Grice e Caluso: l’implicatura conversazionale degl’initiati e
gl’initiante – initians, initiatum – inizianti -- losofia italiana – Luigi
Speranza (Torino). Filosofo
italiano. Valperga: essential italain philosopher. Grice: “Noble Italians love
a long surname, so this is Valperge-Di-Caluso,” and so Ryle had in under the
“C””. Tommaso Valperga di Caluso. Discendente
dai Valperga, nobile famiglia piemontese, nei primi anni della giovinezza si
sentì attratto dalla carriera delle armi. A Malta, ospite del governatore
dell'isola, si addestra alla vita marinara imparando le dottrine nautiche e fu
capitano sulle galee del re di Sardegna. Entrato poi a Napoli nella
congregazione dei padri filippini fu professore di teologia. Tornato a Torino studia fisica e matematica
sotto la guida del BECCARIA, con Lagrange, Saluzzo e Cigna. Frequentatore delle
riunioni culturali sampaoline nelle sale della casa di Gaetano Emanuele a di
San Paolo ritrova l'Alfieri, che aveva conosciuto a Lisbona. Scopre in lui il
futuro poeta e tra loro nacque una profonda amicizia. Eccelse negli studi filosofici e apprese
l'inglese, il francese, lo spagnolo e l'arabo e conobbe con sicurezza il
latino, il greco, il copto e l'ebraico. Insegna a Torino. Fu direttore
dell'osservatorio astronomico di palazzo Madama, incarico che cede al Vassalli
Eandi. Membro della Massoneria. "Le
veglie di Torino, Joseph de Maistre", in: Storia d'Italia, Annali,
Esoterismo, Gian Mario Cazzaniga, Einaudi, Torino. Fratello del viceré di Sardegna. Altre
opere: “Literaturae Copticae rudimentum” Parmae, Ex regio typographaeo); “La
Cantica ed il Salmo secondo il testo ebreo tradotti in versi” (Parma, tipi bodoniani);
“Prime lezioni di gramatica Ebraica” (Torino, Stamperia della corte d'Appello,
Tommaso Valperga di C., Thomae Valpergae inter Arcades Euphorbi Melesigenii
latina carmina cum specimine graecorum, Augustae Taurinorum, in typographaeo
supremae curiae appellationis; Principes de philosophie pour des initiés aux
mathématiques, Turin, Bianco. Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Renzo Rossotti, Le strade di Torino.L'‘Orlando
Innamorato' in «Giornale storico della letteratura italiana», Milena Contini,
La felicità del savio. Ricerche su Tommaso Valperga di C., Alessandria,
Edizioni dell'Orso. Traduttore in piemontese dell'incipit dell'Iliade, in
«Studi Piemontesi», Milena Contini, Le riflessioni di Tommaso Valperga di
Caluso sulla lingua italiana, in La letteratura degli italiani. Centri e
periferie, Atti del Congresso Adi, Pugnochiuso D. Cofano e S. Valerio, Foggia,
Edizione del Rosone. Ugolini mors. Traduzioni latine di Inferno XXXIII, in
«Dante. Rivista internazionale di studi su Alighieri», Poetica teatrale: traduzioni ed esperimenti,
in La letteratura degli italiani II. Rotte, confini, passaggi, Atti del
Congresso Adi, Genova A. Beniscelli, Q. Marini, L. Surdich, DIRAS, Università
degli Studi di Genova. Il corpo martoriato. L'interesse di Caluso per quattro
atroci fatti di sangue, in Metamorfosi dei lumi 7: il corpo, l'ombra, l'eco,
Clara Leri, Torino, aAccademia university press, Versione latina di Inferno, in
«Lo Stracciafoglio». Plagio dal Villebrune apposto al Petrarca: un'appassionata
confutazione di “meschine, arroganti e scortesi” calunnie sull’Africa, in «Sinestesie»,
Un maestro da ricordare, in «Rivista di Storia dell'Torino.” Principi di
Filosofia per gl' Iniziati nelle matematiche di Tommaso Valperga-C.
volgarizzati dal Conte con Annotazioni di Rosmini-Serbati (Turin). See also Cerruti's
La Ragione Felice e altri miti (Florence). C.: motivi prerosminiani del sentimento
fondamentale corporeo. demiurgo
piemontese. L’interesse del C. per l’omicidio e il “lato oscuro” non è
mai stato indagato, perché la critica, nella rappresentazione dell’abate, ha
sempre privilegiato l’immagine severa e inflessibile di maestro onnisciente e
di saggio imperturbabile, scolpita dai biografi ottocenteschi. Questo ritratto
idealizzato e deformato dell’abate ha generato non pochi equivoci
interpretativi: se si studia la sua vita attraverso i suoi diari e il suo ricco
epistolario e si analizzano con attenzione le sue opere tanto edite quanto
inedite, ci si accorge, infatti, che la sua personalità è tutt’altro che
granitica. Prima di accingersi a esaminare la sua figura è necessario quindi
liberarsi di questi stereotipi: il fatto che l’ottimista abate, come lo definì
il Foscolo, avesse dedicato molti scritti allo studio della ragione non esclude
affatto che egli fosse incuriosito anche dalla parte irrazionale dei uomini,
anzi le sue considerazioni sui “limiti della ragione” si collocano
perfettamente all’interno delle sue riflessioni sulle facoltà intellettive. L’inedito
Della felicità de’ governati, ritrovato presso l’Archivio Peyron della
Biblioteca Naziona. Gli studi calusiani sulla ragione, e in particolar modo sul
rapporto tra ragione e virtù, sono inseriti nelle opere dedicate alla felicità,
tema particolarmente caro a lui, che si impegnò nell’indagine di questo
complesso concetto dalla gioventù fino all’estrema vecchiaia: è possibile,
infatti, seguire l’evoluzione della riflessione del Caluso sulla felicità dalle
lettere al nipote degli anni Sessanta del Settecento fino al Della felicità de’
governati. Il tema della felicità pervade tutta la produzione dell’autore; esso
non è affrontato solo nella saggistica filosofica, nelle lettere intime ad
amici e parenti e nelle poesie, ma si ritrova anche nei trattati didattici e in
alcune opere erudite, perché e convinto che il fine di ogni studio fosse la
felicità, la quale puo essere conquistata solo attraverso una profonda passione
per le lettere e per le scienze. A proposito del concetto calusiano di “rassegnazione”
si legga il seguente passo, tratto della lette. Euforbo Melesigenio, Versi
italiani cit. Diderot constata che nella pratica quotidiana si incontravano
uomini felici, pur essendo tu… L’indagine sulla felicità porta inevitabilmente
il Caluso a scontrarsi con lo studio della ragione. Secondo C., la ragione ha
un duplice ruolo: da un lato ci fornisce gli strumenti adatti a conquistare la
felicità, dall’altro ci fa acquisire la coscienza di non avere sempre il
dominio su ciò che accade. La consapevolezza porta alla rassegnazione, questa
rassegnazione però aiuta sì a sopportare i casi della vita, ma non dona la
felicità, come teorizzavano gli stoici. C. pensa, quindi, che i poteri della
ragione siano limitati. Questa presa di coscienza però non lo porta a meditare
sul fatto che la felicità possa essere disgiunta dalla ragione. Infatti, se da
un lato ammette che anche il più saggio tra gli uomini è vittima della
sofferenza («né sognai che ad uom concesso viver fosse ognor lieto, o ne’
tormenti sdegnerò dir misero il Saggio stesso»), dall’altro non arriva a
constatare, come avevano fatto, per esempio, Diderot e Voltaire, che spesso
nella vita reale gli uomini privi di ragione e di virtù sono felici. Euforbo
Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che le passioni fossero
necessarie all’uo... Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la
Biblioteca Reale di Torino (Varia). I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e
di Les aventures du Marquis de Bel. La ragione ha anche il fondamentale compito
di dominare le passioni. Ripropone la celebre esortazione platonica alla
misura, ripresa da molti autori, tra i quali Rousseau, che in più luoghi
sottolineò come la ragione avesse la funzione di equilibrare i moti violenti
dell’animo. E convinto che i sentimenti estremi causassero soltanto sofferenza.
Non invita certo ad anestetizzare gli affetti, anzi pensava che non vi fosse
nulla di peggio che una vita senza passioni ed emozioni («Che un dolce pianto è
più felice molto / Non delle noie sol, ma dell’inerte Ghiaccio d’un cor, cui
ogni affetto è tolto»), ma crede che la morbosità fosse una pericolosa
malattia. Nella Ragione felice egli porta l’esempio della follia amorosa di
Polifemo per Galatea. Il poeta descrive la corruzione del corpo del ciclope,
consumato dal desiderio ed incapace di dominarsi («Odil che fischia, livido
qual angue / Le spumeggianti labbra, e l’occhio in foco / Vedil cerchiato di
vermiglio sangue»). L’autore crede che solo i casti amori, congiunti a «l’arti
e gli studi, possano regalare la felicità. Questo riferimento all’amore
platonico è un omaggio alla principessa di Carignano, dedicataria del poemetto,
che teorizza come la felicità si fonda sulla rinuncia alla passione sia nel
saggio filosofico inedito Sur l’amour platonique sia nei due romanzi, anch’essi
inediti, L’Amour vaincu e Les nouveaux malheurs de l’amour. Euforbo
Melesigenio, Versi italiani. La follia amorosa non è l’unica passione
condannata da C.. Infatti deplora ogni sentimento capace di far perdere il
controllo delle proprie azioni. Nel poemetto La Tigrina o sia la Gatta di S. E.
la madre donna Emilia, composto a Napoli, descrive le funeste conseguenze della
gelosia, mentre nei “Varia Philosophica” presenta l’esempio della
vendetta: L’inedito VARIA PHILOSOPHICA, ritrovato presso l’Archivio Peyron
della Biblioteca Nazionale Univers. Onde sono le passioni uno scaldamento di
fantasia, una specie di pazzia, che perverte il giudicio, e ne fa credere che
in quella tal cosa passionatamente voluta vi sia per noi un bene, un piacere,
una soddisfazione che veramente non vi è né la ragione per tanto ve la può
trovare. Tale è per esempio la vendetta. T. Valperga di C., Di Livia Colonna
del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie. La raccolta fu
pubblicata a Roma da Antonio Barre15 Id, Di Livia Colonna. Si dedicò allo
studio dei limiti della ragione in una serie di scritti e appunti su fatti di
sangue; nell’articolo Di Livia Colonna, per esempio, ricostruisce la tragica
fine della nobildonna romana basandosi sulla raccolta di poesie Rimedi diversi
autori, in vita, e in morte dell’ill. s. Livia Colonna («Da parecchi versi per
la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554, al più tardi, e certamente
non prima del 1550, fu Livia trucidata barbaramente» Quest’opera comprende
numerosi componimenti dedicati a Livia Colonna, scritti da trentuno poeti, tra
i quali anche il Caro e il Della Casa. In un brano del Della certezza
morale ed istorica sottolinea come sia importante esaminar. Cita le seguenti
fonti: G.B. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani genti. Ricorda
che vari poeti avevano scritto «molte dolenti rime» su questo tema e cita un
pass. Sottolinea che la raccolta, non essendo dotata né di prefazione né di
note, non permette di contestualizzare i fatti ai quali si allude nelle rime,
ma aggiunge che, vista la notorietà del casato di Livia, non gli è stato
difficile identificare la donna e reperire informazioni in merito alla sua
vita17: Livia nacque da Marcantonio Colonna e Lucrezia della Rovere; è rapita
da Marzio Colonna duca di Zagarolo, che in questo modo riuscì a sposare la
bellissima e ricchissima giovinetta; qualche anno dopo perse, e di lì a poco
riacquistò, la vista 18, nel 1551 rimase vedova. Dopo aver elargito queste
informazioni, C. passa a parlare del tema che lo ha maggiormente
interessato: Valperga di C., Di Livia Colonna. Ma qui veniamo al punto,
che ha stimolata la mia curiosità, e richiede più diligenti ricerche. Da
parecchj versi per la di lei morte si ritrae che in aprile del 1554 al più
tardi, e certamente non prima del 1550, e Livia trucidata barbaramente. L’abate
fa una precisazione sul nome della figlia di Livia: “la figliuola della nostra
Livia da Dom. Egli deduce da alcune evidenti allusioni presenti nelle rime
della raccolta che Livia fu uccisa dal proprio genero Pompeo Colonna, che aveva
sposato la figlia Orinzia20 poco tempo prima. Rivolta la carta 87 delle
mentovate rime si legge, che l’uccisore l’empio ferro tinse nel proprio sangue,
e alla carta si fa dire a Livia già ferita, che fai figliuol crudele? Pompeo
suo genero aveva tratto il sangue dallo stesso casato, non che da Camillo suo
padre, da Vittoria sua madre, anch’essa Colonna. E qual altro assassino, che un
genero, poteva chiamarsi figliuolo da una donna giovine, che non avea prole
maschile? Identificato l’assassino, passa a esaminare i possibili moventi
dell’omicidio: Pompeo fu spinto a uccidere la suocera dall’avidità, dall’ira o
dal senso dell’onore. L’autore sembra propendere per il primo movente:
nelle rime, infatti, si legge che la nobildonna fu uccisa «sol per far ricco un
uomo; l’abate riflette inoltre sul fatto che, con la morte di Livia, Orinzia
avrebbe ereditato numerosi poderi, sui quali avrebbe poi messo le mani Pompeo,
dato che «ognun sa quanto facilmente dell’aver della moglie sia più ch’essa
padrone un marito fiero e imperioso». Per quanto concerne invece il movente
dell’ira, suggerito dal fatto che «la mano del parricida vien detta forse di
sangue ingorda più che di vero onor, C. non si profonde in ipotesi specifiche,
ma si limita a osservare che i motivi di astio tra persone «che hanno a fare
insieme» sono innumerevoli. Questo movente può essere collegato con quello
dell’onore: la collera di Pompeo, infatti, potrebbe essere stata causata dalla
scoperta o dal sospetto che la suocera si fosse sposata segretamente con un
servo. L’autore trae questa idea da un verso del Dardano, nel quale si fa
riferimento alla mano mozzata di Livia -- E la recisa man, l’aperto lato -- l’abate
immagina che Pompeo avesse mutilato la suocera per punirla d’aver concesso la
propria mano a un servitore. C. riflette inoltre sul fatto che questo terzo
movente può essere collegato anche col primo, dato che il matrimonio di Livia
avrebbe ridotto l’eredità di Pompeo: ogni matrimonio della suocera dovea
spiacergli per lo pensiero che in conseguenza n’andrebbe ad altri gran parte di
quello che aspettava dover dalla suocera, quando che fosse, venir a lui. Zannini,
Livia Colonna tra storia e lettere in
Studi offerti a Giovanni. L’interpretazione calusiana del verso del Dardano è
criticata da Zannini nel saggio Livia Colonna tra storia e lettere, nel quale
egli fa numerosi riferimenti al “cittadino” Tommaso Valperga di C., che
centosettant’anni prima, «imbastì su fragilissime basi la trama di un
romanzetto che avrebbe potuto incontrare fortuna, come altri fatti di sangue
del secolo xvi, presso fantasiosi lettori. Archivio di Stato di Roma, Tribunale
del Governatore, Processi, I responsabili furono condannati grazie alle
deposizioni di testimoni oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella,
per esempio, dichiarò che Livia fu ferita due volte alla... Chiodo, Di alcune
curiose chiose a un esemplare delle “Rime” di Gandolfo Porrino custodito nel F.
Zannini ricava dai documenti processuali, trascritti in appendice al saggio,
che Livia fu uccisa da due sicari assoldati da Pompeo, che non partecipò
attivamente all’omicidio della suocera, ma si limitò ad assistere. I giudici
stabilirono che il movente del crimine fu il denaro; nelle carte del processo e
nel documento di condanna contro il mandante Pompeo Colonna e gli esecutori
Paciacca di Terni e Filippo di Metelica, non vi è alcun accenno né alla
mutilazione della mano né al matrimonio di Livia con un domestico. Lo studioso
riflette inoltre sul fatto che nel xvi secolo difficilmente sarebbero stati
scritti e pubblicati tutti quegli elogi» su Livia, se quest’ultima avesse
«abbandonato la castità vedovile per unirsi a un servitore. Egli quindi ritiene
che C. abbia mal inteso il verso del Dardano, che doveva invece essere
interpretato in un altro modo: «dando a “mano” il senso di “fianco”, avremmo
una plausibile spiegazione del sogno. Infatti Livia scopertosi il “lacero
petto” non poteva in tal guisa mostrare una “mano”, ma un fianco con una
profonda lacerazione». Contro questa interpretazione polemizza, giustamente,
Domenico Chiodo, che difende le ragioni del C.: «le sue [dell’abate] capacità
di lettura erano infinitamente superiori alle ‘ragionevoli’ supposizioni del
nostro contemporaneo. L’opera è scritta con inchiostro nero e grafia minuta su
5 carte scritte sia sul recto ... È bene
precisare che il Verani si rivolge a un anonimo amico che gli aveva chiesto di
commentare il ... Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.:
Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-ago ... Anche ai tempi del C. era stata
sollevata una critica alla ricostruzione dell’abate; nel manoscritto inedito Di
Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.: Osservazioni del Cit. Tommaso
Verani Ex-agostiniano, conservato presso il Castello di Masino, Verani dichiara
di non fidarsi delle parole dei poeti della raccolta, perché: «la maggior parte
di essi soggiornavano lontano dalla Capitale del Mondo Cattolico e perciò
soggetti a ricevere da’ loro corrispondenti varie o false o almen dubbiose
relazioni. Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro
uccisore di Livia, non vi è a ... Egli spiegava diversamente il significato dei
versi citati da C. e in questo modo metteva in discussione sia la colpevolezza
di Pompeo sia l’interpretazione del verso del Dardano. Altrettanta fede merita
il sogno del Dardano, a cui non comparve Livia con la recisa man, l’aperto
lato, sembrandomi assai più probabile che al primo colpo ella cercasse di
ripararsi colla mano, ed anche al secondo, onde la mano venisse gravemente
ferita, ma non recisa. L’articolo di lettera è conservato presso gli Annali
calusiani della Biblioteca Reale di Torino (La sua spiegazione ha invece
persuaso il Vice Bibliotecario di Mantova Negri, che in una lettera scrive a
Napione di aver trovato un epigramma latino che confermava le ipotesi d’C.; nel
componimento però non vi è un riferimento esplicito alla mutilazione della
mano. Il caso dell’assassinio della Contessa Aureli aveva interessato
anche A. Ferrero Ponziglione, che n ... Il manoscritto è vergato su 6 carte,
compilate sia sul recto sia sul ... C. si occupa anche di un altro fatto di
cronaca nera dai risvolti torbidi e brutali: l’assassinio di una contessa da
parte di un ufficiale francese40. Presso il Fondo Peyron sono conservati due
documenti, scritti da mani diverse41, concernenti la vicenda del delitto della
Contessa Aureli della Torricella; le prime due carte contengono una raccolta di
cinque testimonianze intorno a Monsù, ovvero Monsieur, Bresse («Memorie intorno
Monsù Bresse che uccise la Contessa Aureli della Torricella, nata Colli,
famiglia patrizia della Presente Città di Cherasco»), mentre le successive
quattro carte contengono un racconto particolareggiato dei fatti. Il
narratore formula varie ipotesi sulle origini del Bresse che, a seconda dei
diversi indizi, può ... Sotto il racconto si legge la seguente nota: «La
presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’al ... La vicenda esposta nel
secondo documento è la seguente: l’ufficiale francese Monsieur Bresse42 è
follemente innamorato della Contessa Aureli della Torricella che però, pur
apprezzando la sua compagnia, non vuole concedersi all’amico. Dopo un anno di
incessanti nonché vani corteggiamenti, Bresse sale a casa della donna e,
approfittando di un momento di intimità, tenta per l’ennesima volta di sedurla;
la Contessa Aureli però si nega in modo risoluto e la fermezza del suo rifiuto
umilia a tal punto il Bresse da farlo cadere in preda a un raptus omicida: egli
brandisce la spada e sferra sei colpi nel petto della donna. La vittima, nel
tentativo di difendersi, si taglia di netto un dito della mano e il suo
disperato schermirsi eccita ancor più il furore sadico del Bresse, che la
colpisce sul volto con pugni e con l’elsa della spada. Finito il massacro,
l’assassino chiude la porta a chiave e torna a casa, dove, colto dal rimorso e
dall’orrore delle proprie azioni, si toglie la vita con un colpo di baionetta
in mezzo agli occhi. La Contessa intanto, non ancora sopraffatta dalla morte,
striscia in un lago di sangue e tenta di alzarsi aggrappandosi alla
tappezzeria, che cede per il peso del corpo e fa ricadere a terra la donna
ormai agonizzante. L’Aureli viene ritrovata qualche ora dopo col volto
tumefatto, il petto squarciato dalle ferite e un orecchio aperto in due. Più
tardi viene rinvenuto anche il cadavere del Bresse, che dopo essere stato
conservato tre giorni nella sabbia, viene seppellito, secondo un ordine giunto
da Torino, come si farebbe con «dei cani o degli asini morti». Il racconto si
conclude con una tirata moraleggiante contro la pratica del cicisbeismo, ormai
diffusasi anche presso le «petecchie di Cherasco» che fanno carte false per
procurarsi un «damerino». Il suo comment si trova nella parte inferiore del
recto dell’ultima carta. È da segnalare i ... C. scrisse alcune considerazioni
in merito al secondo documento del manoscritto. Questa non è relazione, ma
novella, a imitazione di quelle del Boccaccio, benché non molto felicemente
lavorata. Le ultime parole sono d’un impostore, che le ha aggiunte a disegno di
far credere che fosse questo un ragguaglio fatto a un Cardinale. Ma oltre che
vi stanno appiccicate collo sputo, e non sono dello stile del rimanente, non si
confanno in modo alcuno col titolo e cominciamento. Senza dubbio l’autore finì
ove ha posta la stelletta. È qui del rimanente questa novella molto mal concia
del suo copista. L’abate quindi commenta il manoscritto da due diversi punti di
vista: da un lato dimostra la falsità delle dichiarazioni che chiudono il
racconto e dall’altro critica i contenuti e lo stile della narrazione. Per
quanto concerne il primo aspetto, C. fa riferimento all’ultima frase del testo,
scritta dopo un asterisco: «E con questa scrizione sonomi ingegnato di
contentare l’eminenza vostra, alla quale contarlo profondissime riverenze
divotamente mi raccomando. Lo scritto ricalca la struttura tipica della
novella; il racconto infatti è preceduto da un breve r ... Le argomentazioni
addotte dall’abate per smascherare la contraffazione sono convincenti: lo stile
dell’ultima frase non si sposa con quello del racconto e anche il contenuto di
questa presunta aggiunta è svincolato dalle altre parti del testo. La nostra analisi
grafologica ha stabilito che l’ultima frase fu scritta dalla stessa mano del
resto del testo; questo dimostra che il documento posseduto dal Caluso non è
l’originale, ma è una trascrizione realizzata da un copista inesperto, che non
si era accorto della falsificazione. Per quanto riguarda invece il secondo aspetto,
l’abate sottolinea che il testo del secondo documento non possiede né lo stile
né la struttura di un resoconto rigoroso e oggettivo, ma somiglia a una novella
di poco valore47. Questo giudizio è dovuto allo stile lambiccato e ridondante
del narratore, che in diversi punti cade nel comico involontario.
16Questo caso di omicidio-suicidio avvenuto nella provincia cuneese del
Settecento stimolò la curiosità del Caluso, che, come abbiamo visto, si era già
interessato al delitto di Livia Colonna. Molti sono i punti di contatto tra i
due fatti di cronaca: in entrambi i casi si ha una bellissima nobildonna
massacrata e mutilata (a Livia, secondo la ricostruzione dell’abate, viene
tagliata la mano, mentre alla Contessa vengono recisi un dito e parte di un
orecchio) da una persona apparentemente fidata e intima (Livia è trucidata dal
genero, mentre la Contessa è uccisa dal proprio cavalier servente). T. Valperga
di C., Versi italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de
Castro e il melodramma ita-liano: un incontro. Si ricordi, per esempio, l’Inês
de Castro di Antoine Houdar de La Motte, che ebbe uno straor ... C. si era interessato
anche a un terzo caso riguardante una bella e sfortunata vittima di un efferato
omicidio dalle conseguenze raccapriccianti: il sonetto Agnese io son, che in
freddo marmo, e spenta dei Versi italiani, infatti, è dedicato a Inês de Castro,
che, come ricorda l’abate nell’intestazione, fu «fatta uccidere da Alfonso VI
re di Portogallo, perché sposa di Pietro suo figlio, poi successore, che la
fece dissotterrare e coronare». Le notizie indicate dall’autore sono corrette:
Inês de Castro è l’amante del principe Pietro di Portogallo al giorno nel quale
fu pugnalata barbaramente di fronte ai propri figlioletti da due sicari mandati
dal re Alfonso VI, che era stato indotto ad autorizzare questo gesto sanguinoso
da tre consiglieri, preoccupati dalla crescente prepotenza dei fratelli della
donna, che si erano conquistati la fiducia e l’appoggio del principe. Pedro
perdette il senno per lo shock e, raggruppate alcune milizie, mosse guerra
contro il proprio padre, con il quale stipulò una tregua solo grazie
all’intercessione della madre. Una volta divenuto re, Pedro diede sfogo alle
proprie vendette e ai propri deliri: condannò a morte due dei consiglieri del
padre, ai quali venne strappato il cuore di fronte ai cortigiani e ai militari
d’alto rango, costretti ad assistere a questa atroce punizione, e fece disseppellire
e ricomporre il cadavere di Inês, affinché la salma della propria amata fosse
incoronata dal vescovo “regina di Portogallo”. Questo fatto sanguinoso ispirò
molti autori, primo tra tutti Camões, che cantò le lacrime di Inês nei Lusiadi;
nel Settecento e nell’Ottocento la dolorosa vicenda di Inês ebbe ampia fortuna
sia nel mondo del teatro musicale sia in ambito tragico. Nel sonetto calusiano,
Inês ricorda la propria triste vicenda terrena e la propria incoronazione post
mortem e sottolinea la crudeltà del re e l’efferatezza dell’omicidio:
Agnese io son, che in freddo marmo, e spenta Ebbi scettro e corona, in vita
affanni; Benché pur di pensar foss’io contenta Fra gli opposti furor di due
tiranni. Amando me, cagion de’ nostri danni L’un, di me privo Re crudel
diventa; Sdegnando, credé l’altro i miei verd’anni Ragion di Re troncar con man
cruenta. Ahi suocero spietato! e in che t’offese Beltà modesta, umil, se
de’ suoi rai Perdutamente il tuo figliuol s’accese? C., Versi italiani. Io
vinta, mal mio grado il riamai. E se incolpi Imeneo, che a noi discese, Mio bel
fallo sarà che non peccai. C. si dilungò nella descrizione di un macabro fatto
di cronaca anche nella lettera al nipote Giovanni Alessandro Valperga marchese
di Albery nella quale viene narrato l’agghiacciante suicidio del giovane
professore torinese Don Casasopra, che, caduto in un profondissima depressione,
si era tolto la vita in quella notte. Cipriani, Le lettere inedite d’C. al
nipote Giovanni Alessandro si trovò il letto imbrattato copiosamente di sangue
ed egli con un laccio al collo, soffocato presso a una scanzia, ed era lacerato
di colpi di temperino, che alcuni dicono giungere al numero di vent’otto. Se ne
poté conchiudere che egli cominciò per tentar d’uccidersi sul letto con volersi
tagliare i polsi alle mani e alle tempia e poi si dié tre colpi di punta verso
il cuore, e tardando forse la morte, o che immediatamente egli siasi anche a
ciò trasportato, egli passò a impicarsi. La cagione si può credere una frenesia
nata di malinconia e d’accension di sangue. Se indaghiamo in modo approfondito
i quattro casi che attirarono la curiosità dell’abate, ci accorgiamo subito che
l’elemento che li accomuna è la brutalizzazione del corpo. Livia e la Contessa
Aureli non sono semplicemente uccise con violenza; i loro corpi sono massacrati
in modo gratuito, perché la maggior parte delle ferite inferte non sono
funzionali alla morte delle donne, ma sono frutto della rabbia e del sadismo
degli assassini (la criminologia contemporanea cataloga questi atti come
overkilling, considerandoli una importante aggravante in sede processuale). In
questo modo gli omicidi privano le donne non solo della vita, ma anche della
bellezza e, quel che è peggio, della dignità: lo spettacolo che si apre a
coloro che trovano i cadaveri infatti è indecente. L’insistere sull’avvenenza
delle due donne quindi è funzionale per creare il contrasto tra ante e post
flagitium; il potere deturpante della follia colpisce la sensibilità del
lettore, che inevitabilmente resta più impressionato di fronte al corpo
straziato di due belle e giovani donne rispetto a quello, per esempio, di
uomini adulti. L’assassino di Livia – anzi, stando alle carte processuali, i
due killer assoldati da Pompeo – mutila la donna per lanciare un messaggio,
mentre Bresse stacca un dito e parte di un orecchio alla Contessa perché non sa
dominare la propria furia. Tanto i primi quanto il secondo non portano con loro
le parti mozzate per farne un trofeo o una macabra reliquia, perché non sono
mitomani o psicopatici, i primi, infatti, lavorano “su commissione”, mentre il
secondo agisce in preda a un raptus. A. Favole, Resti di umanità: vita
sociale del corpo dopo la morte, Bari, Laterza. Nel terzo caso, quello di Inês,
si assiste a un ribaltamento di prospettiva: all’amputazione si sostituisce la
ricomposizione del cadavere; opposto è anche il tipo di follia che provoca il
“gesto”, si passa dal furore omicida al furore amoroso, che sembra essere
ancora più sconcertante. Anche in questo caso il contrasto tra la «beltà
onesta, umil» di Inês e la sua salma ricomposta – o meglio quello che resta
della sua salma dopo oltre due anni di decomposizione – è molto forte;
l’incapacità di dominare il desiderio di vedere riconosciuto il ruolo di regina
all’amatissima defunta porta Pedro a spalancarne la bara (la cui chiusura, ci
insegnano gli antropologi, segna «la fine di ogni possibilità di intervento
sociale, culturale e affettivo sul corpo») e a plasmare una creatura
mostruosa. Nel quarto caso è l’accumulo verticale di violenze autoinflitte
a creare ribrezzo: la mente allo stesso tempo si serve del corpo e lotta contro
esso, che da un lato si fa strumento di tortura e dall’altro si ribella,
resistendo alla morte il più possibile. Ciò che sconvolge è la frenetica
impazienza del Casasopra, che desidera a tal punto annullare la propria
esistenza da suicidarsi, potremmo dire, tre volte contemporaneamente. L’abate
quindi osserva una terza tipologia di follia, quella suicida. C.. si concentra
tanto sul corpo mutilato delle vittime quanto sul corpo mutilante dei
carnefici, che possono trasformarsi a loro volta in vittime di se stessi; in
Don Casasopra carnefice e vittima coesistono, mentre Bresse, spinto dal
rimorso, decide di togliersi la vita in modo razionale, per quanto è possibile,
contrariamente al professore torinese che cede invece alla
«frenesia». Negli occhi di C. è assente la pietà cristiana, non perché
egli fosse insensibile alle sciagure, ma perché l’interesse che lo spinge a
osservare questi fatti di sangue è di tipo scientifico; egli, in generale nei
suoi scritti filosofici, evita di introdurre considerazioni di carattere
teologico o semplicemente religioso, perché non sente l’esigenza, provata da
molti suoi contemporanei, di conciliare il cristianesimo con la filosofia dei
lumi o con le correnti filosofiche antiche, i concetti di virtù o di colpa
vanno intesi sempre in senso laico. Lo sguardo scientifico è evidente, per
esempio, nella descrizione del terrificante suicidio del professore torinese.
L’abate non spende parole di pietà per il Casasopra, ma presenta subito le
proprie ipotesi in merito alle cause di un gesto così estremo: egli suppone che
la follia suicida sia stata scatenata dalla combinazione di una causa
psicologica («malinconia») e una organica («accension di sangue»). Senza la
sentenza scientifica finale, la descrizione del suicidio del Casasopra potrebbe
avere anche un che di farsesco (un farsesco funereo, ma pur sempre farsesco):
l’immagine di un uomo che con ventotto coltellate e i polsi tagliati tenta di impiccarsi
però non fa sorridere cinicamente, perché C. descrive il tutto come un caso
clinico e non come una scena, mi si passi il termine, splatter, anzi comic
splatter. C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco. L’abate
non sovrappone la fiction agl’oggetti della propria RIFLESSIONE FILOSOFICA. La
componente orrorifica, per esempio, è molto presente nel Masino, poemetto
popolato da mostri, diavoli, folletti malvagi e morti resuscitati; questo
testimonia che egli non fu immune all’influenza dell’Arcadia lugubre, ma tutto
ciò non ha nulla a che vedere con i quattro casi dei quali ci stiamo occupando,
che non sono trattati come storie, come racconti, ma come fatti di cronaca,
recente o lontana, da esaminare. La terrificante incoronazione di Inês è
sviluppata sì in un sonetto, ma la prefazione in prosa che illustra la vicenda
storica testimonia che l’autore aveva compiuto studi approfonditi
sull’episodio, forse durante il suo soggiorno lusitano. Il corpo smembrato
viene “osservato” non con compiacimento morboso, ma con l’occhio attento del
filosofo, che, studiando il potere della ragione, è costretto a indagarne anche
i limiti e le ombre. C. in verità non censura in alcun modo i particolari più
macabri delle vicende, come l’arto mozzato di Livia, la pozza di sangue nella
quale striscia la Contessa, il foro in mezzo alle ciglia di Bresse (poi
sotterrato come la carogna di un animale), lo scettro ricevuto da Inês «in
freddo marmo», le ventotto ferite del Casasopra; questo sguardo fisso sui
dettagli più agghiaccianti però non è fine a se stesso, ma serve a “toccare con
mano” quanto orrore generi la follia. Così nella vicenda di Inês, ciò che
disgusta maggiormente il lettore non è il ripugnante cadavere ricomposto, ma la
pazzia di Pedro: insomma il mostro non è lo scheletro di Inês, ma Pedro
stesso. L’interesse per i fatti di sangue dimostra come sia fuorviante e
falsa la rappresentazione di C. come saggio rintanato nel proprio rassicurante
romitorio, dal quale contempla con indifferenza il mondo e le sue passioni;
egli, al contrario, era attaccato alla “vita reale” (ne è una riprova il fatto
che nelle sue opere preferisce sempre offrire esempi tangibili, senza
abbandonarsi a teorie fumose o ad astratte elucubrazioni) ed era desideroso di
studiare l’uomo “vero” – quello che, a volte, cede alla brutalità e alla follia
più nera – e non l’uomo ideale. Il Caluso crede che ogni progresso sia
possibile solo partendo dall’analisi di «ciò che esiste», egli non vuole
proporre un modello utopistico di uomo perfetto, ma desidera ragionare
concretamente sulla natura umana, sulle sue luci e sui suoi spettri. Sulla
figura dell’abate di C. si vedano gli studi del Calcaterra e, soprattutto, del
Cerruti (M. Cerruti, La ragione felice e altri miti del Settecento, Firenze,
Olschki, Le buie tracce: intelligenza subalpina al tramonto dei lumi; con tre
lettere inedite di Tommaso Valperga di C. a Bodoni, Torino, Centro studi
piemontesi; Un inedito di Masino all’origine dell’opuscolo dibremiano ‘Degli
studi e delle virtù di C.’, «Studi piemontesi», Inoltre mi permetto di rinviare
anche alla mia monografia:Contini, La felicità del savio. Ricerche su C.,
Alessandria, Edizioni dell’Orso. Si legga il seguente passo, tratto da una
lettera del Foscolo alla Contessa d’Albany: «e io lasciai l’ordine ch’ella, e
il pittore egregio, e l’ottimista abate di Caluso avessero l’edizione in carta
velina» (Foscolo, Epistolario, a cura di Carli, Firenze, Monnier). Questo
appellativo si riferisce, ovviamente, alla più famosa composizione dell’abate,
il poemetto in terza rima La Ragione felice, composto a Firenze, come precisa
l’abate stesso nell’introduzione alla raccolta Versi italiani (Euforbo
Melesigenio, Versi italiani di Tommaso Valperga Caluso fra gli Arcadi Euforbo
Melesigenio, Torino, Barberis. L’inedito Della felicità de’ governati,
ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca di Torino, ora pubblicato
in Contini, La felicità. A proposito del concetto calusiano di rassegnazione,
si legga il seguente passo, tratto della lettera alla Contessa d’Albany. De’
cardinali Doria lodo la rassegnazione, virtù troppo necessaria alla felicità, o
per parlare più esattamente a scemare l’infelicità nostra, onde io ne fo uno
de’ punti precipui della mia filosofia, d’acquetarsi alla necessità» Pélissier,
Le portefeuille de la comtesse d’Albany, Paris, Fontemoing, Melesigenio, Versi
italiani cit. Diderot aveva constatato che nella pratica quotidiana si
incontravano uomini felici, pur essendo tutt’altro che virtuosi, e lo stesso
ragionamento era stato presentato da Voltaire a proposito della
razionalità. Euforbo Melesigenio, Versi italiani cit., p. 22. Il fatto che
le passioni fossero necessarie all’uomo per sfuggire la noia era stato
sottolineato con forza dall’abate Du Bos nel primo capitolo delle Réflexions
critiques sur la poésie et la peinture (1718), opera che eserciterà una grande
influenza sull’estetica settecentesca. In questi versi il Caluso non fa
riferimento alla noia, ma descrive uno stato d’animo ancora peggiore: l’apatia.
Versi italiani. Il manoscritto è conservato presso la Biblioteca Reale di
Torino (Varia). 10 I manoscritti di L’Amour vaincu (Varia) e di Les
aventures du Marquis de Belmont écrites par lui même ou les nouveaux malheurs
de l’amour (Varia) sono conservati presso la Biblioteca Reale di
Torino. Euforbo Melesigenio, Versi italiani. L’inedito “Varia Philosophica”,
ritrovato presso l’Archivio Peyron della Biblioteca Nazionale Universitaria di
Torino è riprodotto in CONTINI “L’attività filosofica di C.”, Mattioda, Torino,
C., Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga, in Mémoires de l’Académie
des sciences littérature et beaux-arts de Turin, X-XI, Torino, Imprimerie des
sciences et des arts. La raccolta fu pubblicata a Roma da Antonio Barre nel
1555. 15 Id, Di Livia Colonna. C. in un brano del “DELLA CERTEZZA MORALE
ED ISTORICA” sottolinea come sia importante esaminare le notizie riferite dai
poeti. Diciamone adunque partitamente vediamo prima qual sia L’ESAME DEL FATTO per
trarne i precetti per questa prima parte anche per la critica degli avvenimenti
che ci siano tramandati dagli scrittori di qualche genere, e partitamente da’
Poeti. (“DELLA CERTEZZA MORALE ED ISTORICA” Fondo Peyron). L’abate cita le
seguenti fonti. Adriani, Istoria de’ suoi tempi di Giouambatista Adriani
gentilhuomo fiorentino. Divisa in libri XXII, Firenze, Giunti, e Santis,
Columnensium procerum imagines, et memorias nonnullas hactenus in vnum redactas,
Roma, Bernabo. C. ricorda che vari poeti avevano scritto molte dolenti rime su
questo tema e cita un passo di un madrigale del Caro. Presso la Biblioteca
Apostolica Vaticana è conservato il manoscritto Composizioni latine et volgari
di diversi eccellenti authori sovra gli occhi della Ill. Signora Livia Colonna
(Capponi). C., Di Livia Colonna. L’abate fa una precisazione sul nome
della figlia di Livia: “la figliuola della nostra Livia da Domenico Santi
chiamata Orintia, Oritia, trovisi altrove chiamata Ortenzia”. Zannini, Livia
Colonna tra storia e lettere in Studi offerti a Giovanni Incisa della
Rocchetta, Roma, Società romana di storia patria, Archivio di Stato di Roma,
Tribunale del Governatore, Processi.
I responsabili furono condannati grazie alle deposizioni di testimoni
oculari. La testimone oculare Beatrice di Petrella, per esempio, dichiarò
che Livia fu ferita due volte alla gola e molteplici volte ai fianchi, ma non
fece alcun riferimento alla mutilazione di arti. Chiodo, Di alcune curiose
chiose a un esemplare delle “Rime” di Porrino custodito nel Fondo Cian,
«Giornale storico della letteratura italiana», L’opera è scritta con inchiostro
nero e grafia minuta su V carte scritte sia sul recto sia sul verso, a parte
l’ultima, scritta solo sul recto. È bene precisare che Verani si rivolge
a un anonimo amico che gli aveva chiesto di commentare il saggio del C..
Probabilmente questo anonimo amico aveva poi consegnato all’abate lo scritto
del Verani. Di Livia Colonna del cittadino Tommaso Valperga-C.:
Osservazioni del Cit. Tommaso Verani Ex-agostiniano (Fondo Masino).
Scrive Verani. Quanto a Pompeo Colonna, che egli fosse il barbaro uccisore di
Livia, non vi è altro documento, ch’io sappia, se non la semplice osservazione
del Sansovino, di cui non possiamo fidarci, poiché non Livia, ma Lucia donna di
Marzio Colonna, la quale fu morta da Pompeo suo genero. Quindi è che non so
indurmi a credere Pompeo capace di sì orrido fatto, e molto meno per un vile
interesse o di eredità o di dote o di qualunque altro motivo o di odio e
vendetta a noi ignoto». Egli in un passo successivo sottolinea anche che Livia
chiamò “figliuolo” il proprio uccisore non perché era suo genero, ma per
intenerirlo e indurlo a desistere dal gesto delittuoso. L’articolo di lettera è
conservato presso gl’Annali calusiani della Biblioteca Reale di Torino (St.
Patria). Non si tratta della lettera originale del Negri al Napione, ma di una
copia dello stesso Napione, che, su richiesta del Balbo, trascrisse la parte
della lettera che riguardava C. Il caso dell’assassinio della Contessa
Aureli aveva interessato anche A. Ferrero Ponziglione, che nell’adunanza della
Patria Società letteraria propose la composizione di una novella su questo
argomento (C. Calcaterra, Le adunanze della ‘Patria Società Letteraria’,
Torino, SEI). Non era presente a questa adunanza, in quanto entrerà nella
Filopatria ; sappiamo però che egli intervenne a qualche assemblea anche prima
di questa data e che intrattenne stretti rapporti coi Filopatridi.
Probabilmente quindi l’abate si interessò alla vicenda di Bresse grazie a
qualche conversazione con gli amici e colleghi torinesi. Il manoscritto è
vergato su 6 carte, compilate sia sul recto sia sul verso: le prime due sono
scritte da una mano, mentre le altre 4 da un’altra. Entrambe le grafie non sono
riconducibili a quella di C.. Il narratore formula varie ipotesi sulle
origini di Bresse che, a seconda dei diversi indizi, può essere identificato
con un ugonotto, un massone o un ex chierico. Sotto il racconto si legge
la seguente nota: «La presente Relazione fu trovata trai Scritti dell’allora
profess. di Retorica D. Castellani, ed è questa in data 9 giorni dopo
l’avvenimento». Annotazione scritta dalla stessa mano che aveva compilato il
primo dei due documenti (Memoria intorno a Bresse; Fondo Peyron). Il
commento del C. si trova nella parte inferiore del recto dell’ultima carta. È
da segnalare inoltre che nel verso dell’ultima carta si leggono alcune prove di
firma del C. Lo scritto ricalca la struttura tipica della novella; il racconto
infatti è preceduto da un breve riassunto: «Un’ufficiale di Francia ama una
Donna Piemontese per lo spazio di più di un anno, e perché da lei gli è vietato
il venir ad ottenere qualche suo fine poco onesto, la uccide, e ultimamente
pentito di tanta atrocità usata, da se medesimo si dà la morte. C., Versi
italiani. Si veda a questo proposito D. Goldin Folena, Inês de Castro e il
melodramma italiano: un incontro obbligato, in Inês de Castro: studi, a cura di
P. Botta, Ravenna, Longo. Si ricordi, per esempio, l’Inês de Castro di Antoine
Houdar de La Motte, che ebbe uno straordinario successo di pubblico e venne
tradotta dall’Albergati (Albergati Capacelli, Paradisi, Scelta di alcune
eccellenti tragedie francesi tradotte in verso sciolto italiano, Liegi ma
Modena. C., Versi italiani. Cipriani, Le lettere inedite di C.al nipote, marchese
di Albery conservate nei fondi del castello di Masino, tesi di laurea, relatore
Marco Cerruti, Torino, Università degli Studi,
A. Favole, Resti di umanità: vita sociale del corpo dopo la morte, Bari,
Laterza. C. visse a Lisbona, ospite del fratello Carlo Francesco, ambasciatore
in Portogallo e futuro viceré di Sardegna. In questo periodo venne a contatto
con la cultura portoghese, spagnola e inglese e, come tutti sanno, conobbe e
“iniziò alla poesia” l’amico Alfieri. Declension
Edit First/second-declension adjective. Number Singular Plural Case /
Gender Masculine FeminineNeuter Masculine Feminine Neuter Nominative initiātus initiāta
initiātum initiātī initiātae initiāta Genitive initiātī initiātae initiātī initiātōrum
initiātārum initiātōrum Dative initiātō initiātōinitiātīs Accusative initiātum initiātam
initiātum initiātōs initiātās initiāta Ablative initiātō initiātāinitiātō initiātīs
Vocative initiate initiāta initiātum initiātīinitiātae initiāta References Edit
initiatus in Charles du Fresne du Cange’s Glossarium Mediæ et Infimæ
Latinitatis (augmented edition with additions by D. P. Carpenterius, Adelungius
and others, edited by Favre) Warburton. DISSERTAZIONE SULL’INIZIAZIONE
A’MISTERII ELEUSINI; OVVERO, NUOVA SPIEGAZIONE DEL LIBRO VI DI VIRGILIO,
tratta dalla sessione della Divinici della Mistione di Mose MOSTI
ATA DA WARBURTON Stenda Sdiva VENEZIA Curii. Al NOBILE
SIGNOR BARONE GIROLAMO TREVISAN VICE-PRESIDENTE AL
TRIBUNAL D'APPELLÒ ìli VENEZIA bLÌ EDITORI, Non il paiavinó
nobile sangue j che nelle vene vi scorre, non l'antichità de’ vostr’avi 3 non
gli onori e le cariche eh tra gli altr’uomini vi distinguono j furonoj
Egregio Signore le cagioni che ci spinsero a umiliarvi rispettosi la
presente dissertazione: cerchino altri sì fatte cose o per vite adulazione
bassissima, o per mercarsi non mentati favori o per altr’indiretti fini
del generoso animo vostro onninamente indegni ma sì bene ci mossero e i
rari vostri talenti che fecervi un giorno brillare guai lucidissima
stella nel veneto foro, e il genio che nutrite verace per ogni sorta di
letteratura. Possian dunque dire che vi appartenga questa operetta come a
quelt esimio personaggio che di vera FILOSOFIA lo spirito fornito e di
fino critico gusto le bellezze ammirare sapete della veneranda antichità.
Accogliete pertanto di buon cuore quelh che offerir vi possiamo e siate
certo che cm- ptiratorì ognora de’ vostri pregii e delle virtù
vostre conserveremo per voi quella stima, venerazione e rispetto con cui
di essere ci protestiamo, là zs. X inalrtiente comparisce
alla veduta del dotto mondo il vero VIRGILIO: il suo poema veste le ingenue
sembianze, di cui lo adorna il suo autore: quello che finora hanno gl’amatori
della sapienza, i filosofi. In esso riconosciuto di bello ora di nuova
luce rifulge; e quanto a’ critici è parato di riscontrarvi dì assurdo e
sconcio, e al rigore dell’epiche leggi incoerente ad un tratto dileguasi. Cosi
felici effetti ha prodotti la presente dissertazione. Il giudizioso inglese che
l'ha scritta facendosi a contemplar di pie fermo quel filo segreto che l’Omero
latino condusse in questo divino poema, colpi nell'intimo sno spirito, scoperse
le ragioni, di tutto ciò, che introduce nell'ENEIDE VIRGILIO, e l'ipotesi
sua co quella vasta erudizione che possede, colle cose, costumi, e
opinioni dell'antichità raffrontando , comprese ch’ella regge con
mirabile armonia e alle idee dell'autore e alla natura dell' epica poesia
ed alla sapienza degl’antichi FILOSOFI. Se ciò sia vero, lo scorge il
leggitore leggendo l’opera presente, e dopo letta, a
rileggere ponendosi, e studiare VIRGILIO attentamente, L'Autore
della Disseriazione non ebbe in vista che d'illustrare il VI Libro dell'ENEIDE.
Ma la sua scoperta è di un uso universale per l’intero poema virgiliano,
che pell’intelligenza d’ogn’altro, e spezialmente di quello d' Omero .
Quindi è che noi creduto abbiamo di fare cosa graia alla letteraria
repubblica nel dare alla luce quest’opera dall’inglese nell’italico idioma
rrcala-, e vi- viamo colla fiducia, che i leggitori ci sajjra,n, po
grado di sì utile impresa. Per solo bene e vantaggio della società
letteraria ci siam noi mossi a riprodurre U presente Dissertazione; e
come sapevamo esser rarissima e ricercata, abbiamo tostamente procurato dì
ripiegarla e correggerla; di note fornirla e d'illustrare con alcuni
cenni la vita del suo Autor valoroso, e farne così al collo
pubblico un dono, Di quanto pregb ella sia, quanta contenga erudizione
non è a dire; sarebbe desiderabil cosa che tutti ì italiani delle lettere
amanti, i quali Unto vanno affaticandosi per isludiare l’epico latino,
prima attentamente leggessero questa dissertazione che porge la chiave a
bene, eziandio comprenderne tutto il poema. Non dubitiamo pertanto,
che gl’eruditi non ci appiani grado di questa, benché leggiera,
fatica j e il lor favore in adesso ci serve di sprone, onde farsi strada ad
imprese maggiori. Ha l’uomo collo ed erudito noniolo, ma piu audio
l'imperito e l'indotto un desiderio pressoché costante, una voglia direi
qnati innata di voler investigar n conoscere in azioni e le gesta,
di que' tra suoi simili, che sugli altri emersero t p er gebio peti
tiratore e sagace , o per talenti letterari e politici, o per dignità
ragguardevoli, o per onori non comuni, o per altra mai dote, la quale
tulio scioperato vulgo distinguere ne li faccia, fi da questo desiderio, è
da questa voglia che riconoscer debbe la repubblica letteraria e scientifica
quei lumi tutti, che (les- sa per opera de' suoi membri possiede in
riguar- do alla virtù, e al merito de' più chiari eroi, che ognora
illustre la resero. È perciò eh' ab- biamo creduto noi opportuno il dar
qui in ri- stretto (come la parvità del volume lo esige) alcuni
cenni sulla vita del chiarissimo autore della presente Dissertazione. Warburton
nacque nel Dicembre del ni Ì 11 effe ì ce n tono van torto il
vigesimoqnarto giorno a Nevarck sul fiume Trent nella gran
Brettagna, nella qual città occupava suo padre il posto di Procuratore.
Warburton di perspicace acume dotato e non vulgare talento nelle
principali Università l' ordinario corio degli stadi! a percorrer lì diede, e
riportatane laurea nelle teologiche discipline colla fama di
letterato ed erudito quegli sturili a ricominciar ritiro»; , che più alla
naturale sua inclinazione si confacevano ; ben persuaso che le scuole
non additino che i mezzi, onde fare di vera sapien- za l'acquisto.
Si applicò quindi alla erudizione sacra e profana, non che all' amena
letteratura , e ben presto mature fratta produsse . Tardi pe- rò
agli onori ed alle dignità elevato il volle for- long^-iaa jamfls
tardi altrettanto più sublime- mente innalzollo. Aveva egli trascorsi cinquan-
tasei anni dell'età sua, quando Giorgio II. che allor l'Inghilterra
reggeva con suo grazioso decreto il fece sno Cappellano., e in breve
forni- re di un canonicato in Durbatn ne lo volle. Proseguiva
frattanto le sue erudite fatiche iti nostro Guglielmo, quando l'anno correndo
niil- Jesettecen sessanta videsi egli al decanato di Bristol
inopinatamente eletto, la qual dignità non fece che servirgli di scala
all' onor vescovile, di cui tra non molto con soddisfazione e con-
tentamento di que' tutti , che le di lui virtù, conoscevano , fu
giustamente insignito. Fugli a sua sede destinata Gloceiter, che a
reggere cominciò con non ordinaria: moderazione e prudenza da meritarne de'
suoi connazionali gli applau- si . Ognor vigilante, sobrio, amico dì
tutti, vero filantropo degno stato sarebbe (se altronde 1* provvidenza
non avesse rettissim amente disposto) d'essere ortodosso, e di possedere
diocesi orto- dossa . Tra le cure però di suo vescovato tener
godeva in casa letteraria conrersazione e giocon- ila, onde il ma
affaticato spirito alquanto ri- crearsi potesse ; e come dotato era dal
Cielo di eccellente memoria, e per meno de' suoi travi., gli di
vasta erudizione, così sapea talmente a lempo con istradivi aneddoti la
compagnia rav. vivaio, ch'era egli della società chiamato l'ido- lo
e la delizia. Fra tante virtù aveva tuttavia il difetto a' suoi patrioti
universalmente comu- ne, quello cioè, di essere nell'odio
terribile, quanto nell'amicizia tenero e dolce: a sua lau- de per
altro riflettali die una legg'"^ «mpen- aazione, una minima protesta
discuta era a cai- marlo sufficiente. Sin qui il Warburton non ci i
prelenta che personaggio di rare qualità , di cariche e di onori fornito
; ma è tempo che renda di pubblico diritto le immense fatiche, che per naturale
suo genio a sostenere ai accinse. Sempre amico delle lettere, e della
gloria de' auoi cittadini volle egli darne un saggio col pre-
siedere all' impressioni! delle opere del grande Shakespear, la quale più
nitida rese per nota- bili correzioni, ed illustrò con crìtiche
note, dove tutto it giudicio risplende , che tanto i ve- ri dai
troppo creduli critici distingue. L'amici- zia stretta .col Pope lo
indusse pure a, sopran ten- dere alla stampa de' di lui lavori, che colla
usa- ta sua diligenza presto trasse a line. Persuaso che allora
camminarebbe meglio la società, quan- do la religione e la politica si
congi ungessero insieme a formarne i reali vantaggi , diede alla
luce delle sode dissertazioni sulla unione appunto della Religione, della
Morale, e della Politi- ca , le quali poi trasportò in gallica lingua Stefano
di Silhouette, e in due voltimi di vite. Per porgere, dirà coi), pascolo
alla sua estcìis. «ima erudizione scrisse auche un discorso intorno al
terremoto, e all'eruzione ignea, che im- pedirono all' Apostata
Imperatore la restaurazio- ne del Tempio santo , Ma tntto questo
sapere diWarburton è nn nulla in paragone della critica, del genio, della
erudizione, che dispiegò in un'opera, la quale nei fasti delle
scienze renderlo doveva immortale, e cui, come osser- Vano
-d«» JrttWMti " ili maaturl delle rìcer- che antiche
leggeranno sempre con -piacere, ed anche con frutto e vale a dire la
di- vina legazione di Masè dimostrata in quattro volumi
distribuita. II filosofo di Farne/ cerco tosto di accreditare coli'
autorità di Warbnrton tutte le imposture, gli errori , le follie, le
men- zogne , che sacrilegamente «parie aveva nel Li- bro dei Libri;
quindi è che astenere non si potò dal non tributare in larga copia
all'Anglo Prelato gli encomii li più seducenti e lusinghieri . Guglielmo
pero che aveva nel petto nn fon- do di virtù bastante a far argine a
coteste vi- lissime adulazioni, e che l'empietà appieno conosceva dell'
autore della Pulcella d' Orleans, in una seconda edizione a provare si
fece che il aig. di Voltaire non solo non avea l'opera inte- sa ,
ma che l' avea falsamente citata , peggio in- terpretata, e
impudentemente calunniato Tanto- re di essa. L'Oracolo della Francia
allora canto Dóion. degli Uom. Ili, v. gli nelle più amate invettive, nei
sarcasmi più «cuti , nelle ingiurie più maldicenti gli clogii che
aveva al Vescovo di Glocesttr prodigalizza- to, a cu! non degnò egli
rispondere mostrando colla sua grandetta d'animo di quelle ingiurie
la insussistenza , e procacciando così alla sua opera più durevole fama.
Osservan nullameno ì Critici che più perfetto ne sarebbe il lavora t
so ognor vi rispondesse il lucido ordine di Orazio, « se più
digerita la erudizione ne fosse. Chec- ché peto sia, resr eterno il nome
del celebre Inglese, e dì questo n'hanno un bel saggio i leggitori
nella presente disseriazione » di' è da quello ricavata - Una
vita sobria e morigerata fece trarre al Warborton pacifici giorni e
tranquilli da nessun malore sturbati ; sicché carico d'anni in Glocetcr
ai siile Gingno del niilles ettecen setlantanove compi sua mortale
carriera da tutti ì suoi , non monodie dalia letteraria repubblica
meritamente compianto, lira egli di statura alta, grosso e
corpulento anzicheno , di carnagione rubicondo , di temperamento forte e
robusto. Questo è quanto abbiamo di lui potuto rac- cogliere
, e succintamente esporli benevolo leg- gitore ; Vive ; Vali
: si quid navìitì reHiut istis Candidai imperli: li »m, bit Mere memi». Virgilio
nel libro Yl.;"cfi*r fl "Capo 3'opera dell'Eneide, ha per
dileguo di descrivere l'iniziazione del suo eroe ne' misterii, e di
mettere lotto l'occhio de' suoi leggitori almeno ima parte dello
Spettacolo Eleusino, in cui tutto face- vasi per mezzo di decorazioni e
macchine, e in cui la rappresentazione della storia di Cerere da-
va occasione di far comparire tal Teatro il Cielo, l'Inforno, i Campi Élisii ,
il Purgatorio, tutto ciò che ha relazione eoa lo stato avvenire degli
uomini. Ma acciocché il lettore non si offenda di questta
proposizione che può sembrare nti paradosso, sarà cosa utile l'esaminare
qual sia il carattere dell' ENEIDE. Tutti e due i Poemi di Omero
contengono la narrazione di un'azione semplici; ed unica, de-
tonata ad insegnare un punto di morale egual- mente semplice, ed in
questo genere ammirasi con tutta la ragione questo filosofo. E
impossibile che in ciò VIRGILIO lo superasse. Il suo vero modello e
perfetto; niente mancatagli, ii maniera che i maggiori partitami del FILOSOFO
LATINO, senza eccettuarne Scalugero', ridotti si no a (allenare, eh' e FILOSOFO
LATINO, e lo Scaligero stessa ha sostenuta, clic lutto il vantaggia di Virgilio
aopra Ornerò consiste negli Episodi i j nelle descrizioni , comparazioni, nella
netiena, e purità dello stile, è nella aggiustateza dei pensieri ; ma ninno ha
conosciuto a mio credere il principal vantaggioeli' égli ha sopra
il Poeta Greco: Egli trovò il Poetila Epico mesto già nel primo ordine di tutte
l'opere dello spirito umano; ni* ciò non ancora soddisfaceva a'suoi
alti disegni. Non bastavagli | clip l' istrui- te gli uomini nella morale
fosse il fine del Poe- Ina Kpico; neppure l'insegnare la Fisica j
come ridi col oiam ente s'immaginarono alcuni antichi. Egli è vero,
ch'ei compiaceva^' di queste due •otta d» studii; ma voleva comporre un
Poema, che fosse un sistema di politica. In fatti ì ta- le la ina
Eneide in versi, come in prosi sono i sistemi politici, e le Repubbliche
di Platone, e di CICERONE; e quegli insegna con l'esempio e con le
azioni di un eroe ciò, che questi insegnano coi precetti . Cosi Virgilio portò
il poema epico ad nn nuovo grado di perfezione, e come di Menandio disse
Vellejo Pater colo inve- niebat, neque imitandum rclinquebat .
Benché possa ognun vedere facilmente t che sotto il carattere di ENEA
rappresenta: i OTTAVIANO; pure siccome credevasi^ che questi
ammaestramenti politici destinati veramente per utile di tutto il
genere umano riguardassero il solo principe; così niuno ha compresa la
natura dell' “Eneide”. la questa ignoranza i Poeti, che vennero
dopo, volendo imitare questo Poema, dì cai non conoscevano il vero genio,
riuscirono ancora peg- gio di quello,- che sarebbero riusciti, se si
fos- sero contentati di prendere per modello il semplice piano di Omero.
M. Pope gran Poeta de nostri tempi, é giudice competente in tali materie , dice
nella prefazione all' Ilìade spiegando- ne la cagione. Gli altri Poeti
Epici , dice egli, banco seguito Io stesso metodo ; ( ciò* quel di VIRGILIO,
che unisce due Favole insieme, n t jj- 'A una sola ) ma- in ciir st-som»
tanto avanzati, che hanno introdotta una inokipli- „ cita di favole,
con cui hanno interamente „ distratta l'unità dell'azione, e
l'iianprolungata in ana maniera del lotto irragionevole, cosicché i
lettori più non sanno dove sieno -, .Tale fu la rivoluzione, che cagiona
Virgilio in questo nobil genere dì poesia. Egli lo porto ad un
punto di perfezione , a cui non sarebbe mai giunti) con tutta la
sublimità del suo genio ira* za l'assistenza del più gran Poeta . Egli
non eb- be se non il soccorso della unione dell' Iliade
e dell'Odissea, che potesse fargli eseguire il bel progetto, che si
aveva formato. Imperciocchi pel dare un sistema di politica nella
condotta di un gran Principe bisogna fargli comparire ed osservare
tutte le situazioni, e tutte le circo- stanze, in cui no Principe come
tale può ritrovarsi . Quindi bisogno , che rappresentasse Enea in viaggio
come Ulisse , in battaglia come Achil- le ; ed in ciò non dubito * che
questo grand* ammirator di Virgilio di sopra citato, e che cosi bene ha
imitata la purità del suo itile si compiaccia di vede re , clic questi è
la vera iti gìone della condotta del suo Maestro , piuttosto
che l'altra da lui rapportata. VIRGILIO non avendo un genio ooil Tiro, e
cosi feconda j, come Omero, vi supplì con la «celta di ari oggetto
più esteso, e di una più lunga durata dì tempo, epilogando in un solo
Poema il disegno dei due poemi del Greco Poeta. Ma se avendo scelto lo
«tesso soggetto di Oncia, fu obbligato a trascrivere quella semplicità
della favola, clic Aristotele, ed il Bosiù di luì interprete trovano
divina io Omero, questo stesso gli ha prodotti altri considerabili
vantaggi Dell' esecuzione del suo Poema; poiché questi ornamenti ,
e queste decorazioni , di cui non han saputo i Crìtici rendere altra
ragione se non di sostenere la dignità del Poema, diventano, secondo il
fine del Poema, punti essenziali del suo soggetto. Cosi i Principi e GL’EROI
scelti per attori, che paiono a prima vista un semplice ornamento,
diventano la essenza medesima del Poema j e i prodigi! e le
interposizioni degli Dei destinati solo a produr maraviglie diventano con
questo nuovo disegno del Poeta una parte essenziale dell'azione. Qui
vedesi lo spi- rito medesimo degli antichi Legislatori, i quali
pensavano sopra tutto a riempire lo spìrito delle idee della Provvidenza.
Questa è dunque la vera ragione di tante maraviglie e funzioni, che
incontransi nell’ENEIDE, per cui alcuni Critici moderni accusano il
nostro Poeta di poco giu- dicio, imitando Omero di una maniera
troppo fervile nel suo Poema, composto nel secolo di ROMA il più ili
um'Bato e il pili polito . 11. Adis- >0D , di cui non devesi parlare,
se non con termini di estimazione , eoa) parla in proposito del
maraviglialo in VIRGILIO. Se qualche paisà dell' Eneide può
criticarti per questo titolo , egli è il principio del terzo libro
, in cui „ rappresentasi Enea, che lacera un mirto, da cui sgorga
sangue. Questa circostanza sembra ,, avere il mirabile senza il
probabile; perch' è descritta come prodotta da cagion
naturala senza J' auìtóox* di, alcun» Dtilà. , a. d' alcuna
"sovrannaturale potenza capace di produrla. Ma l'Autore non si è ricordato
in que- sta osservazione delle parole dette d’ENEA in questa
occasione; Nympbas -ùtntTabaT agrtsirt Gradi-vamquc Pattern, qui
prieiidet Bruii Rite steundartnt visus, omtnqut levarcnr. I presagii di
questa specie poiché ve n' erana di due sorta sono sempre considerati
conte prodotti da una potenza sovrannaturale. Cosi quando gli
Storici ROMANI raccontano una piog- gia di sangue, egli era un presagio
simile a quello del nostro Poeta , il quale si è certame»- te
contenuto dentro i confini del probabile, asserendo ciò che gii storici pia
gravi riferiscono ad ogni pagina de' loro annali . Questo prodigio
non era destinato a sorprendere il lettore. VIRGILIO, come si è detto , Teste i
caratteri di un (0 lib. m.J+ »- J<-i9 ledisi atore , e vuole eoi
prodigi! e cui prestigi! persuadere il popolo che iddio s'interpone
negli affari di questo mondo; e questo era il metodo degli Antichi
. Plutarco adv. CoieC- c' insegna, die Licurgo co) meno di divinazioni e
di pre- «agii santificò gli Spartani, NUMI I ROMANI, Solone gli
Ateniesi, e Deucalione tutti i Greci 10 generale , e col mezzo delta
speranza e del timore mantennero nello spirito di questi popoli
11 rispetto alla Religione. Cosi molto a proposi- to colloca VIRGILIO
U scena di <)m-*to accidente tra i popoli barbari e grossolani della
Tracia per ispirare dell'orrore a'coslumi selvaggi e crudeli, e
desiderio di nno stato civile e polito. L'ignoranza del vero fine
dell'Eneide Ila fat- to cadere i Critici in diversi errori poco
onore- voli a VIRGILIO, non solo intorno al piano ed al lavoro del
silo Poema, nia intorno al carattere venerazione profonda agii Dei
hanno tanto offe- so r Ememont scrittore celebre Francese,
che b& detto essere questo Ero e più proprio a fondare una
Religione, che uoa Monarchia, Ma non ha saputo, che nel carattere di ENEA Ila
voluto rappresentare un perfetto legislatore ebbe saputo ancora che
ufficio de' legislatori era non meno stabilire una Religione, che
fondare uno Stato. E sott» qaeita doppia idea VIRGILIO rappresenta
ENEA InferTtttjue Dras Lalla Eoe"!- Uh I. veri. j>.
io. ti «ostro Critico egualmente li offende dell' umanità di ENEA,
dia della tua pietà. Elift consiile, secondo lui, in una grande facilità
piangere, ma egli non ha intesa la Ltlk-zzatì questa parte del suo
carattere. Per dare l'idea ài un legislatore perfetto , bisogna
rappresentarlo penetrato da sentimenti di umanità. Era tanto piil
necessario dare un simile «empio, quanto vediamo per isperienza, che i
politici del comune sono troppo spogliati .di qaciti untimi:!!- ti.
Questo punto di vista, lotto coi rappresentiamo L’ENEIDE serve a giustificare
gli altri caratteri, che metti! in iscena il Poeta. Il dotto Autor delle
ricerche sulla vita» e sugli acrlr- tì di Omero mi permetterà di avere
una opinion ne diversa dalla sua riguardo alla uniformità de caratteri,
che regna nell'ENEIDE. Io la tengo per effetto di un premeditato disegno,
non già di costume e di abito. VIRGILIO, dio' egli, era avvezzo allo
splendor della corte, alla magnificenza di un palazzo , alla pompa di un
equi- ,, paggio reale .rizioni di que- „ ala aorte di vita io» più
magnifiche e più nobili di quelle di Omero. Egli osserva già
la decenza, e quelle maniere polite , che reit- „ dono un uomo
tempre eguale a se stesso , e „ rappresenta tutti i personaggi, che si
rasromigliano nella loro condotta, e nelle loro maniere. Ma poiché l'Eneide è
un sistema di politica, e che la dui azione eterna di uno Stato, la forma
della magistratura, ed il piano del governo erano, come lenimmo osserva
questa bi |9 giudicioso «rittore, con famigliari al fotta,
niente più conveniva al suo disegno, quanto descrivere costumi politici.
Imperciocché ufficio di un legislatore È rendere gli uomini dolci
ed umani i e se non pub obbligarli a rinunciare inera mente a' loro
selvaggi costumi , impiegarli al* nieno a coprirli. Questa chiave dell'
Eneide non solo serve 1 piegare molli passi , che pajono soggetti
alla Critica, ma a discoprir la bellezza di un gran numero d'incidenti,
che nel corso del Poema s'incontrano. Prima di finire questo articolo mi
si permetta di osservare, che questa è la seconda specie (Jet Poema
Ippico. Il nostro compatriota il gran Milton ha prodotta la terza,
perchè, come VIRGILIO tenta di sorpassare Omero, Milton volle sorpassar
tutti e due . Egli trovò Omero in pos- sesso della morale, e VIRGILIO
della politica. A (ui restava, solo la Religione . figli prese
questo oggetto, come se avesse voluto con (oro dividere il governo dei mondo poetico, e per mezzo
della dignità, e della eccellenza del suo soggetto si mise alla testa di questo
triumvirato, prr formare il quale vi vollero tanti secoli. Ecco Ì tre
°eneri del Poema epico il soggetto generalm-'te parlando è la condotta
dell'uomo, che si può considerare riguardo alla Morale , alla Politira, e
alla Religione. Omero, Virgilio, « Milton hanno ciascun di loro inventata
la specie . eh - è sua particolare e l'hanno portata dal primo saggio
alla perfezione, cosiceli* è irapoi. Il libile inventare altro
di nuoro nel genere Epico. Supposto adunque, die l'Eneide rappresenti la
condotta degli antichi legislatori , non può credersi che un maestro così
perito, corno VIRGILIO, potesse dimenticarsi un dogma, eli' era il
fondamento ed il sostegno della politica , Cioè il dogma de' premìi e
delle pene nell'altra Vita. Quindi veggiamo , eli' egli ce he ha dato
uh completo sistema ad imitazione di quelli, ch'egli h» presi per
esemplari i come Platone: nella »U alone di Ero, e CICERONE NEL SOGNO DI
SCIPIONE. E come il legislatore cercava di dar [teso a questo dogma con
una istituzione affatto straor- dinaria, in cui rappresentati lo stato
de' morti in uno spettacolo pieno di pompa; cosi la de- tenzione di
tale spettacolo poteva dare molta grazia e bellezza al Poema. La pompa e
la se lennità di queste rappresentazioni doveva natii* ralulente
invitare il Poeta a descrìverle, trovan* do in ciò occasione di mettere
in opera tut- ti gli ornamenti della poesia. Io dico dunque t
Senteii 1» spirilo di pitti» che pirli i un Iniiino non pu- tirebbe al Warburton
per buone rune quello proposi noni riguirl do al Milena ; direbbe egli
quindi , col cometuo de' piti meni fiati Critici, il rrtxo bega lil
immuriate suo Taiio, che n-olio primi del Milton prese a soggetto il
vcrti Religione ; ne dlipiiindo le posta rigore) intente il Poeta In^lett tra
gli Epici tlii- •ificarsi , iccorderebbegli di buon cuore il quarto luugu
come a quellu , il quale secondo che ilice Ugone Bliir " ha calcita
una «rida del culto nuova a straordinaria N. D. E. ch'egli la ha
fatto, « che la distesa di Ehm all' Inferno non e altro, che una
rappresenta- jione enigmatica della sua iniziazione a' miste-
ri» Eia disegno di VIRGILIO dare nella persona di ENEA l'
idea di un legislatore perfetto. L' iniziazioni' a' mUterij rendeva sacro il
carattere di un legislatore , e ne santificava le funzioni. Non è
da stupirli ebe dì proprio tuo esempio volete nobilitare una istituzione, di
cui egli stesso era l' autore i e perciò sono «tati iniziati tutti
gli antichi Eroi e Legislatori. Fintantoché i miiterìi non aveano
passato an- noia l'Egitto, dove erano nati, e che cola andavano per
essere iniziati i Greci legislatori, è cosa naturale , che di questa
cerimonia non li parlasse, se non in termini pomposi ed allegorici. A Ciò
contribuiva parte la natura dei costumi degli Egiziani, parte il
carattere dei viaggiatori j ma sopra tutto la politica de 1 legislativi ,
i quali ritornando al paese volevano infivilii e un popolo selvatico, e
giudicavano per se «tessi vantaggioso, e necessario pel popolo
parlare della loro iniziazione , in cui lo stato de' morti era stato Joro
rappresentato in Spetta- tolo, come di una vera discesa all'Inferno. Cosi
fecero Orfeo, Bacco, ed altri. Continuò a praticarsi questa maniera di
parlare anche dap- poiché furono introdotti in Grecia i mìsterii»
come vedesi nelle /avole di Ercole, di Tese* discesi aiT Inferno . Ma
peli' allegoria eravi sem- pre qualche cosa, che discopriva ]a verità
na- ccsitt (otta gli emblemi. Così per esempio di. cerati di Orfeo,
che disceso era ali 1 Inferno pei meno della sua cetra:
Tbrticta frctus cythara , fidì&utJUI Cancri s Il clie moitra ad
evidenza, ch'era in qualità di legislatore, perchè si sa che li cetra È
il tirar bolo delle leggi, per meno delle quali rese cir lite un
popolo grossolano e barbaro . Nella fa- vola di Ercole reggiamo la storia
vera unita al- la favola nata da quella, e intendiamo ch'egli
veramente fu iniziato ne' mister» Eleusini im- mediata Diente prima della
sua undecima fatica , clic fu il levare Cerbero dall' inferno; e lo
Scoliate di Omero ci espone, che il fine di questa iniziazione era
preservarlo da disgrazia in questi impresa pericolosa. Pare, che Euripide
ed Aristofane confermino la nostra, opinione della di- scesa all' Inferno.
Euripide Bel suo Ercole Furioso rappresenta questo Eroe di ritorno
dall'In- ferno per soccorrere la sui famiglia : eslermina il
tiranno Leuco; Giunone per vendicarsi lo fi perseguitar dalle furie, e
nei suo furore egri uccide sua moglie, ed i suoi figliuoli presili
per nemici. Ritornato in se stesso, Tese suo amico lo consola, e lo scusa
cogli «empii scellera- ti degli Dei, il che incoraggi va gli uomini
a commettere i più gravi eccessi ; e questa opi- nioni: cercatati
di abolire ne' misteri) , scoprendo la falsità del Politeismo. Ora egli è
chiaro Eoeiu. Lib. VI. vcrs.uo. 6 i abbastanza , eh'
Euripide ha rollilo farci sapere coia egli pensasse della favolosa
discesa all' In- ferno , quando fa risponder Ercole , come un nomo
die ritorna dalla celebrazione de' misteri! , a cai sicnsi confidati i
segreti. " Gl’esempii degli Dei , che voi mi citate , egli dice ,
niente significano: io non saprei crederli rei delle 4> colpe, che
loro vengono imputate . Non potso intendere come un Dio sia sopra un
altro Dio. Rigettiamo adunque le favole ridicole, „ che ci
raccontano i Poeti itegli Dei „Aristofane nelle Rane apertamente palesa ciò,
che intendeva per la discesa degli antichi all' Infer- no
nell'equipaggio, che da a Bacco, quando lo introduce a ricercare della
strada tenuta da Ercole: sul qnal fatto lo Scoliaste c' insegna, che cel
celebrarti i mister» Eleusini usavasi di far portare dagli asini le cose
bisognevoli per que- sta cerimonia. Quindi nacqne il proverbio:
dsi- nus portat mysteria. Il poeta dunque introduce fiacco col suo
bastone seguitato da Janzio mon- tato sul!' asino con nn fardello ; e
perche non si dubiti del suo disegno , avendo Ercole a Bacco detto
che gli abitatori dei campi Elisiì son gli iniziati , Janzto risponde:
" Io fono 1' asino , che porta i misterii Ecco dunque come riguardo
a molte favole antiche l'espressioni sublimi e magnifiche nel
parlar de' misteri! hanno persuaso alla credula posterità, che là dentro
vi fosse un non so che di miracoloso . Nè dee maravigliarsi , che ne'
tem- pi antichi n compiacessero d'esprimere con uno stile il più
straordinario le cose più. ordinarie; a5 poiché un Autor
moderno, come Apukjo, 6 per imitar gli antichi , o per accomodarsi
allo itile solito de 1 misterii descrive nel fine del Li- tro II.
la sua iniziazione: decessi confittium mortis, t> calcato Proserpina
limine per omnia veSus dementa remeavi . NoSe media vidi So~ lem
candido coruscantem lamine, Dcos Inferos é> lieos supero: , accessi
corani t> adoravi de proLìmo. Enea non avrebbe potuto descrivere
con altri termini il ino viaggio notturno dopo che fu fatto uscire per la
porta a Avorio. È •tato dunque obbligato VIRGILIO a fare iniziare
il suo Eroe," e la favolosa, antichità gli sugge- riva di chiamare
distesa all'Inferno questa ini- ziazione . Di questo vantaggio ha saputo
profit- tale con molto giudicio , poiché questa funzione anima
tutta la sua favola, che seni» questa al- legoria sarebbe troppo fredda
per un Poema Epico. Se avessimo ancora un antico poema attribui- to
ad Orfeo, e intitolato discesa all' Inferno t forse vedremmo clic il
soggetto di esso era sem- plicemente l'iniziazione di Orfeo, e che il
(let- to ha somministrata a VIRGILIO l'idea del VI. libro della sua
ENEIDE. Checchi; ne sia, Servio ha ben compreso il fine di questo Poeta,
osser- vando contenti-visi molte cose prese dalla pro- fonda
scienza de' Teologi d'Egitto: Multa per altam scientiam Theologicorum
jEgyptiorum j ì quali hanno inventati i dogmi, die insegnavan- i
ne' misterii . Con dire che questo era il dise- gno principale del Poeta
, io non pretendo assi- curare , ch'egli abbia avuta altra guida,
fuor che se medesimo. Egli ha presi da Omero mot- ti ile' suoi
Episodi! , t da Piatane, «me ce- drassi. L' iniziato aveva un
conduttore chiamato Jc- tofanta Mistagogo , il quale uomo o donna
che fosse , gì' insegnava le ceremonie preparatorie , lo conduceva
allo spettacolo misterioso , e glie- ne spiegava le parti diverse. VIRGILIO
ha data ad ENEA la Sibilla per conduttrice , e la chiama Vatet,
magna Sacerdos , edoàa carnet; e sic. come il Mistagogo doveva viver
celibe come Girolamo ossei va de Monogamìa Sierophanta «pud Alkenas
evitat i-irum, t> sterna debilita- te fit costui ; cosi la Sibilla Cu
man a non era maritata . Il primo comando, che ad Enea dà la
Pro- fetessa è di cercare IL RAMO D’ORO: 1 Annui & folth, &
lento vimini ramiti Junanì ìnferne di&ut tactr. Di questa
particolarità Servio non sa come ren- dere ragione, c s'immagina che
forse il poeta alluda ad un albero, eh' era in mezzo al sacro bosco
del Tempio dì Diana in Grecia. Quando un fuggitivo si era colà
ricoverato, e poteva svellere un ramo di quel!' albero gelosamente
cu- stodito da' Sacerdoti , egli aveva l'onore di bat- tersi con un
di loro a colpi di pugno, e le gli riusciva di superarlo, veniva ad
occupare il su* posto . Questa spiegazione, quantunque troppo lontana
dal soggetto, fu dopo Servio ammessa di emìa Uh
«Lvm.fj7.iit. 10 mancanza d'altra migliora dall'Abate Banier
11 migliore interprete delle favole antiche. Ma io penso che questo
ramo rappresenti la corona di mirti , di cui , secondo lo Scoliaste d'
Aristo, fané nelle Rane , ornavansi gì' iniziati nella celebraiion de'
misteri!. Primieramente perchè di- ce, che il ramo d'oro è consecrato a
Proserpi» ni, «da lei era pure consecrato il mirto. In tutta questa
favola si parla solo di Proserpina, e niente di Cerere , e perchè si
descrive V iniziazione come un'attuale discesa all'Inferno, e perchè
quantunque nella celebrazione delle Cere* uionie misteriose s'invocasse
anzi Cerere, eh Proierpina, questa però sola presiedeva agli spet-
tacoli , ed il libro VI. dell' Eneide non contie- ne , se non la
descrizione degli spettacoli rap- presentati ne' misterii . In secondo
luogo la qua- lità pieghevole di questo ramo d 1 oro , lento vi-
mine , rappresenta benissimo i teneri rami del mirto. In terzo luogo sono
le colombe di Venere quelle , che dirigono Enea verso 1' albero :
dum maxima] ècroi Matctnas agnoicit avei . . Esse volano
verso l'albero, vi si fermano corner se fossero avvezzate. L'albero
apparteneva alla famiglia , questo era il sito , ove posavano eoa
piacere , perchè il mirto era consecrato a Venere : Sedìbut optati
s gemina mfer arbore sederti (r)
Eneid. Lib. VI. veri. (») 1. e. ver». *oj. Ma iti qtleHo passo trovasi
ancor più di lellez- ?a e di aggi urtai ez za di quello elle a prima
vi- sta apparisca . Imperciocché non solamente il mirto era sacro a
Proserpina , come insegna Por- firio lib. IV. de abstinentia, egualmente
che a Venere; ma le colombe erano sacre ancora a Proserpina .
Preso eh' ebbe il ramo e coronatosi di mir- to, Enea entra nella
grotta della Sibilla : Et vath portai sub nBa Syèìllé (t). E
ciò dinotava l'iniziazione a 1 piccioli ttìttèruf poiché nella Orazione
XII. insegna Dico Grisotomo, che facevasi in una . piccioli e stretta
cappella come può supporti la grotta della Si- lilla. GH iniziati he'
piccioli misteri! cViiamavansi Misi ce . Poscia la Sibilla conduce linea
al sito d'onde doveva scendere all'Inferno: Hit iBìs propen
extquhuT practpta SyBilla (ij. Ciò significa l'iniziazione he' gran
misteri i , pi" iniziati de' quali chiamavansi Epopta . Questa
iniziazione fassi di notte . Il luogo simile a quel- lo , dove Dione dice
, che celebravansi t gran disteni, è un Duomo mistico di una
grandez- za e di una magnificenza maravigli osa : Spttttnca
alia fuìt, vasloqut immotili blatH Scrupia, tuia iecu nigre nmorkmqtu
ttntbrit (j) Ecco come descrive)! l'accoglimento fatto ai ENEA {Sub
pedièus mugire niam , & fuga tapt* moviji Silvarum , vistque canti
ululare per umbram , Adottami* Dia . Procul o procul M profani ,
Conclamai Vaiti , loloquc abiliti" 'uro (l) . Claudiano fa un»
descrizione semplice t senza artificio del principio di queste
formidabili ce-> remonie , da cui apparisce, questa di Virgilio
essere un'esatta descrizione dell'aprirti U scena de' misteri! E-li
sul principio del Libro I. del rapimento di Proserpina imita la sorpresa
e lo stordimento di nn iniziato, e gettasi, per eoli dire, corno U
Sibilla in mezzo alla scena: furint aniro je imnhtit, aperto
Grtssui ttmiruttt profani.. Egli sgrida come estatico ;
Jam furor bumanos nostro de pt8ere reiuut Expulit Jam mibi
ctrminiur (rtpidit delubro movirt Sedibts, O elaram dispergere fulmina
tutti*, .y Adoemum testala Dei.- fam maga*! ab imìi Auditur fremitus
Irrris templumque remugit Cecropidum; sanBasque faets extdlit
Eleusu, pingue, Triptotemi stridunt & squammea curva {il Enrid.
lib. VI. mi». >5i> e segg. <>) l «• »** <(J Cluni, lib. L
vets. 4. Colla kvma.. (l) Ecce frocul ternij Utente variata
figuri? Ex»h*r (1) Molto lene s* accordano queste dae
descrizioni con Je relazioni degli antichi Greci autori in tal
propolito, se considerali l'idea generale da- taci da Dione nell'orazione
XII. cori queste pa- role : " Coi) succede allorché conducesi un
Gre* ,, co od un Barbaro per essere iniziato in un certo
Duomo mistico di grandezza e di mignificenza mirabile, dov' egli vede varii
spettacoli mistici, e lente nello stesso tempo una „ moltitudine di voci,
dove la luce e le tene- „ bre alternativamente appariscono ad eccitare
vajii movimenti ne' sensi di lui, c dove gli „ si presentano
dinanzi mille altre cose atraor- Quelle parole viso canes ululare
per umbram fono chiaramente spiegate da Platone ne' suoi acolii
sopra gli oracoli di Zoroaitro. Questo è „ l'uso, dic'egli, nella
celebrazione de' misterii, di presentare dinanzi gli Iniziati de' fati- „
tasmi sotto la figura di cani e d' altre Torme e visioni mostruose. Le
parole procul o procul este profani della Sibilla sono una ietterai
traduzione del formolafio uiitàto dal Mlstagogo nell'apertura
de'tniiterìi ; ,'s-ti Bt'faha
e!«d. rie lUp. Prwnp. Hb. L Vm. J. fte. (i) lo iteti, v.
if. L* Sibilla dice ad ENEA, che «'armi di tutto il suo coraggio per
avere a muoversi a combat- tere contro i più spaventevoli ©Igeili ;
Tuqtu invidi vtam, -uagindqu, ,rip t fammi JVW aaìmh opus, Mm«,
nunc pefore firmo (i). E infatti troviamo ben presto l'Eroe
impegnato in un combattimento: Carripit bic tubila inpidus fm-mìdine
firmm JEnts, tniSamque acitm wniintib** ofcn (2). . Tale appunto ci
rappresentano gli Anticlù l'ini- ziato nel principio deJle ceremonie .
" Entrando „ net Duomo mistico, dice Témistio Oration. in. „
Pattern, si riempie di spavento e di orrore, „ ed il suo animo ha occupato
daila inquietu- „ dine e dal timore. Egli non può avamara „ un sol
passo, e non «a come entrare nel di- „ ritto cammino che lo conduce al
luogo, dc-i „ ve vuol arrivare finoattantocliè il Profeta '(Vaies) 0 il
condottiero apra il vestibolo del „ Tempio,,. Proclo sovra Platone PhxA.
libr. III. e XVIII. dice; " Come ne* santissimi misterii „
prima che si apra la scena delle mistiche fun- « lioni, l'anima
déH'iniiiato I .orpreaa da spa- „ vento } eoil ec. t j Poco dopo si
spiega la cagione dello spaven- to di Enea, e lo vediamo involto fra
tanti ma- li reali e immaginari» di questi vita, e di tut- te le
malattie dello spirito e del corpo e dì (> E«i4 Lib. VL vtrs. >*•.
Ut. (», L a *n. „ 0. «1. tutte le terribile! visu forma de' Centauri
, del* ]e Sciite, delle Chimere, delle Gorgoni e delle Arpie- Ecco
ciò che Platone chiama nel luogo eitato c'Mo'kot* t»'( fiopeaV
e«^t«V(/«t* forme e vi- (ioni mostruose, che vedevansi peli' i egre sjo
de* ju i steri i . Celso, come nel vero libro IV. scrive pcntro di
lui Origine , dice, che i fantasmi me- desimi si presentavano nelle
cerimonie di Bac- co. Secondo Virgilio incontravansi nell'entrata
Vestibulum ante ìpmm , e c'insegna Temistio che il vestibolo del Tempio
era il Teatro di fante visioni orribili vi tì?*t* Teff ««off. Interrom-
pe il Poeta la sua narrazione nel)' aprirsi di que- sta scena , e quasi
volesse fare solennemente la propria apologia, grida; Di,
quibus imperium est animrrum umbraque siteniei Et ebani & pbiegetbon
teca noEle liltntia tate , Sh mibì fas nudità hquì , ih nuvnìnt
vtitro Pandcre rei alta ttrra & rsligine menai Egli sapeva
d'impiegarsi in una impresa empia , poiché tale credevasi la rivelazion
de'misterìi. Ciaudiano nel «ovracìlato Poema dove apertamen- te confessa
di trattare de' mister» Eleusini in tempo, in cui più non erano in
venerazione, fegue perù l'uso antico, e cosi si scusa; Di
quib«, ìmmnm (*) Voi mibi sacrarum penetrati* paudìte rerum ,
Et vestii secreta pali, qua lampade Dìtem FU- (i) Elisili. Lib. VI.
v«n. :Ó4. c segg, IO Ciani Lib. J. veri. »g, Fitti t amor, quo duBa
ftroV Prostrpina taptu Peiltdit dolale cbaos , quantasqu* per oras
Sollicito gtrtttrì» erraverit ansia turiu , linde dai* papali s fruga ,
& glandi TtliSa Ceutrit invintii Dodonia qusrcui ariitii (l) .
Se in Roma con tanta severità si fosse punita la rivelazion de' misteri!
, come facevaai in Gre- cia , non avrebbe oiato Virgilio scrivere
questa portimi di Poema. Come per6 trattavasì da em- pio , al dir
di Svetonìo nella vita di Augu- sto C. xeni., quello ebe rivelava i
misterii, Vir- gilio lo fa di nascosto e nel tempo stesso si giù-
sii Rea presso coloro che potessero penetrare il suo disegno. Intanto
l'Eroe e la guida conti- ptiano il loro viaggio: l lbant
obscuri sala sub naBt per umbram Perque demos Ditis vacuas & inania
regna; Quale per ìnctrtam luna-m sub luce maligna Est iier in
lilvis , ubi ectlum condidìt umbra Jupiier, & rebus nox abslulit atra
colorem (2). Questa descrizione mi fa sovvenire dì un passo
di Luciano nel suo dialogo n/pivw. e del Tiranno. Andando insieme all' altro
mondo una compagnia dì persone di condizioni diverse , Mi- cillo
grida: " Ah! come qui e oscuro I Dov'à il bel Nagillo! Chi distingue
adesso la belleiza di Simiche e di Prine? Tntto qui ras- „ somigliasi:
tutto è dello stesso colore, non li possono fare confronti. Lo stesso mio
vecchia Citai. 1, c veti. 1;. te. Eneìd. lib. VI. veri. mantello,
che si Imito tra a vedere, adesso „ è tanto bello, quarto la porpora di
sua Maetà, eh' è qui in nostra compagnia. In verità „ 1" un e
l'altra tono svaniti ai nostri occhi, e ,, nascosi sotto lo stesso velo.
Ma amico Cinico dove sei? Dammi la mano. Tu che sei iniziato ne' misterii
Eleusini , dimmi un poco: non rassomiglia questo al viaggio , che
facesti all'oscuro? Cìnico: Oh affatto affatto . Guarda una delle furie
che -viene dal di lui seguito con le torcia accese in mano e col
suo terribile sguardo. Giunto linea in sulle rive di Cocito stupisco
in vedere tante ombre erranti intorno di questo £ume , è in atto d'
impazientarsi perchè non vengono tragittate, e intende dalla sua
condut- trice, esser quelle ombre di persone insepolte, e perciò
condannate a errar qua e là sulle spon- de del nume per lo spazio di
cent'anni prima di poterlo passare: H*C cmnis i guani cernili
inopi inhumataqul turba m Portitor Hit Ciana; hi, quo: tithit unda,
irpulii , Net rlpai dal tir horrtndas , ntc rauca fiutila
Transportart prius, quam ssdibui oisa quierunt; Ctmsm trranr annui ,
volitantqui hxc litiora circitm , Tum demum admìiii stagna txopiata
revhunt. Ni crediamo, che quest'antica nozione sia sta- ta del volgo
superstizioso: ella è una delle in- venzioni più serie defili antichi
Legislatori dì W EneiA Lib, VL vus. jjj. « ssg^. «ver saputo
imprimere qnesta idea nello spirito dei popolo. Ma può dubitarli, .che
loro non debba attribuirsi, poiché viene dagli Egiziani. Questi gran
maestri di sapienza pensarono, dia mollo giovasse alla sicurezza de' loro
cittadini la pubblica e solenne sepoltura de' morti, senza di che
facilmente e impunemente si potevano rem' mettere mille secreti omioidii
. Quindi introdussero il costarne de' pubblici funerali e pomposi C'insegnano
Erodoto e Disdoro di Sicilia, che l'esequie si facevano presso gli
Egiziani con più ceremonie di quello che si masse da altri popoli. Ma per
più assicurarne l'usanza con un mo- tivo di Religione oltre quel del
costume, inse- gnavano al popolo , che i morti non potevano
giungere al luogo del loro riposo nel!' altro mon- do prima-che in questo
non fosseio. loro fatti gli onori del funerale j la qual condizione
deva per necessità aver portati gli uomini ad osser- vare
seriamente tutte le ceremonie dei funerali. Con che il legislatore
otteneva il- ano intento, ch'era la sicurezza del suo popolo. Questa
no- zione si sparse tanto e tanto profondamente s'im- presse nello
spirito degli uomini, che queJtoj che di essenziale vi era in questa
sop^tizione si conservato sino al presente nella maggior parte
delle genti colte . Se ben si ridette, ì) avvi una cosa, la quale ben dimostra
di quanta importanza credevano gli antichi che fosse ìa se- poltura
de'morti. Omero, 5ofocle ed Euripide sono senza dubbio i più gran Poeti
tra Greei. Ora, secondo l' osservazione de'C/itici , nell'Iliade, nell'
Ajace, e ne' Fonici I trovasi una viaio sa crjnlinnazion della favoli, e le
vien retta I' uniti dell'azione colla celebrazione dt' funerali ài
Patroclo, di Ajace, e di Polinice . Ma non rifl: -l'ino questi Critici
elle gli antichi risguar. davano l'isequie. come una parte
inseparabile delia tocidì, e della morte di un uomo. Quin- di
qu'.aii gran Maestri, dell'unità e del dovere non potevano erodere finita
l'azione, prima che non si l'ossero compiuti gli ultimi doveri
verso oVmnrti 11 legislatore degli Egiziani trovò un altra
vantaggio in questa opinione dtl popolo sulla, necessità de' funerali pel
riposo de' morti , ed era di dare un castigo a' debitori, che non
pa- gavano, da cui nasceva alla società un consi- derabile vantaggio.
Imperciorrhe invece di seppellir vivi i debitori che non pagavano, come
generalmente si usava tra barbari, gli Egizii , popolo colto ed umano,
fecero una legge, che comandava di lasciare insepolti i cadaveri di
questi debitori, Si noi sappiamo dalla storia che il terrore di questo
castigo produsse l'effetto, che bramavano. Pare elle siasi ingannato il
Mar- sliani nella sess. IV. §. III. del suo Catone Cronico, supponendo
che questo divieto di seppellire avesse dato luogo alla opinione de' Greci,
i quali credevano ch'errassero qua e là gli spiriti degli insepolti
mila terra. Laddove la natura stessa della cosa dimostra chiaramente la
legge essere fondata su questa opinione, ch'ebbe la sua origine
dall'Egitto, e non l'opinione sulla, legge, essendo questa opinione la cosa
sola, chej alla legge dai- potesse qualche autorità. Ché Se il Poeta
non avesse creduta la cosa tanto importante, egli non vi si sarebbe
coti lungo tempo fermato, non l'avrebbe di poi ri- petuta, non
l'avrebbe espressa con tanta fot**) nè avrebbe rappresentato il suo Eroe
pensoso « sommamente attento alla medesima: Cunstitit Aitcèisa
satuj, Gf vestigi» pressi: Multa putans, (aggiunge) sarttmquc animo
miseratiti iniquam. Il pass» è commentato da SERVIO: Iniqua enini
sors est puniri propter alteriut negligentiam ; nequé enim juìs culpa sua
caret sepulcto Qua 1 le ingiustizia-' dice qui Mr. Bayle. Jn una risposta
alle ricerche di un Provinciale toni. IV. Gap. KXir. Era forse colpa di
quelle anime ella non fossero sotterrati i loro corpi? Ma non sa'
pendo l'origine di questa opinione, non ne ba saputo l'uso, e perciò egli
attribuisce a super- stizione 1' effetto di una savia politica. VIRGILIO colle
pai-ole Sortem itllquatn intende, che in que-» sta civile istituzione ,
come in molte altre, un bene generale sovente diventa un male per
un particolare. Alle rive di Cucilo vedevasi Carolile con la sua
barca. Sono persuasi tutti i dotti, che costui era veramente un Egiziano
esistente in car- ne ed ossa. Gli Egiziani non men degli altri
popoli nelle descrizioni delle cose . dell' altro mon- do prendevano
l'idea delle eose di questo fami. £0 Mi Lib. VI. TOt.|ii.jia. jlìari .
Nelle fero funebri ccteinonie , che pres- so loro erano *di maggiore
importanza che pres- so le altre nazioni, come osservammo, usavano
ai trasportare i corpi dall'altra parte del Nilo per la palude, ossia
lago Acberonzio, e niettevansi incerte, volte sotterranee. Nella loro
lin- gua il barcaiuolo chiamaTaii Caronte. Ora nel- le descrizioni
dell' altro mondo , clic facevano ne' loro miiterii, era cosa molto
naturale prender l'idea da ciò , che faceva*! nelle ceremonie fu-
nerali . Sarebbe facile il provare, quando bisognane, clie gli Egiziani
cambiarono in favole queste cose reali , e non già i Gxeci , come
ta- luni hanno pensato. Passato ch'ebbe il fiume, Enea si trova
nel- la regione de' morti : il primo incontro spaven-toso se e il Cerbero
: Hit ingens latrata regna tri tauri Personal, adversa ricuBans
immani s in entro. Questo veramente è \\ fantasma dei misteri! , che
sotto il detto del sovrastato Catane appari- va sotto la figura di un
catte kWì* ; e nella fa- vola di Ercole sceso all'Inferno, che altro
non significa, se non la tua iniziazione a' ni i steri i , si dice
ch'egli andò all'Inferno per di là con- durne Cerbero. La region
dell'Inferno era divi- sa in tre parti secondo Virgilio: il
Purgatorio, l'Inferno, e i Campi Eliti i . Dcifobo , ch'era nel
Purgatorio dice ; Ditcedam, txpltèo numeram ttddaraue ìimbris (l)
. (i) Eneid lib. VI. veri. 417. 4l 8. L e. T«t. j«- Di Teseo ch'i
nel fecondo si dice: itdit alirrji<mqiit stdtbit
Infcl.x TitJtUt (l). Nei misteri! queste regioni erano
precisamente divise nella stessa maniera. Platone nel Fedone parla
delle anime, che sono sepolte nel fango e nelle sozzure, e che devono
stare nel fan-o e nelle tenebre fino a che si purificano per un
lungo corso di anni, come qui insegna Virgilio . E Celso, come nel libro
Vili, riferisce Orio- ne, dice che ne' misterii inseguavasi la
eternità delle pene. Ciò , che qui merita osservazione e che
mol- to serve al disegno presente si È che le virtù e i vizj
annoverati dal Poeta, e che popolano que- ste tre regioni sona
precisamente quelli , ch« hanno più relazione alla società. Quindi
bene scorgesi che Virgilio aveva le stesse mire, eh' eh- bero ne'
mìsterii gli institntorì. Il Purgatorio, eh' è la prima, divisione è
po- polato da quelli , che hanno uccisi se «essi, dagli stravaganti
innamorati, da' viziosi guerrie- ri, in una parola da quelli, che
lasciato libero il corso alle loro violenti passioni erano piutto-
sto infelici, che sfortunati. E notisi che tra questi trovasi un iniziato.
Ctrtrìqut sacrum Volybettn Insegnavasi pubblicamente ne' misteri; , che
sen- za la virtù, l'iniziazione a nulla serviva; lad- EmiA lib. vL
tot. t,j. <„ 1. e. dove gli iniziati , che attaccatami alla
pratica delle virtù avevano nell 1 altra vita molti vantag- gi
sopra gli altri. Di tutti i disordini, che li puniscono nel Purgatorio,
niuno più pernicioso alla società dell'omicidio di se medesimo. Quindi la
condizione infelice di tutti questi omicidi si nota più distesamente di
tutte le altre: Prima dande trneni matti (net, qui liii
Ittbum liticarti peperere menu, iucemqia pittisi Projicirt animai .
Quam vtllenc ctètre in alta Nunc & paupiriem, & dumi per/erre-
labore: Prosegue esattamente il Poeta cib, che insegna- tasi ne' mister»
, dove -non solo proibì vasi il dar la morte a «e stesso, ma spiegatasi
ancora la cagione di questa colpa . I discorsi , che ci ven- gono
fatti continuamente nelle ceremonie , e uè 1 tuisterii, dtCe Platone nel
Fedone, che Iddio ci ha messi in questa vita, come in un posto, che
senza di fui permissione non dobbiamo giammai abbandonare, possono essere
troppo difficili per noi a sorpassare la nostra capacità.
Tutto va bene sin qui. Ma che diremo dei fanciulli e degli uomini
condannati ingiustamen- te , che il Poeta mette nel Purgatorio T Non
è così facile Io spiegare, perchè colà sieno queste due sorta dì
persone, e lì commentatori taciotio al solito su questo soggetto. Se
consideriamo il caso de' fanciulli vedremo impossibile renderne la
ragione, se non con questo sistema. Eneid. Lib. VX Tcn, 414. e
«gg- il Contìnua anditi vocei , vagilài & ingerii
Infamumque anime fieniej in limine primo ; Quqi dulcit vile exorlis ,
& ali ubere rapini Abstulh atra dies , & funere menit
acerba. Queste par che {onero le grida e le lamentazio- ni che
Procolo nel Litro X. della Repubblica di Fiatone, dice che sentivansi ne'
misteri! Bisogna solamente indagare l'origine di una si straordinaria opinione.
Io credo, che questa sia un’altra institniione elei legislatore destinata
alla conservazione de’ fanciulli, come 1’institurioni de’ funerali è destinata
alla conservazione de’ padri- Niuna cosa poteva più impegnare i pa. dii
nella cura della vita de* loro figliuoli , <ju au- to questa terribile
dottrina. Né si dica , che l'amore de'padrì è per se stesso
bastevolmente possente, e non ha bisogno di nuovi motivi, che loro
suggeriscano di conservare ì loro figliuoli. Si sa che l'uso orribile e contro
natura di esporre ì figliuoli era tra gli antichi universalmente stabilito, ed
aveva questo del tatto svelti dal cuore i sentimenti di natura, e quel-
li ancora della morale. Bisognava a questo disordine opporre un forte riparo ed
io nino persuaso che i magistrati abbiano usato questo artificio di far credere
nel Purgatorio i fanciulli jnortì in tenera età per islabilire l'
instiluto e ravvivare ì naturali sentimenti, ch'erano quasi «tìnti
. In fatti niuna cosa era più degna della (ij Eneìi Lib. VL Ven, ^t, e
Kg*. vigilanza de' t»agistr*ti ; poiché, cerne saggia-
jneuta dice Pericle della gioventù " distruggere i fanciulli è
lo stesso che togliere dall'anno la primavera. Qui pure scandalezzas'i
Mr. Bayle nel luogo addotto di sopra La prima cosa, die* egli, die
incontratasi nell'ingresso dell'Inferno era il luogo de'fancinlli elle
continuaniente piangevano, e poi quello delle persone ingiustamente
condannate a morte. Clic liawi di più. irragionevole e scandaloso, s
, quanto la pena di queste picciole creature , che non avevano commesso
ancora peccato alcuno, e la pena di quelli, l'innocenza dei quali era
stata oppressa dalla calunnia ? Ab- biamo spiegato ciò die risguarda i fanciulli,
esamineremo il. restante dell'obbiezione . Ma non è da stupirsi che il
Bayle non abbia potuto digerire questa dottrina intorno a' fanciulli,
imperciocché forse il gran Platone medesimo se n'è scandaleizato.
Riferendo *gli nel X. della Repubblica la visione di Ero di Panfili*
intorno la distribuzione de' castighi e de' prernii dell'air tra
vita, quando arriva a parlare de'Ia condir zione de' fanciulli j
s'esprime in questa maniera ben degna da osservarsi : " Ma riguardo
a quel? ,, li, cha rouojono in tenera età, Ero diceva cose che non
meritavano d'essere ricordale. Il racconto di quanto tiro vide nel]' altro
mon- do è un compendio di quanto gli Egiziani insegnano in questo
proposito, a non dui»'» punto che la dottrina de' fanciulli nel
Purgatorio fosse ciò che non meritasse essere ricordato . Piatone se ne
offese, perchè non riflettè sulla •ligio*, sull'uso «ti questa
dottrina, come lo abbiamo «piegato. Bisogna cercare un'altra
soluzioni; per quelli clic ingiustamente erano condannati, a questa
k la Maggior difficolta dall'Eneide.- lini juxia falso
damnati crimine morti i . JW viro bit line soni d*t* , irne judiee icdts
: Quciitor Mimi uraam tnmet : Me sihntum 'Concilittmque -uoeat ,
vitaique & elimina discìt. Sembra queata essa una gran confusione ed
una grande ingiustizia. Quelli che sono ingiustamen- te condannati
non solo trovatisi in un luogo di pene , ma dopo essere tutti
rappreientati «otto la medesima idea sono poscia distinti in due
classi, 1' una da' colpevoli e l'altra d'innocen- ti. Per inviluppare
questa difficoltà bisogna ri- cordarsi la vecchia storia riportata da
Platone nel Gorgia. Al tempo di Saturno aravi una legge intorno agli
nomini, e sempre osservata dagli Dei, che quando un uomo fosse vissiuto secondo
le regole della giustizia e della ,, pietà, era dopo morte trasportato
nei!' isola de' Beati, dove godeva di tutte le felicità ,, senza
una di que' mali, che tormentano gli „ uomini : ma quegli eh' era
ingiusto ed empio era gettato in un lago di pene, prigione dcl- ,,
la divina giustizia chiamato il Tartaro. Ora „ al tempo di Saturno e sul
principio del regno di Giove, i giudici , cui era commesso (»J
Eneid. Lib. VI. veri. 43I. < ttgg. ,, 1' eseguir questa légge , erano
semplice mente „ uomini , che giudicavano i vivi e stabilìvan» „ a
ciascuno il luogo e il giorno , in cui do- ,, ve vano morire. Quindi
nascevano molti giu- tt dìcii ingrusti e mal fondati: perciò
Plutone, „ e quei ch'erano alla custodia delle Isole Bea- te
andarono a trovar Giove, e gli lappresen- „ taro no che gli uomini
discendevano ali' Inlev- „ no mal giudicati, non meno quando venivano
assolti, che condannali. Allora il padre M degli Dei rispose : io
liuiedierò a questo dìsordine. I falsi giurflciì nascono in parte
dal corpo, onde sono involti i giudicati, perchè ti giudicano
ancor viventi. Malti di essi sot- to una bella apparenza nascondono
un cuora „ corrotto, la lor nascita, le lor ricchezze in- „ gannano
, e quando vengono per essere giudi- cali, trovano facilmente i
falsi testimoni! della loro vita e de' loro costumi . Questo
è ciò, che rovescia la giustizia, ed accieca i „ giudici. Un'
altra cagione di questo disordine si è che i giudici medesimi sono
imbarazzati ,, da questa massa corporea. L' intelletto na- „
scondesi sotto il manto degli occhi e della I, orecchie , e sotto
l'iutpenetrabil velo della carne: ostacoli tutti , che impediscono
ai giu- dici di giudicar rettamente. In primo luogo ,,
adunque io farò , che i giudici non sappiano H preventivamente il giorno
della morte, e or- dinerò a Prometeo di loro togliere questa
prescienza. In secondo luogo poi farò sì, che t , quelli, i quali
verranno ad essere giudicati, „ flieno spogliali di tutto ciò che li
cuopre, e t , in avvenire saranno giudicati Bell' altro moa- do. fcl
cnuie saranno eiii totalmente spogliati è ben conveniente che tali sieno i
loto gin» „ dici , perchè all' arrivo di ogni novello abi- „ tante,
che viene libero di tutto ciò die circondollo sulla terra , e lascia addietro
tutti 1 suoi ornamenti, possa l'anima vedere ed ei« sere cosi in
istato di pronunciare nn giusto „ giudicio . Quindi comecché io non aveva
pre-r t , veduto tutte queste cose, prima ohe voi ve ne accorgeste
, ho pensato di metter per gìu- ,, dici i miei proprii figliuoli . Due di
questi „ Minoase e Radamanto sono Asiatici , Europeo „ è il terzo
Baco. Quando morranno avranno i loro tribunali nell'Inferno, appunto nel
mezzo del aito, che si divide in due strade, 1’una delle quali conduce all'
Isole Beate, l'altra al Tartaro. Radamento giudichi gli ,, Asiatici.
ttaco gli Europei, ma a Minosse io „ db una suprema autorità ; egli sarà
giudice di appellazione, quando gl’altri saranno dui»- Luisi in
qualche caso oscuro e difficile, affinehè con tutta equità possa a ciascuno
assegnar- „ 9i il luogo dovuto „ . La materia comincia cos'i a
dilucidarsi. Egli e chiaro, che parlando il Poeta dei falsamente
condannati, allude * quest' antica favola . Quindi per le parole
falsa damnati crimine mortis Virgilio non intende, come potrebbe
immaginarsi, innocente! addirli ob infetta* calumnias , ma homines
indigne & perperam adjudicali, assolti o condannati che fieno .
imperciocché pronunciando i giudici più sovente sentenza di condanna, ebe
dì assoluzione mentii per figura la maggior parte pri tutto . Forse Virgilio
aveva scritto: Hos juxta fal- so damnati tempore mortis; onde
segue: tftc viro. h<e line sarte data, sìne /«die* stdes
(i), Vitaiqye & crimine discit. Accordandosi con questa spiegazione {
la qual suppone una mal data sentenza sia di assoluzione o di condanna )
la conferma nel tempo stesi so, e tutto ciò è ben legato con una serie
con- tinuata. Resta una sola difficoltà, e,' per dire il vero ,
ella nasce piuttosto ila una negligenza di Virgilio, die di chi lo legge.
Troviamo que- ste persone mal giudicate messe di g.à con altri
colpevoli in un luogo destinato per essi , vale a dire nel Purgatorio. Ma
per inavvertenza del Poeta sono mal collocati ; poiché vedesi dalla
favola , che dovrebbero essere messi sul confine delle tre divisioni ,
dove la grande strada si par- te in duo l'una che conduce al Tartaro e
l'al- tra agli Elisir, che Virgilio descrive cosi: Bit focus
est , parti; ubi se via findir in améas , Desterà qua D 'ilis magni sub
mania tendi! : lìec iter Elysium nobis : et ini* mahrum Exercet
panar, & ad ìmpia Tartara mietil Ricercando il principio e l'origine della
favola io penso così. C insegna Diodoro di Sicilia , che usavano
gli Egizii di stabilire alcuni giudici al- la sepoltura di tutti i
particolari , per esanima- to Eneid. Lib-VI. ras. 4 ;i. (.) j. c . T
er<-4!i- (j) t c. i4 a. t «g E . re la loro vita e condotta ,
-onde sì assolvessero o co ad annaserò secóndo le favorevoli o toni
ra- ri u testimoniarne ctie. avessero. Questi giudici erano
Sacerdoti , e pretendevano che le loro sentente fossero ratificate nel
soggiorno delle om- bre. La parzialità e i regali forse ottennero
col tempo ingiuste sentenze, e il favore particolare vinse la
giustizia. Di che potendosi scandalezza- re il popolo, fu creduto a
proposito dare ad in- tendere ch'era riserbata al Tribunale
dell'altro mondo la sentenza, che doveva decidere della sorte di
ciascuno, se io non m'inganno; quin- di ebbe origine la favola generale .
Havvi però una circostanza , di cui norr si pub rendere pie-
namente ragione , cioè " de' giudici che in que- ,, sto mondo
pronuncian sentenza, predicono il „ giorno della morte del colpevole,
dell* ordine ,1 dato a Prometeo di abolire la loro giurisdizio- ,>
ne, e privarli di questa prescienza. Per la che intendere, supponiamo ciò
eh' è probabile, che il postume riferito da Diodoro fosse nato da
un altro mo più antico, cioè, che i Sacer- doti giudicavano i colpevoli
in vita per delitti, di cui il tribunale civile non poteva rilevare
la verità. Se cos'i è , ne nasceri che per la predi- zione della
morte del colpevole a' intenderà la pena della morte, a cui veniva
condannato; e Prometeo che toglie loro il dono della prescien- za
vorrà dire, che il magistrato civile abolì la loro giurisdizione. Questo
nome di Prometeo ben conviene al magistrato, il quale forma lo
spirito ed i costumi del popclo colie arti neces- sarie alla pubblica
felicità . Ecco secondo il mio 48 parete,
l'orìgine della favola di Platone ; e pa- re infanti ch'egli intendesse
cosi , poiché facen- dola/accontare da Socrate , gli (a dire : "
Ascòl- „ late un famoso racconto , clic voi forse tratterrete da favola;
ma per me la chiamo una il vera storia. Io spero di avere con questa
spiegazione sod- disfatto , la quale era necessaria per le osserva-
lioni fatte in tal proposito da Mr. Addisson Voi. II. in un discorso
espressamente composto per ispiogare la discesa di Enea all'Inferno.
" Veggonsi , dice questo celebre autore, i caratterì di tre sorta di
persone situate a'eon- ni: ni saprei dire la cagione, perchè
cosi particolarmente collocate in questo aito: se „ non fosse,
perchè non pare ch'alcun di loro „ dovesse essere collocato tra morti,
non aven- „ do ancora compiuto il corso degli anni asse- D 8 nat
'S'> sulla terra . I primi sona le anime ,i de' fanciulli levati dal
mondo con una morte „ immatura : i secondi sono gli uccisi
ingiusta- „ mente con una iniqua sentenza: in teno Ino- „ go quei,
che lassi dì vìvere, sì sono da se „ medesimi uccisi ma Trovami poscia due episodii 1' nn sopra
Didone, e l'altro sopra Deifobo, ad imitazione di Omero, ne' quali non
evvi alcuna cosa al mio proposito , se non fosse l' orribile descrizione
di Deifobo, il cui fantasma rappresentato mutilato ci dimostra,
secondo la filosofia di Platone,, che i morti non solo conservano tutte
le passioni dell' anima , ma i segni ancora e i difetti del corpo
.Passata eh' ebbe Enea la prima divisione, ar» riva si confini del
Tartaro , dove gli viene di- spiegato tutto ciò che riguarda le colpe e
le pene degli abitanti in questi luoghi terrìbili. La sua
conduttrice lo instruiice di tutto, e per fargli intendere l'ufficio del
Jerofanta» onta in- terprete dei misteri! , co»l gli dice i
«•' Dm intlytt Ttucrmn t . Nulli fai. casta tceltratum iati
litri .limta i Std mi , tura luci! Uicati prarfteit Avermi » Ipsa
Dtum panai datai t , perqm omnia duxìt (i) Osservisi che ENEA vien condotto per
le regioni del Purgatorio, e dei Campi filili! , ma che il Tartaro
gli ri fa vedere da lungi, e ne dice la cagione la sua condottrice
t Ti.m dimum borritone ,tridtntei eardine iter*
Panduntstr porte . Cernii custodia qualij V estibulo stdeat?
fatiti que Unum* itrvtt? (i) Negli spettacoli e nelle
rappresentazioni de' mi- sterii non poteva essere difesamente . I
colpevoli condannati alle pene eterne iono primiera- mente coloro , che
per ischi vare il castigo de' ma- gistrati avevano peccato
aegretamente: Gnotsius htc Rhadamantui baiti durissima tigna,
Cairigatqui, aud'stqui dolci, tuéigitqui fami, Qua; quii «pud Superai
farlo Ulatui inani. Distaili in itram commina piacula mortem. Endd. lib.
VI. re» jfc. c"il^ {,) 1. £ . T(n . K . (3; L e. ma. j«.
tt. d Appunto per quelle colpe e«e»«o i legiilatori
d'inculcare il dogma delle pene dell'altra vita; In scendo luogo
fili Atei , che prendevano a icheruo la Religione e gli Dei :
Bit 8W **ti9**f urr*Titdnià fui" (i). Il die era conforme alle
leggi di Caronda, che al riferir di St-bro strili. XLU. dice; Il
disprez- zo degli Dei ita una, delle colpe pili grandi. Il Pu- ta
pailicolarnirnlv insiste, su quella specie d'empirti, perei gli uomini
pretendevo.» gli onori dovuti agli Dei t V 'idi & erudita
dansim Salmaaia panar , fìum Ji«mma,-Jbvii, & -tmitut imitttur Oìymfi
(l) Sema dubbiò egli voleva censurare l'Apoteosi, che già incorni oci ava
ad introdurli in Roma ; ed io credo che nella Ode III. del Libro!.,
del- la quale il «oggetto «.Virgilio, abbia voluto Orario
rimproverare questa MB* a' mai ..citta- dini: . Calum ipsxm pitimus
stùtiitìa Wtfw Tir nostrum paiimur stilili Iraconda Jbvtm
ponete fulmina (j) - In quarto luogo" i traditori, e -gli
adulteri, che duo perturbatori dell* salute pubblica e pri- vata
i Quiqut ab kMteriltm erti, quiqut arma secati Impia ; nec
viriti àomm-runi fallire Uixsr. s , M tntid. lìb vi- mi. s ao. u) L c wn.
jij. j«- (riHorit.ivivttnl.ee. lucimi panarti euptclant (i) Vendidit
hic aura patri ani , daminumquC pitentem
ImpOfuit, fixit legai prstio a'tque rtfixir, Hic thtlamum
invaili.,., velitojqw hymenxos.(& . È degna di osserva/ione non dirsi
solamente gli adulteri, ma ancora gli uccisi per cagion di.
adulterio; per far intondere che dinanzi, al tri- bunale della giustìzia
divina -non bastano a punir questa colpa i castighi umani anidra i jiiù
-severi. La ijMott*-ed uitira»-«p»cie tn-cqlpewiiii sano Vi
intrusi ne' misteri! , e i violatori di e ni , rappresentati tutti e due
sotto il carattere di Teseo :1 s
Sedet <eftrnUmqùl sed&iir \ '
" Infelix Thtsexi, PblttyajqHe rniterrimus orma ' Mmonet
& magna itstsiur voce per umbra: ; Discile jitiiiiiam moniti, &
non lemiere D/oe'j (;).. Secondo la favola Teseo e Piritoo
disegnarono di rapire Proserpina dall' Inferno , ma colti sul
latto, Piritoo fu gettato a Cerbero, « T«eo incatenato, finche da Ercole
fu liberato. Con che ci s» diedi; ad intendere , che clandestina-
mente si , erano, instrutli dei misteri i , e puniti . A questo proposito
mi sovviene una Storia rac- contata da Livio nel Libro X.X.XI, Gli
Ateniesi impegnarono in una guerra, contra Filippo per un motivo dì poca
importanza , in tempo , in ,cui altro non restava loro dell' antico
splen- dore, che la. fierezza . .JSV giorni dell' iuiziazio.
(0 tfc'd. Lib. VI.' tu. <sij. ftfe M L o. ttiMM. *«• *»!• (j» I.
e. * 7 . e »fg. d i „ da, glor.ni MT-i*«W.
>«>• L ,„.«:,., . ™» .•p<«™ k Si ?™"*
culto segreta , entrarono con 1. ™rb. nel leu,- 2 di ferm. «
—ita»—"•>"• «uri .1 Presidente de' miste,,,, e benché
tale chiaro che innocentemente , e per fello era», entrati nel
tempio, furono '•"> m °""' ™" = rei di un enorme delitto
. Forse per Fregi» intendono i popoli deil. Beo-. a ì, dì cui
riferisce Paosania, 1 queir perrron tntt'i dal fulmine, dal terremoto e
dalla peate. Quindi generalmente Fregia »o» dire •£ e.pr. 3 i „crMe
S M. L'officio dato qui • Te.» i. ..orlare alla pietà, a nino megli»,
«M onmeni.a nello spettacolo, de' mr.ter,,, rapp.e- ienl.ndo egli
on. persona, che fjli««« P™'« tìii. Co.1 l'idea noitr. intorno la drsces»
d’ENEA all'Inferno toglie un» difficolti non m», .piegai» da' Critici.
Non et» .(* no officio »~ «1, e r.r«r di propello gridar conimnamen
. air orecchio de' coodaun.ti, che Imparasse™ la pietà e la
ri.ercnra »er,o gli Dei! Qoantonqu. Lesta sentenza insegni una
importanti,....» re. A.', era peri inolile predicarla a peranno ,
eh. più n»n potevano sperare il perdono. Scarrone, che ha impiegato
il suo poco «lento per me*- fere in ridicolo il pii util'Po. ma , che ma,
st» .fato composto, non ha mancato di far. guest» flessa obbietione
: Li itnlmxn i eviene e btlla , Ma all' Infima non Val *iU
Infitti , secondo l’idea comune della discesa d’ENEA all'Inferno, VIRGILIO fa
rappresentare a Teseo un personaggio fuori di proposito. Ma questo
continuo avvertimento diviene il più ra- gionevole ed il più utile,
quando suppongasi (come è di fatto) die VIRGILIO faccia nna rap-
presentazione di cià die facevasi e dicevasi nel celebrare gli spettacoli de'
ìnisterii, poiché in questo caso serviva d' avvertimento ad una
mol- titudine di spettatori viventi Aristide negli Bicaimi dice, che non
mai cantavanii parole più proprie a spaventare , qnanto in questi misterii^
perchè le voci e gli spettacoli insieme uniti, dovevano fare una più
profonda impressione sul- lo spirito degli iniziati". Ma da un passo
ili Pin- daro io conchiudo, elle ne' spettacoli dei miste* rii
(donde gli uomini han prese tutte le idee delle regioni Infernali )
nsavasì , che ogni col- pevole rappresentato nel ano attuale castigo
fa-' cesse agli assistenti una esortazione contro la colpa da lui
commessa; " Volgendosi , son parole di Pindaro, a. Pyth., volgendosi
conti- n nuamente sulla sua rapida-ruota , grida a' mor- ii 'ali )
che sempre situo disposti s confessare la loro gratitudine verso a'
benefattori per le », grazie da loro ricevute „ . La parola mortali
fa chiaramente «edere, che questo discorso fa* «evali agli uomini di
questo mondo. II Poeta cosi finisce il catalogo de' dannati :
Ami amati immane ntfns ausoqne patiti (l) . «) Sncid. ta.VI. ver»,
fi*. d 3 Erìit"~~ a,s,i C,, :,!',i •t™/a e
dell' appro^aiione degli Un. ma era un traodo, che sono estn.lmmt,
"SS"". Punto il Tartaro g™to • «o» 1 "" "S" l
'" tìl, ENEA si purifica: - ... 0,, r J«« "*'». IW
'««"' Entra dopo nel soggiorno de' Beati: Dtvvttrt
Ivor «W» ^ fl "" r '''' T " Vff4 Fun'uw°r«'" nìmotvw,
irdtiqac itti al : Lvgì°* bic campo, etitr, O '«•»'»' " T U
,purta: lOÌemqM luam , s«n Wrr-r nonno" (a) . Cosi
precisamente Temistlo, Orolion. jnPniranj ocsc.iv. P Iniriato nel momento
the i. apre » ecena r " Essendosi purificato , scuopresi ali mi-
„ ilato una legione tutta illuminala e rtsplen- „ dente di una ohiareaaa
divina. Son dissipate „ in un tempo le nuvole e le false tenebre ,
e „ l'anima trovasi, per cosi dire, dalla piUter- „ libile oscuriti
nel piii chiaro e sereno g.or- „ no „ . Questo passaggio dal Tartaro agli
Elia* fa dire ad Aristide negli Eleusini , die da one- ste
ceremonie nasce nel tempo stesso ed onoro e piacer. , che sorprende . Qui
Virgilio abban- l.jlasld. Lib.V».,.n. «i>. ijsì «>'
"" '1*' « '' IS ' donando Omero, eseguendo la dilettevole
de- crÌzioDe« die nella rappresentazione rie' niisterìi faceva»!
ne'Cauìpi Elisii , schivi» un gran 'difet- to, nel -quale era caduto il'
ano mae>tro , che Ila fatta una pittura sì poco gradevole de' to-
schi fortunati, che non faceva alcuna voglia di vivere in quel luogo :
onde ha rovinato il dise- gno de' legislatori , che mlrvano i popoli
per- suaiì dell' tsistcniS di quel felice soggiorno. Egli introduce
il suo Eroe e favorito, e gli fa aire ad Ulisse, eh' ei vorrebbe essere
piuttosto un semplice artigiano sulla terra, di quello che
comandare nella regione de' morti ; e tutti i suoi Eroi sono egualmente
rappresentati in uno stata infelice. Oltre di che per togliere agli
uomini tutti gli stimoli delle grandi e belle azioni , rap-
presenta la Tama e la gloria, come cose imperi, tinenti e ridicole r
quando erano i più ponenti motivi della virtù nel mondo Pagano, e di
cui non mai bisogna privare gli nomini interamen- te i laddove
Virgilio, che nel tuo Poema non ' avea altro 'fine, che procurare il bene
della -so- cietà, rappresenta l'amore della fama e della gloria,
come tini possente paciose ancora Dell' altro mondo . La semplice
promessa fatta dalla Sibilla a Palinuro di eternare il suo nome ,
con- sola la di lui ombra, hanclrt ti tm>HM»!W (?' infelici: Mtirnumqm
lecui Pali nari nomtn èaèiéit . ììis diciis cura tuoi», puhnsque'parump»r
Corde dolor iriiti : gauJtt cognomini urrà (l) 0) Enrid. llfc. VI, va*. H» !*»•
ì*)- d 4 Queste dispiacevc-li descrizioni dell'altro
auindo, e le porie licenziose degli Dei, It une e le al- tre tanto
dannose alla società, persuasero Plato- ne a bandire dalla Repubblica
Omero. Io queste beate regioni il Poeta, assegna, il primo
luogo a' legislatori e a quei , che trassero gH uomini dallo stato di
semplice natura , « gli ridussero a vivere io società:
Magnanimi Hercu, natii mtliorièus annìs (i). Capo di questi è
Orfeo, il più celebre legislatori d’Europa, ma più conosciuto in qualità
di Poeta . Imperciocché essendo scritte in versi le prime leggi, onde
fossero più facili a rite- nersi a memorie, la favola ci ha .supposto
Or- .feo colla forza della sua armonìa raddolcite i costumi
selvaggi di Tracia: ; Tbrticius lunga cum utìtr Sacndos
Oil'/^uirur nxmtrii septem discrimina veeitm (i) . Egli fu
il primo, che dall'Egitto portò i mi- steri in quella parte d' Europa. Il
secondo luo- ^o è assegnato a' buoni cittadini e a quei, che •i
sono sacrificati per la patria: Hit nfanus ub patriam pugnando
vulnera passi (3). .Trovami in terzo luogo i sacerdoti pieni di
vir- tù e dì pietà; Quiqut Sucrrdmis casti, dum vita mantbat
; Quiaut pìi vaifs , O" fiaia digna lucuti (4>- (1) Eneid.
Lib. VL ras. (i) 1 e. veri. f*s- «4<- (j) L c. ra. Kb. (4, J. C
vers. c fri. (tu *? Essendo necessario il bene della società,
ohe coloro i quali presiedevano alla Religione vivi-s- iero
santamente , e non insegnassero' degli Dei , le non cose convenienti alta
loro natura. L'ul- timo luogo è assegnato agli inventori delle arti
liberali e. meccaniche: Inventai aut qui viram excoluere per ariti
f Quiqut mi mimarti alio! fecere merendo (l). In tntto questo
Virgilio ha esattamente spiegata quanto iniegnavasi nella celebrazione
de' miste* rìi, ne' quali continuamente i oca! cavasi , clic la
VÌrtil sola pub rendere gli uomini felici : le ce- remonie , le
lustrazioni, i sacrifìci] niente vale* yano senza della virtù . Passa
trinami Enea uà gran numero di persone dalle due parti di Stige
: Malrei atque viri defun&aque carperà vita Magnsnimum
herount, patri inuptieqai parila' (l). Sane circum innumere gemei papali
qa; valabant (j ) Aristide c'insegna, che negli spettacoli de' mi- aterii
apparivano agli iniziati truppe in numera, bili d'uomini e di donne.
Per convincere interamente . il lettore della verità drlla nostra
interpretazione, VIRGILIO nota una particolarità , malgrado questa
conformità perfetta tra Io spettacolo da lui rappresentato e qurllo
dV mistcrii . Questo è il famoso segreto àv misteriì , il quale era il
domata della unità (i) E«id. LiU VI. vtrt. Étfj. («4. tu L e. ver*.
jo*. (jtJ.cvert.7c5. (**> fli Dio ,
particolarità , clie se avesse tralasciala Virgili» bisognerebbe
confessare, che quantum quo avesse per fine di rappresentare V
iniziazio- ne a' misterri , non 1' avesse rappresentata perfet-
tamente- Ma egli era troppo eccellente pittore per non lasciare qualche
equivoco nel suo qua- dro. Quindi copchiucie l'iniziazione del -suo
Eroe con fida'n Jogli , come solevasi , i secreti e il dogma
dell'unità. Senza di questo l'iniziato non era arrivato ancora al grado
più alto di perfezione, -e non potevasi chiamarlo già Tf.iìhoths nel
si- gnificato tutto esteso di questa parola. Quindi -il Poeta-
introduce Museo', ch'era stato Jerofan- t» in Atene, e che qui conduce
Enea verso il luogo, -dove apparitagli l'ombra di sno Padre, * gii
insegna' la' secreta dottrina sublime della . perfelione con queste
.sublimi espressioni: Principiti cmlmn ac tèrra! eamposque
liquentts, Lucintemque glohiim Lunr Titnnìaqtte astra' 'Spirilui rteMrr
ai'tt ; TÒtumqitr infitta p'rV àrtui 'Mtnt agitai materni & magno s:
forfore miictti Txtle bominum ptcudùmqite gtitur vititqut velatlnn
, Et qu/e marmoreo feri mostra sub aquari pontus CO - Segue Anchise
«piegando )a natura e l'uso del Purgatorio, il elle non era» fatto -nel
passare di Knea per quella regione. Viene poi alla dot- Irina della
Metempsicosi o trasmigrazione: do^ trina che insegnavasi ne'niistem per
gimlificare gli. attributi morali della divinità. Quest' OSS* 1 Uf Eatid. Ub.VI. vtts.,714. e
tegg. I J N:l'"J il': L.l »9 (o sv^gwwce al Poeta
l'episodio il più belio ci)* immaginarsi potesse, facendogli passare
'dìnan- , come in rassegna la sua posterità , e' cosi fi- Bisce lo
spettacolo \-' '(' I» questo viaggio che fa' l'Eroe per le
tré regioni de' morti, abbiamo dimostrato di uianò ' in mano con
l'-atrtorift- di' qnalelfd 'autore' la conformità de' suoi avvenimenti a
quelli' degli iniziati. Ora tinnendo in.urr putito' solò di vi- sta
le cose' qua * là disperse, diverrà cosi lu- minosa U nostra spiegazione
, elle non potrà pifi dubitarsene; perciò rapporterò un passo
consere vatoci dallo Stobeo nel sermone CXIX. , il qua- le contiene
una descrizione degli spettacoli de' misterii, che 'Si accorda affano
cogli avvenimen- ti di Enca> L'anima prova' nella morte' le pas-
sioni medesime, «he sente nell' iniziazione a' ini- iterii; ed osservisi
che le parole corrispondono alle cose ; Poiché rrttu;^ significa morire ,
e essere iniziato.- Nella prima scena altro non vi è, «he errori,
incertezze, viaggi fatico- si e penosi, e spettacoli fra le tenebre
folte nella notte. Arrivati a' confini della morte, e della
iniziazione tutto appariva sotto un terribi- le aspetto ; " tutto *
Órrortf , ' timore , ' tremore 'e spavento . Ma ' passati' questi'
spaventi sopravvie- ne una luce miracolosa e divina: vaglie piana-
re e prati smaltati di fiori sì presentano loro da ogni parte: inni e
cori di musica dilettano le orecchie loro: sentono le stìblimi dottrine
della sacra scienza, ed hanno visioni sante e veneran- de .. Cosi,
veri ,. perfetti , iniziati, dimeni*"» ione- più ristretti; ma
coronati e trionfanti pai- «o reggia? per le regioni de'Beati,
MmttHli con uomini canti e virtuosi , ed a loro talento ede-
Finito il viaggio torna ENEA con la condotw trice rielle regioni
superne per la porta d' avo- rio . C* insegna esserci due porte , I 1 una
di cor- no , per cui escono le vere visioni , V altra di avorio ,
per cui escono le false : Sunigimine tornili pan* : quorum altèri fenar
ite. (i) E termina t Froiequiiur ditti s (i) . A
questo passo freddamente osserva Servio , stm- plice grammatico, voler
significare il Poeta, che il tutto da lui detto «falso, e nenia fondamen-
to: Vu.lt autem intelligi, falsa <«c omnia qua dixìt. Questa pure è la
spiegaiione di tatti i Critici. Il P. U Rue, che per altro è uno
de' valenti, dice quasi lo stesso; C.um igiturFirgi- lius&nearn
eburnea porta emiitit, indicai pro- feSoj quidquid a se de ilio inferorum
adita. diSum est, in fabulis esse numerandum . PER SIGNIFICARE LA QUALE
OPINIONE SI DICE CHE VIRGILIO ERA EPICUREO, e che nelle sue Georgiche
tratta da favola tutto ciò , che dicesi Jdl' Inferno ! Felix, qui
potui, rerum eognueert c«u !!as , \ Atqut moi UI Bm „ fI & InnorìSift
fatum Sabfidi ptdièut, urephumqu! Mehcrenth nari (;). (0 E« c
id. tib. Vi. veri. B,j. {1) I. e. veri. tft. ti) Graie. lib.II.
virilo, 491,49», Se li* vuol dar fede a coloro , avrà dunque il
divino Virgilio terminata la più Leila delle sue opere in una maniera
ridicola. Egli ha scritto Don per dilettare l'orecchio, ed i fanciulli
nel- le lunghe iceie dell'Inferno con racconti simili alle favole
Milrsiaue ; ma per ì ostruire degli no- cini e de' cittadini , c per
insegnar loro r do- veri della umanità c delta società. Dunque do-
veva essere il fine di questo VI. litro, in pri- jno luogo d' insegnare
la dotlrina di una vita avvenire , utile in questo mondo ; e ciò ha
fat- to il Poeta, rappresentando con qnal regolato- no distribuiti
i premi! e le pene : io secondo luogo d'impegnare gli Eroi in imprese
degna di loro. Ma le crediamo a questi Critici, dopo' d' aver
impiegate tutte le forze del sno spirito' in questo libro per giungere a
questo fine , arrivato alla conclusione, con un sol tratto dì penna
distrugge tutto, come *e avesse detto: Ascoltate, miei cittadini , io ho
procurato d’insinuarvi la virtù, dì allontanarvi dal vizio per rendere felice
tutta intera la società, e procurare il bene di ognuno in particolare
. li par imprimale nel vnslro spirito queste ,j verità , che voleva
insegnarvi , vi ho proposto ,, nn grand' esemplare , vi ho descritti gli
av- „ veni menti del famoso vostro antenato , del „ fondatore del
vostro impero; e per maggior „ vostro onore l'ho rappresentato, come un
Eroe „ perfetto, gli ho fatta eseguire 1* azione più „ ardita, ma
insieme la più divina, vale a di- „ re lo stabilimento della polizia
civile : anzi t , per rendere il suo carattere piti
rispettabile! 6= e date alle sue ..leggi maggior- »m*irt,- gli
„ ho, fatto intraprendere, il viaggio^ di cui . c - , f dete la
relazione .- Ma. per paura,, elle toì ne „ riportiate qualche vantaggio,
ed il mio Emo „ qualche giuria , vi, avverto * che tutto questo
lunghissima discorso di uria vita, avvenire al- „ tio non\ è.,, che va*
Ridicola e puerile finrio- »> ? e » < d »' personaggio
rappresentato dei dd- „ sito Eroe è un, sogno vano. In somma tutto
„ c(ò che avete inteso, dovete riputarlo, come y scherzo, che niente
significa, e da cui non v dovete cavare conseguenza jlcunj., e» Boa
, t ch'il Poeta aveva, voglia dì ridere,, e di hur- g larsi delle vostrr;
superstizioni „ . Cosi, si fa- rebbe parlare Virgilio, seguitando Ja
interpreta- zione de' critici antichi e- moderni» La writàui è ,
che non si potrebbe iciogliere .questa terribi- le difficoltà senza,
questo, nuovo aisteina , . secondo il quale aititi non intende VIRGILIO
per.que- ?* *-?!!?.* della discesa all' Inferno , the . Ja ini-
ziazione a' misterii . Ciò spiega, l' enigma , PJ 1 as-solve, il Pj^taj.
Jaiperciocclià,.^tslf «M» dise- gno di descriyer.e,. qu L ^ta.
iniiiazioae., come è credibile, avrà senza, dubbio scoperta con.
qual- che segno, fa, «qa, interuiono. secreta) ma dovu poteva
palesarla, meglio,. c l>e » thiudemle il suo libro? Kgli f, a j uuque
^iv-pna bellissima invenzione migliorato ciò, «li*» Omero, racconta
delle due.porte, quella di corno destinata alle visioni vere, e. quella di
avorio , alie.fali. . Per la puma dimostra Virgilio la realità di una
vi- ta avvenire; ma in questo ciò ch'egli vide non era all' lni
eino , ( „, a , nel tempio di Cerere. O.,— sta rappresent.izionc
chiamasi MÙàoe, o la favo- la per eccellenza. Questo è secondo il staso
ve- lo ^ queste parole : Mitra canihali pnftBa nitet Eltphnnta ;
Sud Uba ad calum mìttum insomma mamffi. ÌA* quantunque non avessero
niente di reale i sogni , che uscivano per questa porti ,So- non
dubito , di' ella ir» /atti, non vi- latte-. Questa era la.
»tasni&cai porta del tempio , onde usciva- no gl'iniziati, quando era
compita la ceremo- uia. Questo tempio era di una numeri-- gran-*
dezia,. come lo descrive Apulejo lilr. II. Senws duxit me protinus ad
forcs adìs amplissima. È» curiosa . la descrizione , che ne fa Vìrruvio
da antiquitate nella prefazione del lì tir. VII. Eleusince- Cereris , (a
Praserpina celiata immani ma- gnitudine.,. Dorico ordine, sine
exterioribus co- tumnii. ad laxamentum usui sacrificiorum per-
r.exit. Eum autem postea , cum Bememus Pha- lera-u? Athenis rerum
potiretyr , • Philon. mite templum. in. fronte columms constilutis
Prosty- lum fecit- auéìo vestibolo, laxnmentum initian- libus r .
operisque Aummain adjecil autloritatem • Eravi dunque- uno spazio assai
lungo capace di tutti questi ipettacoU* e, dì tutte le rappiesen-
tazioni. K. poiché ne. abbiamo tanto parlato, a riferitene alcune varie
particolarità c/na e là: di- sperse, non sarà cosa imitile, prima di
finire , darne in poche parole: una idea generale. M
Intii^Ub. Vt. Ì9S, Ijrd. To credo adunque , che la
celebrazioni' Jé' tnl- sttrii consi.ieise principalmente io una
specie di rappresentazione drammatica della stona dì Cerere , la
quale dava occasione di esporre agli occhi de*apettarori queste tre cose,
che sopra tulio inspgnavansi ne' murarli . I." , l'origine o l’istituzione
della società : IT. la dottrina do* pniiiii e delle pene di un'altra
vita': ' fi f.' Ir falsiti del Politeismo, e la dottrina della
unità' di Dio. Apollodoro nel Libr. I. Cap V. della sua Biblioteca
c'insegna, che come Cerere avera stabilite leggi nella Sicilia e nell'etica, e
, ,eCondo la tradizione , aveva incivHili gli abt-' tanti di
que'due paesi, e raddolciti i loro co- stumi selvaggi , ciò diede luogo
alla rappresen- tazione del primo degli artìcoli' sopradetti . Bio»
doro di Sicilia dice, che nel tempo della festa di Cerere, che durava
dieci giorni in Sicilia, rappresentavano 1' antica maniera di vìvere ,
pri- ma die gli uomini avessero imparato a lemìua- re, e a servirsi
delle biade. 11 secondo articolo nasceva dalla cara , ebe Cerere si prese
di an- dare all' Inferno a cercare sua figliuola Proser- pina, e
finalmente il tino ' dal rapimento della fgliuola . Queste
sono le osservazioni , che io ha fatte iti questo famoso viaggio di Enea,
e (se non m' inganno) questa mia idea non solo illustra e toglie
molte difficoltà in ogni altro sistema in- tollerabili; ma sparge copiosa
grazia sopra tutto il Poema. Imperciocché questo famoso Episodio
Conviene perfettamente bene al «oggetto genera- la dell' Banda, eh' è lo
stabilimento di onesta- to» «8 lo, e di nna
Religione , poiché, secondo ti co- t'Aiv.ic degli antichi, chiunque
intraprendeva un cosi difficile disegno era obbligato
nidisptnsabit- uiente di preparatisi colla iniziazione ai mifterii .
Multa eximia t dice M. Tullio, divinaque videntur Athence tua peperisse ,
atque in vitaru Jiominum attutisse t tum nihilmelius illit myste-
fili, quibus ex. agresti immanique vita exculti, ad humanitqteni
istituti. & mingali sumus ; jnitiaque, ut appeilanlur , & vera
principia vi- fa> cognop'uns . Neque salum cum Imtitia vi- vendi
rationem occepimus , at alani cum sp$ mfiiiori moriendi
(i). £] M- X. Ci.tq. dci«gi. Ubi. II. Clf.KlV-. -=»
JftllM qu*lt si <t> U tptigt%ìw di Dkrìl ttìiSfznwi appwni***ti
d'Miittrii Sfattoti. I Sacerdoti primari! ne'mbterìi, che
chiama- vansi Hierophanta: } per conservare la castità i' ungevano
di cicuta • Un antico interprete A Senio, alla jatif* V. -dice: Cicuta
colorem i* notti frigorit sui vi extinguit} unde Sacerdòti» Cereri*
Eleusina liquore ejtu ùngebantur, ut concubiti* abstiner^nt. Altri
vogliono che beve» •ero la cicuta. S. Girolamo Lìbr. V. cont.
Jovin. ba coti : Bierophantct Athenìensium cicuta sor~ bilioni
castrati, & pouquam in Pontificatavi fuerìnt eleSi, viro* esse
desivere. latitati Inter mortuos honoratioret foie ere-
debantur. Scholiattes Ariitophanii in Ranis art: ConspeBiores mnf apud
inferni initiati- Diogene» Lantius in vita Diogeni* Cenici : Jpud ìn-
fero! priori loco initiati honoratUur . (Tantaìo
all'inferita.) Né i Sacerdoti, né gli assistenti nell'antico
Egitto palesarono giammai ciò , che «veano ve- duto nello spettacolo: né
vi é esempio, eh* qnantunque ne] fine d e ' sacrifici, le
obbiezioni fossero portate da dieciottò femmine figlinolo de'
Sacerdoti , alcun mai siasi attutato di queito spettacolo, Orfeo Ita
espressa la riterva, ali* quale sopra quoto punto erano obbligati
dalla ttiaoti del loogo, «aito I 1 immagine di Tantalo in meno alle
acque senza poterne bevete. ' 1 Quelli j che andarono per J' iniziazione
ne'ino- ghi sotterrane» dell'Egitto, sentirono ntl primo ingresso
vagiti di bambini. Qtlelti erano i fi. gliuoli de' Sacerdoti , che colà
vanivano partoriti ed educati. Orfeo a questa verità suppose ttaa
dottrina, che i bambini di latte defunti /ussero collocati nel]' mgreiso
dell'Infero. Ne'soUeranei luoghi dell' Egitto e.avi un luo- go chiamato
il campp delle, lagrime ìugens som- pur. Era uno spailo largo tre giugeii
, ltrng» nove circondato da quattro strade. Ivi si casti- gavano
sopra il Sudicio di tre Sacerdoti gli er- rori degli ufficiali di secondo
ordine, con castighi proporzionati , i più umani , come per aver mancato
più volte «Haipontntlìtà de' loro ufi» cii. Là castigavano gli uomini,
facendo loro voltare un cilindro di sasso nulla cima di oli
collina, che andava dalla parte opposta. Le donne attingevano, acqua da
profondi pozzi per versarla in un canale , che scorreva per questo
earr£> po di lagrime. Quindi e facile riconoscere l'ori- gine
del sasso di Sisifo, del vaso delle Danaidi presso Orfeo. In caso di
viola zion di secreto, erano tanto i Sacerdoti, che gl'iniziati e
gli ufficiali destinali ad essere loro aperto il petto, strappato
il cuore, e dato a divorarlo agli il Celli di rapina . Quindi Orfeo immagino la
per» di, Prometeo e. di Tizio. Ami dalla grandezza del campo è tram
ia grandezza gigantesca di Tizio , che steso a terra occupa ls spazio di
no. « giugeri. Eravi pure' un giardino chiamato Eliso . L( luce del
iole, che si ammirava era indebolita , .perchè cadeva dall'altezza di
dieciotto piedi. Ciò fece nascere ad Orfeo, il pensiero di dare
all' Elifo un iole particolare ed astri particola- ri. Nel fondo
settentrionale' dell' eliso era vi il Tartaro , in cai face vanii le
rapprese stazio ci da Sacerdoti e dalle Sacerdotesse. Facevar»i' vedere
in lontananza grandissima molte persone, cha per la distanza e per la
poca luce, non potcva- no essere distinte . In fatti gli iniziati e i
con- sultanti credevano: veramente rTedefe trasportati nel
toggiòrfao dell'altra vita J e non credevano veramente vivi, se non
quelli, che gli accom» pago a vano . Salendo per ima scala
sontuosa all'Edificio del Teatro, vedevano a traverso de' giardini , come
in un vasto sotterraneo , un' canale diacqUe spiritose e sulfuree accese
, che parevano uri na- rne di fiamme . Un uomo, che torni
alla Ida elsa, dice il P. Bossù, la contesa di due altri nori'ha' in
w niente di grande; ma diventano azióni illustri, quando è Ulisse ,
che ritorna in Itaca, Achille ed Agamemnone, che contrastano. Vi sono
del- le azioni per se stesse importanti, come lo sta- bilimento ( o
la rovina di ano Stato, o di una Religione; e tutt'è l'azione dell’ENEIDE.
Egli ha conosciuta la gran differenza tra i Poemi di Omero e di VIRGILIO.
È mirabile che da ciò non abbia compreso di una specie differente
essrre l'Eneide dall'Odissea, e dallMliade. Una delle ragioni ancora
per cui vieppiù SÌ manifesta la falliti della glosa dì Servio e
Jt" moi seguaci nell' asserire, che Virgilio [scendo uscire
dall' In Temo il im Eroe per la porla di Avorio abbia voluto sigili
(icari* mere stato simi- le a un sogna tutto il precidente. racconto ,
udì delle ragioni , dico, è che dentro il racconto VIRGILIO fa profetare
Anchise di cose già succedute, ma succedute di Catto. Dunque come poteva
far passare per falso quello» oh' «0 , verissimo Quindi le sue descI
Questo sapiente Dottor Inglese Warburton e quegli) clic ha preso a
difendere altamente nelle sue Dissertazioni , o Lettere filosofiche
e morali (tradotte in Francese, conte li osservo nei cenni mila
vita del Warburton premesti a questa edizione, dal Sig. di Silhouette, e
im- presse in Londra nel 1742 colla traduzione de' aggi lulla
Mitica e sull'uomo, e di-IP epistole morali entro una raccolta intitolata
Melange da Litteraiure. & de Philotophieì Pope il quale fu
acerbamente attaccato dal Sig. di Crousaz e da molti altri scrittori, e
fra questi dal Ratina , a cui rispose addi aS Aprile 1741 il Sig.
di Kamseais, cosi pure al Sig. Montesquieu autore delle 'lettere
Fiamminghe e delle Persiane. 10 Warburton raccolse ed impresse in IX.
volti- mi tutte le varie opere del Pape, che ave va- gliene data
l'incombenza col lasciargli tatti » Cicerone parla de' mister»
Eleusini, ne' quali pretende il Sig. di Middeleton nella sua vita ,
essersi fatto egli iniziare nel primo suo viaggio in Atene 1' anno di
Roma 67Ì, e di sua et* XXVIII. , ne parla, dico, Tisi c. Quasi. i>3,,
e 3 ed «pressa ni enti: ilice de
Legìbus I. sopracit; Initiaguc, ut appellatiti , (s vera principia
uè- Ite cognovimut : neque soliim cum Imiti» vivendi rationem ticcepimus
, sed etiam cum spe me- liori moriendi. Questi m uteri i si celebravano
in determinate stagioni dell'anno con inoltre solen- ni , e con una
gran pompa di macchine : il che tirava un concorso di popolo
frequentissimo da tutti i paesi. L. Crasso giunse per sorte in Ate-
ne due giorni dopo, ch'erano stati celebrali, ed avendo invano desiderato
che si replicassero, non si volle più fermare, e partì corrucciato
da quella città (CICERONE, DE OR. de Ora*. 5. io. ) . Ciò fa Tevere
quanto i magistrati Ateniesi fossero guar- dinghi nel rendere que'
misterii troppo familia- ri , » tu ire non vollero permetterne la vista
fuo- ri di i. mpo ad uno de' primi Oratori e Senato- ri di Roma.
Stimati che nella decorazione fol- lerò i appiè sentati il Cielo,
l'Inferno, il Purga- torio e tutto quello che -si riferiva allo
«tato futuro de' molti, a bella posta per inculcare sen- iibilmente
, ed esemplificare le iiotljine promul- gate ayli iniziati : e siccome
erano un argomen- to accomodato alla poesia però cosi frequente-
mente vi alludono i poeti antichi. Cicerone in una sua lettera ad Attico
il prega a richiesto, di Chilio poeta eccellente di quel secolo ,
che trasmettagli una relazione de 1 riti Eleusini, che
probabilmente destinatasi per un Episodio , o abbellimento a qualche
opera di Chilio. ' I miiterìì della Dea Cerere , ossia le
ceremo- nie religiose, che facevausi in di lei onore, chiamavano
Eleutinia dalia città dell' Attica det- ta da alcuni Elettiti; ma da altri
con più fon- daon-nto Eleusine, oggi Leptiaa. Le ceremonio Eleusine
piano presso i Citici le feste più toJ leoni e sacrosante , onde per
eccellenza furori dette i Misteri! senz'altro aggiunto. La città di
Eleusina era così gelosa di questo privilegio di celebrare i misterii ,
che ridotta dagli Ateniesi agli estremi, si arrese con questa sola
condizio- ne, che non le si levassero le feste Eleusine. Contuttociò
le stesse feste divennero comuni a tutta la Grecia. Le
crremonie al dir di Arnobio , e di Late lamio , erano una imitazione, o
rappresentazio- ne di ciò, che i Mitologi c'insegnano della Dea
Cerere . Esce duravan più giorni , ne' quali si correva con torcie accese
in mano, si sacrificavano vittime a Cerere e a Giove , ai facevano delle
libazioni con due vasi, uno dei quali sì versava air Oriente e l'altro
all'Occidente. I festeggiami si portavano in pompa alta città di
Eleusi , e sulla strada di tratto in tratto si fa- ceva alto, e ti
cantavano inni, e l'immolava- no vìttime ; e tutto questo face va lì non
solo andando da Atene ìn Eleusi , ma nel ritorno ancora. Del resto
si era obbligato ad un invio- labil secreto, e la legge condannava a
morte chiunque aveste ardito di pubblicare i misterii , Anzi la
slessa pana incorrevano quelli ancora , che avessero data retta a'
violatori del segreto . I Candiotti erano i soli, cui si potevano sco-
prire . Le feste Eleusine nominavangi pure EVi- xpuW cioè abscondita
poste sotto chiave. Onde ebbe a dir Sofocle aell' Edipo Coloneo , che
la Nngtia
de'Saeirdoti Ettmoìpidi era serrata con chiavi d'oro. Non ostante
un %\ severo decreto Tertulliano, Teddofeto , Aruobio , Clemente
Ale*, mandrino affermano, che nelle feste Eleusine si mostrava una
parte oicena. Ma questa impart- itone potrebbe essere mal fondata; poiché
ia tjuesti in iste ni nulla v'era di scritto, v'era la Ifìtì grave
di torte le pene per chi violava il Je- eretó 4 n* v'ha esempio ch'alcuno
l'abbia mai violato , V erano due sorta di feste Elusine le
grandi e le picciole. Il detto fin ora riguarda le gran- di . Le
picciolo' erano state instìtuìte in grazia di ErcoW. Qoesto Eroe avendo
chiesto di essere iniziato a* mi iteri i Eleusini, e gli Ateniesi
non potendo compiacerlo , perchè la legge vietava che 't'ammettesse
alcnn forastiere, ne volendo con- -tnttociò contristarlo , initituirono
altre fe*te; Elea* line, coi poteste egli assistere . Le grandi si
ce- lebravano nel radi e di Roedromìone , che corri- (ponile al
nostro Agosto, e le picciole nel me» /Intheucrione , che corrisponde al
mese di Gen- naio secondo Scaligero, al mese di Mano secon- do
Xilaadro . Non veniva alcuno ammesso alla partecipazio- ni; di
questi miiterii, se non per gradi. Prima bisognava purificarsi: dipoi si
era ricevuto agli Eleusini minori] in fine li era ammesso ed ini-
ziato ai grandi, o aia maggiori . Que' eh' erano ascrini, a' piccioli ,
ehiamavanii Mysti , * que' ch'erano iniziati ai grandi, Epopti ed
Efori, TÀeh a dire Inspmori . Ed ordinariamente dovc^ *ari
sostenere una prova di cinque anni per passare da* piccioli Eleo» ini 'a'
grandi . Qualche volta un anno bastava,' dopo il' quale- spaziò di
tempo si era immediatamente ammuso a quanta Véra di più secreto in quelle
religione ceremo* aiti. Giovanni Menrsio ha composto un trattata
sugli Eleusini , nel quale prora la maggior par- te de' fatti j che noi
qui sopra abbiamo narrati La cognizione e par coti dire , la chiara con-
templazione de" miiterii Eleusini , chiamossi Au- lópsto. In che
consistesse non ai sa. Solo si legge negli antichi scrittori , che un
Sacrificato- re detto Midranes immolava a Giove una troja, pregna ;
: e dopo avere ite ta la di lei pelle in terra, su quella li faceva stare
chi doveva es- sere purificato . Questa ceremonìa era accompa-
gnata da preghiere , le quali un austero digiuna doveva aver preceduto .
Di poi dopo qualche ablazione fatta coli' acque del mare, si
corona? va l'iniziando con nn cappello di fiori . Dopo queste prove
il candidato poteva aspirare alla qualità di Itiysta , o d' Infoiato a'
misteri! . Quanto raccontano gli antichi de' mostri e delle
terribili apparizioni, ch'avevano gì* inizia* ti ai misterii Eleusini si
può provare . con quan- -trizio, ch'è una grotta piccìola cavata
nel sasso di una isoletta del lago d'Erma nel li Contea di Pungali
nell'Irlanda. Tutti i pellegrini ch'an- davano a visitar il Purgatorio di
S. Patrizio non' potevano entrare , se prima non vi si erano pre-
parati con lunghe vigilie e con rigorosi digiuni j nel qnal tempo v'era
chi loro empiva la testa di terribili racconti? La prensione, i
raccon- ti, la deboteeza, le Miche operavano in guiia
nella immaginazione di qui;' malconci pellegrini , ch'entrati
nella; picciola caverna in meno a quelle angusìic , ove regnava, una
osciiriiiini» notxe, credevano divedere realmente lutto quel- lo ,
che avevano sentito narrarli; onde usciti tutto ipacciavan per vero e
reale , sebbene non fosse rtato tale, che nella loro riicaldata e
tur- bata nfcntUt*; Seneca nelle questioni naturali Lìbr.
Vili. Gap. XXXI. fa menzione di qoeito proverbio; Eleusina servai,
quod ostendai revisentibus . Sì dice contro chi vuol dire , e inoltrare
tutto ciò che fa, od ha tenia frapponi dimora, tigli è preso di
qui, che i ebbe ni nel tempio di Cererà vi foriero molli ornamenti sacri
, su' quali cade- va r Auptosla, pure non li inoltravano ohe, *e-
paraUmcnte, ed in diversi tempi. Fine delle Osservotiorti . A. Cuti. The
belief in an underworld is very old, and most peoples imagine the dead as going
somewhere. Yet they each have their own elaboration of these beliefs, which can
run from extremely detailed, to a rather hazy idea. The Romans belong to the
latter category. They do not seem to have paid much attention to the afterlife.
Thus, Virgil, when working on his “Aeneid”, had a little problem. How should he
describe the underworld where Aeneas was going? To solve this problem, VIRGILIO
draws on three important sources, as Norden argues in his commentary: Homer’s
Nekuia, which is by far the most influential intertext, and two lost poems
about descents into the underworld by Heracles and Orpheus. Norden is fascinated
by the publication of the Apocalypse of Peter, but he is not the only one: this
intriguing text appeared in, immediately, three edition. Moreover, it also
inspires the still useful study of the underworld by Dieterich. When Norden
published his commentary on Aeneid, and he continued working on it, his essay
still impresses by its stupendous erudition, impressive feeling for style, [In general,
see Bremmer, The Rise and Fall of the Afterlife (London). 2 For Homer’s influence,
see Knauer, “Die Aeneis und Homer” (Göttingen). Norden, KleineSchriften zum klassischenAltertum
(Berlin), ‘Die Petrusapokalypse und ihre antiken Vorbilder’. In his monumental
commentary, Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6. A Commentary” (Berlin) mistakenly
states it was 1 Enoch. For the bibliography, see the most recent edition: Kraus
and T. Nicklas, “Das Petrusevangelium und die Petrusapokalypse (Berlin).
Dieterich, “Nekyia” (Leipzig and Berlin). For Dieterich, see most recently
H.-D. Betz, The “Mithras” Liturgy (Tübingen) Wessels, Ursprungszauber. Zur
Rezeption von Hermann Useners Lehre von der religiösen Begriffsbildung
(London); H. Treiber, ‘Der “Eranos” – Das Glanzstück im Heidelberger
Mythenkranz?’, in W. Schluchter and F.W. Graf (eds), Asketischer
Protestantismus und der ‘Geist’ des modernen Kapitalismus, Tübingen, many
interesting glimpses of Dieterich’s influence in Heidelberg; Tommasi, Albrecht
Dieterich’s Pulcinella: some considerations a century later, St. Class. e Or.
F. Graf, ‘Mithras Liturgy and Religionsgeschichtliche Schule, MHNH Norden, P.
Vergilius Maro AeneisVI (Leipzig) 5 (sources). ingenious reconstructions of
lost sources and all-encompassing mastery of Roman literature. It is, arguably,
the finest commentary of the golden age of German Classics.7 Norden’s
reconstructions of Virgil’s sources for the underworld in Aeneid VI have
largely gone unchallenged, and the next worthwhile commentary, that by Austin clearly
did not feel at home in this area. Now the past century has seen a number of
new papyri of literature as well as new Orphic texts, and, accordingly, a
renewed interest in Orphic traditions. Moreover, our understanding of Virgil as
a philosophical bricoleur or mosaicist, as Horsfall calls him, has much
increased in recent decades. It may therefore pay to take a fresh look at
Virgil’s underworld and try to determine to what extent these new discoveries
enrich and/or correct Norden’s picture. We will especially concentrate on the
Orphic, Eleusinian, and Hellenistic backgrounds of Aeneas’s descent. Yet a
Roman philosopher may hardly avoid his *own* Roman tradition, and, in a few
instances, we will also comment on these aspects. As Norden observes, Virgil
divides his picture of the underworld into six parts, and we will follow these
in our argument. For Norden, see most recently E. Mensching, Nugae zur
Philologie-Geschichte, 14 vols (Berlin). Rüpke, “Römische Religion” (Marburg);
B. Kytzler et al., Norden (Stuttgart); W.M. Calder III and B. Huss, “Sed
serviendum officio...” The Correspondence between Wilamowitz-Moellendorff and
Eduard Norden (Berlin); W.A. Schröder, Der Altertumswissenschaftler Eduard
Norden. Das Schicksal eines deutschen Gelehrten Abkunft (Hildesheim); A.
Baumgarten, ‘Eduard Norden and His Students: a Contribution to a Portrait.
Based on Three Archival Finds’, Scripta Class. Israel; Horsfall, Virgil,
“Aeneid”, with additional bibliography, although overlooking Neuhausen, ‘Aus
dem wissenschaftlichen Nachlass Franz Bücheler’s (I): Eduard Nordens Briefe an
Bücheler’, in Clausen (ed.), Iubilet cum Bonna Rhenus. Festschrift zum 150 jährigen
Bestehen des Bonner Kreises (Berlin) (important for the early history of the
commentary) and -- Rüpke, ‘Dal seminario
all’esilio: Norden e Jaeger,’ Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia
(Siena). See now also O. Schlunke, ‘Der Geist der lateinischen
Literatursprache. Eduard Nordens verloren geglaubter Genfer Vortrag’, A&A 8
For a good survey of the status quo, seeA. Setaioli,‘Inferi’,inEVII, Austin, P.
Vergili Maronis Aeneidos liber sextus (Oxford, 1977). For Austin see, in his inimitable and hardly to be
imitated manner, J. Henderson, ‘Oxford Reds’ (London) Horsfall(ed.), A Companion
to the Study of Virgil (Leiden) See especiallyN. Horsfall, VIRGILIO: l’epopea in
alambicco (Napoli). Norden, AeneisVI,208 (sixparts). As Horsfall,Virgil,“Aeneid”6,
has used my previous articles for his commentary, I will refer Horsfall only in
cases of substantial disagreements or improvements of my analysis. I freely
make use of]. Before we start with the underworld proper, we have to note an
important verse. At the very moment that Hecate is approaching and Aeneas will
leave the Sybil’s cave to start his entry into the underworld, at this
emotionally charged moment, the Sibyl calls out. “Procul, o procul este,
profani.” Austin just notes: ‘a religious formula’, whereas Norden comments. “Der
Bannruf der Mysterien ἑκὰς ἑκάς.” However, such a cry is not attested for the
Mysteries in Greece but occurs only in Callimachus. In Eleusis it is *not* the
‘uninitiated’ but those who cannot speak proper Greek or had blood on their
hands that are excluded. But Norden is on the right track. The formula alludes
to the beginning of the, probably, oldest Orphic theogony which has now turned
up in the Derveni papyrus (Col, ed. Kouremenos et al.), but allusions to which
can already be found in Pindar, the Italic philosopher Empedocles of Girgenti
-- who was heavily influenced by the Orphics -- and Plato. “I will sing to
those who understand: close the doors, you uninitiated.” A further reference to
the Mysteries can probably be found in Virgil’s subsequent words. “Sit mihi fas
audita loqui” -- as it was forbidden to speak about the content of the
Mysteries to the non-initiated. my ‘The Roman
Tour of Hell’, in T. Nicklas et al. (eds), Other Worlds and their Relation to
this World (Leiden); ‘Roman Tours of Hell: in W. Ameling (ed.), Topographie des
Jenseits (Stuttgart) 13–34 (somewhat revised and abbreviated as ‘De katabasis
van Aeneas’ Lampas) and ‘Descents to Hell and Ascents to Heaven’, in Collins, Oxford
Handbook of Apocalyptic Literature (Oxford). For the entry, see H. Cancik,
Verse und Sachen (Würzbur) (‘Der Eingang in die Unterwelt. Ein
religionswissenschaftlicher Versuch zu Vergil, Aeneis VI, fi). For further
versions of this highly popular opening formula, see Weinreich, Ausgewählte
Schriften II (Amsterdam); Ried- weg, Hellenistische Imitation eines orphischen
Hieros Logos (Munich); A. Bernabé, ‘La fórmula órfica “Cerrad las puertas,
profanos”. Del profano religioso al profano en la materia’, ‘Ilu and on OF 1;
Beatrice, ‘On the Meaning of “Profane” in Antiquity. The Fathers,
Firmicus Maternus and Porphyry before the Orphic “Prorrhesis” (OF 245.1 Kern)’,
Ill. Class. Stud., who at p. 137 also observes the connection with Aen. 6.258. In
addition to the opening formula, see also Hom. H. Dem.; Eur. Ba.; Diod. Sic.;
Cat. - “orgia quae frustra cupiunt audire profane”; Philo, Somn.; Horsfall on
Aen. For the secrecy of the Mysteries, see Horsfall on Aen. The ritual cry,
then, is an important signal for our understanding of the text, as it suggests
the theme of the Orphic Mysteries and indicates that the Sibyl acts as a kind
of mystagogue for Aeneas. After a sacrifice to the chthonic powers and a
prayer, Aeneas walks in the ‘loneliness of the night’ to the very beginning of
the entrance of the underworld, which is described as “in faucibus Orci” -- an
expression that also occurs elsewhere in Virgil and other Latin philosophers. Similar
passages suggest that the Roman philosophers imagine the ‘underworld’ as a vast
hollow space with a comparatively narrow opening. “Orcus” can hardly be
separated from Latin “orca,” -- and we find here an ancient idea of the
underworld as an enormous pitcher with a narrow opening. This opening must have
been proverbial, as in Seneca’s Hercules Oetaeus. Alcmene refers to fauces only
as the entry of the underworld. All kinds of ‘haunting abstractions’ (Austin),
such as War, Illness and avenging Eumenides, live here. In its middle, there is
a dark elm of enormous size, which houses the dreams. The elm is a kind of
arbor infelix, as it does not bear fruit (Theophr. HP Norden), which partially
explains why Virgilio chose this tree, a typical arboreal Einzelgän- ger, for
the underworld. Another reason must have been its size, “ingens”, as the
enormous size of the underworld is frequently mentioned in Roman philosophy. In
the tree the empty dreams dwell. There is no equivalent for this idea, but
Homer (Od.) situates the dreams at the beginning of the underworld. Virgil
places here all kinds of hybrids and monsters, some of whom are also found in
the Greek underworld, such as Briareos (Il.). Others, though, are just
frightening figures from mythology, such as the often closely associated
Harpies and Gorgons, or hybrids like the Centaurs and Scyllae. According to
Norden ‘alles ist griechisch gedacht’,
For similar ‘signs’, see Horsfall,Virgilio (‘I segnali per strada’).
Verg. Aen. with Horsfall ad loc.; Val. Flacc.; Apul. Met. 7.7; Gellius; Arnob.;
Anth. Lat. Wagenvoort, Studies in Roman Philosophy (Leiden) 102–131 (‘Orcus’);
for a possibly, similar idea in ancient Greece, see West on Hes. Th. See also ThLL.
For a possible echo of the Italic philosopher Empedocles of Girgenti B121DK, see
Gallavotti,‘Empedocle’, EVII. For a possible source,see Horsfall, Virgilio. Most
important evidence: Macr. Sat., cf. J. André, ‘Arbor felix, arbor infelix’, in
Hommages à Jean Bayet (Brussels); J. Bayet, “Croyances et rites dans la Rome
antique” (Paris) Lucrezop; Verg.Aen. (ingens!); Sen.Tro. Horsfallon Aen.; Bernabéon
OF717 (=P. Bonon.4).33. but that is perhaps not quite true. The presence of
Geryon (“forma tricorporis umbrae”) with Persephone in an Etruscan tomb as
Cerun points to at least one Etruscan-Roman tradition. From this entry, Aeneas
proceeds along a road to the river that is clearly the border to the underworld.
In passing, we note here a certain tension between the Roman idea of “fauces”
and a conception of the underworld separated from the upperworld by a river.
Virgil keeps the traditional names of the rivers as known from Homer’s
underworld, such as Acheron, Cocytus, Styx, and Pyriphlegethon, but, in his
usual manner, changes their mutual relationship and importance. Not
surprisingly, we also find there the ferryman of the dead, Charon. Such a
ferryman is a traditional feature of many underworlds, but iCharon is mentioned
in the late archaic Minyas (fr. 1 Davies/Bernabé), a lost Boeotian epic. The
growing monetization of Athens also affects belief in the ferryman, and the
custom of burying a deceased with an obol, a small coin, for Charon becomes
visible on vases, just as it is mentioned first in Aristophanes’ Frogs. Austin
(ad loc.) thinks of a picture in the background of Virgil’s description, as is
perhaps possible. The date of Charon’s emergence probably precludes his appear-
[See Nisbet and Hubbard on Hor. C. 2.14.8; P. Brize, ‘Geryoneus’, in LIMC at
no. 25. 28 A. Henrichs, ‘Zur Perhorreszierung des Wassers der Styx bei
Aischylos und Vergil’, ZPE. Pelliccia, ‘Aeschylean ἀμέγαρτος and Virgilian
inamabilis’, ZPE. Horsfall on Aen. Note its mention also inOF717.42. 30 L.V.
Grinsell, ‘The Ferryman and His Fee: A Study in Ethnology, Archaeology, and
Tradition’, Folklore; Lincoln, ‘The Ferryman of the Dead’, J. Indo-European
Stud.; Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death to the End of the Classical
Period (Oxford); Oakley, Picturing Death (Cambridge); J. Boardman, ‘Charon I’,
in LIMC, Debiasi, ‘Orcomeno, Ascra e l’epopea regionale minore’, in E. Cingano
(ed.), Tra panellenismo e tradizioni locali: generi poetici e stroriografia
(Alessandria), Oakley, Picturing Death, with bibliography; add R. Schmitt,
‘Eine kleine persische Münze als Charonsgeld’, in Palaeograeca et Mycenaea
Antonino Bartonĕk quinque et sexagenario oblata (Brno); Gorecki, ‘Die Münzbeigabe,
eine mediterrane Grabsitte. Nur Fahrlohn für Charon?’, in M. Witteger and P.
Fasold, “Des Lichtes beraubt. Totenehrung in der römischen Gräberstrasse von
Mainz-Weisenau (Wiesbaden); G. Thüry, ‘Charon und die Funktionen der Münzen in
römischen Gräbern der Kaiserzeit’, in O. Dubuis and S. Frey-Kupper, Fundmünzen
aus Gräbern (Lausanne)] ance in the poem on Heracles’ descent, although he
seems to have been present already in the poem on Orpheus’ descent. Finally, on
the bank of the river, Aeneas sees a number of souls and he asks the Sibyl who
they are. The Sibyl, thus, is his ‘travel guide’. Such a guide is not a fixed
figure in Orphic descriptions of the underworld, but a recurring feature of
later tours of hell and going back to 1 Enoch. This was already seen, and noted
for Virgil, by Radermacher, who had collaborated on an edition with translation
of 1 Enoch. Moreover, another formal marker in later tours of hell is that the
visionary often asks: ‘Who are these?’, and is answered by the guide of the
vision with ‘these are those who...’, a phenomenon that can be traced back
equally to Enoch’s cosmic tour in 1 Enoch. Such demonstrative pronouns also
occur in the Aeneid, as Aeneas’ questions can be seen as rhetorical variations
on the question ‘who are these?’, and the Sibyl’s replies contains “haec”, “ille”
and “hi”. In other words, Virgil uses this tradition to shape his narrative, and
he may have used some other Hellenistic motifs as well. Leaving aside Aeneas’s encounter
with different souls and with Charon, we continue our journey on the other side
of the Styx. Here Aeneas; Contra Norden, Aeneis; Stuckenbruck, ‘The Book of
Enoch: Its Reception in Second Temple Jewish and in Christian Tradition’, Early
Christianity; Radermacher, Das Jenseits im Mythos der Hellenen (Bonn) 14–15,
overlooked by M. Himmelfarb, Tours of Hell, Philadelphia, and wrongly disputed
by H. Lloyd-Jones, Greek Epic, Lyric and Tragedy (Oxford) 183, cf. J. Flemming
and L. Radermacher, Das Buch Henoch (Leipzig). For Radermacher, see A. Lesky,
Gesammelte Schriften (Munich); Wessels, Ursprungszauber. As was first pointed out
by Himmelfarb, Tours of Hell, Himmelfarb, Tours of Hell; J. Lightfoot, The
Sibylline Oracles (Oxford), who also notes the passage “contains three
instances each of “hic” as adverb and demonstrative pronoun - a rhetorical
question answered by the Sibyl herself, and several relative clauses
identifying individual sinners or groups’. Add Aeneas’s questions in the
Heldenschau especially, – “quis”, “pater”, “ille” -- ), and further
demonstrative pronouns. 39 Differently, Horsfallon Aen. and the Sibyl are immediately welcomed by
Cerberus who first occurs in Hesiod’s Theogony but must be a very old feature
of the underworld, as a dog already guards the road to the underworld in
ancient mythology. After Cerberus is drugged, Aeneas proceeds and hears the
sounds of a number of souls. Babies are the first category mentioned. The
expression “ab ubere raptos” suggests infanticide, which is also condemned in
the Bologna papyrus, a katabasis in a papyrus from Bologna, the text of which
seems to date from early imperial times and is generally accepted to be Orphic
in character. This papyrus, as has often been seen, contains several close
parallels to Virgil, and both must have used the same identifiably Orphic
source. Now ‘blanket condemnation of abortion and infanticide reflects a moral
perspective. As we have already noted moral influence, we may perhaps assume it
here too, as abortion and infanticide in fact occurs almost exclusively in ‘moralistic’
tours of hell’. Indeed, the origin of the Bologna papyrus should probably be
looked for in Alexandria in a milieu that underwent moral influences. We may
add that the so-called Testament of Orpheus is a revision of an Orphic poem and
thus clear proof of the influence of Orphism on Egyptian (Alexandrian?) moralism.
Yet some of the Orphic material of Virgil’s and the papyrus’ source must be
older than the Hellenistic period. M.L. West, Indo-European Poetry and Myth (Oxford).
For the text, with extensive bibliography and commentary, see Bernabé,
Orphicorum et Orphicis similium testimonia et fragmenta. (OF), who notes: ‘omnia quae in papyro
leguntur cum Orphica doctrina recentioris aetatis congruunt’. This has been
established by N. Horsfall, ‘P. Bonon.4 and Virgil, Aen.6, yet again’, ZPE; See
also Horsfall on Aen. Lightfoot, Sibylline Oracles, 513 (quotes), who compares
1 Enoch 99.5; see also Himmelfarb, Tours of Hell; D. Schwartz, ‘Did People
Practice Infant Exposure and Infanticide in Antiquity?’, Studia Philonica
Annual; Stuckenbruck, 1 Enoch (Berlin and New York, Shanzer, ‘Voices and
Bodies: The Afterlife of the Unborn’, Numen, with a new discussion of the
beginning of the Bologna papyrus, in which she argues that the papyrus mentions
abortion, not infanticide. 44 A. Setaioli, ‘Nuove osservazioni sulla
“descrizione dell’oltretomba” nel papiro di Bologna’, Studi Ital. Filol. Class.
Riedweg, Hellenistische Imitation eines orphischen Hieros Logos and ‘Literatura
órfica’, in A. Bernabé and F. Casadesus (eds), Orfeo y la tradicion órfica
(Madrid); F. Jourdan, Poème judéo-hellénistique attribué à Orphée: production
juive et réception chrétienne (Paris). After the babies we hear of those who
were condemned innocently, suicides, famous mythological women such as Euadne,
Laodamia, and, hardly surprisingly, Dido, Aeneas’ abandoned beloved. In this
way Virgil follows the traditional combination of ahôroi and biaiothanatoi. The
last category that Aeneas meets at the furthest point of this region between
the Acheron and the Tartarus/Elysium are war heroes. When we compare these
categories with Virgil’s intertext, Odysseus’ meeting with ghosts in the
Odyssey, we note that, before crossing Acheron, Aeneas first meets the souls of
those recently departed and those unburied, just as in Homer Odysseus first
meets the unburied Elpenor. The last category enumerated in Homer are the
warriors, who here too appear last. Thus, Homeric inspiration is clear, even
though Virgil greatly elaborates his model, not least with material taken from
Orphic katabaseis. Aeneas then reaches a fork in the road, where the right-hand
way leads to Elysium, but the left one to Tartarus. The fork and the preference
for the right are standard elements in eschatological myths, which suggests a
traditional motif. Once again, we are led to the Orphic milieu, as the Orphic
Gold Leaves regularly instruct the soul ‘go to the right’ or ‘bear to the
right’ after its arrival in the underworld, thus varying Pythagorean usage for
the upper world. Virgil’s description of Tartarus is mostly taken from the Odyssey.
Grisé, Le suicide dans la Rome antique (Paris). These two heroines are popular
in funereal poetry in Hellenistic-Roman times: SEG 52.942, 1672. For the place
of Dido in Book VI and her connection with Heracles’ katabasis, see R. Nauta,
‘Dido en Aeneas in de onderwereld’, Lampas See, passim, S.I. Johnston, Restless
Dead (Berkeley, Los Angeles, London, 1999); Horsfall on Aen. 6.426–547. 50
Norden, AeneisVI,238–239. 51 Pl.Grg. 524a, Phd.108a; Resp.10.614cd; Porph.fr.
382;Corn.Labeofr. 7. 52 A. Bernabé and A.I. Jiménez San Cristóbal, Instructions
for the Netherworld (Leiden) 22–24 (who also connect 6.540–543 with Orphism);
F. Graf and S.I. Johnston, Ritual Texts for the Afterlife: Orpheus and the
Bacchic Gold Tablets (London) no. 3.2 (Thurii) = OF 487.2, 8.4 (Entella) = OF
475.4, 25.1 (Pharsalos) = OF 477.1. For the exceptions, preference for the left
in the Leaves from Petelia (no. 2.1 = OF 476.1) and Rhethymnon (no. 18.2 = OF
484a.2), see the discussion by Graf and Johnston, Ritual Texts. The two roads
also occur in the Bologna papyrus, cf. OF 717.77 with Setaioli, ‘Sulla
descrizione’. Smith,‘The Pythagorean Letter and Virgil’s GoldenBough’, Dionysius
-- but the picture is complemented by references to other descriptions of
Tartarus and to contemporary Roman villas. What does our visitor see? Under a
rock there are “moenia” encircled by a threefold wall. The idea of the mansion
is perhaps inspired by the Homeric expression ‘house of Hades’, which must be
very old as it has Hittite, Indian and Irish parallels, but in the oldest
Orphic Gold Leaf, the one from Hipponion, the soul also has to travel to the
‘well-built house of Hades’. On the other hand, Hesiod’s description of the
entry of Tartarus as surrounded three times by night seems to be the source of
the three-fold wall. Around Tartarus there flows the river Phlegethon, which
comes straight from the Odyssey, where, however, despite the name
Pyriphlegethon, the fiery character is not thematized. In fact, fire only later
became important in ancient underworlds. The size of the Tartarus is again
stressed by the mention of an “ingens” gate that is strengthened by columns of
adamant, the legendary, hardest metal of antiquity, and the use of special
metal in the architecture of the Tartarus is also mentioned in the Iliad (‘iron
gates and bronze threshold’) and Hesiod (‘bronze fence’). Finally, there is a
tall iron tower, which according to Norden and Austin is inspired by the Pindaric
‘tower of Kronos’. However, although Kronos is traditionally locked up in
Tartarus, Pindar situates his tower on one of the Isles of the Blessed. As the
tower is also not associated with Kronos here, Pindar, whose influence on
Virgil was not very profound, will hardly be its source. Given that the
Tartarus is depicted like some kind of building with a gate, “vestibulum” and
threshold, it is perhaps better to think of the towers that form part of Roman
villas. The “turris aenea” in 54 Cf.A. Fo,‘Moenia’,in E VIII.557–558. 55 Il.
VII.131, XI.263, XIV.457, XX. 366; Emp. B 142 DK, cf. A. Martin, ‘Empédocle,
Fr. 142 D.-K. Nouveau regard sur un papyrus d’Herculaneum’, Cronache Ercolanesi
33 (2003) 43–52; M. Janda, Eleusis. Das indogermanische Erbe der Mysterien
(Innsbruck, 2000) 69–71; West, Indo-European Poetry, Note also Aen.: domos
Ditis. 56 Grafand Johnston, RitualTexts,no. 1.2=OF474.2. 57 For Hesiod’sinfluence
on Virgil, see A. LaPenna, ‘Esiodo’, in EVII,386–388;HorsfallonAen. 7.808. 58
Lightfoot, Sibylline Oracles, 514. 59 Lexikon des frühgriechischen Epos I
(Göttingen) s.v.; West on Hesiod, Th. 161; Lightfoot, Sibylline Oracles, 494f.
60 On Kronos and his Titans, see Bremmer, Greek Religion and Culture, the
Bible, and the Ancient Near East (Leiden). For rather different positions, see
Thomas, “Reading Virgil and His Texts” (Ann Arbor) and Horsfall on Aen.
3.570–587. 62 Norden, Aeneis VI, 274 rightly compares Aen. 2.460 (now with
Horsfall ad loc.), although 3 pages later he compares Pindar; E. Wistrand, ‘Om
romarnas hus’, Eranos 37 which Danae is locked up according to ORAZIO may be
another exam-ple, as before Virgil she is always locked up in a bronze chamber
(Nisbet and Rudd ad loc.). Traditionally, Tartarus was the deepest part of the
Greek underworld, and this is also the case in Virgil. Here, according to the
Sibyl, we find the famous sinners of mythology, especially those that revolted
against the gods, such as the Titans, the sons of Aloeus, Salmoneus, and Tityos.
However, Virgil concentrates not on the most famous cases but on some of the
lesser-known ones, such as the myth of Salmoneus, the king of Elis, who
pretended to be Zeus. His description is closely inspired by Hesiod, who in
turn is followed by later authors, although these seem to have some additional
details. Salmoneus drove around on a chariot with four horses, while
brandishing a torch and rattling bronze cauldrons on dried hides, pretending to
be Zeus with his thunder and lightning, and wanting to be worshipped like Zeus.
However, Zeus flung him headlong into Tartarus and destroyed his whole town. Receiving
nine lines, Salmoneus clearly is the focus of this catalogue, as the penalty of
Tityos, an “alumnus” of Terra, is related in 6 lines, and other sinners, such
as the Lapiths, Ixion, and Pirithous, are; Opera selecta (Stockholm). For
anachronisms in the Aeneid, see Horsfall, Virgilio, Il. , 478; Hes. Th. 119
with West ad loc.; G. Cerri, ‘Cosmologia dell’Ade in Omero, Esiodo e
Parmenide’, Parola del Passato; D.M. Johnson, ‘Hesiod’s Descriptions of
Tartarus (Theogony 721–819)’, Phoenix; Except for Salmoneus, they are als opresent
in ORAZIO’s s underworld: Nisbet and Ruddon Hor. Compare Soph. fr10c6 (makingnoisewithhides,
cf. Apollod.1.9.7, to be read with Smith and Trzaskoma, ‘Apollodorus:
Salmoneus’ Thunder-Machine’, Philologus and Griffith, ‘Salmoneus’
Thunder-Machine again’); Man. (bronze bridge); Greg. Naz. Or. 5.8; Servius and
Horsfall on Aen. (bridge). 66 In line
591, aere, which is left unexplained by Norden, hardly refers to a bronze
bridge (previous note: so Austin) but to the ‘bronze cauldrons’ of Hes. fr.
30.5, 7. 67 For the myth, see Hes. fr. 15, 30; Soph. fr. 537–541a; Diod. Sic.;
Hyg. Fab. 61, 250; Plut. Mor. 780f; Anth. Pal. 16.30; Eust. on Od. Hardie,
Virgil’s Aeneid: cosmos and imperium (Oxford); D. Curiazi, ‘Note a Virgilio’,
Musem Criticum; A. Mestuzini, ‘Salmoneo’, in EV IV, 663–666; E. Simon,
‘Salmoneus’, in LIMC; Austint ranslates ‘son’, as Homer (Od.) calls him a son of
Gaia, but Tityos being a foster son is hardly ‘nach der jungen Sagenform’
(Norden), cf. Hes. fr. 78; Pherec. F 55 Fowler; Apoll. Rhod.; Apollod. 1.4.1. For
alumnus meaning ‘son’, see ThLL s.v. 69 Ixion appears in the underworld as
early as Ap. Rhod. 3.62, cf. Lightfoot, Sibylline Oracles, 517] mentioned only
in passing. It is rather striking, then, that Virgil spends such great length
on Salmoneus, but the reason for this attention remains obscure. Moreover, the
latter sinners are connected with penalties, an overhanging rock and a feast
that cannot be tasted, which in mythology are normally connected with Tantalus We
find the same ‘dissociation’ of traditional sinners and penalties in later
works. Apparently, specific punishments gradually stopped being linked to
specific sinners. Finally, it is noteworthy that the furniture of the feast
with its golden beds points to the luxury-loving rulers of the East rather than
to contemporary Roman magnates. After these mythological exempla there follow a
series of mortal sinners against the family and familia, then a brief list of
their punishments, and then more sinners, mythological and historical. In the
Bologna papyrus, we find a list of sinners, then the Erinyes and Harpies as
agents of their punishments, and subsequently again sinners. Both Virgil and
the papyrus must therefore go back here to their older source, which seems to
have contained separate catalogues of nameless sinners and their punishments.
But what is this source and when was it composed? Here we run into highly
contested territory. Norden identifies three katabaseis as important sources
for Virgil, the ones by Odysseus in the Homeric Nekuia, by Heracles, and by
Orpheus. Unfortunately, Norden does not date the last two katabaseis, but
thanks to subsequent findings of 70 J. Zetzel, ‘Romane Memento: Justice and
Judgment in Aeneid 6’, Tr. Am. Philol. Ass. Bremmer,‘Orphic,Roman, Jewish and ChristianToursofHell’.
72 Note also Dido’s aurea sponda (Aen.); Sen. Thy. 909: purpurae atque auro
incubat. Originally, golden couches were a Persian feature, cf. Hdt.; Esther
1.6; Plut. Luc. 37.5; Athenaeus 5.197a. 73 P. Salat, ‘Phlégyas et Tantale aux Enfers.
À propos des vers 601–627 du sixième livre de l’Énéide’, in Études de
littérature ancienne, Questions de sens (Paris, 1982) 13–29; F. Della Corte,
‘Il catalogo dei grandi dannati’, Vichiana, Opuscula IX (Genova) Powell, ‘The
Peopling of the Underworld: Aeneid, in Stahl (ed.), Vergil’s Aeneid: Augustan
Epic and Political Context, London; Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes influence
of Heracles’ katabasis -- with Lloyd-Jones, Greek Epic, on Bacch. and F. Graf,
Eleusis und die orphische Dichtung Athens in vorhellenistischer Zeit (Berlin)
on Ar. Ra. 291, where Dionysus wants to attack Empusa), 309–312 (see also
Norden, Kleine Schriften, Horsfall on Aen. Norden, Aeneis VI, 5 n. 2 notes
influence of Orpheus’ katabasis on lines 120 (see also Norden, Kleine
Schriften, Horsfall on Aen. 6.120. papyri we can make some progress here. On
the basis of a probable fragment of Pindar, Bacchylides, Aristophanes’ Frogs,
and the mythological handbook of Apollodorus, Hugh Lloyd-Jones reconstructs an
epic katabasis of Heracles, in which he was initiated by Eumolpus in Eleusis
before starting his descent at Laconian Taenarum. Lloyd- Jones dated this poem
to the middle of the sixth century, and the date is now supported by a shard in
the manner of Exekias that shows Heracles amidst Eleusinian gods and heroes. The
Eleusinian initiation makes Eleusinian or Athenian influence not implausible,
but as Parker comments, once the (Eleusinian) cult had achieved fame, a hero
could be sent to Eleusis by a non-Eleusinian poet, as to Delphi by a
non-Delphian. However, as we will see in a moment, Athenian influence on the
epic is certainly likely. Given the date of this epic we would still expect its
main emphasis to be on the more heroic inhabitants of the underworld, rather
than the nameless categories we find in Orphic poetry. And in fact, in none of
our literary sources for Heracles’s descent do we find any reference to
nameless humans or initiates seen by him in the underworld, but we hear of his
meeting with MELEAGRO and his liberation of Theseus. Given the prominence of
nameless, human sinners in this part of Virgil’s text, the main influence seems
to be the katabasis of Orpheus rather than the one of Heracles. There is
another argument as well to suppose here use of the katabasis of Orpheus.
Norden notes that both Rhadamanthys and Tisiphone recur in Lucian’s Cataplus in an Eleusinian
context. Similarly, he observed that the question of the Sibyl to Musaeus about
Anchises can be paralleled by the question of the Aristophanic Dionysos to the
Eleusinian initiated where Pluto lives [The commentary of W. Stanford on the Frogs (London) is more
helpful in detecting Orphic influence in the play than that by K.J. Dover
(Oxford). Lloyd-Jones, ‘Heracles at Eleusis: P. Oxy. 2622 and P.S.I. 1391’,
Maia = Greek Epic; see also R. Parker, Athenian Religion (Oxford) Boardman et al.,‘Herakles’,inLIMCIV. Parker, Athenian
Religion, Graf, Eleusis, 146 n. 22, who compares Apollod., cf. 1.5.3 (see also
Ov. Met.; P. Mich. Inv., re-edited by M. van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’
Digests? (Leiden); Servius on Aen.), argues that the presence of the Eleusinian
Askalaphos in Apollodorus also suggests a larger Eleusinian influence. This may
well be true, but his earliest Eleusinian mention is Euphorion and he is absent
from Virgil. Did Apollodorus perhaps add him to his account of Heracles’s katabasis
from another source? Contra Graf, Eleusis, 145–146. Note also the doubts of R.
Parker, Polytheism and Society at Athens (Oxford, 2005) 363 n. 159. Meleager:
Bacch., with Cairns ad loc. Norden, AeneisVI, 274f. Frogs 161ff, 431ff). Norden
ascribes the first case to the katabasis of Orpheus and the second one to that
of Heracles. His first case seems unassailable, as the passage about Tisiphone
has strong connections with that of the Bologna papyrus, as do the sounds of
groans and floggings heard by Aeneas and the Sibyl (cf. OF 717.25; Luc. VH.).
Musaeus, however, is mentioned first in connection with Onomacritus’ forgery of
his oracles in the late sixth century and remained associated with oracles by
Herodotus, Sophocles and even Aristophanes in the Frogs. His connection with
Eleusis does not appear on vases before the end of the fifth century and in
texts before Plato. In other words, it seems likely that both these passages
ultimately derive from the katabasis of Orpheus, and that Aristophanes, like
Virgil, had made use of both the katabaseis of Heracles and Orpheus. To make
things even more complicated, the descent of both Heracles and Orpheus at
Laconian Taenarum shows that the author himself of Orpheus’s katabasis also
used the epic of Heracles’s katabasis. We have one more indication left for the
place of origin of the Heracles epic. After the nameless sinners we now see
more famous mythological ones. Theseus, as Virgil stresses, sedet aeternumque
sedebit. The passage deserves more attention than it has received in the
commentaries. In the Odyssey, Theseus and Pirithous are the last heroes seen by
Odysseus in the underworld, just as in Virgil Aeneas sees Theseus last in
Tartarus, even though Pirithous has been replaced by Phlegyas. Originally,
Theseus and Pirithous are condemned to an eternal stay in the underworld,
either fettered or grown to a rock. This is not only the picture in the
Odyssey, but seemingly also in the Minyas (Paus., cf. fr. dub. 7 = Hes. fr.
280), and certainly so on Polygnotos’ painting in the Cnidian lesche (Paus.)
and in Panyassis (fr. 9 Davies = fr. 14 Bernabé). This clearly is the older
situation, which is still referred to in the hypothesis of Critias’ Pirithous
(cf. fr. 6). The situation must have changed through the katabasis of Heracles,
in which Heracles liberates Theseus but, at least in some sources, left
Pirithous where he was.87 This liberation is most likely another testimony for
an Athenian connection of the katabasis of Heracles, as Theseus was Athens’ na-
[83 Norden, Aeneis; Hdt.7.6.3 (forgery: OF 1109 = Musaeus, fr. 68),8.96.2 (=OF69),
9.43.2 (=OF70); Soph.fr. 1116 (= OF 30); Ar. Ra. 1033 (= OF 63). 85 Pl. Prot.
316d = Musaeus fr. 52; Graf, Eleusis, 9–21; Lloyd-Jones, Greek Epic, 182–183;
A. Kauf- mann-Samaras, ‘Mousaios’, in LIMC, no. 3. 86 As is also observed by
Norden, Aeneis VI, 237 (on the basis of Servius on Aen. 6.392) and Kleine
Schriften, 508–509 nos 77 and 79. 87 Hypothesis Critias’ Pirithous (cf. fr. 6);
Philochoros FGr H 328 F 18; Diod. Sic. 4.26.1, 63.4; Hor. C.; Hyg. Fab. 79;
Apollod. 2.5.12, Ep. 1.23f. ] tional hero. The connection of Heracles, Eleusis
and Theseus points to the time of the Pisistratids, although we cannot be much
more precise than we have already been. In any case, the stress by Virgil on
Theseus’s eternal imprisonment in the underworld shows that he sometimes opts
for a version different from the katabaseis he in general followed. Rather
striking is the combination of the famous Theseus with the obscure Phlegyas who
warns everybody to be just and not to scorn the gods. Norden unconvincingly
tries to reconstruct Delphic influence here, but also, and perhaps rightly,
posits Orphic origins. His oldest testimony is Pindar’s Second Pythian Ode, where
Ixion warns people in the underworld. Now Strabo calls Phlegyas the brother of
Ixion, whereas Servius calls him Ixion’s father. Can it be that this
relationship plays a role in this wonderful confusion of sources,
relationships, crimes and punishments? We will probably never know, as Virgil
often selects and alters at random. After another series of nameless human
sinners, among whom the sin of incest is clearly shared with the Bologna
papyrus, the Sibyl urges Aeneas on and points to the mansion of the rulers of
the underworld, which is built by the Cyclopes – “Cyclopum educta caminis
moenia.” Norden calls the idea of an iron building ‘singulär’ but it fits other
descriptions of the underworld as containing iron or bronze elements. Austin
compares Callimachus, for the Cyclopes as smiths using bronze or iron, but it
has escaped him that Virgil combines here two traditional activities of the
Cyclopes. On the one hand, they are smiths and as such forged Zeus’s thunder,
flash and lightning-bolt, a helmet of invisibility for Hades, the trident for
Poseidon and a shield for Aeneas For this case, see also Horsfall,Virgilio,49.
89 D. Kuijper,‘Phlegyas admonitor’, Mnemosyne; Garbugino,‘Flegias’,in EV II,
539–540 notes his late appearance in our texts. Even though it is a different
Phlegyas, one may wonder whether Statius, Thebais 6.706 et casus Phlegyae monet
does not allude to his words here: admonet ... “discite iustitiam moniti...”?
The passage is not discussed by R. Ganiban, Statius and Virgil (Cambridge,
2007). 91 Norden, Aeneis, compares, in addition to Pindar (see the main text),
Pl. Grg. 525c, Phaedo 114a, Resp. 10.616a. 92 To be addedt o Austin. Berry, “Criminals
in Virgil’s Tartarus: Contemporary Allusions in Aeneid” – CQ; Cf.Horsfall,‘P.
Bonon.4andVirgil,Aen.6’. Aen. 8.447).95 Consequently, they were known as the
inventors of weapons in bronze and the first to make weapons in the Euboean
cave Teuchion. On the other hand, early traditions also ascribed imposing
constructions to the Cyclopes, such as the walls of Mycene and Tiryns, and as
builders they remained famous all through antiquity. Iron buildings thus
perfectly fit the Cyclopes. In front of the threshold of the building, Aeneas
sprinkles himself with fresh water and fixes the golden bough to the lintel
above the entrance. Norden and Austin understand the expression “ramumque
adverso in limine figit” as the laying of the bough on the threshold, but “figit”
seems to fit the lintel better. One may also wonder from where Aeneas suddenly
got his water. Had he carried it with him all along? Macrobius (Sat. 3.1.6)
tells us that washing is necessary when performing religious rites for the
heavenly gods, but that a sprinkling is enough for those of the underworld.
There certainly is some truth in this observation. However, as the chthonian
gods are especially important during magical rites, it is not surprising that
people did not go to a public bath first. It is thus a matter of convenience
rather than principle. But to properly understand its function here, we should
look at the golden bough first. The Sibyl tells Aeneas to find the golden bough
and to give it to Proserpina as her due tribute. The meaning of the golden bough
has gradually become clearer.Whereas Norden rightly rejects the interpretation
of Frazer’s Golden Bough, he clearly was still influenced by his Zeitgeist with
its fascination with fertility and death and thus spends much attention on the
comparison of the bough with mistletoe. Yet by pointing to the Mysteries he
already came close to an important aspect of the bough.103 95 Hes. Theog.;
Apollod. 1.1.2 and 2.1, 3.10.4 (which may well go back to an ancient
Titanomachy); see also Pindar fr. 266. 96 Istros FGrH 334 F 71 (inventors);
POxy. 10.1241, re-edited by Van Rossum-Steenbeek, Greek Readers’ Digests? (Teuchion).
97 Pin d. fr. 169a.7; Bacch. 11.77; Soph.; Hellanicus FGrH 4 F 87 = F 88
Fowler; Eur. HF 15, IA 1499; Eratosth. Cat. 39 (altar); Strabo; Apollod.;
Paus.; Anth. Pal. 7.748; schol. on Eur. Or. 965; Et. Magnum 213.29. 98 As is argued
by Wagenvoort, Pietas (Leiden) (‘TheGoldenBough’); Eitrem, Opferritus und
Voropfer der Griechen und Römer (Kristiania, 1915) 126–131; Pease on Verg. Aen.
4.635. 100 For Aeneas picking the bough on a mosaic, see D. Perring, ‘“Gnosticism”
in Fourth-Century Britain: The Frampton Mosaics Reconsidered’, Britannia -- Compare
J.G. Frazer, Balder the Beautiful = The Golden Bough VII.2 (London) 284 n. 3
and Norden, Aeneis VI, 164 n. 1. 102 As observed by Wagenvoort,Pietas, Norden,Aeneis.
Combining three recent analyses, which have all contributed to a better
understanding, we may summarize our present knowledge as follows. When
searching for the golden bough, Aeneas is guided by two doves, the birds of his
*mother* Aphrodite. The motif of birds leading the way derives from
colonisation legends, as Norden and Horsfall have noted, and the fact that
there are two of them may well have been influenced by the age-old traditions
of two leaders of colonising groups. The doves, as Nelis has argued, can be
paralleled with the dove that led the Argonauts through the clashing rocks in
Apollonius of Rhodes’ epic. Moreover, as Nelis notes, the golden bough is part
of an oak tree, just like the golden fleece, both are located in a gloomy
forest and both shine in the darkness. In other words, it seems a plausible
idea that Virgil also had the golden fleece of the Argonautica in mind when
composing the episode of the golden bough. This is not wholly surprising. The
expedition of Jason and his Argonauts also was a kind of quest, in which the golden
fleece and the golden bough are clearly comparable. In addition, Colchis was
situated at the edge of Greek civilisation so that the journey to it might not
have been a katabasis but certainly had something of a Jenseitsfahrt. Admittedly,
the Argonautic epic does not contain a golden bough, but Michels points out
that in the introductory poem to his Garland MELEAGRO mentions ‘the ever golden
branch of divine Plato shining all round with virtue’ (Anth. Pal. = Meleager; Gow-Page,
West). Virgil certainly knows Meleager, as Horsfall notes, and he also observes
that the allusion to Plato prepares us for the use Virgil makes of
eschatological myths in his description of the underworld, those of the Phaedo,
Gorgias and Er in the Republic. In this section on the Golden Bough, I refer
just by name to West, ‘The Bough and the Gate’, in S.J. Harrison, Oxford
Readings in Vergil’s Aeneid (Oxford); Horsfall, Virgilio (with a detailed
commentary) and D. Nelis, Vergil’s Aeneid and the Argonautica of Apollonius
Rhodius (Leeds). The first two seem to have escaped Turcan, ‘Le laurier
d’Apollon (en marge de Porphyre)’, in A. Haltenhoff and F.-H. Mutschler (eds),
Hortus Litterarum Antiquarum. Festschrift H.A. Gärtner (Heidelberg), West, Indo-EuropeanPoetry;
Bremmer, Greek Religion and Culture. For the myth of the Golden Fleece, see
Bremmer, Religion and Culture. For the expedition of the Argonauts as
Jenseitsfahrt, see K. Meuli, Gesammelte Schriften (Basel); Hunter, The
Argonautica of Apollonius: literary studies (Cambridge) Michels, ‘The Golden
Bough of Plato’, Am. J. Philol. For Michels, see J. Linderski, ‘Agnes Kirsopp
Michels and the Religio’, Class. However, there is another, even more important
bough. SERVIO tells us that those who have written about the rites of
Proserpina assert that there is “quiddam mysticum” about the golden bough and
that people could not participate in the rites of Proserpina unless they
carried the golden bough. Now we know that the future initiates of Eleusis
carried a kind of pilgrim’s staff consisting of a single branch of myrtle or
several held together by rings. In other words, by carrying the bough and
offering it to Proserpina, queen of the underworld, Aeneas also acts as an
Eleusinian initiate, who of course had to bathe before initiation. Virgil will
have written this all with one eye on OTTAVIANO, who was an initiate himself of
the Eleusinian Mysteries. Yet it seems equally important that Heracles too had
to be initiated into the Eleusinian Mysteries before entering the underworld. In
the end, the golden bough is also an oblique reference to that elusive epic,
the Descent of Heracles. Having offered the golden bough to Proserpina, Aeneas may
now enter Elysium, where he now comes to “locos laetos” (cf. “laeta arva”) of “fortunatorum
nemorum.” The stress on joy is rather striking, but on a Orphic Gold Leaf from
Thurii we read, “Χαῖρε, χαῖρε.” Journey on the right-hand road to holy meadows
and groves of Persephone’. Moreover, we find joy also in prophecies of the Golden Age, which certainly
overlap in their motifs with life in Elysium. Once again Virgil’s description
taps Orphic poetry, as “lux perpetua” is also a typically Orphic motif, which
we already find in Pindar and which surely must [Servius, Aen. 6.136: licet de
hoc ramo hi qui de sacris Proserpinae scripsisse dicuntur, quiddam esse
mysticum adfirment ad sacra Proserpinae accedere nisi sublato ramo non poterat.
inferos autem subire hoc dicit, sacra celebrare Proserpinae. The connection
with Eleusis is also stressed by G. Luck, Ancient Pathways and Hidden Pursuits
(Ann Arbor) (‘Virgil and the Mystery Religions’. R. Parker,Miasma (Oxford,); Suet.
Aug.; Dio Cassius; Bowersock, “Augustus”
(Oxford) 68. 112 For woods in the underworld, see Od.; Graf and Johnston,
Ritual Texts for the Afterlife (Thurii) = OF 487.5–6; Verg. Aen.; Nonnos, D.
19.191. 113 GrafandJohnston, RitualTexts for the Afterlife, no. 3.5–6=OF487 Oracula
Sibyllina: ‘Rejoice, maiden’, cf. E. Norden, Die Geburt des Kindes (Stuttgart)
have had a place in the katabasis of Orpheus, just as the gymnastic activities,
dancing and singing almost certainly come from the same source, even though OTTAVIANO
must have been pleased with the athletics which he encouraged. The Orphic
character of these lines is confirmed by the mention of the Threicius sacerdos
(with Horsfall), obviously Orpheus himself. After this general view, we are
told about the individual inhabitants of Elysium, starting with genus antiquum
Teucri, which recalls, as Austin sees, “genus antiquum Terrae, Titania pubes” opening
the list of sinners in Tartarus. It is a wonderfully peaceful spectacle that we
see through the eyes of Aeneas. Some of the heroes are even “vescentis”, on the
grass, and we may wonder if this is not also a reference to the Orphic
‘symposium of the just’, as that also takes place on a meadow. Its importance
was already known from Orphic literary descriptions, but a meadow in the
underworld has also emerged on the Orphic Gold Leaves. The description of the
landscape is concluded with the picture of the river Eridanus that flows from a
forest, smelling of laurels. Neither Norden nor Austin explains the presence of
the laurels, but Virgil’s first readership will have had several associations
with these trees. Some may have remembered that the laurel is the highest level
of re-incarnation among plants in the Italic philosopher Empedocles of
Girgenti, whereas others will have realised the poetic and Apolline
connotations of the laurel. After Trojan and nameless Roman heroes, priests, and
poets, Aeneas sees those who found out knowledge and used it for the betterment
of life – “inventas aut qui vitam excoluere per artis” tr. 115 Pind. fr. 129; Ar. Ra.; Plut. frr. 178,211;
Visio Pauli21, cf.Graf, Eleusis, Horsfall, Virgilio, For the Titans being the ‘olden
gods’, see Bremmer, Greek Religion and Culture,78. 118 Graf, Eleusis, Pind. fr.
129; Ar. Ra.326; Pl. Grg. 524a, Resp.; Diod. Sic.; Bernabéon OF61. 120 Graf and
Johnston, Ritual Texts for the Afterlife, no. 3.5–6 (Thurii) = OF 487.5–6, no.
27.4 (Pherae) = OF. The Eridanus also appears in Apollonius Rhodius as a kind
of otherwordly river, but there it is connected with the myth of Phaethon and
the poplars, and resembles more Virgil’s Avernus with its sulphur smell than
the forest smelling of laurels in the underworld. For the name of the river,
see Delamarre, ‘ Ἠριδανός, le “fleuve de l’ouest”,’ Etudes Celtiques. Horsfall,
‘Odoratum lauris nemus – Aeneid” Scripta Class. Perhaps, readers may have also
thought of the laurel trees that stand in front of OTTAVIANO’s domus on the
Palatine, given the importance of OTTAVIANO in this book, cf. A. Alföldi, Die
zwei Lorbeerbäume des Augustus (Bonn); M. Flory, ‘The Symbolism of Laurel in
Cameo Portraits of Livia’, Mem. Am. Ac. Rel. Austin). As has long been seen, this
line closely corresponds to a line from a cultural-historical passage in the
Bologna papyrus where we find an enumeration of five groups in Elysium that
have made life livable. The first are mentioned in general as those who
embellish life with their skills – “αἱ δε βίον σ[οφί]ῃσιν ἐκόσμεον” -- to be
followed by the poets, ‘those who cut roots’ for medicinal purposes, and two
more groups which we cannot identify because of the bad state of the papyrus.
Inventions that both improve life and bring culture are typically sophistic
themes, and the mention of the archaic ‘root cutters’ instead of the more
modern ‘doctors’ implies an older stage in the sophistic movement. The
convergence between Virgil and the Bologna papyrus suggests that we have here a
category of people seen by Orpheus in his katabasis. How- ever, as Virgil
sometimes comes very close to the list of sinners in Aristophanes’ Frogs, both
poets must, directly or indirectly, go back to a common source, as must, by
implication, the Bologna papyrus. This Orphic source apparently was influenced
by the cultural theories of the Sophists. Now the poets occur in Aristophanes’
Frogs too in a passage that is heavily influenced by the cultural theories of
the Sophists, a passage that Graf
connects with Orphic influence. Are we going too far when we see here also the
shadow of Orpheus’s katabasis? Having seen part of the inhabitants of Elysium,
the Sibyl asks Musaeus where Anchises is. Norden persuasively compares the
question of Dionysus to the Eleusinian initiates where Pluto lives in
Aristophanes’ Frogs. In support of his argument Norden observes that, normally,
the Sibyl is omniscient, but only here asks for advice, which suggests a
different source rather than an intentional poetic variation. Naturally, Norden
infers from the comparison that both go back to the katabasis of Heracles. In
line with our investigation so far, however, we rather ascribe the question to
Orpheus’s katabasis, given the later prominence of Musaeus and the meeting with
Eleusinian initiates. Highly interesting is also another observation by Norden.
Norden notes that Musaeus shows them the valley where Anchises lives from a
height – “desuper ostentat” -- and compares a [Treu, ‘Die neue ‘Orphische’
Unterweltsbeschreibung und Vergil’, Hermes ‘die primitiven Wurzelsucher’. 124
Norden, Aeneis VI,287–288; Graf, Eleusis,146n. 21compares Aen.6.609 with Ar. Ra.149–150
(violence against parents), with Ra. (violence against strangers) and 6.612–613
with Ra. 150 (perjurers). Note also the resemblance of 6.608, OF 717.47 and Pl.
Resp. 10.615c regarding fratricides, which also points to an older Orphic
source, as Norden already saw, without knowing the Bologna papyrus.
Graf,Eleusis,34–37. 126 Neither Stanford nor Dover refers to Virgil. number of
Greek, Roman and Christian Apocalypses. Yet his comparison confuses two
different motifs, even though they are related. In the cases of Plato’s
Republic and Timaeus as well as in CICERONE’S “IL SOGNO DI SCIPIONE” (Mozart)
(Rep.) souls see the other world, but they do not have a proper tour of hell
(or heaven) in which a *supernatural* person (Musaeus, il divino, [arch]angel,
Devil) provides a view from a height or a mountain. That is what we find in 1
Enoch (17–18), Philo (SpecLeg 3.2), Matthew (4.8), Revelation (21.10), the
Testament of Abraham, the Apocalypse of Abraham (21), the Apocalypse of Peter, which
was still heavily influenced by traditions, and even the late Apocalypse of
Paul (13), which drew on earlier sources. In other words, it is hard to escape
the conclusion that Virgil draws here too, directly or indirectly, on this very
old sources. With this quest for Anchises we have reached the climax of LIBER VI.
It would take us much too far to present a detailed analysis of these lines
but, in line with our investigation, we will concentrate on Orphic and
Orphic-related (Orphoid) sources. Aeneas meets his father, when the latter has
just finished reviewing the souls of his line who are destined to ascend ‘to
the upper light’. They are in a valley, of which the secluded character is
heavily stressed, while the river Lethe gently streams through the woods. The
Romans paid much attention to this river. Those souls that are to be
reincarnated drink the water of forgetfulness. After Aeneas wonders why some
would want to return to the upper world, Anchises launches into a detailed
cosmology and anthropology drawn straight from The Porch – IL PORTICO -- before
we again find Orphic material. The soul locks up in the body as in a prison,
which Vergil derived almost certainly straight from Plato, just like the idea
of engrafted -- concreta – evil [Contra Horsfallon
Aen.6.792. 128 For the reference to metempsychosis, see Horsfallon Aen.6.724–751.129679–680
penitus convallevirenti inclusas animas; 703: vallereducta; 704: seclusumnemus.
Theognis 1216 (plain of Lethe); Simon. Anth.Pal.7.25.6(house of Lethe); Ar.Ra.186(plain
of Lethe); Pl. Resp. 10.621ac (plain and river); TrGF Adesp. fr. 372 (house of
Lethe); SEG (curse tablet: Lethe as a personal power). For its occurrence in
the Gold Leaves, see Riedweg, Mysterienterminologie, 40. 131 Soul: Pl. Crat.
400c (= OF 430), Phd. 62b (= OF 429), 67d, 81be, 92a; [Plato], Axioch.; G.
Rehrenbock, ‘Die orphische Seelenlehre in Platons Kratylos’, Wiener Stud. The
penalties the souls have to suffer to become pure may well derive from an
Orphic source too, as the Bologna papyrus mentions clouds and hail, but it is
too fragmentary to be of any use here.On the other hand, the idea that soul has
to pay a penalty for the deeds in the upperworld twice occurs in the Orphic
Gold Leaves. Orphic is also the idea of the “rota” through which the soul has
to pass during its Orphic reincarnation. But why does the cycle last a thousand
years before the soul can come back to life – “mille rotam volvere per annos --?
Unfortunately, we are badly informed by the relevant authors about the precise
length of the reincarnation. The Italic philosopher Empedocles of Girgenti mentions
‘thrice ten thousand seasons’ and Plato mentions ‘ten thousand years’ and, for
a PHILOSOPHICAL life, ‘three times thousand years’. But the myth of Er mentions
a period of thousand years. This will be Virgil’s source here, as also the idea
that the soul has to drink from the river Lethe is directly inspired by the
myth of Er where the soul drinks from the River of Forgetfulness and forgets
about their stay in the other world before returning to earth (Resp. 10.621a).
It will hardly be chance that with the references to the end of the myth of Er,
we have also reached the end of the main description of the underworld. In the
following Heldenschau, we find only one more intriguing reference to the
eschatological beliefs of Virgil’s time. At the end, father and son wander in
the wide fields of air – “aëris in campis latis” -- surveying everything. In
one of his characteristically wide-ranging and incisive discussions, Norden
argues that Virgil alludes here to the belief that the soul ascends to the moon
as their final abode. This belief is as old, as Norden argues, as the Homeric
Hymn to Demeter, where we already find ‘die Identifikation der Mondgöttin
Hekate mit Hekate als Königin der Geister und des Hades’. However, it must be
objected that verifiable associations between the two (i.e. Hecate and the
moon) do not survive from Bernabé, ‘Una etimología Platónica: Sôma – Sêma’,
Philologus -- For the afterlife of the idea, Courcelle, Connais-toi toi-même de
Socrate à Saint Bernard, 3 vols (Paris) 2.345–380. Engrafted evil: Pl. Phd.
81c, Resp., Tim. 42ac. Plato and Orphism: A. Masaracchia, ‘Orfeo e gli “Orfici”
in Platone’, in idem (ed.), Orfeo e l’Orfismo (Rome), reprinted in his
Riflessioni sull’antico (Pisa); Treu, ‘Die neue ‘Orphische’
Unterweltsbeschreibung’, 38 compares OF 717.130–132; see also Perrone,
‘Virgilio Aen. VI 740–742’, Civ. Class.Crist.; Horsfall on Aen. 6.739. 133 Graf
and Johnston, Ritual Texts 6.4 (Thurii) = OF 490.4; Graf and Johnston 27.4 (Pherae)
= OF 493.4. 134 OF338,467,Graf and Johnston, Ritual Texts, 5. 5 (Thurii) = OF 488.5,
withBernabéadloc. 135 Pl. Resp. 10.615b, 621a. Curiously, Norden does not refer
to this passage in his commentary on this line, but at p. 10–11 of his
commentary. 136 Norden, AeneisVI,23–26, also comparing Servius; Ps. Probusp.
333–334. [Moreover, the identification of the moon with Hades, the Elysian
Fields or the Isles of the Blessed is relatively late. It is only later that we
start to find this tradition among pupils of Plato, such as, probably,
Xenocrates, Crantor and Heraclides Ponticus, who clearly want to elaborate
their master’s eschatological teachings in this respect. Consequently, the
reference does indeed allude to the soul’s ascent to the moon, but not to the
‘orphisch-pythagoreische Theologie’ (Norden). In fact, it is clearly part of
the Platonic framework of Virgil. In the same century Plato is the first to
mention Selene as the mother of the Eleusinian Musaeus, but he will hardly have
been the inventor of the idea. Did the officials of the Eleusinian Mysteries
want to keep up with contemporary eschatological developments, which
increasingly stressed that the soul goes up into the aether, not down into the
subterranean Hades? We do not have enough material to trace exactly the initial
developments of the idea, but it was already popular enough for Antonius
Diogenes to parody the belief in his “Wonders Beyond Thule”, a parody taken to
even greater length by Lucian in his True Histories. Virgil’s allusion,
therefore, must have been clear to his contemporaries. S.I. Johnston,Hekate Soteira
(Atlanta)31. 138 W. Burkert, LoreandSciencein AncientPythagoreanism (CambridgeMA,1972)
366–368,who also points out that there is no pre-Platonic Pythagorean evidence
for this belief; see also Cumont, Lux perpetua (Paris) Gottschalk, Heraclides
of Pontus, Oxford, Wilamowitz rejects the‘Mondgöttin Heleneoder Hekate’ already
in his letter thanking Norden for his commentary, cf. Calder III and Huss, “Sed
serviendum officio...”, 18–21 at 20. 140 Pl. Resp. 2.364e; Philochoros F Gr H328
F208, cf. Bernabéon Musaeus 10–14T. 141 A. Henrichs,‘ Zur Genealogiedes Musaios’,
ZPE 58(1985)1–8. 142 IG I3 1179.6–7; Eur. Erechth. fr. 370.71, Suppl., Hel.
1013–1016. Or. 1086–1087, frr. 839.10f, 908b, 971; P. Hansen, Carmina
epigraphica Graeca saeculi IV a. Chr. n. (Berlin and New York, 1989). For
Antonius’ date, see Bowersock, “Fiction as History: Nero to Julian” (London),
whose identification of the Faustinus addressed by Antonius with Martial’s
Faustinus is far from compelling, cf. R. Nauta, “Poetry for Patron”s (Leiden). Bowersock
has been overlooked by Möllendorff, Auf der Suche nach der verlogenen Wahrheit.
Lukians Wahre Geschichten (Tübingen) whose discussion also sup- ports an
earlier date for ANTONIO against the traditional one. When we now look back, we
can see that Virgil has divided his underworld into several compartments. His
division contaminates Homer with later developments. In Homer, virtually
everybody goes toHades, of which the Tartarus is the deepest part, reserved for
the greatest e Titans. A few special heroes, such as Menelaus and Rhadamanthys,
go to a separate place, the Elysian Fields, which is mentioned only once in
Homer. When the afterlife became more important, the idea of a special place
for the elite, which resembles the Hesiodic Isles of the Blessed, must have
looked attractive to a number of people. However, the notion of re-incarnation
poses a special problem. Where do those stay who have completed their cycle and
those who are still in process of doing so? It may now be seen that Virgil
follows a traditional Orphic solution in this respect, a solution that had
progressed beyond Homer in that MORAL criteria had become important. In his
Second Olympian Ode Pindar pictures a tripartite afterlife in which a sinner is
sentenced by a judge below the earth to endure terrible pains. He who is a good
man spends a pleasant time with ‘il divino.’ He who has completed the cycle of
reincarnation and has led a blameless life joins the heroes on the Isles of the
Blessed. A tripartite structure can also be noticed in the Italic philosopher Empedocles
of Girgenti, who speaks about the place where the great sinners are, a place
for those who are in the process of purificaton. For Hades, Elysium and the
Isles of the Blessed, see Sourvinou-Inwood, ‘Reading’ Greek Death, Mace,
‘Utopian and Erotic Fusion in a New Elegy by Simonides (West2)’, ZPE. For the
etymology of “Elysium”, see R. Beekes, ‘Hades and Elysion’, in J. Jasanoff
(ed.), Mír curad: studies in honor of Calvert Watkins (Innsbruck) 17–28 at
19–23. Stephanie West (on Od. 4.563) well observes that Elysium is not
mentioned again before Apollonius’ Argonautica. For good observations, see
Molyviati-Toptsis, ‘Vergil’s Elysium and the Orphic-Pythagor- ean Ideas of
After-Life’, Mnemosyne. However, some would now replaced Molyviati’s terminology
of ‘Orphic-Pythagorean’, which Molyviati inherits from Dieterich and Norden,
with ‘Orphic-Bacchic’, due to new discoveries of Orphic Gold Leaves. Moreover, Molyviati
overlooks the important discussion by Graf, Eleusis, 84–87; see also Graf and
Johnston, Ritual Texts, For the reflection of this scheme in Pindar’s threnos fr.
129–131a, see Graf, Eleusis, 84f. Given the absence of Mysteries in Pindar, O.
2 and Mysteries being out of place in Plutarch’s Consolatio one wonders with
Graf if τελετᾶν in fr. 131a should not be replaced by τελευτάν. 147 For the
identification of this place with Hades, see A. Martin and O. Primavesi,
L’Empédocle de Strasbourg (Berlin). Alfonso, ‘La Terra Desolata. Osservazioni
sul destino di Bellerofonte (Il.)’, MH
and a place for those who have led a virtuous life on earth: they will
join the tables of the gods. The same division between the effects of a good
and a bad life appears in Plato’s Jenseitsmythen. In the Republic the serious
sinners are hurled into Tartarus, as they are in the Phaedo, where the less
serious ones may be still saved, whereas those who seem to have lived exceptionally
into the direction of living virtuously pass upward to a pure abode. But those
who have purified themselves sufficiently with philosophy will reach an area
even more beautiful, presumably that of the gods. The upward movement for the
elite, pure souls, also occurs in the Phaedrus and the Republic whereas in the
Gorgias they go to the Isles of the Blessed. All these three dialogues display
the same tripartite structure, if with some variations, as the one of the
Phaedo, although the description in the Republic is greatly elaborated with all
kinds of details in the tale of Er. Finally, in the Orphic Gold Leaves the stay
in Tartarus is clearly presupposed but not mentioned, due to the function of
the Gold Leaves as passport to the underworld for the Orphic devotees. Yet the
fact that in a Leaf from Thurii the soul says: ‘I have flown out of the heavy,
difficult cycle of reincarnations’ suggests a second stage in which the souls
still have to return to life, and the same stage is presupposed by a Leaf from
Pharsalos where the soul says: ‘Tell Persephone that Bakchios himself has
released you from the cycle.’ The final stage will be like in Pindar, as the
soul, whose purity is regularly stressed, will rule among the other heroes or
has become a god instead of a mortal. When taking these tripartite structures
into account, we can also better understand Virgil’s Elysium. It is clear that
we have here also the same distinction between the good soul and the super-good
soul. The good soul has to return to earth. The super-good soul can stay
forever in Elysium. Moreover, the place of the super-good soul is higher than
the one of a soul who has to return. That is why a soul that will return is in
a valley BELOW the area where Musaeus is. Once again, Virgil looks at Plato for
the construction of his underworld. Graf and Johnston, Ritual Texts, 5.5 = OF
488.5; Graf and Johnston 26a.2 = OF .485.2. Dionysos Bakchios has now also
turned up on a Leaf from Amphipolis: Graf and Johnston, Ritual Texts, 30.1–2 =
OF 496n.1–2.5. 150 Graf and Johnston, Ritual Texts, (all Thurii), 9.1 (Rome) =
OF 488.1, 490.1, 489.1, 491.1. 151 Graf and Johnston, Ritual Texts (Petelia) = OF 476.11; Graf and Johnston,
Ritual Texts, 3.4 (Thurii) = OF 487.4 and ibidem 5.9 (Thurii) = OF 488.9,
respectively.This was also seen by Molyviati-Toptsis,‘Vergil’s Elysium’,43, ifnotveryclearly
explained. But as we have seen, it is not only Plato that is an important
source for Virgil. In addition to a few traditional autochtonous indigenous *Roman*
details, such as the fauces Orci, we have also called attention to Orphic and
Eleusinian beliefs. Moreover, and this is really new, we have pointed to
several possible borrowings from 1 Enoch. Norden rejects virtually all Jewish
influence on Virgil in his commentary, and one can only wonder to what extent
his own Jewish origin played a role in this judgement. More recent discussions
have been more generous in allowing the possibility of Jewish-Sibylline
influence on Virgil and Horace. And indeed, Alexander Polyhistor, who works in
Rome during Virgil’s lifetime and writes a book On the Jews, knows the Old
Testament and was demonstrably acquainted with Egyptian-Jewish Sibylline
literature. Thus it seems not impossible or even implausible that among the
Orphic literature that Virgil had read, there also were (Egyptian- Jewish?)
Orphic katabaseis with Enochic influence. Unfortunately, we have so little left
of that literature that all too certain conclusions would be misleading. In the
end, it is still not easy to see light in the darkness of Virgil’s underworld. For
the Orphic influence, see also the summary by Horsfall,Virgil,“Aeneid”
Horsfall, Virgil, “Aeneid” 6, 2.650 is completely mistaken in mentioning
Norden’s ‘pressing and arguably misleading, belief in the importance of Jewish
texts for the understanding of Aen.6’: Norden, Aeneis Buch VI, 6 actually argued
that from the ‘jüdische Apokalyptik ... kaum ein Motiv angeführt werden kann,
das sich mit einem vergilischen berührte’.For Norden’s attitude towards
Judaism, see J.E. Bauer, ‘Eduard Norden: Wahrheitsliebe und Judentum’, in B.
Kytzler et al (eds), Norden (Stuttgart); Nisbet, Collected Papers on Latin
Literature (Oxford); Bremmer, ‘The Apocalypse of Peter: Greek or Jewish?’, in
idem and I. Czachesz (eds), The Apocalypse of Peter (Leuven) at 3f. 156 C. Macleod, Collected Essays (Oxford)
(on Horace’s Epode 16.2); Nisbet, Collected Papers, Watson, A Commentary on
Horace’s Epodes (Oxford) (on Horace’s Epode 16); L. Feldman, ‘Biblical
Influence on Vergil’, in S. Secunda and S. Fine (eds), Shoshannat Yaakov
(Leiden) Alexander Polyhistor FGr H 273 F 19ab (OT), F quotes Or. Sib., cf.
Norden, Kleine Schriften; Lightfoot, Sibylline Oracles; Horsfall, ‘Virgil and
the Jews’, Vergilius has contested my views in this respect, but his arguments
are partly demonstrably wrong and partly unpersuasive, see my ‘Vergil and Jewish
Literature’, Vergilius –Various parts of this paper profited from lectures in
Liège and Harvard in 2008. For comments and corrections of my English I am most
grateful to Annemarie Ambühl, Danuta Shanzer and, especially, Nicholas Horsfall
and Ruurd Nauta. Abt, J., American Egyptologist: The Life of James Henry
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I have usually omitted books, commentaries, editions, encyclopedias, grammars,
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storia religiosa della Messenia dall’età micenea all’età ellenistica (Udine,
1997) Zuntz, G., Persephone (Oxford). Euforbo
Melesigenio. Dydimus Taurinensis. Tommaso Valperga di Caluso. Caluso. Keywords:
principi di filosofia per gli initiate nelle matematiche, implicature corporali,
l’iniziazione di Enea, l’iniziaione di Ottaviano, the golden bough, Turner, misterij eleusini,
una moda tra la nobilita romana – eleusi destrutta da Alarico – iniziato,
iniziante, aspirante, gl’aspiranti – eneide, Virgilio, poema epico, la fonte di Virgilio e un poema
perduto sulla discesa d’Ercole all’inferno a lottare contro Cerbero – fatica 10
– statuaria – statua di Antino a Eleusi. L’iniziazione come contemplazne, il
role dell’iniziato, iniziato e inizianti --. La radice indo-germanica di
Eleusi. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Caluso” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Camilla: l'literae
Humaniores – in literabus humanioris -- dell’huomo – opp. Lit. div. filosofia
italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo italiano. Grice: “You
gotta love Camilla; I mean, if his name were not Camilla, I would call him
Grice: he philosophised on all that I’m into: mainly ‘uomo’ (since he was an
ancient Italian, he used the mute ‘h’ (dell’huomo’): his anima, the concetti
dell’animma that he ‘dichara’ in il suo palare – la bellezza is without equal
--.” De' misterii e maravigliose cause della compositione del mondo, 1564
Giovanni Camilla (scritto anche Camilli o Camillo) (Genova), filosofo. Opere Giovanni Camilla, De' misterii e
maravigliose cause della compositione del mondo, In Vinegia, Gabriele Giolito
de Ferrari, 1564. Note Camilla, Giovanni
CERL cnp Filosofia Matematica Matematica
Categorie: Medici italianiFilosofi italiani ProfessoreXVI Genova. Ma che dirassi
parlar del della lingua e diverso parlare cosi pronunciato distintamente,
beneficio de i denti e delle labra, il quale cosi bene DICHIARA I CONCETTI
DELL’ANIMA? CAM. Pensate che se piu l'huomo andasse considerando le cose maravigliose
del divino, tanto piu se gli infiammerebbe l'animo di riconoscerne altre e
contemplarne, e quanto piu sta involto e privo delle scienze e cognitione di
tai cose tanto manco ne prende maraviglia, e se ne in fiamma. Liv. Avanza,
l'uomo tutti gl’altri animali di sottigliezza di sangue, di memoria, bellezza
di corpo, e larghezza di spalle. cresce sino a XXII anni. Hora che veggiamo al
trissino da piccioli atti e quasi instrutti benissiino in diverse scienze oarti,
è cosa manifesta. Onde quel Mercurio gran filosofo Mercurio Trimegisto chiama
l'huomo Tremigi - un grande miracolo. Oltre poi, che con l'intelletto sto.
intende, capisce e discorre sopra ogni cosa, e chiamato un picciol mondo; e
tantage, cosi bella dignità di eso ON Elle 80 E. =.. 0. cica. la conoscevano
benissimo quegli ans huomo viene tutta dall'anima. E questo ui basti qudra to
alla dichiaratione di quelle cose, che sono chiamate naturali, veniamo hora
alle Mathematiche. CAM; Se io debbia hauere queſto a caro, laſciolo confiderda
re a uoi: essendo, che tai ragionamenti sopra tante ecoſi belle coſe, miſaranno
aſſai facile uia ad intendea re poi eſſe scienze. -- diverso parlare cosi
pronunciato distintamente beneficio de i denti e della labra, il quale cosi
benedichiara i concetti dell'anima? AVO PRIMO, OVERO Proemio. a carte; Della
virtù; Dell'amicitia; Dell'amore; Del Cielo e delle Stelle; De gl’elementi; Di
quelle cose che fi generano nell'aere; Dell'anima; Dell'anima dell'huomo; Delle
Piante; De gli animali sensitiui, e prima di quelli, che non hanno ſangue; Di
quelli Animali, che hanno sangue primieramente de pesci; De gli uccelli; De gl’animali
quadrupedi; Dell’uomo; Della Arithmetica, e fue parti; Della Muſica; Della
Geometria, e ſue parti; Della Coſmografia; Dell'arte del nauigare, e de'
precetti, chi fi debbono ofleruare a intender quella; Della fPerſpectiua, &
inſiemedella Symetria dell'uomo; Dell'Aſtronomia; Della Metafisica. DELLA
PERSPESTTIVA, ET insieme della Simetria dell'huomo; Sole pche Holl Utre, Duit 3
bel A PERSPETTIVA dunque, Perspetti - stando nel mezo della Geometria 4a,.
Aſtronomia, proua neceſſaridal incnte molte coſe, che in eſſe ſi ri = * trouano.
Onde che'l Sole illumini pru dela metà della terra, e che lucendo non ſi poſſa
illumini no ueder le stelle, lo proua il Perſpettivo: dicendo,'piu della che
ogni corpo luminoſosferico illumina una piu pica metà della ciola sfera piu
dela metà. Nella Geometria etiandio queſto è manifefto, come nell'arte di
rileuo, ſecondo*; ſi vedono in Romaalcủne statue, con tanto artificio store
fatte, che quantunque una ſia piu grande dell'altra, @unapoſta in alto, l'altra
a baſſo, paiono nondia 1: meno tutte diunamedeſima groſſezza e grandezza.
Effetti del la perſpect e cio come ſi faccid', diſſe il Perſpettiuo', la
comprena tiua, en fione della quantità della coſa urſibile proceder dalla din
comprenſione della piramideralioſa, e dalla compaa ratione dellabafi alla
quantità dell'angulo,o alla lun= ghezza della diſtanza. Perla medeſima hanno
detto gli Aſtrologile stelle effer corpi sferici'e tondi: pera cioche daejja
uien- lor"detto i corpi sferici da lunge ofind pri parere piani; l'eſempio
ſia di uno ouo: oltre di ciò Le ſtelle le stelle nell'Orizonte apparere piu
grandi, etiano, a ell'Ori dio l'iſteſſo Orizonte alla terra contingente, e piu:
zones apo lontano di qual ſi uoglia altro punto aßegnato nel ciez iori, per lo.
L'iſteſſo fàil naturale, il quale afferma, che l'oca chio non baſterebbe a
comprender la grandezza delle coſe,s'eglinon fuſſe tondo. & etiandio ſenza
luce 1. non uederſi niente. Per queſta ſi ſono ritrouati gli fpecchi: imperoche
il raggio dell'occhio cadente pera pendicularmenteſopra delloſpecchio, ritorna
adietro, e coſi fa, che l'imagine èueduta. Si danno ancora le cagioni, perche
nella piu parte de gli ſpecchiſi ueda stig als t'imagine dalla banda dilà di
ello ſpecchio, &in alcue ni dinanzi: o oltre di ciò coſi diſcoſta e lontana
dallo specchio, quanto é l'occhio lontano da eſo, e di molte altre. si sà
ancora la diuerſa compofitioneloro, coa me de' tondi, concaui, colonnari, piramidalize
triana Pianeri og ifcintilla. gulari. Laſcioper hora, chela reuerberatione de
nocome raggi faccia le stelle fille ſcintillare: imperoche i pia = le ftefle
fiłnetinon ſcintillano. Proua ultimamente, perche nela l'acqua le coſe paiano
piu grandi, e fuori dal ſuo luos Perche le coſepaia. 80;imperochenon ſipuò
diſcernere e giudicare la no mag. grandezza di una coſa per raggio rotto: e per
ciò le giori nel ſtelle nell'orizonte appaiono piu uicine a noi, che nel
l'acqua. Meridiano. Si danno inſieme congnitioni di Iride, e molte altre; la
enumeratione delle quali troppo longa ſarebbe a dirle. CAM. Veramente tutte le
ſcienze ſono di talforte tra loro ordinate, che’n loro a punto ſi uede fe. COM
Iron chat lan ED fi uede una ciclopedia. Liv. Tal dunque è la pera ſpettiua, la
cui conſideratione e di raggio retto, rea feffo, erotto. nella quale non ui
marauigliate che ſi ueggiano coſi eccellenti e buoni Scultori: eſſendo che
scultura ciò ſiuedafacilmente nella Chimica,Ectypoſi, Celaa parci d tura,
Plaſtica, Proplaſtica, Paradigmatica, Tomia fa. ca., Colaptica, le quali
ſonotutte parti della Scultuz ra, o hanno della ſua cognitione bisogno. Hora di
queſte non voglio io parlare, eccetto ſe a voi pareſſe della simetria
dell'huomo; dcció da eſſa comprendiate ogn’hora piu le marauiglioſe opere di
Dio. Cam. Queſto miſarebbe di grandißimo contento, è maßime che per la
intelligenza loro ſi potrebbono etiandio conſiderar le parti de gli animali
ſenza ragione.Liv. Queſta miſura dunque, la quale Simetria chiamiamo, Simetria
duenga che'n tutte le coſe create da Dio ſia maraui: dell'huog glioſa, è però
di marauiglia e stupore grandißimo mo. nell'huomo. imperoche miſurate tutte le
parti effatta = mente, dalle quali è compoſto, iui non ſi uede altro, che ogni
coſa piena di harmonia e perfettißima in tuta ti i numeri. E perciò hanno
diuiſo il corpo dell'huomo in noue parti, le quali tutte ſi prendonodalla
faccid;. hauendola coſi poſta diſopra Iddio grandißimo,aca ciò tutte le altre
pigliaſſero la miſura da eſſa, come contenuta da tutto il corpo noue uolte:
s'intende però queſto degli huominifatti, e non de' fanciulli, i quaa li non
ſono eccetto quattro. La proportion poi de membri tra loroquanta fia, è coſa di
grande contemplatione. Quanto é dalle ciglia ſino alla fine del nära ſo, tanto
dal mento fino alla gola quanto dal labro di fopra ſino alla punta del naſo,
tanto é la larghezza del naſo di ſotto, è la concauità de gl'occhi, quanto
dalla cima del fronte fino alle ciglia, tanto ſino alla punta del naſo, o
etiandio fino al mento. Hora che tanto ſia la faccia, quant'è la mano, e dalle
congiunz ture di eſa fi ueggiano le proportioninella faccia,¿ coſa aſſai ben
chiara. Della larghezza, che ne dires di eſſo al naſo, tanto la larghezza della
bocca, quanto la longhezza del naſo, tanto é la larghezza delle anche, quanto
ſono due faccie inſieme. L'altezza poi, cioè quello, che uolge e circonda
all'intorno, e mard uigliosa. uolge la teſta, e in quella parte del fronte tre
faccie, il petto cinque, il uentre, paſſato però l'ombilico, quattro. Laſcio
ultimamente, che con tenga l'huomo la figura circolare, e quadrata, e che da
eſſo ſia cauata la proportione e miſura di far caſei, Fabriche Rocche, Caſtelli,
e Chieſe. Hauete hora viſto la dir moſtrate uifione del corpo del'huomo, quanto
ſia artificioſa, e dalla fime. tria del di quanta armonia e contemplatione. E
di qui conſie l'huomo. deriate qual Geometria,qual Muſico debbia eſſer l'aua
tore e fattore di tutto queſto, CA M. Veramente da tutte le coſe da D1o create
ſiamobenißimoinſegnati uiuer bene: imperoche hauendo ogni noſtra parte del
corpo con tal proportione diſpoſta, e fatta, ci mom che 3 stra, 1 C,. stra, che
ordiniamo i coſtuminoſtri; acciò in ſi bel corpo poſſa eſſere una bella anima.
Liv. E queſto ulbaſti in queſti ragionamenti, & andiamo alla Aſtro. nomia.
Cam. Come a uoi pare. His “Enthusiasm” has a brief section on ‘parlare humano’,
parabolize – wondering how men can ‘express’ the ‘conceptions’ of their ‘souls’
– via this ‘parlare’ – also philosophised on symmetry, which is like K. O.
Apel’s reciprocity. Literae humaniores, nicknamed classics, is an
undergraduate course focused on classics (Ancient Rome, Latin, and philosophy)
at Oxford. The name means literally "more human literature" and is in
contrast to the other main field of study when the Oxford began, i.e. res
divinae, or literae divine, “Lit. div.”. “Lit. Hum.” is concerned with *human*
learning; “Lit. div.” with learning treating of the divine. “Lit. Hum.”
originally encompassed mathematics and natural sciences as well. It is an
archetypal humanities course. Oxford's classics course, also known as
greats, is divided into two parts, lasting V terms and VII terms respectively,
the whole lasting IV years in total, which is one year more than most arts
degrees. The course of studies leads to a B. A. Lit. Hum. degree.
Throughout, there is a strong emphasis on first-hand study of primary sources
in Latin. In the first part -- honour moderations, “mods” – the pupil
concentrates on Latin; in the second part the pupil must choose VIII essays from
philosophy. The teaching style consists of a weekly tutorial in each of the two
main subjects chosen, supplemented by this or that lecture. The main teaching
mechanism is the weekly essay -- one on each of the two main chosen subjects,
to be read out at a 1-to-1 tutorial. This affords the pupil plenty of practice
at writing a short, clear, and well-researched essay. The emphasis is on the
study of an original text in Latin, assessed by gobbet, a short commentary on
an assigned primary source. In a typical ‘text’ essay, the pupil must comment
on an paragraph in Latin selected by the examiner -- from the set books. Marks
are awarded for recognising the context and the significance of the paragraph. The
course of moderation, – the exam
conducted by a moderator) runs for the initial V terms of the course. The aim
is for the pupil to develop an ability to read in Latin. Virgil is compulsory.
Other paragraphs are chosen from a given list. There are also unseen
translations from Latin, and compulsory translation into prose. The tutorial
fellow in philosophy is free to concentrate on teaching philosophy, not Latin.
The mods examination has a reputation as something of an ordeal.
XII
three-hour essays across seven consecutive days. Pupils for Lit. Hum. mods face
a much larger number of exams than undergraduates reading for any other degrees
at Oxford sit for their mods, prelims or even, in many cases, finals. A
pupil who successfully passes his mods may then go on to study the full greats
course in his remaining VII terms. The traditional greats course consists of philosophy.
The philosophy includes Plato and Aristotle, and also modern philosophy, both
logic and ethics, with a critical reading of standard texts -- from Plato's
Republic and Aristotle's Nicomachean Ethics to more modern philosophers, such
as Kant. The regulations governing the combinations of essays are moderately
simple. The pupil must take at least four essays based on the study of ancient
texts in the original Latin. It is compulsory also to offer essays in
unprepared translation from Latin; these essays counted "below the
line" — the pupil is required to pass them, but they do not otherwise
affect the overall class of the degree. G. E. M. Anscombe, British analytic
philosopher H. H. Asquith, former Prime Minister of the United Kingdom J. L.
Austin, philosopher of language A. J. Ayer, British analytic philosopher Isaiah
Berlin, historian of ideas, Oxonian professor George Curzon, 1st Marquess
Curzon of Kedleston, Viceroy of India and Foreign Secretary Emma Dench, British
ancient historian, McLean Professor of Ancient and Modern History at Harvard
University Peter Geach, British analytic philosopher John Murray Gibbon,
Canadian writer Barbara Hammond, English social historian, first woman to take
a double first R. M. Hare, English moral philosopher, Oxonian professor H. L.
A. Hart, British legal philosopher Denis Healey, Labour politician Gerard
Manley Hopkins, English poet Alfred Edward Housman, English classical scholar
and poet (failed in finals) Boris Johnson, Prime Minister of the United Kingdom
from 24 July 2019 Ronald Knox, Catholic priest, theologian, writer and
apologist Anthony Leggett, theoretical physicist and winner of Nobel Prize in
Physics C. S. Lewis, novelist, poet, academic, medievalist, literary critic,
essayist, lay theologian, and Christian apologist Harold Macmillan, Prime
Minister of the United Kingdom, read mods (Latin and Greek), the first half of
the four-year Oxford greats course, at Balliol from 1912 to 1914, interrupted
by service in the First World War Reginald Maudling, Conservative politician
Iris Murdoch DBE, novelist and philosopher Charles Prestwich Scott, editor of
the Manchester Guardian daily newspaper (now The Guardian) Peter Snow CBE,
British television and radio presenter, historian Reginald Edward Stubbs,
British colonial governor Ronald Syme, New Zealand-born historian and
classicist Oscar Wilde, Irish writer and poet, attained a double first Bernard
Williams, British moral philosopher, attained a double first with formal
congratulations in the second part Emily Wilson, British classicist, first
woman to publish a translation of Homer's Odyssey into English. N. T. Wright,
British Anglican bishop and academic Yang Xianyi, translator of Dream of the
Red Chamber into English See also Edit History portal University of
Oxford portal Philosophy, politics and economics Quadrivium Trivium References:
Standen, Naomi. "HIS 1023 Encounters: What is a gobbet?".
www.artsweb.bham.ac.uk. Retrieved 14 July 2018. External links Edit Brown,
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"The Classics Faculty at Oxford". Retrieved 12 July2005. "The
Philosophy Faculty at Oxford". Retrieved 8 September 2006. Last edited 6
days ago by ManyMoreYears RELATED ARTICLES Classics -- Study of the culture of
(mainly) ancient Greece and Ancient Rome; Honour Moderatons; Classical Tripos
-- Degree course at the University of Cambridge. Giovanni Camillo.
Giovanni Camilli. Giovanni Camilla. Keywords: dell’huomo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Camilla” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Cammarata: l’implicatura
conversazionale del giusto – giussum giustum – giure – iure – giudico –
giudicare -- la giustizia – filosofia italiana – Luigi Speranza (Catania).
Filosofo italiano. Grice: “You gotta love Cammarata; for one, like Austin, he
goes by initials, and indeed like me, A. E. – he is the Italian Hart – he
thinks legality comes first, justice second – and he is possibly right – his
example is Oreste’s murder and the institution of justice in Athens – However,
that’s because of his Magna Grecia background – Speranza tells me that at Rome,
things are different, since it’s all Brutus and the beginning of the republic –
‘il ratto di Lucrezia,’ as he puts it.” -- Fu uno dei più conosciuti rettori
dell'Trieste per la difesa della quale ricevette la medaglia d'oro della
Cultura e dell'Arte, mentre all'Ateneo fu conferita nel 1962 la medaglia d'oro
al valor civile. Biografia Nel corso
della sua carriera insegnò filosofia del diritto e altre materie giuridiche
nelle Messina, Macerata, Trieste, Napoli e Roma. Allievo di Giovanni Gentile,
aderì all'idealismo immanentista. Gli scritti principali di filosofia del
diritto sono inseriti, in massima parte, in Formalismo e sapere giuridico,
Giuffrè 1963. Buona parte degli scritti riguardanti invece la "questione
di Trieste" sono pubblicati in Fra la teoria del diritto e la questione di
TriesteScritti inediti e rari, Eut, Trieste. Fu anche un notevole fotografo,
come documentano le due mostre (Trieste Gorizia ) a lui dedicate. Cammarata, Angelo Ermanno, in Dizionario di
filosofia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Opere di Angelo Ermanno Cammarata,. Filosofia
Università Università Filosofo Avvocati
italiani Insegnanti italiani Professore Catania RomaFilosofi del diritto. Il
secondo giorno sostenne tutto il contrario; onde gridano all'immoralità,
all’audacia e alla sfacciataggine del filosofo, che non si vergognò di
difendere contraddizione si anorme. Anche non tenendo conto che, se si
applicasse questo criterio, tutta la filosofia dei accademici sarebbe un'
immoralità, perchè il loro metodo e di difendere in ogni quistione le soluziori
opposte. Idue discorsi (tesi ed antitesi, positio e contra-positio, posizione e
contra-posizione), tenuti in giorni successivi, abbiano un'unità perfetta (la
sintesi, o com-posizione) e si propongano il medesimo fine: mostrare la falsità
della dottrina della tesi di Diogene intorno al giurato; e siccome costoro in
questa parte della filosofia, molto più che in altre, sono dipendenti da
Platone e da Aristotele, bisogna prendere le mosse da questi. Leggiamo in
Lattanzio. Carneades autem, ut Aristotelem refelleret ac Platonem, justitiae
patronos, prima illa disputatione collegit ea omnia, quae pro justitia
dicebantur, ut posset illa, sicut fecit, evertere. Carneades, quoniam erant
infirma, quæ a philosophis adserebantur, sumsit audaciam refellendi, quia
refelli posse intellexit (Lattanzio, Instit. div.). E al trove. Nec immerito
extitit Carneades, homo summo ingenio et acumine, qui refelleret istorum
(Platone e Aristotele ) orationem et iustitiam, quæ fundamentum stabile non
habebat, everteret, non quia vituperandam esse iustitiam sentiebat, sed ut
illos defensores eius ostenderet nihil certi, nihil firmi de iustitia disputare
(Epit. 55, 5-8). Di qui è evidente che la prima orazione non era che un
esordio, un'introduzione, uno sguardo storico alla questione, un'esposizione
delle idee accettate da Diogene, che Carneade s'appresta a confutare nel
vegnente giorno (Cic., de rep.); confutazione, la quale non aveva per iscopo di
vituperare la giustizia in sé, ma di colpire i filosofi avversari, o almeno la
loro teoria dommatica – il domma.Non è la virtù stoica, che Carneade demole, ma
il sapere. Su questo si dovrà tornare più innanzi. E caso a noi pervennero
frammenti solamente della seconda orazione. Questa sola offriva una filosofia
nuova, dava una scossa inaspettata e forte all'intelligenza dei romani. Perciò
eam disputationem, qua iustitia evertitur, apud Ciceronem L. Furius recordatur
(Lattanzio, Instit. dio.). E noi ora possiamo tentare di ricostruire questo
singolare di scorso nelle sue linee generali. Per Carneade, non esiste una
giustizia (giurato – iusiurato) naturale nè verso due uomini. Se esso esistesse
le medesimecose sarebbero giurate (iusiurata) giuste o ingiuste, buone o
cattive, morali o immorali, per ogni uomo, come le cose calde e le fredde, le
dolci e le amare. Invece chi conosce il mondo e la storia, sa che regna una
grandissima diversità di apprezzamenti morali e giuridici, di consuetudini tra
il popolo romano e il popolo sabino, da Roma a Sabinia, dal Tevere al
Trastevere, da tempo a tempo. I cretesi e gli etoli reputano cosa onesta il
brigantaggio. I Lacedemoni dichiarano loro proprietà tutti i campi che potevano
toccare col giavellotto. Gli Ateniesi solevano annunciare pubblicamente che
loro apparteneva ogni terra che producesse olive e biade. I barbari galli
stimano disonorevole cosa procurarsi il frumento col lavoro, invece che colle
armi. I romani vietano ai Transalpini la coltivazione dell'ulivo e della vite,
per impedire la concorrenza ai loro prodotti e dar a questi un valore più
elevato. Gli semitici egiziani, che hanno una storia di moltissimi secoli,
adorano come divinità il bue e belve di ogni genere. I semitici Persiani,
disprezzano gli dei dell'Ellade, ne incendiarono i tempii, persuasi essere cosa
illecita che gli dei, i quali hanno per abitazione tutto il mondo, fossero
rinchiusi tra pareti. Filippo il Macedone idea e Alessandro manda ad esecuzione
la guerra contro i greci per punire quei numi. I Tauri, gli Egiziani, i barbari
galli (“Norma”) e i Fenici credeno che tornassero assai accetti alle loro deità
il sacrifizio umano. Si dice: E dovere dell'uomo che fa il giurato (iusiuratum)
ubbidire alla legge. Quale legge? A la legge di ieri, o alla legge di oggi? A
quelle fatte in questo lato del Tevere, o nel Trastevere? Se una un imperativo
o una legge suprema, universale, trascendente, kantiana, costante s'impone alla
coscienza dell’uomo, come pretende Diogene, coteste variazioni non sarebbero
possibili. Perciò non esiste un diritto naturale, nè un uomo che per natura
arriva al giurato (iusiuratum). Il diritto (ius) è una invenzione dell’uomo a
scopo di utilità e didifesa; come prova anche il fatto che non raramente la
legge, le quale e fatta dal sesso maschile, assicura a questo sesso un
particolare vantaggio a danno di quello femminile. Nessuna ‘legislazione’,
attentamente esaminata, appare l'espressione di un imperative o principio
fisso, naturale, vero, immutabile, divino. Invece al profondo osservatore non
isfugge che ogni disposizione legale move da ragione di utile e viene cambiata
appena non risponde più ai bisogni e agl'interessi di coloro che hanno nelle
mani il potere. Ogni nazione cerca di provvedere al proprio bene e considera,
per istinto di natura, gli animali e le altre nazione come istrumenti della
propria conservazione e felicità (Cic., de rep.). La storia insegna che ogni
popolo che diventa grande, potente, ricco, non pensa ai vantaggi altrui, ma
unicamente ai proprii. Voi stessi o Romani, disse Carneade parlando a un
Scipione Emiliano, il futuro distruttore di Cartagine e di Numanzia, a Lelio il
saggio, al letterato Furio Filo, a Scevola il futuro giureconsult, all'erudito
Sulpicio Gallo, algrande oratore Galba, al vecchio Catone, l'implacabile nemico
di Cartagine, al fiore di tutta la cittadinanza e alla presenza dei colti
ostaggi achei trasportati in Italia, tra i quali il grande storico e generale
Polibio. Voi stessi, o Romani, non vi siete impadroniti del mondo colla
giustizia. Se volete essere giusti, restituite le cose tolte agli altri,
ritornate alle vostre capanne a vivere nella povertà e nella miseria. Il
criterio direttivo della vostra vita non e il
giurato (iusiuratum), bensi l'utilità, che invano cercate di mascherara;
poichè voi, coll'intimare la guerra per mezzo di araldi, col recare *in-giurie*
sotto un pretesto di legalità, col desiderare l'altrui, col rubire, siete per
venuti al possesso di tutto il mondo. Ma per temperare il cattivo effetto, che
avesse potuto produrre negli animi dei Romani questa audace analisi dei fattori
della loro grandezza politica, l'avveduto ambasciatore ateniese ricorda altri
esempi, che sono celebri e lodati in tutto il mondo. Rammenta la ben nota
risposta data dal pirata catturato ad Alessandro il grande. Io infesto breve
tratto di mare con una sola fusta, con quel medesiino diritto, col quale tu, o
Alessandro, infesti tutto il mondo con grande esercito e flotta. Il
patriottismo, questa virtù somma e perfetta, che suole essere portata fino al
cielo colle lodi, è la negazione del giurato (iusiuratum), perchè si alimenta
della discordia seminata tra gli uomini e consiste nell'aumentare la prosperità
del proprio paese, naturalmente a danno di un altro, coll’nvadere violentemente
il territorio altrui, estendere il dominio, aumentare le gabelle. Patriotta è
colui che acquista dei beni alla patria colla distruzione di altre città e
nazioni, colma l'erario di denaro, rese più ricchi i concittadini. E, quel che
è peggio, non solo il popolo e la classe incolta, ma eziandio i filosofi
esortano e incoraggiano a commettere cotali atti ingiusti. Cosicchè alla
malvagità non manca neppure l'autorità della scienza. Ovunque regnano inganno e
ingiustizia, che invano si tentano di nascondere e legittimare. Tutti quelli
che hanno diritto di vita e di morte sul popolo sono tiranni. Ma essi
preferiscono chiamarsire per volontà divina. Quando alcuni, o per ricchezze, o
per ischiatta, o per potenza, hanno nelle mani l'amministrazione di una città,
costituiscono una setta. Ma i membri prendono il nome di “ottimato”. Se il
popolo ha il sopravvento nel maneggio dei pubblici affari, la forma di governo
si chiama libertà; ma è licenza. Ma poichè gli uomini si temono l'un l'altro, e
una classe ha paura dell'altra, interviene una specie di *patto* o contratto
fra popolo e potenti e si costituisce una forma mista di governo, dove la
giustizia è un effetto non di natura o di volontà, ma di debolezza. Ed è
naturale che cosi avvenga. Se l'uomo deve scegliere tra le seguenti condizioni:
recare *in-giuria* e non riceverne; e farne e riceverne; nè farne, nè
riceverne, egli repute ottima la prima, perchè soddisfa meglio i suoi istinti.
Poscia la terza, che dona quiete e sicurezza; ultima e più infelice la
condizione di chi sia costretto ad essere continuamente in armi, sia perchè
faccia, sia perché riceva *in-giurie”. Adunque alla Hobbes lo stato naturale
dei rapporti tra uomo e uomo è la lotta (uomo uominis lupo), la guerra, la
discordia, la rapina, la violenza, l'inganno, in una parola, la negazione del
giurato (giusgiurato). La giustizia è una virtù che si esercita per effetto di
debolezza e per proprio tornaconio. Ma Diogene, come vedemmo, considera il
giurato (iusiuratum) verso gli uomini. Carneade dove notare che l’istituzione
del tempio esiste solamente nel l'immaginazione de' suoi avversari e dei
filosofi, dai quali essi attinsero i loro principii. Non si acquista, non si
allarga potere, non si fonda regno senza le armi, le guerre, le vittorie; le
quali alla loro volta in generale presuppongono la presa e la distruzione di
città. E dalle distruzioni non vanno immuni le oggetti addorati nei tempi, ne
dalle stragi si sottragge il sacerdote del tempio; né dalle rapine
i tesori e gli arredi sacri. Quanti trofei di divinità nemiche,
quante sacre immagini, quante spoglie di tempii resero splendidi i trionfi dei
generali romani! E non sono cotesti sacrilegi? Non sono atti di somma
ingiustizia? No, innanzi al giudizio del popolo, all'opinione della gente
colta, degli storici, dei letterati, questa è gloria, è patriottismo, è
prudenza, sapienza, giustizia. Dunque la giustizia non solamente non viene
osservata in pratica, ma non esiste nep pure in fondo alla coscienza generale
dell’uomo. Anch'essa viene subordinata all'utile. Ma non s'arresta qui la
critica di Carneade. Con un esame sottile e profondo dell'antinomia esistente
tra i due concetti del ‘scitum’ e del ‘giurato’ e della natura morale dell'uomo
quale in realtà è, e quale egli si crede e vorrebbe essere, Carneade ha
chiarito un contrasto del cuore (ragione pratica) e della mente (ragione
teorica) umana, che tuttavia rimane e che ha servito di fondamento alle teorie
utilitaristiche inglesi di tempi a noi vicini. Lo ‘scitum’ – la sapienza
politica comanda al Cittadino di accrescere la potenza e la ricchezza della
patria, estenderne i confini e il dominio, renderne più intensa la vita con
nuove sorgenti di guadagni e di piaceri; e tutto questo non si può compiere
senza danno di altre genti. Il giurato (iusiuratum) invece comanda di
risparmiare tutti, di beneficare i propri simili indistintamente, restituire a
ciascuno il suo, non toccare i beni, non turbare i possedimenti altrui, non
sminuire la felicità d'alcuno. Ma se un uomo di stato vuole essere giusto, non
ha mai l'approvazione de' suoi amministrati, non gloria, non onori, i quali il
popolo attribuisce non al giusto (che promueve il giurato) e onesto e inetto;
bensì al sapiente, al prudente, all'accorto. Non per il giurato, ma per il
‘scitum’ i generali di ROMA hanno il soprannome di grandi. La violenza, la
forza, la negazione del giurato, hanno dato potere e consistenza agli stati. Ma
per nascondere la propria origine e fuggire la taccia de negare il giurato
(iusiuratum), il popolo, fatto grande e divenuto dominatore, va immaginando
delle favole da sostituire alla storia vera, come il mercante arricchito agogna
un titolo di nobiltà. Le stesse qualità, e solamente le stesse, mantengono gli
stati liberi o forti. Non ha nazione tanto stolta, la quale non preferisce il
comandare con la negazione del giurato, all'ubbidire con la promozione del
giurato (iusiuratum). La ragione di stato e la salvezza pubblica vincono e
soffocano il sentiment *dis-interessato*. Uno stato vuole vivere a prezzo di
qualsiasi negazione del giurato (iusiuratum), perchè sa che alla vittoria, con
qualunque mezzo acquistata, tien dietro la gloria. Nel concetto degli antichi,
la fine della propria nazione non sembra avvenimento naturale, come la morte di
un individuo, pel quale questa non solo è necessaria, ma talvolta anche desiderabile.
L'estinzione della patria era per essi in certo qual modo l'estinzione di tutto
il mondo. Dato questo concetto e un sentimento della gloria diverso e molto più
intenso che non sia in noi moderni, doveno in certa guisa parere *giustificati*
(giusti-ficati – fatto giurato – iusiuratum -- anche gli atti di violenza e di
frode, che avevano per I scopo la conservazione e la potenza del proprio stato;
o, per meglio dire, il popolo e gl'individui non hanno coscienza di un
principio o imperativo che governa la propria vita. Credeno, i Romani pei
primi, di promovere il giurato (iusiuratum) e invece sommamente negano il
giurato (iusiuratum). Carneade fu il primo a chiarire questa opposizione tra
fatto e idea, tra sapienza machiavelica politica e il giurato (iusiuratum)
(Cic., de fin.). Il medesimo conflitto tra il giurato e il ‘scitum’ dimostra
egli esistere nella vita privata, intendendo per sapiente l'uomo che sa
difendere il proprio interesse; e giusto colui che non lede quello degli altri.
Sono suoi i seguenti esempi, tolti dalla vita giornaliera e assai chiari e
appropriati alla vita romana affogata negli affari. Un tale vuole vendere uno
schiavo, che ha l'abitudine di fuggire, o una casa insalubre. Egli solo conosce
questi difetti. Ne rende avvisato il compratore? Se si, s'acquista fama di uomo onesto, perchè non inganna,
maeziandio di stolto, per che vende a piccolo prezzo, o non vende affatto; se
no, sarà reputato sapiente, perchè fa il proprio interesse, ma malvagio, perchè
inganna. Parimenti, se egli s'incontra in uno che vende oro per oricalco, o
argento per piombo, tace per comperare a buon prezzo, o indica al venditore lo
sbaglio e sborsa di più per l'acquisto? Solamente lo stolto vorrà pagare a
maggior prezzo la merce. Se un tale, la cui morte a te recherebbe vantaggio,
sta per porsi a sedere in luogo, dove si nasconde serpe velenoso, e tu il sai,
dovrai avvertirlo del pericolo, o tacere? Se taci, sarai improbo, ma accorto;
se parli, sarai probo, ma stolto (Cic., de rep.). Dunque qui pure si presenta
la contraddizione: chi è giusto, è stolto; chi è sapiente, è ingiusto. Ma in
questi casi si tratta di una quantità maggiore o minore di denaro e di vantaggi
più o meno rilevanti, e v'ha chi potrebbe essere contento e felice della
povertà. Ma quando andasse di mezzo la vita, il conflitto diventerebbe più
spiccato. Un tale in un naufragio, mentre è poco lontano dall'affogare, vede un
altro più debole di lui mettersi in salvo appoggiandosi a una tavola, che vale
a sostenere uno solo. Nessuno testimonio è presente. Si fa sua la tavola e si
pone in salvo, lasciundo che l'altro perisca. Oppure, se, dopo che i suoi
furono sconfitti, incontra nella fuga un ferito a cavallo, che va sottraendosi
al ferro dei nemici inseguenti, lo getterà a terra per porre se stesso in
sella, o si lasce raggiungere e uccidere. Se egli è uomo sapiente, si salva a
qualunque costo. Ma se poi antepone il morire al far morire, sarà giusto, ma
stolto. Tale è il giudizio che intorno al suo operato porteranno il uomo. Cosicchè il giure naturale, la giustizia
naturale è stoltezza. Il giure civile è sapienza politica. Tutto è lotta
d'interessi. Si ha ragione di credere che Carneade nel suo discorso *contro* il
giurato civile tocca anche la questione della schiavitù, dicendo essere un
fatto che nega il giurato (iusiudicatum) naturale, che uomo servisse a uomo --
principio che, riconosciuto vero, puo essere assai valido per far conoscere
quanto esteso fosse il dominio della negazione del giurato e dare alla sua tesi
una grande forza. E ciò si induce a credere dal vedere che in più frammenti il
difensore del giurato, ossia il suo contraddittore, viene svolgendo la tesi
opposta, perchè la schiavitù, rettamente conservata, torna a utilità del stesso
schiavo, il quale sotto un governo buono e forte vive in maggiore sicurezza e
viene meglio educato che allo stato di libertà; e come Dio comanda all'uomo,
l'anima al corpo, la ragione alle parti appetitive dell'anima, cosi il
conquistatore tiene a freno il conquistato, il quale diventa tali appunto perchè
e peggiore di quello. Un tenue indizio ci sarebbe anche per farci credere che
egli risolve il rimorso nella paura della pena, negando che fosse un sentimento
più profondo e disinteressato. Diogene obbietta che in questa ipotesi il
malvagio sarebbe semplicemente un incauto e il buono uno scaltro (Cic. de
leg.). In conclusione: per Diogene, fondamento della morale e del diritto è
l'inclinazione ad amare gli uomini e a rispettare la divinità, inclinazione che
ha radice nella natura, la quale sola offre la norma per distinguere il giurato
dalla sua assenza, il bene dal male. Per Carneade, generatrice del diritto è
l'utilità, e l'utilità sola, e ogni giudizio morale e altrettanta opinione, la
quale non deriva da un imperativo kantiano, o un principio naturale fisso, come
provano la loro varietà e il dissenso degli uomini (Cic., de leg.). Alla teoria
giuridica di Carneade non si deve attribuire un significato di domma o
dommatico, che sarebbe in cotraddizione colle premesse teoretiche della sua
filosofia. L'egoismo e l'utilitarismo proclamato da Carneade in opposizione
all'idealismo morale di Diogene, non è una dottrina *precettiva*, alla Kant (il
sollen) ma l'investigazione e l'esposizione di un fatto psicologico e sociale –
come il principio cooperativo di Grice. Carneade non pare credere all'effetto
pratico della morale normativa e si limita ad analizzare il cuore dell’uomo, la
ragione pratica, saggezza, prudential, il quale, per la sua tendenza nativa, è
assai lontano dal realizzare il precetto dommatico stoico. Ma da filosofo
prudente s'astiene dal proporne del proprio precetto (idiosincrazia). Nota il
fatto che si presenta all'osservazione quotidiana con tutti i caratteri della
verosimiglianza più alta e sforzano a credere o ad operare; ma nè costruisce
una teoria assoluta, ne formula un domma. iusiuro: swear to a binding
formula.Wundt. Wundt Zeitungsausschnitte 100. Wundt. Wundt. Estate Wundt Brief
von Luigi Credaro an Wilhelm Wundt. Grice: “Excellent philosopher, comparable
with Hart – only not Jewish and thus friendly with the Fascists!” A student of
Gentile, more of an idealist than a positivist, but still. Angelo Ermanno
Cammarata. Keywords: la giustizia, H. L. A. Hart, il giusto, -- giusto – la
persecuzione dei Cristiana fatta da Nerone e giusta in accordo con la legge
romana – Tacito – Suetonio – Claudio – I Cristiani e I giudei di Trastevere
confessano il deilitto dell’incendio di
Roma. Cfr. la rivincita del paganesimo, I giudei erano esclusi dalla prattiche
religiose romane, ma la setta Cristiana no. montanismo, moiaismo. I Cristiani si refusano ad assistir al rituale religioso romano. Tacito
giudica al Cristiano enemico del genero
umano. Giustizia divina, giusto legale –
giusto morale – la persecuzione dei eretici dalla chiesa, l’inquisizione, la
contra-riforma, l’inizio della filosofia romana come una ‘woke’ da parte
dall’elite romana dei scipione sulla relativita del concetto del giusto. Il
primo discorso di Carneade e un cliché deliberativo. Fu il secondo discorso di
Carneade che dimostra ai romani il potere dell’argumentazione – questo culto
all’argumentazione dialettica fino al lit. hum. Oxon e la Unione di Parla –
l’argumentazione scolastica – tesi, responsio, objection, ad p, contra p.
tractatus – il dialogo filosofico, eirenico, diagoge, epagoge. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Cammarata” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Campa: l’implicatura
conversazionale dell’elogio della stoltizia – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Presicce).
Filosofo italiano. Grice: “You gotta love Campa; he has a gift for unusual
metaphors: la fantasmagoria della parola, -- my favourite has to be his
conjunct, ‘stupidity and unfaithfulness!’ --
Grice: “Philosophy runs out of names: there are British philosophers G.
R. Grice and H. P. Grice, and Itallian philosophers R. Campa, and R. Campa.” Riccardo Campa Nota disambigua.svg DisambiguazioneSe stai
cercando il sociologo, vedi Riccardo Campa (sociologo). Riccardo Campa
con il premio Nobel Eugenio Montale, Riccardo Campa (Presicce), filosofo. Storico
della filosofia italiano, la cui indagine teorica si è incentrata sulla
relazione fra la cultura umanistica e la cultura scientifica, delineando il
percorso storico della cultura occidentale, in particolare nell'ambito europeo-latinoamericano.
Negli anni sessanta e settanta ha diretto la Biblioteca delle idee, sotto
la presidenza scientifica del premio Nobel Eugenio Montale e contemporaneamente
è stato condirettore responsabile del periodico Nuova Antologia, nel quale
ha pubblicato saggi di letteratura e filosofia sul pensiero del Novecento; vi
ha inoltre tradotto e pubblicato testi di Borges, Uscătescu, Segre, Chastel,
Kaufmann, Gasset. C.con Borges a Roma. ) «doctor honoris causa en
las ciudades de Atenas y Nueva York, alfa y omega del conocimiento de lo que
constituye Occidente [...] Asombra en su obra la recopilacion enciclopedica del
pensamiento europeo, cimentada en la razon que la describe.» «C. ha
ricevuto dottorati honoris causa nelle città di Atene e New York, l'alfa e l'omega
della conoscenza di ciò che costituisce l'Occidente [...] Sorprende nella sua
opera la raccolta enciclopedica del pensiero europeo, fondata sulla ragione che
lo descrive.» (Domingo Barbolla Camarero, Prologo, in Riccardo Campa La
razon instrumental. El mesianismo nostalgico de la contemporaneidad, Madrid,
Biblioteca Nueva, ) Ha partecipato, a seguito di regolare concorso a livello
internazionale, al Forum Europeo di Alpbach, al Collège de France, e
all'Universidad Internacional Menéndez Pelayo, e ha insegnato presso diverse
università italiane e straniere (Bologna, Università degli Studi di Napoli
Federico II, Università per stranieri di Siena, Universidad de Morón), tenendo
corsi di storia delle dottrine politiche, storia della filosofia,,storia delle
Americhe e diritto politico. C. all'Università per Stranieri di Siena. Ha
diretto l'Istituto Italiano di Cultura di Buenos Aires e successivamente ha
coordinato in Italia e nell'America Latina le attività celebrative del V
Centenario dell'America, per disposizione del Ministero degli Affari Esteri..
Vicepresidente della Commissione Nazionale per la promozione della cultura
italiana all'estero. Quale ormai consolidata personalità-ponte fra i due mondi,
geograficamente separati ma culturalmente legati dalle comuni radici, svolge le
funzioni di Direttore del Centro Studi, Documentazione e Biblioteca
dell'Istituto Italo-Latino Americano di Roma. Contemporaneamente è stato
Vicedirettore della Società Alighieri. Ha presieduto il Forum Internazionale
sulla Società Contemporanea di Madeira e, alla scadenza di questo mandato, è
stato eletto a Roma presidente della Federazione Internazionale di Studi
sull'America Latina e i Caraibi. In questo ambito, con il suo operato, ha
garantito l'interscambio delle figure intellettuali più significative fra la
cultura latinoamericana e quella europea, favorendone la reciproca
conoscenza. Riceve la nomina di Director Emeritus del Vico Chair of
Italian Studies en Dowling, Nueva York nel. Studioso di diverse
discipline: dalla linguistica teorica alla filosofia del linguaggio, dalla
filologia all'analisi letteraria alla storia della lingua; dalla filosofia
teoretica alla filosofia della scienza, nella gestione della complessa realtà
istituzionale, ha assunto l'incarico di Direttore del Centro di Eccellenza
della Ricerca dell'Siena. Già Ordinario del S.S.D SPS/2 (Storie delle
dottrine politiche) presso la Facoltà di Lingua e Cultura Italiana
dell'Università per Stranieri di Siena, gli è stato conferito il titolo di
"Professore emerito". Opere: Appartengono, fra gli altri, alla
produzione classica: Il potere politico nell'America Latina, Edizioni di
Comunità, Milano; Il riformismo rivoluzionario cileno, Marsilio, Padova;
Appunti per una storia del pensiero politico latino-americano, Lugano,
Pantarei, 1971; L'universo politico omogeneo, Istituto Editoriale
Internazionale, Milano; Las nuevas herejias, Biblioteca de Estudios Criticos,
Madrid, Ediciones Istmo; La visione e la prassi: profilo di Bolìvar (pref.
diPignatti, intr. di R. Medina Elorga, postfaz. di L. C. Camacho Leyva),
Istituto Italo Latino-Americano, Roma; A reta e a curvaReflexōes sobre nosso
tempo (Riflessioni con Oscar Niemeyer), São Paulo, Max Limonad, 1986; El
estupor de EpicuroEnsayo sobre Erwin Schrödinger, Buenos Aires-Madrid, Alianza;
La emocion: la filosofia de la infidelidad (prol. di R. H. Castagnino),
Editorial Sudamericana, Buenos Aires, La escritura y la etimologia del mundo
(con un saggio di Roland Barthes), Buenos Aires, Editorial Sudamericana, 1989;
La malinconia di EpicuroRiflessioni in penombra con Jorge Luis Borges, Buenos
Aires, Editorial SudamericanaFondazione Internazionale Jorge Luis Borges, 1990;
La primeva unità: saggio sulla storia, Le Monnier, Firenze, 1990; La practica
del dictamen: del ius a la humanitas, Grupo Editor Latinoamericano, Buenos
Aires, 1990; El sondeo de la apariencia: el libro y la imagen, Gedisa, Buenos
Aires; La trama del tiempo: ensayo sobre Italo Calvino, Grupo Editor
Latinoamericano, Buenos Aires, L'avventura e la nostalgia: Omaggio al
Portogallo, Presidenza dei Consiglio dei Ministri, Roma 1994 La metarrealidad,
Buenos Aires, Biblios, 1995; Le daimôn de la persuasion, Toulouse Cedex,
Éditions Universitaires du Sud; The Renaissance and the invention of method,
New York, Dowling College, 1998; La metafora dell'irrealtà: saggio su "Le
avventure di Pinocchio", M. Pacini Fazzi, Lucca, 1999, L'esilio saggi di
letteratura Latinoamericana, Il Mulino, Bologna, 2000; Il sortilegio e la
vanità: saggio su Louis-Ferdinand Céline, Welland Ontario, Soleil;
Caratterizzano la produzione più recente: L'immediatezza e
l'estemporaneità, New York, Dowling College PressBinghamton University, 2000;
L'età delle ombre, New York, Binghamton University, 2001; Dismisura, Bologna,
il Mulino; Le vestigia di Orfeo. Meditazioni in penombra con Jorge Luis Borges,
Bologna, Il Mulino, 2003; A modernidade, Lisboa, Fim de século, 2005; Della
comprensioneCompendio di mitografia contemporanea, Bologna, il Mulino; Ontem.
L'elegia del Brasile, Bologna, il Mulino, 2007; Vicinanze abissali.
L'approssimazione nell'epoca della scienza, Bologna, il Mulino, 2009; Langage
et stratégie de communication, Paris, L'Harmattan; El Inca Garcilaso de la
Vega, Madrid, Binghamton University, Ediciones ClasicasEdiciones del Orto,; I
Trattatisti spagnoli del diritto delle genti, Bologna, Il Mulino,; La place et
la pratique plébiscitaire, Paris, L'Harmattan,; El sortilegio de la palabra,
Madrid, Biblioteca Nueva,; Elegy. Essays on the Word and the Desert, University
Press Of The South,; L'America Latina. Un profilo, Bologna, Il Mulino,; La
filosofia de la crisis. Epicureismo y Estoicismo, Editorial Sindéresis, Madrid,;
El tiempo de la inedia. El invierno de Gunter, AntropiQa 2.0, Badajoz,; La
eventualidad y la inexorabilidad. El invierno de Gunter, Editorial Sindéresis,
Madrid,; La Destreza y el engano. Ensayo sobre Don Quijote de Miguel de
Cervantes Saavedra, Ediciones Clasicas, Madrid,; L'America Latina. Un
compendio, Bologna, Il Mulino,; Octavio Paz. El desconcierto de la modernidad,
Ediciones Clasicas, Madrid,; La parola, Bologna, Il Mulino,; Cervantes. La
linea del horizonte, Valencia, Albatros,, L'elegia del Nuovo Mondo, Bologna, Il
Mulino,. La mundializacion, Valencia, Albatros,. Il convivio linguisttico.
Riflessioni sul ruolo dell'italiano nel mondo contemporaneo, Roma,
Carocci, Note Anno di conseguimento del titolo di Professore. Ne ha diretto l'Istituto Storico-politico
della Facoltà di Scienze Politiche. Con
decreto del Ministro dell'Istruzione, dell'Università e della Ricerca, vi è
stato nominato Professore Emerito di Storia delle dottrine politiche. Dopo averne curato, dal 2003 al 2005, il XII
Congresso Internazionale, designato dall'Accademia delle Scienze di Russia ed
eletto dall'Osaka. Luigi Trenti, Il
viaggio delle parole: scritti in onore di C., Perugia, Guerra Editore,
2008. Antonio Requeni, Nueva vision de
la literatura argentina, "Les Andes", 16 settembre 1984, 3° Seccion
pag.1. Antonio Requeni, Presencia cultural de Italia en la Argentina, "La
Prensa"; Requeni, Los intelectuales del mundo: hoy, Riccardo Campa: la
Argentina, en el laberinto de Borges, "La Nacion", 20 Jesus Francisco
Sanchez, Crisis del neocapitalismo podria hacer renacer ideas del socialismo y
la izquierda: Ricardo Campa, "El Sol de Durango", 22 ottobre 2008,
6/A Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Riccardo Campa Collabora
a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su Riccardo
Campa Filosofia Letteratura Letteratura Filosofo
del XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloStorici della filosofia italiani; PresicceProfessori
dell'Università degli Studi di Napoli Federico II. De oxgin^natalibns &
patria Jlultitia. StultitiamN dturd cffe atnicam &
humantgeneris per co\ inuos mulieru partm coferuatricein. Pueritia fdelem
ejfe affeclam. i v« Nec mn. Adolescentia. Omni homini ejfs
nccejfariam. Senibmmaximofo Utio. ^ xxi, Uec agrauibits&
cordatisvi' malienam. vt 1 1 . ttiam commenthiis
Gentilium deaftrufamiliarem. ix. Inea fouenda muliehem maximefexttmoccHpari..
%, Eandem amoris & amicitia effe conciliatricem* luu Con
; ugia & conctltare & fouere. Onmihominttm atati &ordi~
} ttifuccurrere. Ammum homhvbi»addere. x i v» i n b: llis mx» n-m
vim habere. ' Vti A B6VMET,
ytietiamtn regendis Rebm pu~ hllLU,. Et commodifmum
etfe ' tam conferuandaquam recuptra,- di, iibertatu
remedium. xvi i. Gloria 6 bonoris inflrumen- tum. xvi
n.Wferiarum vitahuman opti» tnumcondtmentum x i x. Fontem.UtitU ac
bUaritatu ap. L Duicem & dmakikm ejfe de qu4 msagimiu
stultittam. 1 1. Faettsfimiltarem. uu Nu
nonlttstrarum&morum Miagiftris. i v. Maxtm^TadagogU.
j v. ltew<L Grammatick Vulgatibus. vi.
LibrorumScriptoribm. vi i . Aftrologis. VI 1 1
Magis-KccromAnticis & Diui- natofibus. ix.
tuforibus, x. Htigantibus x i Chymic sjeu
Akbymiftis. 1*4; A'rg vment Capit. Venatoribus. Attcupibus. Pifcatmbus. labricAntibus. Ambitiofo rvM. antibus. Amantibus
Hofientibus.Vriuilegiatts. iiiam Safritn Erasmo in Italia, Erasmo da Rotterdam.
Riccardo Campa. Campa. Keywords. la stoltizia. Stoltus, stoltizia, stolto,
stolto per Christo, pazzia, moria, enkoniom moirae ovvero laus stoltitiae. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Campa” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Campa: l’implicatura conversazionale
della rivincita del paganesimo romano – filosofia romana – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Mantova). Filosofo italiano.
Grice: “You gotta love Campa – he is right that ‘artificial species’ is an
oxymoron – as is ‘transhuman’ – but his philosophising about the heathens,
which is how Nero found the Christians, is very relevant!” Conosciuto soprattutto per i suoi studi
nel campo dell'etica della scienza e del transumanesimo e, precisamente, per la
sua difesa dell'idea di evoluzione autodiretta. Svolge ricerche sia nella veste
di Professore associato di Sociologia della scienza e della tecnica
all'Università Jagellonica di Cracovia, sia nella veste di Presidente
dell'Associazione Italiana Transumanisti, della quale è fondatore. Si laurea a Bologna. Ha conseguito il titolo
di Giornalista professionista presso l'Ordine dei giornalisti di Roma, il
dottorato in Epistemologia all'Università Copernicus di Torun e l'abilitazione
in Sociologia all'Università Jagellonica di Cracovia. Nell'ambito della
sociologia della scienza, è annoverato tra gli allievi di Merton, fondatore di
questa disciplina. A differenza di alcuni continuatori della scuola
costruttivista, Merton ha sempre mostrato un atteggiamento positivo nei
confronti delle scienze, e C. è rimasto fedele a questa impostazione. A tal
proposito, il filosofo argentino-canadese Bunge ha rimarcato il fatto che
«Campa è uno degli ultimi esemplari rimasti di una specie in estinzione: lo
studioso pro-scienza della comunità scientifica». I suoi studi hanno ricevuto una certa
attenzione da parte dei media dopo che Fukuyama, all'epoca consigliere per la
bioetica del presidente statunitense Bush, ha definito il transumanesimo
«l'idea più pericolosa del mondo». Secondo Fukuyama il transumanesimo è una
nuova forma di biopolitica che, pur essendo liberale e non coercitiva, rischia
di minare il concetto di uguaglianza tra gli uomini. Simili posizioni critiche
hanno assunto, in Italia, Veneziani, Ferrara, Rossi, e diversi opinionisti del
quotidiano cattolico Avvenire, che hanno criticato le idee di C. e di altri
filosofi e scienziati transumanisti (tra i quali, Bostrom, Hughes, Stock, e More),
stimolando un dibattito ad ampio raggio sulle prospettive aperte dalle nuove
tecnologie. Campa ha difeso le idee transumaniste in numerose pubblicazioni,
interviste e dibattiti pubblici, apparendo talvolta anche in televisione, e
sostenendo che le tecnologie emergenti e convergenti GRIN (un acronimo per
Genetica, Robotica, Informatica e Nanotecnologia) non rappresentano un rischio
inutile, come lasciano intendere i critici, ma un'opportunità di sviluppo in
linea con l'atteggiamento prometeico che caratterizza la storia della civiltà
occidentale. Le sue valutazioni, sull'opportunità di allungare la vita media e
potenziare le facoltà mentali e fisiche dell'uomo, sono soprattutto di ordine
etico e sociale. È autore di numerosi articoli e saggi, tra i quali spiccano
sette libri monografici. Il filosofo è nudo (Marszalek) Etica della scienza
pura (Sestante) Mutare o perire. La sfida del transumanesimo (Sestante) Le armi
robotizzate del futuro. Il problema etico (CEMISS) Trattato di filosofia
futurista (Avanguardia 21 Edizioni, ) La specie artificiale. Saggio di bioetica
evolutiva (D) La rivincita del paganesimo. Una teoria della modernità (D)
Creatori e Creature. Anatomia dei movimenti pro e contro gli OGM (D Editore, )
La società degli automi. Studi sulla disoccupazione tecnologica e sul reddito
di cittadinanza (D) Credere nel futuro: Il lato mistico del transumanesimo
(Orbis Idearum Press, ) È inoltre curatore della serie "Divenire. Rassegna
di studi interdisciplinari sulla tecnica e il postumano". Cerimonia di
abilitazione all'Cracovia C. Cipolla, Manuale di sociologia della salute,
Angeli, C., Epistemological Dimensions of Robert K. Merton's Sociology,
Copernicus University Press, quarta di copertina. Fukuyama, “Transhumanism: The
World's Most Dangerous Idea”, Foreign Policy, La versione italiana è apparsa
sul Corriere della Sera con il titolo “Biotecnologie: la fine dell'uomo”,. M. Veneziani, “Attenti l'uomo è fuori moda.
La scienza prepara “l'oltreuomo”, Libero, G. Ferrara, “Mettere in dubbio il dubbio”, Il
Foglio, Rossi, Speranze, Il Mulino,
Bologna A. Galli, “Nietzsche, profeta
dell'eugenetica”, Avvenire, Rassegna
stampa degli articoli pro e contro il transumanesimo. “Nascita del superuomo”, documentario di RAI
3, Archiviato in.; “Futuro in pillole”, puntata de Le
Invasioni Barbariche condotta da Daria Bignardi, LA7;“Musica maestro”, servizio
biografico di RAI 1, Sito della rivista Divenire, Mazzotti, Il Prof che suonava
il rock, Gazzetta di Mantova, Guerra, Futurismo per la nuova umanità, Armando,
Roma. Il transumanismo. Cronaca di una
rivoluzione annunciata, Lampi di Stampa, Milano C. biografia e nel sito "transumanisti". RIVINCERE.
Di nuovo vincere. Lat. De nuo vincere. G. V. II, 14, 1. E l'uno gli rubello Alamagoa,
el'altro la Spagna, poi le rivinselor oper forza. Dant. Conv. 127. e
questo senso non si acconcia cogli esempi di cassa riversala, nè digente
riversata. Conveniva adunque portare la dichiarazione così: Riversatoda
Riversare SII; nel qual paragrafo Riversare sta per Voltare a rovescio o sotto sopra.
E inquesto significato dee si prendere la cassa riversata di Landolfo. Riversalo
poi vale Resupino, Colla faccia volta all'insù nell'esempio d’ALIGHIERI, e
richiede paragrafo separato. 414 OsseRVAZIONE Che Riversato venga da riversare
siamo d'accordo. Ma il senso genuino di riversare è Versar di Nilovo, notato di
Giudice non è metafora alcuna. Ei parla del terreno preparato per ricevere i
denti del dragone da cui dovevano germogliare i guerrieri. E terreno
rivesciato, cioè rivoltato, aralo è parlar proprio, non metaforico. Nè VIRGILIO
parla figurało allorchè disse : Georg. I, 64. Pingue solum fortes inverlant
tauri; Vomere terras invertere. esempio sopra RIVERSATO.Add. da Riversare. BOCCACCIO
(si veda) nov.14,10. Che riversata , per forza Landolfo andò sotto l'onde.
ALIGHIERI, Inf.: Noi passamm'oltre là'velagelata Ruvida mente un'altra gente
fascia, Non volta in giù, ma tutta riversata. RIVESCIARE. S1. Permetaf. Guid. G.
Il campo dunque è rivesciato; Iasone ardito, e tosiano al dragone si dirizza.
OSSERVAZIONE Nell'. Per lunga riposanza in laoghi scuri, e freddi, e con
affreddare lo corpo dell'occhio con acqua chiara, rivinsi la virtù disgregata,
che tornai nel primo buono stato della vista. Sust, verbal. Il rivincere. Lat .
Recuperatio. Introd. Virt. Della rivinta delle terre di quà da mare , che fa la
fede cristiana. Osservazione — Non avendo noi il positivo Vivare, il composto
Rivivare o è scorretta lezione in luogo di Ravvivare, o è voce pessimamente
creata e indegna di starsi nella famiglia delle buone. E che bisogno n'ha ella
la nostra lingua possedendo già Ravvivare? Almeno la Crusca l'avesse data per
v. A. RIVOCARE. Richiamare, Far ritornare. s Per Mutare, Slornare, e Annullare
il falto. AGGIUNTA, Rivocare in forse per Mettere in dubbio. Car. ENEIDE VIII, 620.
E ti con questi preghi cessa di rivocar la possa inforse cel tuo volere.VIRGILIO.
Ib.v.403. Absiste precando Viribus indubitare tuis. m OSSERVAZIONE Se gl’accademici
avessero fatta magogiore attenzione agli esempi che ponevano sotto il verbo “rivincere”,
si sarebbero accorti che nell'ano e nell'altro propriamente esso valeRicuperare,2
non già Vinceredi nuovo , in lat. Denuo vincere. Quindi non sarebbero an dati
nella contraddizione di spiegare il sostantivo verbale Rivinta , e l'esempio
che gli corrisponde , col latino Recuperatio, dandogli origine dal verbo
Rivincere (in lat. recuperare) in un senso dal Vocabolario non accettato. Milano,
Ibrjglii e Segati: Torino, E. Loesclier: Paris, A. Fontennoing).
L'opuscolo che qui ripresento agli studiosi ha suscitato dappertutto
discussioni vivaci, ed era naturale che le suscitasse. Era naturale,
infatti, che molti facessero discendere la questione in un terreno scabro
ed irto di passioni; e pur gli altri, avvezzi per abito della mente e per
austera severità di propositi, a non mirare se non alle ragioni
obbiettive, era naturale che molto s' interessassero dell' argomento,
vedendo qui posti quesiti altissimi non di storia soltanto, ma al-
tresì di psicologia popolare, e tentatane, come meglio si è potuto, la
soluzione. Ora, dopo si lungo dibatter di ragioni avversarie, è tempo che
riprenda la parola io. La mia tesi si fonda sopra alcune contingenze
di fatti, la cui evidenza non può sfuggire ad un esame
impregiudicato. Si riassumano, di grazia, le ragioni delle due parti tra
le quali pende 1' accusa dell' in- cendio di Roma. Se da una parte
troviamo un uomo, scelleratissimo quanto si vuole, dall'altra troviamo
una comunità segreta, della quale alcuni membri sono dediti al delitto
per testimonianza degli scrittori pagani, Questa prefazione fu pubblicata
dinanzi alla seconda edizione (Torino 1900), e dinanzi alla edizione francese
(Paris). L’incendio di roma e I PRIMI CRISTIANI e dagli stessi
apostoli son dichiarati indegni di predicare Cristo. Ma quell' uomo quando
seppe che la sua casa bruciava, torna a ROMA, tenta arrestare le
fiamm e, si mescolò in mezzo al popolo, girò di qua e di là
senza guardie prese tutti i
provvedimenti consigliati dalla immanità del disastro ; e, mentr'ei
cercava porre riparo, scoppiò novello incendio; degli altri si sa
che di tanto in tanto prorompevano alla rivolta, che pre- dicavano
la conflagrazione del mondo, cui doveva seguire il regno della giustizia;
che tal regno essi aspet- tavano dopo quello dell'Anticristo, che per
essi l'Anti-Cristo è NERONE, che credevano, durante la loro vita, essere
riserbati al nuovo regno di luce e di bene; che a ROMA augurarono ancora,
pel corso di lunghi secoli, distruzione e sterminio, che dopo la
rovina della potenza romana aspettavano il loro trionfo ; qual
meraviglia che tutto questo complesso di aspettazioni e speranze abbia
eccitato le menti incolte e fanatiche degli schiavi miserrimi e li abbia
spinti all' atto forsennato? Si aggiunga a tutto questo, che gli
arrestati furon confessi, secondochè mi pare avere ora novellamente
dimostrato. In ogni movimento di rivendicazione sociale che si determina nelle
masse, vediamo tosto scindersi due partiti : quello dei più
esaltati, pronti all' azione immediata, e quello delle menti più
calme, che mal giungono a tenere a freno i primi. Quei generosi che,
scorti dal raggio della loro fede, vennero a dare alle plebi la coscienza
dei diritti umani, mal poterono con tutti i loro consigli di
temperanza, reprimerne le turbolenze impetuose. Qual nuova concezione sarebbe
mai questa, che la plebe romana, la cui vita, da secoli, era stata tutto
un seguito di con- vulsioni e di fremiti, di sedizioni e rivolte,
proprio all' epoca di NERONE fosse diventata di tanti agnellini,
quando più ributtante era lo spettacolo delle umane ineguaglianze, e più
turbinavano nel suo seno le nuove correnti rivendicatrici! Tutt' altro!
Anche in quella moltitudine erano i falsi dottori, dei quali parla la
co- siddetta Secunda Petri, i quali promettendo agli altri la
libertà erano però essi stessi servi della corruzione, i quali dopo esser
fuggiti dalle contaminazioni del mondo per la conoscenza di Gesù., si
erano di nuovo in quelle avviluppati; e, secondo le brutali imma-
gini che ivi troviamo, erano come cani tor- nati al vomito loro, come
porche lavate che di nuovo si voltolano nel fango. Quando certi stati di
aspetta- zione angosciosa si determinano nelle masse, basta una
scintilla per spingerle ad eccessi inopinati. L'aununzio della
distruzione ignea decretata da Dio per la loro generazione, la credenza
che il regno di Dio non verrebbe, se non fosse distrutta la romana potenza, fu
la scintilla delle fiamme che divamparono sterminatrici. Essi
credevano compire la volontà divina, essere gli esecutori della divina
vendetta. Vano è parlare qui di significati allegorici. Quando pur si
potesse provare che le allegorie che or si vogliono vedere sotto l'
idea del fuoco, si scorgessero pure dai primi proseliti, e come
tali si spiegassero (il che non è affatto), tutto ciò sarebbe vano lo
stesso. Il popolo interpreta le pa- role nel loro senso materiale, e
quando sente fuoco, in- tende fuoco e nuli' altro. Un'
obbiezione, a prima giunta grave, mi fu fatta da un chiaro critico : come
mai ninno degli scrittori, anche pagani, accusa di tale scempio i
cristiani ? Pure, la ragione di ciò credo poterla indicare. Il nodo
della questione credo che stia in ciò, che gii esecutori mate-
riali furono veramente i servi di NERONE, e che questi interrogati perchè
scagliassero le faci, dicevano di agire per istigazione altrui. La
credenza nella colpevolezza di NERONE si radicò quindi nelle coscienze,
ed ancor più crebbe dopo la morte di lui. Suole infatti avvenire
che a quelli che si rendono tristamente famosi per le turpitudini loro, tutte
il popolo attribui- sca le altre scelleraggini, delle quali suoni incerta
e dubbiosa la fama. E l' accusa o il sospetto dovè nascere nel popolo per
naturale reazione di pietà verso i condannati, qualche tempo dopo il
disastro e il processo ; che altrimenti non si spiegherebbe come Ne- rone
non fosse stato ucciso dall' ira popolare, quando si mescolò senza
guardie in mezzo al popolo. E dovè afforzarsi, quando Nerone o gli
adulatori suoi espressero l' intenzione di chiamar dal suo nome la
rifatta città: che allora l'ambizione parve al popolo sufficiente motivo,
a spiegar lo sterminio. E poiché NERONE dall'incendio di ROMA, che egli aveva
visto, prese poi r ispirazione per iscrivere il carme sulla rovina
di Troia, carme che forse cantò sul teatro della rinnovata sua casa,
nacque più tardi in mezzo al popolo, la fama che egli avesse cantato
sulle rovine della patria. Del resto, che vi fossero scrittori che
esplicitamente accusassero i cristiani, non credo sia da revocare in dubbio.
Tacito stesso, direttamente o indiret- tamente, deve averne usufruito
qualcuno, come mi pare possa dimostrarsi. Perchè tali scrittori non sieno
stati conservati, è vano chiedere. Durò per secoli la di- struzione
sistematica di tutto ciò che fosse avverso al Cristianesimo. Gli scritti
contro la nuova religione sono periti; le accuse che al Cristianesimo si
facevano, le conosciamo, salvo pochi accenni qua e là, solo per
bocca dei difensori. Or questi scritti apologetici sono di alcuni secoli
posteriori a Nerone e ciascuno di essi parla delle dottrine e dei costumi
dei cristiani del tempo suo ; non potremmo dunque aspettarci di
tro- vare in essi alcun tentativo di difesa contro un' accusa che
ninno più muoveva, essendo ormai invalsa anche tra i pagani 1' opinione
che accusava Nerone. Ma se del fatto determinato, e cioè dell' incendio
Neroniano non si fa più parola, si fa per contro parola molto spesso
delle tendenze rivoluzionarie e distruggitrici. Tali tendenze erano forse
una di quelle scelleraggini inerenti alla setta (flagitia cohaerentìa
nomini), alle quali accenna PLINIO (si veda), a proposito dei
cristiani di Bitinia. L'accusatore dei cristiani nell’Octavius di
Minucio Felice narra che essi, raccolta dalla peggior feccia i più
ignoranti e le credule fem- minette, naturalmente deboli per la debolezza
del loro sesso, istituiscono una plebe di sacrilega congiura; e più
giù che essi alla terra e perfino all'uni- verso e alle stelle minacciano
incendio (e cioè la conflagrazione cosmica), e macchinano rovina. Ottavio ne
li difende, e la sua difesa è pur molto istruttiva per noi. E, secondo
lui, un volgare errore il credere che non possa venire improvviso l'
incendio punitore; i saggi stessi dell'antichità, egli dice, e i
poeti han parlato della conflagrazione cosmica, del fiume di fuoco e
della Stigia palude, a punizione dei perversi. Ma niuno, ei soggiunge che
non sia sacrilego, delibera che sieno puniti con tali tormenti, per
quanto meritati, coloro che non riconoscono Dio, come gli empii e gì'
ingiusti. Ahimè, mite filosofo antico, la storia posteriore ti ha dato
torto! Non è questa una risposta alle accuse e ai timori, che si
nutrivano a riguardo dei cristiani ? Se dunque dell' accusa particolare, quella
riguardante l' incendio neroniano, non si fa più motito, per le ragioni
sopradette, non si può dire che- ogni eco dell' accusa generica sia
spenta per sempre. Altra obbiezione mi fu fatta, circa il criterio
informatore di queste ricerche. Voi, mi si è detto, state al giudizio
degli scrittori pagani, per quanto riguarda la moralità dei primi
cristiani. Ora per lunghi secoli continuarono le accuse contro i
cristiani, e furono fra le più atroci e terribili. Gl’apologisti
cristiani opposere ad esse recise smentite. Perchè non si deve credere che
sieno calunnie pur le accuse scagliate contro i cristiani dei primi
tempi? Senouchè, a proposito di queste ultime, le accuse non partono solo
da scrit- tori pagani, ma altresì da cristiani, in passi dei quali
r interpretazione non può esser dubbia. Ma tal giudizio non riguarda tutta
intera la comunità. Ohi nega che in questa fossero spiriti superiori,
ardenti del- l' amore divino del bene ? Ma le novità, e novità
tali, quali eran quelle che nelF ordine sociale annunziava il
Cristianesimo, sogliono attrarre gli spiriti più turbolenti, e più esaltati,
cui non par vero di coprire con la nobiltà di un vessillo la licenza
degli atti proprii. E, se guardiani bene, pure tutte quelle orrende
accuse fatte in seguito ai cristiani, i riti dell' uccisione del fanciullo,
della Venere promiscua dopo la cena ed altri simili, hanno tale
spiegazione. Anche gli scrittori cattolici riconoscono che tali calunnie
si debbano a tutte quelle sette di Carpocraziani, Nicolaiti,
Gnostici, che tali orrendi riti praticavano, e si arrogavano il nome
di cristiani. Che la chiesa abbia potuto respingere dal proprio seno questi
sciagurati, e si sia andata man mano epurando, torna certo ad alta sua
gloria. Ma ciò stesso ne induce ad andar molto cauti, quando vogliam
negare a priori che nei primi tempi Si è sostenuto da alcuni che la critica
moderna riferisca a quistioui di dogma e di gerarcliia i noti passi di
Paolo, nei quali esorta i Cristiani di Roma all' obbedienza e alla
man- suetudine; e si è citato in proposito Renan. Ma Renan dice di quei
passi (Saint Pani). Il semble qu'à l'epoque où il écrivait cette épitre
aux Romains diverses eglises, surtout l'Église de Rome comptaient dans
leur sein soit des disciples de Juda le Gaulonite, qui niaient la
légitimité de l'impot et préchaient la róvolte contre l'autorité romaine, soit
des ébionites qui opposaient absolument i'un à l'autre le régne de Satan
et le régne du Messie, et identificient le monde présent avec
l'empire du Démon {Epiph. haer., XXX, 16; Honiél. pseudo-clém.). ldella
chiesa potesse esservi ima moltitudine di faci- norosi, pronti ad
interpretare a lor modo le nuove dottrine e a trascendere ad ogni
eccesso. E la lettera di PLINIO si osserva, non è te- stimonio dell'
innocenza cristiana? Migriamo pure, se cosi vuoisi, da Roma in Bitiuia,
dai tempi di NERONE a quelli di Traiano. La lettera domanda all'
imperatore se debba punirsi la setta come tale o i delitti ad essa
connessi, e riferisce che degli interrogati alcuni dichiararono repiicatamente
esser cristiani, e, senza voler sapere che cosa ciò significasse, PLINIO,
per la loro ostinazione, li mandò al supplizio; altri negavano
essere stati mai cristiani ; altri affermarono essere, e poi il negarono,
dicendo essere stati, or più non esserlo ; tutti questi maledicevano Cristo, e
veneravano l' immagine dell' imperatore. Pur nel tempo in cui erano
cristiani asserivano altro non aver fatto se non raccogliersi, venerare
Cristo come se fosse un Dio, ed obbligarsi con giuramento non a
commettere delitti, ma anzi a non commetterne. Due ancelle messe ai
tormenti, non rivelarono se non una superstitio prava, ìmmodica. Se
questi infelici erano così invasi dalla paura, da indursi a sconfessare
la loro fede e maledire Cristo, si potrebbe mai aspettare da essi che rivelassero
alcuna cosa che potesse danneggiarli? Ma sieno stati pure innocentissimi
i Cristiani di Bitinia al tempo di Traiano ; che cosa prova ciò per
alcune fazioni dei cristiani di Roma al tempo di Nerone? Questo
credemmo opportuno avvertire, circa le ragioni generali e di metodo. Alle
osservazioni sui singoli punti si risponderà nelle note o anche nel
testo. Non era possibile confutare partitamente ciascuno degli scritti
venuti in luce. Quest' opuscolo sarebbe diventato un volume, con poco frutto
dei lettori e degli studii. Ne del resto era decente sottoporre alla
considerazione dei lettori, scritti, nella maggior parte dei quali la
forma irosa mal si dibatte fra le scabrosità della materia, e dalle
ambagi del ragionamento guizza ed erompe il vituperio. I fatti e le
ragioni apportate io ho tenuto in conto ; dei vituperii non mi curo,
né di essi conservo rancore. Mi conforta il consentimento pressoché
unanime a me venuto da coloro che rappresentano il più bel vanto degli studii
italiani. In mezzo alle loro voci o alle voci di quelli che, pur
di- scordi, seppero tener la misura, suonò un coro stridulo di voci
insolenti. Persone rese fanatiche da religioso ardore si scagliarono
contro di me, a contaminare la purità delle intenzioui mie. In tale
impresa l' igno- ranza e la malafede fecero l'estrema lor possa. Io
non perderò la calma per le intemperanze altrui. Quel medesimo coro ha
accompagnato sempre ogni opera di verità e di luce. Mentre la procella batteva
alla mia porta, io ripensavo mestamente che cosa mai potesse
suscitare in tanti animi impeti cosi vivaci contro di me. Era là, in quei
cuori angosciati, tutto lo schianto come di una cara visione che si
dilegui, come di una zona luminosa sulla quale inopinatamente si
effondano tenebre. Povere anime desolate, ebbre di radiose speranze, io
non ho offeso la vostra fede. Potreste voi mai sostenere che, pur quando
gran parte del mondo fu conquistata alla luce e all'amore della vostra
idea, il fanatismo e l'errore sieno tosto dispariti dalla terra, e
cieche cupidigie e biechi livori non abbiano ancora agitato gli spiriti?
Perchè dovrebbe dunque ripugnare alla vostra fede, l'ammettere che ciò
sia avvenuto pure agl'inizii della nuova era umana, in mezzo a gente
nei cui animi era 1' eredità di secolari rancori ? Il primo
quesito che si presenti alla mente di chi esamini i racconti degli
storici snll' incendio neronia- no, è questo: l'incendio fu ordinato da
Nerone? Degli scrittori più antichi lo affermano Suetonio e Dione
Cassio, i quali ci hanno pure esposto le ragioni di tal loro convinzione:
sicché la notizia da essi data ha solo valore in quanto possano averlo
tali ragioni: di che tosto vedremo. Tacito si avvale di fonti diverse, né
sembra aver fatto studio per rendere coerente il racconto suo; sicché prendendo
or dall'uno autore or dall'altro, riesce ad indurre nel lettore ora 1' una
convin- zione or l'altra. Si mostra in principio esitante tra due
autorità di fonti: quelle che attribuivano il disastro al caso e quelle
che lo attribuivano a Nerone; ma Si
potrebbe obbiettare che uno storico può narrar cosa vera, ma poi
sbagliare nell' assegnare lo cause. E ciò è appunto quello che penso io,
e che dichiaro pure più sotto; le particola- rità dell'incendio, narrate
dagli storici non sono certo inventate da essi, e sono, secondo ogni
legittima presunzione, vere; la causa dell'incendio, cioè l'ordine di
Nerone, dobbiamo giudicarla alla stregua delle ragioni che essi apportano
di tal loro convinzione. Giacche 1' attribuire l' incendio o al caso o
all' ordine dell' uno dell'altro, è convinzione o apprezzamento, non è
fatto. Lo afierma anche PLINIO (si veda) il Veccbio; e il suo accenno. N.
II.: ad Neronis principis incendia, quihus cremava Urbem), prova che pochi anni
dopo l'incendio, l'opinione era già invalsa. Verisimilmente la medesima
convinzione espri- ll' ipotesi del caso doveva cadere per
lui, che poco dopo narra come certo il fatto che nessuno osò opporsi
alla violenza del fuoco, poiché uomini minacciosi vietavano di
estinguere le fiamme, anzi le ravvivavano, dicendo di agire per consiglio
altrui. E bensì vero che Tacito aggiunge essere incerto se ciò facessero,
per potere senza freno abbandonarsi alle rapine o per vero comando: ma è
evidente che la prima ragione non regge. Giacché se essi giungevano a
imporsi tanto con le minacele da impedire ogni tentativo di estinzione,
pote- vano pure senz' altro esercitare liberamente il saccheggio.
E del resto il ripetersi della cosa, con i medesimi particolari,
per tutta Roma, non significa 1' obbedienza ad una parola d' ordine?
Questa esclude il caso. E lo esclude pure il fatto che, tosto allo
spegnersi del primo, si riaccese un secondo incendio, che proruppe
dagli meva PLINIO nelie Storie civili che furono fonte a Tacito. La
narrazione di Sulpicio Severo (II, 29) è presa interamente da Tacito, di
cui riproduce molte frasi. Quella di Orosio è derivata, con qualche
esagerazione di notizia, da Suetonio. L'iscrizione in C. I. L., VI, 826
ha qvando vrbs per novem DIES — ARSIT NERONIANIS
TKMPORIBVS. Importanti monumenti sono pure le are site in
ciascuna regione della città, sulle quali nei tempi successivi si
celebra- vano il 23 Agosto i sagritìzi incendiorum arcendorum
causa; alcune di tali are sono conservate ; cfr. Lanciani, Bull. com.;
Hùlsen, Rom. Mitt. ; Richter, Top.j- Una minaccia d' incendio è
attribuita a Nerone dall' autore dell' Ottavia, v. 882, Stazio nella
Silva dedicata alla vedova di Lucano ha infandos domini nocentis ignes. In tutta
la letteratura di opposizione a Nerone l'accusa dovè essere accolta con
fervore. Alcune di versità di particolari dalla narrazione tacitiana sono
nella cor- rispondenza apocrifa di Seneca e S. Paolo (v. Ramorino, Vox
Urbis). Tra i moderni, oltre Aubè, Schiller ed altri, lo Herstlet negò
con buone ragioni, l'attribu- zione a Nerone (Treppenwitz der Weltg.).
Molti l'attribuiscono al caso (ad es. AUard, Marucchi). I
particolari dell' incendio sono contrari a tale ipotesi: per ammetterla,
biso- gnerebbe ritenere falsi tutti i particolari narrati dagli
antichi. orti di Tigellino e devastò un' altra parte della città.
Del resto Tacito sembra nou aver ridotto ad unità di pensiero questa
parte dell' opera sua: e aver piuttosto abbozzato appunti da fonti
discordi: vedremo infatti essere molto probabile che una delle sue fonti
accu- sasse esplicitamente i cristiani. Suetonio accusa Nerone. E
l'accusa egli fonda sopra tre fatti. In un banchetto, avrebbe un
convitato detto in greco: quando io sia morto, si mescoli la terra
col fuoco », e Nerone avrebbe soggiunto; auzi quando io sia vivo;
di più, parecchi consolari sorpresero nei loro possedimenti i servi
imperiali, con stoppa e faci; e per paura, neppur li molestarono; infine
Nerone, de- '-> Altro indizio che Tacito non abbia
riassunto in una con- cezione unica il fatto storico, ma abbia solo unito
notizie di- scordi da fonti diverse, si trae anche da questo. Ei
riferisce la voce che Nerone al tempo del disastro cantasse
l'incendio di Troia sul teatro domestico. Ma qual teatro? Quando ei
'tornò da Anzio il palazzo imperiale bruciava ! Altra contraddizione. Debbo
notare a tal proposito come a me abbia prodotto ingrata meraviglia, che del mio
giudizio su Tacito altri abbia menato scalpore, come di giudizio a bella
posta indotto per iscemare l'autorità di lui ed infirmarne la fede. Dopo
tanti studii perseguiti da tanti anni, sul materiale storico di
Tacito, sul suo fosco vedere, sulle sinistre interpretazioni sue,
sulla sua costante avversione per alcuni personaggi, si avrebbe il
diritto di pretendere che tanta mole di lavoro non fosse stata fatta
invano. Il Fabia, Le sources de Tacite, osserva, contro L. Von Ranke, che
Tacito si astiene dall' accusare o dall' assolvere Nerone, adoperando
frasi come pervaserat rumor, videbatur, crederetnr. Ma a me paiono
giuste le seguenti considerazioni del Von Ranke, Weltgeschichte, Leipzig:
Es ware nun unsin- nig zu denken, dass Nero, der sich bei dern Brande
wurdig betragen batte, jetzt, um eia durchaus falsches Geriicht
nieder- zuschlagen, zur Verfolgung \inschuldiger Lente geschritten
wàre. Man kann nicht anders als annehmen dass diese Stelle aus des
zweiten Nero anklagenden Ueberlieferung stammt. Die Nichtswiirdigkeit des
Kaisers liegt eben darin, dass er den Brand selbst angelegt hat und auf
anderen die Schuid schiebt. So die zwejte Ueberlieferung.] siderando sul
Palatino l'area di alcuni granai costruiti con pietra, li fece prima
abbattere e poi fece ad essi appiccare il fuoco. Anche Cassio Dione è
esplicito, e (juasi a riprova della sua accusa apporta due fatti:
die cioè Nerone aveva fatto voto di vedere la distru- zione di Roma e che
egli chiamò felice Priamo, perchè aveva visto perire la patria sua. [Or
veramente, se questi sono i fondamenti della secolare accusa, lo storico
spassionato dovrà rimanere ben perplesso prima di confermarla. Certo fu
uomo di si efferate nefandezze Nerone, che non è a temere gli si
gravi troppo la soma dei delitti con un altro misfatto; pure, giudicando
senza prevenzioni, è facile scorgere quanta sia la vacuità delle ragioni
che gli antichi apportano per incolparlo anche di questo. Quanto ai
servi di lui, sorpresi ad incendiare, il fatto ha ogni verosimiglianza,
ma ha ben altra spiegazione, come si dirà in seguito. Quanto ai granai
del Pala- tino, è naturale che, quando tutto intorno era di-
strutto, visti superstiti quegl' informi ruderi, ei li fa- cesse
abbattere e incendiare, volendo liberare l' area per la futura sontuosa
sua casa. *' Quanto all' aneddoto, raccontato da Dione Cassio, eh' egli
avesse fatto voto di veder distrutta la città, esso è infirmato dal
fatto che, .saputo appena che il fuoco s' approssimava al pa- [Questo
passo di Suetonio (Ner.) ha fatto uscire di careggiata non pochi.
L'abbattimento e l'incendio dei granai Suetonio lo apporta, perchè serve
a dimostrare, secondo lui, che Nerone non fece mistero dell' ordine d'
incendiare {incendit urbem tam palam ut bellicis machinis
lahefactata atqiie infiammata sint, ecc.). E chiaro che 1'
argomentazione non è va- lida. Se Nerone dette senza mistero 1' ordine di
abbattere quei granai, dovè dunque darlo quando tornò da Anzio; e allora
tutto intorno era già divorato dalle fiamme.] lazzo imperiale, egli
rientrò in Roma, eppure non si potè impedire (dice Tacito) che il
Palatino e la reggia e tutti i luoghi intorno fossero preda alle fiamme. Rimangono
altri due aneddoti, e quello di Priamo e quello del banchetto. E non è
improbabile che Nerone paragonasse sé stesso a Priamo, cui toccò di
veder distrutta la patria sua, e si chiamasse, ammettiamo pure,
fortunato di veder cosa unica al mondo: ma ciò non si può apportare qual
prova a confermare che l'ordine partisse da lui. Ne tale deduzione si
può trarre dai motti di spirito, che secondo Suetonio ri- ferisce,
avrebbe egli scambiato con un suo convitato in un banchetto. Che anzi,
chi ben guardi, l'inter- pretazione di qu3Ì motti è ben altra. Giacché se
il convitato disse: Ivj.oò Savóvro? Y^ia at/Gr^uo ttd.oi egli voleva
evidentemente significare: « purché io sia morto, si mescoli la terra col
fuoco », e cioè, a un dipresso: purché io non abbia più a correrne
pericolo, caschi pure il mondo! » Ed è naturale quindi che Nerone
rispondesse: « anzi, purché io continui a vivere » (immo inquit, i'j.o'j
Cwvioc). — Ci siamo indugiati in siffatti particolari aneddotici, non per
conchiudere da essi soli, che fu ingiusta l'accusa, ma solo per affermare
che non ci è dato indagare la verità da siffatte fonti. Questi
scrittori hanno poco discernimento critico. Quando raccolgono fatti, ci
offrono materiale prezioso: quando li interpretano e ne tra^ggono
deduzioni, sco- prono tutto il debole dell'arte loro. Noi dunque
dob- biamo battere altra via. Dobbiamo esaminare le par- [Ed era la
casa sontuosa, eh' egli stesso aveva fatto smi- suratamente ingrandire,
sicché comprendeva ormai tutta l'area dal Palatino all'Esquilino. Il nome
di Domus Transitoria (Suet. Nei') trasse in uno strano errore il Renan,
il quale credette vedere in quello l'intenzione di Nerone di far, poi,
una casa definitiva. Ma transitoria significa solo che quella casa
metteva in comunicazione, come dice Tacito {Ann.) il Palatium con
gli orti di Mecenate ! Pascal] ticolarità tutte del disastro ìq relazione
al carattere ed ai fatti di Nerone. * Dobbiamo vedere quale poteva
essere per lui il movente ad emanare l'ordine sciagu- rato, quali i mezzi
per attuare l' immane disegno. La capacità a delinquere di Nerone è
fuori di ogni discussione; e veramente, se solo ad essa noi dovessimo
aver ricorso, la questione non sussisterebbe più. Ma vi ha tempre e
caratteri diversi di delinquenza: alcuni sono nati alle audacie più
forsennate, alle più temerarie scelleraggini: altri praticano il delitto
per coperte insidie e per nascosti raggiri. Nerone, quale cÀ
risulta da tutti gli atti della sua vita, fu insi- dioso e vile;
sospettoso di tutto e di tutti, sempre premuroso d' ingraziarsi il popolo
con feste e largi- zioni; assalito alcuna volta da crisi convulse, e
trepidante per divina vendetta, superstizioso come un fanciullo. Quando
scoppiò l' incendio, egli era ad Anzio. Scoppiò per ordine suo? Ma allora
il suo tristo segreto fu affidato non ad uno o due dei più intimi,
ma a centinaia, forse a migliaia di servi e pretoriani!" Giacché per
tutta Roma furono dissemi- [Mi si è mosso rimprovero che tali
particolarità io de- suma da quegli stessi scrittori, dei quali ho
cercato infirmare la fede. Ma le dichiarazioni che qui precedono sono
esplicite ; i fatti non sono certo inventati dagli scrittori : le
deduzioni che essi ne traggono sono erronee. In tutte le
scelleratezze di Nerone si vede manifesto lo studio di coprire nel
segreto dei pochi fidati il misfatto. Il man- dare l'ordine da Anzio a
Roma a centinaia di servi e soldati, e il tornare poi in mezzo al popolo,
suppone un coraggio che non pos- siamo davvero attribuirgli. Né è dato
supporre che Nerone abbia confidato l'ordine solo a qualche intimo.
Questi non avrebbe po- tuto fare se non trasmettere gli ordini imperiali;
e Nerone capiva che 1' ordine sarebbe stato quindi annunziato ai servi o
soldati solo come ordine suo. lnati coloro che impedivano ogni
tentativo di estin- zione, *" ed erano come riferisce Dione Cassio,
anche vigili e soldati che ravvivavano il fuoco. E si sup- ponga
pure che costoro nell' ebbrezza forsennata di quelle notti infernali,
obbedissero, senza esitanza, ad un ordine che si diceva lor mandato dall'
imperatore lontano: ma quando poi l'imperatore tornò, e tentò arrestare
le fiamme, (Tac. Ann.), a chi obbe- divano coloro che dagli orti di
Tigellino fecero pro- rompere novello incendio? E, se avesse dato l'
ordine, sarebbe tornato Nerone? Un ordine, diffuso fra tanti servi e
soldati, non poteva rimanere un segreto per il popolo: avrebbe Si
potrebbe osservare : Perchè dovevano essere centi- naia ? Non bastavano
forse anche pochi per appiccare l'incen- dio, se questo cominciò dalle
bofteghe ripiene di merci accen- sibili, e fu alimentato dal vento?
Sennonché supposto pure che pochi abbiano appiccato l' incendio,
moltissimi dovevano pure essere quelli che ordirono il complotto. Ed
infatti per tutta Roma erano sparsi coloro che impedivano ogni tentativo
di estinzione. Questi dovevano essere a parte del segreto, e per
essere sparsi in tutta Roma dovevano essere moltissimi. La qual notizia
della impedita estinzione non può essere revocata in dubbio.- Se non
v'era forte mano organizzata ad impedire 1' estinzione, molto prima dei
nove giorni si sarebbero sedate le fiamme. Non potevano certo
obbedire a Nerone, poiché da lui ricevevano ormai l'ordine di arrestare le
fiamme, non di riaccen- derle. Si è sospettato potesse essere una
finzione di Nerone il tentativo di arrestare le fiamme. Ma ad ogni modo
questa finzione non poteva avere efletto se non con opere di estinzione.
E non è consentaneo al carattere di Nerone che egli in mezzo alla
disperazione del popolo si fosse esposto al pericolo di rinnovare l'ordine
incendiario. E Tigellino non avrebbe fatto incominciare dalla casa sua,
lasciando intatto il Trastevere. Si può pensare: col non tornare, avrebbe
accresciuto i sospetti. Ma questi apprezzamenti e calcoli di mente fredda
di- sdicono al carattere di Nerone. Si esamini, di grazia, il suo
contegno dopo 1' uccisione della madre (Tac. Ann.). E cosi quando gli fu
annunziata la defezione degli eserciti, non osò presentarsi in pubblico,
temendo esser fatto a brani (Suet. Ner.). egli affrontato la plebe,
pazza d' ira e di terrore? '' E perchè l' avrebbe dato, quest' ordine ?
Perchè, si risponde, non soffriva le vie tortuose e irregolari, con le
loro pestifere esalazioni, e voleva il vanto d'essere chiamato fondatore
di Roma; ojDpure, perchè voleva godere lo spettacolo delle fiamme e cantare
l'incendio. Ed altri ancora risponde : dette l' ordine in un
accesso di pazzia. Or veramente, quanto alle vie tortuose e
strette, la ragione non regge. L' incendio fu appiccato a tutte le
regioni più nobili e suntuose di Roma; perirono i templi vetusti, i bagni,
le passeggiate, i luoghi di de- lizia, le case più ricche. Le regioni dei
poveri, rot>curo Trastevere, il centro della comunità giudaica e
cristiana, furono rispettati. Eppure anche nel Traste- vere aveva Nerone
i suoi orti Domiziani e il suo circo, che poteva desiderare di vedere
sgombri dalle casupole e dalle viuzze che li circondavano. Voleva godere
lo spettacolo delle fiamme? Ma si sarebbe su- bito mosso da Anzio; il
ritardo poteva togliergli l'oc- casione di goderlo! Rimane dunque che
egli avesse ordinato l' incendio in un accesso di pazzia. Ma quando
egli tornò a Roma, e, come riferisce Tacito {Ann. XV, 39\ cercò di
opporsi al fuoco, ed aprì per ristoro al po- polo il campo di Marte, i
portici e le terme di Agrippa, Che Nerone sin dalla prima notte del suo
ritorno si ag- girasse senza guardie per la città, è afìermato da Tacito
stesso, quando narra che Subrio Flavio aveva già prima della
congiura Pisoniana fatto il disegno di uccidere Nerone cum ardente
domo per noctem huc Ulne cursaret incustoditus! (Ann.) '' Non poteva
regolare, si può dire, la direzione delle fiamme. Ma certamente, se il suo
scopo era quello di togliere le viuzze stretto e le case luride non
sarebbe ricorso alle fiamme. Bastava che il suo disegno d' abbellire Roma
egli enunciasse, per essere esaltato da tutto il popolo, e avere il
concorso di tutti i cittadini. E quando anche alle fiamme avesse voluto
ricorrere, avrebbe cominciato dai quartieri luridi, non da quelli nobili
e sontuosi.] gli orti suoi, e fece costrnire provvisorie capanne, e
diminuì il prezzo del frumento, era certamente nel possesso delle facoltà
sue : e allora chi rinnovò l' in- cendio negli orti di Tigellino? Ed ancora, si ponga mente ad altre
osservazioni. Nerone voleva sal- vare la casa sua, ed infatti vi si
adoperò, tornato a Roma: avrebbe egli ordinato che si cominciasse
ad appiccare il fuoco proprio a quella parte del circo. che era
contigua al Palatino? Nerone amava credersi e farsi credere artista fine e di
greco gusto. Non avrebbe egli fatto mettere al sicuro le più belle
opere di scultura, i monumenti dei più chiari ingegni, i capilavori
dell'arte greca? Anche questi perirono tutti, e Nerone mandò gli
emissarii suoi, per l'Asia e per la Grecia, a depredarne dei nuovi. Quanto
più si consideri l'accusa fatta a Nerone, tanto più essa risulta
incoerente e contradditoria. Ma dunque, chi ordinò l'incendio? Quali
furono gì' incendiarii? Quale scopo ebbero? Chi incolpò i Cristiani? E
quali erano i Cri- stiani allora? Dobbiamo, per l' esposizione
nostra, cominciare dall'ultimo quesito, e poi a mano a mano,
attraverso gli altri, giungere sino al primo. Sulla prima
comunità cristiana in Roma abbiamo E opportuno pnre notare che J
racconto riguardante Nerone, che sulle rovine «ii Roma canta i' incendio
di Troia è ritenuto, per buone ragioni, una leggenda. Y. Renan, JJ
Anii- christ che prese probabilmente i suoi argomenti dalla nota
del Fabricio a Cassio Dione. Non vale il dire: ricevuto il comando, non si badò
più a nulla. Sta pur sempre, che se il primo incendio cominciò
dalla casa di Nerone, e il secondo dalla casa di Tigellino, le
fiaiume forono appiccate da nomini che erano nemici di tatto
l'ordine sociale, che era rappresentato da quei di; e. scarsissimi
documenti: pure ci viene da essi qualche lume. Chi immagina i Cristiani
al tempo di Nerone, e anche prima, tutti intenti a bizantineggiare su
que- stioni di dogma, non può spiegare l' aggregarsi di sempre
nuovi proseliti alla parola evangelica. Se Ta- cito dice che i cristiani
erano allora « una immensa moltitudine, ninna ragione v' ha per iscemare
il valore a siffatta testimonianza. Ora una immensa moltitudine non
si poteva commuovere per controversie riguardanti solo il, dogma giudaico. Ci
vuole altro per muovere le turbe. Se soltanto tali quesiti avessero
formato oggetto della predicazione evangelica, i gentili avrebbero
probabilmente risposto come il proconsole Corinzio rispose ai Giudei che
accusa- vano Paolo: « sono questioni di parole: pensateci voi. Il
cristianesimo dovè invece assumere ben presto in Roma un contenuto
sociale ed economico. Quel che importava era il complesso delle
aspirazioni e delle rivendicazioni messianiche, era la parola dolce,
che per prima affermava 1' eguaglianza umana, e promet- teva lo
sterminio degli empii, e prossimo il regno della giustizia. Ora questa
sete ardente di rivendicazioni umane era comune tanto al giudaismo quanto
al cristianesimo. La differenza era in ciò, che per il cri- stianesimo il
Messia era già venuto, ma doveva tosto tornare a disperdere le potenze
maleJBche sulla terra; il giudaismo non sapeva accomodarsi all'idea di
un Messia, che non avesse levato sugli empi la sua spada di fuoco,
e assicurato la supremazia al suo popolo La testimonianza di Tacito
è i-insaldata da quella di Clem. Rom. Ad, Cor., I, 6 (nokò t:).YjOoc;), e
da quella dell' ^joo- calisse, VII, 9 {o/'koc, t:oXù<;) e da quella di
S. Paolo che ai Fi- lippesi dice, parlando dei cristiani di Roma : «
Molti dei miei fratelli nel Signore ». Contro siffatte testimonianze non
v'è una sola prova di fatto. Nulla trovo in proposito nel lavoro
del- l' Harnach, GescJdchte der Verbreitung des Christenthuvis, in
Sitzunysb. d. Akad. d. Wiss. zu Berlin. leletto e feimato l' impero
nella divina Gerusalemme, bella d'oro, di cipresso e di cedro. Ma in
sostanza r una aspettazione e l' altra di un prossimo rinnova-
mento umano aveva un contenuto sociale; e a guardar l'una e l'altra dal
di fuori, era facile confonderle. Quindi è che Giuseppe Flavio e Giusto
di Tiberiade non distinguono i cristiani dai giudei; e Tacito in un
passo (Bist.) confonde gli uni e gli altri; cosi Suetonio, quando dice
{Claud.) Jndaeos imimlsore Chresto assidne tumultuantes Roma expnUf,
intende evi- dentemente (per quanto stranamente sia stato interpre-
tato questo passo) per Judaei i Cristiani, immaginando Cristo ancor vivo
ai tempi di Claudio,v anzi eccitatore dei Giudei nei loro tentativi di
riscossa. Che poi la coscienza umana si sia spostata non verso il
giudai- smo, ma verso il cristianesimo, la ragione è manife-
Impulsore non può voler dire « a cagione » bensi « per eccitamento
». È da mettere a riscontro questo passo di Sue- tonio con un passo degli
Atti degli Apostoli, nel quale si ha questa notizia < [Paolo ^ trovato
un certo Giudeo, per nome Aquila, di nazione Pontico, da poco venuto in
Italia, insieme con Priscilla sua moglie (perciocché Claudio aveva
comandato che tutti i Giudei si partissero di Roma), si accostò a loro ;
e poiché egli era della medesima arte, dimorava in casa loro ». Ora è
importante il fatto che Aquila e Priscilla erano appunto cristiani: cfr.
Rom.; Corint.; Tim.; Ada, E che il fossero anche prima d'incontrarsi con
Paolo si può con qualche probabilità dedurre dal fatto che appunto in
casa loro andò ad abitare Paolo a Corinto. Paolo, Eom., li chiama suoi «
coope- ratori ». Cfr. De Rossi Bnll. ardi, crisi; Allard, Hist. des
persécut.. E probabile dunque che Claudio scacciasse dalla città i
Giudei cristiani, non tutti i Giudei : tanto piìi che dei Giudei
Cassio Dione dice che Claudio ritenendo pericoloso a cagione del
loro numero scacciarli dalla città, si limitò a interdirne le adunanze. E
che 1' espulsione ordinata da Claudio non riguar- dasse propriamente i
Giudei viene indirettamente provato dal fatto che Giuseppe Flavio,
solitamente cosi bene informato di tutto ciò che riguardai suoi
compatrioti, non menziona di Clau- dio se non atti di favore per essi
{Ant, Ind.). sta. L'uno infatti rimaneva chiuso nel suo rigido par-
ticolarismo di razza, l'altro abbracciava nell'amor suo l'universo. L'uno
esaltava il popolo eletto dal Signore e destinato al trionfo; l'altro
predicando l'eguaglianza umana volse la propaganda sua tra i Gentili. Di
più ancora, gli uni spostavano indefinitamente i termini della
dolce promessa, gli altri annunciando imminente il desiderato ritorno,
parevano soddisfare la impazienza di rinnovamento umano, che è cosi
caratteristica della società romana del primo secolo. È facile
immaginare quanto larga e immediata diffusione avesse il cristianesimo
tra gli schiavi, i quali sentivano più che mai prepotente la brama di
rivendicazioni e da secoli prorompevano di tratto in tratto alla rivolta.
D' altra parte, come avviene in tutti i movimenti umani, si aggregava
alle idee nuove quel sostrato tenebroso della società che spunta fuori
solo nei giorni più torbidi, giungendo ad ogni eccesso cui spingano
le bieche passioni e i rancori lungamente soffocati. Tali uomini
gettavano fosca luce su tutta intera la chiesa. Tacito dice: « odiati pei
loro delitti » i Cristiani, e meritevoli di ogni « pena più esemplare
» (Ann.); e Suetonio parla di essi come di gente « malefica » (Ner.).
Tacito e Suetonio hanno delle virtù e delle colpe umane gli stessi concetti
che ne abbiamo noi. Quando essi parlano di delitti e male- fizi,
non è possibile assumere tali parole in signifi- cato men tristo
dell'usuale. La castità, la temperanza, la rinuncia ai piaceri, l'odio
per le turpitudini, erano pure per essi tali pregi, che ne avrebbero
commosso di ammirazione reverente l'animo. Si potrebbe pen- sare a
calunnie sparse ad arte nel popolo. Ma è pur l'incendio di eoma e r primi
cristiani vero che nelle stesse fonti cristiane abbiamo la prova che
molti nelle varie chiese fossero indegni di predicare la croce di Cristo. Paolo
stesso, nella lettera scritta da Roma ai Filippesi, così parla di alcuni,
che si erano aggregati alla nuova fede: « Molti dei fra- telli nel
Signore, rassicurati per i miei legami, hanno preso vie maggiore ardire
di proporre la parola di Dio senza paura. Vero è che ve ne sono alcuni
che predicano Cristo anche per invidia e per contesa, ma pure anche
altri che lo predicano per buona affezione. Quelli certo annunziano Cristo per
contesa, non puramente, pensando aggiungere afflizione ai miei
legami; ma questi lo fanno per carità, sapendo ch'io son posto per la
difesa dell' evangelo ». A quante interpretazioni han dato luogo queste
parole! Eppure a dichiarazione di esse mi pare che possano servire
quelle che Paolo aggiunge poco dopo:Siate miei imitatori, o fratelli, e
considerate coloro che camminano cosi Perciocché molti camminano, dei
quali molte volte vi ho detto, e ancora al presente vi dico
piangendo, che sono i nemici della croce di Cristo; il cui fine è
perdizione, il cui Dio è il ventre, la cui gloria è nella confusione
loro; i quali hanno il pensiero e l'affetto nelle cose terrene. Noi viviamo
nei cieli, come nella città nostra, onde ancora aspettiamo il Salvatore.
E più giù: « La vostra mansuetudine Tali parole scritte ai Filippesi
liHiiiio riscontro con quelle della lettera ai Romani « lo vi esorto,
fratelli, che vi guardiate da coloro che commettono dissensi e scandali,
con- tro la dottrina che avete imparato e vi ritragghiate da essi.
Perciocché essi non servono al nostro Signore Gesù Cristo, ma al proprio
ventre, e con dolce e lusinghevole parlare seducono il cuore dei semplici
». Dunque quelli che « non servono a Dio, ma al proprio ventre », non si
trovavano solo a Filippi, ma anche a Roma. Ingiusto è quindi l'appunto mossomi
dal sig. Fr. Cauer, in Beri, philol. Wock. Sulla recensione del
Cauer v. anche App. II, nota 1. Circa le varie questioni ri- guardanti la
lettera ai Filippesi, e propriamente la sua genui- l' incendio di roma e
i primi cristiani sia nota a tutti gii uomini, il Signore è
vicino. Non siate con ansietà solleciti di cosa alcuna ». "" Il
Signore è vicino! Dunque, egli dice, siate mansueti, e cioè non vi
abbandonate a moti incomposti, aspettate con calma e fiducia. Il seme
gettato aveva fruttificato dovunque ; era seme di amore e fruttificò la
rivolta. Ed in Roma quali erano coloro che predicavano Cristo per
invidia e contesa? Erano quelli che avevano l'animo alle cose terrene,
che avevano invidia dei beni altrui, e prorompevano in contese e sommosse:
questi, sì, aggiungevano afflizione ai legami di Paolo. Egli
infatti doveva essere giudicato da Cesare e aveva tutto l'interesse che
non apparisse perturbatrice dello Stato la sua dottrina; sul puro campo
religioso l'assoluzione era sicura, giacche Roma in religione non conobbe
mai l' intolleranza. La nascente chiesa cristiana era già fin d' allora scissa
in fazioni. AH' in- fuori delle dispute dommatiche che tanto
travagliarono a Paolo la nobile vita, era vivo nel primitivo
cristianesimo il dissenso tra quelli che cercavano in- culcare
l'aspettazione fidente della divina giustizia, e quelli che volgevano le
nuove dottrine a scopi di immediate rivendicazioni materiali. Dagli
scrittori mo- derni è stato ampiamente studiato in che cosa
consi- nità e l'unicità della sua composizione, v. gli autori citati
presso Clemen, Proleqom. z. Chron. der Paulinischen Briefe,
Halle, Qualche scrittore ha accennato che tutti questi passi si
riferiscano a scismi e divisioni interne della nascente Chiesa, per
questioni di dogmi e di gerarchia. Quale relazione abbiano il dogma e la
gerarchia col ve>itre, di cui parla Paolo, col pen- siero e V affetto
volto ai beni terreni, non so vedere. Che se poi invece si vuol parlare
di scismi e divisioni riguardanti vera- mente l'attaccamento ai beni
terreni, si vuol supporre cioè che avessero assunto il nome di Cristiani,
uomini avidi ed invidiosi dei beni altrui, allora siamo pienamente
d'accordo; ed io posso anche nutrire non vana speranza che i miei
contraddittori siano per venire nell' avviso
mio. l stessero i dissensi dommatici; ma non per questo
dob- biamo noi credere che solo ad essi si riducessero le divisioni
della prima chiesa. Anzi, chi ben guardi, a riprovare il partito delle
rivendicazioni sociali si trovavan concordi pur quelli che nel dogma eran
dissen- zienti; e se da una parte Paolo protesta esservi nella
Chiesa alcuni che sono nemici della croce di Cristo, perchè il loro Dio è
il ventre, il loro affetto è alle cose terrene, Pietro parla a lungo di
quelli tra i Cristiani che sono schiavi di lor lascivia, che come animali
senza ragione vanno dietro all' impeto della natura, destinati a perire
nella loro corruzione, essi che reputano tutto il loro piacere consistere
nelle giornaliere delizie, e non restano giammai di peccare, adescando le
anime deboli, ed avendo il cuore esercitato all' avarizia (II Petrij 2).
E, come Paolo, anche Pietro, nella P'' epi- stola (la cui attribuzione è
sicura) esorta i Cristiani alla soggezione verso le autorità terrene, i
sovrani e i governatori, e a ritenerli come inviati da Dio stesso, per
punire i malfattori e premiare quelli che fanno bene (I). L'esortazione
prova appunto che tra i Cristiani fosse una fazione turbolenta
(cfr.Tim.). È dato pensare col Eénan {Saint Paul) a quelle sette
cristiane che negavano la legittimità dell' im- posta, che predicavano la
rivolta contro l' impero, e identificavano anzi l' impero al regno di
Satana. La maggior parte della prima chiesa sarà stata di persone invase
dall'amor del bene e da fraterna carità; ma la turbolenza fremeva in
quella massa disforme, e la parola apostolica mal giungeva a frenarla. Or
qui è da richiamare quel che abbiam sopra visto, riferito da
Suetonio, che cioè sotto Claudio i Cristiani tumul- tuassero e fossero
espulsi da Roma. Anche quel passo è stato soggetto a tante
interpretazioni! Pure a con- ferma della nostra, basta rammentare il
passo di Tacito [Ann.) « quella perniciosa superstizione soffocata per il
momento, prorompeva di nuovo », il quale passo ci lascia anche
comprendere che più d' uno do- vettero essere i tentativi di soffocare il
cristianesimo nascente. -' Perchè soffocarlo, se non fosse stata in esso
una fazione rivoluzionaria? In Roma tutti i culti vivevano alla luce del sole.
'" E che tal fazione avesse in Roma il Cristianesimo, si deduce
dalia lettera stessa di Paolo ai Romani. Vi s' industria in ogni maniera
di incutere il rispetto all' autorità, tenta perfino di far credere
divina la potestà terrena: « Ogni persona sia sottoposta alle potestà
superiori, perciocché non vi è potestà se non da Dio ; e le potestà che
sono, sono da Dio ordinate. Talché chi resiste alla podestà, resiste
all'ordine di Dio, e quelli che vi resistono riceveranno giudizio sopra
di loro » ecc. (7?o?»., 13). Indi pure si spiega perchè ai cristiani si
facesse accusa di professare l'odio del genere umano. Tacito anzi dice
che 1' accusa fu provata (Ann.) odio humanis generis conoictì sunt Si è tentato d' interpretare il passo,
adducendo Pih d" uno, ho detto.^Le parole di Tacito sono :
Auctor nominis eius Christus, Tiberio iviperitante, jyer procuratorem
P. Pilatum sujypiicio adfectus fuerat; represscique in praesens
exi- tiabilis superstitio rursum erumpebnt. Se Tacito avesse voluto
dire che la repressione fu una sola, avrebbe detto eruperat; invece
eruinpebat è imperfetto iteratiro, in relazione con quel- V in praesens.
E il significato è: « ogni volta che era repressa erompeva di nuovo. I
provvedimenti repressivi presi in Roma contro certi culti e cerimonie
fui-ono determinati da ragioni di moralità e di quiete pubblica ; cfr.
Aubé, Histoìre des pemécutionfs; De Marchi, Rendiconti Istituto Lomb.
Giugno 1900; Ferrini, Esposizione storica e dottrinale del diritto penale
romano, Milano, Se il Cristianesimo avesse avuto un solo carattere
religioso sarebbe stato tollerato, come era tol- lerato anzi qualche
volta (Joseph. Ant. jud.), anche favorito il giudaismo, che pur pretendeva
all'esclusiva verità del suo unico Dio, e pure aveva contrario il
sentimento pubblico Di simili accuse parlano spesso più tardi gli
apologisti, Tertulliano, Apol.; hostes maluistis rocare generis humani;
sicché a me sembra vano il tentativo d'in- la rinuncia, che i
cristiani professavano, ai beni e ai piaceri della vita. Vani sforzi! Il
mondo classico aveva visto in tal genere le aberrazioni estreme della
scuola cinica, la quale tuttora vigeva (A)tn.); ed aveva ancora,
fiorente nel suo seno, l'ideale della virtù stoica. Gli è elle ogni
rivendicazione di una classe sociale contro l'altra, diventa
necessariamente lotta e quindi odio di classe. Strana sorte! Cristo e i
suoi apostoli insegnavano 1' amore; gettata la loro parola nelle
mol- titudini, era seme che fruttava 1' odio umano. Fra
quelle turbe, inasprite da secolari dolori, avide della agognata
riscossa, passò la figura dolce e confortatrice di Paolo. Persegui tenacemente
e con fervore divino, l'opera sua; diresse con la mansuetudine quei
cuori tempestosi, convertì quanti più potè tra i Preto- riani ed i servi
di Nerone (Ai Filipp.). Finito poi, con l'assoluzione, il processo a suo
carico, non è certo che egli sia rimasto in Roma. L' ajino seguente,
proruppe l'incendio. Il Signore è vicino ! aveva annunziato Paolo, e
tutta la letteratura evangelica contiene questo grido angoscioso di
aspettazione : « Io vi dico in verità che alcuni di quelli che sono qui
presenti, non proveranno la morte, primachè non abbiano veduto il Figliuolo
dell' uomo venire nel suo regno. Io vi dico che terpretare : d'
essere odiati dal genere umano. Come può essere per alcuno un capo di accusa
l'odio alti-ui? E si poteva asserir seriamente che tutto il genere umano
si unisse ad odiare quella Chiesa segreta ed ignota? E ad ogni modo
quando pur si volesse sforzare la frase sino a tal senso, ci si
guadagnerebbe ben poco. V. però su tutta la cronologia di Paolo, Harnack
A., Die Chronologie des altchristlichen Litteratur. questa
generazione non perirà, prima che tutto questo avvenga. Cielo e terra
periranno, ma non periranno le mie parole. Così concordemente gli
evangeli di Matteo, di Marco e di Luca. E la lettera di Jacopo. Siate
pazienti, fortificate i cuori vostri, la venuta del Signore è vicina. E
la lettera agli Ebrei. Ancora un breve tempo e colui che deve venire,
verrà e non tarderà ». E Paolo stesso ai Romani. La notte è avanzata, e
il giorno è vicino. È noto che il dogma posteriore spostò
indefinitamente la speranza di questo avvento divino ma i cristiani di allora
l'aspettavano per la loro ge- nerazione. Paolo nella prima ai
Tessalonicesi così dice: « Noi viventi siamo riserbati sino alla venuta
del Si- gnore ». E gli oppressi, i conculcati, i disprezzati, si estasiavano
al prossimo adempimento della dolce pro- messa. Ma quando, quando tornerà
il liberatore, a sol- levare gli umili, a punire gli empi ? « Quando
avrete veduto l'abbominio della desolazione, detta dal profeta
Daniele, posta dove non si conviene » rispondevano gli
evangelii {Marc, 13). « In quei giorni vi sarà affli- zione tale, qual
mai non fu dal principio della creazione delle cose finora, ed anche mai
non sarà! E se il Signore non avesse abbreviati quei giorni, ninna carne
scamperebbe ; ma per gli eletti suoi, il Signore li ha abbreviati
Allora se alcuno vi dice: Ecco qua Cristo, ovvero: Eccolo là, noi
crediate Ma in quei giorni, dopo quell'afflizione, il sole
oscurerà, la luna non darà più il suo splendore. E le stelle dal cielo
cadranno, e le potenze nei cieli saranno scrollate. E allora gii
uo- mini vedranno il Figliuolo dell'uomo venir dalle nuvole, con
gran potenza e gloria». Così l'idea del prossimo ri- torno di Cristo era
congiunta con quella della fine del mondo, cui doveva far seguito la
rinnovazione delle cose, e la rigenerata umanità. Cristo stesso
indicando i superbi palagi di Gerusalemme aveva detto : « Vedi tu
questi grandi edifici ? Ei non sarà lasciata pietra sopra pietra». E
Griovanni aveva annunziato :.« Fi- gliuoli è l'ultima ora », (Giov.), e
Pietro : « È prossima la fine delle cose ». È prossima? ma non era
r età di Nerone 1' abbominio della desolazione di cui aveva parlato il
profeta ? ^° E non aveva promesso il Signore, che sarebbero brevi quei giorni,
perchè altri- menti niuno si salverebbe ? E dopo la distruzione, il
rinnovamento : dopo le ingiustizie secolari, 1' egua- glianza e la pace !
E il recente convertito trovava nel fondo oscuro della sua coscienza le
reliquie del paganesimo, che vi persistevano tenaci : dunque, pensava, lo
stoicismo non s'ingannava, e pure attraverso il mondo nostro era
penetrato un raggio del vero: era penetrato per gli oracoli delle
Sibille, per le predizioni etrusche, per le dottrine degli stoici : tutti
annunziavano la fine delle cose e la novella progenie umana; tutti
annun- ziavano il prossimo regno del Sole, cioè del fuoco, che
rigenererebbe l' universo, e Vergilio stesso lo aveva cantato {Ed.). Ma
sopratutto lo stoicismo pareva dare a queste anime turbate il cupo
consiglio, lo stoi- cismo, che essi sostanzialmente non distinguevano
dal Cristianesimo per il suo contenuto morale, e che come contenuto
sociale aveva le stesse aspettazioni di rinnovamento umano. Or lo stoicismo
predicava l'ecp^ros/V, combustione cosmica, come fine del mondo, e
principio della nuova era umana. Per alcuni stoici questa
combustione cosmica do- Nerone era veramente per i cristiani l'Anticristo, la
be- stia nera {-o OY,piov lo chiama V Apocalisse), l'uomo del
peccato, il figliuolo della perdizione, di cui parla la II di Paolo ai
Tessa- lonicesi. Il suo regno era dunque annunzio dell' imminente
regno di Dio (v. la citata lettera di Paolo, cap. II); cfr. Renan, S.
Paul, L' àvOpiD-o; T-r,v àv&[j.[a; è personificazione della potenza
mondana, che deve rivelarsi con impeto prima della fine del mondo; cfr.
Ferrar, The Life and Work of St. Paul, Sulla genuinità della Seconda ai
Tessa- lonicesi, V. Weizsàcker, Zeilschr. f. iciss. TlievL;
Briickner, Chronol. Reihenfolge, veva essere preceduta dal diluvio, secondo
l'idea antica di Eraclito (v. il framm. presso Clemente, Strom.).
Tale è pure l' idea di Seneca, nel quale è così ardente il desiderio di
rinnovamento, che alcune parole di lui sembrano uscite dalla bocca di un
apostolo [Nat. Qw.). Anch' egli cupamente anìiunzia : « Non tarderà molto
la distruzione ! » E come il vecchio Eraclito, e dietro di Ini le
scuole stoiche, simboleggiando nel fuoco l'anima divina del- l'
universo, aveva detto (presso Ippolito) : « il fuoco tutto assalendo giudicherà
ed invaderà », così nel dogma cristiano si assegnò all'incendio del mondo
l'uf- ficio di purificazione e giudizio finale. Gli antichi pro-
feti d'Israele erano t\itti pieni di fremiti sdegnosi, di ansiose
aspettazioni dell' ora punitrice. Neil' anima di Isaia pare accogliersi
tutta la protesta dei miseri, l'onta per la dominazione assira, l'odio
per chi procurava la rovina al popolo. Egli scatta e minaccia : « Voi
sarete come una quercia di cui son cascate le foglie, come un
giardino senz' acqua. Il forte diventerà stoppa, l'opera sua favilla;
l'una e l'altra saranno arse insieme: non vi sarà niuno che spenga il
fuoco » (I). Questi fremiti sdegnosi si risentiranno più tardi
nell'Apoca- lisse cristiana. E l'idea della combustione del mondo
fu pur congiunta, nel dogma cristiano, a quella del se- condo avvento di
Cristo : « I cieli e la terra del tempo presente per la medesima parola
son riposti, giac- ché sono riserbati al fuoco, nel giorno del giudizio
e della perdizione degli empi. Or quest'unica cosa non vi sia
celata, diletti, che per il Signore un giorno è come mille anni, e mille
anni come un giorno. Il Signore non ritarda, come alcuni reputano, la sua
promessa, anzi è paziente verso di noi, non volendo che alcuni pe-
riscano, ma che tutti vengano a penitenza. E il giorno del Signore verrà
come un ladro di notte ; in quello i cieli passeranno rapidamente, gli
elementi divampati si dissolveranno ; la terra e le opere che sono in essa
, saranno arse. Poiché tutte queste cose hanno da dis- solversi, quali vi
conviene essere in sante conversazioni e pietà, aspettando e
affrettandovi all' av venirti ento del giorno di Dio, nel quale i cieli
infuocati si dissolveranno, gli elementi infiammati si distruggeranno !
(Così la così detta Petri, V. anche Cai-m. sibyll.).E certamente,
questi apostoli della dottrina avranno fatto ogni sforzo per
provare che il fuoco era divino, non umano, e per esor- tare alla calma e
all'aspettazione fidente di Dio. Questo risulta dalle parole che abbiamo
citato, anzi risulta da tutta intera la letteratura apostolica, che è
piena di consigli miti. Ma risulta altresì l'impazienza di alcuni.
Gettate una dottrina come questa, dell'imminente fuoco, punitore di tutti
i gaudenti della terra, in mezzo ad una turba di schiavi, di gladiatori,
di oppressi; e voi vedrete a tale annunzio in diversa guisa
manifestarsi r animo di ognuno, altri raccogliersi nelle trepidanze
angosciose, altri, i più violenti, i tristi per natura, correre a sfogare
le ultime agognate vendette. Rotti i vincoli e i freni umani, erompe
l'animo dei tristi a sod- disfare con facile ardire le passioni prima
represse o celate. Le vendette, le violenze e il saccheggio sono le
forme consuete cui irrompono, in tal condizione di spiriti, le turbe
forsennate. Altri forse, illusi o fanatici, avranno creduto trovare
giustificazione nella stessa parola divina. Cristo stesso aveva detto : « io
sono venuto a portare il fuoco sopra la terra » (Luca), Essi credevano
essere gli esecutori della divina vendetta, essi dovevano iniziare
l'opera redentrice. Le masse esaltate dal fanatismo sprezzano i consigli
della moderazione e della calma. Fermentano allora in quelle
coscienze commosse tutte le ire e tutti i rancori ; perduti ritegni
e timori umani e divini, gli animi si spingono ad ogni eccesso.
e Pasotil. ' 10 14r; l'lu quale altra comunità romana
in quel tempo po- tevano essere così vivaci gl'impulsi all'atto forsennato?
Certo, anche gii Ebrei auguravano a Roma stermioio; ma non aspettavano
fiamme vendicatrici per la loro generazione ; nella Corte di Nerone erano
bene accetti; in lui non vedevano l'Anticristo, il mostro, l'uomo
del peccato, annunzio del prossimo regno di Dio. Solo dunque 1'
ultimo strato sociale, cui si era portata la parola dell' eguaglianza e
dell'amore, poteva erompere all' opera distruttrice. QuelT ultimo strato
sociale era abbeverato di odio contro tutto 1' ordine presente. Gli
apostoli davano bensì consigli di obbedienza ai loro padroni; ma dalle loro
stesse parole risulta che alcuni andavan predicando dottrine ben diverse.
Si ascolti Paolo a Timoteo. Tutti i servi che sono sotto il giogo
reputino i loro signori degni di ogni onore, perchè non sieno bestemmiati
il nome di Dio e la dottrina. E quelli che hanno signori fedeli non
manchino ai proprii doveri verso di essi, perchè son fratelli; anzi molto
più li servano, perchè son fedeli diletti e che partecipano del
benefiziG^. Insegna queste cose ed inculcale. /Se alcuno insegna/ diversa
dottrina, e non si attiene alle sane parole del signore Gesù Cristo,
e alla dottrina che è secondo pietà, esso si gonfia senza saper
nulla, vaneggiando tra dispute e logomachie, onde sorgono odi, contese,
bestemmie, tristi sospyetti, conjiitti di uomini viziati di mente e
alieni dal vero, che credono la pietà abbia ad essere un guadagno ». Come
scruta addentro nelle latebre dell'anima lo sguardo profondo di
Paolo! L' amore universale, che egli aveva annunziato diven- tava
naturalmente per il popolo pretesa di rivendica- zione : la pietà
diventava guadagno. E non pure v' erano quelli che agitavano la questione
dello scuotere il giogo secolare, come indubbiamente risulta dalle parole
or citate di Paolo; ma contro tutta la compagine e l'orga-
nizzazione sociale e l' imjjero stesso si appuntavano gli odii loro. Anzi
nel primitivo dogma era che allora av- verrebbe l' incendio del mondo e
quindi il regno della giustizia, (luaiido avvenisse la fine dell' impero.
Certo, in tale forma noi troviamo più tardi il dogma in Tertul-
liano. « Noi preghiamo, egli dice {Apolog.), per 1' im- pero e per lo
stato romano, noi i quali ben sappiamo che la massima rovina che sovrasta
all'universo intero, il chiudersi dell' èra nostra, che ci minaccia
orrende sciagure, di tanto sarà ritardata di quanto si prolun-
gherà il romano impero » (così pure nel liher ad Sca- p ulani).
Qui 1' appressarsi del fato estremo è cagione di trepidanza, come
nel mille; nell'epoca neroniana era aspettata con fervore di desiderio e
si accusava Dio della ritardata promessa {Petri). Molti passi della
letteratura apostolica attestano il fermento degli spiriti e la loro
desiosa aspettazione dell'ora finale. A più eccitarli si facevano perfino
correre false apo- calissi [li Tessal.). Si spiega quindi come solo
all' epoca neroniana, potè erompere l' impazienza al- l' atto forsennato.
— E che anche nell'epoca neroniana si unissero i due concetti della fine
del mondo e della fine dell' impero, si deduce da quel che sopra
abbia- mo visto, che il regno di Dio doveva esser preceduto dal
regno del mostro (11 Tessal.); il mostro era Nerone. Se
dunque la distruzione dell' impero, rauuienta- raento dell'Anticristo era
il principio della divina giu- stizia, si richiederà, credo, una volontà
ben salda per negare ancora che questi poveri fanatici, forse
indotti da eccitamenti malvagi, abbiali voluto farla finita con r
impero e con Roma. 11 fuoco, il fuoco devastatore avrebbe posto fine
all'abbominio e rigenerata l'umanità neir innocenza. Come la potenza
della luce era prece- duta da quella delle tenebre, e il regno di Dio da
quello del mostro, cosi il fuoco divino doveva esser preceduto dal
fuoco umano, che avrebbe annientata la sede stessa dell' impero." Ed
ora, dopo aver esaminato quali passioni fre- mevano nel cuore, quali
dottrine esaltavano le menti di una parte di questa comunità cristiana,
torniamo alla narrazione dell'incendio. Di tante centinaia di sol-
dati e servi incendiari, è possibile che nessuno fosse riconosciuto ? Non
è possibile, che anzi si sapeva che erano i servi del cubicolo imperiese
e i soldati del pre- torio. E quando furono riconosciuti ed arrestati,
perchè non avrebbero addotto 1' ordine di Nerone ? E Nerone si
sarebbe messo, dinanzi al popolo, allo sbaraglio di questa terribile
prova ? Invece i primi arrestati con- fessarono. « S' iniziò il processo
primamente, dice Ta- cito {Ann.), contro i rei confessi ; dipoi
mol- tissimi altri, per denunzia di essi, non furono tanto convinti
di avere appiccato il fuoco, quanto di odiare il genere umano » ^' (o
secondo altri : di essere odiati !). Non come prova, ma come elemento di
fatto che può avere relazione col nostro argomento, crediamo far menzione
di una curiosa scoperta fatta a Pompei. Sopra una muraglia,
tracciate col carbone, si scopersero alcune lettere. Il Kiessling {Bull.
Ist. corr. ardi.) che primo, col Miuervini e col Fiorelli vide il
documento, credette poter leggere ignì gavdb CHRISTIANE. Le lettere al
contatto dell' aria si dileguarono. Due anni dopo il De Rossi non ne vide
più nulla e dovette conten- tarsi di un fac-simile tracciato dal
Minervini. Sul fac-simile credette dover leggere : avdi cukistianos ; e
con altri residui di lettere sparsi qua e là per le muraglie, tentò tutta
una ri- costruzione, a dir vero un po' romantica, contro la quale
qual- che buona osservazione fece i' Aubé, lILst. des pers. I, pag.
418. •'Nell'interpretazione di questo passo troppe volte la
pas- sione ha fatto velo all'intelligenza. Riportiamo tutto il
passo, ed esaminiamo le singole espressioni, avvalendoci, in parte,
delle prove già apportate da H. Schiller, in Commentationes in honorem
Th. Mommseni, pag. 41 e segg., per quanto noi non vogliamo giungere alle
esagerate sue conclusioni. La reità dunque fu provata solo in parte per la
prima accusa ; j)er tutti fu provata la seconda accusa, quella
« Ergo, aholrndo rumori Nero subdidit reos et quaesitift-
simis poenis affecit quos per flagitia invisos, vulgus christianos
appellabat. Auctor noìinnis e'ms Christus, ecc. Igitur primiim. correpti
qui fatebantur ; deinde indicio eorum mnltitudo ingens, haud perinde in
crimine incenda quam odio humani generis convicti sunt ». Il
subdidit reos si vori-ebbe spiegare « sostituì al vero col- pevole i
falsi ». Rimandiamo, per il valore della frase, all' app. Ili di qnesto
studio. Passiamo al primum correpti qui fate- bantur. Corripere denota l'
inizio della procedura penale : cfr. Ann. II, 28; III, 49, 66; IV, 19,
66; VI, 40; XII, 42. Se la pro- cedura penale fu iniziata, dovè iniziarsi
per il delitto di cui si tratta, il crimen incenda ; non potè essere per
una causa di religione, che del resto si sarebbe dovuto svolgere dinanzi
al Senato (cfr. Tac. Ann.; Suet. Tib.: Dione; Suet. Claudio).
Nerone era scelleratissimo, ma non era sciocco ; e una sciocchezza
sarebbe stato accusare per il delitto d' in- cendio, e fare un processo
di religione. Pretendere che Nerone abbia fatto questo, significa supporre
senza prove che egli ab- bia introdotto nella legislazione penale un
delitto nuovo ; e ciò proprio all'indomani dell'assoluzione di Paolo, il
quale aveva potuto per due anni predicare Cristo con ogni franchezza
e senza divieto {Atti upost.). « Furono dunque prima- mente
processati d'incendio quelli che via via confessavano ». Confessavano che
cosa ? Quando fatevi o confiteri sono adope- rati assolutamente in
relazione a un processo significano: «di- chiararsi reo di quello per cui
si è accusati » ; cfr. Ili, 67 ; XI, 1 ; XI, 35 ; Cic. : Mil. 15 ; Lig.
10. Si vuole invece supplire se Christianos esse. Ma per tal significato
il verbo di Tacito sa- rebbe stato profiteri; cfr. Ilist, III, 51; III,
54; IV, 10; IV, 40. Ann. I, 81 ; II, 10, 42. K dovendo giudicare dell'
incendio era assurdo il chiedere la confessione di altra colpa, dì cui
era competente a decidere solo il Senato. Altra colpa ? Si può pro-
prio seriamente affermare che si ritenesse allora dai Romani colpa il
professare una religione qualsiasi ? In ogni altro caso, trattandosi di
una accusa determinata, quella dell' incendio, a niuno mai sarebbe venuto
in mente che la confessione degli accusati potesse intendersi di altro
che di incendio; e il pre sentare tale ipotesi sarebbe parsa tale
enormità, qual sarebbe quella ad esempio di colui che nel passo di
Cicerone, Mil. 15 « ni,si vidisset posse absolvi eum. qui fateretur »
volesse inten- dere il fateretur in un significato diverso da quello di «
essere reo confesso di omicidio ». Ma la passione spiega qualsiasi
aberrazione. — Segue indicio eorum. Indicium è la denuncia se- più
generica. E cioè : i primi, gli esecutori materiali, confessarono e
denunciarono i compagni (indicio eorum): greta o la
rivelazione fatta da accusati o da colpevoli contro al- tri colpevoli
(Ann.). E poiché l'accusa qui è delV incendio, anche indicium si
riferisce a tale accusa. Nella lettera di Plinio, X, 96 1' accusa è
invece deire.<fser cristiani; e index quindi significa « denunziatore dei
Cristiani » e per questo anche nella medesima lettera cuìifitentes vale «
quelli che si confessavano cristiani » : l'accusa era proprio questa! —
Si è obiettato che i Cristiani non pote- vano denunziare i loro fratelli.
Il che può significare che questi non erano veri Cristiani, che erano
povero volgo ignai-o, aggre- gatosi al partito delle novità per ispirito
di rivolta; ma non ci potrà indurre a sostituire una interpretazione
falsa ad una vera. Anche i Cristiani di Bitinia, interrogati da Plinio,
non potevano maledire Cristo, sconfessare la fede e venerare l'im-
magine di Traiano ; eppure « omnes et imaginem. tiiam deorum- que
mnulacra venerati suni et Christo male dixenmt » (Plinio). — Segue : « haud,
jìprinde in crimine incenda quam odio Immani generis convicti sunt*. Haud
perinde quam, {haud proinde quam), non perinde quam significano : «
non tanto..., quanto » ; cfr. Ann. La seconda cosa si afferma dunque in
proporzioni maggiori della prima, ma tutte e due si affermano. E cioè,
nel caso nostro, la prova della partecipazione all' incendio si ebbe solo
per al- cuni ; tutti furono provati rei {convicti sunt) deW odio
Immani generis. Provati rei, da chi? mi si è detto. Dai ministri di
Nerone. Non è questo il significato del convicti sunt, che non de- nota
la dichiarazione di reità fatta da un giudice, bensi la prova
inconfutabile e che non può essere disconosciuta dallo stesso accusato.
Qualcuno ha suggerito invece del convicti co- niuncti del Mediceo. Il
coniuncti è stato forse indotto ilal co- pista a cagione di quell' in
crimine, che pareva non convenirsi alla costruzione del convicti. E ad
ogni modo non potrebbe si- gnificare se non: « furono congiunti non tanto
nell'accusa d'incendio quanto.... ». Il che tornerebbe a quel che dico io,
indi- cherebbe cioè che 1' accusa di incendio non fu abbandonata :
ma poiché non tutti furono trovati colpevoli d' incendio, furono tutti
coinvolti nell'accusa di odio contro il genere umano. Debbo pure avvertire che
le parole di Tacito [im) : miseratio oriebatur, tamquam non utilitate
pnblica sed in saevifiam unius absumerentur non significano già che
Tacito credesse inno- centi i Cristiani, e non sono quindi in
contraddizione con tutto ciò che precede Tacito non dice nam,....
absumebantur ; dice: < nasceva compassione nel popolo quasiché
{tamquam) i Cri- stiani si facessero perire non per utilità pubblica, ma
per sod- allora non si volle sapere altro, si fece l'arresto
in massa dei cristiani, e ninno di essi smenti la sua fede; solo
questi ultimi- dichiararono non aver preso parte all'incendio, come i
primi; ma era lo stesso, erano tutti rei di queir odio umano che aveva
armato le mani di fiaccole : furono tutti condannati. Come si
vede. Tacito prese questi particolari da una terza fonte, e credette
doverli registrare come fatti accertati, pure cercando di smorzare le
tinte e adope- rare espressioni un poco oscure, per non nuocere
all'in- tento suo di gettare qualche sospetto su Nerone. Il
che si rivela pure dalle parole seguenti : « na- sceva compassione (per i
Cristiani condannati ai suppli- disfare la crudeltà di un solo », il che
si riferisce alle voci che correvano nel popolo accusafcrici di Nerone.
Quando il popolo vide tra i condannati i servi di Nerone e i soldati del
pretorio, non potè non sospettare che essi avessero agito per ordine
dell'Imperatore. Tacito parla dei Cristiani come colpevoli, o con- vinti
o confessi, ma distinguendo evidentemente gli esecutori materiali da
colui che poteva aver dato 1' ordine, riferisce non senza qualche
compiacimento le voci popolari accusatrici di Nerone. Cosi in Ann.,gli fa
volgere da Subrio Flavio l'accusa di incendiai'iìis. In principio, egli
presenta due sole ipotesi : forte an dolo principis, parole alle quali si
è attri- buito il senso che Tacito stesso escludesse ogni sospetto a
ri- guardo dei Cristiani. Ciò non è esatto. Bisogna distinguere gli
esecutori materiali da colui che poteva aver dato l' ordine. Quanto ai
primi egli non ha alcun dubbio, poiché li chiama sontes et novissima
exempla meì'itos, parole che mal s' inten- derebbero, se non si
riferissero ad un determinato ed unico delitto. Quanto al secondo, egli
esprime la convinzione che 1' ordine partisse da Nerone. Convinzione che
egli derivò forse dalle Storie Cimlt di Plinio, e che ebbe del resto
origine dal fatto che tra gli esecutori materiali furono veramente gli
schiavi di Nerone : ma appunto tra questi schiavi erano numerosi i
cristiani. Tacito riferisce pur l'ipotesi del caso: ma la sua nar- razione
esclude l'ipotesi. Non altrimenti, ad esempio, ei dichiara non
potersi incol- pare Tiberio per la morte di Druso, eppur getta su lui
anche per questo qualche ombra. Non vuol pronunziarsi se Agricola
sia morto di veleno per opera di Domiziano, ed ogni tanto l' insinua.
zii), benché si trattasse di uomini colpevoli e meritevoli di ogni
più inaudita pena esemplare ». Ma perchè avrebbero confessato i
primi cristiani? Perchè avrebbero denunciato i compagni ? E
qui, oltre che può tornare in campo la ragione già detta del necessario
riconoscimento di alcuni, si può volgere la mente anche ad altro.
Neil' ardore del fanatismo, essi avranno creduto immediato il
miracolo. Iddio, Iddio ora tornerebbe, egli che aveva promesso di tornare
dopo la desola- zione estrema : non finirebbe la loro vita prima
che Iddio tornasse. E confessavano, gloriosi, e denuncia- vano, per
far partecipi alla gloria. " Immaginate que- sti esaltati a spiegare
l'opera loro, la fede loro : l'egua- glianza dei diritti umani voluta da
Dio, la distruzione di tutto, necessaria per 1' avvento suo. I Romani
pri- mamente allora s' accorsero che quella fede aveva un contenuto
sociale, ed era un pericolo per lo Stato. E la qualificarono dottrina di
odio contro il genere umano. Era invece la rivendicazione degli
oppressi e degli schiavi : ma questi con erano uomini. Ma c'è
ancora di più: anche dopo, i cristiani non cessarono di sperare ancora
quelle fiamme vendicatrici, e di auspicarne il ritorno. Alcuni anni dopo,
il bagliore sinistro di quelle fiamme accende la fantasia allo
scrit- tore deìV Apocalisse. Si riconosce oramai da tutti, anche
dagli scrittori cattolici, che in questa, sotto il nome di Babilonia, si
cela quello di Roma, Ora ascoltate il grido di maledizione e di vendetta
su Roma, baccanale di Ripugna il pensiero che i livori delle fazioni
nella na- scente chiesa, quei livori dei quali abbiamo visto muovere
la- gnanza Paolo, li spingessero alle reciproche accuse. Clemente
Rom. (ad Cor.) dice che le sciagure dei Cristiani furono effetto della gelosia
(St^/ Cr,)vOv). Anche l'Arnold, Die neronische Christenverfolgung, Leipz.
crede che le denunzie contro i Cristiani sieno state fatte da
Cristiani dissidenti. Ogni turpitudine, che scaglia il profeta
dell' Apocalisse : « Poi udii un' altra voce che diceva : uscite da essa,
o popolo, mio, acciocché non siate partecipi dei suoi pec- cati, e
non riceviate delle sue piaghe. I suoi peccati sono giunti l'uno dietro
all'altro insiuo al cielo, e Iddio si è ricordato delle sue iniquità.
Rendetele il cambio di quello che essa vi ha fatto ; anzi rendetele
secondo le sue opere, al doppio : nella coppa nella quale ella ha
mesciuto a voi, mescetele il doppio. Quanto ella si è glorificata ed. ha
lu.<suriato, tanto datele tormento e cordoglio : perciocché ella dice
nel cuor suo : io seggo regina e non sono vedova, e non vedrò giaminai
duolo. Perciò in uno stesso giorno verranno le sue piaghe ; morte e
cordoglio e fame : e sarà arsa col fuoco ; perciocché possente è il Signore
Iddio, il quale la giudi- cherà. E i re della terra, i quali fornicavano
e lussu- riavano con lei, la piangeranno, o faranno cordoglio di
lei, quando vedranno il fumo del suo incendio ».... e così di seguito che
è un sol fremito di protesta, un sol grido di vendetta contro la
meretrice « ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù
». E nel capitolo seguente si pregusta con voluttà frenetica la gioia
della sua rovina; « Allelluia! la salute e la potenza e la gloria e 1' onore al
Si- gnore Iddio nostro. Perciocché veraci e giusti sono i suoi
giudizii ; e infatti egli ha giudicato la gran me- retrice che ha
corrotto la terra con la sua fornicazione, e ha vendicato il sangue dei
servi suoi, dalla mano di lei.... Alleluia! e il, fumo di essa sale nei
secoli dei secoli. Come si vede, appena pochi anni dopo
l'incendio, si tornava ai folli eccitamenti. Ed il sogno di Roma
divenuta preda alle fiamme turbò anche in seguito le menti cristiane. In
quella strana e lugubre miscela di fantasie giudaico-cristiane, non senza
qualche elemento pagano, che é conosciuta sotto il nome di « Oracoli
si- l' incendio di roma e i primi cristiani billini » esso
ritorna con cupa insistenza: VII, 113-114; Vili, 37-47; XII, 32-40. «
Verrà dall'alto anche su te, superba Roma, la celeste sciagura : tu
piegherai prima la cervice, tu sarai distrutta, il fuoco ti consumerà
tutta, piegata sulle fondamenta; la tua ricchezza perirà; il tuo
suolo sarà occupato dai lupi e dalle volpi; sarai allora tutta deserta,
come se giammai fossi stata. Dove sarà allora il tuo Palladio ? Qual Dio
ti salverà ? Un Dio d'oro, di pietra o di bronzo? Dove saranno allora
i decreti del tuo Senato? Dove quelli di Rea o di Crono? E la
schiatta di Giove e di tutti gli Dei che tu ado- ravi? Per quanto la
punizione qui sia immaginata come celeste, non è possibile non sen-
tirvi la voce di una umana vendetta. « Quando potrò io vedere tal giorno?
» dice poco dopo il poeta. E pure il più antico dei poeti latini
cristiani, il pio Commodiano, ha il medesimo voto {i'arm. ap.).
Dov'è più la dottrina della mansuetudine e del perdono? La disposizione d'animo
dei primi cristiani era ben altra. Il loro grido di vendetta sembra, come
si vede dagli esempii apportati, quasi echeggiare pure in tempi più
lontani. « A noi basterebbe, dice Tertulliauo {Apol. 37), se volessimo
vendicarci, una sola notte e qualche fiaccola ». E poi tosto soggiunge: «
Ma non sia che con umano fuoco si vendichi la divina setta». Infine,
notiamo che attribuendo a queste prime turbe cristiane, fanatiche ed
avide delle loro rivendi- Non vorrei che tali parole venissero
tratte da critici benigni a peggior sentenza eh' io non tenni. Nelle
parole di Tertulliano echeggia un grido di vendetta, cui tosto segue un
consiglio di moderazione, non di perdono. La vendetta, la pu- nizione si
aspetta ancora, si aspetta dal fuoco divino. Che cosa sia questo fuoco
divino, spiegano a lungo gli apologisti, ad- cazioni, l' incendio, le
particolarità di esso si spiegano tutte, che invece abbiamo mostrato
inesplicabili, secondo la tradizione comune. Anzi dalle notizie che ab-
biamo, ci è dato discernere perfino il piano della scia- gurata impresa.
Anzitutto, si proiittò della lontananza di Nerone da Roma; la vigilanza
era allora diminuita; i principali cittadini, le cui case erano sacrate
al fuoco devastatore, avevano seguito la corte imperiale. Tra i
pretoriani ed i servi di Cesare erano numerosi i cri- stiani (Paolo, Ai
FilijJ.) : si stabilì che fossero questi ad appiccare 1' incendio e ad impedire
l'estinzione: così tutti avrebbero creduto trattarsi di ordini imperiali
e ninno avrebbe osato opporsi. Ri- chiesti perchè scagliassero le faci,
risponderebbero che agivano per istigazione altrui, senza dir di chi
(Tacesse sihi mictorem vociferahantur); tutti avrebbero interpretato che essi
avevano il comando da Cesare e il divieto di nominarlo. Tutti i portici,
le passeggiate, le opere d'arte, che avevano allietatogli czii dei
potenti, i templi ove si adoravano gì' idoli della corruzione e
della menzogna, tutti andrebbero distrutti. Il Trastevere, ove era stata
primamente accolta l' idea reden- trice, le case dell' umile plebe,
sarebbero salve. Si comincerebbe dai magazzini di materie
infiammabili presso il Palatino : la prima a bruciare sarebbe la
casa del mostro. Questo fu il piano attuato e riuscito. Finito il primo
incendio, si doveva riappiccare l'in- cendio alla casa del secondo mostro
dell'impero, il mi- nistro delle turpitudini imperiali, Tigellino. E di
là nuovamente proruppero le fiamme devastatrici. Per questi
fanatici illusi, Nerone, nel parossismo della ferocia, escogitò
incredibili tormenti. Li fé' ero- ducendo i fulmini e i vulcani (Miuucio;
Tertul. Apol.): ina la distinzione sarà stata fatta sempre, o meglio
ancora, sarà stata fatta mai dalle infime turbe ? cifiggere, o
sbranare dai cani, o dannare alle fiamme. Grli orti suoi furono
illuminati da quelle fiaccole umane, in mezzo alle grida selvagge della
turba briaca e plau- dente. Ma da quelle fiaccole spirò più gagliardo il
soffio della idea cristiana. D' allora in poi quella idea, inocu-
lata nel sangue della umanità, ne resse le sorti. Tutta la trama della
storia umana si svolse intorno ad essa. Quella idea fu gloria e bassezza,
eroismo e viltà, amore e ferocia. Per essa quanto altro sangue fu sparso,
quante altre volte le turbe furono trascinate ad impeti forsennati! Pure,
una volta, tornò a risuonare tra gli uomini la parola buona, ed aleggiò
sugli spiriti l'amore, e sorrise alle genti affaticate la pietà del
Francescano. Quella volta Cristo re^nò sulla terra. “Ludis quos prò
aeternitate imperii susceptos appellavi Maxiinos voluìt ex utroqiie ordine et
sexit plerique ludicras partes sustinuerunt. Nntissimus eques
romanus elephanto supersedens per catadromum decucurrit. Inducta
est et Afranii togata qiiae Incendium inscribitur: concessumque ut scenici
ardentis domus suppellectilem diriperentj ac sihi haberent. Sparsa et
popido missilla omnium rerum per omnes dies ; singida (/uot/die millia
avium cuiusque ge- neris^ multiplex 2)(^nus^ tesstrae frmnentarlae^
vestis, auruvi, argentum, gemmae, mn.rgaritae. tabulae pictae^
mancipia, iumenta, atque etiam maìistietae ferae; novissime naves,
in- sulae, agri. Hos ludos spectavit e proscenii fastigio
». Così Snetonio in Nero. In quale occa- sione celebrò Nerone
questi ludi Maximiì Suetouio in questa parte dell' opera sua enumera
disordinatamente gli spettacoli dati da Nerone. Quello qui accennato
è stato identificato con quello di cui fa menzione Cassio Dione, o
meglio il suo compendi atore Xifilino, in LXI, 17 e 18. La somiglianza
infatti è grande: i nobili romani che si prestarono a far da attori e
giocatori, 1' elefante funambolo che portava sul dorso un uomo; i
doni gettati al popolo. Di più Cassio Dione ram- menta le commedie e
tragedie rappresentate. Chiama la festa |j.£7'.atT| 7.7.1
TtrAnizlzozc/.rq: ma l'unione dei due aggettivi parmi che mostri che
[j.sYiatYj è una semplice qualifica data dall' autore alla festa, non è
il nome proprio di essa, e non risponde perciò al Maximos di
Suetonio. Così pure gli altri punti di simiglianza noii souo co^i
caratteristici clie ci facciano concludere alla identità delle due feste.
Elefanti camminanti sulla fune {per catadromum) si vedevano in tali feste
(cfr. Siiet. Galb.) ; senatori e cavalieri lottanti nell' arena se
ne videro spesso sotto Nerone (cfr. Suet. Kero^ 12); donazioni al popolo
Nerone ne fece immense, ne fece, se- condo Tacito {Hist.) per più di due
miliardi di sesterzi. Se dunque le somiglianze sono grandi, non
sono tali che ci obblighino a credere all' identità tra i giuochi
rammentati nel passo di Suetonio e quelli rammentati nel passo di Dione.
Il passo di Dione parla di festività celebrate in onore della madre.
Corrispondono queste ai circensi, rammentati da Tacito, in Ann. E
possibile che a tali circensi alluda Suetonio nelle parole
immediata- mente precedenti a quelle da noi riportate: circensihus
loca equitl secreta a ceteris trihuit ; di essi infatti dice Tacito che
furono liaud promiscuo speciacido. Noi crediamo che il passo di Suetonio
riguardi i ludi celebrati dopo V incendio 1 e cioè, probabilmente,
celebrati dopo È pur da notare che Cassio Dione parlando dei
giuoclii detti Neronéi, li dice istituiti da Nerone per la in- columità e
diuturnità del suo regno. Ma probabilmente confonde tali giuochi con
quelli prò aeternitate impern, secondocliè già da gran tempo fu
riconosciuto (Pauly, lì. Encycì. s. v. Nero). I giuochi Neronéi furono gare
quinquennali di arte e di foiza, istituite sul modello dei giuochi greci;
cfr. Tac. Ann.; Suetonio, Nero. che Roma era stata già in gran parte
riedificata, per propiziarla agli dei. Saetonio dice che Nerone volle
si chiamassero ludi maximi, e cioè, parmi, volle sostituire al
positivo magni il superlativo maxìmi. Ora i ludi magni si celebravano in
occasione di grandi [jericoli, da cui Roma fosse salva; in occasione cioè
di guerre rischiose (Liv. 36, 2) o di tumulti (LIVIO). Si potrebbe
pensare che 1' adulazione avesse suggerito tale idea, adulazione a
Nerone, che si diceva scampato dalle trame di Agrippina. Ma i ludi,
menzionati da Suetonio, furono 2^'''^ aeternitate imperii; e mi par
che questo ci porti ben lontano dall' ipotesi che si volesse
alludere al preteso pericolo, da cui Nerone era scam- pato; e i ludi
menzionati da Dione neppur furono per lo scampato pericolo di Nerone, ma
anzi furono in onore della madre. Qual sarà dunque il fatto,
durante il regno di Nerone, che metta in dubbio l' esistenza stessa
dell' impero? Io credo che sia 1' incendio; e ciò crederei pure, quando
non fosse molto suggestiva quella rappresentazione della togata di
Afranio intitolata Incendinm. Che in questi ludi solenni, destinati
ad auspicare, dopo la riedificazione di Roma, l'eternità
dell'impero, sieno stati celebrati alcuni degli spettacoli che
avevano più stupito i Romani durante i giuochi circensi fatti dopo
la morte di Agri])pina, quale ad esempio quello dell' elefante funambolo,
non può, credo, far meraviglia ad alcuno. Qualche altro indizio che
andremo ora rac- cogliendo conferma la nostra ipotesi circa
l'occasione e lo scopo di questi ludi maxìmi. Nerone, verista in
arte, volle riprodurre sul teatro la scena deli' incendio : la casa
rappresentata in mezzo alle fiamme (Suet. ar- dentis domiis) era
probabilmente la casa sua, la domus transitoria che era bruciata (cfr.
Tac., ardente domo). Egli volle che la scena dell' incendio fosse
in- tera, che gli antori depredassero la casa e si tenessero la preda:
ut scenici ardentis doinus stopellectilem diripe- I ì^eiit ac sihi
habevent; cfr. Tao. Ann. XV, 38 ut raptus licentiiis exercerent. Se
il carattere stesso dei ludi maximi deve con- netterli con una grande
pubblica calamità, se la rap- presentazione dell' Incendium è così
suggestiva per noi, ci si consenta ora di fermarci brevemente su quel
che Suetonio dice, che i ludi furono sUscepti prò aeternitate
imiperii. Nella ricostruzione, che noi tentammo, del pro- cesso, noi
ponemmo che, dopo i primi confessi, arre- stati in massa i Cristiani,
quando s' indagò più adden- tro la loro dottrina, e si seppe che essi
aspettavano la fine dell'impero e l'imminente regno di Dio, la dot-
trina stessa dovè essere qualificata « di odio contro il genere umano ».
Questa parte della propaganda era stata certamente svolta solo nelle
predicazioni segrete: quindi il modo misterioso, e per noi
incomprensibile, con cui parla dell' Anticristo e del prossimo regno
di Dio Paolo ai Tessalonicesi, (Tess.). Fin da quando Caligola, con
sacrilega follia aveva voluto essere adorato come Dio, era cominciato il
fermento delle comunità cristiane che vedevano nell' imperatore
divinizzato l' immagine vera dell'Anticristo, ed aspettavano quindi
imminente la fine dell' impero ed il trionfo loro. A calmare tale
fer- mento è appunto diretta quella parte della lettera di Paolo. E
la dottrina sopravvisse pure all' eccidio; giac- che ancora in
Tertulliano {Apolog.; Ad Scap.) coincidono i due termini; la fine
dell'impero e l'inizio del nuovo regno nel mondo. Se tal dottrina
sentivano spiegare da quei fanatici i Romani, è naturale che la
qualificassero dottrina di odio contro il genere umano, e cioè contro la
civiltà romana, contro l' impero romano, ' ed è pur naturale che, riedificata
Roma, auspi- cassero l'eternità dell'impero. Mi si consenta
un' altra osservazione. Non fra le sole turbe impazienti e insoddisfatte
era 1' aspettazione della prossima fine dell' impero. Era altresì negli
alti gradi sociali, fra i filosofi, specialmente stoici, fra gli
aristocratici di antica tempra. La congiura pisoniana mosse anzi, secondo
Tacito, da questo principio: (Ann. XV, 50) cium scelera princlpis et
tìnem adesse imperii deligendumque qui fessis rebus succurreret
inter se aut inter amicos iaciunt. Dopo tal congiura gran parte
della città doveva essere già riedificata; ed è naturale quindi che
allora si celebrassero i ludi maximi. E poiché i due gravi avvenimenti
ultimi avevan dato la prova di tante volontà decise ad aspettar la fine
dell'impero, era naturale pure che all' eternità dell' impero si
dedicas- sero i ludi. Il racconto dei quali doveva quindi cadere in
una delle parti perdute di Tacito, dopo il cap. 35 del lib. XVI degli
Annali. Tutto questo, si dirà, è una ricostruzione ipotetica. Ma v' è pure
un documento che può dare a tale ricostruzione non lieve conferma,
documento che, ben- Tac. Ann. odio Immani generis. Genus
humanian in Tacito ed in altri scrittori vfvle egli abitanti
dell'impero»; cfr. Coen, Persecuz. neron. pag. 69 dell' estr. Un mio
illustre maestro, il prof. A. Ohiappelli {in Atti della R. Accademia
di Scienze Morali e Politiche di Napoli) sostiene che odiiim humani
generis debba essere interpretato per « misan- tropia». Che questo sia il
significato della frase, quando sia adoperato in senso filosofico, niuno
nega. Ma il nostro caso è diverso. La rinunzia ai piaceri, la vita
ritirata e sdegnosa, la misantropia insomma, o fosse cristiana, come
forse per Pom- ponia Grecina (Ami.), o fosse stoica, come per
Rubellio Plauto {Ann.), Trasea Peto {Ann.) e tanti altri, desta
l'ammirazione di Tacito, gli commuove di reverenza il C. Pascal. 11
che non riguardi i ludi maccimi, riguarda però cerimo- nie
pur dedicate all' eternità dell' impero. Questo do- cumento è un
frammento degli Atti degli Arvali, che si riferisce all'anno 66 d. Cr.
[Corp. Inscr. Lat.). Vi si notano i sagrifizii stabiliti dagli Arvaii ob
detecta nefariorum Consilia, e tra gli altri quello aeternitati ìinperii
(Un. 6). Così pure alla linea 21: reddito sacrificio, quod fratves
Arvcdes voverant oh detecta nefariorum Consilia. Quali erano
que- sti nefariorum Consilia? Qu&Ui dei congiurati di Pisone,
giacché anch' essi, come abbiamo visto, aspettavano la fine dell' impero;
ma pure quelli degl' incendiarli; giac- ché il nesso tra le cerimonie
dedicate all' eternità del- l' impero e l' incendio è stabilita dal
fatto, che durante quelle cerimonie si rappresentò la fabula Incendium.
' Né bisogna dimenticare un altro fatto. Riman- gono gli Atti degli
Arvali del regno di Nerone, dal- l' anno 55 in poi (C. I. L.);
salvo quelli dell' anno 64, l' anno dell' incendio, e del se-
guente. Ora gli Atti del 66 sono i primi nei quali alla serie di tutti
gli altri voti, fatti alle altre divinità si aggiungono quelli all'
Aeternitas imiMrii. Claudite rivos. Spero di non occuparmi
più né dell' incendio né di Nerone. Non fu forse vana questa lizza
d' ingegni, che ebbe origine, su tale speciale que- petto,
non è da lui quaUficata fìagitmm, uon odium hìimoni generis. Non si
possono dunque spiegare né i fìagitia ne V odùim con ia misantropia.
Neil' un caso e nell'altro deve trattarsi, credo io, di ben altro.
> È qui importante il notare che per Nerone sono distinti i vota
prò aeternìtate imperii dai vota prò salute principis, che sono
menzionati altrove (C. I. L. VI, parte I, pag. 493, lin. 2, 3 e 8: Tac.
Ann. XVI, 22; Suet. NerOy 46). Per Domisciano invece le cestione, dal romanzo
del Sienkiewiecz ; lizza nella quale spiegarono armi poderose di critica
e di dottrina uo- mini quali il Negri, il Coen, il Ramorino, il
Chiap- pelli, il Semeria, il Boissier; né dovrò tacere i lavori,
cosi corretti nella forma polemica, del Mapelli, del- l' Abbatescianni e
del Profumo; ne quello, per più rispetti notevole, del Ferrara. * Impulsi
non nobili e ambizioncelle presuntuosette e piccine trassero altri,
impreparati, a scritture o invereconde o insensate, ma in una questione
siffatta, nella quale sembra esser così facile l' erudizione, era
naturale aspettarselo. rimonie si congiunsero (C /. L.).
Cosi pure per Set- timio Severo (C /. L. II). V. De Ruggiero, Diz.
epigraf. . A Domiziano dunque allude Plinio il Giovane quando dice a
Traiano {Fanegyr. 67): Nuncupare vota et prò aetei'nitate impeni et prò
salute civium, immo prò salute principum ac pì'oj)ter illos prò
aetermtate imperii solebamus. Haec prò impe- rio nostro in qiiae sint
verba suscepta, ojjerae pretium est adno- tare : si bene rem ]}ublicavi ,
et ex utilitate omnium rexeris: digna vota quae semper suscìpiantur
semperque sol- vantur. Diversa naturalnjente àdiW aeternitas imperii è V
aeter- nitas Augusta, titolo che prima fu attribuito solo agli
Augusti morti e consacrati (Boutkowski, Dici), e poi anche agli Augusti
viventi; cfr. Eckhel, Doctr.; Aeternitas imperii non si trova, ch'io sap-
pia, prima di Nerone, anzi prima dell'anno 66. Si trova poi più tardi,
per Domiziano. Settimio Severo, sulle monete di Caracalla, di Geta, ecc.:
cfr. Eckhel. Non lavori speciali, ma riassunti o giudizii pubblicarono il
Vaglieri, il Borsari, A. Avancini, D. Avancini, il Ricci (Corrado), il
Thomas, il Toatain, il Martinazzoli, il Dufourcq, il Grasso, il Fabia, il
Bouvier, il Reville, 1' Andresen, ed altri moltissimi. ^ Molti
altri articoli ed opuscoli sbocciarono qua e là in confutazione del mio:
nella maggior parte il fervore dell'in- tenzione non corrispose al
valore. Chi ne vorrà sapere qualche cosa, potrà leggere i miei articoli
in Vox Urbis; in Cultura, e in Bollett. Filai, class, . Ma, pur dopo, gli
scritti continuarono; e vi fu perfino chi nascondendosi sotto il nome di
Vindex pub- blicò un impudente volume. Fortunatamente si tratta di
cosa destituita di ogni valore ; e disdice quindi alla dignità
della scienza farne parola. Coen pubblica nell’ “Atene e Roma” un
lungo studio sulla persecuzione neroniana. Crediamo opportuno informare i
lettori della parte che riguarda le obbiezioni mosse alla mia tesi;
e fare infine qualche breve osservazione circa l'ipotesi presentata dal
chiaro autore. Che l'una o l'altra delle opinioni che io mi
provai ad avvalorare di argomenti nel mio opuscolo. L' incendio di Roma e
i Cristiani e stata già addotta da altri, è cosa rimproveratami da più
d'uno. Ma, a dir vero, i lettori del mio opuscolo debbono
riconoscere che io esamino e discuto le sole fonti antiche, da ciascuna
delle quali cerco trarre qualche elemento, che mi giovi poi a
ricostituire in una concezione unica il fatto storico. Il fare una
rassegna, sia pur fugace, delle opinioni e interpretazioni moderne su
ciascun passo, mi pareva lavoro arido, lungo e pressoché vano, e
per giunta, di necessità monco e incompiuto (ad es., il Coen stesso
non fa menzione dello Cliirac, che va molto al di là dell' Havet, Rev.
Socialiste). Fondamento principale alla mia tesi io posi
nella credenza diffusa tra i cristiani del primo secolo, che fosse
imminente l'incendio del mondo decretato da Dio, che dopo tale incendio
verrebbe il regno della giustizia, che la distruzione del mondo presente
coin- ciderebbe con la distruzione dell' impero romano. Tutta la
letteratura apostolica mostra l'impazienza di alcune fazioni cristiane nell'
aspettare il regno divino. Se c'è ipotesi che esca alla luce fornita di
tutti i nu- meri delia probabilità, panni proprio questa, che tale
impazienza abbia trascinato le turbe al fanatismo. Di tutto ciò non fanno
quasi parola i miei contraddittori. Xel citare le antiche scritture cristiane,
nelle quali tali dottrine sono contenute, io non ho preteso che
proprio quelle i Cristiani di Roma leggessero. Ho addotto quei passi per
dichiarare qual fosse il dogma dei Cristiani del j^rimo secolo, dogma che
sarà stato spiegato principalmente mediante la predicazione orale,
come del lesfco il Coen stesso riconosce. Altra obbiezione mi muove il chiaro
autore: onde io sappia che, prima del 64, Nerone fosse per i Cri-
stiani r Anticristo. La seconda di Paolo ai Tessaloni- cesi, egli
argomenta, è scritta, secondo la data più discreta, nel primo anno dell'
impero di Nerone, o an- che prima; dunque i contemporanei non potevano
vedere allusione a lui nelle parole dell'Apostolo. Senonchè nel mio opuscolo io
non sostengo che contro l'imperatore coìne persona si appuntassero gli
odii di alcune fazioni cristiane; bensì come imperatore e adorato con
divini onori (Tessal.). L'imperatore rappresenta 1' ordine costituito,
che era per quelle fazioni il regno di Satana; come Roma
rappresentava la forza e la potenza centrale di tal regno.
Che ninno degli scrittori pagani (all' infuori di Tacito Ann.)
parli dei Cristiani come colpevoli dell'incendio, malgrado tutte le accuse
volte contro di essi in seguito, io spiegai con l'ipotesi che r accusa
contro Nerone nascesse tra i Pagani stessi, al vedere tra gì' incendiarli
i servi di lui. Il Coen mi obietta: « Non consta che l'opinione la quale
faceva Nerone autore dell' incendio sia invalsa in maniera così
definitiva da far cadere in oblìo ogni altra ver- sione ». Consta anzi,
egli dice, il contrario, se cinquant' anni dopo Tacito pone ancora l'ipotesi
del caso. Che r opinione prevalesse in modo definitivo, solo dopo
molti anni, credo probabile; ciò non è infirmato dall' accenno che Tacito
fa al caso. Tutta la narra- zione che egli fa esclude 1' ipotesi del
caso. Tacito però 1' ha registrata, perchè, com' egli dice, 1' ha trovata
in una delle sue fonti. Ma nessuna fonte poteva contenere tale versione,
obietta ancora il Coen, se fosse vera la ricostruzione eh' io faccio degli
av- venimenti. Perchè nessuna f Una fonte trascurata o non
informata di tutti i particolari narrati da Tacito,^ Suetonio e Dione. —
Ed ora, il numero dei primi Cri- stiani in Roma. Tacito, Clemente Romano
e l'Apo- calisse affermano che erano una gran moltitudine o nu-
mero. I primi due, si dice, hanno esagerato; quanta all' Apocalisse si
elevano dubbii di natura diversa. Esagerato? E perchè? Perchè altra volta
Tacito esa- gera. E sarà vero; ma qual prova v' è che abbia esa-
gerato questa volta ì E perchè avrebbe esagerato anche Clemente Romano?
Sia lecito del resto rammentare che Paolo (^h* Filii). 1, 14), dice dei
cristiani di Roma: « MOLTI dei fratelli nel Signore » e concludere
quindi ancora una volta che ad infirmare 1' autorità di tali fonti non
?;'è una sola prova di fatto. Quanto ai Jìagitia, posso dispensarmi
per ora dal discutere i singoli passi, se l'Autore stesso dichiara: flagitium
contiene ordinariamente il duplice concetto di azione turpe e colpevole
ad* un tempo y. Non sarà dunque errata nell' uso italiano la parola
delitto. E che nei due paesi di Tacito (XV, 44) e di Plinio (X, 96) si
tratti di veri e propri delitti, io con- fermo per la seguente ragione:
che nell'uno seguono le parole: « colpevoli e meritevoli di ogni maggior
pena », e nell' altro i flagitia son da mettere in relazione con
gli scelera, dei quali Plinio parla dopo (v. qui appr. App. IH).
Circa al fatebaiitur, io aspetterò dai miei contrad- dittori la prova,
che esso, detto a proposito di uà pro- cesso, possa significare altro che
la confessione di un reato. Per ora, rimangono le prove opposte. Mi
sia lecito ora fare qualche breve motto, an- che sull'ultima parte
dell'articolo di Coen. Questa parte tende a ricercare la ragione, per la
quale gli occhi di Nerone si appuntarono sui Cristiani. L'indicazione gli
sarebbe dunque venuta non dagli Ebrei, ma dal popolo stesso, che vedeva
i Cristiani rifiutarsi alle cerimonie propiziatorie, e con- cepì su
di essi il tristo sospetto. Con ciò 1' A., nella sua cauta riserva,
rinunzia ad esprimere il suo avviso sugli autori veri dell' incendio.
Lascia cioè sussistere ancora le due ipotesi: o il caso o l'ordine di
Nerone. Io oso credere tuttora, che 1' una ipotesi e 1' altra non
resistano all'esame di tutti i particolari dell'incendio, tramandatici
dagli scrittori. Tale esame mi sono adoperato a fare nel mio opuscolo; né credo
sarebbe op- portuno ripeterlo qui. Mi basti solo accennare: per
attribuire l'incendio o al caso o a Nerone bisognerebbe ritener falsi
tutti i fatti narratici dagli antichi: che 1' ipotesi del caso non
ispiega come mai vi fossero sca- gliatori notturni di faci; e l'ipotesi
dell'ordine nerouiano non ispiega (a tacer di altre ragioni minori) come
mai l' incendio prorompesse proprio accanto al palazzo imperiale; e come
mai, quando Nerone tornò a Roma, e cercò arrestare il fuoco, e prese
tutti i provvedimenti atti a lenire il disastro, le fiamme di nuovo
si rinnovassero dagli orti di Tigellino, il secondo mostro dell' impero. Nuovo
ordine anche questo? Tutto si può supporre; ma si può proprio credere
che si sarebbero fatte abbruciare le regioni più belle e più nobili
di Roma, lasciando intatto il lurido Trastevere, il ceutro della comunità
giudaica e cristiana? Si può proprio credere che un uomo, dopo sei
giorni d' incendio, mentre con tutte le sue forze si adopera a dar
ric^to e pane alla plebe furibonda, possa cimentarsi, in mezzo alla
disperazione del popolo, a rin- novare un ordine simile? Un uomo vile, e
che dinanzi all' ira popolare fuggiva tremebondo, come Nerone? Le
due ipotesi quindi, il caso e 1' ordine di Nerone, non possono, a mio
parere, sussistere. Tacito le enun- cia, ma perchè utriimque auctores
prodidere; ma la nar- razione stessa che egli fa, esclude 1' una ipotesi e
l'altra. Egli evidentemente distingue gli esecutori matericdi dell'
incendio, da colui che poteva aver dato 1' ordine; che i primi fossero i
Cristiani non ha alcun dubbio, giacché parla di essi come confessi; solo
è in dubbio chi fosse qiieìV auctor che essi dicevano averli
incitati; e riferisce la voce popolare che 1' auctor fosse Nerone.
E perciò appunto alla fine del cap. 44 aggiunge che i Cristiani benché
colpevoli, e meritevoli delle mag- giori pene, muovevano a pietà,
quasiché perissero non pel pubblico bene, ma per la soddisfazione della
cru- deltà di un solo (in saevitiam unius), e cioè per averne
eseguito gli ordini crudeli, secondochè mi pare che si debba interpretare
questo passo. Ad ogni modo, l'ipotesi che il Coen oppone alla mia,
che cioè l'indicazione dei Cristiani venisse fatta a Nerone dal popolo,
sdegnato che essi si negassero di partecipare alle cerimonie di
espiazione, non urta, se ben veggo, contro l' ipotesi mia. Per qualunque
ragione tale indicazione sia stata fatta, quel che importa è di vedere se
1' indicazione fu giusta o no. Io penso pur sempre che l' indicazione fu
fatta per il necessario ri- conoscimento di molti. Non è jjossibile che
non fossero riconosciuti, giacche anzi si sapeva che erano stati i
pretoriani ed i servi di Nerone. Li dovettero, ad esem- pio, riconoscere
quegli uomini consolari, i quali, come riferisce Suetonio, li sorpresero
nei loro fondi ad ap- piccar l'incendio; e certamente anche molti altri.
Riconosciuti, fu giuocoforza che essi confessassero, e che quindi contro
di loro s'iniziasse il processo (Tac. car- repti qui fatebantur). E
logico il supporre che nel furore di repressione che invase gli animi a tale
scoperta non si badasse più che tanto; non si distinguessero i
Cristiani innocenti dai colpevoli, i calmi e pii dai fanatici e dagli esaltati;
è logico, perchè è umano; e in ogni repressione violenta avviene sempre
cosi; si sup- ponga dunque pure che, oltre al necessario riconoscimento
di alcuni veri colpevoli, e alle denunzie di questi, molte indicazioni di
Cristiani venissero fatte per la ragione supposta dal Coen; che cosa
proverebbe ciò contro l' ipotesi mia? Senonchè la congettura
del Coen si fonda sopra un presupposto, a proposito del quale pur mi tocca
la mala ventura di non trovarmi d' accordo con lui. Su questo
presupposto, cioè, che in momenti di furore, il popolo potesse aver tanta
calma da ragionare così: gli ebrei sono nel loro diritto, di non
partecipare alle nostre funzioni; i gentili noi sono. Sarebbero stati,
credo io, ebrei e cristiani coinvolti insieme nella me- desima accusa; né
i Cristiani erano allora considerati altrimenti che come fazione dei
giudei. Esce fuori dei limiti della mia ricerca la seducente
congettuì-a del Coen, sulle Banaidi menzionate da Clemente Romano, e sulla
probabile relazione che è tra il passo di Clemente {ad Cor. I, 6) e il
passo di Tacito: « profittata lurio per matronas^ prhnum in Capitolio,
deinde apud proximum mare, vnde hausta aqua temphim et simu- lacrum
deae perspersiìm est ». Poiché le cerimonie qui descritte sono, come il
Coen ben nota (pag. 347-348), singolari, mi piace richiamare a proposito
di quella lu- strazione apud proximum mare, alcuni versi oraziani:
Vel nos in inare proximum Gemmas et lapides aurum et inutile, Summi
materiem mali, Mittamus, scelerum si bene paenitet ».
{Carm.). La cerimonia apud proximum mare era adunque
rituale per espiazione di delitti? Anche Gaston Boissier ha
voluto volgere al no- stro argomento la sagacia del suo ingegno; e gli
stu- diosi saran certo grati al grande scrittore ed erudito
francese dello studio pubblicato nel Journal des Savants, Dopo una esposizione
sommaria della que- stione e della tesi da me sostenuta, il Boissier
così dice: « Assurément, tout cela n'est pas im- possible: quelques
insensés, quelques anarchistes se seraient glissés parmi les premiers
disciples du Maitre, qu'il n'en faudrait pas étre trop surpris, ni en
l'en- dre le christianisme responsable. Remarquons pour- tant qua
la société paienne n'avait pas encore mani- feste sa baine implacable
pour les chrétiens, et n'ayant pas eu encore l'occasion de leur étre trop
sevère, leur devait étre moins odieuse. C est plus tard, quand'ils
furent poursuivis sans miséricorde qu'on rn'> s' éton- nerait de trouver
chez eux des fanatiques capables de tous les excés. Or, nous voyons qn'à
ce moment; méme, où ils sont si durement traités par l'autorifcè et
par le peuple, ils se vantent d'étre des sujets soumis, ir-
reprochables, d'accepter Jes persécutions sans ré volte, de prier pour
les princes qui les envoient au supplice, et de ne répondre que par le
bien au mal qu'on leur faisait: il serait dono assez surprenant qu'ils
eussent mis le feu à Rome lorsqa'ils avaient moins à se venger
d'elle ». Se non m'inganno, questo che il Boissier ha notato, è il corso
fatale di ogni setta, è la condizione stessa del suo vivere. Ogni setta
cioè comincia per es- sere rivoluzionaria, e, messa allo sbaraglio delle
dure prove, delle persecuzioni, dei tentativi di soppressione di
ogni sorta, va perdendo a poco a poco il suo ca- rattere di opposizione e
d' intransigenza, cerca acco- modarsi ai tempi, vivere nei suoi tempi,
diventare, come oggi si dice, legalitaria. È un processo naturale
ed umano: che meraviglia è che il vediamo riprodotta qui nella storia del
cristianesimo? Non vediamo noi un fatto che a prima giunta può parere più
straordi- nario ancora : che cioè quando le persecuzioni cessa-
rono e il cristianesimo si fu affermato vittorioso, al- lora appunto esso
cominciò più tenacemente ad abbattere istituzioni, monumenti, templi, cui
gli editti imperiali mal giungevano a salvare da quelle furie
devastatrici? Non potrebbe qui pure il Boissier domandarsi: perchè
abbattere tutto, se ormai non avevano più da odiare o da temere nulla,
essi, i vittoriosi? li vero è che du- rante le repressioni violente non
scattano gl'impeti sovversivi; scattano prima, quando ogni furia
sembra ministra di giustizia contro un ordine di cose odiato;
scattano dopo, nell'irruenza dell'agognata vittoria: e scattano nei più
impulsivi e più fanatici, pur contro i consigli di moderazione e di calma
dei prudenti. Il Boissier continua: « Tout ce qu'on peut dire
c'est que M. Pascal s'est fort habilement servi de son hj'^pothèse pour
expliquer les iacidents dont il vient d'étre question dans le récit de
Suétone et de Tacite. Si l'on crut recounaìtre, dans le gens qui jetaient
sur les mai- sons des étoupes eiiflamraées, des serviteurs de
l'empe- reur, c'est qu'en effet il y avait des chrétiens dans le
palais de Néron ; saint Paul nous le dit, et M. Pascal pense que ce sout
ceux-là qui ont allume l'inceudie. Les consulaires, qui avaient
l'occasion de les reucon- Irer souvent au Palatin, ne s'y sont pas
trompés et l'on comprend que, saisis de frayeur à leur aspect, et
croyant qu'ils agissaient par l'ordre du prince, ils les aient laissés
faire. L'hypothèse est ingénieuse, mais ce n'est qu'uue hypothèse; pour
voir si elle est d'ac- cord avec les faits, reprenons le récit de Tacite
». E qui il Boissier si fa ad esaminare il famoso passo di Tacito,
di che è discorso nel nostro studio nella nota 27 e qui appresso in app.
III. Egli riconferma la sua opinione, già altre volte espressa, sopra il gran
numero dei cristiani di Roma; ed in ciò ho la fortuna di trovarmi d'
accordo con lui. Ma tal fortuna non mi tocca per 1' interpretazione del
fatehantur tacitiano. Se il processo era d' incendio, avevo detto io, la
confessione dei cristiani non può intendersi se non per il delitto
d'incendio. E il Boissier mi oppone: « La nouvelle a dù s'en repandre
partout; si elle était aussi sùre, aussi evidente que le texte de Tacite,
inter- prete de cette manière, semble le dire, Néron avait tout
intérét àia propager; il est impossible qu'il n'ait pas profité avec
empressement de cet aveu, qu'il tra- vaillait à obtenir, pour se
giustifier lui-méme. Quel- que détesté qu'il pùt étre, il u'j' avait pas
moyen qu'on persistàt à l'accuser d'un crime dont d'autres se
reconnaissaient les auteurs. Comment se fait-il donc que Tacite, presque
au moment méme où il nous rap- porte cet aveu, ait pu dire qu'on ne sait
s'il faut attribuer l'incendie au hasard ou à la malveillance?
Et Suétone, si bien informe d'ordinaire, comment n'a-t-il rien su de
cette procedure, qui, pourtaiit, dufc étre ren- due publique? Comment le
peuple, qui perdait tout à ce désasfcre, a-t-il été touché de pitie pcur
des gens, qui en étaient la cause et a-t-il crii qu'on les sacri-
fìait uniquement à la cruauté d'un homme? M. Coen fait remarquer avec
beaucoup de force qu'il est aussi fort étrange que dans la suite,
lorsqu'on poursuivait avec tant d'acharnement les chrétiens et pour
tant de crimes imaginaires, aucune allusion n' ait été faite à
celui dont ils ne pouvaient pas se défendre puisqu'ils l'avaient avoué ».
Ora a ciascuna di queste ragioni le risposte furono da me qua e là date:
e mi converrà ri- peterle ora, poiché quelle ragioni, messe cosi tutte
in- sieme in fila serrata, sembrano invitto manipolo. Nerone, dice
il Boissier, aveva il maggiore interesse a divulgare la confessione.
Certo, ed anzi appunto per questo forse egli diede la maggiore pubblicità
alle pene nefande! — Secondo quesito: « se Tacito pone il dubbio che
l'in- cendio fosse dovuto al caso, come può parlare di rei confessi
d'incendio? » A mia volta domanderò: « se Ta- cito pone il dubbio che
l'incendio fosse dovuto al caso, come può dire che vi erano coloro che
impedivano ogni tentativo d'estinzione, aggiungendo l'ipotesi che
ciò facessero per comando altrui? Gli è che Tacito non sempre è
conseguente; prende da una fonte la ipotesi del caso, ma la sua
narrazione tutta esclude tale ipotesi. — Terzo quesito: « Suetonio,
sì bene informato, come non ha saputo niente di questo processo, che pur
dovette essere pubblico? » O chi dice che non abbia saputo niente?
Suetonio accusa Nerone di avere ordinato l'incendio, non di averlo
appiccato: dice che gli esecutori materiali furono i servi di Ne-
rone; e del processo non fa menzione, forse appunto perchè si trattava di
uomini di infima condizione, che egli supponeva esecutori di ordini
imperiali. In altro luogo però pone tra le cose lodevoli del regno di
Ne- rone i supplizii inflitti ai Cristiani. — Quarto quesito: come
il popolo, che perdeva tanto, fu mosso da pietà per questi uomini, e
credette che essi fossero immolati alla crudeltà di un solo? » Tacito
dice che il popolo fu mosso a pietà per l'inaudita crudeltà delle pene, «
òeu- chè si trattasse dì uomini colpevoli, e meritevoli delle
lìing- giori pene»; si può esser più chiari? ed aggiunge; « come se
essi fossero immolati non al bene pubblico, ma alla crudeltà di un solo
», di quel solo cioè, che, secondo egli presume, aveva ad essi dato 1'
ordine. Erano poveri schiavi esecutori di ordini : erano
colpevoli, si, ma vittime della crudeltà di chi aveva dato 1' ordine :
questo il pensiero di Tacito. Ma come potè spargersi la fama di quest'
ordine dato da Nerone ? A me non par difficile ravvisarlo. Dice Tacito,
che durante l' incendio, gì' incendiarli interrogati rispondevano agir per
ordine. Probabilmente lo stesso risposero al processo, né discoprirono il
loro tristo consigliere. E poiché tra quelli colti in flagrante e
processati erano pure i servi di Nerone, l' ordine fu interpretato da
molti come ordine dell' imperatore. Si potè credere che essi non
volessero nominarlo per paura di peggio, o jDerchè ne sperassero le
ultime grazie. Ad ogni modo , nato nel popolo il sospetto della
colpa di Nerone, non era possibile che si dile- guasse : ne si dileguò. —
Ultimo quesito : « ma come mai, dopo, furono accusati i cristiani di
tutti i delitti, ma non di questo ?» È facile rispondere : i pagani
stessi accusarono Nerone; la persecuzione contro i cri- stiani fu messa
come cosa affatto indipendente dall'in- cendio, e come tale è già in
Suetouio ; chi più pensava che il fanatismo religioso fosse stato impulso
all'incen- dio ? Il popolo aveva ormai formato la leggenda sua :
l'ordine dato da Nerone ai propri! servi, per loro stessa confessione :
chi distingueva tra quei servi i cristiani dai non cristiani? I due fatti,
incendio e persecuzione, furono interamente disgiunti ; e la leggenda di
Nerone incendiario tenne il campo incontrastato. Il
Boissier aggiunge due considerazioni d' indole filologica (pag. 164).
Affinchè la frase famosa di Ta- cito correpti qui fatebanhir, avesse il
significato eh' io le attribuisco, egli crede che dovrebbe suonare
cosi: qui c07-repti erant confessi sunt. Ma coìtìjjìo non ha il
significato di « arrestare », bensì quello di « iniziare il procedimento
penale » ; cfr. nota 27 ; dunque cor- ì-epti qui fatebantur ha
precisamente il significato di: « si processarono quelli che erano rei confessi,
e cioè di volta in volta che alcuno confessava, veniva sotto- posto
a processo ».* Egli aggiunge che nel significato da me voluto, si sarebbe
aspettato confiteri, non fatevi, trattandosi di delitto, e cita Cicerone,
Pro Caecina^ IX: ita libenter confitelur ut non solum fatevi sed etiam
projìtevi videatur. Faccio osservare prima di tutto che, secondo la
ipotesi mia, i cristiani confessi non dovevano pen- tirsi o vergognarsi
di quel che avevano fatto ; e poi, che, quando pure le norme dello stile
ciceroniano po- tessero valere per Tacito, questa che qui si j)one, non
è costante neppure per Cicerone: giacche Cicerone stesso adoperava
/aferi per la confessione di omicidio (Mil. 15). Ma, aggiunge il
Boissier, se Tacito avesse voluto dire Cauer cosi sentenzia {Beri,
philolog. Woch.): Tacitus sagt : Die Gestàndigen wurden verhattet, nicht:
die zuerst Verhafteten waren gestilndig. Das Gesttlndnis ging also der
Verhaftung vorheri-. Ma covrepti non designa la cattura, bensì il
processo; ed è naturale clie la confessione fosse anteriore al processo.
- Bene dunque hanno fatto il Gerber e il Greef nel loro Lexikon
2'aciteum, col sottin- tendere al fatebantur del nostro passo .se
incendisse urbeni. che i priini cristiani si vantavano nel
confessare l'in- cendio, si sarebbe servito di yrofiteri. O donde mai
que- sta regola? Si vuole un esempio di Tacito in qwì fatevi^
denota un delitto confessato e di cui il colpevole si glo- ria? Eccolo
qui: Ann.: praecipuum auctorem Asiaticum interficiendi C. Caesaris non
extimuisse in contiene populi Romani fateri gloriamque facino- ris
ulfcro petere. Infine circa il capo di accusa contro i
Cristiani, la conclusione cui giunge Boissier è la seguente: L'expression
non tam in crimine incendii qtiam odio generis Immani coniunctì siint
(cosi egli legge), semble bien indiquer qua l'accusation d'incendie ne
fut pas abandonnée, mais que, comme ou n'esperait guère la faire
accepter du public, on la dissimula suos celle à^odium generis immani,
qu'on étendit à tout le monde ». Il che mi pare corrisponda all' opinione
mia, che ho scritto apj)Uuto: « i primi, gii esecutori materiali,
con- fessarono e denunciarono i compagni (indicio eorum) : allora
non si volle sapere altro, si fece 1' arresto in massa dei ci'istiani, e
ninno di essi smentì la sua fede; solo questi ultimi dichiararono non
aver preso parte al- l'incendio, come i primi; ma era lo stesso, erano
tutti rei di queir odio umano che aveva armato le mani di fiaccole
: furono tutti condannati ». — Ed aggiungerò che la pena stessa del
vivicomburio è un indizio che l'accusa d'incendio rimase; giacché tal
pena è ap- punto quella che fino dal tempo delle XII Tavole era
comminata per gì' incendi dolosi (cfr. Ferrini, ESPOSIZIONE STORICA E
DOTTRINALE DEL DIRITTO PENALE ROMANO). Osservazioni sul passo di Tacito
riguardante l'accusa contro i Cristiani. (Uallfi Rivista di
Filologia). Una delle molte qne.stioni scaturite dalla tratta- zione
di una tési, che è stata in questi ultimi tempi in vario senso discussa,
e che tuttora è oggetto di di- scussioni non poche, si è quella relativa
al significato della voce jlagitium. Può Jlagitiuvi equivalere a «
de- litto « « scelleraggine, » oppur sempre si deve limi- tarne il
significato, si che esso designi un' azione che sia solo « ignominiosa «
o « vergognosa » ? Affinchè tal questione non sembri peccare di
sottigliezza sover- chia, e si ravvisi anzi subito qual vantaggio
ridondi dalla soluzione di essa all'intelligenza di alcuni passi, ci
si consenta richiamare qui il ricordo di quei luoghi, dalla cui
controversa interpretazione questo nostro pic- colo quesito si può dire
sbocciato. Tacito in Ann. chiama i Cristiani jper fiagitia invisos. Così Plinio
il Giovane, nella famosa lettera a Traiano sui Cristiani di Bitinia
(X, 96) parla, a proposito di essi, di fiagitia cohaerentia nomini. Che
cosa è dunque che si imputa ai e. l'ancal. 12
Cristiani con la -pavola, Jlagitia? Quelli che ne vogliono limitare
il significato entro i termini più angusti, ram- mentano come alla mente
dei pagani dovessero sem- brare vergognosi i severi disdegni dei
Cristiani per tutto ciò che fosse piacere ed ambizione terrena; e
come tutto insomma il contegno loro di rinunzia e di avversione al mondo
si avesse tal taccia. Ma non pochi scrittori e traduttori vedono in quei
Jiagitia dei veri « delitti », che i pagani, a ragione o torto,
attribuivano alla nascente sètta cristiana. Non istarò, per ora, ad
esaminare se sia giusto il concetto, che, agli occhi di scrittori, quali
Tacito e Plinio, potesse sembrar ver- gognoso il contegno austero di
rinunzia e di spregio per tutti i piaceri mondani, che si suole
attribuire ai Cristiani; scrittori i quali, anzi, pare che allora solo
si commuovano di ammirazione reverente, quando si tro- vino a
discorrere di uomini nei quali sia invitta l'energia del carattere, non
cedevole a lusinghe di ambizione e di potenza o a blandizie ed
allettamenti terreni. Keppur domanderò, se, qualora di semplice
rinunzia al mondo si voglia parlare, trovino spiegazione le per-
secuzioni feroci delle quali Plinio stesso si rese colpevole, condannando,
senza processo, i Cristiani; e trovi spiegazione la domanda che egli fa a
Traiano, quando, sgomento dal continuar la persecuzione, si ferma a
porre il quesito, se la sètta cristiana in sé stessa o i Jiagitia ad essa
inerenti egli debba imnire; era dunque passibile di pena, per un Plinio,
pure la rinunzia ai mondo? Gioverà però, all' infuori di tali
questioni, trattare l'argomento nostro; ed esaminati altri esempli
ed indagato il significato di fiagìtium in essi, tornare poi, col
risultato ottenuto, al quesito onde prendemmo le mosse.
L'opinione che il significato di Jlagitiuin debba re- stringersi in
più angusti confini rispetto a quello di malejìcium, scehis, e simili,
trova qualche consenso negli scrittori di siuouimie. Così Schmaifed,
Lateìnisclie Syìionymik: Flagitiwn heisst eine den, der sie
ausfiihrt, e n teli rende Haudluug, Schandthat und b) oft geradezu
Schande, infamia, dedecus », e il passo apportato a suffragare tal
signifi- cazione è quello noto della Germania di Tacito, 12: «
tamquam scelera estendi oporteat dum puniuutur, fiagitia abscondi »,
passo nel quale la parola flagltia si riferisce alle colpe degl' ignavi
et imhelles. Con lo stesso esempio tacitiano prova lo Schultz, Sinon.
la- tini, trad. Germano-Serafini, § 243, la sua definizione: «
Flagitium^ bruttura, è un delitto contro sé stesso, una violazione di sé
stesso, non già con azioni violente, ma con azioni moralmente turpi e
vergognose ». Con lo stesso esempio infine il Coen, La persecuzione
nero- niana dei Cristiani, pag. 13 dell' esbr., conferma che
'^fiagitia significhi azioni turpi piuttostochè crinunose »; e sulla
scorta anche di altri passi, determina il suo concetto cesi: « ftagitium
contiene ordinariamente il duplice concetto di azione turile e colpevole
ad un tempo; però quello della turpitudine primeggia; e pri- meggia
tanto che qualche volta l'altro manca ». Ora in quel passo di
Tacito, e in altri passi affini, è evidente che fagitium è adoperato in
significato ben ristretto. Ma quando tal significato si vuol porre
come costante in Jlagitium, ed applicarlo in tutti i casi, a me
pare che si vada troppo oltre. Un utile riscontro può esser dato dalla
nostra parola « vergogna ». Certo se « vergogna » è adoperato da solo, in
opposizione a pa- role di significato più grave, quali « scelleratezze »
o « delitti », ciascuno intenderà trattarsi, di azioni mo-
ralmente, non penalmente condannabili. Ma « una fa- miglia coperta di
vergogna » si dirà pur quella, nella Nulla trovo nello Schmidt,
Handbuch des Lat. u. Griech, Synonymik, Leipzig, 1889. quale il
figlio sia ladro o la moglie adultera; e del figlio, ad es., di un
assassino si dirà che egli sente il peso delle familiari vergogne. Gli è
che tali parole hanno duplice significato: l'uno specifico e l'altro
ge- nerico; e per questo secondo significato si trovano ad essere
applicate a quelle medesime azioni, a denotare le quali si
richiederebbero nomi specifici ben più gravi. Ne segue che a determinare
di volta in volta il significato di tali parole, occorra anzi tutto
vedere a quali fatti si accenni, dei quali sia nei singoli passi
discorso. Non altrimenti io credo sia il caso per jla- gitium. Credo cioè
che, quando jlagltnim sia adoperato in senso specifico, denoti azione
turpe e sol moral- mente condannabile; ma che in senso più lato, e
con riferimenti a fatti concreti, possa applicarsi ad azioni ben più
gravi, a vere scelleratezze. A conferma del qual significato, ne sia
lecito apportare qualche esempio, che io sceglierò esclusivamente da
Tacito: Hist. IV, 58, « an si ad moenia urbis Germani Gallique duxerint,
avvia patriae inferetisì horret animus tanti flagitiì imagine ».
Trattandosi qui del portare le armi contro la patria, credo non si
reputerà adatta a rendere quel Jiagitium qualche parola come «
turpitudine » o « bruttura »; qui si tratterà invece di vera e propria «
scelleratezza » o « infamia » o « delitto » ; si tratterà insou^ma di uno
scelìis; e scelus è infatti, immediatamente dopo, chia- mata una tale
azione: « quis deinde t^celeris exitus, cwn Romanae legiones se cantra
derexerint) » La medesima identità tv a Jiagitium e scelus si
scorge pure nel capitolo precedente, a proposito del giura- mento
fatto dai soldati romani allo straniero. Ivi in- fatti si legge: {Hist.)
« ut, flagitium incognitum Romani exercitus, in externa verba iurarent,
pignusquò tanti sceleris nece aut vinculis legatorum daretur ».
Pure utile al nostro intento è 1' altro passo {Ann.) « leviore
flagitio legatnm ìnterficietis, qnam ab imperatore descìscitis », e 1' altro
(Ann. XV, 45, 8) nel quale il liberto Aerato, inviato nella Grecia e
nell'Asia a commettere sacrilegi nei templi, è chiamato «
cuicum-queflagitioiyvomptus », e l'altro ancora (i4?in.), nel quale si
dice che Nerone imputava ad Agrippina tutti i flagìtia di Claudio, ^a^tYm
dai quali quindi non si potrebbero logicamente escludere le uccisioni di
Si- lano e di Statilio Tauro e delle ricche matrone e dei molti
cavalieri, procurate da Agrippina, dopo il matri- monio con Claudio. Non
sarebbe difficile addurre altri esempii: quelli addotti mi paiono per ora
sufficienti a provare questo: che fiagitium sia parola di significato
molto vario circa la gravità del fatto che con esso si imputa; tanto
vario, che da semplice azione « scanda- losa » può di grado in grado
discendere fino a denotare vera e propria azione « delittuosa » e «
scellerata »; ed essere, come abbiamo già visto, sinonimo di scelns.
Il che tanto più deve valere, se la parola è adoperata in senso
giudiziario: scelas, peccatnm, Jlagitùcm, maleficium, ^jrohriim, facinus
si usano, dice il Ferrini, [Esposizione storica e dottrinale del diritto
penale romano^ P^g- 18j, promiscuamente nelle fonti medesime, per
indicare gli stessi reati. Vuol dire che, a determinare la gravità
della colpa indicata da fiagitium, converrà esaminare nei singoli passi a
quali fatti esso alluda. E poiché nel passo di Tacito, Ann. XV, 44 « per fiagitia
invisos » si tratta di tali tatti, per i quali l'A. ritiene
evideate- mente non disdicevole ai Cristiani 1' accusa di « incen-
diarli », quell'accusa cioè per la quale egli dice poco dopo i Cristiani
« colpevoli e meritevoli delle maggiori pene » ; e poiché nel passo di
Plinio « fiagitia cohaerentia nomini » non può esser dubbio che i
fiagitia sieno gli scelera dei quali l'A. parla poco dopo {/urta,
latrocinia ecc.), deve rimaner ferma la conclusione che anche in questi
due -pàssi fiagitia denoti vere e proprie « scelleratezze » o « delitti
». È stata oggetto di controversia la frase sitbdere reum, che
si ritrova tre volte adoperata da Tacito. I passi sono i seguenti:
Ann. I, 6 17 «metuens ne reus suhderetuv ». Ann.: mos vulgo
[esf] quamvis falsis reum suhdere ». Ann. « abolendo rumori
Nero stihdidit reos... qiios... ». La maggior battaglia si è
veramente addensata sul terzo passo, quello riguardante i Cristiani.
Che cosa vuol dire Tacito? Che Nerone accusò falsamente i
Cristiani? Che li sostituì a se quali colpevoli dello incendio? O
semplicemente che, per isviar la voci pubbliche che lo accusavano, fece
iniziare il processo contro di loro? Sull'opinione di molti ha avuto
cer- tamente efficacia non poca la frase sìibdere testamen- tum «
far comparire un altro testamento » e cioè, evi- dentemente, falso), che
si ritrova in Tacito stesso, Ann.: Ma questo verbo siibdere ha sì
sva- riati significati, che, se dovesse valere questa ragione
analogica, si potrebbe, con pari diritto, giungere alle più avventate
conclusioni. E per limitarci a Tacito solo, si vegga di grazia quanti
sono gli usi e i signifi- cati diversi che può presentare tal verbo.
Pugionem capiti subdere in Hist. è certamente « nascon- dere il
pugnale sotto al guanciale » ; facem subdere in Hist. II, 35, 6 e Ann.
XV, 30, 4 è « accostar di sotto la face » ; amphitheatro fundamenta
subdere in Ann. IV, 62, 5 e animalia aratro subdere in Aìdi. è « sotto-
porre »; imj)erio aliquem subdere in Ann. XII, 40, 16 è « assoggettare
all' imperio » ; rumor eni subdere in Hist. III, 25, 1 e Ann. VI, 36, 3 è
« far circolare la voce »; subditis qui accusatorum nomina sustinerent
m Ann. è « avendo subornato alcuni a soste- nere le parti di
accusatori » e « subornare » è pure nel testo. Una espressione poi che si
accosta molto alla nostra è quella degli Ann. Ili, 67, 13 « ne qìds
necessarionim iuvaret j^ericUtantem^ maiestatis crìmina suh- dehantur ».
Qui si tratterà probabilmente dell'» imbastire processi di maestà ». Che
sia pur questo il significato della frase subdere reos? Al passo nostro
Ann. « abolendo rumori Nero subdidit reos.... quos » tal signi- ficato
non disconverrebbe. Da tutto il passo risulta anzi che il processo contro
i Cristiani fu raffazzonato o imbastito alla peggio; tanto è vero, che
non solo i rei confessi d' incendio furono condannati, ma altresì
tutti gli altri che essi denunciarono quali aggregati alla loro sètta, e
che quindi furono convinti delVodium humani generis. Ma v' è un altro
passo cui tal signifi- cato non s' attaglia ed è Ann. I, 39, 6 « utcjue
mas vìdgo qìiamvis falsis reum .subdere ». Qui evidentemente Tacito
vuol dire che il volgo suole delle sue disavventure in- colpare sempre
qualcuno, anche se colpa in realtà non esista. Saremmo dunque qui a un
semplice « incolpare » o « attribuir la colpa », ma è da notare che reus
è qui adoperato in un senso traslato, non nel senso giudizia- rio;
negli altri due passi invece nei quali si ritrova presso Tacito 1' espressione
subdere reiim, si tratta di vero e proprio processo, e reus ha quindi il
suo signi- ficato proprio di « accusato ». Qual sarà dunque in questi due
passi il significato della frase? A me pare che l'uno di essi sia molto
chiaro, e ci dia pur modo di scorgere il significato di quello cosi
controverso. Questo uno è il passo Ann. I, 6, 17, che narra della
uccisione di Agrippa Postumo. Tacito dice probabile che Tiberio e
Livia abbian procurato la morte di quel giovane sospetto ed odiato. Ma quando il
centurione anda ad annunziare a Tiberio essere stato eseguito l'ordine, Tiberio
rispose non aver nulla ordinato, e che se ne doveva rendere ragione al Senato,
Allora comincia a temere Sallustio Crispo, il quale era a parte del
segreto, ed aveva mandato al tribuno il biglietto con l’ordine della
uccisione. Comincia a temere che non ci andasse di mezzo lui, che non
fosse incolpato lui, semplice mandabario: mefuens ne reus subderetnr. Si tratta
dunque qui di un mandante che rimane nell' ombra, e di un mandatario, il
quale agisce per ordine suo, e si compromette, e può essere incolpato lui di
tutto. Il caso del processo contro i Cristiani è identico a questo.
Tacito cioè fa capire ogni tanto che Nerone possa essere il
mandante quegli che ha dato 1' ordine (cfr. dolo jprinci- pis'. mssum
incendium): ma non ha dubbio che i Cristiani sieno gli esecutori^ giacché
anzi li dice confessi; ^ quando dunque dice che Nerone suhdidit reos i
Cristiani, egli vuol solo dire che li mise sotto processo; benché
egli come mandante avesse la colpa maggiore. Questo il pensiero di
Tacito: altra questione è poi se sia at- tendibile la notizia, oppur solo
il sospetto, che l'ordine partisse realmente da Nerone. Intanto mi preme
ram- mentare come questa frase del suhdidit reos sia stata addotta
da moltissimi come lo scoglio contro cui sa- rebbe sempre andata a
infrangersi l' interpretazione ohe di tutto il passo Ann. XV, 44
presentai nell' opuscolo. L'incendio di Roma e i primi Cristiani ».
Questi rei erano dunque subditicii! si è detto. Sì, subditicìij a 2
Tac. Ann. XV, 44: correpti qui fatehantur. Fatevi adope- rato
assolutamente a proposito di un processo può riguardare solo la
confessione di quello appunto, che forma materia di ac- cusa. V. V ine.
di Roma, nota 27, in questa ediz. Qui si tratta di un processo
d'incendio; dunque la confessione è d'incendio. Nella lettera di Plinio
X, 96 [97J l' accusa è « di esser cri- stiani » ; e confitentes
sottintende se Christianos esse. Tacito stima più colpevole chi ordina il
male che chi lo eseguisce per ordine. Cfr. An7i. XIV, 14 « et eius
flagitium est, qui jìecuniam oh delieta.... dedit » ; e poco dopo : <
merces ab eo qui iubere potest vim necessifatis affert ». quello
stesso modo che era subditìcius Sallustio Crispo, che per comando di
Tiberio aveva fatto uccidere Postumo! Nell'uno caso e nell'altro il maggior
colpevole per Tacito è chi ha dato l’ordine, non chi 1'
eseguisce. Questo passo, non che dunque infirmi, conferma anzi tutta l'
interpretazione mia; la quale fu, sempre, appunto questa: che, nella mente di
Tacito, i colpevoli di avere appiccato le fiamme fossero i Cristiani, il
colpevole di averlo ordinato fosse Nerone. Riccardo Campa. Keywords: il
concetto di rivincita – rivincita -- la
rivincita del paganesimo romano, filosofia romana. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Campa” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Campailla: l’implicatura
conversazionale del concetto di estassi – implicatura estasica – a room in
Bloomsbury -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Modica). Filosofo
italiano. Grice: “You have to love Campailla; when I philosophised on ‘be
orderly,’ I was drawing from Campailla: “Order is the first – ‘ordinato
discorso dell’uomo;’ Campailla flouts the maxim: he allows that a man in
ecstasi, in mutual contemplation of beauty, say, may lose the order – Oddly,
Campailla dedicates more than a section to, then, ‘del disordinato discorso
dell’uomo,’ or men, as we’d prefer!”
Grice: “You’ve gotta love Campailla – I would have preferred he chose
the Graeco-Roman mythology, but he chose “Adamo,” and he provides, in verse,
all I ever philosophised on – human discourse – discorso umano – on top, he
considers ‘amore’ as a ‘passione dell’anima,’ and speaks of ‘self-love’ (amore
proprio) and even virility and testicles – a Renaissance man!” Nasce sotto la
rupe del Castello dei Conti. C., incisione dall'Adamo (Roma-Palermo) Mostrò le
sue migliori doti d'ingegno in età matura, giacché, in gioventù, per la sua
gracile costituzione, il padre preferì educarlo in campagna affinché si
irrobustisse all'aria aperta, piuttosto che indirizzarlo agli studi. Si trasfere
a Catania per studiarvi giurisprudenza, ma l'improvvisa morte del padre, che lo
lasciava erede di un discreto patrimonio, lo costrinse a ritornare nella città
natale, la sua cara Modica, in cui rimase fino alla morte, senza mai muoversi
da essa. Lì, poté dedicarsi interamente agli amati studi, prevalentemente
da autodidatta, coltivando con passione ed abnegazione, fra le tante
discipline, l'astronomia, le lettere e la filosofia. Sempre da autodidatta,
studiò Aristotele e i classici, per poi dedicarsi alla fisica, forse spinto
dall'onda emotiva suscitata dal terribile sisma che distrusse Modica e tutto il
Val di Noto. Morì per un colpo apoplettico.. Il suo corpo fu sepolto
sotto l'altare maggiore del duomo di San Giorgio in Modica, del quale una
lapide, deposta alla sinistra dell'ingresso principale, lo ricorda. C.,
filosofo e poeta Studioso di Cartesio, che vuole conciliare con la filosofia
scolastica, ne applicò i principi alle sue indagini conoscitive, fatte di
osservazione ed esperimenti, divenendo, insieme col filosofo trapanese
Michelangelo Fardella, uno dei principali divulgatori delle teorie cartesiane
in Sicilia. Poeta raffinato, fu accademico degli Assorditi di Urbino, dei
Geniali di Palermo, e della più celebre Accademia degli Arcadi di Roma;
restaurò quindi l'Accademia degli Infocati nella sua città natale. Da alle
stampe i primi sei canti (ispirati ai moduli letterari lucreziani) del poema
filosofico, in due parti, L'Adamo, ovvero il Mondo Creato, successivamente
dedicato, nella sua stesura completa (in XX canti) a Carlo VI d'Austria,
Imperatore e Re di Sicilia. Il poema, che conobbe una discreta fortuna e che è
stato recentemente ristampato, rappresenta una summa delle idee teologiche,
cosmologiche, fisiche e filosofiche dell'autore, alla luce del cartesianesimo.
All'inizio del Settecento, la fama del C., tra l'altro in corrispondenza
epistolare con importanti personalità fra i quali Ludovico Antonio Muratori
(bibliotecario del Duca di Modena), si diffuse anche all'estero, toccando
Lipsia, Parigi, Londra, tanto che il filosofo Berkeley volle conoscerlo personalmente
e, poiché C. non si muoveva mai dalla sua città natale (come Kant), fu lo
stesso Berkeley a recarsi in Sicilia a trovarlo, informandolo fra l'altro delle
nuove teorie newtoniane, le quali verranno poi usate dal C. nelle sue
successive opere. Il Muratori si fece intermediario persino per una
cattedra all'Padova da assegnargli, invito che venne pure da Londra, ma il suo
ostinato rifiuto a viaggiare e lasciare la sua Modica (in ciò, ancora simile a
Kant) lo portò a declinare tali prestigiose ed onorevoli proposte. Per lo
stesso motivo, invitato ad assistere all'incoronazione a Re di Sicilia, nella
Cattedrale di Palermo, del Duca Vittorio Amedeo II di Savoia, disdisse
gentilmente la visita. Pubblica, rimanendo però incompiuto, il poema
sacro L'Apocalisse di San Paolo, in cui, oltre ad affrontare i temi della
grazia e della virtù attiva, fornì pure una personale confutazione delle teorie
di Miguel Molinos, fondatore del "Quietismo", un'eresia che aspirava
all'unificazione con Dio. Infine, nello stesso periodo, iniziò a scrivere il
primo volume di un'opera sistematica intitolata Opuscoli filosofici, di cui
uscì solo il primo volume (in dialoghi) intitolato Considerazioni sopra la
fisica di Newton, contemporaneamente alla stesura di un trattato, in due volumi,
di fisica cartesiana, pubblicato postumo sotto il titolo Filosofia per principi
e cavalieri. La cura della sifilide con le botti di C. Pur non essendo
medico di professione, C. riuscì tuttavia a promuovere, nella Contea di Modica,
gli studi di medicina. Infatti, il suo impegno, quasi umanitario, lo portò a
sperimentare le sue famose "botti" (dette poi botti del C.) per la
cura non solo della sifilide (considerata, allora, il male del secolo, e
ritenuta dalla Chiesa come un castigo di Dio per i peccati degli uomini), ma
anche dei reumatismi e, in genere, di qualunque forma di artrosi. La
"botte", in realtà, è una stufa mercuriale con all'interno uno
sgabello, sul quale il paziente veniva fatto sedere, in attesa della cura.
Questa consisteva nel versare, in un braciere che si trovava pure all'interno
della stufa, la relativa dose di cinabro, da cui, per sublimazione, esalavano
dei vapori di mercurio, che erano poi assorbiti dal corpo del paziente in piena
sudorazione. La novità introdotta dal C. consistette nell'aggiunta di incenso
all'interno della botte, in una dose che consentiva, ai vapori sprigionati, di
essere più "respirabili" per un certo lasso di tempo, variabile dai
10 ai 20 minuti circa, a seconda dalle condizioni soggettive del paziente.
Il contributo del Campailla consentì pure di modificare la forma della botte,
rispetto alle altre già esistenti in Italia ed in Europa, le quali avevano un
foro in alto da cui fuoriusciva la testa del paziente che, in tal modo, non
poteva respirare i vapori di mercurio medicamentosi. Tuttavia, questi vapori,
così esalati, erano curativi solamente per i sifilomi che infestavano la cute,
i quali regredivano sì ma senza remissione del morbo (che solo con l'avvento
della penicillina si debellerà), con i germi patogeni che continuavano ad agire
e moltiplicarsi nel sangue dei soggetti infetti. Invece, grazie
all'innovazione del C., i pazienti, completamente all'interno della botte,
potevano ora respirare la miscela di mercurio e incenso, la quale, agendo così
in modo sottocutaneo, uccideva i germi diminuendone la carica patogena; spesso,
si ottenevano delle guarigioni, a volte anche definitive, che, all'epoca,
venivano considerate quasi miracolose. Infatti, un rapporto medico dell'epoca
riferisce che " [...] Dopo la cura mercuriale col metodo C., si può
assistere a delle rinascite complete di individui ridotti in condizioni
impressionanti di cachessia o con lesioni tali da rendersi impossibile
qualsiasi intervento curativo per via percutanea o
ipodermica". I risultati furono talmente soddisfacenti che
Modica acquisì notorietà in tutta Europa proprio per le botti del Campailla,
ancor oggi esistenti all'interno dell'antico Ospedale di S. Maria della Pietà e
visitabili all'interno di un percorso museale appositamente dedicato.
Negli anni a venire, le botti del C. furono, ma con scarsi risultati, imitate
altrove, sia in Italia che all'estero: ad esempio, sorse a Palermo, per volere
del prof. Mannino della locale facoltà di Medicina, un Sanatorio C. Fu poi costruita, a Roma, una cosiddetta Botte di
Modica; a Milano, ancora negli anni '50, furono costruite botti di vetro sul
modello di quelle del C.; mentre, a Parigi, furono fondati istituti a
imitazione del Sifilocomio C.palermitano, per la cura delle malattie reumatiche
e nevralgiche. Teatro La rappresentazione Cygnus, atto unico scritto da
Nausica Zocco, prende spunto dalla vita e dalle opere di Tommaso Campailla, ed
è stato portato in scena l'8 maggio a
Modica, per la regia di Tiziana Spadaro. Note L'esatta data di nascita è riscontrabile,
come quella di morte, negli appositi registri dell'Archivio Parrocchiale della
Chiesa Madre di San Giorgio in Modica.
Taluni, sulla base di nessuna fonte storica attendibile, hanno diffuso
l'infondata notizia secondo cui C. stesso sia stato vittima della sifilide,
contrariamente al fatto che lo studioso modicano costruì comunque le sue botti,
per il trattamento di questa infezione quando aveva solo 30 anni, ma morì a 72
anni, età veneranda e considerevole, per quei tempi, in cui la vita media di un
individuo di sesso maschile era di 55-58 anni, per non tener conto poi del
fatto che, nel Settecento (e così, fino all'avvento degli antibiotici nel
Novecento), un sifilitico aveva comunque delle bassissime aspettative di vita
dopo il manifestarsi della malattia, dell'ordine di pochissimi anni. Ad ogni
modo, le botti del C. raccolsero, per molti decenni, un gran numero di pareri
positivi a favore di un loro benefico influsso contro il morbo. C.,
"L'Adamo" ovvero "Il mondo creato" poema filosofico, Volume
unico, Messina, Chiaramonte e Provenzano, treccani/enciclopedia Cfr. D. Scinà, Prospetto della storia
letteraria di Sicilia nel secolo decimottavo, Tipografia Lorenzo Dato, Palermo,
Tratto dalla Rassegna di Clinica, Terapia e Scienze Affini, Secondio Sinesio,
Vita del celebre filosofo, e poeta Signor D. C. , Patrizio modicano, Siracusa,
1783; ristampa Modica. Guccione, C. ed il suo museo in Modica, Leggio &
Diquattro, Ragusa, Ottaviano, Tommaso Campailla. Contributo all'interpretazione
e alla storia del cartesianesimo in Italia, introduzione e note Domenico
D'Orsi, MILANI, Padova, Criscione, C. Un poeta e filosofo modicano, Idealprint,
Modica, Guccione, C. il suo museo, la scuola medica modicana, Comune di Modica,
Modica, C. e la Scuola Medica Modicana, Ed. Ingegni Cultura Modica, Modica. C.,
su Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. C., in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di C., su openMLOL, Horizons Unlimited
srl. Sotto il titolo “Disordinato discorso dell’uomo” sono raccolti due saggi
pioneristici del filosofo modicano sul ruolo della mente nei sogni, nel
delirio, nell’estasi e nella follia. L'estasi (dal greco ἔκστασις, composto di ἐκ
o ἐξ + στάσις, ex-stasis,[1] «essere fuori») è uno stato psichico di
sospensione ed elevazione mistica della mente, che viene percepita a volte come
estraniata dal corpo: da qui la sua etimologia, a indicare un «uscire fuori di
sé». Nonostante la diversità delle religioni, culture e popoli in cui
l'estasi è stata sperimentata, le descrizioni circa il modo in cui essa viene
raggiunta risultano straordinariamente simili. Si afferma di provare in questi
momenti una sorta di annullamento di sé, e di identificazione con Dio o con
l'"Anima del mondo". Descrizione ed effetti. Manifestazioni
dell'estasi nell'antichità. Il corteo dionisiaco 2.2 L'estasi oracolare 2.2.1 Figure
oracolari 3 L'estasi nelle filosofie orientali 4L'estasi in Plotino 5L'estasi
cristiana 6L'estasi paradisiaca in Dante 7Il Rinascimento 8L'Ottocento e il
Romanticismo. Descrizione ed effetti Psichicamente è caratterizzata dalla
cessazione di ogni attività da parte dell'emisfero cerebrale sinistro (noto
anche come emisfero dominante o della "razionalità discorsiva"),
consentendo così all'emisfero destro (quello recessivo o passivo, detto anche
"emotivo") di attivarsi. È uno stato di estrema concentrazione simile
per certi versi all'ipnosi, quando ad esempio la mente rimane attonita nel
fissare un punto o un oggetto, dimentica di ogni altro pensiero. Generalmente
produce uno stato di notevole beatitudine e benessere interiore. Manifestazioni
dell'estasi nell'antichità Una simile condizione mentale era nota sin
dall'antichità ed era considerata manifestazione diretta della
divinità.[4] Il corteo dionisiaco Nell'antica Grecia erano famose le
menadi (o Baccanti), donne greche che partecipavano a riti non ufficiali. Si
trattava di culti misterici e iniziatici che si svolgevano al di fuori delle
mura della città ed erano aperti agli emarginati della società, quali appunto
le donne, gli schiavi e i meteci. I protagonisti di questi culti (detti anche
Misteri, connessi sia ai riti dionisiaci che a quelli orfici sorti intorno al
VII secolo a.C.), presi in uno stato di trance o estasi ballavano sfrenatamente
e uccidevano a mani nude degli animali. Si trattava di elementi legati
all'aspetto esoterico della religione greca, che convivevano sotterraneamente
con l'exoterismo della religiosità tradizionale.[6] L'estasi oracolare
L'estasi era ciò che rendeva possibili gli Oracoli, essendo vissuta come
momento di tramite fra la dimensione terrena e quella ultramondana. A volte lo
stato di estasi veniva raggiunto artificialmente mediante l'uso di sostanze
psicotrope; la persona coinvolta era portata così a compiere gesti o azioni
insoliti.[7] Figure oracolari Figure emblematiche e famose per le loro
estasi collegate al dono della profezia erano le Sibille, donne laiche che
gravitavano presso un tempio di Apollo proprio per la loro capacità di
connettersi col divino, che proferivano i loro responsi restando nell'ombra,
non mostrandosi facilmente agli umani che le avessero consultate ed
interrogate; oppure poi la Pizia vera e propria sacerdotessa di Apollo che
dimorava nel famoso santuario apollineo di Delfi, la quale si mostrava ai
fedeli e proferiva gli oracoli dopo appositi riti e sacrifici. La Pizia
raggiungeva uno stato di estasi indotto dai vapori inebrianti che uscivano da
una spaccatura del suolo, durante il quale proferiva gli oracoli. In Magna
Grecia era invece famosa la Sibilla di Cuma, antica città greca situata nei
Campi Flegrei. I responsi delle Sibille tuttavia erano spesso oscuri e non
facilmente interpretabili, venendo compresi ora in un senso, ora in un
altro.[9] L'estasi nelle filosofie orientali Nelle religioni asiatiche,
come l'induismo, il taoismo, e soprattutto il buddismo, l'estasi è il momento
sacro in cui avviene l'illuminazione, ed è il pieno sviluppo delle potenzialità
e delle qualità naturali presenti nell'individuo. Questo stato è anche chiamato
onniscienza oppure saggezza suprema e perfetta, dal sanscrito
anuttarā-samyak-saṃbodhi, comunemente detta semplicemente Bodhi, e corrisponde
all'illuminazione del Buddha; è lo stato in cui la mente diventa illimitata e
non più separata dal resto del mondo, il punto in cui il microcosmo della
persona si fonde con il macrocosmo dell'universo. Diventa così possibile una
condizione di nirvana, alla quale ci si allena sotto la guida di un maestro
tramite la meditazione, cioè la concentrazione su di sé e la consapevolezza
della propria energia. L'estasi in Plotino Secondo Plotino (filosofo
ellenistico neoplatonico), l'estasi è il culmine delle possibilità umane, che
avviene dopo aver compiuto a ritroso il processo di emanazione da Dio: essa è
un'autocoscienza, ed è la meta naturale della ragione umana, la quale,
desiderando ricongiungersi col Principio da cui emana, riesce a coglierlo non
possedendolo, ma lasciandosene possedere. Il pensiero cioè deve rinunciare ad
ogni pretesa di oggettività abbandonando il dinamismo discorsivo della
razionalità, ovvero negando se stesso. Tramite un severo percorso di ascesi,
che si serve del metodo della teologia negativa e della catarsi dalle passioni,
la ragione riesce così a uscire dai propri limiti, superando il dualismo
soggetto/oggetto e compenetrandosi con l'Uno. Quello di Plotino non è tuttavia
un semplice panteismo naturalistico, poiché per lui l'estasi è essenzialmente
un percorso in salita verso la trascendenza. Il circolo nella filosofia
di Plotino: dalla processione all'anima umana, e dalla contemplazione
all'estasi. Essendo l'Uno non descrivibile, perché descriverlo significherebbe
sdoppiarlo in un soggetto descrivente e un oggetto descritto (e quindi non
sarebbe più Uno, ma due), anche l'estasi è di conseguenza uno stato psichico
non descrivibile a parole, dato che l'estasi è la condizione stessa dell'Uno
che si auto-contempla. Intuirla è possibile solo per via di negazione: tramite
il suo contrario, prendendo coscienza di ciò che l'Uno non è, cioè del
molteplice. L'Uno stesso, in quanto autocoscienza del pensiero, per intuirsi
deve pertanto uscire fuori di sé, diventando molteplice. L'estasi è appunto l'atto
con cui l'Uno genera il molteplice: essa è un cogliere tutt'insieme l'uno e i
molti, in un circolo che dalla processione ritorna alla contemplazione. Cusano,
teologo cristiano del Quattrocento, dirà in maniera simile che l'universo è
l'esplicatio dell'Essere, ovvero il fuoriuscire di sé da parte di Dio. A
differenza del Cristianesimo però, secondo Plotino l'estasi non è un dono della
divinità, ma una possibilità naturale dell'anima. Essa tuttavia si manifesta
non per una propria volontà deliberata, ma da sé, in un momento fuori della
portata del tempo. Plotino stesso raggiunse l'estasi solo tre o quattro volte
nella sua esistenza. Viverla è infatti dato a pochissimi, in rari momenti della
loro vita. L'estasi inoltre non serve ad uno scopo pratico; essendo
contemplazione fine a se stessa, in questo mondo non c'è nulla di più inutile. È
solo nell'estasi però che l'essere umano ha la rivelazione della sua condizione
più vera e autentica. Per il resto la via indicata da Plotino verso la saggezza
consisteva in una vita retta, oppure nella ricerca di espressioni artistiche
come la musica. L'estasi cristiana Santa Teresa d'Avila La
filosofia plotiniana diede quindi avvio a una lunga tradizione neoplatonica,
che concepiva l'universo animato da un eros o tensione amorosa mirante a
ricongiungersi a Dio tramite l'estasi. La teologia di Plotino fu ripresa in
particolare da quella cristiana, e rivisitata però alla luce dell'aspetto
personale della Trinità. L'estasi venne intesa in un senso più ampio: per il
cristianesimo essa non è più soltanto una contemplazione fine a se stessa, ma è
funzionale all'azione; deve tendere cioè non solo verso Dio, ma anche verso il
mondo. Tale mutamento di prospettiva venne introdotto affiancando all'amore
greco di tipo ascensivo, corrispondente al concetto di eros, un amore
discensivo corrispondente al concetto evangelico di àgape. L'esperienza
estatica cristiana consiste così in una comunione, una sorta di abbraccio col
mondo e l'umanità in esso dispersa con lo scopo di alleviarne le sofferenze e
ricongiungerla al Padre. Essa avviene tramite un'illuminazione operata
direttamente da Dio. Questi fuoriesce nel mondo non per un atto involontario
(com'era nel plotinismo), ma perché ama le sue creature. Identificarsi con la
sua estasi divina è, secondo Agostino, la meta naturale della ragione umana, la
quale può riuscirci non per una deliberata volontà individuale, ma per una
rivelazione da parte di Dio stesso che si rende presente alla nostra mente;
l'estasi è dunque essenzialmente un dono, reso possibile per intercessione
dello Spirito Santo, grazie a cui l'essere umano trascende i propri limiti e si
rende strumento di Dio nel mondo.A differenza di altre religioni la persona
coinvolta non perde comunque la propria individualità, pur compenetrandosi in
Lui.Per i mistici medioevali, come San Bernardo, o i neoplatonici tedeschi come
Meister Eckhart, l'estasi è una visione beatifica che avviene quando l'anima è
rapita in Dio, e l'essere si annulla in un Pensiero senza più limiti né
contenuto: Dio infatti non può essere oggettivato, perché non è oggetto, ma
Soggetto. Si tratta di una comunione mistica accesa da un fuoco d'amore,
un'esperienza di beatitudine suprema simile a quelle che saranno riferite in
seguito anche da Santa Teresa d'Avila, figura di riferimento della
Controriforma. Un'altra testimonianza sull'estasi in tal senso è quella
medioevale del beato Jacopone da Todi nella lauda O iubelo de core.
L'estasi paradisiaca in Dante Nel Trecento Dante Alighieri, nel Paradiso della
Divina Commedia, di fronte alla visione beatifica di Dio, negli ultimi versi
della cantica prova così a descrivere l'estasi, conscio della sua ineffabilità,
dell'impossibilità di riferirla a parole in maniera oggettiva:
Dante contempla l'Empireo, incisione colorata dell'originale di Doré
«Qual è 'l geomètra che tutto s'affige per misurar lo cerchio, e non ritrova,
pensando, quel principio ond' elli indige, tal era io a quella vista nova:
veder voleva come si convenne l'imago al cerchio e come vi s'indova; ma
non eran da ciò le proprie penne: se non che la mia mente fu percossa da un
fulgore in che sua voglia venne. A l'alta fantasia qui mancò possa; ma
già volgeva il mio disio e 'l velle, sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle]» (Paradiso) Il Rinascimento Il
desiderio di estasiarsi godette quindi di una notevole fortuna durante il
Rinascimento. Al di là del significato religioso l'estasi assunse allora
principalmente una valenza artistica o estetica. Il bello era visto sia dai filosofi
rinascimentali che dagli idealisti romantici come la via privilegiata per
ricongiungersi a Dio. Bruno paragonò l'estasi a un eroico furore: non
un'attività pacifica che spegnesse i sensi e la memoria, ma al contrario li
acuisse, simile a un impeto razionale. A una rivalutazione dell'estasi
nell'Ottocento contribuirono sia la Critica del giudizio di Kant, sia
l'idealismo di Fichte e Schelling. Kant vedeva nel giudizio estetico un
sentimento universale di partecipazione con l'Assoluto, nel quale la ragione
non è più vincolata da un'attività conoscitiva soggetta alla necessità delle
relazioni causa-effetto, ma è libera nel formulare i propri legami associativi.
Per Fichte l'estasi è intuizione intellettuale, l'atto immediato con cui l'Io,
nel diventare autocosciente, può intuire se stesso solo in rapporto a un
non-io; così nel porre se stesso l'Io pone al contempo anche il molteplice al
di fuori di sé. Parimenti Schelling vedeva nell'estasi un'attività infinita con
cui Dio crea il mondo. L'uomo può riviverla nell'estasi artistica, che è la
manifestazione più tangibile dell'Assoluto, nel quale l'aspetto attivo e
passivo, il lato conscio e quello inconscio della mente, non sono più in
conflitto tra loro, ma si fondono in una sintesi armonica di comunione cosmica
con la Natura. Mantegazza, Le estasi umane, Marzocco, Firenze; La Civiltà
Cattolica; Legislative Reference Bureau, Roma; Enciclopedia Treccani alla voce
«estasi», di Marco Margnelli e Enrico Comba, Giovetti, Dizionario del mistero; Mediterranee,
Atlante illustrato della mitologia del mondo; Giunti; Bianchi, A. Motte e
AA.VV., Trattato di antropologia del sacro, Jaca Book, Milano; Diana Tedoldi,
L'Albero della musica: tamburo, stati altri di coscienza; Anima Srl; Burkert,
La religione greca di epoca arcaica e classica; Jaca, Messina, Riflessioni e verità; Edizioni
del Faro; Aa.vv., Dizionario della Sapienza Orientale: Buddhismo, Induismo,
Taoismo, Zen; Mediterranee; Kerouac, Il libro del risveglio, a cura di T.
Pincio, Mondadori; Evola, Oriente e Occidente; Mediterranee; «La scienza è
ragione discorsiva e questa è molteplicità: perciò, una volta caduta nel numero
e nella molteplicità, essa perde l'Uno. È necessario dunque trascendere la
scienza e non allontanarsi mai dal nostro essere unitario, ma abbandonare la
scienza. [...] Perciò si dice che Egli è ineffabile e indescivibile» (Plotino,
Enneadi, VI, 9, 4, trad. di Faggin). Faggin, in La presenza divina; D'Anna
editrice, Messina-Firenze; Severino, La filosofia dai Greci al nostro tempo; Il
circolo nella filosofia di Plotino, Milano, Rizzoli; Faggin, Mazza, La
liminalità come dinamica di passaggio: la rivelazione come struttura
osmotico-performativa dell'"inter-esse" trinitario; Gregorian
Biblical BookShop; Sulla differenza terminologica tra agape ed eros, cfr. E.
Stauffer, Agapao, in G. Kittel-G. Fridrich, Grande lessico del Nuovo
Testamento, vol. I, Paideia, Brescia; Bonetti, Matrimonio in Cristo è
matrimonio nello Spirito, p. 63, Città Nuova; Julien Ries, Communio, p. 88, Jaca;
Come una piccola goccia d'acqua che cada in una grande quantità di vino sembra
diluirsi e sparire per assumere il sapore e il colore del vino; così ogni
affetto umano, nei santi, deve fondersi e liquefarsi per identificarsi alla
volontà divina. Come infatti Dio potrebbe essere tutto in tutto, se nell'uomo
restasse qualcosa di umano? Senza dubbio, la sostanza rimane, ma sotto un'altra
forma, un'altra potenza, un'altra gloria» (Bernardo di Chiaravalle, De
diligendo Deo, 10, trad. di G. Faggin). ^ Santa Teresa d'Avila descrive l'estasi
come un momento di "assenza" nel quale afferma di aver percepito
tutto il dolore provato da Cristo durante la Passione, ma anche una così grande
gioia interiore da coprire il dolore (cfr. Autobiografia). ^ Nella descrizione
di Dante si tratta di quella condizione paradossale di «estasi per cui la mente
esce di sé e perviene a un potenziamento di sé» (T. Di Salvo, Paradiso,
Zanichelli). ^ Reinhard Brandt, Filosofia nella pittura: da Giorgione a
Magritte, p. 432, Pearson Italia S.p.a.; «Una delle qualità necessarie al sapiente,
cioè a colui che intende spingere l'ascesi conoscitiva fino all'estasi e
all'indiamento (farsi Dio), è un livello erocio di amore per la bellezza, un
furore divino nella terminologia di Ficino» (Ubaldo Nicola, Atlante illustrato
di filosofia, p. 238, Giunti). ^ Ubaldo Nicola, Atlante illustrato; Pozzolo, La
fede tra estetica, etica ed estatica, p. 64, Gregorian Biblical BookShop, 2011.
^ S. Mati Novalis, Del poeta regno sia il mondo. Attraversamenti negli appunti
filosofici, p. 81, Pendragon, 2005. ^ Antonello Franco, Essere e senso:
filosofia, religione, ermeneutica, p. 170, Guida; Cfr. anche Luigi Pareyson, Lo
stupore della ragione in Schelling, in AA.VV., Romanticismo, esistenzialismo,
ontologia della libertà, Mursia, Milano; Carlo Landini, Psicologia dell'estasi,
Franco Angeli, Milano 1983 Ioan Petru Culianu, Esperienze dell'estasi
dall'ellenismo al Medioevo, Laterza, Bari; Eliade, Lo sciamanismo e le tecniche
dell'estasi, ed. Mediterranee, Razzano, L'estasi del bello nella sofiologia di
S. N. Bulgakov, Città Nuova, Merlin, F. Vettori, Un'estetica estatica, edizioni
Cleup, Padova; Beatitudine Esperienza extracorporea Illuminazione (Buddhismo)
Illuminazione (cristianesimo) Indiamento Misticismo Sofianismo Trance
(psicologia) Transverberazione «estasi» Estasi, su Enciclopedia Britannica,
Encyclopædia Britannica, Inc. Stati di coscienza; Filosofia Portale Filosofia
Psicologia Portale Psicologia Religione Portale Religione Categorie: Concetti e
principi filosoficiEmozioni e sentimentiFilosofia della menteMisticaTeologia
Comie ſi genera; Nima Ragionevole, come di Anima, come sà, che, fuor del
ſuo ſcorre nel Corpo Organico. St.1. Corpofieno, altre Coſe Corporee.27.
Obbietti Senſibili terminan le Idee Per le Idee degli Obbietti,nel Senſo nel
Senſo Comune. St. 2. Comune rappreſentatele. Corpi Striati, e loro ſtruttura,
3. Cometalora s'inganna. 29. Fornice, e ſua teſtura; Delirio nell'Ubriachezza; Setto
Lucido, e ſua fabrica. 5. Vino or fà dormire,or vegliare. 32. Corpo Calloſo, e
ſua anatomia. 6. Come alle volte porta il ſonno. 33 Senſo Comune ne 'Corpi
Striati. 7. Come talora induce vigilia. 34. Da quali paſſano tutti gli Spiriti
Ubriaco, perche Delira. 35. Motivi, e i Senſitivi. 8. Mania, eſuo Delirio.
Anima,in quanto ſente,riſiede ne’ Corpi Striati. 9. Siſpiega in particolare.
40. Fantaſia ſi eſercita nel Fornice. Io. Morficati dal Can rabbioſo, e lor
Memoria riſiede nel Corpo Callofo.1.1. Delirio. 43. Imaginativa, come ſérve al
Di Come prendon proprietà Canine. 44. ſcorrere. 12. E credono, eller Cani. 45.
Facoltà Motiva,coni'è eccitata. 13. Core procede tal Trasformazione.46. lilee
Senſibili,coine ſi formano,e 's' Delirio Febrile, ò Frene fiu. 48. imprimono
nel Cerebro. 14. Come faffi. 49. Spiriti Animali, fimilialla Luce.15. Come ſi
dà Febre ſenza Delirio, e Paragone fra queſta, e quelli. 16. Delirio ſenza
Febre. Spiriti Animali, comeformano le Cerebro deſtinato agli uficj Anima Idee.
17. li, e il Cerebello à i Vitali. FI. Idee non ſono, che una pittura, in
Anatomia del Cerebello. protata nelle pieghe del Cerebro.19. Nervi, che naſcono
dalCerebello. 53. Sterienza. · 20. La Mente non bà dominio ſul Cea Idee, come
laſciano la loro inpronta rebello. 54. nuel Corpo Calloſo. 22. Comunicazioni
fra il Cerebro, e il inima, come ſi rigorda. 24. Cerebello ſcambievoli. 55.
Guajti gli organi del Diſcorrere, Impreſſioni del Cerebro,come ſi par iguafla
il Diſcorſo Umano. 26. tecipano al Cerebello, e quelle 50. 52. del 227 84. del
Cerebello al Cerebro. 58. Come ſi genera. 79. Agitazione Febrile, cagionata al
Delirio dellº Incubo, come ſi forma.81. Cerebello, partecipanıloj al Ce
Maliæconia Ipocondriaca. rebro, induce il Delirio. 59. SueCagioniantecedenti.
85. Non comunicandoſi, no’l produce.62. Suoi triſti effetti. 86. Delirio de '
Sognanti. 63. Come induce ilDelirj. 89. Sonno, come ſi fa. 64. Per gli efluvj
degli Umori, corrotti Cbefia 68. nelle Viſcere, 90. Sogni, come ſi formano. 69.
| Rimedj, che riducono allo ſtato di Sogni, perchè ſi formano,à miſura Sanità
gli Organi, guariſcono, degli Appetiti, e delle Paffioni dal Delirio. 91.
attuali, 74. Diſcorſo depravato per erroriLoa Incubo. 77. gici, e ſuoi rimedja
IXIETAS2140S147 Μ Α Ν Ω. ARGOMENTO. 27482 A82FATIRAF ETAFARAYAX 2X1% XKAYARANJE
D E l'ordinato pria Diſcorſo Umano Dichiara la Meccanica ragione il dotto
Serafin, poi de l’ Inſano Le falſe Idee, l Opere prave eſpone: Qual ne i Senni,
anche Savj, il ſogno vana Le incongrue fantaſie finge, e compone; Qual la
Ragion prevarica, e travia L ' Ipocondriaca, à l' Uom, Malinconia. STATE 1
sãto, 2.Su queſte Midollar due fondamenta Del Corpo inilerabile, c mortale La
propria mole anteriore appoggia Compreſo lò dal tuo dir, cô doglia,e pianto, Il
Fornice, che il Cerebro ſoftenta, Lo ſtato lagrimevole, e fatale, Ed in Corpo
Calloſo ad alto poggia. Seguì à parlar, per conſolarmialquanto, Sul Midollo
allungato ei, dietro, afſenta De l'Anima si nobile, c Immortale; Due pic
poſterior, di Volta in foggia: Coin'ella, in queſta fua Corporca mole, Del
Palagio cosi de l'Alma intero Intende, idea, membra, diſcorre, e vuole. L'uno,
e l'altro loftien doppio Emisfero. 5 E il Serafin: Dopo che invia l'Obbietto Mà
del Fornice al tetto interiore, Il Carattere fuo nel Sento eſterno, Qual Zona,
un Setto lucido li appende; Per il canal de Nervi, ei và diretto Che, in mezo,
da la parte anteriore, Sè ad improntar nel comun Senfo interno. A la poſterior,
curvo, diſcende. Queſto è il luogo del Cerebro, ch'eletto A i lati fuoi, con
ſempre ugual tcnore E de moti ſenſibili al governo. Di quà, di là ſerie di
ſtrie, ſi ſtende, Qual van le linee al centro, in lui convienli, Che tutte in
lui riguardano egualmente, Ch’entrin tutte le Idee de gli altri Senſi. Il qual,
di Vetro in guiſa, è traſparente. 3. 6. Pria,che il Cervello i ſuoi due faſci
accoppi L'ampio Corpo Calloſo è ſovrapoſto In Midollo allungato, e poi Spinale,
Al Fornice, e sù quel li ammaſſa, e annette, Da quai ſpuntano pofcia, ad ordin
doppi E con ordin mirabile è compoſto Tutti i Nervi del Senſo univerſale,
D'inteſti filamenti à retinette, Di Cannei Midollar compon due groppi, Di cui
l'immenſo numero diſpoſto Conici, e curvi, in forma lunga ovale In fuperficie
vien piane perfette, Che, perchè ſono à lunghe ſtrie ſolcati, Molli così, che
ammettono, à l'azzione ' i detti laran Corpi ftriati. De gli Spirti, ogni
minima impreffione. Entro de i Midollar Corpi Striati, E de gli eſterni
Obbietti lor là dove La reſidenza il Comun Senſo ottiene, Hà la Malizia, d la
Bontà compreſa, C'hà de le proprie Glandole irrigati I principj de i Nervi
apre, e vi piove Le cavità, di Spiriti ripiene, Copia di Spirti, ove ella
vuole, inteſa: Atti ad eſſere impreſli, e conformati I Muſcoli ritira, e i
membri move In ogni Idea,che a lor da i Senſi viene, Al'ampleſſo, à la fuga, à
la difeſa; Azili, e fnelli, à figlirarſi eſpoſti E quando poi di quei reſta
ſicura D'infiniti, in cui fian, modi, diſpoſti. Più Spiriti non manda, e i
Nervi ottura 14. I Nervi in lor degli Organi Senſori Spiegami meglio (aggiūge
Adam )traslata, Tutti invian de gli Spiriti i refulli: Come i'ldea nel Comun
Senſo ha forma: E quei, da lor, de gli Orgeni Motori Come dal Settolucido
paſſata, Spontanei tutti han degli Spirti i fluſſi: Entro il Corpo Calloſo
imprime l'orma: Cid, che vien dentro ammeſio, ch'eſce fuori E come poi, che in
quel reſta improntata, Di Senſitivi, o di Motivi in Auſli, Entro la Fantafia la
Copia forma, Del Cerebro, ove l'Alma à regnar ſtarfi, Simile a quella Idea, che
pria l'affiſſe: Per queſta regia Via, convien, che palli Cosi ei richiede: E
così Quei gli diffe 9. 15. In queſti l'Alma Umana, in quanto ſente, Benchè
vario fra loro il naſcimento Corpi Striati aſſiſte, e ognor riſiede: Han la
Luce, e gli Spiriti Aninali: Quilegata, à gli Spirti intimamente, Che quella
dal ſottil Primo Elemento, La sè, incorporea, à i Corpi aggir concede: Queſti
portan dal Terzo i lor natali, Qui l'occhio Spirital ſempr’hàprefente: Ne la
velocità, nel movimento, Qui tocca, guſta, odora, afcolta, e vede: Nel Terbar
riflettendo angoli eguali Qul le potenze Senſitive hà immote, De l'incidenza à
l'angolo, ſembianti Qui non ſentir ciò, che s'idea,non puote. Fra lor ſon
inolto, c in eſſere rifranti. 16. La Fantaſia, del Fornice nel Setto Tra gli
ſpazi de GloboliCeleſti Lucido, fuole eſercitarli, cui Ruota in centro la Luce,
à vorticetti: Come pervio, e diafano perfetto Girano in centro ancor mobili
queſti Per ogni parte han via gli Spirti ſui, Sottilmente formatl in Globoletti:
Qui le Idee rappreſentano l'aſpetto, Son de la Luce i Corpi agili, e preſti,
Che dal Senſo Comun paſſano in lui: Atti à modificarli in vari aſpetti; Le mira
in queſto Specchio, e le contempla Queſti da Corpi,onde ſon mai rifelli,
L'Alma, e in sè Spirital l'Idee n'eſempla. Tornano poi modificati anch'eſſi. 17.
La Idea, dal Setto lucido, leggiera Quale il Lume de i Corpi, onde riflette
Entro il Corpo Calloſo alfin trapaſſa, Ovunque dirizzarſi abbia permeſſo, E ne
le tele ſue l'Iminago intera, Di quei le colorate Immagginette Imprime, e il
ſuo Carattere vi laffa. Modificate al par porta in sè ſteſſo: S'impronta in lor,
come Sugello in cera, Ne gli ſpirti de l'Ottiche fibrette Nè per tempo sì
facile fi caffa. Quelle dipinge, entro de l'Occhio ammeſlo: Altre Idee in altre
fibre impreffe poi Laſciando in quegli Spiriti i modelli Serbano à la Memoria i
teſor fuoi. Che ne la fuperficie ebb’ei di quelli. 12. 18. Se diſcorrer talor
la Mente hà brame Tal gli Spirti Senſor modificati Sù quelle Idee, che il Comun
Senſo invia Da gli obbietti, onde füro indietro ſpinti; Uop'è, che le trafcorſe
Idee richiame Nel Comun Senſo portano traslati, Dala Mémoria à la fua Fantaſia.
Quegl'Idoletti Mobili diſtinti, Ponle nel Setto lucido ad elame, Che nela
Fantafia rapprefentati, Le rigette, o le approva, odia, ò defia, Ne la Memoria
alfin reftan dipinti, A miſura, che trae da loro effenze Con quello ſteſſo
colorato aſpetto, Utili, a infaufte à sè le conſeguenze. Che in ſuperficie å
vea l'efferno Obbietto. L'Adamo del CampaiHas Mmm L'ldos ro. IL DISCORSO UMANO.
L'idea, che ne le fibre interiori In queſta forma, Adam, l'Umana Mente; Del
Caitofo Midol poi fi figura, Mêtre informa il ſuo Corpo,e leſuc Membra) Per
mezo de'caratteri impreſſori Da i fantaſmi di quello è dipendente: Non è,
ch'una verilima pittura, Con queſti ſente, immagina, e rimembra: Per via
dipinca in lor, non di colori, Mà in sè diſcorre, e vuol liberardente, Mà per
mutazion de la teſtura, E ciò clegge, che buon, che bel le ſembra: Chenegli
Spiīti !!! tal rifleſſo induce, Pur, de gli Enti Corporei, uop'e, che penſi,
Quale iColor riñettono la Luce. Per via d'Idee material di Senſi. 26. Non ſono
i Color tutti altro in sè ſterfi, Mà perd, che del Corpo i Morbi fono Che
ſuperficie, tal.configurata, Per l'intima union, Morbi de l'Alma, Sù cui
rifranti i raggi, e infiem rifleſſi, Perdendo il Corpo il natural ſuo tuono,
Han si la rifleſſion modificata, Se inferma è mai la fua Corporea Calma, Che
imprimono ne l'Occhio i color Ateli. La Mente, che nel Cerebro ha il ſuo trono
Con cui la ſuperficie è colorata: Tra gli Spirti animai non reſta in calma;
Cosi Criſtal diafano hà coſtume Perchè di lor difregolato il corſo, Sol culorir
per Refrazzione, il Lume. La perturbata Idea turba il Diſcorſo. 21. 27., Si
diffé il Serafino, e tenue Stile Che ſien fuori de l'Anima in Natura Che di
piun colore affatto intinſe, Corpi reali, e fisici, eſiſtenti, Sù quella, che
il veſtia, tela ſottile La Mente entro il ſuo carcere procura Scolpi la
fuperficie, e la dipinfe, Da i canvelli ſcoprir de'Sentimenti, E à colorata
Immagine fimile, Sol per mezo de'Senſi ella è ſicura, Immago in lei, fenza
color, diſinfc, Che fieno quelli al Corpo ſuo preſenti. Che in quel fcolpito
Lin con par tenora Nel Comun Senfo, à l'obbiettiva effenza, Il Lume riticttea,
qual fa il Colore. De le coſe attual så l'Efiſtenza. 28. Cosi (poi fegue à dir
) la ſola azzione. Sc al Comun Senſo fuo fi rappreſenta De lo Spirto animal rr
odifica to, Idea, che altronde ella avvenir ti avvcda, Få nel Corpo calloſo
impreſione, L'Obbietto, far non può, che allor non ſenta, Con renderlo, in
riflettervi', improntato. E ſentirlo non può, che non lo creda. Tanto, ver'fua
natia coſtituzione, Così à l'Occhio ſe alcun ti ſi preſenta, E' quel Midollo
tenero formato Tu già mai far potrai, che non lo veda: A''Idea Spiritofa in lei
rifleffa Così se ne lo Specchio Immigo eſpreſſa, Ccde la superficie, e reſta
impreſa. Noncrederla non puoi da Obbietto impreſa.?? 29. De l'Occhio in modo
tal sù la Retina, Or qualvolta à la Mente Idea ſi porta Che ancor 'efla
Soſtanza è Midollare, Entro il Senſo Comun per altra via, Se talun filo 1
riguardar ſi oſtina Che per la regia, ed ordinata porta, Illuminofo in Ciel
Corpo Solarc, Onde al Senſo Comun l'Idea s'invia, Per molto tempo,ancor, che il
guardo inchina, Mà lo Spirto retrograda la porta Del Sol P'linmago lucida gli
appare; Da la Memoria, • da la Fantasia, Elabbagliato acume ovunque gira, Per
la ſtrada de'Senfi allor la crede Quell'infocato lampo ognor rimira. Da
Obbietto eſterno impreſa, e le dà fede. 24. 30. Mà fe di ricordarti unqua defia
E Fede tal, che giudica, e diſcorre, La Mente poi di un traſandato Obbietto,
Qual ſe agiffe, nel senſo eſterno Obbietto; Al Calloſo Midot, placido, invia E
a miſura ingannata amalo, dabborre, Di Spiriti animali un rivoletto, Cheprova
in sè ſvegliar gioja, è diſpetto; Che in quell'Idea incontrandoſi per via,
Agita i membri, e à un operar traſcorre Torna modificato in Idoletto:
Corriſpondente à l'eccitato affetto: Dal Tipo Midollar la forina prende,
Depravato cosi delira infano E de l'antica Idea (imil ſi rende. Per morboſa
cagion Diſcorſo Umano. A turbar giunge un Senno, anche prudente, Per fimile
cagion, ſe non la ſteſſa, De l'afforbito Vin le copia enorme: Mania provien,
d'onde Ebrietà provenne Che l'eſaltato Spirito la Mente, Perchè la delirante
Ebrezza eſpreſſa Or forza à delirar con vane forme, Di breve tempo è una Mania
ſolenne, Or gli Spirti gli ottenebra talmente, E la Mania, nel Senno Umano
impreffa, Che n'è ſopito ogni fuo Senſo, e dorme. Di lungo tempo è un'Ebrietà
perenne, In diverſi Soggetti hà varj eventi, Furiola Mania, cui fon ſoggetti
Ch'or furiofi rende, or fonnolenti. Gli acuti più talor favj Intelletti. 38. Il
come ad indagar, contrari, vate, Il Sangue de Maniàci è con ecceffo Effetti à
partorir ne gli Ebri il Vino, Tal di Sulfurei ſpiriti impregnato Rifletci, che
nel latice vitale Che col reſpir per i Polmoni in eſſo Del Sangue è un doppio
fpirito falino: Il Nitro aereo ſpirto infinuato, L'un,che diſciolto entro il
fuo Siero è un Sale Spira nel vicendevole congreſſo Urinoſo volatile Alcalino:
Indomitaura, ed alito sfrenato, L'altro dentro del Sangue infinuato, Ch'eſalta
in movimenti univerfali Con l'Aria, e i Cibi, è un fpirito Nitrato, Pria gli
Spirti vitai, poi gli animali, 334 39. In quei,che la purpurea,in copie,han
piena, Che concorrendo ai Cerebro, accreſciuta Mafia Sanguigna, di Alcali
urinofo, Di moto, e quantità, rapiſcon tutti Lo ſpirito delVin ſi meſce appena,
Gl’Idoletti Ideal, che contenuti Che genera un coagolo vifcolo. Trovan nel
Setto lucido, e ridutti, La Linfa ingroffa, e i vitai Spirti affrena, O fien da
la Memoria, ivi venuti, E concilia un ſonnifero ripoſo. O ne la ſteſſa Fantaſia
coftrutti, Tal Miſto, fi condenfa in gelatina, E invianli al Comun Senſo, e de
la Mente Lo ſpirito di Vino à quel di Urina, Ingannano colà l'occhio preſente.
34. 40. Mà in quell'Uomo,in cui trovafi eccedente Qui dice Adam: D'un operar al
ſcempio Il Sal Nitroſo entro il Sanguigno Umore, De PUman miſerabile Intelletto
Mifta appena del Vino è l'Acquardente, Tal che può farlo e furiofo, ed empio,
Che à gli Spirti vitai creſce il fervore, Di prudente, che ſia, ſano Soggetto,
Spirando un'aura Elaſtica potente, Deh dona à me, mio Precettor, l'eſempio Che
gli Spirti animai move à furore. Per farne più diſtinto alcun concetto, Tai
lpiran, mitti, un'alito focolo Cosi lo prega, e il Serafin verace Del Viu la
Ipirto., e l'Acido Nitroſo, Il di lui bel deſio cosi compiace. Quindi de gii
Ebri à i Midollar cannelli Il Sangue del Maniaco un tal fervore Lo Spirito con
impeto s'invia: Nel ſuo Corpo talor riſveglia, e crea, Seco il caratter trae,
che ne ſuggelli, Che il capo punge, o il petto, e di un dolore Trova de la
Memoria, e il porta via, Intenſo à lui fà lovvenir l'Idea, L'aſporta feco al
Comun Senſo, e quelli, Quando di un ſuo Nemico oftil furore Che trova, anco
tener la Fantafia, Ferillo, e tutto il fatto allor s'idea: Ne i Corpi
introducendoli Striati, Poi da la Fantaſia per falla porta Per retrograda frada
ivi traşlati. Al fuo Senſo Comun l'Idea fi afporta. 42. Quella Idea crede allor
l'Umana Mente E da la vaua Idea l’Alma ingannata, Introdotta per via di eſterni
Senfi Che rappreſenta il ſuo fucceſſo antico, Da Obbietto, che fia à l'Organo
preſente, Stima ver ciò, che vede, e che aſsaltata Che quei moti Sengbili
difpenfi. Sia, già preſente à lui., dal ſuo Nemico. Onde ingannata, avvien, che
follemente Si accinge a la difeſa, ed opra irata De la ſtesſa maniera operi, e
penſi, Cotr'Uoin, che gli ſi incotra,ancor che amico, Comc fe quell'Obbietto
aveffe avante, Che, preoccupata da l'Idea mentita, Di qui la vana Idea forta il
ſembiante, Nemico il crede, e contro lyi s'irrita. Mà mirabil vieppiù, più
portentoſo Che da quei Solfi indomiti inveſtiti Loſtravoito penſiero è del
Diſcorſo Di periferia al centro in mille forme, Di chi dal dente mai del Can
rabbioſo Syolgon de Simulacri, ivi ſcolpiti, Prova in un di fue meinbra il fero
morſo, L'Idee de la Memoria, à varie torme; Che infetto già dal ſuo velen
bavoſo, E ne la Fantaſia poi male uniti E dopo ancor, che lungo tempo è ſcorſo,
Soa gi'iacaagruiFantaſmi in ſtuol deforme: Fra mille altri ſintomi alfin
riinane, Alfio nel Comua Senſo entran ſovente, Col creder sè già trasformato in
Cane. Adingannare, à ſpaventar la Mente. 44. 50. Nè ſolo al par del Canc
addenta, e morde, Febricitando il Sangue, uopè, che fpici E ſimile anche al
Cane ei latrar s'ode Del Cerebro più Spirti à le latebre: Ma con fame Canina, e
voglie ingorde Delicando gli Spirti, uop'è, che giri Prono diyora į cibi, e
l'olla rode; Il Sangue in pollazion celeri, e crebre: E con oprar col ſuo
penſier concorde Or come Febre è mai lenza Deliri? Le qualità Caninç affettar
gode; Come delirj fon mai fenza Febre? Lungi chi vien sà preſentir, dotato
Adamo al Serafin cosi propoſe: Di acuto, e ſottiliffimo Odorato. E si ad Adamo
il Serafin riſpoſę. 45. Premetto, per ſpiegar, d'onde contratto Per dichiarar
Fenoineno si bello, Concetto Uom poſſa aver cotanto ſtrano, Che interamente jo
ſviluprar prometto, Che allor, che vien de l'unione à l'atto Dopo gli uſi, che
detti hò del Cervello, Il corpo fral con l'Animo ſovrano, Deggio gli uſi anche
dir del Cervelletto: Gl'imprime de'luoi Spiriti il contatto Cheagli uficj
Animali eletto è quello, L'ldea di eſſer congiunto à Corpo Umano, A gli uli
Naturali è queſto eletto: La qual conſiſte in ’ n Caratter tale, Må pria di
eſaminar la ſua Natura. Ch'ngli Spirit, Umani è fpeciale, Sentine l'anatomica
Struttura. Del rabbioſo Velen taptu inaligna Nel Cranio è, dietro il Cerebro,
ripoſto Hà corrottiya attività la Forma, Il picciolo Cervello, e ſegregato, Che
gli Spiro animali, ov'egli alligna, In forina quaſi sferica diſpoſto, Ajo: o à
poco in sè inuta, e trusforına, E da le due Meningi andò ammantato: In rio
Venen l'Aura animal traligna, Di Cannellini hà il ſuo Midol compoko i E di
Canin Carattere s'inforina: E il cortice di Glandole am maffato, Cool ne le
Materie, oy'i gli ha loco, In cui con Meccaniſmi, al grande eguali, Muta, e
trasforma il tutto in foco il Foco. Si prepurun gliSpiriti aniinali. 47. S3
Sentendo aggir quell'Anima infelice Dal Cervelletto fol naſcon produtti
Impreſſion di Spiriti Cunini, Quei Nervei tronchi, e quei lor rami varj; La di
cui f.colta immaginatrice Che daii gli Spirti à i Muſcoli, coſtrutti Hà
depravuti affatto i retti fini, Al miniſter de’moti involontarj. Tradita ancor
da quei Fantalmi, elice Da lui movong i Vaſi, e gli Umor tutti, Da ſe Brutali
affetti, atti Ferini, Ch'a l'uficio vital ſon neceffari, Adam, nel tuo fullir
quanto hai perduto ! Cor, Vene, Arterie, Glandole, Fermenti, Sei ſoggetto ad un
Mal,che di Vom fà Bruto. Polmon, Linfa; Inteſtin, Chilo, Alimenti. 48. 54. Dal
già detto finor molto evidente Giuridizion ſul Cerebel la Mente Argomentar fi
può, come fi dia Punto non tien, nè i ſuoi eſercizi hà noti, Il Diſcorſo de
l'Uomo incoerente Non sà, chiuſa entro il Cerebro, nè fente, Nel Delirio Febril,
ch'è Freneſia: Come il Chil ſi amminiſtri, e il Sangue ruoti. Che allor, che
bolle il Sangue in Febre ardête, Di quel, che dal Cervello è indipendente, S
fulfurea falina hà diſcraſia, Fermar non puote, è regolarne i moti. Gi Spiriti
nel Cerebro avanzati, Aſſoluti, e diftinti i lor Governi In copia, c mobiltà
fon gencrati. Commercio hap fol per ſei Proceſſi alternt. Manda Manda al
Cervello il Cervelletto pria E per la via retrograda, ch'è dietro, Doppia
Protuberanza orbicolare, Paffa nel Setto lucido il torrente: Più baſſo due
proceſſi indi gl'invia Quelle Idee, che vi trova ei ſpinge addietro Per la
Protuberanza altra anulare, Verſo i Corpi Striati obliquamente; Due altri
alfine imprendono la via E al corſo natural turbando il metro, Da ſuoi due
Gambi al Calcc midollare L'offre per falfa porta ivi à Ja Mente E di Spiriti
alterni han participi. Che venute credendole da i Senli, De’Nervi il pajo
ottavov'hà principja. Vopè, che follemente operi, e penſi. 56. 62. Per l'uno, e
l'altro orbicolar Ricetto Se però nel ſol Cerebro è riſtretto Son gli Spirci
animai partecipati De'Spirti il moto, e de'fantafmi erranti, Da gli Striati
Corpi al Cervelletto, E à trapaſſar non và nel Cervelletto, E daqueſto anco à i
Corpi fuoi Striatia Senza febricitar fà deliranti: Per le altre quattro vie con
corſo retto Perchè fol ne ſuoi Spiriti è il ſoggetto, Vengono, e ven gli
Spiriti mandati, Che fà le Arterie, e il Cor febricitanti; Pe'l calce midollare,
ove inſeriſce E quello Spirto, onde il ſuo moto prende Le ſue due braccia il
Fornice, e li uniſcea L'Arteria, e il Cor, dal Cerebel diſcende a 57. 63. Sol
queſte ſon le occulte vie, per cui Maggior ſoggiunſe Adam ) inêtre a dormea Ciò,
che ſuccede in lor di ben, di male, Stupore, è il Delirar di fan penſiero,
Mandanſi internamente infra lor dui Che di vani fantaſmi, e incongrue forme Il
vital Miniſtero, e l'animale, Ad un ſtuol dona fe si menzogniero, La Potenza
animal gli affetti ſui I qual, non ſolo al Ver non è conforme I moti fuoi la
Facoltà vitale, Mà par, ch'è falſo, e credefi per vero: Secondo, in Pro comune,
à lor conviene, In modo tal, che un Senno, anche prudente, Opporſi al Mele, o
farfi incontro al Bene. Di creder gl'impoſſibili conſente. 58. 64; E quinci
avvien, che al ſol penſier ſovente Come inganni la Mente à dichiararti Nel
Cerebro, o di Gioja, d di Timore, De i Sogni l'incredibile Bugia, Moffo è il
Polmone, e il Cor placidamente (Replica Raffael) d'uopo è ſpiegarti, Soſpira il
Petto, e batte fpeſſo il Core. Come il Sonno produceſi, e che ſia: Quete, è
ſvolte le Viſcere, hà la Mente Mà pienamente, Adam, rammemorarti L'idea de la
Salute, ò del Malore: La teſtura del Cerebro dei pria: Intelligenza, e
auſiliario impegno Che la foſtanza ſua, teſfuta á velli Paſſa così tra le
Provincie, e'l Regno. Di cavi coſta, e sferici Cannelli. 59. 65. Or mentre la
febrilc agitazione Che à i lati de'ſuoi concavi Canali Nel Sangue, e ne
le.Viſcere ſi avanza, Triangolar fon gl'interſtizj inteſti: Gli efAlvj.al
Cervelletto, e la mozione Che in quei ſcorron gli Spiriti animali, Mandar per
via de Nervi hà ben poſſariza: E che diſcorre ilSugo nerveo in queſti, Quefto
annuncia al Cervel la impreſſione Fatti gli uni di Spiriti vitali, Per doppia
orbicolar Protuberanza, L'altro di Umor linfatici digefti: Entro i Corpi
Striati, onde la Mente Che ſtan fra lor, quei di elater dotati, Di quel calor
febril l'affanno ſente. Queſto di fode fibre, equilibrati. 60. 66. Mà ſe gli
effuvi, ei moti ſuoi ſon tali, Mentre gli Spirti à tal ſon rarefatti Che al
Cerebel traſceudono le ſponde, Che tengan quei cannelli intumiditi, Nel Cerebro
i ſuoi Spiriti animali O'quefti cosi reſtino diſtratti Per l'anular
Protuberanza infonde: Da ariditi, ò durezza irrigiditi, Poi da i poſterior
recti canali O'il nervco Umor pien di fali acri, ed atti Del calce Midollare
alfin trasfonde, Le fibre à ſtimolar, gli Spirti irriti, Del Fornice gli Spirti
à le due braccia Sta tempre aperto il Cerebro, e produce E in quel gli eſtranj
effuvj infinua, e caccia. Spirti continui, e la Vigilia induce. L'Adamo del
Campailla. Nina Per poco influſſo, ò per diſpendj immenfi, Nel tempo del
Dormire al Cervelletto Se al minorar fi vien lo Spirto in effi, Copia inaggior
di Spirti il Sangue infonde O’i ſuoi interſtiz; il nervco Umor più eféli Che
oſtrutto allora il Cerebro, e riſtretco, i; Tien, con più copia, e i cannellin
compreffi, Quei,che nõ manda à queſto, à quel trasfondo Queſti già reli vuoti,
e non più tenſi Maggior moto pertanto, e più perfetto Chiudonfi, molli, e
calcano in sè ſteſſi. Del Torace han le viſcere profonde, Continuar nel Cerebro
non porno E quelle de l'Addome, allor, che appieno Gli ſpiriti l'influſſo: e
faffi il Sonno. Immerfo è il Corpo Uman del Sonno in feno. 68. 74. Il Sonno è
un feriar di Senſi, e Moti, Mà perchè (dice Adam ) ſpelo, à miſura Mà Senli
eſterni, e Moti volontarj. Di noſtra Paſſion ſi formi il Sogno? Gli Spirti del
Cervel ſtan quafi immoti, Perchè m'idea, dormendo, e mi figura Chiuſe le vie de
Senſitivi Affari: Quell'Obbietto,che temo,ò quel,che agogno? Solo i ſuoi membri
proſſimi, e i remoti Qualor per breve, in queſta notte oſcura Tutti mantiene in
eſercizi varj, Michiuſe al Sonno i rai natio biſogno, (Perchè infuſſo di
Spiriti interdetto Vidi nel Sonno il Cherubino armato, Non hà ) la Region del
Cervelletto. Che mi avventava in fen brando infocato, 69. 75. Or così ſtando il
Cerebro.in quiete, L'Angiol riſpoſe: Il già commeſſo errore In una, in tutto
oſcurità diffuſa, Nel ſonno anche ti affigge, e ti tormentas Si occultan le fue
Immagini inquiete, Ti ſtringe il Cor, l'anguſtiato Core Ogni altra Idea de i
Senti eſterni eſcluſa, L'imprellione al Cercbel preſenta, In folche folitudini
fecrete Che pe'i Procelli orbicolar và fuore, La Mente è tutta in sè raccolta,
e chiuſa; E al tuo Senſo comun i rappreſenta: E del Cervello il diſcoriivo
Mondo Poi ne la Fantaſia forma i'alpetto Dorme in ſilenzio altitlimo, e
profondo. Del Cherubin, qual ſe ti apriſſe il petto, 76. Ed ecco, che per cieca
obliqua via, Altro ruſcel di Spirti al modo fteffo Di Larvette ideali erranti
ſquadre Dal Cervelletto al Cerebro diſcorre; Nel Coinun Senio, o ne la Fantaila
E per la via de l'anular Proceſſo Vagan leggicie or fpaventole, ed'adre, Lc
radici del Fornice traſcorre. Or veſtite di ainabije bugia, De Cherubin l'idea,
che trova in eſſo, Pingon bei Spettri, e Fantafie leggiadre; Seco rapiíce, e
ullin valia: deporre E van col Fallo, in naſchera di Vero, Nel Senſorio Comuo:
l’Alma, che'l vede De l'Anima à ingannar l'occhio, e’i penſiero. E lente il
duolo al Cor, ferito il crede. Tal ſe in Teatro cinbroſo il Popol liede,
Anch'io diſs’Eva) in quel notturo orrore, Niirando chiare aprir comiche Scene,
Mentre più gli occhi mici pianger nő ponno, E da Mimi larvati aſculta, e vede
Viep; iù per lo ſpavento, e pul timore, Tragiche finzion, menzogne amene: Che
per quieto oblio, mentre che a !Tonno, Quali del Ver fcordato, ii Falſo crede
Strangolate le fauci, oppreſſo il Core E da’luoi Seun italicdotto viene, Sento
da un Moftro, infra vigilia, e ſonno: Chefveglia ii Finto in lui, verace
intanto Volea gridar, volea fuggir, volea Odio, ) Amer,Picea, d Sdegno,c Rilo,o
Piáto. Scuoţer dal ſen la Belva, e non potea. 28. Chile fopite Immagini
alCervello Queſto č l'Incubo, Adamo (à dir riprende Svegli, i luoi Spisti in
renderne eccitati, A lui rivolto, ii Filico Divino ) Facile è di aſſignar, dal
Cerebello, Paroliſino terribile, che apprende Che fieno effiuvi, • Spiriti
ſcappati, L'Uoin, mentre che talor dorineſupino. Per quei fentier, che ſon, tra
queſto,e quello, Il Petto, e il Core ilmoto ſuo ſoſpende, Ne i Proceſi
ſcambievoii, incavati E fofpende ancu i Sangue il ſuo camino; De le
Protuberüize orbicolari, Che riſtagnando entro i polmoni in petto E de i terzi
Proceſli, ed anulari, Fà un breve si, mà aſſai moleſto effetto. Cio, che il
Sonno al Cervel coſtituiſce, Del Morbo Malinconico cagioni Vien l’Incubo à
produr nel Cerebello Son, ipaventoſi, e ſubiti tercori Qual, groſſo il
nerveoLiquido, impediſce Affetti violenti, e pailioni, Degli Spirti animali il
corſo in quello, Ipocondriaci, e Iſterici Malori: Tal di queſto il medemo anche
oltruiſce In queſte inordinate ripreſſioni Ogni talor ſuo midollar Canuello, Si
guaſtano le Viſcere, e gli Umori: Qualvolta amplia foverchio, in modi vari,
Onde mandati al Cerebro, ed eſtratti Di queſto pur le Strie triangolari. Spirti
ne fono, à gli uſi lor malatti. 80. 86. Come, al Cervel gli Spiriti impediti,
Mal fan l’uſo adempir più principale, Fermanſi gli uſi à gli Organi animali,
Ch'è: coʻlor moti armonici, adequata Così, gli Spirti al Cercbel fopiti, Tener
de l'Uomo à l'Anima immortale Ceffan quei de le Viſcere vitali, Quella, che al
ſommo Ben tendēza hà innata, Il Sengue, e gli altri Liquidi irretiti Mentre in
queſto ſuo carcere mortale Ne i polmoni, e lor vafi arteriali. Vive ad un Corpo
organico ligata: Ciò nel dornir ſupin ſuccede ſpeſſo: Che priva di lor Tolita
Armonia, Che il Cercbel dal Cerebro è compreffo, Sente una interior Malinconia,
81. 87. Prefa daʼNervi impreffion si rea Scemi di loro elaftica potenza, Al
Cerebro s'invia dal Cervelletto Debil tai Spirti à ſpanderſi han vigore, La
Mente un Moſtro in fantaſia s'idea, E di contrari Agenti à la prelenza Qual ſe
l'affoghi, e le comprima il petto: Producon, contraendoſi, il Tiinore. Poi
tratta al Comun Senſo è quell’ldea, Grolli, oltre del dover, ne l'aderenza Con
un corſo retrogrado indiretto Portan le loro Idee forina maggiore: La Idea ne
vede, e la impreſſion ne ſente; Onde di quel,ch'è in sè, ſempre più immenfo Or
che ſtupor, fe'l crede ver la Mente? Rapprefentan l'Obbietto al Comun Senfo.
82. 88. Miquel dal Setto lucido repiſce Anzi, però clie indebite miſture Spirto
le klee ne'Corpi ſuoi Striati? Di eſtrani effluvj in lor glaſtan le forme Del
Cerebel non già, che non fluiſce Appajono d'infolite figure Spirito in lui,
chii Cannellin turati. I lor Fantaſmi, e di feinbianza informe: Si parla Adaino:
E Raffacl fupplilce Tenebroſe le lınmagini, ed oſcure Del Cerebel gli Spiriti
privati, Non terbano à gli Obbietti Idea conforme: Per doppia orbicolar Protuberaliza,
Quindi de i Malinconici eſſer dee u Cerebro, che n’hà minor inancanza. Piena la
Fantalia d'incongrue Idee. 83. 89. De le vitali ſu Vilcere à l'uſo Inino il
M.lincolico à tal ſegno, Tutti gli Spirti il Cercbel riparte; Solo in penſier
fantaſtici ſi aggira: Il Cercbro non già, che benchè chiuſo, Pregna hila
Fantatia, colmo l'ingegno, Ne reſts pieno, e altrui non ne fi partc.
D'incoerenti Idee; ma non deli. a: Reſtande elauſto quel, da queſto infuſo Chc,
benchè erranti, in sè ſenza ritegno, Hà lo Spirto animal per quella parte, Le
involontarie Immagini riinira, Che dal Corpo Callofo, ove diſcende, Pur ben fi
avvede, e noto há ben, che ſia A gli Striati, ivi le Idee diſtende. Sol tutto
l'Effer loro in Fantaſia. 84. 90. 11 Sogno paſſaggiera è una Pazizia, Mà ſe da
le ſuc viſcere eſalato, Ma la Pazzia poi Sogro è permanente, Per i Nervi, Par
vago, e intercoſtale, La Ipocur driaca in cui Malinconia Morbofo effuvio, al
Cervelletto alzato, Riduce PUomo à delirar fovente. Per il di dietro al Fornice
poi fale, Contraria de Maniaci à la Follia, Ogni incongruo Fantafina, ivi
formato, Ch'è cir:Je !, furioia, audace, ardente, Che ne la Fantuſia difpiega
l'ale, Quefiriè timida, e imbelle, e'l penſier volto Nel Senforio Comun con
feco tira: Hà follecito al Plen, itupido al Molto. L'Alma allor Ver lo giudica,
e delira. Del IL DISCORSO UMANO, Del nobile cosi Diſcorſo Umano, De'tanti ancor
traccò Logici errori E de'ſuoi varj organici difetti Che al diſcorſo depravauo
i Giudici, Filoſofo l'Arcangelo ſovrano, E qual di Verità gli alti ſplendori
Con ſottili penfieri, e chiari detti. Oſcurano à la Mente i Pregiudicj: Indi
ſpiego i Rimedj, ond'egl’inſano Come la Dialettica riſtori, Reſo, à cagion de
gli Organi imperfetti, Con norme, i falli in lei, regolatrici; Poffi à i retti
tornar ſuoi Sentimenti, E al fine il giuſto Metodo glieſpone, Con medicarne i
gu'aſti ſuoi Stromenti. L'ulo à bene adoptas di fua Ragionc. Estasi di
santa Teresa d'Avila scultura di Gianlorenzo Bernini Lingua Segui Modifica Nota
disambigua.svg Disambiguazione – Se stai cercando altri significati, vedi
Estasi di santa Teresa d'Avila (disambigua). Estasi di santa Teresa d'Avila
Ecstasy of St. Teresa HDR.jpg Autore Bernini Materiale marmo e bronzo dorato
per i raggi divini Altezza350cmUbicazione Chiesa di Santa Maria della Vittoria,
Roma Coordinate L'Estasi di santa Teresa
d'Avila è una scultura in marmo e bronzo dorato di Bernini, rcollocata nella
cappella Cornaro, presso la chiesa di Santa Maria della Vittoria, a Roma. La
scena raffigurata nell'opera è, per la precisione, una transverberazione e non
un'estasi, quindi la scultura è talvolta chiamata anche "Transverberazione
di santa Teresa d'Avila". Storia Modifica Nel 1645 - in un periodo
in cui, con il pontificato di Innocenzo X, la straordinaria carriera artistica
di Bernini stava conoscendo qualche appannamento - il cardinale Federico
Cornaro affidò alle sue qualità di architetto e di scultore la realizzazione
della cappella della propria famiglia, nel transetto sinistro della chiesa di
Santa Maria della Vittoria, a Roma. Bernini, nell'eseguire la commissione,
cercò una sua rivincita professionale verso l'atteggiamento tiepido che il
nuovo pontefice mostrava nei suoi confronti e chiamò, per così dire, a raccolta
tutta la sua inventiva di architetto e di scultore sino a giungere a realizzare
uno degli esempi più elevati di arte barocca. L'Estasi di santa Teresa d'Avila,
eseguita tra il 1645 e il 1652, una volta portata a compimento piacque
immensamente al Bernini, che con una certa modestia la definì come la sua «men
cattiva opera» (dunque la migliore delle sue realizzazioni). Lo stesso Filippo
Baldinucci, nella biografia dell'artista, riporta che: «il Bernino
medesimo era solito dire essere stata la più bell'opera che uscisse dalla sua
mano» Descrizione Modifica Visuale della cappella Cornaro: al
centro troviamo santa Teresa e il cherubino e, ai lati, si scorgono i vari
membri della famiglia Cornaro che si affacciano dai finti balconcini Una delle
cifre per intendere l'arte barocca è, come noto, il gusto per la
"teatralità": la rappresentazione spettacolare e talvolta anche
enfatica degli eventi. In quest'opera Bernini, mettendo a frutto la sua
esperienza diretta di organizzatore di spettacoli teatrali, trasforma, in senso
non metaforico ma letterale, lo spazio della cappella in teatro. Per far
ciò egli amplia innanzitutto la profondità del transetto; poi, aprendo sulla
parete di fondo una finestra con i vetri gialli, pensata per rimanere nascosta
dal timpano dell'altare, si procura una fonte di luce che agisce dall'alto,
come un riflettore e che conferisce un senso realistico alla irruzione sulla
scena di un fascio di raggi in bronzo dorato, così la luce che scende sul
gruppo, attraverso i raggi, sembra momentanea, transitoria e instabile in modo
da rafforzare la sensazione di provvisorietà dell'evento.Si può facilmente
immaginare quanto tale effetto, nella penombra della chiesa, dovesse apparire a
quel tempo suggestivo. Anche la freccia originaria retta dall'angelo, ora
sostituita da un semplice dardo, venne realizzata con dei raggi che scaturivano
dalla sua punta, a rappresentarne il fuoco del «grande amore di Dio», come
santa Teresa stessa ebbe a dire nella sua autobiografia. L'elegante
edicola barocca, realizzata con marmi policromi, nella quale Bernini colloca la
scena dell'Estasi di santa Teresa, funge da boccascena del teatro: essa mostra
la figura della santa semidistesa su una vaporosa nuvola che la trasporta –
come se fosse operante una macchina da teatro nascosta – verso il cielo. La
trasformazione della cappella in teatro diventa letterale con la realizzazione,
ai due lati del palcoscenico-altare, di «palchetti» sui quali sono raffigurati
– ritratti a mezzobusto – i vari personaggi della famiglia Cornaro. L'evento privatissimo
dell'estasi della santa diviene in questo modo evento pubblico, al quale i
nobili spettatori paiono assistere non già con trepido stupore e con vivo
trasporto devozionale, ma con staccato disincanto; li vediamo anzi - come
avviene spesso a teatro - intenti a scambiarsi i loro commenti. Il
palchetto sinistro, con i membri della famiglia Cornaro in veste di testimoni
attivi dell'evento mistico Ma non è per la famiglia committente, bensì per
l'ideale platea dei fedeli che si accostano all'altare – palcoscenico della
cappella che Bernini mette in scena l'estasi della santa. Egli dimostra qui
tutta la sua maestria di scultore, capace di lavorare il marmo come fosse cera,
con estrema attenzione ai particolari. La veste ampia e vaporosa della santa,
lasciata cadere in modo disordinato sul corpo, è un capolavoro di virtuosismo
tecnico, per effetto del quale il marmo perde ogni rigidezza e la scultura
sembra voler contendere alla pittura il primato nella rappresentazione del
movimento. Commenta a questo riguardo Ernst Gombrich: «Perfino il
trattamento del drappeggio è, in Bernini, interamente nuovo. Invece di farlo
ricadere con le pieghe dignitose della maniera classica, egli le fa contorte e
vorticose per accentuare l'effetto drammatico e dinamico dell'insieme. Ben
presto tutta l'Europa lo imitò.» La raffigurazione delle estasi mistiche
dei santi e delle loro visioni del divino, rappresenta uno dei temi più cari
all'arte barocca: i santi «con gli occhi al cielo aiutano» – seguendo le
raccomandazioni dei gesuitisulle funzioni pedagogiche dell'arte sacra – a
sentire emozionalmente, con il sangue e con la carne, cosa significhi l'afflato
mistico che porta alla comunicazione con Cristo e che è prerogativa della
devozione più profonda. Anche sotto questo aspetto, della raffigurazione
dell'estasi, l'opera realizzata da Bernini nella cappella Cornaro, sarà
destinata a far scuola e ad essere presa a modello innumerevoli volte nella
storia dell'arte sacra. Sul piano iconografico l'Estasi di santa Teresa,
che trova il suo prototipo nell'Apparizione di Cristo a Santa Margherita da
Cortona di Giovanni Lanfranco (1622),[6] è direttamente ispirata a un celebre
passo degli scritti della santa, in cui ella descrive una delle sue numerose
esperienze di rapimento celeste: «Un giorno mi apparve un angelo bello
oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità
sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore,
tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte
ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne
liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo
estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.» (Santa
Teresa d'Avila, Autobiografia, XXIX, 13) Il resoconto che la santa ci offre è
raffigurato quasi alla lettera da Bernini nella sua composizione marmorea, con
il corpo completamente esanime e abbandonato della santa, il suo volto
dolcissimo con gli occhi socchiusi rivolti al cielo e le labbra che si aprono
per emettere un gemito, mentre un cherubino dall'aspetto di fanciullo giocoso,
con in mano un dardo, simbolo dell'Amore di Dio, ne scosta le vesti per
colpirla nel cuore. Notevole è il contrasto tra l'incarnato liscio e delicato
dell'angelo (che fa pensare più a un Eros della mitologia greca che a un'entità
spirituale cristiana) e le vesti scomposte della Santa. Il volto della Santa e
dell'angelo Interpretazione psicoanalitica Modifica L'interpretazione che
studiosi della psicoanalisi come Marie Bonaparte hanno dato (proprio a partire
dai resoconti di transverberazione lasciatici da santa Teresa) all'esperienza
dell'estasi mistica in termini di pulsione erotica che si esprime sublimandosi
nel deliquio dell'afflato spirituale, ha condotto la critica a sottolineare in
quest'opera di Bernini la bellezza sensuale e ambigua dei protagonisti,
avvalorando così la possibilità di una sua lettura in termini psicoanalitici.
Lo psicologo italiano Enzo Bonaventura fa riferimento a Cupido, evidenziando, a
livello simbolico, un nesso tra la figurazione greca e la trasfigurazione
religiosa nell'arte cristiana[7]. Per provarne la legittimità, occorre solo
richiamare la parola di Renan in viaggio a Roma, davanti a questo stesso gruppo
statuario: «Si c'est cela l'extase mystique, je connais bien des femmes qui
l'ont éprouvée»[8]. Si potrebbe comunque ulteriormente citare il conte de
Brosses[9], il Marchese de Sade[10] o lo scrittore Veuillot. Collateralmente a
quest'interpretazione che considera l'esperienza di Teresa, e la scultura che
la ritrae, nei termini di quello che (per usare un'espressione di Georges
Bataille) potremmo chiamare «erotismo sacro», si deve tuttavia osservare che
l'approfondimento della biografia dell'artista napoletano ha recentemente messo
nella giusta luce la sua religiosità; una religiosità che in quel periodo della
sua vita (quando aveva circa cinquant'anni) si era rafforzata attraverso la
pratica degli esercizi spirituali di Ignazio di Loyola, eseguiti sotto la guida
dei padri gesuiti che egli frequentava. Verosimilmente la lettura della vita di
santa Teresa non dovette essere un fatto occasionale, limitato a singoli passi,
segnalati magari dal committente. Al contrario, alcuni studiosi hanno letto
nell'Estasi di santa Teresa anche l'eco del racconto di altre esperienze
mistiche, come quella della santa genovese Caterina Fieschi Adorno. La
straordinaria qualità estetica e l'intensa drammaticità del gruppo marmoreo è
dunque da collegare alla personale ricerca spirituale di Bernini, al suo
impegno a scoprire per sé stesso, per poi mostrare a tutta la comunità dei
fedeli il senso di quell'amore espresso oltre ogni misura verso il Redentore,
che trova esempio nella vita dei santi. L'influenza dell'opera di Bernini
fu enorme non solo sui contemporanei, ma anche su molti artisti dei secoli
successivi. Il famoso compositore Pietro Mascagni, ad esempio, nel 1923 compose
una visione lirica per orchestra dal titolo Contemplando la santa Teresa del
Bernini, un brano della breve durata di appena quattro minuti. Marder, Bernini
and the art of architecture, New York; Marder riferisce a Irving Lavin, Bernini
and the Unity of the Visual Arts, New York; e a William Barcham, Some New Documents on
Federico Cornaro's Chapels in Rome, in: Burlinton Magazine, Cricco, Francesco
Di Teodoro, Il Cricco Di Teodoro, Itinerario nell’arte, Dal Barocco al
Postimpressionismo, Versione gialla, Bologna, Zanichelli; Cocchi, Cappella
Cornaro ed estasi di Santa Teresa, su geometriefluide.com. URL consultato il 30
novembre 2016. ^ Oreste Ferrari, Bernini, in Art dossier, Giunti; Gombrich, La
storia dell'arte, Milano, Leonardo Arte; Lollobrigida, A. Mosca, Biografia, in
Lanfranco a Roma, Milano, Electa; Bonaventura, La psicoanalisi, Arnoldo
Mondadori Editore, Milano 1938 ^ Traduzione libera: «Se questa è
un'estasi mistica, conosco molte donne che l'hanno vissuta» ^ Cfr. de
Brosses: «Se questo è amore divino, io lo conosco bene!» ^ Cfr.
Marchese de Sade: «Si stenta a credere che si tratti di una santa»
^ Cfr. Veuillot: «[Bisogna] espellere l'opera dal tempio... venderla... o
farne calcina!» ^ Jean-Louis Bruguès, Dizionario di morale cattolica,
Edizioni Studio Domenicano; Bataille: «E la sensibilità religiosa che
unisce strettamente desiderio e paura, piacere intenso e angoscia» ^
Bernini - Estasi di Santa Teresa, su scultura-italiana.com, La Scultura
Italiana; Don Michael Randel, The Harvard Biographical Dictionary of Music,
Harvard; Bernini Santa Teresa d'Avila Estasi di santa Teresa d'Avila L'Estasi
di Santa Teresa d'Avila di Gian Lorenzo Bernini raccontata da Caterina
Napoleone, su raiplayradio.it. Portale Architettura Portale
Cattolicesimo Portale Scultura Ultima modifica 6 mesi fa di eBot
Chiesa di Santa Maria della Vittoria (Roma) edificio religioso di Roma. Transverberazione
Estasi. Opera. Bernini. Le e&Usi dell’amore di patria. La niftscliera di Mazzini. Patria,
e religione^ eroi della patria e santi. Meglio il i'Jtammiisme che
rignonui^a dell'amor di iwitria, Diverse funoe dell'escisi dell"
amor di patria, — 11 ritorno in Italia dell' autore reduce dair TnfUa. Estasi
BoUtarie dei ^andi amatori della patria. Gli eroi della storia e gli eroi
aiiouijiii, Estasi epidemiche. Incendii delle foreste e iiiceudii
del euore namonale d'uu populu, — Eafliroiiti e ecmsiderazìoiii. Nel
mio Mu^eo d'a^ntropologiu di Firenze, in uuo degli armadii consacrati
alle grandi ìndiviilnalitì\ della apecie umana, vi ha la teista di un
uomo^ che ferraa V attenzione del piii frettoloso e .superficiale^
osservatore. Quando devo far da cicerone di mala voja^lia a qualche
importuno, lo aspetto a quell'ar- madìo, per consolarmi della lunga noia
di ripe- tere davanti alle stosjie vetrine le sten^^e parole. K VX
il visitatore sì ferma e dice; quella te«ta t) fonte qudìa di un
mniof Siete un buon osservatore, quella testa è di un santo e
fu formata sul cadavere. E che santo è quello? Si
chiama Giuseppe MazsEiui. Si potrebbe scrivere un volume su
quelFincon- scia rivelazione dei più voI*(ari osservatori , che
dinanzi alla raaafìhora di Mas^^^ini, domandano so quello sìa un santo. La
fìsonomia a#icetìca è nna delle jiiù CJiratte- riaticlie , ma anche ana
delle piìi iiidefiuiV>ìli, E il Miizriui Taveva, o morto pareva
ad<Urìttiira "n santo j?iù jflorifìcato ool piiradiso
cristiano. In quella domanda, che prorompe spontanea dal
labbro dei visitatori del mio Museo, vi è tutta la biografia di un uomo,
che amò la patria con fer- vore mistico e fece della sna polìtica una
reli- gione. E^fli stesso del resto si era asse|?Dato il suo po.sto
nella storia del pensiero italiano, scri- vendo sulla sua bandiera , Dio
e popolo^ due par role una pih miiitica deiraltra e che messe
vicino non sono che nn f^rido ilei onore lantùato neirin- finita»
poetico deindealita politica. L'amor di patria è uno degli aftotti più
alti, ma più indistinti e la cui analisi psicologica esi^e-
rel>be nn volume. È sentimento di lasso , perchè molti nomini d'
alta e di bas.^ gerarchia non lo sentono e perchè si dirige, più che ad
un lembo di terra , ad un mito corai)osto di materia e di idealiti\
e che muta forma e muta confini a s^ condadeì tempi e di conto altre
influenze esteriori* l sentimenti ili lusso, non hanno che
raramente la intensa energia degli affetti ut^oessariij ma per la
loro indeterminateaza o h\ sconfinata po.-^Mibi- lltà dei loro movimenti
possono imi facilmente portarci all'estasi. Por V uomo
selvaggio , sia poi tale perchè non veste il proprio corpo, o perchè uou
vet^ite il pro- prio pensiero; la patria è poco più che il nido per
r uccello o la tana per le fiero. È la casa iu cui è nato, è V albero
sotto cui ha dormito , è il fiume iu cui sì è tuffato, il bosco dove ha
cac- ciato , è la terra dove tutti gh uouiini ras.'^omi- ^liano a
Ini j parlano come lui , come lui odiano l'altra geuto che sta al di là
dal monte o «lai mare, L^t patria, circondata o no dal luare^ è
sempre un'isola; e chi si isola divien parcnttì di tutti co- loro
che stanno nella stessa carcere. La patria non h che una famiglia più
grande di quella che sì chiude sotto il tetto domestico, non è che
una casa più vasta di quella che alberga una stoasHi
famiglia. 2Jon amare la patria ò una vilti\ del cuore ^ è un
cretinismo del sentimento j quando non sia la previsione di tempi lontani
e migliori , nei quali la patria dell- uomo sarà tutto il nostro
pianeta, e stranieri soltanto si chiameranno gli aiutanti tlegli
altri mondi coi quali di certo un giorno parleremo, e forse per farci la
guerra. JJ amor di patria- è figliale e mistico in nna Tolta sola;
è tenero e ascetico, l^^igliale perchè la patria è la madre universale di
tutti quelli che parlano la stessa lingua, pensano lo stesso Dio e
Bparf^ono insieme lo stesso sangue. Mistico , perchè la patria non si può
baoiarej né abbracciarej e i suoi confini son segnati sopra una carta,
che non è negli atlanti geografici, ma nel cuore amano. La
patria è uno «lei circoli del paradiso dan- tesoOj dove da un piccolo
cerchio irradiano aonc piti larghe, come cerchio d'acqua smossa dal
ca- dere di nna pietra. Dal villagjrio adorato dove ci hanno
battezzato e dove speriamo di esser sepolti^ alla provincia, al regno,
all'impero, alle colonitv nostre lontane, la patria si allarga, si
allarga sem- pre, portando seco le tenere oscillaaioni del no- stro
cuore, dei nostri afifetti, della gloria nazionale* Quel palmo di
stoffa che si chiama la nostra bandiera j che un colpo di sole, uno
scroscio di pioggia pnò impallidire, quella stoffa che costa poche
lire e che una vampa di fiamma può ri- durre in un pizzico di cenere^ è
il simbolo di tutti iJamqr di patria 93 quelli affetti che .si
condensano sotto nno stesso nome, e là dove sì pianta quella bandiera ivi
è la patria^ ivi i ricordi comuni e le tiomuni svimture e le glorie
eomuDi oliiamati a raccolta da im voce sola^ che le incarua e le
personi&ca. Chi analizza un sentimento t^oUa segreta spe- ranza
o colla malignità palese di distruggo rio, compie opera vana. Se lo fa
per Bè non diatnijE^ge che ciò che non è mai esistito ; se lo fa per
altri, predica nel dea erto ; dacché nessaun ragionamento ha mai
fatto diminuire d' un palpito un grande amore. La doìina che
tu ami è una die creatura, fa amata rfrt ceiito uomini ptlmn che tu In
aìì^rnssi,,., U ohe importa f lo Vmno, Il Dio che tu
adori non è mai cswUto. Moto mo- siruoso in cui V antropofagia deW uomo
quaternario ti trova insieme alla industria delle simonie^ alle
pag- gio Uologiche,., Mmpio^ tu non sai qneìh che dwL 11 mio Dio
esista ed io VaàoTù. Lo 8tes30 sarebbe tcntR^r di strappar
con vani ragiimumenti a un uomo l'amor di patria^ quando ej^Iì lo
senti.^ palpitare nel più caldo e nel pia profondo delle vi scerò ,
quando e^li ne ha fatto una religione, a cui è pronto a darò tutto
quanta ha, tutto il sanane delle sue vene* L'amor di figlio, r ani
or dì madre, l'amore per la donna amata fiirono In o^cni tempo «jloriosi
olocausti di anime elette futti 8ul l'alta re della patria. E poi andate
a dire a quei martiri che la patria è il mondo eh' easa non ha
altri contini che lo spazio interijlanetarel Finche lo nazioni esiatono ,
fìnc^hè le lingue umano wi contano a luigUaiaj fìnehè metà del ge-
nere umano non può intender Taltra mete, finché ffBt nonio e uomo vi sono
maggiori differenze psichiche che fì*a un oane e nn lupo; l'amor di
pntria non hi discute^ ma sì 8entt% e nn iiopolo è tanto pili grande,
quanto è pia vivo e calilo e universale in lui questo sentimento.
Benedetto conto volte il più folle ehmwmismej maledetto il cinismo
dì chi domanda ridendo: 1} che cosa è hi patHa? La patria è
la terra ^ in cui in ogni 8olco vi è l'amor di patria 05 Il uà
gocdola dì f^tangne o ili sudore dei padri do- stri in ogni pugno d'arena
vi è della ceneri^ dei nostri avi; la patria è la terra in cai
dorim» in nostra madre e dormiranno i nostri figlinoli; è la storia
di tutto il passato, la storia di tanti secoli ili glorie e di sventare
vissuti da coloro che ci hanno data la vita; la patria è la madre di
tutti quelli clie parlano e sentono come noi ; è quo 11 a t-erra^
il cui nome solo udit(j pronunziare in terra lontana ci fa battere il
cuore, ci fa baciare un giornale. È quella parola, che solleva onde di
po- poli a un gritlo rli guerra, cUc fa escire da ogni capanna nn
uomo armato e ad ogni finestra fa affaciìiarc una testa di donna
ijiangente- La pit- tria è una parola magica che può convertire
ogni uomo in un soldato e ogni donna in nna martire, che fa*
piangere i fanciulli disperati di non esser ancor uomini e fa pian^^ere i
vecchi perchè non posftom» più imbraudire nn fucile. La patria è
tiuella santa parola, che lUstacca Toperaio dall'of- iìcintìi , il
contatlino dal cami>f> , V uomo di lettere dal libro, il banchiere
dallo scrigno; che strappa daltc braccia della fanciulla il giovane
innamo- rato; e tutti riunisce in nn^mìca schiera e sotto uno
stesso vessillo, in cui tutti guardano Assi con occliio d'eroe e amore
<\i martire. Quar altro altare ha tanti adoratori? QuNUaltra
religiane ha tante idolatrie? QuaVè Tara su cui si portino
altrettante vittime ^ che corrono chia- mate o non ohi amate, ma
sorridii^nti e calde d^eu- tnsia^mo? QuaValtra parola ha tanta
onnipotenza, q 11 al' al tra estasi può superare co deista di
sentirsi in uD^ora sola (livennti trenta milioni di fratelli, che
amano lo stesso amore, che sentono lo stesso otlio, che so cenano lo
stesso sogno di vendetta o di sdegno? Le estasi più
oomuni dell'amor di patria sono qaelle che si provano nel rivedere la
terra nativa dopo mesi e anni di lontananza e le altre che si
godono nelle grandi feste, che salutano un grande trionfo nazionale:
solitarie lo prime j associate le seconde ; grandi entrambe e capaci di
voluttà senza nome. La. nostalgia è nei trattati di patologia
una mar latti a che si classifica fra le alien azioni mentali.
Beati coloro che possono esser pazai in questo modo; infelici coloro che
per grettezza di cuore o per esser nati venti o trenta secoli prima del
loro tempo non sono capaci dei rapimenti del rivederti ]fh
patrìft dopo lunghe assenze. Io che ho vissnto molti anni neir altro
emisfero e che ho attraver- sato l'Oceano per otto volte ho provato
quest* e- stasi in tutti ì suoi gradi e in tutte le sue forme. Mai
l'ho goduta eosì intensa e così profonda come dopo il mio ultimo viagfi^o
nelP India. L'amor della patria, ai rovescio degli altri
amori, cresce cogli aonì^ e quando io 'ttopo alcuni mesi di assenza
al mio ritorno dall' Tiidia soppi che al- l^indomani avrei riveduto
l'Italia, sentii eho il cuore batteva forte forte, come dinanzi al
sorriso della donna amata. Io non vedeva ancora la mia terra,
ma la sen- tivo. Sentivo che essa mi aspettava come ci aspetta la
nostra donna in un ritrovo d' amore limi^iimente desiderato» La mia
patria, Tltalia mia non poteva esser lontana.. L'onda più azzurra,
il cielo più sereno me lo dicevano ad alta voce ; me lo diceva il profumo
dei fiori d'arancio che mi invia- Tano gli orti benedetti della Calabria
e della Si- cilia, Ed io guardava fisso davanti a me neir o-
rizzonte lontano j che la mia nave andava conqui- Esta^i umam,
stando ad ogni moto deir elice. La nebbia sfumava, Topaie
diventttvii oltremare, e fra le nebliie lon- tane vedeva un mondo, nuovo
e antico per me, la patria dei miei avi. La nebbia diveniva terrai
e cielo; terra e cielo T Italia. — Fra poche ore avrei baciato quella
terra e sul mio capo si sarebbe disteso l'azzurro ohe mi aveva veduto
nascere. Non sarei più morto in terra straniera e i miei cari
avrebbero potuto piangere inginocchiati so- pra la mia terra, sopra la
terra che aveva gene- rato me e i miei cari. E la terra
nebbiosa e oscura si disegnava in coste e in golfi , in monti e in piani
; e in qaei monti e fra quei seni apparivano poco a pooo oasuccie
bianche incorniciate di pampini ver<li e riposavano fra boschi di
agrumi neri come il bronzo. In quelle case dormivano uomini che
par- lavano la mia lingua e quella terra mi mandava come un saluto
del cuore i profumi del mio orto, i profumi della mia giovinezza e tlella
mia poeaia. Là io era amato, là il mio nome non era parob ignota:
qualcuno mi aspettava. Vi erano braccia aperte impazienti di stringermi
al onoro, vi erano labbra di donna e di fanciulla pronte, impazienti
di baciar le mie labbra. Profumi di fiori e baci ohe mi chiamavano
ad alta voce, con sospiri d' amore, Come aveva potuto io per così lunghi
mesi star lontano (la quegli alberi benedetti, da qneWe brae-
cift innanioTìtte , da quella terra che ora. la mia , la terra
della mia culla e della mia iom^ f Nod avevo io commosso una colpa j che
avrei rerlenta fra poche ore ? Come avevo io potuto sopportare
tanto dolore ? B la nave camminnva ; e la nave correva e a
destra il continente d'ItalÌM, a sinistra la pììi ;^ande delle isole d'
Italia si avvicinavano a me^ lontaise e vicine, come due braccia aperte
all'am- plesso I — To mi smentivo abbracciato da quelle braccia
gigantesche , mi sentivo inebbriato da quei profumi ; udiva il mormorio
delle voci del- l'uomo, che dalla riva giungevano fino a me; voci
d'uomo e voci d- Italiani. Perfino Je vele delle piccole barche che sfì
lavano lungo la costa mi pa- revano pili bianche, più gaie , più snelle
d' ogni altra vela di mare. S^on eran forse vele italiane ì E
r Etna gigante fumava dair alto e il -calca- gno d' Italia poggiava anir
onda azzurra quasi volesse spiccare il salto alla conquista del
mondo. Avrei voluto gettarmi in quel] ^ onda per sen- tirmi
bagnato dal mare d* Italia, avrei volato lan- ci armi per giungere più
presto a toccare- quella terra santa, quella terra tlivina, madre di tre
civiltà e aon ancora stanca ; quella terra d' eroi e di fljartiri,
in cui tante genti avevano bevuto le prime fonti tìol pensiero , avevano
imi>aruto i primi canti (Iella poesia. Quanto or^oglio^ quanto
amore e quanta irapazienza di ridare a qnella terra il bacio di madre ehc
mi «fetta va lontano; dai suoi orti fioriti, dalle 6U© città illuminate
dalla gloria, dalle vette dei suoi monti pittoreschi, dai campi
così fecondi dì vita. Se qnella non era un' estasi e che cosa è
dunque l'estasi 1 Se quello non era un rapimento dei seasi, del
cuore, dell' amore , del passato che si strìn- geva col presente; se
quella non era una santa ebbrezza; e che cos'è dunque il rapimento; che
cos'è r ebbrezza! — [ miei occhi eran gonfi di laf^rimCj ma sorride vauo
; il mio labbro era muto, ma sorrideva tremando, come davanti a un
bacio ohe dovesse uecìdermi come uomo per trasfor- marmi in un
Dio. Estasi solitarie d' amor di patria devono pro-
vare quei pochij eletti che nascono per dar libertà o grandezza alla
patria e sognano prima e me>li- tauo poi l'opera grande che si
prefiggono a scopo della loro vita. Gran parte ili questi amori solitarii
e profondi si eouauma nell^ opera del pensiero, nelle lun^^^he
lotte di prepAvazìon^ ; ma tra le ansie di olii aspetta e sperando teme
ad of^i istante di per- dere il frutto di tanti sacrifici , di tanti
sudori , e forse di tanti martirii ; vi devono esr^ere istanti in
cui alla mente riscaldata da tanto entusiasmo appare V alba della
vittoria in nn orizzonte lon- t-ano e la speranza del premio fa batter
forte il cuore. Quanti^ visioni sublimi devono esser ap* parse al
Mazzini, al Cavour, al Garibaldi, quando neir esilio o nelgabinetto di
ministro o sul campo di battaglia sognavano di far libera , grande
ed una la nostra patria e sentiviìuo «li poter essere artefici
primi in quest' opera grande ; sogno di tanti secolij miraggio di tante
generazioni. Le imprese degli eroi riuiangono scritte in ta-
vole di bronzo o in monumenti di marmo, scritte co[ ferro e col fuoco,
colle torture dell* ergastolo o le lunghe angoseie notturne del pensiero
che non dorme j ma ciò che non rimane scritto è Pe- stasi che
prepara quelle imprese e che le prevede in anticipazione.
Ogni frutto si feiionda neir amplesso dei petali profumati e
fulgenti di bellezza e ogni figlio di creatura viva nasce dall' anelito
di un grande amore. Cosi le opere magnanime che salvano un popolo o
che Io glorificano, clie rompono le catene dell' oppressione o allargano
le frontiere della patria non 80D0 mai uragani di violenti e o subitanee
divinazioni del geuio ; ma si preparano lenta- mente e lentamente maturano
nei sautiiiirì del cuore e del pensiero, là dove i ^ermi celati
pre- parano r albero fntnro ohe darà ombra a un' in- tiera nazione.
La poetala sprezzata solo dal volgo dei faccendieri, perchè non sono
capaci d' inten- derla, è la madre d*ogni opera grande e non e- è
grande soldato o grande uomo di Htato ehe non fosse anche e soprattutto
poeta. Poeta nel so- gnare imprese che ai più apparivano come pazae
utopie ; poeta uel fan taa ti e are e neir osare ; poeta uel deliziarsi
nelle sante visioni dell'avvenire; poeta nelle estasi <imorose che
mostra^io al eredente premio lontano di grandi vittorie. Xon invano i
Greci hanno detto che il poeta è un creatore. Né le sante estasi
dell' amor di patria anno con- cesse soltanto agli eroi , ai semidei
della storia. Tutti coloro che hanno fortemente amato la pa- tria,
tutti quelli che hanno dato ad essa il pensiero o il sangne , che hanno
cospirato jirìiua e studiato poi per darle grandezza e pot**iiaa,
pouno nella loro vita aver provato rapioientì delizioM. OgDuno pia
che sé stesso non può dare all' altare d' na grande affetto e nelle
rivoluzioni e nelle gfaerrej come nelle grandi lotte poli ti <; he gli
amanti della patria possono contarsi a legioni e la storia li
dimenticfi, appunto perchè son troppi. T^a storia ha fretta e personifica
iu nn tipo i martiri minori. Pellico è il martire delle cospirazioni,
Mazzini è V apostolo della religione della x^atria » Garibaldi 1'
eroe, la Cairoli è la martire delle niadri^ Cavour fe il pensiero in azione,
e così via> Per ogni forma del sagrifìzio y per ogni opera della mente
, per Ogni travaglio dei cuori, la storia segna un indi- viduo che
divien statua, ìdolo e tipo, e dimentica le molte figure anonime, che si
raggruppano in- torno a quei tipi e fanno loro lieta ghii'landa.
Né questi negletti della storia lamentano l'in- ^ustìzia : al
monumento, alle corone, all' arco di trionfo essi non hanno pensato mai.
Essi hanno amato la patria e per essa hanno pianto o sono morti :
la loro missione è compiuta e sono felici come lo furono PeUioo, Garibaldi
e Cavour, An- ch' essi hanno provato le sante estasi della spe-
ranza e della vittoria^ e la patria li ha l)enedetti e glorificati nel
silenzio delle loro case , nel nido delle loro famiglia o dei loro a rio
ri. La patria è grande percliè ebbe dì tali figli e attraverso le
vene e i nervi clic congiunto uo le generazioni scorre V omla deir
entusiasmo fe palpita la voluttà del sacrifizio. Che cosa sarebbe il
Cristo aonzii gli ApostoU; che cosa avrebbe fatto GarlbaLtU »euza
la coorte dei Mille, e Cavoar senza i pre- cursori del 31 ?
No (lo voglio ripetere per la centesima volta), la iiatnra non è
così irtginsta come appare alle esigenze dei più. Le gioie maggiori della
vita non si misurano col metro del ^enio o snlla bilancia della
ricchezza. Tutti, innanzi morire, possono es- sere baciati dalle labbra
innamorate d'una donna; tutti posisono render quel Via ciò alle labbra
d'una Agli a. Nessuno è così povero da non poter fare aagrifìzto dì
se alla patria , nessuno così infelice da non provare le estasi dell-
affetto e della poe- sia. Pel sole che dair alto illumina tutte le
crea- ture della terra, nessuno è grande, nessuno picco- lissimo e
i suoi rag^ì entrano beatificando e consolando nelle ftbre d' ogni cuore,
nella porta iV ogni tugurio. I piccoli numeri di ventano grossi se
som muti iDsieme. Così i piccoU affetti ponno divenire nra* gani se
i cuori battono insieme. CIic! co.sa è una gocciola? Eppure i* oceano è
fatto tii gocciole, Kessim affetto forse quanto Tamor di jiatria può
per la isna natura moltiplicarsi con grossi numeri e allora V entusiasmo
degli individui diviene onda che alla^^a le contrade e rapisce nella sua
cor- rente case e villaggi, città e popoli intieri. È que- sto un
punto ancora oscuro della psicologia umana e che pare dovrebbe formare
una delle baai te- tragone di ciò che suol chiamarsi la fllosofla
della atoria.* Come 3i sommano due affetti analoghi o eguali
? Di certo non colla regola aritmetica che 1 + 1^2, E oome si
moltiplica un entusiasmo , quando si ripete cento, mille, centomila volte
nello stesso tempo in cento, in mille, in centoraila cuori? An- che
qui la regola matematica non serve a spie- gare r allargarsi e il
diffondersi del fenomeno ri- percosso in tante coscienze umane. Vi sono
epidemie per il sentimento come pei morbi popolari» e
il difibiifieriii degli entusiasmi presenta gli sttsa misteri^ gli
stessi salti bizzarri^ gli stesai prodigi nome V allargarsi ^elle grandi
epidemie. L' incendio dei cuori per influsso d' nna gloria
nazioDale è uno degli spettacoli più grandiosi e commoventi del mondo
utnauo, ed io compiangd tnttì coloro , cbe nel corso della loro vita
non hanno 'potuto assistere ad una tli queste grandi feste, nelle
quali tutto un popolo canta Tinno della gioia e lo accompaguauo gli
squilli elettri^- zauti della vittoria e la fanfara del tumulto po-
polare e l'ebbrezza di tanti cuorij che sentono tiel tempo s^tesso la
stessa gioia , clie ardono deHii stessa febbre, dello stesso
delirio. Kon invano io ho rassomigliato ad un inceufiio
questi rapimenti nazionali: nessuna immagine po- trebbe rii|»presentare
più fedelmente lo svolgerai di questo fenomeno umano. Ma non ha ad
esser? incendio di pagliaio ^ che le società di assieara- zioni
registrano con dolore, o fi ara me di cucina, che pompieri
benemeriti spengono in un* ora colle loro pompe. Ci vuole nno di quelli
incendi delle vergini foreste e della pampa ci eli* America meri-
dionale^ che ho le tante volte veduto e ammirato nei nùei viaggi. La
fìatniua è venutu claU* alto o dal Im^^o , da na ftilinlue o dal focolaio
d' un viaggiatore : non importa. É fiamma che non riguarda le
socktà d^ mmìirazlomf né chiama a i?*è i pompieri. È fuoco Glie
s'allarga a destra e a sinistra^ che sale ìii alto lim^o le scale delle
liane sugli alberi alti come torri e che rade le erbe del basso come
rasoio ardente. Erbe e cespuglìj alberi e arbusti, piante di mille
anni e florclUai sboceiati ieri, tutto è in- vaso dalla stessa fiamma,
che tutto divora e eon- sama/ Nessuno resiste a quel fuoco, non U
cacto gonfio di succhi, non le foglie verdi, non i tron- chi
secolari; nessuna pianta, nessuna erba, nessun insetto che viva su quelle
erbe, nessun rettile che strisci , nesdun piccolo rosicante o armadillo
che s'accovacoi nelle tane, ne^ssuna belva del bosco, nessun
mammifero della pianarti. Dinanzi a riuel faoco tutti sono eguali e tutte
lo creature hanno ad ardere fiammeggiando , scoppiettando e deto-
nando* Vola la fiamma in colonne , striscia come onda, divampa come
nembo, e non appena il fumo porta nel fresco del verde il segno
preoarsore della distruzìane^ il famo divien calore e il calore
diviea ìucendio, E riiicendio cammina; prima incerto, poi
siouro; prima trotta, poi galoppa, vola; esaltandosi nel delirio d'
uo' opera gigante di distrazione e di li- vellazione* I piccioli
innalzano il loro fuoco nelle regioni degli alti; e gli alti precipitano
turbinando e rovesciando i tiazoni incandesoenti nel piano delle
creature minori. E volano le sointiUe e ser- peggiano le fiamme, uè
alcuno al mondo saprebbe dire chi dia maggior alimento a quelle
vampe. mag;2fior calore in quella voragine j in quella fa- Cina
gigantesca. Screpolano, adoppiano, gemono i rami succoienti e rovinano i
colossi della foresta^ portando lontano lontano T inno di una
grande rivoluzione^ fluchè fra cielo e terra non si distin* guono
più né erbe ne arbusti^ né alberi, né animali; ma una cosa sola si vede,
una cosa sola si sente, il fuoco trionfatore d'una fiamma invadente e
tiranna. È la festa del fuoco, è V orgia della distruzione; è la
morte di un mondo vecchio che prepara il terreno a un mondo
nuovo. Cosi sono le feste nazionali, non imposte da decreti di
prìncipi o da grida di ministri, ma sorte spontanee per Tirrompere di un
sentimento caldo, elle infiamma tutti 1 cuori, che riscalda tutte
le coscienze. E le anime fredde sono ravvolte dal- l' incendio
comune, e gli egoisti, volenti o nolenti, si riscaldano allo stesso fuoco
e i timidi non trovan Bcami>o alla fuga. On^ni creatura che abbia in
petto un e nere di uomo deve ardere p consu- marsi nella stessa fiamma.
Padri e figli e ignoti si abbracciano insieme e in una volta sola, e
il riso e il pianto che si confondono in un turbine solo fanno
ridda e alzano al cielo un grido solo ; che è r entusiasmo ; s' inebbri
ano dello stesso licore che è r affetto di patria. Anche il marmo si
riscalda, se ravvolto dalle fiamme, e anche il ghiac- cio si discioglie e
si consuma fra le vampe d'un incendio. Saltano le più robuste serrature
chiuse tlalla mano gelosa tleir avarizia , sì spezzano le catene
più robuste saldate dair egoismo e dalla paura. Ogni "cuore umano ha
ad ardere . dello stesso fuoco; e il ferro robusto e il piombo vileJianno
a fondere per una volta almeno in uuo ft tesso croglaolo , formando
una lega che bMì le le^^i della cliìmica e le analisi della scienza.
E 1111 popolo ebbro dì gioia', che non conta pia nelle sue flohiere
né poveri né ricchi, né gio vani ne vecchi; raa canta con una voce sola,
somma dì tutti i vafiitì, di tntte le poesie , dì tutti gli urli
umani : canta V inno della redenzione o della vittoria. Chi ha avuto
la fortuna di essere già uomo nel 48 e nel 5^ rammenta questi incendi
fìei onori italiani e per le membra forse già intirizzite tW freddo
dolla vec<3liiaia risente ancora il caldo di quel fuoco. E rammenta
ancora alcuni momenti di estasi sante, di ineffabili rapimenti^ nei
quali ogni altro sentimento taceva o si eclissava davanti al
divampare subitaneo e irresistibile di un unico sentimento, V amor di
patria. l'amoe di patria 111ir Coa\ come <lair incendio delle
foreste ver«:iiii nello strato dì cenere clie rimane si prepara una
terra feconda per nuove creature a venire ; così tietlp grandi estasi e
nelle sante eìylirezze di mi popolo trionfante, si prepara un nuovo
terreno in cui sarà scrìtta una nuova f^toria, È per questa via che
lo guerre diventano ri generatrici di nn popolo stanco; e quando per due
o tre i^enerazioni non di rampa uno di questi incendi
rigeneratori, i fanghi, le mutfe e i bacterii invadono ogni tronco
d' albero e ogni seme di pianta, e dalla lenta putrefazione dei cadaveri, s' innalza un miasma omicida, elle
soffoca i bambini nella culla, .sommerge i giovani nella palude deirozìo
e della noia, e uccide i non nati nel ventre delle madri. In tutte le lìngue
dei popoli civili voi trovate scritto che vi è un amore platonico, e se si è
sentito da tutti il bisogno del vocabolo, vorrebbe dire che la cosa esiste, o
nella natura o nel pensiero degli uomini. Noi non ci fermiamo abbastanza sopra
i rapporti delle parole colle cose, e ammettiamo si esso e volentieri
che tra i molti suoi capricci l'uomo
abbia anche codesto, di fabbricare parole
per cose che non esistono. Eppure ciò non è
vero o almeno non è vero che in parte. Se fabbrichiamo una parola
per un essere immaginario, è però vero
che questo essere fu immaginato da
noi e quindi esìste o è esistito nel
nostro cervello. Il guaio vero che si trova nello studio delle parole come
vestito delle cose è questo, che non
tutti gli uomini applicano lo stesso
vocabolo alla cosa stessa, soprattutto
quando si tratta dì fenomeni psicologici.
Di qui confasione, anarchia; torrenti
d'inchiostro e spreco infinito di fiato
per spiegarci, per intenderci e pur troppo,
ahimè, per creare nuove contese e nuove logomachie. Sappiamo tutti che cosa sia
un coltello, una mano, un occhio e a queste cose tutti applicano la stessa parola.
Andiamo pure quasi sempre d'accordo nel battezzare il piacere, il dolore,
l'odio, la collera e molti altri fatti del mondo psichico, che hanno per tutte
le coscienze lo stesso significato e che trovano nel
dizionario la loro rispettiva veste. Ma
ben altro avviene, quando si tratta
di fenomeni fugaci e confasi o di momenti
impercettibili di un'emozione o di un
intreccio di molteplici elementi. Allora la parola
non è che un'approssimazione grossolana o uno
sbaglio completo, e noi significhiamo con
uno stesso vocabolo le cose più
diverse, facendo come colui che volesse per
forza far entrare il proprio corpo in un
vestito che non fu fatto per lui.
Questo accade, per esempio, per l' aiwìre piatomeo.
Tutti adoperano questa parola per ischerzo
o sul serio, per ludibrio o per
difesa, per ipocrisia o per convinzione, ma
le idee che si rivestono con questa
stessa parola son così diverse, come il sì
e il no, come il vizio e la
virtù, come l'ipocrisia e l'idealità.
Proviamoci a interrogare, facciamo un'inchiesta,
muoviamo un processo alla parola, chiamando al
tribunale come giurati gli uomini del
volgo e i filosofi; gli uomini di
buon senso e le donne oneste; chiamiamo
pure anche gli scettici e i credenti;
i materialisti e gli idealisti. Che
cosa è l'amore platonico? L'amore
platonico è un paradosso, è un'utopia;
non è mai esistita e non esisterà
mai. L'amore platonico è una ipocrisia
che copre ben altra merce. L'amore
platonico è un lasciapassare per salvare
il contrabbando. L'amore platonico è una
falsa chiave o un grimaldello per poter penetrare in
casa d'altri senz'esser veduti. L'amore platonico è un
travestimento dell' impotenza. L' amore platonico è
una maschera ad uso dei ladri e
dei malfattori. L'amore platonico è la
quadratura del circolo. L'amore platonico è la
centesima versione della favola della volpe,
che trovava acerba l' ava che non
poteva arrivare. L' amore platonico è l'
amicizia fra un nomo e nna donna. L'amore
platonico è amore vero e proprio, ma senza
la colpa. L' amore platonico è l’ amore con
tutte le reticenze imposte dalla religione, dalla
morale o dalla necessità. L'amore
platonico è il voglio e non posso.
L'amore platonico è l'amore senza il
desiderio. L'amore platonico è una fraternità
delle anime, senza il possesso dei
corpi. L'amore platonico è l' ammirazione senza
il desiderio. L'amore platonico è tutto
l'amore, meno il pos- sesso. L'amore
platonico è tutto l'amore spogliato del-
l'animalità. L'amore platonico è una
doppia menzogna a cui non crede nessuno
dei due mentitori. L'amore platonico è
il primo stadio dei grandi amori e
l'ultima fase dei piccoli amori. L'amore
platonico è un patto giurato da due
che spergiureranno domani. L'amore platonico
ò un giuramento di marinaro fatto durante
la procella. L'amore platonico è una
concessione fatta oggi da ano dei due
contendenti colla speranza o la sicnrezza
di aver Taltra parte domani o
posdomani. L'amore platonico può essere
una finta battaglia fra due che non
sanno battersi o hanno paura del
sangue. L'amore platonico è un vescovato
in partibus infidelium concesso a chi
non si può dare una curia. L'amore
platonico è la metafisica dell'amore.
L'amore platonico è la più sciocca parodia
della più bella, della più grande, della più ardente delle umane
passioni. L'amore platonico è un leone di
gesso, è una tigre di carta pesta, spauracchi da bambini o ninnoli
di fanciulli. L'amore platonico è la più alta espressione dell'amore ideale.
L'amore platonico è il trionfo dell'uomo
sulla bestia, è l'amore reso eterno
dall'idealità delle aspirazioni. L'amore
platonico è la speranza; l'amore vero è
la fede. Estasi umane, Vili Sono
trenta definizioni molto diverse tra di
loro, alcune anzi opposte alle altre,
ma rappresentano a un dipresso tutte
le possibili. Lasciando da parte quelle
che, definendo la cosa, la negano,
mettendo in disparte le altre che
sono ironie o malignità, possiam dire, che
tutte hanno una parte di vero, per
cui forse, mettendole insieme in un
buon mortaio di agata, che la nobiltà
della materia esige tanta nobiltà di
strumento, e porfirizzando il tutto con
pazienza di chimico e sensualità di
farmacista, potremmo forse sperare di avere
la quintessenza della definizione, la vera
e unica e infallibile definizione dell'amor
platonico. Io mi son provato in
buona fede a questa operazione
chimico-farmaceutica e confesso dì averne ottenuto
un polifarmaco arabico-bizantino che mi
richiamava alla mente i preparati più bizzarri del medio
evo. Ho buttato via dunque il mio
pasticcio, e facendo appello al senso comune, che
anche nei più astrusi problemi della
psicologia spesso li risolve meglio d'ogni
altro senso, ebbi questa risposta. L'amore
platonico è il aentimmto che unisce
un uomo e una donna, che pur
desiderandosi, rinunziano volontariamente all'intreccio
del corpi, maritando le anime. Fin dove
arrivi quest'amore, fino a quando possa
vivere, io non so. Ho scritto un
libro (Le Tre Oraaie) per dimostrare
la possibilità di quest'amore, ma una
gentile e dotta scrittrice inglese scrisse
argutamente neWAcademy che io avevo tagliato
il nodo gordiano, ma non l'aveva sciolto.
Consultai molti inglesi, intenditori profondi
delle ipocrisie dell'amore, chiedendo loro
che cosa fosse la flir- taUon, quali
i confini entro i quali si muovesse
questa intraducibilissima fra le intraducibili
parole e ne ebbi così svariate risposte,
le une metafisiche, le altre ciniche, da
scoraggiarmi e da fJEurmi desistere da ogni
ulteriore ricerca in pro- posito. Dunque?
Dunque io , aspettando da altri più
profondi conoscitori del cuore umano,
definizione più precìsa, più scientifica, conservo la
mia, bastandomi per ora di affermarvi
che io credo fermamente nell'esistenza dell'amore
platonico, che credo nella sua rarità,
nella sua altissima idealità, e che
lo riconosco per uno dei fiori più belli e
più fragranti che fioriscono nel cuore
umano. É capace di rapimenti ineffabili, di
estasi degne di vivere all'altezza dell'estasi
religiosa e dell'affetto materno. Non ammetto
amore platonico fra dae vecchi, fra
due brutti, fra due creature che non
possono desiderarsi. Si dice da tutti, ma falsamente,
che le anime non invecchiano, ma
invece le anime invecchiano come i corpi, e
le anime che si uniscono nel santo
vincolo dell'amore platonico, hanno ad essere
giovani e bèlle. Questo sentimento sublime
non è possibile che a rare creature
elette, che sanno compiere il mi-
racolo di spogliare le anime da ogni
veste corporea, che sanno spogliare la passione
da ogni desiderio della carne, e
contemplandosi si ammirano e si amano. Anche
le anime come i corpi hanno un
sesso, e nell'amor platonico stanno faccia
a faccia e guardandosi eternamente si
rimandano senza toccarsi, torrenti di luce e di
calore. Due astri che girano nella
stessa orbita, che non si toccanmai;
che sorgono insieme con una stessa alba,
che collo stesso tramonto svaniscono e
sfumano nella grande voragine dell'infinito.
Sempre in moto, ma sempre distanti
Vnn dal* l'altro, attratti allo stesso centro
e respinti dagli stessi poli; in relazione tra
di loro soltanto per fasci di luce e
oitde di calore. L'anima dell'aomo fatta di forza
e di azione, l'anima della donna è
fatta di grazia e di bontà; e
queste dne natnre umane che sommate
insieme formano l'uomo completo si
attraggono eternamente, ma non si fondono insieme,
arrestate dal dovere, che permette loro
di amarsi, ma proibisce loro di
toccarsi e di fondersi. La massima delle
attrazioni diventita immobilità, la massima
delle forze divenuta ammirazione, contemplazione,
estasi divina. Nessun attrito, nessuna resistenza, nessuna
trasformazione di energia; nessuna cenere perchè non
vi è fiamma; ma luce; nessuna
stanchezza, perchè non vi è lavoro; nessuna
morte perchè la vita è arrestata dal
miracolo sublime che faceva arrestare il sole
nel cielo nei tempi della Bibbia.
Nessun bisogno di mutamento, perchè solo
la stanchezza o la noia (che non è
altro che una forma di stanchezza)
può dar desiderio d' incostanza. L'amore
platonico deve essere puro da ogni
voluttà terrena; è questa la sua grandezza,
è questa l'acqua lustrale che lo
battezza e lo santifica. Quelle due
immense forze che si attraggono senza
toccarsi e senza confondersi, rimangono immobili
e fìsse; ma se una delle due vacilla,
dimi- nuisce d'un battito solo la propria
energia, la più debole è subito
attratta dall'altra e l'urto è irre-
sistibile. Schizza una scintilla o divampa
una fiamma ; ma l' amore platonico è
distrutto. Più volte i due astri
vengono così vicini l'uno all'altro che ne
oorrusoan lampi. Son due . creature
che nello spazio si son toccate appena
con un fremito di ali spasimanti, ma
l'ala deve fuggire con santo e rapido
pudore dal contatto dell'ala. Guai a
chi crede o sogna che due grandi
amori possano vivere della vita celeste delle
cose eterne, dopo una carézza o dopo
un bacio. Molti, anzi i più degli
amori platonici, muoiono in questa maniera,
perchè le due anime innamorate sognano
questo sogno, che si possa fermarsi a
metà strada sulla china di certi
pendii; ohe li' credono o sperano che
Torlo di certi precipizi possa essere
pietoso. Non un bacio, non una carezza,
non fosse che qaella delle ali. Anche
le ali sono materia e materia viva e calda.
Quando due labbra si son toc- cate,
ahimè, l'amor platonico è ferito e per lo
più a morte. Le anime sole possono
amarsi platonicamente e la materia è sempre
dotata di gravità; fosse pnre piuma
d'ala, vello di cotone o massa di
piombo. Il precipitare di essa sarà
lento o veloce secondo la diversa densità
della materia: i venti pietosi delle
reticenze, delle difese, delle foghe
faranno volare per l'aria Iqngamente il
filo di seta e il fiocco di cotone,
ma fatalmente, ma inesorabilmente avranno a
cadere. O tutto o nulla è in
amore un assioma di quasi matematica
pre- cisione, e le donne, sempre più
sapienti di noi in questa materia, lo
sanno e lo ripetono sempre all'orecchio
degli impazienti. Esse sono le vestali del-
l'amore platonico, le custodi del pudore, e
quando esse vengon meno per le prime
ai giuramenti dell'amore platonico, non v'ha
quasi uomo su questa terra, che le
aiuti a salire. La caduta è fatale,
è irresistibile! Al contrario di quanto si
crede volgarmente, non sono i piccoli
aniQri, ma i f^frandi che soli sono
capaci di salire alle altezze dell’estasi
platonica, di subire quella sublime transustanziazione,
che arresta il desiderio alla soglia
del tempio, che trasforma la più
ardente delle passioni in una luce di
luna, che illumina, ma non riscalda.
I piccoli amori son pruriti animaleschi,
che si soddisfano grattandoci o
applicandovi dei pannolini bagnati nell’acqua
fredda. Essi non possono salire le
alte cime, perchè son deboli, molto
meno poi possono attraversare lo spazio,
perchè sono senz'ali. Molte false virtù non
sono che piccoli amori domati coi
fomenti freddi e quando li vedo
innalzati ai supremi onori del sagrificio e dell'eroismo mi vien
voglia di ridere. I grandi amori invece
non si domano che colla morte o
con un miracolo. Questo miracolo è Vamoi
e platonico. II credente, pieno di
fede, di speranza e soprattutto d'amore è
venuto al tempio, per pregare ed
amare. È venuto da lontano: almeno
per venti, forse per trent'anni ha
viaggiato e sudato per monti e per
valli, attratto alla Mecca dall'amore. Nel
lungo pellegrinaggio ha sudato e ha
pianto, ha patito la fame e la
sete, ma è giunto vivo alle porte
del tempio. I minareti dorati scintillano al
sole e dalle porte aperte escono profumi
di mirra e di rose. I grandi amori
sono religione o idolatria, e il
pellegrino s' inginocchia e prega prima di
essere ammesso all'adorazione del Dio. Ed
egli lo vede, ed egli lo sente
vicino. Nella luce rosea del tempio egli ha veduto
il gran Dio, che dispensa la vita
e la morte: ai suoi occhi
lampeggianti d'impazienza e di, ardore hanno
risposto altri due occhi, lampeggianti e ardenti
come i suoi. Egli ama e sarà amato;
ancora una preghiera e san consacrato li in
fondo al santuario del Sancta sanctorum,
dove il fumo degli incensi gli nasconde
la voluttuosa visione, dove un coro
di angeli gli cela i sospiri, di
chi come lui aspetta e desidera. Un
istante ancora, ancora una preghiera, e
tu avrai il premio del lungo
pellegrinaggio, dei lunghi dolori patiti.
Sei nato e hai vissuto venti, trent'anni
per cogliere quel fiore, che anch'esso non
sbocciò che dopo altri venti o trent'
anni vissuti da un' altra creatura
che nacque e visse per te. Oh
perchè quelli istanti non diventan secoli
e quei secoli Vili non
ardono in un istante sulUara del
desiderio e dell' amore? Una voce vi
ha chiamato, vi chiama. Voi siete
esauditi; voi siete ammessi nel tempio. La
creatura sognata per tanti anni, intraveduta
fra le nuvole della fantasia e le
iridi del desiderio, è là, vivente,
calda, giovane, davanti a voi e vi
sorride. Anch' essa aveva sognato,
desiderato, aspettato: se 1' asceta ha
bisogno di un Dio, anche Dio ha bisogno
dell'adoratore, e voi siete la creatura
sognata e aspettata da lei. Ogni
vostro sguardo diventa una carezza, ogni
vostra carezza un desiderio di carezze nuove,
e i baci aleggiano per l'aria facendo
intorno a voi un nembo di pe-
tali di rose. I desiderii son
divenuti benedizioni: due primavere, due
vite, due amori aspettano di fondersi
fra un istante in un solo paradiso
di fiori, di profumi e di voluttà.
Venga pure la morte; avrete vissuto
abbastanza, il mare vi sommerga pure, il
fuoco vi incenerisca, la terra vi
ingoi; al di là dell'infinito non v'
ha altro pensabile ; al di là
del tutto, che cosa desiderare ancora?
Amate e morite! Ma ecco che fra
voi e lei un angelo o un
demonio, il fato o il dovere ha messo
una spada di fuoco. Voi vi amate
e vi amerete fino all' ultimo
respiro, ma voi non vi toccherete. Non
una carezza, non un bacio; neppure i
flati confonderanno i tepori delle anime. Io
afiretto colla penna impaziente ciò che
in natura avviene lentamente, più spesso
per una serie non interrotta di
uragani. Senza lotta, senza agonia, senza
l'orto di Getsemani non avviene quella
trasformazione che muta due desiderii in
una rassegnazione, due passioni in
un'estasi, due soli nell'astro della notte.
Nulla si perde di quanto vive o
si muove, non la materia, non la
forza che non è altro che l'at-
teggiamento della materia, e anche ì
cataclismi della terra e del cielo,
anche i cicloni che scon- volgon la
terra e rovesciano le città sono
trasformazioni di forze, sono equazioni matematiche
nelle quali il prima e il poi
si dimostrano come quan- tità eguali. Così
avviene anche negli uragani del cuore.
Due amori dovevano confondersi insieme per
riaccendere la fiaccola della vita, due
baci dovevano sa- lire al cielo confusi in
una sola benedizione della vita trionfatrìce.
E invece, passata la procella, vin
rasserenato il cielo, noi vediamo il
pellegrino venuto da lontano al tempio d'amore
ancora sulla soglia, ancora prosternato e
in atto di rassegnata e serena
adorazione. E^ nel tempio, là in
fondo, fra le nuvole degli incensi e
il coro degli angeli, immoto il
Dio,che guarda il pellegrino con tenerezza
serena; e là rimarranno entrambi Dio e crea-
tura, idolo e sacerdote fino all' ultimo
respiro. L'amore che feconda è divenuto
l'amore che ammira; l'amore che ama è
divenuto l'amore che adora; il sole che
tutto colorisce e riscalda si è
trasformato nella luna, che fa fantasticare
e sospirare. Se avete letto la mia
Filologia del dolore, dovete ricordare le
pagine, nelle quali ho tentato di
studiare la psicologia della malinconia. Fra
questo caro fiore del giardino del
cuore e l'amore platonico vi sono
grandissimi rapporti di somiglianza. L'amore
platonico è una grande e soave ma-
linconia e chi l'ha potuto e saputo
godere, non rimpiange la gioia, perchè
quel sentimento ha bellezze più alte, ha
misteri più delicati, segreti più riposti
e sublimi. Dei vulcani, dei terremoti,
degli uragani che sono vita quotidiana
dell'amore nulla è rimasto : delle
battaglie combattute nes- sun cadavere,
nessun membro divelto; il terreno l'amob
platonico lacerato dalle bombe, solcato dalle
artiglierie, madido di sangue umano, è
ritornato all'aratro; e le spighe
fioriscono, dove corsero i gemiti dei
moribondi e gli urli dei feroci. Una croce di legno piantata
sull'orlo del campo vi ricorda però la storia
del dolore e spande all'intorno un'aria
ma- linconica. Non invano io ho
invocato il tempio ad esprimere e contenere
i misteri dell'amore platonico, perchè
questo ha forme mistiche e le sue
estasi presentano molti caratteri del rapimento
religioso. Soffocato e spento il
desiderio, inutile la lotta, che cosa
rimane fuorché l'adorazione? E questa
adorazione che prima è consagrata all'
idolo, si affina sempre più, man mano
andiamo perdendo la memoria delle battaglie
combattute e la figura che adoriamo perde
ogni giorno più la propria personalit\
per prendere forma di mito o di
simbolo. La donna che adoriamo d'amore
platonico non è più per noi Laura
o Beatrice, ma è la donna, la
donna unica e sola che per noi
personifica tutte le bellezze, tutte le
grazie, tutti gli incanti di Venere e
di Eva. La donna amata ha
occhi che ci incantano, membra che le
mani accarezzano, chiome entro le quali si
smarriscono i desiderii come in un la-
birinto incantato. La donna amata d' amore
platonico non ha occhi, non membra,
non chiome, e perchè le avrebbe se
noi non possiamo baciarli e possederli
? Dio ha forse occhi, membra e
chiome f Noi amiamo platonicamente, ma
amando adoriamo; e l'adorazione è
l'estetica divenuta affetto o l'affetto divenuto estetica,
o direi meglio è un sentimento che aleggia
eternamente fra l'ammirazione di una bellezza
assoluta e un amore infinito per questa
bellezza, a cui non osiamo dar forma,
perchè anche questa ci sembra una
profanazione. L' amore abbraccia sempre qualche
cosa, colle mani o colle braccia, colle
labbra o col cuore; l'amore platonico
non abbraccia, perchè l'infinito non si
stringe; l'amore platonico, contempla, ammira,
adora. Siamo in piena estasi e in estasi
permanente: nessun carattere del rapimento
gli manca, non la fissazione, non lo
sprofondarsi di tutte le sensazioni in una
sensazione sola, non la immobilità per
tensione di tutti i muscoli antagonisti,
non la ca- talessi, non la insensibilità
per eccesso di sensazione. E le estasi son
due: due come le creature che
mutuamente si contemplano e si adorano;
due come le forze, che campate nello
spazio e sempre lontane si invocano e
si attraggono e eternamente rimangono
fìsse, senza avvicinarsi di nna lìnea
né toccarsi mai. In cielo fra gli
astri avvengono que- sti fenomeni che gli
astronomi studiano; nel cuore umano
avvengono gli stessi fenomeni con leggi
eguali, con eguale miracolo di potenza
e di bellezza. Se l'amore platonico per
la sua alta idealità si avvicina ai
rapimenti mistici dell'asceta, ha per altri
suoi caratteri le profonde sensualità
del-l'avarizia. L'avaro e l'amor platonico hanno
questo di co- mune: possedere un tesoro che
contemplano, che adorano, ma che non
spendono. Quella donna che voi adorate, è
d' altri o di nessuno in apparenza,
ma nessuno l'ama come voi, per
nessuno è bella quanto lo è per
vói. I vostri sguardi, le vostre
aspirazioni, i vostri pensieri sempre
rivolti a lei la circondano d' un’aureola,
che la isola dal mondo. Essa è
chiusa in uno scrigno invisibile, ma
non meno inviolabile; in uno
scrigno d'oro e di gemme di cui
voi solo avete la chiave. E
anch'essa, voi lo sapete, non ama che
voi. È il possesso potenziale, è la
proprietà ideale. Gosì appunto è
dell'avaro: egli contempla quei fasci di
biglietti miracolosi che possono a un
cenno trasformarsi in gioie, in lusso,
in ogni ben di Dio. E per volontà
nostra quella donna è intangibile, quel
denaro ' non si muove, ma quella donna
è nostra, quel tesoro è nostro.
L'amore platonico, ricco com' è di
rapimenti, ci presenta allucinazioni di
trascendente bellezza. Nessuno più abile
sarto per vestire i corpi nudi,
nessuno più ardito per spogliare i corpi
vestiti. Nelle visioni dell' asceta Dio
appare (come vedremo più innanzi) in
aspetti svariati, ma sempre bellissimo; e
l'adorazione che crea l'immagine si
raddoppia neir estasi d'ammirazione di quelle
bellezze. E così è noli' amore platonico, in
cui tutte le forze del pensiero, tutte
le energie del senti- mento, concentrandosi
in un punto solo, danno tali ali
alla fantasia e tale energia al suo
pennello da trasformare l'uomo in un poeta
e in un pittore in una volta
sola. Poeta che abbellisce e idealizza
tutto ciò che tocca; pittore che
della sua tavolozza fa una verga
magica che tntto riveste di un'iride
afiascinante. La donna adorata e non
posseduta è sempre Venere per noi;
Venere Afrodite quando la fantasia la spoglia,
Venere Urania quando la fantasia la ravvolge nei
densi veli della nostra gelosia e del nostro
rispetto. Nuda o vestita è sempre una Dea per
noi, e noi ne siamo i sacerdoti.
Anche le sante vedono Dio nudo nelle
loro visioni, né quella nudità è meno casta
o meno pudica. L'amore platonico è tutto
un pudore, perchè il pudore è la
riverenza dell'amore, è la santificazione del
desiderio. Oh quante volte nei
sileuzii della notte le tenebre si illuminano
per noi alla luce mistica della
fantasia e dall'onda azzurra d'un mare tranquillo
sorge per incanto al fremito impercettibile
d'una brezza che vien dal profondo
una visione di donna. E noi
assistiamo al mistico nascere della Dea
d'amore, assistiamo al nascer della vita.
Estasi umane, vili E sorge
dall'onda Spumeggiante pregna degli inebbrianti
e salsi aromi del mare la visione
della creatura amata, della sola donna che
per noi è donna, e che nuda e
casta come una statua di Fidia,
lucente dell' onda che cade in mille
perle su quella perla sola che è
il corpo di lei, s'innalza fremente e
flessuosa, come una palma umana; e sorge
e s'innalza sulle sue colonne di marmo
pario, inghirlandata dalle chiome fluenti,
che fanno piovere una pioggia di
perle sui morbidissimi flanchi intomo a lei bolle
e freme l'onda, quasi ebbra dei
contatti voluttuosi della Dea, e guizzano
nereidi e naiadi a farle corona di
bellezze minori, mentre angioletti rosei
svolazzano all'intorno di lei, im- pazienti
di accarezzarla colle ali convulse. E nes-
suna lascivia scuote le nostre membra e
nessun desiderio osa turbare Testasi di
quella contemplazione. Voi siete sempre in
ginocchio, col corpo o col pensiero,
davanti alla divina immagine che adorate.
E altre volte Venere non esce
dal mare, umida e calda delle sue
feconde aspergini, ma in un bosco di allori
sotto il cielo ellenico, scende dal
tempio e passeggia sorvolando sull'erba, quasi
statua che ubbidisce all'evocazione del suo
creatore e ritoma alla vita. E gli
inni dei poeti e le corde d'oro
delle arpe eolie cantano e suonano le
loro armonie, facendo coro di ammirazione
e osanna di adorazione alla dea della
bellezza, alla madre di tutti ì
viventi. E noi prostesi al suolo baciamo
l'orma profumata, che il piede divino
lascia sui muschi vellutati e fra
l'erbe odorose. Ma terra e mare non
bastano più a fare cor- nice alla
nostra visione trascendente e noi vediamo
la nostra Dea farsi creatura alata e spiccare
il volo nelle alte regioni del cielo.
Non più carni rosee o colonne di
marmo parlo, ma la carne dive-vni nuto
opale e le membra trasformate in ali.
E vìa per Paria e gli spazi infiniti
del vuoto, un aleggiar robusto e un
ondeggiar di chiome, or dorate dai
raggi del sole, or argentine al
chiaror della luna, or buie come le
tenebre degli abissi. E un fiam-
meggiar degli astri, che anch'essi nell'eterna
pace dei secoli, fremono alla vista di
quella divina bel- lezza e scintillano più
caldi e più splendidi, salutando colle
ebbrezze della luce una creatura deUa
terra. E noi dietro a quella
visione, convertiti da creature mortali in un
sospiro di desiderio che vola e
insegue la donna alata. La via lattea
ci è guida al nostro volo audace e
tra la polvere degli astri che non
abbiam tempo di ammirare e fra gli
abissi dell'infinito e le meteore deUo
spazio cogli occhi fissi a quella
creatura che è cosa nostra e di
cui sentiamo nel vuoto infinito il batter
dell'ali, Siam rapiti in estasi e speriamo
di confonderci e sparire in quella donna,
che non è più donna, ma angelo;
che non è più angelo, ma Dio;
un Dio creato dalla nostra fantasia e
dal nostro amore. Sparire per sempre
e con lei, come dicesi che le
comete attratte dal sole si consumino
in un bacio ardente come loro,
ciclopico come lo spazio. Sparire e
confondersi, non ritrovar più il nostro Io,
non distinguere più qua! differenza passi tra
noi e lei, fra l'amare e Tessere,
fra l'uno e il due; non ricordarsi
della terra, del nascere e del
morire, della gioia e del dolore; non
pensare altro pensiero che il pensiero
di lei, perdere tutta la coscienza e
tutta la memoria, per sommergerle nel
grande oceano di una sensazione sola,
l'estasi; spogliarsi di tutte le passioni,
dimenticarle tutte, per non ardere che
d'una sola passione, l'amore. L'uomo e
la donna disgiunti sulla terra, ricongiunti nel
cielo e per sempre con un bacio
che non ha domani, con un amplesso
che trasforma le anime nella carezza di
quattro ali. * Le estasi
dell'amore platonico non sono tutte di
adorazione, ma possono presentarci le forme
della devozione, del sagrifizio spinto fino
al mar- tirio. Allora noi abbiamo i
rapimenti già descritti nell'amore materno, nell'amor
figliale e negli altri affetti minori. Inutile
ripetizione sarebbe quella di ritrarre i
lineamenti di questi quadri sublimi, che
tanto si rassomigliano. L'ionico carattere che
distingue tutte queste forme svariate è
quello di essere accompagnato dall'ardore della
più calda delle passioni, di esser
tutto imbevuto di quell'amore che fu
chiamato con questo nome senza aggiunta
di alcun agget- tivo, quasi prototipo di
tutti gli altri amori. L'amore platonico
può essere potente e fecondo di
estasi, anche quando non è diviso da
un'altra creatura. Anche quando vibra in
un solo cuore, anche quando contraddice
(rarissima eccezione) il verso famoso del
poeta: Amor ch'a nullo amato amar
perdona, può durare tutta la vita,
può essere il palpito di ogni ora,
il sogno d'ogni notte, la religione
mi- stica di un solo cuore. In questi casi
soltanto vi ha di diverso e di
caratteristico una soave ma- linconia, forse
confortata da una speranza lontana che
il nostro amore, pur rimanendo sempre
pia* tonico, 8iia diviso da un' altr'
anima. Xie estasi dell' amicizia. Rapimenti
dell'amor fraterno. Anche senza il
fascino del sesso, anche senza i
vincoli del sangue l'nomo può amar
l'uomo di quel sentimento che si
chiama amicizia. Ho gii\ parlato troppe
volte e a lungo nella mia Fisiologia
del piacere e in altri miei libri più
recenti dell'amicizia, né starò a
ripetermi. Qui non dob- biamo occuparci che
di quelle rarissime forme di questo
sentimento che possono portarci fino al-
l'estasi. L'amicizia è possibile fra
uomini e uomini, fra uomini e donne,
fra donne e donne; ma il sesso
è tale un elemento perturbatore d'ogni
altro af- fetto, che non sia amore,
da rendere 1' amicizia assai rara fra
ue persone di sesso diverso, e anche
quando i sensi non parlano e nessun
desiderio accompagna l'amicizia, questa è però
modi- ficata profondamente da quella tenerezza
irresistibile che l'uomo ha per la donna,
di quel bisogno di protezione che la
donna sente dinanzi all'uomo. Ecco perchè
preferirei separare dal gruppo delle Estasi
umane. L’ amicizie vere quella che Tuomo
e la donna pos- sono intrecciare tra di
loro, ravvicinando queste alla famiglia
degli amori platonici. V amicizia è
un sentimento di lusso e noi lo
vediamo mancare affatto o presentarci forme
atrofiche negli uomini di bassa gerarchia
psichica. Le sue energie sono deboli,
talché cedono subito il campo ad
altri sentimenti più imperiosi e che
hanno una grande missione nel ciclo
della vita. È anche per questo che
le donne ci presentano più raramente
esempio di calde e tenere amicizie.
In esse l' amore e la maternità occupano
tanta parte del cuore da non lasciare
il posto per altri sentimenti minori,
e d'altronde la galanteria virile fa
delle donne altrettanti rivali e semina
la gelosia e inviperisce le vanità e
solletica la malizia e la maldicenza;
per cui V amicizia fra donne è
pianta rara, che vive per lo più
vita breve e fra le pareti di
una stufa ben calda e custodita. Che
l'amicizia sia una pianta di lusso lo
prova il vederla fiorire nell' età
delle massime energie affettive, cioè nella
giovinezza. Col primo aocenno di capelli bianchi,
col primo chinar della curva vitale,
le amicizie nuove sono molto rare e
le antiche si conservano spesso per
abitudine, per ri- conoscenza, ma son fiacche
e messe quasi sempre nel secondo giro degli
affetti. Se r amicizia è sentimento
raro, è tanto più delicato e si
muove in una sfera di altissima idea-
lità. Intendo sempre parlare della vera,
della sublime amicizia, di quel sentimento
che fa di due nomini un nomo
solo, che li unisce mano con mano, cuore
con cuore, anima con anima. Per lo
più fra la massa del volgo si
chiamano con quésto nome simpatie fugaci,
associazioni d'interessi, con- suetudini d'occasione
ed altre cose ancor più vol- gari e
più basse. Per questa via di certo
nessun rapimento è possibile. Ciò che
dà il marchio di nobiltà all'amicizia è V
eleziùne che ne è il midollo e lo
scheletro, che- ne è il motivo informatore.
Non è soltanto negli ordini politici
che relezione sostituita all'eredità o alla
forza segna un gigantesco progresso: anche
nel campò degli affetti l'elezione è
il battesimo che li consacra ad una
vita gloriosa, che li tra-sporta dai bassi
fondi delle necessità organiche nel cielo
dell' idealità. Neil' amore, nell' affetto
di patria, nella maternità, in tutti
i potenti affbtti che stringono l'uomo
coi vincoli della famiglia, vi è un
vigore irresistibile, vi è una forza
trascen- dente, ma nello stesso tempo noi
ci sentiamo ra- piti dal fato, dalla
necessità:. Siamo ben felici di questa
cara necessità, Ina V Io, sempre superbo,
sente qualcosa più forte di lui e
riverente s' inchina e ubbidisce alle leggi
della natura. Nell'amicizia invece nulla
di tutto questo: nessun fato, nessuna
necessità, nessuna tirannia d'uomini, di cose o
di tempi. Due anime umane si
incontrano nel viavai della folla, si
contemplano e s'intendono. Un riso sorriso
in due, una lagrima pianta in due,
un grido d' entusiasmo escito prorompente,
irresistibile in uno stesso momento da due petti
umani, avvicina i cuori e stringe le
destre. Son due note musicali, che
partito da due. strumenti lontani si
sono incontrate per l’aria, formando un
accordo d'armonia. E quello stringersi
delle mani rivela nella sua espressione
semplicissima tutta la psicologia più fine
e più profonda dell'amicizia. In amore son
le labbra che tendon Farco e si
cercano; in amore son le viscere che
si intrecciano e si fecondano: neir
amicizia son le mani, che si cercano
e si stringono; gli istrumenti del
pensiero e dell'azione. Sentire insieme e
sentire egualmente, ammirare le stesse cose
e disprezzare gli stessi uomini, par- lare
commossi cogli stessi i)oeti e benedire con
una voce sola lo stesso sole, ci fa
parenti nelle anime, come in amore le
simpatie fanno di due sangui un
sangae solo, di dae desiderii un
desiderio solo, e colla fiisione intima di due esistenze, creano una
terza vita. L'amicizia è una parentela
d'elezione, è un amore delle anime, è
un sentire il proprio pensiero sommato a un
altro; i proprii sentimenti, le proprie
simpatie, le proprie aspirazioni ripercossi
sempre dall'eco affettuosa di un'altra
simpatia, di un'altra natura umana, che
risponde alla nostra. Dolcezze ineffabili, voluttìi
di altissima sfera, che fanno l'uomo
superbo d'esser uomo. Questo consenso non
cercato ma trovato, questo combaciarsi intero
e completo di due anime, questo
libero matrimonio di due nature umane può
bastare a rapirci in estasi ; quando
soprattutto ci rifugiamo in seno all'
amicizia per sfug;^ire dagli urli del
profanum vulgus; quando siamo inseguiti dal
latrato dei cani ; quando ci sentiamo
asfissiati dal lezzo del fango in cui
pur troppo dobbiamo le tante volte
camminare e sommergerci. È allora che
l'oasi dell'amicizia ci stende la sue
braccia e ci involge colle sue ombre
profumate, colle sue brezze inebbrianti, e
proviamo la santa gioia di chi escito
da una cloaca immonda e oscura, si
trova nell'aperto cielo in mezzo alla
luce, all'aria pura; fors'anche fra il
profiimo dei fiori e il sorriso dei
bambini. L'estasi di due amici che si
comprendono, che ^i stringon le mani.
che si guardan negli occhi, leggendovi
riflessa Pimmagine di so stessi, è
muta come quasi tutti i rapimenti
della vita. É muta ed è profonda:
è serena eie azzurra. Non si sa
eome incominci e dove finisca; appunto
come noi non sappiamo, guardando in alto,
dove il cielo incominci e dove esso
finisca. Tiriamo profondo profondo il
respiro, perchè vorremmo quasi ingrandirci di dentro, come
ci sentiamo raddoppiati di fuori; e
il nostro Io si confonde, si
sprofonda con un'altra coscienza, quasi due
parti di un'anima sola, che separate
dalla violenza, incontratesi nello spazio,
ritornano ad essere una cosa sola. In
quei momenti beati ogni confine ben
definito della coscienza si ofiftisca e si
sperde : ci pare di essere due,
perchè godiamo sentimenti, bellezze, splendori el
vero o del buono in due; ci par
di essere uno, perchè sentiamo vibrare
due coscienze in unacocienza sola; perchè
le due anime si son abbrao- -ciate e
strette e confuse in un'anima sola.
Sante e care e dolci ebbrezze
dell'amicizia, che si elevano per la
loro purezza nelle sfere più alte dei
sentimenti umani. Se sono men calde
di quelle dell'amore, sono però più
durevoli e serene; se vi è meno
volutto, vi è più pensiero; se vi
è meno fuoco, vi è più luce. Ma perchè
questi sterili e vani confronti? Perchè
sagrificare anche noi a quel maledetto
gallo d' Esculapio, che costringe sempre
l’uomo a confrontare le cose che studia
e descrive? Forse che si pota risolvere
il problema la rosa sia più bella del
giglio, lo zafiBro più splendido del
diamante, il cavallo più bello del leone?
Lasciamo ogni bellezza al suo posto e
non tormentiamo le creature del nostro
pianeta, facendole passare sotto le forche
caudine delle nostre gerarchie. La natura
feconda e generosa non ha mai scrìtto
dei numeri sulle proprie creature: nessuna
prima, nessuna ultima, e il muschio microscopico
che nasce e fiorisce fra le fessure
del tronco d' una palma superba, è
bello quanto l'albero maestoso che le
offre l'ospitalità; e la stretta di
mano dell'amicizia è cara quanto lo
stringersi insieme delle labbra innamorate. Le estasi
dell'amicizia sono di varie forme, ma
quasi tutte possono ridursi a queste due:
estasi di simpatm e estasi di conforto.
Delle prime ho parlato fin qui,
riducendole ad un'espressione sola. Le
altre sono più facili e più. comuni.
Esse non sono che estasi di carità
rese più intense, più cald, più poetiche,
perchè il sentimento che le ispira è
di più alta natura. Nella carità
facciamo il bene agli altri, solo perchè
uomini; all'amico diamo tutto noi stessi,
per lui facciamo i maggiori sagrifizii,
perchè uomo e perchè amico. Dall'elemosina
che ci umilia e può anche avvilirci,
incomincia una scala ascendente e che ha
mille gradini e pei quali si sale
alle forme più squisite della beneficenza.
Sulla più alta cima sta sempre 1'
amicizia, che conforta e aiuta e
soccorre senza umiliare e porge il
dono con tale delicatezza, che mal
sapresti dire, se sia più prezioso il
dono o più caro il modo con cui ti
vien presentato. ESTASI dell'amicizia
Impiccolire il sagrifizio fino a
nasconderlo affatto, mostrare che chi dà è
invece colui che riceve, ohe il donatore
rimane debitore ; nascondere nella gioia
di dare l'orgoglio di dare e
soffocare fin dal suo nascere l' involontario
rossore di chi riceve, sono altrettanti
miracoli che l’amicizia compie colla massima
agilità , colla maggiore naturalezza di questo
mondo. Indovinare il dolore anche senza il
pianto, presentire l'imbarazzo quando nessuno lo
sospetta, prevedere la sventura prima che
arrivi, il pericolo prima che l'allarme
sia dato, non attender mai che la
mano si stenda a voi, ma stendere
la vostra e nella stretta di mano
nascondere il benefizio, sono le prime
lettere dell' alfabeto dell' amicizia; son
problemi elementari che il cuore risolve di
primo acchito e senza bisogno di
studiare la matematica. Davvero che in
questi ca^i è diflBcile dire chi più goda
dei due, chi primo arrivi al
rapimento del benefizio fatto o della
riconoscenza caldissima. L'uno ha preveduto,
ha presentito, ha indovi-nato. L' amico soffre
ed io posso far tacere quel dolore. L'amico
ha bisogno di soccorso, di con-
forto, ed io sarò quei fortunato che
potrò soccorrere e confortare. Il cuore
batte forte forte in petto, le mani
tremano per 1' emozione e un sorriso
involontario e angelico corre sul nostro volto.
Tutti gli artificii più astati sono
da noi adoperati per far sembrar
facile ciò che è difficile, naturale
ciò che forse è per noi un
doloroso sagrìflzio. Nessuna astuzia è più raffinata,
nessuna ipocrisia più opaca, nessuna
fantasia più immaginosa di quella che
adopera l'amico per occultare il benefizio,
per giungere in tempo; per abbellire
la carità collo splendore della sorpresa.
Il dono dell'amico è un fiore bello
e profumato che ci presenta la mano
di un bambino, innocente e giulivo come
la bontà sempre aperta dell'uomo generoso,
rìdente come tutte le primavere della
vita e della natura. E chi riceve
ed è costretto a non vergognarsi di
ricevere e chi indovina tutte le
sante astruserie e i fini accorgimenti
che accompagnano V opera del conforto
e chi misura tutta 1' altezza dell' anima
che corre soccorrevole a noi, rimane
confuso e commosso e dallo strazio
della disperazione è portato di volo
alla beatitudine più sicura e più
alta. L'amico ci ha indovinato e
l'amico risponde con un'onda di
riconoscenza; il sorriso di chi fa il
bene è nobile come il sorriso di
chi lo riceve, e due estasi si
confondono in un'estasi sola. Chi più
felice dei due? Nessuno. Chi più
grande? Nessuno. Quale il debitore, quale
il creditore? Nessuno dei due; o
entrambi creditori, entrambi debitori. Chi
più bello del sole che illumina o
della terra che è baciata dal sole!
Chi più bello del cielo che si
specchia nel mare o del mare che si
fa azzurro al sorriso del cielo? Chi
più dà e più riceve della gloria dei
grandi o del riflesso d' amicizia che le
turbe innalzate dal genio rimandano al
sole del pensiero? Beata ignoranza codesta,
di non poter distinguere due bellezze
che si fondono in una bellezza sola ;
due gioie che si unificano ìa una voluttà
sola; due grandezze che si sperdono e
si consumano in una sola immensità.
Non malediciamo la vita, se questa ci
lascia lo spazio e il tempo per
essere uno di questi amici o per
assistere ad una di queste scene del
mondo morale. Quante bassezze, quante
viltà, quanto fango si devono trovare nei
sentieri pedestri della vita por
dimenticare uno di quei quadri, quante
tenebre ci vorranno per cancellare tanta
luce, quanto male per far dimenticare
tanto bene! Nessun fiume, per fangoso
che sia, ha potuto togliere all'oceano
le sue trasparenze; nessun sofiQo di
uomo ha potuto spegnere il sole, nessun
gelo Tha mai potuto raffreddare! L'affetto che
ravvicina i nati tVuno stesso padre e
d'una stessa madre, esiste abbozzato anche
negli animali. Gli uccellini allevati in
uno stesso nido, spesso anche quando
Thanno abbandonato, vivono assieme e si
amano: spesso anche le scimmie ed
altri mammiferi sentono di essere fréitelli,
ma queste fratellanze son pallide e di
piccola durata. I colpi di fucile del
cacciatore crudele, i lunghi viaggi, i nuovi
amori, spezzano ben presto i vincoli di
fratellanza, e dopo pochi giorni, o
poche settimane, o pochi mesi, secondo
i casi; ogni riconoscimento di uno stesso
sangue si dilegua e scompare. I
fratelli possono intrecciare un nuovo nido,
un incestuoso amore, o possono farsi
la più spietata guerra. Anche fra
gli uomini l'amore fraterno è spesso
pallido e non presenta che deboli
energie; i molti cuculi deposti nel
nido d'una famiglia, le antipatie e
le dissonanze dei caratteri troppo frequenti ad onta
della comune genealogia, le lotte
d'interesse opposto, le lunghe e necessarie
assenze imposte dalle vicende della vita,
sono altrettante cause l'amoe fraterno che
possono rallentare o rompere le catene
fraterne. Fra fratello e fratello, fra sorella e
sorella si aggiunge poi la ruggine
delle gare di vanità e di emulazione,
e questa ruggine corrode più ohe la
lima di forti passioni. Per tutte
queste ragioni i forti amori fraterni
son rari, rarissime le estasi affettive.
Oserei però dire che, meno rare
eccezioni, Tamore fraterno non ci mostra scene
commoventi e sublimi, che quando è
rafforzato dalla simpatia dei sessi
opposti. Earo V affetto intenso fra
due fratelli, forse più raro ancora
quello fra due sorelle; più comune
invece il sentimento che lega il
fratello alla sorella. Quando fratello e
sorella si amano davvero, si amano molto,
il sentimento che li unisce è un'amicizia resa
ancor più calda dalla comunanza del sangue
e può giungere a tanta forza e
a tanta idealità da avvicinarsi assai
all' amore platonico. Son due creature
che non possono amarsi d'amore, perchè
troppo rassomiglianti, perchè esciti dalle
stesse viscere, perchè hanno ricevuto il
primo bacio dalle stesse labbra, perchè hanno
succhiato dallo stesso seno quel secondo
sangue che è un secondo vincolo di
parentela. E poi son cresciuti insieme,
hanno respirato i)er tanti anni l'aria
dello stesso nido, hanno dormito tra
le pareti della Stessa casa, hanno
pregato sotto la vòlta della stessa
chiesa, hanno pianto le tante volte
insieme; hanno diviso i terrori infantili,
si sono inebbriati insieme nelle feste dell'
infanzia e insieme hanno subito le
procelle dell'adolescenza e della prima
giovinezza. Come e perchè non si
amerebbero quelle due creature, che vedono
a vicenda rispecchiata tanta parte di sé stesso
nel cuore e nel pensiero dell'altra? La
comunanza delle memorie è parentela del
cuori e ad essa basta un cenno,
un sorriso, una parola per rifare
quei viaggi poetici e affascinanti nel tempo che
fu. Quei due forse hanno già passata
più che mezza la vita insieme, fors'anche
hanno insieme composto nella fossa il
loro babbo e la loro mamma, e
in un certo giorno dell'anno, anche
lontani e senz'essersi chiamati, si trovano insieme
sopra una stessa tomba. E come e
perchè quelle due creature non si
ame- rebbero; non si amerebbero molto; non
si amerebbero sempre? La nostra sorella
slam noi stessi incarnati in un sesso
diverso e quando in essa noi vediamo
riprodotti i nostri lineamenti, rifatti gli stessi
gesti, riprodotti gli stessi gusti, le
stesse antipatie; sor-ridiamo di compiacenza,
esclamando: s'io fossi una donna, sarei
lei! E la nostra sorella non solo ci
rassomiglia nel volto, nei gesti, ma
desidera le stesse cose, sorride degli stessi scherzi,
ha come noi qnelle stesse debolezze,
delle quali dobbiamo spesso arrossire. E si
ride insieme, e si arrossisce insieme,
dicendoci nell'orecchio : Anche tuf — 8Ì
anch^io! E la nostra sorellina (che
sorellina è sempre ogni sorella, quando
è molto amata), e la nostra sorellina
rassomiglia tanto alla nostra mamma, che la si
direbbe la mamma ringiovanita. Essa ha
per noi tenerezze materne, indulgenze
materne; essa ci può abbracciare e
baciare, benché essa sia una donna.
Quanto è indulgente e buona! — Con
lei possiamo sfogare le nostre bizze,
confessare i nostri rancori; con lei possiamo
dividere tutte le amarezze dell' orgoglio
offeso, dell' ambizione delusa , delle
speranze svanite. Essa non e' invidia ma ci
ama. Essa non riderà di noi, né ci vorr.Y consolare coll’accusarci fattori
della nostra sventura. Essa è donna e con noi quasi madre; nessuna
osservazione, nessun rimprovero prima di averci medicati e guariti. Nessuna
domanda importuna o impertinente prima di averci fasciata la ferita. Possiamo
essere più vecchi di lei; essa ci tratterà sempre come bambini, sarà capace
perfino di prenderci fra le sue braccia e di
farci la ninna nanna. E la sorella
si getta fra le braccia del fratello.
come non può fare colle braccia di
nessun altro uomo. Del marito ha
suggezione, del padre ha rispetto; davanti
al figlio vuol essere infallibile. Il
fratello invece non è né marito, né
padre, né figlio, ma un po' di tutto questo. Egli è un
uomo e la sorella può appoggiarsi a lui come alla forza che protegge e difende.
Egli é un uomo, ma non sarà mai un giudice severo, perchè anch' egli
prima di gridare al peccatore, vorrà guarire il peccato e risanare la ferita.
La sorella è sicura che il fratello di lei avrebbe peccato come lei, s'egli si
fosse trovato nelle stesse circostanze ed essa è sicura di trovare una grande
indulgenza, una misericordia grande come quella del Cristo. Ma non
occorre peccare per rifugiarsi fra le braccia fraterne del figlio della
nostra mamma. Il fratello ha piti
ingegno di noi, più di noi ha studiato
e vissuto. Egli ci darà la luce
per camminare nelle tenebre della vita, egli ci
darà un braccio poderoso per appoggiarsi,
egli sarà la nostra bussola nel gran mare
delle umane dubbiezze. E che faresti
tu In questo caso f Come esciresii
tu da questo labirinto f Dimmi se
io ho fatto benet Dimmi vi è
ancora un rimedio a tanto male f
„ E le domande si succedono le
une alle altre, senza attender risposta
e le risposte diventan altrettante domande; ed è
un affollarsi confuso e prorompente di parole, di sorrisi,
di lagrime: e sono abbracci che
interrompono domande e risposte e sono
baci che valgono più d'un volume di
ragionamenti e son singhiozzi che taciono
alla soavità d'una carezza e son carezze che vogliono
esser rimproveri e rimangono invece carezze
dolcissime e sono due anime di uomo
e di donna, che possono vedersi nudi
l'un l'altro senza arrossire, perchè non
hanno sesso e sono come Adamo ed
Eva prima che avessero bisogno di
coprirsi delle foglie dell'albero mistico dell'Eden.
n questi casi e in altri consimili la commozione può
giungere fino al rapimento, e l'estasi
si afferma con tutti i suoi caratteri di isolamento
dal mondo esterno e di concentrazione
di tutte le forze del sentimento e
del pensiero in un punto solo del
mondo psicologico. Beati coloro che l’hanno
Estasi liman, provata, fosse poi gioia che
prendeva il posto d'un grande dolore
o gioia che si faceva cento volte maggiore,
perchè si moltiplicava colla igioia d' nn'
anima sorella. L'amore fraterno è un
sentimento di lusso, tanto è vero che
è appena abbozzato e fuggevole negli
animali e così pure è debole nelle
razze e nelle nature inferiori. I
sentimenti di lusso sono i più
indistinti, quelli che hanno frontiere meno
sicure, per modo che si confondono facilmente con
altri affetti di analoga natura. L'amore
fraterno confina coir iimore platonico e coli' amicizia,
e tanto è vero che spesso udiamo
escire dalle labbra commosse di due
amici, che non pensan punto a far
della psicologia, questi gridi dell'anima:
Io il amo più che un Fratello. Tu mi sei
più fraUllo che amico. La nostra amicizia
è una vera fratellanza delle anime. Noi non
siamo amici ma frnt4ilU! E d' altra parte
non di raro due fratelli escla- mano
alla lor volta. Ma il nostro affetto è
una santa amicizia. Ma anche senza i
lincoli del sangue noi saremmo due amici.
Se mi fosse permesso tentare di distinguere il caratt-ere proprio
delle estasi dell'amicizia e quello dei rapimenti
dell'affetto fraterno, direi che nel primo
caso vi è una grande fratellanza
nell'urna- nità che ci eleva al
disopra del volgo e che nel secondo
la voce del sangue ci tiene più
vicini al nido e quindi piti caldi,
più commossi, più inteneriti. Nei rapimenti
dell'amicizia vi è più pensiero, in quelli
dell'affetto fraterno vi è più viscere.Nei primi la
differenza di sesso turba l'estasi o
la porta in altre regioni, nei secondi
invece questa differenza è quasi sempre necessaria e contribuisce assai ad
accendere i cuori, ad affinare, a intenerire, a commuovere gli animi che
salgono insieme in quest'Olimpo del sentimento. Descrivere
tutte le possibili estasi umane s.irebbe
dar fondo all'universo psicologico e
nessuna forza d'uomo vi basterebbe. Io mi accontenterli
accennare ad alcuni rapimenti dell'affetto fratemo: altrettanti
quadri presi dal vero e che potrebbero ispirare
il poeta, il pittore, lo scultore.Due fratelli vivono in paesi lontani Uun
dall'altro e vengono a conoscere per via indiretta, che il babbo si trova in
grave imbarazzo di afifari commerciali. Accorrono non chiamati, si incontrano
sulla soglia della casa paterna. Si sorprendono, si interrogano. Son
venuti per la stessa ragione chiamati
dalla stessa voce interiore. Hanno pensato la
stessa cosa, lo stesso piano, gli stessi progetti per salvare l'onore del
padre. Lo possono fare e lo faranno. Esaltati, commossi, si gettan nelle
braccia l'un dell'altro e godono un soavissimo rapimento dell'anima. Due
fratelli che lavorano insieme, hanno pensato uno stesso libro, senza scambiarsi
una sola parola. Venuti a comunicarsi a vicenda i loro progetti, si trova che
essi si incontrano e si combaciano.Lo stupore diventa ammirazione, l’ammirazione
contentezza, beatitudine. Essi si abbraccino, si inebbriano della gioia di aver
fusi due pensieri in un solo pensiero. I fratelli De Goncourt devono aver
provato più volte quest'estasi deliziosa. Due sorelle hanno perduto runico
fratello, vedovoe padre di numerosa famiglia. Sul
cadavere del caro perduto suggellano un bacio in due,
che è conclusione d'un giuramento fatto in
silenzio, nello stesso momento. Esse non prenderanno marito,esse daranno tutto
il loro tempo, il loro dinaroai nipotini che fanno loro figlinoli, che si
stringono al seno in uno slancio di carità generosa. Quelle due anime beate di
aver pensato in uno stesso istante la stessa cosa si abbracciano, si
stringon forte forte cuore contro cuore; confondono lagrime,
singhiozzi, sorrisi e godono una delle estasii fraterne più complesse e più
alte che possa godere anima umana. Una donna è tradita, tradita nel santuario
della famiglia, precipitando nella disperazione dall'alto d'ana felicità senza
nubi.Tutto si oscura, l’aria diviengelo, la terra spine, il cielo un'uragano.
Essa ha un fratello, le scrive una parola sola: Vieni e mi salva! Ma il
fratello ha saputo la sventura piombata sul capo della sorella, prima
ancora che la lettera fosse scritta. Suona un campanello, si apre un uscio, vi
si precipita un uomo. La sorella lo guarda, non sa piangere e non può ridere.
Gli porge la lettera ancora umida dall'inchiostro ed egli legge quelle quattro
parole e neppur lui può ridere o piangere o parlare. Perchè quei due fortunati
non cadrebbero in estasi in quel momento? Due naufraghi iV una fiera procella
della vita son rimasti soli nel mondo. La donna in un mese ha perduto tuttii
figliuoli uccisi dalla difterite, ruomo era solo ed è divenuto cieco. Quei due
non hanno più né padre, né madre, né zii, né cugini, ma essi son
fratello e sorella. Questi hanno attraversato continenti e mari e si sono
abbracciatiper non separarsi più mai. Perché non cadrebberoessi in estasi?
L'estasi è sempre uno stato eccezionale, passeggero,e la più partedegli uomini
non l'hanno mai provato.Taluni piìl rozzi e incolti durano fatica anche a
immaginarselo. La sua bella etimologia greca f x-a radice, lo star fuori,
esprime mirabilmente questo concetto. La parola di estasi è dunque greca, e i
greci pia poeti dei latini, dovettero conoscere meglio di questi uno stato di
trascendente idealità. I romani, gente positiva, patica, popolo d'azione, non
conobbero Vestasi, ma l'indicarono con perifrasi diverse : mentis excessu,
animi abalienatio. Tommaso Campailla. Keywords: oposcolo, ecstasi, estasi,
animis abalienation, mentis excessus. discorso disordinato, discorso ordinato,
discorso umano, uomo, vita. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Campailla” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Campanella: l’implicatura conversazionale del
katùndi dialit -- utopia italiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Stilo). Filosofo italiano. Grice: “One has to take
Campanella seriously; admittedly, an Oxonian will focus on More, but Campanella
is closer to Plato! I especially like that the walls of the city of “Sol” –
it’s a proper name for the prince, not the sun! – have all the semiotic elements
of the semiotic systems by which the ‘solari’ communicate – Campanella designs
a very Griceian model based on ‘efficiency’ and LOVE! There’s ibenevolence
everywhere – indeed, it is Campanella’s Sol’s City that I was thinking when
inventing the principle of conversational benevolence to be spoken in the City
of Eternal Truth!” -- one of the most important of the Italian
philosophers. H. P. Grice enjoyed his
philosophical poems. Tommaso Campanella, al secolo chiamato Giovan Domenico C.,
noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla (Stilo), filosofo,
teologo, poeta e frate domenicano italiano. Giovan Domenico Campanella
nacque a Stilo, un piccolo borgo della Calabria Ulteriore, al tempo parte del
Regno di Napoli (attualmente in provincia di Reggio Calabria) come egli stesso
più volte afferma nei suoi scritti e come dichiarò il 23 novembre del 1599 nel
carcere di Castel Nuovo a Napoli, al giudice Antonio Peri: «son di una terra
chiamata Stilo in Calabria Ultra, mio padre si domanda Geronimo C. e mia madre
Caterina Basile». Fino al 1806 si conservava anche l'atto di battesimo nella
parrocchia di San Biagio, borgo di Stilo, così redatto: «Battezzato Giovan
Domenico C. figlio di Geronimo e Catarinella Martello, nato il giorno da me D.
Terentio Romano, parroco di S. Biaggio nel Borgo». Il padre era un ciabattino
povero e analfabeta che non poteva permettersi di mandare i figli a scuola e
Giovan Domenico ascoltava dalla finestra le lezioni del maestro del paese,
segno precoce di quella voglia di conoscenza che non l'abbandonò per tutta la
vita. La famiglia si trasferì nella vicina Stignano e il padre pensò di
mandare il figlio presso un fratello, a Napoli, perché vi studiasse diritto, ma
il giovane Campanella, per il desiderio di seguire corsi regolari di studi e
abbandonare un destino di miseria, più che per una reale vocazione religiosa,
decise di entrare nell'Ordine domenicano. Novizio nel convento della vicina
Placanica, vi fece i primi studi e pronunciò i voti a quindici anni nel
convento di San Giorgio Morgeto, assumendo il nome di Tommaso (in onore di san
Tommaso d'Aquino), continuando gli studi superiori a Nicastro e poi, a
vent'anni, a Cosenza, dove affrontò lo studio della teologia.
L'istruzione ricevuta dai domenicani non lo soddisfaceva e non gli era
sufficiente: «essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o
piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato, esaminai tutti i
commentatori d'Aristotele, i greci, i latini e gli arabi; e cominciai a
dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le cose ch'essi
dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei
sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano
rispondere alle miei obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da
me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, dei seguaci di
Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo
codice del mondo per sapere, attraverso l'originale e autografo, quanto le
copie contenessero di vero o di falso». Fu in particolare il De rerum
natura iuxta propria principia di Bernardino Telesio una rivelazione e una
liberazione insieme: scoprì che non esisteva soltanto la filosofia scolastica e
che la natura poteva essere osservata per quello che è, e poteva e doveva
essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall'uomo, con i sensi e con la
ragione, prima osservando e poi ragionando, senza schemi precostituiti e senza
mandare a memoria quanto altri credevano di aver già scoperto e di conoscere su
di essa. Era il 1588 e Telesio, che da anni era tornato a vivere nella nativa
Cosenza, vi moriva ottantenne proprio in quei giorni. Il neofita frate
entusiasta non poté sottrarsi a deporre sulla bara, nel duomo, versi latini di
ringraziamento devoto. Quelle che dai suoi superiori furono considerate
intemperanze gli costarono il trasferimento nel piccolo convento di Altomonte,
dove tuttavia il C. non rimase inattivo: la segnalazione di alcuni amici, che
gli mostrarono il libro di un certo Jacopo Antonio Marta, napoletano, scritto
contro l'amato Telesio, lo spinse a replicare e concluse quella che è la sua
prima opera, la Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli due anni
dopo. In essa C. ribadì la sua adesione al naturalismo di Telesio,
inquadrato però in una cornice neoplatonica, di derivazione ficiniana, per la
quale le leggi della natura non mantengono più la loro autonomia, come in
Telesio, ma sono spiegate dall'azione creatrice di Dio, dal quale deriva anche
l'ordine provvidenziale che governa l'universo: «chi regola la natura è quel
glorioso Iddio, sapientissimo artefice, che ha provveduto in modo da non
reprimere le forze della natura, nella quale tuttavia agisce con misura».
C. non poteva rimanere a lungo ad Altomonte: abbandona il convento calabrese e
se ne andò a Napoli, ospite dei marchesi del Tufo. Nella capitale del
viceregno, pur non abbandonando l'abito di frate, fu tutto inteso ad
approfondire i suoi interessi neoplatonici e scientifici, che allora erano
connessi strettamente con gli studi alchemici e magici: «scrissi due opere,
l'una del senso, l'altra della investigazione delle cose. A scrivere il libro
De sensu rerum mi spinse una disputa avuta prima in pubblico, poi in privato
con Porta, lo stesso che scrisse la Fisiognomica, il quale sosteneva che della
simpatia e dell'antipatia non si può rendere ragione; disputa con lui avuta
appunto quando esaminavamo insieme il suo libro già stampato. Scrissi poi il De
investigatione rerum, perché mi pareva che i peripatetici ed i platonici
portassero i giovani per una via larga ma non diritta alla ricerca della
verità». Il De sensu rerum et magia, iniziato a scrivere in latino, fu completato
e dedicato al granduca di Toscana Ferdinando I de' Medici; sequestratogli il
manoscritto a Bologna dal Sant'Uffizio, fu riscritto in italiano, tradotto in
latino e pubblicato finalmente a
Francoforte. C. vi persegue una sintesi di naturalismo telesiano e di
platonismo: a Democrito e ai materialisti rimprovera di voler far derivare
l'ordine del mondo all'azione degli atomi, che non hanno sensibilità, e agli
aristotelici la mancata iniziativa di Dio nella costituzione della natura.
D'altra parte egli non intende nemmeno sacrificare l'autonomia delle forze che
agiscono nella natura, pur se la spiegazione ultima delle cose va ricercata
nella primitiva azione divina. Secondo C., i tre principi, materia, caldo
e freddo, di cui è composta la natura, sono frutto della creazione divina: «Dio
prima fece lo spazio, composto pure di Potenza, Sapienza e Amore e dentro a
quello pose la materia, che è la mole corporea. Nella materia poi Dio seminò
due principi maschi, cioè attivi, il caldo e il freddo, perché la materia e lo
spazio sono femmine, principi passivi. E questi maschi, da codesta materia
divisa, combattendo, formano due elementi, cielo e terra, che combattendo tra
loro, dalla loro virtù fatta languida nascono i secondi enti, avendo per guida
della generazione le tre influenze, la Necessità, il Fato e l'Armonia, che
portano l'Idea». Le tre primalità (primalitates)che corrispondono alle
tre nature divinecostituiscono il triplice carattere di ogni essere: Dio «ha
dato a tutte le cose potenza di vivere, sapienza e amore quanto basti alla loro
conservazione. Dunque il calore può, sente e ama essere, e così ogni cosa, e
desidera eternarsi come Dio e attraverso Dio nessuna cosa muore ma si muta
soltanto, anche se ogni cosa pare morta all'altra e in verità è morta, così
come il fuoco pare cattivo al freddo ed è veramente cattivo per lui, ma per Dio
ogni cosa è viva e buona». Se si considera ogni cosa nel tutto ci si rende
conto che nulla muore veramente: «muore il pane e si fa chilo, questo muore e si
fa sangue, poi il sangue muore e si fa carne, nervi, ossa, spirito, seme e
patisce varie morti e vite, dolori e piaceri». Dalla Potenza le cose sono
solo perché possono essere e hanno una determinata natura; Dio attraverso
questa potenza dona la Necessità alle cose, la Sapienza permette alle cose di
conoscere il Fato, ossia il saper vedere la successione di causa-effetto nei
processi naturali e infine l'Amore permette l'Armonia fra gli esseri, perché
questi amano essere così e non diversamente: «tutti gli enti si compongono di
Potenza, Sapienza e Amore e ognuno è perché può essere, sa essere e ama essere,
combatte contro il non essere e, quando gli manca il potere o il sapere o
l'amore dell'essere, muore e si trasmuta in chi ne ha di più». Tutte le
cose hanno sensibilità: «Tanta sciocchezza è negare il senso alle cose perché
non hanno occhi, né bocca, né orecchie, quanto è negare il moto al vento perché
non ha gambe, e il mangiare al fuoco perché non ha denti, e il vedere a chi sta
in campagna perché non ha finestre da cui affacciarsi e all'aquila perché non
ha occhiali. La medesima sciocchezza indusse altri a credere che Dio abbia
certo corpo e occhi e mani». Inoltre C. ci parla anche delle primalità
del non-essere, presenti inevitabilmente nel mondo finito, che sono
l’Impotenza, l’Insipienza e l’Odio: solo in Dio, che è infinito, le primalità
dell'essere non sono contrastate dalle primalità del non-essere. A queste tre
primalità si contrappongono le potenze negative, che possono variamente
combinarsi alle primalità nell'ambito delle varie forme della magia, che è
l'insieme delle regole che vanno osservate per intervenire nella natura. Il
mago è il sapiente che scopre le relazioni esistenti tra le cose: «beato chi
legge nel libro della natura, e impara quello che le cose sono, da esso e non
dal proprio capriccio, e impara così l'arte e il governo divino, facendosi di
conseguenza, con la magia naturale, simile e unanime a Dio». La magia si
manifesta attraverso le sensazioni, che possono essere negative o positive:
sensazioni che l'uomo coglie, e che gli fanno capire di essere parte integrante
di un ordine universale; tuttavia, nonostante sia parte di questo ordine, può
opporsi a tale ordine, e se si oppone all'ordine universale la magia è
negativa, se invece si armonizza, ovvero cerca di seguire l'ordine universale,
allora la magia è positiva. La pubblicazione della Philosophia
sensibus demonstrata provocò scandalo nel convento di San Domenico: un
domenicano che non frequenta il convento e che rifiuta Aristotele e San Tommaso
per Telesio non può essere un buon cattolico. Anche se nessuna affermazione
eretica è contenuta nel libro, C. fu arrestato dalle guardie del nunzio
apostolico con l'accusa di pratiche demoniache. Non si conoscono gli atti del
processo ma è conservato il testo della sentenza, emessa in San Domenico,
contro «frater C. de Stilo provinciae Calabriae» dal padre provinciale di
Napoli, fra Erasmo Tizzano e da altri giudici domenicani. L'accusa di praticare
con il demonio e di aver pronunciato una frase irriverente contro l'uso delle
scomuniche vengono a cadere, ma resta quella di essere un telesiano, di non
tener conto dell'ortodossia filosofica d’AQUINO (si veda) e di essere stato per
mesi «in domibus saecolarium extra religionem»: dopo quasi un anno di carcere
già scontato, è allora sufficiente che reciti dei salmi e torni, entro otto
giorni, nel suo convento di Altomonte. C. si guardò bene dall'ubbidire
all'ordine del tribunale, che lo avrebbe costretto a rinunciare, a soli 24
anni, a un mondo di cultura nel quale egli era convinto di poter offrire un
contributo fondamentale. Così, munito di una lusinghiera lettera di presentazione
al granduca di Toscana, rilasciatagli dall'amico ed estimatore, il padre
provinciale di Calabria fra Polistena, C.
partì da Napoli alla volta di Firenze, con il suo carico di libri e
manoscritti, contando su di un posto di insegnante a Pisa o a Siena. La
prudente diffidenza di Ferdinando I, che non mancò di chiedere informazioni sul
suo conto al cardinale Del Monte, ottenendo una risposta negativa, spinse il 16
ottobre Campanella a lasciare Firenze per Bologna, dove l'Inquisizione, che lo
sorvegliava, per mezzo di due falsi frati gli rubò gli scritti che si portava
appresso, per poterli esaminare in cerca di prove a suo danno. Ai primi
del 1593 Campanella fu a Padova, ospite del convento di Sant'Agostino. Qui, tre
giorni dopo il suo arrivo, il Padre generale del convento venne nottetempo
sodomizzato da alcuni frati, senza che egli potesse identificarli, e perciò,
fra i tanti sospettati del grave abuso, anche il C. fu messo sotto inchiesta.
Non si sa se dall'inchiesta si passò a un processo che abbia visto imputato,
tra gli altri frati, anche C.: in ogni caso egli ne uscì innocente.
Rimase a Padova, probabilmente con la speranza di trovarvi lavoro; vi incontrò
Galileo e conobbe il medico e filosofo veneziano Andrea Chiocco. Ma il
Sant'Uffizio lo teneva ormai sotto osservazione: fu nuovamente arrestato. Fu
accusato di: aver scritto l'opuscolo De tribus impostoribusMosè, Gesù e
Maomettodiretto contro le tre religioni monoteiste, un libro della cui
esistenza allora si favoleggiava, ma che nessuno aveva mai letto; sostenere le
opinioni atee di Democrito, evidentemente un'accusa tratta dall'esame del suo
scritto De sensu rerum et magia, rubatogli a Bologna; essere oppositore della
dottrina e dell'istituzione della Chiesa; essere eretico; aver disputato su
questioni di fede con un giudaizzante, forse condividendone le tesi, e di non
averlo comunque denunciato; aver scritto un sonetto contro Cristo, il cui
autore sarebbe stato però, secondo Campanella, Pietro Aretino; possedere un
libro di geomanzia, che in effetti gli fu sequestrato al momento dell'arresto.
A Padova, in un primo tempo gli furono contestate solo le ultime tre accuse:
per estorcere le confessioni, Campanella e due imputati presunti
«giudaizzanti», Ottavio Longo, originario di Barletta, e Giovanni Battista
Clario, di Udine, medico dell'arciduca Carlo d'Asburgo, furono sottoposti a
tortura. Nel frattempo, dall'esame del suo De sensu rerum, fatto a Roma,
dovettero trarsi nuove imputazioni, che richiesero lo spostamento del processo
da Padova a Roma, dove infatti Campanella fu condotto e rinchiuso nel carcere
dell'Inquisizione, Per difendersi dalle nuove accuse di essere oppositore della
Chiesa, Campanella scrisse già nel carcere padovano un De monarchia
Christianorum, perduto, e il De regimine ecclesiae, ai quali fece seguito, nel
1595, per contestare l'accusa di intelligenza con i protestanti, il Dialogum
contra haereticos nostri temporis et cuisque saeculi e, a difesa
dell'ortodossia di Telesio e dei suoi seguaci, la Defensio Telesianorum ad
Sanctum Officium. La tortura cui fu sottoposto nell'aprile del 1595 segnò la
pratica conclusione del processo: il 16 maggio C. abiurava nella chiesa di
Santa Maria sopra Minerva e veniva confinato nel convento domenicano di Santa
Sabina, sul colle Aventino. Le disavventure giudiziarie di Campanella non
finirono però qui. Il 31 dicembre 1596 era stato liberato dal confino di Santa
Sabina e assegnato al convento di Santa Maria sopra Minerva; intanto, a Napoli,
un concittadino di C., condannato a morte per reati comuni, Scipione
Prestinace, prima di essere giustiziato, forse per ritardare l'esecuzione,
denunciava diversi suoi conterranei e il Campanella in particolare, accusandolo
di essere eretico: così, il 5 marzo, Campanella fu nuovamente
arrestato.[25] Non si conoscono i precisi contenuti della deposizione del
Prestinace né i dettagli del nuovo processo, che si concluse: nella sentenza,
Campanella fu assolto dalle imputazioni e, diffidato dallo scrivere, liberato
«sub cautione iuratoria de se representando toties quoties», finché, consegnato
ai suoi superiori, questi lo confinino in qualche convento «senza pericolo e
scandalo». In tutto questo periodo di tempo, il Campanella non era
certamente rimasto inoperoso nemmeno sotto l'aspetto della produzione
speculativa e letteraria: oltre agli scritti difensivi del De monarchia, del
Dialogo contro i Luterani e del De regimine, e ai Discorsi ai prìncipi
d'Italia, che è un tentativo di captatio benevolentiae all'indirizzo della
Spagna, giustificato dalla difficile situazione giudiziaria, scrisse l'Epilogo
magno, destinato a essere integrato nella successiva Philosophia realis, con il
Prodromus philosophiae instaurandae, l'Arte metrica, dedicata al compagno di
sventura Clario, la Poetica, dedicata al cardinale Cinzio Aldobrandini, e i
perduti Consultazione della repubblica Veneta, Syntagma de rei equestris
praestantia, De modo sciendi e Physiologia. Ai primi del 1598
Campanella prese la via di Napoli, dove si fermò diversi mesi, dando lezioni di
geografia, scrivendo le perdute Cosmographia e Encyclopaedia facilis e
terminando l'Epilogo Magno. In luglio s'imbarcò per la Calabria: sbarcato a
Piana di Sant'Eufemia, raggiunse Nicastro e di qui, il 15 agosto, Stilo, ospite
del convento domenicano di Santa Maria di Gesù. Per poco tempo il
Campanella rimase tranquillo in convento, dove scrisse il piccolo trattato De
predestinatione et reprobatione et auxiliis divinae gratiae, nel quale affermò
la dottrina cattolica del libero arbitrio. In un abbozzo dei suoi Articuli
prophetales, appare già l'attesa del nuovo secolo che gli sembra annunciato da
fenomeni straordinari: inondazioni del Po e del Tevere, allagamenti e terremoti
in Calabria, il passaggio di una cometa, profezie e coincidenze astrologiche.
Un nuovo mondo sembra alle porte, a sostituire il vecchio che in Calabria, ma
non solo, vedeva «i soprusi dei nobili, la depravazione del clero, le violenze
d'ogni specie la Santa Sede sanciva i soprusi e proteggeva i prepotenti. Il
clero minore, corrottissimo nei costumi, abusava ogni giorno più delle immunità
ecclesiastiche, e profanava in ogni modo il suo ufficio. Fazioni avverse
contendevano talvolta aspramente tra loro, e non poche lotte erano coronate da
omicidi e delitti d'ogni specie. Gruppi di frati si davano alla campagna, e,
forniti di comitive armate, agivano come banditi, senza che il governo
riuscisse a colpirli. I nobili e le famiglie private, dilaniate da inimicizie
ereditarie, tenevano agitato il paese con combattimenti incessanti tra fazioni l'estrema
severità delle leggi, che comminavano la pena di morte per moltissimi delitti
anche minimi la frequenza delle liti e delle contese, aumentavano in maniera
preoccupante il numero dei banditi». In tale situazione di degrado e
nell'illusione di un rivolgimento già scritto nelle stelle, Campanella
progettò, senza preoccuparsi di valutare realisticamente le possibilità di
realizzazione, la costituzione in Calabria di una repubblica ideale, comunistica
e insieme teocratica. Era necessario per questo cacciare gli Spagnoli,
ricorrendo anche all'aiuto dei Turchi: cominciò a predicare dai primi mesi del
1599 l'imminente ed epocale rivolgimento, intessendo nell'estate una fitta
trama di contatti con le poche decine di congiurati che aderirono a quella
fantastica impresa. Le autorità ebbero ben presto sentore del tentativo di
insurrezione e in agosto truppe spagnole intervennero a rafforzare i presidi.
Il 17 agosto Campanella fuggì dal convento di Stilo, nascondendosi prima a
Stignano, poi nel convento di Santa Maria di Titi; infine, nascosto in casa di
un amico, progettò di imbarcarsi da Roccella, ma venne tradito e consegnato il
6 settembre agli spagnoli. Incarcerato a Castelvetere, il 10 settembre firmò
una confessione nella quale faceva i nomi dei principali congiurati, negando
ogni sua partecipazione all'impresa. Ma le testimonianze dei suoi complici
erano concordi nell'indicarlo come capo della cospirazione. Trasferito a
Napoli insieme ai suoi compagni di avventura, Campanella fu rinchiuso in Castel
Nuovo. Avvenne il riconoscimento formale dell'accusato, descritto come «giovane
con barba nera, vestito di abiti civili, con cappello nero, casacca nera,
calzoni di cuoio e mantello di lana». Il Santo Uffizio non ottenne
dall'autorità spagnola che i religiosi imputatiCampanella e altri sette frati
domenicanifossero trasferiti a Roma e papa Clemente VIII, l'11 gennaio 1600,
nominò il nunzio a Napoli, Jacopo Aldobrandini e don Pedro de Vera, che fu
fatto ecclesiastico per l'occasione, giudici nel processo che si sarebbe tenuto
a Napoli. Ad essi venne aggiunto il 19 aprile il domenicano Alberto
Tragagliolo, vescovo di Termoli, già consultore nel primo processo, scelto dal
papa per trattare in modo favorevole Campanella, poiché Clemente VIII era,
anche se prudentemente, antispagnolo. C. era passato sotto la
giurisdizione del Sant'Uffizio, che nessun tribunale statale poteva violare,
nemmeno nei casi di lesa maestà. Ciò permise di ritardare la prevedibile
condanna a morte del frate. Durante il processo presieduto dal vescovo
Benedetto Mandina, Campanella, sotto tortura, riconobbe le proprie eresie e, in
quanto relapso, diventò passibile della pena capitale. La sua strategia di
difesa, disperata e rischiosissima, fu quella di fingersi pazzo, poiché un
eretico insano di mente non poteva essere messo a morte dal Sant'Uffizio.
I giudici, dubbiosi, lo sottoposero il 18 luglio, per un'ora, al supplizio
della corda per fargli confessare la simulazione, ma egli resistette,
rispondendo alle domande cantando o dicendo cose senza senso. L'accettazione da
parte dei giudici della pazzia avvenne il 4 e 5 giugno 1601, durante una
terribile seduta di tortura denominata "la veglia", che consistette
in 40 ore di corda alternata al cavalletto, con tre brevi interruzioni. La
resistenza morale e fisica di Campanella gli permise di superare la prova,
anche se rimase poi tra la vita e la morte per sei mesi.
Frontespizio della Metaphysica Trascorse 27 anni in prigione a Napoli.
Durante la prigionia scrisse le sue opere più importanti: La Monarchia di
Spagna (1600), Aforismi Politici (1601), Atheismus triumphatus, Quod
reminiscetur, Metaphysica, Theologia, e la sua opera più famosa, La città del
Sole, in cui vagheggiava l'instaurazione di una felice e pacifica repubblica
universale retta su principi di giustizia naturale. Egli addirittura intervenne
sul cosiddetto “primo processo a Galileo Galilei” con la sua coraggiosa
Apologia di Galileo (scritta nele pubblicata nel 1622). Fu infine
scarcerato nel 1626, grazie a Maffeo Barberini, arcivescovo di Nazareth a
Barletta, poi papa col nome di Urbano VIII, che personalmente intercedette
presso Filippo IV di Spagna. Campanella fu portato a Roma e tenuto per qualche
tempo presso il Sant'Uffizio; fu liberato definitivamente. Visse per V anni a
Roma, dove e il consigliere di Urbano VIII per le questioni astrologiche,
avendo con successo, secondo il Papa, impedito il verificarsi di profezie che
preannunciavano la sua morte imminente in occasione di due eclissi. Però,
una nuova cospirazione in Calabria, portata avanti da uno dei suoi seguaci, gli
procurò nuovi problemi. Con l'aiuto del cardinale Barberini e dell'ambasciatore
francese de Noailles, fuggì in Francia, dove e benevolmente ricevuto alla corte
di Luigi XIII. Protetto da Richelieu e finanziato dal re, vive al convento
parigino di Saint-Honoré. Il suo saggio e un poema che celebrava la nascita del
futuro Luigi XIV (Ecloga in portentosam Delphini nativitatem). Gli è
stato dedicato un asteroide, 4653 Tommaso. Il pensiero di C. prende
le mosse, in età giovanile, dalle conclusioni cui era giunto Bernardino
Telesio; egli si riallaccia quindi al naturalismo telesiano, sostenendo che la
natura vada conosciuta nei suoi propri principi, che sono tre: caldo, freddo e
materia. Essendo tutti gli esseri formati da questi tre elementi, allora gli
esseri della natura sono tutti dotati di sensibilità, in quanto la struttura
della natura è comune a tutti gli enti; quindi mentre Telesio aveva affermato
che anche i sassi possono conoscere, Campanella porta all'esasperazione questo
naturalismo, e sostiene che anche i sassi conoscono, perché nei sassi noi
ritroviamo questi tre principi, ovvero caldo, freddo e massa corporea
(materia). Il problema della conoscenza (e la rivalutazione dell'uomo) Il
naturalismo di Campanella, in conseguenza di ciò, comporta una teoria della
conoscenza essenzialmente sensistica: egli sosteneva infatti che tutta la
conoscenza è possibile solo grazie all'azione diretta o indiretta dei sensi, e
che Colombo aveva potuto scoprire l'America perché si era rifatto alla
sensazione, non di certo alla razionalità. La razionalità deriva dalla
sensazione: non esiste una conoscenza razionale intellettiva che non derivi da
quella sensitiva. Tuttavia C., a differenza di Telesio, cerca di rivalutare
l'uomo e pertanto afferma l'esistenza di due tipi di conoscenze: una innata,
una sorta di coscienza interiore, e una conoscenza esteriore, che si avvale dei
sensi. La prima è definita ‘sensus inditus', che è la conoscenza di sé, la
seconda ‘sensus additus' che è la conoscenza del mondo esterno. La conoscenza
del mondo esterno appartiene a tutti, anche agli animali; la conoscenza di sé,
invece, appartiene solo all'uomo, ed è la coscienza di essere un essere
pensante. Campanella si rifà ad Agostino d'Ippona, poiché afferma che noi
possiamo dubitare della conoscenza del mondo esterno, mentre non possiamo
dubitare della conoscenza di sé. Questo ‘sensus inditus' sarà poi il punto
essenziale della filosofia cartesiana, che si basa sul ‘cogito': io penso
quindi esisto (cogito ergo sum). La religione e la politica In base a
queste premesse, Campanella si sofferma sulla religione che egli distingue in
due tipologie: una religione naturale e religioni positive. La religione
naturale è una religione che rispetta l'ordine universale dell'universo stesso;
le religioni positive sono invece religioni che vengono imposte dallo stato.
Campanella afferma però che il cristianesimo è l'unica religione positiva,
poiché è imposto dallo stato, ma al contempo coincide con l'ordine naturale
(cui però aggiunge il valore della rivelazione). Tuttavia anche questa teoria
della religione razionale contrastava con i dogmi della Chiesa della Controriforma.
Egli sostenne, del resto, la superiorità del potere temporale su quello
spirituale, individuando poi il potere supremo, di volta in volta, nella Spagna
e poi nella Francia, a seconda di convenienze politiche e personali. La
città del Sole Magnifying glass icon mgx2.svg La città del Sole. Civitas
Solis Campanella fu autore anche di un'importante opera di carattere utopico,
ovvero La città del Sole. Nella Città del Sole egli descrive una città ideale,
utopica, governata dal Metafisico, un re-sacerdote volto al culto del Dio Sole,
un dio laico proprio di una religione naturale, di cui C. stesso è sostenitore,
pur presupponendo razionalmente che coincida con la religione cristiana. Questo
re-sacerdote si avvale di tre assistenti, rappresentanti le tre primalità su
cui si incentra la metafisica campanelliana: Potenza, Sapienza e Amore. In
questa città vige la comunione dei beni e la comunione delle donne. Nel
delineare la sua concezione collettivista della società, Campanella si rifà a
Platone (V secolo a.C.) e all'Utopia di Moro. Fra gli antecedenti dell'utopismo
campanelliano è da annoverare anche La nuova Atlantide di Francesco Bacone.
L'utopismo partiva dal presupposto che, poiché non si poteva realizzare un
modello di Stato che rispecchiasse la giustizia e l'uguaglianza, allora questo
Stato si ipotizzava, come aveva fatto a suo tempo Platone. È però importante
sottolineare che, mentre Campanella tratta una realtà utopistica, Niccolò
Machiavelli rappresenta la realtà concretamente, e la sua concezione dello
Stato non è affatto utopistica, ma assume una valenza di metodo di governo,
finalizzato ad ottenere e mantenere stabilmente il potere.
Interpretazioni storiografiche del pensiero politico L'incertezza è già
evidente nell'interpretazione della critica idealistica, che, nei limiti di una
conoscenza ancora incompleta dell'opera, coglie nel pensiero campanelliano un
deciso orientamento in direzione del moderno immanentismo, contaminato tuttavia
da residui del passato e della tradizione cristiana e medioevale. Per
Silvio Spaventa, Campanella è il "filosofo della restaurazione
cattolica", in quanto la stessa proposizione che la ragione domina il
mondo, è inficiata dalla convinzione che essa risieda unicamente nel papato.
Non molto dissimile la lettura di Francesco de Sanctis: "Il quadro è
vecchio, ma lo spirito è nuovo. Perché Campanella è un riformatore, vuole il
papa sovrano, ma vuole che il sovrano sia ragione non solo di nome ma di fatto,
perché la ragione governa il mondo". È la ragione che determina e giustifica
i mutamenti politici, e questi ultimi "sono vani se non hanno per base
l'istruzione e la felicità delle classi più numerose". Tutto ciò conduce
Campanella, secondo il pensiero idealista, alla concezione di un moderno
immanentismo. Opere Aforismi politici, A. Cesaro, Guida, Napoli An
monarchia Hispanorum sit in augmento, vel in statu, vel in decremento, L.
Amabile, Morano, Napoli Antiveneti, L. Firpo, Olschki, Firenze; Apologeticum ad
Bellarminum, G. Ernst, in «Rivista di storia della filosofia», Apologeticus ad
libellum ‘De siderali fato vitando’, L. Amabile, Morano, Napoli 1887
Apologeticus in controversia de concepitone beatae Virginis, A. Langella,
L'Epos, Palermo 2004 Apologia pro Galileo, Michel-Pierre Lerner. Pisa, Scuola
Normale Superiore, Apologia pro Scholis Piis, L. Volpicelli, Giuntine-Sansoni,
Firenze 1960 Articoli prophetales, G. Ernst, La Nuova Italia, Firenze; Astrologicorum
libri VII, Francofurti 1630 L'ateismo trionfato, ovvero riconoscimento
filosofico della religione universale contra l'antichristianesimo
macchiavellesco, G. Ernst, Edizioni della Normale, Pisa; De aulichorum technis,
G. Ernst, in «Bruniana e Campanelliana», II, 1996 Avvertimento al re di
Francia, al re di Spagna e al sommo pontefice, L. Amabile, Morano, Napoli 1887
Calculus nativitatis domini Philiberti Vernati, L. Firpo, in Atti della R.
Accademia delle Scienze di Torino, 74, 1938-1939 Censure sopra il libro del
Padre Mostro [Niccolò Riccardi]. Proemio e Tavola delle censure, L. Amabile,
Morano, Napoli; Censure sopra il libro del Padre Mostro: «Ragionamenti sopra le
litanie di nostra Signora», A. Terminelli, Edizioni Monfortane, Roma 1998
Chiroscopia, G. Ernst, in «Bruniana e Campanelliana», I, 1995 La città del
Sole, L. Firpo, Laterza, Roma-Bari Commentaria super poematibus Urbani VIII,
codd. Barb. Lat.; Biblioteca Vaticana Compendiolum physiologiae tyronibus
recitandum, cod. Barb. Lat. 217, Biblioteca Vaticana Compendium de rerum natura
o Prodromus philosophiae instaurandae, FrancofurtiCompendium veritatis
catholicae de praedestinatione, L. Firpo, Olschki, Firenze 1951 Consultationes
aphoristicae gerendae rei praesentis temporis cum Austriacis ac Italis, L.
Firpo, Olschki, Firenze 1951 Defensio libri sui 'De sensu rerum', apud L.
Boullanget, Parisiis 1636 Dialogo politico contro Luterani, Calvinisti e altri
eretici, D. Ciampoli, Carabba, Lanciano 1911 Dialogo politico tra un Veneziano,
Spagnolo e Francese, L. Amabile, Morano, Napoli 1887 Discorsi ai principi
d'Italia, L. Firpo, Chiantore, Torino 1945 Discorsi della libertà e della
felice soggezione allo Stato ecclesiastico, L. Firpo, s.e., Torino Discorsi
universali del governo ecclesiastico, L. Firpo, POMBA, Torino Disputatio contra
murmurantes in bullas ss. Pontificum adversus iudiciarios, apud T. Dubray, Parisiis
Disputatio in prologum instauratarum scientiarum, R. Amerio, SEI, Torino 1953
Documenta ad Gallorum nationem, L. Firpo, Olschki, Firenze Epilogo Magno, C.
Ottaviano, R. Accademia d'Italia, Roma 1939 Expositio super cap. IX epistulae
sancti Pauli ad Romanos, apud T. Dubray, Parisiis 1636 Index commentariorum Fr.
T. Campanellae, L. Firpo, in «Rivista di storia della filosofia», II, 1947
Lettere 1595-1638, G. Ernst, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali,
Pisa-Roma; Lista dell'opere di C. distinte in tomi nove, L. Firpo, in «Rivista
di storia della filosofia», II, 1947 Medicinalium libri VII, ex officina I.
Phillehotte, sumptibus I. Caffinet F. Plaignard, Lugduni 1635 Metafisica,
Giovanni Di Napoli, (brani scelti del testo latino e traduzione italiana, 3
volumi), Bologna, Zanichelli 1967 Metafisica. Universalis philosophiae seu
metaphysicarum rerum iuxta propria dogmata. Liber 1ºPonzio, Levante, Bari 1994
Metafisica. Universalis philosophiae seu metaphysicarum rerum iuxta propria
dogmata. Liber 14º, T. Rinaldi, Levante, Bari 2000 Monarchia Messiae, L. Firpo,
Bottega d'Erasmo, Torino 1960 Philosophia rationalis, apud I. Dubray, Parisiis
1638 (comprende Logicorum libri tres) Philosophia realis, ex typographia D.
Houssaye, Parisiis 1637 Philosophia sensibus demonstrata, L. De Franco,
Vivarium, Napoli 1992 Le poesie, F. Giancotti, Einaudi, Torino; Poetica, L.
Firpo, Mondatori, Milano 1954 De praecedentia, presertim religiosorum, M.
Miele, in «Archivum Fratrum Praedicatorum», LII, 1982 De praedestinatione et
reprobatione et auxiliis divinae gratiae cento Thomisticus, apud I. Dubray,
Parisiis 1636 Quod reminiscentur et convertentur ad Dominum universi fines
terrae, R. Amerio, MILANI, Padova 1939 (L. I-II), Olschki, Firenze; Del senso
delle cose e della magia, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003 De libris propriis
et recta ratione. Studendi syntagma, A. Brissoni, Rubbettino, Soveria Mannelli
1996 Theologia, L. I-XXX, Libro Primo, Edizione Romano Amerio, Vita e Pensiero,
Milano, 1936. Scelta di alcune poesie filosoficheChoix de quelques poésies
philosophiques, Edizione Marco Albertazzi, Traduzione francese di Franc Ducros,
La Finestra editrice, Lavis Campanella
nel cinema La città del sole, regia di Gianni Ameliol A. Casadei, M. Santagati,
Manuale di letteratura italiana medievale e moderna, Laterza, Roma-Bari; Firpo,
C. «Dizionario biografico degli Italiani», Roma 1974: «Non hanno fondamento le
asserzioni ricorrenti, attizzate da un patetico campanilismo, che lo vorrebbero
nato nel vicino comune di Stignano». Nel Novecento nacque una disputa
campanilistica tra il comune di Stilo e quello di Stignano, che rivendica di
aver dato i natali al filosofo calabrese e indica nel proprio territorio la
presunta casa natale di Campanella In
Luigi Firpo, I processi di C., Roma; In Opere di Tommaso Campanella, Alessandro
d'Ancona, Torino 185412. Un decreto del 16 maggio 1968 ad opera del Ministero
della Pubblica Istruzione Caleffi fissa la casa natale di Tommaso Campanella
nell'attuale Comune di Stignano, al tempo casale del vastissimo territorio di
Stilo, adducendo a prova del fatto l'archivio provinciale di Napoli. La
differente indicazione del cognome della madre, Basile e Martello, fa ritenere
che quest'ultimo sia un soprannome Massimo
Baldini,Nota biobibliografica, in T. Campanella, La Città del Sole, Newton
Compton, Roma; C. Syntagma de libris propriis et recta ratione studendi, I Germana Ernst, Tommaso Campanella: The Book
and the Body of Nature; Springer Netherlands,.
Gli amici Giovanni Francesco Branca, medico di Castrovillari, e Rogliano
da Rogiano, entrambi telesiani, gli segnalarono il libro dell'aristotelico
Marta, il Propugnaculum Arìstotelis adversus principia B. Telesii, Roma; Philosophia
sensibus demonstrata, impressum Neapoli per Horativm Salvianum 1591 Il libro è andato perduto T. Campanella, Syntagma de libris propris14 John M. Headley, Tommaso Campanella and the
Transformation of the World, Princeton
University Press, 1997. T. Campanella,
De sensu rerum et magia, II, 26
Pubblicata da Vincenzo Spampanato in Vita di Giordano Bruno, Messina; Il
cardinale rispose che l'inquisitore fra Vincenzo da Montesanto gli aveva
riferito che del Campanella «si rivedono molti libri pieni [...] di leggerezza
e vanitade, e [...] ancora non sono chiari se vi sia cosa che appartenghi alla
religione»; cfr: lettera del Del Monte a Ferdinando I del 25 settembre 1592 in
Archivio di Stato di Firenze, Mediceo, f. 3759
La vicenda di questo sequestro, simulato con il furto, è esaminata da
Luigi Firpo, Appunti campanelliani, in «Giornale critico della filosofia
italiana», XXI, 1940 Non vi sono
documenti relativi a quell'episodio, essendone unica fonte lo stesso Campanella
in due sue tarde lettere, a papa Paolo V il 12 aprile 1607 e a Kaspar Schoppe
il 1º giugno dello stesso anno, nelle quali Campanella sottolinea la sua
innocenza senza entrare in dettagli.
Campanella, lettera a Kaspar Schoppe del 1º giugno 1607: «accusarunt me
quod composuerim librum de tribus impostoribus, qui tamen invenitur typis
excusis annos triginta ante ortum meum ex utero matri». Due libri di simile contenuto furono scritti
soltanto alla fine del Seicento e ai primi del Settecento. Campanella, ivi: «quod sentirem cum Democrito,
quando ego iam contra Democritum libros edideram». Ibidem: «quod de ecclesiae republica et
doctrina male sentirem». Ibidem: «quod
sim haereticus». Campanella, lettera al
papa del 12 aprile 1607: «Primo ex dicto unius judaizantis molestatus». Il
giudaizzante dovrebbe essere un certo Ottavio Longo da Barletta, anch'egli
arrestato a Padova e processato a Roma.
Ibidem: «secundo ob rythmum impium Aretini non meum». «Lecta depositione Scipionis Prestinacis de
Stylo, Squillacensis Diocesis, facta in Curia archiepiscopali Neapolitana,
Illustrissimi et Reverendissimi Domini Cardinales generales Inquisitionis
praefatae mandaverunt dictum fratrem Thomam reduci ad carceres dictae Sanctae
Inquisitionis», in L. Firpo, I processi di Tommaso Campanella88 C. Dentice di Accadia, Tommaso
Campanella, Opere Tommaso Campanella,
Apologia pro Galileo, Frankfurt am Main, Gottfried Tampach, 1622. Tommaso
Campanella, Metaphysica, 1, Paris, 1638.
Tommaso Campanella, Metaphysica, 2,
Paris, 1638. Tommaso Campanella, Metaphysica,
3, Paris, 1638. Tommaso Campanella, Poesie, Bari, Laterza; C.,
Medicinalium libri, Lugduni, ex officina Ioannis Pillehotte: sumptibus Ioannis
Caffin, & Francisci Plaignard, 1635. Delle virtù e dei vizi in particolare,
testo critico e traduzione Romano Amerio, Ed. Centro internazionale di studi
umanistici, Roma, 1978 Studi Luigi Amabile, Fra Tommaso Campanella, la sua
congiura, i suoi processi e la sua pazzia, 3 voll., Morano, Napoli (ristampa anastatica, Franco Pancallo
Editore, Locri 2009). ID., L'andata di Fra Tommaso Campanella a Roma dopo la
lunga prigionia di Napoli, Memoria letta all'Accademia Reale di Scienze Morali
e Politiche, Tipografia della Regia Università, Napoli 1886 (ristampa
anastatica, Franco Pancallo Editore, Locri 2009). ID., Fra Tommaso Campanella
ne' castelli di Napoli, in Roma ed in Parigi, 2 voll., Morano, Napoli Giuliano
F. Commito, IUXTA PROPRIA PRINCIPIA Libertà e giustizia nell'assolutismo
moderno. Tra realismo e utopia, Aracne, Roma; Cunsolo, Tommaso Campanella nella
storia e nel pensiero moderno: la sua congiura giudicata dagli storici Pietro
Giannone e Carlo Botta, Officina F.lli Passerini e C., Prato 1906. Rodolfo De
Mattei, La politica di Campanella, ARE, Roma 1928. ID., Studi campanelliani,
Sansoni, Firenze Francisco Elías de Tejada, Napoli spagnola, IV, cap. II, Tommaso Campanella astrologo e
filosofo, Controcorrente, Napoli. Luigi Firpo, Ricerche campanelliane, Sansoni,
Firenze 1947. ID., I processi di Tommaso Campanella, Salerno, Roma Antonio
Corsano, Tommaso Campanella, Laterza, Bari 1961. Mario Squillace, Vita eroica
di Tommaso Campanella, Roma; Pizzarelli, Tommaso Campanella (1568-1639), Nuove
Edizioni Barbaro, Delianuova 1981. Donato Sperduto, L'imitazione dell'eterno.
Implicazioni etiche della concezione del tempo immagine dell'eternità da
Platone a Campanella, Schena, Fasano 1998. Nicola Badaloni, Germana Ernst,
Tommaso Campanella, Istituto Poligrafico dello Stato, Roma 1999. Silvia Zoppi
Garampi, Tommaso Campanella. Il progetto del sapere universale, Vivarium,
Napoli 1999. Germana Ernst, Tommaso Campanella, Laterza, Roma-Bari ID., Il carcere,
il politico, il profeta. Saggi su Tommaso Campanella, Istituti Editoriali e
Poligrafici, Pisa-Roma 2002. Antimo Cesaro, La politica come scienza. Questioni
di filosofia giuridica nel pensiero di Tommaso Campanella, Franco Angeli,
Milano 2003. Vincenzo Rizzuto, L'avventura di Tommaso campanella tra vecchio e
nuovo mondo, Brenner, Cosenza 2004. Arnaldo Di Benedetto, Notizie
campanelliane: sul luogo di stampa della «Scelta d'alcune Poesie filosofiche»,
in Poesia e comportamento. Da Lorenzo il Magnifico a Campanella, Alessandria,
Edizioni dell'Orso, 2005 (II edizione),
185–89. Germana Ernst e Caterina Fiorani, Laboratorio Campanella:
biografia, contesti, iniziative in corso, Roma, L'Erma di Bretschneider, 2007.
Ylenia Fiorenza, Quel folle d'un saggio, Tommaso Campanella, l'impeto di un
filosofo poeta, Napoli, Città del Sole; Gatti, Il gran libro del mondo nella
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Gambino, Vita di Tommaso Campanella, Reggio Calabria, Città del Sole Edizioni,
Saverio Ricci, Campanella (Apocalisse e governo universale), Roma, Salerno
Editrice,. Luca Addante, Tommaso Campanella. Il filosofo immaginato,
interpretato, falsato, Roma-Bari, Laterza,.
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cosentinaVallata dello Stilaro Ermetisti italianiAforisti italianiItaliani
emigrati in Francia. CAMPANELLA STYtL. ORD. PRED. PHILOSOPHI RATIONALIS PARTES
V Videlicct: GRAMMATICA DIALECTICA RHETORICA POETICA HISTORIOGRAPHIA iuxta
propria principia. S V ORVM OPERVM PARISIIS apud BRAY, via lacobHi, sub
Spicis Maturis. iZMtn Pmilfgh Rfgis. ILLVSTRISSIMO y /tAIOyB'
EXCELLENTISSIMO D FRANCISCO COMITI DE NOAILLES; vt nuf uc
Ordinis Rcgij £quici Torquato Rhutcnorum ac Supcrioris Anierhias trx^
fcdto, Regi/c]uc Chriftianifliuii, apud Summum Ponuticcm Oiatori. £
TI LLVSTRJSSJM0 C Ji EFERE2SSIMO V. CAR. DENOAILLES. EPISCOPO
SANFLORENSI; intcrioris Consilii Regii McflbrisFia^us. optinui , mci
fcxuatorjbus» S. P. £ natitudinif ita me liht dcmncit, Excellcnci|fimcComc,
vr ntm ftaihmeus, effi Jeieam 4tft€ velim, Et cum tumm era 'JidQtm
manitumm tiK ucQM€nfar€ necmejun uekm; hocmihireJldt (ptod pofpmt Muft yVtnuUis
temporibus teflimonium Vmutumac meritorum tuorum tdceatur-i fmllaque
obliuione dcleantur, Libertatem, honorem, vi- Mm tibideheo Cum enim
jynagd Potentium [non Deum neejuejusy nequefaSyVerentes yfed venantes
gratiam faljts ha- inisfatffijuevenabuHs a Catholico "Rege ypofquam
in pri^ maperfecutione mc innocentem perDf^cem Alb^t
declaraue- T/ttytanquam iterum :(elantes pro Regno ipfns, ijuo
poffcnt Regno ipfus longo tempore ad diuitias cjT* honores laruatos
comparandum ahuti ] perque Vim perque dolos , in partem frada inuidis
falfs etiam fratribus illeflis , dum moror in Ciuitatefan{}a y
conarentttrinnocentiftmumadnecem traherr Th (G cncf o(c Heros) mcy cjuem tota
fere Romayfum- mufq; Pontifex fcicnttjs & xirtuiibus cunitis nedum
iujhtid omatiffmusy innocentidCHftoSyfapieim amator diljif ejfent a
violentia infdijs pojfetueriy incolumem feruajli: ecum explorarenthoftes
me intuis edibus refugientemy tu illoruehi debas interea technaSjdum tuo
curru noflu fub altma veftc per 4tli} portam veilum y tuifji literls ad
Principes & Confules, obuios futuros commendatUy ad Chriftutnifiimii
\fqy Regem ifjnocentum Refugium, FILOSOFI ac piorum hominum
Tutelam,Mep:e Regis Regum brachium y nauis Pctri facra aochoram, me
tranfmitrerei. Mon fufticit Calamus animi. m robur,fagacitatem,
induftriam , c!T infignia in hoc euen eufaflay diaue describere. Jd illustrissimum
ac reverendissimum Eptfcopum Sanflorenfem ParifioSy te iubenteytan-
(femapplicui.Vtztctefttuus ideftfctizkct tUfuxta Gellij £thimologiam
natura legem, ideoprorfus \t tu mihi af- juit, J^m c ad te
Jemomeus^magnamme Carolejqui humani simere€fpifiimeperegririantm,refodH lajfum
& ft nedefunilwn ad vitam rtuocafh^ O* tandem inuiciifsim» Re^j
regijsfaumbuscwmldM&f meexhihmfiu Imem fAi ^iddefterate G allorum
hijlorici narrant ^ & Poetacanunt spes QhriJlianAreipuhlica
prafumitexfc[}atq\, Vmo ftutus a miftriss eSr fecurus a calumnijs, ratias Deo
ty lemenrifsimo Re^ ac Mmijlris heroicif , nempe fratribid nobuf
imis Noalhjs. Haud efude audco Antiptis fufsim DoBtfsmicmfofitosmof€sac Prafiamiamenarrare,
uam [drJkoma(Sr GdUiaadmrantur, & quos euulgauitlibros de I mpmo
iufli & de Triumpho Virtutts, eruditione ac fapicntia j?!enos ,
')4?ijue iffum lofige maps, ^i^mmtifarum pofftt Chtnms praJkcant.
Cenerefi Comiiis iam Mcerelaudes yereor^cumnecflylns Jicpar, ac perfein
hijhrtis commenden- tur; a fuperiortbusemmfecuiss prafulfere. Ncfie
enimre' censffigloria \/efiraJed ah,exarJio RegniFrancorif fflendebat.
Jftabanno mmfimo pofi Chriftum natum certa fcrie fofi guitrandum, qm
primus cognommatus efi de Noailles fijue ad nefira tenfora immmeri de Veftra
frofapia cwh 4mnerantm htnes , fiorum alij cum Dom m j^uitania
fr^dpue.tum forisin ifiavna cum Ludouico Kege fan^o fugnando contra
Saracenos fortiter ohierunt i <Jr in Ita^ Md,in Anglia,
Poloma^Thracia, totum queadeo ftri Or. ftmtefTarnm^hononfieentifsimis
legationtbus perui ati eaiu JocistUis pro patria perfecere fuaicam ueRefflus
(jollis 9Uh tmerunt opera fidelem fed sdamjut, vr femfn' meruerint Ismdmahonii
&akipfit^i^mmultisd Jnterauoseminet magnus ille tuus jintonins fatuor
Pegi^ ins acumAMli^M^ Cuitjs cor liurdcgfiLut 1 henefafla,
tenet honorijicc: corpus Noaillia, Omino que in bello TerraMartqy iidem
pr^clara j^elJirut OmictoQatba logum hcroum atque geflorum & dtgnitatum
perpetua fcrie Jpendentium fwniamtna modeflia alionim forjan inui. diamihimirificamnarr
itionemahradere iufsityc^uoniam for^ taJfenecUtidihtis augeri, nec
ohtrcfldtlombns veflra minui foteflgloria, renio ad te nohihfsime
Comesxujus virtus helli' caapud RHpcllamaduerfusJnglosenituit & in
MonteaU bano dum oppugnatur Virtute Regis, corufcauit; & qu4
apud Taurinos comtra Hispanos hofles egerisy hifloria non tacet; trtres
inclytifltj tui nuncimitantur. Moxautem in legatione Romana tanta prudentia te
gefsifli, Vf summo pontijici et Romanis Principibus carus, ratufquc
femper effes , ac ftmul Regi tuo fidelifimus \?tihfsimufiji4e ; ^u^ duo
Vix coife in Orator.bus cxteris pojfe \ndtmt(f. Ex hoc jper
prouidentiam Deifalusmeaaffulftt: & cum feruator definls non
defiturusy ConferuatorCarolus frater tuMme Partfisrecepit. Ex hoc
debitum perenniterlaudandi Voj, Praclarissimi fratres, animi et corporis
fuhHmitate antijuorum Oallorum prdfluntiam redolentes, inmere fuhat: cumque
non possim perenniter cum fim/nortaitSy vos immortalitati erbi aterni
committere flu- deo, Sciefitiarii omnium reformatarum per meinergafluhsnu-
tu Dei , qui est FILOSOFIA RAZIONALE,J}>len- dor Rationis diuin^,
tcfle Jugufl. \eflro nomini confecro. Ef^ ' tn hoc volumine GRAMMATICA
NON VULGARIS SED PHILOSOPHICA, continens semina scientiarum et nationum sermocinia
et modum grammaticandi secundum naturam et artem. Hanc Jemanibus sophiflarum
nugacium liberatamytibi Liberatori t ue Orarm^r^flantifsimo^dedtco. jidiacetilh
Lo^ic non imehuntuYy dd dircSHonem cognoscima fictihans human£
inftdurata. Hmc dddidi Rhetoricam j & Poeticamyjuas in
froftilfulofueatascm/fiecittiSyi Mufas duxi, Tandem apponitur
JF/tftorioffraphia , atf Adulatonhus Qfmhus Lofjuacihs denigratdj nunc infmm
reJHtutd pmtaictniytfuEgode vefbm nmim diccn nonMli ui
fejuenturimelligantl^oalUos meos hacmethodo effe dicen" das. Sufcif
ttecrgoeo quo exhihentMrammQ ( Pr^ftantifsimi JDofmnf ) non ingratumfortc
namm nmit^atiferuiveflri, edijue, qua foletit me hcnendentia htmmsre s
inquo C. mea per totum Orhem veftram teftiftcetur henefiden^ tiam, inque
\eftram refonet mam yaktc. Pari/iis : Jic i;. Mairttj X Commiflicne RcuerendiiEini Pacris
Fracfis Nicolii Roduifij S. A- Magiftri» & tocuu Ocdinisnoflffi
dicacoium Vicaril Gcncralis Apodoiici » vidi Tomum primum opcium R. P. M.
N E iti€ , noftn Ordinis, Complcdcntem Grammaticam, Logicam, Rhetoricam,
rocfmi. t?c Hirtoriographiam, nihil
. iii co concra Cacholicam Fidem miicni > imo omnia luo Aucore
digna, ic quamplurinia ad Theofogiam capcrtcndam cllc iudicaui.
Qpapto- - ptcfojanupropria merubrcripri iuc dic 7. Nouciob. iV.
Am^ninui CtUiuJ^ S, The^Ugtd MCPhiUfcphid Ze^«r,» mm«t CtU^ij 5. ntmuti
S, M, fimdentium Alfli ifler* imfrimMiurJi videhiitur Reucrendt^tw
/» M.S^ F^lMiijj, Iybcnttf Rcuer. P. Nicolao Riccardo» fac, Pal.
Apoll. Magiftro 'pcimum volumcnopcium R. P. Mag. C. Ord. . Prard.
Granimatica, Logica, Rcthotici,Pbl:i!>& Hiftoriographia co«.
cextam,non minorc diligencia quam volaprateperlcgt : nintlc]ue quod 1
Catholicam Iqdac Fidcm, aot Chri(Hanosoncndac mores occui nc; qjiare
pubiicis dignum typis conftanter aflcacro , qub duicifonaB^ htlius
Campanulae minficus tinnitus r.homnium auribus lladioforum. i cxaudiacur.
In fidcm &'c. Datum Komx m Collcgioiandb Bon^:. ucncuixdic 10,
Augufti. frdTiciicHi Jlfitortiui n fanflc Seu. OrJ, A^in. Ccft, Celie^if
S^.Bonaneniurd in vrhe Regcm e^ l^elior. EG O Fr. Vinccntius
Bartolus et c» Thcolog. Magifter
Ord.Pr2d. Vifis fupradidlis atccftationibus,
conccdofacultatcmcvordine& commiflionc R^uercndiflimi P. F. Nicolai
RodiilHj nollri Ord. Gen. Magiftri, R.P. M- F. C., eiufdem Ordinis:
Vt librum atticulacuiii RAZIONALE FILOSOFIA partcscjuinque, typis mandare poflit. In
quorum fidem ins meo figillo munitls manum propciam apporm. Datum Romxin
Conucntu S. M. fupcr Mi^ n^am. Dic 14- Augufti i(»5o.' Locus
iigilli, fr. l^mimiBmtht^ ^mptfAmmn prepris^. 1 Ji^ R 1 M A T V Fr.
Ni^Uuu RitCArdins. , facri. C. FILOSOFIA RAZIONALE GRAMMATICALIVM III PARIS
Apud BRAY, via lacobii; fub Spicis Maturis. M. DC. XXXVIII. Qm
Primlegio Regis. P^G.verp vltimo.tx iijtge.&c, Pdg.^o. verf. y
difbioncs diftin- giiitur , /<r^f> didbioiies noadiftmgauar. P4i.
91. vfr/l6.pcrci,/f^r, . pcc t», Pag. 6i.verf. 14.. ficu:. /f^^ lanc.
Va^. 5. ver/: 10. vccebimjc. P4. 51. w//: aires, /f; .ai rci. Z»-*. 89-
^'^f- vifi'»»"», amitiim /<x<r. amatu. P4g 60. pjlt t^^r/: u.
pm*tur. Noundum : quod potclUs impcrarijaeftquudoloa iicurnuior, qua
maioccm, vc fdc atltros /.1- fidejs. Sei eadem vox clt ieprccatiuaicum
minoc ad maio;cm, vc fal- fium me fac Dem. Cumad xqaalcm, est confulciua
auc hortatiua, vf fugecrMest:r -4t. Et maior cnim induic voccmx qualis, &
miuoiisA- c conuccfo pcr accidcns. Correftio erratorum in
Logica. F.ig.i. verf. 31. faOum, legf fradum. Pag.. verf, 14. voccJi^^*
TOCCt. f>4g. 8. verf 4. quid/^^*quod. p4g. 11. verf 2. vt lege aut.
f-i^- 14. vfr/: 8. intcricdliouc, mtcrcaronits.-A-ff-"»' -
cxprcfTa, /f^r cxpretr.Ti. /« e»Jem verf. i3. fy nchailiegoricus , /',^f
ryncacheeor«mati(;us. P^p-. i^, wr/: 17. dcno^iijiaius^^^ djm^A4 4. VfT/.
II. vfr/i#, ouAas, lege gutcas. CorreHio Erratorttm in Toetica. 4 F4r.h. t/^r/:io.rerum./f^*
vcrum. pag.^o.verf. ij fimplici vc nutije^e fimpUci iccuiu.i. vuum. In
e^dem verf. ic^. fic^u coucca, lejre ficuci e concra. tmiUem verf. ^6.
profundit,/ pcrfundic. pag.ou »t/:}o.dcuncioncm,/tfr <Jcuocioncm.
f^j;. 4?. wr/. 5. fomctco, /rg:*- folo mctro, fdg, ^s.verf: 10.
quanciimquc , legt (^uam^um^quc. C/r<rr4 difcrettom LcP.orm
commmmuf.Se Grammatica iii commttni. Definicio Grammadcx.
GrammatiC4 efi ars inSirHmentaUs T^oluU hu^ mana congtHiy
rationahilitet fir/jplickcr ^ •* dic£ndi,atqtic confcqucnter
fcnhcndi^ . legendi ^mdcfuid animo "^ua^ CHnquc noHtia
pcrc€f>imus.IciTVR Ars infnmentalh t\ Tuo gencre^ica &Hino'riogr3phu,
quaroninesluntarics \ki}^ yjf^nicchanicae,rcd fpcculatiusttai
inftrumcn. IX^-^. 4^^/ \{ taiej qiioniam non pcr fc, fcd proptcr
princi- palcs, & proprcraWud funt. Plato ir. Cratilo.dixit,
l^mtmeft infirmwtm mdi^ {uifioKti^ Xoucigo QranMika
1 ^rdmmitknUtiih in (lrumcntunicft, vt fuae partcs. l>ici\.\xx^politit
huHiani^zi, differentiani proedi£lariimartium: nam Logicac (ltn(lrumcn«
tum Mctaphyfici : Rhctorica & Poctica sunt instrumcn- ca Leginjtoris. Grammatica
vero totius communitatis him injr. Siqa idem naturale cClcunclis animantibus in
societate viuentibus ci, qui concipiuncanimo, SIGNIFICARE conui. ifennbus, per mutua officia
copulatis sive propter bonum proprium, fiucahcnum, sive commune proptcrei
fadazfunc voces et orationes, htcrarque vocum particula?, ad exprimendum orc
vel scripto qujc proferri opuscrunt. Grammatica ergo naturalis est hominis,
quatenus poeticus est, anificiahs insuper quatenus voces et orationes ad tcdum
vium confidcrar. Dicitur grammatica esse ars dicendi. Dicimu«
cnrm {'^ ./ quidquid animo concipimus. Etquia illud idctu
fertbimTT5,-a<rcttrunf^ie5 qula legimus scriptum, ponendum est *ct
Atquoniam potest cfl"c grammaticus, qui ncfLit fcnbcrcncc legere, ut excus,
videtur Grammatic; i est c instrumentum dicendi per cflfentiam A
fcibcndi&le gcndiconfcq Mcntcr&ad vfimi. Dicitur congruf propter
concordiam partium orationis t 6c ratiinahiliter ad differentia sermonrs
ac brutorum rautu A f colloquentium naturaliter, iicmadd: £fcrcntiampcritui.
Gramaticorum i vulgari forma. Additur simplicitert iterum ad differentiam rhetorica
et poetica, qaa: ad humanam etiam politiam pertincni sed addunt
figurationcs sii per simplicem sermonem, S\}bdit\ir yqrridcjuid animo
quacumque NOTITIA VEL SIGNUM percepimf, ad difterentiam Hulorio graphite,
qiiac iupponit GrammaticS loquentem dcomnibus et habet proobiedo solum a^ia
& di^a notabiliVx^c natura fjiucpohtia Grammatica vctp omnem fcrraoncm,
sive famih'arem, fiuc epistolarum, sive historicum jfiuc scientificum, rc(f\ificatad
congruitaicm naturalem et artificialem, vt insii patebit. Pritr jc ergo notiones
vocabulis et oratione grammaticali notificant ut : fcicn* tiasvcr6
Loeicafi deindc fcrmonctra«^lamus.la grammaatica ergo cominentur semina scientiarum.
\ o ; cnim aliqi;id taciunt lcirc vulgari modo dc Cim£lis rc- %
& cx his^qua: voce significanius ad scicntias altiorcs cri- Dur.
Qu^ippc qua omnes ex p jecxiftenri fjunt cogniiic vocalnilorum in do oratiorinis;
Icd in inventionc ex inspconibus, et kniauombiis cognoscentis per senso iia
ani* s : et notamis et exptimcDtis per lucras vocales, insonantcs,
tanquaoi per clcincntafira, res prxnbtatas coqtie dtcitutikamnuiica Gi «ecl^MM
litcr^m cdLati^ idc6 in-oaiinalibus cx iiiiip toruih vocabiilofuni :
clarationecxof diaiur; in inucmiufa vcr^ tt imponendo mfcrutationc. xv,: pupicx
Grammatica alia civilis, alia philosophica J ^Iuilis, pctiiiacft, non scientia
Constat enim cx fli^totira* C^tc «fuque clarorum scriptoruni. Hjhc sequitur
Sciop« ius Tutocbtis Lyf fiusjqui tunclcdt sputant^cin: CICERONE am VIRGILIO
calknt § & vocv bu^a U. ph rafcs , ple« anqgc naturaii f
arlotaducrla.cji ptincipum.& vutgi vfu pc» i cptir i tete pjfcia vctii
rati^e CfiaftAtjA iamolet. Eft cni M%icfiigan^ntc Hcausdcnotamisim icftigata,
copulanrifque & dri^htntis rcs»prout in natura cpcriunrur» mcthodu 5.
Notatcniroc(rcntias, aftufqlic,&:hjt» )itiidincs, vt if.fj^
viJcbimiif. Hanc Grammatici vulgares damnarf ut , fi dixcris,
vir# «ofus, ridcanr, qi.oniam CICERONE dicit, ftudiofi) s:5c cnm
vo* :abulacx rcbi]s,non cx autoribus dcccrpimus, exribil.inr. Sco«
iim^findtm Thomam, aliosque, qui mngiscx rci natura oquuntur damnant
ifli, profc£t6 damnati jgnorantix, et Wodicitatiscrgaflulo.Vndi 5 Grcg. maicftattmvcibi
Oci fc rcgults DONATO inclodctcnti^n dcbcrcdcclarauir. Quid
noii obloqiiutiircttmiiouascesifiucnimus vocabulis CICERONE in* 4
(jr.min.itic^lium dicibllcst proptcrcaq ic nou is voccs
cxcoc;iramu$ \ NobismJ uearavocabdla IijBC,prifiialKas, eH\:ntu,cLlcntiarc,matcriarc,
2cc. huturtnodi CICERONE ncti^uc d Upliccrcnc ,liccc ignoca olim. Itcmquc
& ip(c ait : Beatituio & beattta^, vtrunqut ^nm ifeivfu m jlUctuU
funt vitUtbmU : cik vbi 'nuUcr^fi* -xpfS «iixic , effcntU. At^Caoli opbis
lcgcs pr«(icrtbaac: cr- go^5c (cieatum coardAnc , ciuam
Cmraipfeampliairct , (i occaCio & ftieatia oon dcfutHeac : U Houcius
licecc dixie iempjer. HmttJmiMi Sipajpsm tmideor cum Ungua Catonls OEnti
Sermnem ftstriitm ditdmritjCP* nond rernm Momina proiuUrir, Lkuii
fempenfue Itcchit Signatum frafente nota odticere noniciL.
rUto p(iinu»-dittr,idca: 5c Aristoteles. Eatiielechia: att noiicg O£rimaIitas,
&qiiiddiiasivi4e primam partem Mec* libr. I. D/jfercmia inter
CimUm Philosophicam. Dlffort Gratiimaricaduilis a Philosophica, in
vocibusi phraH. In vocibus iila fe atur auioritatem vfiim} k quo
adc6 dircedere tjmet vt nec novarum
rerum vocabula oott^i admicjcac. Vndi polunt dicere, bombardam, fed
tdr* meotumljetticumj quod nomen commune est omoibus machinis: errant ergo
primo trahcntcs proprium ad commune J Sccunvio vniuocamad j Eqiiiuocum:
wum cnim brodium non habcn vocabilum in Latino, rcJ dicitur ius, quod 6c
lcgC significat rconfanduc ergo rcnliim. philosophus vcio vocabulum iniicnict
proprium in sua Graautica. Quoniam il!i vocabu^aaifcdiuanon trahunt a
fubllantiuo, (icut oporter: Vtrcascotmcffuudit virtiiofum, hoc
nonTtuntur|fed{\udJo- fii:0 iicunt i qtifi, vo« longe abcft 4 signiticatione
vera, dc )3 im cileoti^ notacc voluot, dicuot Quod cft
quo iud crat cffc, Iiidicro quidem modo: cum vocabulum
quidditas, & e^Tcntia , fint significantiora brcuiora. Bcnibus^ ic
dicat Rcx Turcarum, dicit RcxTiaci^e , tam ridtculosc, juim superstitiose.
philolophica ergo fcdatur commoditatcm, 3c rationcmj vocabula
significant ex natura rei et non confuudanc cn fum metaphora x qui uocatione
analogia. Ncctcmpusn; ni6cationis fruAra cxpcndant(qu6d niaximum cft
dctrincntum:) ficuti faciunt Grammatici, descriptione pro vorabulo utentes. Differunt
etiam in phrasi: ciutlis cnim vtiturphraH accepta in foro et curia apud magnates
et plcrumqucdicit aliud i proprio sensu sed vfusfacir, ut sensum alienum
vediat oratio. Sic dicunt idem e dio tollcrc, prooccidcrc et pcrdcre. Id autem
in philosophia significat de mediocentro m pcri» hcriam trudcrc. Similitcr
aiunt, rcdigcrc iiiordincm, pro >riuarc Magislratu. Atin Philosophia significat
ex confuso nordinato, in ordinem tranfirc j ficuti cum Chaos tolUtui
naliquoncgotio, vclinmatcria rerum. Quaproptcr aos grammaticos nil
vcrebimus. Eoum enim est confcruarc vocabula ac declararc (Imilitcr &
DratiorKs:Phik) philosophorum vcr6& Anificu cft inucnirc et ordinarc. Proptcrca
temcritas Pacdagogorum miranda est, cum T hcologos cm€ndant, proptcrca
quod Ciceronis vocabuli 5c phrafi non vtuntuitcum potius laudarc dcbcrcnr
jqiioniAi omnis Artifcx (ux Artis vocabula inucnirc dcbci jfic
clara, kpropria imponerc. Hoc autem palam est, qupniam ex auiusdcfcdu
acciditjvr idem vocabuluiri aliud significat in v- naartc, et aliud iu
altera. Unde, apud rusticos, “liber” significat ‘arboris corticem’. Apud
litcraios, “liber” SIGNIFICANT PER METAPHORAM ‘codicem.’ Apud Politl-
:os, libcriatc ffucntcmr; apud oratores, “liber” significant, per metaonymiam,
‘filium.’ Similiter, “verbum,” apud grammaticos, est orationis pars significans
solum. Apud theologos, “verbum” significat u test ‘conceptus animi, delaratus
aut voce apud physicosacrisvctbcraiioncm notat, apud vulgus locutionem, 6c
aliquando omne vocabulum. Proptcrca notaui tx Yarronc» & Nonio, &Fcftononcxtarcvoc:»
bulum apud latinos quod plurcs significationcs non habcar, quoniani 6 grammaticalium. /ucccnio
Principuni, et rei publicae mutationcs, 5c f cmpora jpfairohunt
voccsadnouas signirtcaiioacs. Philosophia au-. fcm non
(k*. ria?:crca, Grammntlca ciuilishabct ortatcm, in qua vigcr: &
illam amplcduntiir Grammaiici: dicunt enim sub Cicerone 6v CcrUrcavlulram lingu^m:
proprcrca non Plauti, ncc Ccci!ij»ca? tcrciumqiic fcnprorum priscorum
iermoncmac- ccprantjicurnccrcccntiorum quaiis PliniuSj Ambrosius,
Augunini; s, e AQUINO (si veda) At Philosophica non agnorcit.rtarcm
lingua:, sed raiionalitntcm: amplc^iturqiu: vocabula bona omnium temporum.
Proptcrca 3cnoiia fi£ta- quc vcrba probcconucnicntia rebus diccndis
compk^itur iuucnirquc: VI cnim Horat. ait. Licuit /(mperqjuJic^I^
Signatnm prafente nota producere nomenl Et f hrafim addcrc: pra:rcrtim cum
impcrium rch^gfa,' et artcs nou2 fucccdunt, & loqucndi modub.-voccs
camt proptcrrcs,non rcs proptcrvocc?. Vndc fon.m Eic;c(:.i« fticum
vtitur vocabulishifcc, canontzarc: {piriruali. ctlutura,6J: aliishuiiifmodi in sensu
proprio non L.itin( r»im pri- fcorum.idqucfi accufcs impcritus&rudis
cfiS.NwfwiCLSvnic authoriiaccm vocdbula fiiniunt. OVpCfftitiose colcns grammaticam
civilem, languct id j3pugna fcrbpxumj
crbacaptatjrcscfFugiunt quas praefcrtim ipfc fuis non infignit notis, et
notas alienoruin r con fatis notas colit &: vt Clemens Alexandrinus
i. Strom. 3. inquit . funt SophiOa: infcliccs, nugiscanoris
gariicntes,cum in nominum dcbita, et ccrta didionnm compositione et connexionc
tota vita laborent; cicadis apparcnt loquacioics: U allcgai coiuxa cos
rUtoncm, & alios Phi-£amj4ruIlA\ Lfherprmnf. r oibphos prleium
oloacm LcgiUtorcm, ita diccn« xm. Adlingtia afpicitis, dulcia verba
loquentes Quiltbet at vejirum vulpis veSligia Jigit. Cun^is efl
vobis petulans mens. 'ulpesquidem tnfimulatfone iapientja?»quamnonhabent»
Sr in latcocinio alienaf, (unt fyci^i vulpcs :cum enim de fno loo
habcanc^ nid vcftes, quicquiddixete philosophi mutata r^ene verboruni pro
fuo vcndunr. Mcns cnim pctulans vul- pium fui amorccmmfc
ipfamdccipit,putatquc fc plus fci- :c,quia fcit verba , quim qui ics
inucQigauit^nec nifi fua Grammaticavcftiantur ,rc^la,&vcra, qu» dicit
philosophus, reputaf: hincaliena vcndit impudentcr profuis, \*r-' xsqiiia
ornar fois. Horum fcimo cfl calix Babylor.is (in-quit Oiigcncsj in qao errores
ctiam pro dodrina, nedum furra, tradunt bibcihia 5ophi(lar* Vakie
caucodum eft crgo Phtk>rophfs«oe tis Aia icriptacrcdanr, qui, (lcut
pcrdiX|io« jcne, qt^a^noapepeierunt. Honim iniidtasmillies expertui
:oquor. Cauendwineilctiam Philosopho , ncrpernat citti edl jQttinmat icam
>dum tameo rdHisconueniat rcitis.Con« remnitur enim d.tbtba petulaoti
quafi indoiElus: & pucfi fic^co equaceseorum quorumeft folum
grammattca ri»"ihc tjOtjcat», notanr fimplicitatcmfermonis: rcs
cnim noncurant, quilh|HS£ordctcnusmitcntur & optent pro
gnorantibuscoshabcnt,qui eorutii Grammaticam non (c* [^anrur.
«Sdpicnrespauci (unr, (\uItorum infinitusednumc* rus :hinc eucnit »vt
iiUablustaii^a, diMitiis ^dc do^ioa:ho« Qorc vacueniur* .De partibHs
Qrsmmatiea fSf ^^9^ m QVoniamGrammatica congruitatem
6t(ktonh (cri- prionis habct pio obj c^o di^io autcm iit cx vocabu* s ^
ram matic Aliurn lis : vocabula cx fyllabis-.fyiUbacx
liicrisiidcopartcs Gram- inaticx putantr.r 6c dc litiiis i. dicunt
Crammatici om« JiCS. Ittera ^rima parte Grammatica. Litera est elementum
primum, idcoque minimum orationis. Dicitur litcra alituro, quafi cxaro,
quohiam cxararur m orcp^imiItuw««tatuLdlij fcflptura per manuamia ,
Grammatica Graec; Jicitur quafi literatura, quoniatn dfuis elementis habet
etymologiam. Poniturclcmcntum loco gcncris. JEfcmcntum cnim cll id, cx quo
aliqiiid primitus componitur. Ponitur primum, ad differentiam syllaba,
cx qna secondo componitur oratio. Ponitur sermonis ad differentiam corpusculonmi
atomorum, qu.rcxiftimanturclc. xncnta rcrum. Additurminimiim, ad
ciuficmrci dcdarajioncm:li cracnim iiidiuiiibilis clh T^e numero
Utcrarum. SVnt autcm litcra: viginii trcs apud latinos A B C D E ^Sj^,i,K,l>m,
n, o, p, q, r, f, r, u, x, y, 2, quarum Latinae non luntnifi dcccn)&
noucm,ctenim K,y,z,x,d Gratcisacccpcrunt : vtcbnniurcnim pro K , chjpro
y,vtcbamur,vjpro duplici s s i pro x,vubaniur ,s c. * 'A;'Tandcm h, nonvidctur
cfTc iircra, fcd afpirarfonisnota, addensaliquid fupra vocalcs. Catulhis
cnim narrat Arrium foUrcpronuntiarc Hinlidiaccum h,pro lulidiae.
ANDO: LibeffrimHsl. POflunt inucniri & alix licer t, vt • ,
parauna « & nia. gnumMtcm duplex g:in vulgan cnim sermone
aJiter pronunciamus, gli, in vocabulo agli U in vocabulo mgli gentia.
Item non datur g, qua: faciat (bnumx qualcm cmn omnibus vocalibus. Non
cnim ita conronat g,^, (icurg,;, vndc Arabcs triplcx g, habcnt, iuxta
tripliccm pronuM^. tioncmhuius literae. Pia^tcrca litcra r , alitcr fonat
cum a^ 5cciim ^ , coniun£ta; proptcrtabcne fuitaddcrc k, &ad-
dcndacHec altcra litera, qi:a^aicdium fonum habct imer r> &
K>vcin vulgari fcrmonecxpcrimur. Pxxierci litctame- dia imcr dc;^,
rcpcricndaei Tctia litercnim pronuntiamus r, cumdicimiis^rtf/y, & cum
dicimus gr^/i^ > prxfertini in vulgari sermone. Nec fupplet ii;, pro
/«nec 0 duplkem^^ji^, appoitas, vtia] ?pgti(ggi4eclarauimus: qua propter
dclinea. uimuschara^tcrem m€diumhac figura, Hi^ani vero fece. runt
cum cauda f Prarccrcsk indigemus dup'ici /, confi suntividcliccr» et
voca1i: quem ad modum Hirpani^&Heb.2c Arabcs vtuntur jproptcr cadiximus
;\longx figura? consonantem : qui Hcbra?is cft j/ vcrobrcuis vocalcrr. '^I
an- dcm duplici,vocali et consonanti indigemus, quemaJmo- dum
Hcbrj:is, & Arabibus rationabilitcr vfurpatur, alio- C]uin mu!ra
vocabula faiso pronunti.bnntL:r»vt vt^a. vbi nifi secundum altcra figura
sciibatui pionuniiaiio fallirni. Similircr & iuuenis^6i /V/;v//5cc. consonans
v, vocari dcbci vau^ & confonantcs ; Jcd^vcl /«^vt pra:fata lingua
admoncnt; Quaproptcr A Iphabctum nostrum erit quod sequitu|^n.
-^,^,f,k,rf^/,^,G,^^;V,/,w,»>^,f ,r/,/ r,», v,sf , Lkerarum alU
^vocaUs^aliA confonantes. Vocales quiiiqiic a, e^i, o fU^Sc dicuntur vocales,
quoniam aiteda vocali sola, moUica vaticutc tnoduiationis, expiiiwuntur.
Cotsronaotcs ^uat yigititi i^d^fti^G^btj^mj^^f^rJ^ Dicumur consonantes
quofiiam cum vocalibus simul Ib* nant. Instrumenta enim vocis, que sunt
lingua, palatu noi» labia,^ gurguiio, vocem (quateit expirart aeris per arteriam
vocalem ibnus) configurant: 6c cum illo dicuntttCCon£6narc non autem
perlbnare vt vocales. ConfonaniiLim alia: dupliccsvt j^jtf,/-, alix simplices»
vt oniacs i^iiqtt^^ 51H3C cnim vilCD» pco duabus; noa autcni Sunt apud
Hebraeos dc Arabes duplices dmnesconrotian teSydum pun^o intermedio
notantur. Apud nos vcrb fol«ie x.^yt, ftfnt dupliccs abrque
pun&osquas autem vq« lumus duplicaie» duplici codemcharaaerc
noeannus. « m Solem contmgi vocales non eiufdeni generls] con^itmrs,
unam syllabam longam qHamms per se ejfent brenes. Harum comun flio
voci' SHr Difhthongus. Sunt autem apui Latinos veteres
Dipliihongl q inqne ^,<r, tu^eUiCiy(cd in v ulgai i Tcl- uionc add Ci
t u t to [ D li ilio gf^qiiot sunt
combinationes vocalium inter se, praetcr quam in fine carminis
po<^tici, vbi /ui , tolui , voi, mie &c. pronuntiaiitui dissyllaba, qu
alibi pronuntiantur aiOnofylUba IQirguuntur litec coafonances
iamutaS)&;fcmi-vo* D Mut^ funtnouem. C D F G
K P .ii. 7*. Etdicuntur mut( I qupniam mutum habcnt fonum , quafiGom nuUa
vo» cali^vel vocalitatisaffiatu proBuncjat. Semi-vocales sunt
VII. ^.ilf.iV. R,s, j,ViSc dicuntuc semi-vocalcs quoniam habent partem soni
vocalinm .£t quidcni S. apud-^ucretium caJit Inftar vocalis:ait cnim.
Sceftra ^tfku^tadem aliis fopitus quieu efim . I^ta diftin£lio fuit
vcraapud GrnscoSj Hcbrazos.Sc Arabcs: qui lircras pronuntianr quali
diclioncs: dicunt cnim pro J4.B.^lpba,Bita,S) CAkfh.Bct:h.i^Eliph,Bat.
Scd ia idiomatc Latioo pronuntiatui limplici sonodc truncatosi
nevocjlibus, idco omnes sunt routae: licet non pofllnc pronuntiati fine vocali
recunduninos: tamen secundum nar tvfam. omnes intelliguntur fine vocali
nobis qui et vocalest etiapi truncat): proferimua. D'cLiiKUr
liquidx L. H. M. N. quoriini liqucfcunt m mctrc-.ira, vt fvliabai-n
brcucni etiam producanr, accommodantur que brevitati et produ^iomi dur Tunt
qua: fcruant sonum et tempus. Syllaba est Uterarum vfurpatio ] ^nins
fo^ ni , "vniufque modulatioms partialis index. Quonia ex
literis syllabx qii possunt esse pars vocabuli propin c^iior:i moiiiatv^y
111 bi t n n nc iikcnd um; di £t is iryliabano vcrbo Grx. Hoc est comprchcndo
iqiionia Qi plcrumqucplurcs literas comprchcndir. Profe^lb quo nos vti-
niur literis, id valcnt jqua propter usus fecit de litera syllabam, sed
non absque raiione; alioquin de quacumquc litera facerec syllabam. Facit
autemdc sola vocali, quoniam sonum habet , non de consonante, qua: non
habcr. Aliquando fic ex duabus vocalibus j vt diphihongum monosyllabam
jali- qia Jo cx vna vocali, &vna confonanrcjvr,^f,aliqi aJo cx
vna vocali e duabus consonantibus vt J?er. Aliquando cx vna vocali
& tribijs conionantilnis, vt, //r./,3c rizjjaliquanJo cx vna vocili 3
quaruor consonantibus, vt firum jaliquando cx vna vocali q; iinquc consonantibus,
vt j9/rp, Pluribus noa viurur LATINII at Tcutonicis & Polonis vsurpatur.
Vbi vidcs n6/oirc cx pluribus vocalib. fi. rifyllaba, nifi abinuiccmabrorbcantur,
Qcut in diphthongO i sed ex una tanrum quoniam ipsa sonum pctfc<S^ um
habcr. At ex pluribus consonantibus .ficri unam syllabam vidimus, quoniam
per se sonum noa liabent, nifi vocalibus copulatx. Plurcs autcni ponuntur
ai modifiationem illius vocalis, tt quod purus lonus non SIGNIFICAT, (bni
modulatfo SIGNIFICET vt in Mctaph. doccmus, dc nominum impositione loquentes
m Non reftfc Grammatici dcfiniu DtSyUaba cft comprehensio literarom sub vna vpce&
vno spiritu indiftin* dbo prolaca. Nam syllaba qvando que constac ex una
litter;: vc prima Wmamo. Nec dicas, habct ordiocm ad comprehensionem subrcquentium.
Etcnim prscpofitio noti hjbct ordincm, ncc ,vocatiuum, imo est aliquando
litera, 5c syllaba et DICTIO ET ORATIO. Igitur noa re£le dicirur syllaba
comprehensio literarum, sed potius diccnda crat particula vocabuli roni partcm pctfcctam
facicns. Et cnimiiulla cpnfonans potcft faccrc fyllabam, quoniam pcrfc sonum
(lonedic, niacum vocali. Vocalis autcm cdit. idc6 potcft; c(re syllaba.
DevocsMo] {.farte.^rammatks. Vecabulurne A fonm ort ani^alis frolatus
naturalfpus inflrumemis formam, d SIGNIFICANDVM aliquid fim^U^ mmie
conaftum. Ponitur /ijwif tanquam genus j Omnis cnira vox sonus est &noniconucrfo.
Dicitjar^/rv&rt/ w minutlr ad differentiam sonorttm, quQS ventus et
tuba, & rcmi , aliae. queres, cdunt 5 qujc pro pric vocabula non
facicnt. Pici- nii* natuntlihus inHrumentis fomtafut » ad diffcrcntiam
fonorum, quos anmul cdit AD SIGNIFICANDUM, scd per instrumcnta artificialia j
qualiafunt tympanum et tuba 6C campaia i quibus ab cxuinfcco im^onitur SIGNIFICATIO
iattamcii Uit, conim foni vocab-.ilanon funtiquoniam nec pcr
natural/a inftrumcnra.ncc naiuralitcr formantur j (cd pcr artificialia
& anificialitcr. Additur,^^/ SIGNIFICANDUM dctcrmirutte conceptum
vjc?:tis , nd cxcludeJum voccs.qua; nihil dcicrminaii ll5nificanr,aut cx
naiura.ficuc intcricdioncsincq e ex im- pofi:ione, ficui ncmina &
vcrba. Scd irdcterminate v t^»/^ f.rf. Et prxtcrca ddhin ial/.ptid
fimjjlex mcnte conccpitm-^ quia i:-itcric£lioncs,pafl*ionc5,
&affc^ioncs, dcdarant coniplcxcpcr modum oraiionis, nonpcrmodum vocabuli.
Vc- .liim cnim vcro quidquid mcntc apprchendimus, pcrfonuin imiranteTJ
iHud in configurationc litcrarum cxprimendo, vocabulum facimu
Vocabuiumautcm vocatur TERMINVS apud Logicos, quia lonos confufos 6c
indctcrminatc SIGNIFICANTES ad aliquam ngnificationcm ,qua ita hanc rcm, &
noa aliijscoiifusc fimul intcllic^amus , contrahit. Diciturdidio
apwd Grammarieornu TrrctttrTiiuClXiim di£lio. ctiamvoca* curoiatio,ne dum
parscius, Tfot fnnt genera vocahHlorumyquot funtpaytes orationis
immediate. Oratiocnimcx vocabuHs componitur immcdiate , cx
litcris vcro & fy llabis rcmoie , & rcmotifiirae. Quem admodum mundusimmcdiatcconftat
cxprimis corponbus, vocjtisclcmcntisjtanqiiamcx vocabulis: prima autcm
cor- poracx caufis matcrialibusadiuis, &idcaljbus, & formalibus
tanquam cx fyllabis. Caufa: autem mifta: cx propriis particulib tanquam ex
litcris. Vnde LUCREZIO corpuscula indiuidua literis comparar. Quapruprcr in
(cqucnti ariiculo tra- anntcs dc orationc,fimui omfiCS partcs
cius,acproindc voca- bula coDfidcrabinius, Liher primu^s,
J5 Gcncra eigo vocabulomtn feptctn sunt iquoniam partcs orationis per feasc
fum iioaiiiter reptem. etenim T)e ^HArta parfe Grammatiu, hoc i[l
dc oratione Caf. j. Axt. u Oratio vocabulorum compUxio, ordinata ad
mamfefiandum quidifuid animo comfUxe concifttur. QVomm vna
di&io fiu vocabiirum non (kch oratio^ lem^nifi rubauditis
pluribusdiSiombi Vt cum qnis •inttrrogantijV// fanmy retpondct . volo ,
pcr vnicam diaio- Hcmiquxviriutc contipctpronon)cn ,&
nomcn,^^;;m. Picptcrca diximus clTe orauonem complexionem vocatulo»
rum. Addimus fri//>7fi/<?raw : quoniam niii ordincntur vocabuIa, noii
fjciiintorationem. Vifidican :volo Pctrusfcrum,iguur,cun j&c.nihil SIGNIFICATVR
SIGNIFICATIO corationis. Dixi, ad manifefian dum quidquid concipitur
rnenti CQmplexc 5 quoniam^ prmsc Qncipimiis animp fimplices,4
dcinde vocabuiis manifeftanMisjQK^qnci tta vt,^tiQK nenn conceptusexprimant.
DemH^Nm^^imus res coiC ceptas,vti funt in natura,&
facimusorationcm.VbcabuIaer* ' go (ignificant restoratio complexiones
rerum conceptarun9.i., pendix, diutfioqne orationls in
confufam\ ^ diHm Ham. VpIcxquidcmc(loratiCi aIia confura, aliadi(\in£la. Confi^ia
fitabfquQ vocabulis, lcd folum ligQisclIca tantibus animi pjflioncs,
notioncs & afFedioncs. Vnde i Grammaticis vocaturparsorationis 6c
intcric^lic: quoniam aliis partibus orationxs intcriicitur.
Scdnonrcftc. iccnimctiam fola profertur intcricdio vocata: &
fignificac totum quod oratio, fcd confiise;vt ciira ridcns cxprimir,
^h, ah.ah, Et admirans, P^tpe : 6c imprccans veh\^ plorans^ ehu,
Quaproptcr non rcde pars orationis ponitur, cum fic oratio, ficut cumdico
idcm valcf ,ac , cgo pioro &c. Oratio autcmpcrfcdacft ,
quardillindc (ignificat & pcr partes qiiiJqiiid mcnsapcrirc
vult. De partibm oratioms dtllin£ia.Sunt partes.JlTMioms
Jl^e99^nomerf /verburril fartictfmm , fro nomen , ad nomen, adverbium,
conimctio. Probatlo & fufficientia.' OMnis cnim
pars orationis aut SIGNIFICAT ciTcntiam rerum ficcHnomcn, didumquali notamcnencnti^,
vt homo. Aiit fignificat aclum clTcntia?, 5c hoc facit verbum, vt: “amo” :
didlum a vcrbcrjtoaere, quoniama£lus prc- ccdir abcficntia foras, icwx
vox in aercm. Aut fignificac a(flum fimiil cum cflcntia j & fic cft
participium , vt amans , quoni.mi partimaiflum dcnoiar. Aut fignificat
pcrfonam cllcnticr,& ficcft pronomcn, pofiium loco nominis.vt
cgo, & vos &c. Aut fignificat rcfpcdus intcr c(fcntias, &
circun- ftantiam ,& modum^& fic cft adnomcn, fcu pia? nomcn,
vt contra, propicr, cbm & c.qiioniam nomini prarponitur SIGNIFICANTI
ESSENTIAM. Aut SIGNIFICAT moditicationcm & circumstaniiam adus. Sc
ficponituraducrbium;fic diftum,qi)oniam ftat iijxta verbum sigmificativum
adus cuiulquc :vr bcrc, foniicj^: intcridic: :dno Qicdc.: et
SIGNIFICAT :xpriniit|ii itur^cimilit > plofo
&c. cntiam rf- cftcitvW' afius prc
f bcrci. Liierprimus. mj forticer» heri.bis dec.
Auc coniuagit effentias inter/e aut adus incer fe auc efiencias cum aftibus, auc ipforum complexiones:
& fic vocatur ^oni un£tio, pars fept ima s vr, &tenini, igicor.
De quibus figillatim dicere opor. tebic. PArriumorationisapud
Latinos,alia:funt declinab les, vt, nonnen, verbum, participium, &:
pronomen AJia: indeclinabiles,vt pra:pofitio , aduerbi.um,8c con
uindio. Apudquafdamnaciones alicer. Declinari dicnntur , qua: in
fine variant fyllabam att irariaciottenr MODI SIGNIFICANDI. Qua; non
varianr modum, nec fiineiio vocis,dicuncur {nondedinari} apco'
VQcabulp, ex corporalibus fumpco. NOMEN est vocabulum, pars
Orationis declinabiiis vel particulal>ilis , significans ej OR*hciam.
cuiufcun« quereieximpofitiqiiie,. Quoniam de nomine, vi Oracionem
in^redimr, cia^ ^Aac Grammaticus: propterei definttor per hoc, quod
eft- vocahuhtm ,! tanquam per genos : fed ad ^xpli- candum vfum
dicitur, quodeft pars orationis. Qupd ponitur loco declarati generis.
Deinde dicitur decli- mbjUs^^d diiFerentiamprasnoniiniSi6c
Aduerbij,6cCo£^ i $ Grammatlcalium Qtmpanellx]
ittndrlonis, qu^ non declinancur : qttoniam dicunt vnam modo
circun(bantiamvautre(pedum, aut modificatio. nem e0renciarttm, & adttumeoram.
Nttlium vero dicit essentiam quac plures refpe&us 8c circttnftantias
habet} vndeoportcat ipfum declinart IN LINGUA LATINA, et CASUS
admiteere in fine. In ahis aatem lingttisrhabet pro decH- natione articulosjhorum
cafuum notas, quod nuUibi Kabent Aduerbia , Adnomina» 5c Coniundiones^vt
mox aperinius. Propterea non eft de efientta vocabulorum
efledeclinabilevfed vel declinari ,vt apud Latinos j vel arciciilari, vc
apud vt tlgarcb, & Hebrxosj vel vcrumque, vtarud Grxcos.
Dixi ^gni^canr. difFv^renciam confignificantium. Aduerbium cnim
& prononien & prienomen , &: Coniuncliio confignificant aliqua
circa e{Ientiam.& adus: nonautem fignihVanrnliquidrarum.
Dixi (ffemUm. f\ A diflPerctTtiam verl3i,5c participij quae SIGNIFICANDUM,
2c efTcntiam cum a<flu Itemque pronominis, quod mdiuiduaiitates& particuiaritateseircn-
tiae (ignificat j & non efsendam immediace »nifi vc perfo.
nacanu Dixi tandem , '/iif^« >/fei>9 Quoniani Nomina CC
^erbaab intellec1:u imponnntttr AD SIGNIFICANDUM, & non ab animi affecflione;
quemadmodiim interiediones, qu£ nulia incellefttts confiderattqne
expe^kata» foras promontttr« Vrimum (orolUnum correSfmtim
dejini QYiipropcer fallttntar Giainmatici , dicentes nun ej/e
fJrtem 9Mtom$ dedlnaiitm ft^nijUdtuem fubfianiidm , autifnsUMBm pofrism
vel eewimnMtm emtt cafu. Non enim folam fabfbmtiam ,aut qualitatem,
SIGNIFICAT Nomen, fed omnemefsennam jkilicct & quan- ucaceiu^
fotm.am;)&aAunij^ adionem,6c paiTiQuem, . ,j,.i^'.d
rimilitudinem A difnmilitudiuem, Sc Relationem, & >^on-ens.
Et enim ScNon.entis datur crscntia ^faltcm •^iQt^llccflUj quamhocnomen,
«//'i/KW^ fignificac. SIGNIFICARE SUBSTANTIAM et quantitatem et qualitatem
6cinruperomnia alia pixdicamenra, est essentiale nominis: sed QUOD SIGNIFICAT
propriam. vel communem, eft accidcntalc-, nec ponendum erat Grammaticis in fua
definitione j cum nuUi fit vfm , ncque ad noicendum nec ad diftincruendum.
Simihteretiam SIGNIFICARE cum cafu, accidic Nomim in aliqua lingua qualis
est latina ScGrxca. In Hebrcxa enim, ITALICA VULGARIS , 6t Hispanica 6c
Gallica non dantur casus nommumi fcdarticuliipforum cafuumloco ponuntur. Sicucetiam '&:
Noinina Latina indecIinabilia, & finccnfibus, vtceUe U coTnu\ \r\
fingubri. Ergo falluntur Grammaticnn definitione & efscntia
Nominis. uotrnodisl> JomenfignifimeJfentiam. Orrb Nomina
fignifican tomnia prjcdicamenta^qua- tenusfunt cfsentia:,nonautcm vc
a(^lus. Siquidem albefaaio cfsentiam a^ionis dicirj& albatio
paflionis; non autcm aftum ,qui eft albcfncere , albefcere Hoc cnim
verborum eft Praeterea Nominum aVuid efsentiam puramdicit, vt Amor, 6c Homo
aliud vr ad iunaamal- teriefsenti<j; vchumanum:aliud vt conccrnit
aclum in omni genere. Quod vel e fsentiam aa:ionis , fcu a^lus, vc
li^io ^amatio, au3itio, wc\ efsenciam patienci5-,f »r^, treatura, amatura:vc\
essentiam instrumenti aausjvc amAtorium , anditoTinm Jenforium ,
potef^atorium , qonu-o- tant. Aliud efscntiam , cum poffibilirace
aauiarvc y//- lefa Biuum: aliud cum pofiibilitace poffibilicace
paf- iiua:vt caJefafHhile : Mud fignificat efientiam ordu natam ad
a^am, exiftcntiamquc vel PRAESENS, vc C ii p “amans”, vcl prxteriram, \iamattis, vel
futuram : \Z'amX iur:4S,6c amandus. Aliud totum negotium circa
adus, ut nego aamenttintyteri Umentum arfvamentumyVvAgo Paf*
lamento: aliud totaai ncirotiationis 'aut entitatis com-
prelienfionem,vtfl«//<«/^*^», notamen examin ^ Yulg^> effame^
canamey gentame » & canaglia, rifri/agliaisMvid .xem cuni efficientia
istnetificum dolorifiatniyfrelificum.fic quxcunqueexfacio, &re,qux
fir,coponuntur; aliud cu plenirudine, roecanditate viamofofiKm vinofum vm» iro/ttmtilmd
Nomen eflentix comparationem infoper confignlficat}Vt vinofins^^ fottior\
aiiud fuperlatfonem vtviniflsfimus ^fortifiimnu Concernunt etlam
Nomina <](uanritatem cxprefsain )fedajMid Latinoi foliim dimi-
nutiontmwt i)»munculuty mMsufcuks, Atin vulgari lin- gua etiara
amplificant: dicimos entm “signore” “signorella,” “signora”; {X,o,Stgnorotte “signorino”
USggnorotu, Primum Itfnpl^v^.H^^jpTi^imimiii i 11 irllfiiTimpllfi
C4tj. quartum fiiblimati quintum mihuit ex parte abC
queaoie^lione. Patet autem > quod differcntia flexionis , &
finitionii vocabulorum indicant refpedlus addicos cfscnciis j vti
mox. deriuando confid Qrabinius. . Diuifionem fortiuntur Nomina ab
cficotia aquan- titate, anuniero , ab ordin e, a fexu, i
formatione. Diuifio /. ab efentia, feu eJI^MiaU^:Ominum
Aibft^ff Pumin > aliud^j^il^* dinum. Lihr ^ritaus NOMEN SUBSTANTIVUM
est, quod per modum subsiftcntislper se, significa c j ut, “homo”. Nomen adiectivum
est, quod per modum adiacentis jilceri significa c* vcalbus,d: ut “humanus”,
& rifibilis. ERgo duplexeft Adied^iuuiHyalcerumrubflantiale
folaquevoce adiediuum , vc i^ir/i^iM/f , & hBhta num animse idiacens j cum
dico » Amma raihnalis , vel humana. Aliud accidencale9 Voce2c re
Adie£liuum.vc maUgnum^ 8c d^flmn adiacent anima: vt cum dico» Ani-
msi cfl maltgna vel dofla i homo albm. DTuifioprimafumiturredcab
efrenriaNomjnis^quas ; est SIGNIFICATIO. Et quoniam res omnis aurefl: substantia,
(cueffentia,ricucAtf«ip2c rr/^w^if/a/jaucaccidens ; , fubAantix- feu
efsencix. vc albuSyhCli^eu$\ cum dico,' / homp eA albus : crianguluscft
Ligncus*'- propterea omne. Nomen auteftfubftanciuum, aucadiediuum £c !y Aib- ;
; ftantiuum , idem qiipd eflentiale in hoc loco. Vnde al-*?h. ^
htdo eft fubftantiinim , duoniam gnificac pcr modum fubfiftentis,
licccalbedil^^ift^c.res fubfiftcns in fc, fed ^ in fubiedo corpore.
GrammaBt!ti^innen refpicic modum fignificaiiai,nonrenifignificacam:ficut
Metaphy/!^ Aibusvero dicitnradie Aiuumsauiaper jfenon figniii. cat
fiibfiftens ,fcd inhacrensacciaenfbue^Iten. £c;pro« ptereaetiamly sationalc
hpinini eftfftdicAiuum :n$m licet fitfubftantklcicciindumrem : tamcn
(ecundum 8e fignificandi modum videcur adicdiuum , vt accidensr. GRammatici
dixcrnnt, Nomen rubflantiuum efTe illud^quoddeclinaturpervnam vocem,
&; vnum articulum , vc/^/i:/>orV^«: vcl per duos articulos, 6:
vnam vocem,vc ^/r^c^/j^r^i^mo. Adiedliuum ver6, auodper tres
articulos , 6c vnam vocem : vc hic, hac^ hoc fsliK' vel per tres
arc.& tres voces : vr hacacerjjaeacris, & hoc <rfrtf
•velpertresarc. & duas voces : vc/&i^ , tatU^ n^Us^Schoc
rationalei vcl pcr tre$ voces :vc^pfl0;, jtf»^, bonum. Sed quoniam lingua
latina non recipit articulos ficuc Qfxca, deciaracio ipforum eftnulla.
Vnde multiGrammatici non vtuntur articulis indeclinandoi Vuigaris
etiam Lingaa nonhabec-nifiduas voces^ vt plu« nmum in adie(fbiuis : vc
kidiUB ^tiL kUntai^in pluralii hianchi hianc^iej^^saj^xxtx &: I lifpa
ri i^ i^rab^s^fe Hebraci. -PfxtereaHeclaraiio ipforum non d^i nacttca
No«- imnam^feda (Igno adiacence)& vftt; Vimjio 11.
Nominum ex qtiantiMt. Arck IXL. Nbminnnalittd commune) aliud
propriom. NOMEN COMMUNE est, quoJ plura Itmilin fimul significat, ut “homo”. NOMEN
PROPRIUM est quod significat unum, ut, “Roma”,5c /'<r/r«ij&
giQptereaciiam vocatur particttlare, &pcrloiiaic.- Hi£c<Uoifibdici
Cttriqoanthate , qaoniam commo. 4idcttr de. multis. N^m “Petrus ed “homo”
“Paulus” c^hnmd Vrancifcns efi homo, Propriu vnifoliconuenit vc “Roma”.
Non cniin dicicur Roma nifi ciuitas illa, in qua Papa regnat.F.t
qua- uis alia; ciuiraces polTint vocari Roma ificut&ali, ho-
mines eciam vocancur Pecrus; camcn incellcdus luiius Nominis, X<>w^,&
“Petrus”, refpicitvnum »cuiusefl: proprium. Sed profe(fl6 grammaticalicer omnia
propna pofTunc ficri communia secundLim. vocem, feupera: qui vocationcm fcciis tucem fecundum rem ; vc in
Logica docebimus. Reclc camen hanc diuifionem quancitaci
adfcripfimus } quoniam magnirudo & mulcitudo in (1- significacionc ad
quancicacem spedare videcur Nomina eciam a pronominibu fiunc communia, &:
parcicularia, & singularia i vcjw^w /;<»OT« altquii homo\^ hk
homo'S\' cutfuo inlocodocebimus. Tslominum ,
am?ncro. Ominum aliud fingularc, vt homo : aliud plurale, vt
bomines* . T T^cdiuifionon refpiciccolleAionem ,&vnitatem^
XjLficutiam di^la ifedfolum prolationem. Nam A#- m9 , cft Nomen commune
,& gens , & populus ; plurae- nim significac, sed pcrmodum vnius
colleftiu. Et propter ealicctfit nomen communejnon tamcn est plurale, icd
singulare: hominei autemnumeri est pluralis, quiaplu» raiicer profertur.
£ t hoc in omni lingua similiter. Nominum, ix ordine. Nominum aliud
primitivum, aliud derivativum. i4 ^ramm Atlcalium
PRimiciuumell, quodanulIoefi: gramaticaIicer,vt;55-- moy &
mdns. Derivativum, quoclab altero deriuajturivt “humanus” ^h^^oxrnnt : sic “montanus”
a “monte”. Semper autem deriuativum est adie(3:iuum,auc verbale: primitivum xionitenv.
REclediflindlionem hanc ab ordine fumpfimus. Oi'- do enim est, vbi datur
primum et secundum, 6c tertium feriatim a primo^ercro quia aliqua nomina sunt
primitus impofitaadaliquid significandum substantive: dicunturrc£kc pr
iiiii ordinis : qu x vero ab eis , dicuntur deriuaTT, ficutriuus a fonce.
Ecquidem datura deriuatione etiam deriuatio. Nam a Marco deriuatur
Marcel- lu5 ra MARCELLO MARCELLINUS Ec a lufto luftinas .drufli-.
no luflmianus. EtquidemJy luflus/umirurfubfiiantiu, quarcnusab
eodenuaturluftinus &Iuflimanu. Non tamen inuenies derivatiuum, quod non fic
adiecliuum , vel. verbale "i patreenimdehuacur paternus
Scpatrizarc. DAnturNominapofitiuajVt iu^us-H. conaparatmai vc
iufii6r-H fuperlatiua , vtjuffifiimtts SIGNIFICANTIA magis iustum et maximtiufi:
um, & hoc apud Latinos, non incundis linguis. Et quidem compararivum
derivatur a primo cafu. definenTeini.fi.n.itf/ fiaddmius ar, fit
iufiioribifort} Jortior. Ar superlativum regularirer deriuatur a pnmo
cafudefinente ini/, autinr,^. vtkiufiif; & fdftis 'iufiiJHmuf,
ftrtifsimus - & a miftr., miferrimus. EXCEPTIONES LATINORVM. Excipiuncur
hnitt ,malus paraas ;;.v;^nflj: ex quibus noii deruiarur bomor bom^\mus^
5c walic) ^f.^ruior^ ma(^nior ^rnaUfr-nus ^faf^ifitmui ^waf^nipimu , lcd
a bona meitjr^ optimui ' a malo pcjor^fcfamui \ i paruo nntior^
mir,i- mus : aaiagno, major^ maKimu!.F.xcipiuntur noniina desinentia
in ificus y ytmaj^ Tiifiius ^fiiakfcns hcncfccntue beneficus^ fimJia : 5c
quibusderiuanturw<i^«//ffr77//(;r , w^- gnt^cenn^imus :*nalif(€ntUr^
malcfcentifiimus : benefcen- tijlimes , et similiter in similibus.
Prsctereo excipiuntur qu^edamnominain desinentia vtfadliSyhL
humilts quselicec producant faciUof^ humlior it^n^en non ad-
iungunt^icem fafiltfiims kamiiifitmusikd fadUimus U humslUmus .^radiUmns.
Dicimas camen ab vtili vtiltfii'- iffffi.^pudPliiiium. In vulga naucem
lingaaperadiier bia gtadaadcur, vt fi^ Bonp i l piu h no : ntb
pnrfidiu ^o9i;/^m^i>9r^/jfim^ Gailic^ vetbYm 609*
qaoDiamtercio gradu dift^tfuperlat. apofic, ' Grammatici b an
c difti n^lionem vocant /peciei ,vndc dicunc prnniciuam speciem, &
deriuaciuamrfed c^nn fpecies fitid quodfub fignato genere ponicurraut
rei apparentia : cum hanc diuifionem non ponant fub gene-
reafHgnato vllo,non rede fpecificam vocant. PofTenc cnim
limilicerdiccrcipeciem fingularem &cpluralem: 5C & deplinaCLoncs
eciam fpecies nunciipare. Philofofhifma Grammatkdtiqnis ad diriuationes. F DEriuare'6ft
rluum de foncc ducere. Fonscficntii rcrumeft, vndidacicarexiftentia &
adasexiftcn di, adtuaodii agetidi., fic natioulL Idcirc6 ex nomine,
quod efrcnciam fignificat^cleriuatur verbum. Nec potefl:inueniri verbum, quotInon
fit a nominervt cnima nominederiuatur« (?w/«<«r^,itaacaIore caltre^
caUface^ y^rafrigore rw/r/V/^^ i
ab amore amo :Avita viuo^ abho- mine homifico erenim vbi non extat verbum
,oportec illud fingere in GRAMMATICA FILOSOFICA; vt a remo-igare : a
capite capitalare - a manu manej^pare dicimus in vulgari idiomate, vt a patre
fatri\\ars icc.fpaU leiiare campegparey fefleggiate. Veruntamen vbi prius
reruma <flus, quameflentiain- notuit deriuauimus nomenA verbo non secundum
naturam sed secundum neceffic a^ex c/^; Theos i, vidco dici- tur5^£;5
Dr«;:&a lego dicitur lcFfor-i &:adiligegere dileUio. Essentia enim
diligcntis qua diligens est, nomen non haber, ficuti multa, quorumeire
eft adic- ctiuumnon fubfiftens. Quandp veux^ilVnm ctTmftro~a
e- xiflendijVel operandi,vel agendi,vel parrendi fimulfignu
ficatur,tunc ad vtrumque fignificandum fex nomina par-
ticipaliaderiuanrur. Duodicunt pocentiam adjndlum, \l\amafjilc Sc
ajnatiuum : fuFiihile & faBiunm , idefi: quod poteflifieri 6c quod
potefb facere : 5c duo significare frentiam cum adlu prxfenti, vt amam &
amatum , portans & porcatum : duo vero cum aclu futuro, vt amatnrum
& amjmltirK ifiiFlurum Sc faaendnm, ideft quod facier 6c quodfiec.
Duovero praeteritum concemere aclu cuni cllcntia debcrcnr,qux tamen IN
LATINA LINGUA non reperi u n tu r -fed lY^wrf///'w ampliaturad prxfens
&prxterr- tum sicut & ly amans. PofTet autcm dlci Amatutam. &
Amarans, lcclntum & ledatans :porcatutum & porcatans. Qui ergo
linguam perficere vult confideret. Diciturtamen inaliquibuscacnatum ,ideftquod
cx- n:\uit,8c quod cxnacum efl : fed confufa aclione cum paf.
lioTie per inertiam vfus,cyranni fermonum : non auteni rationis,qux Rex
efl sermonum. Quando essentia non cum aAu, sed cum virtute ad aclum
dicirur, dexiuamus nomcnaliud in torvt Ai^ator, tr
«dificatoivideftqui arcem5c yim ardificaudi babct vci profefnoiicm. Rurrusqtiandoinftrcimen^m
vel a!iquid 4nftrtimen taleadillum adum, enunciacur deriuamus nomen aliud inoriam
tfinemy Viam dipnvm JotttMium exetutc^ fium^fcnforiumy potiftatorium appetiterittm.
Deriuamns in Mum &a^iuum , quando qiiod de gVr nere maceriali
alicuius eft prohunciamus, vcfa^itium, nouititium, commendaticium , {litlaticium&Tulg6
niOr uitizzo, compariccio, acquariccio, 7 Q^ndo mocium efTentia:
cum adu: in«r<<deriuamus, V t /^.r, genitura, creatura. Quando congeriem
elTenriaram & aAuum eiufdem generisin entum dcriuamus vocabulum , ut “firmamentum”,
documentum, & monumenium vulgo par» lamento facimenro, magiamento,fentimento. Item
cum pcrtineraliquid adefTedicimus, in ile &ale, deriuamus : vt/6m/^
ab hero, feruileaferuoiliumilcab humo, ouikab ouibus :
b(aciiiaIeabraciiio : exiciale ab exicio. Quando ipsu adu, vt
cfTentia &q m'ddita5.eft,Tel in ufl vel in ia vel aliter deriuamus vt
Amorjlanguorjdoldr, fa- pi£cia» do<?l rina, led io,amacio,iu fti tia ,
focutip, difFcritas. . Quando efrentiam plenam adu , in entia, vt
mdQlen^ tia patientia, conniaencia) fomnolencia, pracfentia , clifw
ferenti A^abrentia. Qua:dam dicnnt eflenttam 6e curam uBlva^ in aHmm
deiinatasTC Armencarius, Cbriarius,Commiflarius,de« pdfitariasjlonuius^
6c vulgo ftafiiero Caaaliero, fi)mie« ro&c«^ Qusedam
dicunt cflenti & a<ftusfimulmunus, £c iii ifl»«deriuantur,vt
“lanihcium”, “opificium”, “di/ridiuni”, puer.n. perium, “pontificium”, “sacrificium”,
“presbyterium”. Quxdam comparationem dicuncadie< fliuorum, quiedaniiu perlationem
m /«r , 6cinij7itai dehuaca, vcio* ftior, iufl:ifTimus, aiufl:o,
&c, . ii][u^dam dimiautionfim. ia mkm & vxiUm lum,
vtwi^z/i^^a/ai^ peclurculumj corculumj &mollicel-
lum, marceilum rcribillo, refocillo&c. Qu^c aucem
iiKlinationem,cum adus deleflarione in cfurn deri uauc ^st,amor9fu>Si
fragoftis J carnorus , vinofuj,, faftidiofus. Ac in lingua
Lacina non reperitur verbum &nomeft has omnes derijuationesiiabens.
Picimusenim , Amol\ aman s , amatum^ amaturum amandum amati^um, “amabile”,
amacanumtamatop, amaciflimuus, amantior, sed deen: amacio, amamencufn^ amaficium,
Amatura, Amanitia, Amorofus. amaticium jamaeile :qdxtamen aliisnon de
funtvbcabuiis» ^ In vuigari linguadefimt dqriuationesiiiiiltx^fed
alix Mifupcr adduntur. Nam alfignpre dicinius signorone-,: signorazzo«figQoreito,
signorino, signonizzb, fignorclrr lo, “Pietro” “Petrone”, “Petrazzo”, “Pecrocco”,
“Petrino”, “Petrillo”, “Pietrazzo”. ^r^iriTfff iHdirmd^nii iiilinpni al ti
tudi- WMrfiprifaz^^o'^\^t\t\xA\n^modtcam dimi^. nutionem
(finorinj^fXus minuic 5c fegregat. Stqrjore/' h,zd ceoericudiiieiii
imbecillam traliic. St^oruz^yO ad minimura, Suinta nominum dimfio a
S^xUr^ Art. Nominum aiiud mafculinum /aliud farmininum, a* iiud
n^ucrum , alittd cc>mmunr,aliud omne y aiiad promifcudm
^aiiudincertumi; 'Otwenniafbulinumcft qwod mafculum in fexdi^- rum
fignificat: t4>jagta,& dbu*.. Et dcdiDatiir per arti culumbic. Latifiis,
vuigopeiri/. e"'Fxmininum.d[lquod ramiioam fignificar, vtfi: & alba
&mtt Uecd£. defignaaturper articalmiH i&^A Vulga per/tf.
Ncucrum,<iuod'^ecau^ f«minam fignifioar, iFtcleclinaturper
ai^iculuno vc ftudiuiti^^calbam» ][acionale. 4^eftiVi vulgarifennone
arcicttlusneurri. Commane quodfimutma fcuIumdC&rminani
figoifi-cat:¬atur perarticttlumJ^i^ et hai homo^ti adue*
ni;&'ratidnalis» » Omne eft quod fignificat mafCttlum,
f^niinam, neucrum: 6c declinatur pertres artijculos, vc i^ic &:
/;/r<: Promircuum , quod fub vna fcxus (ij^niflcacione
Hgnificacvtriufquefcxusanimal, vc hicPaffer,ha:caquila secundum vfum loquendi.
Incercum quod nunc mafculinc, nunc fxmininc pro- nunciacur
Wi&4r^£uiis^.tamlacinc, quam vulgariter, Qunnmisresomnc'in omni
rpecie.iubeant-aliqua' indiuidua fortia, vta<3fiaa in generatione aliqua
imbedlla dcpaffiua in generatipne^pr^fertimanimalitim Larinitamen
vfumrermotitsprsd scientes jionragnofcunt fexumn Lfiioanimalibur. Etex his
cradiaxerAmcad plaiv ; icas. Pydiagorici aucem (exum-ip x^undlis a g n ofcttnc
r^r bu$ : ira vt agens fit mas , patiens £emina , materiaque.: ammatici
raiiien in omnfveliocoonagnofcences, dti-/ ; fftpbj^run^ fettti1i>gc
i^omen maribusr &mininutnffim alias tranftute;
nittt. Qiiaproprer Z)^»/ ^?te4ttt4iiafcul^ , terri^ fx^ mininc:
Sci^vis mafculinc, fa:mininc, quoniain bis adioin ifli^.pa/Iiorelucrbat. At in
rnultis (^enus non ponunt,ncque.'enim ftudium eft mafculu.s aut fxmina,
&rcdc. Sed rebus fxmintisaliquando danc vtrumque nomen:Aqua enim
dicitur />wy^ flrminine , lateK mafculinc : & quidem aclus
voluncatis vocatur-appetitus mafculinc, auiditas fxminin^ : et defiderium
neutrali ter., Scamnura etiaponjcurneutraliter.cum potius Avminine
idebeac ponii qttoniam ittbfiac^vc faemina fedencibuSft Di^itizecJ by
Go Quapropcerdiftinguendficftde feJtoPhyfico &c Grammaticali.
Pliyficcenim non daturfexus nifi mafculinus et fxmininuSjVt in viro 6c
muliere:^ promifcuus, in hermaphrodito , 6c in lymacibus, communis :nam
motus vehemenriscft mafculeus, debilis fxmineus. Neu- trum autc nil
videmur dicere : non enim proptcrca quod noncftmas nec fxmma eH: aliquod
genus. Sed porius eftnullum g;enusphyficum. Sed grammaticalirer dantur fexusplurimiiam
di<fti;mafculeus, fa!mineus,neutcr, communis,oranis, promifcuus, &inccrtus,
fecundulo- queadi vfum, qttinon semper nacurac correrpondenr/ed plerumque,in
Grammatica humana Grammacica aute Angelorum melias exprimic&per
cercasvoces cetcos fexus &veracicen Sexum Grammacici
vocanc genus, nbnredevi^on enim funcduogeneramasft &minat V^in
logicapate bic. Nomtniim ajbrmatione Nominum apud est
formxfimplids: aIiudcompo(i« cx : aliud de compolics. Nomen simplex
est unius vocis, compositi pnis ex- pers, ut “animus”. Compositum nomen est
quod ex pluribus nominibus, componitur j Vt “magnanimus” ex magnus 6C
animus. Decompofitum vcro eft quod ex compofito deriuatur, non additainterdum
compontioneaUa^vc Magnammi- exmagnaninio. Onab re hanc distinctionem
ex formatione voca- accipimus. Cumenimres alix conllent ex
NOni simplici forma , llcut aqua. cuius oinnis pars est aqua
ob ^lDriginalem homogeneam formationem. Aljx conflcnc "{^tyi
comj)ofitaforma,ficuti pirum ex circulo Scangulo. Alix ex pluribus compositis
, Ilcut facies hominis ex forma oculi et nasi et genarum et mandibulx, 6>:
auris, & ceterarum partiumjita euenir coportet vocabulis in fui
formationious. Forma enim totius ex formis partiuni; formx partium ex
vnitatibus resultant simplicium formationum ificuciin logicis declarabimus. Vocatur
ctiam figura a Grammaticis simplex composira iquos non fu- nius
imirari '/quoniam formatio propnus quam figura remhanc elucidac. '
Considerandum quod compositio alia fit cx nomme &nominevr
“magnanimus” ex “magno” ^canimo ta- ' •r^-La ex nomine & verbo , vc “magnificas”
ex “magno” et “facio”, j aliaex nomine& propositione, vt conferuus ex
cum fic seruo, 6ctranrpofirioextrans& pofitione: Aliaex aduerbio &
verbo, vcraaleficu5& male&:ficio :alia ex aduerbio 6: nomine vt
beneficium. Accidentia communia omnWus Nominihm. ACcidunc nominibus declinatio6( cafuSjinllatina-
Grammacica.; C G Casus est mutatio noixiinis in fine
Teu cadentia di." dionis in eodemnumer 6,vc Pecxus Peai
Pefro. DISTINCTIO CASVVM. CAfaum aliuseft reftus, qui nomina dnu$'vbcatun
quoniamonmis rei nominatio primainipfo est. Alius obliquu^quianon
adres fblam nominationem, sed enn m ad aliquid circa rcm fpcdat, &: cfl
quincuplex, videl Gcniriuusdaciuus accuIaciuus, vocaciuus. 6v ablativus
Quibus debet addi aduatiuui, vocatuja GrammacLcis feptimus ca(ufi. Nominativus dicirurcaftis
non quiacaclit ab alicjuo, sed quia in finc aliam cadentiam habet quamahj et
rcclus dicicur, quoniam reda nominacio cfTencix per ipsum est. Alij dicuncur casus,
quoniam a nommacivo U, ledicudine sijgnificatiomscaduntj &nraulinfine
mutant cadentiam. Dicitur gcnitiuus a gignendo, vel quia primus gignitura
redo vt quidam volunt , & hoc minime. Nam poctac non magis ingcnitiuo quam
in datiuo dicimus, dc- Patri <i4i/i««i, vicmior eft pzter ^cminjtiuo ,
qu.im patris. Gettitiim Si quiadditvnamlitteram fupervtrumque. Sed
dicicur genitiuus A gignendo.quoniam pactcmjip geni- stiuum poiumus cum
nominamus fihum morenij fibrum, 'Vt Pl^tfUsIoannis filius. Sed non solum patrem
,)[fdpofr u. ' fe(rorem,& fubieaum^^^ 5c aha?^luto|poDfe/
fxpe in^enitiifo^v <}uon1am luri^ijf|if^jpfBkm i|« }$tn
cum patfe faJtem Grammw^em^" » nefcierunc vocabulum explicans
omnia. - ad adhunc cafum pcrtinentia & declararunt eum
amaicri Dici cur dativus a dpiiando, quoniam ille', ciH quid datur,
poniturintali.carttplerttmque»ticel i^itcrdum&tui aufertur
&, cuLtimetur56cc. Accufariuus dicitur abaccufando, cjuoniam patiens.
caufa quafi femper in ipfo ponitur ; accuiatiautem cft pa. ti.
Accufareaucemciletiam adnotare&fugillarc. Vocatiuus dicitur h
vocando; quoniani ciim quem. piam vocamus , in iioc ca(u
oblnjuamusjnomen, vt 6 Petre*'
Ablatiuusabaufcrcndo,quoniamcum abaliquo quid auferimus,ponnnusillumin
tali cafu.led etiam caulaa- genspaiTiuaibi ponitur ,6c inihumenta omnia,
quibus, operamur,vtquibusimplcmus&:vacuamus,vt.loquentes deverbisJ declarabimus.
A(fbuatiuus ab acluando^quan- do forma.inftrumentum & pars
indTnmcncalis adum concexnuncimmanencem,vtini. lib.
docebuuus. Non fuiRciuncpracfacrcafus, qubniam Poc Hiaeftno.
minatiui, vocatiui/& ablatiui. Poeriveif6 geniciiii, datiui in
fmorulariter & iterura nomin.i& VocaCiio plural. ergo alij
aidendi crant in cun^s declinationibus, vel ftandiitTt in.articulis , vel
addendi. Nam cum vulgb dicimus j//>^i/fi/o^/-non habetur in latino
mCifMfi^ fhtts , qui n on exprimic quod3ir^idnuit,pr«fertim inan-
tlionomafia. Declinatio est - variacio cafuum nomin.um gene^
jracimt Quando nominain
finccadunc, feu definunt aliter, cum dicunt efientiRs , 8c alitercum
circa elTentias aliquid de illis dicitur in lina;ua Latina & Grxca :
in no- flraenim vulgari noneft differenriacafuum ,fi?dnumeri
tantum:loco aurem differentiarum pooimus articulos, quibuscarent Latmi
& abundant Graccij & in hifce cafi- basnonomnia eandem
normamferuanc^leddeclinaoc abeavariando pluribus modis apud Latinos jin
vulgari enimnomiifi duo funtmodi,6canomiQadaisagnofcun. tur non i
genitiais, vc in latina » Giammacici cradide runc declinationes
nominum. DE NVMERO DECLINATIONVM. Sunt^titem Vfeclinaciones nominum fex: prima
caiaa i. genitiuus (ingularisdefinitin, diphth6gum, vt Mufa^ Mufa^.
Secundacuiusgcnifiuus fingularisdefinirinijon- gum vt “dominus”, “domini”.
Terria cuiusgenitiuus fingu-, Jaris definit in is , correptum, vt pater
patris . Quartn, cuius gcnitiuus finguiaris definitm i^; producluni, vt
vi(u5, - vifus. Qmnra,cuius genitiuus fingularis definit V/, vtfi-
des fidei & fpcciesfpeciei. Sexra^ cuiu.sgenititt^ifingulaxis de fiuit m ^
, vt cornu cornu,: J,cfuS) lefu. Nominacioos non indicac declinationes
cafuum»] quoniamconcingic ipfittti tpl«i^bus moJis accipi i N omina
imponencib us , cum prxfercimd lingpa peTe" mBain kuinam
accesfianciur, fed in geniciuo ccncor4^ danc, Bc io^cieceristpropterea a
genitiuo babenC; diftinonem -fingular em, vc Poeta poecas » Anchifes
Anchi/se» Eneas Eneae, Adam Adae , Aminchas Amintb«. H^ep cfmnia
n6mjaa fpe&ant ad primam decIiaaciQneni , U tiberprimHs.
coniieniunt in genitiuo 6i opponuntur nominativo, Seci profedo
Calliqpe est prima: dec]inationis, &: concordat cum aliisin genitivo ,(}uifacit
CaI!iope5,propterea. dicendum quodnomina purtlatina
conueninnt,externa vero variant in eadcm^declinatione: idcm
videbi&in^»^ 5.&^uai' cai declinatione«&x|uinta&rcxta. In
prima Latinorum declinatione n omi hati uus definit in a, breoe, ablatiQus
(imiliter in, a, longumVocatiuus in a;breue : genitious 8c datiuus in
ar.diphthongum inxe videturvuIgQS latinofumeriraire iomnis
(snim ^e^bet ab omni & /ineulo difbingui , quKndo praefef^fhi
non adeftarticulu5diuingues,nequeprontxciatio.Tgitur non tt6th
dati0us,6c Genitiuusin ^ddtniSt. Loco Quorii vulgares
ponuntartlcuIos^W&«i/, vt,del poeta&jal poe. tas,
icrrbirur.tiecre^ amnormft renuerutponentes poeta in nominativo, vocatiuo,
et ablativo. Nam necvariatur quantitas in pronunciando nominatiuum &
vocatiuurhi necfi variaturin ablatiuoagnofcitur j cum folum penultimarum
in latino agnoscatur quantitas. Prasterea in plurali latinorum numero
prmiac declinationis nominativus vocativus qacdermunt in a:, dipbth6gum, genirivus
in4r«wdatiuus, 6c ablatiuusin, longum , aut inabus^ cumA masculino
separamus fa^mineum fexDm : sed profedo nonrecflt, quoniam confunduntorarione similitudinis
cafus : idcirco diftinguendi erant faltem per arti- ' culps. Feliciores
in hoc ^nt Grxci vulgares vtuntur . articulis:vt nominatiuo /i peeti -
Genitiuo delli poeti: accufatiuo&/«^/i ^vocatiuo k ppni^ ablatiuo
daUipoe- ii. Sed non refticonfiindantartiailum nominadui 8c
acca&tiui. Secunda declinatio
telatitiisrationdlite Rdicuntenim Nominatkio Dominas^ genititio
Domini,djiduo Domi. . no»acca&tiao Dominiim, vocattuo ADomiiie»
ablati«. finiiDmMQo: Yariantnominatiuum iDus^Dciminas: in ' VE
ij i€^rdmmAticalium C^mpanelU, cfjVcmagiller : fcamnum in hoc
genere neutro con- fundunt nominatiuum cum accufariuo , vocatiuo in
«m:- & in plurali fcribitur in ^,hi tres earusdermunt.
Incertiadeclinatione nominatiuus multiplicircrvaria- turin r/>f
ponitur,in iz.vtfiElix.mo7j,vt Artneon,in f«,vc nomen,inrff,vtlaciin es ,
vt Aucrroes - in ,^,vc omntf : ia ^ y vt epigrammii : in , is , vt nauis
: quas in gcni tiuis- coniieniunrin,,ff»datiui^ ivis\m accufatiuis in,
>fed neutraomnia , vt innominatiuo r vel in, /w, vt nauim :m
ablatiuo in^/,v«liii«^cumcon£uiu>nedaiiuiy&aliqUan'- donominatiui.
/ Quartacieclittattbin^ irihaber nomtoatiuiinr , &genr.
tiu^m &vocatjiiuftinngulares, quoseonfandit cunnno*
ininatiulsvocattuis ficaccuiatiiiis p tttraKbus.dact.ttU5lia^ ' bet
in , ui, accuCifr iifff,.aBlar.hiv«r.
Quint»concordatinr»ominatijuis in ,«^deGnentibus fcmpcr Sc
geniriuis in cuncbs.io.t ^ fiid t.<i«i £tfhdit genr-
tiuoscimrdatiuisin fingulari. Aceuf. in ,>w , ablat. in, #,
fedvocatiuu5ftnguIaris6c nominatiuus&accur. 5c vo- cat. pluralrs
confunditurcum nominat fingulari. Genitivi rcdc fc haben* in corum pluralicer
^fcd datiui cum ablativis in- confunduntur>- Sexta declinatio non
ponirura Grammariciriponcnc fa- quidem: NihH .n. commune haber
Nominanu{^Ar«y,. cum cxteris prxfertim cum quinrn,in quaab
eisponitur. Nominat. genir^^iccuf. vocat. ablat. faciunt , a ,
fcmpor- in fine. At inpJurali nominatiuo vocariuo & accuf in ^
vt cornua»^nua, vcrua» Prxeereii. feli datiui con- fufi cuip
ablatiuirpluialis» nu^eri ii^ iini copucniua«c
i2ttin.<]uae/untcjuinteti ^'. A ' ' ^ N. Hogua^ Qrxca St
cafus {^iif^ScuIi c^^ tiaruo» nominatarfiadualitiaiiei^*ln tatina' foii
tSLfkp vuljgari^ IlaIa,Franci^ «Hirpana, H^breaAi Af abica, hl
ai;tiajii Droptcrfast <ji*mil5 acciientia > i^Juna exa^ Liberprimus] v
declinadcmemeileVfiomi Qibus* Igtcur nec^cnr^c.cJ'!- iMttiocUndis
quoque^Laiinis. PRononi^ ncdvocabuIiim declinabile confignjficiia^
perfonas, velperfonalia eifentiarum. »r . . r; ^
E E T id circ a d i citur prononcien
^yjoniaiia ponicurloc proprijnomuii. Rgo femper repwrfJntat
efl&ti^run? exilfeiai^s:, Yelexidentiamprimq, dt
Inredorefieiitiimiii^ b]iquo> (ecnndarick Dlcitur
pranotnen vficalttlam jfars orationis drdU nahilis, ficut& nomen ex
fuo genere, qui conuenit 'Cumkliisdiaionibus,&ex
difFer^tiaabindeclinabilibus. Non additur vel art)culahilis , quoniam /
articuiorum 'iiobeftarriculus, pronomina autem varticulifunt. Dicitur
cofippiifjcat ferfmas vtl pcrfonalU effentiam ad differentiamNomfnis&
verbi: quor^im. iliud %nificante£. fentias,iftuda6i:us. Eft
aute pcribna quod perreaIiquodparticuIari2itu&' diftincl uab
aliis>& indiuifuminfe,fonatWPf/f«/ UfiU»S' frimui Martini, Omnis
eQimres in-iiiis caiifis habercC» ientiampuram^iicuc i&«j^oite
meaynoneiirmiftaniai.^ tcrisc nequ e qua n t i tati,neque qiialitacibus ^erum
coext^ ficndum^ NMcftin cera^M^iie inUgho, iiequemmias E ig.
3& CjrammMicdmn CampandUl longa, eqa.e curta, nequealba,
nequenigra,ncque graiT cilis, nec craiTa. Sed cum Tentc d^ mence
meaxdein&n. tia^ ided ad eiTendum extra cunc noneft am]>litts
pura/ed liabet fiiarri p.erfoiialtcaijem mixm asm,aUisidDus,non .
ei^Hmdicttur .A.Sed hxc.A.curta,nigra, gracilis, &c. Sic homo in
mente Dei, vel in natura ,Tion eft hic Jiomo, nifi cum perfeeftextra
cauias,^propriamhabet perfo- mm 3c,dicicurhic homo , 6c
petrus,&ille^j5c;ille, & ego,<£c meiis nofl:er& aliqnis.
Pronomen ergo n<jrj fignificatefTcntiam fed perfonam , vc ^•(^o ^/«vef
perfo- naliavc mcustuvs. Et quoniam porsona eft c^frentict subsistentia, anr
singulariras, propcerea rcnipcr pronomen signjficat cirenciara, fed personatam,
vei perfonam elTeh- tic-c Aliquando 5c perdonalia, Cume^itp dicoyf/««j
jdf- fentiam significo , fed cum dico , fjliusmeus , significoeC.
fenciam iiltj perronacafmidell hanc&dam £t propcerea» vc dicicur in
jiij ii nn rtii wlUi i i i ^ [ in mm i Tn i ftu loco no- minis;iq|j^pniam
perfona^nonjeft perfona nificflentix ad extflrentiiip ^eciufl^. £t in
fecundoc Qrollariodiximus, qttO(f sigmfica*c exiftencias efrentiarum;
quidauidenim In rerum mtterfitate eft, existentiam haber, feanon
fiib* itftentiam, aut, perr<Miacn^nin fic substantia: vcAibum
habec exiftencidfii \ ttd non fubfiftenciam , qooisianmon exiftit per fe
, Ted in perfpnaal^cuiusiyvel in indittjdae a^- qiiocorpore. Perfena
c|ttidem proprii diciturdeiatip nabilibus creatiiris ^ indtttidiium ,
& nypoftafis de cttisms creaturisad exifteritiam dedu(^is. In rcdo
igitur ponicur existentia, in obliquo faltem implicito
,e{r^ntia:'cum dicojille “homo” id est illa perfona hominis etc. Ego Petrus:
homoenim fic Petrus fccun Jano ponuntur j &aliquando exprefse in obliquo
cafu vt aliquis hominum, v.elquippiam falis. Dicitur quoniam prohdmcn non significat
de se, nisi una cum nominee ex prefib vel implicito : vc cgQ. Petrus qrahicperronaii
Ucem ^ fc; QVatnui* ncMnina fingill^'^
,^V^(fift"rus & Fafckisdi^ cant efFentiam perfonitjim , h jid
tiinienrantpno- nomma : quoniam in re£lo cfTcntiam dicAnt vt
finguraris &non ponuntur locoalicuius nominis fignificantis essentiam,
fed de fe ipram significar. Licet connoratiuc pronominent, cum nominant.
Petrus enim est hic homo filius lonx et existentiam crc^o clicar in obliquo :
6c significat essentiamin rcdo. Vei existentiam, vt quacdam non efrentia
est, ac fub raiionc exiftcntix. Quoniam proprium eflentiale est
prpnominisfignificare personasyprima di/lin(%io prbnbminum erit. a personis.,
Pronominutnafiud fignificic. personam primam, vc egQ& nos, :41iucl secunda.m,
vt ru , &: vos:aliud tertiaqi, vthjp , & ille ; i^liud vmnei personas
vc qui , qua;, Recbcpomturel Tentialis divisio pronominum a significatione
perfonali, quoniamliic eft vfqs &eilctotia
prononiinij^.Tresiiimcpn{onzcancuin apud Gianu mancos« quontamperionarepradr
(rntat exiftentiam cum |irofeitur:qfii ergo proferCy Vel repra^fentar fe,
ficdi;'' cit. E^i iiKl.atiurhvquo^.cwnbquiturjdclkididC'?'»: it
iAtb oiiine vocatiuum sdiiien efl; ethim^fl^cm- dae qaoniam fubaudicu^i»,
& Velatitfmici^imi dc quo eR&imokficdico,ltfr. Nos «ddimw personam
quar cam , ideft omnem, quoniam pronomen referconinespcrfonas, 5ciiiiif5eiVperrona:
quam rcfcrt, vtegoquijCu qui. illequi :
vbi^«ieftprinui»&fecttnda, & ccrna. 'Myftfrinfii/Tlieolpgicum eH;
, cur non vkt^ ten^am perfonafn (ertno prodiicicur. Neque enim ix^
eternicace func plur es p r i malitaces, " Secunda
dliiifiQ^abeJfenna. Pronbminum aliud fubftanriuum, vt egoj, tu ,
nos, vos^fut liic ifte,ille,ipfe. Aliud adie<5liuum, vt meus,
tuus, fuus, nofter, vefter, quis, aliquis^quis^quidem quif- piam^omnis. Dicitur
pronomen substantiuum, qaod fjgnificatexi stentiani seu personam, quasi
per feexiftentem. Ec itieo n on fo lum f 2;o , tu, nos, vos, et fui,
ponuntur fub- ftanciu«,quscper vocc^ pluresnon declinantunfedetiam
hic,tfl:e',illejpre,qu.x per vocestre5i& articulos pronunciantur, quoniam
dire£bc fH!;nificant perfonamjVt pcrfeexiftentem: & hic non
valecregula grammatico- rum,ex vocibus, &arciculis fubftantiam
accidenta» liratem vocabulornni decbrans, Sed in fpiciendum eft ad
inodumv lignincandi. Poluimus adiecliua pronomina, mcus, tuus,Yuus, nofter, &
vefter, quomam non fignifiqantperf^iiamdire^cnpcr feexiftentem, sed
adiacen. terii, dicitur enini equusmeus jquafir^Wf/:^w,feu«frA utt
adiaccat equo. Scd curn dico ,'ego , &ille » demon-
ftfandoadiacenciam 6c accidensperfonalenon dico.Sefl^ perfooam
ojPteplit^^ dicit perfonamiper, . /^i^iij:^ ali^U f^idam dicec
perlbnam la : U mnis dicet perfonas. Sed ircitH
adiacet* Eceoinifdi Mexpomcur^^iil* M.fis , expooitur #wiKi iiW»
^nsnlaris 9C perfonjitns. Qnod fi ira non est, Ii^e diftinccio non
Aabeaclocum ifi protxoitii Deiicuthabqc in noauioc. DiSmcJio tertia
cx quantitate. ' PronbminufD aliud 7niuerfale , vc quilibec^ 8( omni U
qui€umque ^aliud paiticulare^TC aliauis &qut« ilain,
quifpiani;aiiudfingulare»vcego,ta,iue,iple,l ic; iftc., Pronomen universale est quod significat
on^.ncsperfonas fiinul : vc omnis homo. Particuiare quod fi- f^nificat
aliquas perronas rancum: vt quidam homo,& aliqui &homines,&:
ahus homo: fingulare cfl quod significac vnicam fingulareniperronam vc bic
Jiomo,iiVe, 3le,aicer,ac vnus. , G;R4[mmacicl nonlrede
poAierunt intevnomina, dm nis & aiiquis, 6c quidam :hacc enim nullanf
effen* ttam 6gntficaac npbis : nec illis fubftantiam aticqua-
liratpm: vndeiogicinon vocant eot terminos fignifto catinos,
edconfignificatittos fyncache goregipacicos; quoniam per fe non
fignificani^fed habent tnoratione offieium defignandi perfonas
omncsaucquardam,qux in illiafiibinteUiguntur. Cum enimdjco, omnishomo,
non incelligicurcflenciabominis,fed omnis perfona hnmana: veluticum
dico,quidam lapis non inceliigicur efiencia Iapidis,ied aliquod corpus
indiuiduum lapideii, feu lapis dedudus ad exjfietiam aliqnam.Etcum dico,
hic homo, r.on fignifico fubiKTntiam hominis,nifiiecundari6, icd
perronam quam demonftrabomim$« i. ETideo pronomtn non
ftat loconominis coinmumri . fed proprij:cum eninvdico^omnis bomo : ly
§mni$' significac Pecrum Joannem^Fnincircttm et alias personas humanas
, CcWiott^hU km9 ngnificat Betrum ^ (^uemi oilcndo.. ' ^ifiin£2io
(jiuartaexordme^ • Art. Vi. PRonominualiaprimitiua ,
vtEgo.tu^ nej^vcs ^fui^ille^. hii^ ijleyipfe^^ts^ ^uis , alius.
Aliaderiuatiua, YtiWf«i><««MVlca pronomina primitiaa habenr fiium
deriotf»- .dunma genitiuo didum, vt ego, mei, facic
meus» mea,meum^tu,tui,taus,tua^uum. Sai,/uus,rua,/uum, . ^ nos
producic>nofter^no{tras: vos >vefter & veAias. /I producitY/^i^iii
«liifi faocfit compofitum ear ^ dmftfp, jitipfe^illeM<,^hSmtiffmk\^
produounc| de- riuatiuunn tf/HH t^tni^LcixjilunBifLeiUfr^^lufdHiS*
Ip&L: <juQ€)ue facic i///;iwf X iipud Blautam*.
Dti^fio uinta ex numeroi. ' PRonomcn aliud fihgulaic,[vtcgp
:aliud|difc5ale,j Vtc- E|Rima,reciitida& cereiaperibniKAmt
nua^rij^luralis 'rraiaciii i . Hoc camefi norafiifum qood in
Jin«::iiaLatina et vulgari leahcanoncorrerpondenr C\h'i pluraiis
nin-ne- ru«caa<i fiQ|fbtari^iQ prinil5 6c (ecunclisper^ooif-
'Ntim fcumdicb ^^^innngulan , deber£dicere7^09^>ibpluraii: &
ex /fr nngulari, /«ff/i in plifrali nos AffiKEtprweSk^
iingaaTurcica'^lt<*f!^ habet -condicionem, qnoruam proego,
6Cfi%l%\oihetlsM^t^'-- niy pro cu & vos ,fundr fani^pato eciam aliay lipguas
yfoii- Iher fe habere. In rcrtiis perfonis rcdcfe haue^c^ iin-
gularceniincl\///f,i/rf,//i»<i:plurale//i/,A//<f,i^^^%)i^n£iio
fextaexJexH. Pronoininum aIiud mafcuhnum vc i7ii: aliud fa:mi' uinum
,vc///i^}aliudneucrum , vc//i«i/:aliud omnc, EA<Iem
rationedeciaracur fexus pronominum acquc nominum Sedpi onomina
carentcommnui 8cpro- mifcuo ,&:incerco. Quoniam cum fignificanc
perfonaj appoficas cflenciis^clarcfignificanc rexumabfcjue com-
municace «promififuii^ce 6c incerticudine. V
1Diflm3ioJeptmAaFormatione. An. yilU 1 PRonominumaliud
simpIex,'vc//- & /y^^ralius com- pofitum vc idem U ifihic |
conipomcur is U dc^' GrammalicaliumQim^aneSie, NOn diflfert
dedaratio figurar fimplicts U cdmjK>- Cnx nominuin & pronon-Hnuni.
VerumapudLad- nosnon uiueniniuspronomcn dccompofitum. T^rofoftio de
declmmonihm fronommum. Declinationes pronominum fiinc quinque. Primac4i-
iusiingulans gcnitiuusdefimciai vcd^gtfginfi, tUytmii
/v/,carccenim/arinoiiiif)aciuo. Sccunda cuius gcriiciuus deflnit
\nius ,vt iUfiUius^fCej iffi^s j i/icy ifim$^. aUus^alms : aUeralitrius,
^ Tertia cuiQS geni tiuus deHnit in i, vtmeas^me^f^ml^^
hcitmei^me^ymeijl^cJiSgwi , tui,tmf0iHi4 i^fintfyftti/a^^ ftiix, k vrfrv^
ve^n\ veftm^ vefirs : ipofier , 4w^em , nefiri^ ntffir^e nefff* Quarta
eft cuius geniciuus fingulans definicin//, vt ^nifiras nofiraiisivefiras
vefrasis. Ad^ nancreducunrur.pa- ' cronihiica mafcnlina , & ficminina
, qux rcperiuntur in prima 6c tercia declinat. nominunl : fed ron riim nciid/ra
vtputant Grammatici, fci] pronomini gciuilirui. Qaintacuius
genitiuus lingiilaris dciinitin h^ivzfre b^e^tOQC, Facit ^«/«f/ : //, ect
, iiljactt cius, Q^ i\ vcl ,ju\ oi^ ifuod ifacii cuius , & codcm modo
fe habcnr compofirjv,. - ^ f w ^ '/*^^» eiufdtm - ^ ab aliflftis a
lii^ius, m Quoniam pronoiina flc<^ u n tur in finc
cum cadi t dU dio «haberc dicuntiSr pafas : 6c ex ipforum variar^ '
CiOQe^vairialaittif declinaciones» & plerumqucagenidlio: uaihqaam in
pluriboi cafibus reperiacur vanccas cam in plurali) quim ip fiegulari. Id
quod:fiatcemiaa&'das XaXi^^s;c plures dedihatrones. Nihil cnim commune
hahct W,hxc.hoc,&iflhic, iftha: cjftoc, cuinis, ea,jd,&.quis
vei qiii,qUcT,q"od. Prxteroa dantur componta pronomina
quorumalia . fcruant pristinam declinationem in cafilnis,
prxfertini genitiuo, vt/f^d7Wf/,</>/^/?Jr/,/7/^Wif/
/«;7i^'/fcribirur, //1 demi^hicce^h/ccc(^hocce,huiufce hc\t. A Iia non
fcruanr,.Oam cx ecce & eccon^^\\c\nmseccum^ eccam^ eccum , non ra-
men eccihMtus : 5c ellum,eiia m, ellum, non cameii eJlius, prbecceilliiis
iquoniamlylfrrcfolum acctiratiitum ref- , picic. Sicuti fnoimi&
tafipt^ fol um abjbMii|Ql^ueniiiMli» O^inta pronomina
naiiieraK^ bitbent incercas. de- ciinaiFiones-* nain vffar/, tny^^, ,
f^it «^«1»/« Sed reliqui nameri fqnt indeclinahiles. Scribiiur e
cericra pronbmina gentil icia, vtAquinas feruancanalogiarh^d!'-
cimus enim^f»i>^///,«9|fi'rf//i,cumponuntur non vt no- mina, fed loco
nominis. • •. ^nim^dtierfio de fatrQnimicis. ^ PAtronimica funt in
prima declinatione nominum : vt Eacidas Eacidx;& in v vtPriamides
Priamidis-.fic Priamis Priam idis fxminin^ d!cicur,quaequoniam
ponu- tur loco nominum funt pjronomina , 8c non nornira,vt Grasci
puranr. Nam nefaoquis fitPriamides nifi fubaa- diatur Paris: iicutnefcio
qaisiitillenilifubaudiafur Pa- ris,ve4 Pernis,verfaomo:pra*cerea palam
fpedant ad personalitatem : vt nuUi diibipi fit qi^in fint £rt>niDr.
iniiVi. I)iHin£lio pronominum ex ftgnatura\ Aliui
demonjiratiuum. Aliud pojfcfsimm: aliudgentilium , altud relativum. Pronominum
alia demonstrativa vt ego;tu.liic, ille ipfe, iflejis & Iy, quoniam quaridigico
perfonamde- monftranr. Alia (unc l^odcCCwiay Vtmcttstuus
/uus^ noffef^ve^^raiifnai, quomam poHidentcm circumfcribunt
perfonam. Alia gencilia vtnofiras ^ veflras yEneades cuias ^c [UO'
niam pacriam, Scjgentem, connotant. Prxtcreaexpraediftiyferrqtixdam
retatiua, quiarcm antelatam fiue ante didam refcrunt , vt ille^ ife
^hic^^jr is^ iiltwY' ^ quisqufCy quod. Dennr Dnflraciuaprononriina
reruiuntrenfacisdemon- ftrationibus perfonarum , vel cfTenciarum
pcrfona- tarum. Naminfenfu oflendi non pocefl: eHencia, ni-- fi
deducla ad exifl:enciam,feu perronaca. Sed relaciua non oflendunt ad
fenfum, fcd quafiad memoriam.Nam dici- musiPetrus eft dodus, ille qui j
vel ifte/qui legitin fcholis. Scd ly ille , ipfe , ifte » is , refert
antecedens de- monftrando, quamuisnon adfenfumfempcr exteriorem Sed
ly quselrefert memorando & particularizando. Addimus nocam
demonftratiuam ly ex Arabibu» quoniam logici acceptarunt eam ad
dcmonflrandum du- plicitcr.-valet enim vtecce 8c hoc fimul.
Notandumcactera pronominaabfoluca vc pofiefiiua <3c gentilitia per fe
..patenc!,quid oonfigniHcant in vfii:ac relatiua declara- 'tione
adhucindigenr. Definitiorelatiuorumptpnommuin^ V plcx eft rciaciuum ^
aliud eilen tiac i aliu^ j ccideo- Definiiio reUtim iJfcntiA.-
£latiauine(rennaseft,>quoclnatu|am reirefcrt,de monftratque, fiue>y
tencem ^ {Tue^^r&exiftefit;^ 1 vt. homo^quieft. GB.ammarici ^iuidont
relatiuum» infubftantiar £daccidentis ^ 5c dicrnitrel^duum Aibftanrix ,quod
re. fert nomen fubftantiunm:vt labor, quemfofcipis, eft . durusjvbi
ly queni rcferthocfubftantjuumi abpr.Scd rc-
iatiuumaccidentisreferradie^biuum. Nam etfialiquan- doadiediuum eftfubftantialevtanimatus,
& rationalis;. nihilominas {;rammaticaliter fe habervraccidcns.
Scd prote(flbnon femperitarebabct. Nam si dico Petrus et nomoqualisestu,
idem vaiec acquc Petrus cftrationalis qualisestU:& ly homo est: substantivum
et rationalis. adiecliuum, Qn.ipropter m comparationibus rclatiuis
non vtuncur logici relariuo accidcntis, fed potius ad-
uerbiofimilitudinis,ficut, &velut :vttu e^liomo^/icuc- ego tquamuis
ly Hcut omnes nocas compararionis fup. j>leat in referendo. Propterea
nos diximus relatiuum efTcntia! n^,nominibas ^gfammaticabbu5 potiU2»quaBi
i xebius confuleremus libtanttd: ile Utiwjamfubftaati» eftduplcxXidcnutis,
6wdiuer/I*^ Cti^mmaticalnm Cam^and Ut Relativum identitatis
refertidemomnino quodan- qtiien: aniniai fcntic, 6c.hdmo eft animal
dc idemfentiti vbi ly qui ^ ly idcM'^ referunt bominem omnino etin*
dem, ELitiuum diuerfuatis fubflantix rcferr diuei fr.m X V
anteccdenti : vtalius ^ vce^o vidco ''otrum 6c alios ^ o m i nes : vbi ly
aiios refcaiiomiues , vcdiucr lilicaiuur a -rrET^rx; QVid
Ocdiuerfic^tis^identitatisin Jogicis&metlia- pliyiicis
declamitrdiicautem Gimiturpro quacum* quc fimilitudine,
&x>ppofitipne« DE RELATIVO ACCIDENTIS. Relatiuum
accidentiscfl^qiiodrefertaliquid pcrci- neiis adeiTentiam, vcperfonatam
accidencibus. NVMERATIO Relauua accidentis funt (eptem,
quallsiquantu^^ quot^quotuStquoceQiyCuius» cuia(, cuium 5 cuias«
GR.ammatici<!ieunt retatiuum accidentis referre anteced^ns a
diediuum,vc cu esnjger , qualis coruus: ' vbi Tbily qualis
refert ly niger, & non ly tu ,diximusquod non omneadiecliuum cft
accidens in: iiilofoplna, (cd in grammacica, quxrcfpicit modum
lignificanditantuni. Sufficiencia rclatiuorum accidentis fumitur ex
hoc, quodomniseflentia vcniensad exiftentiaii\, re|^i6iicec-
ad^entia,ideoqueveAitur&perronatur qnalii^tie^guaii* '
titate,numero,orjine numerati , coUe^ione ordl^a^- . tum s in loco &
t,empore & in numero "i^ogterea dd tur <qpaHs
t.qtUU3Ciis.qQOt,quocu5 , quotenus'}^quibq$ de&ec aiidi nuhc , tunc ,
qaando,iliic»vbi,0 ex his po^Ten c apud ^ '
l^ifenosderiUaritiomina&pronoiniria.! v V j-- ' .V
£fta»cemquah'tasmodusreifiueaccid«^^ fldLiitiaIiS)pTopcerea refer^ ly
qualis omnes exiftendi ^ndi moaos. jDicimus enim Petms ^ft atbus^ fprcisX
manus , cationalis , dioes , Rex , velox ; red:tis,'$c. Qu] ' Iisestu:vbi
lyqualis, & efTehtia: , & perfona!, 8£ fori na:, & operatiui,
&: pafliui, &voIiriui,<^- animi,6c corpo- ris , qualitates
refcrrepoteft: quoniam in '^mm pra:diQa- niento datur qualitas , vtin
logica probauimus. Quantitaseft menfura fubftanna:
perfonata::&pro- pterea dicimusPetrus eft alcus, magnus, crafllis,
longus, quancus cstu:vbi ly quantusrefert omnes dimenfiones
iundas,&fcorfum , fed non qualitates quantitatis:noa cnim dico, 5^
rectus figura quancus ego, fed qualis ego. vc milices Quot refertomnem
numerum fimpliciter funtduo, tres» quacaorsdecem^cettcnmimilie^&c.
quoc funtciues. Quociisomnls'ordinis nuAienisjVt tu es primus,{fe«
cunaiis, certius, decimus, centefim'ttS96cc.iD ichola,quo*-
tusfumegoinfenacu; . QuocenicoIle^bionemnDmefatonim fcriattild svtmo
fmcbi nmbuiant biol, terni, quini| deni, mi)leni , cencciii,
quoceniambulantmilites; Aliquando iungicurquotoscttmquifque
,quandoC« gntficat ttttm de ordinatis , vc deeimut quijqut
^fecimiBS £x his dedacuncttf aditterbia> vc qneties
,Jecief^m$lliis. jo Item transferuntaradtetnpora aetates, vt
qiiotennis» bienms,tnenms quoniahi tewpuisadVxiftenriamrpe-
^t:item,adnocum,vt primasfecundas &c. 5c fedct pri- inoveireennd6 :
& prius, ac pofteriu':, vltimus ,6cc. lol cusenimadexiftentiam
fpeclac, vt in locrica. Prxccreaquoniamindiuidua. idefl perfonnta:
e/Tentix, non folum referuntur pcr prorfara^; cxiftenti.ilirares»
fcd etiam expatria & gence , 6c profeOione 6cfiidione: pro-
prerea dantar^Ai^i rcIaciuahorum,vid. Cuiuscuia,cuiij» tccm^s:vt ego fum
Romanuscuias cs tu, vbi ly cuiasrcfctt' ]y Romanus expacria. Icem
Ciceronianus: Dominicanus; cuiustu : Piatonicus cujas tu &c. At\^
cutas refertpoC. fe/Tioncm/vt ttiiim^pntrum hU^ff^fuifi
idebetetinin -Jycujasreferrcpatronimicuihpronomen: vt Parjs eft
Priamjdes,cajas eft Hc^aoti quod Grammatici non cori-
fideraruiu:, NGt^ndum quod omnia praedkaaiet\ta, vt perfo-
nancuradinnicem, fiuntpronom^na> vtvero(unt^ Velexidunt.Ainnomina. i)erho.
VErbum efl vocalnilum declinabilr, fignificaps cx impoficione , rerum
aclum^Hue eilendi,fiue exi- ftendi/iue operandi,iiue agendi^ Hue patiendi
EA rationequaindefinitionenominis ponitur vHiU bulum orationis pars
tanquamgenui gramatlcafe. A dditar ieclinabiU, ad differentiani prxp o
fitionis,ad:- iierbij , coniuoaipnis 9 dicitur)%ii^^ Dber pritntii •
jr gorematicorum. L)icicur cum imfo^ttone y difFerentiam
intcriedio- nis/' ' " ' Diciturrf5? aw,tanquamvItimadifFereniiacon(litucns
verbum in elTe verbali.fcperanrque a cscteris orationis partibus. Dicitur
eff^rtci , vel quoniam omne vcrbum /ignificateflentiar
ac1umnone(rentiam:&: guia a<flusvel 'cftlubflantialis
vclaccidenraliSjvel medius .idcirco di- ciiwraFiu
if^^dlyvzbomoefiammdl^vhi lyr/J^fignificat ipfam elFentiam vt
erte{rcntia&: c6iungitnotiones,n6 res-.pro- perea.-^tfmvocatur vcrbum
fubflantiuii rede d Grammatici-i. Sed perperam,dixerunt , verbum fignificare
adio- nem vel palFioncm. Hfi enim non significatac\ionem neque paflionem
litemnequedifco fignificatadionem, sed adumadionis rtf/^/jjaucem
fignificataclionem, vteflen- tiamaliquam : docere vero vt ndum. Quid
auttmfitA- clusin Jogica declaramus& mctaph Additur vel cxilhn-
di : Nam cum jico : Peirus e/?^vd eflin platea : vel exifiit^ non
fignii-ico Petriaclum cflentialem , fcd cxiflentialem, quod
./.eflextracaufaifuas: vel quiacA in alio 6c ad a- JiudiT > -'< v-
Additur/?.^<?^^r^W/, quoniamopcratio non tranfit in ixMwd ^homo amluUt
:ZcS.iovQX<i tranfir,vt fjomo '^eriferat filium. Dicitur etiam
ao^cn^i vtPetrusdocec:&paticndivtP e tru s docetur. Seddchisadlibusin
Metaphyf. dicemuSjneqvi^' QuimQtami^atUiefinegoti/, ' Hlnc vides
quantopere falluntur Grammatici,dicences", verbumcfje farterjt ofationn
declinabilem Ec deinde.non loquuntur amphusde decJinationc , fedde
coniugatione. Item dicunt, verbum efle /?^«//fr<r/iafiiw aUioms &
pafiionis : cum verba fubftantialia &neutrai ctiam ipforum ceftimonio,
non dicanc aclionem neque paflionem. fyncathe ^rdfMmMkAlmmCafnpanelU]
Quod auteni addunc Qrm\\\u\c\^verlumefipaTSord thnii decltnahiliiy quo
Unm modi^foryyns terfiporibusagen^ divelpatiendi fi^nificaUuumff} . non
perriner ad definitionem, ficucin logica decIararur.Non enim ex hoceft
ve,r-bum,quodhabeti'nodos& tempora. Sed exJioc quod adum fiuentem
abeffcntia & qui4ein verbamrubftan- tialcnon habetneque
fignificattempus:& multa verba. heterocUta :& tempow <?cicliteise»hoc,
quodaauiriott- fubieo fitvtalibi docemus. Pmerca in linguar Chhienfittm
&CocoocKinenfitiin verba non declinantur perfonis- , nec temporibus
«a* riantttr» fed^otuhs , vtAioihiocoapeiiemusiergoaccti.
dunthxcverboinoa^ei&ntiantvefbttm. Di^in^tio "verhomm
ejfemialis. Verborumaliud AibftantialejVt /Iwjraliud cxinren- thls
,vt rfuneo^exijlfi ahud opcratiuum /lueaclin- cum, vt Vfflffy
ambttltf.^audec. Ahud aihuum,\t ca^igo^ac- cufoyfacio : aliud
paiTiuum,vtca/?igor,verSerc} : Ahud ad. it Grammatici cbmmune , vc
cnmmr-^iid^ dcponcns,vtv/<;f,/wn - QVoniamfignificarea(flum rerum eft
v^erbo e/Fen- cialcexhuiufmodiacluum dyiin(flionc Ai mcdafuic
vcrhiorucfrentialis diftiyii!aiO.:-6c quoniaibcfientiaprocedit exifl^Qaab
exi{];^i;|aoperatib4 aboperatipneaak>» abadioae pa (Tio: proptcrea
verbum reftc diftin g u itt)r in , euentiale exiftenttale ^ operatiuum ,
a^iuum , &c jpafi» fiutun. '
£tMcdiftin^ioeft]l4^undttn)]»mVnask)fecmiduinVo:* cem fequif
vtdetur paffittum , quod tamcn eft fecundttm oremAdittttni.:
&propterea vocator deponens , 6c vafulo Liber priHim.
53 ridetur adiuum, quod tamen eft pa/TiUum. Aliudfbcun*.
dum vocemeftpafIiuum,fedfecundum remeft a^liuum &pariuum jVt
avipIcUor : & propterea a Grammaticis dicitur commune. Hoc apud latinos,
noiilinguisaliis: et recundum|r? aturamnondantiir veiborum
genera,Jijfi cx quinquc|a4ii>us. ACtiua&pafliua funt verba
inoijmiilingua, Atki Latina ex fmitionein o in or , diflinguuntur,
quodvemmeftin pinmbiis temporibus verbonim,prae^ terquam^ in prxtentis.
perfeAis & plufquam perfedisi o u^Tefoluunturin partxcipium €c verbum
fubftantiuuro: aicimus ekiim amdtns fumyel fui\ iccScsmanuir^miyel
fnerdm &c«inIi^naveroItalica, nondatur ylliilks tem-^ poris pa/Iiuum
,,£drdfqlttituriniiibftantiut]m vt fro ego 'amar^dicimmU/hnM^tPy tu
feiamat^^queU^iamatQ. Ki -in tertiis^perfbnis fupplec ly
ftama^&fieamato &c. In adiuis verofunt temporaomnia,exccpris
prarreritisperfeciis , & plufquam perf cclis : etenim pro amaui
d^ama* utram^ dicimxLs h^amato ha vevo amaio, Do c vment^v.m;
ISta.duo veiba fam & h^leo funtbafes verbomm om- niummam
copulanrfubftantiuc , &: ndiccliuc. fiueac- cidencalixci, flue
iQtrinfecciiiae extiniecc res omnes. r Verbaqi WBGramati«i«
vocanturneutra^jflonfunt a< dina nec paffiua propter &dc>quod
fignificanta^lu. e^ifteadi vt>?^: aut a<Ed^i,ve- ^wrMifiue
operandiyt ^orr»^ aut pot^di ^ic non potendi vt almhdu & iofi^*
Gommuniftautem 8ft<leponeniia pminent dd a^iua^ pafliua; ^ deponenia
eiiaib neuti^ fuiit fec«n«l|iBi. Tem,vtut3r^^radi9ri Ccuti auxRior
^ nudicor^wi^t^^ duuafecundum rem. NOvttig6xtQLi neqtie
fecttn^fi* mn,neqae leciiin& '
vocem^Grammaticidiftinguttntverbainadiuumj,: pafliugm , ncucrum, commune
6c dcponcns : etenimin adiuis funt qiurdam neutra, vt amifyrtdeojnteldgo
: qux aduMnceriores ScafFcdus notiones iminancntes fignificanc In
neutris vero ponuntpalliua inulca.vty^^ff ^exulo^ nia verba
pertinentia ad agriculruram faLso pofita in quarto ordine neutrorum.
Similitcr qux fpedant ad diuinas ac^iones natur^ aucons vc nmy,t^tonj\^uce(ctt'
Jndeponcntibus vero ponuntneutra fccundum rem, li- cet voce pa (fi ua , v
1 1 ^cton ^r<f ^^|jf f r, jja f^^'^ fi»ma(hor,\ Miiior. Secun^um
vocem autem omnia verba ex hoc . quoddefinuncino, velinor : 5«wenim&
fua compofita. ' folummodo neutra poni poiTent bc tunc faHa eflct
ver^ ab eis cradica » quod X, fiq^ipcat aUmm vef Dijlmilio
verborum ex ferfonts. Art. lU. Verborum aliud
peribnale^atiud imperfonale , aliud fcniilc.' descriptio: Verbum
personaletrcs habct personas, primam, secunda, lertiam pronominibus ck'leruicntes,
vtr^p amoyfuam^s^jlleamat, Impcrfonale nullas habctpcrfo-'
nas^ucnumerpsfedfub tcrtip^quafi ojxint^iytdmg amaiur Liher ^rimtii, te
amatar, ai illoamatur. Vulg^ , fidnia^ Jau &
ama-ddnoiiama. DeferJo^almmmmeroptimdumLatms, Granmaticos . Perfonaliaverbaalia
funt adiua,qu« definuftt inb, &^ormant pa/fiuumin or: vtjamo, vnde
fic anior per additionemr, alia pa/Euaquac deiinuminor Klia bentadiuumio
«,vtnmorexamo. iAlianciitra, qiMedefinuntin'o, & non formant
paC. v^iuuiinin or, vt gaudco, careo : al ia communia , quie defi-»
nunt in or , & non fprmantur ab adiuo in 6, & aftiue ac pa(fiuc
in orracione conftruuotur^vt ego chmifiorfe,^ egochminor abste. iAlia
deponentia , quxdefinunt in or,& non formanrurper aftimlm o,necpofibnt
pafiiuc .conftrni > fed folom a^ui, ncgc feqnorvirintem V
. e imperfonalium numero. Impersonalia alia acfliua fecundum
soQ^vc\,yx.tcdct,ie^ cet^ intertf j alia pafiiuic vocis^ vt atnatur
curruur, kSi^ neutra. vUeaeftMahff. DcfiruUtbus.
SErnilia verba funr : qu» iiilycjiSonalihUvad.Uta, funt ! m
perfonalia, vt ti de^et p^tere i petfonalilaus verd Vf^tcioaaii Aiy%tMMeSjf0nite»t
i4magere., Rofc& oimperfonaliralia exadiuis funt , vt deleflat,
. ^qua cum in finitiuo vcrbo funt imperfonaiia i fine ero,adiua. Alia
runt neurra ^ vr inttrcfi , f^? conaenit\ pateiautquomamablatoiufimtiuo
funt perfonaiia, vt (jraiimiticalium CdmpMelU)
medicorum interfiint curationes. EtPecro conueniuttt TircureS' Sed
qux ncucro paffiua vocari pollcnc secundum Gramaticos^nuquamtiunt
perfonaliajVC/^i^i-/, wi. fcrit^plzet^ penitet^ racioaucem eft quoniam ad
afFeclio- » ncs refcruncur, quxopus adextranon rCifpiciunt^nec
perindeacboneoi. DifiinSio numero ferjonis. Numeri verborum
funtduo,fingularis vc drw<y, &pla ralis vcrf/7frfw»5.fimiliter
perlonas func tresm omni numero, in ilngulah ego amo , cu am4s\^ ilUamai;
inplu« ^i^samam9S^ wsamati$<tilkamanii V M g T iy N n V
. 1N omnibos rcbus re^eriun tur ift^ rre s per/biiac,& diio
Qumeri ex nacurarei>licec aiiquaadoincertisTerbis . non fincin fu^) 6c
in imperatiuis exnacorarei defiinc, 4c In intiniciiiis qux ad
imperfonalium cranfeuiic rationera. OecaJibusi0decUnmonibusverb<rrui^ ACcidit
verbis cafus.&i declinacioitlmni&j persona variac fitiem didionis
,'ycam0^ai^|)^amat : ficut ^ nomiciibos accidere nommos. JPr^cy^
deciinaciones verborum vafiancarficfic&nominunv.S^ cognofcuncur.
cx &cun(|a pei£>na| ficut nom^mifecundo cafivite.nu'
jijueinfirtitioo. Prima erg^o dccKnalii S^habec
Tecunda inperfonamin^ 4]icatiuimocii in ^;, 6c infi Ditumin^rr,
vt<iWiii,&^ff2^« Secunda, in ^i, 6c in ,Iongum| V t
^o^^r^. Tertia in/i,&in breuem , vt Itgis. & /r^w- Quarta in
/j, 6c irr, longum , vtaudts Uaudhe. SEd hxc fecundum antiquorum
dida funcrationeni, ctenim poteftprima declmatio conflituicx
fecunda perfonain es , &: infinito cdc^vt/um^inicrfurK^
acffum^pr/c- fum nefumyfubfum^profum^abfum^polJum^ &
cxteracompo- fitaexverborubftantiali6cpr.xpofitionibus.
Secunda habetpcrfonam fecundamin frj,& infini- lunim erre,
stferojers^ferrc : ^ compofica.vt7e/tff<^,<«i- /er» ,
offiro^petferOydefcrQ^ infero nffero^^ catera. ^ Tcrtia autem fit prima
antiquorum , \x,dmas^rMfe% CVjarta illorum (ecunda, vt ^(^rQuin ta il
iorunt tcrtia^ vt le^ii , le^ete^ Sexta illorum quarca, vt 4i«ri/i,^ir^i>t.. Deanomalii.
Dantur irregularia a prima ^ vi\veto ^ huo & iuu^re ,
qncxmpr^etcriti.. funtanomala. Dantur irregularia d ter tia , V c gattdeo
gaudere , qu« in pncceritis non fcr- uant'normam tertix-
Etaqiiartavt vii,&9/A!r>qua: in prasteiitisdc infiniti$
exerrant. Eta quinta vt eo^isjre : quxin tuturis extra vagantQV)
" vtii^fjU compofita yufsnJc^^Ndijo^fcri^^iiLc.AQertio dt
tm^n&itsverhMm, Art. V. PR.oprium efl
verborum in temporibus iigni£ca« re» ' )g Crammaticalium
QimfaneB^] QVoniam a<flus funt extenrionesfacultatum
,necfi- mul eflfe toti pofTnnr ^necefTc eft tempuseifdemin efle quod
efl fucccfTio rcrum , cx ente & noQ ente part&- cipancium > vc
m Mecaphy Ldocuimus. Detemforisdifferentiis^ TR.es funt
temporum diflFerentix, videlicetpracfens,. prxteritunV, & fututum.
Etenim aut res eft nunc tn a^flu, & facit prscfensjaut fuitin adu
,& fic pra:tcri- tum^uc eric & ilc eilfucura.
TKiplextamen pra:teritum «aliud imperfe£lum , vt ^nutSdm^^ivLd
per&dum,' vtdmam , aiiud pl u fq uam perfediini,ve MyrifiM^resenimaatedin
ccanfictt ,[attr nan(iui^.aix nMiIto ante tianfiuit. NOn potefl:
reperiri verbum , quod non habeat prac- fens & pr.Trerirum &
futurum» diftinda fecun- dum rem,]icet fecundiMn vocem qusedam (intdcfe<ftiuai
rtmemJni, odi^inquam , 6c cxtera , ex vfu fic pronunciaia apud
LacinosnonaMCeminahisoacionum linguis. ^etmfortm v^athne
exfacuUatHHsl ET qnoniam omni^ a&ns aot ind i ca tur per
cognofci* thmm^auc tmperatur per poteflatxoom^aiitoptft- ' tur per
Yolitioam : propterea tempora verboromad tres facoltates reducontor.f.
ad|indicatio am imperatioam, pc optatioafi^ PRacterea
quoniamactus fubiungieiiradiui,vcl deterniinatcveljndcierminatc, propterea
addmnur tem- porum dtt^ ^lia: radones .f. fubiun6ltaa &
infinitiua, qux rcgantur ab aliis verbi nononibtts. Est quidem
practcritum, pr«rens,dcfuti!rum tenipus, triplex,atquevt pars,
autvtdifferentia fucceflionis rernm, &quidcm contingit cxprimi secundum
tres primilitates Metaphysicas, pcrimpeniriuum ,indicatiuum, 6cappetitiauni
5 qui vocaniurmodi fecundumGramma- ticos, (ed nirois comraunrter : modus
enim eft cuiufque rciqualitas propterea nos rcduximus cosad
primalita- tes. Sed fubiunAiuum.&infinitiuam^qaoiiiam ad
conipofitionem potius modorum fpcaant dctcrminati vel indercrminatc
fecandumpcrfoBas&flheperfonis, oro-pterea hofce modostanquai hap^ndiccsvcrbisa
ddcnh. dos putauimus: 6c non ficut principalcs, queiI MUlinodum Grammaticis
vfurpatur. temforum nwnero
i» vnaquaque rafiine. DE INDICATIVO. Indicativa ratio habet omnia
tcmpora vz. praesens, ut ^atf)prqteritura,vt4m4 «r,futurumvt^w^^o:&itcrum
Criplez practeritum vz. imperfedum, perfeaum, 6c plulquam perfeAttm. Indicare.n.
eftadus cognofcit miprin. cipij. Cognioiaauteinrcfci: turadoxn|ija tcmpora.
Imperativum vero non haber nisi praesens nec futuruiTi, caretque preterito,
quoniam non poteft: imperariqiiotl tranfiuic, neque Deus pocefl; fa^ere
vr non fu^rnt , qtiia fl. bi contradicerec Itnperai^nus id [olum quod
nuAc-,auc poftea exir in a<f^um. Caretetiamlmpcrariuum
perfonis primis in fingul.ivi numcro ; quoniamfibiipfinemoimperare
potefl:,fedai- ten,nifi feipfum vtalcerumaccipiac,& tunc erit
quali fecunda perfona qui e(l prlma:(ic Peerus aic« quid agis
Pecre>& /'<frr^« Noncaretinplurali ,quoniammu)n imperio
rautuoafliciuntur. DE OPTATIVO. 0?c.uiuum habet prxfcns,prxtertum ,
& futurum : Jefidcrium .n- ad omnia fertur tcmpora ; dprainus
cccnim aliquidfaifTe, 6c elE%&: fore, habccque notas IIjo^ Subiunctivum
habet fimiliteromnia tempora, quoniiC poced/ ubtungiadquodcunquc verbuin
aliornm mo- d.orum,vt/?r ames^vel ver9mi/i^qu6 d amanerim^ itcm
eim' 4irHdremfufpifabMm .bccumamauero (ufpira Notandum quod SubiunAiuu
habcc pro noraly cnm- qu^orationem fufpendicdonecaliud verbum fibi
adiun- garpoftfe^velabfque ly nMirubittdgicuralceri Terbo»yt
%mwmefvtfatias^^ ti^\i<\vi^mnoX^xsk dor^m ia Logica. Lihcrpmmis.
6i Deinjimuuo Iniinidi sumeidamcria cem|idrahabec,
fed^ineperfb- nis, ciepcndent enim fcmpcrexfioico vcrbo : quod po^
teft multiplex efle & ad omnia teaipora r&Ferri', & quo Qiain
bxcrelacioeftindecerminatarum pcrronarumjOm- nibus enim peifonis
copulacur, propcerea infinidainio* di carenc diftindione perfooarum
:-di|riti)us enim tui^ te gtmofi \n$sama»ifit*ic iommmamttfifum ejjcibc
quxli- betpeifoDa cuiliberaddi poceft ,veiAu%mulaniia
f^mperiniiniciaaniexporcunc poftfe^vtftiom (oco pacebic. De
Gernndiis , parfia^iis, ^ fupims. GErundia,participia & rupina
non funt verborum modij/ed nominuin [imul vcrborum 'participa-
riones propcerea decis alia pars orationiseft coniicien- da ^ necvexbis
addcnda^ vcfececepriores- r »
PRa:cerirapracfeAa,imperfe<fla,& plofqnam perf^^a' nonfuntin
6peracims«f(ed'idem dmtria temporare-
prxfcntac, quoniam fubratione voliti nbn inul tiplicacur
prxtericioviicutfub toionie in(ttpat4« V .Subiundiuum
veir^^fatbetomnki pra^ilta; quoniam cuhi cfmni verbo alrerius
modrftibiundiondm^c&re po- teft. .
V Grftfttmatici4)on tntellbfiere
quodde/iderariuo,porius autem fubiun<Jliuodeeftpars pracfenris
cemporis, dici-' musenim vulgo/o amadiat aynaretfctucaminafii^
\ovcr^ r^i r^fo: quxnon re(flcconfundunrur apud Latinos, Sc
vulgares etiam peccant quoniam ly <i/w;rf^/ , nonad defi,
deratiuum,1fed ad fubiuncl:iuum verc fpedar^on enim^
pronunciatur,abfqucfubiun(n:oantc vrl poft:,(]qiiisergo>
iceromgrammacicarecur iioccoaiideraredeberec.
H iij. QVa:rituf aucem , cur pr^teritum multiplicatur, & non
Fucuram &pra:rens ? refponcieo , quia practc- ricum poreft non
totaliterprartenfTe , & icerum tot.ili- tcr6: tandemmultoante,potefl:diuidi
Sed prxlcns ell nunc indiuifibiIe, quapropter non potefi: diuuii.
Sed quod imperte^fVinn cH: prxfens pertinec ad ancecedens,
veladfubfequenstempusugiturvnius tft tempons.Sed de futuro non fic :
aliud cnim eftmoxfttCuroni,aliud poft, aliud longeporc.-SedGramadcinon acceperunc
hanc^t- (tindionem : qoooiam vfas loquendi apud vetereseioC-
modiexpreifioncsnon habuir, (icocde prxtericis^verun^ camenfociirum
fubiundiui videcorefTe de fecuro praec^ titorficgfo enim idem
eftlaciniqob^vulgariter hav^ fatH^ ApudHaebreostemporai^ cmag LSCQQfafa»
; Jiii^ifif^irjforum ex ordine. Erborum aliud
primiciuum , vcDo:aliud deriua^ tiuum^vcdono. D M
Iftin^io a]b ordiiie. eft fimilisei » qose licnomi. num.
DeriHatiuorum mulfiplidtas verhrum ex verbis. Apud latinos verboru
deriuatiuoru aliudeft inchoa- tiuum,vticaleofitr-<if/S:tf
jquafiincipio calefcere. Aiiud medicacHium^vc acoei^o tmamU
aenu^cur^qttai* (I meditorcoenare. Aliud£reqoen€aci Qom)'VtalegoJi0i/^,ideft6eqttencec
lcgo :1 rogo rogito. . 6% paukrim diminutifcribo&c.
Deeft Launisinigiii. ficatitium^ dicimas enim vuigo da beuo
ibeoacciliare: da fiiro ftiraccfalare ftancbeggiare* Dermafia
njerborumtxnommbus. D£riuatio verborum ex nominibus iterimi
mulri- piexjalia a fimilitudine: vt a patre oritur/5*^r/y/i fiuc/^iimXtfj^^liaabadurei
fiueexiftenris^fiue mutacionc fubeuntis.vca (londcftcndfftff > a lapide
iapiderG<>, a calorecakfco^ QVoniam verbum fignifrcat
a^um : coiarcumqae autem rei eA adus : igicur a quocamque
nomine semiignificanrepoce/lderiuariverbum. HMc regttla valet
apud Grxcos et italos QlgareSj fedLatininon vfqueadeoipravfirunc.
Lulliusta- meneUciceamexquocumque nomine :namqueaitJio- mo,
homificare homificc^tio^ homificahiie. Sed hdc ex com- pofitione fit non
ex deriuationc pertinct ad aclum agendj. Sed detioatiopura e^ft ex
formnli, vt lapiJef^ COy?fjetalIcficJiq^nefco/enefc» ^ifr'tre/(Oyfioreo^t<
f!ofefro a flo. re..Sedabhominenon dicitur^iwfo.ncca lupo lupefco,.
6<:tamenrecundum naturam fieri dcbet:vnde vul^niiter a campo dicicur
compeci^ijre^ a fen ^O^rz.fefje^r^f^Jarjr-Jei- ladonnain donnar/i ^Cicut
L^tin t diciCOx mafiMlifie/e ir^irf»m<f ri,4 mafcuio, &
£emena. Qi^ autem nooas.artes^cudir,
ppt^faceredj^riaario«> nes verbales ex quocumque nomipe, ejr oiTini
enim re . «l^reditur a^us exiftendi , veloperandi, vel imi^di Accu.
Quid juid Grammaticiio boc minusiapiant; DsdcrmatlQnc tanpomm
extempoabus erhorum Derivanturetiam cempora verborum
fuc^edentia ex pra: cedentibuseiu(dem fpecif i, vt omria praeterita
ex primo practetito profcftp » ex amaui enim cafcitur VF.rc
dcriuanrur ex prseterita ex pnrteriro pcrfc- non auceni cx imperfedo ,
quoj ennn iiiiper- fecluni cll , gencraie non porefl: fibi fmiile ,
irem fucuruni luhmnctiui deriuaturex prxtcrico , quoniani dicit
futuru.n fub rarione prxteriti , idem enim iti^a%er§
DermanoexfraJenU: DEriuanturomnia ptacftntia tcmpora
exprjerenrifn. dicaciuo^vcab amp , amaiamare^tf.amem^UamarfJSc -ab
amot^amareiOmafirf^ffiir^amarijVtilego, ''%^J<fg^ rem^
Derluatioex futuro. , EX fiituro auccm invlicatiui . non
videnturoriri alia fucura. Non enim ex amabo dcnuatur amato, &c
amem, 6camauero , &:. amacurum elTe, fecundum voccm licccderiuantur
fecundum rem ,quapropter in Iiiscon- fulendus eft; vfus: ac forfan 6c
quancicas /^llabarum primjirum. Va formsttone verhriim\
VErboruni aliudfimplex vt Ugo: aiiud compoficiiinV vc iramtego : aUud
decompofinim > yt nmtth" EAderarationedec Iaraturcompofitiorimphcitafqae
verb Grumacnominum. Decompofitumautem non ex compofitis, fed cx «ompofito
& dcriuatiuo , ^Utanfr «ri^i/i^ ex trans & fchbo : ex quo erat
(chbiUo. , COmpoficio verborum aliacft exduobusfeuplaribus verbis
vtaii^tf^#»ex caleo & facio ,alia eft ex verbo & aduerbio
vtmabfMio ,fatisfati9^ alia ex yerbo U prarpofiwoiie^vt f/j^r/^
f*«jfiRf^,qua6extta iacio^vtcum alio facio: alia ex verbo &
mminefrtfmSififo^maffttfgf, idejifaaofru^umt&f^idomagna. OMniscompofitio
ex nominc&: verbofignificat a- dionem alicuius rci , vcl padionem ,
vt fractifico& confru^cor^arefaciOy^careno^Sclxcifico. Omnis composition
ex verbo & aduerbio fignificac qualtficacione m aaioDis,reuaduS|fiUe
aftiai|fiac ^ fti^mtVtfatiifdd Ot^Jdiu^^Omms compofieio et verbo 6r verbo
fignificit adiis; edmonem,vt/r/^<f/r<7,(^uomam&adl;tts
frigQris,fita*. i mefldacah F ADditam^ftinhacregalaj?/^^ datur ^
quoniam non videcur ex duobus vcrbis fieri compofirio^ quoniam duo
adus coirenon poflunt,fedfialcerabaU terofir,habebirurvnus
vteflTentiaai^us, alcervcailujfcu. ackio ficpaHjo eius Jicucpatec
mftiic^fi ^ cd^P.^ Omniic ompofitio ex verbo
&pr^pofirione,lfgoifrcat adum cum relaciooe & refpe^ ad aliquaro
efien- tiam,adi}uam,veldeqna, vel cum qua » velinqua» vel' proptet
quanr ,j vel per.aoam., vcl fuper qoam , vdi &bqj;ii^3ieleirca<|ittm,m
eiuQs giatia»)edittir|!^An9W QuorfiintpracpoYiriones rocrunt
verbonim expraii- pofitionibus conipofiriones fecundum naturani,.
'Scd (ocundum vocemadcertastantum reftfinguntur. £xemplade verbifubftantiuicompofitjonibu$'.
Verbum fubftantiuum babet compofiriones odo;^. Diciturenim dyifw,adfum^
ideftad aliud fum^quafi prac- fens. Et;^^/iw»ideftabaiioiom, quafidiftanSs&dirgi^
ibs abeo..Ixmdefum quafideorrom&m^&reparatum; Infum, Quafi in
alip fumi ve) jficas fum ^pricpofifiaeiiifni fep^umynria jfine qoando
yenit in co mirrjftHirquali incra aliquod iutn , vt procfeDs, vel
can* «qttamtuuans aifcnecefnirium. lcem 9ifim^ quafi ob aliud
rum,6caduerrumJScconixai fignificac euim ly eh oppofitionem quamcShque,
& qoamuis ngnificec cflecaufalc finaleincerdum,tamenia
compofictoneponitur vc cau&opponicar effeAui falcem relanui.
Pr^fam, quafi pro alio fum, vel pf opceraliudjidcft illud
iuvan£:/>f4r/»/»,ideft fuprafum jvnde prseefledicicur ,qui
imperac, 8cqui anteic. Suhfuyn qiiafi lub alio fum. Poffum quafi
poHieirc fum. Qujenim poteft, poft eft, potcntia .n. ex cilentia
manac, vcdeclaratum efl: in Metaphyf. Sclioc dico exvicompo-
fitionis.Datur &y»;'^r/«iii. comjfofimnihus verborum non
/ubflanr tialmmcumfrdpoftiombus. In verbisaliislongeplures
funcconipontioneszdicimus enime^eje^r/ff, abticio,& adiiciosqubnim
piimum Heni^ iScac f^aracionem per iadUm , lecundiim ver6 addi
tipnem Sicex ml/i«amicco,£cadmitco, quamuis^i/in ad- .4!^cco referacur ad
perfonam miccencem : in adiiclo v|r&
fti^eamyadquamficia^us^ficuc&appono. . Coniicio Sceoinniicco : Hmul
iacio.& firaul mi tco. Sed perdifcurfionemly coniicioctiam idem eft
atque con- lidero jquia qui multa fimul iacit intelledu, fyllogizac:
& committo quafi aken crado , quo cum mitto quid faciendum,&
fimilitercommicco fignificatfaciojfimulcum, inftrumentisvel
aliisrebusaliquid. Dacureciam circum- iicio,& circumpono, qu^i^do
(^rcjat^mljij^uiii xei quid ponimus,veI operamur, Demitco&c
dmiirfo,deiicio»& dffiiciohabcmus^ demiccereepim est quafi deorfum
miccefevVeLdealiomic- *cerc,fimiliter& deiicere&deponere. Dimitccrcveroeft
quafidiuifim miccerej & pocios ad ^verbalem facic cdpo^
poIitionem,vnde dicimu? dimitcere quafi libcrare &: par-
cere,quoniam a vinculo &:obli2;a;ione dillbciamus miccendo. Dicmiusdifponere
quafidiuifimponere, sed cuni ordine, difiicere quafi diuilim iadare,
& fincordine j6c . hoceftdeftruerejquafi
deflruclurafeparare. Emicto, eiicio,expono,CAiello, dicuntur quafi
extra. micto, extra iacio , 6cexcra pono. Vn Je diciniusexponc- re &quafideclarare
quid cxcrarci niiplicatiooem &contexcaai, vbi res eft confuHLf poaimus eius
renrum. Prtereainiici Oyiminicto, impono; dicimusqaafiintus iacio,
intromitto , incus pono velinponitur qunfi Contraimmicco
Xinaliummicco^iniicio in aliud iacio. Dicimusetiamintermicco, incerponO)
incerficio» incerii. cio$quoniam incra aliquid miccimil$ aliquid,, quodfiil'
Ittd aliquideftcempus vel adio, cunc incermicco, eft
paufo»fimilicerincerpono, quafinitranegocium pono diT' feparans
iHttd.Sediat £rfin'n rft i nmpumre i Hiquod in ter aliad;vnde 'qiian3o
eft homo vel anjmal fignificat id» quod occido&macto , quienim ponic
ferrium aut nlmd diuidens,intraanimal ,reparat ipfumac proindeoccidic
dicimusetiam intcrmitto &: mtrofpicio, quando non vi- dentur quippiam
incroducimus ; nuc faltem intclleclun^^ licdidum,qaiaintus legic,
incrofpicit. Diciturimpofens quafi valde potens quoniam impccuofe potefb
, dicitur iillicgatiui,,qnoniam ly tion fiKflum eft o;7 , tSc de inde
in ficut oUi tranfi in ////. Sedraro aut nunqunm fiicit cum
verboficcompofitionem, fed cum participio verbi,dicitttreniminnocensid cftnonnocens.
non tamcninnoceo: iuauditus, 8c cranficaCttSynon tamenin audio
necinucoc: infedus/ed non inficio,nifi fubalcero fignificacu.
Icem didmns obiicio,oppoao,ofFero : quafi^concra ia^ cio,
concrapobo,coocrafero » ecenim ly conna dicic op- poficionem contrariam;
&: dioeriam & priuaciuam) & To^. calem , ^ed oim dicimas
Qmitto , idem eft qua£re* linquo^quoniani^qttt concra nii dionem eft non
mttcic,fed definit mitteife : ^'dqai coiitiiiji |)6mcaliqa&l
&ciCCOD»^ trsmcflf dnmp riaatia)&. Trem proiicio
procul iacio (ignificar. SeJ propono pro aIiopono:5c non procul dicinnis
fccundum vfum.Pro- micco autc dicitur quafi pro alio mitco,»S: pro re
facienda mitco vcrbum pollicitans ,vel procul mitto, vndedicimus
promifTam barbam ideft prolixam, dicitur etiam permitcoideftperaliudmitto
vt fiarjyenim pcr caula- licatemdenunciar, percipioperaliudcapio, vcl
valdc ca- pio,quoniam caufalitasnotitiam inluflrat.Dicimus pra:-
micco ,ideft ance mitto , 6c pr^pono ideftantepono pofl:pono,8c
poftlial^oinon tamcn poftmitco^quoniam non eft iii.vlu,& non quia non
poceft fieri fecundunx nacuram. Icemreiicio,repono remitto jquafi
iacio,rctropono ideftpoft pnmam vicem , & rcmitto , 6c refcnbo, &
hoc verum , quandoly ,re, breuis efl: fyllaba ^fed quando eft longa
,dicitur,arcs, vc referc, ideft res fert : &: vtilitAs
fert. Amplius dicimu.s fnbiicio ^fubmitto j quafi fubjacio, pono
rub,mitto fub. B. enim fit.p.ecf, exfono (equen- tiSjVCfuppono ,&
fufFero. 5"ed bonus Grammaricuso-J riginem retmebir. 1 icimus etiam
fepono, femoueoj' quafifeorfumpono,8cfcorfum moueo,fimiliccr
feparo,. jk. fegrego , feorfum paro & feo-^um a grege. Itcm
fuf-- vpicio, q ua fi fuffum afpicio. Jcem fuperpono ,& fuper-^
>Jedeo, 5c fupcr, quorum erhymologiapatct. «Amplius traduco,traiicio,tranrpono,tranfmitto,tranC' lego,
cxtrans &:ducoi& iacio&c.H^catculimusexempla,vcinaliisidem ^cx:^^
fncere" & dtclamare, dicimusenim exdo das, abdo, addo,, condo,
dedo,edo, indo, obdo, prodo,fubdo, reddo , tra.do. Similiterexeo,is,habes
,adeo, comeo ,ineo, obea, pro eo,prareo, tranfeo. Quprum fii^nificata
ccfiabori- pnaliclongcncur, camenalToriginalihabent VIM SIGNIFICATIVAM ftrto
cnim fignificacperaIiudeo, ficucfumus5 Imperativum vero non habet nin
praessens & futdriim, caretque pr^tcriio,quoninm non poteft imperari
qiiod tran(M]it, Deqae Deuspoteft fa^ere vt non Fucrit, quia fi- bi
contradiceret Imperafnus id folum quod nuhc^auc ' poftei exitinadum;
Caretetiaralmperatiuum perfonis primis in fingutari numero ;quoniam fibi
ipfi nemo imperare poteft, fed al- teri,nifi ieipfiim vtalterumaccipiat, &
tuiic erit quafi fectinda perfonaqui eft prima?fic Petrus air , quKl
agi^ Petre>& fjc Peire, Non caretin plarali , quoniam muici
imperio mutuoaiiiciuntur.. m Optativum h.abet prxfcns^prxrer
tcm , .S: furiiruni : Jefi Jerium .n-ad omnia fcrtur rcmjiora i
npt.Tinus ecenim ali quidfuiire, 6c eir.', 6c fore, habctque nocas
fua^ Subiunctivum liabct fimiiiteromnia tempora^qaoniiC' poceft
fubiungi ad quodcunqae verbum alibram moi- d|or um, V t// c ames^vil
xffnm #if ,qu6d amatferim, i tem nini'4imaremfit?piraidm^tCei^ mamdU€ro
fuffirah* NotandumquodS^ubiani^niu habetpro noraly e&m^
qu^orationem farpcndicdonecairud veiTDum fibi adian« gacpoftfe,vei^fque
ly «Mfiibiudgituralteri verbo^vt iMtmefivtfaeias^ petaliqoam notam
co£ujatioonim di^ ^r^m taliogicai.
Liherpri/fUis. 6i Dcinjkmtiuo*
INiinitiQum etiiani tria tempdra habec , fed fine perfo-
nis, dependentenim fcmpcrexfinito verbo: quod poced mulciplex efTe & ad
omnia tempor;! r&Ferri , quo» piam bxcrclatioeftindeterminararum
pcrfonarumjom- nibus enim pedbnis copulatur , progcsrea infinitiui modi
Garent diuindione perfonarum rHijc^us enim tred^ te Mmdtt iwsamatiiJU •
& h^nnmaii^Mum^ effcibL quxli- betperfbna cuilibetaddt
pote(t,veff«fFamulantia fem' pcrinfioiciuum expofcunc poftfe^tiuiftn
locopatebit. t)e Cermdiis, parna^iis, ^fupims. Gerundia, participia
et supina non sunt verborum modij sed nominuin simul 5c verborum
'participa- tiones ^ proprerea de cis alia nars oracionis eft
conlicien- da ; nec verbi$ addcnda, vc tecece priore^.
PIlxccritaprsefie£b,imperfe<f):a,& pluTqpam perf^Aa' non
funtin dperatittis^ fed idem omtfifl tempora re« praeientac quoniam fubxatione V6]iti
nonmultiplicacur' prxteritio; ucut fub Aftibiv
indicati, Subiuni^iuuni veirdhftbetpmnia pr^i^td^^ qubniimi cuhi
dmtii verboalceriusmodifiibittndioh^ fikcere po- Granmiacicioon
inteltexei!^ qiioddeftderattuo^potius «utetn (ubiuo^liuodeeftpars
prsefentis rempori, did mus enim vulgo/o amafli .h amaret fftti
caminafii , iovcr^ r^ir^fo : quxnon re^lecuiUundunnir apud latinos et vulgares
etiam peccant quoniam \) amafei non ad uc<u deraciuum,fred ad
(ubiundiuum verc /pedar.non enim pronunciatur, abrqaerubiun<5toanre vel
pofl^nquiscrgO' iterumgramn^acicare^ur boc coQilderare
debere{:. QVxrituf autem, cur pweritum multiplicamr, & non
fucurum 5cprrerens ? refpondeo , quia praccc- ricum porefb non
cotalicerprxteriflre , & iterum totaliter et tandem mulcoance
,poteftcliuidi Sed prarfens ell nunc indiuifibiIe,quapropter non potefl
diuidi. Sed quod imperfedum eft prxfens pertinet ad antecedens, vel
ad fubfequens tempusi igitur vnius tft temporis . Sed de futuro non ficraliud
enim eflmoxfuturum,aliud poft, aliud longc poft SedGramaticinon
acceperunt hanc di- ftinclionem : quoniam vfus loquendi apud
vetereseiuf^ modi expreffioncs non habuit, ficut de
prxteritis,verun- tamenfuturumfubiundiui videturefTe defuturo
prxte- Tito-fecero enim idcm eftlatincquod vulgariter haver\ fatt9.
Apud Hxbreos tempora ficut magis confufa l^ikttfiovefborum ex
ordine. Efborum aliud primitiuum , vtDo. -aliud deriua-
tiuum, vcdono. Dlftinclio ab ordine eft fimilisci, qujc fit nominum. Deri
Hamorum muUipUcitas verborum ex verbis. APUD LATINOS verboru
deriuatiuoru aliud est inchoativum , vt a caleo ^xtcalefco, quafi inci ijio
calefcere. Aliud meditatiuum,vt acocno canaturio dcriuatur, qua-
fimeditorcocnare. Aliud £requentatiuum, vt alego lemp, ideft
frequenter lcgo :i rogo rogito. AUuddiminutiuum^Yt
ajiri/^,/tfrW/*,a fcriip/criiilU 6$ pauktim , &diminutcfcribo&:c.
Deefl: Latinis ma?!;ni. ficatiuujn,dicimusenim vulgoda beuofbeuacciiiare:
da Aico (bracchiare francheggiare. . Deriu^ia wrborum^x
nominibus. DEriuatio verborum ex nomiaibus irerum mulci- plex
jalia a similitudine: vc i pacre onwpmiftff^ fiue pMtfix^YMizkhtjQi^ rei
fioe exi(lenns,fiue mui^cioD^ fubeopcis » vt ifronde fhnltfco ,a lapide
lapidefco, i ca^ lonecalefco.. regvlA.
QVoniam'verbum fignificat a<?lum ; cuiufcumque autem rei efl
adus : igitur a quocumque nominc rem iignifican tepocejd dcnuari rerb
um. HJ£c rcgula valecapiid Grxcos , & Italos vuIgaTCSi
TedLaiininon vf^oeadebipraviirunc. Lulliusta men eliciceam exquocumque
nomine : namqueaic,ho- TCio ^hQmificauhdmlficaHo^homificabile. Sedlidcex
compositione fir non ex deriuatione ,di: pertinetad adum agendj. Sed
detioatioptoi ^flr ex.forman, stUpUef: t^^metallefio^U^nefco^fenefco^pt.
treJc4tj^W9jbcfloreUo a flo. re.f Sed ab homine non dicicur hoimeo^ntc d
I-upo lupefco,. & caroen ft cundum nacnf ficri deBcc : vnde vu I
gaiiter \ icampo ^^Cit^t9mpe(i<jiare^'2ihvit^xi^f U dmnaii^
lioiuutff ^ ficoc Latini dicitur mafculeftire &: «jlf^WfMri. dfnafculo,
&: fa;mena. Qoiatitem nouasartescudir potcftf.iccre
deriuatio- Hes verbales ex quocumquc nomine, ex omni enimre
egreditur aclus exiftendi , vcl operandi, vel imicandi Ucu. X^uid^uid Ciraminaciciinhoc
minusfapianc. T)i dcritiatione temporum ex temporibus
^erharum, DEriuanturetiam temparaverborum fucceclentia
ex prxcedentibuseiufdcm fpcciei^vt omniapfscterita ex primo
prxtetito profeAo, ex amaui enim oafcitur affMuc/jw^ amauiJ^e^i^mduerim^'^
Mmatierc^ amautje': VErc dcriuanrur ex prxtcrita cx prxtcrito perfc-
non autem cx imperf-edo, quod enim iniper- feLlium eil , gencrarc non
potcll: fibi fimile , irem fufurum lubiundiui deriuaturcx prxtc.rKo, quoniam
Micit futurum fub r.uione pr.vrerici , idem emm^^,/*^/* dc iii m ^
m m h a h x^^' DerMatio ex pujintii DEriuantaromnia ptasfentia
tempora exprxfenti Iti. dicaciuo,vt ab amo ^amaytmanm^mim^hLamaniSc
ab amoryamare^ amafeffiimeriamarifVt Silc^o, Deriuatioexfuturo. Ex futuro
aurem indicatiui , non videnturoriri alia futura. Non enim ex amabo
deriuatur amato,6C amem,&amauero ,& amaturum cfTe, fecundum
vocem licetderiuantur fecundum rem ,quaproprer in Iiiscon- fulendus
efl: vfus • ac for(an & quanpus iyllabaibm primjarum. ! formatione
virloriym$ Arc VU. . V Verboruinaliudfiniplex YcAs#:aiittd
compofiniinV t iramligf : ^nd decompofitimi > yc ttmttU^
'EAdem ratione dcclaratur compoficio simplicitasque verborum ac nominum.
Decompofitumautem non ex comporitisjed cxcompofitoacdcnuatiuo,
vClfrfK/- erMU ex crans & rcribo : ex quo erac fcribilio.
Compositio vcrborum alia est ex duobusfeuplun- bos erbxs vtmUfaw^cx
caleo acfaciQ,alia eftez verbo & aduerbio vtmakfatth/aOsfiiekj alia
ex verbo U prxpofitione, vt</^i^^ «»jB<^,qi> afiexira fado
»ncum alio facio : alia ex wbo & nomine, iftfa»iitj!(o^magnif €0,
OMniscompofitio ex nominee & verbofignificat a- (^ionem
alicuius rei , vel paflionem ,vt fruajiico &- con^dificor >
arefacio^Sc areno, £c Ixcifico. Omnis compoficio ex verbo & aduerbio
fignificat qualificationem adioni$,reuadus»fiUe
aditti|fiue "fzS baxiftfaiiifst UjtcJail^p fiLWk Afi^.
OMoMCompoficio eif yerbo 6t verbo figotficdtft Afi» editionem, vt/r/^<f><7,(juoniam
ficadus fhgoriSift ta^ menda tHh ADditum-edin hac reg^ala f tamen
datuf j quonianv non videtur e"x duobus verbis fiefi
compoficio^ quoniam duo adus coirenon poflunt, fed, fi alcer ab al-
tero fitjiabebitur vnus vteficntiaaiaus, alcer vcadujfeu- ftibo& paffio
eiusjicutpatec mfiigefipt^ntltfit.^ Omnis compofitio ex verbo
&pr^poficionc;( fgDifrcatradum cam relatione & refpeduad
aliquamefieo^ tiam,^qiiaib, vel deqna, vel cnm qua , velin qna, ver
Sptft qnamr.,j'vel per.qttam, vel fpper quam ^^veU
q)!lt>meircaqi]am» v«l enins gcatui^ jeditiirs^&it^^
QVotruntprxpoilnone.srotrunt vcrbornm exprjc;- pofitionibiis
conipofitiones fecundnm naturam.. Sed focundum vocemad
cern^jjipi^iiR-reftringun^ur.''': Exemplade verbirubftannur compofitionibusi Verbum rubftanriuum babet compoCriones
o£tb^ Dicitnr enim i/«w,adrum, id^^daliud fum^quafi prx- fens.
£r^4/to,ideflabaii^^.quafidi fiis abicHH^ v;,^,. ^i^-',r:v:
ixcmdtfim , quafideorfiim fum- & feparatntiH^ ; Infim^ qttafiitt altp
fum; Wl incns fttni .pcazpQfittaefiltfii. %|4|^u§u^^ quaodo venit in
com£ofitionf m« iinir/im
> quafi intra aliquod fum , vt praefens j vtl tan . tjuamiuu.ins
.nirnccefrnrium. Item oSfim^ quafi ob aliud
rum,&ftdtterruo).8cconcm iignificac enim ly eh oppofitionem
quamictfnque, Sc qaamuis ngnificec eflc caufale finaleinccrdum^ tamenia
compoficioneponitur vccaufaopponitureffeftai iaitem relatiue.
/^r^?/»»!, quafi pro alio fum, vel propteraKudjideft illud
iuvans:/?r^/«^,!defl: fuprafum jvnde praeefledicicur ,qui imperat,
&qui aLiceic. Sul^frvn ciuSiCifwb a\\o Cmvi. /'f^wz quafi
pofteflefum. Qaj enim poteft , port: cft, potentia .n. exeflencia
manat, vt declaratum efl in Metaphyf. ^hocdico ex vicpmpo-
iitionis. Datur Sc/^/^^r/ni». De compofinontln^s verborum non
jubSlofh ttaliHmcHm^rdfofitiomhm. IN verbisaliis longe
pluresfunc compofitiones:dicimas enimexjr^«:i0,
abucioy&adiicio^quorum primum fignir ficac feparationem
peria^um,-fecundam ver6 addi* tionem Sic ex ffiil#/^amitto,6c admiccp,
quamuis ^dva ad- miccoreferacur ad peribnam miccencem ; in adiido
v^& ftd ean^/^JmiamfiK iaftus ^ ficut 8c appono.
ConitoolwefKKiM^^ iacio,& fiiu perdifcurfionemly
c^mcioetiam idem est arque con- fidero ;quia quimulta /imui lacic
intelledu, ryliogizat: ^ commicto quafi alteri trado , quo cum mitco quid
fa- ciendum,6c fimiliter committo fignificatfa/ ciojfimulcum.
inftrumentisvelaliisrebusaiiquid. Daturcciam circqnv iicio , &
circumpono , quando <j4rca;amljii|um rd qqid poiiimusyvcloperamur, '
Vf,. Demicco6c dimitto,deiicio,& df6jdQhaBcm.us*,<ie-
mictereepifn qft quafi deorfum micce^revVeLdealiomit- *cere,fimilitcr6c
deiicere & deponere.Dimitterevero eft quafidiuifiin mittere. &
potins ad .Terbalein.fikcit c6po. Ttemproiicio prociiliacio {igniticir.
^cJ proponopio aIiopono:5c non proculdicinnis rccuiuiuin vruni.Pro-
mitcoauccdicirurquafiproalio mitco,iS: pro re facicnd.i mitto verbuai
pollicitans.vel procul mitco ,vndedici- mas prpmiflam barham id^ prohxam
, dicitur etiam jpermitt6ideftperaiiudmiitb'^Vc fiat,lyenrmf pcr
caufa- fitatemdenunciatjpercipioperaliuclcapio, vclvaldc ca^
piOyquoniam cauraiicasnociciaminludrat.Dicipnis prx* mitto ,ideft ante
micco pr^pdno ideftantepono poftpono,6c Doft lial^oinon tamcn
poftmitto^cjuoniam non eft in.viu,^ npn quia non potcft^eii fecundan^
naturam. Icemreiicio,repono remitto ^quaff latio.rctropono
ideftpoft primam vicem , 5c remicto , 6c refcnbo, iScboc verum , quandoly
,rc, brcuis cfl lyllaba : fcLl quando cd longa , dicitur,arcs, vc rcferc
, ideft res krt v ^ vciiicAs fert. \ Amplius dicmui5 fubiicio
, /ubmirro j quafi fubjacia, pono fub, mitto fub. B. enim fic.p.etf,
exfono fequen- tis,vt fuppono fufFero. ^Vcd bonus Grammacicus originem
recmebic. . r icimus etiam fepono , femoueo^ quari
feorfumponb^&reorrum moaeo,fimiiitcr /eparo^ ,4^f«(gfflgo , feorrum
paro-^ &feo-njm.a grcge. Iiem fiiH picio , q uafi ru#fiEin| afpicio.
Item fu per pono et fuper- iedeo,
rupcr,quorumcthymo!ogiapatet^\>5^^-:^^^^^ lego, ex
traris-I^Bfii^ti&i^^^^ ,5&S^^^ ' H/£cattuIimusexempIa, vtin
aliisidem k\:\s facere- & dtclamare, di c mms en im ex do das , a b d
o , add d,, condo, dedo, f do, indo, obdo, prodo, fubdo, reddo , trado.
Smiditercxeo,i5,liabes ,adeo, comco ,ineo, obeo,, pro eo,prxeo, tranfeo.
Quorum fii^nificata etfiabori- ginaliciongcntur,caiiienaboriginaiihabent
vim figni- ficatiaam ^fn^ Cfutn.fijgpificatpcr aUudeo,(icucfttmu8i
\ ' I «i per adrem', 6c aqua perbinum, compenecrando j
quod nim per ic , didbciatur ab eo , p er quod it , vnde e tiam
cUar incerlre :quomam difToIurio atomarum euncium in .
atiasreSyCompoficamdeftruic. Vnde perire& interireeft •proprium
compoficorum diffipabiiium £c friabilium, sdem concipe deperdo, 8cc,
"DeTarMif to. PARTICIPIUM est vocabulum, pars orationis
declinabilisj fignificans effenriam fimul cum fuo adu, veladum cum eflentia^
cuius eilactus^ D E-Gi-A A T ra IN hac definitidne ponitur
^fcaMam fdfs oratiotjis detUnaiilis eadccum declaratione, quain
nominis,fic yerbiy&pronominis tradatione vfi fumus. Dicit
urfizni^ fe4m4ffeiu^tmmfi^a9u\ VfdtBmmmeffmiafimuttZd differencia
pro Qominis» qaod perfonam^ non efleiM^m dicict&nominisquod
fignificaceflentiam/en remabr> queadafuo i6cverbi,qaod
fignificata^lum.fednoncam eflentiafen re. Quapropter cum dico
;2df/l:m,figrtifico rem, qux nafcicur,yet aclum nafcendi cum re, aduara
ta- li aclu. Et ideo quot funcaclus,totidem funt participia .f. substantialia,
cxiftenrialia » operatiua, adiua, pafliua, Deutraiu,communia,&:
deponencia. Dlcicuf propcerea oarticipium , qoia capi t parcem fi-
gnificationis verDi, & partemnominis, vel pronominis, id eftadas 6crei.
Vndedicicur eciamnomen verbaie vel verbum nominale propter idem.
JUberfrimitsl 7/ Grammatici dicunt , quia pdriem eapit a
nomine^ p.tr- tremkverbo partem ab vtroque: a nominc .f. genera &;
carus -,averbo tempora&figmficA4ione!i«ab vcro» ^ue namecam £c
figurani- Pere^Mr^iiitelligiint kxnmrfet'ea/um vahecatem^ indidionts
fine. Sed bsecvarietas eriam eflin verbo» fednonitaatqueinnomine.
Ibi enimtTe. scafusfingula- riter funt, in nomine fex & pluralirer
etiam fex , ncc mu- ' tant prefonam ficuc in veroo. Vet tempora
intelligunt pra?fens,prieceritum &futurumjqua: aclumconcernunr. Sed
nomen figmficat tempus , vt ens eft, fcd non cum temporevt verbum, Per
fignififationem incelligic adio* nem vcl pafiionem ,&:inhocfaIIuntur
Grammatici:non enim afoloveibo habet partictpium fignificationem,
alioquin (igniHcaret folummodo adum Sed quia figni« > ficat efientiam
cum adu.nonhenedixerujDr, quod aver* bo (0lohabet6gnificQtionem:tquod
autemaddunt n$>^ .m^rnm ^l%«r4fiil*idefl: formationem fhnplicem
com* poncamab vtroquehabere non mal^ addant. Sed non*
efthsBcnarticipkmifn rario propria^fedinmodo fignifc . candiftbi vtrumque
parcicipar, fbrfan etiam pronomenr ^veirbiiniparricipat, omnisenim
eflTentia indota fuun». didum eft perfbnara,^ adu^ eftperfohahs,
proprere^ dicendam efl^quod pirticipatpronomen &verbam,ver
forfan quia nomcn efilnrinm fignificans habetaclnm
^flrcndifiibflanculiter.poceft concedi quod parrcm capit a nomine,'cum
reueraplusd pronomme capiac-' adu?; e* nim exiften
Ji,agendi,operandi,pr^tiendi fnnr potius per. fonarumqu.im effenuaium,
ijifi, vc pcrfouaurum. Sicdi liocinMetafii,. 72
gratnmaticAltutn CampaaelU, P Articipt» oriuntur ex verbis, 6c
terminantur inmo^ ' mina , vc ^Xitmabmm&tamam , mucata
verbaliin rfii/ noiiunalem. Confimilitcrm vulgari lingua. DeriHaihfarticiftorum.
DEfmuntparticipia in am & ia rus, vc^hians&ama^ curus :
& in tas 5c in ^«/,vt^inatusdc amandus Addemus, in
^i/ii,&iirffi^vtainabiUs & ainatittiiS) Vtt
iat*Ukrovidebimus. Participium ui
a4iii/oiiiuj:u4^aprimaperronapra:ceri ti iiupcrfedi .murata <fwin, v;,
vcamabam, amanb facir, in w, in /1»^ ,formacur a fupino pafliuo.vtamatu
fa- cic amatns, prout addic , r#/, auc in ,formacur a ge- ninuo
parcicipij in am^ mucatO|fi/^a ^/t/yVt amantu facic anundus.
INiingua^atina itarehabentderluationes paucisex^ cepcionibus
additis. Sednon in otniaiidiomatedan-- tur participia nifi vbi breuitas
Srfiicus attcodiior. Poccx tamen noftratesvti
ceperuntjdicuiltlHiim/Siitoi^ faH9, faBihili fucJiaoyfaBufo &
facignd^.quod poftremum cft mumsvfitatum. Atquidcm
deriuationesomnespoC funrfiericx imperatiuo per adiedionem ,& ex fecunda
perfonaindicatiui, fi enim<*«i^,accipiat,»j facitamans, f\ tus^ amacus
, fi, ndas araandus , fi tums , amaturus. Tut vertitur intns eftin
xa/,vcvifus amplexus , proutfupin^i jEjjrunr. Etideo redc (^ranuuirici
funina refpuunc. <'Duo func parcicipuex parce
edcntisai^umkhabentia» .Camaoa Ly Gc
Ltberfrimtis, 7i amans&amaturus,alterum prxrentis,alcerum
fucuri temporis.' Duo funcerinmex pj:rterecipientis aclum .f.
amatus & amandu5,pertincntiaad prxtentum 6c fucurum. .
Duofuncex partepocenria:,vt amatinns <5c amabite, cfpa^poiruiH:
muLtiplicari adkiue 5^pa(riuc per omnia cem. pbra , vc dixitnufi de
oomine loquences. Tfofofihodetemfortyus^ TRia enind runttemporaparcicipiorum,
pricfens,pr3p- tencum &futurum, quar multiplicancurinadliua^
pafliua .f faciencia & recipicntia: excepto prxterito» quod non
poteft elTe adiuum.nifiin verbis communibus, ic deponcntibus , vt (equens
/equutus , fecuturus, lar- giens,Iarc;itus,5c largicurus ,atque infuper
quibufdam vocariN neutns paHlnis, vc gaudens, gauifu.s, &
gauifurus, tido ctiam , ca:no,prandco, iuro,placeo, foleo, audeo*
af- 'fuefGO, quieko,titubo,lnuboi fierienim pa/fiua triplicf-
teifdeberencyciiens fadtts&fiendus,iedndn eft auistfi Vlb.
' Etquiaqubd eft in potenria eft fucumm.fittnrilma- tittum &
amdbile^adiuttm tcpaffiuttmin potencia&pof?* ieat triplicari. ' : .
QViECumque carent fupino verba,carcnt etiam par- ticipio,in
cus&in rus , vc<iircO| ftudeo yCompefco apudLacl cafus
exigentia. » PArticipia exigurlt cafus {ttbrum verbonmi
, ficot fiio in lotodocebtmlis, quando non fiimuntur penitus
nominditer. J)oH»i enim p^t^ft.efle nomen, ver^i De fextu. Prasterea
participia habent sexum masculinum ,vc foemeninum,vt^» 7<i^/,8camanda,
neucram vt amatum j commune, ^tamantcm ,omne^VC<iwww>tiici-
tur eaim Jiic» 6c hazc^ £^ hoc amans^ >
OMniaparticipia iai«ffi& vsihtk futittertixrieclinatioms nominam, in
ntSt ia /«r in ifti & inijiffj funcftcundas&primaSf
ficutboaus.bona , bonttm,icaa- maturusjomacura, amaturum dcc.
'^- lyejorma. c
DAntur'fimpIicia,&comporita&'decompofira , vc- iegenSy
perlegens, &per leduriens , flcuc m ver- bis. £t
babent compoficionemilmihcer cu m nomine,cum; terbo^cum aduer bio,cum
propoficione^iicuc declarauL-mus loquendo de yerbis«. De
frttpojltione feu adn omine. PKxpontio eft V ocabulum indicb*nabile,
confignifi'. cans rerum feu elTeniiarum cum iuisadibusrcfpe-
aus&circunftantias. ^ ' ' " Ideoque nominf adhasrec figoificanci
efl!enciara. Uberfrmuil 7/ Dictc Qr
1^4«&tff^f»!/) ficoc decaeteris. DimviViniitlHiatlbi ad differentkun
decliii&biliam ooniinuiTi,verborurn, participiocunr8cp Fon6niiattm.
Dicitur conf$gntficans nfpecfui ^ circnnfiantias epentKt"
ruminfatsafitbrts : quoniamperfe non fignificat , nifi ad^ datur
nominibus: & non nifiper adum eflendi 6icxi- ftendi 6: ag;endi 6c
patiendi U. operandi pofliint res ad inuicem rcferri.
jDicicur cfseniiaram^ ad differentiam aduerbiorum qu« adtum
refpcAus & circunftantias dicunt, non rerum , 6c idcirco aduerbium
coniungitur verbo j pra^pofitio vcro tiomini,vnde re^ns vocaretur
Adnomium» quam prs- ponno:pnepomenimeftornnium rerum, qux antcce*.
dilnr iiue in nacttra /lue ia ^vocabuiis : fed^omini . praepioni eft
proprium huius partis orationis } quam ex %oz pra^fitionem vocamus Meliorem
ergo adaer* biuni nomenclaturam«Praeponicttreciam pronominiiSc
^rticipio, quatenus aiiquo pado fuht nomina etia»' ipfi.
jijfirno comfaratiM. Slcutiaduerbium fehabetad
verbom^itaprxpofitio ad nomen:hoc vno demptO|qubd non fimiliter
qualificac,necquantificat. Dlcitaduerbiumcircniiftantias &refpe< fbu$a<fluum;
&infttperqualitates, & guantitates, teroporalitates, iocaiitates«&aUamttiia
pracdicai Aentaha* Adno- miumautemreu prxpofitio ^olum
rc^pecbus dicit eiTcn- tiarum & circunftantias. Qvi:\lirate$ enim
qunntiratef. que , ciEteraque pric^V-mentalia indicanturabadiedi-
uis nominibuj circa frJ »flantiua, rii;nificantia efTentias, verba autem
adiccHiuia non vniuntur fubftantiuis nifi, participiaiiterfumpra. Dicimus
enim igo fnmiuryem^vsk esanuQSyVoseftis icribentes^&c. Omnis
entmadusre- foluirarin eiTeatiftni, & idei^ ner effeotiale yerbum
expri- muntorinnomine participiaU,6cciini<licimus cufnrie^
tftoMefiy fttmitucl/carrere^motteri nominaliter iqu^ tencis,
ad\useflqoaRkmres,&aoii vt egreffiortjfe, De numero
prApo/itionHm certos cafu$ exigentium. Prepositionum
an« trahunjLDxmifitt Ai^afomaccu- fatmtmi ,vt aiJ, “apud” , “ante” , “aduefros”,
“cis”, “citra” jCir- ca^ circitcr, “contra” ,erga,extra , “inte”^, “intra”,
“infra”,iuxra, “ob” ,'pone, penes, “pcr”, prope,propter, “pofl”:,pra:ter;,
fecun- dum,fupra, verfus, vltra. AIix vcro adablariuum , vra^ ab,
abs,abl'que,cum, coram, clam, dec,ex,pro pra;^ palam.-fine. Alia:
adnccufatiuum &ablatiuum, vrjn,. fiib, fuper^fubter. Alixa^ geniriuam
,vt inftar gratia. Aiia: genitiuo, &abIatiuo, vttenus, quodpoftpof]tum.
" nomim(ingulahferiHcabIatiuovt capuiotenus^ pluralii
veri,g;eniciua, vccrunim cenus« Ratia honun exiogica) & ex ^idisin
capJde nomine confbit DiJlinSfio frApopionum exJ^nijicatiQne.
hiu in. PHarppfitionumalias flguificant refpe^um ,alije
cumltaaciaiiio ALke sigmficanc r^rpedttm principijac! termlfium» qua
prioci[>i; xyt i^ex : principij jid termimim S ALiae fignificar refpedun^ caufae a.d
effe(^um ,&c ' contra,<)uarum
ALix (ignificantrerpedum cauialem caufx agentis
vcab>a,ab5> fecttficlum ; vti peo fadum eftfe* eulum.&ib.
Anxcatt& materialis^vt i&^^,-nde Juto ^dus eft . homot&exelementtselementacum*
'Alise.caii&idealh^vtinftaf.. U >; A liz caufaefindis
6c perfedionalis^ vc propcery Ugra- Alix omnium
caufarum,vcp€r,pra:jcipue aucem ui> ftrumeiiulis. Slgnificantium
circunftanrias,alix rignificantcircniiu. itantias
\oc^\^s\stsfnd^c\s^citra^vlsra,cnmm^tlnf^ fropK imxta^hiira^)^tfa^veffus
, fnpra^infra, in. Alix ctrcunflantias ordini s fetf difpofitionis,
&ficil3f yrtante^f^fypra M^fupr^ fifher^ tenmr yfn^iitter»
lias ojppofitronem vt « Aliapcmunftantkm fccimtis '«IBnmta&'v«tsegac&
^tit^^pUiabfgue^fratcrrCoratn^{dUnt^afiU^ " '
Dijiin&io ex fomatione. . Arc. IV- PRxporinonum
aliae fiinplicesvt^^jaliieconipofiia:, vtaduirfit$.
Diiiin&io ex Qtdine. Arc, V. ' . ITem alias primitiua:
siprofe , & i-//r.z'-, alix deriuatiux vc propui&cUiriut , formancur
enim comparatiua , 6c faperlaciua nominaex prxpo{icionibus »dc
umuladuer* v; Proprium est pr^pofitionum
compbfitionem fiicere cum verbis: non camcn omnium ^ vc^ipitraft^tli
dc verbiJi compercumtuiL IDe ad$ieriiio. Adverbium eft
vocabulnm ii^dec Unabile configni' ficanscircc inftantias pr^dicamenbjes
, &affedEi<^ nes,,modificad Qne/quea6lus. Ideui^ue lernjiqjr verbo adbicret, significanciadunL
,D^dume(lpiili9^q,U9d aduerbium dicitur quia flac
tttU3fc.mb»int|:cemnam9difiGationesadt]s,fignifi- ^ ti^verb j(»,dfcl4ratK7.
» DiciCMr^oyv &par5ordinis icKieclinabilis , ex rop gene* .
yg re,i&: clifferentiadcclinabiliiim. T)\c\z\xr
confiniificdns circun(hiLttat (sr Tnotlificittkne^ fi^ IhS'^
qaoniamomne prxdicamentiim denominansa^ flmn percinecadadus circunftantiam.qualificans
veroad mo- dunir . . . .DecircurjjlantthHs actum. Circumstantatium:
tempus, locus, eventus, magnitudo, numerus, ordo, similitudo, ficanimi
excen-. fiones. Dlcitur circunAare
quidauid non pertinct ad tC fentiam re, fed pertinetad eius exiftentiam ;
omnes enim res diuerfbrum prxdicamencorum circunftanr, quac Ain t
eiufdem prxdicamenri , non circunftan t/ed ef. fentiant , vt in Metaph.
probatum eft. Et quoniam alia funt eflfentiaiia ,alia exiftentialia rquar
pertinent ad exi- ftentiammagisdicuntur circunftare
,vtfunrrempus,lo« cus, correlatiua,5c cocxiftencia. De
adHerbtorHmyfpecfantiumad circmflan' • tias^varietate.
PRopterea aliafunt aduerbiatempprjs vt quande:, ho~ die heri^
cras^pidUyfoQridie^ quandiu,mod9,\olim^quen-:^ darn^ nupefynunquam^ mox^fdttUfper^pereniie^c*
Aiia funtaduerbia localiafignificantjaa^flum in loco vt ybi 5
hic^iHic^ iftif^ intusJorit Mfqttd,nttlMii vtro^ique^ fUutr^biqtte. A lia
ad localem ly^oxione^^vtqno^httC^ilkCyi^ttCi intro^ fora ^ttoieis^quocttnque
vtro^ue^nentrpqttu_, ^ /o Aiia moto de loco, vc
vndeJjinc^ilUiu^i^inc: vndijue^/i^ ferni^infcrne indtdcm.vtrinque,
A\i3Lipetlocum ^\t^ttaJ?ac, ttIac^ifiac^ qttaoisqUa!iie^e4''
demvtraque. Dancur vcrfus locum , viquoffiim, iUorfum^
dextrsr- fim inextrorfuni, Daacur 6c vr<|ue ^d locttin, Jtt^^nc^ffm, iUft^^
vfpi^ qu^ufqu9^hdcienii$. Alia fuDt euennis, vc/i^r/^ tf^nuna
J^nmtu, cmingen*, terSniceffario, Aiia sunt ad.ttCFbia
niagniradini$» vt/^ir/ki»,^ir«riiA»»»t faruum^ minianm % fherimum,
fumwmm^ atis^nimii^ntul- eumyaii ^uanfuium:m:tgiSyampli MSymintts.
Aliarunt aduerbianumeralia fignificantiavicesaduum, vt quoties,
totuiy ((mei^bts^ ter, quater^ dectes^ eenfes ^mtilies^ &c. ex
pronominibus numeralibus deduda. Alia func aduerbiaordinis ,
v^^rrw» yfecand^^^ytertio ^c» deinceps^dehi h\pofiremo^dentqtte
tandemydemum, Alia ordmis,&dirpofitionisfimul ,
quoniama<ftusauc 'congregancaucreparanc. Congregandifunr, (imul^ fotrim^ ceniunHe
, generatimyturmaeim^ vnluersh Separan. di faqt ^fiurfum^ ei^em Uimt friuatim ,
ffeciatim^ figulatim^ ' hfariamytr^ar Um>,fitatri/h^ ymultifariamidtt^ltiteF^
triflieiter. SpeOanciaadlimilitttdinem funt, tanquam ^feu ^pcuti^
puktignitvt qitomedu^ iimaim ^Jkmm De fpcHanfibHS ad anim^ etctenfioms^ Aekierbiapercinentia
ad animsc circunftantiamrunc multiplicia. Nam vei anmia alfirmat vei
negac eilefeu adum, vel dubitat , vel incerrogac,ve! vocat,vel
rdpondec: vel optat,vellK>reacur, vei eligit vel proliibec,
^exoftintbuslitrceanima: extcnfibnifcusad obie(fla,naf. canrur adnerbia»
(icirca verbumftaat: v^l fide re-|faQt inlceric^ionis, qu^ eqtrin^entoraf
ibni. Affimandiadilerbia 9m^fo,mi, etiami{rofc0i qtappc^
umfu Negandi aduerbia func, nov>haudimimm^ne^Hac[iianif
j^a^d^uaijuam neutiquan), Dubitandi funt,
fGrs.forfan>forfitan ^fortafsii I fortajfr ', Interrogandi (un r, r ,
quayt^quam^h im ,^muU npnm^ vtfnm^nunquifit^ quidnam, qutdne^
^i/idita, . lurandifanc , p^l, edeftil» eea^erthercU^
meierclf»nuintt^ .Vocandi fanc «i^fir/t^cea einquefiinc rerponde jidiin.
tecduinadtterbia. ^ D^monftrandi ((int, eccc^ tn^
eccnmjMleet^viddieet. Interrogandi vcf Wandiendi ,vt/tfJ^ji Optandi func,
0 ,Z'//»*Jw/V/,%*<^*w. "
"Hortandifunc,w^,rfgf,</^//^. 'E\\2,Gndi
p/*tttts/utit4s,p0Hfiimumiimd^^ttin. ^ Pfolnben4i,«^,f<iar. ^ K
Duerbia aiianjim f^rcunftant verbo >tanmiam tt> gni6Ccaotia,
qaodaifi Miiiniicejepr^d ^ledqoaF
lifi^antaiEciancqueadaiil*<^alifici Mio,veleAexparrea^m ^deQtis, vel
f^fd^ pieort5jyel'«xparceinfiui?ni ecdus. Aduerbia .qualitans ex parte
agentis, funt puUre, doRe^ fortitif, ^.'ne.male, Gr^c^^Latjue^CUeraniane-
dcp\cTum* que ex omni nomine adifcliuo qualificante cHentiam
dcriuatur aduerbium quali4cansadujii;igitur (juotad^ iecliuatot aduerbia.
r- RE^e didum ePcex omniadieBiu^ firiadtieriim>iio* mina enim
fubilantiua) tunc &mt aduerbia cum, adiediuantuTj
vccxCicerooefirCioeropianus a&exhoc n fammaticaJium
CampanelU] Ciceronianc liciit enim adiecliuuui qualificacrem,
ita aduerbium aclus rcj. Dantur aducrbia qiianticatis, qualiracifque
poficivia, vtdofl^^^ U comparatiuai vc doiiius , vc fuperlaciuaj vc
De aducrbits affeiiionis ipfius a^us\ ADuerbu qualicads ex parte
a&ttvpertioentad a£. fe<2ionein eiufdem ,feualteracionem» Alikfiint
inten/iud, vtnutp$,m»Mimh^lt Mm^4imdum^ ferqu4m ,ma^nopefeyVehementer
^frorfuh fenUMf>mmuttb^ nmium/tnngCylate. imfens^. A
I i a fu II t re mi fli ua, q ux min u u n t a^lram , v : /2- nfinf.Pa
Litim ^vix, agrh pene Jeri yferm^i : fedentm \ a foco afoco fianfiatto. SiLcvnlgaiitcr.
;7a D Nax A T L a. Sciendufn» quodadie(f); iuanomina pertinentad
e/Ien ciam,quanticacem,formam, fpeciemjvc humaniis,
rongus^quacrangttlaris albu ideo aduerbiort|maIiud quanttficat
adttm^aiittdqualificac, aiiud format;fl/jud fpecificat » ic hasc omma
fttb racione affe^^ionis; di^a funt!6c qualifcationis. Qualitasenim eft
non foluns fub* ftantiae, (cd etrani quantrcatis,'& formse , &
adus,&^onnte^ .aiuro praedicamencorum,vtin iogicadeclaratumeft.
Icem intenfio , reaiifiiQ percinent. ad qualicacis3&. magoitudinis
adus. De Qrdineaduerhiofum. liaaduerbiafttD€pfimiciuA>ytti^i-aiia
denvati- aa|Vtfi!^i^& Liberfrimusl ^ Sj iJtf
formanone Adu4%biorum Itcmaliafiinplic
UjVt Ja^^^alia cornpona-, vtfM«* y^^^ lalia de compofica, vc^tf^m
d^Hifiimh Confi Jerandum , quodalia adiuerbia com^onont cum
aduerbio ; vcfxjfr>(^v/i,'fic ficaci:ali*cam npmine^ vc
maUftcuiy^W^cmk pronomine vrMf ^fr^/r^ltacttm verbo, sifMiifuciOf
maUfaciOt malo- ideft niagis volo. •GRammaticulicunt fex
cfreprxpofitiones.qux 1.0« nifiiacompoficionercperiuucur , videlicet
''ditdn^ re> fet itf«^r«», Veruncamen videncur ex parceerrare, nam
^ ai^eon^ fit prarpontio veniens eum tnmen\'^dis ori- carexdifiundim
t Scdi, exdiuifisaduerbiisi/^eic feorfum^ r^exf#^« saduerbio ordinis.,veipra:gofidone
;aa forfiui CXantefrapofiUue^ OMne aduerbiumaffedionem
aclusintrinfecam, aut circun (lanccm,figDihcat,tam m
compoficionCjCum verbo quam cum nomLne«Noa enim nominiiungicur ni«
ii per fubaudicum ver^un. DtcwimShnefcjftimM ar^aionisfsrte^ Comundio eft
vocabulum indeclinabile con/igni- iicans copoiam ellenciarani^inter
ierciatarum ad Sdf Cj rammaticaUum Ca mp.i ne lU, num
aduni) aut rerum & ficnul .acluam earumi»* terfe,6c
propcereainorationecboii|ngic c^teras partes orationis& fententias,
vcPecru^&Ioannes fuiit noroi'neSy item Petru»currit> &
loannes» POoiturvocabuIum fariapithnhittJeilin^i^&fex ge^
nere6e<)iflerentiacomii)ums, ficut in^efioi^nonc ad. Uerbij
&pra:pofitionis. Dichiir con,^^nI(7cjn s coPf$ldm cfftntirram
inffr fe reltt.f fumadvnum achim, a J ditlcrcnciam prarporition 11111,-
».^ua- rum aliqua flgnilicant coniunclioncm, vt cfl refpc(Jius
nonvcadadum aliquem coniun^:^iintur j vt Petrui ctnn Jodnnetji^ vbi ly
cum^ folam relanonem Ibci^cacis indi- cac. Scd 9etrui& loannet funt
hornineSy]^ & coniungit Petrjimicum loaiiiictll a2tUL enenJi,8c
quidem lyorm gua. Cenusfiini adu coniungit fpedac ad
cohiundionemj^ua* tenuscafiimregit,adpra:()oficionem, Dicitur vel tevMm
fimi/l^ & afhm earttm\ quonfatp pbC fnnt coniungi invndaAfi, Vel in
duabus: vt Petm eurrit, ^ /pamtes Uge» vbi ly, t^Petrqm currentem
6clpad- nem legentem coputat , 6c propterea Grammatici lii* cunt, qupd
coniUngit parte^orationis & fententia*s,vti&a* mo ti* ajtnuf funt
animal ^ & bomo eft racjonaljs vjcar^ito ijrationalis. Et ideo non
poteftreperlri coniun^ioin oratione fimplici vnius pr^dicati*5c vfiius
fiibiei3:i fimpbciter ft* vt homo est animal,tnqua nulla coniuoAio
eft/Oifibo- nms. cimaisim$di» fed verb^Us». S\
^econimclionis f^ccJantibtis^
COniun^tionumaliacopuIatinD^aliadifluncliua nlia aducrfatiua , alia
conditionalis, alia comparatiua, aIiarationalis,aliaillatiua, aliaoppx)ntiua,
aliaexcepti- oa, aIiatemporaliS5 alialocalis. .
DefinitiocopHlanti^, COpulatlua coniuncliojeft quar prorfirs
conlunDT res in vno aclu vel res adufque.Sunt autem copula- tiuic,
^yat^ffe^ac, (juem^etiam^^uoque ^nccnon^ vt^cumi fubiun^fliuifque feruientes
omncs. GOniungere & copulare funt idem , & quoniam c&- pulatiuaprorfusconiungitjhaberpomen
fui gene- 'Tis, per antanomafiam. i. Sed alix particulic non
corriungunt nifi cum aliqua di- wiiiifione interpofita. Cttmy&ut
^qu&nia?» fubtunchuo de- £cruiunt, funtcopulatiua:,y7w///7rf
C^^oci/Definitio difiun^lim^ Dlfiundiua efl qux copulat
vocahula & non rcs,vel copulatfecundum vocem, & di/Tbciat
fccunduni rem. Suntqueiftx.^a^VirAv/jfisrr /^tf,vt tuaur^chomo,
autbeftiarvelfcribis^vellegis. Et, velego rummaius; vcltues malus. Grmm^ticalmm
QimfamlU] Defimtiuo aducrfatiud^ numerus. Aduerfatiuaeftj quijconiungic-rcsvelaaus/cd
cil di- M^rCKn^^^^itueihonus Sednonintmmhus Pctrtis effc cio AusfitIoanesiniiodus.
Sucaclueriatiuac, fcd,at^«aiwc, tamen,verum,autem, vero aQ:, cxterum, atquejverunca-
men, nihilominus,Iicet,5cIicet, ecri,quamquani .qudm. fiis^tameifi.
Quaccunque coniunguncado criando. la vuI^Ari lin^ua ly^nij roium
"aduerfatur, Kunc addunc ^crcJ, (lenliter. ' ' De
conditionali. COnditionalisexqua: eft fuppofitione Facitcomun Aionem,ex
fi fol efl: lUoer terrani dies eft, ^uac con-diaioaaleiS/^Atf jwij^j »
\x\i,mxi\,\A^, if/iUbK c De comparatiua.
I Oniun^io comparacittaefl:cua:per aflimilacloiieim res
fimpliciter,velcum a^libus fim.ul interfecon-. iunaic .rquando ,vel
excedcndp , vt ficuc Petruseftdi^- dus jta Francifcus eft ignarus,vel
Pecrus cfi: doc1:us ficut eftbonu? , cam dodus quim bonu5 : vei magis
dodus quam bonusjvcl quam Pccrus. Sunt comparaciu^ fi^ut ,
uj, veht, veht:,vtr, vt^tan»^ Omparatib ^quans eft quarqualiracem
fapic incet V^rescomparatas > vc (icuc Pecrus eftalbus, ica
loannes <eft niger: vel vm tii es Piialorophtts quam Poifca ,
alia ponit io^qualicate«,vttU esma^lM>nttsqttamef tPe*
Ltbevfrimus. Nominaomniacomparatiua &: fuperkuitia
^qitoniam .inclirdancly magjs» £cly mdiiimk fttnc coqiuo^iua
oractb- Biim^ didionum. * rationalL * •
RAtionalis coniunflio efl: qucX disflum cum ratione didifeu caufa
dicUconiuugip^vc/ff e$ dfUMS ^quia^ JluduifiiCiceroni,
SuQcradonales coniun(^ione$,f »^r^f «Af,
tmim^fu^w^mtUsUi^iJideo^Ttftefia^uotUami^iU^ dem^fyMidem.
DeiUafmaconiUn&kW. Illativa est, auq^contungic anfecedens cum
conre- qnfncididoaircrumexalteromferendo ,vt Petrusefl- fendus,
ergo carusDco, runtillariu^ ^g^tur yergoy.ita" ^eexpofitimsi
EXpofiitiua quac rei non clarx coniungft clarifi* cationem, vt homo
.fKibilis^.idel^ pacens ridexe^ ^andtii Uber. Di
exceftiuis^,. EXceptiua eft,quae excipiendoaliquicTex
didaconi. iungirexpcetumei, vncfe excipitur^vt^?^?// homoed mtndax
, prater lejum Chi^Hm. Ec quadraguica accepi^, ynaminns, -Sunc
excepciu^niji^i juraec ef , xcepcoi^niii^ De tem^oralk
npEmporaliscouiundio cfl:,qi]arcomiingi'c resatqne A aAds per
cempons fimultateni, vc quando magi- ftec
legic/ffiiif^difcipuliaudiiinCs&poflquamveneriSjda-. . botibi libnim.
Sunc temporales, aMond^yfoftquam^tunci QVamuis temporales coniunctiones
(inc nduerbia, quatenusafficiunc.adum temporalitate: nihilomi- nus
quatenus coniungunt parres ora[ionis 6c oratiua-
£uias,perciaeatadcomudionem. Idcm dic delpcaii. Dt buUb^l '
LOcalis eft, quie aut res fignificat, vt lUnftas loco, vel
iungiclocalitcT , vc v:n tt inuent<f^ihite ludico» Suntautem
locaIesf<^^ vnde ,ijuo ^qua^^uor/utn^qu^* j<y^«^i6c aiix dum
comuugere poflunc, Vnt alix coniuncUones primiciuas
vc<2/ialixdenua. 0 s DipmHio ex diffofitiine^
' Itemaliacdir ponuncunn primolocooratioiiiSiVtifr,^Aliae so
AWx pon:ponuntur, voci»cuia cliunguntar,vt^tt;ti^;/4, Alix vtnijue
loco dL^unitir, igilur^equidcw ffahiw^ Ex formatione^
ITem quandam funt (implices*, n tamen^fttadani.ccm* fofitiC^atfamn,
C^u^flio dc nnmcYO ^aniHm orationis. QVxricuran fiiicplures oracionis
pnrces? no viucntur enim omnesfignifiaitinnrs per parces prarfacas
e- uacuari : fiqiudem articulusadliuc defidcratur, qui ap- pofitus
demonflrat non (oluni fexum , fcd criam quod perantonomafiam
,autpercflrentiam,autper proprieta- xm ed tale* 3ed hoc
verumeAinlinguaGrxca&vuU Sariltalica,cum enim dico P ietra ttno
^Qfnzh&co (iib. antiam Petri: cum dico P///r0//^0jr9,proprietatem
Pc- triper excelienriam declaro *. dc cum dicimus Chrifio ed^
gnelh^b ^giia di Dh : nihil excdiens dcimtis,tiec propriiL Sed dicendo
Cirifi^ k tAfftetto^ o ilfiglio di Dto^ prpf e- rimusquidfpeciale
decantatum,aut quod vere autper effentiam eik ,6cnon per fimilitudinem (oiam
v.tChryf. adnotapic/edlatinicarent liac particula.
Videnid?tamiaicerii eflc in hoc, quod Gerundium &
fi.ipinumitadiftinguuncura nomine^Sc verbo , vc par- ticipium fpccialem
habcncmodum figniiicandi ; idcirc4 inccr parces ordinis numerari
debercnt. Scd forlan ad participia reducuntur» veiex verbo
&participio com- ponuntur. Amandoenim amandi ,^amandum , parti-
cipiafunt in Dus. Sedtamcn verbalircr nia^^is fignificac quam participia.
Sed cafus luabent & formationema ' participiis. Similicer amatum» 6l
amatu participio paf^ uuo refpondent 'a&uique prxterieiy vt cocnatami
$c pranfum adliue fonanc j &:auxtliatuin zamattts w6 paf-
vndefitper decnincasioneni amaittm* M . De
Oratme confufaM^^ de Imerieclionc. Oratio confusa est indicatio quae
in didiones diftfn- guitur, rediniperfedisvocibus,&
minusbenearn* cttlaci> I iignificacaniiiii paffiones , ootiones, &
affiediones « JN
hac definitione ponitur sndicatio , quoniam aliquid pftendic vcprxfens
omnisconfufa oratio. Quar (ubiunguntur, ponunturaddifFerentiam
oratio* iiisdiiU0L£ti£* — Dicicur figmfitatpaf$Unc$^ n^$bms ,
& affeBionei \ quo- hia ift« funt extenfioncs animx crga obie<Sla
extcndcncis (e pcr poteftatiuum,autper cognorcitiuum,aucpcrvo*
iitiuum: & ciuidem omncf cxtcnfionespcr hanc orationem, vocatam i
Qrammaticis IntmeaionmyAthmnt cxprimi,&defaclbcxprimuniur. Sed non
inomirf^ Iingua habemusvoculas itgnificantes carum^ncquceardcm;.
fedinains ali.ismchufcul'e, autdeteriufcule.
LIcetpa<riones,noriones8c afFeclioncs fint exdemin- omni
hnci;ua,& exprcflioipfarqm in corporis commotioneeadem'^?non^amen
expreffiopervocujas^ledalibi Aliar, SVntqurdjEfm^animas
extenit0ne9eardcm, quoniamtb einfdem^ci^iaiiimabtts i>maia.hoinisiiua
corpora tiher primusl pt informantur,&
eirdemobiedis paricer mouentur.Sed .expreflio notionis animae
reprsefenracurincorpore 6c in exprefloaerejinillo fimiliter,in hoc
diflimilirer , vnde afre(5tusdeliderantislacinc exprimicur p:r
voculum, vtinam; Italiccper vde^ediQ , Hilpaniccpcr tfx^/J, Gra:cc perci.
. . ' ; OMnis vox de fe folam anirai cxccnfionem exprimen s
dicicar compofica oracio : qux aucem cuid alii^ par- tibus oracionis»
nequaqMam* De exfrefsionibHspafsifinum^ - In lingua latina
pa/noncspotefl-atiuifuntpauc^Etalir quidem hortantis , vc ^j./, age,
agitc, A Ji^e prohibentis/ necautfroh, Aiixirafcentis^vcto/ffit^iv.
Ahaztimentis, VC ha^ bei : Alfa: animaduertentis » vc apagefis.
Defunc fperantis vocula:, bc irruentis, & imperancis , 6c
impocentis,(clonganimicaiiS|&audencis>6c;Cimenci$&Qi
\ TDeexprepiombHsnotionunt. '. .Notiones cognofcitiui iiTlingua
Ladfia^aliac fiincaf- ferencis,vc :alia:negancis
jvc»#a,/&<fip</. Ali« dttbicancis vtfifrfitnfcrfaan^
fprtafiU^oftaffe. A lix incer- roeancis>vCAvr,f«i//8^ffli.
AJisevocancis^vc^Mi, Aliac relpondencis,vc «• Alias admirancis, vc pafe^
hem. hWx demonftrancis, vc en^tece- Defunt auteminteriedioncs
memorantis,difcurrenti$> imaginantis, cogitantis, incclligentis ,
&: declarancis. M ij 52 rammMicalium
CampamlU^. De exfrimentibus a^eHionum l . . AFfeftionis
fignificatur per tiotas confimiles, alix* enim func defiderantis » vt
vthuim^i , /T. Alia: gau- dentis, vtr//.'t% h\\^\M^tm\svihau/heUy€h\.
Alix dolentis, wzheujjti.ah. k\\xv'\dentis\tah .,ah^eh. Alix
blandientisj.vt.^*;. Alix iniprccantis, irimalMm, ^ veh, c\\.\x etiam
enrexclamantis. Dcfunchisinteriediones aduerfantif ^qua: poceft
effe '^pagffif, &miferercentis-, quxapud Virgilium exprmii-
turperwi/I?/tfw, <S: xmukn:is5c muidentis,quas non in- uenimus apud
Latinos.Icem approbantis £cxeprobantis,haoc volgjaricer expnmimuspenfii^) qux
Latina non eft« t_,0..QVcimquam pofuerimus viiaam.ojjeus^^forfan.nwil-
tafque aliasextenfionum notioftrs inter aduerbiai hoc camen verum eft ,
vbi verbo adharrcntad modificandum afluni. Sed vc folummodo animi
exprimuncafFe- ^iones,percinenc ad forationem confufam.Nihil iuceni
prohibet,vc idemficin dluerfis fii;noriim ordinibus, vbi i
jbueiiasiuibeciationes, vt pacecin Logica» QVJT> CONT INETVB^-
in lihro fecundo. Oftquam parres Grammatica! dixi-J rnus,6c
orationis enumcrauimus par— liculas ,. tam perfe(fla: , quam confu-
fa: :reliquumeft defcribere conftru- (f^ionem orationis ex fuis partibus,
6c quomodo cohafrent declarare. Ec qooniam partes orationis
habentca. /bsjfexus, numeros, perfonafque ,illa: quac declinantur,
qua rarionedifponendx funt fecundum diCtas ipfaruniJK
afFe<5liones,operaepretiumeft dicere fpeciarim :nam in- declinabiles
particula: folam difpo/itionem requirunt CiJ.
Meiurmodieoncordantiis. De concordantia innationHmlwguis]\^qu^ denuo
inflitm pojfunt, Qucmadmodum in lingua Hebraica Itala,
Arabua, Hilpana, 6c Gallicana non dantur cafus nommum, fed loco
ipfarum ponuncur articuli^ficeciam mlingua Concmcinorum ,
Scaliarumoriencalium non danturde- clinationes verborum aptanda:
perfonis, neque te/npo- rumvarietates,nequevarietatcsverborum
aptandxcem. poribus : &: ideo omne verbum eft inflar imperfonalis
vei infiniciui. Diftinclioaucc ficperaduerbia cemporalia , vc a
dicercm, nHc ^mo^tmpoftefum^^ tmo^ante amo Sicin perfo.
w\%^'\nnt\ez^oam9tuamo^Pietroamo^ '\l^c\v\od non dantur concordantio:
temporum nec perfonarum,nequc cafuum fed parciculx aducrbiales,
&agnominales totam orarip- nem conftruunc , 8c didinguunt mirifica
breuitate ac dicendi facilitate. Quapropterqui nouam linguaminue-
nireftudec.hxc notabit ^&quxdida funt, dumdepar-
cibusoracionisloquereipur. T>e cancorda ntia partium in Latind
orationis firuiiura. Arc. I. XNoracione
diftinda femper declaratur aliquis acSlus de aliqua elTentia, fi ueadus
ille fic elTendi^fiue exiften- di, fiue operandij/iue quiuis alius.
§luar€omnis res^ cuius efi affus^ponitur in nominatiuo.
F.sfme cflencia^dequa dicitur ac1:us jetiamfi paf- fiuus,poniturin
noininatmocafu,qucm vocamus re£lum ,quoniam cx
ipfoflexionescafuum incipiunt,6c a<n:usexipfoegreditur,veitanquam
egredieas cxprimi-tur. Quareverbumcum nominatiuo concordah SEmper
concordat adus cnm co, cuius eft adlus fe- cundum naturam > altoquin
non|efiet c i ii s adus:pr6« pterea nominatittus cum verbo dicente adum ,
concor* dari? debent ih numero 6c perfona,' vtijr# am% i tu ama$ ,
Petnis amat^nos amamus^vosamatiSyiui amant:&c facie». in reli^is
tempotibus verBortim in omni lingua^ EXcipiuntur verba imperfonalia
,& infinitiua,in qui- bus non ponirurres, feu eius notamen in
nominati- \\o , nec concordat ergo verhum cum nomine fcm*
per. Dicimus cniai me f(Kniif^emrum;iAardf$i : & fao,tc
cffedodum,. EX textu reclc patet , quare verbum
concorddtcunj: nomincin pcrlona 5cnumero:quoniamafhiS'eftrer, Sed in
vcrbi.s imperfonahbns^vbi poftponitur infinitiuii •vcTbr.mnon verbi loco
, fed nominis,adiicitur,& tcrti^ femper perfonx fingularis quoniam
fi^^nificat aclum mo- renommi.s quali rem , propterca vidctur quod
verbum Bonconcordarcum nomine, 5c ramcn orationeconcor- dat. Cum
enim dico, mihi difplicct viuere , bc me deie- datfcribcre,&Petri
intereft legere ly viufte fcrihre^z. le^retmt loco nominis pofiri
innommatiuo & ideni fitntac vitayfififth , lecho , & concordant
cum verbo. Patetenim <)uomam fidico,
petriinterefdeFiio.benedico, jaonaucem, CiptrimtirifikSims^^^ murfmjfic^
"iiS GrdmmdticalMm QnmpamlU] falluntur Grammatici purantes
efle imperfonalepro^ pterinfinitum \y irjtereftSc deUFfat. In
ralaergoimperronaIiumquintaaIiter/ebabet,cuiv; 6\co^petrumtedctviLt , !y
enim t^edee cum nullo concor- -datnomine. eftrque verc imperfonaie. Sed
ramen fcien- <ium,quoddeberet concordare cum iy vita , ficuci in
vtt!ganrerinone«&in dliis linguis accidit. Sed Latini appofuerunt
geDiciaum prononiinaciuo^velquiainteiU ligitur aliquid ,
vtcumclico,aliquidbooi,6cnonboniiiny vel aclus, idefV^adus vitse.
Sedinfecundo imperfbnalium palBuorum ordineTes obfcurior
eft,dicimus cnim a mf/atisft titi. Sed fiquis confideret quod z&us
fatisfaciendi sl me egreditur , Sc qu6dcanfaadiuainablatiuoponitur quando
non vta- gens confideratur, redvcid, vadeegreduuracbio,ftatim
ceflabic dubitatio, In infiniriuisquoaiainC^iwpera
v^rbotiniriuo concor- dante cum fuo nomine regunrur , facile
intellj{^imus , quando non ponuntur, vt edens actum, fcd vt
obicdum: proptereaque in accufatiuo , vxCcio ego,teefse dofiBm^vbi
lyte efse doiittm^tdobiediuin fcientiarmea: , & propterea
omniainfiniriuaaccufatiuaexigunc,&cum dicimus,'ego fii9 fcri^ere^ly
fcribere b^bet vc^ Domenindicans obie* dnmadttsiaendi.
Quapropterin concuflaeftreguk,qu6did ,cniu$eft aduspropric, veicui
attribuiturvt proprium /|in nomi- natiuo ponendum eft, concordandumque
cam propdo a&u : ergo nomen cum verboconcordat in numero &
perfona^alioquin non eilet adus illius , fed alterius,&
cumdico,//^r^/<far0»f, refpicioplurale inclufum in illo fingulari
/«r^rf fecundum rcm, licet nonfecundum vocc. De
<^on€ordaMM sdieHm cnm Ju^fiantiuo* NOn modo
ac^iisconcordatcumeojCuiuscfladus, redeciam quaiicas, 6c
quancius.&^i^uidquid dbi .adluerec»yei inefty vel eftipfum.
Qu^rein omni lingua adkBiuum coneordat fuhfiantim. Quapi^opter
nomen adiediuuni cum fublUnriuo concordacin oninilingua^qaoniamaccidens ScprO'
/priecasei ,cmuseft accidens proprietafqiie.» conuenit» cordacque,(i ems
eft. Jn quibus concordat adiediuum cum Mfiantiuo^
COncordacaiitem in fexu « numero , 6c csfuJUferh' na»
dlcimtts , ez,o vir&mtSytu malier bona , manci-:^ Aium bonnm, nobis
boms^ vosmulieres bon^e , mancipia 4>ona. X fe ratio
pacec h n i u s concordantiaB. Sed aduerceiK dum,quod. apttdG5ammaticos ttonponicurconcor«
dannainperrona,quoniamparantadie<fliuae/re perfbr naramterciantm.
Nosattcempu camttsnttiliusefTe perfbnac ,fedeius, cttiadhxrentfubftattnuo
<»vel loco /ub- ftancitti.pronominis^perfbnam' fufcipere.
Q^apropcerin wi//»vf , ly bonus eft perlonjc primse , voi mali maU
• i-' eft,fecundaj, - PRa^erea etiam nomuuvidentur non habereperfo,
nam, fcd a pronominibus eam fortiri, trahique in ipforum ordinem. Quoniam
fecundum Mctaphyficam effentia non agit nifi quatcnus habetexiftentiam Sc
eil: pcrfonara:cr^o adum habet ex perfonalitarc . propterque a pronomme,
perfonam fignificantc,contrahuntur ad personam. Igitur Petrur eft prima»
/n i^^/rr eftfecunda , Pctmi autem abrolucceftcerda> qiioniamno fiiiiclui£
perfonam. Y) econcordiardai'mi ctm antccedcnte,quocl
ufert^ Qubniameandemrem contingit pluresliabereadin
qu6> ,dum referc intelledus, non poceft eandem rem replicare,ne
fatietasfiat fedrefertipiam pernotamj, quamvocant Grammatici
relatiuum^nec aeeftvVtre'- latitfum concordet cum relato antecedenci^
quoniarar idemfunc. Concordant autem in fexu , numcro perfona
, non autem incafUjquoniamrelatum non (^r-iiales habct a- dus/ed
alium eUcndi^alium agendi , aliuni patiendi ^DH fexu numero eadem eft
dedaratio. Sed de^per^- Ibna filuerunc Grammatici»ficutin
adiediuoiub- ftantiQb-^verumtamen eadem rationeconfnrantur cum
enimdico. tfo qui fnmbMs^ Hmf Demn : ly qoi SclybHmi fiint perfona:
primaf,quoniam aAus funt perfonarum , vt dicluni.cft, Non
concordancautera in cafu, quoniaui. Hf, 99 111 vna
pfBpofitipinp pnt-ffl- pflV j»/>us enef?cli,&inaliapa«- tiendi :
adus autem paneo^conpord.it cum agcntc , qttan^o adiU£pronunciatiit^^l|H^
noD palliu^ve in quo-Quapropter ciicimusci&«j^,^i^^^ ydo* fhs
efiyvhi ly ^tiim cfk pacien>^um eviiicationis» 6c hcma faabens eft
a6tum exiftendi dck^q^ , vnde iloo poflunt in eodemcafuponiremper^nifi
qiiiDdi^Bltfta^sftuj^ -conditionis , vt cum dico , Petrus qui eft
Gramm«iicus, erit diucs , vel quando fignificanturdealiquoadus, eo-
ilem fii>nihLandimodoiVt: cum dico.Pctrus aui eftGrammaticus ,dicabitur ,
vcl doccbirdifcipulos, vbi ^l/^ir/di- citaclum, vtinhqrenrcm Petro,
^^«ftfr^ acium^vc m Pc- tro operante : idcirco quam.quar « alcer pafTiuus
, iilter- adiuus,tamen concordantcum actu exili?njii •
6cjGraji>» ,niaticein modo fignificAndi. OMnerelatiuamiacicontcioiiemdupIicem
,'8ceftfi« ciic cbniandjo nominalis oncionum , nec poceft reperiri
oracio fimpleXi in quamxelaciuum ingredicur* Dc conftrudlione
orationis. Ba; reruM comuniiione difiunQhnefier aHumoftameJfeconSiruSi^m
oratifinis. Quoniameirentia Breriimperie (ttntimpermi%: pe»-' mifcentur
aacem per proprios a^fttts , jlttmalieniin ^teram extendicur» £citenim
ipfarttm finiplicitas^lM; mulripIicirAs ,ab intellcdu
concipitur ,per aclus inteU leclus permiicetur £C vnitur,ill3 per mtclledium
facia jnultiplicitas; propteica ad declarandum res cumluis- adibus
& per Adus coniundas 6c difiundas eft oratio^, cuius miiidplicitas
exaduum niuicipiicitate couftabic. ^mt funt gmera aSuum tot $jfe
regulas fit^ ordines CQn[lrmndan*m oranonHm. CVmque fitalius
aclus eiTendi ,alias cxiflcndi^aliuS' opcrandi, aliusagendi,aliuspatiendi,alius
mixtusj proptereafuntfepcem ve^rborum ordines : dequibus re-. gulae
fepcem laciend^ fanc iecundum redam philofO'^ phiam^qajimquam Girammacici
alicer reotianc. Deregula verbarii^eJfentxalium^imHmor^^dincmcomirHcliomsQrationum
duceme. Art 11. PRmi um ordinem con ru d 1 o n i
s o rarionum effici u n r - verba (ubllanciua : qua: exigunt ante fe
& pofl fc no- minatiuum proptcrea » quod prx-dicatum
fubflantiale nonlequituradadura eflcndi sed continctnrin illojvc
b&m9efi4mmaUvh'iK\\xoT\myi ly ammjl eftic^cm qnoJ ho- ma,aAus eiFendi
nqn facit differentiam mccr id quod:.' jnr«Lcedic& qaodfequicar ad
verbumr^/ eandemconBruffiortem verbumej fentialir,.
quandofrddicataUnm acadcnukm ' permod$meJfendL
PR3rtejrea.quidquid pr^dicacur, vtfubftantiale vel per- m^ttsR
iuib{bDciali$» licec noa fii, nifi feconduia
roccm^pomtiiretianii innominatiuo, vt homoeftalbus, lycnjiTi
^fi^af /hacret homioi accidentaliter.ec non cft idem quod homo. Sedtamcn
pracdicatnrquafi cnsidem: qaoniam eft idem in perfona,licetnonin
fubftantia, vc inMccaphy. declaracLii. Sandem conilruBimem
facere "verba accidentalia qHando aBus non e(fentiales per modum
efsenhaiu connotant. O-Mnia verba ctiam non
fiibflantialiaquarenus irn- plicanc adVum eiTcndi , quanmis pcrtineant
per fe.prim6 ad exiftenciam, velaclrionem vel pafTionem,
etiamexii^unc ante&.poft nominatiuum ,vtPetrusma- aet
martusjlcoincedit grauis, Mulicrextatp/ompia:; anti^uiladabattcur
nudi. Vnumefseverb Hmfub^MnHum] On vidcrur verba
fubflantiua feu efTentialia, i\c di- _<n:aquoniam adumefTcndi
rubHantialitcr aut ac- cidentaliterexprimunc^cflepiura vno,vz./' «^^^'SoV
declinationeshabecod Grattfknacjfcis^etcnim ly viuo^\^o
mamviuereeftefle,non {bmper fubftantial? eft.vtliic, tu viuisbom^^
Sedincerdum accidentale, vt in viaisfccUxy tuvithvitamUn^af^amy hoc cft
habcs^veledis vitam lon- gxuamutem quoniamdenominanturTesab his quac
ha- bcnt extra fc, & non mbdo ab his, qux funt , vt dicimusy
Tetrus eff NeaptUtamtt ^t^ pilcatus, eft fortanatus : propterea ly habeg^
dieic/flw , & ly fiim hahu per commuta-tionemfignificationisi
ricucenjmooihabetarmadicitur armatus,ita qui eft homo dicitur
haberehumanicarcm habcreefrerationale, cum'vcrcfitranonalis6cnonba-
bcns ratiojaale i hinc Gxammaticj ponunc# loco haz,.
here.vtmihi funr pccani^: 6c tu cs mihifaflidio^cum vno^'
& cumduobus daciuis, &iioc cum pronunciacur eflec«- xtftemialicer.
Qupd enim exiftic in alcero efl,$c alcerHni*. h^recreu incn:: namcum proounciatureilenciaciuepo-
ntcurinrede ^viejfi fum ftamio/u^^^ic cuesmeumiaiti* diam«
Cur fHbBmtkium dicit ^opcfsionem^ ITemlyefldicicexhac radice
poflc/noncm, notatquej quoniam connotachabcre, vzlibethic ejl Peiri^xqua.*
ualecenim l.uic,Petrus hahcc hunc hbruni feu cpcur*
jnuni|6cPecrusc(tcocurnacu$« .
Decompo/ttiuaftsm. CQ>m»o(itSLirfitm , vcadAim^abfum » defiim .
itiifam pra^ni, profum.fubfum , regunt cafus prxpofitionis componentis
com/«w,prxter adfum, quq datiuum .rei^it quomam xquiualec accufauup cum
ad,6cmutaac ^llecum exiflere . ^ Omnia "uerb^ redm ad
ffihjlantimt^; OM n ia^erba refoftuntar in fabftantiuam,
fam,es,f/?^ quoniam qaidquid facic aut habet mz patitur , ed:
idipfum S, faciens,habens,autpatiens, idem crgo valer, cgocurro,
quodegofum currens,proptcr caufas dictsts ;inMetapk.p.i. GH.ammaci ciincipiuntfegalas.con{lru(H:ionis
a pri« ma a^iupram , & falluncur, Prias enim eft effe fe-
condttmnacaram,6c deinde exiftere , 8c deindeager^» iQoamobrem verbum
eiTeaciale pr«cedit« LiberprimHs. Yo^
ItemTecundum dodrfnam. Prius enim eft nomina- tiuus cafus quam
dccnfatiuus} & (impIiGior eft ontio, in qua nominatmus pr^cedit
&rubfequirur;quam in qua fequitQra6bus:a finiplicioribus autem & prioribu
sinci. piendumeft. Z)< regula verhorum exi^entialium
\fecmh Aimordinem conft^ru^ ignis ducente. Secundum ordinera
conflrudkionis efEcmnt*yerba(f^ g.uficantia ajftum exiftendi : quij ante
fe exigunt nominatiuum rei exiftentis.poft fe vero ablatiuum cum
prxpofitianein ^pmneenim «juod exiftit^jextrafe exilUt inalio.. Qut>t
modiexiftendi. D
Tcunturresexiflereinalioproprie,ficutinioccxex- cepnuo efTentia:
deduc^las ad exiftentiam extrn cau- "IjEtttfuam,vt munhse^ tnfpafio\
ex hocextenla eftcxi- "'^nti ia { in temporc , vt Perrvi e9 m
hocauno^ ad in.. . iubieao, vKalbedo %n parictc ,ad in caufa ,yf
fBntiW' lyeo^ & leui in lun^his Abr^.hac : ad/« cfeUu\ vtneuseft
in' mindo Ad m roro,vt inTn^hnro jr/r/'';
^#//aiawr^,auesinaere. - /Mhes hi modi eflendi indicant
principaliterairt 'connotatiui exift^ndamyextepto^ effe in^caufa ,
8c in effiedu, vbifaltem fecundum loqaendi modom coiii-
notant. o o4 (jrammancaUum Camyanelu^ Dewrbigexi^entialibus fnncifaliter.
VErba exiftentialia funt exifto, exto , irifiim , priBl cipalitcr.
Ac cunda verba conccrneiuia aduivi -exiftendi dcducunturad ifthxc.
Qiiapropterinanco, fedeo, moror, dormio, iaceo,ca- ftra mecor,6c
cxtera huiu/modi,exigunc poftre,abIa-<: jCiuum cum pnepofiaoue Ux. Deconnotantihm
exifienti^ m^ I^H^ceFeaomneverbunfi figoificans dSendi aAiim
agendi.Scpatiendi, quacenusdmul exiftenciam con- cernunc,exigunceofclem
cafuSjdicitur enim homo pati in anipna,agercin foro,gAuderein
ccckii i ; 2c intelligere in Deo, loqu: in rapienda^^ira.q.uodiiuiluiii
eft verbum, xjuod non poflTt poft fe babcrc abUitiuum & in:
quonum .omnis aclaseciamcxiftit & poceftrignificari, vcens^dc
Vjc .exiftefls. GrammatkaUter dumtaxat exiSicn- SVnt verba
qux foluin GrAmanricaliter connotanc exiftentiam . vthomo eft rationaiis
in anima , Seo eftiufticia&inanimaii renfitiuam. Secundum rem
jenim non eftiufticia io Deo, fed Dea^eftiufticiatneque rationa|e in
anima. 6^d ^niaia eftrationalis^prouc ixk Mecaphy^ docuimus.
%^egula vcr borum a^uatiuorum, tcrtium ordinem n Hru^ionis
fercns. Ertiumordinem efficiunr verba fignificaociaadunci operandi
immanencem , qttt proprijbvecacnra^us» l ' roi "&
verbaeiusa(fluatiun , ^ exi^untantefenominatiuum, & poft fc ablatum
abique pri pofifione fignificantc aftuationem eflenra: nominata; , vc ego aiuo
aaiore^tu moueris niotione arbor virec virore. Qyamqtiam operatio
ex prima impofitione indicee adumtranfeuntem in opus& operatum
extcriusj tamcn & aTbcologis & Metaphyficis folet
lumiproa- Auimmanente: qui non cMuiaexteriorisreiacquirL-n- vcl
penicnda:, vcl quociiibec operam-ia: : Iioc cnim pertinetadadionem. Sed
proprin: enticacisconferuatio- ne ac manifcflatione: 2c propcerca proprie
vocarura- ^lus-.&eius verbum efl acltiarc: iJcirco verbaha:c
ccr- tii ordmis acluatiua dici poilunt, etiaxnfi firammatici
hoc voc^ibulocarcanr. uomodo omms diSio figntficms auf conno^
tans a^lum^ aut.per modum adns fe ba^. tens.ponitHrinahlarmo
GAu(a!formaIis ,quonianf eft a^tts.materlx, &a£tus (brma: ,
eius imnuMiens opus eft , & inftru- mentum,quonilm modtficat
iaidlionem ficuti a(5lus, &: omneopus & res fis^nificans modum
& aduationem6c i)arcem,ponitur inatilatiuo i maxime autcm fi
exvcrbo cftjautverbum defe formar, vc i^/r^"/ ^'//cr^.
Ahlatiuum autem hoc vercnonefl fedvocaridebec a<?\:uatiuus
cafiis quem feptimum dicunt Grammatici lioc olfa.cie.aces^ non enim
aufcrc, fed dat forinalicer. Tcimus in ablatiuo quidquidadum
figDificac:quor iiiam a^snonrecipitiir 19 iU{9>iedeitis«ft yquod
aduatur \ 6c ideo' nullam exigit pr.-Epoficionem refcreii- tem ad
aliud coexidens. Ncque vuit nominaciuum,
qttoniamnonefl:icl,quodaci:iiatur,red efl vel formavet
"perniodum formxeiusiidcuco ricutcaufa formalis po« niturin
ablatiuo feu porius acluatiuo dum fuam caiu fationem exprimimus,ita&
aclus. Similiter inftrumen tumin ablatiuopontCttr «quon^am modifTcac
a^ionem 5caftuacadcertum modum operandi ivtloquorlingtta, fodio
ligone,' Ecquoniam verbum fignificat a^um cum . ponicttira^^us
nominaIiter»ablatiuumcxigit»vt€um dicimus viret virore ,agicaclione,gattdct
gaudio ^idcircc^ (X\\\m\is^^\c(l cxverbo. Diximus , auc ^
verhum de fe fQtmat , vt nonien formac nomino i & amor amo. •
Prxccrea omiiispars qux aclum cdic,cum tribuitur ' adus coti
,ponicLirin ahlariuo : vc homo intellip^ic animo^ Chriftus pacicur carnc
, cjaandofe habent ad fimilicudi- nem formx.vei organi,cam coniuncli quam
feparati. OMne noihen fecundum natutam per MetaplivfT-
cumformat de feverbum^quoniam omnis effei>- tialiabetj)roprittm
a&tim^licct Grammaticaliter tion fit!nvf«,vtabhomine oritur
hojnifico, &^ calorec:». leo,ec calefacio,&aausacforraa>
vndeformatur.po.. rjicurin abLuiuo ;&principium,quo ngicur/ .
RArio cu V ic hocaflTertum^etemm homo-op^ran» fecundum qupd homp
didcurA^ww in fe , rn^carc , alcerum calor calctacere , &rcalerei
8ciudex iuw ' dicare^&Rexregcre^ ScUgonligonizare,
&.ocuIusoeu- hzare : verunl fi nomcn pure ciTentiam dicic , non vc
ope- . rance, formatur exadu fme efFcclu ad excenora,vt Petrus
C^&pWp^^^ corpptf^Qum.autem ad esLterioia pof- * icj^
rigicur adus , vel per moauni tranfeuntis elicitur in obieduni, a idi tur
verbum facio , quoniam princeps adio* num significant bre(l^vthomifacio^caIefacio,!a:r!^cc\pe-
. trifico; AAioefgoquateRuseftadusagcntisvt ngenns, ctiamponiturln
acluaniio vtcalefa^n^ioncignis caicfacic formactiaraqna ap^it,
vtigniscalore calehicit, vcl cali- dirate, item piincipium agcndi vt
effentialitasi dicjtur - . cnin^annna iuielligeremtelicc1:u, &
mtellcdione 2cm* ' " ' telIecbip.o,(S: intelligibili fpecie ,qua: fe
habet per rno- u*arn informantis 6c inflrumenti , 6c
comprincipijadiQ- telligendum Hint LogicidiAinguuncagcntem, v/f»^i
' Verbafrimo aSuannia efsetriflicis ordinis^
V£rborumaftttaQtium,quiedamrpe<£!btitad potefta- tiuu,
vrpoffiim,valeo,viuo, vigeo polleo, queo,ne- queo, caleofrigeo, morior,pereo,intereo,
areo,vjreo,la, pidefco,horrefco,tremeo,ruOiCrefco,decrerco, cumeo, audeo,
abundo,egeo. Quardam ad cognofcitiuum, vtintelIigo,fcio,ncfcio, icrnoro»
reminifcor,ratiocinor,imaginor, nofco,intucor, Yidco ,audio,odorory gudo^
fapio,deiipio, obiiui[cor, jt^cordor Qu^edam advolitiuum»vtvolo,
nolo, amo odi, cupio, opto>lxtor»graculor 9m^reo>trifl:or, doleo, gaudeo,fruor,
vcor4iocor, iucundor» afBcior, cruci Qr, ri<Ieo,lacrymo/ur« piro»
inhio, & qjox ex his detiiu|ntttr,& componun* cnr, • . . Qvoniama
ftuseliciunrurexprineipiis^principiaau- . tcm ex primalitatibus trious
> idcirco func triplicis ordinis, &cum pronunciantur per modumaclus,
j ..adluaciuum poftulant,non foium dengnantemacluum, sed^ obieilorura ^
vndc occafipaeni trabic aftus. ics GrammaticaUum (ampanelld, citnus
enimego gaudeo gaudiomagno ;5^egogaildeo dodriuis, Scarbor
virefcitvirorey&virercic aqua:6cin« telHgo iflCeiieauSc intdleAione
,6c fpecie intelligibilij videovifuvifione& visibili.
Sedcum.ifl:iaausreferun- . tur ad obieda non per modum adlus , fedper
modum a- Aionistuncfiuntacliuaverba ,de quibusdicemusquod
exiguntaccufatiunm , vfec^o video vifit-^ilcmrcm. Sunt aucem vcrh.i
neurropaiiuia dida Grammaticisquxpaf^ lioiics^ afFcclionci
iii;ivficant/edqua: notionesponun- tur interacliiia non rcctc, oiiinis
cnim ndus pcr moduUT aclusdebccdici ncutro paUuium in iproriim
dogmate: in noflro aurcmacluatiuum \non enim fola pafTioinccr-
nenir fcinpcr , fed cum notione , 6c afFedione fxpiiiim^, Prrrrerca Grammatici
refpiciunt liceraturam^vndenno- rior «6c Lxtor, & lacrymor,fiint
iliis deponcntia ; nobis autemacbuantia non fecus ac vocara neucropadiua,
fic adiua apud ilios ex a&u ;,gc non ex a/lionj;,, Principa-*
lia autem £wea{f9ffmn,Zftl9i ^ 'vqJo^cxict^ concerne Dtiov
ftntliorum. PR.xirrca omne vcrbum ouatcnus conflruitur cum forma aut
inflramento^aur acflu, cxijzir al^Uuuum, quaniuis Gcm
principaliri2;nifiGatu rubllannuum,autexi- fle ntiale,aut acliuum, aut
pafliuum: diciiv. v. s cn i m fcr^bo pennadc fcriptione : doceo libris,
doclrina : tacio manu, fac1ionc,cruce, Paciorpallione,
cordej,crucc^iteni. aiHciorgaudio&aiiicio Uc. Regfda de a£tims
qtiartum ordinem coniir$t- ,£tipmse J^cienUtim.
ACtiuaverba funt,quac figmficantacflum caufx tran'
feuiuemmexc^riora obiecl3,propcerca^ue VQca^ ^og^ min
at^lionffm , 5c idco exieic norninntiiium Cdura^ nc;en- tis,
&acculktiuum reifacl^Icupatieutis, vc fol calciacit lerram»
Slcut a&useileadi edefreQCialitacumieii pHmalirafu
adiatra^exifteQdiveroe^rttmdem adextra: aduandi- aucem priQcipiorum
egrediencium ex primalicacibus per refpeftum ad propriam conferuacionem i
ica a£lus agen« di eft prindpioltmi > ve excenforum ad obiefta, ac
proiiw dein caufacionem. JFundamennm caufarHm.
QVnproptcr fiunt fexcaurarum gcnern , vidclicet cu- clnjLim^
pa/fiiuim, qnx egrediunrurcx poceflati- uo : ideale &:Formale, quxex
cognofciciuo principio jfi^ Hale £c perfedionale,quflBexvonciQOr ,
tioexigmdicafusexcmfarumr^, ET quoniamcaufa agens effi , qui
aljquid facic , a quaaliquidfit ipa{huaefl, quasaliqW* paticur, yeidc
quaaliquidfic:ideali^s eft inrkarcuius aliquidfic:forma« lis eft ,.qtta
aIiq]Liid fic : iinalis eft propter quam aliquid ficr perfedionalis eft
fecundum quam aiiquld perficicur, vet benefic:inftrumencalis,*per quam
aliquid fibocca» fionalis, vndeincspicmoriuumcau &ad
cau&odum.. TtAterea raiio de ca p4 caufi, agentu.
PRoptereadicimus, qupd caufaagens femper efi: po' nenda in
nominatiuo& in re(!iO)Cum a(flus cius in ip- ia expriniitur: vc
(oi calefacit cerram s ci^m veio inpao i\o . ' ^ramr^^^iticai Hm CaffiparielUj tienceexprimitur,vcabageiue,poniturinablatiuo,cum
prxpoGcione vel rf^, vc a Sole calefic cellus. Secunda dc caufa ^aticnte.
^r^Mniscaufamaterialis&paniua, quando ex primiponicurm abhuiuo
cum pr.vpoHcione de, vc de ligno licianua 5c de argcnco phia- la '
quando vero exprimicur caufatio agentis in materiali &pa(rma, ponitur
hxc caufa patiens in noniinatiuo, v£ licTnumficianuaafabro^ &PetrusverberaruriFrancifco,
rargentum vertiturm aurum A nacura. Tertia de causa idcali, Mniscaufaidcalis.
quandoexprimicureiuscaufatio vc ipfa caufat jponicuxin &eniu.uo cum
pnvpoficio- ne inft?ir,vt LupHtn terraft injiaf dentis tn
animal/^vel cr.maclub eiiisiri/iccufaciuo cuin prcxpoficione
ad,vc/;<?- mo faUus eft adimaq^inmX'^'*' Aliquando eciam in
accu- faciuo cum praipofitione fecundum^vc/^^f omnia fecundum
exemplar, quodtibi monfir atum\e fi ^quxwt enim vt bina- rius ab vnicate
, exemplatum ab cxcmplari primo : &: hic
ortusperly/?^«»<i«wexprimitur. Quartadecaufaformali.
Mnis caufaformalis', quandocxprimitur in caufa-, ^^ionc
fuaponiturin aduatiuoabfque prsepoficione, vt paries albedim fit
/.Similitcr etiam id,quod eft cau- faformxdum formalitcr
exprimitur,ponituriin ablati- xio i vc pariei calce (it aUus : 5c
Francifcus cibo repletur &aluus fcecu tumcfcicicuius fenfuseft,
repleturjrepie- tioneacibo,velcibi:8ccumefcic tumore a foctu;vt ho-
mo intelligit intelleaione intelleclus, & Chriftus pa-% titur
carne,ideft palTione carnisrquod in logica confide-
r^iredebebamus. Libcr primtis.
iii ^Hinfa de canfa Jinali. Omnis causa finalis in sua causatione
poniturinnc- curatiuo cumprcTpofuionepropterrxgcrambulat
propterfanicatem ,5cmedicus propter pecuniam medi- . catur: vel in
genitino ^ cum \s grcit^awz vidcndi tuigra- tiaegohuc acccfii : 6c hxc
verafuntdc caufa finalicon- fummatiua A.tcaufi,cuius viui perfediuo
autcorrup-i tiuo a(flos deftinatur ;ponitur in datiuo: dicimus enim
e- C^oferuio Regi :hxc res placcrmihi :tu noces Fabio:au-
xiharisPetro. Etquidem qnoniam omnisadus ad al- teriusvfum potcftedi
,idcirc6 omne vcrbum poteflha- beredatiuum: vt tibi emo gladiiim :tibi
amo vxorem; tibi doceo filium. Pctro occidi filiam. Semper ergo da-
tiuum aliquamfinahratem vfusindicat. Alicjuando finis connotnrus ponitur
cum prxpofitionc pro in ablatiuoi. vt eo iVIc/Ianam pro li bris, &
occidj pro rc tauruin, ^c. Ssxtade cauja perftxliorjali'
CAufa pcrfe<Shionaliscbncurritcum finali:5c propter-- ea poni
foletin gcnitiuo cum ly gr^itu : aliquando ?^cuformali, quoniamintroducla
forma in materiaacce- • tlit perfcclio • ?c proprcrca ponirur in
abhitiuo, vc 'lorro perficiturdifcipiina, 6c caufadifciplina;, ^ augetur
a:ta- rc : fons fcatctaquis^ligo pohtui*v/u, aut rratia vfus, aut
.'^Jvfum. Septimadeinjirumentaii' OMneinftrumentum naturale
&:arrificiale ponirur inablatiuo fine prxpofitione, quando fumitur
vc modificans acflum a^entis caufx, cuius efl inflrumcntum vt cgo
fcri bo manu vcl penna. Sed quando fumitur etiam vt coagens : tunc
ponitur in accufatiuo cum prxpofirio- ne per ; vt Rex per mihus
prxliatur. Nam 6i cauia agens :GfdmmaticdiumCsmpAnelU;
€tiam in accufj.ciL!o cum ly perMct poni! maximeau- temfi non eft
principalis. ApudHcbi\tosautem poni- turin ablatiuo cum
pra;po(jcione/;7,vc/«^<^fa/fl mo$ian* fui Urdanm , quacenus m eo agcns
agic. Ociaua de Qccafwnali cauja^ CAuHi occafionalis;
qaoniameft moriuum aliarum caufarum ad caufandiim , poniturin
ablaciuocum prxpolkionc f V , vtf.v raptu Helenx conflacuin eft
bei- lumTroianum: ponitaraliquando^a^vc *ib ou<j ifcd vt in-
xluic racionem a^^encis. Principium quoque iuftaroc- cnfionis ,aqua
nicipic caulatio ioler nmihter poni , vc cx nHhdici , cx inuinis rixa ,
cx Lipidc via, 6c hot m^. talimhomm,^ 6cexfonteaqua« ^ppi^MJiMdi
fHHiijjionSteUmento. PRincipiaergo 5celementaetiamin ablauuo
ponuni. tur cum ly ex^ vr ex dominico die feptimana : & ex
li> terisoratio. ex terra^c fole lapis lignum>&acs&c.
Eie men tum enim eft id, ex quo aliquid fir : 6c mateda
aliquandoponiturvt elementum. Principium yerd ell
id^exquoaliquidefl:.QVoniampnmaiitateseminentcrcontincntin fc ipfis cauias^l^incipia.
&elementa^omnes didlos caius recipiuntiti
rutsadibusmirificeQtiflinAis^ficuc in Metap« 4cclaratum eft, De
primoordtnea BiuorufH. POrrb fia(5liuum 'verbum cxigit
nominatiiuiru rfia- {(eocis,^ accuraciuum pacicntis »
omaiafigniticantia ft^ionem f Liberfrimus. '
fu aftiooem tranreantem in patiens^ pertineb^uxvt ad ph-"
mamregulamaaiaorum, ^ iSedqaaedam dircAe funt in hac recTuIa quoniam
eram adionem dicunt, vc</^j,/</a<^,6c compofica
exeis,Ccc- (^uiuaicntia.De wrhs aSimis primiordinis. aclionem
pote^atiHiimportamibus. Sunt autem quidam adns dircdc poteftatiui &
exe- cuti ui : vt pra:rerd icla vi ii ; fico^occido/oluo, Iigo,incipio,
finio r,t:nero,pano,iuftcro , tcrreo, timeo,quero^ amitto
capio,ceneo|iib£ro» reliQquO (moueQ,|: ero,for.. mo, defVruo , iiipero ,
cogo iacio , pono , depono , collo^ planco,ptit(;^ro,remiao, inrero»pinro,&
quidquid peni- netad rem >u(licam , & arcificum: ecenim alif
a^Uones- func naruralef,«liaEartificiales .'iisaddefequori medicQr^
&criminor« DVoniam aclio proprib efl: efFufio
fimilicudinis a- gentisin'patiens:fimilicudinum ver^ alianaturalis,
vthomo generatliominem, & calor calefacit ^aiia artifi- cialis vrhomo
fcribit , anc fodic,autd omi^'cat,facit n- do aliquid fimile fibifccundum
ideam: idcirco vtraque adtio fpedat ad primam regulam diredc,
Vndeerranc Grammatci ponentes in tfuarta peutror^m verba fignt-
ficantiaadiionesrafticanastcum verius fi!)ta<fiiua,qaam amo, &
lego » (c emo, &c. Simsliter indeponen tibus. Deadiuis
primi ordinis aCiionem. cognffcintU XX tv
tmi r ia verba pertinent ad adionem cognofc i ti
ui,qux tunc vere.eft adiocumad excenfiora progredicur Vc de c
i r. r o . vi o c e o /cnl) o j moneo ^ c «elo^re uelo^maoife Ao-,
ligncreFero. QaaQdoauremnon progreditur ad exteriora sed irn. manet, artamea)vcreiata
exterius profertur tunc fpe- Aancadadiuorum ordinem fecnndario I vtfcio
.ignora» memini}Video,audio, olfacio,gufto,intelligo,lego,caileo
iapiOiCogito, opinor,imaginor,credo, affirmo, nego, exi- fiimo, pendo,nofco,
confiaero» Addemeditor|recordor» €ontempIor,tmitor^&:€. ' ,
Dlfferenria eHinter aciionem tranreiinrem»& immn- ncntem
Qii3cenimtranfit vercadioeft, vcc{oceo,&: declaro:quaenon trannc
componitur ex a^flu Sc paXsione BC a(flione. Si
qnidemhomoparicurivifibilidum vider, acfimula^lumedit, exfpecie
viriibliremobiedunofccs, &c quia ex. Anriii i>i i fprcfe bPictgS
ad obiedium exteriDs ferturiproptereavp caturaaio»^ verbum
adiuum,fefl nonDure,igiturfciQ^videOxexi(timo >&c. (untaftiua
fe-.- cun^ari3. 2>^ a^iuis ordims , aSlioncm voliiiui
imfortantibus^ ALia verbaadiurrpnmi orJmis
rpe^anr^advoiitittlS quardam prjiiuno a(flionem tranfeuntem
fignificantia,vcmanduco,nucrio,caco,futuo, mingo, appcco, ad
requor,declino, verfor^inrideo, quxdam (ecundario fignificanca Aionem.nam
perprius affec1ionem >vcamo, diiigo, fperno,voIo, cupioj(K{i.erurio, aueo,ambio>opco^,
<lieiUero>: Adde fiaoiilascorj triftoc, &c
Liberprlmut. EX praccecienti declararione rumiturhorum
vcrboru nocio : nquidem adus volitiui 5c cognofcitiui fpe-
clantpotiusadaduationcm quam ad adionem. 6ed quia referuticiH
adobie4!2a,iaduunc vlm a-diuoriun.ficquac pri- mo.rcferontuj, vt manduco,
bibo^fatuo,funtprimoa- ^Uiaprimi atfeclualis ordinii?: qiub flutseni fecundo,
fe- cundo^vtamo. Noaenim amor ttktmr adexcranifi ^uia ^rimo obie Aum
mouecpoceftatiuum motio. neficmdiciumin
coenofdciuo^-Scl^^p^^e^userga ie^fcum in voliciuo j de quibus iri
Mccapffi^ DE SECVNDA S F,eci 0 a^HuorHmjictmdum Grdfnmktkos
reguU correHio. . ' ' V£rba adi ua fecudi ordinis apttd
Grjunmacicos func qucx rpec1;ancadiudicium ancad commerciumope-
iraciui principij , & propcerea eziguncagencemperfonam mQominacitto»
rem paciencem in accuiacitto :addicur ^tte terdtts iafus ablathius,
quando nominanir prectum^ aur ciimen de quo ficittdicittmpauccominercium
; vc ego accufote crimitie furri,&emo librum carolinp. Kun-
quamatttem pDnicurgenitiii9isnifi prae intelle&o abla^ ttaom|fe
babencis quafiinftrumencalicer. GRammatici faciuncTecundamadiiuorum fpeciem:
qua: exigarnominatiuum agentis rei, 6cacciirariuu
patientis,&genitiuumpro certio cafu^fignificante rem
quaficadio^pafljo ipforum. Sed reuerafaUuncur. Noa.
enimaccufo,reprchcndo'^tfifimulo , moneo ,voluncee-- nitiunm. Nam
cttmdicO»accttfo€eiiirci;moneo tedo* Qrammaticalitim CampanelU]
loris intelligitur crimine fcu culpa furti, 6c paflionc
doloris:omnisenim adio edicain alteram habecinftru- mentum aut modum quo
fit. Dicebamus autem quod caufainflrumencalis
femperponicurinablnciuojfimilicer quidquid ad inflrumentationem aciionis
fpedac , & ideo dicimus.cmolibrijcaroleno, vendoprecio
magnoprqciu- enim nominacuSc inftrumentu ,quoficempcio5c vendi- tio
vulc abl. 6c cum Grammatici ponunt non nomina- tum prctium m genitiuo^vt
cmoma<iriiy tarui,quanti^pIuTi\ . mmorii ^iuaritilibet^ &c.
fubintelligitur ly pretio^ inablati- uo,id efl: emo prctio tanti. vbi ly
tanti ponitur neutraliter 6c non adiec^liuc , alioquin diceremus tanto,
vndc Virgi- lius. Moc Jthjcttsvelit ,^magno mercentur AtridiC, Ac
quidcm Grammatici dicunt magno hoceffc ptetio magrtl fonderiSjied
w4<^«ocum pro ly ^r///«:dicimusenim'mmori-
pretio,maiori,paruo.magno^quanto, quantocumque-vc peritis in lingua
obviameflrSimilfW dicimus,magni ^fVi. ino,magni facio , floccifacio ,
floccipendo , pilipendo , hoceftpretiomagni, pretioflocci&pili. Sed
nondici- musx>/7/^a^^^ ,fed Ti/ipendo; quoniam in neutrum non
tranfit ly t/////j vt aliqua prctium counotantia. P^crl^a iHdicialia,
^ commertium con-' notantia.: VErba fignificantia iudicium^funt
accufo . pofiul^ accerfo, defendo,rcprehendo.incrcpo,
admoneo, punio, damno, broluo^ca{iigo ,inflmulo, arguo,conuinGo, incufo,
muldo. Commercium vero, cmo, vendc^, venundo, veneo jmejcor, &
deriuata , compofitaquc exhi.v,. r BE T EI^T SPECIE
cafiopem,rigula^ €orre£ijo.. Verba rertix fpecici 'adiuorum
pofl: nominatiuum agen(is5caccuratiuumpaticntis, exiguntda-
tiuumreiillius, cuiusvfui applicaturacflusifcmpcrcnim fehabct vtifinis
vfualisadionisfiuein bonum,flue in ma- lumquidqLiidponiturindatiuOjVtcmo
tibi librunvido Petro diploidenn fcribo tibi epiftolam; • -CAufa ob qua
dathium exigititrinhacregula prima- - rio» efl: qukt finis^cui
applicatur^ vfiis acflion is 6c adVaPi lei, da.niiain «xigit: vt
dicebamu» loqu^ndo de caufi^, ^propterea verba iftapofriincvockri applicantia. Dcverhorumterti^
JpMeimtdnplmtatL.. Verborum fini adionem applicantium , quacdam funt
poteflatiui operantis,vt do,promitro, prxfi- cio, impero , fubiicio .
mitto , impartio, admoueo 3 &: fua compofita deriuatiua, vt
arquipollentia. Quxdam fpedantad cognofciciuum.vr decIaro, oCkcnrdo,
monn:ro, fcribo,dico,fero,arfirmo ,nego,fuadeo,& . fua xquipoUentia^c
compofuaScderiuatiua. Qtuedafn fpecfcanc ad volitiunm , vr commodo,
foluo,arrpgo,concilio,&ccnfimilia,apud auorcsnotanda.
Exiguntverbapixfataetiam ablatiuum cumpr^po*^ fitione pro, qoando
mofatooni fi n al i caufa; vfualis connoi»'" tatar^vtfi/i^»
tdipiMUtmfrpUif^t & pane^ pro cibo, s*Exigunt etiam accufatiaum cum
praepofirione*^ ouando applicario vfusadioniun longum trahituryvi y
oeftino> fcribo&mittcoUtcras<«/iP^,nedumi<iM .
irs- . QVamquaniiflafint verba apud Grammaticos da- duiim
exigenda \ nihilominus omnia verba pofTunc datiuumliabcre quandoactionem
& aclum , &, paffio- nemcum applicatione confignificamus, vt cibi
eftpe- cunia,emo'tibi folium , doceo tibi filium Grammati- cam.*
fpoliotibi aucm pennis: perfequor tibi inimicum. 'CVatulof tibi pro magiflratu^&fimiliterly
pro potefliii omni vcrboapponi cum motiuum applicationis, vcl fi-
militudinem circum loquimur ^vtmitto ad u p^o lihis ,6c habeodoJoremprQ
voluptatef - DE Q^VJT^TA SPeciE a^iuorHm JignifiuinhHmdufUcfter aSlioncm
re^ula ^ correiiio, - • Verbaquartac fpccieiadiuorum SIGNIFICATIONEM UNAM cumduplicipafllonepropterca
exigunt poft fe duos SLCCuiatinos-.wtego doceo fcGrammaticam. A<flio enimcaditin
te, &in Grammaticam :in te WmiiKUiuh in Grammaticam/flfAv»
H^cregula declaratione non indiget .fed animad- uerfione : quod proptcrea
accuiatiui duo fubfe- quuntur,quoniamad:ioin duo cxprimiturnn
receptiuum videUcet paflionis, & in id quod flui t in adione ab
agente inrccipientem. Hoc autem jn Metaph. meliusinlligi-- mus.
Adio cnim docentis fert Grammaticam,vt padens; & qui docetur accipit
eam, vt terminus huiufmoai lationis. V Ltherfrmkfl,
VErba ngnificanciahanc doplicemadiomsdifferca- ciara
Ajncdoceo,mon?o,poftriIo,orQ,confiilo c«'- lo,^c omnia compofita &
«qui|?ollemia,& diriuaciira iftormn, ^ vt4> lurimumad
cognofcirioum videntur^fpe- ae j fuDC etiam aliqutf/ qua5adl|ai>ir6m
exrcriorcm fpeaanr>vrye.ftia,: indo<S«uo f qu» volun t duos
accura tiuds. : Sedcum reii , qua v«ftfmus, fumicur inflrnmentalu
ter^ponirarinablariuo, 6c fpcaantad quin^amfpeciem- . ytvefthfiiexuo
tefannU, Etcum non ponituranimatus accaratnius, vtpatiert. -
tisrei/ ed vt cui applicatio fic ponitur in datiuo»Yt'w«- D JS ^^JN
T A:S P E'€ Tb aSiuomm /ignificanttutn a£iionem , ^ •
falf^nem,^idquo fit a0m. /-\Viinx fpeciei vcrba aftiiia
fignificantaaionem itx ,<WaIiquod..paxiens , & fimul id, quo
excrcerur aftio ic- pi^terea poniturablatiuum poftaccufatiuum fine
nre-. po itionc , vt ego Ippl^p tepannis 5.&,flnero
JibriSi&jHvl jy ETiara infiacrcgula (Jrahimaricorum
pnTcorum a- peritur r^tio , cur in ablariuo-ponitup iti , q u oci n
on , eft agens. peque patiens : quiaividelicec; inrfucit itti/^-
,»ejnioftrumci?ti,&modi, &foxm«. .l ^'-^. OMnia verba, in
quibuspoft'patieiHcmrem,adJunt i^o (^rammaiicalium CampdnelU)
velpa{nonis,pertinent ad quintam fpecicm. QuapraT prer quxcumque
pofita£uncinrecuiida fpecie^ ipedant etiam ad qiiintam.
Suntaucemyerba,!qviint«x principalicer^veftio & fpo- \\Q
,6tomnia acguipol^nria eorumiiccttiimpleo ^ceiia- caocumruis
arquipollencibus, ic-cm iuro,&i«do,6c ipsrorumiCqttipoIlencia. S^miiiter
augeo 6c minuo, cum fuis aireclis, purgo&inqaino «cttmruisconfimiiibtts.
Secundario aucem /pe^anc ftd banc reeutam pmnia verba cuiufcunquc
fpecieiScordinis^quando exprimunc modam vot fornfiam auttnllrunoencMm
actionts , vel paf- fionis , vt rcribolibrum penna iafficio te e;audio
,planro vincam palo : Munio & cxpugno vrbcm armis;.muigo ^
ir.riCQ te verbis/ef^ionbigladioL,6cc» DE SEXTA SPECIE 4^iuorUfn
^rpgnijicannum aSionem f- fionifque illanonem.mm p> ^napio^. ^
caHfa/unde habetur^tanqHam j . inde habiiam.Erba fextaefpeciei
^gnifi<;ant a^onem , & id^t|ao cau(a vel occafio» vel principium
aftionis eft : & propcereapoftaccu(ariuum €xigitabla*im?m cum
pr«- pofitionei, vcl t/^,vei «"^vt ego audio ledionem '^ma^
Vbniam caufa ^rgens^excepro Dco, occafioncm, ^^velviTn fux
cadfationis ib*unde accipirtpropterea illud quod eft occafio(»'yel
principium» Vel caufa csu^a- tionis in a^i^ p^nietii' iin. abUtiuo
cum«ff^. Nota fan^ - pnnci'f»acioniSt vt dic^um eftinregQlisi^ommunibp^cx
MetajiliY ratibtt^ yt flifca QramfnacicSmi rTiac'ftro;eft magiildF cauia
il2dpii^<tblnan& f fi&tedainenT«»/e(l: eiiimi
Q - laberprimus. $zr 'enimliindam^iuni principium :5c hatiiio
dquamapii. tto :^u«tenas eft cau& cootentiua aqiue» Sed vt
etiam 4natem{t9,4iicimti«i^ ^iiPiUdfm^tri^ Sedvtetiam ele-
mentariS)dtcimtis etiain^ (Sc expuico , Sdneftoccafio- nalisdicimus
Agnmemndn bellom conHauir ex tiiftu • ; V^rba fextiH fpcckL
AD hanc fpeciemprincipftliter pertinenc omnia ver* bafigmficantiapi^tcraAioiiem
Ccpaffionem , id, a..qaQ habemttsoccafionem,veI caufanonem,veI
princi- piacionem ac^iioni^ \ vt audio , intelligo , 6CGonumilias
^vtoblacio , guftp, lego , icem liaurio , wd, moiieo , diui*
4o,pdlojrapii>vabdicO|faahpp,Hcapio,endo« Prxt^rea fecundarib fnnt
fauins regtflac omliiaverba,' in qtiibusadiiciturpoftaAionis
Sepamonisremaetiatiirea eau^tionem conferens » vndedicimus , nfft99 tthi
mahni A^Tjr^nno , H emo Iibrum|dccato^Jibrario , cupio^^/ h
emoiumencu. ELemo.ueo libruma^ienramanibus» Defiftima fpccie wrhrum
exigentwm tnji'- mifmumfr4>accufanuo^ SE ptimam regulam
addUnt eornm verborum >qua: lo- copaiientisliabetinfinitum verbum, vt
fpero, cupio, fcio, volojdebeo iieRomam » legereledionem : 6v hxc
omnia fignificantacVum animximmanentemaquo tran- fiensorituraliusacl:us;
?C idcirco ponicurilleioco adus, iftelacoefie^us^^propterea omojeverbum
poteft ad hancregulam pertmere«qnoniara aAu5adumin%r|^«c Omnia
verbaadprimalitates Mctaphyf*cas {^e^bn- cia qux runtpocentia/apientia^
amor,iuntprima- riorpeccanciaaci hanc rcgulamjquoniatn ex
eisoriuntur a<flasincranei, &exhisextcnfiones ad obie<fla-qui
func cciam adus ,vcvoloambuJare, vbi ly voU adum intcr- num amoris
dicic, dCdtmhfilare ^Aum cxternumcxillo. Prxterea omnia verba ad
obieda primalitatum spedantia,
fimilicerinfinitiuumhabcntproaccufatiuotfunt aurem ohxQckOiypafsihile
verun & l>pn»m^6L Aia ^quipollcn- tiaj vt polnbile eft, vcrum
eft,bonumeft ambulare, & fu* oppoCitSiyVt
tmpostfalfumifrulum. Cxtcraautem vcrba po(funthabere infrnitum , vt
fa- cio te currere. Sed quatenus fimul & agencem rem ha- bent
loco patientis, vt doceo te fcriberc. De
papiuorumverhrumreguU. Art. VI. OMnia verbahiibentia
lireraturam & fenfum a^^iuu; fiunt pa/fiux literaturac per additioncm
r, cuin» fuisdeclinationibus^&exigunt rem p.itientem innomi-
natiuo ^quoniam refcrturvthabens ac^umi & agentem m ablatiuo cum
pr.xpofitione, canram aftiuam, nQtante, qu^,eft A,ab,abs,quoniamagens non
vt agcns ,(ed vc aquoemana! paflTo repra:fentatur. Dlc^um eft prius
, quod caufa pofi^ca in actuagendiV nominatiuumexigit&reclum: quoniim
hic figni- :^ficateditionemadionis,adautem quod patitur,
accufa- ^^tiuumrquoniam inipfum fercura<f^us Nunc autem di- •
-cimus,quod cum patiens ponitur vt recipiens adum,
*exigitredum,agensver6quoniam tunc poniturvta quo eft adus , ponicjr in
ablatiuo cum A.vA^h, dcfipianti- ' buscaufalitacem. Etquidem dicin-rtis
omnia verbaaAi. 7»! ff cundu & vocem fieri pafiiua, vtamo, accufo,
do, do- iceo, audio, fpolio ; cxii s enim fit amor ,
tiUrprimitT doilor,siUili^/fpolior,fperor. At qua:
folum fcnfu funt ^aanon fiuntpaffiua, vtfcquor.auxilior. &
deponcn. tia TOcata latinis : tamcn in j^ng«M^ vernacula fiunt vti-
. i)uepaffioa^ Similiterquxvofie ijyMU adiua^fod vt gaudeo,
vapulo,abundo , feruio,&alia neutra vocata Giammatlcis, ooii fiant
pi|^Ef|a: ^i^mtts enim qood lit- ' texatofam , U jr^tatem ^ed^VKi^^m
vectuntur in paffiuam. donfiderano
de aliis c^hs-pajsitioru??^, VErba a^fliua verfa in pafTiua prxter
nominatiuum patiencis rei, 6c ablatiuum agcncis^quofcumque ca- fus
recipiunt^jaoQ mutanc, fedretinent, vti quando exant aAiua,
ALiquando v«fba pafsiua ponont agentem rem in datiuo: vt PUmi jboc
do|nia poHtumeft , ideft d pUutit* AliqUandoinaccufaBUoapporita
prarpofitio- ne p<T,vt res, agituc per eofdem creditores. Sed in his
da- tlOttsponitorfokis.cnmagenscaoraeft fimolilla) coint appHcatio.
Accufaciunmvcricom agensponitor iaii- qiiam mftrumenrum vtin prarfatis
patetexempli?. Ali« quandoponicurablaciuum fiiie ^fieporitionej
verbama- Ximcautempra:pu{Itio, verbo|adici(citur* De verbis
vocatis nemro pafssuss. Art. VIU SVQtqu.Tclim verba
apud latinos vocata neutro-paf- ua, quoniam habent literarurnm non
paffiuam, vt va- {>ulojexulo,Uceo,veneo , c]u« exigunt calus
confiini- iom pafsiuorom « ?t di/afitL v^tf$iani kmdg^^it.^it^ Secundum
rert non fuftti paffiaordm tHimeraexplo- dendayerbahacc,c|Bam vis
pAf,iuam litmtoffam noir habeant:nonenimvox facit pafsionem , fed
fignificatio Coniimiliaveneo&Iiceo, fuftcvendoF:rapulo v^r^ beror:
exttloyceleger.. FIo eciam dkitur neutropafsiuumapud
Grammatn" cos, qaoniam verc pafsiuum fccundum rem cfl,fi
minusjTecundum vocem. Adduncenam fido, confido, U nubo, au.lco . foleo •qux
potiusadionem vtaanmdefi» gnant : U exigunt cafus,applicationi , eo
refpcau reoui-. fKos. .-i Devtrbis^ voc4t$s mutrhi Arc. VI
11. Verba d jcu^turneutra^qu^ ^ec adionem ncc pafiicjw- nem
fignincantapudGrammatkos. Sednonprcb-' pcereaneucra dicendi erant,cum
&aaumcircndidcei- xillendi dicant,
&finonagcndinec-patiendi5Vt/*»i,^ ' (jorreSio
Grammaticorum. Verborum proprie neurra dici debent,qu.T aduni
acluatiuum modo figmficant» 6c funt pcrrinen- tiaadpoccfwriuum, ad
confcitiuum.&ad voIitiuum,de t^uibus diximus fupra. Quapropter pofTum
,6cfcio*,& gaudeo cum fuisafledis jfiintvere «auaciua
feuneutEtL dequibusfupra. Pxinu reguia
Crammaticorumcleoemhsfpeaatafl . verL)a,e{rendine^iim
Hgnificanria^^^ exiftcndi. Secunda , (\\)x cil, egeo.abundo.carco,
perrinet ad a. ^uatiua prophc. Tertiaqu(j eH:,
reruio.profum. noceo.defum , &: alia,
qujeapplicacionem/lgnificJanraclusadalirjuid f^e<^anc adad ionem fine
paffione explicaram , fedcuni applica- tioneadilludin cuius gratiam fit j
vtferuio recrj^confido" tibi,noceofiliis,^c. qua^verbaaAionem
fi^^nTficanr Sc<.V nonfonnanr pafTinum^quoniam nondicunt Kcxfcrui-
turameifcd R:egiferuirur,quonfam taeeturpaiicns^ec-propterea,imperfonalirer
folum firpafsiuum. Quarcare^ulade. rebus peninentibus ad Agricuitu-
ramaclusexplicantia,func verc acfliua, quoniam eriam
patiexisexponunCj& propcerca fiuntpafsiua omnino vf aro,5caror. Quintaquai
tertiasperfonasIiaF>e'nt/ingularis, tantu propcerpa,quod foJus Dcuv
poteA illos edcre n(flus , po. tius ad Theologoj quam ad Grammaticos
fpedlansi non 'rite.deciaratur. Cum enim dico , Tonat , ningir,
pluit Iucefcic,grandinar,adverperafcir, non folum Deusin-'
telhgicuri fed etiam rempus, diluculac enim fole tem- pus : ad
vcfperafcir rencbris rcmpus: irem fubaudirur natura apud phiIofophos,irem
necrec;ulaeft ccrra pro- pterhanc rationcm. Nam efl creare/blius Dei :
nihilcy- rnmus creohabet omnesperfonas: itcm rorareefl flcut
pluere:m fcnpturisautem dicitm, Rorare cceU Aerupn,^ mbespluantiulium^.^v^o
reguUipforum cflfallax. Sed^ vfus, & id,quod /ubauditur confulendi
funt. SextaregnlavbiafFc<fbionesanimi& corpornmcele- brancur
habens verba, gaudeo, doleo , virco, albeo , caleo, frigeo, tumeo, areo, conualeo,
a:groto', & c.Ttera huiufmodi.pertinciiradaauantium,fpeciem:de
quibus fupra. Dc vtrhisfigntjicantihm motum. Verba fignificantia
motam cxig«fit nominatiuu^ rci edencismotum.&poftrenuTlumcarum^
quan- do non paflionem fedrefpecius locales adducunc,fcii
pra^pofitioncs exigencescatum. Qjiot fknt figmficdntia motum
& eiufmodi. OMnis motus cft ex cermino aquo ad
terminum ad quem per medium, idcwco triplicis fpeciei Cunc ver-
mociua, vt difcedo deforg ,tranieo fer viam^venio in tempUmitixc
enim^gnificant motumdcloco,&motum per locum,& n\otum ad locum.
Quxcumquc verba iis adiunguntur , iunt ciuldem fignificationis , item
idem verbum poccfl: tres iftosadus connotare, vt, de vinca per
viridarium eo inciuitatem. Verbadeponentia func:
eiufdemgenerismotiuiphiri- ma,quxadhanc regulam pminent, vt
gradiar,trans- •gredior, proficifcor, &c. Quomodo omnia
verha reducHntur ad^ra^ fcntem regulam. PKxtcrcl omnia vcrta
quatcnus fignincant motum, polTunt cfle luiius regula?, dicimus enim
fcnbo ad rontificem,6cde Pontifice,& pcrdifcipulum ^quatenus
enim fi<2;nificant terminum ad qucm, autmedium ,aut id, Jequoficadus,
fiue illud ficvcterminus, fiuc vt materia, <iequaqiioniam cerminia quo
eft connotatiua fimilitct ^xic;unt cafus cum prarpofirionibus
confimilibus, vc de albopf ries verricur in nigrum pcr atramentum
Qua- propcer 6c acliua^pafnua,&:omniaverbaad hanc re--Liherprimusi
ur gukmtrahantur per refpeiflus confeqneotes aAiinisTe plunroiini
aatem quae oe fefignificaat muutioiiefn U - . motuni* ^cv€rbis,mcatiscommtmittis^
Art. IX. VOcatit Grammadci verba commaiiiisfc , quas
iitenr' toram habent paffiuam,& poflunrfieri a Aiui & pa£-
Sxti conftrofcum «afibt»» vt laij^rsampledor^Teneforl
cxperkWypmuotor,ofcttIoi^icriminor,,n^ Hxc ficapud btihos: n vfti
uiath m idiomacibusalii Honitem. Dedt^onenttl>us/verl)ii,
.' ' Aft. 3C,'" • Dlcontur apuJ iWtinorum deponenria
qnaK baBenr liceraturampaniuam Scfignificationem adiuani^c proinde
acliuc coDftruuntux^nec ta.men omnialigmfi. cantadioneni, . I
Sedc|uncdamaduationem , 5c propterea volunt poft feahlaciuum,
vcvcorjraor, pptior, vercor, 6cconrimjlia. z Cina:^-%niiicant aftum cum
re non de qua/cd . cuiusel'ta<flus, egrediens ab
inrelle<?lu,vtrecordor,ob]i- uifcor. rer.iini^^co. qiia: propterea
exiguncgenitiuum< \ ,3 Qoaedain figniiicanc adum cumapplicanone, $cpro*
/pterea poft fedatiuum voiunt, viauxiljpryf».i^agQr:» me.
'diCOfjminorJrafcor. Quxdam fignificanr^i^ipipm, tc id q\iod patixur: «c
jwopterea exiguijt^)i?jndcacca6tiuw^ rw,c6ntiinifcor» loquor^
ptacftolor\ feteor, &cacteTam^ItP,qiK)rupiqij(E '
proptereaibUtiuttin exigQDr9'Vtlan:or«chltor, ftoma- chor»
vcreciindor, cxpergifcor^iiidignor^niorior: & silui, qu^e alios
carttsexigtinc. prottcadus r^fercttr > mxea regiu ia^ J it^s de caiitesxMilMnr^6ttao(&^^
Qjrdaai quoniamfignlfiaantmotum ve! pcrroodum IV. nus, exijunccafus
cum.prcX^pddcionibiis connoranti- ba^vl'.^ ioco ad locum per locum vel
cum alio, vcl Con- .tra aliud, vcl
circaaliud^vtgriiiiv-YsP^^^^i^^^Jo^^^^i^Juc^or, apicor.nafcor,
philofophor , verfbr.ncgotior,hallucinor <auillor ^auguror, 2^ nmilia,
qua: apud Grammaticos , umcrantur :qux ex
prxpoficigims.ftatMra.qups^earus .exigunccoaii;noiiftran,c. '
'iim^erJoriaUum^ * J^Mporfonah'um acliuxvoci.*; primusbrdo confVrurc
'jLtntffe^^dr^^f^^fi^^^o^ infinitiuo,vc /V/r eCtvel .Jncereft,vel
referticribere ad vos. Infininuum vei^o re- 'gic
cafumexpra^fcriptisre^ulisflbi debitum, Ratio reg'ila; eft, c|uoniam
verbafuncperfbnaliatfe fui ' >acara;; Sed cum addicut Ibco perfon
p',.patiehiis vel !ftg0n tis al i qu i s adaspefv erbu m
infinicittte facalcaci s, ideii , \t\it cermihatse c^niiiQfticAns.eKpxeflus
nec,effiiri& iUcidaseftperG*n^ccerciac,&: propcereaotjnpia
imperfo* ' nalt^ habere dicuiiair rc^orh tercias perfonas Idco
omnium pcrfonarumv..M 1 n ifeflun 1 e<t: ert!rri'i|uod q uando pohTtor
tfomifn 6c nonadiu p?r
verburtfitifiA}tum,fIuntperfonalia,dicimus eni^ Pctft
tnfe^^f^tnflihrs vcl nosPecn incerfumus: non ii*?^"^^ dicam ,
^ef^rvnu^ ob aliam cau.fam. «jC^uarea;jtentpo(luIeflc gemiiuttm ,
nonintelligic ni fi ' . quaii Digitized by GoogU
Ltherprimus. i fip xyii alium cafum rubintelligtc ex
parte vei bi vcl nominis. fiquidcm Refert idem ell ac Reifen: 6c
proptereadicimus Pctri rcfert fcribere, ideft , res Petri fert fchbere .
iritere(f veroidemfignificatac in rcen::& proptereadicimusPc-
tri interefl:, ideft» in re Peiri c(i fcnbere. Quj autern.lv ivter
confiderant non in fua originc, & accufatiuum ci
adclunt,(ubinteiiigunc Petri inccrciyioc cft iwerreiVe- Probatur
aucem racio daraiquoniam cgo tu, fui , nos» tc vos,6ccuiiis, non ponuntur
in genitiuo.fed inablaciuo fiBOiioinolingulari} vtmea,taa,(oa, noftra,veftra,&
cuia refert > feu iotereft , hoc eft i» fe meA cfi^ in tta eft^o^c,
vel forfaA in nominatitto cum Jff/ert\ vt me^ refert, ideft fef
mafert xefmLJkn ^in accu&tiuQ nentropluraii vt ' meaintereft, hoc^iff/^mf<f#)^w
Etproptereaeft vultnominatittom neutrale vtmeoai
eft»tuuraeftfcribere»cum pronomtnaprimitiuaponuii- turderiuadoi* ,
.T>efecundo ordinc imferfqnalium. INfecundo ordinc ponuntur
pertinet, attinetJcfpc-. £l:at,cum accufatiuo &
pr<Tpontione.c^i/& infinitiuOf iqco nominatitti , vt ad meipedat
fcribere : at fl nomina» tittUmadeftfunt perfonalia,vtad
mepertinentlibri-.vtin- tellig?ttexiirfBnitiU(i>; quoniamindeterminatum
fubiuit* £kittumeft,deponderc indetermlpationem petfbn«t&
proptereafieti imperfonalia Hase triaverbaadpoteftau tiuum tedncuntnr.
Nam attinetex</M compo- nitor : pertinet exper acM^: quoniam
pofleffiorei eft ad benim 8e perherum : ifpeAatvero a fpicio , quando q
uod alicuius eft ad ipfVim conoerfiooem babet.nuc /ir per po.
teftatiuum, vc poiTefrio, fiui per cognofGitiiium,vcad ipeftus» iiue per
Toiifiuum^ vtajndcum,^ QUiieficumc Ji 0 De tertioordinemfcrfonaliHm.
TErtuis ordo fimilicer fir imperfonalis ex infinitiuo
fubiequence.-quoniam continetverba quxfignifi-
cacapplicationemaftusjn determinatir&proprereavulc datiiium cum
infinito ) vt mihi plicctleq^tre 5 & concingit mjhigauderc ^fed
vbiadfunc nomina fiuncperfonalia, vc mthiplacenthhrt , d(3lentdences
& omne verbum fignifi- cans appiicacionem vlus^cfthuius ordims; vd
rcducicur adhunc. quarto ordine imperfonali$m.
QVartUJordoimperfonaliumeft de primaadiuorum,, r^xigit
cnimaccufatiuum ciiminfiHicoioconomina- iiui^ vc deleffat //«^ii-r^
dececfcribere, iuuatcurrere;- acfiapponas nominaciuum func perfonalia,
vtmedec. virtutts^iti cundis ergocumceademratio.
D^quintaorMneimperfonalium^ QVintps ordb con ftruicur cum
accuaciuo & infinico fimiliccr,vcpoenicet,puder,
cxdec,miferec,oporcer: ecenimfignificacpafiionem illaram ab obiec^lo^
quod /1 efta<^lus,nabet fe loco noininarim , \tmettdct
ftHderc-At ireft res, ponicur cum genitiuo,vcw<f tadit fti^diiiSi
qiudc - iiocgcniciuum regiturab aclu, velabaliofub intelIc<n:o
nomine,quando egodico,me paertitctpeccciroru.rubau-.
dicurajfluspecatlT&me rcdet ftudiijubauditur exercitiu iludij,6cfnemiferer
mfirmorum, fubaudicur officioinfir. rnormii rJiVahqnam ennn ponitur
genitiuus, p.i& qiij^prjp intelligataripfius,vel vtfepfe probacum dl
in rcgulis- prioribas : vt videasomnia verba imperfonalia ciTeper*
fonalia,&pertrneread efTendum^vel aduandom ,vela- g^juliinuf el
gacicndum^touliil vltra:Scquid^ad aftua^ Liherprtmus.
n\ tionem affedionuin rpcchanc verba quinti oYdiris .-'^ ca
tranfeuQCin nacuram adiuorum|,dnm obieda coniide- raacar,
quaceniisaificiunt faculcaces mouencque. De imferfinalihus
Pafsiuh^ Arc. II. \ IM perfocfMiai^flioac Vdcis exiguhlf^atibum
agcntis caofac ficoc ^asterar paffiua :£c poft fenoiiadduntnb-*
m{natiaan[i,alioqfiiii nerenc perronaliiifcd quemcum- qu^aliumcafum
,ddmmodo paflionts non recepriuum, fed vfus, aut applicationis,auc
circunftantix , vc a me fer- ttitur i?^^i',icurin filuam :6c propterea Hunt
ex verbis a £tiuis,&: neutris appficatiuis & motiuis , 6c
exiflcnriali . bus, vt n 0 cet ttfyamb uUt nr Jta tuf ^xxon^wtQm
dicimus^</Rf- detvr^ ^ux.mctalle[cittif qiioniam iftorum palTionon
transit: neceftplenc paflio : fedmimanec,&eft quafi adus aduansverba
deponentialicf t fecundumrem po/Hncef^ ieiimperfonaliapa(I]ua,vcpacec
intuenci omneslinguas, tamen apad Lacinos non nanc ob vocis 6c iiceracor^
im- pcdiiiiencom. Deimferfonal^ineutrisL ' BEnefit
malefic,racisfic.diciittn3riniperronaUa ne«- cra^quoniam nec cum adiuis
nec com pafliois viden* tnrnomerari apod Ladnos^fed com neucrit:&
tamen iecundam rem veri paflioa fonc, licet non fecundum
vocem ,&quoniam applicacionem connotant,exigunc datiuu|ii,vc a
me benefit egenis , racio ex didis pacec: in alii$ omnia imperrouaVa
fiunc paifiua non aucem ne ucra. ij2 ^rammatUahHm
QampanelUl De wrBisfirmhbHs^ SEruiliaautcmverba
non funt perfonalia nec impef- fonalia , quoniara induunt naruramcorum
^quious- addunturadinftniriuum : funt autem I acc, incipio,dcfi-
uojfoleojpoflum , debeo,dicimus eninv, tg^di^i^ psi^f^ tentiamdgeriili mt
debetpanitert, Ratioeft quoniam TCr- bxtfb non fignificaucadus pteaos ,
fed aUonim aftttmn aliquid » videlicer principium , aut finem , auc
mo^ rem ^ 6c propcerea illorum aAwim nattvam fcquuiif. fur idicinKM
enim : eeo incipia legere , qnoniam adiu^ qui eft/p{m ati<|ttidefteios
inceptio :6c propfertaad oa». totametoatiahit ur. Seddeind e di^iT^y^^
jjP^/^f^* ttwug» ^dcjtaJittnim a^om-fnotadus. Sedfi
adosferuilis eft plenos non>cran/ir in nnturam iaiini ti ; non en im
dicimus, vuh t^^ere , fed ez4 v^U me tadtrs^ diamus meporeftra^dere
,'obimperfe6lioncma- ftuspotendirfed non dicimus, me valett« dere,ob
pleni^ tttdincmadtu^k VakQCis^qaj nopaliejaacurdfci Dalium.i^-
Deinfinitiuis. PR.opeereat QfinitioftTo!unt
anteft'areiiif3ttfiium,quoi niam regunturabalio verbo: cuiusadum
excipiunt tanquam cadentemin fe,vtin perfonam patientem ,ct- iam fi
non fit p^ticns-yVt certumellmeanuire >vbiadusccr- Cirudinis^cadit
fupcrmeamancem; ^*' Quando verbum aliquod carcr pra^terito vel
futuro in^ fimco» refoluiturper lyt;/,aut^flc?^i,in
fubiudiuum.quo-^ fiiaQi^vccrqu^ alL modtts comua&iis
ciibos£umis in porttiHMtionibushic detcrminate,iniinitus vero
inde- tciminatc,vidiaumeftpriu$. . 'GErundia reguntur anomine
fubftantiuo, & fic funt gemtitii caftistauia prarpofirione ^c/,
^ihicaccu- fatiui :aoti«,vel^r# v«iil#,^ficabiatiui, per (eautcm nu
htl fttfitiiifiparticipium verbi nomimrque,& aliquando
famttotBra(beaaQ^iii|iiando robftantiuc exiguntr^ue dtfasfiipfum vcfbonwit&com.fe»
pr a e ytf ti^ mus], Mib4/Mif#ir/i#&i; pomn«r
IfsnwiterinalibtiniaL SVpina edam
funt participiorum rcs , fed indetermi-- natoruni,niore infinitiui, &
propterea reguutf t ab a«- lio nomine & verbo ram adiuai Vt ##^jiu/w»
}jqiiam • Departtctpns.. SEit funt partfcipiaiecondtmi rem , tria
paAiia.vra^ mabiiej amatQm^Sc a.maDduni , & tria adiua vtanu^
tioQmamans 6c amatlirus. 'jtriuiSiU enim eft q uod poteftt Jim^ri
refertur a d ai|iariQonl e qubd pdteft amare. ^*. ffU/«» eft quod ado
amator , 8c refcrtur ad amans l^a. *4iM<raA^eft qQod^mabiror^aot debct
ama £c refert' :tQradaimaforQmgd
eA;^de)imqM (i^cumqttealiterTeffrrtvfiifflrQi*.' Grammatici non
a^nofcunt amabile &amatiuum, xdificabile& aodificariuum inter|^rticipia:&
fal»- lunrurrh^c eoimparrem^apiunt a nomme^ partem^l* verbo : &
res;u^nt cafus fuorunl verBorum : dicimos eofte^ knif^misiUe ^ te
Sedam^nttnm non dicitor con^accofi- lus fapi t qiikile verbo.namtt*
ly dmam cum fumitur nominalicer exigi c genitivum, non accusativum
i vt Petruseft^j?;??^!!! tui^ fed etiam aliis par- 'tictpiisaccidit.
Participium autem fucuri pafMui tranfir, ingerundiumex pncporicionibus 6i
fubftantiuo Aibfc- quenre nomine. Hmcvidemusquod quaniam a
reegreditur adusid- circo A nominc e^^redicur verbum
jOrtab^^JiM^-rjfcui^rJ^d pacre pacrizo , deindeakvcrifquc participiwm ,
quaii. do res cum fuo adu concipitusfimul , & a partkipiis ee^
runjia ^rupiiw^.infiaiiapiMBiiti & fucuri'; quidquia
;G/aj^wwWiJswaniimaduerteni)esiiliterdocedf Ji: QTArM E-N. CVnt
verbaneutropaffiuatriplifli aAkoparticipio in- ^\ip^it^ytetmmis^ci^t0Hii^C9nat^rw$i
& duobiis pafsiuis, vtftrwl«jSc«e»if»i«/,v Ddeapparetqu6d aaiuum
prarte-! ntnmdeeftplnnmisverbis/icutpafsiuum pr^^fens aliis multis.
„ Qja^auchornm paffiua Aoufiunt, pnm is cribus jRint
QQtiten^^pladens,pncims , dr^UcUurMf , folens, folU trtf,&
fclitarus.qiiomodo autem agnofcuntur ex nacurj* adus paf ionis,&
adionis, &^dqatfonis,& exifteniic no- iUerimus,vtfupra.Utiuorum.
Comparadua propijereaeKiguntabI^tj9iinj,^Hodk4 ad quod
comparatqr^i^^Jb^xi^fl^^ forma , &iBenfani: vt tf^l^iilfgSift^^mySi
aoiemp^o. natur ly quam cttm no^i^tiuoiijftcs ^minam Pe^ truf,
fubintelligitur verbuihfubfliandale.viij^/rr^Ai^ SVpcrlaciua vero exigunc
genidunm pluralis numo-' ri^velreipluralicarem includentis, vc
taescUa^ims ' jjj
rcfertur nifiad numenim. Sed ii dical , forti/simut fuptr
i2^«u;;«7j,tunc fuperlacionis adus bene ex^rcetur bfer prxpoficionem
CKcunilaneialera, vt diiaUin*'eft.Vcum depraspQlicionibusageremus.
; DerationeparH^ tpiorumin/nmerfah QuidquidGrammatici dicunt
de nominibus parti-- ciuis & vniuerfalibus , pertinet ad dddrinarh
de pronommibus: omnia enim hxc fiint*pronomina ioco propriorum
nominum pofira. Smiilicer &parronimicaj vcdi^bum cll: ihi/unc
pronomina gentilitia, vc prLtmieies^ cefartanns , dommicanus ,
quncaliquaDdo abfque substantiuo incclledol nominum racionem habenc
adiecliuo- rum.ficucfuoin locodiamneft. Ratio denominationis
iftorum ex Granimadcoroni vfu agnofcenda eft. Ratio , qiia gemciuum
aucablatiuum cum pf jef ofitio • ne exiguht, patet cfr rfegults coratmunibus
: dicimus cnim * fmsye/fmm» tc^idsill T^ii/, quoniam de numero
vnuili vnDsfubaudimns. Flgurarum alia
ConftfUifkionis,alia verboram^alia fen- centiarum. ' De Figuris verbo funi
Jc!rencenf1arum diximusinpoa- tica.Rhecoricajad hasenim
artespcrtinenc. Fi^ura conftrucflionis propria GrammaciCorum
eft cum A commudicdnfui^tudine ioqp^ndi iratiohabfliter'
difcedunc; - ^iiv^Sdj-i^ ^^^^r^P^ vods^fifrvt/ifrli^ww/^ic
^ffmMhiitQ MUrmt %ens aWa : vt nefiU ^suimfenke tnhisniHatmnimlldmt In
Iii)guavuf{;ari pforiinacftli^c ' fiigiva,nam pro poiiitui v^fsc
v^Proicpfi; cttmtotuminpartibttspracfainicar,n^i7?i^^ pulifiudinr. aliasphiiofephU^aliui
Grammaiifm.C ftudet. 5 Aotipcofis ponic ca.iuni pro cafu clegancer
vc chtm ^quemdeiifiinokit qitauurbai dcdit. Elegancius aut
prxponirur relatiuu vc , quem dedtfii eunucham^ quas tnrbas dedtt,
Ecquidem dumaduspafllonisrejpicicurplufquam adlionis ponitur in
acctifatiuo cocum nomen cum pro- n o m 1 n e . S\m\ zcr^uorum eqei Ith ro
rum^ ^i^t^ndkUi eoim egeadiplusad fe craliic quam dandi. 4
SUabifauis eft,quidam Gr/^coFu loquendi modas:(e4 cameaapud nos
fpaifieati^ dici poiTec & fic cum adie- itiuum
prxdicaciVopalaturftbiedo fubftantialiter^Cc / pr^dicati
fubilaatiuum ponitnr in abkdoo vel acCofiu Uuo.JtiBfsaligsdeniiti
ViliiniiiMs «lioc eft bahes dinies ^tf«ia<Ujiiivel,
ifff^«ijtffiytanquamin(bomentaIi, .ant forraali prsedicato,fpecificat enim id
qoo tu es tahs fi. liejormaliterfiuein ftrurnencalicer.iiiue parcialicer
: dici« mus enim acdrtffks enfem\decorattts Uteris^ drc. Evocatio
ert cum pronomen cacetur, & eiuslocum /upplec nomen , vc trots
reytmuSyifxo nos iroes. Zeugma est cum vnumverbumveladie<fbiuumrcruit
i)Iuribus,vc P*em d^Hamni^alcrudelisefl' vbi ly^-z^eciam y funt
vicem gerit. Similicer & patet fltj /stntdi^wk vbi ly digni tii^m ly
^igfliri,Iocum habei^ 7 Syllepfis eft» qoaiido fin^larisnumerus
comprekesft- ditor iipiurali tanquam k dignioh» vt Vux &
miutetfr^ bdsitnr. veirexusmafculinus comprehenditfacmininomy vt
Ren & Regbsdinfiifinn. AltqaandQ etiam nettcram,ve ienss &
memeipiumfimetenli. Sed in Inanimatis neutmm concipit maibalinttm, &
fcminimim , vt ficus ficulnea , ic fyrumjuni iena «^cimos & Uhr , ^
velnftds funt cerf^ riviilia/ide(ivtiles. Appositio fic quando
fubftantiuo vni aliud apponicur, vceius dcclaratiuum in eodemcafu, \i
yEffodiuntur opes^ irriumentamalorum, Quandoaucem noneddeclaratiaui
Xokcppmio g.eui€iuo,vc fuo in loco dcdarauvnus. «SSgH^SS?» -sg^^^it
_^!8g^j^2» iag0 Oftquam dclocutioneTocutifumuSideScri. pcione
,CC Leflione fermo debecur. Siquu dem Grammacica eft Ars red^
Ioquendi,5c fcribendi , & legendi. Triplex ergo illius a£kus
,videhcet,dicere»rcribere,&: legere: iic^t primum f\t folum per fc
adus : fcribere enim 5c lc- o-cre eiufdem accidcntia
propria. Vefimtio fcnptionis^ Vldeturquidem /5:r/W,e(Ielprum ///r^rr
permanens: Jicere ^uiehi/in^ee tranfiens',Hoc autcm ex rece-
ptiuoinftrumentaH^nanautcmprincipali.accidit. Ani- ma recipit
principalicer orationcm,tenetque : fed per a<5- rcm,6c cartam,
vtpcrinftrumentaldicenris^ AcJt autcm^ cumfic tenuis, figirrarque nonbabeac
proprias , recipiaC'^ qae facilealienas, non retinec ob fui
inftabiliraceni , pro - prerearertnoineoeftfcriptio cranfiens. Nec nifi
feniel audiensanimapercipere poteft. Vtautem pluries,cercuf-
que,& obliuioni non obnoxiusfermo fieretjperlapidem, autlignum,
autaliam quancunquefolidam,conflantcrn« que molemjdeoquepotencem
feruarefermoncm^qui in acrecuanefcit',loqm ^gyptiusTheutli, fi Platonis Philebo
credimus,adinuenit : licct ruccenfeant lilijquod negligentixcaufam
ftudiofis dederit. Lucanus autem Phocnicibusidadfcribit. Philo £cIofeph
ancediluuittn» Enoch excogicafle induabus cohimniS| memocant.
Llcerxergo infolsdo auc inTimc^ vc charaAeresRo^ imnnrnrn
inrrfa r mir iininr TrTypn^jnphnmm notula^ferreir^saacranLnhacin pagina
excolonscetri» velrubrileneatx fucco. ' . Jiiimitatione rernm
in di^ionibHs (f fcriftiombus^ . Art, IL
^^Esinnatutapofitac imitando idcas Diuini inteir, Jfe<fbusrunt
venu: ctenim,ait e§ fuiffkl^^ j^j fimtlitttdo, Inteliedushumanus
iniicandares,qoa9^ ^^(ferciDit, ac proinde intcUigendo eas, ficuti func,
ve- ^xuseft. Concej^cus enim obie<aavvndcrconcipicur, eft
£millimtts«S^mo yocaiisimitacur canceptiones,feu no>
l4onesmeiici$ii|9a£^ inJPc^cicalacijlsd«^ jhonftramiis.. ^j^i^ caodem fism
voQjencK^ propcere aqvie^ramn4o,eas figuras imii^ri conuenitf
quasocg^Mndo menci^ oociones perinftnimenca vo^ ~ t;gucgtf «l^ngaam^ palac
um^ab Libertmius. in ittt fpirAto figuramus. Hinc
Alphabetum elcmentA vocis explanans inuentum eft. A t varium , atoue
multi- plex apud nationes mulcas ^ qupniam imiuri iaem variis
jnoduusinuenere. Jmitstio per cbaroBeres. ALij quidem vno
charadere fcribant vocabulum v- num i 6chocduphcitercontingit,vel
delmcatione imitando, ica'vc ver. gr. O, fignificet panem . & t^,
vmum. Sicut Chinenfibus vlurpatur jexquibus iliedodior.qui plures
charaderes fcic : quoniam plura vocabula 5c res* Afcenduntftutem
charaderesquailadodies mille. AUj verivtunturfigura confimili,vti€gypcij
,vel rym* bolicaiqueinadmodum Chaldaci Planecas, &iZodiact
/ignaiisnorancanimalium guris, qua in eircuii parti»
builocantur^aatillorumaliquid pingunt,TtproTauro corjiuaTauri» caudam
l^eonispro Leone»j6f<b. Sicut Aftronomi spfbrum haeredes adhuc
Ytuncur; queroad*^ modum i£gy pci j myflicelaibunt pro Deo^diaraAeiem
•^lis.qui Dei ftatua eft i pro vbertace comucopiam, Sce. parti^um
vocis indiuiduastvc^ebrxi, C£idti^^^||amv Gneci^vemntamen
charci^eresfcn. pferutitf enim,qux fola arteria
profeninta^Thltpii^Hiififcfa^^ quod camen inO,& /jfoliim
oUrct^Stliif^, redi^s pro vociilibuspundis , vtunturj corifonantes
autem figuris, quacfimiles funt inftrumentis,quibusformantur; vtAf^
quoniamlabiis compreflisfbrmatur, pingendum efTetfi-
gurareferentelabiaduo,C, ver6, quoniam sumiratelin- gua: tangenre dcntes
fiiperiores formatur,charadereid fingente delineandum : ficut in Poetica docuimus:.
vbi quomodo cxreri charaderes formaBdieiTent a lin
gttaruminftitttt9iibu»9<C^ui fignificaiiopt deferuirear,
cpi]ifidei^uimi»^ ij^ Ut cum fic cenuis, figurafque non babeac
proprias.recipiat- que facilcalienas, non retinet ob fui inftabilitaiem ,
pro- ptereafermoineoeftfcriptio tranfiens. Nec nifi feniel
audiensanimapercipcre poteft.Vtautem pluriei,certaf. qae|6c obliuioni non
obnoxiusfermo ficretjper lapidem, aut lignum, autaliam
quancttnquefoiidam,conftantemI qttemolem,idcoque potentem
fcniarcfcrmonem, qui in aereeuancfcit», loatti^gyptiusTheuth, fi Platonis
Philebo credimus. adinucnit: lic^t fuccenfeant illi,qu(>d
uegli^enriacattfaro ftudiofis dederit. Lucanus autem
Phderiicibusidadfirribit. Philo &Iofeph anrediluuiuiiv Enoch
excogicafle in duabus columnis, memorant LJcerxergo infolido aut infunt, vt
charadcresRoI - /manorum in cera^ a wt a wKmg ^-nrTypographorum
liotulx ferreas jaut funt, vtfaacin pagina cxcoloristctri» ycl rubri
leneatacfucco. Peimitatme rerum in di^tionihs
fcriftionibus Resionana apofitaeimirando ideas Diuini
intelle- Ausfuttt vene: v/ri/^i etenim ,ait Aug fuifffin- iipij
fimtlitnd0: Intclle<fiushumanus imitandores,qua» percioit, acproinde
intcUigendo eas, ficuri funt, veruseft. Conccptus enim obicao ,vnde concipitur,
eft fimillimus. Sermo vocalis imitator conceptioncs, feuno-.
lionesmentisivtinprimo libro, & in PoeticaJatiiisde* monftramus.
Scripturi tandem fcrmoncin vocalem, proptercaquc fcri bendo , eas figuras
imii«iri conucnici quascxprjraendo raenttf notioncs pcr inftrumenta
voim Lihertmius. inicre fpirAto figuramus. Hinc
Alphabetumelcmentt vociscxplanans inuentumeft.
Acvarium,atciuemulti- plex apud nationes multas j quoniam imitajri iaem
vanis modufisinuenere. Imitatio per
characleres. ALij quidem vnocharacflerefcribunt vocabulumr-
num i & hoc dupliciter concingic , vel delineatione
imitando,*ita'^cver. gr. 0,fignificetpanem. & f^,vinum.
SicutChinenfibusvuirpatur jexquious illedodior ,qui plures charaAeres fcic
: quoniam plura vocabula 2c res. AfcenduntAUtem charaderesquafiadodies
mille. AUj verovcunturfigura confimiIi,vt ./£gypcij ,vel fyin*
bolicajquemadmodum Chaldxi Planecas, &iZodiaci flgnaiis
norantanimalium figuris, qua in circuli parti»
buslocancur,autiIlorumaIiquidpingunt ,vtproTauro cornuaTaurii caudam
Leonis pro Leone, &c. Sicur Aftronomi ipforum ha:redes adhuc vtuntur;
quemad^ modum y£gyptij myfticc fcribuncpro Dco,charaftcrem Solis,qui
Dei ftatua eft j pro vbertate cornucopiam, &c. ^ Alij ijTiitantur
particulas vocis indiuiduas: vc Hebrasi, Chaldi, Latini, Grxci,
veruncamcn charecflercs fcripferunc parum imicances. Vocales enim,quar fola
arceria proferuncur,fimplici lincafcribendaefiTent: quodcamen
inO,& /^foliim obfcruatur. Hebrarivero rediiis pro.
vociilibuspunclis, vtuntur jconfonantes autem figuris, quxfimiles func
inrt:rumencis,quibusformancur:vcAf, quoniamlabiis compreflis fbrmatur,
pingendum elTet fi- gura refercnce labia duo> C, ver6, quoniam
sumicate lin- gua: tangencc denccs fuperiores formacur, charadereid
lingence delincandum : ficuc in Poecica' docuimus: vbi quomodo cscreri
cbaraderes formandieficnt a lin- guanimin{licucoribus,5c^ui
fignificationi deferuirent, confidcrauimus. Dcnfimerofii Hramm,
I^expreffionem Jdeoque lid vi^ti oclo in primo Libro illosreduximas:quorum
viginri duocon fbnantes, ficdiAxJqaon.iam inftrumenrom verberancium
aercin concurrurormmcur. Iiein quoniam coniunc^! non pod (unr,ni(i
perv )cales- vc Pbco m Sophifla^uiur. Anibesetiam vifTinci oda h.ibcnt omnes
conlonanccs pro corundcmronorum diffLTentiis exprmendis; inquoa-
. bund.inr/Trcs auccni vocales . quibu5 ramen vtuntur vcqninque ,
ficu, orJincqLie vanantibus. Hvbrrt vigioci duas conronantes,fiquidem pro
vocalibas , punckis. vrn n ni r j Vjixh i Xj q i i i i Vf mmm 111h ' i 1
1 f i r m fimplicibus, ' vtipfi purant^-tt^Spic-fl^d cOftmA^^^rfi^
in^lar. Nobtsaureminlcaiica fingtiahac ratione torefl fcntdiphchonc^i
,ouot vocalittmcopulstjVtplanum eft, Galii prunbiifdipnrhongisvtuntur.
Grxci vieintiqua* ea6r habenfftedras • qnarum fepcem funr vocales ,
quoi. niam {),& Jf, ftrifti &lc;apud eo$ , ncar& in
aortra Vulgarilingua, prbferancur/ Natfones excedenres hunc numerum
viginci o£bo, ftorfvidi, nifi Iaponenfes,qui quadraginta ocko Htteras
habent i quod cquidem inde eucnircpiito .'quoniam cotifonaTitesduas
conflanc in vn.im, qiicm adinoJum nos X , pro 5 , 6c.C, vtimur. Sic
. poirjmLU hccerasifias duplicf*s (-acere: vr pro , Z , .fic
character vniisraiiiis pro i?, r^^\m:\s proP, ff, ^cSicwii .
vci'niir^?^. (Sc rr/Ti. 9. pro cnbiis fircensiacque i pro da.ibusi^c.
obuia iunc /vlla^:vrnm varietatcni peroeiidenci •• fiquidem,
vtdiclum eltin primo libro.aliae lyllabxcondituunrur ex vocah vna . vr
ahaeaddunr irocaliconronafitm^TC^^^ali^ dmr^v^ Ba\9i\\x trcs^
vt(^'SaIisquaruor;vc ^/«^aliacquinque>vc /f4n/,aha:fex,
yc//r/^/.NaIfibiatttepltts vcucvocaUiQtfiindiphtbongis, Lther tenias,
/^t G ^riii-inoram verS Sc Polonorui-ii lingn.i feptcni 5c
oclo coiiloiiaQCevvnivoci^ .lih^Uiu Caius ranon^^in in Phy-
fioio^ia ^iximus. iNfonreitU camen AriftoteJes fyllabas poHe
exfoliscon^bnancibusfieri docet}nulIumenim fo- nani habene, aiCiexvocali
«caiadiUncconfonanclo. Poflontenam literqper pun<fH
miilciplican.-vr Ara^ bes 6c Hebraei faciunt, vt P^c^m pundko icruiat pro
du- pltct P ^CivaAxttt & vocales : ynicuiqee ergo regula eflr
vfus: Philorophisautem ratio. vt
B.egiila{igurandarnmlU?rarumi DRhentin fe lirc^T
appiri^ntamhabcrc elegantcm, claram,diftin(flioncinab inuiccm pcrfpicuam.
lcem occLiparc mo hciini Ipanum, nec fe inuiccm impedire. Proptercn
vocaIc^punLlis,& ficu vtiliorcs,quam iiguris.
Formodcharaderes-A^abici, mirhieUpr.ptenn fpa- tium niiilrum
oc4?upant. Occurruncpun(fla htiic defe^ dui. Hebraici graucs fd non
adcodiftincl i,nec figu- racu faciles; Lirini diflincki ,clan :
arnonfatis elegan- tes : Gr«ci,clari ^ forjiiofi> exigui, niodicuni
pccupantes .fedexpa.rte^coihplicati-. . Aliarumnationum Alphabefa
conrulancnr. T IcercTLacinrc pro liceri^ tancum valcnt^Grarc.T
pro ^liceris & numeris i y^lpha enimdicic A , & vnum : Hc-
braica:proliceris,& numeris,6c vocabulis: Aleph enim figmiicat /t
^^vnmHyU princiffem , Bech n ^(^uo.dcd^mm &c.Propterea ex
JitehsSLabbiniphilofophantu*aoi^ivi^AQagrammata eliciunt, : '(jrdmmdticalium
Cdmpdmlld]D^ra Mnefcribendiper vfiratasHteras. Quoniam careinus Alphabeto
mionali imitanw prorfusinftrumenca 5 nec rperamtts illud nifi a
nou^ lingua ccondicore^qui vocibus res^& voces chara^leri-
bttsadamuflimmncecur. Ynde facilferebusinrpedis ip^ fisdifcerenrfiomines
ducefimilicudine^ l^gere, fcribe. reque!donecergo^liiigttam,&
charafteres proprios Plulofopbisedereiipndacur, vteodum conTuecis in
fcri* bendo. Proquofcqucnccsdanturcanones. I Literasclarasa
propnafigura non defcifcenres deli- ' neabis , vna continuaca dimcnfione
•, ou{eiiU^pier> vndc fjcilius duci.poce(VprrroTaTft calamus.
^^-^ X Literasmaiufcufas Scminufculas obferuabis in omni ' lingua ,
qu.imuisHcbrxis id non vfurpetur. Maiufcuiis vteris in pnncipiis
orationis , 5c in omnis perio Ji princi- pio ,&nominum propriorum
cxorjiis. Dicimub propria Jndiuiduorum, prxfcrcimhumanorum , rcrum
nomen .^curam fortiencinm indiuidualem • vt Perrus honio ytc
Bi^ttneUns ^aais. Icera earum rerum , de quibus fcrmo teexitur,
quaccunque fint> eric maiufcula exordiens Bgura. Cum enim trado de
SoIe,autdc Aqua,attt d« tnde in'Phyfioiogia > dico Sol , Aqua , Iris ,
in toto rra^ : &atu. Nomen aucem D ]g I tjRtiii|^^ pie^f^^^
^bendumdbcec. Omneslicerae vnam diAionem
(romponentes , nmnl ponantur ; nec incer eas pond:umtnec fpatium
interttcni»- relicebic,ad retinendam figno rei vnitacem. Onwaee-
nim cns necefTaric) vnum eft. Dantur in vulgan linj^ua apudnos, &
Arabeslicerarum copulaceiufdem vocabu- liiatextrcmxfigurccprxc edentisextenfioadprincipiuni
ponfef^uencis,non inepu» (iperfpicuicacem iedionis uon i /4!
intercurbat: alioquin fuc;ienfln. RedeTypographiim-
ittfmodicomplcxus omncs fuflulere. Si]uandoin fine verfus non
poceft rerminaridic^io^ Arabcspriccedencem excendunt. Si poceft finalis
rcci- pere excenfiones : (in mioLts>amplian(medias. Alixve- r 6
nacionesapponuDcnoeulas, quibus abfoiucain non eC- ie di^onem, fignanc,
vc in noftra fbriptione apparec. Vbipraccerea nocabis, qaod vna
licera^qu^ eftin finj? ver- rusfpacittm non habec>in quo fc ribatur,
noti eft pohen* do vck principio fequencis: fed vel coarftanda
cxcecis» vel incegra fyllaba, ficamen non eft vnias cliafa^eris,
afportandaad fcaitends verficali exordium, Francis ca* jnen concrariaseftvfus. Omnesdicliones^&fingulscreorfum
abaiiis,non per punfta incerpofica, fed perfpaciola
diftinguantur.necon- Fufiofenfuumfiac. SpaCioIa vcro incer liceras
ciuidem didionis finc n:q ualia : ne videancur didioncs dua:. Caufa
breuiracis folent,vbi duplicanda efi: eadem licera,apponerepundum Hebn-ci
medium in omnicon- fonanti> nos titulum fuperponimus :fed foliimin
N-^tC Ji/,dapIicacionem exigente,6c folu fuper vocalem , aut
Ciaefiiram confonanti caufa breuitatis. ScdaUceralijipia Vtuocar.
Confulenduseftvfus. Nam,f>fr, fcribimusfic 9^fr^%^pf9 Similicer etiam
vfus eft in dickioni. bus feruandus. Nampro didione liceram
^liqaando faibimus. Siquidempro enim,fcribimus.«.pToautem ,4.
vcrique pundacam ; pro verA jv. confimiliter ali- qoando paacis
liceris^pro mulctSy vt pro vniaerfidicer J&lr> pro,^0tf8lM,qm.
£ft|eciamTfus Arabam,vtalifereamdemritera[fi>rm^t in principio aliterinmedio,
aliterinfine.Noftrate 5fblum JW,infinedefledunr:nam pro w. vtunturi. sxlnquaz,- % Obrcru<\ndum eftjneeadem
abbreuiatio alicer alibi fignificec: fienim confufionem paritr vnde
rudicer qui. dam, locopfr,&/>r4',vcuncur/: & fiquis
nouamabbre- «iaturam intrudit, perpctuo ea^Ttarur^femel ramen ita
fcribat clar^ ; vtin allis di&ionibusi Uaptimaicrijua fitlumen»
aneUnf. Ponende eciam fuoc noculx tonorum, qui dicun tor ftccencas,
vrpronunciadononaberrec. Suncaucemcres, actttus y qui acuit,
eleuacque ryllabam.:grrf«/i , qui depri- iTiit:
f/w;/?fxrt/,quicomponiturexacuto, & graui. Pki- ribusabudanc
Cocincinenlcs, quoniam hiis iuonofylla- ba, funtomniavocabula.&plura
iiguihcaiic,pro pluraii vanetaceaccencuum. Teflc P. Borro. fo
PonicuracccncusTuper vocalibus: quoniam vocales func lyllabarum
lubflantia , &: anima j conlonanrcs ma- teriaiicer fe habent^^
acadeatalicer quodammodo yei tanquam corpus. T I Cum aliqua
vocalis in fine didionis -caditper (yna<'> ]a:pham«vtimurin
lingualtalicaaccencu furfum retorro« Graecisquoque v(iirpatur,l.at Lnisrar6»nifivbicadit
femiuocalisapud Lucretium) qui dixitp/^//7ii'; ^uhte:frj9 ^
A^2^ndix ach. Art. da^' X. CHalda:i> Arabcs, Hebrc-ei a dexcra parte
fcriptionem exarantad fi niflram Grxci, Lacini, 6cali) ccontra.
Contenditur vtrum redius. Antiquicas, auchoricafque facra: Iingu« fauet
illis : iftis vero Phyfis. Magis cnim fecundiim natttcam eftab
iniperfc<5lo Scfiniftro adperfe- ftum dexcrumque ire. Metaphyiis e
contra. PxaEcedic enim femper op timum perfeftiffimum | trahens
materia^ lia deimperfedoadpecfeftum. Slmundi poficionem
fpeAesPytha^oricoricu,qnem nos ^diim fcribimus,noftra pofirione imitari
debemus: Scriptio enim qiiidam mocus, coclimotum imitans : dex-
trum efl: polus Borcus : finiflrum Auftrinu?;. Etficnos, ad Occiaentem
vultu (pe^Slantefcriberc oporter. Ergo inciperemusahniflroaddcxtrumjimitancesmocum
latitudinis, tanquam fiex Auftraliplaga cocpiiTet huiufiiiodimocus-ficuii
iuPiiyficisf ucabamus. iQ^auccnipu- cac tat^ncepifle folumyerfusauftrum
moueri ab ini^o^vci . nunc viciffim mouetur 5 vtique a dexcro
inciperefcriptio- nem putat. Ac fi , quod Mofes in caftraraetatione
ob- ferua c , obfeniemus idextrum eric Occidens: Ariftoceli vero
Oriens. Ecexhisimitacioaptamagls. Scriptor enim loiv^itudinismotumvelocera potiufquclatiaidinis
obferuac^niam Lunaris. Propterea ficfcribeodo , & qoi vultumhabetad
Auarumjcribicadextro nd finiftrum, ideftaborcuino ccarum, inricuGraEco
& Latino. Ete contra in ntu Chaldaico. Qui ad Boream fpedac, ab
oc- cartt in Latino, abortumChald<jo. Aliiconfideranc commoditacem
lcribendi &facilita- tcm. Qu«meliorconftac a fmiftroad dcxcrum :
quoniam matlusa centro circunforentiam fcrtur,vbi muenit fi- nem,
Actamen poteftaddi tertius & quartus modus: vc
fifcribasabalto-acimumpagin^, vtin rolo 5. lohan. La- ter.
Romaefaftamvidinuis. Ecin verfibusfybillinisfic C contw. Hinc noua
qu^ftio, & confimilisrefolotip. Defarmione ^
'ferfficuitateperfun^4 ,lk neajkue ojienpi, Art.
IL IN ftrudttraorationisinteraeniuntpunda:6c pun<fium cum
iineola adunca ; & lineola illa fol t taria , Hoc autc
ia<tefic,qiloniaojracio criplex : alia fimplex,vt ego fcribo:
aliacompofita,vtcgofcrLbo : dum cu diaas : aha decom-^ pofita vt
Epigrammt»& liias Homeri, oratio Ciceronis pro lege ManUia. Quammali»
trlbus,ali«m!ilti$>a pluribus «cplorlmis conftant periodis. Oiatibfiropllci
nullum patitur punaiJm, necdiftinaidncm, nifiyocabu-
lorumperintercapedincspania $:hacvtuntnrLogici,vt, €mnh homo eflanimai
tationdle, Omtio Compofita diuidir turin duas coniundas per copulatiuam
riotam*.vt £j# i^riwtfjd^^^w&^velperdi^^
vt^h^di^vel/gr^'* iMUVflmngit\vt\ per cowdk\ov\:i\Qm:vtJtvenerisadm(
daboiibiltbrumxwx^QT\ocAcvc\^vt,vbithef^turus, ibi cof : aac per
tcmporalem, vc,f maqtf.er le^tt.ciifcipv^ Uatidinnt aut pcr comparnniium
. vt , y^a//fl/ wrfr/, /rff/ 2^^;7// //2 - ; aiic pcr caufaleii-i : vc ,
qMniamn^n fkit^, JhrtUfcttntcampi ;auc per rclatiuam i vc, mercaiores
lucrati sunt muhtimquitamenUborauerum., Erhofumficdifttn- dio
perlineascommaravocatas. Omio decompoifcA conftat cxperiodis plurimisipe-
nodusemm fir, cum ex finali Dunao. velexordioinfinem; oracionis
perfedxabfqiie ruipenfioneaudientis peruenimus. Ibi pttndum &cimus: omnesergo
periodi pund^is adftringuntur,vtinprima CICERONE Epiftola. Egoemni
•ffici9^ep4iih piefdte ergdte^Cdtefis fatisfacio emmbus i mihiipftnunqnam
fatisfacio ^ &c. Ac pcriodus diftinguitur percola&commataapud
Ciceroncm.Cola funcparteg. periodi maiorcs : quarum quxlibetquafi perficitoracio-
nem,&in dido exemplo terminatur in ly omnibttt, Et horum diftmcflionobisfic
per punda duo ,auc perlineo- lam cum puncflo. Commaca vero func parces
mmores, cx quibils cola conficiuntur Ucetnon omnia femper, vt i
iodiAo exemplo. Vbi poftquam
dixttammofffcioySiddityacpoiiufpietdtey quod diAinguicur a prioriparte
periinea. Confideranda^ eftetiamiquod vbi diffidium maius eflincer
commaca,ap-- Sonendum efl pundum cnm lineoia: vbiminus,
lineoia': iie putido. Similiter in diui fionek compofitorum^ ali^.
quandopun&ocum linea^vt«^ ntdgWerlegit ^dtfcipvU^»Jiffis/:aliqnando duobus
punAis :yt^Rexcafiigauitml^ Iite$'qttifugeriimdepr4i0, Hinc eft , guod
antea^uer&ri- uamponuntur pun6i:adtto,(i nonett completa
periodus> in vno: Quando maximcaduer/acur, vt.Pctrus rfido^ui:
fedfilius eius ignoranS' Aliquando lincola , vc, Petrus c$ doHus
quidemjednonvalde, Similicerancc relaciuamcft lineola in
modicOjVCj/^f/rflJ, qtticurrit^moaetur. In mulco,. iuncpunda.vcfupra.
Similiccrponicurlineola anteno- tas cogalaciuaA^quaado copuUs
i^.u^gitivVtt^^/Wfiffrir Mmi«^quado non mulcumy poofta,vt,/rr/r0ir eMrru
: fii propeM 9(eafum, AliquatiHo nihil , ii Yalidifsimc copulac ,
vc, Petrus evnditus darui nohilis^ fed & Scc. idqiie magis,vSi deeft
copula,abefto 5c lincola. Ponitur eti.irn puntflum^vbi
didioeftnota; & ngnifi- cacpcrvnam literam ^vcM-T. CicerotiSc D. Francefco:
&vbi per plurcs vc Cic. pro Cicero : 6c Franc. pro Fran - cifco.
£ciahisv^lecconrenfusrcj:ibenciuxu,§crauo bre« uiecacis. Ait.
I. LEgereauccm,eftocuIis,qu fc npra.-crunt-^colligcreiit
mentc,ac mox per linguam colleda icerum pronun- " ciare. kaque eft
circulus , ex dicere , pcr (crthere^^le^en ad tpfum dtcere, Ocuins fen(us
lcdionis ziauduus didio- flis. 1 Qui ergo iegic,prius
difcaccharaderum iignificationes & pronunciacionem. Quasdacninicum
gutturc,vcvoca- lia quxdam lingua , & paiaco , vt confonantes ,fic
femi- oocalcs ;& quacdam labiis, vc mutx , pronunciancur. Si-
militerquid valeanc punda,&afDiraciones;doceadifunr, qui
legeredifcuntfiuxta phmi iiori pr^cepca. 2 Moxquemfonum ,
quacvocaIis,cumquaconfonan« ce, faciat* Vinculum enini confonantiuin
vocalis efl. Faciliatttemaddifcttnt, ficonlbnanseundem fonum fer.
uet cum omni vbcalf. Hincfic,vc, quoniam carcmus altero , C «non poffint
facili noftram nationis aiien^ linguam,addifcere. Alicerenimpronuncio,
C,cumA, & alicer C, cum E, fimiliccr,G, vt norum efl:. Vnde
deri- uationcs verborum ,&cafusnommum fallunr.Cum au-
differRegis itcluopi; filius,//g4^, pronunciabac,/r^Aw, i
(^rammaticalium £ampanelU] dcriuationem falfam exofus. Ec pro C(£Co
, ctUo diccbar^ vc C , fecundum eflet primo fimilc. Nos aucem
ha:c non cogitamus, vfu dudi: 6c quia; pueri noftri nefciunt dubitare/ed
authoricate trahuncur. 5 Prius quidem fimpHcibus ryllabis,vc^<^,deinde
com- pofiiis.vc j^r./, airuefcanr. 4 Tandem vc didiones cocas
pronuncient didindas, iK)n n>ixcascumalii$,proucin copuiando dicere ,
aiTue- faciendi func. Mox enim vfus, vc celeriterlegant, pre-
ftabit : veluti Cithara:di, vbi primiim elemenca, &
difcri- niinafonorum,&confonantias calluerinc, in eifqueaf-
fueucrinr. 5 Item quomodo pronuncianda interrogatio j quomo».
(io admiracio, &quomodo lcuisoratio. 6' Item inpcriodi finc
paufindum. 7 Item diftmguant legendo cola commata, illa ma-
gis,ifl:a minus.vcfen fum aonco Qfundant, necdifTocicnt:- Verumque enim
ti 6'fu m . Quiautem carminalegunt, carmincis pedibusqua/f
incedant,nec fenfum obfcurent mctriamore : qui pro.* fa5,,numeris,qui
Philofophica grauiter. Item quar abbreuiationesfinrin vfu, & quomodo
ci notandar. Alia: enim aliisnationjhus. Item quibus acccntibus lint
pronunciandicr yllabap. vltimc,& penultiniii: : 6c monofvllaba in
vocalem deii-- nentia : & hoc ad quautitacem fy llabarum fpedac, ex
Ar.:, temecrica, - Quxvoces quibus verbis defcribendis func apcx^ ior;
Saecicaiuuenies. CVmirouamlinguam difcere legendo cupis :pone
feriacim vocabula noca cu^ linguj^, cor,quoc funt Ju
terxeiin^quamaddifcisiicavtprimxlicer^vocabuiorana
Lihertertius. laceant fecuhdum fcriem Alphabeti difcendi.
Diclio- nesautemtux lingux iiceris propriis priLis,dcindeaIie-
nisalternadm exurabis. Tuncenimmirafacilitacein vno
dic.quibufquclegereaddifcet. Gognitaemmfttntiumi- aaignoratorum. De
eHfjtic^ iane ferfnonum Granmaticali*
TOn modo GrammtticiTidetnr offidum ,tradere' 1 A| rcLtionem rcAi
loqucndi & fcribcHdi & Icgepdii fed infnper declarandi fcrmoQCTO.fiUC
di^kumfiucfcri:- ' ptum a quocunque autorc. 2 Hoc
quidem verum , quoniam omnis- Autor Gram- niaticus primo eft,& mox
Philofophus Ivhetor,L ogicus, Poeta, Mathemacicus, Hirt:oricu5,Mcraphyficu\
Thcologus, 5<c. nemoenim fcribicin quacumquercientia^nifi Grvimmatico
5c congruo fermone. At plujr^ pr^Iumit Grammatica, Philpfophica^quam
ciuihsi 3 A t cum omnis fcientia-popriis quibufdam vtaiur vo«
cabulis,quxapud vuigusaliumfaciuntfcnfuni, res quoquede
quibus.traclaniigDOtacfUDrvu)go^inTheolo^; ^ & Aftron. patet. PfopjCf
rca non puto Graciunatici efte .ciuilis.omnes fenitoncs enucleare ,fcd
tahnnn vulgires familiarcs .quiin cpilloliti^l^Q^c^jbntineDtur.
Adde eciamin Po^tis & Oratoribus^^To|i(1Ck.i.deot^^ Ij em^
propius ad vulgi inftrudionem adcedtmr. Nihil oniinus dicendum , quod exponere
poetas 6d oratorcsnonfitisvalent^nifiquiarcem poeticam &: 01 a-
toriam etiam didieere ; ergo noii pun Granamacici eil oratio
ipfbrum. PlaroetiJin cracilodocet impofitiones
vocabulorum jTon efle Grammatici, fedfapientjflimi Dialedici, idjjft
Mecaphyficireriiinuentoris&fcicntiarum ordinaroris-, 6.
Pxiuseniaioportecicj^ Ctfeta&deiadc notpinarebut^ i$o
U, f ci t i s i ni p oncte : Gramma tic us ^tgo co n ferua c enu cl
ea t hon|inuenic ncc imponic. Inueutor bombardse dcdic hombardx
nomen, 6c noui hemirphenj Amcncus Anie- ncam
dixic.&jlouispedifrequosplanetasvocac Galileus " Mediceos : non
quidem ex reinacura ifedpkcUo hum^ ino/xpeque cafu.
Nominaquidemdcbentabipfisrebus nooninatts ex« primii vt bombarda a bombo
ardente huius inftruroend» &lapisd ia:dendo pedem,&fol quia
roloslucecSed quo- niam rerum eflenciae latent, & proprietacesfcfnt
inn Qmi- natae»8cconfu&: &c philorophifenim
inueftigtitoresco* gunturvuIgariTCt fermone. &Principesad
libitumfine arteimponuntnomina>& iie, dcab euentu
,ra:p&:noa potcflcercafcientiafieride iproruimpofitione
nccfa<fta leruari quamuisinhoc Hcbrari fint cxtens ccnaciores*Icem
quoniam quotidie voces corquencur ,mucilancur,
breuiantur^producuncurj^cransferuncur.vt iy, loannes in Hcbraro, aicicur
Ican Gallicc;, Ans Germanice , Gro. uanni in Ecruria : lanniin Calabriai
CianniParcenopeis: crefcitdifficulcas. Grammaticus ergo non declarabicquiddicaces
rcrum pervocabttlafignacarum^haccenim pertinenc ad fcien*
'tiasillarum renim:fedtantummodo vocom fignificationes, & ftrudttram
orationis. Vnde Plato, profanosvo* * catjGrammattcos,
qmTOcabulaTheologorum declai»- repraefumunt, magisaatem
fificirridere.Idem S. Greg. f Propriaautem Gtammaticomm declaratio
eft ety* inologia,qua*nonrefpicit quidditates « ad quas
nomina imponuncur^fed vnde imponuncur.Cicer.i. Acad •& qua '
decaufa, «Sca quibus&quando, fipocis eft. 10 Ecquoniam vocabula apud
alios Aucores aliarum fcienciarum & apud vulgus aliis tempoiibus
aliter SIGNIFICANDUM apud PLAUTUM aU erat jrcuU Sc quafi ollay APUD
VIRGILIO eih naxima xdm regiarum. Item lusapudlu-
rifpcritose(l/ifjtf,apud Oeconomos eWhoJiH ^wndc vulgo feruis distributio
quocidianadicitur/ii rim.Qujt Phy ficis eft
r7ifw>i.f,Lo£;icis/tr^f/mW;^//^, Soloni/rjc, itcm hypo^.t/jsMedico c
fl: fedimenf^m v rinq: G rcXci s e fl h(Iantia indiuidua Thcologis perfona
perronn auten:i Comicis e^laruabLC, Propterca Grammaticus iflharc onmia scire et
declarare deber, 5cquarealijalitervtunturi^confu- ffonem/ermonis tollere
qaantum poteft. n ItemfigttrasGrammadcales , etfi poteftedan^ Rhe^
thohcas&pocricas dicec«&cbnfl:ni^onem orationis. 6cvaTiof diceodi modos
rem eandemi & eiiocleandi de linguain Ungixam :id quod
dicitorinr^rpr^cacio; la Vcitor enim grammaticos etymologia:
interpretatione, dercriptione, 6cdefinitioneali (^ando, fioecircom' Locutione, quando
vocabulum ceriumnon habet vel res vocara, eftignota. Etymologia
docet;vnde vox imponiturV& quaratione. Addetquc! quas pafTa eft
mutationesapudmul- tos. Interpreratio de lingua in linguamfert notitias,
bL de proprietate ad metaphoras et ceconiierfo. Defcripno REM
SIGNIFICATAM PER VOCABULUM MONSTRAT ex effedibus et similitudine aliarum et quiburcumque
potefl adminicolis. Definitio per similitudinem, ic dissimilitudinem
proprias, est entialeiqnevr per genos et differentiam et circomlocutio pertni|Ica vocabula unum
deciarat. 1% 'Jteni notabit Grammatieos synonima, vnioo<sa, jtk
qoioocai;^ 6c denomination^s. Ad qoas redocitor dertnatto vocabi^bt»i»i$[ Vul^
& cafoom ex noroinaCt; cioo.6c temporom.ex priHnf^teritis &
fotorit,vtnotar jGcIliosnon femei» Icem'compofttione$,& parcico]as; emimqtievfQSyVtin
i.lib. notacom est. Item qua pars orationis eft quje libetdidio, qUem Iocum habet
inuruura: 8cqucm cafum exigit, &c. Dccarminis et accentus notitia dicemus
in poetica, quienccefTaria eft Grammatico ad docendum pronunciationes.
Item de figurisorationis in Rhetorica esl: fermor quac necessaria rTunt ad
fermones eorundem enucleandos. De figuris vocabuloxam &, ftrudura & liocin; Ibco
cJttac syntagOtta,; j4ffendix dc phi UJophka lingua
infiitutione. Slquis novam linguam philosophica constituere
vellet formare literas debec consimiles instrumentis et sufficiences abfque
variatione in copula vocalijum cum consonancibus, vcm r. lib & in Poccica
docuimus. Imponere nomma ex reram nacura & propriecacibu Verba omnia ex
nominibus deriuare & vnius cbniugationis omnia excepco substantivo & omnia
cempora onmibus cribuere et ordinare ea ex adibus essendi, existendi, operandi,
agendi, et patiendi. Parcicipia pra:cerici, et pnefencis, se fucuri cam
adiua quam paf Hua. caniaiSlu aliaqiuun pocencialia. Pronomina omnia iuxca omnes
species suas et non a dissidentia. Adverbia exmodi$, locis, temporibus
et circumstantiis a (3: cum addere. Adnomia vero ex circunstantiis et re spedibus. Coniunctiones
temporales, locales, sociales, difrocxale$,
continuativas, conditionales et alias ut
suo in loco dictum est. Casus omnes distindos in fine, et articulos
ponec æquivoca, synonima, et metaphoras ab olebic: cunitis rebus proprium dabic
vocabulum, ut tollat confussionem, quas videtur pulcracum sic vitium in oIitum:
hac omnia in libris hiscecribus liquido constanc, et ex Mc- altius
constant. Ars mensurandi versus in poetica posita est syllabarum quantitate sufficic
quod Grammatici feribu QC rationes autem a poetica pecancur. Tommaso Campanella,
al secolo chiamato Giovan Domenico Campanella, noto anche con lo pseudonimo di
Settimontano Squilla. Tommaso Campanella. Settimoontano Squilla. Giovan
Domenico Campanella. Campanella. Keywords: utopia italiana, lingua artificiale,
lingua perfetta, la lingua d’utopia, lingua utopica, l’utopia di Campanella, il
problema del linguaggio nella utopia di Campanella, grammatica la prima parte
della sua filosofia rationale, citato da Vivan Salmon (Keble, Oxford) per il
linguaggio inventato per megliorar il linguaggio volgare. Grammaticalium libri
tres, Parigi, vietnamita, armeno. Deuteron-esperanto—Highway Code -- Italia.
Campanelliana civitas solis CIVITAS
SOLIS – Taprobane – Sri Lanka -- -- Refs.: Luigi
Speranza, "Grice e Campanella," per Il Club Anglo-Italiano, The
Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia.
Grice
e Canio: la filosofia romana sotto il principato di Caligola -- il portico a Roma
– filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch philosopher,
martyred in the reign of CALIGULA (si veda) and mentioned by BOEZIO in his Consolazione
della filosofia. Member of the Porch. One of those who opposed Caligola. When
Caligola ordered C. to be executed, C. is said to to have thanked him, and to
have gone to meet his death calmly and without apparent concern. He is admired
for his exemplary demeanour by Seneca and BOEZIO Giulio Canio. Canio.
Grice e Cantoni: il Kant fascista –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Gropello
Cairoli). Filosofo italiano. “Kant”. Filosofia
fascista.
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