cafu vt aliquis hominum, v.elquippiam falis. Dicitur quoniam prohdmcn non significat de se, nisi una cum nominee ex prefib  vel implicito : vc cgQ. Petrus qrahicperronaii Ucem ^  fc;     QVatnui* ncMnina fingill^'^ ,^V^(fift"rus & Fafckisdi^  cant efFentiam perfonitjim , h jid tiinienrantpno-   nomma : quoniam in re£lo cfTcntiam dicAnt vt finguraris  &non ponuntur locoalicuius nominis fignificantis essentiam, fed de fe ipram significar. Licet connoratiuc  pronominent, cum nominant. Petrus enim est hic homo filius lonx et existentiam crc^o clicar in obliquo : 6c  significat essentiamin rcdo. Vei existentiam, vt quacdam non efrentia est, ac fub raiionc exiftcntix. Quoniam proprium eflentiale est prpnominisfignificare personasyprima di/lin(%io prbnbminum erit. a  personis., Pronominutnafiud fignificic. personam primam, vc  egQ& nos, :41iucl secunda.m, vt ru , &: vos:aliud tertiaqi, vthjp , & ille ; i^liud vmnei personas vc qui , qua;,    Recbcpomturel Tentialis divisio pronominum a significatione perfonali, quoniamliic eft vfqs &eilctotia prononiinij^.Tresiiimcpn{onzcancuin apud Gianu  mancos« quontamperionarepradr (rntat exiftentiam cum  |irofeitur:qfii ergo proferCy Vel repra^fentar fe, ficdi;''  cit. E^i iiKl.atiurhvquo^.cwnbquiturjdclkididC'?'»:  it iAtb oiiine vocatiuum sdiiien efl; ethim^fl^cm-  dae qaoniam fubaudicu^i», & Velatitfmici^imi  dc quo eR&imokficdico,ltfr. Nos «ddimw personam quar cam , ideft omnem, quoniam pronomen referconinespcrfonas, 5ciiiiif5eiVperrona: quam rcfcrt,  vtegoquijCu qui. illequi : vbi^«ieftprinui»&fecttnda,  & ccrna. 'Myftfrinfii/Tlieolpgicum eH; , cur non vkt^  ten^am perfonafn (ertno prodiicicur. Neque enim ix^  eternicace func plur es p r i malitaces,   " Secunda dliiifiQ^abeJfenna.  Pronbminum aliud fubftanriuum, vt egoj, tu , nos,  vos^fut liic ifte,ille,ipfe. Aliud adie<5liuum, vt meus,  tuus, fuus, nofter, vefter, quis, aliquis^quis^quidem quif-  piam^omnis. Dicitur pronomen substantiuum, qaod fjgnificatexi  stentiani seu personam, quasi per feexiftentem. Ec   itieo n on fo lum f 2;o , tu, nos, vos, et fui, ponuntur fub-  ftanciu«,quscper vocc^ pluresnon declinantunfedetiam  hic,tfl:e',illejpre,qu.x per vocestre5i& articulos pronunciantur, quoniam dire£bc fH!;nificant perfonamjVt  pcrfeexiftentem: & hic non valecregula grammatico-  rum,ex vocibus, &arciculis fubftantiam accidenta» liratem vocabulornni decbrans, Sed in fpiciendum eft  ad inodumv lignincandi. Poluimus adiecliua pronomina, mcus, tuus,Yuus, nofter, & vefter, quomam non fignifiqantperf^iiamdire^cnpcr feexiftentem, sed adiacen.  terii, dicitur enini equusmeus jquafir^Wf/:^w,feu«frA  utt adiaccat equo. Scd curn dico ,'ego , &ille » demon-  ftfandoadiacenciam 6c accidensperfonalenon dico.Sefl^  perfooam ojPteplit^^ dicit perfonamiper,   . /^i^iij:^ ali^U f^idam dicec perlbnam   la : U mnis dicet perfonas. Sed   ircitH adiacet* Eceoinifdi Mexpomcur^^iil*  M.fis , expooitur #wiKi iiW» ^nsnlaris 9C  perfonjitns. Qnod fi ira non est, Ii^e diftinccio non  Aabeaclocum ifi protxoitii Deiicuthabqc in noauioc.   DiSmcJio tertia cx quantitate. ' PronbminufD aliud 7niuerfale , vc quilibec^ 8( omni  U qui€umque ^aliud paiticulare^TC aliauis &qut«  ilain, quifpiani;aiiudfingulare»vcego,ta,iue,iple,l ic;  iftc.,   Pronomen universale est quod significat on^.ncsperfonas fiinul : vc omnis homo. Particuiare quod fi-  f^nificat aliquas perronas rancum: vt quidam homo,&  aliqui &homines,&: ahus homo: fingulare cfl quod significac vnicam fingulareniperronam vc bic Jiomo,iiVe,  3le,aicer,ac vnus. ,  G;R4[mmacicl nonlrede poAierunt intevnomina, dm  nis & aiiquis, 6c quidam :hacc enim nullanf effen*  ttam 6gntficaac npbis : nec illis fubftantiam aticqua-  liratpm: vndeiogicinon vocant eot terminos fignifto  catinos, edconfignificatittos fyncache goregipacicos;  quoniam per fe non fignificani^fed habent tnoratione  offieium defignandi perfonas omncsaucquardam,qux in  illiafiibinteUiguntur. Cum enimdjco, omnishomo, non  incelligicurcflenciabominis,fed omnis perfona hnmana:  veluticum dico,quidam lapis non inceliigicur efiencia  Iapidis,ied aliquod corpus indiuiduum lapideii, feu lapis  dedudus ad exjfietiam aliqnam.Etcum dico, hic homo,  r.on fignifico fubiKTntiam hominis,nifiiecundari6, icd  perronam quam demonftrabomim$«   i.   ETideo pronomtn non ftat loconominis coinmumri .  fed proprij:cum eninvdico^omnis bomo : ly §mni$' significac Pecrum Joannem^Fnincircttm et alias personas  humanas , CcWiott^hU km9 ngnificat Betrum ^ (^uemi   oilcndo.. ' ^ifiin£2io (jiuartaexordme^ •  Art. Vi.   PRonominualiaprimitiua , vtEgo.tu^ nej^vcs ^fui^ille^.  hii^ ijleyipfe^^ts^ ^uis , alius. Aliaderiuatiua, YtiWf«i><««MVlca pronomina primitiaa habenr fiium deriotf»-  .dunma genitiuo didum, vt ego, mei, facic meus» mea,meum^tu,tui,taus,tua^uum. Sai,/uus,rua,/uum, .  ^ nos producic>nofter^no{tras: vos >vefter & veAias.  /I producitY/^i^iii «liifi faocfit compofitum ear ^ dmftfp,  jitipfe^illeM<,^hSmtiffmk\^ produounc| de-  riuatiuunn tf/HH t^tni^LcixjilunBifLeiUfr^^lufdHiS* Ip&L:  <juQ€)ue facic i///;iwf X iipud Blautam*.   Dti^fio uinta ex numeroi. '   PRonomcn aliud fihgulaic,[vtcgp :aliud|difc5ale,j Vtc- E|Rima,reciitida& cereiaperibniKAmt nua^rij^luralis   'rraiaciii i . Hoc camefi norafiifum qood in Jin«::iiaLatina et vulgari leahcanoncorrerpondenr C\h'i pluraiis nin-ne-  ru«caa<i fiQ|fbtari^iQ prinil5 6c (ecunclisper^ooif- 'Ntim  fcumdicb ^^^innngulan , deber£dicere7^09^>ibpluraii:  & ex /fr nngulari, /«ff/i in plifrali nos AffiKEtprweSk^ iingaaTurcica'^lt<*f!^ habet  -condicionem, qnoruam proego, 6Cfi%l%\oihetlsM^t^'--  niy pro cu & vos ,fundr fani^pato eciam aliay lipguas yfoii-  Iher fe habere. In rcrtiis perfonis rcdcfe haue^c^ iin-  gularceniincl\///f,i/rf,//i»<i:plurale//i/,A//<f,i^^^%)i^n£iio fextaexJexH. Pronoininum aIiud mafcuhnum vc i7ii: aliud fa:mi'  uinum ,vc///i^}aliudneucrum , vc//i«i/:aliud omnc,   EA<Iem rationedeciaracur fexus pronominum acquc  nominum Sedpi onomina carentcommnui 8cpro-  mifcuo ,&:incerco. Quoniam cum fignificanc perfonaj  appoficas cflenciis^clarcfignificanc rexumabfcjue com-  municace «promififuii^ce 6c incerticudine.   V 1Diflm3ioJeptmAaFormatione.   An. yilU 1   PRonominumaliud simpIex,'vc//- & /y^^ralius com-  pofitum vc idem U ifihic | conipomcur is U dc^' GrammalicaliumQim^aneSie,  NOn diflfert dedaratio figurar fimplicts U cdmjK>-  Cnx nominuin & pronon-Hnuni. VerumapudLad-  nosnon uiueniniuspronomcn dccompofitum. T^rofoftio de declmmonihm fronommum.  Declinationes pronominum fiinc quinque. Primac4i-  iusiingulans gcnitiuusdefimciai vcd^gtfginfi, tUytmii  /v/,carccenim/arinoiiiif)aciuo.   Sccunda cuius gcriiciuus deflnit \nius ,vt iUfiUius^fCej  iffi^s j i/icy ifim$^. aUus^alms : aUeralitrius, ^   Tertia cuiQS geni tiuus deHnit in i, vtmeas^me^f^ml^^  hcitmei^me^ymeijl^cJiSgwi , tui,tmf0iHi4 i^fintfyftti/a^^ ftiix,  k vrfrv^ ve^n\ veftm^ vefirs : ipofier , 4w^em , nefiri^ ntffir^e  nefff*  Quarta eft cuius geniciuus fingulans definicin//, vt  ^nifiras nofiraiisivefiras vefrasis. Ad^ nancreducunrur.pa- '  cronihiica mafcnlina , & ficminina , qux rcperiuntur in  prima 6c tercia declinat. nominunl : fed ron riim nciid/ra  vtputant Grammatici, fci] pronomini gciuilirui.   Qaintacuius genitiuus lingiilaris dciinitin h^ivzfre  b^e^tOQC, Facit ^«/«f/ : //, ect , iiljactt cius, Q^ i\ vcl ,ju\ oi^  ifuod ifacii cuius , & codcm modo fe habcnr compofirjv,.   - ^ f w ^ '/*^^» eiufdtm - ^ ab aliflftis a lii^ius,    m   Quoniam pronoiina flc<^ u n tur in finc cum cadi t dU  dio «haberc dicuntiSr pafas : 6c ex ipforum variar^  ' CiOQe^vairialaittif declinaciones» & plerumqucagenidlio:  uaihqaam in pluriboi cafibus reperiacur vanccas cam in  plurali) quim ip fiegulari. Id quod:fiatcemiaa&'das XaXi^^s;c plures dedihatrones. Nihil cnim commune hahct   W,hxc.hoc,&iflhic, iftha: cjftoc, cuinis, ea,jd,&.quis   vei qiii,qUcT,q"od.   Prxteroa dantur componta pronomina quorumalia  . fcruant pristinam declinationem in cafilnis, prxfertini genitiuo, vt/f^d7Wf/,</>/^/?Jr/,/7/^Wif/ /«;7i^'/fcribirur, //1  demi^hicce^h/ccc(^hocce,huiufce hc\t. A Iia non fcruanr,.Oam cx ecce & eccon^^\\c\nmseccum^ eccam^ eccum , non ra-  men eccihMtus : 5c ellum,eiia m, ellum, non cameii eJlius,  prbecceilliiis iquoniamlylfrrcfolum acctiratiitum ref-  , picic. Sicuti fnoimi& tafipt^ fol um abjbMii|Ql^ueniiiMli»    O^inta pronomina naiiieraK^ bitbent incercas. de-  ciinaiFiones-* nain vffar/, tny^^, , f^it «^«1»/« Sed   reliqui nameri fqnt indeclinahiles. Scribiiur e cericra  pronbmina gentil icia, vtAquinas feruancanalogiarh^d!'-  cimus enim^f»i>^///,«9|fi'rf//i,cumponuntur non vt no-  mina, fed loco nominis. • •. ^nim^dtierfio de fatrQnimicis. ^   PAtronimica funt in prima declinatione nominum :  vt Eacidas Eacidx;& in v vtPriamides Priamidis-.fic  Priamis Priam idis fxminin^ d!cicur,quaequoniam ponu-  tur loco nominum funt pjronomina , 8c non nornira,vt  Grasci puranr. Nam nefaoquis fitPriamides nifi fubaa-  diatur Paris: iicutnefcio qaisiitillenilifubaudiafur Pa-  ris,ve4 Pernis,verfaomo:pra*cerea palam fpedant ad personalitatem : vt nuUi diibipi fit qi^in fint £rt>niDr.  iniiVi.      I)iHin£lio pronominum ex ftgnatura\ Aliui   demonjiratiuum. Aliud pojfcfsimm:  aliudgentilium , altud relativum. Pronominum alia demonstrativa vt ego;tu.liic, ille  ipfe, iflejis & Iy, quoniam quaridigico perfonamde-  monftranr.   Alia (unc l^odcCCwiay Vtmcttstuus /uus^ noffef^ve^^raiifnai,  quomam poHidentcm circumfcribunt perfonam.   Alia gencilia vtnofiras ^ veflras yEneades cuias ^c [UO'  niam pacriam, Scjgentem, connotant.   Prxtcreaexpraediftiyferrqtixdam retatiua, quiarcm  antelatam fiue ante didam refcrunt , vt ille^ ife ^hic^^jr is^  iiltwY' ^ quisqufCy quod. Dennr Dnflraciuaprononriina reruiuntrenfacisdemon-  ftrationibus perfonarum , vel cfTenciarum pcrfona-  tarum. Naminfenfu oflendi non pocefl: eHencia, ni--  fi deducla ad exifl:enciam,feu perronaca. Sed relaciua non  oflendunt ad fenfum, fcd quafiad memoriam.Nam dici-  musiPetrus eft dodus, ille qui j vel ifte/qui legitin  fcholis. Scd ly ille , ipfe , ifte » is , refert antecedens de-  monftrando, quamuisnon adfenfumfempcr exteriorem  Sed ly quselrefert memorando & particularizando.   Addimus nocam demonftratiuam ly ex Arabibu»  quoniam logici acceptarunt eam ad dcmonflrandum du-  plicitcr.-valet enim vtecce 8c hoc fimul. Notandumcactera pronominaabfoluca vc pofiefiiua <3c gentilitia per fe  ..patenc!,quid oonfigniHcant in vfii:ac relatiua declara-  'tione adhucindigenr. Definitiorelatiuorumptpnommuin^ V plcx eft rciaciuum ^ aliud eilen tiac i aliu^ j ccideo-  Definiiio reUtim iJfcntiA.-   £latiauine(rennaseft,>quoclnatu|am reirefcrt,de monftratque, fiue>y tencem ^ {Tue^^r&exiftefit;^ 1 vt.  homo^quieft. GB.ammarici ^iuidont relatiuum» infubftantiar £daccidentis ^ 5c dicrnitrel^duum Aibftanrix ,quod re.  fert nomen fubftantiunm:vt labor, quemfofcipis, eft .  durusjvbi ly queni rcferthocfubftantjuumi abpr.Scd rc-  iatiuumaccidentisreferradie^biuum. Nam etfialiquan-  doadiediuum eftfubftantialevtanimatus, & rationalis;.  nihilominas {;rammaticaliter fe habervraccidcns. Scd  prote(flbnon femperitarebabct. Nam si dico Petrus et nomoqualisestu, idem vaiec acquc Petrus cftrationalis  qualisestU:& ly homo est: substantivum et rationalis.  adiecliuum, Qn.ipropter m comparationibus rclatiuis  non vtuncur logici relariuo accidcntis, fed potius ad-  uerbiofimilitudinis,ficut, &velut :vttu e^liomo^/icuc-  ego tquamuis ly Hcut omnes nocas compararionis fup.  j>leat in referendo. Propterea nos diximus relatiuum efTcntia! n^,nominibas ^gfammaticabbu5 potiU2»quaBi i  xebius confuleremus  libtanttd: ile Utiwjamfubftaati» eftduplcxXidcnutis, 6wdiuer/I*^   Cti^mmaticalnm Cam^and Ut   Relativum identitatis refertidemomnino quodan-   qtiien: aniniai fcntic, 6c.hdmo eft animal dc idemfentiti  vbi ly qui ^ ly idcM'^ referunt bominem omnino etin*  dem,  ELitiuum diuerfuatis fubflantix rcferr diuei fr.m  X V anteccdenti : vtalius ^ vce^o vidco ''otrum 6c alios  ^ o m i nes : vbi ly aiios refcaiiomiues , vcdiucr lilicaiuur a  -rrET^rx;   QVid Ocdiuerfic^tis^identitatisin Jogicis&metlia-   pliyiicis declamitrdiicautem Gimiturpro quacum* quc fimilitudine, &x>ppofitipne«  DE RELATIVO ACCIDENTIS. Relatiuum accidentiscfl^qiiodrefertaliquid pcrci-  neiis adeiTentiam, vcperfonatam accidencibus.  NVMERATIO Relauua accidentis funt (eptem, quallsiquantu^^  quot^quotuStquoceQiyCuius» cuia(, cuium 5 cuias«   GR.ammatici<!ieunt retatiuum accidentis referre anteced^ns a diediuum,vc cu esnjger , qualis coruus:    ' vbi  Tbily qualis refert ly niger, & non ly tu ,diximusquod  non omneadiecliuum cft accidens in: iiilofoplna, (cd in  grammacica, quxrcfpicit modum lignificanditantuni. Sufficiencia rclatiuorum accidentis fumitur ex hoc,  quodomniseflentia vcniensad exiftentiaii\, re|^i6iicec-  ad^entia,ideoqueveAitur&perronatur qnalii^tie^guaii*  ' titate,numero,orjine numerati , coUe^ione ordl^a^-  . tum s in loco & t,empore & in numero "i^ogterea dd tur  <qpaHs t.qtUU3Ciis.qQOt,quocu5 , quotenus'}^quibq$ de&ec  aiidi nuhc , tunc , qaando,iliic»vbi,0 ex his po^Ten c apud ^  ' l^ifenosderiUaritiomina&pronoiniria.! v V j-- '  .V £fta»cemquah'tasmodusreifiueaccid«^^  fldLiitiaIiS)pTopcerea refer^ ly qualis omnes exiftendi  ^ndi moaos. jDicimus enim Petms ^ft atbus^ fprcisX  manus , cationalis , dioes , Rex , velox ; red:tis,'$c. Qu]  ' Iisestu:vbi lyqualis, & efTehtia: , & perfona!, 8£ fori  na:, & operatiui, &: pafliui, &voIiriui,<^- animi,6c corpo-  ris , qualitates refcrrepoteft: quoniam in '^mm pra:diQa-  niento datur qualitas , vtin logica probauimus.   Quantitaseft menfura fubftanna: perfonata::&pro-  pterea dicimusPetrus eft alcus, magnus, crafllis, longus,  quancus cstu:vbi ly quantusrefert omnes dimenfiones  iundas,&fcorfum , fed non qualitates quantitatis:noa  cnim dico, 5^ rectus figura quancus ego, fed qualis ego. vc milices Quot refertomnem numerum fimpliciter  funtduo, tres» quacaorsdecem^cettcnmimilie^&c. quoc  funtciues. Quociisomnls'ordinis nuAienisjVt tu es primus,{fe«  cunaiis, certius, decimus, centefim'ttS96cc.iD ichola,quo*-  tusfumegoinfenacu; . QuocenicoIle^bionemnDmefatonim fcriattild svtmo  fmcbi nmbuiant biol, terni, quini| deni, mi)leni , cencciii,  quoceniambulantmilites;   Aliquando iungicurquotoscttmquifque ,quandoC«  gntficat ttttm de ordinatis , vc deeimut quijqut ^fecimiBS  £x his dedacuncttf aditterbia> vc qneties ,Jecief^m$lliis.    jo Item transferuntaradtetnpora aetates, vt qiiotennis»  bienms,tnenms quoniahi tewpuisadVxiftenriamrpe-  ^t:item,adnocum,vt primasfecundas &c. 5c fedct pri-  inoveireennd6 : & prius, ac pofteriu':, vltimus ,6cc. lol  cusenimadexiftentiam fpeclac, vt in locrica. Prxccreaquoniamindiuidua. idefl perfonnta: e/Tentix,  non folum referuntur pcr prorfara^; cxiftenti.ilirares» fcd  etiam expatria & gence , 6c profeOione 6cfiidione: pro-  prerea dantar^Ai^i rcIaciuahorum,vid. Cuiuscuia,cuiij»  tccm^s:vt ego fum Romanuscuias cs tu, vbi ly cuiasrcfctt'  ]y Romanus expacria. Icem Ciceronianus: Dominicanus;  cuiustu : Piatonicus cujas tu &c. At\^ cutas refertpoC.  fe/Tioncm/vt ttiiim^pntrum hU^ff^fuifi idebetetinin  -Jycujasreferrcpatronimicuihpronomen: vt Parjs eft  Priamjdes,cajas eft Hc^aoti quod Grammatici non cori-  fideraruiu:, NGt^ndum quod omnia praedkaaiet\ta, vt perfo-  nancuradinnicem, fiuntpronom^na> vtvero(unt^  Velexidunt.Ainnomina. i)erho. VErbum efl vocalnilum declinabilr, fignificaps cx  impoficione , rerum aclum^Hue eilendi,fiue exi-  ftendi/iue operandi,iiue agendi^ Hue patiendi  EA rationequaindefinitionenominis ponitur vHiU  bulum orationis pars tanquamgenui gramatlcafe.  A dditar ieclinabiU, ad differentiani prxp o fitionis,ad:-  iierbij , coniuoaipnis 9 dicitur)%ii^^ Dber pritntii • jr   gorematicorum. L)icicur cum imfo^ttone y difFerentiam intcriedio-  nis/' ' " ' Diciturrf5? aw,tanquamvItimadifFereniiacon(litucns  verbum in elTe verbali.fcperanrque a cscteris orationis  partibus. Dicitur eff^rtci , vel quoniam omne vcrbum  /ignificateflentiar ac1umnone(rentiam:&: guia a<flusvel  'cftlubflantialis vclaccidenraliSjvel medius .idcirco di-  ciiwraFiu if^^dlyvzbomoefiammdl^vhi lyr/J^fignificat ipfam  elFentiam vt erte{rcntia&: c6iungitnotiones,n6 res-.pro-  perea.-^tfmvocatur vcrbum fubflantiuii rede d Grammatici-i. Sed perperam,dixerunt , verbum fignificare adio-  nem vel palFioncm. Hfi enim non significatac\ionem neque paflionem litemnequedifco fignificatadionem, sed  adumadionis rtf/^/jjaucem fignificataclionem, vteflen-  tiamaliquam : docere vero vt ndum. Quid auttmfitA-  clusin Jogica declaramus& mctaph Additur vel cxilhn-  di : Nam cum jico : Peirus e/?^vd eflin platea : vel exifiit^  non fignii-ico Petriaclum cflentialem , fcd cxiflentialem,  quod ./.eflextracaufaifuas: vel quiacA in alio 6c ad a-  JiudiT > -'< v- Additur/?.^<?^^r^W/, quoniamopcratio non tranfit in  ixMwd ^homo amluUt :ZcS.iovQX<i tranfir,vt fjomo '^eriferat  filium.  Dicitur etiam ao^cn^i vtPetrusdocec:&paticndivtP e tru s  docetur. Seddchisadlibusin Metaphyf. dicemuSjneqvi^'  QuimQtami^atUiefinegoti/, ' Hlnc vides quantopere falluntur Grammatici,dicences", verbumcfje farterjt ofationn declinabilem Ec  deinde.non loquuntur amphusde decJinationc , fedde  coniugatione. Item dicunt, verbum efle /?^«//fr<r/iafiiw  aUioms & pafiionis : cum verba fubftantialia &neutrai ctiam ipforum ceftimonio, non dicanc aclionem neque  paflionem. fyncathe  ^rdfMmMkAlmmCafnpanelU]   Quod auteni addunc Qrm\\\u\c\^verlumefipaTSord thnii decltnahiliiy quo Unm modi^foryyns terfiporibusagen^  divelpatiendi fi^nificaUuumff} . non perriner ad definitionem, ficucin logica decIararur.Non enim ex hoceft ve,r-bum,quodhabeti'nodos& tempora. Sed exJioc quod  adum fiuentem abeffcntia & qui4ein verbamrubftan-  tialcnon habetneque fignificattempus:& multa verba.  heterocUta :& tempow <?cicliteise»hoc, quodaauiriott-  fubieo fitvtalibi docemus. Pmerca in linguar Chhienfittm &CocoocKinenfitiin  verba non declinantur perfonis- , nec temporibus «a*  riantttr» fed^otuhs , vtAioihiocoapeiiemusiergoaccti.  dunthxcverboinoa^ei&ntiantvefbttm. Di^in^tio "verhomm ejfemialis. Verborumaliud AibftantialejVt /Iwjraliud cxinren-  thls ,vt rfuneo^exijlfi ahud opcratiuum /lueaclin-  cum, vt Vfflffy ambttltf.^audec. Ahud aihuum,\t ca^igo^ac-  cufoyfacio : aliud paiTiuum,vtca/?igor,verSerc} :   Ahud ad. it Grammatici cbmmune , vc cnmmr-^iid^  dcponcns,vtv/<;f,/wn - QVoniamfignificarea(flum rerum eft v^erbo e/Fen-  cialcexhuiufmodiacluum dyiin(flionc Ai mcdafuic  vcrhiorucfrentialis diftiyii!aiO.:-6c quoniaibcfientiaprocedit exifl^Qaab exi{];^i;|aoperatib4 aboperatipneaak>»  abadioae pa (Tio: proptcrea verbum reftc diftin g u itt)r in  , euentiale exiftenttale ^ operatiuum , a^iuum , &c jpafi»  fiutun. '  £tMcdiftin^ioeft]l4^undttn)]»mVnask)fecmiduinVo:*  cem fequif vtdetur paffittum , quod tamcn eft fecundttm  oremAdittttni.: &propterea vocator deponens , 6c vafulo     Liber priHim. 53   ridetur adiuum, quod tamen eft pa/TiUum. Aliudfbcun*.   dum vocemeftpafIiuum,fedfecundum remeft a^liuum  &pariuum jVt avipIcUor : & propterea a Grammaticis  dicitur commune. Hoc apud latinos, noiilinguisaliis:  et recundum|r? aturamnondantiir veiborum genera,Jijfi  cx quinquc|a4ii>us. ACtiua&pafliua funt verba inoijmiilingua, Atki  Latina ex fmitionein o in or , diflinguuntur,  quodvemmeftin pinmbiis temporibus verbonim,prae^  terquam^ in prxtentis. perfeAis & plufquam perfedisi  o u^Tefoluunturin partxcipium €c verbum fubftantiuuro:  aicimus ekiim amdtns fumyel fui\ iccScsmanuir^miyel  fnerdm &c«inIi^naveroItalica, nondatur ylliilks tem-^  poris pa/Iiuum ,,£drdfqlttituriniiibftantiut]m vt fro ego  'amar^dicimmU/hnM^tPy tu feiamat^^queU^iamatQ. Ki -in tertiis^perfbnis fupplec ly ftama^&fieamato &c. In  adiuis verofunt temporaomnia,exccpris prarreritisperfeciis , & plufquam perf cclis : etenim pro amaui d^ama*  utram^ dicimxLs h^amato ha vevo amaio,   Do c vment^v.m;   ISta.duo veiba fam & h^leo funtbafes verbomm om-  niummam copulanrfubftantiuc , &: ndiccliuc. fiueac-  cidencalixci, flue iQtrinfecciiiae extiniecc res omnes. r   Verbaqi WBGramati«i« vocanturneutra^jflonfunt a< dina nec paffiua propter &dc>quod fignificanta^lu.  e^ifteadi vt>?^: aut a<Ed^i,ve- ^wrMifiue operandiyt  ^orr»^ aut pot^di ^ic non potendi vt almhdu & iofi^*  Gommuniftautem 8ft<leponeniia pminent dd a^iua^  pafliua; ^ deponenia eiiaib neuti^ fuiit fec«n«l|iBi.   Tem,vtut3r^^radi9ri Ccuti auxRior ^ nudicor^wi^t^^  duuafecundum rem.   NOvttig6xtQLi neqtie fecttn^fi* mn,neqae leciiin& '  vocem^Grammaticidiftinguttntverbainadiuumj,:  pafliugm , ncucrum, commune 6c dcponcns : etenimin  adiuis funt qiurdam neutra, vt amifyrtdeojnteldgo : qux   aduMnceriores ScafFcdus notiones iminancntes fignificanc In neutris vero ponuntpalliua inulca.vty^^ff ^exulo^   nia verba pertinentia ad agriculruram faLso pofita in  quarto ordine neutrorum. Similitcr qux fpedant ad diuinas ac^iones natur^ aucons vc nmy,t^tonj\^uce(ctt'  Jndeponcntibus vero ponuntneutra fccundum rem, li-  cet voce pa (fi ua , v 1 1 ^cton ^r<f ^^|jf f r, jja f^^'^ fi»ma(hor,\   Miiior. Secun^um vocem autem omnia verba ex hoc .  quoddefinuncino, velinor : 5«wenim& fua compofita. '  folummodo neutra poni poiTent bc tunc faHa eflct ver^  ab eis cradica » quod X, fiq^ipcat aUmm vef   Dijlmilio verborum ex ferfonts.   Art. lU.   Verborum aliud peribnale^atiud imperfonale , aliud fcniilc.' descriptio: Verbum personaletrcs habct personas, primam, secunda, lertiam pronominibus ck'leruicntes, vtr^p  amoyfuam^s^jlleamat, Impcrfonale nullas habctpcrfo-'  nas^ucnumerpsfedfub tcrtip^quafi ojxint^iytdmg amaiur  Liher ^rimtii, te amatar, ai illoamatur. Vulg^ , fidnia^ Jau &  ama-ddnoiiama. DeferJo^almmmmeroptimdumLatms, Granmaticos . Perfonaliaverbaalia funt adiua,qu« definuftt inb,  &^ormant pa/fiuumin or: vtjamo, vnde fic anior per additionemr, alia pa/Euaquac deiinuminor Klia   bentadiuumio «,vtnmorexamo.   iAlianciitra, qiMedefinuntin'o, & non formant paC.  v^iuuiinin or, vt gaudco, careo : al ia communia , quie defi-»  nunt in or , & non fprmantur ab adiuo in 6, & aftiue ac  pa(fiuc in orracione conftruuotur^vt ego chmifiorfe,^  egochminor abste. iAlia deponentia , quxdefinunt in  or,& non formanrurper aftimlm o,necpofibnt pafiiuc  .conftrni > fed folom a^ui, ncgc feqnorvirintem   V . e imperfonalium numero. Impersonalia alia acfliua fecundum soQ^vc\,yx.tcdct,ie^  cet^ intertf j alia pafiiuic vocis^ vt atnatur curruur, kSi^ neutra. vUeaeftMahff.   DcfiruUtbus.   SErnilia verba funr : qu» iiilycjiSonalihUvad.Uta, funt  ! m perfonalia, vt ti de^et p^tere i petfonalilaus verd  Vf^tcioaaii Aiy%tMMeSjf0nite»t i4magere.,  Rofc& oimperfonaliralia exadiuis funt , vt deleflat,  . ^qua cum in finitiuo vcrbo funt imperfonaiia i fine  ero,adiua. Alia runt neurra ^ vr inttrcfi , f^? conaenit\  pateiautquomamablatoiufimtiuo funt perfonaiia, vt    (jraiimiticalium CdmpMelU)   medicorum interfiint curationes. EtPecro conueniuttt  TircureS' Sed qux ncucro paffiua vocari pollcnc secundum Gramaticos^nuquamtiunt perfonaliajVC/^i^i-/, wi.  fcrit^plzet^ penitet^ racioaucem eft quoniam ad afFeclio-  » ncs refcruncur, quxopus adextranon rCifpiciunt^nec  perindeacboneoi. DifiinSio numero ferjonis. Numeri verborum funtduo,fingularis vc drw<y, &pla  ralis vcrf/7frfw»5.fimiliter perlonas func tresm omni  numero, in ilngulah ego amo , cu am4s\^ ilUamai; inplu«  ^i^samam9S^ wsamati$<tilkamanii  V M g T iy N n V . 1N omnibos rcbus re^eriun tur ift^ rre s per/biiac,& diio  Qumeri ex nacurarei>licec aiiquaadoincertisTerbis .  non fincin fu^) 6c in imperatiuis exnacorarei defiinc, 4c  In intiniciiiis qux ad imperfonalium cranfeuiic rationera.  OecaJibusi0decUnmonibusverb<rrui^ ACcidit verbis cafus.&i declinacioitlmni&j persona  variac fitiem didionis ,'ycam0^ai^|)^amat : ficut ^  nomiciibos accidere nommos. JPr^cy^ deciinaciones verborum vafiancarficfic&nominunv.S^ cognofcuncur.  cx &cun(|a pei£>na| ficut nom^mifecundo cafivite.nu'  jijueinfirtitioo.  Prima erg^o dccKnalii S^habec Tecunda inperfonamin^  4]icatiuimocii in ^;, 6c infi Ditumin^rr, vt<iWiii,&^ff2^«   Secunda, in ^i, 6c in ,Iongum| V t ^o^^r^. Tertia in/i,&in breuem , vt Itgis. & /r^w-  Quarta in /j, 6c irr, longum , vtaudts Uaudhe.   SEd hxc fecundum antiquorum dida funcrationeni,  ctenim poteftprima declmatio conflituicx fecunda  perfonain es , &: infinito cdc^vt/um^inicrfurK^ acffum^pr/c-  fum nefumyfubfum^profum^abfum^polJum^ & cxteracompo-  fitaexverborubftantiali6cpr.xpofitionibus.   Secunda habetpcrfonam fecundamin frj,& infini-  lunim erre, stferojers^ferrc : ^ compofica.vt7e/tff<^,<«i-  /er» , offiro^petferOydefcrQ^ infero nffero^^ catera. ^  Tcrtia autem fit prima antiquorum , \x,dmas^rMfe%  CVjarta illorum (ecunda, vt ^(^rQuin ta il iorunt tcrtia^ vt le^ii , le^ete^  Sexta illorum quarca, vt 4i«ri/i,^ir^i>t.. Deanomalii.   Dantur irregularia a prima ^ vi\veto ^ huo & iuu^re ,  qncxmpr^etcriti.. funtanomala. Dantur irregularia  d ter tia , V c gattdeo gaudere , qu« in pncceritis non fcr-  uant'normam tertix-   Etaqiiartavt vii,&9/A!r>qua: in prasteiitisdc infiniti$  exerrant.   Eta quinta vt eo^isjre : quxin tuturis extra vagantQV) "  vtii^fjU compofita yufsnJc^^Ndijo^fcri^^iiLc.AQertio dt tm^n&itsverhMm,   Art. V.     PR.oprium efl verborum in temporibus iigni£ca«  re» '  )g Crammaticalium QimfaneB^]   QVoniam a<flus funt extenrionesfacultatum ,necfi-  mul eflfe toti pofTnnr ^necefTc eft tempuseifdemin efle quod efl fucccfTio rcrum , cx ente & noQ ente part&-  cipancium > vc m Mecaphy Ldocuimus.   Detemforisdifferentiis^   TR.es funt temporum diflFerentix, videlicetpracfens,.  prxteritunV, & fututum. Etenim aut res eft nunc  tn a^flu, & facit prscfensjaut fuitin adu ,& fic pra:tcri-  tum^uc eric & ilc eilfucura.   TKiplextamen pra:teritum «aliud imperfe£lum , vt  ^nutSdm^^ivLd per&dum,' vtdmam , aiiud pl u fq uam  perfediini,ve MyrifiM^resenimaatedin ccanfictt ,[attr  nan(iui^.aix nMiIto ante tianfiuit.  NOn potefl: reperiri verbum , quod non habeat prac-  fens & pr.Trerirum & futurum» diftinda fecun-  dum rem,]icet fecundiMn vocem qusedam (intdcfe<ftiuai  rtmemJni, odi^inquam , 6c cxtera , ex vfu fic pronunciaia  apud LacinosnonaMCeminahisoacionum linguis.   ^etmfortm v^athne exfacuUatHHsl   ET qnoniam omni^ a&ns aot ind i ca tur per cognofci*  thmm^auc tmperatur per poteflatxoom^aiitoptft-  ' tur per Yolitioam : propterea tempora verboromad tres  facoltates reducontor.f. ad|indicatio am imperatioam,  pc optatioafi^     PRacterea quoniamactus fubiungieiiradiui,vcl deterniinatcveljndcierminatc, propterea addmnur tem-  porum dtt^ ^lia: radones .f. fubiun6ltaa & infinitiua,  qux rcgantur ab aliis verbi nononibtts.   Est quidem practcritum, pr«rens,dcfuti!rum tenipus,  triplex,atquevt pars, autvtdifferentia fucceflionis  rernm, &quidcm contingit cxprimi secundum tres primilitates Metaphysicas, pcrimpeniriuum ,indicatiuum,  6cappetitiauni 5 qui vocaniurmodi fecundumGramma-  ticos, (ed nirois comraunrter : modus enim eft cuiufque  rciqualitas propterea nos rcduximus cosad primalita-  tes. Sed fubiunAiuum.&infinitiuam^qaoiiiam ad conipofitionem potius modorum fpcaant dctcrminati vel indercrminatc fecandumpcrfoBas&flheperfonis, oro-pterea hofce modostanquai hap^ndiccsvcrbisa ddcnh.  dos putauimus: 6c non ficut principalcs, queiI MUlinodum Grammaticis vfurpatur.   temforum  nwnero i» vnaquaque  rafiine. DE INDICATIVO. Indicativa ratio habet omnia tcmpora vz. praesens, ut  ^atf)prqteritura,vt4m4 «r,futurumvt^w^^o:&itcrum  Criplez practeritum vz. imperfedum, perfeaum, 6c plulquam perfeAttm. Indicare.n. eftadus cognofcit miprin.  cipij. Cognioiaauteinrcfci: turadoxn|ija tcmpora.  Imperativum vero non haber nisi praesens nec futuruiTi,  caretque preterito, quoniam non poteft: imperariqiiotl  tranfiuic, neque Deus pocefl; fa^ere vr non fu^rnt , qtiia fl.  bi contradicerec Itnperai^nus id [olum quod nuAc-,auc  poftea exir in a<f^um.   Caretetiamlmpcrariuum perfonis primis in fingul.ivi  numcro ; quoniamfibiipfinemoimperare potefl:,fedai-  ten,nifi feipfum vtalcerumaccipiac,& tunc erit quali  fecunda perfona qui e(l prlma:(ic Peerus aic« quid agis  Pecre>& /'<frr^« Noncaretinplurali ,quoniammu)n  imperio rautuoafliciuntur. DE OPTATIVO.   0?c.uiuum habet prxfcns,prxtertum , & futurum :  Jefidcrium .n- ad omnia fertur tcmpora ; dprainus  cccnim aliquidfaifTe, 6c elE%&: fore, habccque notas IIjo^  Subiunctivum habet fimiliteromnia tempora, quoniiC  poced/ ubtungiadquodcunquc verbuin aliornm mo-  d.orum,vt/?r ames^vel ver9mi/i^qu6 d amanerim^ itcm eim'  4irHdremfufpifabMm .bccumamauero (ufpira   Notandum quod SubiunAiuu habcc pro noraly cnm-  qu^orationem fufpendicdonecaliud verbum fibi adiun-  garpoftfe^velabfque ly nMirubittdgicuralceri Terbo»yt  %mwmefvtfatias^^ ti^\i<\vi^mnoX^xsk  dor^m ia Logica. Lihcrpmmis. 6i  Deinjimuuo   Iniinidi sumeidamcria cem|idrahabec, fed^ineperfb-  nis, ciepcndent enim fcmpcrexfioico vcrbo : quod po^  teft multiplex efle & ad omnia teaipora r&Ferri', & quo  Qiain bxcrelacioeftindecerminatarum pcrronarumjOm-  nibus enim peifonis copulacur, propcerea infinidainio*  di carenc diftindione perfooarum :-di|riti)us enim tui^ te  gtmofi \n$sama»ifit*ic iommmamttfifum ejjcibc quxli-  betpeifoDa cuiliberaddi poceft ,veiAu%mulaniia f^mperiniiniciaaniexporcunc poftfe^vtftiom (oco pacebic.   De Gernndiis , parfia^iis, ^ fupims.   GErundia,participia & rupina non funt verborum  modij/ed nominuin [imul vcrborum 'participa-  riones propcerea decis alia pars orationiseft coniicien-  da ^ necvexbis addcnda^ vcfececepriores-    r   »   PRa:cerirapracfeAa,imperfe<fla,& plofqnam perf^^a'  nonfuntin 6peracims«f(ed'idem dmtria temporare-   prxfcntac, quoniam fubratione voliti nbn inul tiplicacur prxtericioviicutfub toionie in(ttpat4« V   .Subiundiuum veir^^fatbetomnki pra^ilta; quoniam  cuhi cfmni verbo alrerius modrftibiundiondm^c&re po-  teft. .  V   Grftfttmatici4)on tntellbfiere quodde/iderariuo,porius  autem fubiun<Jliuodeeftpars pracfenris cemporis, dici-'  musenim vulgo/o amadiat aynaretfctucaminafii^ \ovcr^  r^i r^fo: quxnon re(flcconfundunrur apud Latinos, Sc  vulgares etiam peccant quoniam ly <i/w;rf^/ , nonad defi,  deratiuum,1fed ad fubiuncl:iuum verc fpedar^on enim^  pronunciatur,abfqucfubiun(n:oantc vrl poft:,(]qiiisergo>  iceromgrammacicarecur iioccoaiideraredeberec.  H iij. QVa:rituf aucem , cur pr^teritum multiplicatur, &  non Fucuram &pra:rens ? refponcieo , quia practc-  ricum poreft non totaliterprartenfTe , & icerum tot.ili-  tcr6: tandemmultoante,potefl:diuidi Sed prxlcns ell  nunc indiuifibiIe, quapropter non potefi: diuuii. Sed  quod imperte^fVinn cH: prxfens pertinec ad ancecedens,  veladfubfequenstempusugiturvnius tft tempons.Sed  de futuro non fic : aliud cnim eftmoxfttCuroni,aliud poft,  aliud longeporc.-SedGramadcinon acceperunc hanc^t-  (tindionem : qoooiam vfas loquendi apud vetereseioC-  modiexpreifioncsnon habuir, (icocde prxtericis^verun^  camenfociirum fubiundiui videcorefTe de fecuro praec^  titorficgfo enim idem eftlaciniqob^vulgariter hav^  fatH^ ApudHaebreostemporai^ cmag LSCQQfafa» ;   Jiii^ifif^irjforum ex ordine.   Erborum aliud primiciuum , vcDo:aliud deriua^  tiuum^vcdono.  D M   Iftin^io a]b ordiiie. eft fimilisei » qose licnomi.  num. DeriHatiuorum mulfiplidtas verhrum   ex verbis. Apud latinos verboru deriuatiuoru aliudeft inchoa-  tiuum,vticaleofitr-<if/S:tf jquafiincipio calefcere.  Aiiud medicacHium^vc acoei^o tmamU aenu^cur^qttai*   (I meditorcoenare.  Aliud£reqoen€aci Qom)'VtalegoJi0i/^,ideft6eqttencec   lcgo :1 rogo rogito.  . 6%   paukrim diminutifcribo&c. Deeft Launisinigiii.  ficatitium^ dicimas enim vuigo da beuo ibeoacciliare: da  fiiro ftiraccfalare ftancbeggiare*   Dermafia njerborumtxnommbus.   D£riuatio verborum ex nominibus iterimi mulri-  piexjalia a fimilitudine: vt a patre oritur/5*^r/y/i  fiuc/^iimXtfj^^liaabadurei fiueexiftenris^fiue mutacionc fubeuntis.vca (londcftcndfftff > a lapide iapiderG<>, a calorecakfco^    QVoniam verbum fignifrcat a^um : coiarcumqae  autem rei eA adus : igicur a quocamque nomine semiignificanrepoce/lderiuariverbum.   HMc regttla valet apud Grxcos et italos QlgareSj  fedLatininon vfqueadeoipravfirunc. Lulliusta-  meneUciceamexquocumque nomine :namqueaitJio-  mo, homificare homificc^tio^ homificahiie. Sed hdc ex com-  pofitione fit non ex deriuationc pertinct ad aclum  agendj. Sed detioatiopura e^ft ex formnli, vt lapiJef^  COy?fjetalIcficJiq^nefco/enefc» ^ifr'tre/(Oyfioreo^t< f!ofefro a flo.  re..Sedabhominenon dicitur^iwfo.ncca lupo lupefco,.  6<:tamenrecundum naturam fieri dcbet:vnde vul^niiter  a campo dicicur compeci^ijre^ a fen ^O^rz.fefje^r^f^Jarjr-Jei-  ladonnain donnar/i ^Cicut L^tin t diciCOx mafiMlifie/e  ir^irf»m<f ri,4 mafcuio, & £emena.   Qi^ autem nooas.artes^cudir, ppt^faceredj^riaario«>  nes verbales ex quocumque nomipe, ejr oiTini enim re  . «l^reditur a^us exiftendi , veloperandi, vel imi^di Accu.  Quid juid Grammaticiio boc minusiapiant;  DsdcrmatlQnc tanpomm extempoabus  erhorum    Derivanturetiam cempora verborum fuc^edentia ex  pra: cedentibuseiu(dem fpecif i, vt omria praeterita  ex primo practetito profcftp » ex amaui enim cafcitur   VF.rc dcriuanrur ex prseterita ex pnrteriro pcrfc-  non auceni cx imperfedo , quoj ennn iiiiper-  fecluni cll , gencraie non porefl: fibi fmiile , irem  fucuruni luhmnctiui deriuaturex prxtcrico , quoniani  dicit futuru.n fub rarione prxteriti , idem enim iti^a%er§   DermanoexfraJenU:   DEriuanturomnia ptacftntia tcmpora exprjerenrifn.  dicaciuo^vcab amp , amaiamare^tf.amem^UamarfJSc  -ab amot^amareiOmafirf^ffiir^amarijVtilego, ''%^J<fg^ rem^   Derluatioex futuro. ,   EX fiituro auccm invlicatiui . non videnturoriri alia  fucura. Non enim ex amabo dcnuatur amato, &c  amem, 6camauero , &:. amacurum elTe, fecundum voccm  licccderiuantur fecundum rem ,quapropter in Iiiscon-  fulendus eft; vfus: ac forfan 6c quancicas /^llabarum  primjirum. Va formsttone verhriim\  VErboruni aliudfimplex vt Ugo: aiiud compoficiiinV  vc iramtego : aUud decompofinim > yt nmtth" EAderarationedec Iaraturcompofitiorimphcitafqae  verb Grumacnominum. Decompofitumautem non  ex compofitis, fed cx «ompofito & dcriuatiuo , ^Utanfr  «ri^i/i^ ex trans & fchbo : ex quo erat (chbiUo.   , COmpoficio verborum aliacft exduobusfeuplaribus verbis vtaii^tf^#»ex caleo & facio ,alia eft ex  verbo & aduerbio vtmabfMio ,fatisfati9^ alia ex yerbo U  prarpofiwoiie^vt f/j^r/^ f*«jfiRf^,qua6extta iacio^vtcum  alio facio: alia ex verbo & mminefrtfmSififo^maffttfgf,  idejifaaofru^umt&f^idomagna.    OMniscompofitio ex nominc&: verbofignificat a-  dionem alicuius rci , vcl padionem , vt fractifico&  confru^cor^arefaciOy^careno^Sclxcifico. Omnis composition ex verbo & aduerbio fignificac  qualtficacione m aaioDis,reuaduS|fiUe aftiai|fiac  ^ fti^mtVtfatiifdd Ot^Jdiu^^Omms compofieio et verbo 6r verbo fignificit adiis; edmonem,vt/r/^<f/r<7,(^uomam&adl;tts frigQris,fita*. i  mefldacah F ADditam^ftinhacregalaj?/^^ datur ^ quoniam  non videcur ex duobus vcrbis fieri compofirio^  quoniam duo adus coirenon poflunt,fedfialcerabaU  terofir,habebirurvnus vteflTentiaai^us, alcervcailujfcu.  ackio ficpaHjo eius Jicucpatec mftiic^fi ^ cd^P.^    Omniic ompofitio ex verbo &pr^pofirione,lfgoifrcat  adum cum relaciooe & refpe^ ad aliquaro efien-  tiam,adi}uam,veldeqna, vel cum qua » velinqua» vel'  proptet quanr ,j vel per.aoam., vcl fuper qoam , vdi  &bqj;ii^3ieleirca<|ittm,m eiuQs giatia»)edittir|!^An9W   QuorfiintpracpoYiriones rocrunt verbonim expraii-  pofitionibus conipofiriones fecundum naturani,.  'Scd (ocundum vocemadcertastantum reftfinguntur. £xemplade verbifubftantiuicompofitjonibu$'.  Verbum fubftantiuum babet compofiriones odo;^.  Diciturenim dyifw,adfum^ ideftad aliud fum^quafi prac-  fens. Et;^^/iw»ideftabaiioiom, quafidiftanSs&dirgi^  ibs abeo..Ixmdefum quafideorrom&m^&reparatum;  Infum, Quafi in alip fumi ve) jficas fum ^pricpofifiaeiiifni  fep^umynria jfine qoando yenit in co  mirrjftHirquali incra aliquod iutn , vt procfeDs, vel can*  «qttamtuuans aifcnecefnirium.   lcem 9ifim^ quafi ob aliud rum,6caduerrumJScconixai  fignificac euim ly eh oppofitionem quamcShque, &  qoamuis ngnificec cflecaufalc finaleincerdum,tamenia  compofictoneponitur vc cau&opponicar effeAui falcem  relanui.   Pr^fam, quafi pro alio fum, vel pf opceraliudjidcft illud   iuvan£:/>f4r/»/»,ideft fuprafum jvnde prseefledicicur ,qui   imperac, 8cqui anteic. Suhfuyn qiiafi lub alio fum. Poffum quafi poHieirc fum.  Qujenim poteft, poft eft, potcntia .n. ex cilentia manac,  vcdeclaratum efl: in Metaphyf. Sclioc dico exvicompo-  fitionis.Datur &y»;'^r/«iii.   comjfofimnihus verborum non /ubflanr   tialmmcumfrdpoftiombus.  In verbisaliislongeplures funcconipontioneszdicimus  enime^eje^r/ff, abticio,& adiiciosqubnim piimum Heni^  iScac f^aracionem per iadUm , lecundiim ver6 addi  tipnem Sicex ml/i«amicco,£cadmitco, quamuis^i/in ad-  .4!^cco referacur ad perfonam miccencem : in adiiclo v|r&  fti^eamyadquamficia^us^ficuc&appono. . Coniicio Sceoinniicco : Hmul iacio.& firaul mi tco. Sed  perdifcurfionemly coniicioctiam idem eft atque con-  lidero jquia qui multa fimul iacit intelledu, fyllogizac:  & committo quafi aken crado , quo cum mitto quid faciendum,& fimilitercommicco fignificatfaciojfimulcum,  inftrumentisvel aliisrebusaliquid. Dacureciam circum-  iicio,& circumpono, qu^i^do (^rcjat^mljij^uiii xei quid  ponimus,veI operamur, Demitco&c dmiirfo,deiicio»& dffiiciohabcmus^ demiccereepim est quafi deorfum miccefevVeLdealiomic-  *cerc,fimiliter& deiicere&deponere. Dimitccrcveroeft  quafidiuifim miccerej & pocios ad ^verbalem facic cdpo^   poIitionem,vnde dicimu? dimitcere quafi libcrare &: par-  cere,quoniam a vinculo &:obli2;a;ione dillbciamus miccendo. Dicmiusdifponere quafidiuifimponere, sed cuni  ordine, difiicere quafi diuilim iadare, & fincordine j6c  . hoceftdeftruerejquafi deflruclurafeparare. Emicto, eiicio,expono,CAiello, dicuntur quafi extra.  micto, extra iacio , 6cexcra pono. Vn Je diciniusexponc-  re &quafideclarare quid cxcrarci niiplicatiooem &contexcaai, vbi res eft confuHLf poaimus eius renrum. Prtereainiici Oyiminicto, impono; dicimusqaafiintus iacio, intromitto , incus pono velinponitur qunfi Contraimmicco Xinaliummicco^iniicio in aliud iacio.  Dicimusetiamintermicco, incerponO) incerficio» incerii.  cio$quoniam incra aliquid miccimil$ aliquid,, quodfiil'  Ittd aliquideftcempus vel adio, cunc incermicco, eft  paufo»fimilicerincerpono, quafinitranegocium pono diT'  feparans iHttd.Sediat £rfin'n rft i nmpumre i Hiquod in ter  aliad;vnde 'qiian3o eft homo vel anjmal fignificat id»  quod occido&macto , quienim ponic ferrium aut nlmd  diuidens,intraanimal ,reparat ipfumac proindeoccidic  dicimusetiam intcrmitto &: mtrofpicio, quando non vi-  dentur quippiam incroducimus ; nuc faltem intclleclun^^  licdidum,qaiaintus legic, incrofpicit. Diciturimpofens  quafi valde potens quoniam impccuofe potefb , dicitur  iillicgatiui,,qnoniam ly tion fiKflum eft o;7 , tSc de inde in  ficut oUi tranfi in ////. Sedraro aut nunqunm fiicit cum  verboficcompofitionem, fed cum participio verbi,dicitttreniminnocensid cftnonnocens. non tamcninnoceo:  iuauditus, 8c cranficaCttSynon tamenin audio necinucoc:  infedus/ed non inficio,nifi fubalcero fignificacu.   Icem didmns obiicio,oppoao,ofFero : quafi^concra ia^  cio, concrapobo,coocrafero » ecenim ly conna dicic op-  poficionem contrariam; &: dioeriam & priuaciuam) & To^.  calem , ^ed oim dicimas Qmitto , idem eft qua£re*  linquo^quoniani^qttt concra nii dionem eft non mttcic,fed  definit mitteife : ^'dqai coiitiiiji |)6mcaliqa&l &ciCCOD»^  trsmcflf dnmp riaatia)&.   Trem proiicio procul iacio (ignificar. SeJ propono pro  aIiopono:5c non procul dicinnis fccundum vfum.Pro-  micco autc dicitur quafi pro alio mitco,»S: pro re facienda  mitco vcrbum pollicitans ,vel procul mitto, vndedicimus promifTam barbam ideft prolixam, dicitur etiam  permitcoideftperaliudmitto vt fiarjyenim pcr caula-  licatemdenunciar, percipioperaliudcapio, vcl valdc ca-  pio,quoniam caufalitasnotitiam inluflrat.Dicimus pra:-  micco ,ideft ance mitto , 6c pr^pono ideftantepono  pofl:pono,8c poftlial^oinon tamcn poftmitco^quoniam  non eft iii.vlu,& non quia non poceft fieri fecundunx  nacuram. Icemreiicio,repono remitto jquafi iacio,rctropono  ideftpoft pnmam vicem , & rcmitto , 6c refcnbo, & hoc  verum , quandoly ,re, breuis efl: fyllaba ^fed quando eft  longa ,dicitur,arcs, vc referc, ideft res fert : &: vtilitAs  fert. Amplius dicimu.s fnbiicio ^fubmitto j quafi fubjacio, pono rub,mitto fub. B. enim fit.p.ecf, exfono (equen-  tiSjVCfuppono ,& fufFero. 5"ed bonus Grammaricuso-J  riginem retmebir. 1 icimus etiam fepono, femoueoj'  quafifeorfumpono,8cfcorfum moueo,fimiliccr feparo,.  jk. fegrego , feorfum paro & feo-^um a grege. Itcm fuf--  vpicio, q ua fi fuffum afpicio. Jcem fuperpono ,& fuper-^  >Jedeo, 5c fupcr, quorum erhymologiapatct.  «Amplius traduco,traiicio,tranrpono,tranfmitto,tranC' lego, cxtrans &:ducoi& iacio&c.H^catculimusexempla,vcinaliisidem ^cx:^^ fncere"  & dtclamare, dicimusenim exdo das, abdo, addo,, condo, dedo,edo, indo, obdo, prodo,fubdo, reddo , tra.do. Similiterexeo,is,habes ,adeo, comeo ,ineo, obea,  pro eo,prareo, tranfeo. Quprum fii^nificata ccfiabori-  pnaliclongcncur, camenalToriginalihabent VIM SIGNIFICATIVAM ftrto cnim fignificacperaIiudeo, ficucfumus5  Imperativum vero non habet nin praessens & futdriim,  caretque pr^tcriio,quoninm non poteft imperari qiiod  tran(M]it, Deqae Deuspoteft fa^ere vt non Fucrit, quia fi-  bi contradiceret Imperafnus id folum quod nuhc^auc  ' poftei exitinadum; Caretetiaralmperatiuum perfonis primis in fingutari  numero ;quoniam fibi ipfi nemo imperare poteft, fed al-  teri,nifi ieipfiim vtalterumaccipiat, & tuiic erit quafi  fectinda perfonaqui eft prima?fic Petrus air , quKl agi^ Petre>& fjc Peire, Non caretin plarali , quoniam muici  imperio mutuoaiiiciuntur..   m  Optativum h.abet prxfcns^prxrer tcm , .S: furiiruni :  Jefi Jerium .n-ad omnia fcrtur rcmjiora i npt.Tinus  ecenim ali quidfuiire, 6c eir.', 6c fore, habctque nocas fua^ Subiunctivum liabct fimiiiteromnia tempora^qaoniiC'  poceft fubiungi ad quodcunqae verbum alibram moi-  d|or um, V t// c ames^vil xffnm #if ,qu6d amatferim, i tem nini'4imaremfit?piraidm^tCei^ mamdU€ro fuffirah*   NotandumquodS^ubiani^niu habetpro noraly e&m^  qu^orationem farpcndicdonecairud veiTDum fibi adian«  gacpoftfe,vei^fque ly «Mfiibiudgituralteri verbo^vt  iMtmefivtfaeias^ petaliqoam notam co£ujatioonim di^  ^r^m taliogicai.  Liherpri/fUis. 6i  Dcinjkmtiuo*   INiinitiQum etiiani tria tempdra habec , fed fine perfo-  nis, dependentenim fcmpcrexfinito verbo: quod poced mulciplex efTe & ad omnia tempor;! r&Ferri , quo»  piam bxcrclatioeftindeterminararum pcrfonarumjom-  nibus enim pedbnis copulatur , progcsrea infinitiui modi Garent diuindione perfonarum rHijc^us enim tred^ te  Mmdtt iwsamatiiJU • & h^nnmaii^Mum^ effcibL quxli- betperfbna cuilibetaddt pote(t,veff«fFamulantia fem'  pcrinfioiciuum expofcunc poftfe^tiuiftn locopatebit.   t)e Cermdiis, parna^iis, ^fupims. Gerundia, participia et supina non sunt verborum  modij sed nominuin simul 5c verborum 'participa-  tiones ^ proprerea de cis alia nars oracionis eft conlicien-  da ; nec verbi$ addcnda, vc tecece priore^.   PIlxccritaprsefie£b,imperfe<f):a,& pluTqpam perf^Aa'  non funtin dperatittis^ fed idem omtfifl tempora re«  praeientac  quoniam fubxatione V6]iti nonmultiplicacur'  prxteritio; ucut fub Aftibiv indicati, Subiuni^iuuni veirdhftbetpmnia pr^i^td^^ qubniimi  cuhi dmtii verboalceriusmodifiibittndioh^ fikcere po- Granmiacicioon inteltexei!^ qiioddeftderattuo^potius  «utetn (ubiuo^liuodeeftpars prsefentis rempori, did   mus enim vulgo/o amafli .h amaret fftti caminafii , iovcr^  r^ir^fo : quxnon re^lecuiUundunnir apud latinos et vulgares etiam peccant quoniam \) amafei non ad uc<u  deraciuum,fred ad (ubiundiuum verc /pedar.non enim pronunciatur, abrqaerubiun<5toanre vel pofl^nquiscrgO'  iterumgramn^acicare^ur boc coQilderare debere{:.  QVxrituf autem, cur pweritum multiplicamr, &  non fucurum 5cprrerens ? refpondeo , quia praccc-  ricum porefb non cotalicerprxteriflre , & iterum totaliter et tandem mulcoance ,poteftcliuidi Sed prarfens ell  nunc indiuifibiIe,quapropter non potefl diuidi. Sed  quod imperfedum eft prxfens pertinet ad antecedens,  vel ad fubfequens tempusi igitur vnius tft temporis . Sed  de futuro non ficraliud enim eflmoxfuturum,aliud poft,  aliud longc poft SedGramaticinon acceperunt hanc di-  ftinclionem : quoniam vfus loquendi apud vetereseiuf^  modi expreffioncs non habuit, ficut de prxteritis,verun-  tamenfuturumfubiundiui videturefTe defuturo prxte-  Tito-fecero enim idcm eftlatincquod vulgariter haver\  fatt9. Apud Hxbreos tempora ficut magis confufa   l^ikttfiovefborum ex ordine.   Efborum aliud primitiuum , vtDo. -aliud deriua-  tiuum, vcdono.  Dlftinclio ab ordine eft fimilisci, qujc fit nominum. Deri Hamorum muUipUcitas verborum   ex verbis.   APUD LATINOS verboru deriuatiuoru aliud est inchoativum , vt a caleo ^xtcalefco, quafi inci ijio calefcere.  Aliud meditatiuum,vt acocno canaturio dcriuatur, qua-   fimeditorcocnare. Aliud £requentatiuum, vt alego lemp, ideft frequenter   lcgo :i rogo rogito.   AUuddiminutiuum^Yt ajiri/^,/tfrW/*,a fcriip/criiilU 6$   pauktim , &diminutcfcribo&:c. Deefl: Latinis ma?!;ni.  ficatiuujn,dicimusenim vulgoda beuofbeuacciiiare: da  Aico (bracchiare francheggiare.   . Deriu^ia wrborum^x nominibus.   DEriuatio verborum ex nomiaibus irerum mulci-  plex jalia a similitudine: vc i pacre onwpmiftff^  fiue pMtfix^YMizkhtjQi^ rei fioe exi(lenns,fiue mui^cioD^  fubeopcis » vt ifronde fhnltfco ,a lapide lapidefco, i ca^  lonecalefco..   regvlA.   QVoniam'verbum fignificat a<?lum ; cuiufcumque  autem rei efl adus : igitur a quocumque nominc  rem iignifican tepocejd dcnuari rerb um.   HJ£c rcgula valecapiid Grxcos , & Italos vuIgaTCSi  TedLaiininon vf^oeadebipraviirunc. Lulliusta  men eliciceam exquocumque nomine : namqueaic,ho-  TCio ^hQmificauhdmlficaHo^homificabile. Sedlidcex compositione fir non ex deriuatione ,di: pertinetad adum  agendj. Sed detioatioptoi ^flr ex.forman, stUpUef:  t^^metallefio^U^nefco^fenefco^pt. treJc4tj^W9jbcfloreUo a flo.  re.f Sed ab homine non dicicur hoimeo^ntc d I-upo lupefco,.  & caroen ft cundum nacnf ficri deBcc : vnde vu I gaiiter \  icampo ^^Cit^t9mpe(i<jiare^'2ihvit^xi^f  U dmnaii^ lioiuutff ^ ficoc Latini dicitur mafculeftire &:  «jlf^WfMri. dfnafculo, &: fa;mena.   Qoiatitem nouasartescudir potcftf.iccre deriuatio-  Hes verbales ex quocumquc nomine, ex omni enimre  egreditur aclus exiftendi , vcl operandi, vel imicandi Ucu.  X^uid^uid Ciraminaciciinhoc minusfapianc.  T)i dcritiatione temporum ex temporibus   ^erharum,     DEriuanturetiam temparaverborum fucceclentia ex prxcedentibuseiufdcm fpcciei^vt omniapfscterita  ex primo prxtetito profeAo, ex amaui enim oafcitur  affMuc/jw^ amauiJ^e^i^mduerim^'^ Mmatierc^ amautje': VErc dcriuanrur ex prxtcrita cx prxtcrito perfc-  non autem cx imperf-edo, quod enim iniper-  feLlium eil , gencrarc non potcll: fibi fimile , irem  fufurum lubiundiui deriuaturcx prxtc.rKo, quoniam  Micit futurum fub r.uione pr.vrerici , idem emm^^,/*^/*   dc iii m ^ m m h a h x^^' DerMatio ex pujintii   DEriuantaromnia ptasfentia tempora exprxfenti Iti.  dicaciuo,vt ab amo ^amaytmanm^mim^hLamaniSc  ab amoryamare^ amafeffiimeriamarifVt Silc^o, Deriuatioexfuturo. Ex futuro aurem indicatiui , non videnturoriri alia  futura. Non enim ex amabo deriuatur amato,6C  amem,&amauero ,& amaturum cfTe, fecundum vocem  licetderiuantur fecundum rem ,quaproprer in Iiiscon-  fulendus efl: vfus • ac for(an & quanpus iyllabaibm  primjarum. ! formatione virloriym$  Arc VU. . V   Verboruinaliudfiniplex YcAs#:aiittd compofiniinV  t iramligf : ^nd decompofitimi > yc ttmttU^   'EAdem ratione dcclaratur compoficio simplicitasque  verborum ac nominum. Decompofitumautem non  ex comporitisjed cxcompofitoacdcnuatiuo, vClfrfK/-  erMU ex crans & rcribo : ex quo erac fcribilio.   Compositio vcrborum alia est ex duobusfeuplun-  bos erbxs vtmUfaw^cx caleo acfaciQ,alia eftez  verbo & aduerbio vtmakfatth/aOsfiiekj alia ex verbo U  prxpofitione, vt</^i^^ «»jB<^,qi> afiexira fado »ncum  alio facio : alia ex wbo & nomine, iftfa»iitj!(o^magnif €0,   OMniscompofitio ex nominee & verbofignificat a-  (^ionem alicuius rei , vel paflionem ,vt fruajiico &-  con^dificor > arefacio^Sc areno, £c Ixcifico. Omnis compoficio ex verbo & aduerbio fignificat  qualificationem adioni$,reuadus»fiUe aditti|fiue "fzS baxiftfaiiifst UjtcJail^p fiLWk Afi^.    OMoMCompoficio eif yerbo 6t verbo figotficdtft Afi» editionem, vt/r/^<f><7,(juoniam ficadus fhgoriSift ta^  menda tHh  ADditum-edin hac reg^ala f tamen datuf j quonianv  non videtur e"x duobus verbis fiefi compoficio^  quoniam duo adus coirenon poflunt, fed, fi alcer ab al-  tero fitjiabebitur vnus vteficntiaaiaus, alcer vcadujfeu-  ftibo& paffio eiusjicutpatec mfiigefipt^ntltfit.^  Omnis compofitio ex verbo &pr^poficionc;( fgDifrcatradum cam relatione & refpeduad aliquamefieo^  tiam,^qiiaib, vel deqna, vel cnm qua , velin qna, ver   Sptft qnamr.,j'vel per.qttam, vel fpper quam ^^veU  q)!lt>meircaqi]am» v«l enins gcatui^ jeditiirs^&it^^    QVotruntprxpoilnone.srotrunt vcrbornm exprjc;-  pofitionibiis conipofitiones fecundnm naturam..  Sed focundum vocemad cern^jjipi^iiR-reftringun^ur.''':  Exemplade verbirubftannur compofitionibusi  Verbum rubftanriuum babet compoCriones o£tb^  Dicitnr enim i/«w,adrum, id^^daliud fum^quafi prx-  fens. £r^4/to,ideflabaii^^.quafidi   fiis abicHH^ v;,^,. ^i^-',r:v:   ixcmdtfim , quafideorfiim fum- & feparatntiH^ ; Infim^ qttafiitt altp fum; Wl incns fttni .pcazpQfittaefiltfii.  %|4|^u§u^^ quaodo venit in com£ofitionf m«    iinir/im > quafi intra aliquod fum , vt praefens j vtl tan .   tjuamiuu.ins .nirnccefrnrium.   Item oSfim^ quafi ob aliud rum,&ftdtterruo).8cconcm  iignificac enim ly eh oppofitionem quamictfnque, Sc  qaamuis ngnificec eflc caufale finaleinccrdum^ tamenia  compoficioneponitur vccaufaopponitureffeftai iaitem  relatiue.   /^r^?/»»!, quafi pro alio fum, vel propteraKudjideft illud   iuvans:/?r^/«^,!defl: fuprafum jvnde praeefledicicur ,qui  imperat, &qui aLiceic.   Sul^frvn ciuSiCifwb a\\o Cmvi. /'f^wz quafi pofteflefum.  Qaj enim poteft , port: cft, potentia .n. exeflencia manat,  vt declaratum efl in Metaphyf. ^hocdico ex vicpmpo-  iitionis. Datur Sc/^/^^r/ni».   De compofinontln^s verborum non jubSlofh  ttaliHmcHm^rdfofitiomhm.   IN verbisaliis longe pluresfunc compofitiones:dicimas  enimexjr^«:i0, abucioy&adiicio^quorum primum fignir  ficac feparationem peria^um,-fecundam ver6 addi*  tionem Sic ex ffiil#/^amitto,6c admiccp, quamuis ^dva ad-  miccoreferacur ad peribnam miccencem ; in adiido v^&  ftd ean^/^JmiamfiK iaftus ^ ficut 8c appono.   ConitoolwefKKiM^^ iacio,& fiiu   perdifcurfionemly c^mcioetiam idem est arque con-  fidero ;quia quimulta /imui lacic intelledu, ryliogizat:  ^ commicto quafi alteri trado , quo cum mitco quid fa-  ciendum,6c fimiliter committo fignificatfa/ ciojfimulcum.  inftrumentisvelaliisrebusaiiquid. Daturcciam circqnv  iicio , & circumpono , quando <j4rca;amljii|um rd qqid  poiiimusyvcloperamur, ' Vf,.   Demicco6c dimitto,deiicio,& df6jdQhaBcm.us*,<ie- mictereepifn qft quafi deorfum micce^revVeLdealiomit-  *cere,fimilitcr6c deiicere & deponere.Dimitterevero eft  quafidiuifiin mittere. & potins ad .Terbalein.fikcit c6po. Ttemproiicio prociiliacio {igniticir. ^cJ proponopio  aIiopono:5c non proculdicinnis rccuiuiuin vruni.Pro-  mitcoauccdicirurquafiproalio mitco,iS: pro re facicnd.i  mitto verbuai pollicitans.vel procul mitco ,vndedici-  mas prpmiflam barham id^ prohxam , dicitur etiam  jpermitt6ideftperaiiudmiitb'^Vc fiat,lyenrmf pcr caufa-  fitatemdenunciatjpercipioperaliuclcapio, vclvaldc ca^  piOyquoniam cauraiicasnociciaminludrat.Dicipnis prx*  mitto ,ideft ante micco pr^pdno ideftantepono  poftpono,6c Doft lial^oinon tamcn poftmitto^cjuoniam  non eft in.viu,^ npn quia non potcft^eii fecundan^  naturam.   Icemreiicio,repono remitto ^quaff latio.rctropono  ideftpoft primam vicem , 5c remicto , 6c refcnbo, iScboc  verum , quandoly ,rc, brcuis cfl lyllaba : fcLl quando cd  longa , dicitur,arcs, vc rcferc , ideft res krt v ^ vciiicAs  fert.   \ Amplius dicmui5 fubiicio , /ubmirro j quafi fubjacia,  pono fub, mitto fub. B. enim fic.p.etf, exfono fequen-  tis,vt fuppono fufFero. ^Vcd bonus Grammacicus originem recmebic. . r icimus etiam fepono , femoueo^  quari feorfumponb^&reorrum moaeo,fimiiitcr /eparo^  ,4^f«(gfflgo , feorrum paro-^ &feo-njm.a grcge. Iiem fiiH  picio , q uafi ru#fiEin| afpicio. Item fu per pono et fuper-  iedeo, rupcr,quorumcthymo!ogiapatet^\>5^^-:^^^^^   lego, ex traris-I^Bfii^ti&i^^^^ ,5&S^^^ '  H/£cattuIimusexempIa, vtin aliisidem k\:\s facere-  & dtclamare, di c mms en im ex do das , a b d o , add d,,  condo, dedo, f do, indo, obdo, prodo, fubdo, reddo , trado. Smiditercxeo,i5,liabes ,adeo, comco ,ineo, obeo,,  pro eo,prxeo, tranfeo. Quorum fii^nificata etfiabori-  ginaliciongcntur,caiiienaboriginaiihabent vim figni-  ficatiaam ^fn^ Cfutn.fijgpificatpcr aUudeo,(icucfttmu8i   \ ' I «i     per adrem', 6c aqua perbinum, compenecrando j quod  nim per ic , didbciatur ab eo , p er quod it , vnde e tiam  cUar incerlre :quomam difToIurio atomarum euncium in .  atiasreSyCompoficamdeftruic. Vnde perire& interireeft  •proprium compoficorum diffipabiiium £c friabilium,  sdem concipe deperdo, 8cc,   "DeTarMif to.  PARTICIPIUM est vocabulum, pars orationis declinabilisj fignificans effenriam fimul cum fuo adu, veladum cum eflentia^ cuius eilactus^   D E-Gi-A A T ra  IN hac definitidne ponitur ^fcaMam fdfs oratiotjis  detUnaiilis eadccum declaratione, quain nominis,fic  yerbiy&pronominis tradatione vfi fumus. Dicit urfizni^  fe4m4ffeiu^tmmfi^a9u\ VfdtBmmmeffmiafimuttZd  differencia pro Qominis» qaod perfonam^ non efleiM^m  dicict&nominisquod fignificaceflentiam/en remabr>  queadafuo i6cverbi,qaod fignificata^lum.fednoncam  eflentiafen re. Quapropter cum dico ;2df/l:m,figrtifico  rem, qux nafcicur,yet aclum nafcendi cum re, aduara ta-  li aclu. Et ideo quot funcaclus,totidem funt participia .f.  substantialia, cxiftenrialia » operatiua, adiua, pafliua,  Deutraiu,communia,&: deponencia.  Dlcicuf propcerea oarticipium , qoia capi t parcem fi-  gnificationis verDi, & partemnominis, vel pronominis, id eftadas 6crei. Vndedicicur eciamnomen verbaie vel verbum nominale propter idem.   JUberfrimitsl 7/   Grammatici dicunt , quia pdriem eapit a nomine^ p.tr-  tremkverbo partem ab vtroque: a nominc .f. genera &; carus -,averbo tempora&figmficA4ione!i«ab vcro»  ^ue namecam £c figurani- Pere^Mr^iiitelligiint kxnmrfet'ea/um vahecatem^  indidionts fine. Sed bsecvarietas eriam eflin verbo»   fednonitaatqueinnomine. Ibi enimtTe. scafusfingula-  riter funt, in nomine fex & pluralirer etiam fex , ncc mu- '  tant prefonam ficuc in veroo. Vet tempora intelligunt  pra?fens,prieceritum &futurumjqua: aclumconcernunr. Sed nomen figmficat tempus , vt ens eft, fcd non cum  temporevt verbum, Per fignififationem incelligic adio*  nem vcl pafiionem ,&:inhocfaIIuntur Grammatici:non  enim afoloveibo habet partictpium fignificationem,  alioquin (igniHcaret folummodo adum Sed quia figni«  > ficat efientiam cum adu.nonhenedixerujDr, quod aver*  bo (0lohabet6gnificQtionem:tquod autemaddunt n$>^  .m^rnm ^l%«r4fiil*idefl: formationem fhnplicem com*  poncamab vtroquehabere non mal^ addant. Sed non*  efthsBcnarticipkmifn rario propria^fedinmodo fignifc .  candiftbi vtrumque parcicipar, fbrfan etiam pronomenr  ^veirbiiniparricipat, omnisenim eflTentia indota fuun».  didum eft perfbnara,^ adu^ eftperfohahs, proprere^  dicendam efl^quod pirticipatpronomen &verbam,ver  forfan quia nomcn efilnrinm fignificans habetaclnm  ^flrcndifiibflanculiter.poceft concedi quod parrcm capit  a nomine,'cum reueraplusd pronomme capiac-' adu?; e*  nim exiften Ji,agendi,operandi,pr^tiendi fnnr potius per.  fonarumqu.im effenuaium, ijifi, vc pcrfouaurum. Sicdi  liocinMetafii,.     72 gratnmaticAltutn CampaaelU,   P Articipt» oriuntur ex verbis, 6c terminantur inmo^ '  mina , vc ^Xitmabmm&tamam , mucata verbaliin  rfii/ noiiunalem. Confimilitcrm vulgari lingua.  DeriHaihfarticiftorum.   DEfmuntparticipia in am & ia rus, vc^hians&ama^  curus : & in tas 5c in ^«/,vt^inatusdc amandus  Addemus, in ^i/ii,&iirffi^vtainabiUs & ainatittiiS) Vtt  iat*Ukrovidebimus. Participium ui a4iii/oiiiuj:u4^aprimaperronapra:ceri  ti iiupcrfedi .murata <fwin, v;, vcamabam, amanb facir, in w, in /1»^ ,formacur a fupino pafliuo.vtamatu fa-  cic amatns, prout addic , r#/, auc in ,formacur a ge-  ninuo parcicipij in am^ mucatO|fi/^a ^/t/yVt amantu facic  anundus.     INiingua^atina itarehabentderluationes paucisex^  cepcionibus additis. Sednon in otniaiidiomatedan--  tur participia nifi vbi breuitas Srfiicus attcodiior.   Poccx tamen noftratesvti ceperuntjdicuiltlHiim/Siitoi^  faH9, faBihili fucJiaoyfaBufo & facignd^.quod poftremum  cft mumsvfitatum. Atquidcm deriuationesomnespoC  funrfiericx imperatiuo per adiedionem ,& ex fecunda  perfonaindicatiui, fi enim<*«i^,accipiat,»j facitamans,  f\ tus^ amacus , fi, ndas araandus , fi tums , amaturus. Tut  vertitur intns eftin xa/,vcvifus amplexus , proutfupin^i  jEjjrunr. Etideo redc (^ranuuirici funina refpuunc.  <'Duo func parcicipuex parce edcntisai^umkhabentia»  .Camaoa     Ly Gc     Ltberfrimtis, 7i   amans&amaturus,alterum prxrentis,alcerum fucuri  temporis.'   Duo funcerinmex pj:rterecipientis aclum .f. amatus  & amandu5,pertincntiaad prxtentum 6c fucurum.   . Duofuncex partepocenria:,vt amatinns <5c amabite,  cfpa^poiruiH: muLtiplicari adkiue 5^pa(riuc per omnia cem.  pbra , vc dixitnufi de oomine loquences.   Tfofofihodetemfortyus^   TRia enind runttemporaparcicipiorum, pricfens,pr3p-  tencum &futurum, quar multiplicancurinadliua^  pafliua .f faciencia & recipicntia: excepto prxterito»  quod non poteft elTe adiuum.nifiin verbis communibus,  ic deponcntibus , vt (equens /equutus , fecuturus, lar-  giens,Iarc;itus,5c largicurus ,atque infuper quibufdam  vocariN neutns paHlnis, vc gaudens, gauifu.s, & gauifurus,  tido ctiam , ca:no,prandco, iuro,placeo, foleo, audeo* af-  'fuefGO, quieko,titubo,lnuboi fierienim pa/fiua triplicf-  teifdeberencyciiens fadtts&fiendus,iedndn eft auistfi  Vlb.   ' Etquiaqubd eft in potenria eft fucumm.fittnrilma-  tittum & amdbile^adiuttm tcpaffiuttmin potencia&pof?*  ieat triplicari. ' : .  QViECumque carent fupino verba,carcnt etiam par-  ticipio,in cus&in rus , vc<iircO| ftudeo yCompefco  apudLacl   cafus exigentia.   »   PArticipia exigurlt cafus {ttbrum verbonmi , ficot fiio  in lotodocebtmlis, quando non fiimuntur penitus  nominditer. J)oH»i enim p^t^ft.efle nomen, ver^i  De fextu. Prasterea participia habent sexum masculinum ,vc  foemeninum,vt^» 7<i^/,8camanda, neucram  vt amatum j commune, ^tamantcm ,omne^VC<iwww>tiici-  tur eaim Jiic» 6c hazc^ £^ hoc amans^   >   OMniaparticipia iai«ffi& vsihtk futittertixrieclinatioms nominam, in ntSt ia /«r in ifti & inijiffj  funcftcundas&primaSf ficutboaus.bona , bonttm,icaa-  maturusjomacura, amaturum dcc.   '^- lyejorma. c   DAntur'fimpIicia,&comporita&'decompofira , vc-  iegenSy perlegens, &per leduriens , flcuc m ver-   bis.   £t babent compoficionemilmihcer cu m nomine,cum;  terbo^cum aduer bio,cum propoficione^iicuc declarauL-mus loquendo de yerbis«.   De frttpojltione feu adn omine.  PKxpontio eft V ocabulum indicb*nabile, confignifi'.  cans rerum feu elTeniiarum cum iuisadibusrcfpe-  aus&circunftantias. ^ ' ' "  Ideoque nominf adhasrec figoificanci efl!enciara.  Uberfrmuil 7/ Dictc Qr 1^4«&tff^f»!/) ficoc decaeteris.  DimviViniitlHiatlbi ad differentkun decliii&biliam  ooniinuiTi,verborurn, participiocunr8cp Fon6niiattm.   Dicitur conf$gntficans nfpecfui ^ circnnfiantias epentKt"  ruminfatsafitbrts : quoniamperfe non fignificat , nifi ad^  datur nominibus: & non nifiper adum eflendi 6icxi-  ftendi 6: ag;endi 6c patiendi U. operandi pofliint res ad  inuicem rcferri.   jDicicur cfseniiaram^ ad differentiam aduerbiorum qu«  adtum refpcAus & circunftantias dicunt, non rerum , 6c  idcirco aduerbium coniungitur verbo j pra^pofitio vcro  tiomini,vnde re^ns vocaretur Adnomium» quam prs-  ponno:pnepomenimeftornnium rerum, qux antcce*.  dilnr iiue in nacttra /lue ia ^vocabuiis : fed^omini  . praepioni eft proprium huius partis orationis } quam ex  %oz pra^fitionem vocamus Meliorem ergo adaer*  biuni nomenclaturam«Praeponicttreciam pronominiiSc  ^rticipio, quatenus aiiquo pado fuht nomina etia»'  ipfi.   jijfirno comfaratiM.   Slcutiaduerbium fehabetad verbom^itaprxpofitio  ad nomen:hoc vno demptO|qubd non fimiliter qualificac,necquantificat. Dlcitaduerbiumcircniiftantias &refpe< fbu$a<fluum;  &infttperqualitates, & guantitates, teroporalitates, iocaiitates«&aUamttiia pracdicai Aentaha* Adno-      miumautemreu prxpofitio ^olum rc^pecbus dicit eiTcn-  tiarum & circunftantias. Qvi:\lirate$ enim qunntiratef.  que , ciEteraque pric^V-mentalia indicanturabadiedi-  uis nominibuj circa frJ »flantiua, rii;nificantia efTentias,  verba autem adiccHiuia non vniuntur fubftantiuis nifi,  participiaiiterfumpra. Dicimus enim igo fnmiuryem^vsk  esanuQSyVoseftis icribentes^&c. Omnis entmadusre-  foluirarin eiTeatiftni, & idei^ ner effeotiale yerbum expri-  muntorinnomine participiaU,6cciini<licimus cufnrie^  tftoMefiy fttmitucl/carrere^motteri nominaliter iqu^  tencis, ad\useflqoaRkmres,&aoii vt egreffiortjfe,   De numero prApo/itionHm certos cafu$   exigentium.   Prepositionum an« trahunjLDxmifitt Ai^afomaccu-  fatmtmi ,vt aiJ, “apud” , “ante” , “aduefros”, “cis”, “citra” jCir-  ca^ circitcr, “contra” ,erga,extra , “inte”^, “intra”, “infra”,iuxra,  “ob” ,'pone, penes, “pcr”, prope,propter, “pofl”:,pra:ter;, fecun-  dum,fupra, verfus, vltra. AIix vcro adablariuum , vra^  ab, abs,abl'que,cum, coram, clam, dec,ex,pro pra;^  palam.-fine. Alia: adnccufatiuum &ablatiuum, vrjn,.  fiib, fuper^fubter. Alixa^ geniriuam ,vt inftar gratia.  Aiia: genitiuo, &abIatiuo, vttenus, quodpoftpof]tum.  " nomim(ingulahferiHcabIatiuovt capuiotenus^ pluralii  veri,g;eniciua, vccrunim cenus« Ratia honun exiogica)  & ex ^idisin capJde nomine confbit   DiJlinSfio frApopionum exJ^nijicatiQne.   hiu in.   PHarppfitionumalias flguificant refpe^um ,alije  cumltaaciaiiio ALke sigmficanc r^rpedttm principijac! termlfium»  qua prioci[>i; xyt i^ex : principij jid termimim     S   ALiae fignificar refpedun^ caufae a.d effe(^um ,&c '  contra,<)uarum   ALix (ignificantrerpedum cauialem caufx agentis  vcab>a,ab5> fecttficlum ; vti peo fadum eftfe*  eulum.&ib.   Anxcatt& materialis^vt i&^^,-nde Juto ^dus eft  . homot&exelementtselementacum*   'Alise.caii&idealh^vtinftaf.. U >;   A liz caufaefindis 6c perfedionalis^ vc propcery Ugra-   Alix omnium caufarum,vcp€r,pra:jcipue aucem ui>  ftrumeiiulis.  Slgnificantium circunftanrias,alix rignificantcircniiu.  itantias \oc^\^s\stsfnd^c\s^citra^vlsra,cnmm^tlnf^  fropK imxta^hiira^)^tfa^veffus , fnpra^infra, in.   Alix ctrcunflantias ordini s fetf difpofitionis, &ficil3f  yrtante^f^fypra M^fupr^ fifher^ tenmr yfn^iitter»   lias ojppofitronem vt  « Aliapcmunftantkm fccimtis '«IBnmta&'v«tsegac&  ^tit^^pUiabfgue^fratcrrCoratn^{dUnt^afiU^ " '     Dijiin&io ex fomatione.  . Arc. IV-   PRxporinonum aliae fiinplicesvt^^jaliieconipofiia:,  vtaduirfit$.   Diiiin&io ex Qtdine.  Arc, V. ' .  ITem alias primitiua: siprofe , & i-//r.z'-, alix deriuatiux  vc propui&cUiriut , formancur enim comparatiua , 6c  faperlaciua nominaex prxpo{icionibus »dc umuladuer*     v;     Proprium est pr^pofitionum compbfitionem fiicere  cum verbis: non camcn omnium ^ vc^ipitraft^tli dc   verbiJi compercumtuiL  IDe ad$ieriiio. Adverbium eft vocabulnm ii^dec Unabile configni'  ficanscircc inftantias pr^dicamenbjes , &affedEi<^   nes,,modificad Qne/quea6lus.  Ideui^ue lernjiqjr verbo adbicret, significanciadunL ,D^dume(lpiili9^q,U9d aduerbium dicitur quia flac  tttU3fc.mb»int|:cemnam9difiGationesadt]s,fignifi- ^ ti^verb j(»,dfcl4ratK7. »  DiciCMr^oyv &par5ordinis icKieclinabilis , ex rop gene* . yg   re,i&: clifferentiadcclinabiliiim.   T)\c\z\xr confiniificdns circun(hiLttat (sr Tnotlificittkne^ fi^   IhS'^ qaoniamomne prxdicamentiim denominansa^ flmn   percinecadadus circunftantiam.qualificans veroad mo-  dunir . .   . .DecircurjjlantthHs actum. Circumstantatium: tempus, locus, eventus, magnitudo, numerus, ordo, similitudo, ficanimi excen-.  fiones.  Dlcitur circunAare quidauid non pertinct ad tC  fentiam re, fed pertinetad eius exiftentiam ; omnes  enim res diuerfbrum prxdicamencorum circunftanr,  quac Ain t eiufdem prxdicamenri , non circunftan t/ed ef.  fentiant , vt in Metaph. probatum eft. Et quoniam alia  funt eflfentiaiia ,alia exiftentialia rquar pertinent ad exi-  ftentiammagisdicuntur circunftare ,vtfunrrempus,lo«  cus, correlatiua,5c cocxiftencia.   De adHerbtorHmyfpecfantiumad circmflan'  • tias^varietate.   PRopterea aliafunt aduerbiatempprjs vt quande:, ho~  die heri^ cras^pidUyfoQridie^ quandiu,mod9,\olim^quen-:^  darn^ nupefynunquam^ mox^fdttUfper^pereniie^c*   Aiia funtaduerbia localiafignificantjaa^flum in loco  vt ybi 5 hic^iHic^ iftif^ intusJorit Mfqttd,nttlMii vtro^ique^  fUutr^biqtte. A lia ad localem ly^oxione^^vtqno^httC^ilkCyi^ttCi intro^  fora ^ttoieis^quocttnque vtro^ue^nentrpqttu_, ^     /o Aiia moto de loco, vc vndeJjinc^ilUiu^i^inc: vndijue^/i^  ferni^infcrne indtdcm.vtrinque,   A\i3Lipetlocum ^\t^ttaJ?ac, ttIac^ifiac^ qttaoisqUa!iie^e4''   demvtraque.  Dancur vcrfus locum , viquoffiim, iUorfum^ dextrsr-   fim inextrorfuni, Daacur  6c vr<|ue ^d locttin, Jtt^^nc^ffm, iUft^^ vfpi^  qu^ufqu9^hdcienii$.  Alia fuDt euennis, vc/i^r/^ tf^nuna J^nmtu, cmingen*,  terSniceffario,  Aiia sunt ad.ttCFbia niagniradini$» vt/^ir/ki»,^ir«riiA»»»t  faruum^ minianm % fherimum, fumwmm^ atis^nimii^ntul-  eumyaii ^uanfuium:m:tgiSyampli MSymintts.   Aliarunt aduerbianumeralia fignificantiavicesaduum,  vt quoties, totuiy ((mei^bts^ ter, quater^ dectes^ eenfes ^mtilies^  &c. ex pronominibus numeralibus deduda.   Alia func aduerbiaordinis , v^^rrw» yfecand^^^ytertio ^c»  deinceps^dehi h\pofiremo^dentqtte tandemydemum,   Alia ordmis,&dirpofitionisfimul , quoniama<ftusauc 'congregancaucreparanc.  Congregandifunr, (imul^  fotrim^ ceniunHe , generatimyturmaeim^ vnluersh Separan. di faqt ^fiurfum^ ei^em Uimt friuatim , ffeciatim^ figulatim^  ' hfariamytr^ar Um>,fitatri/h^ ymultifariamidtt^ltiteF^  triflieiter. SpeOanciaadlimilitttdinem funt, tanquam ^feu ^pcuti^  puktignitvt qitomedu^ iimaim ^Jkmm De fpcHanfibHS ad anim^ etctenfioms^ Aekierbiapercinentia ad animsc circunftantiamrunc  multiplicia. Nam vei anmia alfirmat vei negac  eilefeu adum, vel dubitat , vel incerrogac,ve! vocat,vel  rdpondec: vel optat,vellK>reacur, vei eligit vel proliibec,  ^exoftintbuslitrceanima: extcnfibnifcusad obie(fla,naf. canrur adnerbia» (icirca verbumftaat: v^l fide re-|faQt  inlceric^ionis, qu^ eqtrin^entoraf ibni. Affimandiadilerbia 9m^fo,mi, etiami{rofc0i qtappc^   umfu Negandi aduerbia func, nov>haudimimm^ne^Hac[iianif   j^a^d^uaijuam neutiquan),   Dubitandi funt, fGrs.forfan>forfitan ^fortafsii I fortajfr ',  Interrogandi (un r, r , quayt^quam^h im ,^muU npnm^ vtfnm^nunquifit^ quidnam, qutdne^ ^i/idita,  . lurandifanc , p^l, edeftil» eea^erthercU^ meierclf»nuintt^   .Vocandi fanc «i^fir/t^cea einquefiinc rerponde jidiin.  tecduinadtterbia. ^  D^monftrandi ((int, eccc^ tn^ eccnmjMleet^viddieet. Interrogandi vcf Wandiendi ,vt/tfJ^ji  Optandi func, 0 ,Z'//»*Jw/V/,%*<^*w.  " "Hortandifunc,w^,rfgf,</^//^.   'E\\2,Gndi p/*tttts/utit4s,p0Hfiimumiimd^^ttin. ^ Pfolnben4i,«^,f<iar.   ^ K Duerbia aiianjim f^rcunftant verbo >tanmiam tt>  gni6Ccaotia, qaodaifi Miiiniicejepr^d ^ledqoaF   lifi^antaiEciancqueadaiil*<^alifici Mio,veleAexparrea^m ^deQtis, vel f^fd^  pieort5jyel'«xparceinfiui?ni ecdus.  Aduerbia .qualitans ex parte agentis, funt puUre, doRe^  fortitif, ^.'ne.male, Gr^c^^Latjue^CUeraniane- dcp\cTum*  que ex omni nomine adifcliuo qualificante cHentiam  dcriuatur aduerbium quali4cansadujii;igitur (juotad^  iecliuatot aduerbia. r-  RE^e didum ePcex omniadieBiu^ firiadtieriim>iio*  mina enim fubilantiua) tunc &mt aduerbia cum,  adiediuantuTj vccxCicerooefirCioeropianus a&exhoc     n fammaticaJium CampanelU]   Ciceronianc liciit enim adiecliuuui qualificacrem, ita  aduerbium aclus rcj.   Dantur aducrbia qiianticatis, qualiracifque poficivia,  vtdofl^^^ U comparatiuai vc doiiius , vc fuperlaciuaj vc   De aducrbits affeiiionis ipfius a^us\   ADuerbu qualicads ex parte a&ttvpertioentad a£. fe<2ionein eiufdem ,feualteracionem» Alikfiint inten/iud, vtnutp$,m»Mimh^lt Mm^4imdum^  ferqu4m ,ma^nopefeyVehementer ^frorfuh fenUMf>mmuttb^   nmium/tnngCylate. imfens^.   A I i a fu II t re mi fli ua, q ux min u u n t a^lram , v : /2- nfinf.Pa  Litim ^vix, agrh pene Jeri yferm^i : fedentm \ a foco afoco  fianfiatto. SiLcvnlgaiitcr. ;7a D Nax A T L a.   Sciendufn» quodadie(f); iuanomina pertinentad e/Ien  ciam,quanticacem,formam, fpeciemjvc humaniis,  rongus^quacrangttlaris albu ideo aduerbiort|maIiud  quanttficat adttm^aiittdqualificac, aiiud format;fl/jud  fpecificat » ic hasc omma fttb racione affe^^ionis; di^a  funt!6c qualifcationis. Qualitasenim eft non foluns fub*  ftantiae, (cd etrani quantrcatis,'& formse , & adus,&^onnte^  .aiuro praedicamencorum,vtin iogicadeclaratumeft.   Icem intenfio , reaiifiiQ percinent. ad qualicacis3&.  magoitudinis adus.   De Qrdineaduerhiofum.  liaaduerbiafttD€pfimiciuA>ytti^i-aiia denvati- aa|Vtfi!^i^&   Liberfrimusl ^ Sj  iJtf formanone Adu4%biorum   Itcmaliafiinplic UjVt Ja^^^alia cornpona-, vtfM«*  y^^^ lalia de compofica, vc^tf^m d^Hifiimh  Confi Jerandum , quodalia adiuerbia com^onont cum  aduerbio ; vcfxjfr>(^v/i,'fic ficaci:ali*cam npmine^ vc  maUftcuiy^W^cmk pronomine vrMf ^fr^/r^ltacttm verbo,  sifMiifuciOf maUfaciOt malo- ideft niagis volo.   •GRammaticulicunt fex cfreprxpofitiones.qux 1.0«  nifiiacompoficionercperiuucur , videlicet ''ditdn^  re> fet itf«^r«», Veruncamen videncur ex parceerrare, nam ^  ai^eon^ fit prarpontio veniens eum tnmen\'^dis ori- carexdifiundim t Scdi, exdiuifisaduerbiisi/^eic feorfum^ r^exf#^« saduerbio ordinis.,veipra:gofidone ;aa forfiui  CXantefrapofiUue^  OMne aduerbiumaffedionem aclusintrinfecam, aut  circun (lanccm,figDihcat,tam m compoficionCjCum  verbo quam cum nomLne«Noa enim nominiiungicur ni«  ii per fubaudicum ver^un. DtcwimShnefcjftimM ar^aionisfsrte^ Comundio eft vocabulum indeclinabile con/igni-  iicans copoiam ellenciarani^inter ierciatarum ad     Sdf Cj rammaticaUum Ca mp.i ne lU, num aduni) aut rerum & ficnul .acluam earumi»*  terfe,6c propcereainorationecboii|ngic c^teras partes  orationis& fententias, vcPecru^&Ioannes fuiit noroi'neSy item Petru»currit> & loannes»   POoiturvocabuIum fariapithnhittJeilin^i^&fex ge^  nere6e<)iflerentiacomii)ums, ficut in^efioi^nonc ad.   Uerbij &pra:pofitionis.   Dichiir con,^^nI(7cjn s coPf$ldm cfftntirram inffr fe reltt.f   fumadvnum achim, a J ditlcrcnciam prarporition 11111,- ».^ua-  rum aliqua flgnilicant coniunclioncm, vt cfl refpc(Jius  nonvcadadum aliquem coniun^:^iintur j vt Petrui ctnn  Jodnnetji^ vbi ly cum^ folam relanonem Ibci^cacis indi-  cac. Scd 9etrui& loannet funt hornineSy]^ & coniungit  Petrjimicum loaiiiictll a2tUL enenJi,8c quidem lyorm gua.  Cenusfiini adu coniungit fpedac ad cohiundionemj^ua*  tenuscafiimregit,adpra:()oficionem, Dicitur vel tevMm fimi/l^ & afhm earttm\ quonfatp pbC  fnnt coniungi invndaAfi, Vel in duabus: vt Petm eurrit,  ^ /pamtes Uge» vbi ly, t^Petrqm currentem 6clpad-  nem legentem coputat , 6c propterea Grammatici lii*  cunt, qupd coniUngit parte^orationis & fententia*s,vti&a*  mo ti* ajtnuf funt animal ^ & bomo eft racjonaljs vjcar^ito  ijrationalis. Et ideo non poteftreperlri coniun^ioin oratione  fimplici vnius pr^dicati*5c vfiius fiibiei3:i fimpbciter ft*  vt homo est animal,tnqua nulla coniuoAio eft/Oifibo-  nms. cimaisim$di» fed verb^Us».  S\   ^econimclionis f^ccJantibtis^  COniun^tionumaliacopuIatinD^aliadifluncliua nlia  aducrfatiua , alia conditionalis, alia comparatiua,   aIiarationalis,aliaillatiua, aliaoppx)ntiua, aliaexcepti-  oa, aIiatemporaliS5 alialocalis. .   DefinitiocopHlanti^,   COpulatlua coniuncliojeft quar prorfirs conlunDT  res in vno aclu vel res adufque.Sunt autem copula-  tiuic, ^yat^ffe^ac, (juem^etiam^^uoque ^nccnon^ vt^cumi  fubiun^fliuifque feruientes omncs.   GOniungere & copulare funt idem , & quoniam c&- pulatiuaprorfusconiungitjhaberpomen fui gene-  'Tis, per antanomafiam.   i. Sed alix particulic non corriungunt nifi cum aliqua di-  wiiiifione interpofita. Cttmy&ut ^qu&nia?» fubtunchuo de-  £cruiunt, funtcopulatiua:,y7w///7rf C^^oci/Definitio difiun^lim^     Dlfiundiua efl qux copulat vocahula & non rcs,vel  copulatfecundum vocem, & di/Tbciat fccunduni  rem. Suntqueiftx.^a^VirAv/jfisrr /^tf,vt tuaur^chomo,  autbeftiarvelfcribis^vellegis. Et, velego rummaius;  vcltues malus. Grmm^ticalmm QimfamlU] Defimtiuo aducrfatiud^ numerus.   Aduerfatiuaeftj quijconiungic-rcsvelaaus/cd cil di-  M^rCKn^^^^itueihonus Sednonintmmhus Pctrtis effc  cio AusfitIoanesiniiodus. Sucaclueriatiuac, fcd,at^«aiwc,  tamen,verum,autem, vero aQ:, cxterum, atquejverunca-  men, nihilominus,Iicet,5cIicet, ecri,quamquani .qudm.  fiis^tameifi. Quaccunque coniunguncado criando. la  vuI^Ari lin^ua ly^nij roium "aduerfatur, Kunc addunc  ^crcJ, (lenliter. ' ' De conditionali.   COnditionalisexqua: eft fuppofitione Facitcomun Aionem,ex fi fol efl: lUoer terrani dies eft, ^uac con-diaioaaleiS/^Atf jwij^j » \x\i,mxi\,\A^, if/iUbK     c   De comparatiua.   I Oniun^io comparacittaefl:cua:per aflimilacloiieim   res fimpliciter,velcum a^libus fim.ul interfecon-.   iunaic .rquando ,vel excedcndp , vt ficuc Petruseftdi^-  dus jta Francifcus eft ignarus,vel Pecrus cfi: doc1:us ficut  eftbonu? , cam dodus quim bonu5 : vei magis dodus  quam bonusjvcl quam Pccrus.   Sunt comparaciu^ fi^ut , uj, veht, veht:,vtr, vt^tan»^   Omparatib ^quans eft quarqualiracem fapic incet  V^rescomparatas > vc (icuc Pecrus eftalbus, ica loannes  <eft niger: vel vm tii es Piialorophtts quam Poifca , alia  ponit io^qualicate«,vttU esma^lM>nttsqttamef tPe*  Ltbevfrimus.   Nominaomniacomparatiua &: fuperkuitia ^qitoniam  .inclirdancly magjs» £cly mdiiimk fttnc coqiuo^iua oractb-  Biim^ didionum. *     rationalL * •  RAtionalis coniunflio efl: qucX disflum cum ratione  didifeu caufa dicUconiuugip^vc/ff e$ dfUMS ^quia^  JluduifiiCiceroni,   SuQcradonales coniun(^ione$,f »^r^f  «Af, tmim^fu^w^mtUsUi^iJideo^Ttftefia^uotUami^iU^  dem^fyMidem. DeiUafmaconiUn&kW.   Illativa est, auq^contungic anfecedens cum conre-  qnfncididoaircrumexalteromferendo ,vt Petrusefl-  fendus, ergo carusDco, runtillariu^ ^g^tur yergoy.ita"  ^eexpofitimsi   EXpofiitiua quac rei non clarx coniungft clarifi*  cationem, vt homo .fKibilis^.idel^ pacens ridexe^  ^andtii Uber.   Di exceftiuis^,.   EXceptiua eft,quae excipiendoaliquicTex didaconi.  iungirexpcetumei, vncfe excipitur^vt^?^?// homoed  mtndax , prater lejum Chi^Hm. Ec quadraguica accepi^,  ynaminns, -Sunc excepciu^niji^i juraec ef , xcepcoi^niii^  De tem^oralk   npEmporaliscouiundio cfl:,qi]arcomiingi'c resatqne  A aAds per cempons fimultateni, vc quando magi-  ftec legic/ffiiif^difcipuliaudiiinCs&poflquamveneriSjda-.  . botibi libnim. Sunc temporales, aMond^yfoftquam^tunci  QVamuis temporales coniunctiones (inc nduerbia,  quatenusafficiunc.adum temporalitate: nihilomi-  nus quatenus coniungunt parres ora[ionis 6c oratiua-  £uias,perciaeatadcomudionem. Idcm dic delpcaii.  Dt buUb^l '   LOcalis eft, quie aut res fignificat, vt lUnftas loco, vel  iungiclocalitcT , vc v:n tt inuent<f^ihite ludico»  Suntautem locaIesf<^^ vnde ,ijuo ^qua^^uor/utn^qu^*  j<y^«^i6c aiix dum comuugere poflunc,  Vnt alix coniuncUones primiciuas vc<2/ialixdenua.   0 s   DipmHio ex diffofitiine^ '   Itemaliacdir ponuncunn primolocooratioiiiSiVtifr,^Aliae so   AWx pon:ponuntur, voci»cuia cliunguntar,vt^tt;ti^;/4,  Alix vtnijue loco dL^unitir, igilur^equidcw ffahiw^   Ex formatione^   ITem quandam funt (implices*, n tamen^fttadani.ccm* fofitiC^atfamn,   C^u^flio dc nnmcYO ^aniHm orationis. QVxricuran fiiicplures oracionis pnrces? no viucntur  enim omnesfignifiaitinnrs per parces prarfacas e-  uacuari : fiqiudem articulusadliuc defidcratur, qui ap-  pofitus demonflrat non (oluni fexum , fcd criam quod  perantonomafiam ,autpercflrentiam,autper proprieta-  xm ed tale* 3ed hoc verumeAinlinguaGrxca&vuU   Sariltalica,cum enim dico P ietra ttno ^Qfnzh&co (iib.  antiam Petri: cum dico P///r0//^0jr9,proprietatem Pc-  triper excelienriam declaro *. dc cum dicimus Chrifio ed^  gnelh^b ^giia di Dh : nihil excdiens dcimtis,tiec propriiL  Sed dicendo Cirifi^ k tAfftetto^ o ilfiglio di Dto^ prpf e-  rimusquidfpeciale decantatum,aut quod vere autper  effentiam eik ,6cnon per fimilitudinem (oiam v.tChryf.  adnotapic/edlatinicarent liac particula.   Videnid?tamiaicerii eflc in hoc, quod Gerundium  & fi.ipinumitadiftinguuncura nomine^Sc verbo , vc par-  ticipium fpccialem habcncmodum figniiicandi ; idcirc4  inccr parces ordinis numerari debercnt. Scd forlan ad  participia reducuntur» veiex verbo &participio com-  ponuntur. Amandoenim amandi ,^amandum , parti-  cipiafunt in Dus. Sedtamcn verbalircr nia^^is fignificac  quam participia. Sed cafus luabent & formationema  ' participiis. Similicer amatum» 6l amatu participio paf^  uuo refpondent 'a&uique prxterieiy vt cocnatami $c  pranfum adliue fonanc j &:auxtliatuin zamattts w6 paf-   vndefitper decnincasioneni amaittm*   M     . De Oratme confufaM^^ de Imerieclionc.   Oratio confusa est indicatio quae in didiones diftfn-  guitur, rediniperfedisvocibus,& minusbenearn*  cttlaci> I iignificacaniiiii paffiones , ootiones, & affiediones   «    JN hac definitione ponitur sndicatio , quoniam aliquid  pftendic vcprxfens omnisconfufa oratio.  Quar (ubiunguntur, ponunturaddifFerentiam oratio*   iiisdiiU0L£ti£* — Dicicur figmfitatpaf$Unc$^ n^$bms , & affeBionei \ quo-  hia ift« funt extenfioncs animx crga obie<Sla extcndcncis  (e pcr poteftatiuum,autper cognorcitiuum,aucpcrvo*  iitiuum: & ciuidem omncf cxtcnfionespcr hanc orationem, vocatam i Qrammaticis IntmeaionmyAthmnt  cxprimi,&defaclbcxprimuniur. Sed non inomirf^ Iingua habemusvoculas itgnificantes carum^ncquceardcm;.  fedinains ali.ismchufcul'e, autdeteriufcule.   LIcetpa<riones,noriones8c afFeclioncs fint exdemin-  omni hnci;ua,& exprcflioipfarqm in corporis commotioneeadem'^?non^amen expreffiopervocujas^ledalibi  Aliar,   SVntqurdjEfm^animas extenit0ne9eardcm, quoniamtb  einfdem^ci^iaiiimabtts i>maia.hoinisiiua corpora   tiher primusl pt   informantur,& eirdemobiedis paricer mouentur.Sed  .expreflio notionis animae reprsefenracurincorpore 6c in   exprefloaerejinillo fimiliter,in hoc diflimilirer , vnde   afre(5tusdeliderantislacinc exprimicur p:r voculum, vtinam; Italiccper vde^ediQ , Hilpaniccpcr tfx^/J, Gra:cc  perci. . . ' ;   OMnis vox de fe folam anirai cxccnfionem exprimen s  dicicar compofica oracio : qux aucem cuid alii^ par-  tibus oracionis» nequaqMam*  De exfrefsionibHspafsifinum^ - In lingua latina pa/noncspotefl-atiuifuntpauc^Etalir  quidem hortantis , vc ^j./, age, agitc, A Ji^e prohibentis/  necautfroh, Aiixirafcentis^vcto/ffit^iv. Ahaztimentis,  VC ha^ bei : Alfa: animaduertentis » vc apagefis. Defunc  fperantis vocula:, bc irruentis, & imperancis , 6c impocentis,(clonganimicaiiS|&audencis>6c;Cimenci$&Qi \ TDeexprepiombHsnotionunt. '. .Notiones cognofcitiui iiTlingua Ladfia^aliac fiincaf-  ferencis,vc :alia:negancis jvc»#a,/&<fip</. Ali«  dttbicancis vtfifrfitnfcrfaan^ fprtafiU^oftaffe. A lix incer-  roeancis>vCAvr,f«i//8^ffli. AJisevocancis^vc^Mi, Aliac  relpondencis,vc «• Alias admirancis, vc pafe^ hem. hWx  demonftrancis, vc en^tece-   Defunt auteminteriedioncs memorantis,difcurrenti$>  imaginantis, cogitantis, incclligentis , &: declarancis.     M ij     52 rammMicalium CampamlU^.   De exfrimentibus a^eHionum l . .  AFfeftionis fignificatur per tiotas confimiles, alix*  enim func defiderantis » vt vthuim^i , /T. Alia: gau-  dentis, vtr//.'t% h\\^\M^tm\svihau/heUy€h\. Alix  dolentis, wzheujjti.ah. k\\xv'\dentis\tah .,ah^eh. Alix  blandientisj.vt.^*;. Alix iniprccantis, irimalMm,  ^ veh, c\\.\x etiam enrexclamantis.   Dcfunchisinteriediones aduerfantif ^qua: poceft effe  '^pagffif, &miferercentis-, quxapud Virgilium exprmii-  turperwi/I?/tfw, <S: xmukn:is5c muidentis,quas non in-  uenimus apud Latinos.Icem approbantis £cxeprobantis,haoc volgjaricer expnmimuspenfii^) qux Latina non eft« t_,0..QVcimquam pofuerimus viiaam.ojjeus^^forfan.nwil-  tafque aliasextenfionum notioftrs inter aduerbiai  hoc camen verum eft , vbi verbo adharrcntad modificandum afluni. Sed vc folummodo animi exprimuncafFe-  ^iones,percinenc ad forationem confufam.Nihil iuceni prohibet,vc idemficin dluerfis fii;noriim ordinibus, vbi i  jbueiiasiuibeciationes, vt pacecin Logica» QVJT> CONT INETVB^-   in lihro fecundo.  Oftquam parres Grammatica! dixi-J   rnus,6c orationis enumcrauimus par—  liculas ,. tam perfe(fla: , quam confu-  fa: :reliquumeft defcribere conftru-  (f^ionem orationis ex fuis partibus, 6c  quomodo cohafrent declarare. Ec  qooniam partes orationis habentca.  /bsjfexus, numeros, perfonafque ,illa: quac declinantur,  qua rarionedifponendx funt fecundum diCtas ipfaruniJK  afFe<5liones,operaepretiumeft dicere fpeciarim :nam in-  declinabiles particula: folam difpo/itionem requirunt CiJ.  Meiurmodieoncordantiis. De concordantia innationHmlwguis]\^qu^  denuo inflitm pojfunt,   Qucmadmodum in lingua Hebraica Itala, Arabua,  Hilpana, 6c Gallicana non dantur cafus nommum,  fed loco ipfarum ponuncur articuli^ficeciam mlingua  Concmcinorum , Scaliarumoriencalium non danturde-  clinationes verborum aptanda: perfonis, neque te/npo-  rumvarietates,nequevarietatcsverborum aptandxcem.  poribus : &: ideo omne verbum eft inflar imperfonalis vei  infiniciui. Diftinclioaucc ficperaduerbia cemporalia , vc  a dicercm, nHc ^mo^tmpoftefum^^ tmo^ante amo Sicin perfo.  w\%^'\nnt\ez^oam9tuamo^Pietroamo^ '\l^c\v\od non dantur  concordantio: temporum nec perfonarum,nequc cafuum  fed parciculx aducrbiales, &agnominales totam orarip-  nem conftruunc , 8c didinguunt mirifica breuitate ac dicendi facilitate. Quapropterqui nouam linguaminue-  nireftudec.hxc notabit ^&quxdida funt, dumdepar-  cibusoracionisloquereipur.  T>e cancorda ntia partium in Latind orationis   firuiiura.   Arc. I.   XNoracione diftinda femper declaratur aliquis acSlus  de aliqua elTentia, fi ueadus ille fic elTendi^fiue exiften-  di, fiue operandij/iue quiuis alius.   §luar€omnis res^ cuius efi affus^ponitur  in nominatiuo.   F.sfme cflencia^dequa dicitur ac1:us jetiamfi paf-  fiuus,poniturin noininatmocafu,qucm vocamus     re£lum ,quoniam cx ipfoflexionescafuum incipiunt,6c  a<n:usexipfoegreditur,veitanquam egredieas cxprimi-tur. Quareverbumcum nominatiuo concordah   SEmper concordat adus cnm co, cuius eft adlus fe-  cundum naturam > altoquin non|efiet c i ii s adus:pr6«  pterea nominatittus cum verbo dicente adum , concor*  dari? debent ih numero 6c perfona,' vtijr# am% i tu ama$ ,  Petnis amat^nos amamus^vosamatiSyiui amant:&c facie».  in reli^is tempotibus verBortim in omni lingua^   EXcipiuntur verba imperfonalia ,& infinitiua,in qui-  bus non ponirurres, feu eius notamen in nominati-  \\o , nec concordat ergo verhum cum nomine fcm*  per.   Dicimus cniai me f(Kniif^emrum;iAardf$i : & fao,tc  cffedodum,.   EX textu reclc patet , quare verbum concorddtcunj:  nomincin pcrlona 5cnumero:quoniamafhiS'eftrer, Sed in vcrbi.s imperfonahbns^vbi poftponitur infinitiuii  •vcTbr.mnon verbi loco , fed nominis,adiicitur,& tcrti^  femper perfonx fingularis quoniam fi^^nificat aclum mo-  renommi.s quali rem , propterca vidctur quod verbum  Bonconcordarcum nomine, 5c ramcn orationeconcor-  dat. Cum enim dico, mihi difplicct viuere , bc me deie-  datfcribcre,&Petri intereft legere ly viufte fcrihre^z.  le^retmt loco nominis pofiri innommatiuo & ideni  fitntac vitayfififth , lecho , & concordant cum verbo.  Patetenim <)uomam fidico, petriinterefdeFiio.benedico,   jaonaucem, CiptrimtirifikSims^^^ murfmjfic^  "iiS GrdmmdticalMm QnmpamlU]   falluntur Grammatici purantes efle imperfonalepro^  pterinfinitum \y irjtereftSc deUFfat.   In ralaergoimperronaIiumquintaaIiter/ebabet,cuiv;  6\co^petrumtedctviLt , !y enim t^edee cum nullo concor-  -datnomine. eftrque verc imperfonaie. Sed ramen fcien-  <ium,quoddeberet concordare cum iy vita , ficuci in  vtt!ganrerinone«&in dliis linguis accidit. Sed Latini  appofuerunt geDiciaum prononiinaciuo^velquiainteiU  ligitur aliquid , vtcumclico,aliquidbooi,6cnonboniiiny  vel aclus, idefV^adus vitse.   Sedinfecundo imperfbnalium palBuorum ordineTes  obfcurior eft,dicimus cnim a mf/atisft titi. Sed fiquis  confideret quod z&us fatisfaciendi sl me egreditur , Sc  qu6dcanfaadiuainablatiuoponitur quando non vta-   gens confideratur, redvcid, vadeegreduuracbio,ftatim   ceflabic dubitatio,   In infiniriuisquoaiainC^iwpera v^rbotiniriuo concor-  dante cum fuo nomine regunrur , facile intellj{^imus ,  quando non ponuntur, vt edens actum, fcd vt obicdum:  proptereaque in accufatiuo , vxCcio ego,teefse dofiBm^vbi  lyte efse doiittm^tdobiediuin fcientiarmea: , & propterea  omniainfiniriuaaccufatiuaexigunc,&cum dicimus,'ego  fii9 fcri^ere^ly fcribere b^bet vc^ Domenindicans obie*  dnmadttsiaendi.   Quapropterin concuflaeftreguk,qu6did ,cniu$eft  aduspropric, veicui attribuiturvt proprium /|in nomi-  natiuo ponendum eft, concordandumque cam propdo  a&u : ergo nomen cum verboconcordat in numero &  perfona^alioquin non eilet adus illius , fed alterius,&  cumdico,//^r^/<far0»f, refpicioplurale inclufum in illo  fingulari /«r^rf fecundum rcm, licet nonfecundum vocc.     De <^on€ordaMM sdieHm cnm Ju^fiantiuo*   NOn modo ac^iisconcordatcumeojCuiuscfladus,  redeciam quaiicas, 6c quancius.&^i^uidquid dbi  .adluerec»yei inefty vel eftipfum.   Qu^rein omni lingua adkBiuum coneordat   fuhfiantim. Quapi^opter nomen adiediuuni cum fublUnriuo  concordacin oninilingua^qaoniamaccidens ScprO'  /priecasei ,cmuseft accidens proprietafqiie.» conuenit» cordacque,(i ems eft.   Jn quibus concordat adiediuum cum   Mfiantiuo^      COncordacaiitem in fexu « numero , 6c csfuJUferh'  na» dlcimtts , ez,o vir&mtSytu malier bona , manci-:^  Aium bonnm, nobis boms^ vosmulieres bon^e , mancipia  4>ona.    X fe ratio pacec h n i u s concordantiaB. Sed aduerceiK dum,quod. apttdG5ammaticos ttonponicurconcor«  dannainperrona,quoniamparantadie<fliuae/re perfbr naramterciantm. Nosattcempu camttsnttiliusefTe perfbnac ,fedeius, cttiadhxrentfubftattnuo <»vel loco /ub-  ftancitti.pronominis^perfbnam' fufcipere. Q^apropcerin  wi//»vf , ly bonus eft perlonjc primse , voi mali maU •  i-' eft,fecundaj, -   PRa^erea etiam nomuuvidentur non habereperfo,  nam, fcd a pronominibus eam fortiri, trahique in  ipforum ordinem. Quoniam fecundum Mctaphyficam  effentia non agit nifi quatcnus habetexiftentiam Sc eil:  pcrfonara:cr^o adum habet ex perfonalitarc . propterque a pronomme, perfonam fignificantc,contrahuntur ad personam. Igitur Petrur eft prima» /n i^^/rr eftfecunda , Pctmi autem abrolucceftcerda> qiioniamno fiiiiclui£  perfonam.   Y) econcordiardai'mi ctm antccedcnte,quocl   ufert^  Qubniameandemrem contingit pluresliabereadin  qu6> ,dum referc intelledus, non poceft eandem  rem replicare,ne fatietasfiat fedrefertipiam pernotamj,  quamvocant Grammatici relatiuum^nec aeeftvVtre'-  latitfum concordet cum relato antecedenci^ quoniarar  idemfunc.   Concordant autem in fexu , numcro perfona , non  autem incafUjquoniamrelatum non (^r-iiales habct a-  dus/ed alium eUcndi^alium agendi , aliuni patiendi ^DH fexu numero eadem eft dedaratio. Sed de^per^-  Ibna filuerunc Grammatici»ficutin adiediuoiub-  ftantiQb-^verumtamen eadem rationeconfnrantur cum  enimdico. tfo qui fnmbMs^ Hmf Demn : ly qoi SclybHmi  fiint perfona: primaf,quoniam aAus funt perfonarum , vt  dicluni.cft, Non concordancautera in cafu, quoniaui.   Hf, 99   111 vna pfBpofitipinp pnt-ffl- pflV j»/>us enef?cli,&inaliapa«-  tiendi : adus autem paneo^conpord.it cum agcntc ,  qttan^o adiU£pronunciatiit^^l|H^ noD palliu^ve  in quo-Quapropter ciicimusci&«j^,^i^^^ ydo*  fhs efiyvhi ly ^tiim cfk pacien>^um eviiicationis» 6c hcma  faabens eft a6tum exiftendi dck^q^ , vnde iloo poflunt in  eodemcafuponiremper^nifi qiiiDdi^Bltfta^sftuj^  -conditionis , vt cum dico , Petrus qui eft Gramm«iicus,  erit diucs , vel quando fignificanturdealiquoadus, eo-  ilem fii>nihLandimodoiVt: cum dico.Pctrus aui eftGrammaticus ,dicabitur , vcl doccbirdifcipulos, vbi ^l/^ir/di-  citaclum, vtinhqrenrcm Petro, ^^«ftfr^ acium^vc m Pc-  tro operante : idcirco quam.quar « alcer pafTiuus , iilter-  adiuus,tamen concordantcum actu exili?njii • 6cjGraji>»  ,niaticein modo fignificAndi.   OMnerelatiuamiacicontcioiiemdupIicem ,'8ceftfi«  ciic cbniandjo nominalis oncionum , nec poceft  reperiri oracio fimpleXi in quamxelaciuum ingredicur*  Dc conftrudlione orationis. Ba; reruM comuniiione difiunQhnefier aHumoftameJfeconSiruSi^m  oratifinis. Quoniameirentia Breriimperie (ttntimpermi%: pe»-'  mifcentur aacem per proprios a^fttts , jlttmalieniin  ^teram extendicur» £citenim ipfarttm finiplicitas^lM;     mulripIicirAs ,ab intellcdu concipitur ,per aclus inteU  leclus permiicetur £C vnitur,ill3 per mtclledium facia  jnultiplicitas; propteica ad declarandum res cumluis-  adibus & per Adus coniundas 6c difiundas eft oratio^,  cuius miiidplicitas exaduum niuicipiicitate couftabic.   ^mt funt gmera aSuum tot $jfe regulas fit^  ordines CQn[lrmndan*m oranonHm.   CVmque fitalius aclus eiTendi ,alias cxiflcndi^aliuS'  opcrandi, aliusagendi,aliuspatiendi,alius mixtusj  proptereafuntfepcem ve^rborum ordines : dequibus re-.  gulae fepcem laciend^ fanc iecundum redam philofO'^  phiam^qajimquam Girammacici alicer reotianc.   Deregula verbarii^eJfentxalium^imHmor^^dincmcomirHcliomsQrationum   duceme.   Art 11.   PRmi um ordinem con ru d 1 o n i s o rarionum effici u n r -  verba (ubllanciua : qua: exigunt ante fe & pofl fc no-  minatiuum proptcrea » quod prx-dicatum fubflantiale  nonlequituradadura eflcndi sed continctnrin illojvc  b&m9efi4mmaUvh'iK\\xoT\myi ly ammjl eftic^cm qnoJ ho-  ma,aAus eiFendi nqn facit differentiam mccr id quod:.'  jnr«Lcedic& qaodfequicar ad verbumr^/   eandemconBruffiortem verbumej fentialir,.  quandofrddicataUnm acadcnukm  ' permod$meJfendL   PR3rtejrea.quidquid pr^dicacur, vtfubftantiale vel per-  m^ttsR iuib{bDciali$» licec noa fii, nifi feconduia    roccm^pomtiiretianii innominatiuo, vt homoeftalbus,  lycnjiTi ^fi^af /hacret homioi accidentaliter.ec non cft  idem quod homo. Sedtamcn pracdicatnrquafi cnsidem:  qaoniam eft idem in perfona,licetnonin fubftantia, vc  inMccaphy. declaracLii.   Sandem conilruBimem facere "verba accidentalia qHando aBus non e(fentiales  per modum efsenhaiu  connotant.   O-Mnia verba ctiam non fiibflantialiaquarenus irn-  plicanc adVum eiTcndi , quanmis pcrtineant per  fe.prim6 ad exiftenciam, velaclrionem vel pafTionem,  etiamexii^unc ante&.poft nominatiuum ,vtPetrusma-  aet martusjlcoincedit grauis, Mulicrextatp/ompia:;  anti^uiladabattcur nudi.   Vnumefseverb Hmfub^MnHum]   On vidcrur verba fubflantiua feu efTentialia, i\c di-  _<n:aquoniam adumefTcndi rubHantialitcr aut ac-  cidentaliterexprimunc^cflepiura vno,vz./' «^^^'SoV declinationeshabecod Grattfknacjfcis^etcnim ly viuo^\^o  mamviuereeftefle,non {bmper fubftantial? eft.vtliic,  tu viuisbom^^ Sedincerdum accidentale, vt in viaisfccUxy  tuvithvitamUn^af^amy hoc cft habcs^veledis vitam lon-  gxuamutem quoniamdenominanturTesab his quac ha-  bcnt extra fc, & non mbdo ab his, qux funt , vt dicimusy  Tetrus eff NeaptUtamtt ^t^ pilcatus, eft fortanatus : propterea ly habeg^ dieic/flw , & ly fiim hahu per commuta-tionemfignificationisi ricucenjmooihabetarmadicitur armatus,ita qui eft homo dicitur haberehumanicarcm habcreefrerationale, cum'vcrcfitranonalis6cnonba-   bcns ratiojaale i hinc Gxammaticj ponunc# loco haz,.    here.vtmihi funr pccani^: 6c tu cs mihifaflidio^cum vno^'  & cumduobus daciuis, &iioc cum pronunciacur eflec«-  xtftemialicer. Qupd enim exiftic in alcero efl,$c alcerHni*.  h^recreu incn:: namcum proounciatureilenciaciuepo-  ntcurinrede ^viejfi fum ftamio/u^^^ic cuesmeumiaiti*  diam«   Cur fHbBmtkium dicit ^opcfsionem^   ITemlyefldicicexhac radice poflc/noncm, notatquej  quoniam connotachabcre, vzlibethic ejl Peiri^xqua.*  ualecenim l.uic,Petrus hahcc hunc hbruni feu cpcur*  jnuni|6cPecrusc(tcocurnacu$« . Decompo/ttiuaftsm.  CQ>m»o(itSLirfitm , vcadAim^abfum » defiim . itiifam  pra^ni, profum.fubfum , regunt cafus prxpofitionis componentis com/«w,prxter adfum, quq datiuum  .rei^it quomam xquiualec accufauup cum ad,6cmutaac  ^llecum exiflere . ^   Omnia "uerb^ redm ad ffihjlantimt^;   OM n ia^erba refoftuntar in fabftantiuam, fam,es,f/?^  quoniam qaidquid facic aut habet mz patitur , ed:  idipfum S, faciens,habens,autpatiens, idem crgo valer,  cgocurro, quodegofum currens,proptcr caufas dictsts  ;inMetapk.p.i. GH.ammaci ciincipiuntfegalas.con{lru(H:ionis a pri«  ma a^iupram , & falluncur, Prias enim eft effe fe-  condttmnacaram,6c deinde exiftere , 8c deindeager^»  iQoamobrem verbum eiTeaciale pr«cedit«       LiberprimHs. Yo^   ItemTecundum dodrfnam. Prius enim eft nomina-  tiuus cafus quam dccnfatiuus} & (impIiGior eft ontio,  in qua nominatmus pr^cedit &rubfequirur;quam in qua  fequitQra6bus:a finiplicioribus autem & prioribu sinci.  piendumeft.  Z)< regula verhorum exi^entialium \fecmh  Aimordinem conft^ru^ ignis  ducente. Secundum ordinera conflrudkionis efEcmnt*yerba(f^  g.uficantia ajftum exiftendi : quij ante fe exigunt nominatiuum rei exiftentis.poft fe vero ablatiuum cum   prxpofitianein ^pmneenim «juod exiftit^jextrafe exilUt  inalio.. Qut>t modiexiftendi. D     Tcunturresexiflereinalioproprie,ficutinioccxex-  cepnuo efTentia: deduc^las ad exiftentiam extrn cau-  "IjEtttfuam,vt munhse^ tnfpafio\ ex hocextenla eftcxi-  "'^nti ia { in temporc , vt Perrvi e9 m hocauno^ ad in.. .  iubieao, vKalbedo %n parictc ,ad in caufa ,yf fBntiW'  lyeo^ & leui in lun^his Abr^.hac : ad/« cfeUu\ vtneuseft in'  mindo Ad m roro,vt inTn^hnro jr/r/'';     ^#//aiawr^,auesinaere. - /Mhes hi modi eflendi indicant principaliterairt  'connotatiui exift^ndamyextepto^ effe in^caufa , 8c  in effiedu, vbifaltem fecundum loqaendi modom coiii-  notant.    o  o4 (jrammancaUum Camyanelu^ Dewrbigexi^entialibus fnncifaliter.   VErba exiftentialia funt exifto, exto , irifiim , priBl  cipalitcr. Ac cunda verba conccrneiuia aduivi  -exiftendi dcducunturad ifthxc.   Qiiapropterinanco, fedeo, moror, dormio, iaceo,ca-  ftra mecor,6c cxtera huiu/modi,exigunc poftre,abIa-<: jCiuum cum pnepofiaoue Ux.  Deconnotantihm exifienti^ m^  I^H^ceFeaomneverbunfi figoificans dSendi aAiim agendi.Scpatiendi, quacenusdmul exiftenciam con-  cernunc,exigunceofclem cafuSjdicitur enim homo pati   in anipna,agercin foro,gAuderein ccckii i ; 2c intelligere  in Deo, loqu: in rapienda^^ira.q.uodiiuiluiii eft verbum,  xjuod non poflTt poft fe babcrc abUitiuum & in: quonum  .omnis aclaseciamcxiftit & poceftrignificari, vcens^dc Vjc  .exiftefls. GrammatkaUter dumtaxat exiSicn-   SVnt verba qux foluin GrAmanricaliter connotanc  exiftentiam . vthomo eft rationaiis in anima ,  Seo eftiufticia&inanimaii renfitiuam. Secundum rem  jenim non eftiufticia io Deo, fed Dea^eftiufticiatneque  rationa|e in anima. 6^d ^niaia eftrationalis^prouc ixk  Mecaphy^ docuimus.   %^egula vcr borum a^uatiuorum, tcrtium   ordinem n Hru^ionis fercns. Ertiumordinem efficiunr verba fignificaociaadunci  operandi immanencem , qttt proprijbvecacnra^us» l ' roi   "& verbaeiusa(fluatiun , ^ exi^untantefenominatiuum,  & poft fc ablatum abique pri pofifione fignificantc aftuationem eflenra: nominata; , vc ego aiuo aaiore^tu  moueris niotione arbor virec virore.  Qyamqtiam operatio ex prima impofitione indicee  adumtranfeuntem in opus& operatum extcriusj  tamcn & aTbcologis & Metaphyficis folet lumiproa- Auimmanente: qui non cMuiaexteriorisreiacquirL-n-  vcl penicnda:, vcl quociiibec operam-ia: : Iioc cnim  pertinetadadionem. Sed proprin: enticacisconferuatio-  ne ac manifcflatione: 2c propcerca proprie vocarura-  ^lus-.&eius verbum efl acltiarc: iJcirco verbaha:c ccr-  tii ordmis acluatiua dici poilunt, etiaxnfi firammatici   hoc voc^ibulocarcanr. uomodo omms diSio figntficms auf conno^  tans a^lum^ aut.per modum adns fe ba^.  tens.ponitHrinahlarmo   GAu(a!formaIis ,quonianf eft a^tts.materlx, &a£tus  (brma: , eius imnuMiens opus eft , & inftru-  mentum,quonilm modtficat iaidlionem ficuti a(5lus, &:  omneopus & res fis^nificans modum & aduationem6c  i)arcem,ponitur inatilatiuo i maxime autcm fi exvcrbo  cftjautverbum defe formar, vc i^/r^"/ ^'//cr^.   Ahlatiuum autem hoc vercnonefl fedvocaridebec  a<?\:uatiuus cafiis quem feptimum dicunt Grammatici  lioc olfa.cie.aces^ non enim aufcrc, fed dat forinalicer.   Tcimus in ablatiuo quidquidadum figDificac:quor  iiiam a^snonrecipitiir 19 iU{9>iedeitis«ft yquod    aduatur \ 6c ideo' nullam exigit pr.-Epoficionem refcreii-  tem ad aliud coexidens. Ncque vuit nominaciuum,  qttoniamnonefl:icl,quodaci:iiatur,red efl vel formavet   "perniodum formxeiusiidcuco ricutcaufa formalis po«  niturin ablatiuo feu porius acluatiuo dum fuam caiu  fationem exprimimus,ita& aclus. Similiter inftrumen tumin ablatiuopontCttr «quon^am modifTcac a^ionem  5caftuacadcertum modum operandi ivtloquorlingtta,  fodio ligone,' Ecquoniam verbum fignificat a^um cum  . ponicttira^^us nominaIiter»ablatiuumcxigit»vt€um dicimus viret virore ,agicaclione,gattdct gaudio ^idcircc^  (X\\\m\is^^\c(l cxverbo.   Diximus , auc ^ verhum de fe fQtmat , vt nonien formac  nomino i & amor amo. • Prxccrea omiiispars qux aclum cdic,cum tribuitur   ' adus coti ,ponicLirin ahlariuo : vc homo intellip^ic animo^  Chriftus pacicur carnc , cjaandofe habent ad fimilicudi-  nem formx.vei organi,cam coniuncli quam feparati.   OMne noihen fecundum natutam per MetaplivfT-  cumformat de feverbum^quoniam omnis effei>-  tialiabetj)roprittm a&tim^licct Grammaticaliter tion  fit!nvf«,vtabhomine oritur hojnifico, &^ calorec:».  leo,ec calefacio,&aausacforraa> vndeformatur.po..  rjicurin abLuiuo ;&principium,quo ngicur/ .   RArio cu V ic hocaflTertum^etemm homo-op^ran»  fecundum qupd homp didcurA^ww in fe ,  rn^carc , alcerum calor calctacere , &rcalerei 8ciudex iuw  ' dicare^&Rexregcre^ ScUgonligonizare, &.ocuIusoeu-  hzare : verunl fi nomcn pure ciTentiam dicic , non vc ope-  . rance, formatur exadu fme efFcclu ad excenora,vt Petrus  C^&pWp^^^ corpptf^Qum.autem ad esLterioia pof-  * icj^   rigicur adus , vel per moauni tranfeuntis elicitur in obieduni, a idi tur verbum facio , quoniam princeps adio*  num significant bre(l^vthomifacio^caIefacio,!a:r!^cc\pe-  . trifico; AAioefgoquateRuseftadusagcntisvt ngenns,  ctiamponiturln acluaniio vtcalefa^n^ioncignis caicfacic  formactiaraqna ap^it, vtigniscalore calehicit, vcl cali-  dirate, item piincipium agcndi vt effentialitasi dicjtur - .   cnin^annna iuielligeremtelicc1:u, & mtellcdione 2cm* ' " '  telIecbip.o,(S: intelligibili fpecie ,qua: fe habet per rno-  u*arn informantis 6c inflrumenti , 6c comprincipijadiQ-  telligendum Hint LogicidiAinguuncagcntem, v/f»^i ' Verbafrimo aSuannia efsetriflicis ordinis^   V£rborumaftttaQtium,quiedamrpe<£!btitad potefta-  tiuu, vrpoffiim,valeo,viuo, vigeo polleo, queo,ne-  queo, caleofrigeo, morior,pereo,intereo, areo,vjreo,la, pidefco,horrefco,tremeo,ruOiCrefco,decrerco, cumeo,  audeo, abundo,egeo.   Quardam ad cognofcitiuum, vtintelIigo,fcio,ncfcio, icrnoro» reminifcor,ratiocinor,imaginor, nofco,intucor,  Yidco ,audio,odorory gudo^ fapio,deiipio, obiiui[cor,  jt^cordor  Qu^edam advolitiuum»vtvolo, nolo, amo odi, cupio,  opto>lxtor»graculor 9m^reo>trifl:or, doleo, gaudeo,fruor,  vcor4iocor, iucundor» afBcior, cruci Qr, ri<Ieo,lacrymo/ur«  piro» inhio, & qjox ex his detiiu|ntttr,& componun*  cnr, • . . Qvoniama ftuseliciunrurexprineipiis^principiaau- .  tcm ex primalitatibus trious > idcirco func triplicis ordinis, &cum pronunciantur per modumaclus, j  ..adluaciuum poftulant,non foium dengnantemacluum, sed^ obieilorura ^ vndc occafipaeni trabic aftus. ics GrammaticaUum (ampanelld,   citnus enimego gaudeo gaudiomagno ;5^egogaildeo  dodriuis, Scarbor virefcitvirorey&virercic aqua:6cin«  telHgo iflCeiieauSc intdleAione ,6c fpecie intelligibilij  videovifuvifione& visibili. Sedcum.ifl:iaausreferun- .  tur ad obieda non per modum adlus , fedper modum a-  Aionistuncfiuntacliuaverba ,de quibusdicemusquod  exiguntaccufatiunm , vfec^o video vifit-^ilcmrcm. Sunt  aucem vcrh.i neurropaiiuia dida Grammaticisquxpaf^  lioiics^ afFcclionci iii;ivficant/edqua: notionesponun-  tur interacliiia non rcctc, oiiinis cnim ndus pcr moduUT  aclusdebccdici ncutro paUuium in iproriim dogmate:  in noflro aurcmacluatiuum \non enim fola pafTioinccr-  nenir fcinpcr , fed cum notione , 6c afFedione fxpiiiim^,  Prrrrerca Grammatici refpiciunt liceraturam^vndenno-  rior «6c Lxtor, & lacrymor,fiint iliis deponcntia ; nobis  autemacbuantia non fecus ac vocara neucropadiua, fic  adiua apud ilios ex a&u ;,gc non ex a/lionj;,, Principa-*  lia autem £wea{f9ffmn,Zftl9i ^ 'vqJo^cxict^ concerne Dtiov  ftntliorum. PR.xirrca omne vcrbum ouatcnus conflruitur cum  forma aut inflramento^aur acflu, cxijzir al^Uuuum,  quaniuis Gcm principaliri2;nifiGatu rubllannuum,autexi-  fle ntiale,aut acliuum, aut pafliuum: diciiv. v. s cn i m fcr^bo  pennadc fcriptione : doceo libris, doclrina : tacio  manu, fac1ionc,cruce, Paciorpallione, cordej,crucc^iteni.  aiHciorgaudio&aiiicio Uc.  Regfda de a£tims qtiartum ordinem coniir$t-   ,£tipmse J^cienUtim.   ACtiuaverba funt,quac figmficantacflum caufx tran'  feuiuemmexc^riora obiecl3,propcerca^ue VQca^ ^og^   min at^lionffm , 5c idco exieic norninntiiium Cdura^ nc;en-  tis, &acculktiuum reifacl^Icupatieutis, vc fol calciacit  lerram»     Slcut a&useileadi edefreQCialitacumieii pHmalirafu  adiatra^exifteQdiveroe^rttmdem adextra: aduandi-  aucem priQcipiorum egrediencium ex primalicacibus per  refpeftum ad propriam conferuacionem i ica a£lus agen«  di eft prindpioltmi > ve excenforum ad obiefta, ac proiiw  dein caufacionem.   JFundamennm caufarHm.   QVnproptcr fiunt fexcaurarum gcnern , vidclicet cu-  clnjLim^ pa/fiiuim, qnx egrediunrurcx poceflati-  uo : ideale &:Formale, quxex cognofciciuo principio jfi^  Hale £c perfedionale,quflBexvonciQOr ,  tioexigmdicafusexcmfarumr^,   ET quoniamcaufa agens effi , qui aljquid facic , a  quaaliquidfit ipa{huaefl, quasaliqW* paticur, yeidc  quaaliquidfic:ideali^s eft inrkarcuius aliquidfic:forma«  lis eft ,.qtta aIiq]Liid fic : iinalis eft propter quam aliquid ficr  perfedionalis eft fecundum quam aiiquld perficicur,  vet benefic:inftrumencalis,*per quam aliquid fibocca»  fionalis, vndeincspicmoriuumcau &ad cau&odum..   TtAterea raiio de ca p4 caufi, agentu.   PRoptereadicimus, qupd caufaagens femper efi: po'  nenda in nominatiuo& in re(!iO)Cum a(flus cius in ip-   ia expriniitur: vc (oi calefacit cerram s ci^m veio inpao i\o . ' ^ramr^^^iticai Hm CaffiparielUj  tienceexprimitur,vcabageiue,poniturinablatiuo,cum  prxpoGcione vel rf^, vc a Sole calefic cellus. Secunda dc caufa ^aticnte.   ^r^Mniscaufamaterialis&paniua, quando ex primiponicurm abhuiuo cum  pr.vpoHcione de, vc de ligno licianua 5c de argcnco phia-  la ' quando vero exprimicur caufatio agentis in materiali  &pa(rma, ponitur hxc caufa patiens in noniinatiuo, v£  licTnumficianuaafabro^ &PetrusverberaruriFrancifco,  rargentum vertiturm aurum A nacura. Tertia de causa idcali, Mniscaufaidcalis. quandoexprimicureiuscaufatio  vc ipfa caufat jponicuxin &eniu.uo cum pnvpoficio-  ne inft?ir,vt LupHtn terraft injiaf dentis tn animal/^vel  cr.maclub eiiisiri/iccufaciuo cuin prcxpoficione ad,vc/;<?-  mo faUus eft adimaq^inmX'^'*' Aliquando eciam in accu-  faciuo cum praipofitione fecundum^vc/^^f omnia fecundum  exemplar, quodtibi monfir atum\e fi ^quxwt enim vt bina-  rius ab vnicate , exemplatum ab cxcmplari primo : &: hic  ortusperly/?^«»<i«wexprimitur.   Quartadecaufaformali.   Mnis caufaformalis', quandocxprimitur in caufa-,  ^^ionc fuaponiturin aduatiuoabfque prsepoficione,  vt paries albedim fit /.Similitcr etiam id,quod eft cau-  faformxdum formalitcr exprimitur,ponituriin ablati-  xio i vc pariei calce (it aUus : 5c Francifcus cibo repletur  &aluus fcecu tumcfcicicuius fenfuseft, repleturjrepie-  tioneacibo,velcibi:8ccumefcic tumore a foctu;vt ho-  mo intelligit intelleaione intelleclus, & Chriftus pa-%  titur carne,ideft palTione carnisrquod in logica confide-  r^iredebebamus.  Libcr primtis.  iii  ^Hinfa de canfa Jinali.  Omnis causa finalis in sua causatione poniturinnc-  curatiuo cumprcTpofuionepropterrxgcrambulat  propterfanicatem ,5cmedicus propter pecuniam medi-  . catur: vel in genitino ^ cum \s grcit^awz vidcndi tuigra-  tiaegohuc acccfii : 6c hxc verafuntdc caufa finalicon-  fummatiua A.tcaufi,cuius viui perfediuo autcorrup-i  tiuo a(flos deftinatur ;ponitur in datiuo: dicimus enim e-  C^oferuio Regi :hxc res placcrmihi :tu noces Fabio:au-  xiharisPetro. Etquidem qnoniam omnisadus ad al-  teriusvfum potcftedi ,idcirc6 omne vcrbum poteflha-  beredatiuum: vt tibi emo gladiiim :tibi amo vxorem;  tibi doceo filium. Pctro occidi filiam. Semper ergo da-  tiuum aliquamfinahratem vfusindicat. Alicjuando finis  connotnrus ponitur cum prxpofitionc pro in ablatiuoi.  vt eo iVIc/Ianam pro li bris, & occidj pro rc tauruin, ^c.   Ssxtade cauja perftxliorjali'   CAufa pcrfe<Shionaliscbncurritcum finali:5c propter--  ea poni foletin gcnitiuo cum ly gr^itu : aliquando  ?^cuformali, quoniamintroducla forma in materiaacce- •  tlit perfcclio • ?c proprcrca ponirur in abhitiuo, vc 'lorro  perficiturdifcipiina, 6c caufadifciplina;, ^ augetur a:ta-  rc : fons fcatctaquis^ligo pohtui*v/u, aut rratia vfus, aut  .'^Jvfum. Septimadeinjirumentaii'   OMneinftrumentum naturale &:arrificiale ponirur  inablatiuo fine prxpofitione, quando fumitur vc  modificans acflum a^entis caufx, cuius efl inflrumcntum  vt cgo fcri bo manu vcl penna. Sed quando fumitur etiam  vt coagens : tunc ponitur in accufatiuo cum prxpofirio-  ne per ; vt Rex per mihus prxliatur. Nam 6i cauia agens   :GfdmmaticdiumCsmpAnelU;   €tiam in accufj.ciL!o cum ly perMct poni! maximeau-  temfi non eft principalis. ApudHcbi\tosautem poni-  turin ablatiuo cum pra;po(jcione/;7,vc/«^<^fa/fl mo$ian*  fui Urdanm , quacenus m eo agcns agic.   Ociaua de Qccafwnali cauja^   CAuHi occafionalis; qaoniameft moriuum aliarum  caufarum ad caufandiim , poniturin ablaciuocum  prxpolkionc f V , vtf.v raptu Helenx conflacuin eft bei-  lumTroianum: ponitaraliquando^a^vc *ib ou<j ifcd vt in-  xluic racionem a^^encis. Principium quoque iuftaroc-  cnfionis ,aqua nicipic caulatio ioler nmihter poni , vc  cx nHhdici , cx inuinis rixa , cx Lipidc via, 6c hot m^.  talimhomm,^ 6cexfonteaqua«   ^ppi^MJiMdi fHHiijjionSteUmento.  PRincipiaergo 5celementaetiamin ablauuo ponuni.  tur cum ly ex^ vr ex dominico die feptimana : & ex li>  terisoratio. ex terra^c fole lapis lignum>&acs&c.   Eie men tum enim eft id, ex quo aliquid fir : 6c mateda  aliquandoponiturvt elementum. Principium yerd ell  id^exquoaliquidefl:.QVoniampnmaiitateseminentcrcontincntin fc ipfis  cauias^l^incipia. &elementa^omnes didlos caius  recipiuntiti rutsadibusmirificeQtiflinAis^ficuc in Metap«  4cclaratum eft, De primoordtnea BiuorufH.   POrrb fia(5liuum 'verbum cxigit nominatiiuiru rfia-  {(eocis,^ accuraciuum pacicntis » omaiafigniticantia   ft^ionem     f Liberfrimus. ' fu   aftiooem tranreantem in patiens^ pertineb^uxvt ad ph-" mamregulamaaiaorum, ^  iSedqaaedam dircAe funt in hac recTuIa quoniam eram   adionem dicunt, vc</^j,/</a<^,6c compofica exeis,Ccc-   (^uiuaicntia.De wrhs aSimis primiordinis. aclionem  pote^atiHiimportamibus. Sunt autem quidam adns dircdc poteftatiui & exe-  cuti ui : vt pra:rerd icla vi ii ; fico^occido/oluo, Iigo,incipio, finio r,t:nero,pano,iuftcro , tcrreo, timeo,quero^  amitto capio,ceneo|iib£ro» reliQquO (moueQ,|: ero,for..  mo, defVruo , iiipero , cogo iacio , pono , depono , collo^  planco,ptit(;^ro,remiao, inrero»pinro,& quidquid peni-  netad rem >u(licam , & arcificum: ecenim alif a^Uones-  func naruralef,«liaEartificiales .'iisaddefequori medicQr^  &criminor«    DVoniam aclio proprib efl: efFufio fimilicudinis a-  gentisin'patiens:fimilicudinum ver^ alianaturalis,  vthomo generatliominem, & calor calefacit ^aiia artifi-  cialis vrhomo fcribit , anc fodic,autd omi^'cat,facit n-  do aliquid fimile fibifccundum ideam: idcirco vtraque  adtio fpedat ad primam regulam diredc, Vndeerranc  Grammatci ponentes in tfuarta peutror^m verba fignt-  ficantiaadiionesrafticanastcum verius fi!)ta<fiiua,qaam  amo, & lego » (c emo, &c. Simsliter indeponen tibus.     Deadiuis primi ordinis aCiionem. cognffcintU      XX tv     tmi   r    ia verba pertinent ad adionem cognofc i ti ui,qux   tunc vere.eft adiocumad excenfiora progredicur  Vc de c i r. r o . vi o c e o /cnl) o j moneo ^ c «elo^re uelo^maoife Ao-,  ligncreFero. QaaQdoauremnon progreditur ad exteriora sed irn.  manet, artamea)vcreiata exterius profertur tunc fpe-  Aancadadiuorum ordinem fecnndario I vtfcio .ignora»  memini}Video,audio, olfacio,gufto,intelligo,lego,caileo  iapiOiCogito, opinor,imaginor,credo, affirmo, nego, exi-  fiimo, pendo,nofco, confiaero» Addemeditor|recordor»  €ontempIor,tmitor^&:€. ' ,  Dlfferenria eHinter aciionem tranreiinrem»& immn-  ncntem Qii3cenimtranfit vercadioeft, vcc{oceo,&:  declaro:quaenon trannc componitur ex a^flu Sc paXsione  BC a(flione. Si qnidemhomoparicurivifibilidum vider,  acfimula^lumedit, exfpecie viriibliremobiedunofccs,  &c quia ex. Anriii i>i i fprcfe bPictgS ad obiedium exteriDs  ferturiproptereavp caturaaio»^ verbum adiuum,fefl  nonDure,igiturfciQ^videOxexi(timo >&c. (untaftiua fe-.-  cun^ari3.   2>^ a^iuis ordims , aSlioncm voliiiui imfortantibus^   ALia verbaadiurrpnmi orJmis rpe^anr^advoiitittlS  quardam prjiiuno a(flionem tranfeuntem fignificantia,vcmanduco,nucrio,caco,futuo, mingo, appcco,  ad requor,declino, verfor^inrideo, quxdam (ecundario  fignificanca Aionem.nam perprius affec1ionem >vcamo,  diiigo, fperno,voIo, cupioj(K{i.erurio, aueo,ambio>opco^,  <lieiUero>: Adde fiaoiilascorj triftoc, &c     Liberprlmut.  EX praccecienti declararione rumiturhorum vcrboru  nocio : nquidem adus volitiui 5c cognofcitiui fpe-  clantpotiusadaduationcm quam ad adionem. 6ed quia  referuticiH adobie4!2a,iaduunc vlm a-diuoriun.ficquac pri-  mo.rcferontuj, vt manduco, bibo^fatuo,funtprimoa-  ^Uiaprimi atfeclualis ordinii?: qiub flutseni fecundo, fe-  cundo^vtamo. Noaenim amor ttktmr adexcranifi  ^uia ^rimo obie Aum mouecpoceftatiuum motio.  neficmdiciumin coenofdciuo^-Scl^^p^^e^userga  ie^fcum in voliciuo j de quibus iri Mccapffi^ DE SECVNDA S F,eci 0   a^HuorHmjictmdum Grdfnmktkos   reguU correHio. . ' '   V£rba adi ua fecudi ordinis apttd Grjunmacicos func  qucx rpec1;ancadiudicium ancad commerciumope-  iraciui principij , & propcerea eziguncagencemperfonam  mQominacitto» rem paciencem in accuiacitto :addicur  ^tte terdtts iafus ablathius, quando nominanir prectum^  aur ciimen de quo ficittdicittmpauccominercium ; vc ego  accufote crimitie furri,&emo librum carolinp. Kun- quamatttem pDnicurgenitiii9isnifi prae intelle&o abla^  ttaom|fe babencis quafiinftrumencalicer. GRammatici faciuncTecundamadiiuorum fpeciem:  qua: exigarnominatiuum agentis rei, 6cacciirariuu  patientis,&genitiuumpro certio cafu^fignificante rem  quaficadio^pafljo ipforum. Sed reuerafaUuncur. Noa.  enimaccufo,reprchcndo'^tfifimulo , moneo ,voluncee--  nitiunm. Nam cttmdicO»accttfo€eiiirci;moneo tedo* Qrammaticalitim CampanelU]   loris intelligitur crimine fcu culpa furti, 6c paflionc  doloris:omnisenim adio edicain alteram habecinftru-  mentum aut modum quo fit. Dicebamus autem quod  caufainflrumencalis femperponicurinablnciuojfimilicer  quidquid ad inflrumentationem aciionis fpedac , & ideo  dicimus.cmolibrijcaroleno, vendoprecio magnoprqciu-  enim nominacuSc inftrumentu ,quoficempcio5c vendi-  tio vulc abl. 6c cum Grammatici ponunt non nomina-  tum prctium m genitiuo^vt cmoma<iriiy tarui,quanti^pIuTi\ .  mmorii ^iuaritilibet^ &c. fubintelligitur ly pretio^ inablati-  uo,id efl: emo prctio tanti. vbi ly tanti ponitur neutraliter  6c non adiec^liuc , alioquin diceremus tanto, vndc Virgi-  lius. Moc Jthjcttsvelit ,^magno mercentur AtridiC, Ac  quidcm Grammatici dicunt magno hoceffc ptetio magrtl  fonderiSjied w4<^«ocum pro ly ^r///«:dicimusenim'mmori-  pretio,maiori,paruo.magno^quanto, quantocumque-vc  peritis in lingua obviameflrSimilfW dicimus,magni ^fVi.  ino,magni facio , floccifacio , floccipendo , pilipendo ,  hoceftpretiomagni, pretioflocci&pili. Sed nondici-  musx>/7/^a^^^ ,fed Ti/ipendo; quoniam in neutrum non  tranfit ly t/////j vt aliqua prctium counotantia.   P^crl^a iHdicialia, ^ commertium con-'   notantia.:   VErba fignificantia iudicium^funt accufo . pofiul^  accerfo, defendo,rcprehendo.incrcpo, admoneo, punio, damno, broluo^ca{iigo ,inflmulo, arguo,conuinGo, incufo, muldo. Commercium vero, cmo, vendc^,  venundo, veneo jmejcor, & deriuata , compofitaquc  exhi.v,. r  BE T EI^T SPECIE   cafiopem,rigula^ €orre£ijo..   Verba rertix fpecici 'adiuorum pofl: nominatiuum agen(is5caccuratiuumpaticntis, exiguntda-  tiuumreiillius, cuiusvfui applicaturacflusifcmpcrcnim  fehabct vtifinis vfualisadionisfiuein bonum,flue in ma-  lumquidqLiidponiturindatiuOjVtcmo tibi librunvido  Petro diploidenn fcribo tibi epiftolam; • -CAufa ob qua dathium exigititrinhacregula prima- -  rio» efl: qukt finis^cui applicatur^ vfiis acflion is 6c adVaPi  lei, da.niiain «xigit: vt dicebamu» loqu^ndo de caufi^,  ^propterea verba iftapofriincvockri applicantia. Dcverhorumterti^ JpMeimtdnplmtatL.. Verborum fini adionem applicantium , quacdam funt poteflatiui operantis,vt do,promitro, prxfi-  cio, impero , fubiicio . mitto , impartio, admoueo 3 &: fua  compofita deriuatiua, vt arquipollentia.   Quxdam fpedantad cognofciciuum.vr decIaro, oCkcnrdo, monn:ro, fcribo,dico,fero,arfirmo ,nego,fuadeo,&  . fua xquipoUentia^c compofuaScderiuatiua.   Qtuedafn fpecfcanc ad volitiunm , vr commodo, foluo,arrpgo,concilio,&ccnfimilia,apud auorcsnotanda. Exiguntverbapixfataetiam ablatiuum cumpr^po*^  fitione pro, qoando mofatooni fi n al i caufa; vfualis connoi»'"   tatar^vtfi/i^» tdipiMUtmfrpUif^t & pane^ pro  cibo, s*Exigunt etiam accufatiaum cum praepofirione*^  ouando applicario vfusadioniun longum trahituryvi y   oeftino> fcribo&mittcoUtcras<«/iP^,nedumi<iM .    irs- .  QVamquaniiflafint verba apud Grammaticos da-  duiim exigenda \ nihilominus omnia verba pofTunc  datiuumliabcre quandoactionem & aclum , &, paffio-  nemcum applicatione confignificamus, vt cibi eftpe-  cunia,emo'tibi folium , doceo tibi filium Grammati-  cam.* fpoliotibi aucm pennis: perfequor tibi inimicum. 'CVatulof tibi pro magiflratu^&fimiliterly pro potefliii  omni vcrboapponi cum motiuum applicationis, vcl fi-  militudinem circum loquimur ^vtmitto ad u p^o lihis ,6c  habeodoJoremprQ voluptatef - DE Q^VJT^TA SPeciE  a^iuorHm JignifiuinhHmdufUcfter aSlioncm re^ula ^ correiiio, - • Verbaquartac fpccieiadiuorum SIGNIFICATIONEM UNAM cumduplicipafllonepropterca exigunt poft  fe duos SLCCuiatinos-.wtego doceo fcGrammaticam. A<flio enimcaditin te, &in Grammaticam :in te WmiiKUiuh  in Grammaticam/flfAv»  H^cregula declaratione non indiget .fed animad-  uerfione : quod proptcrea accuiatiui duo fubfe-  quuntur,quoniamad:ioin duo cxprimiturnn receptiuum  videUcet paflionis, & in id quod flui t in adione ab agente  inrccipientem. Hoc autem jn Metaph. meliusinlligi--  mus. Adio cnim docentis fert Grammaticam,vt padens;  & qui docetur accipit eam, vt terminus huiufmoai lationis.      V Ltherfrmkfl,   VErba ngnificanciahanc doplicemadiomsdifferca-  ciara Ajncdoceo,mon?o,poftriIo,orQ,confiilo c«'-  lo,^c omnia compofita & «qui|?ollemia,& diriuaciira  iftormn, ^ vt4> lurimumad cognofcirioum videntur^fpe-  ae j fuDC etiam aliqutf/ qua5adl|ai>ir6m exrcriorcm  fpeaanr>vrye.ftia,: indo<S«uo f qu» volun t duos accura  tiuds. : Sedcum reii , qua v«ftfmus, fumicur inflrnmentalu  ter^ponirarinablariuo, 6c fpcaantad quin^amfpeciem- .  ytvefthfiiexuo tefannU,  Etcum non ponituranimatus accaratnius, vtpatiert.  - tisrei/ ed vt cui applicatio fic ponitur in datiuo»Yt'w«-   D JS ^^JN T A:S P E'€ Tb  aSiuomm /ignificanttutn a£iionem , ^  • falf^nem,^idquo fit a0m.   /-\Viinx fpeciei vcrba aftiiia fignificantaaionem itx  ,<WaIiquod..paxiens , & fimul id, quo excrcerur aftio ic-  pi^terea poniturablatiuum poftaccufatiuum fine nre-.  po itionc , vt ego Ippl^p tepannis 5.&,flnero JibriSi&jHvl   jy  ETiara infiacrcgula (Jrahimaricorum pnTcorum a-  peritur r^tio , cur in ablariuo-ponitup iti , q u oci n on  , eft agens. peque patiens : quiaividelicec; inrfucit itti/^-  ,»ejnioftrumci?ti,&modi, &foxm«. .l ^'-^.   OMnia verba, in quibuspoft'patieiHcmrem,adJunt i^o (^rammaiicalium CampdnelU)   velpa{nonis,pertinent ad quintam fpecicm. QuapraT  prer quxcumque pofita£uncinrecuiida fpecie^ ipedant  etiam ad qiiintam.   Suntaucemyerba,!qviint«x principalicer^veftio & fpo-  \\Q ,6tomnia acguipol^nria eorumiiccttiimpleo ^ceiia-  caocumruis arquipollencibus, ic-cm iuro,&i«do,6c ipsrorumiCqttipoIlencia. S^miiiter augeo 6c minuo, cum fuis  aireclis, purgo&inqaino «cttmruisconfimiiibtts. Secundario aucem /pe^anc ftd banc reeutam pmnia  verba cuiufcunquc fpecieiScordinis^quando exprimunc  modam vot fornfiam auttnllrunoencMm actionts , vel paf-  fionis , vt rcribolibrum penna iafficio te e;audio ,planro  vincam palo : Munio & cxpugno vrbcm armis;.muigo ^  ir.riCQ te verbis/ef^ionbigladioL,6cc» DE SEXTA SPECIE  4^iuorUfn ^rpgnijicannum aSionem f-  fionifque illanonem.mm p> ^napio^. ^  caHfa/unde habetur^tanqHam   j . inde habiiam.Erba fextaefpeciei ^gnifi<;ant a^onem , & id^t|ao  cau(a vel occafio» vel principium aftionis eft : &  propcereapoftaccu(ariuum €xigitabla*im?m cum pr«-  pofitionei, vcl t/^,vei «"^vt ego audio ledionem '^ma^   Vbniam caufa ^rgens^excepro Dco, occafioncm,  ^^velviTn fux cadfationis ib*unde accipirtpropterea  illud quod eft occafio(»'yel principium» Vel caufa csu^a-  tionis in a^i^ p^nietii' iin. abUtiuo cum«ff^. Nota fan^ -  pnnci'f»acioniSt vt dic^um eftinregQlisi^ommunibp^cx  MetajiliY ratibtt^ yt flifca QramfnacicSmi rTiac'ftro;eft  magiildF cauia il2dpii^<tblnan& f fi&tedainenT«»/e(l:   eiiimi  Q  - laberprimus. $zr   'enimliindam^iuni principium :5c hatiiio dquamapii.  tto :^u«tenas eft cau& cootentiua aqiue» Sed vt etiam  4natem{t9,4iicimti«i^ ^iiPiUdfm^tri^ Sedvtetiam ele-  mentariS)dtcimtis etiain^ (Sc expuico , Sdneftoccafio-  nalisdicimus Agnmemndn bellom conHauir ex tiiftu   • ; V^rba fextiH fpcckL   AD hanc fpeciemprincipftliter pertinenc omnia ver*  bafigmficantiapi^tcraAioiiem Ccpaffionem , id,  a..qaQ habemttsoccafionem,veI caufanonem,veI princi-  piacionem ac^iioni^ \ vt audio , intelligo , 6CGonumilias  ^vtoblacio , guftp, lego , icem liaurio , wd, moiieo , diui*  4o,pdlojrapii>vabdicO|faahpp,Hcapio,endo« Prxt^rea fecundarib fnnt fauins regtflac omliiaverba,'  in qtiibusadiiciturpoftaAionis Sepamonisremaetiatiirea  eau^tionem conferens » vndedicimus , nfft99 tthi mahni  A^Tjr^nno , H emo Iibrum|dccato^Jibrario , cupio^^/ h  emoiumencu. ELemo.ueo libruma^ienramanibus»   Defiftima fpccie wrhrum exigentwm tnji'-  mifmumfr4>accufanuo^   SE ptimam regulam addUnt eornm verborum >qua: lo-  copaiientisliabetinfinitum verbum, vt fpero, cupio,  fcio, volojdebeo iieRomam » legereledionem : 6v hxc  omnia fignificantacVum animximmanentemaquo tran-  fiensorituraliusacl:us; ?C idcirco ponicurilleioco adus,  iftelacoefie^us^^propterea omojeverbum poteft ad  hancregulam pertmere«qnoniara aAu5adumin%r|^«c   Omnia verbaadprimalitates Mctaphyf*cas {^e^bn-  cia qux runtpocentia/apientia^ amor,iuntprima-   riorpeccanciaaci hanc rcgulamjquoniatn ex eisoriuntur  a<flasincranei, &exhisextcnfiones ad obie<fla-qui func  cciam adus ,vcvoloambuJare, vbi ly voU adum intcr-  num amoris dicic, dCdtmhfilare ^Aum cxternumcxillo.   Prxterea omnia verba ad obieda primalitatum spedantia, fimilicerinfinitiuumhabcntproaccufatiuotfunt  aurem ohxQckOiypafsihile verun & l>pn»m^6L Aia ^quipollcn-  tiaj vt polnbile eft, vcrum eft,bonumeft ambulare,  & fu*  oppoCitSiyVt tmpostfalfumifrulum.   Cxtcraautem vcrba po(funthabere infrnitum , vt fa-  cio te currere. Sed quatenus fimul & agencem rem ha-  bent loco patientis, vt doceo te fcriberc.   De papiuorumverhrumreguU.  Art. VI.   OMnia verbahiibentia lireraturam & fenfum a^^iuu;  fiunt pa/fiux literaturac per additioncm r, cuin»  fuisdeclinationibus^&exigunt rem p.itientem innomi-  natiuo ^quoniam refcrturvthabens ac^umi & agentem  m ablatiuo cum pr.xpofitione, canram aftiuam, nQtante,  qu^,eft A,ab,abs,quoniamagens non vt agcns ,(ed vc  aquoemana! paflTo repra:fentatur.  Dlc^um eft prius , quod caufa pofi^ca in actuagendiV  nominatiuumexigit&reclum: quoniim hic figni-   :^ficateditionemadionis,adautem quod patitur, accufa-  ^^tiuumrquoniam inipfum fercura<f^us Nunc autem di-  • -cimus,quod cum patiens ponitur vt recipiens adum,  *exigitredum,agensver6quoniam tunc poniturvta quo  eft adus , ponicjr in ablatiuo cum A.vA^h, dcfipianti-  ' buscaufalitacem. Etquidem dicin-rtis omnia verbaaAi.  7»! ff cundu & vocem fieri pafiiua, vtamo, accufo, do, do-  iceo, audio, fpolio ; cxii s enim fit amor ,    tiUrprimitT   doilor,siUili^/fpolior,fperor. At qua: folum fcnfu funt  ^aanon fiuntpaffiua, vtfcquor.auxilior. & deponcn.  tia TOcata latinis : tamcn in j^ng«M^ vernacula fiunt vti- .  i)uepaffioa^ Similiterquxvofie ijyMU adiua^fod  vt gaudeo, vapulo,abundo , feruio,&alia neutra vocata  Giammatlcis, ooii fiant pi|^Ef|a: ^i^mtts enim qood lit-  ' texatofam , U jr^tatem ^ed^VKi^^m vectuntur  in paffiuam.  donfiderano de aliis c^hs-pajsitioru??^,   VErba a^fliua verfa in pafTiua prxter nominatiuum  patiencis rei, 6c ablatiuum agcncis^quofcumque ca-  fus recipiunt^jaoQ mutanc, fedretinent, vti quando exant  aAiua,   ALiquando v«fba pafsiua ponont agentem rem in  datiuo: vt PUmi jboc do|nia poHtumeft , ideft d  pUutit* AliqUandoinaccufaBUoapporita prarpofitio-  ne p<T,vt res, agituc per eofdem creditores. Sed in his da-  tlOttsponitorfokis.cnmagenscaoraeft fimolilla) coint  appHcatio. Accufaciunmvcricom agensponitor iaii-  qiiam mftrumenrum vtin prarfatis patetexempli?. Ali«  quandoponicurablaciuum fiiie ^fieporitionej verbama- Ximcautempra:pu{Itio, verbo|adici(citur*   De verbis vocatis nemro pafssuss.   Art. VIU   SVQtqu.Tclim verba apud latinos vocata neutro-paf-  ua, quoniam habent literarurnm non paffiuam, vt va-   {>ulojexulo,Uceo,veneo , c]u« exigunt calus confiini-  iom pafsiuorom « ?t di/afitL v^tf$iani kmdg^^it.^it^  Secundum rert non fuftti paffiaordm tHimeraexplo-  dendayerbahacc,c|Bam vis pAf,iuam litmtoffam noir  habeant:nonenimvox facit pafsionem , fed fignificatio Coniimiliaveneo&Iiceo, fuftcvendoF:rapulo v^r^  beror: exttloyceleger..    FIo eciam dkitur neutropafsiuumapud Grammatn"  cos, qaoniam verc pafsiuum fccundum rem cfl,fi minusjTecundum vocem. Adduncenam fido, confido, U  nubo, au.lco . foleo •qux potiusadionem vtaanmdefi»  gnant : U exigunt cafus,applicationi , eo refpcau reoui-.  fKos. .-i  Devtrbis^ voc4t$s mutrhi  Arc. VI 11. Verba d jcu^turneutra^qu^ ^ec adionem ncc pafiicjw-  nem fignincantapudGrammatkos. Sednonprcb-'  pcereaneucra dicendi erant,cum &aaumcircndidcei-  xillendi dicant, &finonagcndinec-patiendi5Vt/*»i,^   ' (jorreSio Grammaticorum.  Verborum proprie neurra dici debent,qu.T aduni  acluatiuum modo figmficant» 6c funt pcrrinen-  tiaadpoccfwriuum, ad confcitiuum.&ad voIitiuum,de  t^uibus diximus fupra. Quapropter pofTum ,6cfcio*,&   gaudeo cum fuisafledis jfiintvere «auaciua feuneutEtL   dequibusfupra.   Pxinu reguia Crammaticorumcleoemhsfpeaatafl  .   verL)a,e{rendine^iim Hgnificanria^^^ exiftcndi.   Secunda , (\\)x cil, egeo.abundo.carco, perrinet ad a.  ^uatiua prophc.    Tertiaqu(j eH:, reruio.profum. noceo.defum , &: alia,  qujeapplicacionem/lgnificJanraclusadalirjuid f^e<^anc  adad ionem fine paffione explicaram , fedcuni applica-  tioneadilludin cuius gratiam fit j vtferuio recrj^confido"  tibi,noceofiliis,^c. qua^verbaaAionem fi^^nTficanr Sc<.V  nonfonnanr pafTinum^quoniam nondicunt Kcxfcrui-  turameifcd R:egiferuirur,quonfam taeeturpaiicns^ec-propterea,imperfonalirer folum firpafsiuum.   Quarcare^ulade. rebus peninentibus ad Agricuitu-  ramaclusexplicantia,func verc acfliua, quoniam eriam  patiexisexponunCj& propcerca fiuntpafsiua omnino vf  aro,5caror. Quintaquai tertiasperfonasIiaF>e'nt/ingularis, tantu  propcerpa,quod foJus Dcuv poteA illos edcre n(flus , po.  tius ad Theologoj quam ad Grammaticos fpedlansi non  'rite.deciaratur. Cum enim dico , Tonat , ningir, pluit  Iucefcic,grandinar,adverperafcir, non folum Deusin-'  telhgicuri fed etiam rempus, diluculac enim fole tem-  pus : ad vcfperafcir rencbris rcmpus: irem fubaudirur  natura apud phiIofophos,irem necrec;ulaeft ccrra pro-  pterhanc rationcm. Nam efl creare/blius Dei : nihilcy-  rnmus creohabet omnesperfonas: itcm rorareefl flcut  pluere:m fcnpturisautem dicitm, Rorare cceU Aerupn,^  mbespluantiulium^.^v^o reguUipforum cflfallax. Sed^  vfus, & id,quod /ubauditur confulendi funt. SextaregnlavbiafFc<fbionesanimi& corpornmcele-  brancur habens verba, gaudeo, doleo , virco, albeo , caleo, frigeo, tumeo, areo, conualeo, a:groto', & c.Ttera   huiufmodi.pertinciiradaauantium,fpeciem:de quibus  fupra. Dc vtrhisfigntjicantihm motum. Verba fignificantia motam cxig«fit nominatiuu^  rci edencismotum.&poftrenuTlumcarum^ quan-  do non paflionem fedrefpecius locales adducunc,fcii  pra^pofitioncs exigencescatum.   Qjiot fknt figmficdntia motum &   eiufmodi.   OMnis motus cft ex cermino aquo ad terminum ad  quem per medium, idcwco triplicis fpeciei Cunc ver-  mociua, vt difcedo deforg ,tranieo fer viam^venio in  tempUmitixc enim^gnificant motumdcloco,&motum  per locum,& n\otum ad locum. Quxcumquc verba iis  adiunguntur , iunt ciuldem fignificationis , item idem  verbum poccfl: tres iftosadus connotare, vt, de vinca per  viridarium eo inciuitatem.   Verbadeponentia func: eiufdemgenerismotiuiphiri-  ma,quxadhanc regulam pminent, vt gradiar,trans-  •gredior, proficifcor, &c.   Quomodo omnia verha reducHntur ad^ra^  fcntem regulam.   PKxtcrcl omnia vcrta quatcnus fignincant motum,  polTunt cfle luiius regula?, dicimus enim fcnbo ad  rontificem,6cde Pontifice,& pcrdifcipulum ^quatenus  enim fi<2;nificant terminum ad qucm, autmedium ,aut id,  Jequoficadus, fiue illud ficvcterminus, fiuc vt materia,  <iequaqiioniam cerminia quo eft connotatiua fimilitct  ^xic;unt cafus cum prarpofirionibus confimilibus, vc de  albopf ries verricur in nigrum pcr atramentum Qua-  propcer 6c acliua^pafnua,&:omniaverbaad hanc re--Liherprimusi ur  gukmtrahantur per refpeiflus confeqneotes aAiinisTe  plunroiini aatem quae oe fefignificaat muutioiiefn U  - . motuni*   ^cv€rbis,mcatiscommtmittis^   Art. IX.   VOcatit Grammadci verba commaiiiisfc , quas iitenr'  toram habent paffiuam,& poflunrfieri a Aiui & pa£-  Sxti conftrofcum «afibt»» vt laij^rsampledor^Teneforl  cxperkWypmuotor,ofcttIoi^icriminor,,n^   Hxc ficapud btihos: n vfti uiath m idiomacibusalii  Honitem.   Dedt^onenttl>us/verl)ii, .'  ' Aft. 3C,'" •   Dlcontur apuJ iWtinorum deponenria qnaK baBenr  liceraturampaniuam Scfignificationem adiuani^c  proinde acliuc coDftruuntux^nec ta.men omnialigmfi.  cantadioneni, . I Sedc|uncdamaduationem , 5c propterea volunt poft  feahlaciuum, vcvcorjraor, pptior, vercor, 6cconrimjlia.  z Cina:^-%niiicant aftum cum re non de qua/cd  . cuiusel'ta<flus, egrediens ab inrelle<?lu,vtrecordor,ob]i-  uifcor. rer.iini^^co. qiia: propterea exiguncgenitiuum< \  ,3 Qoaedain figniiicanc adum cumapplicanone, $cpro*  /pterea poft fedatiuum voiunt, viauxiljpryf».i^agQr:» me.  'diCOfjminorJrafcor. Quxdam fignificanr^i^ipipm, tc id q\iod patixur: «c  jwopterea exiguijt^)i?jndcacca6tiuw^  rw,c6ntiinifcor» loquor^   ptacftolor\ feteor, &cacteTam^ItP,qiK)rupiqij(E '  proptereaibUtiuttin exigQDr9'Vtlan:or«chltor, ftoma-  chor» vcreciindor, cxpergifcor^iiidignor^niorior: & silui,  qu^e alios carttsexigtinc. prottcadus r^fercttr > mxea regiu  ia^ J it^s de caiitesxMilMnr^6ttao(&^^   Qjrdaai quoniamfignlfiaantmotum ve! pcrroodum  IV. nus, exijunccafus cum.prcX^pddcionibiis connoranti-  ba^vl'.^ ioco ad locum per locum vel cum alio, vcl Con-  .tra aliud, vcl circaaliud^vtgriiiiv-YsP^^^^i^^^Jo^^^^i^Juc^or,  apicor.nafcor, philofophor , verfbr.ncgotior,hallucinor  <auillor ^auguror, 2^ nmilia, qua: apud Grammaticos  , umcrantur :qux ex prxpoficigims.ftatMra.qups^earus  .exigunccoaii;noiiftran,c. ' 'iim^erJoriaUum^ * J^Mporfonah'um acliuxvoci.*; primusbrdo confVrurc   'jLtntffe^^dr^^f^^fi^^^o^ infinitiuo,vc /V/r eCtvel  .Jncereft,vel referticribere ad vos. Infininuum vei^o re-   'gic cafumexpra^fcriptisre^ulisflbi debitum, Ratio reg'ila; eft, c|uoniam verbafuncperfbnaliatfe fui  ' >acara;; Sed cum addicut Ibco perfon p',.patiehiis vel   !ftg0n tis al i qu i s adaspefv erbu m infinicittte facalcaci s, ideii , \t\it cermihatse c^niiiQfticAns.eKpxeflus nec,effiiri&  iUcidaseftperG*n^ccerciac,&: propcereaotjnpia imperfo*   ' nalt^ habere dicuiiair rc^orh tercias perfonas Idco omnium pcrfonarumv..M 1 n ifeflun 1 e<t: ert!rri'i|uod q uando pohTtor tfomifn 6c   nonadiu p?r verburtfitifiA}tum,fIuntperfonalia,dicimus    eni^ Pctft tnfe^^f^tnflihrs vcl nosPecn incerfumus: non   ii*?^"^^ dicam , ^ef^rvnu^ ob aliam cau.fam.  «jC^uarea;jtentpo(luIeflc gemiiuttm , nonintelligic ni fi   ' . quaii   Digitized by GoogU     Ltherprimus. i fip   xyii alium cafum rubintelligtc ex parte vei bi vcl nominis.  fiquidcm Refert idem ell ac Reifen: 6c proptereadicimus  Pctri rcfert fcribere, ideft , res Petri fert fchbere . iritere(f  veroidemfignificatac in rcen::& proptereadicimusPc-  tri interefl:, ideft» in re Peiri c(i fcnbere. Quj autern.lv  ivter confiderant non in fua originc, & accufatiuum ci  adclunt,(ubinteiiigunc Petri inccrciyioc cft iwerreiVe-   Probatur aucem racio daraiquoniam cgo tu, fui , nos»  tc vos,6ccuiiis, non ponuntur in genitiuo.fed inablaciuo  fiBOiioinolingulari} vtmea,taa,(oa, noftra,veftra,& cuia  refert > feu iotereft , hoc eft i» fe meA cfi^ in tta eft^o^c, vel  forfaA in nominatitto cum Jff/ert\ vt me^ refert, ideft  fef mafert xefmLJkn ^in accu&tiuQ nentropluraii vt  ' meaintereft, hoc^iff/^mf<f#)^w   Etproptereaeft vultnominatittom neutrale vtmeoai  eft»tuuraeftfcribere»cum pronomtnaprimitiuaponuii-  turderiuadoi* , .T>efecundo ordinc imferfqnalium.   INfecundo ordinc ponuntur pertinet, attinetJcfpc-.  £l:at,cum accufatiuo & pr<Tpontione.c^i/& infinitiuOf  iqco nominatitti , vt ad meipedat fcribere : at fl nomina»  tittUmadeftfunt perfonalia,vtad mepertinentlibri-.vtin-  tellig?ttexiirfBnitiU(i>; quoniamindeterminatum fubiuit*  £kittumeft,deponderc indetermlpationem petfbn«t&  proptereafieti imperfonalia Hase triaverbaadpoteftau  tiuum tedncuntnr. Nam attinetex</M compo-   nitor : pertinet exper acM^: quoniam pofleffiorei eft ad  benim 8e perherum : ifpeAatvero a fpicio , quando q uod  alicuius eft ad ipfVim conoerfiooem babet.nuc /ir per po.  teftatiuum, vc poiTefrio, fiui per cognofGitiiium,vcad  ipeftus» iiue per Toiifiuum^ vtajndcum,^ QUiieficumc Ji 0 De tertioordinemfcrfonaliHm.   TErtuis ordo fimilicer fir imperfonalis ex infinitiuo  fubiequence.-quoniam continetverba quxfignifi-   cacapplicationemaftusjn determinatir&proprereavulc  datiiium cum infinito ) vt mihi plicctleq^tre 5 & concingit  mjhigauderc ^fed vbiadfunc nomina fiuncperfonalia, vc  mthiplacenthhrt , d(3lentdences & omne verbum fignifi-  cans appiicacionem vlus^cfthuius ordims; vd rcducicur  adhunc.   quarto ordine imperfonali$m.   QVartUJordoimperfonaliumeft de primaadiuorum,,  r^xigit cnimaccufatiuum ciiminfiHicoioconomina-  iiui^ vc deleffat //«^ii-r^ dececfcribere, iuuatcurrere;-  acfiapponas nominaciuum func perfonalia, vtmedec.  virtutts^iti cundis ergocumceademratio.   D^quintaorMneimperfonalium^   QVintps ordb con ftruicur cum accuaciuo & infinico fimiliccr,vcpoenicet,puder, cxdec,miferec,oporcer:  ecenimfignificacpafiionem illaram ab obiec^lo^ quod /1  efta<^lus,nabet fe loco noininarim , \tmettdct ftHderc-At  ireft res, ponicur cum genitiuo,vcw<f tadit fti^diiiSi qiudc -  iiocgcniciuum regiturab aclu, velabaliofub intelIc<n:o  nomine,quando egodico,me paertitctpeccciroru.rubau-.  dicurajfluspecatlT&me rcdet ftudiijubauditur exercitiu iludij,6cfnemiferer mfirmorum, fubaudicur officioinfir.  rnormii rJiVahqnam ennn ponitur genitiuus, p.i& qiij^prjp  intelligataripfius,vel vtfepfe probacum dl in rcgulis-  prioribas : vt videasomnia verba imperfonalia ciTeper*  fonalia,&pertrneread efTendum^vel aduandom ,vela-  g^juliinuf el gacicndum^touliil vltra:Scquid^ad aftua^       Liherprtmus. n\   tionem affedionuin rpcchanc verba quinti oYdiris .-'^ ca  tranfeuQCin nacuram adiuorum|,dnm obieda coniide-  raacar, quaceniisaificiunt faculcaces mouencque.   De imferfinalihus Pafsiuh^  Arc. II. \ IM perfocfMiai^flioac Vdcis exiguhlf^atibum agcntis  caofac ficoc ^asterar paffiua :£c poft fenoiiadduntnb-* m{natiaan[i,alioqfiiii nerenc perronaliiifcd quemcum-  qu^aliumcafum ,ddmmodo paflionts non recepriuum,   fed vfus, aut applicationis,auc circunftantix , vc a me fer-  ttitur i?^^i',icurin filuam :6c propterea Hunt ex verbis a  £tiuis,&: neutris appficatiuis & motiuis , 6c exiflcnriali .  bus, vt n 0 cet ttfyamb uUt nr Jta tuf ^xxon^wtQm dicimus^</Rf-  detvr^ ^ux.mctalle[cittif qiioniam iftorum palTionon transit: neceftplenc paflio : fedmimanec,&eft quafi adus  aduansverba deponentialicf t fecundumrem po/Hncef^  ieiimperfonaliapa(I]ua,vcpacec intuenci omneslinguas,  tamen apad Lacinos non nanc ob vocis 6c iiceracor^ im-  pcdiiiiencom.  Deimferfonal^ineutrisL '  BEnefit malefic,racisfic.diciittn3riniperronaUa ne«-  cra^quoniam nec cum adiuis nec com pafliois viden*  tnrnomerari apod Ladnos^fed com neucrit:& tamen  iecundam rem veri paflioa fonc, licet non fecundum   vocem ,&quoniam applicacionem connotant,exigunc  datiuu|ii,vc a me benefit egenis , racio ex didis pacec: in alii$  omnia imperrouaVa fiunc paifiua non aucem ne ucra.     ij2 ^rammatUahHm QampanelUl     De wrBisfirmhbHs^   SEruiliaautcmverba non funt perfonalia nec impef-  fonalia , quoniara induunt naruramcorum ^quious-  addunturadinftniriuum : funt autem I acc, incipio,dcfi-  uojfoleojpoflum , debeo,dicimus eninv, tg^di^i^ psi^f^  tentiamdgeriili mt debetpanitert, Ratioeft quoniam TCr-  bxtfb non fignificaucadus pteaos , fed aUonim aftttmn  aliquid » videlicer principium , aut finem , auc mo^  rem ^ 6c propcerea illorum aAwim nattvam fcquuiif.  fur idicinKM enim : eeo incipia legere , qnoniam adiu^  qui eft/p{m ati<|ttidefteios inceptio :6c propfertaad oa».  totametoatiahit ur. Seddeind e di^iT^y^^ jjP^/^f^* ttwug»   ^dcjtaJittnim a^om-fnotadus.  Sedfi adosferuilis eft plenos non>cran/ir in nnturam  iaiini ti ; non en im dicimus, vuh t^^ere , fed ez4 v^U me  tadtrs^ diamus meporeftra^dere ,'obimperfe6lioncma-  ftuspotendirfed non dicimus, me valett« dere,ob pleni^  tttdincmadtu^k VakQCis^qaj nopaliejaacurdfci Dalium.i^-   Deinfinitiuis.  PR.opeereat QfinitioftTo!unt anteft'areiiif3ttfiium,quoi  niam regunturabalio verbo: cuiusadum excipiunt tanquam cadentemin fe,vtin perfonam patientem ,ct-  iam fi non fit p^ticns-yVt certumellmeanuire >vbiadusccr-  Cirudinis^cadit fupcrmeamancem; ^*'   Quando verbum aliquod carcr pra^terito vel futuro in^  fimco» refoluiturper lyt;/,aut^flc?^i,in fubiudiuum.quo-^   fiiaQi^vccrqu^ alL modtts comua&iis ciibos£umis in   porttiHMtionibushic detcrminate,iniinitus vero inde-  tciminatc,vidiaumeftpriu$. . 'GErundia reguntur anomine fubftantiuo, & fic funt  gemtitii caftistauia prarpofirione ^c/, ^ihicaccu-  fatiui :aoti«,vel^r# v«iil#,^ficabiatiui, per (eautcm nu  htl fttfitiiifiparticipium verbi nomimrque,& aliquando  famttotBra(beaaQ^iii|iiando robftantiuc exiguntr^ue  dtfasfiipfum vcfbonwit&com.fe» pr a e ytf ti^  mus], Mib4/Mif#ir/i#&i; pomn«r   IfsnwiterinalibtiniaL   SVpina edam funt participiorum rcs , fed indetermi--  natoruni,niore infinitiui, & propterea reguutf t ab a«-  lio nomine & verbo ram adiuai Vt ##^jiu/w» }jqiiam   • Departtctpns.. SEit funt partfcipiaiecondtmi rem , tria paAiia.vra^  mabiiej amatQm^Sc a.maDduni , & tria adiua vtanu^  tioQmamans 6c amatlirus. 'jtriuiSiU enim eft q uod poteftt  Jim^ri refertur a d ai|iariQonl e qubd pdteft amare. ^*.  ffU/«» eft quod ado amator , 8c refcrtur ad amans l^a. *4iM<raA^eft qQod^mabiror^aot debct ama £c refert'  :tQradaimaforQmgd eA;^de)imqM (i^cumqttealiterTeffrrtvfiifflrQi*.' Grammatici non a^nofcunt amabile &amatiuum,  xdificabile& aodificariuum inter|^rticipia:& fal»-  lunrurrh^c eoimparrem^apiunt a nomme^ partem^l*  verbo : & res;u^nt cafus fuorunl verBorum : dicimos eofte^  knif^misiUe ^ te Sedam^nttnm non dicitor con^accofi-   lus fapi t qiikile verbo.namtt*     ly dmam cum fumitur nominalicer exigi c genitivum, non  accusativum i vt Petruseft^j?;??^!!! tui^ fed etiam aliis par-  'tictpiisaccidit. Participium autem fucuri pafMui tranfir,  ingerundiumex pncporicionibus 6i fubftantiuo Aibfc-   quenre nomine. Hmcvidemusquod quaniam a reegreditur adusid-  circo A nominc e^^redicur verbum jOrtab^^JiM^-rjfcui^rJ^d  pacre pacrizo , deindeakvcrifquc participiwm , quaii.  do res cum fuo adu concipitusfimul , & a partkipiis ee^  runjia ^rupiiw^.infiaiiapiMBiiti & fucuri'; quidquia  ;G/aj^wwWiJswaniimaduerteni)esiiliterdocedf Ji: QTArM E-N. CVnt verbaneutropaffiuatriplifli aAkoparticipio in- ^\ip^it^ytetmmis^ci^t0Hii^C9nat^rw$i & duobiis pafsiuis,  vtftrwl«jSc«e»if»i«/,v Ddeapparetqu6d aaiuum prarte-!  ntnmdeeftplnnmisverbis/icutpafsiuum pr^^fens aliis  multis. „ Qja^auchornm paffiua Aoufiunt, pnm is cribus  jRint QQtiten^^pladens,pncims , dr^UcUurMf , folens, folU  trtf,& fclitarus.qiiomodo autem agnofcuntur ex nacurj*  adus paf ionis,& adionis, &^dqatfonis,& exifteniic no-  iUerimus,vtfupra.Utiuorum. Comparadua propijereaeKiguntabI^tj9iinj,^Hodk4  ad quod comparatqr^i^^Jb^xi^fl^^  forma , &iBenfani: vt tf^l^iilfgSift^^mySi aoiemp^o.  natur ly quam cttm no^i^tiuoiijftcs ^minam Pe^  truf, fubintelligitur verbuihfubfliandale.viij^/rr^Ai^ SVpcrlaciua vero exigunc genidunm pluralis numo-'  ri^velreipluralicarem includentis, vc taescUa^ims   ' jjj   rcfertur nifiad numenim. Sed ii dical , forti/simut fuptr  i2^«u;;«7j,tunc fuperlacionis adus bene ex^rcetur bfer  prxpoficionem CKcunilaneialera, vt diiaUin*'eft.Vcum  depraspQlicionibusageremus. ;   DerationeparH^ tpiorumin/nmerfah  QuidquidGrammatici dicunt de nominibus parti--  ciuis & vniuerfalibus , pertinet ad dddrinarh de  pronommibus: omnia enim hxc fiint*pronomina ioco  propriorum nominum pofira. Smiilicer &parronimicaj  vcdi^bum cll: ihi/unc pronomina gentilitia, vc prLtmieies^  cefartanns , dommicanus , quncaliquaDdo abfque substantiuo incclledol nominum racionem habenc adiecliuo-  rum.ficucfuoin locodiamneft. Ratio denominationis  iftorum ex Granimadcoroni vfu agnofcenda eft.   Ratio , qiia gemciuum aucablatiuum cum pf jef ofitio •  ne exiguht, patet cfr rfegults coratmunibus : dicimus cnim *  fmsye/fmm» tc^idsill T^ii/, quoniam de numero vnuili  vnDsfubaudimns.     Flgurarum alia ConftfUifkionis,alia verboram^alia fen-  centiarum. ' De Figuris verbo funi Jc!rencenf1arum diximusinpoa-  tica.Rhecoricajad hasenim artespcrtinenc.   Fi^ura conftrucflionis propria GrammaciCorum eft   cum A commudicdnfui^tudine ioqp^ndi iratiohabfliter'  difcedunc; -  ^iiv^Sdj-i^ ^^^^r^P^ vods^fifrvt/ifrli^ww/^ic  ^ffmMhiitQ MUrmt %ens aWa : vt nefiU ^suimfenke  tnhisniHatmnimlldmt In Iii)guavuf{;ari pforiinacftli^c '  fiigiva,nam pro poiiitui v^fsc v^Proicpfi; cttmtotuminpartibttspracfainicar,n^i7?i^^   pulifiudinr. aliasphiiofephU^aliui Grammaiifm.C ftudet.  5 Aotipcofis ponic ca.iuni pro cafu clegancer vc  chtm ^quemdeiifiinokit qitauurbai dcdit. Elegancius aut  prxponirur relatiuu vc , quem dedtfii eunucham^ quas tnrbas  dedtt, Ecquidem dumaduspafllonisrejpicicurplufquam  adlionis ponitur in acctifatiuo cocum nomen cum pro-  n o m 1 n e . S\m\ zcr^uorum eqei Ith ro rum^ ^i^t^ndkUi eoim  egeadiplusad fe craliic quam dandi.   4 SUabifauis eft,quidam Gr/^coFu loquendi modas:(e4  cameaapud nos fpaifieati^ dici poiTec & fic cum adie-  itiuum prxdicaciVopalaturftbiedo fubftantialiter^Cc   / pr^dicati fubilaatiuum ponitnr in abkdoo vel acCofiu Uuo.JtiBfsaligsdeniiti ViliiniiiMs «lioc eft bahes dinies  ^tf«ia<Ujiiivel, ifff^«ijtffiytanquamin(bomentaIi, .ant forraali prsedicato,fpecificat enim id qoo tu es tahs fi.  liejormaliterfiuein ftrurnencalicer.iiiue parcialicer : dici«  mus enim acdrtffks enfem\decorattts Uteris^ drc.  Evocatio ert cum pronomen cacetur, & eiuslocum  /upplec nomen , vc trots reytmuSyifxo nos iroes. Zeugma est cum vnumverbumveladie<fbiuumrcruit   i)Iuribus,vc P*em d^Hamni^alcrudelisefl' vbi ly^-z^eciam  y funt vicem gerit. Similicer & patet fltj /stntdi^wk  vbi ly digni tii^m ly ^igfliri,Iocum habei^   7 Syllepfis eft» qoaiido fin^larisnumerus comprekesft-  ditor iipiurali tanquam k dignioh» vt Vux & miutetfr^  bdsitnr. veirexusmafculinus comprehenditfacmininomy  vt Ren & Regbsdinfiifinn. AltqaandQ etiam nettcram,ve  ienss & memeipiumfimetenli. Sed in Inanimatis neutmm  concipit maibalinttm, & fcminimim , vt ficus ficulnea , ic  fyrumjuni iena «^cimos & Uhr , ^ velnftds funt cerf^  riviilia/ide(ivtiles.  Appositio fic quando fubftantiuo vni aliud apponicur,  vceius dcclaratiuum in eodemcafu, \i yEffodiuntur opes^  irriumentamalorum, Quandoaucem noneddeclaratiaui  Xokcppmio g.eui€iuo,vc fuo in loco dcdarauvnus.    «SSgH^SS?» -sg^^^it _^!8g^j^2»  iag0 Oftquam dclocutioneTocutifumuSideScri.  pcione ,CC Leflione fermo debecur. Siquu  dem Grammacica eft Ars red^ Ioquendi,5c  fcribendi , & legendi. Triplex ergo illius  a£kus ,videhcet,dicere»rcribere,&: legere:  iic^t primum f\t folum per fc adus : fcribere enim 5c lc-  o-cre eiufdem accidcntia propria. Vefimtio fcnptionis^  Vldeturquidem /5:r/W,e(Ielprum ///r^rr permanens:  Jicere ^uiehi/in^ee tranfiens',Hoc autcm ex rece-  ptiuoinftrumentaH^nanautcmprincipali.accidit. Ani-  ma recipit principalicer orationcm,tenetque : fed per a<5-   rcm,6c cartam, vtpcrinftrumentaldicenris^ AcJt autcm^  cumfic tenuis, figirrarque nonbabeac proprias , recipiaC'^  qae facilealienas, non retinec ob fui inftabiliraceni , pro -  prerearertnoineoeftfcriptio cranfiens. Nec nifi feniel  audiensanimapercipere poteft. Vtautem pluries,cercuf-  que,& obliuioni non obnoxiusfermo fieretjperlapidem,  autlignum, autaliam quancunquefolidam,conflantcrn«  que molemjdeoquepotencem feruarefermoncm^qui in  acrecuanefcit',loqm ^gyptiusTheutli, fi Platonis Philebo credimus,adinuenit : licct ruccenfeant lilijquod  negligentixcaufam ftudiofis dederit. Lucanus autem  Phocnicibusidadfcribit. Philo £cIofeph ancediluuittn»  Enoch excogicafle induabus cohimniS| memocant.    Llcerxergo infolsdo auc inTimc^ vc charaAeresRo^  imnnrnrn inrrfa r mir iininr TrTypn^jnphnmm  notula^ferreir^saacranLnhacin pagina excolonscetri»  velrubrileneatx fucco. ' .   Jiiimitatione rernm in di^ionibHs (f  fcriftiombus^   . Art, IL   ^^Esinnatutapofitac imitando idcas Diuini inteir,  Jfe<fbusrunt venu: ctenim,ait e§ fuiffkl^^   j^j fimtlitttdo, Inteliedushumanus iniicandares,qoa9^  ^^(ferciDit, ac proinde intcUigendo eas, ficuti func, ve-  ^xuseft. Concej^cus enim obie<aavvndcrconcipicur, eft  £millimtts«S^mo yocaiisimitacur canceptiones,feu no>  l4onesmeiici$ii|9a£^ inJPc^cicalacijlsd«^  jhonftramiis.. ^j^i^ caodem fism voQjencK^  propcere aqvie^ramn4o,eas figuras imii^ri conuenitf  quasocg^Mndo menci^ oociones perinftnimenca vo^  ~ t;gucgtf «l^ngaam^ palac um^ab   Libertmius.    in ittt fpirAto figuramus. Hinc Alphabetum elcmentA  vocis explanans inuentum eft. A t varium , atoue multi-  plex apud nationes mulcas ^ qupniam imiuri iaem variis  jnoduusinuenere.   Jmitstio per cbaroBeres.  ALij quidem vno charadere fcribant vocabulum v-  num i 6chocduphcitercontingit,vel delmcatione  imitando, ica'vc ver. gr. O, fignificet panem . & t^, vmum.  Sicut Chinenfibus vlurpatur jexquibus iliedodior.qui  plures charaderes fcic : quoniam plura vocabula 5c  res* Afcenduntftutem charaderesquailadodies mille.  AUj verivtunturfigura confimili,vti€gypcij ,vel rym*  bolicaiqueinadmodum Chaldaci Planecas, &iZodiact  /ignaiisnorancanimalium guris, qua in eircuii parti»  builocantur^aatillorumaliquid pingunt,TtproTauro  corjiuaTauri» caudam l^eonispro Leone»j6f<b. Sicut  Aftronomi spfbrum haeredes adhuc Ytuncur; queroad*^  modum i£gy pci j myflicelaibunt pro Deo^diaraAeiem  •^lis.qui Dei ftatua eft i pro vbertace comucopiam, Sce.   parti^um vocis indiuiduastvc^ebrxi,  C£idti^^^||amv Gneci^vemntamen charci^eresfcn.  pferutitf enim,qux fola arteria   profeninta^Thltpii^Hiififcfa^^ quod camen   inO,& /jfoliim oUrct^Stliif^, redi^s pro   vociilibuspundis , vtunturj corifonantes autem figuris,  quacfimiles funt inftrumentis,quibusformantur; vtAf^  quoniamlabiis compreflisfbrmatur, pingendum efTetfi-  gurareferentelabiaduo,C, ver6, quoniam sumiratelin-  gua: tangenre dcntes fiiperiores formatur,charadereid  fingente delineandum : ficut in Poetica docuimus:.  vbi quomodo cxreri charaderes formaBdieiTent a lin  gttaruminftitttt9iibu»9<C^ui fignificaiiopt deferuirear,  cpi]ifidei^uimi»^ ij^ Ut   cum fic cenuis, figurafque non babeac proprias.recipiat-  que facilcalienas, non retinet ob fui inftabilitaiem , pro-  ptereafermoineoeftfcriptio tranfiens. Nec nifi feniel  audiensanimapercipcre poteft.Vtautem pluriei,certaf.  qae|6c obliuioni non obnoxiusfermo ficretjper lapidem,  aut lignum, autaliam quancttnquefoiidam,conftantemI  qttemolem,idcoque potentem fcniarcfcrmonem, qui in  aereeuancfcit», loatti^gyptiusTheuth, fi Platonis Philebo credimus. adinucnit: lic^t fuccenfeant illi,qu(>d  uegli^enriacattfaro ftudiofis dederit. Lucanus autem  Phderiicibusidadfirribit. Philo &Iofeph anrediluuiuiiv  Enoch excogicafle in duabus columnis, memorant LJcerxergo infolido aut infunt, vt charadcresRoI -  /manorum in cera^ a wt a wKmg ^-nrTypographorum  liotulx ferreas jaut funt, vtfaacin pagina cxcoloristctri»  ycl rubri leneatacfucco.   Peimitatme rerum in di^tionihs   fcriftionibus   Resionana apofitaeimirando ideas Diuini intelle-  Ausfuttt vene: v/ri/^i etenim ,ait Aug fuifffin-  iipij fimtlitnd0: Intclle<fiushumanus imitandores,qua»  percioit, acproinde intcUigendo eas, ficuri funt, veruseft. Conccptus enim obicao ,vnde concipitur, eft   fimillimus. Sermo vocalis imitator conceptioncs, feuno-.  lionesmentisivtinprimo libro, & in PoeticaJatiiisde*  monftramus. Scripturi tandem fcrmoncin vocalem,  proptercaquc fcri bendo , eas figuras imii«iri conucnici  quascxprjraendo raenttf notioncs pcr inftrumenta voim   Lihertmius.  inicre fpirAto figuramus. Hinc Alphabetumelcmentt  vociscxplanans inuentumeft. Acvarium,atciuemulti-  plex apud nationes multas j quoniam imitajri iaem vanis  modufisinuenere.   Imitatio per characleres.  ALij quidem vnocharacflerefcribunt vocabulumr-  num i & hoc dupliciter concingic , vel delineatione  imitando,*ita'^cver. gr. 0,fignificetpanem. & f^,vinum.  SicutChinenfibusvuirpatur jexquious illedodior ,qui  plures charaAeres fcic : quoniam plura vocabula 2c  res. AfcenduntAUtem charaderesquafiadodies mille.  AUj verovcunturfigura confimiIi,vt ./£gypcij ,vel fyin*  bolicajquemadmodum Chaldxi Planecas, &iZodiaci  flgnaiis norantanimalium figuris, qua in circuli parti»  buslocancur,autiIlorumaIiquidpingunt ,vtproTauro cornuaTaurii caudam Leonis pro Leone, &c. Sicur  Aftronomi ipforum ha:redes adhuc vtuntur; quemad^  modum y£gyptij myfticc fcribuncpro Dco,charaftcrem  Solis,qui Dei ftatua eft j pro vbertate cornucopiam, &c.  ^ Alij ijTiitantur particulas vocis indiuiduas: vc Hebrasi,  Chaldi, Latini, Grxci, veruncamcn charecflercs fcripferunc parum imicances. Vocales enim,quar fola arceria  proferuncur,fimplici lincafcribendaefiTent: quodcamen  inO,& /^foliim obfcruatur. Hebrarivero rediiis pro.  vociilibuspunclis, vtuntur jconfonantes autem figuris,  quxfimiles func inrt:rumencis,quibusformancur:vcAf,  quoniamlabiis compreflis fbrmatur, pingendum elTet fi-  gura refercnce labia duo> C, ver6, quoniam sumicate lin-  gua: tangencc denccs fuperiores formacur, charadereid  lingence delincandum : ficuc in Poecica' docuimus:  vbi quomodo cscreri cbaraderes formandieficnt a lin-  guanimin{licucoribus,5c^ui fignificationi deferuirent,  confidcrauimus.  Dcnfimerofii Hramm,  I^expreffionem Jdeoque lid vi^ti oclo in primo Libro illosreduximas:quorum viginri duocon fbnantes,  ficdiAxJqaon.iam inftrumenrom verberancium aercin  concurrurormmcur. Iiein quoniam coniunc^! non pod  (unr,ni(i perv )cales- vc Pbco m Sophifla^uiur. Anibesetiam vifTinci oda h.ibcnt omnes conlonanccs pro  corundcmronorum diffLTentiis exprmendis; inquoa-   . bund.inr/Trcs auccni vocales . quibu5 ramen vtuntur  vcqninque , ficu, orJincqLie vanantibus. Hvbrrt vigioci duas conronantes,fiquidem pro vocalibas , punckis.  vrn n ni r j Vjixh i Xj q i i i i Vf mmm 111h ' i 1 1 f i r m fimplicibus, '  vtipfi purant^-tt^Spic-fl^d cOftmA^^^rfi^  in^lar. Nobtsaureminlcaiica fingtiahac ratione torefl  fcntdiphchonc^i ,ouot vocalittmcopulstjVtplanum eft,  Galii prunbiifdipnrhongisvtuntur. Grxci vieintiqua*  ea6r habenfftedras • qnarum fepcem funr vocales , quoi.  niam {),& Jf, ftrifti &amplc;apud eo$ , ncar& in aortra  Vulgarilingua, prbferancur/ Natfones excedenres hunc  numerum viginci o£bo, ftorfvidi, nifi Iaponenfes,qui  quadraginta ocko Htteras habent i quod cquidem inde  eucnircpiito .'quoniam cotifonaTitesduas conflanc in vn.im, qiicm adinoJum nos X , pro 5 , 6c.C, vtimur. Sic   . poirjmLU hccerasifias duplicf*s (-acere: vr pro , Z , .fic  character vniisraiiiis pro i?, r^^\m:\s proP, ff, ^cSicwii   . vci'niir^?^. (Sc rr/Ti. 9. pro cnbiis fircensiacque i pro da.ibusi^c. obuia iunc /vlla^:vrnm varietatcni   peroeiidenci •• fiquidem, vtdiclum eltin primo libro.aliae  lyllabxcondituunrur ex vocah vna . vr ahaeaddunr  irocaliconronafitm^TC^^^ali^ dmr^v^ Ba\9i\\x trcs^  vt(^'SaIisquaruor;vc ^/«^aliacquinque>vc /f4n/,aha:fex,  yc//r/^/.NaIfibiatttepltts vcucvocaUiQtfiindiphtbongis,  Lther tenias, /^t   G ^riii-inoram verS Sc Polonorui-ii lingn.i feptcni 5c oclo  coiiloiiaQCevvnivoci^ .lih^Uiu Caius ranon^^in in Phy-  fioio^ia ^iximus. iNfonreitU camen AriftoteJes fyllabas  poHe exfoliscon^bnancibusfieri docet}nulIumenim fo-  nani habene, aiCiexvocali «caiadiUncconfonanclo.   Poflontenam literqper pun<fH miilciplican.-vr Ara^  bes 6c Hebraei faciunt, vt P^c^m pundko icruiat pro du-  pltct P ^CivaAxttt & vocales : ynicuiqee ergo regula eflr  vfus: Philorophisautem ratio.  vt   B.egiila{igurandarnmlU?rarumi   DRhentin fe lirc^T appiri^ntamhabcrc elegantcm,  claram,diftin(flioncinab inuiccm pcrfpicuam. lcem  occLiparc mo hciini Ipanum, nec fe inuiccm impedire.  Proptercn vocaIc^punLlis,& ficu vtiliorcs,quam iiguris.   Formodcharaderes-A^abici, mirhieUpr.ptenn fpa-  tium niiilrum oc4?upant. Occurruncpun(fla htiic defe^  dui. Hebraici graucs fd non adcodiftincl i,nec figu-  racu faciles; Lirini diflincki ,clan : arnonfatis elegan-  tes : Gr«ci,clari ^ forjiiofi> exigui, niodicuni pccupantes  .fedexpa.rte^coihplicati-. . Aliarumnationum Alphabefa  conrulancnr.   T IcercTLacinrc pro liceri^ tancum valcnt^Grarc.T pro  ^liceris & numeris i y^lpha enimdicic A , & vnum : Hc-  braica:proliceris,& numeris,6c vocabulis: Aleph enim  figmiicat /t ^^vnmHyU princiffem , Bech n ^(^uo.dcd^mm &c.Propterea ex JitehsSLabbiniphilofophantu*aoi^ivi^AQagrammata eliciunt, : '(jrdmmdticalium Cdmpdmlld]D^ra Mnefcribendiper vfiratasHteras. Quoniam careinus Alphabeto mionali imitanw  prorfusinftrumenca 5 nec rperamtts illud nifi a nou^  lingua ccondicore^qui vocibus res^& voces chara^leri-  bttsadamuflimmncecur. Ynde facilferebusinrpedis ip^  fisdifcerenrfiomines ducefimilicudine^ l^gere, fcribe.  reque!donecergo^liiigttam,& charafteres proprios  Plulofopbisedereiipndacur, vteodum conTuecis in fcri*  bendo. Proquofcqucnccsdanturcanones.  I Literasclarasa propnafigura non defcifcenres deli- '  neabis , vna continuaca dimcnfione •, ou{eiiU^pier> vndc  fjcilius duci.poce(VprrroTaTft calamus. ^^-^  X Literasmaiufcufas Scminufculas obferuabis in omni  ' lingua , qu.imuisHcbrxis id non vfurpetur. Maiufcuiis  vteris in pnncipiis orationis , 5c in omnis perio Ji princi-  pio ,&nominum propriorum cxorjiis. Dicimub propria  Jndiuiduorum, prxfcrcimhumanorum , rcrum nomen  .^curam fortiencinm indiuidualem • vt Perrus honio ytc  Bi^ttneUns ^aais. Icera earum rerum , de quibus fcrmo  teexitur, quaccunque fint> eric maiufcula exordiens  Bgura. Cum enim trado de SoIe,autdc Aqua,attt d«  tnde in'Phyfioiogia > dico Sol , Aqua , Iris , in toto rra^  : &atu. Nomen aucem D ]g I tjRtiii|^^ pie^f^^^  ^bendumdbcec.  Omneslicerae vnam diAionem (romponentes , nmnl  ponantur ; nec incer eas pond:umtnec fpatium interttcni»-  relicebic,ad retinendam figno rei vnitacem. Onwaee-  nim cns necefTaric) vnum eft. Dantur in vulgan linj^ua  apudnos, & Arabeslicerarum copulaceiufdem vocabu-  liiatextrcmxfigurccprxc edentisextenfioadprincipiuni  ponfef^uencis,non inepu» (iperfpicuicacem iedionis uon i /4!   intercurbat: alioquin fuc;ienfln. RedeTypographiim-  ittfmodicomplcxus omncs fuflulere.   Si]uandoin fine verfus non poceft rerminaridic^io^  Arabcspriccedencem excendunt. Si poceft finalis rcci-  pere excenfiones : (in mioLts>amplian(medias. Alixve-  r 6 nacionesapponuDcnoeulas, quibus abfoiucain non eC-  ie di^onem, fignanc, vc in noftra fbriptione apparec.  Vbipraccerea nocabis, qaod vna licera^qu^ eftin finj? ver-  rusfpacittm non habec>in quo fc ribatur, noti eft pohen*  do vck principio fequencis: fed vel coarftanda cxcecis»  vel incegra fyllaba, ficamen non eft vnias cliafa^eris,  afportandaad fcaitends verficali exordium, Francis ca*  jnen concrariaseftvfus. Omnesdicliones^&fingulscreorfum abaiiis,non per  punfta incerpofica, fed perfpaciola diftinguantur.necon-  Fufiofenfuumfiac. SpaCioIa vcro incer liceras ciuidem  didionis finc n:q ualia : ne videancur didioncs dua:. Caufa breuiracis folent,vbi duplicanda efi: eadem  licera,apponerepundum Hebn-ci medium in omnicon-  fonanti> nos titulum fuperponimus :fed foliimin N-^tC  Ji/,dapIicacionem exigente,6c folu fuper vocalem , aut  Ciaefiiram confonanti caufa breuitatis. ScdaUceralijipia  Vtuocar. Confulenduseftvfus. Nam,f>fr, fcribimusfic  9^fr^%^pf9 Similicer etiam vfus eft in dickioni.  bus feruandus. Nampro didione liceram ^liqaando  faibimus. Siquidempro enim,fcribimus.«.pToautem  ,4. vcrique pundacam ; pro verA jv. confimiliter ali-  qoando paacis liceris^pro mulctSy vt pro vniaerfidicer J&lr>  pro,^0tf8lM,qm. £ft|eciamTfus Arabam,vtalifereamdemritera[fi>rm^t  in principio aliterinmedio, aliterinfine.Noftrate 5fblum  JW,infinedefledunr:nam pro w. vtunturi.  sxlnquaz,-  % Obrcru<\ndum eftjneeadem abbreuiatio alicer alibi  fignificec: fienim confufionem paritr vnde rudicer qui.  dam, locopfr,&/>r4',vcuncur/: & fiquis nouamabbre-  «iaturam intrudit, perpctuo ea^Ttarur^femel ramen ita  fcribat clar^ ; vtin allis di&ionibusi Uaptimaicrijua  fitlumen» aneUnf. Ponende eciam fuoc noculx tonorum, qui dicun tor  ftccencas, vrpronunciadononaberrec. Suncaucemcres,   actttus y qui acuit, eleuacque ryllabam.:grrf«/i , qui depri-  iTiit: f/w;/?fxrt/,quicomponiturexacuto, & graui. Pki-  ribusabudanc Cocincinenlcs, quoniam hiis iuonofylla-  ba, funtomniavocabula.&plura iiguihcaiic,pro pluraii  vanetaceaccencuum. Teflc P. Borro.  fo PonicuracccncusTuper vocalibus: quoniam vocales  func lyllabarum lubflantia , &: anima j conlonanrcs ma-  teriaiicer fe habent^^ acadeatalicer quodammodo yei  tanquam corpus.   T I Cum aliqua vocalis in fine didionis -caditper (yna<'>  ]a:pham«vtimurin lingualtalicaaccencu furfum retorro« Graecisquoque v(iirpatur,l.at Lnisrar6»nifivbicadit  femiuocalisapud Lucretium) qui dixitp/^//7ii'; ^uhte:frj9   ^ A^2^ndix ach. Art. da^' X.  CHalda:i> Arabcs, Hebrc-ei a dexcra parte fcriptionem  exarantad fi niflram Grxci, Lacini, 6cali) ccontra.  Contenditur vtrum redius. Antiquicas, auchoricafque  facra: Iingu« fauet illis : iftis vero Phyfis. Magis cnim  fecundiim natttcam eftab iniperfc<5lo Scfiniftro adperfe-  ftum dexcrumque ire. Metaphyiis e contra. PxaEcedic  enim femper op timum perfeftiffimum | trahens materia^  lia deimperfedoadpecfeftum.   Slmundi poficionem fpeAesPytha^oricoricu,qnem  nos ^diim fcribimus,noftra pofirione imitari debemus:  Scriptio enim qiiidam mocus, coclimotum imitans : dex-  trum efl: polus Borcus : finiflrum Auftrinu?;. Etficnos,  ad Occiaentem vultu (pe^Slantefcriberc oporter. Ergo  inciperemusahniflroaddcxtrumjimitancesmocum latitudinis, tanquam fiex Auftraliplaga cocpiiTet huiufiiiodimocus-ficuii iuPiiyficisf ucabamus. iQ^auccnipu-   cac  tat^ncepifle folumyerfusauftrum moueri ab ini^o^vci .  nunc viciffim mouetur 5 vtique a dexcro inciperefcriptio-  nem putat. Ac fi , quod Mofes in caftraraetatione ob-  ferua c , obfeniemus idextrum eric Occidens: Ariftoceli  vero Oriens. Ecexhisimitacioaptamagls. Scriptor enim loiv^itudinismotumvelocera potiufquclatiaidinis  obferuac^niam Lunaris. Propterea ficfcribeodo , & qoi  vultumhabetad Auarumjcribicadextro nd finiftrum,  ideftaborcuino ccarum, inricuGraEco & Latino. Ete  contra in ntu Chaldaico. Qui ad Boream fpedac, ab oc-  cartt in Latino, abortumChald<jo. Aliiconfideranc commoditacem lcribendi &facilita-  tcm. Qu«meliorconftac a fmiftroad dcxcrum : quoniam  matlusa centro circunforentiam fcrtur,vbi muenit fi-  nem, Actamen poteftaddi tertius & quartus modus: vc  fifcribasabalto-acimumpagin^, vtin rolo 5. lohan. La-  ter. Romaefaftamvidinuis. Ecin verfibusfybillinisfic C  contw. Hinc noua qu^ftio, & confimilisrefolotip.   Defarmione ^ 'ferfficuitateperfun^4 ,lk   neajkue ojienpi,   Art. IL   IN ftrudttraorationisinteraeniuntpunda:6c pun<fium  cum iineola adunca ; & lineola illa fol t taria , Hoc autc  ia<tefic,qiloniaojracio criplex : alia fimplex,vt ego fcribo:  aliacompofita,vtcgofcrLbo : dum cu diaas : aha decom-^  pofita vt Epigrammt»& liias Homeri, oratio Ciceronis  pro lege ManUia. Quammali» trlbus,ali«m!ilti$>a  pluribus «cplorlmis conftant periodis. Oiatibfiropllci  nullum patitur punaiJm, necdiftinaidncm, nifiyocabu-  lorumperintercapedincspania $:hacvtuntnrLogici,vt,  €mnh homo eflanimai tationdle, Omtio Compofita diuidir  turin duas coniundas per copulatiuam riotam*.vt £j#  i^riwtfjd^^^w&^velperdi^^ vt^h^di^vel/gr^'*  iMUVflmngit\vt\ per cowdk\ov\:i\Qm:vtJtvenerisadm( daboiibiltbrumxwx^QT\ocAcvc\^vt,vbithef^turus, ibi  cof : aac per tcmporalem, vc,f maqtf.er le^tt.ciifcipv^  Uatidinnt aut pcr comparnniium . vt , y^a//fl/ wrfr/,  /rff/ 2^^;7// //2 - ; aiic pcr caufaleii-i : vc , qMniamn^n fkit^,  JhrtUfcttntcampi ;auc per rclatiuam i vc, mercaiores lucrati sunt muhtimquitamenUborauerum., Erhofumficdifttn-  dio perlineascommaravocatas.   Omio decompoifcA conftat cxperiodis plurimisipe-  nodusemm fir, cum ex finali Dunao. velexordioinfinem;  oracionis perfedxabfqiie ruipenfioneaudientis peruenimus. Ibi pttndum &cimus: omnesergo periodi pund^is  adftringuntur,vtinprima CICERONE Epiftola. Egoemni  •ffici9^ep4iih piefdte ergdte^Cdtefis fatisfacio emmbus i mihiipftnunqnam fatisfacio ^ &c. Ac pcriodus diftinguitur  percola&commataapud Ciceroncm.Cola funcparteg.  periodi maiorcs : quarum quxlibetquafi perficitoracio-  nem,&in dido exemplo terminatur in ly omnibttt, Et horum diftmcflionobisfic per punda duo ,auc perlineo-  lam cum puncflo. Commaca vero func parces mmores,  cx quibils cola conficiuntur Ucetnon omnia femper, vt  i iodiAo exemplo.   Vbi poftquam dixttammofffcioySiddityacpoiiufpietdtey  quod diAinguicur a prioriparte periinea. Confideranda^  eftetiamiquod vbi diffidium maius eflincer commaca,ap--   Sonendum efl pundum cnm lineoia: vbiminus, lineoia':  iie putido. Similiter in diui fionek compofitorum^ ali^.  quandopun&ocum linea^vt«^ ntdgWerlegit ^dtfcipvU^»Jiffis/:aliqnando duobus punAis :yt^Rexcafiigauitml^  Iite$'qttifugeriimdepr4i0, Hinc eft , guod antea^uer&ri-  uamponuntur pun6i:adtto,(i nonett completa periodus>  in vno: Quando maximcaduer/acur, vt.Pctrus rfido^ui:  fedfilius eius ignoranS' Aliquando lincola , vc, Petrus c$  doHus quidemjednonvalde, Similicerancc relaciuamcft  lineola in modicOjVCj/^f/rflJ, qtticurrit^moaetur. In mulco,.  iuncpunda.vcfupra. Similiccrponicurlineola anteno-  tas cogalaciuaA^quaado copuUs i^.u^gitivVtt^^/Wfiffrir Mmi«^quado non mulcumy poofta,vt,/rr/r0ir eMrru :  fii propeM 9(eafum, AliquatiHo nihil , ii Yalidifsimc  copulac , vc, Petrus evnditus darui nohilis^ fed & Scc.  idqiie magis,vSi deeft copula,abefto 5c lincola.   Ponitur eti.irn puntflum^vbi didioeftnota; & ngnifi-  cacpcrvnam literam ^vcM-T. CicerotiSc D. Francefco:  &vbi per plurcs vc Cic. pro Cicero : 6c Franc. pro Fran -  cifco. £ciahisv^lecconrenfusrcj:ibenciuxu,§crauo bre«  uiecacis.   Ait. I.   LEgereauccm,eftocuIis,qu fc npra.-crunt-^colligcreiit  mentc,ac mox per linguam colleda icerum pronun-  " ciare. kaque eft circulus , ex dicere , pcr (crthere^^le^en  ad tpfum dtcere, Ocuins fen(us lcdionis ziauduus didio-  flis.   1 Qui ergo iegic,prius difcaccharaderum iignificationes  & pronunciacionem. Quasdacninicum gutturc,vcvoca-  lia quxdam lingua , & paiaco , vt confonantes ,fic femi-  oocalcs ;& quacdam labiis, vc mutx , pronunciancur. Si-  militerquid valeanc punda,&afDiraciones;doceadifunr,  qui legeredifcuntfiuxta phmi iiori pr^cepca.   2 Moxquemfonum , quacvocaIis,cumquaconfonan«  ce, faciat* Vinculum enini confonantiuin vocalis efl.  Faciliatttemaddifcttnt, ficonlbnanseundem fonum fer.  uet cum omni vbcalf. Hincfic,vc, quoniam carcmus  altero , C «non poffint facili noftram nationis aiien^  linguam,addifcere. Alicerenimpronuncio, C,cumA,  & alicer C, cum E, fimiliccr,G, vt norum efl:. Vnde deri-  uationcs verborum ,&cafusnommum fallunr.Cum au-  differRegis itcluopi; filius,//g4^, pronunciabac,/r^Aw,     i (^rammaticalium £ampanelU]   dcriuationem falfam exofus. Ec pro C(£Co , ctUo diccbar^  vc C , fecundum eflet primo fimilc.   Nos aucem ha:c non cogitamus, vfu dudi: 6c quia;  pueri noftri nefciunt dubitare/ed authoricate trahuncur.  5 Prius quidem fimpHcibus ryllabis,vc^<^,deinde com-  pofiiis.vc j^r./, airuefcanr.   4 Tandem vc didiones cocas pronuncient didindas,  iK)n n>ixcascumalii$,proucin copuiando dicere , aiTue-  faciendi func. Mox enim vfus, vc celeriterlegant, pre-  ftabit : veluti Cithara:di, vbi primiim elemenca, & difcri- niinafonorum,&confonantias calluerinc, in eifqueaf-  fueucrinr.   5 Item quomodo pronuncianda interrogatio j quomo».  (io admiracio, &quomodo lcuisoratio.   6' Item inpcriodi finc paufindum.   7 Item diftmguant legendo cola commata, illa ma-  gis,ifl:a minus.vcfen fum aonco Qfundant, necdifTocicnt:-  Verumque enim ti 6'fu m . Quiautem carminalegunt, carmincis pedibusqua/f  incedant,nec fenfum obfcurent mctriamore : qui pro.*  fa5,,numeris,qui Philofophica grauiter. Item quar abbreuiationesfinrin vfu, & quomodo ci  notandar. Alia: enim aliisnationjhus. Item quibus acccntibus lint pronunciandicr yllabap.  vltimc,& penultiniii: : 6c monofvllaba in vocalem deii--  nentia : & hoc ad quautitacem fy llabarum fpedac, ex Ar.:,  temecrica, - Quxvoces quibus verbis defcribendis func apcx^ ior;  Saecicaiuuenies. CVmirouamlinguam difcere legendo cupis :pone  feriacim vocabula noca cu^ linguj^, cor,quoc funt Ju  terxeiin^quamaddifcisiicavtprimxlicer^vocabuiorana     Lihertertius.    laceant fecuhdum fcriem Alphabeti difcendi. Diclio-  nesautemtux lingux iiceris propriis priLis,dcindeaIie-  nisalternadm exurabis. Tuncenimmirafacilitacein vno  dic.quibufquclegereaddifcet. Gognitaemmfttntiumi-  aaignoratorum. De eHfjtic^ iane ferfnonum Granmaticali*  TOn modo GrammtticiTidetnr offidum ,tradere'  1 A| rcLtionem rcAi loqucndi & fcribcHdi & Icgepdii  fed infnper declarandi fcrmoQCTO.fiUC di^kumfiucfcri:-   ' ptum a quocunque autorc.   2 Hoc quidem verum , quoniam omnis- Autor Gram-  niaticus primo eft,& mox Philofophus Ivhetor,L ogicus, Poeta, Mathemacicus, Hirt:oricu5,Mcraphyficu\ Thcologus, 5<c. nemoenim fcribicin quacumquercientia^nifi  Grvimmatico 5c congruo fermone. At plujr^ pr^Iumit  Grammatica, Philpfophica^quam ciuihsi   3 A t cum omnis fcientia-popriis quibufdam vtaiur vo«  cabulis,quxapud vuigusaliumfaciuntfcnfuni, res quoquede quibus.traclaniigDOtacfUDrvu)go^inTheolo^; ^  & Aftron. patet. PfopjCf rca non puto Graciunatici efte  .ciuilis.omnes fenitoncs enucleare ,fcd tahnnn vulgires  familiarcs .quiin cpilloliti^l^Q^c^jbntineDtur. Adde  eciamin Po^tis & Oratoribus^^To|i(1Ck.i.deot^^ Ij  em^ propius ad vulgi inftrudionem adcedtmr. Nihil oniinus dicendum , quod exponere poetas 6d  oratorcsnonfitisvalent^nifiquiarcem poeticam &: 01 a-  toriam etiam didieere ; ergo noii pun Granamacici eil  oratio ipfbrum.  PlaroetiJin cracilodocet impofitiones vocabulorum jTon efle Grammatici, fedfapientjflimi Dialedici, idjjft   Mecaphyficireriiinuentoris&fcicntiarum ordinaroris-,   6. Pxiuseniaioportecicj^ Ctfeta&deiadc notpinarebut^     i$o U,   f ci t i s i ni p oncte : Gramma tic us ^tgo co n ferua c enu cl ea t  hon|inuenic ncc imponic. Inueutor bombardse dcdic  hombardx nomen, 6c noui hemirphenj Amcncus Anie-  ncam dixic.&jlouispedifrequosplanetasvocac Galileus "  Mediceos : non quidem ex reinacura ifedpkcUo hum^  ino/xpeque cafu.  Nominaquidemdcbentabipfisrebus nooninatts ex«  primii vt bombarda a bombo ardente huius inftruroend»  &lapisd ia:dendo pedem,&fol quia roloslucecSed quo-  niam rerum eflenciae latent, & proprietacesfcfnt inn Qmi-  natae»8cconfu&: &c philorophifenim inueftigtitoresco*  gunturvuIgariTCt fermone. &Principesad libitumfine  arteimponuntnomina>& iie, dcab euentu ,ra:p&:noa  potcflcercafcientiafieride iproruimpofitione nccfa<fta  leruari quamuisinhoc Hcbrari fint cxtens ccnaciores*Icem quoniam quotidie voces corquencur ,mucilancur,  breuiantur^producuncurj^cransferuncur.vt iy, loannes  in Hcbraro, aicicur Ican Gallicc;, Ans Germanice , Gro.  uanni in Ecruria : lanniin Calabriai CianniParcenopeis:  crefcitdifficulcas.  Grammaticus ergo non declarabicquiddicaces rcrum  pervocabttlafignacarum^haccenim pertinenc ad fcien*  'tiasillarum renim:fedtantummodo vocom fignificationes, & ftrudttram orationis. Vnde Plato, profanosvo*  * catjGrammattcos, qmTOcabulaTheologorum declai»-  repraefumunt, magisaatem fificirridere.Idem S. Greg.   f Propriaautem Gtammaticomm declaratio eft ety*   inologia,qua*nonrefpicit quidditates « ad quas nomina  imponuncur^fed vnde imponuncur.Cicer.i. Acad •& qua '  decaufa, «Sca quibus&quando, fipocis eft.  10 Ecquoniam vocabula apud alios Aucores aliarum  fcienciarum & apud vulgus aliis tempoiibus aliter SIGNIFICANDUM apud PLAUTUM aU erat jrcuU Sc quafi ollay  APUD VIRGILIO eih naxima xdm regiarum. Item lusapudlu-  rifpcritose(l/ifjtf,apud Oeconomos eWhoJiH ^wndc vulgo  feruis distributio quocidianadicitur/ii rim.Qujt Phy ficis eft r7ifw>i.f,Lo£;icis/tr^f/mW;^//^, Soloni/rjc, itcm  hypo^.t/jsMedico c fl: fedimenf^m v rinq: G rcXci s e fl h(Iantia indiuidua Thcologis perfona perronn auten:i Comicis  e^laruabLC, Propterca Grammaticus iflharc onmia scire et declarare deber, 5cquarealijalitervtunturi^confu-  ffonem/ermonis tollere qaantum poteft.  n ItemfigttrasGrammadcales , etfi poteftedan^ Rhe^  thohcas&pocricas dicec«&cbnfl:ni^onem orationis. 6cvaTiof diceodi modos rem eandemi & eiiocleandi de  linguain Ungixam :id quod dicitorinr^rpr^cacio;  la Vcitor enim grammaticos etymologia: interpretatione, dercriptione, 6cdefinitioneali (^ando, fioecircom' Locutione, quando vocabulum ceriumnon habet vel  res vocara, eftignota. Etymologia docet;vnde vox imponiturV& quaratione. Addetquc! quas pafTa eft mutationesapudmul-  tos. Interpreratio de lingua in linguamfert notitias, bL  de proprietate ad metaphoras et ceconiierfo. Defcripno REM SIGNIFICATAM PER VOCABULUM MONSTRAT ex effedibus et similitudine aliarum et quiburcumque potefl adminicolis. Definitio per similitudinem, ic dissimilitudinem  proprias, est entialeiqnevr per genos et differentiam et  circomlocutio pertni|Ica vocabula unum deciarat.  1% 'Jteni notabit Grammatieos synonima, vnioo<sa, jtk  qoioocai;^ 6c denomination^s. Ad qoas redocitor dertnatto vocabi^bt»i»i$[ Vul^ & cafoom ex noroinaCt;  cioo.6c temporom.ex priHnf^teritis & fotorit,vtnotar jGcIliosnon femei» Icem'compofttione$,& parcico]as; emimqtievfQSyVtin i.lib. notacom est. Item qua pars orationis eft quje libetdidio, qUem Iocum habet inuruura: 8cqucm cafum exigit, &c. Dccarminis et accentus notitia dicemus in poetica, quienccefTaria eft Grammatico ad docendum pronunciationes. Item de figurisorationis in Rhetorica esl: fermor quac necessaria rTunt ad fermones eorundem enucleandos. De figuris vocabuloxam &, ftrudura & liocin; Ibco cJttac syntagOtta,;  j4ffendix dc phi UJophka lingua infiitutione.  Slquis novam linguam philosophica constituere vellet  formare literas debec consimiles instrumentis et sufficiences abfque variatione in copula vocalijum cum consonancibus, vcm r. lib & in Poccica docuimus.  Imponere nomma ex reram nacura & propriecacibu Verba omnia ex nominibus deriuare & vnius cbniugationis omnia excepco substantivo & omnia cempora  onmibus cribuere et ordinare ea ex adibus essendi, existendi, operandi, agendi, et patiendi. Parcicipia pra:cerici, et pnefencis, se fucuri cam adiua quam paf Hua. caniaiSlu aliaqiuun pocencialia. Pronomina omnia iuxca omnes species suas et non a  dissidentia. Adverbia exmodi$, locis, temporibus et circumstantiis a (3: cum addere. Adnomia vero ex circunstantiis et re spedibus. Coniunctiones temporales,  locales, sociales, difrocxale$, continuativas, conditionales et  alias ut suo in loco  dictum est.  Casus omnes distindos in fine, et articulos ponec æquivoca, synonima, et metaphoras ab olebic: cunitis rebus proprium dabic vocabulum, ut tollat confussionem, quas videtur pulcracum sic vitium in oIitum: hac omnia in libris hiscecribus liquido constanc, et ex Mc- altius constant. Ars mensurandi versus in poetica posita est syllabarum quantitate sufficic quod Grammatici feribu QC rationes autem a poetica pecancur. Tommaso Campanella, al secolo chiamato Giovan Domenico Campanella, noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla. Tommaso Campanella. Settimoontano Squilla. Giovan Domenico Campanella. Campanella. Keywords: utopia italiana, lingua artificiale, lingua perfetta, la lingua d’utopia, lingua utopica, l’utopia di Campanella, il problema del linguaggio nella utopia di Campanella, grammatica la prima parte della sua filosofia rationale, citato da Vivan Salmon (Keble, Oxford) per il linguaggio inventato per megliorar il linguaggio volgare. Grammaticalium libri tres, Parigi, vietnamita, armeno. Deuteron-esperanto—Highway Code -- Italia. Campanelliana  civitas solis CIVITAS SOLIS – Taprobane – Sri Lanka -- -- Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Campanella," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.

 

Grice e Canio: la filosofia romana sotto il principato di Caligola -- il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch philosopher, martyred in the reign of CALIGULA (si veda) and mentioned by BOEZIO in his Consolazione della filosofia. Member of the Porch. One of those who opposed Caligola. When Caligola ordered C. to be executed, C. is said to to have thanked him, and to have gone to meet his death calmly and without apparent concern. He is admired for his exemplary demeanour by Seneca and BOEZIO Giulio Canio. Canio.  

 

 

Grice e Cantoni: il Kant fascista – filosofia italiana – Luigi Speranza  (Gropello Cairoli). Filosofo italiano.  “Kant”. Filosofia fascista.

 

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