Grice e Dòdaro: la ragione cconversazionale e il
convito, ossia, tracce di un discorso amoroso – scuola di Bari – filosofia barisese
– filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bari). Filosofo barisese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Bari,
Puglia. Grice: “Dòdaro is an interesting one – totally cryptic of course! It is
as if he were Nowell-Smith, Austin, and Donne, combined into one! Recall
Nowell-Smith’s challenge to Austin: “Donne is incomprehensible,” “He surely
ain’t!” Costretto a riparare a Turi per sfuggire ai bombardamenti.
A Bari si legò a Maglione, Castellano, Piccinni e, assieme allo zio Silvio, prendeva
parte agli incontri artistici e letterari del caffè-pasticceria Il Sottano (in quegli
anni frequentato da Moro, Albertazzi, Scotellaro, Bodini, Calò ecc.), fondato
da Scaturchio, e agli incontri di Laterza e del circolo La Scaletta di Matera.
Nello stesso periodo conobbe Nazariantz, il quale rappresentò per Dòdaro una
sorta di guida, fu lui, infatti, a introdurlo per la prima volta agli incontri
del Sottano dove ebbe modo di stringere amicizia con Bodini, Calò, Scotellaro.
Abbandonò presto Bari, tentando una prima fuga a Parigi, città in cui sarebbe
tornato a vivere altre volte, prima di tornare a Bari per poi trasferirsi a
Lecce. Altre tappe, prima del trasferimento a Lecce, furono Milano e Bologna.
Divenne allievo di Morandi, presso l'accademia, infatti, prime espressioni
della sua attività artistica furono la pittura, praticata per una manciata di
anni, e il teatro, poi diluito nelle successive esperienze poetiche e
narrative. Come pittore produsse alcuni quadri in cui all'informale materico
univa le combustioni, applicate, di fatto: Verri riporta in suo intervento: arriva
con la novità dei colori "bruciati". Di questo ciclo di opere faceva
parte "Svergognato incantesimo di barca", che gli valse,
successivamente, la segnalazione presso il premio "Il maggio di
Bari". Prima del trasferimento a Lecce, lavora presso l'ufficio stampa
della Fiera del Levante, a stretto contatto con Fiore, figlio di Tommaso,
venendo influenzato dal meridionalismo. Sempre nel clima della Fiera del
levante, strinse un ottimo legame con Tot. Al suo arrivo a Lecce riallacciò i
rapporti con Bodini e Calò, oltre che con Suppressa, conosciuto in occasione
del premio Il Maggio di Bari, entrò, inoltre, in contatto con quelli che
sarebbero stati poi suoi amici e compagni artistici: Durante, Massari, Candia, Pagano.
Ebbe frequentazioni con Bene e strinse importanti sodalizi amicali e letterari
con Verri, Gelli, Caruso, il quale, in corrispondenze private, ebbe modo di
rinominare la loro amicizia e collaborazione come il "sodalizio Caruso-D.".
A Leccesi rese protagonista, con Candia, di un grande falò in cui i due
bruciarono tutti i quadri realizzati fino a quel momento. Per quanto riguarda
l'opera pittorica "Svergognato
incantesimo di barca", insieme a pochi altri, si salvò dal falò perché
all'epoca custodito presso la casa dello zio Silvio. Dopo questo iniziale
periodo di ricerca e sperimentazione, abbandona la scena artistica per circa
vent'anni, anni in cui si dedicò allo studio intenso nel tentativo di scoprire
il perché del linguaggio, rompendo il silenzio con la fondazione del Movimento
di Arte Genetica con sede a Lecce, Genova e Toronto. Con tale movimento, rintracci
l’origine dell’italiano o romano nel battito materno ascoltato in età fetale, teorizzando
il romano o italiano come una congiunzione volta a rifondare la dualità
dell’essere umano non un regressus ad uterum, bensì la coppia, la dualità,
ovvero la dimensione originaria della comunione con l’altro e come lutto,
annodandolo alla mancanza di Lacan. Il movimento si doterà di due riviste:
“Ghen”, giornale modulare ideato da D. con sede a Lecce, e “Ghen Res Extensa
Ligu” con sede a Genova e diretta da Mignani. L’idea del modulo come unità di
misura sarà alla base della struttura modulare di “Ghen” oltre che della
concezione dello spazio, mutuata sempre dagli studi sulla dimensione pre-natale,
fino a sfociare nel manifesto "Incliniamo l’orizzonte”. L’italiano o il
romano diventa una congiunzione, una dichiarazione onomatopeica in cui si
alimentava il trionfo del lutto e la mancanza. L’orizzonte diventa orizzonte
mediale: poesie per i treni, per gli altoparlanti e più in là romanzi in tre
cartelle, romanzi su cartolina, collane spaginate, poesie e poesie visive da
proiettare per le strade, poesie per internet, net.poetry, narrazioni su
leaflet, romanzi da muro-narrativa concreta, romanzi di cento parole da
pubblicare in store, nelle vetrine dei negozi. Al Movimento di Arte Genetica
aderirono, o ruotarono attorno alle sue riviste e attività, un numero considerevole
di autori provenienti dalle sperimentazioni poetiche e poetico-visive,
performative, sonore, plastiche: Miccini, Marras, Mignani, Fontana, Munari,
Fiore, Dramis, Perfetti, Pagano, Gelli, Noci, Greco, Lorenzo, Marocco, Massari,
Miglietta, Center of Art and Communication (Toronto), Giorgio Barberi
Squarotti, Toshiaki Minemura, Xerra, Sicoli, Souza, Alternativa Zero,
Experimental Art Foundation (South Australia), Block Cor (Amsterdam),
Genetet-Morel, Lepage, Martini, Valentini, Restany, Etlinger, Caruso, Verri,
Miglietta, Nigro ecc. Con la nascita del movimento di Arte Genetica,
avvia una personale riflessione sull'oggetto-libro e le sue modalità fruitive,
avviava il progetto "Archivio degli operatori pugliesi", per una
catalogazione degli operatori estetici e culturali. Crea e anima «il centro di
ricerca (strutturato, nel nome, sulle
coordinate della Classificazione Decimale Dewey, ad indicare i percorsi di
ricerca: filosofia, linguistica, arte, letteratura), ospitato dalla Libreria
Adriatica di Lecce, e con il quale coinvolge numerosi operatori del territorio
(docenti universitari, il gruppo Gramma, il Centro ricerche estetiche fondato a
Novoli da Greco e Lorenzo, il gruppo Oistros di Durante e Santoro, gli autori
del gruppo di Arte Genetica da lui fondato ecc). Ha diretto la casa editrice
Conte di Lecce, ha fondato a Lecce, il movimento letterario New PageNarrativa
in store. La sua attività letteraria ed editoriale è stata caratterizzata da uno spiccato senso
per la formazione di gruppi e la ricerca di autori da lanciare, rappresentando
sul territorio pugliese un autentico volano per operazioni di ampio respiro che
andavano spesso a coinvolgere autori del panorama letterario internazionale. Idea
e dirige una mole notevole di collane editoriali volte al rinnovamento
dell’oggetto-libro, fra queste: «Scritture» (Parabita, Il Laboratorio),
«Spagine. Scritture infinite» (Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni)
scritture di ricerca formato poster, spaginate, «Compact Type. Nuova narrativa»
(Caprarica di Lecce, Pensionante de' Saraceni) ovvero romanzi in tre cartelle,
«Diapoesitive. Scritture per gli schermi» (Caprarica di Lecce, Pensionante de'
Saraceni) scritture di ricerca da proiettare, «Mail Fiction» (Caprarica di
Lecce, Pensionante de' Saraceni) romanzi su cartolina, «Wall Word» (Lecce,
Conte Editore,)tradotta in giapponese ed esposta all’Hokkaido Museum of
Literature di Sappororomanzi da muro, ovvero collana di narrativa concreta,
«International Mail Stories» (Lecce, Conte Editore), «Internet Poetry» (Lecce,
Conte Editore) una delle primissime esperienze italiane di net poetry, «Walkman
Fiction. Romanzi da ascoltare» (Lecce, Argo), «E 800 European Literature», in 5
lingue (Lecce, Conte Editore), «Pieghe narrative» (Lecce, Conte Editore),
«Pieghe poetiche» (Lecce, Conte Editore), «Pieghe della memoria» (Lecce, Conte
Editore), «Foglie nude» (Doria di Cassano Jonio), «Locandine letterarie»
(Lecce, Il Raggio Verde), «Romanzi nudi» (Lecce) in unico esemplare, «Carte letterarie»
(Lecce, Astragali), Mail Theatre (Lecce, Astragali), «New Page. Narrativa in
store», (Lecce) narrativa breve, poi anche poesia e teatro, in cento parole,
collana che guarda alla comunicazione pubblicitaria con i testi applicati su
crowner, pannelli cartonati in uso nella comunicazione pubblicitaria, ed
esposti in store, nelle vetrine dei negozi. Nell'ambito della poesia
verbo-visiva e del libro-oggetto, è presente in numerose manifestazioni di
«Nuova scrittura»: Ma il vero scandalo è la poesia. Un salto di codice,
Ferrara, Ipermedia; Attorno a noi poeti in gruppo, Strudà (Lecce), Ospedale
psichiatrico; Dentro fuori luogo, Casarano, Palazzo D'Elia; Centro
internazionale Brera, Documenti di gestione alternativa. Appunti sulla Puglia,
Milano, Chiesa San Corpoforo; Artigianare '81, Lecce; Cercare Bodini, Bari /
Lecce, Ab origine, Martina Franca; Parola fra spazio e suono. Situazione
italiana, Viareggio; Le brache di Gutenberg, Caruso, Visco, Livorno; Far libro.
Libri e pagine d' artsta in Italia, Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Il
segno della parola e la parola del segno, Milano, Mercato del sale, Breton et
le poeme-objet, Ugo Carrega, Milano, Mercato del sale, Le porte di Sibari,
Sibari, Visibile Language. Numero speciale sulla poesia visuale. Sezione
Italia, E. Minarelli, USA; Cartoline d'artista, Livorno, Belforte, Terra del
fuoco. Intersezioni per Adriano Spatola, QuartoNapoli, La parola dipinta.
Rassegna di poesia visuale, Belluno, Comune di Gallarate Civica galleria d'arte
moderna. Casa d'EuropaSede di Gallarate, Pagine e dintorni, Libri d' artis ta, Gallarate,L.
Pignotti, “La poesia visiva”, L'immaginazione (Lecce), S-covando l'uovo,
Firenze, Terra del fuoco, QuartoNapoli, Musei Civici di Mantova, Poesia totale.
Dal colpo di dadi alla Poesia visuale. Mantova, Sarenco, Palazzo della Ragione,
Archivio libri d' artista. Laboratorio, G. Gini e F. Fedi, Milano, È presente
in Musei, Biblioteche, Archivi. Tra i più importanti: Biblioteca Nazionale
Centrale di Firenze“Libri e pagine d'artis ta”con l’opera Mar/e amniotico,
1983; Galleria d’arte moderna di Gallarate, con le opere Mourning Processes.
The word, e Processi di lutto. Notizen: dis; Museo S. Castromediano di Lecce,
con l'opera Matram psicofisica, Archivio Sackner, Miami Beach, e Archivio Della
Grazia di nuova scrittura, Milano, con varie opere; Hokkaido Museum of
Literature, con la collane “Wall Word”, nteramente tradotta in giapponese;
Imago mundi-Visual poetry in Europe (Fondazione Benetton, ) ecc. Altre
opere: Dichiarazione onomatopeica (Lecce); Progetto negativo (Lecce,); Disianza
Congiuntiva (Livorno); Disperate Professore (Parabita); dis/adriatico
(Caprarica di Lecce); Tracce di un discorso amoroso (Caprarica di Lecce);
Compact Type. Nuova narrative Con Verri, (Caprarica di Lecc); Sconcetti di luna
(Caprarica di Lecce); Mail Fiction. Free Lances Con A. Verri(Caprarica di Lecce);
Navigli (Caprarica di Lecce); Void Fiction (Sibari,); Street Stories (Lecce)tradotto
in giapponese(SapporoJapan); Parole morte. Dead Words (Lecce); L’addio alle
scene (Lecce); Antonio Verri. Schegge del contestocon M. Nocera (Lecce); 18 i
titoli pubblicati su leaflets (Lecce), 16 «Pieghe narrative» e 2 «Pieghe
poetiche»: “Pieghe narrative”: Vento, vento, I colombi della clausura, Il
figlio dell'anima, La Balilla, Graziato, Il monumento, Dove volano i gabbiani,
La mimosa, Ricordanze zigane, Franco, Cocker, All'ombra del grande vecchio,
Reparto «P», Il tradimento, 27 marzo, L'esame. “Pieghe poetiche”: Rosa
virginale, Il solista; Dichiarazione d'innocenza (Lecce); 7 i «Romanzi nudi»,
titoli in unico esemplare (Lecce, Dis, Era d’autunno, Il falò, L’Objet trouvé,
Silenzi, Why, Ballata migrante, Uscita in marasma (Lecce); Di viole. D’incanti.
Astragali teatro (Lecce ); New Page: In un bosco di frammenti (Lecce), La
parola tramava (Lecce); Le prime notti stellate (Lecce) interrogatorio violento
(Lecce, ) I suoi ramaggi (Lecce, ). Grigiori dell’anima (lecce, ), Di un
solstizio d’amore (Lecce, ), Maria la magliaia (Lecce), Teresa. L’Altrove,
(Lecce), La mer. Ma mère (Lecce), Una notte senza stelle (Lecce). Le distese di
grano, (Lecce), Gastronomia da asporto (Lecce), Una sua lettera (Lecce),
Trincee matricali (Lecce), Compagno d’accademia (Lecce). Tra i gabbiani (Lecce),
Cioccolatini di Chicago (Lecce), Cantata duale (Lecce). La tromba dell’altrove
(Lecce), Il nipote violoncellista (Lecce); ‘Operatori culturali contemporanei
in Puglia. Archivio storico divulgativo, Lecce); “Ambivalenze genetiche”, Ghen
(Lecce) ora in “Genetic Ambivalencie”, Art Communication Edition, Toronto-Canada)
“Links”, Ghen (Lecce), “Il complesso di Edipo e quello di Caino”, Quotidiano
(Lecce); “I processi di lutto. La Weltanschauung ghenica” in, La parola tra
spazio e suono. Situazione italiana, Viareggio, “Codice yem: le origini del
linguaggio, ovvero la rifondazione della coppia”, Ghen (Lecce) (ora in Regione
Puglia, Creatività e linguaggio. Atti del Convegno, Maglie); “Dis-astro”, in A.
Massari, Dis-astro. Loos, Lecce, “L’area inter-media”, in F. Gelli,
Transitional Objects. Mutter Fixerung, Lecce; “Ipotesi interpretativa del
fenomeno droga, formulata da una coscienza che opera nella poetica. Della
scissione. Della prevenzione” in Tossico-dipendenza: progetto di lotta Centro
studi giuridici M. Di Pietro. Convegno. Lecce; “Mater externata”, in L. Caruso,
Mater: poesia. Madre e signora dell’acqua, Lecce; “Lontananze genetiche. Ad
cantus enclitico”, in Manifesto mostra gruppo Ghen, Milano; Progetto
negativo, Galatina (ora in Ab origine. Presenze pugliesi nell’arte contemporanea,
Roma-Bari); “La letterarietà di Caruso”, in E. Giannì, Poiesis: Ricerca poetica
in Italia, Arezzo; “La poesia totale di Spatola. Il convegno di Celle Ligure”,
On Board, Lecce; “Wall Word: parole da muro, romanzo da muro”, in F.S. Dòdaro,
Street stories, Lecce; “Dodici haiku. Dodici punti di rilevamento”, in E.
Coriano, A tre deserti dall’ultimo sorriso meccanico. Three deserts from the
shadow of the last mechanical smile, Lecce; “Una pagina diversa, up to date”, in
Pieghe narrative, Lecce; Schede d'arte contemporanea. Implicatura e Mappatura
schedografica degli Autori contemporanei, Lecce; “L’ampliamento della
flessione”, in Archivio libri d’artista. Laboratorio 66, Milano; “Le anime
narranti di Alberto Tallone”, in Tallone. Manuale tipografico, Alpigiano
(Torino), New Page (Lecce); L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in New
Page (Lecce). Francesco Aprile, Già così tenera di folla, in Intrecci, Napoli,
Oèdipus, Edoardo, un cavaliere senza
terra, su bit. Antonio Verri, Edoardo, Un cavaliere senza terra, su bit. Francesco Aprile, Poesia qualepoesia/06:
Un’altra pagina. Le ricerche intermediali a Lecce, su Puglia libre, Testi di
teoria letteraria/editoriale, su utsanga.
Archivio di nuova scrittura, su verbo visual virtuale.org. Cantata duale, Imago mundi-Visual poetry in
Europe, su imagomundiart.com. Antonio
Verri, Una stupenda generazione, SudPuglia, Antonio Verri, Edoardo, un
cavaliere senza terra, SudPuglia, Aprile, Già così tenera di folla, Napoli,
Oèdipus, Francesco Aprile, La parola
intermediale: lineamenti di un itinerario pugliese, in Aprile F.-Caggiula C.,
La parola inter-mediale: un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca
Rizzo, Aprile, Fra parola e new media,
in Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale: un itinerario pugliese (atti
del convegno), Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Cristo Caggiula, Intersezioni asemiche nel
movimento di Arte Genetica, in Aprile F.-Caggiula C., La parola intermediale:
un itinerario pugliese, Cavallino, Biblioteca Rizzo, Visual poetry: A short anthology, in utsanga,
L'ortografia è morta. L'apparato pausativo, in utsanga, Testi di teoria
letteraria/editoriale, Codice Yem, le
origini del linguaggio: ovvero la rifondazione della coppia, in utsanga,
Letterarietà di Caruso, in utsanga, La poesia totale di Spatola/Il convegno di
Celle Ligure, in utsanga Francesco Aprile, Il rapporto D.-Verri attraverso la
critica, in utsanga Francesco Aprile, Dal modulo all'internet poetry, in
utsanga, Aprile, L’Arte Genetica, in utsanga, Aprile, New Page: Narrativa,
Poesia, Teatro, Scavi in store, in utsanga, Aprile, New Page: la poiesi come approccio
etnografico, Cavallino, Biblioteca Gino Rizzo, Aprile, New Page, collana di
critica letteraria, Sondrio, Edizioni CFR,
Intervista a Vincenzo Lagalla, Francesco Aprile, in utsanga Lamberto
Pignotti, Introduzione, L'addio alle scene, Lecce, Argo,ora in utsanga Lamberto
Pignotti, Rebus, iper-rebus. Parole da vedere, immagini da leggere, in utsanga,
Caruso, Frammento, in utsanga Julien Blaine, Omaggio alla "O" in D.,
in utsanga Ruggero Maggi, Dedica, utsanga Alessandro Laporta, cercarlo dove non
appare, in utsanga, Mignani, Ghen against again. Risarcimento dei supporti o
della signatura dei segni, in utsanga Egidio Marullo, F. S. Dòdaro. L'ultimo
mentore, in utsanga Omaggio, in
utsanga Cantata plurale, materiali 01,
Caprarica di Lecce, Utsanga. AP01-L0T30R0 g lift rhe mi domandate,
U-» [U quello che « svista, mi Inon son pre molto ch’io
mi trovavo a risali Filerò, in città-, ed ecco, .
j.^^-jania da staimi riaonosctoo J d.=«o ^ ^ H,,e- 1 fu/rirt™
't-irràT ,t punto poco fa, che ^ guita tra Agatone
contarmi la conversazione seg e Socrate e Alcibiade ® ‘j discorsi,
sai, di allora parte al convito ^S)> ^ perché me gli Amore; o
che vi si disse C ^ ggntiti da Fe- rapportati un altro che g detto
che nice, figliuol di Filippo (7)> B Convito
li conoscevi anche tu. Ora, egli non nii dir nulla di chiaro.
Sicché ridimmeli tu tu sei proprio quello a cui si conviene
rifèr’'''^ discorsi deir amico tuo. E per prima cosa, mi domandò a quella conversazione t-r; Ed
io gli risposi : Si vede davvero, che
di¬ te ne ha fatto il racconto, non t’ha rapporta/' nulla di
chiaro, se tu credi che la conversazióne della quale mi chiedi, sia
succeduta da poco tanto che io ci avessi potuto essere. Ma si.
0 come mai, Glaucone, — dissi io ; — o non lo sai, che sono anni
parecchi che Agatone non è più tornato qui? Mentre da quando io ho
dimesti¬ chezza con Socrate,' e ho fatto mia cura di sapere giorno
per giorno ciò ch’egli fa o dice, non sono ancora passati tre anni: Prima
giravo a caso di qua e di là, e immaginandomi di far qualcosa, ero
l’uomo più misero del mondo, non meno di te ora che credi di dover fare
qua¬ lunque altra cosa piuttosto che filosofare. E lui — Non
celiare, — disse: ma dimmi: quando ebbe luogo quella conversazione?
Ed io Mentre eravamo ancora ragazzi — risposi quando Agatone vinse
per la prima solta nella gara della tragedia, il giorno dopo e ie
egli e i coristi celebrarono il sacrifizio di ringraziamento.
Un gran pezzo, dunque, si vede. Ma chi 'Socrate stesso?
B niVff-' ^ ~> “ 1“cl medesimo che a Fe- un certo Aristodemo,
Cidateneo, un omet- 29 !h“”" ^ adatta a a‘s
_ in t^'^'' ’ „ ai auei discorsi, C ““'?'cosi »»'!»”“>
''"'“rircipio, "O" P"?. f. com« 'i'“''° "'
’^" t nUssario che io h siccità’ Se duirque ta ^, >50
quanto alla sprovvista. Cli 'O.! fuor di misura; ment q gente
1 discorsi, e in ispecie a e, me. e ; acca e d’affari, e 1.
ne ru , 1 sento compassione ,,uUa. E forse, pare di far
qualcosa 1 gtimate me uno sfor- c>»-.-"*jtrc-cdi«e il
vero-, ,e lunato; e credo, c ^-«do ma lo so. non die io di
voi non lo credo, ni amico dici Sei sempre lo stesso,
Apollodor ^ sempre male e di te nic esimo ^^iseri, da par
propriamente, die tu £ di dove :ratciii fuori, conlinciando * •
io ti sia venuto il soptamm ^osi dnvvero ; ma cer ne’
discorsi; aspro con te e coa-1! . .... fu- con
Socrate. " ‘“'o fuorci,(, ^ APOLLODORO E Già
s’intende, carissimo; perchè ia e di me e di voi, sono furioso e
deUro^*” AMICO Non mette conto, Apollodoro, qugsj- ora
di ciò; però, quello di cui t’abbjan°”'"-‘^ chiesto, fòlio e non
altrimenti, ma raccontac'i T discorsi si fecero. APOLLODORO
Furon su per giù di questo tenore. Ma piut¬ tosto (9) mi proverò a
raccontarvi ogni cosa dal principio, come quello fece a me.
Egli, dunque, mi raccontò, d’essersi incontrato con Socrate, lavato
(io), e anche calzato, cosa che a Socrate non succedeva spesso; e d
avergli domandato dove s’avviasse così rimbellito; e quello gli rispondesse: A
cena da Aga- Olle. oiche ieri a’ sacrifizi del ringraziamento 0
scansai, per paura della gente; ma gli pro- son ^ d» un
bello Ma'em' è il tur, r- disse, —che sentimento tato?
(12) mudare a una cena non invi- ^d m — disse ..* .
vuoi. '•sposi: Quello che tu perchè noi’si mm? fiFtese —
anche proverbio, sicché dica che buono P^r
guerriero, C ”? aue«o '»=“" ,otetò il ré*'»'"^ ^he io,
Socrate, cor presentarmi, f»"''“£i,.» “"’= “Tcinvuó di un
,a- ‘r;.«ona di P““.““°,ó- Guarda tu d,e m. D uomo, non mvi^
^hì;, quanto a *0^,6 rveici non inviuro, bensì italo da te. ^^nsuUerem V »» ,::t:;tdi'ci6 “he
.«=0,0 , dire, su, an- Scambiate che si furono queste narono.
' Ora, Socrate ^soenava, siero, fermandosi per istrada, ^ ®
che gli ordinava di andar pure innanzi. trovò quando fu
giunto alla casa di Aga o , aperta la porta, e gli
venne”incontro caso ridicolo (i6). Perchè gh ^ Un
ragazzo e lo condusse dove e » Convito i giacere, e ii colse,
che stavano per nf- cenare (17). E appena Agatone T j disse :
O Aristodemo, tu arrivi in punt°°^ '"'sto nare, s’intende, insieme
con noi. venuto per qualche altra cosa, rimettila Anche ieri t’ho
cercato per invitarti ^ m’ò riuscito di vederti in nessun luogo
(ìst come mai non ci conduci Socrate? ' Ed io disse mi voltai addietro e non • • in nessun
luogo Socrate che mi seguisse; Si risposi che io ero venuto appunto con
Socrate invitato qui a cena da lui. Hai fatto bene — ripigliò Agatone,
~ lui dov’ è ? Dianzi, egli era per entrare dietro a me - 0
dov’è? Son tutto stupito. Ragazzo, o non t’affretti a guardare, riprese
Agatone e non ci meni qui Socrate? e tu,
Ari¬ stodemo, dice, sdraiati accanto a Erissimaco, E, mentre
il ragazzo gli lavava i piedi, perchè si mettesse a giacere, un altro dei
ragazzi, raccontava, tornò annunziando, che questo Socrate, ritiratosi
nel vestibolo della casia accanto, se ne stava li fermo, e per quanto lui
lo chia¬ masse, non era voluto entrare (20). 0 che strana
cosa tu dicil — disse Aga¬ tone. 0, dunque, non lo chiami da capo (21)
e non seguiti? Ma nientaffatto lasciatelo
stare. riferiva d’aver detto; —anzi Perchè lui ha
quest’usanza-; dovunque si trovi, ..•'‘“‘ira («"’"
Ja las»»“'° ripresa 1» "’fs"-» » 1 dStènoùUsi. iP»:
“ M» "'’ÈbbePe.«Sf he vói volete, gi»e*“
tg»'°"'=7urittura ?rleervi-, il dte io «on siedili fate
COMO ìSSU’’^’ . epoi mai • invitati da voi, 'C’ppe»”
*'T *S°ve 11- eSble»" a l°to'- ìttateci iti ssi principiarono
a c, raccontava, ess p ^„atone pm ^ m Socrate
"°^X'"socrate, ma Aristo- è 'r^ór óhft.ie.ilopo
«hmd»S‘“ .oaonlope™'* ,„a ,emte; s era tanto lungo, con
^ Aratone- si. che a mezzo della . Qua, So¬ piva solo a
giacere ti ^ e _ disse idea sapiente, che vXlo;
giacchi. ^ ?::róhtóvó.a,euti-ip™'" " mosso. ^
S.,rebbe pur bene, — dis- • Socrate sede, e — Sa V -Agatone ,
se la saptcì . rete dal più P''™ t ,ei Wechtol l’«‘l“i'r tdo
ci tocchiamo; come p,u „„ filo di latta, scotte ^ P'“ ^ j rosi,
io 0 (,4). Chi, se 1'“'’= “*: forchi di molta ;o molto lo starti a
’ ^jj,|,j,pito da te. Ila sapienza io sarò, pcn sarebbe tti,
la mia, quando j. siccome un so- -hina c disputabile, g'^c rigoglio
la mentre ò splcmhda e pien, ^ 1., ITONE, Voi.
/-Vt Convito tua, che da te ancor giovine ha sf„i
COSI gran Juce ed ha brillato diana^'® co pm d. trentantila Elleni per
testiSo?'* Tu sei un impertinente, Socrat ^’ 5 ). ‘ Agatone;
—se non che questa dell^. f'^Ose . quistione che decideremo
anch’essr qui a poco (26), prendendo Dioniso^” ce (27); ora, per
prima cosa, mettif^'^'^ “ a cena. Dopo ciò, raccontava,
Socrate si mettessi- giacere ; e quando lui e gli altri ebber finito a
- cenare, facessero le libarioui, e cantato l’innò all Iddio, e
compita ogni altra cerimonia ('28') si voltassero al bere; ma qui
Pausania principisi a parlare in questo tenore: Bene sta,
amici — disse — come faremo a bere fi p,u a comodo? Io vi so dire in
ve- ità che mi sento molto aggravato dal bere di cri.*'
"POSO, e cosi, vate ’ ’ g'^^chò jeri ci era- bere
•! in che modo potremmo bere fi pm a comodo. bene
rispose : — Di ciò tu dici certo nel bere"“''"'^.
‘comodità •li jeri ' vocile io sono degli annaffiati
^euiiieno ^^“tito Erissimaco figliuolo di uùa cfsf ~ bene
davvero; si sente in fnr,,'”* ‘f°gna sapere da voi, come per
bere Agatone? c neanclie io
^rispos^^' ^ f““^oC.„.„--rep«‘'>®Sre’p« (tra»
per me e po ne una . ^„3tra, P .entissrmt ne rci''’^ •
se v°' ’ ' } • ntianto a nor > „ ci alto. perche, q^t^n ^i
m t strac"'''Socrate e aU’altra, :>:rradatto
^'7:,n."to, delP-i, si chiamerà dunque, li arante^ o 1
altra. • g-i senta vogha ? a eh nessuno tie’fcse^ Olfo
vi.», ? r*= sia vai.™- ^ * ° aire la medicina La ta«o
%5lS'3sri-" giorno innanzi. j^pse Fedro
acanto a me, " di obbedirti, prendendola parola
massime, in . ;';^bediranno anche gh altri, medicina; ma ora
ti odo se si consigliano bene. unti di non Sentite queste
della lor rm- fare dell’ubriacarsi il ^ piacere ’
nionc, ma di bere cos VI ^ poiché s’e
Or bene, - ripigliai ^'"'^^'"Jo^.pole, e non a deciso che
ciascuno beva q _ pp’ altri sia nulla di forzato, fo
dopo proposta; cd è che si congedi la son • trata or ora; lei suoni
per conto suo"^''® piace, alle donne di dentro, e noi si n’ °
il nostro tempo a conversare. E su qn^p getti, se siete contenti, ve lo
proporrei•’ AI che tutti diceva acconsentissero c 1°' tasserò
a fare la sua proposta; sicché Eriss' riprendesse: II principio del mio
disco^r! conforme alla Menalippe di Euripide (30) • h > non è
mia, bensì di questo Fedro qui, la / che son per dire. Fedro, di fatti,
se'ne lag sempre meco. Non è intollerabile, dice, 0 Eris'' siraaco,
che ad altri Dii si sian composti da’ poeti inni e peani , e all’Amore,
che è cosi antico e cotanto Iddio, nessun poeta mai, di tanti che B
ce n’è stati, abbia composto un elogio; aiui se vuoi guardie a quei bravi
sofisti, scrivano’ si, gli elogi di Ercole e di altri eroi in prosa
per esempio l’eccellentissimo Prodico ; è questa è anche meno da stupire,
ma io stesso mi sono g.à imbattuto in un libro d’un sapien- l’mTfA’
lodato soprammodo per c drpcV simili cose tu ne ve-
conto 'Tiolte.(33). Fare un cosi gran al mond ^ l’Amore,
nessun uomo <i“esto inneggiarlo fino a così! (ir') n
' Uu tanto Iddio trascurato «n ragione ’ Fhk^ ^'PPosgio
e\l'l"’-'° „ P‘*'’e,
che nelli „ ^ ^ ‘ e insieme mi ''°1 che siamo occasione s’addica,
a . se pare eli l’ecidio. Sic- =>nchca voi,
c’intratterremo Erissi"'^‘'°;rLrto l^on ti direi di
ó»®.ri»' Ù™^™ì di niente sostengo di «ot j, Agatone c ®
,U amore U?-» .-^„fone. t,e sostengo u. . . ^gaiuL^v- - '°’ fi di cose di Vende, Aristofane,
! e neanche, /,, nè alcun altro E Mutto Dioniso e A to 1
^^unque la par¬ afa io vedo qui. f Jo l'ultimo
CsiaP-VP-ritrimi avranno detto ,.tiPlU Clic . Ug
auDiuiiw ;’n.« rie peri P« iranno detto nsto- se non
che, _ , Su via, con bbastanz» oa (S)’ ,uona fortuna
C39;> P 'Amore. . assentirono tutti, e fe- A ciò
anche gh Però, di tutte cero lo stesso invito di Aristodemo si
ri- le cose che omscun > „,ia, di cordava appuntino,
t° P_^ P^^ tutte quelle che npet* _ ' ehe a me parve di
memoria e i discorsi d quelli c fossero tali, un per uno (.qOA VII
discorso di FEDRO , a-,co raccontava che E per il
primo, come dm , Fedro cominciasse a un n maravighoso tra
grande Iddio fosse l’Amore, e mar 3 ® • r* Convito
gli uomini e tra d;: 7 '“ B 1 essere tra i più antichi
T la- g’AMORE ni vi sono, ni si citano j, ''S'"itotì di nè prosatore
nè poeta; Està prima fosse il Caos, dice, nni I ^
terra Dal largo petto, d'ogni cosa sede' In eterno sicura e
Amor. Afferma, che dopo il Caos queste dn. nascessero, Terra
e Amore. Pannenide che la Generazione Pnraissimo l’Amor di
tuttiquanti Iddìi pensò. con Esiodo s’accorda Acusileo ; da
tante i'chiss°“''''"'- antichissimo. Antichissimo,
poi, com’egli è. ci è causa dei nulfa^dr ’Op eli certo, non
so di un appena giovine giovi più diunorr”!-^^' ^
all’amante viro di tri ^^PPoichè ciò che deve ser-
'’ene Qiip f * intera vita a chi sia per viverla la ricchezza”
Parentela, nè gli onori, nè benencll’nn* ^ "'ont altro può
insinuarlo cosi tiuesto? La'”° come l’Amore. Ora, che è egli
'azione nei brutti, l’emu- * nè privato qualità nè
C‘tlà nè privato • ' v—*.. «u,. ijuam.i *> c belle Opere pui
S^ado di compiere grandi i o ' ac è tróv affermo che un uomo
^ *°"crarla da ^ qualche brutta cosa ti senza difendersi per
vi hcri«.''° ^ dagU amici nc n^c- che egli
soprattutto da E li^ ,/da ^i-U’amato, che ^ Q^to
vediamo neh , d esser feria' Pantano, n.i Sechi:, se
aie« > ‘" vi »'* '(•«f ts. P"*» Ji
»"»>•;. iiez^a esercito si c P modo di reg
T^’non ci i-orc di quello di co- n uS»‘“‘‘"tre I Sauendo
gli 11 ” ' i;c=r;bbcro, s.o pe, dire, li accanto a„ ^mjni
tutti quanti ( 44 )- Idre in ponW S'' esser sdsro disertsre
i,è un nonio che * ’/.e'» lo ammetterebbe Vsr» » * he
eWrrrrriue nitro i 1.,,. persoir» "direbbe morire più
volre^ ; prima che questo, ^ in un pencolo I serro,
«bbnmlo"«r^„"„” „ ehe aon dargli ajuto, no .^g^be d’un
divino l’Amore di per se P di pm va- spirito di virtù
da che Omero B lorosa indole (46). E, coraggio m dice,
nvere un Idd P^ ^p,,ato taluni croi, questo 1 An da lui negli
amanti. Vili fi sono disposti a E si, che soli .
8 " “"Xe uomini, r"»”*'’ morire per
sli-^i"?''^'’testimonianza, quanto le donne. E di ciò ( 4 ^) ‘
,-,inla di Pelio, che basta, agli Elleui Alceste Sglmola C
sola consenti a morire per il marito s pure aveva padre e madre; i quali
essa, pe°f d’amore, tanto superò nell’affetto da farl-°*^^‘^ rere
estranei al figliuolo, e non appartenen lui che per il nome. E per aver
compiuto a ^ st’atto, parve n’avesse compiuto un cosi bei[' agli
uomini e agli Dei, che, avendo pur niohi compiuto molti e belli atti, ad
assai ben pochi det tero gli Dei quest’onore, di ricondurne quassù
l’aninia daH’Inferno, ma la sua la ricondussero D compiaciuti dell’atto
suo. Tanto anche gli Dg; pregiano sopra ogni altra l’osservanza e la
virtù di Amore (49). Invece, Orfeo, figliuolo di lagro, lo
rimandarono via dall’inferno a mani vuote mostrandogli un fantasma della
donna per la quale era disceso, anziché dargli questa stessa,
poiché, come un citaredo che era, s’era chiarito di animo molle, e gli
era mancato l’ardire di morire di amore come Alceste, anzi s’era
ingegnato d’entrare vivo nell’inferno. Sicché per questo gl’inflissero
una pena, e lo fecero mo- E rirc per mano di donne; in quella vece
Achille, figliuolo di Tetide, onorarono e man¬ darono alle isole de’
beati; perché egli, sa¬ puto dalla madre, che, se avesse ucciso
Ettore, sarebbe morto, dove, non uccidendolo, avrebbe, tornato a
casa, finito vecchio i suoi giorni, 80 osò prescegliere, andando in ajuto
a Patroclo amante suo e traendone vendetta, non solo morire per lui, ma
soprammorire(53) ^ lui già uscito * causa gli Dei, soprammodo
anci essi compiaciuti di lui, l’onorarono partico- rmente, perchè
egli aveva tenuto in cosi gran Conv‘‘<’ racconta fia- Bd
Escbf "^\„,ante di i o^di Patrono era te?'®? col
d>*’‘=’ non solo -j^n. :!^àoi^^\fdcgy^ ^ZXo^to, come dice
%eUe> giovi»® ^Lhe‘-llE>cio»o’'^”° : “ AMARE ;
per6 0""°‘n arato >1“““ „uage dell’amante, an
:.3"‘ ''“mv *0 a f r»“''”ri 17) E P« “? Setok
de’beati. - » S^te^idS ret ato e in morte W).
Di questo tenore /“ùssero termi altri ehe „. , dopo im ei li
saltando recr- ,sìrieordav.gran ta m. ’.j^„,l, dicesse, a il
discorso di t'ausa oisoonsQ m DlSCUi<e2>v
\ e ci si sin lon bene, o Eetoo- ^ P-'J,èssere ,osto il
soggetto f ^ i,re Amore. Foi plicemcnte invitati ad elog^^^^^e bene ,
ma %e l’Amore fosse uno^^^ ,gU uno, 0, e’ non è uno. or ,
n lSi Convito coiivieii
meglio dire prima qual^ i • amndi io „,i sforzerà a corregge^ cloanrc
quale Aurore bisogna lodare P-i»; ,n erodo degno dell'Iddio. Perche
,m’,f‘“"•d. che Afrodite non è senza Amore PP'=''^o fosse una,
uno sarebbe Amore- due C6o), anche due è necessità che ^ siano ( 60
. E come non son due le De ? più antica e senza madre, figliuola di
Ciel„ appunto nominiamo celeste - l’altra da Giove e Dione, che
appuntò chiamTainr^l gare (62). Quindi, è necessario, l’Amore J
deU’una, chiamarlo a buona ragione volcrare ^1° leste l’altro. ^
Ora, gli Dei si devono bensì lodare tutti (6A- pure, ci si deve
provare a dire le qualità sortite da ciascuno dei due. Imperocché (64)
ogni azione ha questa natura; di per sè nè buona è ne cattiva. Ciò
per esempio che noi facciamo o il bere 0 il cantare o il discorrere, son
cose di cui buona non è per sè stessa nessuna; ma ne -tra, per il
modo com’è fatta, riesce tale; perche fatta bene e rettamente diventa
buona, così appunto l’amare im ^ buono c degno d’elogio;
quello che bene incita ad amare. L’Amore, veracemente
•icello con cui ^ veracenii quello CC
IL X adunque dell’Afrodite volgare è vo
gare, e opera a caso; ed esso è amano gli uomini abbietti. Amano
cUc i S'O'. iricoo 1*^ ^ piuttosto I
costo^°''%i che più stoUa- c P‘='^ ^àrdavtdo che a sod-
o non ng^'^^'^Xintenù. Onde Dtr' i,e P°^^°\orc, se V
occasione, sen'-"'’"'^ ,cUo di cn' ' il contra-
fa"”®’ //>! ^Perocché es ^p\\’altra, e p.<-
oca „„iH nascita sua celeste
da contro >’A'".“'%Tfe«,mto, .00 "“t'p *
"“"tési" 0 poi cruna e „,aschio > P appunto si rivol
5°"'"'° li lascivia ( 69 ) •• prediligendo
"““dtscl.io 8Vispi.“^Tme8'lo «lofo , fc per natura pw
forte iigenaa. ^ ^l'^^^^rnte riconoscere jelh ‘T afooo®
i,c“oaiotcn- 1> t®""' “Scindono gii
“'"“?„'lata.'>r>- “ Sfitto,SO«g.-J»;jSrrro««»
pcchò q»o»i. frisoUtto 0 ot»« ad amare, sono
P““""„„„,e l’intera '.to. col tancinllo e vvere n co orto
e non gii,dopo «'f»;»;” “óra di senno ,0. come giovine, co P uotsi
di corsa prendersi beffe di 1». = 'ol ,,,o, fan altro. Vi dovrebbe
““'' "on fosse i" «“ cMli non si amino r afffncbl n^^,,^ ^
a cosa spesa di mo ta cuta^ P .poanto a ' "0 fine
dei tandnlli dove 6»“ ’ ora. > e virtù d’animo e d. corpo
Convito mettono essi questa legge a
sè proprio volere; se non che bi‘sogneS‘ lor cotesti amanti
volgari, come appunta ,82 il pm che per noi si possa, a non .
libere (73). Chò essi son quelli volto l’amore in vituperio, tanto che
tal dire che turpe cosa sia il gratificare T ti C74). E dicon così,
avendo l’occhio V di cui vedono l’intempestività ed poiché, di
certo, nessun atto compiuto ordin mente e conforme alla legge potrebbe
co.rrT gione arrecare biasimo. E appunto la legge, che
governa 1 amore nelle altre città, è Exdle ad intendersi
poiché nei! concetto uno solo ; ma qui varia. Dappoiché nell’Elide e nella
Beozia e dove non sanno ragionare, unica legge è questa che
é bene gratificare gli amanti, e nessuno^ nè giovine nè vecchio, direbbe
che sia male ; af¬ finchè, credo, non abbiano a durar fatica a per¬
suadere i giovani con ragioni, inabili come'sono ^ ragionare; invece, in
molti luoghi di Ionia, c m molti altri è riputata cosa turpe, tra
quelli lutti che son soggetti a’ barbari (80). Di fatti, Ira 1
arbari, per ragione delle tirannidi, si reputa ^ turpe questo, e così
ancora ogni studio di sapienza e di GINNASTICA. Poiché quivi, m’im- giova
a chi governa, che si gene- o alterigie grandi nè amicizie
d’offnt g^giiarde, quello che, non meno prattuttn l’Amore so-
’^sperienzrfirr^^^' ii^parato per ini anche di qui; chò
l’amore di 45 ^ -.rnona- Cosi dove
disciolse la lor sig ^^^^fjcare gli salda, di cosa sia il g
^,.^,,c7.^a r SSo delUsoverchlena jiriaa^'’ ' l’hanno
effemminatezza dei dei quella vece, dov^_ a sia in ^n«n
V.cposto hanno (84)- "fo di quelli che cosi dispo^ p.,
bella, e com XI I,uperocchè (85) chi
nJii bello r amare aper ottimi, :s„!esop„«»«o>£frs -. e ancorché sieno pm cabile
incoraggia- "altra parte, chi -a nqualcosa mento
da tutti,un innamo- dibrutto; c che il co brutto, e la
rato par bello, non cO q lode, legge ha dato licenza a chi j
quah, ;?ndo sia per conquistar^ ;«^\,„que altra chi
osasse fare per correr raccoglierebbe ca da '“'dfppoUtó, s= P“
''^ i maggiori biasimi,-•• , q q averne u di cavar
denaro a qualc^'^J^ ^solvesse fido (90) o un altro g^Jo I 9 amati,
1 a fare quello che g > un quali nelle lor richieste ‘ dormite
sulle implorazioni e giuramenti C i) ), e servono ""
' servo tollererebbe serv,v ^ dagli ann-ci
e’daC,''' sua adulazione e abL ‘^“elli vJ monendolo e arr^
^“'^'ezione fq.x '“Petatid! f-- «li cosrreT"'' “«*=
.?«>- «li i- P=rn.«„ Sr,^ «me a q„dIo che effetti L
' ^«to. E il pii, tecribile“"r'"“ '"“S a meno
dice )a geme, s„,o J,,? “”' 'l«, co». gli_ Dei perdonano, se
trasgredisci poiché giuramento Afrodisio i f^.
CosihannoefhDefri,°"""°"«‘- licenza accordato a
chi ama ogni legge di qui. Da questo lato terrebbe, che
nella citf\ nn«t* ’• ' ““*1“®’ “«o n- e l’amore7-
‘'"''«simo e amore e il mostrarsi amici agli amanti. Ma
Jlh VV’ P^dri, preponendo peda- S g I 3 gh amati, non
permettono che di¬ scorrano cogli amanti, e i coetanei e gli amici )
\ itnperano quando vedano succedere qualcosa di simile, e i vecchi,
d’altronde, non inter icono cotesti censori, nè Ji biasimano, come
se non dicessero giusto, uno, che per opposto ^ardi^ a tutto ciò,
stimerebbe che qui una simile cosa si reputi bruttissima. Ebbene, la
cosa, credo IO, sta così ; non è a mi solo modo ; eh’ è ciò e ie s
è appunto detto in principio, eh’essa non sia bella nè brutta; ma fatta
bellamente bella, ruttaniente brutta (100). Ora, bruttamente è,
belT^ ° gratifichi un malvagio e in malo modo; niodo^'^'^p'^* quando un
uomo probo e in probo malvagio è quell’amante volgare, che
Convi‘0 „on L» i « r<‘>'"^^' „;, la »ìia.
P»''"'^ * ' 1*** • /Ilfscors* f fprmo Ip IpfTffC
l> ' nresto, perchè s' L' r esser preso p
crrutinitore, * truuo 1 esse p scruti tempo — Aprp da
denari e ua- P l ' òl il lasciarsi prendere da s, sgo-
;;Ucii è brutto, sia eh (loa) non menti e non resista, s^ e
par disprezzi. senza dire che da cJ sia nè ferma nè
stabile, s .^^Ha i «sauna nobile “rbellan.entc deve
leiTge nostra una sola y Dappoiché a noi Saio gratificale
"n.i d questa è la legge; ^'f°"^^Vrervitù verso
l’amato servire spontanei qualunq ^^ulazione, cosi s’è
concluso, che non ,està non vitupe- un’ altra servitù sola spon *
oggetto- rcvole, quella che ha la v'rtn p Chò appunto ò
ammesso n quando uno si risolva a niH ^ ‘ii noi , perchè egli creda
di diventa^r^m" ài',''- di lui o in sapienza o in qualun virtù,
questa servitù spontanea no" pur essa brutta, nè sia piaggeria
?• ?" "«P- queste due leggi, - quelf ch^ regf/?
« dei fanciulli e quella che regge Pai sapienza e di ogni altra
virtù (foj) IT4 correre al medesimo, chi voglia che to™^?' Il
compiacere l’amato all’amante. Chè qual? insieme s’incontrino l’amante e
l’amato, ree nt ciascuno la sua legge - quello che qualunque
servizio egli renda agli amati che lolompTc! ciono, giustamente lo renda,
questo, che a chi sapiente lo faccia e buono, qualunque ufficio
egli presti, giustamente lo presti, e l’uno, po¬ tente
d’intelligenza e d’ogni altra virtù, ne dia, a tro manchevole in coltura
e in ogni altra sapienza, ne acquisti, — allora si, queste due
concorrendo in uno, egli accade, e sol- tamo cosi, che bello sia il compiacere
l’amato all amante, ma in altro caso no. In questo, persino il trovarsi
ingannato non è punto • ùi ogni altro, o che tu sia ingannato 0
^,0. ti porta bruttura. Perchè, se uno che a\- ricco avesse per
ragion di ricchezza perto*i?'"'^°’ ^™vasse deluso per essersi
sco- n^en brutto^-^'^^ Povero, non perciò gli sarebbe ’ perchè un
siffatto uomo dà a di- B
I anin .0 suo. a>ep« perché buono c P .j„y;ore egU
stesso, diluì diventare Lll’»'"'^ ' poi deluso, P
bello l’ÌBga’^’^°’ anche questi da a divede^_^^^ ^
I,£t«0 V P™"“ “ ^T'r^ ''^.1 diventare mighore 5
^-^.^ontro, e la ‘ • ter chicchessia; e quest . bello per
*'. ?ella cosa di tutte. Cosi, £ di virtù comptacere ^
Celeste, I '"Questi ù r Autore della D 1 di gran
pregio alla \ amante ' ài .Uri»"-»" sopra dì
st q“»"“ ' volgare. E qaesK sono dell’ultra Deu.d ^
all’improvviso sono, 0 Fedro, le ’ ^ er la mia parte.
intorno all’a\more IO t arreco p „ aiacchè i sapienti Fatto
pausa assonanze - avrebbe m’insegnano a fare di q a. ^ere
Aristofane; dovuto, disse Aristodemo discorre ^ se non che
gli era o per _ p ^ altra causa venuto il • ^aco il medico: --
di parlare, sicché disse ^ ^^i — O EriS’si- questi giaceva
nel letto op cessare (m) maco, il dover tuo e ^naié il
singhiozzo, o di P^^' Erissimaco rispose; non mi sia cessato „..rché
parlerò m E io farò tutteddue le cose, l n'» ™cc, c sato, in
vece mia, p „pi , SP'onao li . guarda se il f P» che ì« jg r«.
nendo ,1 fiato per „„ peaaetto .t”S' E gargarismi coll’acqua.
Se "o. fa'^ lascia vincere, e letichi il naso e
starnutisci ; e quando ®ol- qiiesto una volta o due, ti
cesserà molto forte. _ O parla d„„,re Stofane io farò
così. ^n- Ed Erissimaco principiò a dire : — Dunque, siccome
Pausania, prese bene le mosse del di- i86 scorso suo, non l’ba compiuto a
dovere, mi par necessario che io mi deva provare a metter la fine
al discorso. Di fatti, che l’Amore sia duplice, pare a me si sia distinto
bene; però, eh’esso non risieda soltanto negli animi umani nè abbia
soltanto i belli per oggetto, ma molti altri siano gli oggetti suoi, e
risieda anche altrove, nei corpi, cioè, di tutti quanti gli animali, e
nelle piante della terra, e per dir cosi, in ogni cosa che viva, a
me pare averlo appreso dalla medicina, 1 arte nostra, come grande e
maraviglioso Iddio egli sia, c a tutto si distenda e per le umane e
le divine cose(ii2). E comincierò a dire dalla medicina, anche per fare
onore all’arte. La natura dei corpi ha il duplice amore aneli’essa,
cd è questo: il sano nel corpo e l’ammalato Convito 5
* .-no per consenso di tutti, cosa diversa e dissi- rnile- e
il dissimile desidera ed ama cose dissi¬ di i • sicché altro è l’amore
che ha sede nel sano. -Itrò t quello che nell’ammalato.
Siccome, dunque, secondo ha detto or ora Pausama e bene gratificare
i buoni tra gli uomini, male i Snaiosi; e cosi anche ne’corpi é bene
grati¬ ficare quanto v’é di buono e di sano in ciascun Spo e si
deve, - e questo fe ciò che si chiama arte medica - e invece male il
gratificare quanto v’é di cattivo e di morboso, e gli si ^^«ve far
brS 0 amore, questi è l’uomo sopra tutu inten¬ derne d medicina. E
chi sa farli mutare, in modo dm in ricambio di un amore si acquisti
J • Mi; ;n cui l’amore non sia, ma bi- tro, e in farcelo nascere,
o, quando sogni generarlo. , -uesti sarebbe davvero un
valente artenc • i,- ip rose che vi sono di "f7^°^n-unaanù
l’altra nemicissime, e la -nnnste il freddo 0 „ «U»™»»'» ,
'vi» vi. «-sr aX « tra tali „„asti(ii7) PO^ti ed pio,
secondo la L credo, dico io, è T ,.a\rco.«» r=
gìnnaSca O'ii e l’agricoltura. La musica poi. Convito' per
poco che ci si badi, si vede chi. stesso tenore, come forse anche p
’deiu .87 dire;chè, quanto alle parole, egh^n ” me bene. Giacché
dice che l’uno si accorda con sé, come armonia lira. Ora, é grande
assurdità 17 ° «i' un’armonia discordi n rieri,,: j. “"’c, che
B discordanti. tuttora derivi da
cose tu Se non che forse voleva dir sto, eh’essa nasca dall’ acuto
e grave discordi; priiTiii e dopo consenzienti per opera dell* *
musicale; ché, certo, armonia non nascerebb"^ dall’acuto e grave
discordanti tuttora; ché armonia é consonanza, e consonanza é un consenso; ora,
consenso è impossibile che provenga da cose discordanti, finché
discordano; e quello d’altra parte, che discorda e non consente, è
impossibile che armonizzi : appunto come il ritmo nasce dal veloce e dal
lento, discordanti da prima e poi consenzienti. In tutte queste cose é la
musica quella che mette il consenso, come in quelle altre la medicina,
generandovi un amore e concordia vicendevole. Sicché la musica, alla sua
volta, é scienza dell’amoroso nell’armonia enei ritmo. E nella
composizione stessa dell’armonia e del ritmo non è punto difficile
discernere l’amoroso, né costì v’è il duplice amore : ma quando
bisogni usare del ritmo e dell’armonia cogli uomini, sia componendo, —
che e quello che chiamano niclopea — sia usando ret¬ tamente di
melodie e metri composti ciò che s’é detto educniione — qui c é la
difficoltà e c’ é bisogno di buono artefice. Poiché torna da capo lo
stesso discorso, che gl> Convito fine che
diventino più uomini J non son tali in tutto, perbene quelli
che « tenerlo caro, e bisogna_ gffceleste, l’amore della ce-
E invece quello di Polimnia leste Musa Ci 7 j> jj deve
amministrar con t il volgare, n qnm ci col<»a bensì
cautela a chi 3’, ?n-eneti punu incon- 11 nostrale gran cosa
l’usar tinenza, i-ome nei -scinte dall’arte della rettamente
nè colga il piacere .cucina, per modo e nella musica :
dJsrdS’1=“-™-'^ “ X.IV ^'^enl^l^X'ddu^qtes\e
indura-^ JlTrquando le co^ caldo e il freddo,
coll’altra, e for- in un «'ontempéranza sapiente. nVmo
un’armonia e una coma ^ vengono apporta ne ^ pinate, e
agli uoniiiu c ‘ «nrln in quella vece non fanno punto diventa
il più fo«e rumore infetto di molte cose c fa nelle
stagioni dell ann ^ jogUono esser generate danno. Di lam» P malattie
diverse d. ..di cagiom. d."<>, “ le piade; c 1»
tanto negli aiiiniali c _gù« miscono dal brinato = 1=
'';„"„*Labpr0PP V accesso e disordine risp amorose, la cui
scienza de' jielle stagioni degli anni si' c1h;‘ as^i ^ Di
pu. ancora, ci sacrili.! tutti e presiede I arte divinatoria, p ® a cui vicendevole comunione degli
dei'èoar'a non hanno altro oggetto, se non Pose. risanamento di
Amore. Chè “ >' suol generarsi, quando uno non grati£ ordinato,
e onora e venera in ogni suo questo, ma l’altro, si rispetto o VIVI
0 morti, si rispetto agli Dei; dove aT punto è commesso all’arte
divinatoria di vigilare gli amori e sanare; sicché, da capo,
1>arie divinatoria è operatrice di amicizia tra gli Dj! c gli
uomini mediante la scienza di quali tra le propensioni amorose di questi
tendono al lecito e quali all’empietà. Cosi molteplice e grande, anzi, in
breve, una universale potenza ha ogni Amore; però la mag¬ gior
potenza la possiede, si presso noi e si presso gli Dei, quello la cui
sodisfazione è nel bene ac¬ compagnato di sapienza e giustizia;
esso appresta ogni felicità, e ci mette in grado di convivere gli
uni cogli altri e diventare anche amici agli Dei, migliori di noi. Ora,
ancor io (136) forse nel lodare Amore tralascio molte cose, non
però di proposito. Ma se ho tralasciato qualcosa, spetta a te, Aristofane, di
sup¬ plire; o se tu hai in mente d’elogiare l’Iddio in qualche
altro modo, e tu 1’ elogia ; ché ti é anche cessato il singhiozzo.
Q.UÌ, Aristofane, presa la parola, cominciò) raccontava, a dire:
Si, è appunto cessato, non file io ali abbia applicato lo star-
: richiedi iili roihoti e ptent, quii l tr ;Ó Lrnu.0 .
Pd"» ‘ ’W'” ho dppliccto lo su,™». “ «c nW - g«»“p
» 1“"“ d"' ';“';'i "™“rl sV 'per cominci»™ »
P»*'" >“ ' Tu burli, man ^ ^j^ella al discorso tuo,
’^ioTcX Vdire' qualcosa di ridicolo, mentre ^ avresti potuto
parlare bene, E Aristofane, ridendo, "P istare
Erissimaco, e sia per non a farmi che me n esca
SI stanno per . che sarebbe un gua- rg“o to’S;.™ »>i»
«'“» _ e or» cedi di f“p 'dj ('»>
r:.:o„rpdrrr.rm-.p».Mn.»»d stare. Discorso di Aristofake
cominciò a dire E in vero, ménte di discorrere in
Aristofane — lO q^jella che tu e una maniera diversa ^ pare
che gh Pansini» «die fitto. pottor» uomini non abbiano
pu Convito di Amore, chè. se l’avessero con,„ mnakato
in onorsuo i maggiori '""fcbbcf, e celebrato i maggiori sacd£i,
noS che di tutto questo non gli si fa SI dovrebbe fare più che
altra cosa D Perchè è, tra gli Dei, il più amico dcel essendo
soccorritore loro, e medico di ^ dalla cui guarigione deriverebbe la
felicur giore al genere umano. Io, adunque, mi sCf^ . a dimostrarvi
la potenza di lui, e voi ne sarct maestri agli altri. Ma vi bisogna per
prima cosi intendere la natura umana, e i casi di essa. Ab antico,
di fatti, la natura nostra non era quella medesima d’ora, bensì diversa.
Chè da prima E erano tre i sessi umani, non due, come ora, ma¬
schio e femmina; ma vi se ne aggiungeva un terzo, partecipante di
tutteddue questi, del quale resta oggi il nome, ma esso stesso è
scomparso. Allora, di fatti, v’era e la specie e il nome uomo-donna
che partecipava di tutteddue, ma¬ schio e femmina ; ora non ne resta che
il nome a vituperio. Di poi, l’intera figura di ciascuna persona era
rotonda, colle spalle e i fianchi tutt’intorno, e di mani n’aveva
quat¬ tro, c gambe quante le mani, e sul collo tondo due visi,
simili da ogni parte ; su ciascuno poi de’ due visi posti 1’ uno di rincontro
all’ altro una ‘90 sola testa, e quattro orecchi, e due mem¬ bri, e
il rimanente, quale da ciò si può con¬ getturare. Camminava poi si ritto,
come ora, per il verso che voleva, e si quando si metteva a
correre, reggendosi sulle sue otto membra andava via lesto facendo la
rota, a modo di 57 Convito quelli che,
\MssT,'’poi.«=^"° ^ s"’ "Xchè il Maschio fu in
origine pro- tre e siffatti, p , della terra, e il terzo
genie del sole, ^ ^^eddue, della luna, giac¬ che partecipava “ d’i
quello e di que- sta)- "^^gVianza co’loro progenitori,
cammino, per ® ® terribili per forza e per Sicché in
principio grandi e assalirono gli Dei. r .litri Dei si
consultarono Sicché Giove e g i ^ stavano che cosa occorresse
loro^dj in dubbio ; che nc a fulminarla nt di farne J“"P^^^bhero
scomparsi insieme come t celebrati dagli uomim; e gli onori,
e 1 ‘ imoerversare. Infine, „ea„d,= volevano If “f 'X" ,4 E' mi pa- Giove si formò a fané. uomini
esi- re disse avere un LholffU?). cessino stano e
insieme, P"ra - disse - H spar- dalla petulanza. Giacdr tirò
ciascuno m dtie, ^ noi per- ranno pib deboli, e
mstenmj^diritti ché cresciuti di nunier^ , . ^j^e conti-
sopra due gambe. Ght P luiino a imperversare, e non vogliano
stare quilli, e io, disse, li segherò da capo**''' due, sicché
cammineranno sopra una gamba s 7 saltellando. E detto questo, tagliò gli
° ® mini per il mezzo, come quelli che tagliano ] sorbe per salarle
0 quelli che tagliati le povj E col capello (149): e a quelli che
tagliava, comanda ad Apollo di girargli il viso, c metà del collo dalla
parte del taglio, peròhù r uomo, guardando il taglio fatto di lui, si
con¬ ducesse con pili misura; il resto lo medicasse. E Apollo girò
il viso, c col tirare da ogni parte la pelle verso il ventre, come si
chiama ora, vi fece, a modo delle borse a nodo scorsoio, una sola
bocca, c la legò nel mezzo del ventre, tgi quello che si dice ora
l’ombelico. E le altre grinze ve
n’ era rimaste tante — le spianò, e rassettò le costole, servendosi di un
istrumento, su per giù come quello dei calzolai nello spianare
sulla forma le grinze delle pelli, e ne lasciò al¬ cune poche, nel ventre
e nell’ombelico, per ricordo dell’antica jattura. Or bene, quando la
creatura umana fu tagliata per il mezzo, ciascuna metà desiderando
l’altra le si faceva incon- gittandole attorno le braccia, e avviticchiandosi
runa all’altra, poiché si strugge- H vano di risaldarsi, morivano di fame
e d’ogni altra sorta d’ozio per non voler fare nulla l’unO senza
dell’altro. E ogni volta che una delle metà morisse, e l’altra
sopravvivesse, la soprav¬ vissuta ne ricercava un’altra c le si
avviticchiava) 0 che s’imbattesse in una metà d’una intera onna, quella ^i^g chiamiamo donna Mio,.
Giove, «omo; 0 “ ° I o '' ^ «li* • oerchc sino avendo»®
oonip pudende, pej "°rfn terra, come le che me-
Sin^e, così sul negli nlm, diante quelle la femmina niediame
.tll’abbraccio. se un uomo con questo fine, eh onerasse, e la
specie s> imbatteva J^ttesse maschio con esistesse,
e se im ^^are insieme, maschio, venisse 1°’'° ^ a
operare.epren- e smettessero, e si rnolg dulia vita. \\ Tini
è un contrasse" Ciascuno, dunque, come le gno d’un uomo,
ulte eia- sogliole; uno due. S inten scuno cerca il
contrassegno insieme uomini che sono come un taglio di qu che
allora si chiamava i(omo-ioM«a, son ‘ di donne e i piti degli adulteri da
questo sess son proveiiun; e così q^- "sesso ,
Convito 6o sono taglio di donna, le non badano di
molto a^Ii uomini queste, ma hanno piuttosto il cuore alle donne ed
il sesso loro è quello da cui prò. vengono le tribadi, aitanti poi sono
taglio di maschio, vanno dietro al masclùo ; e sinché sono
ftnciulli, come particelle che sono di maschio, amano gli uomini e si
compiacciono di giacere - con questi e tenerli abbracciati, e son
costoro ’ i migliori fanciulli e giovinetti, chè non v’è nature più
virili di loro. E v’é chi afferma, che questi sieno degli svergognati!
bugiardi; non è già per svergognatezza che cosi fanno, ma per
ispirito di ,baldanza e virilità e ma- sciiiezza, appetendo il simile a
sé. Una gran prova n’è questa; soltanto costoro fatti giovani rie¬
scono uomini da attendere agli affari pubblici E diventati maturi, mettono
amore ai fan- li ciulli, c di nozze o di far figliuoli non si danno
pensiero di per loro, ma la legge ve li costringe; quanto ad essi, son contenti
di vivere gli uni cogli altri senza ammogliarsi. Sicché un siffatto
uomo diventa addirittura amante (i i) di fanciulli od amato, appetendo
sempre nei due casi quello che gli è congenere. Ora, poi, quando
C un amante di fanciulli, o chiunque altro s ini colla sua
propria metà di prima, allora è una maraviglia come si struggano di
amicizia e m trinsichezza ed amore, tanto da non volere, per cosi
dire, separarsi gli uni dagli altri neancie per un minuto. E questi son coloro,
che riman gono insieme l’intera vita, e non saprebbero neppur dire,
che cosa mai vogliono che per opera dell’uno succeda all’altro. Giacché
non pn'"' t Siòn”
r- insien''® . .v, ciascuno dei esprimere,
Lm"^ralcos’ altro, cbe tjo ^ ^-ee ‘^’ 'Tl
nrc%ti"‘="^°/' eoel’instr'if^''"" „ia ha £ se
Elesto, cogl in cnimm sopra di > {. rnai, niano, si
domandasse onera del-
I.icceda all’altro? ^dasse da incerti della risposta,
^.^^nrel’uno nello stessissimo luogo n nt notte - potervi
lasciare l’un liqnefarvi e eoa- chè se desiderate ° nhe siete,
diven- ^ilarvi insieme, ,n tiate uno, e sinché >
morti, comune come uno " \i,m invece di due anche
laggiù nei reg ^^^^^date. se è questo morti uno solo (i6
^^ddisfatti, quando lo che ’ inmo bene, che, sentito ciò,
nessuno, proprio nessun darebbe di avere strerebbe di volere
altro, . ^ desiderava pure propriamente sentito qu ,j, ^to
diventare da un penzo, unito e fuso coll ^to di due
uno. E la causa nò questa, cne , nostra natura era si
desiderio, adunque, e all. d;\ nome amore. eravamo uno; E
prima d’ora, come dico, i ora, poi, per la malizia nostra,
sia paniti di casa dalla mano di Dio, come i- Arcadi da quella
dei Lacedemoni. Sicchfc^ ' cogli Dii non ci si conduce come si
conviene*^ v’è da temere, che si possa essere segati da capo’ e si
vada attorno, come le figure delineate dj rilievo sulle tombe, tagliate
per il me^o dei nasi, diventati a modo di dadi cotisunti. Anzi per
questa cagione bisogna che ogni uomo esorti B ogni altro a condursi
piamente verso gli Dei, perchè alcune si sfuggano, altre si
conseguano delle cose, a cui Amore è guida e capitano. A cui
nessuno faccia nulla in contrario; e fa in contrario chi s’inimica gli
Dei — giacché diventati amici
dell’Iddio e rimpaciati con lui, ci succederà di ritrovare- e incontrare
i propri amati nostri, il che ora accade a pochi. Ed Erissimaco non
mi s’immagini, per canzonare il mio discorso, che io parlo di Pausania e
di C Agatone; forse, anche loro sono di quelli, e tutteddue maschi
da natura ; se non che io parlo di tutti, e uomini e donne; chè così la
stirpe nostra diventerebbe felice, se dessimo perfezione all’amore,
e ciascuno s’incontrasse nel proprio suo amato, tornando nell’antica
natura. E se l’ottimo 6 questo, è necessario, che di quanto è oggi
in poter nostro, ottimo sia quello che più vi si avvicina. E ciò è il
ritrovare un amato, fatto secondo il proprio cuore. Del che, se
s’inneggia autore un Iddio, Amo¬ re è quello a cui a ragione spetterebbe
l’inno. Amore che ci è di moltissimo giovamento nel presente,
poiché ci riconduce nel proprio, e ci dà le maggiori speranze per
l’avvenire, se però noi ,i .-.età v=W sii a»
Só-'r-' xvin j» il mio discorso •
tr.rno ad Amore, di'crs ^ ^ canzonatura, t ‘„%c p-»g*;». "r,
‘=’’' '“ir- .„d,c a pari»"" °
P'""-"" quelli che rimangono P ^ Socrate,
rimangono, di fatti, § , racconta che Ma io taro a tuo n»do^ j,, ,1
„o rispondesse Enssimaco ^P ^^p^ss, discorso sono
valenti in cose che Socrate e A^a dovessero es-
d’amore, temerei g'"^" ^-ose oramai si sere
impacciati a ’ ‘ ^ro fiducia, son dette e cosi perchè E
Socrate rispose; dóve sono «94 tu te la sei quando avrà
discorso ,ira..uraro, perché io mi turbi, ° che il
teatro sia in grande aspettazion me, che io debba discorrer bene. Sarei
d^avvero uno smemorato, Agatone, soggiunse Socrate, se, avendo visto 1 raggio e Palterczza
con cui tu sali su pa^ co insieme cogli attori, e guardi in accia ^
gran teatro, quando tu devi rappresentare 1 componimenti, e non ti mostri
sgomento un poco, ora credessi, che tu ti debba a cagione di questi
pochi che siamo Ma che !, riprese Agatone, non mi cred
Socrate, cosi pieno del teatro, da ignorare ne che a un uomo di mente
fanno più paura n persone di senno che molte senza. Certo, Agatone,
non farei bene, ripigliù Socrate, — se pensassi di te nulla men che
gentile Anzi io so bene, che se tu t’imbattessi in-persone che tu
reputassi sapienti, ne saresti in maggior pensiero che della folla. Ma,
bada, che noi non si sia già di quelle; perchè noi ed eravamo in
teatro e facevamo parte della folla. Però, se tu t’imbattessi in altri
sapienti davvero, ne sentiresti tu rossore, quando tu credessi di fare
qualcosa di brutto? (170) o come l’intendi? Dici il vero
rispose l’altro. E della folla tu non ti vergogneresti, se tu
credessi di fare qualcosa di brutto? Dove Fedro, raccontava,
interloquendo— Caro Agatone mio, — dicesse — quando tu risponda a
Socrate, non gl’importerà più nulla di nulla, di quello che qui succeda
comunque succeda, purché abbia soltanto con chi conversare lui, specie
con un bell’ omo. Ora, Socrate io lo sento conversare volentieri ; ma a
me è necessario aver cura dell’elogio di Amore, e riscuotere da
ciascun di voi il suo discorso. Dopo sodisfatto ddio ciascuno conversi
poi quanto vuole. Ma tu parli bene, Fedro, — disse Agatone —
c niente m impedisce di parlare ; non mancherà poi occasione di
conversare con Socrate. ‘.v«mponÌ!n,tntt, c non li mostri
‘T pocoi ohi credessi, chr f.® r®"*® ,,
^<^“^chc:t;Td:vTiÉ^ cagione di questi pochi che l- ^ ^WÈÉ
iS^. . •MucheJ—rbrese Agatont’' Socrate, cOS\ rneno del teatro,
da'i'!" ' f^. -cheuun nòmo di munte.(anno p®, ' itrn>
''.ihr rt» \ ^ P'I Jf m Futdjo che: molte- -ci
Jo. A.-atc-uc, nonfiiiti htne, - nv'l ,> -.MJ.S - se p*s«*«I di
:c nalla uicn chè£ - t so bc«^ , cho se tu l’imbattessi- •
fe?:tB r.epntf. -i rapanti, ne Sare.sti inV,.’-1 r^’ero che deiia folla.
M.s, bada- die .UU fiJ, d! c, parchi noi cl tuati-0 e fflceaamo
parte della folla. Petò,fc.,r» ^ •t’iaib.ittcssì M :iln-it;.»p{cnti
davvero-, nc scw.h»- tu t-o$.sore, quando in crcdtssi di -fare
quaì. -li brullo? o come
rintendi? rtk'ci 11 Tcro — rispose Taltro. . il - • j-
. .in f>>}lii tu non ti vergognerusti, t* •* ti i di f.)ro qualcosa
d! brutta? » 4 -’’ l odro, raccontava, inierioquetido->~‘
<S^’j^'t‘UO, -- dicesse — quando tu ris;- V v^:Tàfé. jpon priuaporteri
più nulla^ji ' • f iUo che ani succeda coinunqyu .^ucc '•M
,-i.!: «hb abbia s-^tanto con.chi convcrj.at5glui5^sj^^' • ::;con
un bairomo. Ora, Sgcirate/lo converj^ret'oitn litri ; ma a me è
jiccessarww^^ «tra ik'ir elogia di'Amore (tyt) ^ erlscuoicr
-ciascun di voi il suo disco^-'; .C>opc?»C^*^ l'Iddio clascuuci
conversi poi qyaj 4 l? J Ma in p,i. li bene,.Fedro, c
niente m’impedìsfc di parlarci nph-manv: , poi occasione di cons*etsare
cori .Socrate. „ ni AGVrONE Discorso o’ priwa ha?
discorso T’c'ct >
P^'^°""^’%arabbiano l’ldd\o poi dire Cn ^ non ,. .. ^o
dei beni, pvand gli uomini nup\e essendo i
--“"'Chiusi l’Iddio; r/ntsuno l’ba di n tutti cotesti
beni ^%*ure, d’ogGi lode go quale di quali cose E cosi
è g^Jf egli u discorso sia 075; ^ • stesso quale eg
bello, egli ^^/osiff^to. D P^ ge d più giovine degli Dei, g
foggu di 'quesm suo tratto eg smsso, P ,e,oce b fuga la
vecchiaia, P dovere ci arrii almeno assai pih pres p aver a
a’ fianchi. Ora, P neanche di lontano, iu odio e non le si
acco , ^ ^ ^^^6) ; -b E sempre co’ giovani usa e « sempre
bene sta 1’ antica "oute»- . consen col simile
s’accompagna ( questa non ziente con phio in conscio,
che lui g- c di lapeto O?»)- C vanissimo tra gl’ Iddii c gio\ gli
antichi fatti intorno agh Parmenide dicono (179), esse
di Necessità, e non di Amore, se pur sero il vero; chò non si
sarebbero viste ‘ tazioni e legamenti vicendevoli ed altri violenti
atti, se Amore fosse stato tra lor^b^’ ® amicizia e pace, come ora, dal
di che sopra i Numi regna. Dunque giovine eguT P e oltreché
giovine, delicato: solo un poetà gli fa difetto quale Omero, che mostri
la deli¬ catezza di lui. Ché Omero afferma, che Dea Ate sia e
delicata, almeno delicati sieno i piedi di lei, poetando: I
piè di lei son delicati; e il suolo Non tocca; dei mortali ella sui
capi Cammina. Ora, è buono argomento a mostrare la
deli¬ catezza sua, ch’ella non sul duro cammini, ma E sul tenero. E
lo stesso useremo noi argo¬ mento a provare di Amore che delicato egli
è. Che nè cammina sul suolo, nè sui crani i quali punto teneri non
sono, ma nelle più tenere cose e cammina e dimora. Perocché nelle indoli
e ne¬ gli animi degli Dei e degli uomini la dimora pone, e nè in
tutti gli animi del pari, ma dove in uno s’imbatta d’indole dura, va via;
dove di tenera, vi s’accasa. Poiché egli, dunque, e co’piedi e con
ogni sua parte è a contatto delle più tenere g(5 tra le tenere cose, è
necessario che delicatis¬ simo sia. Sicché giovanissimo è e
delicatissimo, e di giunta fluido di forma. Ché non sarebbe neU’en-
U»»' («!?'. C»«o *« s»p» o^. iorf“"”“ , M«, ‘l“‘''?Si
AmP« pos*'"''’ ,jvveoen='^ „nso di ^ guerra sempre.
.!•" °«P»“ “ T Wer. d=irM» "* chè f del colore, “
ad anima e ctó.a So.e o cta ' K' I soggetto la Amore; e
dove f ner£, non s’accoppa A , Todoroso loco sia, 1»
P fiorito c ou perniane- j iiMddio e basta
sin Orbene, della 0'“““‘‘Jella vlrtì d’A»ore qui e
molto resta a g U principalts- conviensi dopo quella P ^ offesa
nt sinio è. cito Amore ^ ^,84> di Dio o a Dto nc *
-tUre eo'U stesso, s Perché nfc per violenza non tocca ^
qualcosa patisce; - eh ^ volontario i; in tutti il servigio '
^ jj^ reme (t 5) > assente a volente, h legSh , giustizia,
affermano che giusto sm- ^ ^i^sinaa. Peroc; è provvisto di
temperanza ora^^ ^ ^esidern chè si consente che vince P non
sia temperanza, e che p gè sono da me, v’abbia piacere
«essuno- O questi è forza che sien soverchiati soverchi : ma
se piaceri e desidp t.(. E quanto a
coraggio adr^°P^^tut pure Are contrasta. Chi « n«(, Amore, ma
Amore Are possied^'^am^ Afrodite, secondo è fama (188) • or ’l • di tiene
in poter suo il posseduto é più coraggioso d’ogni altro, debbe esli
certo il più coraggioso di tutti ^'?®5' della giustizia e temperanza e
coraggio dS'r? d.o s’è toto; resta ddk sapiens,; SI può, bisogna provarsi
a non ometterla (looT E da prima, perchè io per la mia parte lodi
l’LÌ nostra, come Erissimaco la sua, poeta è l’Iddio sapiente per
modo che rende tale altrui; almeno diventa poeta, « ancorché pria fosse di
Mm privo, quello cui tocchi Amore. Il qual suo tratto ci si addice
usare a testimonianza che Amore, in somma, è artista buono in ogni creazione
che attiene alle Muse (192); dappoiché le cose, che uno o non ha o non
sa, non mai le da¬ rebbe ad altri, nè le insegnerebbe ad alcuno. Oltreché
la creazione degli animali tutti, chi vorrà contradire, che non sia
sapienza d’Amore, quella per cui opera gli animali tutti e nascono e
crescono? Ma nel magistero delle arti, non sappiamo, che quello di cui
questo Iddio si sia fatto maestro, rinomato è riescito ed illustre;
quello, cui Amore toccato non abbia, oscuro è rimasto? L’arti del
saettare e del sanare e del divinare Apollo trova, guidato da desiderio e da
amore sicché anche questi discepolo saria d’Amore, c le Muse ne appresero
musica, ed Efesto l’arte « Zi‘^^ ’ le cose dCo' amore, s m c
' • onpoirto 1 ft-i genererò, vive d'.C ''chfe^rn brutte..^
’‘jf di bellez5-a. priircipro ^ o- ;ndc> ,„„onzi, _An SI
narra (, ai bellez^-'*'’, principro u- -- »"«• inna®'. si ^ ; terribili eventi,
-t^ecessità % « i“nsi s» ;«/»« ts -s"'
Vantare Amore, es-o Fedro, a \ ^ e ottimo, dipoi 1 sr:
Ji* ,. ., mar cairn»,‘‘='" „ ai,caco, . »s> D
attesti <i’0B”i „ empie che cl at- vttOta, e d'ogni
mgunate degli tttt. tmelia, egli. ’S"ttnSsero, aeUe «e
cogli altri instttttl che s, «o ,gli m. ezaa „ei coti, nel
saenfien g, benevolenza inspira, selvatichezza sband .^^^i^ordioso
ai largo, di “lenabile, buoni (zoo), a sapm ^ custodito
d bile-, invidiato da chi n F . dilettosa, na’rlcco, di
re»').'’»'*''';,"'?» grazie, di brama, i ^ ; m trav g >
tore dei beni, timoniere, ' paure, in pencoli, m ^°^tore
ottmm, di I marinaro, commilitone quanti gli Dii c uomini
adorm bellissimo e ottimo, che ad ogni'?,?"'’ seguire
innepiando e prendendo pa?? canzone, eh egli, molcendo ]’intellel
gli Dn e degli uomini, canta (203) ‘«'ti auesto discorso, dice, o
Fedrh sia parte offerto in voto all’Iddio, dove di s^T dove di
misurata seriet.^, in quanto ir, perato. duando ebbe finito Agatone,
tutti, disse Aristodemo gli astanti esclamassero, che il giovi- netto
avesse discorso in maniera degna e di sé e dell’Iddio. Sicché Socrate,
volto ad Erissi- maco, dicesse : O figliuol d’Acumeno, ti par egli
che un timore da non intimorire m’intimorisse poco fa e non fossi invece
profeta nel dire quello che io ho detto dianzi, che Agatone avrebbe
parlato mirabilmente ed io mi sarei trovato nel¬ l’imbarazzo ?
DeU’una cosa — rispondesse Erissimaco — mi pare che tu l’abbia
indovinata, che Agatone par- B lerebbe bene; ma che tu ti troveresti
imbaraz¬ zato, non lo credo. E come, beat’uomo — ripigliasse
Socrate — non mi troverei imbarazzato cosi io come chiunque altro, che
dovesse prendere la parola dopo la recita di un cosi bello e svariato
discorso ? E il rimanente non ò stato altrettanto maraviglioso; tua
sulla fine, quella tanta leggiadria di vocaboli ® __ me. di clràdo
di dir nulla, scndr'^- non sarò “ ^^^i^zza, per poco -
s> ^-’Cia ^lla vergogna, se C sono t'^g? Vaiscorso m’ha
rrchu- = \ia. Giacchi-_ occorso 1 caso d’ Omero (ao/b
Agatone lanciasse^ e nu fa- GORGIA, E ho capito
>»''X s.»->^r:“'?dS” "^
“1 stato davvero ndmo , q p^^te rSHiSSi
che D Sa";=S==S lualunQue cosa. biso'^ni
dire il ' ì, _ m’immaginavo, che o "ila cosa,
quale si s-^nto; pd, scelto del ; che questo fosse 11 ^ia acconcio vero
il meglio, «pot ° ^ ,He avrei di E presumevo gran c del ino
scorso bene, ). Invece, si vede
d di lodare ogni cosa ^ era gì- cose V’ha “1 VVt 'nenzognere,
età cosa^^a mila. Giaccnc s - f. , ‘ v Amore, o dascuno di noi paia
di lo razzolando a che lo lodi, n »1'P““° X cono ed A« ° . ogni patte, e tale, e aotote i
c affermate eh egli :rj.r ^"T™' “"n
b=|,.S”i-l.£- M» io noncoò»c;:o'rn,“H''“* ' chè non lo
conoscevo, mi so°no"i!°''"'®’P !" r°I ?ì»*»
“"''io all, M “,S” V 3 (zio), questo modo; non
nma chè la lingua ha promeslò” la Adunque, addio elogio; che
ì„ odare a questo modo ; non potrei. plT" lete, il vero, si,
non ricuso di dirlo di nr^®' e non rispetto ai discorsi vostri
perché S. rida dietro. Ora, tu, o Fedr^'^guarj™f discorso COSI ti
fa prò ; sentir dire il vero di Amore c n quei vocaboli e quella
giacitura di senteme che mi verrà per prima alla bocca. E a
questo, raccontava, Fedro e gli altri Pili- virassero a parlar pure nel
modo, che a lui pa¬ resse di dover fare. Ebbene, Fedro Socrate
riprendesse permettimi anche, che io faccia qualche piccola inter¬
rogazione ad Agatone, affinchè prima io mi abbia C alcune concessioni da
lui, e poi, così, discorra. Ma si, lo permetto; — rispondesse Fedro
interroga pure. Dopo di che oramai Socrate avesse cominciato, su per giù,
di qui. Di certo, Agatone caro, tu ti sei introdotto bene, m’è
parso, nel tuo discorso col dire che prima bisogni mostrare quale egli è,
l’Amore, poi E 7 ^ . . „vi va a
gen'O . Q^^^sto in ogni altra ,re Ji . via, esposto
qnaW HS»- °'S’e.WB"’'^“Teg'''r? D up questo • t- ^8 ^
nulla ^ D f»'*. L>»' di q0»'*“ “ *d,c o di »« ma
ad’a^f jj padre e cgir P. ondere a dolere. fp^rfi' ° 5““ t
ma'drd del pat>’ p anche a questo. jjspondinti Assentiss ^
. y^^sse gallo ciò I Or bene, -- tu intenda me„ poche
altre cose^ P ^^^.«dassi : O 'r;srid^c;.-o.t-e,,o,.tr
'qualcuno o no? Rispondesse, c D’un fratello oDicesse di
si. domandasse dis^SSSaSrsulVatttore.^^ Di^qualcosI
ciottissimo- .^„gesse So- tanto questo. 1 lo desidera o “O Di
certo r'sp'^ Ora, desidera egli e
ai sesso della cosa che desidera"^ j. sedendola? ^
nr,-,-. ama;, 'aoti Pos. B
V D Non possedendola, par naturale Guarda-riprendesse
Socrate natura e, non sia necessario, che dera desideri ciò di cui
è manchevoI ^ desidena dirittura, quando non ne l "“''o
role. Tu non puoi, Agatone, immagi„are“’'‘*’'- 5 aia necessario a
mw • ^ Quanto grande, es- paia
necessario a me; o a te pare? E anche a me — dicesse. Dici
bene : vorrebbe forse chi è ser grande, o forte chi è forte?
Impossibile, dietro l’intesa. Perchè, appunto, non
sarebbe-manchevole di tali qualità chi le ha. Dici il
vero. Percliè, se uno che è già forte, volesse esser forte —
ripigliasse Socrate, — e veloce uno eh’è veloce, e sano uno eh’è sano...
giacché qual¬ cuno potrebbe credere, che queste e simili qua¬ lità,
quelli che son tali e le hanno, desiderano quelle stesse che hanno;
sicché questo io lo dico, peichè non ci lasci trarre in inganno or
bene, costoro, Agatone, se tu la intendi, devono pure avere nel
presente ciascuna delle qualità che hanno, o le vogliano, o no, e queste,
oh citi mai le desidererebbe?. Però, quando uno di¬ cesse : Io che
son sano, voglio anche esser sano; ed io che son ricco, voglio anche
esser ricco, c desidero appunto queste cose che ho, — noi gli
risponderemmo — Tu, amico, che possiedi ricchezza e sanità e forza, vuoi
possederle anche 7 > o »
tu le l’^'- .,,,o qtiello eh e ^JpSesse ' V untare ^
^ O non t in proi^“’ Z che non si ^ ancora t P^ aò l^!^
il inantenerntt pe r ksic^®’ j presente? '‘*‘0° «no --
*'’°“‘'Tchi«nque altro il 1 “»'' ^ E questi, Lello che non tiene
desUeri tuttavia, desi J „on ha
e t mano e al cui h manchevole. ”.e egli d i desiderio
e Vamotc- ‘n”Sr- -tSse. ^ ,„cr.te-ri.ssu-
^LLvia.-coimlnd-Socm^^ mianio quello d. OT poi, di co
in primo luogo, e u di cui patisca difetto Si -
affermasse. ^ente, Jt che Ora, per ^etto che l’Amore sia.
tu nel tuo discorso hai „,ente im Anzi, se vuoi, te giù
questo; che Tu hai detto, credo ,assetto per via d agli
Dei le cose ^ ^i bruttezza non amore di bellezza-, g‘a detto su
p potrebb’ essere amore. giù cosi? rispondesse
Agatone- Si che l’ho detto - risp par]: da galantuomo
. e, ora, se è rnci ,>^ 4 ) Socrate; ora e» "““*0 Acconsentisse. “
' «on s’è rimasti d’arr« a CIÒ di cui è in difetto, e che “«0
am Si - dicesse. >ia? É in difetto, dunque, di
bellezza a non l’ha? ^aiore, ^ Necessariamente — affermasse
Che dunque? quello che è in difetto di 1,, lezza, e non possiede bellezza
per ness^ì^"' oh lo dici tu bello? ^ ^sunmodo^ No
davvero. Ebbene convieni tu ancora, che Amore sia bello,
s’egh è cosi? E Agatone — Risico, dicesse - 0 Socrate, di non
avere inteso nulla di ciò che ho dettò dianzi. Eppure hai
squisitamente parlato, Agatone - C Socrate ripigliasse. — Ma dimmi ancora
una pic¬ cola cosa: il bono a te non pare anche bello? A me
si. Se, adunque, Amore difetta di bellezza e se bontà è bellezza,
anche di bontà, dunque, esso difetterebbe? Io — rispondesse
non saprei come con¬ tradirti; sicché sia pure come tu dici.
Alla verità, amato Agatone — concludesse — ^ tu non puoi
contradire; chè a Socrate non i punto difficile. e U discorso in-
^ « io giorno d» Dio- £ ora „ r-he sentii nn ^ ^
,rno iteXe cose, e una Tdeila peste, fece, col àP“^''\gli
Ateniesi, pt'ttj ^tardasse loro di olia agli _ .ricrifizio. cbe la_n^e
m quella appunto cit ^ g, eh’essa jgcianni,qu ^ ^ discorso,
outi fra ose d’antore, punti cou tenne, lo, roverò a
ripetervel , p Agatone, nu P c g’intende, Ag "' e
il «#> *' “impano la via. teogo» “ .1 modo che tu hai ape
VTcorrere chi l’Amore J facile £ fcriiua discor ^ che P
. ?! lco.,amo si. quello,^»
-t°iroono,e,io-og»^'^=„,es.^ Tma Agaldno a me,
*'^"“"Èlei, cose che ora Ag bellezza. _
f'"'do me'còlle stesse ragioni con cui^t^^^^ sSo cosmi,
«., ne n°d^o. come l'inmo^“;r= tinta; ò brutto,
adunque, ^.^p^tto? ” D lei-'' o°-“/;Sp ciré non s.a belio,
rese — o credi, clte 4 brutto? Icbba necessariamente
esser Certissimo. O anche quello che rante? o non
senti, che tra sapienza e ignoranza Coni
E che mai? L’opinar rettamente e senz’essere • di dar
ragione, non sai, dice, V" sapere; poiché come sarebbe mai
coV^-"°'‘ naie la scienza? E neanche é
ignoranz'"''"®' che apporsi al vero, come mai sarebbe
ranza? L’opinione retta è appunto cosi'®,?' cosa di mezzo tra intendere e
ignorare ’ Dici il vero — risposi io. B Non forzare,
dunque, ciò che non è bello a esser brutto, o ciò che non è buono,
cattivo. E ! così anche l’Amore, poiché tu stesso convieni che non
é buono né bello, non credere per ciò che deva essere brutto e cattivo,
ma una cosa di mezzo, dice, tra questi. Eppure, — diss’io —
si conviene da tutti, che é un grande Iddio. Da tutti quelli,
intendi tu, che non sanno o da quelli che sanno? Da tutti
quanti a dirittura. E lei ridendo — O come, Socrate, — disse
— converrebbero che è un Iddio grande coloro, i 0 quali dicono
ch’egli non è neanche un Iddio? Chi costoro? dissi io. Uno tu, risponde, e uno
io. E io domandai : Come mai dici tu questo ? E lei —
Facilmente — rispose : perchè, dimmi ; tutti gli Dei non dici tu die sono
felici? O che ardiresti tu dire, che alcuno degli Dei non sia
felice? io no " possiedono 'A'„ oo»v.n»to, *= »
Di non to’ desidera, appunto, «a'^" ,4 e
boto"'' eoo « "““t in dite»»’ 0 come
‘Tni^ r^nt:” oto aneto » A»- To'^aedi un Dio? .
dissi .sarebbe maiVa^more? Che, dunque,
tortale? r*f;“'''ltpto''e-un eto di metto Come prima V
"" rti!«to,Dio.i’’»>^ inno B il demoniaco e
un il mortale. - diss’^- E quale possanza ^gU ^ei
D’intetpmte '.«““f oni, degU um," nomini, agli uomn ^
n^^jjjjii, deg’^ smettendo preghi ^^rrifizh . . pgr mandi e
rieambii de. a fb ,,„i, nenipm pe t nel meato tra gl’ n
20 *^ Convito modo che il tutto resti
colleentr. simo. Attraverso di lui pasfa “'r? I na tutta
quanta e quella de’ sacS" ' saenfizu c le iniziazioni. Dio non
si ^ ì uomo; però ogni conversazione e coll Dei cogli uomini, sia
desti, sia addormì° per mezzo del demoniaco che la si fa p‘> ^ i
che è sapiente in simili cose, è uomo d ^ ^ chi è sapiente in
ogni altra cosa o dUrr'^'°' mestiere, ò un manuale. ^ urte 0
(li 0^a,di questi demoni , 1 Amore è un , 1 ~ ^ CS^i ò suo padre - dissi
io - e chi suà ve ne son molti e diversi : E chi
madre ? É lunghetta, risponde, a narrare; pure te 10
dirò. Quando nacque Afrodite, gli Dei cele¬ brarono un banchetto, e v’era
cogli altri Poro 11 figliuolo di Meti (218). Quando ebber
cenato, ecco che arriva Penia per accattare, perchè era luogo di
scialo; e girava attorno alle porte. Ora, Poro briaco di nettare, chè il
vino non c’era peranche, — era entrato nell’orto di Giove, e
vi s’era, sopraffatto dal sonno,-addormentato; sic- C chè Penia,
macchinando per la miseria sua di avere un figliuolo da Poro, gli si
mette a giacere accanto e concepisce Amore. Ed è per questo che
l’Amore diventò seguace e ministro di Afrodite, perchè fu concepito nel
giorno natalizio di lei, e insieme è di sua natura amante del bello,
poi¬ ché anche Afrodite è bella. Perciò come fi¬ gliuolo di Poro c
di Penia, l’Amore s’ebbe questa sorte ; prima eh’ egli è sempre povero,
c tutt altro che delicato c belio, come i più cre¬ dono, anzi duro,
e squallido e scalzo, e senza 8i D 10
+ . dormendo avanù |°«* r nò oi i-sofist*
’ ^ e\io stesso g' mudre e p Inta ^ada bene del padre,
'“T rVa" »- Ìe<l»»"“ ?‘Sero
Aii«>'''"‘"“ Chi h t*'"’ « ''‘®"°”ret=“° e
-- “^TXìSn: ““Se.' tr“fi-
"S>s;=.»“»sri'S-“‘‘° Sf'“ :.,.eh..o.e.-
0„ _ disse - ^ V»e -li ‘ ole- „„ raBSs». q»e ^ apP»'»
^jd't»"»'! um e altri, e d q cose pmbell ^rio clic Amore
sla filosofo, Convito egli sia un che di mezzo tra sapiente e
• rante. E di ciò gli ò causa anche la sua; perchè lui viene, si,
da padre sapiente'*^'’!? molti ripieghi, ma da madre non sapiente e
se ripieghi. Questa, dunque, è, amico SocrateT natura del demone; e
l’aver tu ritenuto Amore fosse quello che tu hai detto, è stata una
C svista da non doverne fare le maraviglie. credevi, come a me pare
congetturando dalle tue parole, che Amore fosse l’amato, non gii
l’amante. Perciò, credo io, l’Amore ti appariva bellissimo. Chè di fatti
l’oggetto dell’ amore è il veramente bello e il delicato e il perfetto
e il beato ; invece, quello che ama, presenta un’ altra idea, quale
l’ho discorsa. Ed io ripigliai — Sia pur così, forestiera:
chè tu parli bene. Ma se è tale l’Amore, di che uso è agli
uomini? D Q.uesto, Socrate — rispose — mi sforzerò d’in¬
segnartelo ora. Dunque è tale l’Amore, e nato a questo modo, ed è, come
tu dici, amore di bellezza. Ora, se uno ci domandasse — O So¬ crate
e Diotima, che è egli mai l’Amore di bel¬ lezza? Ma lo dirò più chiaro
cosi: — Chi ama la bellezza, che ama egli mai? Ed io risposi Che la
diventi sua. La risposta — dice — desidera quest’ altra in¬
terrogazione : Qjuello, a cui la bellezza diventa sua, che n’avrà
egli? Io A rispondo'' 1' uundo, si sei- ^ i. 8'*'“ f p sé
'«'*! S bello e li down- '.rd;iééoo>d,'“rs«" .
Socrate, su. diventi suo ^ Snti suo, che n’avrà
,.,,nriparpihage- aos 3 sarà felice. possesso del bene Di fatti. -- dtsse
domandare son feli<^'‘ ' vuole esser felice; an«
Trite ^bbia qui termine. "^'’dIcì la rquesto amore,
credi Ora, questa vo uomini, e eh ? -noTav t
"empfe il bene? o come tutti desiderino di avi. dici tu?
, rnmune a tutti. Cosi - dissi to _^-jsse lei non dt- 0
perchè mai, Socrate lo clamo che tutti diciamo che amano
stesso e sempre, ma di alcuni e di altri no? ._anche
io. Me ne maraviglio -- dissi ^ noi. Ma non te ne
maravig i i^ chiamiamo sceverando una specie e .^ig q nome t
col nome del tutto, ass g nomi. amore; e per le altre usiamo
al Come che? - poUsis (aai) Come questo. Tu sa atto eh
cosa di molto comples causa che una cosa qualunque passi dal n
sere all’essere, è poiesis; sicché le operazic^"^ pendenti da
qualsiasi arte sono poieseis operatori poieiai tutti. ’ Dici
il vero. Eppure, tu lo sai dissé, non si chiamano tutti
poietai, ma hanno nomi diversi; e una par tirella della poiesis sceverata
da tutte le altre quella che ha per oggetto la musica e i metri’ si
domanda sola col nome dell’intero: giacchi questa sola .si cloiama
poiesis, e poieiai quelli che possiedono questa particella.
Dici il vero, diss’ io. Ora è appunto cosi dell’ amore ; la somma n’
è ogni desiderio del bene e dell’esser felice; ma quelli che vi si
avviano per un’altra delle molte vie, del guadagnare, poniamo, o
dell’eser¬ citarsi in ginnastica o del filosofare, non si dice che
amino nè che sieno amanti; invece, quelli che mirano a una sua specie, e
a questa pongono il cuore, prendono il nome dell’intero, amóre e
amare e amanti. Risichi diss’io di dire il vero. E v’é
— disse — un certo discorso, che quelli amino i quali cercano la metà di
sé stessi; ma il discorso mio dice, che l’amore non sia nè della
metà nè dell’intero, quando, amico mio, non si trovi essere un bene;
dappoiché gli uomim si tagliano volentieri e mani e piedi, quando
le membra lor proprie le credano malandate. Giacché non è il proprio,
credo io, quello che ciascun uomo ha caro, se già uno non chiami
pròprio il bene, altrui il male ; comecché non sia altro iciò
no-'nspos“°- te P»' <”'r'di iri - S*pu6 di»
s'”'P'‘' dtól- j„e aggl»«8«« - ‘'sTiv. aSS'ffSdd -
di £ non . sempre ^ Verissimo — x:^v
I Ora, poiché l’amore^ ^fo^zo^^dT^chi'vi corre I riprese lei. la
cura chiame- • dietro, in che modo e m q ^o sai rcbbe
amore? che opera e mai q tu dire? . ^isgi — taato, o Diotima,
Non t’ammirerei- di« ^. per la tua sapienza, m- « q
parare appunto questo. ^ . l’opera é par- Ma te lo dirò io -- tisp
j-ome torire nel bello, nei rispetti deir anima.
l’indovino; che mai Ci vuole — diss io vuoi tu dire?
hlon ‘^°™P^^“-egherò pih chiaro. Ma io-disse lei -telo spiega Oh
uomini, dice, tutf corpo e nell’anima, e la natura nostra ha
desiderio di partorire nel brutto non può 0 E cosa divina è
questa - e^in’ siO tale, questo è inmtomi;, il co»"”*
.'2; rare Ora. l’uno e l’al„„ j succedano nel disarmonico. E il
*'*’'•« cht monico da tutto quanto il divino bello. Sicché Bellezza
é Moira ed’Flir°"Ì.^'‘^ alla generazione. Perciò, quando la?
pregna s’ accosta al bello, diventa ilare gioia sdilinquisce e partorisce
e genera i qu? ! invece al brutto, si rannuvola e per il dolore •
raggomitola (229), e si raggrinza e non genera' ma, poiché vieta al feto
d’uscire, se ne sente male e qui appunto è la causa che la creatura
pregna e già smaniante è presa da ansietà molta alla vista del bello,
perchè questo libera da gran doglia chi lo possiede. Giacché Socrate, —
dis¬ se l’amore non è del bello, come tu credi. Ma e
che? Della generazione e del parto nel bello. Sia pure
— diss’io. Certissimo — rispose lei — ; ma 0 perchè della
generazione ? Perchè la generazione è un gene’ rato sempiterno, e, per
mortale, immortale, Però, dietro quello che s’ è convenuto, è
neceS’ sario che dell’immortalità l’amore senta si desi derio, ma
accompagnato dal bene, s’esso èamotf dell’ aver seco il bene sempre.
Sicché, conformi a questo discorso, è necessario, che l’amore anchi
dell immortalità sia amore. ,pnti dunque, mi dava . nesti
insegnami’’ ’ J A,more; nfS S,i. o Socrate. '8”' "ia mi
‘>»®”taesto .mote e iel deM- : sia causa di 0 ° violenta
disposi- it'*, O non „• jllorchè deside- *'"1
enttano gU ““.t “'ti q».»» i «olaf''. ^ S8rlS’m«reomotosamenm^“;'
ifcoSattere i per proprio . . p si a venir meno aeiw
qualun- quealtro atto? ^ facciano per virtù di
“';'“''’-o' S # animali, qoale d c raziocinio, o g rnsi? Lo
sai tu dire ^ struggersi d’amor saprei. Ed io da capo diss ^
^ai di- in cose dimore, se non mteod, J'^'^^Ma^ppunto
per J^j 2 so''chrho bisogno or ora, io vengo da te, peretóso ^
di maestri. Ma dimmela m e di tutt’ altro nelle cos amor
Ebbene, se tu credi eh P ^ pib vohe» sia di quello che
abbiamo c ^^.^a il » non te ne ^ale cerca essere, P L
discorso, la natura m ‘gitale - quanto può, sempre può solo per
questa via, per la via dell razione, perchè lascia sempre un
n'^”'^' invece del vecchio ; giacché anche nel tratt'o°'^° tempo
che ciascun animale si dice vivere e rare il medesimo, come, per esempio
uno T fanciullo insino a che sia diventato vecchio t detto il
medesimo ; però è cliiamato il desimo, quantunque non conservi mai b st
ig stesse cose, ma parte si rifaccia sempre giovine parte
alcune cose le perda e nei capelli c nella, carne e nelle ossa e nel
sangue e in tutto quanto il corpo. E non solo nel corpo ; ma anche
nel- l’anima il tratto, i costumi, opinioni, desiderii, piaceri,
dolori, paure, tutte le disposizioni siffatte non sono mai presenti le
stesse in ciascuno, ma quale nasce e quale muore. E, cosa più
bizzarra ancora, le cognizioni non solo alcune nascono c altre
muoiono, e non siamo mai neppur rispetto alle cognizioni i medesimi, ma
anche ogni sin¬ gola cognizione è soggetta allo stesso. Giacché
quello che si dice meditare, ha luogo perchè la cognizione va via;
dimenticanza, di fatti, è di¬ partita della cognizione : meditazione,
invece, ingenerando una cognizione nuova in luogo di quella che se
n’è ita, salva la cognizione tanto da parere la stessa. Chè a questo
modo tutto il mortale si salva, non col restare sempre in tutto e
per tutto lo stesso, come il divino, ma col lasciare quello che se ne va
e invecchia, qualcos’ altro nuovo, quale esso era. Con questo mezzo o
Socrate — dice — il mortale par¬ tecipa della immortalità, così il corpo
come ogni altra cosa: impossibile in altro modo., „»r n.»'* 08
“ r,o • siacchè per .8» xxvn me nc .
««ito q»““ *!“I!°;dio-s»pi“- dubi»^*^’ . j^.dare all’ amor
stupore, •'?irfagio'^‘'''^°-h aie io ho uoiuim» . ^ niente ci
i>j.jnore del di- o come si struggono d amor concependo ccn^^ e
di ventare rin ‘ ^ eterno, lasciar di se g ^gnl
pericolo e son pronti per e consumar le so- norto a PATROCLO
« ^f^no, se non avessero figliuoli per salvar loro il reg creduto,
die una immorta ppuiito conser- • a; loro, come apF _anzi>
rimasta memoria ^j^vvero — ’ viamo noi oraf i io
credo. per imniortal virtù Convito
e per siffatta «gloriosa fama,, , cosa, tanto più, quanto
mieiin sono dell’immortale innamorar pS Ora quelli —
disse —, che so ^ poralmente, si voltano piuttosto"
allff^ diventano amorosi a questo modo e diante la
generazione dei figliuoli, ’ ^ « Immortai vita, insin che il tem,^
^ « Procurando », ^urì, secondo credono, e
felice e ricordata; i pregni invece nell’anima... giacché vi
sonopu, quelli, dice, che concepiscono nelle anime anche più che
nei corpi, le cose che all’anima s addice e concepire e partorire. E oh!
che le SI addice? La sapienza e ogni altra virtù, cose appunto di
cui sono generatori i poeti tutti, e quanti v ha artisti che si dicono
inventivi: però d ogni intendere — dice — il maggiore e il più
bello è quello il cui oggetto sono gli ordini delle città e delle case, a
cui si dà nome di temperanza e di giustizia. E quando poi uno,
essendo divino, sia da giovine pregno di tali cose nel- 1 anima, e,
giunta l’età, desideri oramai di par¬ torire e di generare, cerca, credo
io, anche lui, girando attorno, il bello in cui generare ; giacché
uel brutto non genererà mai. Sicché, come pre¬ gno eh’ egli è, si
compiace de’ corpi belli piut¬ tosto che de’ brutti; e quando s’incontri
in una Della anima e generosa e di buona natura, si compiace, e di
molto, dell’insieme, e subito con , honda in „ ^he studii prò- ^
ersona poomo buon venuto ^ette a educarlo.^ ^„„,ersando
con della beila ^15 di cui era ^ntan° credo, e
gener {Ìa.pa^^;\cnin> " ^'^to insieme con quella,
%< e alleva il ^ggior comunanza jU^^^’:,rcbe una molto gVi
um "’f figlinoi' (ai?)- ! poicbt in pm cbe e
amicir-ia prn accomunati. '‘ immortali ftgbn®^’ " ^ lui
nascessero nTe avrebbe caro .^ando e a D chet:
0 se ti piace, ".f " ^.^eutone, salvatori d ^ I lasciò
Licurgo m L 1 EUade. I tcedemone, 0, per Solone per la g^n
! E presso di voi °"°;Xi valenti uomini in altri ' aione delle
leggi, ed altr ^ ^.bari, luoghi parecchi, e tra g^^f/^.ueratori di
virtù autori di molte e belle «per , ^ furono si.
eretti per via di tali 5 umani sinora a nessuno. E ,ta qui,
qu““ A”"' cui i.. coi torso, So««“.’!''y„ìtivo (oi® “ k;
ma in quello P"'' queste, quando uno procede bene IO non so se
tu saresti capace. Te dunque, io — dice, — e ci metterò
tuttrirb*®"*’ voglia ; e tu provati a tenermi dietro, se ti •
Giacché — dice — chi vuol mettersi per la via a simile impresa, deve
cominciare da gì ad andare incontro ai bei corpi; e da quando chi
lo guida, lo guidi rettamente, ama'r*'*’ uno di quelli, e quivi generare
bei pensieri^ e di poi intendere, che il bello di qualunque corpo è
fratello con quello di un altro corpo- e se bisogna andare in cerca di
ciò eh’è bello in genere, sarebbe una stolteaza grande non riputare
una e medesima la bellezza su tutti i corpi; e quando abbia inteso
questo, renderlo AMATORE di tutti i corpi belli, e rallentargli
quello struggersi violento per uno solo, facendoglielo sprezzare e
tenere a vile; e di poi reputare la bellezza nelle anime più preziosa di
quella nei corpi, di maniera che, se anche uno, ben fatto di animo,
abbia del rimanente poca venustà (241), egli se ne contenti e lo arai e
n’abbia cura e partorisca pensieri e ne cerchi di tali, che fac¬
ciano migliori i giovani; affinchè da capo e’sia costretto a contemplare
il bello negrinstituti e nelle leggi, e vedere com’esso è tutto
connatu¬ rato con se medesimo; c dopo gli instituti lo meni alle
scienze perchè di novo veda la bel¬ lezza delle scienze ; e guardando
ormai a un bello già copioso, non sia, servendo al bello in una
singola cosa come domestico, un’abbietta e me¬ schina persona, che
s’attacca alla bellezza d’un fanciulletto 0 d’un uomo o d’un instituto
unico. dclbcUoccontcm- discorsi e ma
rivo''° “'torist^^ filosofia infinita, smo k>' CV'
>VTeS»cWto,n<.n;.s»’-ga fcf.a J- *e SU sc.c« *
r^‘'’';Su -'SS. E gù, E •. ctato educsito sin qui
alle cose Qgpetti, pressoch srs* “"ss “qSii» “pp””®’.
° • rrp<;ce nfe scema, e a y e ora no, tncii cresce
u^i-»i-tn ne or*^ j. verso e per e brutto in un JJ nt
bello in un ”spu«o g neanche il bello qua bello e qua brutto come
un si presenterà alla sua . p ^tecipa il corpo, visS 0
mani o nient’ altro cm par neppure come un discorso .^,erso, m u
c eppure come m qual ^ ,ieio o m animale, per esempio,
uniforme s altro, ma esso stesso di P belle tutte
stesso in sempiterno, e che partecipanti di esso pe
periscono, ess queste altre si generano uà patisce
diventa punto maggior nulla. Sicché, quando uno, per aver am
fanciulli nel buon modo, risalendo dallp .. * quaggiù cominci a
vedere cotesto bello all si può dire che tocchi la meta. Giacchi
sto è nelle cose di amore procedere o essT^' condotto bene da altri ;
movendo da’belli sensu^ di quaggiù salire sempre sempre attratto dal
bello di lassù, montando come per gradini, da uno a due e da due a
tutti i bei corpi e dai bei corpi ai begl’ instituti e dai begl’
instituti alle belle di¬ scipline, e dalle discipline terminare in
quella disciplina, che di altro non è disciplina se non
appunto di quel bello ; e conosca terminando ciò che ò per sè bello
(244). Questo, se altro mai, — disse l’ospite di Mantinea, — è il punto
della vita, degno che l’uomo ci viva, contemplando il bello in sè;
il quale, quando tu una volta lo veda, non ti parrà da metterlo nè con
oro, nè con veste, nè con bei fanciulli e con giovanetti, che
vedendo tu ora sei tutto sgomento, e sei pronto, e tu ed altri molti, se
possibile fosse, guardandoli, questi amati vostri, e vivendo sempre con
loro, a non mangiare nè bere, ma solo contemplarli e stare insieme. O che
cosa, dice, pensiamo, che debba essere, se uno abbia la sorte di vedere
il bello per sè, sincero, puro, inmisto, e non già ripieno di carne umana
e di colori e d’altra molta inezia mortale, ma possa riguardare
esso il divino bello di per sè uniforme? O credi tu, — dice — che sia
spre¬ gevole la vita dell’uomo che guardi colà, e quello contempli
sempre e stia insieme con esso? O non intendi, dice, che quivi soltanto,
ri- 9> con coi C il W'“> ""
„“n immagini di »«<, li non vp.ra. , Kiio con * a
.W, ..aa'»'" ' li parto*" ” " ma vitti vera,
tocc^^ una virtù vera e ncca il ^di diventare amico di
““ ^ ^'riisse aVf anche gli ^1“*» r 70 di
persuader *_ potrebbe da nessuno siffatto non si p
""TC aiuto all’ umana u«umj^. Moro. '"‘'•«“'“J’l'onoro
io atasso (a4«). uomo onori Auu°" esercito soprattutto e
c nelle cose di am^ ^ ^^.omio la v’esorto gh ^e a tutto mio
pot«e. potenza discorso tu ritienilo C Or bene, o ,d
Amore’, se no. detto, se ti piace, m ^^^ba. e tu dagli
quel nome, che Finito ch’ebbe raccontava, lodassero ,
parlando aveva a dire qualcosa, perch jq ecco all'im-
alluso al discorso di lui- q sentire provviso la porta del au
yseiù da^ un un gran rumore come i ^ una flautista,
banchetto, e si ode ^ '^^ „g 22 Ì, non andate Sicché Agatone dicesse. o
entrare se a vedere? e se è uno di casa no, dite, che nbbiamo
finito di ber • E di li a poco si udì nellS,,,! ci :0
frarlirìn urlando SI riposa di Alcibiade
briaco fradicio, che domandava dove è Agatone, e ordinav^'j tasserò
da Agatone. Sicché la flautista reggeva e alcuni altri della compagnia^
j tarono da loro ; e, coronato di una coróna f di edera e viole e
tutto coperto il capo dì infinità di nastri (248), lo fermarono sulla
po''*'* ed egli disse: Amici, vi saluto; un uomo, bria*’ proprio
fradicio, lo pigliereste con voi a bere 0 ce ne dobbiamo andar via, dopo
avere soltanto coronato Agatone, eh’ è quello per cui siamo ve¬
nuti ? Giacché -io — dice — jeri non ci potetti essere, ma vengo oggi,
coi nastri in capo, perché dal mio capo quello del più sapiente e deh
più bello io ne recinga. Forse, riderete di me perché son briaco?
Ombè, io, quand’anche voi ridiate, pure so bene che dico il vero. Ma
dite su, a questi patti entro o no? Beverete 0 no con me? E qui
tutti strepitarono e gridarono che entrasse e si sdrajasse, e Agatone ve
lo in¬ vitò: ed egli, condotto dalla sua gente, venne; e, poiché a
un tempo si levava di capo i nastri come per incoronarne altri, non
s’accorse di So¬ crate, che pure gli stava davanti agli occhi, ma
si messe a sedere accanto ad Agatone in mezzo tra Socrate e questo ; giacché
Socrate s’era tirato da parte per fargli posto: — c cosi
sedutoglisi accanto fece riverenza ad Agatone e lo coronò. E Agatone qui
disse : Ragazzi, le¬ vate le scarpe ad Alcibiade, perchè si metta a
giacere in terzo con noi. Sicuro — rispose Alci- compagno no
jo’ .uj è questo te Socrate, e al •e- - voltato»' f
^ &"<r6 "" Dunque, da capo L«'°.
ii! 5°““'“ Tkf”' '» P““’ “”"l Pi qui sdtaU'^®.^,improvviso
dove meno '"'ffpoi ti sei messo a g^ace^
^P''lcaJto ad Ma tanto hai a«o o qua dentro. _ uarda
luauti sono q Agatone — disse, ^& E Socrate, cerchi:
l’amore che to P . nii vieni in aiuto ; P un affar fili
è diventato per m , m- :;rDifatti, dal tempo <^e m *or..o
'»i. “"„rp«-a D ”' dTco”o«“re Ln o-,»no V sto nessuna,
ne di c invidioso fa cos qui ingelosito di ^ "“"J.peri, e
poco manca strabiliare e mi copr Addosso. Guarda, che non mi
metta le m^n dunque, che non faccia un d ,na metti pace tra ° ^el
furore di costui lenza, difendimi tu, perd è addirittura
e del suo innamoram -pigliò Alcibiade: Pace fra te e me ^ jto
io ti g^»«' no davvero. Se non ehejer p,,te girerò poi; ora,
Agatone questa testa qui L nnstri, P»cM .0 «e J
maravìglìosa di ’ oronaw 'e. nien«*= pioverà, che io 1'“ “f
ji,cofii, noi sol¬ ete viiiee tuni gli 7 Platone, Vo/-
9 ^ Convito tanto dianzi, come tu, ma sempre
renato. ’ ho E qui, prese i nastri, ne cinse So mise a
giacere. E quando si fu sdraiato: Su via, amici disse — a noi
; mi sembrate gente che non T ancora bevuto; questo non va, bisogna bere;
cllè cosi è l’accordo nostro. Or bene, io scelgo a re del bere,
insino a che voi abbiate bevuto ab¬ bastanza, me stesso. Agatone porti,
se v’è, un gran tazzone. O piuttosto non occorre- porta qua,
ragazzo, quel bigonciolo vedendo che conteneva più di otto cetili. E
riempitolo, tirò giù tutto prima lui; poi, ordinò, che si mescesse a
Socrate, e insieme disse: Con Socrate, amici, l’invenzione non mi giova a
nulla; questi può bere quanto uno vuole, e non v’è caso che si
ubriachi mai. E Socrate, quando il ragazzo gli ebbe mesciuto, bevve. Qui
Erissima- co, — Che modo è questo, dive, Alcibiade ? cosi nè
discorriamo di nulla sul bicchiere, nè c’intoniamo un canto; oh! berremo
proprio come assetati ? E Alcibiade di rimando : O Erissi- maco,
ottimo figliuolo di ottimo e sapientissimo padre, salute. E anche io a te
— rispose Erissimaco; — ma che s’ha egli a fare? Il piacer tuo ; giacché
ti si deve obbedire. Un medico vai solo uomini molti;
1 sicché comanda ciò che tu vuoi. t)
„ • a tS»aS» 'TSsfAS::
°» ‘T .Coe ’l‘»”‘> Ti Tjo che «»» fu W»
So»»"-»"*' parli bene; però bad , non hanno
di fronte a discorsi ^ aguale. E insieme, bevuto, può non esser p S
gocrate ha b-ruomo. appunto «>« addosso. , __ disse
Socrate? Ti vuoi chetare Alcibiade -, non Affé di
Posidone - "P‘P^ f non v’ è ci metter bocca; che io in faccia
a te, no nessuno al mondo che o crei. Ebbene, tu fa’
cosi, — riprese i. se tu vuoi, loda de_? S’ha a fare.
Come dici -ripetè Alcibiade Erissimaco ? Che io dia * lo
gastighi davanti a ^ che hai tu O tu — interruppe Socrate • ^
per il capo? Mi loderai per canzo farai? r\ir<S W
vprn. Convito An^i, il vero Io permetto, e t! dirlo. *1 comando
d- Son pronto — disse Alcibiade - • ’ Se io dico
qualcosa di non vero ^osl a mezzo, se vuoi, e di che quella 6
giacché di proposito bugie non ne .“Sia; = '5 però le cose io le
dico, secondo mi c. . in mente l’una dall’altra, non ti
stup°*’’’'““° non è punto facile, a un uomo in quesm lo spiegare
alla lesta e per ordine roriginar°à B c Socrate, amici,
io mi proverò a lodarlo cosi per via d’immagini. E forse questi crederà,
che io lo canzoni; ma l’immagine in verità avrà per suo motivo il
vero, non lo scherzo. Io dico dunque ch’egli è somigliantissimo a cotesti
(254) Sileni esposti negli studii degli scultori, che gli artisti
fanno con zampogna o flauti in mano;i quali aperti in due mostrano aver
dentro imma¬ gini di Dii. E dico per giunta, ch’egli s’assomigli a
Marsia il Satiro. E, che tu sia di aspetto simile a questi, neanche tu,
Socrate, ne faresti questione (256) ; ma come tu somigli anche nel
resto, sentilo ora. Sei tu petulante o no? Ché, quando tu non lo
confessi, presenterò testimoni. Ma non flautista forse? Anzi molto più
niira- bile; l’altro, di fatti, attraeva gli uòmini colla potenza,
sì, della sua bocca, ma attraverso istrumenti, e anche ora, chi suona le
cose di ui, giacché quelle che Olimpo sonava, io le
D lOI Convito . o di Marsia, .f^eseguisca
un buon , cenate di quello, o fi ^ causa, Si ““
uno si »»'* l’S ’ta'bisogno degli Di' ;^ono, f\u gli vai
tanto innanzi, d’iniziazioni. ^«ieni quel medesimo che
senza istrumen . c y Almeno, noi, S.0 =0» f““ “« uii™- Ti
quando si ode discorrer^ ^i dicitore anche nulla, vi so dire,
a un altro, non ne impor te, o un altro nessuno; • gè
anche chi li reciu che reciti i discorsi tuo , ^na sia
proprio un uomo a P^ ^ restiamo sba- d„„L d ua uomo o se non lorditi
0 '“V,, per briaco, vi rac- velessi passare addinttur p
cornerei con giumme»»; fpoSsento tuttora, risentito dai suoi
Che, quando'’SÌ'" XìltnSmi àendo Pericle e altri
buoni parlatori, io ero anima mi ma non provavo nulla
di sim , “siTer^nrTa’i “r^esto Marsia gui mMtanno pib volte
fatto tale renili, non sacrate, tu non dirai ai6 nel
mio stato. E ciò, o S , , mscienza che non sia vero. E che, se
volessi prestare sforza ma mi seguirebbe il medesimo. a
convenire, che, con tanti mancamenti , trascuro me, e attendo agli
aflfari Sicché io, turandomi le orecchie si Sirene, mi fo forza
(261) e fuggo vir°'”^ invecchiare seduto accanto a costui
quest’uomo m’ò seguito quello che nessuno erederebbe di me,
vergognarsi di uno. Io di solo mi vergogno. Giacché sento dentro
di non poter contradire, che non bisogni far quello a che lui mi
esorta; ma poi, appena io mi son staccato da lui, ecco, la voga dell’aura
po polare mi vince. Sicché io lo scanso e lo fuggo- e quando lo
vedo, mi vergogno di ciò che si t caduto d’accordo. E tante volte io
vedrei vo¬ lentieri che non fosse più tra gli uomini; ma d’altra
parte, se ciò accadesse, so bene che me ne rincrescerebbe assai più, per
modo che di que¬ st’uomo io non so che mi fare.
Dunque, dalle sonate tanto io che molti altri abbiamo provato tali
effetti, da questo satiro. Il resto, sentite da me, com’egli è simile a
quelli a cui l’ho raffigurato, e la potenza ch’egli ha, come sia
maravigliosa. Perché siate ben persuasi che nessun di voi lo conosce ; ma
ve lo scoprirò D io, giacché ho cominciato. Voi vedete che So¬
crate ha tenerezza pei belli, c gira loro sempre d intorno e n’ è tutto
fuori di sé come mostra la sua figura (262); e non è da Sileno
cotesto? Eccome 1 Giacché e’se l’é avvolta per di fuori’ '"ù
Sto» scolpi»; »» B 8 “'» ''°' o>‘‘“s"r- %A rhe son
levai'- «ì^rp e noi altri Ma quapi» canzonare la ^ ^
erto, io non so se si mette sul seno ed t • p jo gl*
qualcuno ha visto t s'rnulaar^^^ ^ ho visti una volta,
doversi far m aurei e bellissimi e m ^;,enendo tutto 50
della mia bellezza, che sul seno si fo^s^ ^ inaspettato c una
mia lo giudicai un guada S P . modo, ,„„„„a "«"tS,.;
d' «pptendera .«.o ci 6 : compiacendo Socrate ore i che
costui sapeva, già ^ Sicché, con ! ne tenevo non vi so <\ solito
di ' CS4) " ursenza uno accompagna- d- allora io
P». ^,o^.a B toro e me no “i™,“ ' ° bone attenti, e se
dire tutta f sbàttimi. Adunque, io mentisco, tu, bocrate, me ne stavo, amici, ^ meco nei didevo
eh’ egli sarebbe su i o * amato scorsi che un innamorato questo
non a quattr’occhi, e ne 8° 5^0^52 meco come ne fu
nulla, proprio nu s , .era solito, e dopo, passata cou me tutta nata, se
n’andò. Di poi lo . ginnastica (265); troverò quivi il bL" ^
' ;->g-avo. Ebbene fece ginnasdcrt ’«’- lottò spesse volte,
senza che ci fo« nessuno. E che s’ha a dire? No un passo avanti.
Poiché non venivo" nessuna di queste vie, mi parve cheV*^dovesse
assalirlo alla gagliarda, e una voir°u‘ nn ci ero messo, non smettere,
ma oramai che affare é questo. Sicché lo inlv a cenare meco,
tendendogli un agguato propri! come un innamorato all’ amato. E neanche 0
• diede retta subito; pure col tempo s’arrese. Ora la prima volta
eh’e’ci venne, volle, finito dì cenare, andar via. E per quella volta io
ebbi vergogna e lo lasciai andare; ma la seconda, fatto il mio
piano, dopo che ebbe cenato, con¬ versai con lui molto avanti nella
notte, e siccome voleva andar via, col pretesto che fosse tardi, lo
forzai a rimanere. Ora egli si mise a riposare sul letto vicino al mio,
su cui aveva cenato, e nella stanza non v’ erano altri a dormire, fuori
di noi. E, sin qui, è un discorso da potersi fare a chiunque; ma di qui
avanti non mi sentireste parlare, se, prima, dice il proverbio, il
vino non fosse veritiero coi fanciulli e senza 1 fanciulli: e poi mi pare
ingiusto, una volta che mi son messo a far l’elogio di Socrate, di
nascondere un suo superbissimo atto. E per di più l’effetto del morso
della vipera ha luogo anche in me. Giacché raccontano, che la
persona che l’ha provato, non vuol dire com’ egh‘ k stato, se non
a’morsicati, poiché questi soli Convito _ j -inno e
compatiranno, 'siccht i -r. £ o-» do- ite"‘”s°to'’fare
e dire doloroso (jorso fl P potesse essere fTX "®.°e'-e'morso
da discorsi ‘ me gli s‘ ^ ' no neggio d’una vipera, ffamio
operare Agatoni, Ens- , rte vedendomt davmi Aristofam-
simachi, Pausami, ^nsto ^jj^inarlo, e Socrate stesso, che ^ e
dal delirio tanti altri? Che sen. della filosofia siete m
voi B Poiché, dunque, amici, p^^ve^ che io ; i ragazzi
furono usciti, a P lon dovessi pigliarla larga con ^jgsi;
libera quello ^^tto - quello rispo- Socrate, dormi? ^ Che
cosa?- se - Sai tu che cosa ho ^ciso disse. A me diss
to » „ g ti vedo esitare innamorato «ùo degno ' questa di- a
farmene parola. tJr , grande il sposizione-, io ritengo . g y’è
altro che non compiacerti anche melò e se ti faccia
bisogno della sostane-, amici miei. A me
nulla è di . ° deei: quanto diventare il migliore che iT''
''‘"4 CIÒ io credo, che nessuno mi sìa aium à di te.
Ora, a non compiacere un tua fatta io mi vergognerei assai più dav °persone
di senno, che non davanti alla ge stolidi a compiacerlo. E lui ebbe
ascoltato, con aperta ironia, e proL°io'’" è solito, risponde: O
caro Alcibiade rTw m realtà di essere un uomo non dappoco: cade che sieno
vere le cose che tu dici di’ v’è in me una potenza per cui tu potresti
diven¬ tare migliore ; una infinita bellezza tu avresti scorto in
me, e superiore di molto alla venustà eh’ è attorno a te. Sicché se tu,
avendola vista, tenti di accomunarti con me e barattare bellezza
con bellezza, non è piccolo il vantaggio che tu pensi di prendere sopra
di me, anzi in cambio dell apparenza tu cerchi di acquistare la
realtà del bello, e pensi di barattare davvero « oro con ferro. Ma,
beat’uomo, guarda meglio; che io non sia nulla e tu t’inganni. Appunto,
la vista della mente comincia a vedere acuto, quanto quella degli
occhi prende a scemare del vigor suo; ora tu sei ancora lontano da
questo. E io, sentito ciò. Quanto a me — ripigliai —, le mie
disposizioni son quelle, nè se n’ è detto nulla diversamente di come
penso : decidi poi tu come tu credi meglio per te e per me. Ma di ciò
riprese tu dici bene ; sicché a suo tempo ci consiglieremo insieme e
faremo quello che ci parrà il meglio cosi in questa, come in ogni Convito
cpntite e Ora io. P'' “'lomTsaW'.'’*® loi”' “reaovo
aver lanca» ni la- fi'"' /'“Vr“iu. 5o réti C
Latori' P‘“jJ era <1 ly™ le mairi alvino
(attorno a q ^ cosi l’m^era no • £b- ffrtrbtare aire,
::tiot-r:it:'t'rpt venustà mia e la P giudici
che valesse qualcosa fJ / x\o di Socrate chè voi siete affidigli Dn. affé
delle giacché sappiate, che 1 , dormito con Dee, mi
levai da avessi dormito Socrate, “ to maggiore. I con mio padre 0
coi xxxv Ora i^oPO f
*'par;» ; rr lataft e la -e^po-a ' U co^» di
lai, io che m'ero “"rX;°,„ai, goanto come non credevo ?orcr }^conn^.
l^^^niera che a saviezza e fortezza d’animo? Dima 10
non sapevo, come ad » neanche vedevo I rinunziare alla sua compag ’
. conoscevo il modo di conciliarmelo. invulnerabile bene, che al
denaro egli mezzo da ogni parte che Aiace al ferro, e
1 io8 invito con
cui solo credevo che si ni era sfuggito di mano. SiLSf P^end zato,
e fatto schiavo da quest’uo'° ’‘nbaf“‘ mai nessuno da nessun altrui-
<:ome casi m-aran ,„.i seguì» cenimo tuttedduela compagna
f' quivi fummo compagni di mensa cominciare, non solo
nel durar ‘le mi vinceva, ma in ogni altra cosa ogni volta che -
son casi che succedonot'’^““- ra - intercettati in alcun posto, eravamo
os^oT- a rimanere senza cibo, gli altri, quanto Tre? stervi, non
valevano un ette. E d’altra narto banehetti , non c’ era chi sapesse goderne Se
® lui, cosi 111 tutto il resto, come anche nel bere- e non ci ha
gusto —, s’ei v’era costretto, vinceva tutti; e quello che è più
maravighoso, Socrate briaco non c’ è uomo al mondo che l’ab¬ bia
visto mai. E del resto mi pare che di ciò s avrà la prova subito. Q.uanto
poi a resistere al freddo e là gl’inverni sono terribili fa cose
mirabili in tanti altri casi, e una volta, essendo gelato come peggio non
si può, e tutti o non uscendo fuori, o, se pure, coperti tanto da
fare stupire, e calzati e coi piedi rinvoltati in feltri e pelli di
pecora, ecco lui, con un tempo di quella sorta, se n’esce con un mantello
come quello che soleva portare anche prima, e scalzo camminava per
il ghiaccio meglio che gli altt* calzati. I soldati lo sogguardavano come
uno che li sprezzasse. D 'tee e tollerò l’uom forte
or che merita di sentirlo. Ve- „ giorno all’esercrto^ m
un r un pensiero stett r! iJettendo,epof ;;teri E
Csniesse. nta ^ /nomini se n’accor- g;; maravigliati ^l^'^tuminando
qualcosa. ente dall’t^lba J r^g), - poicltè era se-
finirla' alcuni Joni era » io--' a’estate 1 \nsieroe per spiare, se lui sa
all'aria fresca, e si, in ^ ghette •ebbe stato ritto ^ non si
fu levato ritto, sino a che non j^ra al sole il sole; di poi, fatta la preg.
baua- se n’andò via. E ’ - giusto che gh si
glie-giacche questo men^^ , renda -, quando accadd es- generali dettero la_ palma
PP^^^ nou sun altro uomo '"i salvò volle abbandonarmi ferito.
'50 Socrate, c le armi c me. E j». S»»"“ ’ si desse la sin
d’allora dichiarai a g rimp^vero palma a te, e di ciò tu n avendo i
gene- e non dirai che io «tentisco- e covali riguardo al mio gta facesti
premura lendo dare la palma a endessi io e non anche
piò dei generali che i* F no tu. Ancora, amici, valse templar
Socrate, quando ] in fuga da Delio; g sente a cavallo, lui da
f sbaragliati già tutti, egl Lachete, e io m’imbatto
per li à esorto subito a star di buon animo loro di non
abbandonarli. Or hf’no crate mi dette più bello spettacolo che in p
dea — giacché quanto a me stavo meno in pa?' per essere a cavallo
prima, in ciò ch’egb perava di molto Lachete, quanto all’essere p«-
B sente a sè; poi a me pareva, o Aristofane,- sai, la tua frase che anche
li egli camminasse come qui, « in sussiego e guardando di scan- cio
» (282), sbirciando tranquillo, e lasciando scorgere a tutti, persin da molto
lontano, che, se uno lo toccherà, e’ farà difesa ben gagliarda
quest’ uomo. Perciò se ne andava via sicuro e lui e l’altro; giacche
quelli che in guerra mostrano questa disposizione, non li toccano, sto
per dire, neppure; invece quelli che fuggono C alla dirotta, questi sì,
gl’inseguono. Ora, di molte altre cose e mirabili uno potrebbe lodare
Socrate, però in altre parti si po¬ trebbe forse dire lo stesso anche di
altri, ma quel non essere simile a nessuno nò tra gli antichi nò
tra i presenti, questo a me par degno di ogni maraviglia. Giacché Brasida
e altri uno se li potrebbe
figurare come fu Achille; e come D d’altronde e Pericle, così Nestore e
Antenore; t ve ne sono diversi ; e gli altri uno se li potrebbe figurare
del pari; ma uno fatto in originalità, e lui e i suoi f ;tono.
P“/““ ‘S ù. r‘*‘Jbe’ neppn^® a meno che non si as- non
a nessun uomo, ma . vho tralasciato sinora-, che
Glacchèquesto to somigliantissitni a. E nche i discorsi di 1
volesse Sileni che s’aprono. prima gli pat' jS.«p ‘
‘r'” tts^òl p»°'p ' >' rebbero da ridere, tal propriamente
di I So»i 1“„S i “t Satiro petulante, p sempre
e calzolai e ’ ^lodo, sicché ogni per- stesse cose nello smss
aerebbe sona inesperw e priva 3, beffa dei suoi discon
. rima le vede aperti e p j^^nno lì „ov«à i soli
.<!?'“' in sè «pia poi dmn®n» ' „.i,o an« di
simulacri di Virtù, conviene meditare con mira a tutto per bene,
a chi voglia essere una p lodo Queste, o amici, son . quelle
di Socrate; e in <^he egli m’ha cui lo biasimo, v ho
questo sol- B offeso. E, in fede nnn.non .^ne tanto a
me, ma anche tantissimi e ad Eutidemo di Diocle ^ altri, ai
quali lui dando ad intendere di v 1 essere ramante, se n’è fatto l’amato
in camk-'^ d’amante. È appunto quello che dico anche*° te, Agatone;
non ti lasciare ingannare da lup ma ammaestrato da’ casi nostri, tienti
in guardia* e non imparare, secondo il proverbio, come un ragazzo,
a tue spese. Quando Alcibiade ebbe finito di parlare, si fece,
raccontava, un gran ridere della franchezza con cui egli si dava a
divedere tuttora innamorato di Socrate. E Socrate O Alcibiade dice, tu non sei
per niente briaco, mi pare; altrimenti non ti saresti provato, rigirando
il di¬ scorso con tanta finezza, ad occultare la causa per cui hai
detto tutte queste cose ; e l’hai messo poi come di passaggio, in fine,
quasi non D avessi detto ogni cosa per metter male fra me e
Agatone, giacché, a parer tuo, io devo amar te e nessun altro, e Agatone
deve esser amato da te, e da nessun altro al mondo. Ma ti sei fatto
capire; chè cotesto tuo dramma satirico e Silenico s’è scoperto. Ma, caro
Agatone, ch’egli non ne profitti punto; anzi, fa proposito, che te
e me non ci separi nessuno. E Agatone risponde: Certo, o Socrate, tu risichi di
dire il E vero: e lo argomento anche da questo ch’egli s’è messo a
giacere fra te e me, appunto per separarci. Or bene, egli non ne
profitterà niente affatto; anzi, ecco, mi levo e mi metto a giacere, dice
Alcibiade , q proposto Jm’ba a dare lascia,
to"'" Iffarnii in wtto. Ma se ^ d' lomo che Agatone si
lodato niirabd u^'!: Socrate u capo nie, in uomo,
lascia ria me? (^9°^ ^ ’ onesto giovinetto che sia re e
non invidiare f^pto desiderio di
lodato da me; chè . y, -soggiunse Agatone -, no^ mai. di mutar
posto, risoluto, ora P" siamo alle sohte esser
lodato da g^^ate, b mtpos- rispose Alcibiade , P belle per
sibila a chiunque altro di g persuasivo sene. E »«' « p^cUi «stm
» ha trovato e con clie u giaccia vicino a lui 1
Agatone, dunque dar a sdraiarsi accanto S ^ue .ir
improvviso s i, uscita di uno, si [ porte; e trovatele aper P ^ ^
g,^eerc, l fecero avanti m ver . ^i a bere vino I c tutto andò
sossopra e SI tu o quello che dicessero, Aristodemo dichiarasse? non
ricordarsene nel resto; poiché non v’aveS D assistito da principio, e
sonnecchia ; ma la som? ma, diceva, era, che Socrate li costringeva
a convenire, che appartenga allo stesso uomo il saper fare tragedia
e commedia, e chi per virtù d’arte (291) sia autor tragico, sia anche
comico; del che costretti a consentire, senza seguire gran fatto,
prendessero sonno, e prima si fosse addormentato Aristofane, poi, a giorno
fatto, Agatone. Quanto a Socrate, dopo averli messi a dormire, si levasse
e se ne andasse via, e lui, com’era solito, lo seguisse; e andato
al Liceo, lavatosi, vi si trattenesse come al¬ tre volte, il
rimanente della giornata, e trat¬ tenutosi cosi, andasse poi la sera a
riposare a casa. Francesco Saverio Dòdaro. Dodaro. Keywords: tracce
di un discorso amoroso, mappatura, signature, segnatura, cantata duale, cantata
plurale, cantata duale, origine del romano, edipo, caino, mancanza di Lanca,
communicazione inter-mediale, communicazione inter-mediale e luto, immagine e segno,
senso, sensibilia, visibilia, Freud, Jakobson, Levi-Strauss, Magritte, “silenzo
silenzo silenzo silenzo” Catullo poema rima ritmo batto cuore figlio madre
padre orale genitale ma-ma etymology of ‘altro’ – Hegel on conscience of ego
and conscience of alter, Sartre on ‘nous’ and love affair – infinito – lingua a
codice – codice come ripetizione – ripetizione dei suoni del cuore – ontogenesi
ripete filogenesi – commune, vacuum del ventre della madre, etimologia di
termine chiave, fonema, unita etica, unita emica, Speranza, Schultz, unita
emica come classe di unita etica – criterio: un accordo o codice di relevanza –
l’intenzione del mittente. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dòdaro” – The
Swimming-Pool Library. Dodaro.
Grice e Dolabella: la ragione conversazionale all’orto romano -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano.Publio A follower of the philosophy of the Garden, and the son-in-law
of Cicerone. The achieved the distinction of being pronounced a public enemy by
the Roman Senate. He ordered one of his soldiers to kill him. Publio Cornelio
Dolabella. Dolabella.
Grice e Dommazio: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A philosopher, known only from a surviving bust.
Dogmatius. Dommatio. Dommazio.
Grice e Donà: la
ragione conversazionale e la sessualità – scuola di Venezia—filosofia veneziana
– filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo veneziano. Filosofo veneto. Filosofo italiano.
Venezia, Veneto. Grice: “Well, Donà has philosophised on almost anything – I
drank wine; he philosophises on it – ‘bacchiana,’ he calls it – he has also
philosophised on ‘eros’ for which he uses the very Italian idea of ‘sesso.’ –
And he has also punned with ‘di-segnare’ – ‘di-segno’ – In sum, a genius!” Si laurea a Venezia sotto Severino, presso la Facoltà
di Lettere e Filosofia dell'Venezia, iniziai a pubblicare diversi saggi per
riviste e volumi collettanei, partecipando, lungo il corso degli anni ottanta,
a diversi convegni e seminari in varie città italiane. A partire dalla fine
degli anni ottanta, collabora con Cacciari presso la cattedra di Estetica
a Venezia e coordina per alcuni anni i seminari dell'Istituto Italiano per gli
Studi Filosofici di Venezia. Sempre a partire dalla fine degli anni ottanta,
inizia la sua collaborazione con la rivista di architettura Anfione-Zeto, della
quale dirige ancora oggi la rubrica Theorein. In quegli stessi anni, fonda, con
Cacciari e Gasparotti, la rivista Paradosso. Negli anni novanta, invece, ha
insegnato Estetica presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia. Attualmente
insegna Metafisica e Ontologia dell'arte presso la Facoltà di Filosofia
dell'Università Vita-Salute San Raffaele di Milano. È inoltre curatore, sempre
con Gasparotti e Cacciari, dell'opera postuma del filosofo Emo. Dirige per la
casa editrice AlboVersorio le collane "Libri da Ascoltare" e
"Anime in dettaglio" ed è membro del comitato scientifico del
festival La Festa della Filosofia. Ha scritto diversi saggi e articoli per riviste,
settimanali e quotidiani di vario genere. Collabora con il settimanale
"L'Espresso". Attività musicale In qualità di musicista, dopo
aver esordito, ancor giovane, con Giorgio Gaslini e con Enrico Rava, forma un
suo gruppo: i Jazz Forms, di cui è leader. In seguito sviluppa il suo
linguaggio trasformando l'idioma ancora bop dei primi anni in una scrittura più
articolata in cui entrano in gioco elementi tratti dalla musica rock e da molte
esperienze etniche maturate nel frattempo con diversi gruppi musicali. Si
esibisce in diverse città italiane con un sestetto, in cui ad accompagnarlo
sono una chitarra, una batteria, un basso, delle percussioni e una tastiera.
Nasce così il D. Sextet. Suona con
musicisti che sarebbero diventati protagonisti della scena musicale italiana.
Suona in jam session anche con alcuni padri storici del jazz, come Gillespie, Brown,
Gordon e Drew. Riprende a suonare professionalmente e forma un nuovo gruppo: il
D. Quintet, con il quale si esibisce in Italia e all'estero. Il quintetto
diventa quindi un quartetto; che è la formazione con cui Donà suona da almeno
tre anni. A tutt'oggi il nostro ha all'attivo ben sette CD incisi con suoi
gruppi. La sua etichetta di riferimento è sempre la "Caligola
Records", il cui responsabile artistico è Claudio Donà, fratello di
Massimo e importante critico musicale jazz. Altre opere: “Il 'bello, o di
un accadimento. Il destino dell'opera d'arte” (Helvetia, Venezia); “Le forme
del fare” (Liguori, Napoli); “Sull'assoluto (Per una reinterpretazione
dell'idealismo Hegeliano” (Einaudi, Torino); “Aporia del fondamento” (La Città
del Sole, Napoli); “Fenomenologia del negative” (Edizioni Scientifiche
Italiane, Napoli); “Arte, tragedia, tecnica” (Raffaello Cortina Editore,
Milano); “L' Uno, i molti: Rosmini-Hegel un dialogo filosofico” (Città Nuova,
Roma); “Aporie platoniche. Saggio sul ‘Parmenide’” (Città Nuova, Roma); “Filosofia
del vino” (Bompiani, Milano); Magia e filosofia (Bompiani, Milano); Joseph
Beuys. La vera mimesi, Silvana Editoriale, Cinisello Balsamo (Milano); Sulla
negazione, Bompiani, Milano); Serenità: una passione che libera, Bompiani,
Milano); La libertà oltre il male” (Città Nuova, Roma); Il volto di Dio, la
carne dell'uomo, con Piero Coda, AlboVerosio, Milano); Dell'arte in una certa
direzione” (Supernova, Venezia); “Filosofia della musica, Bompiani); Il mistero
dell'esistere: arte, verità e insignificanza nella riflessione teorica di Magritte”
(Mimesis, Milano); L'essere di Dio. Trascendenza e temporalità” (AlboVersorio,
Milano); Dio-Trinità. Tra filosofi e teologi” (Bompiani, Milano); Arte e filosofia”
(Bompiani, Milano); “L'anima del vino. Ahmbè, Bompiani, Milano); “Non uccidere”
(AlboVersorio, Milano); L'aporia del fondamento, Mimesis, Milano), “I ritmi
della creazione” (Bompiani, Milano); La "Resurrezione" di Piero della
Francesca, Mimesis, Milano); Il tempo della verità, Mimesis, Milano; Non avrai
altro Dio al di fuori di me” (AlboVersorio, Milano); “Il conciliabile e L'inconciliabile.
Restauro Casa D'Arte Futurista Depero” (Mimesis, Milano-Udine PANTA decalogo” (Bompiani, Milano); Filosofia.
Un'avventura senza fine, Bompiani, Milano); Comandamenti. Santificare la festa”
(il Mulino, Bologna Abitare la soglia.
Cinema e filosofia, Mimesis, Milano-Udine); “Eros e tragedia, AlboVersorio,
Milano); “Il vino e il mondo intorno. Dialoghi all'ombra della vite” (Aliberti,
Reggio Emilia Figure d'Occidente.
Platone, Nietzsche e Heidegger” (AlboVersorio, Milano); “Le verità della
natura, AlboVersorio, Milano”; “Filosofia dell'errore” – errore vero, la verita
come errore relative – “Le forme dell'inciampo, Bompiani, Milano); “Parmenide.
Dell'essere e del nulla” (AlboVersorio, Milano); “Eroticamente: per una
filosofia della sessualità” (il prato, Saonara (Padova) Misterio grande. Filosofia di Giacomo
Leopardi, Bompiani, Milano); “Pensare la Trinità. Filosofia europea e orizzonte
trinitario” (Città Nuova, Roma Erranze (Gatto),
AlboVersorio, Milano); L'angelo musicante. Caravaggio e la musica” (Mimesis
Edizioni, Milano-Udine); “Parole sonanti. Filosofia e forme dell'immaginazione”
(Moretti & Vitali, Bergamo J.
Wolfgang Goethe, Urpflanze. La pianta originaria; Albo Versorio, Milano); La
terra e il sacro. Il tempo della verità, Luca Taddio, Mimesis, Milano); Teomorfica.
Sistema di estetica” (Bompiani, Milano); “Sovranità del bene. Dalla fiducia
alla fede, tra misura e dismisura, Orthotes, Salerno); “Senso e origine della
domanda filosofica, Mimesis, Milano-Udine); “La filosofia di Miles Davis. Inno
all'irrisolutezza” (Mimesis, Milano-Udine); “Dire l'anima. Sulla natura della
conoscenza” (Rosenberg e Sellier, Torino); “Tutto per nulla. La filosofia di Shakespeare”
(Bompiani, Milano); “Pensieri bacchici. Vino tra filosofia, letteratura, arte e
politica” (Edizioni Saletta dell'Uva, Caserta); “In Principio. Philosophia sive
Theologia. Meditazioni teologiche e trinitarie, Mimesis, Milano-Udine); “Di
un'ingannevole bellezza. Le "cose" dell'arte” (Bompiani-Giunti,
Milano); “La filosofia dei Beatles” (Mimesis, Milano-Udine); “Un pensiero
sublime: saggi su Gentile” (Inschibboleth, Roma); “Dell'acqua” (La nave di
Teseo, Milano); “Essere e divenire: riflessioni sull'incontraddittorietà a
partire da Fichte” (Mimesis, Milano-Udine); “Di qua, di là. Ariosto e la
filosofia dell'Orlando Furioso” (La nave di Teseo, Milano); “Miracolo naturale.
Leonardo e la Vergine delle rocce” (Mimesis, Milano); "Arte e
Accademia", in Agalma; New Rhapsody in blue, Caligola Records; For miles
and miles, Caligola Records; Spritz, Caligola Records; “Cose dell'altro mondo.
Bi Sol Mi Fa Re, Caligola Records); Ahmbè, Caligola Records; Big Bum, Caligola
Records; Il santo che vola. San Giuseppe da Copertino come un aerostato nelle
mani di Dio, Caligola Records
Iperboliche distanze. Le parole di Andrea Emo, Caligola Records. Il
mistero della bellezza svelato da Massimo Donà. Intervista Alberto Nutricati,
in L'Anima Fa Arte Blog e Rivista di Psicologia Video-intervista sul mistero
dell'esistenza, su asia. "Arte e Accademia", in Agalma, Wikipedia
Ricerca Mascolinità assieme di qualità, caratteristiche o ruoli associati a
ragazzi o uomini La mascolinità (o il genere maschile) è un insieme di attributi,
comportamenti e ruoli generalmente associati agli uomini. La mascolinità è
costruita socialmente e culturalmente, anche se alcuni comportamenti
considerati maschili, come indica la ricerca, sono biologicamente influenzati. Fino
a che punto la mascolinità sia influenzata biologicamente o socialmente è
oggetto di dibattito. Il genere maschile è distinto dalla definizione del sesso
biologico maschile, poiché sia i maschi che le femmine possono esibire
caratteristiche maschili. Nella
mitologia greca Eracle è uno dei massimi simboli di mascolinità. Gli standard
di mascolinità variano a seconda delle diverse culture e periodi storici. Le
caratteristiche tradizionalmente, culturalmente e socialmente considerate
maschili nella società occidentaleincludono virilità, forza, coraggio,
indipendenza, leadership e assertività. Il machismo è una forma di mascolinità
che enfatizza il potere ed è spesso associata a un disprezzo per le conseguenze
e la responsabilità. Il suo opposto può
esser espresso dal termine effeminatezza. Uno dei sinonimi maggiormente usati
per indicare la mascolinità è virilità, dal latino virche significa uomo. Contesti storici e culturali L'interpretazione
ed il riconoscimento della mascolinità variano all'interno dei diversi contesti
storici e culturali. Nell'antichità era prevalente prendere a modello l'uomo
d'arme; la figura del dandy, tanto per fare solo un esempio, è stato
considerato un ideale di mascolinità nel XIX secolo, mentre è considerato al
limite dell'effeminato per gli standard moderni. Le norme tradizionali maschili, così come
vengono descritte nel libro del Dr. Ronald F. Levant intitolato
"Mascolinità ricostruita" sono: evitare ogni accenno di femminilità,
non mostrare le proprie emozioni, tenere ben separato il sesso dall'amore,
perseguire il successo e raggiungere uno status sociale più elevato,
l'autonomia (il non aver mai bisogno dell'aiuto di nessuno), la forza fisica e
l'aggressività, infine l'omofobia (disprezzo per il frocio, il finto maschio).
Queste norme servono a riprodurre simbolicamente il ruolo di genere associando
gli attributi e le caratteristiche specifiche creduti appartenere di diritto al
genere maschile. Lo studio accademico
della mascolinità ha subito una massiccia espansione d'interesse, con corsi
universitari che si occupano della mascolinità passati da poco più di 30 ad
oltre 300 negli Stati Uniti. Questo ha portato anche a ricerche riguardanti la
correlazione tra concetto di mascolinità e le varie forme possibili di
discriminazione sociale, ma anche per l'uso che del concetto se ne fa in altri
campi, come nel modello femminista di costruzione sociale del genere. Natura ed educazioneModifica Competizione sportiva, scontro fisico e
militarismo sono caratteristiche della mascolinità che appaiono in forme
analoghe in quasi tutte le culture del mondo. La misura in cui l'espressione
della propria mascolinità possa esser un fatto di natura o il risultato di
un'educazione (e quindi appartenente all'ampio spettro del condizionamento
sociale) è stato oggetto di molte discussioni.
La ricerca sul genoma umano ha dato importanti informazioni circa lo
sviluppo delle caratteristiche maschili ed il processo di differenziazione
sessuale specifico per il sistema riproduttivo degli esseri umani: il TDF sul
cromosoma Y, che è fondamentale per lo sviluppo sessuale maschile, attiva la
proteina chiamata "Fattore di trascrizione SOX9" la quale aumenta
l'ormone antimulleriano che reprime lo sviluppo femminile nell'embrione. Vi è ampio dibattito poi su come i bambini
sviluppino a partire dalla realtà corporea una propria identità di genere; chi
la considera un fatto di natura sostiene che la mascolinità è inestricabilmente
collegata al corpo umano maschile, ed in tale visione diventa qualcosa che è
legato al sesso maschile biologico, cioè all'apparato genitale maschile il
quale diviene così l'aspetto fondamentale della mascolinità. Altri invece suggeriscono che, mentre la
mascolinità può essere influenzata da fattori biologici, è anche però
ampiamente costruita culturalmente; la mascolinità non avrebbe quindi una sola
fonte d'origine o creazione, ma sarebbe anche associata a certi condizionamenti
sociali. Un esempio di mascolinità socializzata è quella rappresentata dallo
spuntare della barba, cioè dall'avere peli sul viso: l'adolescente che viene
considerato e trattato da uomo a partire dal momento in cui comincia a radersi. Mascolinità egemonicaModifica Magnifying
glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Maschilismo. Esempio di maschio poco più che adolescente
con corpo muscoloso. Nelle culture tradizionali la maniera principale per gli
uomini di acquistare onore e rispetto era quello di arrivare a mantenere
economicamente la propria famiglia assumendone al contempo anche il comando e
la leadership[23]. Raewyn Connell ha etichettato i tradizionali ruoli e
privilegi maschili col termine di mascolinità egemonica, cioè la norma
maschile, qualcosa a cui tutti gli uomini dovrebbero aspirare e che le donne
invece sono scoraggiate dall'adottare: "Configurazione del genere come
prassi che incarna la risposta accettata al problema della legittimità
patriarcale... che garantisce la posizione dominante degli uomini e la
subordinazione delle donne. Pleck sostiene che una gerarchia di mascolinità tra
gli uomini esiste in gran parte nella dicotomia riferita all'orientamento
sessuale tra maschio eterosessuale e non-maschio omosessuale e spiega che
"la nostra società utilizza la dicotomia etero-omo come simbolo centrale
per tutte le sue classifiche di mascolinità, distinguendo i veri uomini dotati
di virilità da quelli che invece lo sono solo per finta. Kimmel promuove questo
concetto, aggiungendo però anche che il tropo "sei gay" indica che
uno è innanzitutto privo di mascolinità, prima ancora d'indicare un maschio
attratto da persone del proprio stesso sesso. Pleck conclude sostenendo che per
evitare la continuazione dell'oppressione maschile sopra le donne, sopra gli
altri uomini, ma anche sopra se stessi, debbono essere eliminate una volta per
tutte le strutture ed istituzioni patriarcali dall'auto-consapevolezza
maschile. CriticheModifica Si tratta di
un argomento dibattuto la questione se i concetti di mascolinità seguiti
storicamente debbano ancora continuare ad essere applicati. I ricercatori hanno
rilevato un corrente di critica alla mascolinità, dovuta al rimodellamento dei
valori contemporanei, ai gruppi femministi più attivi che hanno assunto per sé
certi ruoli tradizionali appartenenti alla mascolinità, all'ostilità culturale
che la società d'oggi ha in certi casi posto sui cosiddetti valori maschili, ed
infine anche alla promozione della mascolinità nella donna abbinata ad un
pressione rivolta agli uomini per femminilizzarsi. Le immagini di ragazzi e giovani uomini
presentati nei mass media possono portare alla persistenza di concetti nocivi
alla mascolinità; gli attivisti per i diritti degli uomini sostengono che i
media non prestano una seria attenzione alle questioni relative ai diritti
maschili e che gli uomini vengono spesso dipinti in una luce negativa,
soprattutto nella pubblicità. Jackson scrive che le forme dominanti di
mascolinità possono essere di sfruttamento economico e di oppressione sociale.
Egli afferma che "la forma di oppressione varia dai controlli patriarcali
sui corpi delle donne e dei diritti riproduttivi, attraverso le ideologie di
domesticità, femminilità ed eterosessualità obbligatoria, alle definizioni
sociali del valore del lavoro, le presunte maggiori abilità naturali del
maschio e la remunerazione differenziale del lavoro produttivo e riproduttivo. Il
lavoro meccanico in fabbrica è associato con la mascolinità tradizionale.
Nozione di mascolinità in crisiModifica Un discorso sulla crisi della
mascolinità è emerso negli ultimi decenni, sostenendo l'ipotesi che il concetto
di mascolinità si trovi oggi nella civiltà occidentale in uno stato di più o
meno profonda crisi. La crisi è anche stata spesso attribuita alle politiche
conseguenti al femminismo in risposta sia al presunto dominio degli uomini
sulle donne, sia ai diritti attribuiti socialmente sulla base del proprio sesso
d'appartenenza. Altri vedono il mercato
del lavoro in costante evoluzione come fonte della crisi della mascolinità, la
deindustrializzazione e la sostituzione delle vecchie fabbriche con nuove
tecnologie ha permesso ad un numero sempre maggiore di donne di entrare in
questo mercato competendo alla pari con gli uomini, riducendo al contempo la
necessità e domanda di forza fisica. Tendenze contemporaneeModifica L'operaio edile, esempio moderno di
mascolinità. Anche se gli stereotipi effettivi siano rimasti relativamente
costanti, il valore collegato alla concetto di mascolinità maschile è in parte
cambiato nel corso degli ultimi decenni, ed è stato sostenuto che la
mascolinità è pertanto un fenomeno instabile e mai raggiunto in modo
definitivo. Secondo un documento
presentato all'American Psychological Association: "Invece di vedere una
diminuzione dell'oggettivazione delle donne nella società, si è recentemente
verificato un aumento nell'oggettivazione di entrambi i sessi. Uomini e donne
possono limitare la loro assunzione di cibo nello sforzo di ottenere quello che
considerano un corpo attraente sottile, in casi estremi portando anche a gravi
disturbi alimentari. Sia gli uomini che
le donne più giovani che leggono riviste di fitness e di moda potrebbero essere
psicologicamente danneggiati dalle immagini perfette di fisico femminile e
maschile che vedono: alcune giovani donne e uomini si esercitano eccessivamente
nel tentativo di raggiungere ciò che essi considerano una forma corporea più
attraente, che in casi estremi può portare a disordine dismorfico del corpo
(dismorfofobia) o dismorfismo muscolare (anoressia riversa). Terminologia I
concetti di mascolinità sono variati a seconda del tempo e del luogo e sono
soggetti a costanti cambiamenti, quindi è più appropriato parlare di
mascolinità al plurale che di una singola tipologia di mascolinità. Constance L. Shehan, Gale
Researcher Guide for: The Continuing Significance of Gender, Gale, Cengage
Learning, .google. com/books/about/ Masculinity_and_ Femininity_in_ the_MMPI_2 l?id=5
KLPlmrwhat+masculinity+and+ femininity +are%22 google.com/ books/ about/ GenderNature_and_Nurture.html?id=R6OP
AgAAQBAJ&q=%22biology+contributes %22+%22 masculinity+ and+femininity %2 2about/The_Sociology_of_
Gender.html?id=SOTqz UeqmN MC&q=%22+ biological +or+genetic+contributions Ferrante,
Sociology: A Global Perspective, 7th, Belmont,
CA, Wadsworth, What do we mean by 'sex' and 'gender'?, su who.int, World Health
Organizationbooks .google.com/books? id=jWj5OBvTh1IC&q=%22 meanings+of+man hood+vary%22/ sk.sagepub. com/
books/ theorizing- masculinities/n7larchive.org/ details/ femininitymascul co.uk/books?id=-RxIUDYIuiIC&pg=PT24 8britannica. com
/ E Bchecked/topic machismo Roget’s II:
The New Thesaurus, Houghton Mifflin,Treherne, The Warrior's Beauty: The
Masculine Body and Self-Identity in Bronze-Age Europe, Journal of European
Archaeology Reeser, Masculinities in Theory: An Introduction, Wiley, Levant e
Gini Kopecky, Masculinity Reconstructed: Changing the Rules of Manhood—At Work,
in Relationships, and in Family Life, New York, Dutton, Dornan, Blood from the
Moon: Gender Ideology and the Rise of Ancient Maya Social Complexity, Rolla M.
Bradley, Masculinity and Self Perception of Men Identified as Informal Leaders,
Pro Quest, Flood, International Encyclopaedia of Menand Masculinities,
Routledge, Moniot, Faustine Declosmenil, Francisco Barrionuevo, Gerd Scherer,
Kosuke Aritake, Safia Malki, Laetitia Marzi, Ann Cohen-Solal, Ina Georg, Jürgen
Klattig, Christoph Englert, Yuna Kim, Blanche Capel, Naomi Eguchi, Yoshihiro
Urade, Brigitte Boizet-Bonhoure e Francis Poulat, The PGD2 pathway,
independently of FGF9, amplifies SOX9 activity in Sertoli cells during male
sexual differentiation, in Development, The Company of Biologists Ltd., Reeser,
Masculinities in Theory: An Introduction, Wiley, Reeser, Masculinities in
Theory: An Introduction, Wiley, George, Reinventing honorable masculinity Men
and Masculinities ^ R.W. Connell, Masculinities, Berkeley, University of
California Understanding Patriarchy and Men's Power | NOMAS in Internet Archive. ^ Kimmel and Lewis, Mars
and Venus, Or, Planet Earth?: Women and Men in a New Millenium [sic]. Kansas Farrell,
W. & Sterba, Does Feminism Discriminate Against Men: A Debate (Point and
Counterpoint), New York: Oxford University Press. ^ Peter Jackson, The Cultural
Politics of Masculinity: Towards a Social Geography, in Transactions of the
Institute of British Geographers, Horrocks, Masculinities in Crisis: Myths,
Fantasies, and Realities, St. Martin's, Robinson, Marked Men: White Masculinity
in Crisis, New York, Columbia, Beynon, Chapter 4: Masculinities and the notion
of 'crisis', in Masculinities and culture, Filadelfia, Open University, Beynon,
Masculinities and the notion of 'crisis', in Masculinities and culture,
Filadelfia, Open Pressure To Be More Muscular May Lead Men To Unhealthy
Behaviors Archiviato il 18 giugno 2008 in Internet Archive. ^ Magazines 'harm
male body image', in BBC News, Muscle dysmorphia – Ask Men.com Men Muscle in on
Body Image Problems | LiveScience ^ R. W. Connell, Masculinities, Polity,
Beynon, Chapter 4: Masculinities and the notion of 'crisis', in Masculinities
and culture, Filadelfia, Open Reeser, Masculinities in theory: an introduction,
Malden, MA, Blackwell, Connell, 3, in The Social Organization of Masculinity,
Berkeley (California)-Los Angeles, Polity, Levine, Gay Macho. New York: New
York Stibbe, Health and the Social Construction of Masculinity in Men's Health
Magazine." Men and Masculinities; Strate, Lance "Beer Commercials: A
Manual on Masculinity" Men's Lives Kimmel, Michael S. and Messner, Michael
A. ed. Allyn and Bacon. Boston, London: Situazione attuale Arrindell, Masculine
Gender Role Stress" Psychiatric Times Ashe, Fidelma The New Politics of
Masculinity, London and New York: Routledge. bell hooks, We Real Cool: Black
Men and Masculinity, Taylor & Francis 2Broom A. and Tovey P. Men's Health: Body, Identity and Social
Context London; Wiley. Burstin, What's Killing Men". Herald Sun
(Melbourne, Australia). Canada, Geoffrey "Learning to Fight" Men's
Lives Kimmel, Michael S. and Messner, Michael A. ed. Allyn and Bacon. Boston,
London: Connell, Masculinities, Cambridge, Polity Press, Courtenay, Will
"Constructions of masculinity and their influence on men's well-being: a
theory of gender and health" Social Science and Medicine, Donovan, The way
of men, Milwaukie, Oregon, Dissonant Hum, Meenakshi Durham e Oates, The
mismeasure of masculinity: the male body, 'race' and power in the enumerative
discourses of the NFL Draft, in Patterns of Prejudice, Galdas and Cheater Indian and Pakistani men's
accounts of seeking medical help for angina and myocardial infarction in the
UK: Constructions of marginalised masculinity or another version of hegemonic
masculinity? Qualitative Research in Psychology Juergensmeyer, Why guys throw
bombs. About terror and masculinity Kaufman, Michael "The Construction of
Masculinity and the Triad of Men's Violence". Men's Lives Kimmel, and
Messner, ed. Allyn and Bacon. Boston, London: Levant & Pollack A New
Psychology of Men, New York: BasicBooks Mansfield, Harvey. Manliness. New
Haven: Yale, Reeser, T. Masculinities in Theory, Malden: Blackwell, Robinson, Not
just boys being boys: Brutal hazings are a product of a culture of masculinity
defined by violence, aggression and domination. Ottawa Citizen (Ottawa,
Ontario). Stephenson, Men are Not Cost Effective: Male Crime in America. Simpson, Male impersonators: men performing
masculinity, Londra, Cassell, Walsh, Fintan. Male Trouble: Masculinity and the
Performance of Crisis. Basingstoke and New York: Palgrave Macmillan, Williamson,
Their own worst enemy" Nursing Times: Wray Herbert "Survival
Skills" U.S. News & World Report Masculinity for Boys, su
unesdoc.unesco.org, pubblicato dall'UNESCO, Nuova Delhi, 2006. ( EN ) Bonnie G.
Smith e Beth Hutchison, Gendering disability, Londra, Rutgers University
Press, Stephany Rose, Abolishing White
masculinity from Mark Twain to hiphop: crises in whiteness, Lanham, Lexington, Nella storia Michael Kimmel, Manhood in
America, New York etc.: The Free Press A Question of Manhood: A Reader in U.S.
Black Mens History and Masculinity, edited by Earnestine Jenkins and Darlene
Clark Hine, Indiana, Taylor, Castration: An Abbreviated History of Western
Manhood, Routledge 2002 Klaus Theweleit, Male fantasies, Minneapolis :
University of Minnesota and Polity, Stearns, Be a Man!: Males in Modern
Society, Holmes & Meier Shuttleworth, Disabled Masculinity. Gendering
Disability. Ed. Smith and Hutchison. Rutgers, New
Brunswick, New Jersey, Voci correlate Modifica Androgino Bromance Bushidō
Castro clone Comunità ursina Femminilità Indice di mascolinità Leather
Patriarcato (antropologia) Sessismo Twink (linguaggio gay) The Men's
Bibliography, bibliografia completa sulla mascolinità. Boyhood Studies,
bibliografia sulla mascolinità giovanile. Practical Manliness, sugli ideali
storici della mascolinità applicati agli uomini moderni. The ManKind Project of
Chicago, supporting men in leading meaningful lives of integrity,
accountability, responsibility, and emotional intelligence NIMH web pages on
men and depression, sulla depressione maschile. Article entitled "Wounded Masculinity: Parsifal
and The Fisher King Wound" Il simbolismo storico che si riferisce alla
mascolinità, di Richard Sanderson M.Ed., B.A. BULL, sulla narrativa maschile.
Art of Manliness, sull'arte mascolina. The Masculinity Conspiracy, critica
mascolina online. Future Masculinity, corso di critica sulla mascolinità.
Portale Antropologia Effeminatezza termine
Michael Messner (sociologo) sociologo statunitense Privilegio maschile privilegio sociale degli
individui maschi derivante solamente dal loro sesso. Massimo Donà. Dona. Keywords:
sessualità, eroticamente, per una filosofia della sessualità. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Donà” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Donatelli: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’esperienza – scuola
di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza
(Roma).
Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma,
Lazio. Grice: “I like Donatelli – his titles can be too expansive, like the one
about ‘philosophy and common experience,’ as a subtitle, which incorporates the
all too controversial notion of experience simpliciter!” L’etica, la sua storia
e le problematiche contemporanee sono al centro dei suoi interessi. Studia a Roma,
dove ha conseguito la laurea e il dottorato. Insegna alla Luiss Guido Carli.
Insegna a Roma. La sua ricerca spazia dalla ricognizione dei classici
dell’etica alla filosofia morale contemporanea. Si occupa della riflessione
sulla vita umana, in bioetica e nel pensiero teoretico e politico, e del
pensiero ambientale. Nel dibattito bio-etico ha difeso una concezione laica
delle istituzioni. La sua proposta si situa nella filosofia di ispirazione
wittgensteiniana (Cavell, Diamond, Murdoch) che fa incontrare con i temi del
pensiero democratico e perfezionista nella scia della filosofia di Mill. Dirige
la rivista Iride. Filosofia e discussione pubblica (il Mulino). È membro di
numerosi comitati, tra cui del comitato scientifico di Bioetica. Rivista
Interdiscliplinare ed Etica e Politica. Altre opere: “Filosofia morale.
Fondamenti, metodi, sfide pratiche” (Milano, Le Monnier, Il lato ordinario della vita. Filosofia ed
esperienza comune” (Bologna, il Mulino, Etica. I classici, le teorie e le linee
evolutive, Torino, Einaudi); “Quando giudichiamo morale un’azione?” (Roma-Bari,
Laterza); Decidere della propria vita, Roma-Bari, Laterza); “La vita umana in
prima persona duale” (Roma-Bari, Laterza); “Manuale di etica ambientale”
(Firenze, Le Lettere); “James Conant e Cora Diamond, Rileggere Wittgenstein,
Roma, Carocci); “Mill, Roma-Bari, Laterza); “Virtù” (Roma, Carocci); Immaginazione
e la vita morale, Roma, Carocci); La filosofia morale, Roma-Bari, Laterza); Wittgenstein
e l’etica, Roma-Bari, Laterza);Etica analitica. Analisi, teorie, applicazioni”
Milano, LED,I destini dell'etica
Bioetica e progresso morale dell'Italia, su
ilrasoiodioccam-micromega.blogautore.espresso.repubblica. Bioetica Consulta
di bioetica The Italic branch
consists of Latin on the one hand and of the Urabrian-Samnitic dialects,
on the other. Latin, with which the little known dialect Sf Faleriv
is closely related. So long as the language is confined to Latium, there
exists no dialectical differences of any importance. The contrast between
the popular and the literary language, which arise from Livio Andronico –
up to Cicero -- becomes sharper in the classical period, and the further
development of the former is almost entirely lost to our observation
until the Middle Ages, when the popular Latin of the various provinces of
the Roman empire meets us in a form more or less changed and with a
rich development of what we know call Italian. We should also consider the
development of the Latin of antiquity. Cp. Corssen Uber Aussprache,
Vocalismus und Betonung der lateinischen Sprache, Leipzig Kuhner
Ausfiihrliche Grammatik der lateinischen Sprache, Hannover, Stolz and
Schmalz Lateinische Grammatik, in Muller’s Handbuch der klass.
Altertumsw. IThe Umbrian-Samnitic dialects are known to a certain extent
through inscriptions, and through words quoted by Roman writers. We are
best acquainted with Umbrian (Breal Les tables Eugubines, Paris Biichelor
Umbrica, Bonn) and Oscan (Zvotaieff Sylloge inscriptionum Oscarum,
Petersburg- Leipzig). Of the Volscian, Picentine Sabine, Cp. Budinszky Die
Ausbreitung der lat. Sprache uber Italicn und die Provinzen des rSmisohen
Reiches, Berlin, Cirober in the Archiv fur lat. Lexikographie g
KeUio; Aequiculau, Yestinian, Marsian, Pelignian and Marrucinian dialects
we have only very scanty remains (Zvetaieff Inscriptiones Italiæ Mediæ
dialecticæ, Leipzig). All these dialects are forced into the background
at an early period by the ifitrusion of Latin. The Sabines, who receive
citizenship, seem to have been the first to become romanised. The s^west
to give way was Oscan, which in the mountains does not perhaps become
fully extinct. Cp. further Bruppacher Osk. Lautlehre, Zurich, Endoris Yersuch
einer Formenlehro der osk. Sprache, Zurich. Piergiorgio
Donatelli. Donatelli. Keywords: esperienza, let’s cooperate (cooperiamo), let’s
make the strongest utterance; let’s trust each other; let’s be relevant (siamo
relevanti), let’s be perspicuous (siamo perspicui), prima persona, prima
persona duale – noi – nostro – numero nel verbo greco: singolare, duale,
plurale, Mill, virtu, Conant, ambi, both
– the dual – Both conversationalists must cooperate towards a mutual goal. Refs.: Luigi Speranza,
“Grice e Donatelli” – The Swimming-Pool Library. Donatelli.
Grice e Donati: la
ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale del fra – scuola di
Budrio – filosofia budriese – filosofia bolognese – filosofia emiliana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Budrio). Filosofo budriese. Filosofo
bolognese. Filosofo emiliano. Filosofo italiano. Budrio,
Bologna, Emilia-Romagna. Grice: “I like Donati; most of what he says is very basic, and
he says it from what he thinks is a scientific perspective – but then he writes
about morality and you start to wonder – anyhow, his central concept is that of
reflexitvity, which he multiplies into goal-centred, rule-centred,
means-centred, and value-centred – Since my oeuvre dwells on rellexivity I feel
a lot of affection for Donati and his approach!” Nella sua filosofia occupano una posizione centrale
la tematica epistemologica inerente alla ri-fondazione della ‘sociologia
filosofica’, re-interpretata alla luce della "svolta relazionale”. Su tali
basi, vengono svolte l'analisi del concetto di ‘cittadinanza’, del fenomeno
associativo della società civile e della politiche di welfare state nelle
società altamente differenziate; l'analisi del ruolo dell’istituzione sociale che
emergono dai processi di morfo-genesi sociale, in particolare nelle sfere di
terzo settore; l'apertura di una nuova prospettiva negli studi sul capitale
sociale e sui processi di “riflessività” in rapporto alla legittimazione di
nuove forme di democrazia deliberativa. L'elaborazione di una ‘sociologia filosofica
relazionale' è andata di pari passo con la fondazione filosofica di un nuovo e
più generale ‘paradigma relazionale' che si pone come superamento della
contrapposizione fra realismo e costruttivismo, fra l’individualismo o
intersoggetivismo metodologico e olismo o collettivismo metodologico. Questa
prospettiva porta alla elaborazione di nuovi concetti come quelli di “critica
della ragione relazionale” e bene relazionali, come soluzioni rispettivamente
dei problemi inerenti a idiosincrasie culturale e alla mercificazione del
welfare nelle società. L'etichetta "sociologia filosofia relazionale"
viene usata, oltre che da D., da vari filosofi. Emirbayer ha scritto un
‘Manifesto di sociologia relazionale' elaborato in maniera del tutto
indipendente rispetto a D. Crossley usa la medesima etichetta. Alcuni studiosi
assimilano la sociologia relazionale alla network analysis (Crossley, Mische ),
altri tracciano delle differenze fra questi due modi di intendere l'analisi della
società (D., Terenzi, Tronca). Indipendentemente dalla filosofia di Donati,
esistono gruppi e reti di sociologia relazionale in vari paesi, tra cui il
Canada (si veda il sito della Canadian Sociological Association,, l'Australia
(si veda il sito della Australian Sociological Association,). In Italia, gli
filosofi vicini a Donati si riconoscono nel network Relational Studies in Sociology,). Donati
ha prodotto numerosi saggi di carattere teorico ed empirico. Propone una teoria
generale per l'analisi della società: la “sociologia filosofica relazionale”. Insegna
a Bologna, direttore del Centro Studi di Politica Sociale e Sociologia
Sanitaria). Presidente dell'Associazione Italiana di Sociologia. Direttore
dell'Osservatorio Nazionale sulla Famiglia. Ha fatto parte del comitato
scientifico di Biennale Democrazia. Fondatore e Direttore della Rivista
“Sociologia e politiche sociali”, editore FrancoAngeli. Membro del Comitato
Scientifico della Rivista "Sociologia", Istituto Luigi Sturzo, Roma. Ha
ricevuto il riconoscimento dell'ONU come membro esperto distinto nel corso
dell'Anno Internazionale della Famiglia. Premio Capri San Michele per "Pensiero sociale cristiano e società
post-moderna" (Ave, Roma). Premio San Benedetto per la promozione della
Vita e della Famiglia in Europa. Attraverso la sua filosofia, Donati mostra con
specifiche indagini empiriche in che modo la società possa essere conosciuta e
interpretata come una semplice “relazione sociale” diadica -- e non come un
prodotto culturale. La sociologia relazionale (o teoria relazionale della
società) viene per la prima volta esplicitata con “Introduzione alla sociologia
relazionale”. Questa “Introduzione” è nata come una sorta di “Manifesto della
sociologia relazionale”, anche se da allora pochi se ne sono accorti. I
punti essenziali di quel Manifesto sono varie. La sociologia relazionale
consiste nell'osservare che una società, ovvero qualsiasi fenomeno o formazione
sociale (la famiglia, una impresa o società commerciale, una associazione, una
società nazionale), la società globale, non è né una idea (o una
rappresentazione o una realtà mentale soggetiva) né una cosa materiale (o
biologica o fisica in senso lato), ma è una relazione sociale – una
intersoggetivita. L’intersoggetivo è né un “sistema”, più o meno pre-ordinato o
sovrastante i singoli fatti o fenomeni, né un prodotto di una azione soggetiva,
ma un altro ordine di realtà. L’intersoggetivo è relazione. L’interosggetivo è
fatto di una relazioni fra un soggetto S1 e un soggetto S2, che distinguono la
forma e i contenuti di ogni concreta e specifica “diada. L’intersoggetivo – la
relazione intersoggetiva -- deve essere concepito non come una realtà accidentale,
secondaria o derivata dall’altre entità: il soggetto S1 e il soggetto S2),
bensì come un levello ontologico differente sui generis, appunto,
‘l’intersoggetivo’. Affermare che “la società è relazione” può sembrare quasi
ovvio, ma non lo è affatto ove l'affermazione sia intesa come presupposizione
epistemologica generale e quindi si abbia coscienza delle enormi implicazioni
che da essa derivano. Ogni filosofo parlano dell’intersoggetivo della relazione
di una diada fra soggeto S1 e soggetto S2 (Aristotele: ogni uomo e politico,
Marx, Durkheim, Weber, Simmel, Parsons, Luhman, Grice), ma quasi nessuno ha
compiuto l'operazione che viene proposta dalla sociologia
relazionale: partire dal presupposto che “all'inizio c'è la relazione”,
ossia che ogni realtà sociale emerge da un contesto di relazioni e genera un
contesto di relazioni essendo essa stessa ‘relazione sociale'. Ciò non
significa in alcun modo aderire ad un punto di vista di relativismo. Si tratta
esattamente del contrario: la sociologia relazionale si fonda su una ontologia
dell’intersoggetivo relazionale, e dunque su una ontologia dell’intersoggetivo
della relazione che vede nella relazioni il costitutivo di ogni realtà sociale
seconda la loro propria natura. La sociologia relazionale e una forma del relazionismo
filosofico. Per l’intersoggetivo (la relazione) intende l’intersoggetivo nel
spazio-tempo, dell'inter-umano, ossia ciò che sta fra un soggetto agente S1 e
un soggetto agente S2 chi collaborano, o cooperano. e checome tale costituisce
il loro orientarsi e agire reciproco (o riflessivo, al modo di Grice), per
distinzione da ciò che sta nel singolo attore individualo o collettivo considerati
come poli o termini della relazione. Questa «realtà dell’intersoggetivo – che D.
chiama ‘il fra’ -- fatta insieme di due soggetti che collaboron, è la sfera in
cui vengono definite sia la distanza sia l'integrazione dei due soggetti che
stanno in società: dipende da questo ‘fra’ – fra tu e me -- (la relazione
sociale in cui le due soggetti si trovano) se, in che forma, misura e qualità
le due soggetti può distaccarsi o coinvolgersi rispetto agli altri soggetti più
o meno prossimi, alle istituzioni e in generale rispetto alle dinamiche della
vita sociale. La teoria relazionale della società ha elaborato nuovi
concetti che sono stati utilizzati non solo da filosofi, ma anche in altri
campi, come il diritto, la legislazione sociale, l'economia. I concetti originali
elaborati da D. sono varie. Il concetto di ‘privato sociale’ e applicato in molte
leggi dello Stato italiano. Il concetto di ‘cittadinanza societaria è stato
utilizzato dal Consiglio di Stato (Sezione consultiva per gli atti normativi,
Adunanza, N. della Sezione: in importanti deliberazioni. Il concetto di ‘beni
relazionali’ è stato ripreso in campo economico da filosofi come Zamagni e
Bruni. Il concetto di un ‘servizio relazionale’ è stato ripreso nella
legislazione regionale e nazionale in Italia, anche in relazione alla buona
pratica nelle politiche familiari analizzate con le ricerche svolte per
l'Osservatorio nazionale sulla famiglia. Il concetto di ‘lavoro relazionale’ e
il concetto di ‘contratto relazionale’ sono importanti. Il concetto di ‘welfare
relazionale’ e usanto in buona pratica nei servizi alle famiglie (utilizzato
dal Centro studi Erickson). Il concetto di differenziazione relazionale si
applica in particolare alla problematica della conciliazione fra lavoro e
famiglia. Il concetto di una critica della ‘ragione relazionale’ e dato come
una possibile soluzione ai problemi dei conflitto. Il concetto di capitale
sociale come relazione sociale con una ridefinizione degli studi sociologici si
applica nel capitale sociale. Il concetto di "riflessività
relazionale" si applica per superare il concetto puramente soggettivo di
riflessività come mera riflessione interiore. Il concetto di "genoma
sociale della famiglia" s’applica nella evoluzione. Ha affrontato una
serie di tematiche di ricerca il cui sviluppo è ancora in corso. La prima e più
estesa riguarda la tematica della sociologia della famiglia. Si vedano I saggi
di D., Lineamenti di sociologia della famiglia. Un approccio relazionale
all'indagine sociologica, Carocci, Roma, D., Manuale di sociologia della
famiglia, Laterza, Roma-Bari). Si vedano anche i Rapporti Cisf sulla famiglia
in Italia, per gli aspetti applicativi: Sociologia delle politiche familiari,
Carocci, Roma, è il più recente D, "La famiglia. Il genoma che fa vivere
la società", Soveria Mannelli, Rubbettino. Un'altra tematica è quella
della salute: si veda Donati Manuale di
sociologia sanitaria” (La Nuova Italia Scientifica, Roma); Sui giovani e le
generazioni nella società dell'indifferenza etica: “Giovani e generazioni.
Quando si cresce in una società eticamente neutral” (il Mulino, Bologna); Sul
cittadinanza e welfare: La cittadinanza societaria, Laterza, Roma- Bari); Sul
welfare state e le politiche sociali, “Risposte alla crisi dello Stato sociale”
(Franco Angeli, Milano); “Lo Stato sociale in Italia: bilanci e prospettive”
(Mondadori, Milano); “Sul privato sociale o terzo settore e la società civile:
Sociologia del terzo settore” (Carocci, Roma); sulla società civile: “La
società civile in Italia, Mondadori, Milano; Generare “il civile”: nuove
esperienze nella società italiana, il Mulino, Bologna); Il privato sociale che
emerge: realtà e dilemmi, il Mulino, Bologna, Sul lavoro: Il lavoro che emerge,
Bollati Boringhieri, Torino); I rapporti fra sociologia relazionale e pensiero
sociale cristiano: Pensiero sociale cristiano e società post-moderna, Editrice
Ave, Roma, La matrice teologica della società, Rubbettino, Soveria Mannelli. Sul
capitale sociale: Donati, Terzo settore e valorizzazione del capitale sociale
in Italia: luoghi e attori, Angeli, Milano, D., I. Colozzi, Capitale sociale
delle famiglie e processi di socializzazione. Un confronto fra scuole statali e
di privato sociale (FrancoAngeli, Milano). Attraverso queste saggi, la
sociologia relazionale ha sviluppato un nuovo quadro teorico e ne ha dimostrato
la validità sia sul piano della ricerca empirica, sia sul piano delle
applicazioni concrete (in termini di legislazione e di programmi di intervento
sociale). La conoscenza sociologica che la sociologia relazionale intende
perseguire non rifiuta a priori nessuna teoria, né vuole “unificare” tutte le
teorie sotto un'unica bandiera, ma tutte le prende in considerazione e le
valuta per mettere in evidenza quelle verità, anche parziali, che ciascuna di
esse contiene. Tuttavia, perché di solito una teoria offre una visione
limitata, se non riduttiva della realtà, la sociologia relazionale è in grado
di inserire ogni teoria in un quadro concettuale più ampio, nel quale ritrovare
le verità parziali ad un livello più elevato, coerente e consistente di
conoscenza della realtà sociale. Terenzi, Percorsi di sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano,.
Luigi Tronca, Sociologia relazionale e social networks analysis. Analisi
delle strutture sociali, FrancoAngeli, Milano.Enzo Paci, Dall'esistenzialismo
al relazionismo, D'Anna, Messina-Firenze. Per un nuovo welfare locale “family
friendly”: la sfida delle politiche relazionali, in Osservatorio nazionale
sulla famiglia, Famiglie e politiche di welfare in Italia: interventi e
pratiche. I, il Mulino, Bologna,
Politiche sociali e servizi sociali di fronte al modello sociale europeo: lo
scenario del “welfare relazionale”, in C. Corposanto, L. Fazzi, Il servizio
sociale in un'epoca di cambiamento: scenari, nodi e prospettive, Edizioni Eiss,
Roma, Quale conciliazione tra famiglia e lavoro? La prospettiva relazionale, in
Donati, Famiglia e lavoro: dal conflitto a nuove sinergie, Edizioni San Paolo,
Cinisello Balsamo, La valorizzazione del capitale sociale in Italia: luoghi e
attori Donati, I. Colozzi, FrancoAngeli, Milano, Altre opere: “L'enigma della
relazione” Mimesis, Milano); “La famiglia. Il genoma che fa vivere la società”
(Rubbettino, Soveria Mannelli); “Sociologia della riflessività. Come si entra
nel dopo-moderno, il Mulino, Bologna); “I beni relazionali. Che cosa sono e
quali effetti producono (Bollati Boringhieri, Torino); “La matrice teologica
della società, Rubbettino, Soveria Mannelli); “Teoria relazionale della
società: i concetti di base, FrancoAngeli, Milano); “La società dell'umano,
Marietti, Genova-Milano); “Il capitale sociale degli italiani. Le radici
familiari, comunitarie e associative del civismo” (FrancoAngeli, Milano); “Oltre
il multiculturalismo. La ragione relazionale per un mondo comune, Laterza,
Roma-Bari); “Manuale di sociologia della famiglia, Laterza, Roma-Bari); “Sociologia
delle politiche familiari, Carocci, Roma); “Il lavoro che emerge. Prospettive
del lavoro come relazione sociale in una economia dopo-moderna, Bollati
Boringhieri, Torino); “La cittadinanza societaria” (Laterza, Roma-Bari); Teoria
relazionale della società, FrancoAngeli, Milano, La famiglia come
relazione sociale, FrancoAngeli, Milano, La famiglia nella società relazionale.
Nuove reti e nuove regole, FrancoAngeli, Milano); “Introduzione alla sociologia
relazionale, FrancoAngeli, Milano); “Risposte alla crisi dello Stato sociale.
Le nuove politiche sociali in prospettiva sociologica, FrancoAngeli, Milano); “Famiglia
e politiche sociali. La morfogenesi familiare in prospettiva sociologica,
Angeli, Milano); “Pubblico e privato: fine di una alternativa?” (Cappelli,
Bologna). Der Dual ist ein Numerus, der sich in indogermanischen wie
nicht-indogermanischen Sprachen findet. Die indogermanistisch zentralen
Sprachen Altgriechisch und Altindisch haben diesen Numerus in allen
flektierenden Wortarten; andere Sprachen haben ihn nur in einer Wortart. Die Minderheitensprachen
Ober- und Niedersorbisch pflegen den Dual bis heute. Auch im Bairischen gibt es
noch formale Dualrelikte. Das Buch bietet eine Darstellung der
einzelsprachlichen Dualsysteme in der Indogermania und Rekonstruktionen der
Dualsysteme der Zwischengrundsprachen und des Ur-Indogermanischen. Neben dem
genealogischen Vergleich wird auch der typologische Vergleich mit Dualsystemen
anderer Sprachgruppen wie etwa Finno-Ugrisch, Semitisch und Bantu angestellt.
Der Leser gewinnt so einen Überblick über die Entwicklung einer typologisch
markierten grammatischen Kategorie und einen Einblick in die kognitiven
Prozesse, die zum Werden und Schwinden des Duals im Wandel der Sprachen
führen. Rezensionen "" Salvatore
Scarlata in: Kratylos, Pinault in: Bulletin de la Société de Linguistique de
Paris, Pierce in: Journal of Historical Linguistics, Bohumil Vykypel in:
Linguistica Brunensia, http://hdl.handle.net""
Remo Bracchi in: Salesianum, Lühr in: Germanistik, Heft, Duale (linguistica)
numero grammaticale Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni Questa voce
sull'argomento grammatica è solo un abbozzo. Contribuisci a migliorarla secondo
le convenzioni di Wikipedia. Il duale in linguistica è una delle possibili
realizzazioni della categoria morfologica del numero grammaticaleche può essere
espressa tanto nel nome (sostantivo e aggettivo) quanto nel pronome e nel
verbo. Benché sia meno diffuso di singolare e plurale, il duale è presente in
molte lingue del mondo. Esso è presente nelle più antiche lingue
indoeuropee, come il sanscrito o il greco antico, nel lituano, nello sloveno
moderno, nel friulano e anche nelle lingue semitiche, come l'arabo - che ne fa
tuttora uso nelle sue varietà moderne, sia pure limitatamente al nome -
l'ebraico e nell'egizio. Il duale è frequente per indicare parti doppie
del corpo, per esempio le mani, le narici, le gambe, ma nelle lingue che lo
possiedono non è raro il suo uso anche per indicare oggetti a coppie o
semplicemente coppie di oggetti o persone casuali: due persone, due anni, ecc.
("duale occasionale"). Mentre in francese, in tedesco, in
italiano o in spagnolo, tutte lingue che non presentano la forma duale se non
per tracce come per esempio in italiano ambo, si è soliti anteporre al
sostantivo plurale l'aggettivo numerale che ne indica la quantità esatta (due
uova, due amici, ecc.), nelle lingue che posseggono il duale questo può bastare
per indicare una quantità pari a due. Per esempio in arabo sanah "(un)
anno", sanatayn "(due) anni". La mu'allaqa di Imru l-Qays,
una delle più famose poesie arabe, esordisce con un imperativo duale: Qifâ,
nabki... "fermatevi (voi due) e piangiamo...", riferimento al fatto
che il poeta si rivolgeva a due suoi compagni. Bibliografia Modifica
Albert Cuny, Le nombre duel en grec, Paris, Klincksieck, Fontinoy, Le duel dans
les langues sémitiques, Paris, Les Belles Lettres, Molinelli, Il numero duale
nel greco antico, Roma, Fritz, Der Dual im Indogermanischen, Heidelberg, Winter,
Grammatica Morfologia (linguistica) Portale Linguistica: accedi
alle voci di Wikipedia che trattano di linguistica Salvatore Talia Numero
(linguistica) categoria grammaticale Grammatica lituana regole della
lingua lituana Articoli del greco antico Wikipedia Il contenuto. Grice: “In my seminars I
explained explicitly that we would be dealing only with conversational DYADS!”
Grice: “This was my nod to the Old Latin dual!” – Grice: “Austin used to say
that no distinction is too fine, or too nice. The origin of the Latin fifth
declension out of the dual number – We can provide an EXPLANATION of the
appearance of the Latin fifth declension (e stems) as a result of the LOSS of
an earlier dual inflection, whose main feature is the suffix jk (full grade ej)
. The dual character of the Latin -ies (series) forms can be demonstrated on
the basis of their ‘semantic’ development. The dual number in the Indo-European
languages. The most ancient Indo-European languages had three number
categories: the singular, the dual, and the plural. In the Indo-European
languages, the dual number was typically used for NATURAL PAIRS (‘oculi’, the
‘same’, two hands), sometimes also for an accidental or artificially arranged
pair (‘two men’ (andre), two horses pulling one carriage, two oxen in one
yoke), and possibly for two objects of the SAME kind (two fires, two lime
trees). Elliptical usage of the dual is also attested, ‘two fathers’, as when
Homer refers to ‘Ayax and his brother’ or Latin ‘octo, ‘eight’, originally, or
literally, two sets of four finger-tipes Wackernagel, Campanile, Malzahn,
Clackson). The degree of preservation and PRODUCTIVITY of the dual in the
Indo-European languages differ considerably. Traces of the dual in Latin. The
dual number as a separate CATEGORY was presumably lost by Latin and the other
Italic languages already in the pre-historic period (Buck). Lat. ‘duo,’ ‘two’
< IE duwo < PIE duwo-hj (Tagliavini). Lat. ‘okto’ ‘eight’ < IE okto,
‘8’ < PIE hkekto-h0. Lat. viginti, ‘twenty’ (< IE wiknti < PIE
dwi-dknt-ih), literally, ‘two tens.’ A few Latin forms – ambo, duo -- have a
specific inflexion which may be the result of the transformation of the dual
form within a declension. Thus we have masc. nom. ‘ambo’ , duo; gen. ‘amborum’,
duorum; dative-ablative ‘ambobus’, duobus; and acc. ambos/ambo, duos/duo. Lat.
masc. ‘ambo’. The inflection of ‘ambo’ and ‘duo’ keeps the original dual ending
in the nominative. It does not show the dual ending in the other four cases –
where it adops the regular PLURAL ending. Here we have a case of an ADAPTATION
(SUBSTITUTION_of the dual inflection by the plural inflection. Traces of the
dual number in Latin are restricted to ‘ambo’ , ‘both’, and the numerals (‘duo,
octo, viginti) – while some have traced other dual forms in declesions –
Danielsson). The question of a dual form, e. g. ‘Pomplio,’ (Lat. Pompilio, nom.
du. ‘two of the Pompilius family’), attested in epigraph CIL I 30: M. C.
POMPLIO NO. F. DEDRON HERCOLE = ‘Marcus and Gaius Pompilius, the sons of
Novious, gave (this) to Hercules.’ The interpretation of the form POMPLIO as
dual may be implicatural rather than semantic. The form POMPLIO need not be a
dual form -- it may be just the
nominative singular with the final s by custom omitted when there is a formal
agreement with the second prae-nomen, though belonging to both. Dual endings in
the Indo-European languages. In proto-Indo-European hl forms the basic dual
ending, which may have a strong form (ehl or hle) in animate nouns. It is
assumed that the numeral ‘two’ has the form ‘duwo-ehl’ (literally, ‘two
persons, or animals’), which later develops into the masculine form. IE ‘duwo,
m. Latin for some time kept the dual ending -e (PIE ejl). The loss of the dual
causes the proto-Latin forms ending in -e (once dual forms) to generate a
separate group: a fifth declension. From a variant dual ending -e, the -e-
would have to have formed in the oblique cases. The genitive dual ending in
Indo-European is -es (PIE ejls gen. du). Both a dual inflection with -e (gen.
du. -es) and -e (gen. du. -es) would have ensured the stabilization of the
feature -e- after the loss of the dual number in the Italic languages. The
cause of the loss of the dual number in Latin. Most probably, the loss of the
dual as a separate CATEGORY takes place within the a- stem and the -o- stem
declensions. In the nominal paradigm, a specifically Latin innovation causes a
change in the infection system. This innovation is the loss of the old plural
ending -os, which are well attested in the other Italic languages, along with
the adaptation of the enings of the PRO-nominal system -oi -- whence Latin
‘-i.’ – cf. nom. sg. m. -os > -us. Nom. du. M. -o (ambo, octo, duo). The
PLURALISATION of the dual in the -o- stem declension happens largely without a problem – providing
you keep a Griceian ‘eye’ – Cf. ‘pater,’ father. nom. sg. m. pater; nom. du. m. ‘patere’.
nom. pl. m. ‘pateres’. As Austin pointed
out to me, the loss of the dual in the Indo-European languages suchas Latin did
not happen solely via the good old pluralisattion of the dual form, but also by
way of a ‘singularisation’: i. e. the dual inflection is re-fomed into the SINGULAR
inflection. This way of the elimination of the dual number is very much
attested in Latin, in all the forms ending in -ies, for example. Then we have
the dual forms of the Lat. viginti type. The Latin cardinal number ‘viginti,’
‘twenty,’ is a remnant of the dual number. ‘Viginti’ represents the IE
archetype wiknti nom. acc. du. ‘twenty’, from PIE dwihl-dknt-ihl, literally,
‘two tens’. Since, unlike ‘duo,’ it represents a numeral higher than 4 – and
all Latin numerals from ‘quattuor’ up to ‘mille’ did not decline --, ‘viginti’
simply keeps the shape of the nominative dual. Some dual forms with no singular
form underwent a singularization (or sometimes a collectivization). As a result
of such an adaptation, the dual is re-constructed morphologically, and
re-interpreted pragmatically via implicature. This singularization (but
sometimes collectivization) of a dual form creates the need to establish a
declension. The literally DUAL character of some Latin expressions ending in
-ies may be explained through a detailed pragmatic calculation. Pierpaolo Donati. Donati. Keywords: il fra, relazionalismo,
internal conversation, l’intersoggetivo, realta fra, il fra, fra tu e io,
intersoggetivismo metodologico, communicazione come realta fra, implicatura,
reflessivita, reciprocita. Ambidue. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Donati” –
The Swimming-Pool Library.
Grice e Dondi: la ragione conversazionale e ’implicatura
conversazionale -- l’astrario – iter romanorum – colonna giulia – la colonna
del circo neroniano di Buschetto -- petrarca – scuola di Chioggia – filosofia
chioggese – fiolosofia veneziana -- filosofia veneta -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Chioggia). Filosofo chioggese. Filosofo
veneziano. Filosofo Veneto. Chioggia, Venezia, Veneto. Grice: “I like Dondi and I like a watch chain!”. Figlio di Jacopo, studia FILOSOFIA a Padova. Insegna
a Padova. Si trasfere a Pavia. Dopo un periodo a Firenze, vi ritorna come
filosofo di corte dei Visconti. Insegna a Pavia. Scrittore di rime, amico e
corrispondente di PETRARCA (si veda), è anche tra i pionieri dell'archeologia.
In occasione di un viaggio a ROMA, descrive e misura monumenti classici, copia
iscrizioni e trascriv i dati rilevati nel suo ‘Iter Romanorum. La sua fama è legata soprattutto all'astrario
da lui progettato a Padova e costruito a Pavia, dove, è conservato, nel
castello di Pavia, presso la biblioteca Visconteo-Sforzesca. L'astrario è un orologio astronomico che
mostra l'ora, il calendario annuale, il movimento dei pianeti, del sole e della
luna. Per ogni giorno sono indicati l'ora dell'alba e del tramonto alla
latitudine di Padova, la lettera domenicale che determina la successione dei
giorni della settimana e il nome dei santi e la data delle feste fisse della
Chiesa. L'orologio astronomico (o astrario) di D. è andato distrutto, ma è ben
conosciuto perché il suo ideatore ne dette una particolareggiata descrizione
nel saggio Astrarium, trasmesso da due manoscritti. Si tratta di un congegno
mosso da pesi, di piccole dimensioni (alto circa 85 cm, largo circa 70),
racchiuso in un involucro a base eptagonale. Grazie ad una serie di ingranaggi
l'astrario riproduce i moti del sole, della luna e dei cinque pianeti. Esso
indica anche la durata delle ore di luce alla latitudine di Padova. Come
misuratore del tempo esso, oltre all'ora, indica (forse per la prima volta tra
gl’orologi meccanici) anche i minuti, a gruppi di dieci. La presenza di
trattati di astrologia nella biblioteca di D. fa sospettare che la
progettazione sia stata influenzata da astrologi antichi. L'orologio
astronomico che si può tuttora ammirare sulla torre dell'orologio, Padova, in piazza
dei signori, è una copia non dell'astrario di D., ma dell'orologio costruito
dal padre Jacopo. Secondo la tradizione è stato D. ad introdurre a Padova la
gallina col ciuffo, oggi nota come gallina padovana. In realtà, il giornalista
padovano Holzer in una sua ricerca ha potuto stabilire che non vi è
documentazione alcuna che attesti che D. ha mai avuto contatti con la Polonia o
che l'abbia mai visitata. A lui è dedicata una delle statue che adornano il prato
della valle a Padova. Il circolo numismatico patavino gli ha dedicato una
medaglia commemorativa opera dello scultore bellunese Facchin. Ai D. è dedicata
la ballata iniziale di Mausoleum. Siebenunddreißig Balladen aus der Geschichte
des Fortschritts di Enzensberger. Altre opere: Rime, Daniele, Neri Pozza,
Vicenza; “Astrarium, E. Poulle, CISST; Opera omnia D., corpus pubblicato sotto la
direzione di Poulle. Padova. Andrea Albini, Op. La Biblioteca Visconteo
Sforzesca, su collezioni. Musei civici pavia. Albini, L'astrario di D., su
Museoscienza. Ricerche d'Archivio riguardanti la famiglia D. Di Holzer. Albini,
Machina Mundi. L'orologio astronomico di D., Create Space, Astrario, Gabriele D.
Università degli studi di Padova. Dizionario biografico degl’italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Replica in scala 1/2 dell'Astrario, su clock maker.
Replica in scala ¼, su pendoleria. com. (Di Cjiovauui Odo ndi òalf'Otcfcgto,
TTtedico eli Padova, e Dei uiouumeutv antichi da fui animati a
ctonia, e di afcuui ceitti inediti def medesimo. rt A FILIPPO
SCHIASSI CAHOMCO MILLA CHIESA MAGGIORE DI BOLOCRA, E PROFESSORE DI
archeologia bella criverbitì. JL u non ignori certamente , o amatissimo Schiassi,
cum io faccia di le gran cubitale per la somma erudi-zione archeologica che
possedi , e per la forbitezza dello scrivere latino , nella quale con
pochi vai distinto ; e come poi io non sia ad alcuno secondo nell'osservanza
ed amore verso di te per le doti singolari dell'animo tuo. In verità
io ho sempre desiderato mi fosse pòrta occasione di farti noto pubicamente
questo mio volere; ma quella mi fallì maisempre, o, a meglio dire, non
ebbi mai ardimento di abbracciarla, parendomi da non doversi indirizzare
a te cose che non fossero parlo d'in- gegni maturi, fra' quali per fermo
non è da riporsi il mio. Tuttavolta altre ragioni m'inducono ora a
prendere contrario divisamento. Il perchè, in arra di rispetto e di
benivoglienza, ho deliberalo di spedirti questa Lettera intorno a D., e
publicarla intitolata al tuo nome ; indotto anche da ciò, che in essa
circa l’obelisco vaticano, della cui traslazione tu di fresco con
scienza e perizia ne hai scritto ho io allegate alcune cose , dalle
quali appare essere ora per la prima volta manifesto come il medesimo nel
medio-evo sia stato atterrato , e non guari appresso di bel nuovo
ristabilito, non altri- menti come sono di comune consentimento i più
accreditati scrittori delle cose passale: de’ quali in ispezialità qual
sia il giudizio da tenersi tu puoi decidere. Io intanto a te sottometto di
tallo cuore e senza cerimonie la mia opinione , qualunque ella siasi:
ritieni poi , che con animo a tc per intiero affezionatissimo mi
dispongo a ciò fare. V enezia
v>die PETRARCA (si veda) abbia scritto di D. suo amico non meno con
verità die con magnificenza, essere egli stalo d'ingegno sì sublime e potente,
che ito sarebbe alle stelle, se rattenulo non lo avesse lo studio della
Medicina,Jo capiranno coloro specialmente, i quali siano a giorno come il
medesimo siasi reso distintamente celebre nelle scienze mediche,
FILOSOFICHE ed astronomiche; c, di più, conoscano come in altre discipline, a
dir vero non comuni, fosse egli oltre l’ usato erudito. Peritissimo
ancora in scienza morale, nella cognizione dei monumenti antichi, e
nel linguaggio delle Muse italiane : le quali cose, come disse Celso in
altra occasione, quantunque non costituiscano il Medico, tuttavolta lo
rendono più atto alla Medicina, e fanno sì che abbia a primeggiare
fra i dotti del suo tempo. Ed in vero, che non si possa lare un pieno
uso della Medicina nella maggior parte delle malatie del corpo, se
quelle dell’animo del pari non si curino, è chiaro di già abbastanza per
concorde dottrina degli antichi e recenti filosofi, suffragata dalla
sperienza. Intorno a ciò sono manifesti i sentimenti del LIZIO, d’
Ippocrate, di Galeno, e di altri ; come pur anco Lettera III. a Sancse data
in luce a Venezia. ne fanno chiara prova quelle cose che sopra lo
slesso argomento ci hanno lasciato in appresso uomini sa-
pientissimi. Che poi da un’accurata osservazione degl’antichi monumenti, e
dalla lettura delle iscrizioni ne vengano singolari ajuti onde conoscere più
diffusamente l’ arte medica, ce lo dimostrano le Opere dei valenti
in quella, cioè di MERCURIALE (si veda) intorno alla GINNASTICA, il quale
tratta anche del sito più salubre alla costruzione delle fabbriche e
circa gli strumenti chirurgici; di Sicco e di Baccio intorno ai
bagni termali; di Bartolini sopra l’antico puerperio: ai quali libri se
ne potrebbero facilmente aggiungere altri di tal fetta, cioè di
Bellonio, Gioberti, Cagnato, Reinesio, Rodio, Patino, Sponio, Trillerò, Ilundertmarki, Cocchi,
e altri; cosicché niuno deve maravigliarsi del progetto di Bartolini
nel comporre l’opera intitolata Antichità necessarie ad un medico,
del cui apparecchio, in appresso incenerito dalle fiamme , lo stesso
autore ne diede breve compendio in una Dissertazione stampata in Hafnia sopra
l’incendio della biblioteca. Le moltissime sue lodi, scritte in prosa ed
in verso, ci fanno ampia testimonianza che lo studio della poesia giova a
meraviglia per fecondare e ricreare l’ ingegno, per aggiungere fregio
alla lingua ed allo stile, e per fare acquisto di altre doti richieste ad
un uomo di lettere; nè vi sarà al certo chi ignori che i Medici
versati nella medesima n’ andrebbero stimati da più che gli altri, e si
leggerebbero con più di di- letto le Opere loro. Noi conosciamo ancora
che gli stessi scrittori dell’arte medica, distinti fra gli antichi,
Ippocrate ed Areteo, succhiarono da Omero il loro bello; il primo de’
quali fu detto d’Eroziano uomo omerico quanto allo stile (Glossar .
Hippocr. Praef., edit. Lips.); e Trillerò fa vedere che al secondo giovò
d’assai la lettura dello stesso autore (Opuscula medico-philologica): il
che chiaro apparisce parimente di Galeno e di altri. Eccellente si è la
cura posta da Bartolini nel trattare che fece di questo argomento nella
Dissertazione intorno ai Medici-poeti, publicata in Hafnia; ed ora se ne
potrebbe formare un soggetto con assai più di splendore. Sono poi da
tenersi in gran conto quelle cose che furono scritte da Fracastoro, uomo
grande nell’ una e nell’ altra facoltà, ad Amalteo, medico non meno
che poeta celebre del suo tempo; cioè andare di gran lunga errati
coloro i quali avessero per niente la poesia, e la stimassero cosa
incompatibile colla Medicina: che anzi dichiara apertamente con Andrea Navagerio,
essere inetti a toccare il fondo di ogni scienza, o a gustare appieno le
bellezze di qualsiasi arte meccanica, coloro i quali andassero privi e
mancanti di vena poetica (Fracast. Opera edita Corniti). D. per coltivare l’
animo in questi studj, indotto dall’ esempio ed intrinsichezza del
Petrarca, il quale nei medesimi avea tocco l’ apogèo della gloria,
consegnò allo scritto monumenti non dubj di questo studio,
commettendoli ai posteri; ma quelli inediti, ed appena conosciuti
in un codice cartaceo di quella età, posseduto un tempo dallo
stesso autore, toccò per avventura a me solo di vederli presso Papafava,
figlio d’Albertino, fregiato della primaria nobiltà fra i Padovani e
Patrizio Veneto, il quale mi onorava di singolare cortesia; nel qual
codice io stesso ho letti gli scritti inediti del Dondi senz’altro
giudizio od altro ordine, da quello in fuori con cui qui li
riporto. Vi sono nel codice Lettere intorno a diversi argomenti,
scritte dal Dondi a varie persone ; cioè: A PETRARCA (si veda). Si
protesta tornargli a grande vantaggio 1’amicizia di lui, per arricchirsi
a perfezione della morale filosofia ; il che osserva essere assai conforme all’
insegnamento di Seneca nella Lettera <08 a Lucilio intorno al conversare co’filosofi.
Nel dipartirmi da te (scrive egli) ne riporto ogni giorno frutti novelli,
e alla tua presenza mi si ricrea l’animo d' insolita gioja. Ad Aquila
fisico (Padova). Annunzia e mostra allo cordoglio per la morte del
Petrarca, d’ improviso avvenuta la notte antecedente. E morto un
personaggio unico, a dir vero, ed ammirabile tra i pochi di ogni età; ma
a’nostri giorni il solo, a mio giudizio, che v’abbia su tutta » la
terra, e da non potersi trovare in qualsivoglia » parte di essa: uomo da
essere ricordalo e tenuto a » venerazione da tutti i secoli. Fatale
disgrazia e lagrimevolc a tutto il genere umano, ma assai più amara a buon
diritto all’Italia, della quale non » senza gran merito egli n’ era
amante perduto, e in ogni circostanza partigiano caldissimo ; sopra
tulli per altro a me e a te, ai quali era legato con nodo »
strettissimo d’amore e di singolare benevolenza. Manca un uomo senza dubio
grande, ottimo, soavissimo, amantissimo di noi ; ma non per altro cessò del
tutto, poiché anzi diede principio a vita migliore, richiamato dall’ esiglio
alla patria: se vero è che gli offici di questa vita mortale, la Religione
di continuo venerata e studiosamente coltivata, l’opera assidua agli sludj
unicamente onesti e lodati, dieno fidanza di alcun premio nella vita a
venire. A Leniaco, uomo di singolare ingegno. Ad Argentino
(Arsendino) da Forlì, e a Paganino da Sala padovano, Dottori in legge. A Ravenna,
fisico. A Geminiano, fisico di Cesa. A Broaspina di Verona c Hai
pòrto materia, nella quale mi ricordo di essere stato titubante aneli’ io,
mentre scorreva la »> Lettera a Lucilio di quell’ eccellente e tutto
nerbo » Anneo, maestro mio e tuo, e di tutti i buoni amici in
generale. A Gasparo, che lo dimanda di quelle cose che Seneca scrive
nella settima Lettera a Lucilio sopra gli spettacoli dei Romani, gli dà
spiegazione abbastanza chiara, come portavano quei tempi sì riguardo alla
materia, come pur anco alle parole; vi adoperò eziandio dell’arte critica
a motivo delle scorrezioni del testo, per colpa in gran parte
della ignoranza degli amanuensi, e dell’audacia di coloro che vi
posero mano alla emendazione. A Mazio di Verona, fisico egregio. A
Petrarca (Padova) Una lunga Lettera circa il metodo di vita da seguirsi
dal Petrarca, la quale i precettori del Seminario di Padova avendo ricevuta da
me, che la trascrissi dal codice soprallegato, non dal Marciano,
come porta l’edizione, aggiuntane un’altra del Pe- trarca al Dondi, fu da
loro data alle stampe. A Lombardo Serico, cittadino padovano. Al
frate Guglielmo da Cremona, teologo. Fa vedere gl’ ingegni degli antichi
di gran lunga supe- riori ai moderni sì in fatto di lettere, come ne
fa chiara testimonianza PETRARCA (si veda), non meno che riguardo alle
opere famose delle arti più belle, coll’esempio alle mani di un insigne
scultore soprafatto di ammirazione alla vista di monumenti
antichi. A Leniaco, cittadino veronese. A Cremona, maestro nelle arti
liberali. Ad un suo intimo amico, uomo singolare ed egregio. A
Caselle, cittadino padovano. Aromatario. A Paganino da Sala, Dottore
in legge e uomo di milizia. Con queste si congratula della dignità di
Cavallicre conferita di fresco a Paganino; così per altro, che ne fa di
molto più stima dell’onore ottenuto dall’alloro in Diritto civile, dal
quale egli traeva di già vantaggio e lode. A Nicolò Alessi,
Protonotario e Vice-Cancelliere del Signore di Padova. Ad Andreolo Arisio
Cremonese. Biasima e si fa beffe della scarsezza che v’ è nelle
biblioteche di Francia dei libri specialmente di Filosofìa morale,
di cui era tenuto a giorno per lettere di Arisio cola dimorante. Al
frate Guglielmo, Vescovo di Pavia. Ad Albertino Salso, precettore di
Fisica. AdAngarano di Vicenza. Data in luce in uno all’ Opera del
Pondi intorno alle Fonti calde nel Territorio padovano, al Maestro
Giacomo Vicentino, fra i Trattati di vari autori circa i Bagni,
stampati a Venezia Panno Ai Professori direttori di Medicina e delle Arti
nello Studio di Padova. Fa loro avere un libro da lui composto, del quale
dà contezza con queste parole: » Ricevete un Trattatello che vi darà
per » ispiegato P ordine oscuro di Galeno nella distinzione » delle
disposizioni dei corpi umani, il quale ei ristrinse con brevità nel libro di
Microtegno, asse- n gnandovene le reali differenze fra quelle,
tranne » poche che vollero accennare sin qua di volo altri »
espositori, ma in molte colle relative differenze. Al maestro Guidoni (di Bagnolo)
in Venezia, nomo egregio, fornito di molto sapere e virtù. Padova, Cappelli,
cittadino cremonese. Intorno a Pasquino, Cancelliere di Galeazzo Visconti
Principe di Milano, ne fece parola Pietro Lazerio nelle Miscellanee
cavate dai libri manoscrilti nel Collegio Romano dei Gesuiti. Pasquino avea
fatto richiesta delle Lettere scritte dal Dondi a diversi; e D. si
argomenta a tutt’uomo per dissuaderlo che quelle Lettere non erano
tali che meritassero a pezza le sue dimande. Poscia scrive molle cose
circa i rotti costumi degli uomini del suo tempo, degne alla scorza di un
va- lente filosofo. Queste Lettere sono piene a ribocco di
sentenze morali, siccome quelle che furono composte da un au- tore
che metteva ogni cura nel leggere le Opere di Seneca, e ne avea anche
dilucidate le di lui Lettere a Lucilio, con annotazioni allegate circa
alle medesime da Gasparino Barzizio nel suo Commentario, da me
veduto scritto a mano. Di qual desiderio ardesse D, di vedere monumenti
antichi, ne fa aperta testimonianza il viaggio di lui a Roma, ad unico
oggetto di venire in pieno conoscimento dell’antico e nuovo stato della
città. Del qual viaggio non rimane alcuna traccia dalla publica
autorità confermata ; tuttavolta ho letto io stesso nel codice
manoscritto, di cui feci menzione di sopra, le annotazioni dello stesso D.
intorno ai principali monumenti dell’ antichità nel viaggio e nella
dimora che fece a Roma, esaminati, credo io, da lui
appassionatamente ; delle quali annotazioni ei fa fede così dal principio
: « Ilo riportato queste cose scritte in lettere quando fui reduce da
Roma. « Non è prezzo dell’opera il rescrivere qui le anno-
tazioni del D., nelle quali v’hanno anche difetti di scritturazione,
potendosi avere alla mano scrittori famosi per molto sapere, i quali ci
hanno chiarito dei medesimi monumenti con mollo più «li accuratezza
e dovizia. Ci piace di riportare qui sotto la prima sol- tanto, la
quale versa circa l’ obelisco valicano, poi- ché mollo è stimala per
singolare novità, facendoci vedere un distico da nessuno, per quanto io
sappia, riportato, c del quale importa se ne faccia ricerca. Quella
poi suona così. In Roma La colonna Giulia a quattro lati, che si eleva
di costa a S. Pietro, ha di grossezza presso l’ estremità di mezzo,
lunghesso ciascun lato, otto piedi all’ in- circa ; di altezza poi,
secondo un buon calcolo, ascen- de a 00 piedi, ossia a dieci pertiche. Ma
un prete ac- casalo lì vicino affermò che un tale l’aveva misurata
con uno strumento ad ombra , e la trovò di braccia. Martino nella Cronaca dice
che la sua lun- ghezza va a un dipresso a 120 piedi; ed Eutropio
afferma la stessa cosa. Svetonio poi dice eh’ è di pie- tra di Numidia. E
vi sono poi ne’ suoi due lati lettere incise di tal maniera:
Divo Cnesari Divi Julii F Augusto Ti Cacsari Divi Augusti F Augusto
Sacrimi. Intorno alle antichità romane sogliono premettere alcune
cose più memorabili di Martino Polacco, Cronicista dei Pontefici e
degl’imperatori, specialmente nei codici ma- noscritti. Quelle poi che
trovansi aggiunte come tratte da Eutropio e da Svetonio, falsamente
vengono loro attribuite. ir» Al di sopra della mela di questa colonna
Giulia vi sono scolpili questi due versi: Ingenio Buzeta tuo
bis quinque puellae Appositi s manibus itane erexere
columnam. Plinio {Hi storia Nat..), e Svetonio (nella Vita di
Claudio) dimostrano apertamente che l’in- signe obelisco sia stalo
trasportato dall’Egitto a Roma per comando di Cajo Caligola ; e in séguito,
mes- sa a fondo da Claudio nella costruzione del porto di Ostia la
nave su cui era stato trasportato, la più me- ravigliosa di quante mai si
fossero vedute solcar ma- ri, il medesimo sia stato collocalo nel circo
di Ne- rone ; ned è da entrare in forse che il medesimo, fregiato di
quella cospicua iscrizione ne’ due lati, non sia quello stesso che sempre
fu tenuto per l’obelisco vaticano. Di questo attestano tutti gli
scrittori più accreditati, che non sia mai stato mosso da dove per
la prima volta fu inalzato, nè in alcun tempo atter- rato, fino a tanto
che, volendolo Sisto V. Pont. Massimo, trasportato dal luogo, dove pri-
ma era posto, mediante un congegno di macchine maravigliose di Domenico Fontana
del contado di Campo Novocomese, nella piazza di S. Pietro, dove al
giorno d’oggi si trova. Di tanto unanimemente ne stanno mallevadori
in particolar modo Decembrio, Poggio Fiorentino, Vegio, Alberiino, Bargeo,
Panvinio, Marliano, Pigafelta, Palladio, Gamuccio, Mercato, Nardinio, Kirhero, Fontana,
Bellorio, Fontana, Bonanno, Bandinio,
Milizia, Cancellieri, Winckelmanno, Fea, Zoega; l’ultimo dei quali, che ci
da un’opera perfettissima sopra gli obelischi, impressa a Roma, come a
nome di tutti gli altri scrisse di quello con facondia. Questo dei romani
obelischi il solo superstite alle rovine della città, si tenne in piedi
nel Circo vaticano fino a tanto che l’architetto Fontana, per comando di Sisto Pontefice
Massimo, lo trasferì nella piazza di S. Pietro. Quindi non è da
prestarsi credenza a Ciampinio, a Molineto, a Vitlorellio, a Ficoronio, a
Marangonio, a Guattanio, e a pochi altri, i quali affermarono che il
medesimo era di già abbattuto e steso al suolo allorché si fece la
sua traslocazione sotto il Pontefice Sisto V. Tuttavia, giudice e testimonio D.,
ora ci si para innanzi all’ impensata il distico da tempo scolpito sopra
l’ obelisco, dal quale non fuori di propo- sito n’ è lecito far
congettura eh’ esso avesse incontrata cogli altri la stessa sorte, e poscia nel
medesimo sito, dove dapprima era posto, sia stato di bel nuovo inalzato ;
ovvero, se non fu ritrovato intiera- mente abbattuto e steso a terra,
fosse almeno così piegato, che il suo inalzamcnto si avesse a tenere
in conto non altrimenti che di fatto assai meraviglioso, e da
tramandarsi con lode alla memoria dei posteri per mezzo d’ un monumento
cospicuo cesellalo a Roma; al quale in séguito, come sarà a vedersi dalle
cose che qui sotto si diranno, se ne aggiunse un altro di simile a Pisa.
Per verità, tostochè lesesi questo distico, ci ricorre alla memoria quel
tetrastico sopra quella grandissima mole di marmo, tradotta per
mare ed inalzata dalle mani di dieci fanciulle, per il sommo ingegno
del chiarissimo architetto Buscheto; il quale tetrastico si vede scolpito nel
medesimo tempo sopra il di lui sepolcro, che fronteggia il tempio
maggiore di Pisa, e parla così, Quod vix mille boum possent juga junctn movere,
Et fuod, vix poluil per mare ferve ralis, Busketi iiisu, quod crat
mirabile vini, Dena puellarum turba levabai onus. Del qual
tetrastico, siccome è noto, furono fatte tante e così scipite
interpretazioni, che il fatto delle dieci fanciulle si spacciò per una
favola ; quasi che quelle parole non si potessero applicare all’
inalzamene della gran mole, portato a termine per opera di Buscheto con
tale perfezione, che dieci donzelle colle sole loro mani sarebbero state
da tanto a quell’impresa, e che a loro in certa guisa sembrasse do- versi
attribuire la grande erezione. Pare che P opinione popolare abbia condotto in
errore tutti coloro che di questo fatto hanno discorso per iscritto ;
cioè che il contenuto in quei quattro versi accennasse alle
macchine costrutte da Buscheto nella fabbrica del tempio pisano ; perchè
il medesimo, ma in altri versi, vi si leggeva in lode di Buscheto sulla
facciata di quel tempio. Per quanto poi si sa, nessuno avrebbe
sospettato se sia da intendersi lo stesso intorno al lavoro eseguito in
Roma. Se non che quelli che giudicano imparzialmente de’fatti, e
sono di parere che P obelisco nel medio-evo sia stato atterralo, e poco dopo
novamente inalzato da Buschelo, sembra ciò possano fare senza taccia di errore,
se specialmente considerino che tutti quegli aggiunti, rappresentati ab
antico colle stesse parole intorno al trasporto dell’ obelisco sopra
una nave d’una meravigliosa grandezza, e la maniera stessa
adoperata nel suo secondo inalzamento, acqui- stano insieme chiarezza e
fede ; altrimenti non veggo quello che se ne possa dire di vero e di
ragionevole su questo fatto. Che l’obelisco sia stato fermo in piedi presso
la Cappella della Basilica Vaticana, nel qual luogo sino dal
principio era stato posto , è chiaro dalla Bolla di Leone, per Li quale
viene confermato il fondo ai Canonici della Basilica medesima, nel cui terzo
lato (disse) corre un'altra via dall'aguglia che si nomina sepolcro di GIULIO
(si veda) Cesare; colla qual denominazione sol- tanto apparisce sia stato
in uso nel medio-evo d’ indi- carsi questo monumento (Collezione delle
Bolle della Basilica Vaticana di Roma. Tennero dietro quei
lagrimevoli tempi, ne’quali per la discordia di Enrico e Gregorio,
che tra loro si combattevano, toccò a Roma di patire moltissime
calamità, nonché assedj, incendj, smantel- lamenti e distruzioni di
fabbriche anche in quella parte che si chiamava Città Leonina, in cui
stava l’obelisco: le quali cose tulle noi leggiamo testimo- niate
publicanienle da scrittori di quell’età, c di già scritte da storici
accurati d’ Italia di tempo posterio- re nei loro divulgati lavori, senza
che mai ne accada per avventura di vedere da essi fatta alcuna
menzione dell’ obelisco ; onde sorge qualche probabilità, che ad
esso pure sia toccata in quel tempo la medesima disgrazia d’essere
rovesciato. Questo certamente cade ora in taglio di osservare, che niuno
di quelli de’quali abbiamo gli scritti circa le antichità di Roma, o
di quelli de’ quali abbiamo le collezioni da gran tempo date in
luce delle antiche iscrizioni, ha fatto mai cenno del distico intorno a
Buscheto; non pure eccet- tuato lo stesso Petrarca, che sappiamo aver
egli stu- diosamente esaminato gli antichi monumenti, e dell’obelisco
aver fatto parola soltanto secondo la voce del popolo ( Epislolæ
familiares, edit. Genev.). Noi pertanto andiamo debitori al Dondi,
siccome a quello che forse primo di tutti ci diede una giusta conoscenza
del tetrastico pisano, e la notizia della mole insigne ultimamente
alzata in Roma, la quale è di moltissimo vantaggio per far conoscere la
storia delle arti meccaniche del medio- evo in Italia : soggetto di un
voluminoso ed utilissimo scritto. Un silenzio così durevole
ed universale non può essere di certo a molti senza ammirazione ; ma
ove essi considerino che l’ obelisco di bel nuovo inalzato era stato
a cielo scoperto bersaglio delle ingiurie dei tempi per il giro di quasi
tre secoli avanti D,, e che mostrava quel distico a lettere sfuggevoli,
sebbene ab antico scolpite, difficili alla lettura per la sconvenienza
del sito, talché siasi preso Buzeta per Buscheto ; e che finalmente nel
secolo XV. le medesime erano del tutto scomparse, non avranno più luogo
sì fatte meraviglie. Senza dubio Decembrio Opera ripiena di scelta
erudizione e poco conosciuta, scritta circa la metà di quel tempo,
intitolata hibri selle di polizia letteraria , c data ai tipi in Augusta,
ce lo rappresenta tanto ridotto a mal termine, che non dee fare stupore
sia esso sfuggito a’curiosi indagatori degli antichi monumenti, ed abbia
indottoVeronese a parlare in tal foggia. Quel lato eh’ è posto a
Mez- » zogiorno viene corroso ogni dì più dai continui vapori dell’
Austro e dalle procelle ; e i geometri e gl’architetti tutti del nostro tempo
ne trovarono tanto di logoro, che ritengono sia scemato da imo a sommo
quasi duecento libre. E il Bembo nel Dialogo ad Ercole Strozio intorno la
zan- zara di Virgilio e le favole di Terenzio, impresso la prima
volta a Venezia con altre sue Operette, mette in bocca a Barbaro Ermolao questi
delti. Appena si può descrivere a parole la grave colpa » che hanno i
Romani per quell’ obelisco vaticano, i quali, quasi invidiando che
sopravivesse una qualche opera alla nostra età, cui lunghezza di anni o »
durata di tempo non valesse a distruggere, adoperarono sì che fosse quasi tolto
alla publica vista per » mezzo di ammonticchiati rottami e murate easupole.
»Ma che D. si abbia procurato colle osservazioni sulle romane antichità
cognizioni per dare a buon diritto lodi secondo le azioni, n’ è prova la
Letlera diciottesima a Paganino Sala, decoralo poco in- nanzi della
dignità di Cavalliere : nella quale difende che la scienza delle leggi è
da tenersi in maggiore estimazione che l’arte militare, scrivendo: « Che
il senato e il popolo romano avessero operato secondo questo parere di CICERONE,
lo attestano alcune facciate, le quali sino al giorno d’ oggi si
conservano nella città scolpite in marmo, alcune delle quali, ) nè
m’ inganna la mia memoria, ho lette io stesso, » dove vengono anteposti
in ordine di scrittura gl’uomini famosi in pace per consiglio a quelli
che travagliarono nella guerra. A’ piedi della rupcTarpéa si conserva uno
splendido arco trionfale di » marmo, che tiene inscritti due grandi
uomini, vale » a dire Lucio Settimio e Marco Aurelio, sopra cui «
dopo una lunga serie si offrono a lettera alcune » cose in proposito, le
quali, tienle a mente, sono » queste: Ob rem publicam restitulam
itnperiuinque » populi romani propagatimi insignibus virlutibus
eorum domi forisque. Ecco preferirsi il publico interesse »
consolidato per senno alla conquista dell’imperio, » e i grandi in pace
a’ grandi in guerra, quantunque » senza dubio l’ una e l’ altra sia cosa
gloriosa. Così » il titolo di Dottore avuto per scienza in Diritto
civile, colla quale si amministrano bene in pace i » publici affari, si
giudica doversi anteporre al titolo » di Condoiliere d'eserciti , colle
armi de' quali si gover- ni nano le cose al di fuori. » Posciachè D.
ebbe osservate le rovine della romana antichità, nella Let- tera
duodecima al frate Guglielmo da Cremona ne scriveva in tal modo, Quantunque
poche ne sieno rimaste delle opere degli antichi ingegni, pure se alcune
qua e là se ne conservano, vengono ricerca- » te, esaminate, e tenute in
gran pregio dagli appassionati in tal genere; e se vorrai mettere a para-
» gone queste dei giorni nostri con quelle, ti sarà » chiaro come gli
autori di quelle sieno stati più avvantaggiati dalla natura e dall’ ingegno, e
più dotti » nel magistero dell’arte. Parlo di edifizj antichi, di »
statue, di sculture, e d’altre cose di simil fatta, alcune delle quali,
con diligenza osservate dagli artelici di questa età, li fanno dare nelle
meraviglie.» Nella qual Lettera stessa, dopo di avere trattato dif-
fusamente sulla eccellenza degli antichi, aggiunse anche le seguenti cose,
spettanti allo studio degli anti- clii monumenti. Io avrei credulo che tu
ti avessi occupato con piacere a leggere di quando in quando scritti di
tale specie, o almeno alcuni dei principali tra essi, ed in quelli ne avessi
considerato in > molte parti, non senza stupore, i costumi e le azioni
dei tempi andati: perchè se vorrai con giustizia » raffrontare quelli con
questi che di presente conosciamo, sarai costretto a confessare che la
giustizia, il valore, la temperanza e la prudenza hanno avuto »
certamente un seggio luminoso nei loro animi, e » dall’ impulso di quelle
virtù si hanno procacciato » alcun che di magnifico a gran lunga
superiore alle » più larghe mercedi. Del resto, prova di ciò sono »
quelle cose che, ordinate una volta per onorare » gloriose intraprese,
durano ancora nella città di Roma. Conciossiachè sebbene molle e delle più
preziose ne abbia mandalo a male il tempo, e di alcune » sieno
mostrate soltanto le rovine, che ci presen- ti tano alcune tracce di ciò
che per lo innanzi erano; tuttavia quelle poche e a meraviglia stupende
che ne restano, sono più che bastanti onde fare testimonianza che coloro
i quali le decretarono, non poteano essere che dotati di somma virtù, e
che coloro a’quali venivano dedicate ad eterna ed onorevole ricordanza doveano
avere operato gesta magnanime e strepitose. Voglio dire statue che, fuse in
bronzo o scolpite in marmo, durarono fino al giorno d’ oggi ; e mollissimi
pezzi sflagellati a torli ra, ed archi trionfali di pietra di gran lavoro, e
co- li lonne storiate di memorabili imprese, ed altre cose moltissime
di tal genere, messe alla vista di tutti onde onorare personaggi illustri
o per avere stalibilita la pace, o scampata la patria da sovrastante »
pericolo, o disteso il dominio sulle vinte nazioni. E siccome mi sovviene
eli’ io vi leggeva con molto mio compiacimento, così voglio sperare che tu
pulì re, passandovi sopra qualche fiala, le avrai considerale, e fatto sovr’esse
alcun segno di meraviglia, ed avrai detto per avventura teco stesso: Queste per
fermo sono prova d’ uomini grandi. Resta che a fornire l’elogio di D. io lo dimostri
anche amante dello studio poetico, onde sia manifesto com’ egli abbia
occupato un luogo cospicuo fra i Medici del suo tempo. Anche i meno
esperti di tali cose sapranno che delle sue composizioni italiane una
sola ne fu data alle stampe, indirizzata a PETRARCA (si veda), la quale con
altre dello stesso autore suolsi vedere congiunta, e ne fu fatta memoria
nel Dizionario degli Academici Fiorentini della Crusca. Ma nel codice
manoscritto, di cui sul principio ho fatta menzione, se ne leggono quaranta del
genere di quelle che con vulgare vocabolo è invalso chiamare Sonetti.
Queste trattano di varj argomenti, e specialmente dell’ amore alla virtù, della
malvagità dei costumi del suo tempo , della lode e del biasimo di
alcuni Principi allora regnanti, di città vedute nel suo viaggio per
Roma, di risposte ad amici; e di amorose assai poche, ben diversamente da
quello che portail suo secolo. Le poesie volgari du D. furono
scritte a PETRARCA (si veda), e a quelli amatori delle Muse che a lui erano
legati in istrelta amicizia ; cioè a Broaspitia veronese, a Vanozzi,
a Melchiore e Benedetto parimente veronesi, a Pace padovano, al frate Guglielmo
da Cremona, a Giovanni di Venezia suo condiscepolo, a Campo, e Castellione
Aretino. D. visitando la tomba del Petrarca in Arquà scrisse forse
il primo di tutti su tale argomento una composizione, imitato poscia da
uomini dotti d’ogni nazione e d° ogni tempo ; cosicché coll’ andare
degli anni io ho raccolto versi in gran copia sopra questo
soggetto, i quali potrebbero uscire in luce con generale approvazione. La
poesia usata da D, non è sempre sciolta e facile; tuttavia è fornita di
gravità e di eleganza: gli piaque di framischiare sovente versi latini ai
volgari, come sappiamo su IP esempio degli antichi poeti es- sersi
usalo fare da alcuni moderai con vano sforzo. Nella sua giovinezza
atlendeva con piacere a verseggiare, come scrive a Guglielmo da Cremona: Già
nella vaga elade de’ prim’anni Mi piaque udir e dir talvolta in
rima, Benché con grosso stile e rude lima: Poi che l’alma vestir di
miglior panni Mi piaque più, perch’io conobbi i danni Dei
persi di, lasciai la via di prima. Prendendo quel che piu prezzo si
stima Con maggior cura e studiosi affanni. I codici scritti a penna
assai di rado ci offrono versi di D., ed io ne ho veduti se non
pochissimi in due soltanto: uno de’ quali trovasi nella Biblioteca
del Seminario di Padova, un tempo posseduto dal Facciolati ; l’ altro
squarcialo, e mal difeso dalle in- giurie dei tempi, fu da me rinvenuto
poco fa nell’ul- tima stanza della Basilica di S. Marco in Venezia,
e portato nella Biblioteca regia : il perchè non dee parere fuori di
ragione eli’ io ponga qui appiedi di que- sta Lettera, come per saggio,
sei componimenti volgari di esso Dondi. Da tutto il fin qui
detto risulta, che presso i giusti estimatori degl’ingegni il Dondi andò
fornito di tanta e sì svariata dottrina, che v’ha onde tenerlo del
tutto eccellente fra i pochi periti in Medicina del suo secolo, e che
perciò non ho gettato inutilmente il tempo e la fatica nel farlo riconoscere
per tale. Venezia, Se’l veder torto del vostro Giovanni Mira la
region terrestre ed ima. La gente ricercando in ogni clima, Ebrei, LATINI,
Greci ed Alemanni, Regni comuni, e sudditi a’tiranni; Al mal son
pronti, e per quel si sublima, Spenta è virtù, e la fortuna opima
Col vizio sta su gloriosi scanni. Ito è il tempo che fu col buon
Augusto, Rari son quei che per virtù guadagna; Astuzia e frodo
regna con bugia. A cui dunque direm del calle angusto, Per qual si va
con la virtù compagna? Degno è del mal così lagnarsi pria. Oli puzza
abbominabil di costumi! Oli maledetti dì di nostra etade! Oli gente
umana senza umanitade! Più che senza splendor oscuri fumi! Convien
che ’l mondo in breve si consumi. Poiché giustizia ed innocenza
cade; E sol quell’arte e studio par che aggrade. Per qual l’un
l’altro offenda, inganni e schiumi. Qual’ cieli infortunati, qual’
figure. Qual’ mimiche stelle o gravi segni In ogni nostro ben or s’è
disperso? Quanto beate fur più le nature Nell’imperio
d’ Augusto, quando ingegni, Virtute e pace ebbe l’Universo! Cantra
insolenliam Fenetorum inferentium guarani Amino Paduae. Se la gran
Babilonia fu superba, Troja, Cartago, e la mirabil Roma, Che ancor si
vede, e quell’ altre si noma. Ma dove sletler pria stan selve ed
erba; E se altra possa fu mai tanto acerba A metter sopra altrui
gravosa soma. Tutte san già quant’ogni orgoglio doma Al fin colei
clic a sè vendetta serba. Però qualunque è maggior signoria
Dovrebbe rifrenar con più misura Fraterna di giustizia sua potenza; Di
aver con suoi minor consorte pia. Non arrogante, ingiuriosa e dura, E
temer sopra sè dal Ciel sentenza. Cum visitasset sejiulchrum Domini
Fraudici PelrarcUae in A rquada. Ilei sommo cielo con eterna
vita Gode P alma felice tua, PETRARCA; Quindi di sodo sasso in
nobil’ arca La terrena caduca parte uscita. La fama del tuo nome già
gradita Sonando va con gloriosa BARCA – la barca di PETRARCA --, Di
vera lode e d’ogni pregio carca, Per l’Universo in ogni canto
udita. Nelle scritte sentenze tue si vede La gentilezza dell’ingegno
divo, E qual sii stato in cattolica fede. Forò chi anco t’ama
non è privo Ancor di te; c chi morto li crede Erra, ch’or vivi e
sempre sarai vivo. Y. Joannes ile Domiti socio et eoiuliscipulo tuo
Joanni de Fenetiis studenti in Medicina, qui tcripseral eidem
quondam tmlgares rhythmos. Le tue parole mi par belle tanto,
E sì bene ordinate tutte quante. Qual se dette le avesse o
Guido o DANTE ALIGHIERI (si veda), Ovvero esaminate in ogni canto. Però
quando fra me mi penso alquanto, Parmi che tu non sei molto distante Da
color che tu imiti, buon rimante, E che han vestito di quell’arte
il manto. Ond’io ti prego che scrivi talvolta, Sì che
svegli il mio piccol ingegno, Per te sottratto dalla turba
stolta. Onor ti renderò, che sei ben degno. Più che’l fanciul al
maestro ch’ascolta. Guardando a te col balestriere <0 al segno. Così
il codice. Dica contra chi vuol: il saper vale Più che
il folle ardimento, cd ogni schiera Produrrà a torto quantunque sua
fiera: Per ragion giusta, dee terminar male. E chi per van
conforto d’altrui sale Oltra quel che convien a sua maniera. Degno
è che non governi ben bandiera, Nè ben cavalchi alcun sotto sue ale. Adunque
imprenda pria quei che non sanno, E non ardisca saltar di leggieri; Contra
s’alza a baldezza di vesciche. Chè chi è corrente ha più volle le
fiche, E scaccomato in mezzo il tavolieri, Sì ch’ei riporta
la vergogna e ’l danno..tK*rCP odiatene di »oti 300 esemplati. BUSCHETO
di Isa Belli Barsali - Dizionario Biografico degli Italiani - Pubblicità
BUSCHETO (Busketus, Buschetto, Boschetto). - Si ignorano l'origine e gli
estremi biografici di questo architetto attivo a Pisa tra il terzo
venticinquennio del sec. XI e i primi del XII. Compare in due soli documenti
certi (pubblicati dal Pecchiai), e come operarius di S. Maria. È l'ideatore del
progetto della cattedrale pisana e come tale infatti è ricordato ed esaltato,
nel paragone con Ulisse e con Dedalo, nell'iscrizione che si legge sulla sua
tomba collocata nella prima arcata a sinistra della attuale facciata
(trasferitavi da quella primitiva): "Non habet exemplum niveo de marmore
templum. Quod fit Busketi prorsus ab ingenio. Una più tarda iscrizione
elogiativa aggiunta sul sarcofago in occasione del trasferimento della tomba
dalla vecchia alla nuova facciata (al tempo cioè dell'architetto di
quest'ultima, Rainaldo) esalta del B. soprattutto le capacità tecniche:
"Quod vix mille boum possent iuga iuncta movere / Et quod vix potuit per
mare ferre ratis / Busketi nisu quod erat mirabile visu Dena puellarum turba
levabat onus. Accenti assai simili aveva un'epigrafe romana, ora scomparsa,
trascritta da G. Dondi, che celebrava un "Buzeta" per aver nuovamente
eretto l'obelisco nel circo neroniano: "Ingenio Buzeta tuo bis quinque
puellae / appositis manibus hanc erexere columnam". Questa somiglianza di
tono nelle due epigrafi, pisana e romana, indusse il Morelli a proporre
l'identificazione di "Buzeta" con Buscheto. Non risulta certo
che sia da identificare con il B. che compare nel 1076 e 1078 in due atti della
canonica del duomo di Pistoia (L. Chiappelli, Storia di Pistoia..., Pistoia).
Per altre ipotesi (B. del fu Giovanni giudice dei signori di Ripafratta, Monini),
basate su documenti presunti o per documenti (Pecchiai) poinon rintracciati, si
veda Scalia. I lavori della cattedrale pisana, iniziati nel 1063 al tempo
del vescovo Guido da Pavia, proseguirono, sostenuti da donazioni, tra cui
quelle di Enrico IV e della contessa Matilde. Gelasio consacra la cattedrale,
forse non ancora del tutto compiuta. Dopo questa data, l'edificio venne
ampliato con il prolungamento a ovest del corpo longitudinale della chiesa, di
circa quindici metri, che portò di conseguenza alla costruzione dell'attuale
facciata (per il Sanpaoles. Per le fondazioni della prima facciata si veda
Bacci). L'individuazione, ovviamente fondamentale, dell'attività di B.
nella parte più antica del duomo, ha avuto un lungo iter critico. Alla luce
degli studi recenti è da credere che il B. progettasse e iniziasse la
costruzione in età ancor giovane, proseguendone poi la fabbrica fino al primo
decennio del sec. XII. Molte ipotesi sono state avanzate sui tempi e i
modi della fabbrica del duomo durante la direzione di Buscheto (Dehio-von
Bezold; Salmi, 1938;Sanpaolesi). Una documentazione indiretta aiuta solo parzialmente.
Accettando l'ipotesi del Burger, che l'epigrafe con data 1085 murata sulla
porta della pieve nuova di S. Maria del Giudice (Lucca) vada riferita al
completamento dell'abside di questa chiesa - anteriore stilisticamente alla sua
facciata - il1085verrebbe ad essere anno ante quem per il completamento di una
parte dei lavori al duomo pisano attribuibili a B., dato il rapporto esistente
tra il duomo di Pisa e l'abside della pieve nuova di S. Maria del Giudice: la
chiesa del contado lucchese sarebbe anche il più antico edificio derivato dalla
cattedrale pisana. I forti pilastri interni all'incrocio del transetto
delineano le dimensioni della cupola e autorizzano a ritenere che B.
progettasse anche questa parte (Sanpaolesi), anche se poi è possibile che i
lavori si protraessero. La cupola originaria - poggiante su un tamburo con
monofore ad archetto e su trombe coniche venute in luce durante i restauri del
secondo dopoguerra - indica rapporti con l'architettura del Mediterraneo
orientale e della Sicilia. Un problema aperto è quello della forma della
facciata di B., forse già compiuta nel 1118 quando fu consacrata la chiesa,
certo già esistente quando nella chiesa fu tenuto un concilio, e disfatta
probabilmente dopo la costruzione della nuova. Ipotesi ricostruttive possono
trovare appoggio nell'esame analitico e comparativo di alcune facciate di
chiese pisane (S. Frediano di Pisa, la pieve di Calci già aperta al culto, la
pieve di Vicopisano) e lucchesi (le due pievi di S. Maria del Giudice), tutte
in contatto con la cattedrale pisana. Queste facciate mostrano una ricorrente
tipologia ad archi ciechi su due ordini, che si presenta in logico e armonioso
rapporto con quella soluzione ad archi ciechi che compare nei fianchi del duomo
di Pisa. Il linguaggio di B. non è certo riconducibile ad una tradizione
locale, ed è estremamente colto. Accettando l'ipotesi di identificazione con il
Buzeta dell'iscrizione romana, il soggiorno a Roma illuminerebbe sul sottofondo
classico della sua cultura: l'impianto dell'edificio e i grandi colonnati
basilicali, i capitelli foggiati ad imitazione dell'antico, la quasi completa
assenza di decorazioni figurate rivelano infatti la conoscenza e lo studio
delle opere romane; è significativo che anche il neoclassico Milizia ne notasse
"le proporzioni del tutto non... spregevoli" e la sodezza. Nello
stesso tempo B. è a conoscenza dell'architettura lombarda e dell'architettura
orientale, dalla bizantina all'araba. Contatti e rapporti culturali sono
d'altronde superati in una unitaria visione di grande respiro, che fa di B. uno
dei massimi architetti. La cattedrale pisana è capostipite del romanico
pisano. All'opera di B. e del suo continuatore Rainaldo si rifece non solo la
generazione a loro più vicina, ma una folta scuola, estesasi nella Lucchesia,
nel territorio fiorentino, e nelle zone politicamente o commercialmente in
rapporto con Pisa (in Sardegna e in Puglia), scuola che ne mantenne alcuni
tratti essenziali, pur modificandosi nel tempo e nei diversi centri.
Fonti e Bibl.: B. Maragone, Annales pisani, in Rerum Italic. Script., a cura di
Gentile; Sardo, Cronaca pisana, a cura di Banti, Roma, D., ITER ROMANVM, in CODICE TOPOGRAFICO DELLA
CITTA DI ROMA, cur. Valentini-G. Zucchetti, IV, Roma, Milizia, Mem. degli
architetti antichi e moderni, Parma; Morrona, Pisa illustrata, Pisa, Morelli,
Operette, Venezia; Grassi, Descriz. Stor.-artistica di Pisa, Pisa, Parte
storica; Parte artistica; Fleury, Les monuments de Pise au Moyen Age, Paris, Rossi,
Inscriptiones christianae Urbis Romae, I, Romae, Dehio-Bezold, Die kirchliche
Baukunst des Abendlandes, I, Stuttgart, Monini, B. pisano, Pisa; P. Schubring,
Pisa, Leipzig Venturi, Storia dell'arte italiana, Milano; J. B. Supino, Arte
pisana, Firenze, Pecchiai, L'opera della Primaziale pisana, Pisa, Papini, Pisa,
I, Roma, La costr. del duomo di Pisa, in L'Arte, Bacci, Le fondaz. della
facciata nel duomo di Pisa, in Il Marzocco, Tronci, Il duomo di Pisa, cur. Bacci,
Pisa; M. Hauttmann, Die Kunst des frühen Mittelalters, Berlin, Salmi,
L'architettura romanica in Toscana, Milano-Roma, Toesca, Il Medioevo, I, Torino,
Guyer, Der Dom zu Pisa und das Rätsel seiner Entstehung, in Münchner Jahrbuch
der bildenden Kunst, Salmi, La genesi del duomo di Pisa, in Boll. d'arte,
Thümmler, Die Baukunst in Italien, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte,
Ragghianti, Architettura lucchese e architettura pisana, in Critica
d'arte, Burger, L'architettura romanica
in Lucchesia e i suoi rapporti con Pisa, in Atti del Seminario di storia
dell'arte, Pisa-Viareggio, Sanpaolesi, La facciata della cattedrale di Pisa, in
Riv. dell'Ist. d'archeol. e storia dell'arte, Il restauro delle strutture della
cupola della cattedrale di Pisa,in Boll. d'arte, Burger, Osservazioni sulla
storia della costruzione del duomo di Pisa, in Critica d'arte; Barsotti, B. e
Rainaldo, in Cattedrale di Pisa (catal. della mostra), Pisa, Delogu, Pistoia e
la Sardegna nell'architettura romanica, in I Convegnointernaz. di storia e
arte,Pistoia Scalia, Ancora intorno all'epigrafe sulla fondazione del duomo
pisano, in A G. Ermini, Spoleto, Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, s.v.
Busketus. Circo di Nerone Circo scomparso della Roma antica Circo di
Nerone (o Vaticano) Sito archeologico Roma Nero Circus Ricostruzione del Circo
di Nerone in un disegno di Pietro Santi Bartoli Civiltà Civiltà romana Utilizzo
Circo Localizzazione Stato Città del Vaticano Mappa di localizzazione Il
circo di Nerone era un impianto per spettacoli dell'antica Roma lungo 540 metri
e largo circa 100, che sorgeva nel luogo dove oggi si trova la basilica di San
Pietro in Vaticano, in una valle che correva da dove si trova la parte sinistra
della basilica fino quasi ad arrivare al Tevere. L'area dei Carceres, da dove
partivano le bighe, era situata nel punto dal quale la Via del Sant'Uffizio
lascia piazza Pio XI, mentre quella del lato curvo va rintracciata qualche
decina di metri dopo l'abside della basilica di San Pietro.
StoriaModifica L'opera, iniziata da Caligola e completata da Nerone, era stata
costruita all'interno della villa di Agrippina Maggiore, villa che alla morte
della madre di Caligola passò in eredità a Nerone. Nel circo privato
dell'imperatore si tenevano corse di cavalli, bighe e quadrighe, molto popolari
a Roma, tanto che in alcune occasioni l'imperatore, che normalmente vi
assisteva solo con la sua corte, fece aprire le porte del circo al popolo
romano. È probabile che l'impianto non dovesse contenere più di 20.000
spettatori. Qui ebbero luogo, forse per la vicinanza all'adiacente
necropoli, alcune esecuzioni dei cristiani giudicati colpevoli di aver causato
il grande incendio di Roma. Nerone, secondo Tacito, aggiunse lo scherno al
supplizio. Come avvolgere gli uomini con pelli di animali perché fossero
dilaniate dai cani, o inchiodarli alle croci, o destinarli al rogo come
fiaccole, che illuminassero l'oscurità al termine del giorno. Nerone aveva
offerto i suoi giardini per lo spettacolo, e vi aveva organizzato giochi
circensi, mescolandosi alla folla in abito d'auriga o guidando un carro da
corsa. In tal modo si aveva pietà di quei condannati, benché colpevoli e
meritevoli del supplizio, perché venivano sacrificati non per l'utilità
pubblica ma per la crudeltà di uno solo.[1] Il circo fu abbandonato già
verso la metà del II secolo d.C. e l'area fu suddivisa e assegnata in
concessione ai privati per la costruzione di tombe appartenenti alla necropoli.
Tuttavia pare che fino al 1450 ne sopravvivessero ancora molti resti, distrutti
con la costruzione della nuova basilica vaticana. L'obelisco, che era
posto al centro della spina del circo, era stato per volere di Caligola
trasportato fin qui da Eliopoli, dove si trovava nel Forum Iulii. Qui rimase
fino a che papa Sisto V lo fece spostare
al centro di Piazza San Pietro. L'area dove sorgeva anticamente il
Circo di Nerone. Publio Cornelio Tacito, ''Annales, Basilica di San Pietro
in Vaticano Via Cornelia Altri progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons
Wikimedia Commons contiene immagini o altri file su circo di Nerone. Portale Antica Roma
Portale Architettura Portale Roma Necropoli vaticana Ager
Vaticanus Via Cornelia Strada romana antica Wikipedia Il contenutoGrice:
“I thought it was a good idea of the Anglo-Normans to retain the Anglo-Saxon
idea of ‘time’ (as stretch – a rather English root – cf. German ‘zeit,’ our
‘tide’ --, and borrow from Latin, ‘tempus’, which gives us ‘temporary’, as I
use in my ‘Personal Identity,’but also ‘tense’ – This tense is better than by
vice/vyse, since vice and vyse are both cognate with violence. But tense and
tense are not. One is cognate with Latin tension. The other is just a
mispronounciation of Fremch ‘temps,’ Latin/Roman ‘tempus’ – So as Cicero would
have it, it’s ‘tempus’ we should care about!” -- Giovanni Dondi dall’Orologio. Giovanni
De Dondi. Dondi. Keywords: l’astrarium, Leibniz’s Law, time-relative identity,
total temporary state (Grice: “I’m thinking of Hitler”); Wiggins, Myro, The
Grice-Myro Theory of Identity, sameness and substance, Mellor, filosofia del
tempo, Prior, Creswell, Mellor – logica cronologica, ‘tense logic’ ‘tense
implicature’ -- “iter romanorum”. Refs:
Luigi Speranza, “Grice e Dondi” – The Swimming-Pool Library. Dondi.
Grice e Dorfles: la ragione convversazionale e l’implicatura
conversazionale del kitsch – scuola di
Trieste – filosofia friuliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Trieste). Filosofo trestino. Filosofo friulese. Filosofo
italiano. Trieste, Friuli –
Venezia Giulia. Grice: “Must say my
favourite Dorfles is his ‘artificio e natura,’ on the doryphoros!”. Nato a Trieste nell'allora Austria-Ungheria da padre
goriziano di origine ebraica e madre genovese, si laurea a Trieste. Si dedica
allo studio della pittura, dell'estetica e in generale delle arti. La conoscenza
dell'antroposofia di Steiner, acquisita grazie alla partecipazione a un ciclo
di conferenze a Dornach, orienta la sua arte pittorica verso il misticismo,
denotando una vicinanza più ai temi dominanti dell'area mitteleuropea che a
quelli propri della pittura italiana coeva. Isegna a Milano, Cagliari e
Trieste. Fonda il Movimento per l’Arte Concreta (vs. arte astratta). del quale
contribuì a precisare le posizioni attraverso una prolifica produzione di
articoli, saggi e manifesti artistici. Prende parte a numerose mostre in Italia
e all'estero: espone i suoi dipinti alla Libreria Salto di Milano e in numerose
collettive, tra le quali la mostra alla Galleria Bompiani di Milano,
l'esposizione itinerante, e la grande mostra "Esperimenti di sintesi delle
arti", svoltasi nella Galleria del Fiore di Milano. Risulta
componente di una sezione italiana del gruppo ESPACE. Diede il suo contributo
alla realizzazione dell'Associazione per il Disegno Industriale. Si dedica
quindi in maniera pressoché esclusiva all'attività critica. Con la personale
presso lo Studio Marconi di Milano, torna a rendere pubblica la propria produzione
pittorica. L'arte non prescinde dal tempo per esprimere semplicemente lo
spirito della Storia universale, bensì è connessa al ruolo delle mode e a tutti
gli ambiti del gusto. Considerevole è stato il suo contributo allo sviluppo
dell'estetica italiana, a partire dal Discorso tecnico delle arti, cui hanno
fatto seguito tra gli altri Il divenire delle arti e Nuovi riti, nuovi miti.
Nelle sue indagini critiche sull'arte contemporanea si è sovente soffermato ad
analizzare l'aspetto socio-antropologico del fenomeno estetico e culturale,
facendo ricorso anche agli strumenti della linguistica. È autore di numerose
monografie su artisti di varie epoche (Bosch, Dürer, Feininger, Wols,
Scialoja). Pubblicato due volumi dedicati all'architettura (Barocco
nell'architettura moderna, L'architettura moderna) e un famoso saggio sul
disegno industriale (Il disegno industriale e la sua estetica). è il primo
a vedere tendenze barocche nell'arte moderna (il concetto di neobarocco sarà
poi concettualizzato da Calabrese) riferendole all'architettura moderna in:
Barocco nell'architettura moderna. Contribuisce al Manifesto dell'antilibro,
presentato ad Acquasanta, in cui esprime la valenza artistica e comunicativa
dell'editoria di qualità e il ruolo del lettore come artista. A Genova si
occupa anche del lavoro di Costa. Partecipa alla presentazione del libro
Materia Immateriale, biografia di Costa, Miriam Cristaldi, di cui Dorfles ha
scritto la prefazione. L'editore Castelvecchi ha pubblicato Horror Pleni. La
(in)civiltà del rumore, in cui analizza come la scoria massmediatica ha
soppiantato le attività culturali; Conformisti e Fatti e Fattoidi. Pubblica un
inedito d'eccezione, “Arte e comunicazione”, in cui mette la teoria alla prova
con alcune applicazioni concrete particolarmente rilevanti e problematiche come
il cinema, la fotografia, l'architettura. è uscito Irritazioni: un'analisi
del costume contemporaneo, uscito nella collana Le navi dell'editore Castelvecchi.
Con la sua ironia ha raccolto le prove della sua inconciliabilità con i tempi
che corrono. Nel saggio c'è una critica sarcastica e corrosiva all'attuale iperconsumismo.
NComunicarte Edizioni, pubblica 99+1 risposte di Dorfles nella collana Carte
Comuni. Un'intervista "lunga un secolo" con la quale il critico
ripercorre la sua vita e alcuni incontri d'eccezione: da ISvevo a Warhol, da
Castelli a Fini. La Triennale di Milano ospita la mostra "Vitriol,
disegni" Aldo Colonetti e Luigi Sansone; V. I. T. R. I. O. L. è un simbolo alchemico, acronimo del motto
rosa-crociano “Visita Interiora Terrae Rectificando Invenies Occultum
Lapidem”. Assieme ad artisti e autori come Anceschi, Enrico Baj, Marchesi,
Mulas e Niccolai, partecipa al numero quattordici di BAU.. Muor e a
Milano, nella sua casa di piazzale Lavater. Zio di Piero Dorfles, critico
letterario della trasmissione televisiva Per un pugno di libri (il padre di
Piero, Giorgio, era fratello di Gillo). Tra i riconoscimenti ricevuti:
Compasso d'oro dell'Associazione per il Design Industriale, Medaglia d'oro
della Triennale, Premio della critica internazionale di Girona, Franklin J.
Matchette Prize for Aesthetics. È stato insignito dell'Ambrogino d'oro dalla
città di Milano, del Grifo d'Oro di Genova e del San Giusto d'Oro di
Trieste. È stato Accademico onorario di Brera e Albertina di Torino,
membro dell'Accademia del Disegno di Città del Messico, Fellow della World
Academy of Art and Science, dottore honoris causa del Politecnico di Milano e
dell'Università Autonoma di Città del Messico. Palermo gli conferì la
laurea honoris causa in Architettura. Ricevette dall'Cagliari la laurea honoris
causa in Lingue moderne. Onorificenze Cavaliere di gran croce dell'Ordine
al merito della Repubblica italiana nastrino per uniforme ordinariaCavaliere di
gran croce dell'Ordine al merito della Repubblica italiana, Di iniziativa del
Presidente della Repubblica» Medaglia d'oro ai benemeriti della cultura e
dell'arte nastrino per uniforme ordinaria Medaglia d'oro ai benemeriti della
cultura e dell'arte. Altre opere: “Barocco nell'architettura moderna” (Studi monografici
d'architettura, Libreria Editrice Politecnica Tamburini, illustrazioni); “Discorso
tecnico delle arti, Collana Saggi di varia umanità, Pisa, Nistri-Lischi,Il
pensiero dell'arte, Milano, Marinotti); “L'architettura moderna, Collana serie
sapere tutto, Milano, Garzanti); “Le oscillazioni del gusto e l'arte moderna” (Forma
e vita, Milano, Lerici); “Il divenire delle arti, Collana Saggi, Torino,
Einaudi, ed. accresciuta, Torino, Einaudi; Collana Reprints Einaudi, Bompiani);
“Ultime tendenze nell'arte”, Collana UEF, Milano, Feltrinelli); XXVII ed., UEF,
Milano, Feltrinelli); “Simbolo, comunicazione, consume” (Torino, Einaudi, Il
disegno industriale e la sua estetica, Bologna, Cappelli, Kitsch e cultura, in
Aut Aut, Nuovi riti, nuovi miti” (Torino, Einaudi, Milano, Skira, L'estetica
del mito (da Vico a Wittgenstein), Milano, Mursia, Kitsch: antologia del
cattivo gusto, Milano, Mazzotta); “Artificio e natura” (Torino, Einaudi); Milano,
Skira, Le oscillazioni del gusto. L'arte d'oggi tra tecnocrazia e consumismo, Torino,
Einaudi, Milano, Skira, “Senso e insensatezza nell'arte d'oggi, ellegi
edizioni, L'architettura moderna. Le origini dell'architettura contemporanea; I
quattro grandi: Wright, Corbusier, Gropius, Rohe); Dall'espressionismo
all'organicismo razionalizzato, dall'ornamented modern al brutalismo, ai più
avveniristici tentativi attuali, I Garzanti, Milano, Garzanti, Dal significato
alle scelte, Torino, Einaudi, Massimo Carboni, Collana I Timoni, Roma, Castelvecchi,
Il divenire della critica, Collana Saggi, Torino, Einaudi); “Le buone maniere,
Milano, Mondadori, Mode & Modi, Collana Antologie e saggi, Milano,
Mazzotta, II ed. riveduta, Mazzotta, Introduzione al disegno industriale.
Linguaggio e storia della produzione di serie” (Torino, Einaudi, L'intervallo
perduto, Collana Saggi, Torino, Einaudi, Milano, Skira, I fatti loro. Dal
costume alle arti e viceversa, Milano, Feltrinelli, Architettura ambigue. Dal
Neobarocco al Postmoderno, Bari, Dedalo, La moda della moda, Collana I
turbamenti dell'arte, Genova, Costa e Nolan, La (nuova) moda della moda), Costa
& Nolan, Elogio della disarmonia: arte e vita tra logico e mitico” (Milano,
Garzanti, Milano, Skira, Itinerario estetico, Milano, Studio Tesi, Itinerario
estetico. Simbolo mito metafora, Luca Cesari, Bologna, Editrice Compositori); “Il
feticcio quotidiano” (Milano, Feltrinelli, Massimo Carboni, Collana I Timoni,
Roma, Castelvecchi, Intervista come auto-presentazione, con tavole di Paolini,
Collana Scritti dall'arte, Tema Celeste Edizioni, Preferenze critiche. Uno
sguardo sull'arte visiva contemporanea, Bari, Dedalo, Design: percorsi e
trascorsi” (Design e comunicazione, Bologna, Lupetti, Fulvio Carmagnola,
Lupetti, Conformisti, Roma, Donzelli, Fatti e fattoidi. Gli pseudo-eventi
nell'arte e nella società, Vicenza, Neri Pozza, Massimo Carboni, Roma, Castelvecchi,
Irritazioni. Un'analisi del costume contemporaneo, Collana Attraverso lo
specchio, Luni, Carboni, Roma, Castelvecchi, Scritti di Architettura, L.
Tedeschi, Milano, Mendrisio Academy, Puppo, D. e dintorni, Milano, Archinto, Lacerti
della memoria. Taccuini intermittenti, Bologna, Compositori, L'artista e il
fotografo, Verso l'Arte, Conformisti. La morte dell'autenticità, Massimo
Carboni, Roma, Castelvecchi, Horror Pleni. La inciviltà del rumore, Collana I
Timoni, Roma, Castelvecchi); “Arte e comunicazione: comunicazione e struttura
nell'analisi di alcuni linguaggi artistici” (Milano, Mondadori Education, Inviato
alla Biennale, A. De Simone, Milano, Scheiwiller, 99+1 risposte, Lorenzo
Michelli, Trieste, Comunicarte Edizioni, Movimento Arte Concreta, Sansone e N.
Ossanna Cavadini, Milano, Mazzotta, Poesie, Campanotto Editore, L'ascensore
senza specchio, Quaderni di prosa e di invenzione, Milano, Edizioni Henry
Beyle, Kitsch: oggi il kitsch, Colonetti et al., Bologna, Compositori, Arte con
sentimento. Conversazione,Meneguzzo, Collana Polaroid, Milano, Medusa, Essere
nel tempo, Achille Bonito Oliva, Milano, Skira, Gli artisti che ho incontrato, Sansone,
Milano, Skira, La logica dell'approssimazione, nell'arte e nella vita, Aldo Colonnetti,
Estetica senza dialettica. Scritti, al, Luca Cesari,Milano, Bompiani, Paesaggi
e personaggi, Rotelli, Milano, Bompiani, La mia America, Sansone, Milano,
Skira; "Interviene D.", in alterlinus "Calligaro: parole e
immagini", in Preferenze critiche, Dedalo, "Né moduli, né
rimedi", in Agalma, "Disarmonia, asimmetria, wabi,
sabi", in Agalma, "Feticcio", in Agalma, "Barozzi", in Da Duchamp agli Happening.
Il Mondo di Pannunzio e altri scritti, Campanotto Editore, Traduzioni Rudolf
Arnheim, “Arte e percezione visive” (Milano, Feltrinelli, Arnheim, Guernica.
Genesi di un dipinto, Milano, Feltrinelli); Addio a D. «La mia vita infinita da
Giuseppe agli smartphone», su corriere. Cazzullo: la mia vita infinita da Giuseppe
agli smartphone, Corriere della sera, il Redazione, Novità formali e
riesumazioni di precedenti esempi, il contemporaneo è un linguaggio nuovo di un
sapere condiviso, QM, su quid magazine, biografia sul sito delle Edizioni Il
Bulino, Galliano Mazzon, Mostra antologia: Civico Padiglione d'Arte Moderna, Milano,
Civico Padiglione d'Arte Moderna, Mostra antologia di Mazzon: Civico Padiglione
d'Arte Moderna, Milano,Caramel, Arte in Italia, su Dioguardi Gianfranco,
Processo edilizio e progetto: vecchi attori alla ricerca di nuovi ruoli, Milano:
Franco Angeli, Studi organizzativi. Fascicolo, Corriere della Sera, Cfr. la raccolta
degli scritti raccolti in Architetture Ambigue: Dal Neobarocco al Postmoderno,
Dedalo, Bari Di Giovanni, Il corpo, nuova forma: la “body art”; Cheiron:
materiali e strumenti di aggiornamento storiografico. Lecta web, arte e
comunicazione. Vitriol Triennale, Sussidiaria: GPS/GaPSle Forbici di Manitù
(BAU14). Celeste Prize BAU 14 Gnoli, D. il rivoluzionario critico d'arte, La
Repubblica, Bucci, Morto, critico
poliedrico. Corriere della Sera, Addio ad Alma D., signora di cultura, Il Piccolo,
Sito web del Quirinale: dettaglio decorato., su Quirinale, dettaglio decorato.,
su Quirinale, Intervista su conoscenza.rai. Mandelli, Capire l'arte
contemporanea su youtube.com D., «Mi sveglio, lavoro. Amo il vino», in Corriere
della Sera, Cazzullo, la mia vita
infinita da Francesco Giuseppe agli smartphone, in Corriere della Sera. Natura insieme degli esseri viventi e
inanimati considerato nella sua forma complessiva Lingua Per natura si intende
l'universo considerato nella totalità dei fenomeni e delle forze che in esso si
manifestano, da quelli del mondo fisico a quelli della vita in generale.
Paesaggio naturale Storia del concetto Natura (filosofia). Il termine
deriva dal latino Natura e letteralmente significa "ciò che sta per
nascere": a sua volta deriva dalla traduzione latina della parola greca
physis Il concetto di natura come una totalità che va a comprendere anche
l'universo fisico è una delle molte estensioni del concetto originale; sin
dalle prime applicazioni di base della parola φύσις da parte dei filosofi
presocratici, esso è entrato sempre più nell'uso corrente. Questa
concezione è stata riaffermata con l'avvento del moderno metodo scientifico
negli ultimi secoli. Natura e ambiente Ambiente (biologia). I
boschi fanno parte del gruppo della Natura. La "natura" può riferirsi
alla sfera generale delle piantee degli animali, ai processi associati ad
oggetti inanimati, al modo in cui determinati tipi di forme esistono ed ai
cambiamenti spontanei come i fenomeni meteorologici o geologici della Terra, la
materia e l'energia di cui tutte queste realtà sono composte. Viene inteso come
ambiente naturale il deserto, la fauna selvatica, le rocce, i boschi, le
spiagge, i mari e gli oceani, e in generale quelle cose che non sono state
sostanzialmente modificate dall'intervento umano, o che persistono nonostante
l'intervento dello stesso. Ad esempio, i manufatti e le trasformazioni umane in
genere non sono considerati parte della natura, venendo preferibilmente
qualificati come una natura più complessa. Più in generale, la natura
comprende i seguenti contesti e dimensioni della realtà. La Terra è il luogo
primigenio degli esseri umani, che ospita la vita come da noi concepita e
conosciuta. Sulla sua superficie si trova acqua in tutti e tre gli stati
(solido, liquido e gassoso) e un'atmosfera composta in prevalenza da azoto e
ossigeno che, insieme al campo magnetico che avvolge il pianeta, protegge la
Terra dai raggi cosmici e dalle radiazioni solari. La sua formazione è
datata a circa 4,54 miliardi di annifa. Vita Le piante (Plantae Haeckel) sono
organismi unio pluricellulari, che comprendono tutti i vegetali, soggetti a
nascita, crescita, riproduzione e decesso. Gli animali comprendono in totale
più di 1.800.000 specie di organismi classificati, presenti sulla Terra dal
periodo ediacarano. Il numero di specie via via scoperte è in costante
crescita, e alcune stime portano fino a 40 volte di più la numerosità accertata.
Delle 1,5 milioni di specie animali attuali, 900 000 sono appartenenti solo
alla classe degli Insetti. Ecosistemi. Una tempesta. Gli ecosistemi sono
costituiti da una o più comunità di organismi viventi (animali e vegetali), e
da elementi non viventi (abiotici), che interagiscono tra loro; una comunità è
a sua volta l'insieme di più popolazioni, costituite ognuna da organismi della
stessa specie. L'insieme delle popolazioni, cioè la comunità, interagisce
dunque con la componente abiotica formando l'ecosistema, nel quale si vengono a
creare delle interazioni reciproche in un equilibrio dinamicocontrollato da uno
o più meccanismi fisico-chimici di retroazione (detti anche
"feedback"). Troll, dall'esame di alcune serie storiche di foro
aeree, notò che gli ecosistemi mostravano una tendenza ad aggregarsi in
configurazioni unitarie (denominate principalmente Macchie, Isole e Corridoi).
Ricordando la dizione di Humboldt, Troll chiamò tali formazioni
"paesaggi". L'ipotesi Gaia è la teoria, inizialmente avanzata da
Lovelock, ma già anticipata da Keplero, secondo la quale tutti gli esseri
viventi sulla Terra contribuirebbero a comporre un vasto ed unico organismo
(chiamato Gaia, dal nome della dea greca), capace di autoregolarsi nei suoi
vari elementi per favorire a sua volta le condizioni generali della vita.
Naturale e artificiale. Natura e artificio. Il concetto più tradizionale della
natura, che può essere usato ancora oggi, implica una distinzione tra naturale
ed artificiale: con "artificiale" si intende cioè che è stato creato
dall'opera o da una mente umana. A seconda del contesto, il termine
"naturale" potrebbe anche essere distinto dall'innaturale, dal
soprannaturale e dall'artefatto.Bottega dello scultore, miniatura che raffigura
l'opera umana di modifica degli elementi e degli arredi naturali Le difficoltà
nella definizione stessa della naturacomportano un'ambiguità nel rapporto tra
uomo e natura. Alle volte il concetto è usato in senso derivato per riferirsi a
quelle zone create dall'uomo, ma dove grande spazio è riservato alle
popolazioni vegetali e animali. Si può parlare ad esempio della natura di una
foresta, anche se coltivata e sfruttata da secoli. In tal caso ci si riferisce
a una modalità di gestire l'ambiente da parte degli umani, piuttosto che
all'assenza di intervento umano. L'idea di natura è stata rielaborata
dalla cultura urbanache ha formulato la mitica nozione di barbarie per definire
tutto quanto si pone al di fuori della civiltà. Il fatto che il termine selvaggio
vienne usato da un lato come sinonimo di naturale, dall'altro per denotare
certi atti come particolarmente violenti o efferati, mette in evidenzia una
certa tendenza ideologica, piuttosto inconsapevole, a considerare parte della
natura come estranea alla culturadominante, come qualcosa di primitivo se non
di malevolo. Paradossalmente accade anche che, in altri contesti, la parola
«naturale» possa venire usata nel linguaggio corrente come sinonimo di normale,
legittimo o logico, come la fonte cioè dei principi più retti dell'uomo
civilizzato. Lo sviluppo della scienza e della tecnologia negli ultimi due
secoli è stato a sua volta in gran parte accompagnato da una certa
contrapposizione ideologica tra uomo e natura; la conoscenza viene generalmente
considerata uno strumento di dominio della natura piuttosto che un mezzo per
vivere in armonia con essa. L'epoca moderna ha visto d'altra parte lo sviluppo
della teoria della legge naturale, che pone in risalto i diritti dell'uomo, il
quale sarebbe stato dotato dalla natura di prerogative inalienabili; in tale
contesto si fa riferimento ad una natura umana senza implicare necessariamente
l'appartenenza ad una natura ancestrale. Tutela della natura. Lo sfruttamento
del suolo e il problema dello smaltimento dei rifiuti procede di pari passo con
la crescente urbanizzazione. La crescente industrializzazione ed urbanizzazione
del pianeta ha posto il problema della conservazione della natura in forme nuove
e sempre più urgenti. Agli ambienti naturali si sono andati via via sostituendo
paesaggi artificiali, che oltre a distruggerne l'amenità, ne hanno alterato la
loro peculiare storia ecologica. Sin dalla preistoria l'uomo è intervenuto a
modificare il paesaggio naturale, attraverso disboscamenti e l'introduzione di
colture e animali di importazione, con grave danno per la flora e la fauna
locali, oltre che di quelle non addomesticabili. Ma è stato soprattutto a
partire dalla rivoluzione industriale che l'umanità si è dotata di mezzi molto
più invasivi, che deturpano gli ambienti fino a provocarne spesso la
desertificazione. Fra le principali cause della distruzione della natura vi
sono: inquinamento, ed emissioni di gas serra; sfruttamento delle risorse
naturali, deforestazione, agricoltura intensiva con uso di pesticidi,
pescamassiccia; estinzione di numerose specie viventi; ignoranza dell'ambiente
biofisico, mancanza di cultura ecologica. Alle alterazioni della natura ha
contribuito inoltre la crescita esponenziale della popolazione umana,
soprattutto nei paesi del Terzo Mondo.[2] Con la ricerca scientifica si
riesce soltanto a rimediare per lo più parzialmente ai danni, cercando di
razionalizzare lo sfruttamento del suolo, arginare la diffusione dei parassiti
e limitare l'inquinamento. Per il resto, la lenta crescita di consapevolezza
dell'importanza di tutelare la natura nei paesi industrializzati ha portato a
provvedimenti come l'istituzione dei parchi naturali. Dopo la seconda guerra
mondiale sono sorte alcune organizzazioni internazionali per la difesa della
natura come l'IUCN, il WWF, l'UNESCO, l'UNEP. Dagli anni ottanta le varie
nazioni del pianeta hanno iniziato a partecipare a delle conferenze su scala
globale per trattare soprattutto dei problemi del clima, con risultati di
scarsa efficacia. Ducarme e Denis Couvet, What does 'nature' mean?, in Palgrave
Communications, Springer Nature, Natura, su treccani.i Newman, Age of the
Earth, in U.S. Geological Survey's Geologic Time, Pianta, su treccani Baccetti
B. et al, Trattato Italiano di Zoologia nsect Species, su infoplease. Rawls,
Lezioni di storia della filosofia morale, Feltrinelli, Viale, Un mondo usa e
getta. La civiltà dei rifiuti e i rifiuti della civiltà, Feltrinelli, Brevini,
L'invenzione della natura selvaggia. Storia di un'idea dal XVIII secolo a oggi,
Bollati Boringhieri, Pollo, La morale della natura, Belardinelli, La normalità
e l'eccezione: il ritorno della natura nella cultura contemporanea, Rubbettino.
Voci correlate Ambiente naturale Ecologia Filosofia della natura Ipotesi Gaia
Natura (filosofia) Naturalismo Scienze naturali natura, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. natura, in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Natura, su
Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere riguardanti
Natura, su Open Library, Internet Archive. Natura, in Catholic Encyclopedia, Appleton.
Ducarme e Couvet, What does 'nature' mean?, in Palgrave Communications,
Springer Portale Ecologia e ambiente Portale Scienza e
tecnica Ecosistema porzione di biosfera delimitata naturalmente Ecologia
branca della biologia che studia le interazioni tra gli organismi e il loro
ambiente Ecosistema terrestre Madre Natura personificazione della natura
Lingua Segui. Madre Natura è la personificazione della natura. Werner,
Diana di Efeso come allegoria della Natura, circa Caratteristiche Madre Natura,
figura dal trattato Atalanta Fugiens Essa (a volte conosciuta come Madre Terra)
è la comune personificazione della natura focalizzata intorno agli aspetti di
donatrice di vita e di nutrimento, incarnandoli nella figura materna. Immagini
di donnerappresentanti madre natura, o la madre terra, sono senza tempo.
In età preistorica le dee erano venerate per la loro associazione con la
fertilità, la fecondità e l'abbondanza agricola. Le sacerdotesse mantenevano il
dominio di vari aspetti religiosi delle civiltà Inca, Algonchina, Assira,
Babilonese, Slava, Germanica, Romana, Greca, Indiana e Irochese per millenni
prima dell'inizio delle religioni patriarcali. Talvolta viene indicata
come la sposa di Padre Tempo. Grande Madre Gea Tellus Mati Zemlya PachamamaTeteoinnan
dea azteca della guarigione, e dei bagni di vapore. Madre Russia
personificazione nazionale della Russia Padre Tempo personificazione del
tempo. Gillo Dorfles. Angelo Eugenio Dorfles. Dorfles. Keywords: filosofia del
kitsch, “Artificio e Natura, natura, artificio, communicazione, mito, simbolo,
segno, linguaggio, interpretazione, semiotica, disarmonia, Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Dorfles” – The Swimming-Pool Library. Dorfles.
Grice e Doria: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- scuola di Genova –
filosofia genovese – filosofia ligure -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Genova). Filosofo geovese. Filosofo ligure. Filosofo
italiano. Genova, Liguria. Grice: “I love Doria: a nobleman who should be
sailing off Portofino, is writing a ‘progetto di metafisica’ after discussing
the ‘filosofia degl’antichi’ – you HAVE to love him! Plus, he philosophised
WHILE sailing!” Figlio di Giacomo e Maria Cecilia Spinola, appartenente alla
nobile casata dei Doria Lamba dalla quale provennero ben quattro dogi della
repubblica di Genova, ha un'infanzia travagliata segnata a cinque anni dalla
morte del padre. L'uscita dalla famiglia delle tre sorelle lo fa rimanere solo
con la madre che influenza negativamente il suo carattere melanconico ma
vivace, il suo desiderio di virtù e Gloria. La madre, che egli accusa esser
stata de' miei errori la prima e principal cagione, si era disinteressata del
figlio limitandosi ad affidarne l'educazione a filosofi bigotti che lo fano
crescere con la paura delle malattie e della morte, che gli viene indicata dai
suoi educatori gesuiti come un positivo castigo all’uomino re. Divenne
quindi vivace e grazioso nelle conversazioni affabile con tutti, facile e
condiscendente con gli amici e allo stesso tempo pieno di sé e fatuo divenendo un
Petit Maitre disinvolo e alla moda, e prende per idea di virtù vera ed
esistenta ogni vanità e molte volte prende con l’idea di virtù il vizio ancora!
Pieno di sé e fatuo. Compì con la madre il “grand tour” – Firenze, Capri,
Girgentu -- dei ‘viri’ ben nato dal quale ne usce libero dall’inibizione
religiosa, ma con un nuovo abito di un anima viziosa, la quale lo fa mirare
come idea di virtù la rilassatezza nel senso, la prepotenza con i deboli e la
vendetta. Tornato a Genova, la trovò bombardata dal mare dalle navi di Luigi
XIV. In quell'occasione conosce il conte di Melgar che l’avvia nell’arte
militare e lo introduce nel giro del patriziato mondano. Innamoratosi
fortemente di una meritevole donna che muore poco tempo dopo, cadde in
depressione e per distrarsi dal dolore riprese i suoi dispendiosi viaggi.
Ridotto in ristrettezze economiche si reca a Napoli per recuperare certi suoi
crediti ma dove lottare per districarsi dalla palude di leggi e cavillose
procedure al punto che si mise a studiare filosofia con un certo profitto per
ottenere dal tribunale quanto gli spetta. La sua fama di spadaccino gli
fa guadagnare la simpatia del patriziato napoletano che ritiene massime di
cavagliero che fusse atto di disonore e di vergogna il non punire un uomo a sé
inferiore quando si ha da quello qualche offesa ricevuto, e che il perdonare generosamente
fusse vergogna. Ma poscia era massima d'estrema vergogna il non chiamare
a duello un nobile a sé uguale quando da quello si era qualche offesa ricevuta.
Si diede quindi a duellare per qualsiasi puntiglio cavalleresco tanto da essere
messo in prigione aumentando così la sua fama di duellista e vendicativo presso
la nobiltà locale. Comincia a disgustarsi di questa sua vita fatua e falsa
trasformandosi in filosofo metafisico ed entrando nella cerchia degli
intellettuali cartesiani e gassendisti che caddero sotto l'attacco della Chiesa
preoccupata che il loro sensismo approdasse a un conclamato materialismo. La
posizione della Chiesa fu esplicitata dal grande processo contro gl’ateisti,
quegli intellettuali che si erano illusi di poter modernizzare la dottrina
cattolica. Si schierò con questi frequentando il salotto filosofico Caravita
che si era già battuto contro l'Inquisizione e che era divenuto il centro di
diffusione della filosofia cartesiana. Qui D. ha modo di conoscere il protetto
di Caravita, quel VICO (si veda) che scriverà del genovese che «fu il primo con
cui poté cominciare a ragionar di metafisica nella quale si intravedevano «lumi
sfolgoranti di platonica divinità. Per organizzarsi contro le polemiche dei
tradizionalisti, sostenuti dalla Chiesa cattolica, il Caravita pensò di fondare
un'associazione di intellettuali modernisti che, dopo diverse difficoltà, finalmente
vide la luce col nome di Accademia Palatina e che annoverava fra i 18 soci
fondatori anche Doria che pronunzia in quella sede lezioni concernenti la
teoria politica (Sopra la vita di Claudio imperadore) dove sostene la
superiorità della nobiltà per virtù e non per nascita, e dove contestava la
base valoriale dell'aristocrazia fondata sull'uso delle armi (Dell'arte
militare, Del conduttor degl'eserciti, Del governatore di piazza, Della
scherma). La guerra, scriveva D., non e un privilegio della nobiltà di spada ma
un'attività che richiede l'applicazione di una tecnica e il comando affidato a
ufficiali competenti nel dirigere l'animo umano (Il capitano filosofo,
Napoli) Pubblica la Vita civile e l'educazione del principe, criticata da
alcuni per alcuni fraintendimenti sul pensiero di Cartesio. Non ha inteso il
Cartesio, o ad arte ne tronca o perverte
il senso. Critica la politica di Tacito e Machiavelli sostenendo che questa va
basata non sopra l'idea degli uomini quali sono ma sulla virtù, il giusto e l'onesto».
Lo Stato anda guidato, come dettava l'insegnamento platonico, dal filosofo facendosi
così sostenitore, secondo le nuove idee riformatrici che cominciavano a circolare
in Europa, di un assolutismo moderato nel Regno di Napoli. Doria cominciò ad
interessarsi a temi scientifici mandando alle stampe le sue Considerazioni
sopra il moto e la meccanica de' corpi sensibili e de' corpi insensibili
(Augusta) e una Giunta d iM. Doria al suo libro del Moto e della Meccanica. Opere
queste, dove si critica il metodo di GALILEI (si veda) e si mette in
discussione la distinzione cartesiana fra res extensa e res cogitans in nome
del principio neo-platonico dell'Uno immateriale, che non ebbero il successo
sperato e vennero anzi aspramente criticate da più parti. Divenne un
personaggio ambito da nobili e femmes savantes che lo invitavano nei loro
circoli culturali dove riceve numerosi attestati di stima. Per ricambiare le
nobili dame, sue discepole, pubblica i Ragionamenti ne' quali si dimostra la
donna, in quasi tutte le virtù più grandi, non essere all'uomo inferior. La
donna ha gli stessi diritti naturali dell’uomo e puo governare e fondare grandi
imperi ma non e adatte fisiologicamente a formulare leggi per le quali occorre
una sapienza storica e filosofica. Cartesio infatti aveva errato nel credere
che Dio avesse dato a tutti eguale abilità per intender le scienze, mentre iddio
non ha ugualmente a tutti gli uomini distribuito e perciò vediamo che molti non
son capaci nelle scienze. Quindi la donna che egli ammirava moltissimo e che lo
ricambiavano con tante lodi, deve tuttavia accontentarsi di poter dirigere lo
stato ma non puo essere legislatrice. Un rapporto questo con l'altro sesso che
rimase problematico per Doria che non volle mai sposarsi ritenendo il
matrimonio una legge dura che non trova precisa corrispondenza nella teologia.
Si considera ormai un filosofo metafisico e mattematico che adottando il
platonismo ha pressoché distrutto li saggi di filosofia di Locke ed in parte
ancora la filosofia di Cartesio. Compiva un capovolgimento delle sue
convinzioni moderniste passando nel campo degli antichi quando il suo Nuovo
metodo geometrico (Augusta) e i Dialoghi ne' quali s'insegna l'arte di
esaminare una dimostrazione geometrica, e di dedurre dalla geometria sintetica
la conoscenza del vero e del falso (Amsterdam), furono aspramente criticati da
parte della rivista Acta eruditorum. Ancora più aspre le contestazioni ricevute
a Napoli che gli costarono un sonetto denigratorio che così recitava. Di rispondere
a te nessun si sogna /de' nostri, e strano è assai che Lipsia mandi/ risposta a
un uom che 'l matto ognun lo noma. Illustrazione
alla recensione pubblicata sugli Acta Eruditorum al Capitano filosofo. Gl’Oziosi,
dove profuse tutte le sue energie nel criticare i moderni, seguaci del pensiero
filosofico di Locke, dell'Accademia delle scienze di Celestino Galiani che
aveva detto di lui «il Doria ha ristampato tutte in un corpo le sue
coglionerie. Con l'avvento del re riformista Carlo III di Borbone nel Regno di
Napoli, si trova completamente isolato col suo platonismo pratticabil che
continua a difendere scrivendo “Il Politico alla moda”. Si rendeva ormai conto
di come fosse irrealizzabile il suo ideale di un governo ad opera del concetto
di “sovrano virtuoso” e di “filosofe legislatore.” Il magistrato, il capitano,
il sacerdote e tutti gli ordini che governano hanno diviso la filosofia dalla
politica per unire alla politica la sola prattica; ormai i principi scriveva vogliono
governare lo stato colla politica del mercadante, e non con la politica del
filosofo. Constatava come vi fosse ormai una generale crisi dei valori perché
in questo nostro tempo si corre dietro solamente alla perniciosa filosofia di
Locke e di Newton e si pratica solamente la politica mercantile. Completamente
ignorato dall'ambiente intellettuale, D. malato e in difficoltà economiche
muore indicando nel suo testamento la volontà che fosse pubblicata a spese di
un suo cugino, a saldo di un debito da questi contratto, l'opera “Idea di una
perfetta repubblica”. Quando il saggio e infine edito fu condannato dai
revisori ad essere bruciato per il suo contenuto contro Dio, la religione e la
monarchia. In realtà contesta il celibato ecclesiastico, l'indissolubilità del
matrimonio, la castita, l'eternità delle pene inflitte ai dannati e l'ideologia
etico-politica dei gesuiti. Il governo perfetto doveva essere a imitazione
di quello della Roma repubblicana, perché posto il governo in mano agli uomini,
è forza che sia moderato da un magistrato ordinato alla difesa del popolo
contro la tirannia. Gli unici a esecrare il rogo del saggio furono proprio i giuristi
napoletani difendendo i libri di quel savio e cordato vecchio di D., di cui s'infama
la venerata memoria. E al centro del saggio “La distruzione della fiducia e le
sue conseguenze economiche a Napoli”. Si argumenta che il governo nell'azione
di depredazione del Regno di Napoli ha spogliato i loro sudditi della virtù e
della ricchezza, introducendo al posto loro ignoranza, infamia, divisione e
infelicità. Altra azione, che si rivelerà in seguito disastrosa per la società
napoletana e in genere per il Mezzogiorno, fu lo smantellamento dei rapporti
inter-personali di fiducia tra le diverse classi, necessari per lo sviluppo dei
commerci e dell'iniziativa privata e l'introduzione di una cultura dell'onore
attraverso l'infoltimento dei ranghi nobiliari, il rafforzamento
dell'Inquisizione, l'inasprimento della segretezza dell'attività di governo,
l'incremento delle cerimonie religiose e di devozione ritualizzata, l'aumento
della diseguaglianza davanti alla legge e infine l'indebolimento apertamente
perseguito del rapporto armonioso che si era creato in passato tra i diversi
ordini del Regno: tutto ciò al fine di scoraggiare, minando la fede pubblica,
l'ascesa di una classe imprenditoriale-commerciale che avanzasse i propri
diritti e rompesse l'equilibrio dei poteri tra la corte e il patriziato locale
che gli spagnoli intendevano mantenere. Tutti questi fattori, lesivi di quel
rapporto di fiducia tra le classi necessario per l'avvio e il consolidamento
dell'attività di co-operazione e di intrapresa economica, non tarderanno a
produrre effetti duraturi sulla società meridionale, non solo a livello
mentale-culturale, e di converso a livello economico, costituendo uno dei
fattori prodromici dell'arretratezza socio-economico-culturale del Mezzogiorno
d'Italia. Altre opere: “Considerazioni sopra il moto e la meccanica de' corpi
sensibili, e de' corpi insensibili, In Augusta [i.e. Napoli?, Hopper); “Considerazioni
sopra il moto e la meccanica de'corpi sensibili, e de' corpi insensibili.
Giunta, In Augusta [i.e. Napoli?, Daniello Hopper; Dialoghi, Amsterdam, Esercitazioni
geometriche, In Pariggi, Duplicationis cubi demonstration” (Venezia); “Discorso
apologetico” (Venezia); “Soluzione del problema della trisezione dell'angolo”
(Venezia); “Vita civile” (Napoli, Angelo Vocola. Pierluigi Rovito, Dizionario
Biografico degli Italiani. “L’arte di
conoscer se stesso, in De Fabrizio, Manoscritti napoletani. Autobiografia, in Cristofolini,
Opere filosofiche, R. Ajello, Diritto ed economia, Vita civile, ed. Augusta, S.
Rotta in Politici ed economisti del primo Settecento. Da Muratori a Cesarotti,
V, Milano-Napoli, L'arte di conoscere se stesso. Eugenio Di Rienzo, GALIANI,
Celestino in Dizionario Biografico degli Italiani, V. Ferrone, Scienza natura
religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli,
Manoscritti, La Politica mercantile, Manoscritti, Idea di una perfetta repubblica "accorato" Ajello. Segnatamente: Del commercio del Regno
di Napoli, in E. Vidal, Il pensiero civile di D. negli scritti inediti,
Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma; Della vita civile, Torino; Massime
del governo spagnolo di Napoli, V. Conti, Guida, Napoli Contenuto nel volume
miscellaneo Gambetta, Le strategie della fiducia, Einaudi, Torino, D. Gambetta,
Rovito, «DORIA, Paolo Mattia», in Dizionario Biografico degli Italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Scazzieri, Il contributo italiano alla
storia del Pensiero Economia, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Belgioioso,
Il Contributo italiano alla storia del Pensiero Filosofia, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Vidal, Il pensiero civile di D. negli scritti
inediti, Istituto di Filosofia del diritto dell'Roma. Fondatore di Roma e primo
re de' romani. Romolo fu il primo re de’ romani e padre della romana republica.
Uomo primieramente d’ardentissimo animo e per le armi grande. E così
fatto certamente l'aveva disposto la fortuna a quello che dovea seguire.
Per la cui opera, in tratante minaccie di vicini , di spinose
montagnie surgesse il fondamento dello’mperio che dovea crescere infino al
cielo. Perchè non si potea porre sicuramente tanta grandezza in
debole fondamento. Sì gran cosa richiedea terra salda e duca d’alto
animo. E così e, che dove prima a pena e assai erba per lo armento d’Ercole,
e dove prima a pena solea essere assai fronde per le capre di
Faustulo, in quello luogo puose la fortezza di tutte le terre e la somma
signoria delli uomini. Dunque costui CON REMO SUO FRATELLO (e insieme con
Rea Silvia, la quale e chiamata Ilia, madre senza dubio) creduto o fitto FIGLIUOLO
DI MARTE, incontanente com’elio nacque prova la crudeltà di Amulio, re
dell’albani, e non solamente contro alla madre, ma eziandio contro a
sé e CONTRO AL SUO FRATELLO. Dal quale Amulio e comandato eh' ellino fossero
gittati NEL TEVERE. E a caso elli sono liberati, o che fosse per divina
provedenzia, la qual cosa è lecito di credere dello imperio che
dovea essere sì grande, quella provedenzia apparecchiante non
sperato cominciamenlo alle grandissime cose. Soperchiando il fiume a caso
le ripe e non potendosi andare a quello, furono gittati quelli
fanciulli presso alla ripa; e, partendosi li famigliari del re, i quali li
avevano gittati, rimasono salvi. A questo luogo, TRATTA DAL PIANTO DI
QUESTI FANCIULLI, venne una lupa (o eh' ella fosse vera o ch'ella
fosse cosa finta, dell'una e dell' altra è nominanza), e, com’ella avesse
compassione, venne a questo luogo, del cui latte elli sono nutricati , traendo
con li labri il latte delle tette della detta fiera, infino che
furono trovati da Faustulo pastore del re, il quale di sopra avemo nominato, e
la lupa similmente, essendo discresciuto il fiume; e in fino agli
anni della pubertà coli' amore del padre sono nutricati. Ma allora
più di dì in dì il suo vigore si mostrava e per effetto diventava Famoso. Già sono
cari da ogni parte e ampiamente sono terribili, ogni cosa ardivano; già il suo
notricatore, per le opere informato, comincia a fermarsi in quella
openione ch'egli aveva pensalo, cioè quelli essere figliuoli del
re. Questo celato per alcuno tempò, finalmente apparve: preso Remo da' famigli
del re e datogli pena, per consolare la ingiuria fu dato a NUMITORE suo
avolo per parte di madre, nel cui terreno tramendue i frategli
avevano fatte correrie. Il quale veduto, non mosso ad ira, com'è usanza, per l'
ingiuria ricevuta, ma mosso verso di quello con una nascosa dolciezza, e
udito ch'elli sono due, considerato da l'una parte l'etade di quelli, da
l'altra l'aspetto nobile e non di pastori, vennegli a memoria i suoi
nipoti; e , dimandando pianamente delle circostanzie, trova poco
meno che costui e l' uno de' suoi nipoti, e di questo non dubita. Però
elio il tene in più libertà, e non come preso ma come suo , come
veramente elio e. E questa e più diritta via a distruzione del re, perchè
manifestato a Romolo non solamente la condizione del presente stato del
fratello, ma la nazione di tramendue nascosta infino a quello tempo;
ammonendoli colui, ch'e tenuto padre, ch'elli non sono suoi figliuoli ma sono
di schiatta reale; e, spostali per ordine l’ingiuria di quegli e
con questa l’ingiuria di suo avolo e di sua madre, fatto Romolo più
animoso , conosciuto il fatto , dispuosesi non solamente a LIBERARE IL
FRATELLO, ma vendicare sé e '1 fratello e l'avolo e la madre, non
manifestamente perchè era dispari in possanza , ma pianamente mandati
alcuni giovani di qua e di là, i quali si trovassono a una ora nella
casa del re. Così disposti gl’agguati, e a tempo accorrendo Remo, corsono
contra Amulio, il quale non si guarda e non pensa sì fatto
pericolo. Morto Amulio, NUMITORE fratello di quello, e innanzi cacciato
da lui, fu ristituito nel regno, essendo allegro, non meno per la
condizione de'trovati nipoti, che per avere acquistato il nonne sperato
regnio. Da poi, perchè elli erano di grande animo, e '1 regno di suo
avolo gli paree picciolo, lassano Alba all'avolo. E, amando il luogo della sua
puerizia ovvero del suo pericolo, procurarono di fondare nuova terra in
quello luogo. E così, per buono agurio, edificarono aspera e, acciò
ch'io dica più propriamente, pastorale casa in SUL MONTE PALATINO. E fu posto
alla terra il nome di Romolo solamente, essendo vinto il fratello nello
agurio: il quale nome e temuto poi al mondo da li popoli e dai re.
Poi, o che tra quelli fosse nata discordia, o che fosse perchè egli avesse
dispregiato il comandamento del fratello, Remo, avendo passato il nuovo
muro, E MORTO. O che e per cupidità della signoria, o per rigore di
giustizia, la credenza è varia nelle cose antiche. Romolo, avendo
presa la signoria, ordina sacrifici della patria e forestieri, e prende
abito di re e ornamenti, e ordina XII littori, e compone la legge.
Solo a fermezza del popolo e fondamento di pace e di concordia tre cose
sommamente li pare di provedere : il consiglio , e io accrescere della
cominciata città, e la durabilità; perchè era in picciola terra pochi abitatori.
E per questo gli e speranza di brevissimo tempo, mancando la
cagione del generare de' figliuoli. Dunque primieramente furono eletti C
antichi al Senato, chiamando questo ordine dalla etade, perchè il
nome de' padri e detto dallo amore e da la cura della republica. Secondo,
intra due boschi fu posto uno tempio chiamano asilo -- i greci il
chiamano santo -- il quale stando aperto, grande turba incontanente venne
di vicini paesi; la terza cosa parea che si dove fare con matrimoni -- perchè
soli i maschi non poteano durare se non una etade -- ; la qual cosa
, perchè e negata da' vicini superbamente e vituperosamente, si fa per forza e
per ingegnio. Perchè in questo mezzo, non mostrando l'ira e il
dolore d'essere rifiutato, il re apparecchiò di fare solenni giuochi a Nettunno
, e comanda di fare dinunziare il dì per li popoli vicini. II quale poi che
sopravenne, molti maschi e femmine delle terre vicine a Roma vennero per
vedere i giuochi, e non meno per cupidità di vedere quella nuova terra
quasi nata di subito. Nel mezzo de’ giuochi, essendo ogni uomo attento
con gli occhi e con l'animo, diliberatamente SONO PRESE TUTTE LE FANCIULLE,
non a fine di sua vergognia, ma di tenerle per mogliere e per avere
figliuoli. Dunque confortate con buone parole, tra lo isdegno e le
lacrime, pelle lusinghe di quegli li quali l'aveano prese, prima Romolo,
e poi gli altri , una per uno ne tolseno per moglie: e questo e cagione e
cominciamento di molte battaglie. I padri e i parenti di queste
fanciulle, lamentatisi della forza e della malvagità de' suoi osti, dai
quali ellino, invitati a giuochi, sono stati offesi per gravissima
ingiuria, incontanente uscirono fuori della terra e tornarono a
casa; e, moltiplicando le lamentanze, aggravarono l'offesa, e pigliarono
l'arme e apparecchiaronsi di fare la vendetta. E di lutti i popoli
si fece una raunanza a Tazio re de' sabini, perchè questi avevano più possanza
e aveano ricevuto più ingiuria. Ma perchè la presuntuosa ira non può
indugiare né ricevere consiglio, e perchè l'apparecchiamento alla guerra
pare pigro per rispetto dello ardore dell'animo, ciascheduno, non aspettando
l'uno l'altro, andarono alla battaglia. E innanzi a tutti i ceninesi con
l' oste corsero nel terreno de' romani : contro ai quali venendo Romolo,
mise in rotta i nimici, e UCCIDE ACRONE, re di quelli, venuto alle
mani con lui in singolare battaglia; e, con lieve assalto, prende la
terra di quelli, la quale era impaurita per la morte del re e per
la fuga del popolo. E, tornando a Roma vincitore, porta in Campidoglio
l'armi del re ed edifica lo primo tempio in Roma e sacrificollo
sotto il nome di GIOVE Feretrio -- dove i capitani de' romani non
portano, quando sono vincitori, se non la preda de' capitani vinti
in singolare battaglia, la quale elli chiamano grassa robarìa. Dunque
in quello luogo egli appicca l'armi del morto re, per esempio del
tempo da venire, rado ma grande dono di quelli che venieno dietro.
I secondi che corsono nel terreno de'romani furono gli atennati; e questi sono
vinti e perderono la terra. Ma per prieghi di Ersilia, moglie di Romolo, la
quale e una di quelle sforzate che porta a gli orecchi del re i prieghi e
i desideri dell'altre, ricevuti a misericordia, venneno ad abitare a Roma.
Da poi i crustumini, movendo elli la guerra, sono vinti
leggiermente, crescendo ogni dì la virtù di Romolo; e, venuti a Roma
quelli chi sono vinti, crescendo Roma per li danni de'nimici. E più a
fare colli sabini, i quali quanto più tardi tanto più
maturamente si moveano: presa la rocca di Campidoglio, per
tradimento d'una donzella figliuola di Spurio Tarpeo, il quale era
castellano della delta rocca, dal quale ancora è nominato quel
monte in mezzo di Roma, e dubiosa battaglia, combattendo quelli dal
luogo di sopra. Nella quale battaglia mancando Osto Ostilio, il quale e
arditamente per la parte de' romani infino ch'elio puo, la gente de'
romani tutta si cessò in dietro, cacciando indietro eziandio Romolo il
quale li contrasta. E elli, non sperando già più della forza umana, dirizzando
al cielo le armate mani, chiamando Giove com' elio e presente, pregando o
che gli togliesse la vergogaia del fuggire vilmente, o eh' elli
fortificasse gli abbattuti animi de' suoi con celestiale aiutorio, fa
voto di fare in Roma uno secondo tempio a GIOVE STATORE, secondo
che piace agli scrittori; e, quasi ricevuta la promissione dal cielo,
fatto più ardito ristoroe con sollecita mano la battaglia già caduta,
dicendo a'suoi chiaramente che Giove comanda così. Per questo la
sua gente, seguendo lo esempio del suo re e il comandamento di Giove,
torna contro a'nimici, da' quali non speravasi ch'egli tornassino;
e combattendo innanzi a gli altri aspramente Romolo, essendo già mutata
la condizione della battaglia, quelli che incalzavano cominciarono
a fuggire. Intra i quali MEZIO CURZIO, secondo dopo il re de'
sabini , uomo famosissimo e in quello di 'nanzi a tutti gli altri in
fatti e in virtù molto ardito, non sostenne il furore. Una palude, ch'era
presso, e pericolo e salute a lui, nella quale spaurito il suo cavallo
furiosamente salta con grande paura de' suoi, ma confortandolo elli
e mostrandogli la via, usce fuori. E di questo nacque il nome di
quella palude, cioè, lago Curzio. Uscitone fuori costui, gli animi
crebbono a' suoi, e ancora, bene che con varia fortuna contro
a' sabini, corsono insieme. E, sendo in questo stato, la pietà trova via
di non sperata pace. Combattendo dall'una parte i mariti, da l'altra
parte i padri, vennero tra questi quelle eh' erano state sforzate;
e, non considerando sé essere femmine , non temendo il pericolo, con prieghi
pieni di lagrime e misero abito, pregarono che fosse posto fine
alla guerra. E se voleano pure andare dietro, volgessono le spade
più tosto contro a quelle, le quali erano cagione della guerra , che,
uccidendosi insieme, bruttassono se di presente e per lo tempo a
venire bruttassero li figliuoli di quelle -- dall'una parte essendo
i figliuoli, dall'altra essendo i nipoti --- e dessono eterna infamia
a quelli che ancora non poteano peccare. Dall' una parte e dall' altra si
piegano gli animi e l'ira s'abbattè e, che maraviglia è a dire,
subitamente nell'una oste e nell'altra fu arrestato il romore
dell'armi e il gridare de’ combattitori, sì umile ammirazione e intrata
per quelle rabbiose menti! E non potè lungamente stare nascosta: le
affezioni mutate incontanente uscirono fuori, e lo riposo segue a
la pietà , e la pace segue al silenzio; la concordia e fatta toccandosi i re le
mani, e Roma maravigliosamente crescette per lo venire de' sabini. E non
meno crebbe Y amore dell'una parte e dell'altra verso di quelle valenti
donne, e innanzi a gli altri di Romolo, il quale rendè loro grandi
e debiti onori. Ancora restano due guerre. L'una colli fìdenati li
quali, temendo la potenzia della signoria di Roma, la quale cresce, e
avendola sospetta , per sé fecero la pruova che gli altri aveano fatta.
Entrando elli nel terreno de'romani come nimici, Romolo li anda incontro,
e puose il campo non lungi dalla terra de' nimici; e, mostrando
maliziosamente temere, conduce i nimici nelli agguati, e di questo e una
non proveduta paura e uno subito fuggire, in tanto che , mischiati insieme
i vinti e i vincitori, le guardie delle porte appena discerneano i
suoi cittadini da’ nimici; e, entrati dentro, e presa la terra. L'altra
guerra e con quelli da Veio, li quali si mossono per amore de’ fìdenati
e per odio de’ romani, e questi, vinti in campo, e guasto il paese,
dimandando pace, fecero triegua per cento anni, perdendo parte del suo
terreno. Questi furono i cominciamenti di Romolo, questo e il corso di
sua vita e l’ordine de’ suoi fatti; per li quali, appresso quella salvarla
generazione d' uomini e non ancora assai ammaestrati animi del
vulgo, egli merita essere creduto avere alcuna divinità per lo padre e
per se. Uomo al quale non manca animo né ingegnio, in battaglia
glorioso, in casa savio: ordina centurie del popolo e di cavaglieri,
acciò che in ogni tempo di pace e di guerra elio e niuno nega
ch'elio non e inolio amato. Le opinioni di questa cosa sono varie.
Alcuni dicono ch'elio e portato in cielo e posto nel concilio delli dei.
Ma questo è gran salto a uno uomo armato e gravato di peccati,
bagniato di sangue e ignorante del vero Iddio e della via del cielo. Ma
lo ardente e non temperato amore sì fa credere ogni cosa. Dunque,
achetata la tempesta, essendo risposto da' senatori -- eh' erano stati
d'intorno -- al popolo -- disideroso di vedere il suo re e a pruova
cercandolo -- eh' elio e andato in cielo, affermando uno eh' e' lo ha
veduto, e creduto. E quello e
GIULIO PROCULO, uomo di grande nominanza appresso a' suoi, secondo
che si trova, e di grande santitade e, che manifesto è, di gran nobilitade,
come colui che, nato di re albani, venne a Roma con Romolo ed e cominciamento
della giente de’ Giuli -- il quale, ardito di venire in palese, da parola
d'allegrezza al popolo eh' e in tristizia , dicendo che in quello
medesimo dì Romolo, discéso da cielo in abito più che d'uomo, e stato con lui,
affermando eh' ha comandato a lui, con grande tremore non ardito di
guardare la sua facia, questo,
cioè eh' egli dicesse a' suoi cittadini che onorassino l'arti delle
battaglie, essendo certi che ogni potenzia umana è diseguale alla
sua in fatti d'arme; e che la sua città, così piace alli dei, sarà
capo e donna di tutte le terre. E, dette queste parole, levatosi da
gli occhi monta in cielo. E queste cose sono credute a GIULIO il quale le
conta e giura, e lo dolore della morte e mitigato con lo consolamento
della divinità, e l'ira, la quale il popolo ha concetta per la
morte di sì caro re, e umiliata: così ogni uomo crede leggiermente quello
ch'elli desidera. Ma altri pensano che e morto da' senatori, veduto il
buon destro per la tempesta del tempo, e ch'elli il nascosono
nel pantano della palude, acciò CHE NON APARE ALCUNO SEGNIO DELLA SUA
MORTE. Questa, chente dice Livio, è oscura fama, ma, come piace a
chiarissimi scrittori, certamente è vera; bene che, come dice quello nel
medesimo luogo, quell' altra fu nobile per l'ammirazione dell'uomo
e per la presente paura. Puossi forse credere ancora quello che alcuni
hanno pensato, eh' elio non e portato per divinità in cielo né in
terra morto come uomo, ma eh' elio fu morto per la lempestade e per
lo furore della saetta -- la cui forza è ineffabile, e l'
operazione è nascosa --. E questo essere avvenuto a tutti quegli sono con lui,
i quali, quanto elli sono più presso, tanto sono smarriti più e
impauriti. E la libertà è di molte mani nelle cose dubbiose, ma la verità
è una sola, e questa è profondamente nascosta della morte di Romolo
come in molte altre cose. Paolo Mattia Doria. Doria. Keywords:
co-operazione, duelo – duel, the duelists, cooperation – il sensismo, roma
repubblicana, la aristocrazia romana, Romo, Romolo, aristocrazia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Doria” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Dosseno: la ragione conversazionale alll’orto romano --
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. A follower of the sect of the Garden.
Seneca mentions a monument to him with an inscription testifying to his wisdom.
Grice e Dottarelli: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale di Musonio – scuola di Bolsena – filosofia bolsenese –
filosofia viterbese – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bolsena). Filosofo bolsense. Filosofo viterbese.
Filosofo lazio. Filosofo italiano. Bolsena, Viterbo, Lazio. Grice: “I like Donatelli; he
is an Etruscan, from Balsena, and it’s only natural that he is obsessed with
the one and only Etruscan philosopher, Musonio!” Si è formato alla Facoltà di Filosofia dell'Perugia,
dove ha studiato con Cornelio Fabro e si è laureato con una tesi sul dibattito
epistemologico del Novecento (Popper, Feyerabend, Lakatos, Kuhn) sotto la guida
di Baldini. Si è poi specializzato in Filosofia all'Urbino, dove ha avuto come
maestri Italo Mancini e Salvucci, con cui ha discusso una tesi sulle
implicazioni epistemologiche della filosofia di Kant. Ha insegnato nei Licei ed
è stato docente a contratto di Filosofia della scienza, Filosofia morale,
Bioetica nelle Università della Tuscia, di Macerata e Firenze. Ha sempre
coniugato il lavoro didattico e di ricerca con l'impegno civile. Per 13 anni
consecutivi è stato Sindaco della città di Bolsena (VT). Eletto la prima volta
con una lista civica di sinistra, è stato successivamente confermato. Direttore
generale della Provincia di Viterbo e in tale veste, oltre al coordinamento e
alla sovrintendenza della gestione complessiva dell’Ente, ha avuto la
responsabilità diretta della formazione e organizzazione delle risorse umane,
del percorso di certificazione EMAS, del processo Agenda 21 locale e del
progetto Arco Latino, strumento per la definizione di una strategia integrata
di sviluppo dell’area del Mediterraneo. Con Picone, filosofo e psicoanalista
junghiano, nel 2004 è stato cofondatore della Società Filosofica
Italianasezione di Viterbo, di cui è attualmente vicepresidente. Nel ha costituito il Club per l’UNESCO Viterbo
Tuscia, di cui è presidente. I suoi interessi teorici si sono rivolti
all'epistemologia, all'etica, alla filosofia politica e alla pratica
filosofica. In Popper e il gioco della scienza ha svolto un'analisi critica
dell'epistemologia falsificazionista, mostrando come l'ultimo Popper, pur
rendendosi conto della coerenza dello sviluppo evoluzionistico della propria
epistemologia, arretrasse e resistesse dal trarne le estreme conseguenze,
restando fedele al paradigma del razionalismo critico, difendendolo sino in
fondo, ma con ragioni sempre più deboli. Nei suoi lavori su Immanuel Kant (Kant
e la metafisica come scienza, Abitare un mondo comune. Follia e metafisica nel
pensiero di Kant) ha evidenziato sia il proposito kantiano di fondare come una
scienza rigorosa la metaphysica generalis, prima parte della metafisica come
era intesa nella tradizione razionalistica tedesca, sia il carattere che viene
ad assumere la metaphysica specialis, dopo la critica: un pensare congetturale
e analogico che è anche prassi, vita. In questa prospettiva la filosofia
kantiana viene valorizzata per la sua peculiare dimensione "cosmica",
come «scienza della relazione di ogni conoscenza e di ogni uso della ragione
umana con lo scopo essenziale di essa», e viene ricollegata alla filosofia come
era praticata soprattutto nell'antichità: arte di vivere, esercizio spirituale.
Il filosofo pratico, il maestro di saggezza tramite l’insegnamento e l’esempio,
è così «l’autentico filosofo», che, nel quadro della complessiva ed originale riorganizzazione
kantiana dell’orizzonte utopico di derivazione platonica e rousseauiana,
diventa esso stesso un ideale regolativo, al quale colui che più si è
avvicinato è stato Socrate, per via della sua esemplare coerenza di vita. In
Freud. Un filosofo dietro al divano, il lavoro del fondatore della psicoanalisi
viene letto come un episodio della lunga tradizione che ha interpretato la
filosofia come "medicina per l'anima". Il rapporto di Freud con la
filosofia si nutre di una profonda ambivalenza: da un lato un'irresistibile
attrazione; dall'altro quasi la necessità di rassicurare se stesso e gli altri
su una propria «incapacità costituzionale» (Autobiografia) alla pura
speculazione e sulla sua ferma volontà di sottrarsiproprio lui, formidabile
affabulatoreal fascino delle narrazioni filosofiche. La riflessione di Freud
non trascura nessuna delle dimensioni fondamentali della ricerca filosofica.
Neanche quella teoretica, volta a costruire visioni complessive dell’uomo e del
mondo; quella che gli appare la più rischiosa, perché la più astratta, la più
esposta alla frequentazione della metafisica e della religione, sempre in
procinto di cadere nella trappola della verità assoluta. Più a suo agio Freud
si sente invece nel lavorare lungo un'altra linea d’impegno tradizionale della
filosofia: la riflessione critica sui saperi e sulle pratiche umane. Nell'opera
di smascheramento dei meccanismi con cui le ideologie e le prassi individuali e
sociali ammantano la loro miseria “umana, troppo umana”, le potenzialità della
psicoanalisi si esprimono al meglio. Masecondo l'interpretazione di D. la
fatica intellettuale di Freud trova la propria collocazione più appropriata
nella dimensione della ricerca filosofica che interpreta se stessa come
un’attività in cui l’uomo si dedica alla cura e alla fioritura di sé, alla
coltivazione della propria umanità. Questa dimensione della filosofia come arte
di vivere è stata approfondita da D. attraverso la ricostruzione della vita e
del pensiero del filosofo stoico Musonio Rufo nella monografia su Musonio
l'Etrusco. La filosofia come scienza di vita. Testimonianza della vitalità
della tradizione culturale etrusca in epoca romana, la filosofia di Musonio è
espressione significativa di quel crogiolo di idee ed esperienze di ricerca
della felicità che è l'ellenismo della tarda antichità, in cui si rispecchierà
poi la civiltà medievale e soprattutto quella umanistico-rinascimentale.
Musonio ha dato il tono di fondo all'impegno prevalente nella tradizione
filosofica della Tuscia: ricerca di una scienza di vita, studio di perfezione,
imitazione di Dio, àskesis, esercizio per sviluppare la conoscenza e la
coltivazione di sé, finalizzata alla fioritura dell’autentica esistenza umana.
L’adesione del filosofo di Volsinii allo stoicismo è decisamente sotto il segno
di Socrate: la filosofia può proporsi come arte regia in quanto, in primo
luogo, è arte di governare se stessi. L’ideale dell’autosufficienza del saggio
si traduce nella predilezione per l’agricoltura, come attività più appropriata
per il filosofo. «La terra in effettiaffermava Musonioricambia con i frutti più
belli e più giusti coloro che si prendono cura di essa, dando molte volte tanto
quel che riceve ed offrendo grande abbondanza di tutto quanto è necessario per
vivere a chi ha la volontà di faticare: e tutto questo con decenza, nulla di
ciò con vergogna». Ad un analogo sentimento di appartenenza al cosmo e ad un
profondo rispetto per gli altri esseri umani e per tutti i viventi, sono
ispirate anche le sue riflessioni sui rapporti sociali, sulla schiavitù, sulle
donne, sulla nonviolenza, sull'alimentazione, sul vestire e sull'abitare.
Riflessioni che Musoniosecondo la concorde testimonianza dei contemporaneiseppe
tradurre con coerenza esemplare in una efficace pratica di elevazione spirituale,
diretta a coinvolgere, insieme, il corpo e l’anima. Sobrietà, rispetto,
universalità e condivisione sono le parole di riferimento di una visione etica
che anticipa in modo sorprendente istanze fondamentali della moderna
sensibilità ecologista. La visione della filosofia come arte di maneggiare gli
assoluti è approfondita nel libro Maneggiare assoluti. Kant, Levi e altri maestri. La filosofias ostiene
D. anche quella più incline a farsi coinvolgere nell'impresa di estinguere la
sete dell’assoluto, contiene in sé, nella propria vocazione alla ricerca di una
comune verità mediante il dialogo, un antidoto indispensabile al rischio
distruttivo che può annidarsi in ogni tentativo umano, tanto umano di cogliere
la totalità, l’infinito, Dio. Anche le grandi tradizioni religiose, quelle che
da secoli sono impegnate a tracciare sentieri, trovare parole, celebrare
liturgie per saziare la fame di assoluto che agita il cuore e la mente degli
uomini non possono fare a meno di intessere un intenso dialogo con questa tradizione
di ricerca, soprattutto nei momenti cruciali, quando diventa urgente
addomesticare i dèmoni che una frequentazione inadeguata del sacro può evocare.
Dèmoni che portano il nome di fanatismo, intolleranza, totalitarismo e di cui
la storia degli uomini alla ricerca della verità assoluta, della totalità
autentica ed incondizionata, dell’esperienza integrale è purtroppo costellata.
La consapevolezza che anche la filosofia non possa dichiararsi storicamente
innocente, non cancella ma spinge a ritrovare sempre di nuovo la vocazione più
profonda di quest’originale forma di esercizio spirituale: una ricerca
appassionata del bene e della verità, capace di resistere alla suggestione del
possesso compiuto e di mantenersi in quella apertura alla possibilità dell’errore
che è presidio di autentica libertà per sé e per gli altri». Altre opere:
“Il gioco della scienza” (Massari); “Metafisica non scienza” (Massari);
“Abitare un mondo comune: follia e metafisica nel pensiero di Kant
(Introduzione al Saggio sulle malattie dell’anima di I.Kant” (Massari); “Utopia
e ragione come luoghi del incontro dell’ego ed il tu”, in Le ragioni della speranza” (La Piccola
Editrice); “L’assoluto e il relative” (Il Prato); “Musonio” (Annulli Editori); Freud.
Un filosofo dietro al divano, Annulli Editori,
Riverberi Di Tuscia e d’altro, Annulli Editori); “La farfalla dell’anima
e la libertà, Armando Editore. ETRUSCO MUSEO CHIUSINO DAI
SUOI POSSESSORI PUBBLICATO CON AGGIUNTA DI ALCUNI RAGIONAMENTI DEL
DOMENICO VALERIANI E CON BREVI ESPOSIZIONI DEL CAV.
ai© smagata POLIGRAFIA FIESOLANA A SUA ECCELLENZA IL SIG.
MARCHESE ANGELO CHIGI LUOGOTENENTE GENERALE E
GOVERNATORE DELLA CITTA E STATO DI SIENA CAVALIERE DELLA LEGION D’
ONORE DI FRANCIA CONSIGLIERE INTIMO ATTUALE DI STATO, FINANZE E
GUERRA CIAMBELLANO DI S. A. IMP. E REALE IL GRANDUCA DI
TOSCANA PRESIDENTE DELL’ ACCADEMIA DEI FISIOCRITICI E DELLA
DEPUTAZIONE DEL PIO DEPOSITO DI MENDICITÀ’ CHE LO SPLENDORE DELLA
FAMIGLIA NOBILISSIMA DA CUI DISCENDE CON TANTE EGREGIE DOTI SOSTIENE
ED ACCRESCE E DELL’ARTI LIBERALI CULTORE E FAUTORE CALDISSIMO SI
MOSTRA QUESTA RACCOLTA D’ETRUSCHI MONUMENTI CHIUSINI
CANDIDAMENTE E CON GIOIA 0. D. C. GL’EDITORI P. B. C. C.
F. S. C. A. M. P. F. D. ri si trova itna mirabile
abbondanza di marmi finissimi consistenti in colonne antiche di granito nero e
dell’ Elba e d’Egitto, di granito rosso del più compatto, di cipollino
orientale, e d’altri marmi duri e fin anche di breccia d’ E- gitto, di
che va ricca ed ornata la cattedrale, ove son poste in uso con antichissimi
capitelli di gusto squisito. Anche sparsamente per la città s’incontrano
in copia marmi duri o eretti in usi decorativi o depositati a parte e non
ancora posti in opera. Non mancano monumenti di romana scultura di raro
pregio in basso e tondo rilievo, tra i quali splende un sarcofago colla caccia
di Meleagro, ed una assai bella testa di Augusto nel palazzo episcopale,
e nelle case Paolozzi. Le antiche iscrizioni lapidarie son pur frequenti
per la città sparsamente. E poi sorprendente il numero dei sotterranei
che s’incontrano sotto le fabbriche del paese, e sono per ordinario
eseguiti di ben connesse pietre quadrate assai grandi. Rieca è pure la città di
avanzi di fabbriche antiche romane, parte delle quali si giudicano bagni.
Ed in vero non sembra che di tali pubblici comodi mancar dovesse un
paese, ove si trovano s or genti ab b ondantis s im e di acqua potabile,
e delle quali non ha guari e stata fatta bella scoperta dal nobile sig. Flavio
Paolozzi, in alcuni spaziosissimi sotterranei, da luì aperti, ove non ancora si
è osato avanzarsi attesa la co nfu sione dei loro sentieri numerosi e
feraci di sorgenti, che per via di canali antichi di piombo
somministravano per quanto apparisce, acque abbondanti e perenni all' antica
città. Ma ciò che maggiormente sprona la curiosità degli eruditi è
il visitare nel territorio di Chiusi gli etruschi sepolcreti, dove fu trovato
quanto di più mirabile conserviamo nei nostri musei, mentre non senza una
qualche almen lo tana emulazione col famigerato sepolcro di Porsenna
eretto un tempo in questa nostra patria, presero i suoi citladini
etruschi l'esempio di rendere le lor tombe in vario modo as- J-Ja
dovìzia dì antichi monumenti d’arte nell'etrusco città di Chiusi nostra patria,
non ha guari trovati, e nei nostri musei custoditi, ci ha fatto
sospettare che saremmo giustamente ripresi, qualora tal dovizia si tenessè fra
noi medesimi inosservata ed inutile all’ incremento della scienza archeologica.
A ciò credemmo sufficiente riparo di offrir libero accesso a chi volesse que’
monumenti osservar con a- gio nelle nostre private collezioni. Ma
riflettendo poi che la più gran parte degli eruditi, cui non è dato il
potersi recare personalmente a Chiusi, restavan privi del bene di co¬
noscere questo ramo speciale di etruschi monumenti: cosi a sodisfare
anche questa numerosissima classe di eruditi, non crediamo che trovar si
potesse miglior divisamento di quello da noi già compito, di far
disegnare con fedeltà massima i monumenti più ini ere s santi, che possediamo,
e quindi a nostre spese farli incidere in rame in dugento sedici tavole
distribuiti , raccomandandone l'edizione al cavalier Francesco Inghirami.
A tale nostro invito egli non solo ha cortesemente aderito c oli’ ine
arie ar s ene per nostro conto, ma si è compiaciuto inoltre di venir più
volte da Firenze a Chiusi per confrontare i disegni coi monumenti
originali, e ci ha fatto inoltre il dono da noi gradito delle brevi
interpetrazioni che abbiamo apposte a ciascun monumento, al che abbiamo
aggiunto anche alcuni ragionamenti, donatici dall’egregio sig. prof.
Valeriani nostro concittadino. Chi ha per le mani l’ opera che ora
pubblichiamo, non creda già di conoscere, p e' suoi rami, tutti i monumenti
antichi di Chiusi, mentre n’ è assai più dovizioso il paese. Qui ì
ti dì quei di Tarqui ni a, fo rse perchè ne fu inventore un diverso architetto.
Nell’annoverar che facciamo de monumenti antichi più insigni di nostra patria,
non è da pretermettersi che in vicinanza della città rèsta sotto una collina di
tufo breccioso verso l Oriente un cimitero antico di cristiani, eh’è
noto sotto la denominazione di Catacombe di s. Mus tio la Vergine e
Martire, inclita patrona della città e della diocesi- Questi sotterranei
non solo servivano alla sepoltura de’ cristiani, e in specialità dei martiri,
ma nel giorno di festa e nel natalizio dei Santi vi si raccoglievano per
celebrarvi i divini misteri, ivi oravano, ivi stavano refugiati nel
maggior impeto della persecuzione, a scansar la rabbia dei tiranni, come
descrive un nostro concittadino che di tali sotterranei h a ragiona to
eruditissimamente, L'abbondanza delle cristiane iscrizioni che spettano a
questorispettabile sotterraneo, notante dal prelodato relatore, lo rendono
anche più degno dell'attenzione d'ogni erudito. Il libretto che a
memoria di ciò egli ha scritto con somma eleganza e dottrina, dove si trova
incisa inclusive la piant a dell 1 2 ampio sotterraneo, oltre le
iscrizioni ivi adunate e illustrate ',e l’altro libretto di non inferior
merito, scritto da vari eruditi, circa il già nominato monumento sepolcrale del
Poggio al-moro 1 , forma insieme colla presente opera l’ informazione di quanto
crediamo ess er su ffidente ad erudire i cultori dell' archeologia circa le
antichità osservabili di Chiusi nostra patria. 1 Pastumi, Relazione di un
antico cimitero di cristiani, in vicinanza della città di Chiusi con le
iscri¬ zioni ivi trovate. Montepulciano Sepolcro Etrusco Chiusino
illustrato nelle sue epigrafi dal Prof. Gio. Batt. Vermigliolì, con
l’aggiunta di una memoria del sig. Giuseppe del Rosso sulla parte
architettonica dello stesso monumento ed una lettera del sig. Dolt.
Francesco Orioli. Sta anche negli opuscoli del Vermigliolì ec., Perugia sai
magnifiche e ricche d' oggetti d'arte. Si è reso celebre fra gli altri l
ipogeo situato in un possesso della g ra ridu¬ cale fattoria di Dolciano,
il quale conserva in se stesso un antico modello rarissimo di fabbrica
etrusco, perchè a differenza degli altri scavati nel tufo, questo vedesi
edificato di travertini tagliati regolarmente, e situati senza cemento m
volta arcuata di tutto sesto, e da varie urne cinerarie occupato, le
quali hanno in fronte sculture vaghissime ed epigrafi etru s che, dalle
quali resulta essere stato questo sepolcro a più famiglie comune. Altri
non meno importanti ipogei scavati nel tufo si osservano in varie pendici del
monticello, sul quale era ed è tuttora la nostra città. In alcuni di
essi, con animo di sodisfare Valtrui erudita e commendevole curiosità, i
proprietari lasciarono in parte i monumenti meri facilmente amovibili, acciò
sia noto come e con quali riti vi fossero depositati fin da quando ve li posero
gli Etruschi. Fra questi ipogei, mediante le nostre indagini fin
ora scoperti, due soli noi trovammo scavati regolarmente nel vivo tufo m
guisa di camere e dipinti : l’uno aperto nel maggio del 1827 in un podere
chiamato P o gg io-al-moro , l altro in alt ro podere detto il C olle , le cui
pitture son riportate in quest’ opera. Pare che lo stesso pittore li
dipingesse ambedue, ma l’ ultimo aperto si conserva assai meglio, forse
perchè l’adiacente suolo è men’ umido . I soggetti quivi dipinti son pure i me
des imi in amb edue gl’ ip 0 gei ; nòdi {feriscono granfatto, si nello
stile, si. nel metodo del dipinto, e sì nel s og g ett o iv i Ir att ato
dalle pitture dellegrottecornetane, che si altamente sono state encomiate
. E probabile che in questi due sotterranei dipinti vi fossero depositati
oggetti di prezzo ragguardevole, e perciò dagli stessi antichi derubati,
perchè non vi è stato trovato quasi nulla, specialmente in quél sepolcro
che l’ultimo è stato scoperto. È poi singolare, come i soffitti intagliati nel
tufo sieno più elegan- lei il loro cognome anche gli altri re etruschi,
cosi esprimendosi quel dotto ed ingegnoso poeta . Nomina
videbis, modo namque Petulcius idem, Et modo sacrifico Clusius ore
vocor. Questa già potentissima città, che fu detta Camars nella lingua
dei nostri padri, ( il qual vocabolo però significa lo stesso che il più
moderno Clusium, imperocché le dué voci ca, e mar, o mars, che lo
compongono, vengono interpetrate, chiuso dalle paludi ); Che la nominarono pure
Chiamarle, e Camarsoli, Livio, Eutropio , ed Antonio Sabellico, diede
luogo a molte dispute fra gli eruditi per determinare se annoverar si
dovesse fra le dodici antiche città etruschs, capi di origine-, ma le
ragioni addotte in contrario non montano a nul¬ la di fronte all’ unanime
consentimento di tutti i più accreditati scrittori antichi, e moderni,
che lo affermano. Ed lo sorto persuaso che non manchino autorità bastanti
a provare, che non solo ella fu una delle dodici città capi d’ origine,
delle quali era composta la famosa, ed antichissima confederazione etnisca
residente a Fiesole, che risale per autorità di molti gravissimi scrittori, a
2o5o. anni circa prima dell era volgare, ma che avesse puranco l’onore di tener
lunga stagione lo scettro sii tutta l’Etruria, come lo afferma il
dottissimo Dempstero, che sostiene avervelo ella tenuto per 5qo anni di
seguito- Di fatti anche Virgilio, parlando di Chiusi -, nomina un
suo re chiamato Osi- nio, la cui età è molto antica, essendo quello
stesso che trovassi impegnalo nel¬ le guerre eli ebbe a sostenere il
Frigio Enea in Italia, contro Turno, ed i Rullili , prima di stabilire i suoi
penati in questa bella, e da tutte le straniere nazioni ambita penisola. Ma
anche molto avanti che quel Troiano quà navigasse, aveva avuti Chiusi i
suoi regnanti, poiché si annovera Osinio trentesimo sesto * dei regi
Etruschi. Ciò che basta a togliere l’onore della fondazione di tal città,
a Tirreno, a Telemaco, e a Clusio . Che poi continuasse Chiusi a
fiorire in potenza, ed in ricchezze, ed anzi Salisse ognora a maggior
altezza nell' una e nelle altre, dai tempi troiani fino a quelli in cui
fu scacciato dal trono Tarquinio Superbo, ne fanno chiara fede gli
storici, ed. i poèti. Imperocché Livio nel secondo libro della prima
deca, narra che i Tarquinii espulsi da Roma, eransi rifugiati presso
Larte Porsena re di Chiusi. Ed aggiunge lo stesso storico, al luogo
citato, che giudicando quel valoroso monarca nobilissima impresa per lui l’
includere quella metropoli nei suoi domimi, mosse a quella volta con
poderoso esercito grandemente inanimito contro i Romani, ed avendo posto il
campo sul Gianicolo, cinse la città et assedio, e tanta costernazione vi
sparse, che mai prima d’ allora sì gran terrore aveva invaso il senato,
ed il popolo romano. Cotanto formidabili erano in quel tempo le genti chiusine,
e sì grande e temuto suonava per le terre italiche il nome di Porsena
. DELL’ ANTICA CITTA DI CHIUSI li impresa malagevole assai quella di
rintracciare le origini delle antichissime città italiche, i cui
fondatori si perdono, per lo più, nel buio delle età favolose. E quanto
furono esse più cospicue, e più potenti, per valor d'armi, e per senno
dei loro abitanti, per sapienza, e per arti belle, tanto cresce la
difficoltà di poterne rinvenire con sicurezza , e fissare i cominciamenti
Avvegnaché i poeti singolarmente, seguiti poi dagli storici ancora, assumendosi
l' incarico di celebrarne i pregi, e cantarne le lodi, pare che siansi
fatto uno studio esclusivo di nasconderci il vero. Questa sorte pertanto
è comune con molte altre anche alla nostra famo¬ sa Chiusi.
Tuttavia, benché io non dissimuli a me stesso, che ben aspro e
certamente il cammino, in che sono entrato , e tale forse ancora da non
trarmene fuori senza pericolo di smarrirmi tra vìa -, pure non so
astenermi, spintovi da quel caldo amor patrio, che mai non tace negli
animi bennati, dallo scrivere alcuna cosa intorno alla città di Chiusi .
E tanto più volentieri lo faccio, m quanto che pubblicandosi un'Opera ove
non sono raccolti che antichi monumenti chiusini , non giudico
disdicevole che vi si legga, cosa fosse nei vetusti tempi quella si
splendida, e si rinomata città. Lasciando pertanto da parte , come,
e quando cominciasse ella ad esistere, se Tirreno, o Telemaco ne ponesse
le fondamenta, come pretesero alcuni scrittori, o sivvero Classo re degli
Etruschi, che si vuole da altri che fosse figlio di un secondo Tirreno, e
se ne riguarda come il fondatore esso pure, ( ed io lo direi meglio
arnpliatore, e ristauralore della medesima, benché s’ ignori in qual
secolo ciò avvenisse ), egli è fuor d' ogni dubbio che questa città risale
ad una remotissima origine . Lochè peraltro discoprire volendo, e
stabilir con certezza, sarebbe lo stesso che mettersi a navigare in un mar
senza sponde. Per lo che, scenderò ad epoche meno lontane, e più
certe, quando già la città di Chiusi teneva ampio dominio sull' antica
Etruria. Mentre pare da un distico che si legge nel primo libro dei Fasti
d Ovidio, che prendessero da Elr. Mas. Chius. zo coll' uccisione del
Console Lucio Cevìlio , e di 3 ooo soldati, furono dalla valida
l'esistenza dei Chiusini obbligati ad abbandonarne l'impresa, e spingersi
a sciogliere il freno ai loro furori contro Roma. Lo che narrasi da Lucio
Floro nel primo libro della storia romana , e possono consultarsi ancora
su questo proposito, Diodoro Siculo, e Polibio. Ne fa pure un cenno Plutarco
nella vita di Numa Pompilio, e ne parla più a lungo in quella di
Camillo. Anche la risposta , che lo storico di Cheronea fa pronunziare con
barbara confidenza da Brenna condottiero dei Galli, agli ambasciatori
romani, che s'erano a lui recati per chiedergli ragione a nome del
Senato, del suo procedere verso i Chiusini, infestandone i possessi,
disertando i campi, e minacciando la città, ne fa viepiù chiara
testimonianza intorno alla celebrità, ed opulenza della medesima, essendosi
cosi espresso quél fiero conquistatore. Ci fanno manifesta in¬ giuria i
Chiusini, come coloro che ambiscono di possedere una estensione di compagne,
molto maggiore di quella che possono coltivare, e superbamente ricusano di
concederne una porzione a noi forestieri , che siamo in gran numero , e
poveri. Circa la fertilità poi dell’ agro chiusino, leggasi
Plinio, ove ne loda il frumento, cosi per la qualità sua, come per la
quantità che ne produceva. E Marziale erasi prima di lui nell ottavo
epigramma del i 3 .° libro espresso in tal guisa « Imbue plebejas
clusinis pultibus ollas jj. Moltissime altre autorità di antichi
scrittori avrei potuto raccogliere , onde mettere in più chiara luce, ed
evidenza, la grandezza, e V opulenza della città di Chiusi iti
remotissimi tempi, la potenza dei suoi re, il valoroso coraggio, e
l'operosa industria dei Suoi abitanti, t libertà del suo territorio, e lo
splen¬ dore che la rese tanto famosa per lunga serie di secoli ,• ma
stimo che bastino le già riferite, ed i pochi cenni che ne ho dati, per
farne concepire, a, chi vorrà leggere questo ragionamento, una giusta, e
non umile idèa. Nè poteva d’altronde dilungarmici gran fatto, attesa V
indole di quest' Opera, e la brevità della periferia , cui ho dovuto perciò
ristringermi nel comporlo. Mi contenterò dunque di aggiungere, che venendo
puranco ad epoche a noi più vicine, dopo lo smembramento dell impero
romano per opera dei Longobardi, ebbe Chiusi, benché decaduta immensamente
dall’ antico suo lustro, il titolo di Ducalo; leggendosi presso Anastasio
bibliotecario in s. Zaccaria, che Liutprando mandò ad ossequiarlo il suo nipote
Agiprando, 0 come leggesi in altro codice Adelprando, duca di Chiusi. Il
qual fatto viene riferito egualmente dall’ autore dell’ Etruria
Regale. Ed anche giunta la citta di Chiusi all estrema sua
umiliazione, rimase ogno¬ ra città vescovile, come lo è tuttavia, e
fregiata di assai privilegi. E si legge in un manoscritto che tratta di
cose etnische, e conservasi nella libreria Rondoni JlcJlklh che circa di
n' era vescovo un tal Teodosio. Ricavasi pc-i dal decreto di Gregorio,
cap. 9.° delle costituzioni, che l' anno 3 II qual fatto
confermano, oltre Polibio, Dionisio d’ Allea mas so , ed altri Storici,
anche sant’Agostino nella sua Città di Dio , Sidonio Apollinare, Chilidiano,
Orazio Fiacco, Marziale, Tzétze , e molti altri. Nè parrà strana
una si gran potenza dei chiusini, ed una tanta opulenza , a chiunque
facciasi a riflettere ai magnifici e sontuosi edifizi, dei quali Chiusi
adornavasi. E basterà riferire a questo proposito la descrizione del
labennto fattovi costruire dallo stesso Porsena, perchè gli servisse di sepolcro,
e che si legge in Plinio al capo decimo terzo del libro trentesimo sesto
, ove riporta, co/n’ ei dice, le parole stesse di Marco V àrrone.
Fu sepolto , scrive egli, questo monarca, sotto la città di Chiosi ove
erasi fatta inalzare una tomba di larghe pietre quadrate, e compresa da
quattro lati, o muri, ciascuno dei quali estendevasi per trecento piedi
in lunghezza, avendone cinquanta di altezza. Nell’ area interna di nove mila
piedi, raggravasi un inestricabile laberinlo, nel quale chi si fosse
introdotto senza un gomitolo di filo, non avrebbe potuto ritrovare la
strada onde uscirne. Ergevansi poi sopra il vasto quadrato cinque
piramidi, quattro negli angoli , ed una nel mezzo, larghe alla base,
ciascuna setlantacinque piedi, ed alte centocinquanta. Slava nella cima
dì ognuna di esse un grosso globo di bronzo, sovrappostovi un petaso, dal
quale scendevano varie catene, cui vedevansi sospesi dei campanelli
mobili, e sonanti quand’ erano agitati dal vento, come raccontasi pure
del tempio di Do- dona. Sulla cima delle grandi piramidi ne sorgevano
altre quattro alte cento piedi', sopra le quali era praticato un piano,
ed in esso pure si alzavano altre cinque maggiori piramidi, che secondo
gli annali degli Etruschi veduti da f ar¬ ro nc, erano tanto alte, quanto
il rimanente dell’ edifizio. Ora domando io : a qual potenza, ed a
quanta ricchezza doveva esser sa¬ lita la città di Chiusi, onde concepir
potesse un suore , e condurre ad effetto la superba idea di fare erigere
una fabbrica di questa sorte, per servirsene di sepoltura , quando ancora si
voglia credere esagerato un tal racconto ! E veramente, o esagerazione, o
stranezza vi è certo, nella surriferita descrizione, giacché è più
agevole il disegnare quelle piramidi sulla carta, come saviamente riflette
anche il Pignotti, che il trovar la maniera di farle stare in
piedi. Tuttavia però , benché debbasi ridurre la cosa a più ristretti, e
più giusti limiti', conviene non pertanto ammettere, che la tomba di Porsena
fosse una fabbrica sorprendentissima, e tale da superare di gran lunga
quanto di più grandioso fece ammirare V umana vanità nei trascorsi tempi,
o si ammira pure nei nostri, presso le altre nazioni, se non per altro per la
singolarità della sua costruzione, e per la gigantesca sua mole-, poiché
tal cose possono ingrandirsi bensì dai narratori di esse, ma inventarsi non
mai. Nè meno splendida è da credere che fosse la nostra città, nè
inferiore la sua potenza 284 anni più tardi, quando scesero in Italia i
Galli Senonio Avvegna ché avendola quei barbari cinta d’ assedio, dopo aver
battuti i Romani ad Arez- 5 iig8, il pontefice Innocenzo III scrisse
al vescovo di Chiusi, benché se ne taccia il nome nel luogo donde ho
tratta questa notizia. E finalmente narrano, il Surio tomo l\ , e 1
Usuando nel Martirologio, che il dì 3 di luglio, imperando Aureliano, vi
conseguirono la palma del martirio i santi Mustiola cugina dell'
imperator Claudio ed Ireneo diacono, i cui corpi sono esposti alla venerazione
dei fedeli nella stessa città. Non solamente gli antichi monarchi , ed i
grandi Chiusini avevano le loro tombe gentilizie ; ma le private famiglie
eziandio , e queste più c meno grandiose, a seconda del¬ la propria
condizione e ricchezza, come ne fan fede tutti quegl ’ ipogei, che
sortosi in buon numero dissepolti finora. E non dispiacerà , cred’io ,
agli amatori delle cose etrusche , il sapere in qual modo
discopronsi cotali sepolcreti. Nei trascorsi tempi era stato il solo
caso l'autore di simili ritrovamenti , poiché ì contadini arando la terra si
abbattevano di tempo in tempo in alcuno di essi, senza cercarne. Ma
da varii anni a questa parte , la cosa ha cangiato d 3 aspetto e si è
determinata la maniera di rinvenirli a colpo sicuro , ed eccone il
metodo. Avendo osservato alcuni signori Chiusini, come , e dove erano
situati gl ipogei discoperti dal caso, pensarono di fare dei tentativi,
saggiando il terreno, per discoprirne degli altri espressamente cercandoli ,
ove se ne riscontrasse del sovraimpostoj ed i primi saggi \ per
essi sperimentati, sortirono un felicissimo effetto. Questi diedero
loro animo a procedere ai secondi , e quelli ai terzi , e così ad altri di mano
in mano. Di modo che nel corso di pochi anni se ne scoprirono in tal
quantità , che alcuni dei sullodati signori, come fra gli altri,
Casuccini, e Sozzi, arricchirono, o formarono di pianta, ragguardevoli
collezzioni , di urne funebri , vasi , specchi mistici, idoli , sitale ,
scarabei, ed altre interessantissime anticaglie. Le quali collezioni si
vanno pure di giorno in giorno aumentando, mediante i nuovi scavi che si
continuano sempre a fare con caldissimo amore di patria , e senza
risparmio di spese. La qual cosa, se e lodevole in un governo, lo è molto
più nella condizione privata. Che al nascimento del cristianesimo, ed al tempo
della propagazione di esso , fosse Chiu¬ si tuttavia una rispettabile
città , e fra le prime ad abbracciare la fede evangelica, si deduca
ancora da quanto sono per dire. Nelle catacombe che si trovano situate alla
distanza di circa un mezzo miglio dalla città medesima , e delle quali fanno
menzione, V Ughelli , il Boldetti , ed altri, essendosi di recente
intraprese delle escavazioni , che si vanno proseguendo con ardore, sono
stale riaperte molte strade, ove si è rinvenuto un numero
considerevolissimo di sepolcri murati a più ordini , che saranno ben
presto formalmente aperti. Nei quali, se per mancanza di autentiche non si
potrà asserire con sicurezza che vi siano siati sepolti corpi di
Santi Martiri , non può dubitarsi però che abbiano servito di tomba ad
individui della primitiva cristianità. In alcuni di essi trovati
discoperti si è osservato essere state deposle in ciascuno le ossa d{ due
o tre individui : lo che mostra ad evidenza che fosse grande in quei
tempi il numero dei cristiani in Chiusi , venendo ciò infermato dall ’
essersi colà diretti dalla stessa Roma, diversi seguaci della nuova
religione , fra i quali la surriferita Vergine Mustiola, e dall 3 avervi
spedito l* imperatol e Aureliano un suo Prefetto per nome Pardo A
promano, affine di perseguitarvi i cristiani -, e non pochi di essi vi subirono
il martino , come t due santi nominati qui sopra le anime
goduto dopo ch’elleno son separate dal corpo. Furon varie presso gli
antichi le maniere di figurare un simile godimento, e noi vediamo
frequentemente nelle pitture dei vasi fittili, e ne’bassirilievi alcune
imbandite mense, i cui commensali starinosi lautamente bevendo a! suono
di piacevoli strumenti, poiché prevaleva presso di loro la massima che il
premio concesso alle anime beatificate era il godimento di una eterna
ubriachezza. Al pari dissoluta sembra l’altra massima degli Etruschi i
quali fanno consistere tal beatitudine nel libero consorzio di ogni senso,
per cui si vedono replicatissime pitture nei vasi etruschi d’un satiro ed
una menade, ai qual soggetto si dà nome di baccanale. Men dissoluta è 1’
immagine del Chiusino scultore antico di quest’ara, ove al suono di variati
strumenti ci rappresenta una mimica danza, replicato soggetto nelle sculture
più antiche di Chiusi. Il rilievo di questa è bassissimo, al pari
dell’antecedente, e il disegno è parimente un terzo del suo
originale. JSum. j. Tra le molte immaginette in bronzo che trovaronsi
nelle terre degl’Etruschi rappresentative della SPERANZA se ne incontrano
alcune alate come la presente. Le ragioni che mossero questi popoli ad AMMETTERE
LE ALI ALLA SPERANZA, son da me dichiarate nello spiegare i monumenti
etruschi, non meno che il significato della veste che tiene scostata dal fianco.
Qui soltanto ripeterò brevemente, che gl’3truschi hanno spesso confuso LA
SPERANZA colla Nemesi, dando all’ una ed all’altra le ali MA LA SPERANZA,
A DIFFERENZA DI NEMESI, CONTRAE LA VESTE PER AVER PIU SPEDITO IL PASSO, ONDE
MOSTRARE CON QUANTA ANSIETA L’ATTENDE CHI SPERA. La mano elevata suole averè
altresì qualche simbolo o significato, ma di questa nulla diremo per
esser guasta; e solo avvertiremo esser questo disegno uguale in grandezza
al suo originale. JSum. 2 . Lo scarabeo rappresentato in questo
num. 2 , ha una figura scolpita rozzamente al segno da mostrare una sola
gamba, sebben sia nuda in tutto il corpo. Il petto è delineato in guisa
che addita esser donna,- e qualora interpetrar si volesse quel che tiene
in mano, direbbesi non impropriamente un pomo granato, sicché il combinare con
tutto ciò l’atto di stare assisa ci potrebbe far creder che fosse Euridice o
Proserpina, entrambe dimoranti all’ inferno, dove figurasi assiso chi vi è
destinato, per mostrar cred’ io la stanchezza di quella dimora. Così
Teseo condannato all’ inferno fu non solo così rappresentato dagli Etruschi 6
, 1 Ivi, ser. i, 4i2. 5 Ivi, Ragionamento ìv , p. 17 5 , sq., e
cap. u, 2 Micali, Monuments ant. pour l’ouvrage inlilulé p- 110.
sq. l'Italie av. la dommation des Romains, Lanzi, Saggio di lingua
etrusca, tav. Monum. Etruschi; ser. nij p. 202, sq. n. 2, p. lai» 4
Ivi, p. ao 5 ETRUSCO 2D2IL2.1 S&TftiL2 Non vi è soggetto che abbia
tanto occupato il genio degli artefici scultori nei monumenti ferali,
quanto i Dioscuri. Noi vediatno soventi volte nei cassoni mortuali i
simulacri di quei due giovani allegorici, posti simmetricamente alle due
estremità delle cotriposizioni, senza che abbiano colle composizioni
medesime nessuna connessione storica o favolosa ivi posti manifestamente
non solo per ornamento, ma per allusione speciale al passaggio dalla vita
alla morte, e nuovamente dalla morte alla vita, come dicevasi dai Gentili
che i Dioscuri ebbero da Giove il vicendevole dono della immortalità 3 . Or
poiché il pre¬ sente bassorilievo è in un’ara di quattro facce, ove da
ognuna di esse ripetesi a guisa d’ornato il soggetto medesimo di due
giovani equestri, e poiché questo monumento è stato ritrovato in una tomba
sepolcrale, così non credo erronea 1’interpetrazione ch'io dò a tal soggetto
dei due dioscuri, ripetuti simmetricamente per ogni faccia dell’ara. Il
rilievo della scultura è bassissimo, eseguito in pietra tofacea, la quale
si lavora con molta facilità per esser fragile. Il disegno è un terzo
dell’ originale. È frequentissimo al pari dell’antecedente soggetto quello che
l’osservatore trova in queste 4 Tavole distribuito, non altro ivi
raffigurandosi che il gaudio mistico dal- i B. rii. del Mus.
Borgia riportato dal Millin , Galler. Mythologique Pian, lxxx, n. 53o.
Cori , Inscript. Antiq. in Etruriae urbi bus ex- iati., Pars ni, Tab. x.
et xGxrti, 2 Inghirami, Monumenti Etruschi, r nuovo negli oggetti
ferali l’augurio di prosperità che i vivi facevano ai morti, nella fiducia
che godessero una vita migliore. L’altezza di questo vaso è un terzo
dell’ originale. tavola. Ecco un saggio dei tanti vasi di
bronzo che si trovano a Chiusi. La grandezza del disegno è pari a quella del
suo originale , ed ha ornamenti siffatti, che non disdirebbero ad
un’opera di fusoria dei migliori tempi dell arte; specialmente se
consideriamo quel manubrio a cui si leggiadramente vien data la forma d
un giovine in atto di riposo. Un altro genere d’ utensili tutto
diverso dai fin qui esposti, occupa la Tav. X, ove pure è diverso in
tutto lo stile del disegno che ne traccia la rappresentanza; talché sarei per
dire che altri fossero gli artefici e la scuola di scultura, altra quella
di plastica, altra quella di fusoria, altra quella gliptica, altra quella
di grafito in Chiusi, e che tutte separatamente si vedono in queste dieci
tavole. Nel presente disco manubriato di bronzo rappresentansi fuoi d ogni ub
io i Dioscuri: soggetto ripetutissimo in simili oggetti, che perciò
diconsi spec chi mistici; e su questi e su quelli ho scritto abbastanza,
ragionando dei Menu menti etruschi *. Uno dei giovani colla mano portata
in alto accenna il cielo, l’altro l’inferno col braccio al basso:
attitudine che a meraviglia esprime 1 al tei - ila loro posizione, come
dicemmo spiegando la tavola prima. Onde qui mi resta da notar brevemente,
che questi mistici utensili si trovano tra i cadaveri come un amuleto
relativo al transito delle anime da questa all’ altra vita. Una gran parte
di figure in bronzo quasi esattamente simili alla presente si trova in
vari musei d’ Etruria ; e poiché io ne vidi alcune che sostenevano un
gran disco con una incassatura al lembo di esso, così mi detti a credere che in
an¬ tico siano stati specchi di toelette, il cui disco lucido era
probabilmente incastrato nella ghiera del disco di bronzo ade r ente alla
anzidetta figura, che gli serviva di manico 3 , e della grandezza di questo
disegno, eh'è uguale al bronzo archetipo. Non è dunque inverisimile che essendo
questo un vero specchio da toe¬ lette, sia quel manico dal quale è retto,
la figura di Veneie.3 Ivi, tav. g ma descritto in simile attitudine
anche da Virgilio *. La stessa Euridice si vede rap¬ presentata
all’inferno sedendo per terra, in atto d’esser liberata da Orfeo * 11
pomo granato nelle mani delle persone infernali è superstizione che usavasi
anche tra gli Etruschi, rappresentati nei coperchi delle loro urne
cinerarie 3 . Ma in tanta goffaggine chi decide? Num. 3. Lo
scarabeo di questo num. sarà spiegato con altro d'ugual soggetto.
mrriensa varietà di forme che s’incontra nei vasi sepolcrali, ve ne son 1
• j C | 6 ^ 6r °® n ' r ‘o uar do meritano d'esser fatte conoscere coi rami per
la H’ r t0 s ‘ n S°^ ar ‘ ta ; e per quanto non potremo in quest’opera
dar 0 °. °o nuna di esse, pure non
sapremmo astenerci dal farne conoscere le più a™’- 3 ' H t0 r >r *. nc
T a ^ menl:e riguardo alla utilità che queste nuove forme poscaie a e aiti
meccaniche, ed al miglioramento degli utensili domestici. t . . Pj ente
,n questa VII tavola figurato è di terra cotta di color rosso, si-
rorrisn 3 m6nte sn P ra a ^ tr ' quattro vasetti insieme uniti al
disotto, ed ai quali • . . n on° quattio fori nel recipiente maggiore
praticati, onde potrebbero ntrodurvs. quattro diversi liquidi, come
si vede chiaramente nel disegno superate " 6 ^ ° recc liette c ^ e servono
di manichi nel vaso di mezzo sono trafoche ' C ° me Se V1 fo8Se P assa t a una
cordicella per appendere tutta la macchinetta, per ques o aggiunto sembra
essere stata di qualche uso. tavola Vili. annoverare
preSeiUe è da re P u tarsi antichissimo, qualora non vogliasi mento
eli occh' imi ^ tlV0 delIe antiche opere plastiche. I profili con gran
’ g a Ì a pert.ss,m. ne. volti che vi son modellati, e quei veli che
hanno nera anche^nfll* *' mm< \ tnche Sono caratteristiche di
grande antichità. La terra sa che tende al ern ° 6 tenuta P er mater ia
di antica manifattura. La forma stes- Quegli animali m ° St ™ Ua 8:11810
non raffil)at ° dal progresso dell’arte. Ses^r r^ neOrHanOllC0r P°’
C0Ì1 ’ 6SSer S6nZa °^ tt0 "1*^ indicano tav XII eiarrh' T ™ tUr ‘ A
j ma del significato loro dò cenno spiegando la mina in’ una « 6 ^
una leonessa o tigre che sia, con la coda che ter- sta sull’ fi A r
Pe ’ f ebbeS ‘ quest animale riguardar per un mostro. Il gallo che , , ° e
vaso e un au o ur ^° pel morto che fu cornane fra gli Etruschi e dei ,»],
ho trattato anche altrove i. Solo ,ui r.m.L.o " i Virgil. Aeneid.,
lib. vi, y. 6iy. l Monum. etruschi cit , «er. vi, l,v. C5, n. i.
Etr. Mas. Chiùs. Tom. I. 3 Ivi, ser. vi, lav. Ha, unni
4 Ivi, ser. i, p. 3 I0 . P- I#?. SULLA LINGUA ETRUSCA O
e egli è vero, come nessuno può dubitarne, che le lingue sono molto più
antiche di tutti i monuménti delle nazioni, sarà vero del pari che lo studio
delle medesime, e particolarmente lo studio comparativo, possa
contribuire più di ogni altra cosa, a rintracciare con sicurezza le
origini dei popoli, le loro affiliazioni, ed i loro mescolamenti, non
meno che le divisioni, e successive riunioni di essi, e le varie
peregrinazioni, cui sono i medesimi andati soggetti nel corso dei tempi.
Ed infatti, chi non vede a primo colpo d'occhio, per esempio, osservando
la gran somiglianza che passa fra i primitivi vocaboli della lingua
samscritica, con altrettanti dell antica persiana, della greca, della
teutonica, della illìrica, e della latina, che tutte queste lingue, o debbono
procedere in prima origine da un medesimo, fonte od esservi stato in
epoche da noi lontanissime un mescolamento, o per emigrazioni o per cagion di
commercio, di tutti quei popoli che le parlarono ? Oltre di che, sarebbe
veramente un voler andare a ritroso, pretendendo che possa dipendere
dalla semplice casualità un lavoro così metafisico, e così profondamente
pensato, quale è quello dei significamenti dati ai vocaboli di
antichissime lìngue, e che furono parlate da popoli tanto lontani fra
loro per geografica posizione e tanto differenti per indole, per costumi, e per
usi religiosi, e civili, piuttosto che attribuirlo, o ad una sorgente
comune, o ai mescolamenti dei varii popoli in remotissime età, per
qualunque cagione, ed in qualsivoglia maniera siano questi avvenuti. Ciò
premesso, e venendo a parlare più di proposito dell’ etrusco, dirò liberamente
che non giungono a persuadérmi nè punto nè poco ì sistemi formati, e
adottati finora dagli archeologi, intorno a questo antichissimo, e presso che
del tutto perduto idioma, benché io professi una profondissima stima per
ognuno di essi. E vaglia il vero, benché il Cori, ilMajfei, il Guarnacci,
il Dernpstero, gli accademici di Cortona, ed il chiarissimo Abate Lanzi,
abbiano fatto ogni loro sforzo per diradare le tenebre nelle quali
giaceva involta la nazione etrusca, e piu ancora la sua lingua, e ci
abbiano aperta colle opere loro una strada onde poter fate nuovi passi, e
nuove scoperte in questa interessantissima parte della antiquaria, non
possiamo tuttavia dissimulare, che le oscurità non siano peranche
grandissime, e singolarmente intorno alla lingua, primo fondamento di tali
studii, e unica face atta ad illuminare le nostre archeologiche indagini,
sulla origine, sulla remotissima antichità, sui monumenti, e su qualunque
vogliasi oggetto, nguar ante questa nazione perduta. E benché ancora,
dopo quei celebri nomi- Nell' esporre questo pregevole vasetto di terra
nera a quattro anse con coperchio, mi fo pregio di riportare la notizia che
annettono al disegno gli zelantis¬ simi editori di quest’ opera del Museo
etrusco chiusino. « Si crede, essi dicono, che i vasi di questa terra non
siali cotti, ma solamente disseccati al sole, poiché infondendovi
dell’acqua li compenetra, e si disfanno. Cotal genere di vasi non si son
trovati fin ora che a Chiusi e nei suoi contorni ». Questa è la loro avvertenza. L’
animale che vi si vede espresso è chimerico a rammentare i mostri caotici
che precedettero l’ordine della natura. In dimostrar ciò non mi estendo,
perchè abbastanza scrissi altrove onde far conoscere la frequenza di
simili soggetti cosmo¬ gonici >, espressi dagli antichi nei monumenti
sepolcrali. Avverte chi ha fatto eseguire’questa tavola, che sotto al
vaso è copiato un ornato d’oro dalla parte anteriore, il doppio dell’
originale, e sotto è disegnata la parte posteriore di esso, della
grandezza del monumento, ed aggiunge che le due sfingi rappresentatevi
sondi un lavoro mirabilmente finito e minuto. ISCRIZIONI FUNEBRI
ETRUSCHE Quanto saviamente dichiarasi dal eh. pr. Valeriani nel
secondo suo dotto ragionamento che segue, mi dispensa dall’onere di spiegare le
iscrizioni fu¬ nebri che trovansi nei cinerari etruschi di Chiusi, perche
scritti in una lingua perduta. Tuttavia quel barlume che le moderne
indagini dei dotti sopra di essa ci fan vedere, sarà posto a profitto
dall' eruditissimo sig. prof. Vermigiioli il più meritamente accreditato
in simile materia, onde in fine di quest’opera trovisi qual¬ che notizia
di queste iscrizioni funebri chiusine, che ove lo concede lo spazio vi si
distribuiscono, senz’ altro dirne per ora. V* : IHd-M 3 Pi -O J I-
:ian 0qm v : Pi +i fì® 11 • A? 3 d-flq = i anq V >/
di. yfìMRY/\ IV. =3 Dliaq => --1 Mti™ V V - , Mooum.
Eu.. , set. m. 36» >4
dì^ìosamcnte remota , dice il Pejleuttier nella sua storia dei Celti, gli
antichi popoli di questo nome, o i Cello-Sciti, la cui lingua se non è
primitiva in un senso assoluto, 10 è per lo meno relativamente a quasi tutte
le lingue conosciute, sì furono sparsi da una parte nell Asia
occidentale, e dall altra nell Europa, si estesero in quest ul¬ tima
regione, gli uni al Settentrione, e gli altri lungo il Danubio. La posterità
di questi poi rimontando quel fiume, pervenne in seguito alle sponde del
Reno, le quali oltrepassò, e riempi delle sue numerose popolazioni tutto
l’ intervallo che si estende dalle Alpi ai Pirenei, e ai due mari.
Laonde ovunque la lingua dei Celti mescolandosi agl’ idiomi indigeni, formò
delle combinazioni, ov’ ella dominò sen¬ sibilmente . Ed anche in quei
contorni che aveva trovati deserti, o dai quali aveva fatto scomparire
gli abitanti, il celtico si conservò nella sua purità originale. Alcuni secoli
dopo la popolazione sempre crescente di questi Celti, o Galli, li costrinse
a passare i Pirenei, e le Alpi. In Italia, dopo avere occupato da prima
tutto il paese posto al piede delle montagne, eglino si estesero di mano
in mano, nel- l'Insubria, nell’Umbria, nel paese dei Sabini, in quello
degli Etruschi, degli Osci, dei Sanniti, ed in tutto il resto della
penisola al dì qua del Garigliano. Nel medesimo tempo alcune colonie greche
approdarono all’ estremità orientale d’Italia, e vi formarono degli
stabilimenti. Lasciami poi ben presto le sponde del mare , e spingendosi
sempre avanti, incontrarono finalmente i Celti, che continuavano pure dal
canto loro ad avanzarsi ancor essi • Dopo alcune guerre, poiché questo è
sempre 11 primo caso dei due popoli che s incontrano j sì riunirono
nell’ antico Lazio, e non vi formarono più che una sola società, che
prese il nome di popolo latino. Allora le lingue delle due nazioni si
mescolarono insieme, e si combinarono con quelle dei primitivi abitanti.
Nè bisogna dimenticarsi di osservare che in quest' amalgama aveva il
celtico un gran vantaggio. Il greco, che non è allora, o a grandissima
distanza, la lingua di Omero, di Platone, doveva dal canto suo il
nascimento ad un miscuglio di mercatanti fenìci, d’ avventurieri di
Frigia , di Macedonia e d’ llliria, e dì quegli antichi Celto-Sciti, che
mentre i loro compatriotti si precipitarono in Europa, eransigettati sull'
Asia occidentale, donde erano discesi in seguilo fino al paese che fu poi
la Grecia. Eravi dunque del celtico alterato nel greco, che si combinava
di nuovo col celtico. Dalla qual moltiplice combinazione nacque la lingua latina,
che rozza nella origin sua. ripulita poi, e perfezionata col tempo,
divenne in fine la lìngua di Terenzio, di Cicerone, di Orazio, e di Virgilio.
Ed è questa medesima lingua latina, che dopo un si bel regno terminato
con un sì lungo e tristo tramonto, veniva ad amalgamarsi ancora un’altra volta
col celtico : sorgente comune dei barbari dialetti dei Goti, dei
Lombardi, dei Franchi, e dei Germani, per divenire poco tempo dopo la lingua di
Dante, di Petrarca, e di Boccaccio. Per tali considerazioni, e per quelle già
riferite in questo ragionamento, io credo che si debba battere un cammino
diverso da quello che si è battuto finora dagli archeologi, nell’
investigazioni intorno gli antichi Etruschi , ed al loro linguaggio. E non già
perdi’ io abbia la nati dì sopra, molta gratitudine dobbiamo avere ai
Signori, Vermiglìolì, Zannoni, Mleali. Orioli, Ciampi, e più particolarmente
all’ infaticabile cav• In- giurami, per i tentativi che tutti questi
hanno fatto, onde aggiungere dal canto loro nuovi lumi, affine di
condurci vie più addentro nei penetrali delle cose etrusche, non ci siamo
non pertanto finquì partiti, quanto alla lingua, dal punto dove eravamo
cinquanta, o sessanta anni, per non dire quasi un secolo addietro. Nè qui
sarebbe per avventura fuor di proposito lo stabilirese la nazione etrusco
debbasi avere assolutamente nel numero delle perdute, e nel caso
affermativo determinare il come, e il quando sia questo avvenuto, oppure
considerare la dob¬ biamo come trasfusa nella romana , o combinata con
tutte quelle che invasero a piu riprese l’Italia. Ma siccome cotali
ricerche mi farebbero deviar troppo dallo scopo che mi sono prefisso in
questo discorso, e mi trarrebbero troppo in lungo, cosi le serbo ad altro
tempo, e ad altro lavoro. E per istringermipiù dappresso al mio soggetto,
dovremo noi riguardare la lingua etnisca, o come primigenia, e indi genia
dell antica Etruna,o come proveniente da altro più vetusto idioma italico-,
o sivvero come un composto di più dialetti stranieri, combinati
coll’indigeno, quali sarebbero, il pelasgo, il lidio, il celtico, il greco
antico, il traco-frigio, ed altri, qua por¬ tati a diverse epoche dalle
varie colonie che si venneroa stabilire nelle nostre belle contrade.
Riflettendo che tutti gli archeologi, i quali procacciarono di
rischiarare questa materia oscurissima, hanno ben poco, o nulla concluso
finora circa l’intelligenza dell antica favella dei nostri padri, e quelli che
pretesero di trarla dall’ Oriente senza alcun altro soccorso, e quelli
che la vollero derivare dai greci e i fautori dell antico latino $ pare
che ne inviti la sana critica, e ne sproni il buon senso, a tentare un’
altra via, per vedere se si giungesse finalmente a scio¬ gliere questo
famoso nodo gordiano. Ed io penso che giovandosi di quanto si può
raccogliere di antichissimo italico , donde procede in gran parte il vècchio
latino, non trascurando il greco , per le ragioni che svilupperò altrove,
e ricorrendo pure ai dialetti annoverati qui sopra , si possa con
sicurezza avanzare qualche passo, e forse ancora giungere a fissarne un
compiuto alfabeto , e quindi a bén leggere, ed intendere, tutto quello che
ci rimane di etrusco. Imperocché, sia che abbia veramente esistito una lingua
primitiva, della quale tutte le altre non siano che derivazioni, e prodotti, o
sia che le diverse popolazioni umane siensi fatta da principio, ciascuna
la sua lingua, e che per moltiplicate combinazioni, e dopo una lunga
serie di secoli, questi diversi idiomi particolari siano venuti, per cosi dire,
a fondersi in un idioma generale, che in seguito poi siasi diviso, e
suddiviso di nuovo, in lingue, e in dialetti diversi, vi sono pochi
argomenti più degni dell’ attenzione del filologo, e del filosofo ad un tempo,
di queste formazioni, di queste separazioni e di queste riunioni dì linguaggi,
che indicano le principali epoche della formazione, della separazione, e
della riunione dei popoli. L’idioma latino che disparve al nascere dell'italiano,
era stato in una molto recondita antichità il prodotto di una simile
rivoluzione. Quando ad un' epoca prò- Porgiamo alla considerazione dello
spettatore in questo disegno la più grande urna in marmo che siasi fin ora
trovata nei moderni scavi di Chiusi, misurando in lunghezza circa 4
braccia. Ha nel cornicione superiore una lunga iscrizione etnisca, ma
disgraziatamente dipinta, e non conservata come desiderar si potrebbe per
l'intelligenza compita, quantunque da quel che resta comprendesi essere
un aggregato di nomi famigliari e nient'altro. Vi corrisponde la rappresentanza
della scultura, ove si vede la moglie che dal marito congedasi, o questo da
quella per girsene all’altra vita. Una Furia come addetta al ministero
delle anime, abbracciando la donna par che indichi esser lei la defonta, e non
1’ uomo che il soggetto ivi appella. Infatti contiene il coperchio
dell’urna una donna, come vedremo. Termina la composizione con altre due
Furie, una delle quali è pronta a ricever l’anima alla porta infernale
per dove passavasi quindi agli Elisi a ; e le altre cinque figure
intermedie non altro significano a mio credere che parenti, e forse anche
estinti antenati, de’quali siansi voluti rammentare i nomi nella iscrizione.
Forma questo bel monumento e rarissimo in Etruria uno dei principali
ornamenti del Mueo Casuccini di Chiusi. Ecco il coperchio in marmo dell’ urna
già osservata nella Tavola antecedente. Quivi e una donna mutilata in
parte, come esser sogliono le sculture sepolcrali visi¬ tate dai
primitivi cristiani, ed in quella occasione depredati quei loro sepolcri;
ma pure non sempre del tutto, e infatti si è trovato in Chiusi qualche
ornamento d’oro uguale alla collana che riccamente scende sul petto di
questa defonta, la quale è succinta , come esser sogliono le protome
delle donne. Ha in mano un pomo gra¬ nato, conforme davansi a chi si
portava all’ inferno. Quando si volesse dare una interpetrazione a
quest’oscuro soggetto in bassorilievo, si potrebbe dire essere il giovane
Astianatte genuflesso sul larario, in atto di venire immolato al furore
di Pirro. Il monumento è un’urna di terra cotta non molto
conservata. Monum. Etr., ser. i, p. 191, 229. a Ivi, p. 177,
»46. 3 Ivi, ser. 11, p. 229, a 3 o. stolta presunzione di
credermi più perspicace, e più istrutto di quei dottissimi, che si
affaticarono in clamo su questo istesso argomento, ma solamente perchè il
tentar nuove strade in materia cotanto astrusa, è permesso a chi che sia,
particolarmente quando tutte quelle tentate finora, non sono opportune a
condurci a buon porto . E perché è pur vero che non di rado toccò in
sorte ad uomini di mediocre ingegno e sapere, il discoprimento di ciò che
rimase lungamente occulto alle più profonde, e costanti ricerche di
sapientissimi osservatori. Protesto peraltro ampiamente d’esser pronto
ad abbandonare la mia opinione su questo proposito, quando i dotti me ne
oppongano un’ altra più plausibile, e più idonea allo scopo cui è
diretta. Essendo io scevro affatto di ogni particolare affezione per
essa, ed alienissimo da qualunque spirito di sistema, nè altro cercando che la
verità . Avvegna che, una delle cause positive, anzi la principale, a mio
credere, che abbia così ritardalo, ed impedito la scoperta del vero in
questa materia, è stato senza dubbio lo spirito di sistema, portatovi da
ciascuno di quegli archeologi, che vi esercitarono con particolari indagini il
proprio ingegno, ostinandosi, e forzandosi per ogni maniera, a derivare
da un solo fonte la Unga etnisca. Idifatti, niente è più funesto ai veri
progressi delle scienze, nè più contrario al discoprimento della verità,
di quello che lo sia uno spirito sistematico. Imperocché tutto allora si
sconvolge, si contorce, si altera, anche senza avvedersene, per trarlo
comunque al proprio sistema, adattarcelo, e farlo a diritto o a torto, convenire
con quello . Ma chi adopra in tal guisa, non và altrimenti in cerca del
vero, e si affatica soltanto a rinvenire ciò che egli si è
preventivamente immaginato di dover trovare. Cosi, tutti coloro i quali
pretesero di far venire gli Etruschi da una colonia di Cananei, o di altri
Orientali, crederono di vedere perfino la forma delle lettere etnische,
in quella delle ebraiche, e più specialmente delle cosi dette
sanimaritane, benché non ve ne fosse la minima idea. E t.enevansi tanto più
sicuri del fatto loro, in quanto che usarono i nostri antichi padri condurre la
loro scrittura da destra a sinistra , come gl’ebrei, i Sammarilani,ed altri
popoli dell’Oriente.I Sè mancarono di viepiù confermarsi in tale opinio¬
ne, osservando alcune voci etrusche, simili, o provenienti dai dialetti
semitici-, quasi che fossero queste argomento bastante a costituire la
identità di origine dell' etrusco con quelli, e non sapessero tutti i filologi,
che s’incontrano delle voci simili di suono, e di significato ancora, in
quasi tutte le lingue conosciute, senza poter giungere a provare per
questa via, che l una derivi con sicurezza dall' altra, e tutte da un
fonte comune. Mentre sono tali somiglianze , ed analogìe, il prodotto di
quei mescolamenti, dei quali ho parlato in principio. E con tanta
maggiore facilità debbono essersi mischiate, e combinate non poche voci
orientali all’ etrusche, per lo commercio singolarmente dei Fenici coi
nostri antenati, in epoche da noi remotissi¬ me, come altrove si è
detto-, insegnandoci concordemente gli antichi scrittori quanto in ciò
valessero gl’etruschi, o Tirreni, e come signoreggiassero i due mavì che
circondano Italia, cui diedero perfino il nome. si vede nel manico è il
sole, come io spiegherò meglio in seguito, e l'atto delle mani e dei piedi che
volgesi in alto, in basso e per ogni senso, è simbolo della generale influenza
dei suoi raggi, cbe si spargono in giro Gli ornamenti a bassorilievo che
circondano questo vaso NON HANNO UN SIGNIFICATO DIVERSO da quei che vedemmo
alle yavole, ed è perciò inutile ripetere ulteriormente il già detto. M’
immagino che la figura qui espressa, e ripetuta più volte in molti vasi
trovati nei sepolcri, possa esser Marte, il quale significar vi debba, che il
tempo in cui domina quel pianeta è l’autunno, come in altri monumenti se
ne vede l'indizio i 2 , e questo tempo vi si rammentava per la ricorrenza del
suffragio delle anime 3 , al quale oggetto erano istituite feste ed
offerte ; o forse rammentasi la deità degl’itali primitivi. Sono
assai numerosi gl’ idoli femminili in bronzo di piccola dimensione pari
al presente, eh’ io credo essere stati nominati comunemente dagli antichi gli
Dei Lari, o Penati, o Geni tutelari, e Giunoni 4 , quando, come questa
statuetta, erano femmine; e dice vasi che ogni donna aveva la sua Giunóne
per protettrice 5 . Il gusto dei Greci, come ricaviamo dalle opere loro
trovate in Ercolano e Pompei, era d’inventare ornamenti per le
suppellettili anche non attinenti al fasto ed al lusso, dove introducevano con
molto genio ed ingegno animali ed umane figure : genio che si propagò per
l’Italia, come vediamo nelle opere di Chiu¬ si ,• di che abbiamo un bell’
esempio nei due manichi di bronzo incisi in questa XXHI Tavola, un
de'quali ha un mascherone bizzarramente travisato con fo¬ gliami, fiori
ed una barba assai schersosamente spartita. Bella è parimente l’immagine
dell’altro manubrio disegnato di faccia e di profilo, dove si vede un
anima- i Monumenti etr., ser. 11, Tay. xc, pag. 762. 4 Monumenti etr., ser.
1, p. 279. % Ivi, ser. vi, tay. F2, num. 3 , p. 17 5 Virgil. Aneid.,
Ovid., fastor. 5x2, 544 * y* 4 ^ 5
.notabile che i coperchi delle urne in terra cotta sieno di miglior
modello eh esser non sogliono quelli scolpiti in pietra N’ è chiaro
esempio questa re- combente figura che servì di coperchio all’ urna
precedentemente esposta. Ognun vede quanto il panneggiamento sia più
ragionato nelle pieghe di quel che osservammo allaTav. XIV ove ne reputammo
l’urna spettante a ricca matrona. Chi sa che il lusso de marmi non prevalesse
in tempo della maggior decadenza delle arti ? La muliebre figura qui
esposta fu eseguita in fragile pietra tofacea e trovata acefala in un
sepolcro, colla particolarità che il collo è vuoto come anche il torso,
ed è servito per deposito d umane ceneri e d J ossa cremate, che vi si
trovarono al- 1 aprir della tomba, ove la statua era sepolta. Il
significato non è facile a penetrarsi, ma dal pomo che ha in mano, e dall
atto sedente, non sarebbe fuor di proposito il congetturarne che fosse
una Proserpina, la quale riceve unitamente col suo con¬ sorte Plutone le
anime che scendono al Tartaro. Difatti anche al Museo Pio de¬ mentino
vedonsi que’ due numi sedenti a . La singolarità dell’ esposto monumento
esige che se ne mostri anche la parte avversa alla già veduta. Ivi più
chiaramente si nota che a formarne il magnifico sedile concorrono i
simulacri di due sfingi, le quali assai frequentemente s’incontrano in
monumenti ferali; poiché la sfinge reputavasi animale chimerico infernale 3 , e
perciò attamente posti ad ornar la sedia della divinità che attende alle
anime trapassate da questa all’ altra vita. La frequenza dei volti velati che
vedonsi ne’yasi di terra nera, come in questo, non lasciano luogo a porre
in dubbio se siano o nò rappresentanze di larve o Lemuri, cioè delle
anime 5 , ed il gallo che sovrasta al vaso, pare, come ho detto altrove 6
, indubitato simbolo del buon augurio di felicità nella futura vita, che
a quelle anime predicevasi dai superstiti viventi. La figura con faccia
larvata che 1 Monum, etr., ser. ni, p. 4 io, e ser. vi, Tav. i, pag. ai, 52. Visconti, Mus. P. Clem.
Voi. li. Tav. 3 Monum. etr. «er.
i, p. 582. Etr. Mas. Chius. SULL’ ALFABETO ETRUSCO Uopo che
gli uomini ebbero trovato coll’ uso naturale degli organi della parola,
un mezzo facile di comunicare i loro pensieri ai presenti, cercarono, e
trovarono in seguito, quello di parlare agli assenti, e di rammentare a se
stes¬ si, ed altrui, ciò che era stato pensato, e detto da loro, e da
altri, e ciò ancora di che erano convenuti insieme. La prima cosa pertanto che
si presentasse loro allo spirito in questa ricerca, furono le figure
geroglifiche ; ma colai segni non erano abbastanza chiari, e precisi, nè
abbastanza univoci, per adempire lo scopo che avevasi in mira, di fissare
cioè la parola, e di farne un monumento più espressivo del marmo, e del
bronzo. Il desiderio dunque, ed il bisogno di compiere questo disegno,
fecero final¬ mente immaginare quei particolari segni, che noi chiamiamo
lettere ognuna del¬ le quali fù destinata a notare uno dei suoni
sémplici, che formano le parole', la riunione dei quali segni, è ciò che
dicesi alfabeto. Volendo però risalire fino alla prima origine dì questo
maraviglioso ritrovamento, rischieremo sempre di smarrirsi senza riparo,
in un mare di oscurità, e d’incertezze, e circa V epoca in cui giunsero
gli uomini ad un si nobile discoprimento, e circa la nazione che prima di
ogni altra vi pervenne. Lasciando perciò da parte la ricerca di quello che
io giudico moralmente impossibile a rinvenirsi, volgerò le mie indagini a
cosa più certa, od almeno piu probabile, qual e la quistione, se gli
Etruschi, od i Greci fossero i primi a far uso di una cosi bella, ed
utile invenzione. E qui pure siamo costretti a navigare, presso che senza
bussola, m un ampio pelago, sparso di profondissimi vortici, d' orribili
mostri, e di scogli assai pericolosi. Imperocché, se molti dotti
sostennero, e sostengono tuttavia che i Greci sono anteriori agli Etruschi nell’uso
dell’ alfabeto, e vengono riguardati come i maestri di essi, in
qualsivoglia arte o scienza, non è per altra parte minore il numero, nè
di minor momento V autorità di quelli, che citar si possono per sostenere
il contrario. Perlochè io aderisco a questi ultimi, sembrandomi la loro
opinione più ragionevole , e più giusta, ed i sostenitori di essa
persuadendomi colle loro ragioni, ciò che non giungono a fare i
propagatori del grecismo, ad onta ancora di tutte le parole greche, o
grecizzanti, che s’ incontrano ad ogni pas¬ so in quasi tutti i monumenti
etruschi, discoperti finqui, avvegnaché intorno a le mostruoso, che per
aver motivo d' essere attaccato al vaso figura di morderlo. Sotto è un
Ercoletto giovane, che tiene la mano alzata, vibrando la clava in segno
di recar danno e morte, ed ha cinti i lombi colla pelle di leone,
simboleggiando di non curarsi della generazione, come è proprio d’Èrcole
quando figura il sole iemale. Difatti rispetto ai viventi è il sole che
loro apporta la vita coll’universale tepore della natura in primavera, e
porta danni o morte col raffreddamento del tempo iemale. Qual simbolo può
dunque esser più adattato a decorare un sepolcro, che quello dove
rammentasi la vicendevole transizione dalla vita alla morte? Lo scarabeo
di cui si vede f impronta ha inciso un centauro con un fanciullo sul
dorso, forse Chirone col giovane Achille che dicesi da taluno essere stato
affidato a quel mostro per riceverne la puerile educazione. La rappresentanza
di questo specchio mistico sarebbe forse difficile ad inter- petrarsi,
qualora non fossene venuto a luce un altro di quasi ugual soggetto. In
quello vedesi Giunone sedente in atto di porgere ad Ercole la mammella,
perchè ne succhiasse il latte, il chè succede alla presenza di Mercurio 3
. Sappiamo infatti che Giove bramava che Ercole per ottenere
l’immortalità, benché nato da mortai femmina, sorbisse almeno latte
divino, onde per uno dei soliti inganni frequen¬ tissimi nella mitologia,
Giunone gliel porse senza avvedersene. Mercurio vi si crede introdotto,
per attestare ad Ercole d’aver egli pure profittato di tale arguzia, per entrar
fra gli Dei, benché nato da Maia donna mortale. Qui non è espresso l’atto
di Giunone per allattar Ercole, ma pur vi si vede Mercurio che si fa noto
col suo cappello, e par che accenni d’ aver profittato egli stesso
dell’espediente che suggerisce ad Ercole, il quale gli sta davanti. Ha la
clava , in mano ed un piede elevato, indicando che salir deve all’ immortalità
3 per opera di Giunone 6 eh’ è fra loro. fli8v«q :ian8 j v :ioj
vi. j a 11 y fi j 1 :i n tnq r = o 4 vii. 1 f\ il 8 4 Y d :
fi m 3 4 t :42 vili. •-ifi n t v t :o 4 .• in i n q n o n lx -
-4/nm-rfl4 itntnqfl .-4sa x. Monumenti etr. Galleria Omerica Tom. ii,
Tav. cxxi, pag. 2,4. 3 Schiassi, De pateris ariliquor.ex schedis
Blan¬ dirli Sermo ed epislolae tab. 4 Diodor., Sic. Bibliot.
bist. Mon. etr. ser.n, Tavv. lxxu,
lxxìii, lxxiv, lxxv, 6 Zarinoni, Lettere di etrusca erudizione
pubblicate dall’ Inghirami, pure in ogni tempo di tracciare nello stesso
modo le loro scritture. E tutti, c/uesti ultimi specialmente, furono
sempre uniformi in questo, ad eccezione degli Etiopi soli, e degli
Abissini, che sebbene parlino, e scrivano un dialetto semi¬ tico,
scrivono tuttavia da sinistra a destra, come gl’ Indiani, ed i segni deliaco
alfabeto hanno un valore sillabico, come gli alfabeti indiani, ed anche il
tibetano , ciascuno dei quali segni porta seco, in certo modo incorporata una
vocale , e forma una sillaba. Ciò che non accade in nessuno degli
alfabeti europei, e neppure nel giorgiano, e nell 1 armeno, che vengono
pure delineati da sinistra a destra. Laonde non pare poi tanto strana l’opinione
di quelli, i quali pensarono, che gli Etruschi propriamente detti,
fossero discesi in prima orìgine da una colonia, o emigrazione asiatica.
Ma di ciò altrove. E se i Persiani, ed i Turchi scrivono da destra
a sinistra, benché la lingua dei primi venga dalle Indie, e quella dei secondi
dalla Tartaria, ciò procede dall’ aver tanto gli uni, che gli altri
adottato i caratteri arabici, ed al tempo stesso la religione del borano.
Quindi tenendo in conto di cosa sacra i suddetti caratteri, non è da
maravigliarsi nè punto nè poco, se essi non abbiano ardito dì alterarli,
nè quanto alla primitiva lor forma, nè quanto alle maniere di rappresentarli
colla scrittura. Ché del resto ben diversi riscontratisi gli antichi caratteri
persiani chiamati zendici, e pelvici, come assai differenti ritrovatisi, e
pel modo di scrìverli, e perla loro forma, ofigura, quelli dei Tartari. Ciò
premesso o siano stati gli Etruschi i ritrovatori dell’alfabeto che porta il
loro nome, o l’abbiano composto di più antichi alfabeti italici, o V
abbiano derivato da altrove, come pare dai nomi stessi che portano le lettere
del medesimo, benché sia diffìcilissimo, e forse impossibile a provarsi, per
mancanza di documenti sicuri, il come, ed il quando abbiano ciò fatto-, è
peraltro fuor d’ogni dubbio, che i Greci non lo comu¬ nicarono loro, e
non furono per conseguenza i loro maestrì.Che anzi è da credere che sia
accaduto tutto al contrario, e che gli Etruschi, nazione mitissima, e
potentissima in età molto remote, e quando la Grecia era tuttora barbara, e
selvaggia, 1’ abbiano comunicato ai Fenici per via di commercio, e che da
quelli passasse ai Greci, se vogliamo ammettere ciò che sostengono quasi
tutti gli antichi scrittori, cioè, che Cadmo facesse loro il dono del
primo alfabeto. Del qual Cadmo scrive Plutarco nei Simposiaci iib. 9
quist. 5, che quel sapiente pose Z'aleph, o alpha per prima lettera del
suo alfabeto, perchè cosi chiamasi il bue nella lingua dei Fenìci, il
quale animale non è da stimarsi nè secondo nè terzo fra le cose necessarie all’
uomo come pensò Esiodo. Circa poi al grecismo, che s’incontra nell’ etrusco, e
nell’Etruria, e circa le arti greche, che vi si osservano, come ancora in
altre parti dItalia, ne parlerò a lungo in un discorso, che tutto si
aggirerà intorno a questa materia, esclusivamente da ogni altro oggetto.
E proverò allora, che l’idioma degli antichi Etruschi è nel suo fondo
tutt' altra cosa che greco; dimostrando ad un tempo, in qual modo, e
questo grecismo sian da dirsi alcune cose eli io riserbo ad un altro
ragionamento. Ma ritornando al titolo del mio discorso, cosa è V
alfabeto etrusco? É questo un prodotto indigeno dell’ antica Etruria, o sivvero
vi fa trasportato da altra parte del mondo? E se qua venne da estranei
lidi, chi fu mai quel benefico straniero , che fece all ’ Etruria un dono cosi
prezioso ? Ed in questa supposizione, passò egli ai nostri antenati dall’
Oriente, oppure dall’ antica Grecia ? O si compose egli forse degli elementi di
più antichi alfabeti italici, o di questi, e del pelasgo fra loro
mescolati, e confusi ? E se vi fossero ragioni bastanti a dichiararlo prodotto
indigeno, a quale epoca rimonterebbe l’ antichità sua , ed a quale
ammettendo che sia frutto straniero , e per qual mezzo pervenne ai padri
nostri? A tutte queste quistiom, che possono opportunamente esser
mosse intorno al tema che ho tra mano, io mi studierò di rispondere,
quanto meglio e più concisamente per me si potrà, e come sarà possibile
rispondere, in qusto breve ragionamento, m una materia cosi oscura, e difficile
• E circa alla prima quistione, l alfabeto etrusco, quale noi lo possediamo
presentemente, non è certo una cosa diversa dall antico alfabeto greco,
ma sono anzi talmente somiglianti fra loro, se tolgasi il rovesciamento
delle lettere nell’ uno di essi, da doverli giudicare al confronto, senza
timore d’ ingannarsi, la stessa cosa, sia diesi riguardi la forma delle
lettere, o si consideri l uso delle medesime, Nè giova opporre a questa
asserzione, la maniera di scrivere degli Etruschi da destra a sinistra,
avvegnaché usavano di fare lo stesso anche gli antichi Greci, prima dell’ età
di Pronapide, che si pretende essere stato il maestro di Omero. Che anzi
esser potrebbe credi io, una tale particolarità, un argomento favorevole
agli Etruschi, per crederli i ritrovatori del loro alfabeto• Al che si
aggiungerebbe forza non poca, considerando l antichità loro, più
recondita assai di quella dei Greci. E più ancora verrebbe
avvalorato, e confermato un tale argomento, che gli Etruschi, cioè, siano
stati eglino stessi gli autori del loro alfabeto, riflettendo che i medesimi
continuarono in ogni tempo a scrivere, ed anche sotto la dominazione dei
Romani, da destra a sinistra-, lo che non avvenne dei Greci, iquali
cangiarono metodo, e presero a condurre la loro scrittura da sinistra a
destra. Ora è più ragionevole il credere, che il rovesciamento degli
elementi alfabetici, e del modo di scrivere, siasi operato da chi
l’apprese da altri, che da chi ne fù l inventore. E questo rovesciamento
di scrittura presso i Greci, vuoisi fissare, come di sopra accennava, ai tempi
omerici, o di Pronapide. A questo argomento però se ne potrebbe,
per avventura, opporre un altro, dicendo , ché giusto appunto perchè gli
Etruschi scrissero sempre conducendo, e tracciando i caratteri da destra
a sinistra, non debbono riguardarsi come i ritrovatori del loro alfabeto, ma
convien credere che lo abbiano ricevuto da qualcuno dei popoli asiatici,
e particolarmente di quelli così detti semitici., ì quali usarono
T-;,- Per la qual cosa , mi pare che dopo tutto quello che ho detto
finqui', si possa rispondere alle questioni proposte in questo medesimo
discorso, che V alfabeto etrusco non è venuto dal greco, ma bensì questo
da quello j che desso non è primitivamente indigeno dell’ antica Etruria,
quanto ai suoi elementi, i quali furono quà portati da una emigrazione
antica, in tempi tanto reconditi da non poterne fissar V epoca precisa, e
che s’ ignora chi ne fosse il primo inventore, e chi lo portasse il primo
fra noi. Sulla qual primitiva derivazione asiatica dell' alfabeto etrusco, in
età da noi remotissime , dettero un ragionamento a parte, che verrà
pubblicato in seguito in quest’ opera stessa. Ciò peraltro non vuol già
dire, che anche la lingua etnisca sia una lingua del tutto asiatica, come
la giudicarono troppo leggermente alcuni filologi, sebbene asiatici si
riscontrino l’ antico culto, e la maggior parte dei riti religiosi, e
civili degli Etruschi. Or qui farebbe di mestieri combattere, e
confutare tutte le opinioni contrarie ; nè io sarei alieno dal prendermi
un tale assunto, se i limiti prescritti a questi ragionamenti, nei quali non
deve olt repassare , per l’indole dell' opera cui son destinati, la
periferia di poche pagine di stampa per ognuno di essi, me lo concedessero.
Non potendo ciò fare, nel modo che si converrebbe, mi ristringerò ad aggiungere
quanto segue, e mi terrò per ora contento di questo. Il Cori,
il Majfei, ed il Mazzocchi confrontando gli alfabeti punico, e celtibero, o
cantabro coll’etrusco, dicono che vi trovarono minore analogia, quanto
alla forma dèlie lettere, che coll’ ebraico. Il Donati poi che fece la
stessa cosa nei suoi Dittici seguitando le osservazioni, che avevano già
fatte prima di lui a questo proposito, l’ Aquila , Teodozione e San
Girolamo, scrive nell’ opera sua intorno alle iscrizioni, che quelle così
dette Cizzie, sono riguardo ai caratteri, mollo simili alle etnische j e lo
stesso dice ancora del marmo Sanvicense conservato in Osford, che vuoisi
più antico della guerra troiana, e dei caratteri incisi sulla lamina
bustrofeda di bronzo, riportata dal prelodato Majfei nella sua Critica
Lapidaria, non meno che di quelli sulla colonnetta del Museo Nani di
Venezia, giudicata pelasga-tirrena , benché fosse ritrovata a Mitilene
. Questi monumenti, che si credono tutti scrìtti in greco antico, e per
essere questo mollo simile all’ etrusco, specialmente circa la forma
delle lettere, sono stati quelli che hanno fatto mettere in campo, o
convalidare l' opinione di coloro, i quali pensarono che il greco antico,
é l'etrusco fossero la stessa cosa, e che per giunta alla derrata, la
lingua dei nostri antenati sia nata dal greco. Senza avere peraltro mai
pensato a provare, che i Greci, ed il loro alfabeto fossero più antichi
degli Etruschi. Il Gori,fra gli altri, stabili come un assioma, che
la lingua etrusco era greca in non differiva da quella che nel dialetto,
nella quale opinione fu seguito dal Lanzi, e da altri. Ne si avvidero, nè
lui stesso , nè i suoi seguaci, che i Pelasghi, i lirrem, i Pladani, i
Lidii, gli Arcadi, e gli Ausonìi, sono perchè s J introdussero nell'
etrusco, e nèll' Etruria propriamente detta, quel grecismo, e quelle arti. Che
in quanto alla somiglianza, ed anche identità dei caratteri etruschi, e greci
antichi, sii di che fondarono finora il loro più valido argomento tutti
gli archeologi fautori del grecismo, per asserire che l' etrusco , ed il
greco antico sono in ultima analisi la medesima lingua, è il più frivolo,
ed anche il più ridicolo ragionamento, che immaginar mai si possa,
Avvegnaché, vale lo stesso che se io ragionassi cosi: gl’italiani, i francesi,
i fiamminghi, gli spagnuoli, i Polacchi, i Portoghesi, ed altri popoli
d'Europa, come gl'inglesi, i dalmati, e gl’olandesi, si servono dello stesso
alfabeto per iscrivere le loro lingue, dunque tutte quelle lingue sono la
stessa cosa. Ma quante sono in antico le lettere dell’ alfabeto etrusco,
poiché essendone stati pubblicati finora dagli antiquari fino a tredici,
o quattordici, chi ne conta un numero maggiore, e chi minore; ed il
laborioso, e dotto abbate Lanzi ne ammette venti nel suo ? Si deve
credere che fossero sempre in egual numero , oppure che venisse questo
accresciuto a più riprese, e ad epoche diverse, come si narra essere
avvenuto dal greco, il quale fù condotto fino al numero di ventiquattro
lettere, benché non ne avesse che sedici nel suo principio ? E non sarebbe
questa una ragione di più, onde confermare ciò che accennava poc anzi,
che l’ alfabeto, cioè, facesse passaggio dagli Etruschi ai Fenici, e da
questi ai Greci, osservandosi ancora che nessuno degli antichi alfabeti
italici oltrepassò mai il numero di sedici lettere? Difatti nei piu antichi
monumenti, fra i quali nessuno vorrà contradire che siano da riporsi gli
atti dei fratelli Ar- vali, non se ne contano che sedici sole.
Di più non trovandosi mai usato l o nelle epigrafi antiche veramente
etni¬ sche, riscontrandosi questa lettera fra quelle degli altri
monumenti italici parimente antichi, come pure fra le prime sedici dell
alfabeto greco, cosi detto cadrneo, sì può dubitare se gl’etruschi ne
avessero neppur tante in principio, e cresce sempre più la probabilità della
mia asserzione. Secondo t enciclopedico Plinio, le lettere dell alfabeto
cadrneo furono le seguenti . cioè: ab r a eikamnoiipstt. Alle quali poi ne
aggiunse quattro Palamede, che sono, e 3 $ x. E finalmente Simonide lo
accrebbe di altre quattro, cioè, zìi va. E pare anche ben naturale, come
fù pure osservato dall’ erudito filologo francese Sig. Letronne, che quei
primi sedici caratteri siano stati inventati avanti agli altri, perchè
rappresentano i sedici tuoni elementari, o semplici, ché formar si
possono colla bocca umana, sia per intuonazione, o per articolazione.
Mentre gli altri caratteri aggiunti a questi, ed usati negli alfabeti dei
differenti popoli, esprimono, o delle gradazioni di quei suoni principali , o
la riunione eli più articolazioni in una sola . Di maniera che ognuno di
essi può essere più, o meno esattamente decomposto nei primitivi suoni
eh’ egli contiene. Che s’è regola di sana critica di non prestar fede agli
antichi poeti, in tutto ciò che narrano di sovrumano, e di misterioso, lo
è del pari di rintracciare il vero anche in mezzo alla favola, che viene
giustamente definita dai sapienti, il velo deila verità, e della storia.
Ipoeti dell’ antichità, ché erano più istruiti di tutti gli uomini
dell’età loro non inventarono, come si crede male a proposito, le favole, ma
bensì adornarono con finzioni la storia . Rimossele quali finzioni, è cosa ben
facile di rinvenire la verità, nei più notabili avvenimenti per essi narrati, e
abbelliti. Cosi la pensa Agostino nel lib. della Città di Dio. E ci
avverte Vossio nell’ aureo suo trattato De fatione studiorum, che non si
dicono favolose le antiche età, perchè sia falso ciò che di essici vien
riferito dagli scrit-, tori, ma perchè la storia di quella ci è pervenuta
insieme colle favole mista, e confusa. /u M : oj : ntriq r : oqflj
v/r 3Hfl Jiiffl -1 = q/i j/r n# j a
san/urn/Mq/i V/13 : q A : D l = irnoai 4 /ini
AD Jfìlmq 3E : Am 34t : 44 -1V84flHMI3:3Hiq3®:q/1 4/mmq vo •
IHltfl 4 14 : I ?434 : I \IA8 JAMAJll V A'! vq 1 : U434 .- A»
n 33 4fl mif A4 : Al 3 f 25 tutti popoli
anteriori ai Greci, e che trovansi tutti amalgamati cogli Etruschi nelle
età più lontane. Perlochè convien dire che siano gl’etruschi stessi, i
quali portino diverse denominazioni, dalle diverse provincie dà loro
abitate, nelle quali era divisa l’antica Etruria. E come oggi i fiorentini,
i senesi, i pisani, i lucchesi, ì magellani, i casentinesi, e simili,
sono tutti toscani, cosi pure nei più reconditi tempi gli Umbri, gli
Enotrl, gli Aborigeni, e tutti gli altri annoverati di sopra, erano
Etruschi. Silio Italico lib. a. 0 chiama Ausonia la Lombardia. Ed Eliano
lib. 8.° della Varia istoria, crede che gli Ausoniifossero i primi abitatori di
Italia-, mentre Pirgilio nel io. 0 dell’ Eneide, li confonde con quelli che
popolavano questa bella penisola sotto il regno di Saturno. Servio poi
commentando un tal passo, dice che gli Ausonii furono sì dei primi
popolatori cì Italia , ma non già i primi di tutti, nei soli. Ed ecco
perchè alcuni scrittori hanno compreso sotto il nome di Ausonia tutta
l’Italia. Ora tutti i surriferiti popoli, non esclusi neppure i
Latini, che molti autori vogliono che fossero diversi, e dagl Italici
propriamente detti, e dagli Etruschi, ripetono la loro prima origine da una
colonia, o emigrazione qua venuta dall’Asia, in tempi forse al di là di quelli
che da noi son detti storici. Lo che fu negato acremente da altri per la sola
ragione di potere stabilire, che i Greci furono i primi coloni di
Etruria, e che vi s’introdussero insieme con essi, le arti e le scienze,
e perfino la cognizione dei segni alfabetici. Ma non potendosi negare, senza
offendere il senso comune, che queste regioni erano popolate molti secoli prima
che i Greci le conoscessero per via di commercio, e vi spedissero in
seguito delle colonie, conviene di necessità ammettere, che i Greci non furono
i primi abitatori d’Italia, e per conseguenza neppure di Etruria, e molto
meno insegnarono loro a parlare. Quando peraltro non voglia credersi, ché
i popoli italici, e gli Etru¬ schi, fossero tutti muti prima dell’ arrivo
dei Greci fra loro. Laonde cade, e si annulla il sistema dei fautori del
grecismo. Macrobio infatti ammette un diluvio, non già ai tempi di
Deucalione, e di Ogi- ge, ma bensì a quello di Giano, ch’ei qualifica per
primo re di tutta l'Italia. E Dionisio d’Alicarnasso, che è sempre in
contradizione con se stesso, dopo avere scritto che i Pelasghi furono i
primi popolatori d! Italia, che 5oo anni prima di Giano ne scacciarono i
Siculi, e che gli Enotri eransi prima dei Siculi stabiliti nell’ Umbria,
pretende poi di darci ad intendere, e farci credere, che Giano precedesse la
venuta di Enea in Italia di un solo secolo, e mezzo. Ma se il cosi detto
secolo d’ oro, ossia il secolo della pace, e della giustizia, fu secondo
Vir¬ gilio, ed altri scrittori antichi, quello in cui regnarono Saturno,
e Giano, que¬ sto non può essere stato posteriore all’ età di Noè, e
de'suoi figli, che dietro gli insegnamenti paterni, calcarono essi pure
la via della giustizia, e coltivarono tutte le virtù sociali.
Etr • Mas. Chius. Tom. nemico se gli Dei, per suggerimento
di Nettuno, non lo avessero voluto sal¬ vo 2 . Or non vedi qui pure
Achille che tenendo lo scudo lungi da se, pone mano alla spada ? Non vedi
il Tanato che quasi obbrobriato volge il tergo alla pugna col suo
martello sugli omeri, per mostrare che morte non avea luogo in quel con¬
flitto, perchè ad ogni costo dovevasi Enea salvare alla gloria d’Italia? Questo
dise¬ gno è una quarta parte del suo originale in marmo d’ alto
rilievo. Qui si mostrano i due laterali scolpiti del cinerario che è
nella Tavola. Nell'uno e nell’altro sono rozzamente indicate due porte, che
rappresen¬ tano, credo io, le infernali, alla custodia delle quali stan
vigilanti due ministri del Tartaro. La figura femminile al num. 2 è
visibilmente una Furia, come dichiaralo quella face che regge con ambe le
mani; di che detti altri cenni 3 ; la virile col mar¬ tello sugli omeri è
il Tanato, altrimenti detto Cliarun tra gli Etruschi \ e confuso col¬
l’Orco, ministro anch’egli di morte e d’inferno, che spesso incontrasi nei
monumenti antichi d’Etruria 5 , e non già tra quei de J Greci, nè
de’Romani cosi rappresentato. La testa eh e nel mezzo, serve per
coperchio ad un vaso di terra cotta, di che dovrò trattare altrove; ora
avverto che questa è la terza parte del suo originale : Affinchè I’ urna
cineraria già esposta si mostri compita, fa d’ uopo di non disgregarne il
suo coperchio, dove si vede un seminudo recornbente con una patera in mano,
nell’attitudine stessa che vedonsi rappresentati gli Etruschi a men¬ sa.
Nè la patera disdice a chi cena, mentre vedesi usata a convito dai commensali 6
. La veste che in parte copre il recornbente è detta sindone, pure usata
ai conviti 7. La nudità della persona indica 1’apoteosi, di che altrove
dò conto 8 . Il frammento di scultura segnato in questa tavola, è un tufo
tenero, e del genere di quello notato nelle prime cinque tavole della
presente collezione Chiu- sina. Orchi mai crederebbe, che nella tomba
dove fu ritrovato non vi fossero gli altri frammenti, che ne componevano
l’ara intiera? chi crederebbe che que¬ sta sorte di monumenti in tenera
pietra arenaria si trovino quasi costante- 1 * spiegazione della Tav. xm. 4
Monumenti elr. s -5 Mono. etr. ser. i, p. 44 » 73 , 74, 264, 284. 6
Ivi, ser. vi, tav. F. num. 2 . 7 Ivi ser. i, p, 395. 8
Ivi ser. n,j>. 628. Nelle urne di Volterra parventi ripetuto questo
soggetto medesimo, ed ivi spiegandolo, avventurai l’interpetrazione di un fatto
tebano, del quale io stesso poco andai persuaso, nè ora saprei meglio
dire. Vi suppongo Anfiarao nell’atto d’aver tagliata la testa di
Menalippo, che Tideo, sebben ferito, aveva già ucciso; e gliela portò,
per cui da Tideo medesimo fu commessa l’atrocità di aprir quel cranio, e divorarne
le cervella. In ogni restante ancora son simili queste due sculture,
sebbene men rozza l’urna di Chiusi. Questo disegno è una quarta parte del
mo¬ numento originale di marmo in bassorilievo. Quanto la frequenza
delle rappresentanze di avvenimenti ferocie marziali, co¬ me quei della
tavola antecedente, fan giudicare l’etrusca nazione d’umor malin¬ conico
3 , altrettanto voluttuosa e molle giudicar si dovrebbe dal presente gruppo che
appartiene alla scultura antecedente, per esser quella un’urna cineraria,
questa la di lei copertura . Credo per altro che l’uno e l’altro soggetto non
dal¬ l’indole degli Etruschi abbia origine, ma da loro massime di
religione, dove dicevasi che la vita era un irrequieto contrasto, e la
morte conduceva ad un vero godimento, il quale non sapevasi esprimere che
mediante la soddisfazione dei sensi 3. Mentre il fasto orientale
sfoggiava in lusso degli abiti, l’EROISMO dei Greci caratterizzavasi col MOSTRARSI
A NUDO Tra i guerrieri di questo bassorilievo ne vedi uno vestito , e in
questo caso potrebb' esser troiano, e tra i Troiani credilo ENEA, che
soggiacque a mille peripezzie di grave cimento, senza però mai soccombere ,
perche gli Dei, per quel che ne dicono Omero \ e VIRGILIO 5 , avean destinato
ch’egli regnar dovea sopra i superstiti Troiani, e sopra i figli dei figli, e
sopra quei che appresso erano per venire da loro. Difatti racconta
specialmente Omero che Achille, cosa strana ! si sgomentò nel combattere
con Enea, e tenendo discosto da se lo scudo, cercava di sottrarsi ai
colpi vibrati da quell’eroe 6 ; ma poiché questi a vicenda contrattosi
colla persona, e copertosi collo scudo evitava l’assalto dell avversario
', come nel bassorilievo mirasi espressa la figura che ne occupa la parte media,
Achille allora pose mano alla spada, ed avrebbe trucidato <il 1
Monum. etruschi, Ser. 1, Tav. lxxxiii, p. 666. 5 Virgil, Aeneid. ]. ni, y . 97,
98. 2 Ivi, p- 667. 6 Homer. Iliad. 1 . xx, v, 261, 26a.
3 Ivi, ser. v, spieg. della Tav. Homer.
Iliad. fu detta di lui consorte. Se consideriamo i due nomi spettanti ai
due pianeti Ve¬ nere e Marte, potremo giudicare la figura terza per un
Saturno, altro pianeta. Nè da ciò si allontanano i di lui attributi,
poiché ad esso rompetesi, non solo quella barba prolissa che gli orna il
mento, ma eziandio quelle fronde, e germogli, o gemme di vegetabili che gli
cuoprono il capo, attributi propri di sì antico nume, non meno che la spada
falcata da lui sostenuta '. Queste tre deita e pianeti possono appellare
all j oroscopo di un’ anima che nella stagione di pri¬ mavera passa agli
Elisi, di che altrove do più esteso conto a . 11 vaso contiene altre tre
figure che saranno spiegate nella Tavola seguente. Ecco le altre tre
figure che vedonsi nel b. rii. del vaso esposto nella Tav. antecedente.
L’interpetrazione dottissima scrittami di esse dal eh. sig. dott. Maggi,
merita d’esser nota preferibilmente a qualunque mia congettura. Egli
dichiara in quel mostro una Gorgone, o un Tanato: in quell’ uomo con
testa ferina un Minotauro: nell’uomo alato che sta nel mezzo un Mercurio.
La totalità della com¬ posizione credesi dal dotto interpetre allusiva al
tempo nel quale facevansi le an¬ nuali commemorazioni delle anime. Quindi
la figura larvata è da esso giudicata il Male personificato in un mostro,
come fecero gli Egiziani del loro Tifone; mentre credevasi che prevalesse
il male all’ entrare dell’ autunno . E questi nel tempo stesso il Charun
degli Etruschi che fingevano orridamente larvato, e di te¬ sta grossa.
Indicano quelle mal collocate sue ali che la morte raggiunge l’uomo
ancorché fuggitivo da essa, di che l’interpetre dà ragioni che appagano. La
se¬ conda figura è da esso dichiarata per quel Mercurio, che occupato
nell’ uffizio di accompagnar le anime, ha deposti gli emblemi che lo distinguono
per ministro dei numi. Giudica poi la terza mostruosa figura esser il
Minotauro allusivo al centauro o centauri celesti, piuttosto che al
figlio di Pasifae; e qui pure dà ra¬ gione in qual modo leghi la dottrina
delle anime colle favole dei centauri autun¬ nali. Nota egli che il fiore
sia un anemone significativo del sole passato ai segni inferiori, per cui
sopravviene l’inverno, vale a dire il male che da ciò risente la natura,
e quindi anche le anime come credevasi,- tantoché quel mostro con testa
gorgonica rappresenta parimente il sole iemale. Gli uccelli sono, a tenore del
di lui parere, siderei, anch’essi spettanti ai segni inferiori, e
indicanti la via lattea che percorrevano le anime nel passaggio loro alle
sfere celesti. Da ciò conclude che tutta la rappresentanza sia una spece
di geroglifico significativo dell’autunno, cioè del tempo in cui le anime
dovevan esser suffragate. Egli palesa d’ aver tratta questa
interpetrazione dallq mie opere 3 . i Bianchini, Stor.
universale,cap. li, §x ,p. 84 * >, pag. i8t, lettera al dott. Maggi,
a Inghirami, Lettere di etnisca erudizione, Tom. 3 Lettere, lettera di Maggi. mente
mutilati? Eppure è così; nè ciò farà tanta sorpresa, se consideriamo che
anche i vasi fittili sepolcrali si trovano spesso rotti dagli antichi. Sarebbe
forse ella mai una ferale cerimonia liturgica ? Qui osserviamo
ancora un vasetto in pietra arenaria, tre quarti men grande del suo
originale; ed è simile a quei che prima dicevansi lacrimatorii, e che ora
si dicono unguentari 3 , perchè si vedono in mano di chi versa unguenti
sul rogo 3 , nè questo è dei comuni per la gran somiglianza coi vasi
egiziani dell’uso stesso.Notiamo questi recipienti con volgar nome di bracieri,
mentre per tali si tengono quei che sono atti a contener brace, ed
insieme i vasi escari, e culi¬ nari. Ma l’originale qui copiato a metà di
grandezza, non fu vero braciere, nè veri escari quei recipienti che vi si
contengono, mentre l’uno e gli altri sono di fragile terra cruda, non
atta a resistere l’effetto del fuoco . Io suppongo essere stati adoprali
nei riti funebri i veri bracieri di bronzo detti anche borni, usati a
bruciar vittime, e profumi. Quindi al termine della funebre cerimonia in
luo¬ go di lasciar questi nel sepolcro, come lo esigeva il rigore del
rito, altri bracieri di semplice figura, e formalità, perchè di terra non
cotta, sostituivansi a quelli. Il pollo che vi si vede nel mezzo, è
consueto simbolo di buon augurio, che vedemmo altrove 4 . Le varie teste
che ornano l’utensile han pur esse il si¬ gnificato medesimo relativo
alle anime, come in altre occasioni ho notato*. Serve la tavola
presente a mostrare qual fosse la forma esteriore del bra¬ ciere o
escaria, o estia che dir si voglia, la quale vedemmo nella parte ante¬
riore disegnata nella tavola antecedente. Le sfingi e larve che vi si vedono
apposte, sono analoghe all'uso ferale di questi monumenti 6 .Questo vaso ch’è
una quarta parte dell’ariginale, è della solita pasta nera con ornati, e
figure a bassorilievo i, le quali sono in questo disegno della loro
naturai grandezza, e ne occupano tutto il corpo. Ivi son ripetute tre
volte. La prima di esse figure indubitatamente è un Marte; e in
conseguenza la donna che gli è dap¬ presso, quantunque priva di
attributi, può credersi Venere, che nella mitologia 1 Museo
Chiaramonii Tav. xxv. 5 Pollux. 1 . i, segm. 3 . 2 Paciaudi,
Monuoi. peloponues. Voi. u, p. iSo 6 Motium. etr. ser. i, p. aao. 3
V e d. p. ij, 7 V’cd. la spiegazione della Tal. ini. SUL GRECISMO CHE
S’INCONTRA NELL' ETRUSCO, SULLE ARTI GRECHE OSSERVATE IN ETRURIA, E SULL’
ORIENTALISMO CHE RIDONDA PER TUTTA ITALIA. Era involta l’origine degli
Etruschi in ima impenetrabile oscurila fino dal tempo in cui scrivevano i
più antichi storici che noi conosciamo. Lo che fa certamente gran
maraviglia, quando si riflette all’ esteso dominio di quel popolo, sì celebre,
e sì potente, che aveva una Casta sacerdotale, e possedeva tempo
immemorabile un particolare alfabeto, ed era più avanzato nella civiltà
di tutte le altre nazioni di Europa. E ciò molto prima dei Greci,
pensino, e ne scrivano in contrario, i dotti compilatori della Rivis a
Lungo. Tutto quello poi, che noi sappiamo della sua susseguente istoria, e c e
e suìistituzioni, non ci è stato trasmesso che dalle nazioni
contemporanee , giacche gli scritti degli autori etruschi, sono periti da lunga
età. E le loro iscriA ni scolpite sul marmo, e sul bronzo, non sono
finora più intelligibdi per noi, i quello che lo siano i
geroglifici egiziani. Ma se dunque la lingua etrusco, non è in prima
origne la stessa che a greca antica, con piccola diversità di dialetto,
come pretendevano, il Gori, e i suoi fautori, e più modernamente l
industriosissimo Abbate Lanzi, e tutta la sua scuola. Se i Greci non
furono i maestri degl’etruschi, in qual modo, riprendono quelli di
contraria opinione , s J incontra cosi frequente il grecismo nell'
etrusco, e si osservano cosi comunemente le arti greche in Etruria . ben
rispondere a queste domande, sono da premettersi alcune considerazioni,
che verrò qui brevemente esponendo. Ridonda in primo luogo, nell’etrusco,
il grecismo, per una ragione oppo¬ sta diametralmente a quella predicata
, e diffusa fin qui dagli archeologi, cioè, perchè furono gli Etruschi ad
un’ epoca assai recondita, i maestri dei Greci, i quali riceverono da
essi, e dagl’egiziì, le prime nozioni della scrittura, per mezzo dei
Fenici, come altrove accennammo. Questi elementi però non erano in prima
origine prodotto indigeno della Etruria, ma v’ erano stati trasportati da
una più antica emigrazione asiatica. Osservansi poi, in secondo luogo, in
ogni parte di Etruria, ed anche nel resto dell’antica Italia, gli avanzi
delle arti greche, perchè quella vivace, ed ingegnosa nazione, che aveva
il talento e l’attitudine di perfezionare , non me- Quando si trova nei
monumenti Mercurio che ha sulle spalle un ariete, se gli dà il nome di
Crioforo, e cosi nominavasi la di lui statua venerata in Lesbo, che avea
scolpita Cakmide, a significare ch'era il dio dei pastori, come crede la plebe, mentre altri asserivano eh’ aveva
liberato quei di Tanagra dalla peste, girando tre volte in forma
espiatoria intorno alla città, con un montone sulle spalle. Ma il vero
senso, benché mistico di quell’atto, è la congiunzione del sole col segno
dell’Ariete, per cooperare allo sviluppo della generazione, mediante la quale
son rivestite le anime d’utnana spoglia, per cui cred’io che talvolta il
nume vien espresso con lubriche forme. Il religioso cerimoniale degl’idoli portava
in fatti che l’ariete o lo stesso nume si rappresentasse nelle patere libatorie
per onorare i morti. Questa pittura è nel mezzo d’ una tazza di terra cotta,
che ha di più il pregio d’essere scritta, ove peraltro non leggesi che un
saluto di buon augurio ad Erilo Eprìo; K«)oe. tavola xxxvr.
Di questa muliebre figura non mi occorre dir molto, per esser già
nota mediante l'estese notizie e congetture che ne detti altrove ». Io la
giudicai rappresentativa della divinità presso gli Etruschi, giacché ne
monumenti de'Greci non si trova mai, e la dissi una Nemesi Dea ch’ebbe
origine in Asia, e perciò munita di pileo frigio, e di doppie ali, onde
mostrare la velocità del suo corso, per cui le si vedono altresì le
scarpe. Ha in mano un simbolo eh' io giudicai allusivo alla natura
prolificante w*, »//>, mentre gli Etruschi tennero la narura e la
divinità per una cosa medesima. La corona che l’attornia è di frassine,
vegetabile sacro a Nemesi. Tutto il monumento, eh’è uguale in grandezza
al suo originale, è un disco di bronzo assai frequente tra i monumenti
etruschi, lucido nella parte avversa, e manubriato in sembianza di
specchio; e poiché se ne son trovati alquanti nelle ciste mistiche, ove
Clemente Alessan¬ drino dice esservi stati riposti gli specchi unitamente
ad altri simboli mistici, così li chiamai ordinariamente specchi mistici
3 . i Monumenti etr. ser. ti, dispregiarsi l'etimologia , quanti 1 ella è
sobria, e ragionata ,) comincerò da quelli delle lettere dell’ alfabeto .
1 quali non avendo alcun significamento in greco , e portandone uno
analogo alla loro posizione,ofigura, o suono, negl’ idiomi asiatici, è ben
facile a comprendersi da chicchesia, che non dalla Grecia, ma dal- l’
Asia derivar debbono la propria origine. E vaglia il vero: Alpha ,
per esempio, significa principe, primo, principio, e sìmili, in più
dialetti asiatici, e precisamente in quelli cosi detti semitici, nei
quali si pronunzia aleph , o alepha, e per contrazione alpha, cui pare che
fosse dato un tal nome per essere la prima lettera dell’ alfabeto,
Beta, che viene da beth, betha, suono imitato dal belare delle pecore, e
però sempre inalterabile nella sua naturale Semplicità, checche ne ciancino in
contrario i grammatici, i quali pretendono di farcelo pronunciare bita, ed
anche più barbaramente vita, vale una sorta di casa, per la somiglianza
che ha questa lettera colla casa stessa, nell’ Alfabeto semitico.
Gamma viene da ghirnel, gamia, gamal, che vuol dire carnelo, ed imita colla
sua forma la gobba, o le gobbe di quell’ animale. Cosi delta deriva da
da- leth, o deleth , deletha, e per sincope delta, e significa porta, cui
somiglia pure nella figura. E cosi ancora epsilon fu presa dalla he semitica, e
trae la sua denominazione dal suono che si manda fuori nel
pronunziarla. La zeta, deriva dalla zain, quasi ziian, che vale un’ arme,
perchè somiglia nella sua forma ad un dardo. E cosi percorrendo l’
intiero alfabeto. La quale opinione acquista una forza tanto
maggiore, in quanto che si osserva, che gl' ingegnosissimi Greci, non hanno
neppure nella loro lingua, che è si ricca, un vocabolo indigeno per
nominare la più bella, e la più maravigliosa di tutte le cose create, qual è il
Sole. Imperocché la voce , elios, di cui si servono per nominarlo, non è
altro chela pura semitica, el, o eloab, inflessa alla greca . E SIGNIFICANDO
essa, fra le altre cose, anche Dio nel suo primitivo idioma, si vede il perchè
si propagasse ancora in Grecia, come altrove il culto del Sole. A maggior
conferma poi del mio assunto, ecco una serie di nomi, presi qua, è là
senza scelta, ed appartenenti a cose assai diverse fra loro, come a dire,
divinità , eroi, fiumi, monti, città, provincie, popoli, edifici!, e
simili, i quali tutti sono evidentemente orientali, avendo nelle lingue
asiatiche, un significato, mentre non ne contengono alcuno nei linguaggi
degli altri paesi. Lo che viene a provare ad un tempo, che i Greci non
sono i ritrovatori della loro mitologia, e che altro non hanno fatto che
foggiare un infinito numoro di ridicoli Dei, prendendo per cose reali ì simboli
degli Orientali, e le loro allegorie, e parabole . ti. facile
infatti avvedersi, che Pale, la quale presiedeva alle feste rurali in Italia, e
Pallade, che mentre era la Dea della guerra, e delle arti, insegnava la
convenevole cultura agli Ateniesi, non sono che un soggetto medesimo, sotto due
nomi diversi; ì quali però vengono entrambi dalle voci semitiche, palai , e
pillai, che significano, regolare i cittadini , e da pillali, che vuol dire
ordine pubblico. no che l'industria di farsi suoi gli altrui ritrovamenti,
mandò a più riprese, come tutti sanno, colonie in Italia, le quali vi
fecero pure lunga dimora. Queste colonie pertanto, riportarono nelle
nostre contrade, più belle, e più gentili quelle arti medesime, che ne avevano
prima trasportate, grossolane, e rozze alla terra natale, i loro
predecessori. Ora, siccome andrebbe grandemente errato il giudizio di
colui, che vedendo un italiano vestito alla parigina, o all’inglese,
volesse inferirne, che quella foggia di vestimento sia invenzione
italiana, cosi è di quelli, che tutto vogliono attribuire ai Greci, perchè i
monumenti che ci rimangono dei nostri antenati, sentono più, o meno del greco
stile , e della greca maniera. Nè vale opporre, che mancandoci le autorità
degli antichi scrittori, onde fiancheggiarla, e provarla, fa d’uopo rigettare
una tale opinione. Imperocché, ove siamo privi di monumenti scritti, che
bastino a provare un assunto di questa specie, è giuoco forza ricorrere
al senso comune, e farsi scudo del raziocinio ; i quali valgono m ultima
conclusione più di qualunqué autorità degli scrittori, trattandosi dei
non contemporanei. Ora questo senso comune, e questo raziocìnio,
rafforzati da un gran nume¬ ro di nomi, ( oltre quelli dell alfabeto, e
dei suoi elementi ), di fiumi, di montagne, di città, di provincie , di
divinità, di eroi e simili, ci attestano altamente, e chiaramente ci dicono,
che dessi non possono esser venuti che dall’ Asia, perchè sono asiatici,
e tutti ritrovano il loro significamento negli idiomi di quella parte di
mondo. Ed essendo questi medesimi nomi per la maggior parte assai più
antichi di tutti i monumenti, e di tutte le storie che finqui si
conoscano , non si può negare di ammettere, che se asiatici non furono i
primissimi abitatori di Italia, e per conseguenza d’Etruria, tali però debbono
essere stati assolutamente, quelli che insegnarono agli Etruschi l’arte
Ai scrivere, e ne volsero gl’intelletti alla cultura delle arti
necessarie alla vita, e delle utili, e dilettevoli discipline. E perchè
non paia ai nan dotti in tali materie, ed agli imperiti delle lingue
orientali, che io mi tragga dalla propria Minerva siffatte opinioni, così
contrarie alle già invalse, ed approvate dal maggior numero degli
archeologi, che scrissero sull’ Etruria, e sugli Etruschi, è necessario
che io venga esponendo, le opportune prove di quanto asserisco, ai miei
lettori. Perlochè, senza veruna pretensione all' infallibilità delle mie
asserzioni, eccomi pronto alla dimostrazione delle medesime. E
tralasciando di riferire in questo ragionamento tutte le tradizioni, non mai
interrotte dai tempii più reconditi fino all’ età nostra, le quali dicono
essere stati gli antichi Etruschi nazione cultissirna, e potentissima, mi
ristringerò a quella che c’istruisce aver eglino attinti i primi lumi della
loro civiltà, da una colonia, o emigrazione proveniente dalle parti
orientali, che furono la cuna del genere umano, e di ogni sapere, e non
già dai Greci, che erano a quei tempi, se pure esìstevano , del tutto
incolti, e selvaggi. Venendo pertanto all’ etimologia dei suddetti nomi, (
che non è sempre da Etr. Mus. Chius. ^ libio, e Tolomeo,
dalbascuenze pitsà, equivalente a schiuma, perchè situata, secondo Rutilio,
vicino al fiume Ausuro , e sull’ Arno, Quam cingunt geminis, Arnus, et
Ausur aquis. Orvieto, chiamato Herbanum da Plinio, prende il nome dalle
celtiche voci herd, e baun che vagliano terra alta. E di là scendendo
verso Roma , incontrasi non lontano dal Tevere il lago Vadimone, o all’etrusca
Vadimune, oggi lago di Bassano, alle cui acque attribuisce lo stesso
Plinio, fra le altre qualità, vis qua fracta solidan* tur; la qual
salutifera proprietà è significata dalla prima parte del suo nome, chea
vateded equivale in celtico ad utile,proficuo,e simili. Angiunge poi lo
scrittore medesimo che era quel lago riguardato come sacro, perchè sotto l
immediata protezione di non so qual deità ; lo che viene espresso dalla
seconda parte del nome ch’ei porta, cioè, mund, o più dolcemente mun che
corrisponde difesa, protezione, e tutela. Trovavasi poi al mezzodì di tal
lago Fescennio, luogo celebre per le sue oscenità , e le quali sono indicate
dal nome, essendo gitisi’ appunto licenza, sfrenatezza, il SIGNIFICAMENTO
di quello; e però ne cantarono, Orazio Fescennina per hunc inventa
licentia morena, e CATULLO, Ne diu taceat procax Fescennina
licentia; Oltre di che, il celtico wels-hein, latinamente Fescennium, s’
interpetra bosco di Venere. Nomina Tito Livio, Fanum
Voltumnae, oggi Viterbo , e credesi comunemente che questa Voltumna fosse
una divinità. Difatti il Dempstero la reputa la prima fra tutte le
etnische, e Banier V annovera frale campestri. Ma è da credere che
Voltumna, venga dalle due voci volt e tun, e per questo il Fano prendesse il
nome non già dalla divinità, ivi adorata, ma dal luogo ov’ era posto,
poiché significa colle percosso dal fulmine,o colle fulminato. Cosi
pure, Auno , famoso Ligure, ausiliare di Enea, quando venne a stabilirsi
in Italia, e che trovasi descritto nell'undecimo libro dell’ENEIDE, come
paurosissimo nello scontro colla valorosa Camilla, significa precisamente
pauroso, timido in lìngua armorìca, uno dei dialetti indo-scitici. E Cupavone,
che andò pure col suo naviglio in soccorso di Enea, si traduce capitano di
mare, come Taro,,f ’interpetra gran fracasso, o che fà gran fracasso,
rovinìo, o danno, ed ognuno di leggeri comprende, quanto ciò si convenga
ad un tal fiume romorosissimo , e precipitoso. Iasio viene da iasesc, che
vuol dire, longevo, antico, e ben corrisponde all’idea, che ce ne danno
ipoeti, come Capi deriva da capasci, uomo libero, traendosi da ca- pasc,
libertà. Laberinto procede da labiranta, che vuol dire torre, palazzo;
Trittolemo da triptolem, che vale l’apertura dei solchi, Celeo da celi, vaso,
ordigno, masserizia, e però dice VIRGILIO (si veda), Virgea preterea Celei,
vilisque supellex. Palilie, ossia la festa degl’istituti, e delle leggi,
derivada palilià, c he significa l’ordine pubblico, o da peli], che vale
moderatore/Iella cosa pubblica, il primo in Isaia, Penati, è voce che
deriva da penisi!, luogo interno, o intimo , e la cui radice è penàh, che
vale penetrare; tutte le quali significazioni convengono benissimo a quelle
familiari divinità degli antichi Romani. E Levana deità latina essa pure, è
la medesima che Lucina , la quale sostenta i nati di fresco, e deriva da
Jevanàh, che vuol dir Luna. La Parca, non è cosi detta a non
parcendo, come pretendono i Grammatici, e gli Etimologisti latini, ma
bensì da parech, che vale rottura , perchè tronca essa il filo della
vita; come Cerere, da gheres, spiga matura, e Cibele, da chebel
partorire. Difatti quella prima è la dea delle messi, e viene riguardata
la seconda come la madre di tutti gli Dei . Osservo il Passeri, che
Venere, detta Venus dai Latini, era parola sconosciuta ai Greci, i quali
esprimono questa pagana divinità, colle voci Sfpofarv, topo, Afroditi, o
Afaodite, Kipris, Kitereia. E fu per lungo tempo ignota anche ai Romani,
come attesta Macrobio nel primo libro dei Saturnali. Afferma poi Earrone che il
notile di questa Dea , non conoscevasi fra gli stessi Romani, nè greco nè
latino, neppure sotto ire. Ed aggiunge Pausatila nel suo primo libro, che
era ignoto agli antichi Greci, e che lo aveva trasportato fra loro Egeo dalla
Fenicia, e dall’isola di Cipro. Gli Etruschi però conoscevano benissimo
una tal Dea , eia chiamavano Vendra, come rilevasi da un antico specchio
mistico . E la sua origine sente dì ebraico, avvegnaché, ben-thara vuol dire
figlia del mare perchè tbara significa umidità, dal qual vocabolo fecero
i Grecite, tharas figlio di Nettuno. Quindi furono dette Tbarso quasi
tutte le città marittime, e tarsisc, il mare, il lido, un porto. Dalla stessa
voce ben, che si cangia spesso in ven, per le regioni a tutti note, furono
composti molti nomi di Dee, come quello della Bendit degli Sciti, di
Bentasicima figlia di Nettuno presso Filostrato, ed altri. Nè vennero da
una sola parte, e nomi, e riti, e costumanze asiatiche in Etruria, ed in
tutta Italia, ma per più e diverse vie: peri oche non da un solo linguaggio
asiatico trar si debbono le spiegazioni dì questi nomi, ma da più, e
diverse lingue, e dialetti di quella famosa contrada. Quindi tutti i
celtici, e tutta la gran famiglia degl’ idiomi così detti indo-scitici, possono
esser messi utilmente a contribuzione, come altra volta accennammo per la
retta intelligenza dell’ etrusco, e per interpelrare gli antichi monumenti del
nostro paese-.Dal che viene a dimostrarsi , che il dotto, ed acuto padre
Rardetti, non aveva poi tutti i torti, di che altri volle troppo leggermente
aggravarlo. Ma riprendiamo la nostra disamina. LIGVRIA, nome di quel
tratto di paese, detto la riviera di Genova, fu cosi detta da Liguria
voce bascuenze,che vuol dir soave. E si formarono probabilmente da
questa, il verbo latino, ligurire, che significa mangiare soavemente, o
mangiare cose soavi, e il nome greco liguros che vale anche soave. Pisa,
cosi chiamata , o per la figura dell’ antico suo porto, che si trarrebbe da pi*
se ,che vale in dialetto lidio porto lunato, o se fu detta Pissa, come la
chiamano Po - II NUDO idoletto in bronzo che in questa Tav. si espone
davanti e da tergo, nella grandezza medesima dell’originale, con altri
similissimi a questo, sparsi pe'musei, forma soggetto di mature, ma non per
anche fruttifere riflessioni degli archeologi , che se per un lato vi ravvisano
una gran somiglianza coi monumenti egiziani da far sospettare che sian
idoli venuti d’Egitto in Etruria, atteso specialmente il costume e f
acconciatura anteriore e posteriore de’capelli; dall’altra non concepiscono
come gli Etruschi abbian potuto ridursi a mendicare manifatture
d’Egitto,menti'’ erano essi medesimi famigerati artefici; nè la storia ci
addita in conto veruno un traffico simile tra le due sì disgregate
contrade. È vero che Strabone veduti i lavori d’ambedue le indicate
nazioni, li giudicò di un medesimo stile, simile a quello dei Greci
antichi ma par ch’ei ciò riferisse allo stile dell’arte, e non al costume
delle figure . In qualunque modo peraltro si volesse risolvere
l’obiezione, qui non sarebbe luogo opportuno di estendervi. L’altro
bronzo che rappresenta una fiera testa di lupo, servì probabilmente per
ornato nel manubrio d’ un arme da taglio. Ebbero gli antichi una singoiar
cerimonia religiosa, alla quale davano il nome di Jettisternio,
consistente in un convito che si faceva nel tempio, o nel sacro recinto,
dove si apparecchiayano le mense ed i letti, perivi stendersi i devoti che
lautamente mangiavano in onor degli Dei, ma vi si preparavano ancora altre
mense ed altri letti, dove si deponevano le statue dei medesimi numi,
a’quali porgevan vivande, come se fossero stati realmente Ior commensali =. È
dunque probabile che il presente rudere antico facesse parte d’un di que’Ietti
che preparavansi per le statue, i quali si potevano usare a tal uopo di
qualunque grandezza. L’ornato stesso di un seguito di figure tutte
ugualmente recombenti, con tazze in mano, come stavasi a mensa, fan sospettare
delbanalogìa di rappresentanza coll’uso accennato del rudere, ch’èdi
pietra arenaria, una terza parte maggiore del presente disegno. Lo stile
a parer mio si mostra imitativo piuttosto che ingenuo d’un’ antichità non
poco lontana. É già noto all osservatore il nome e l’uso di questo
mobile, per le tavole, al cui proposito dissi che \non veri foculi, ma figure
di ì Monum. etr. ser. m, p. 4 oi. a LIVIO. Laurent, de
prond.et coena vet, c. zi, conviv. vet. c. 4 * , il secondo in Giobbe. E
Pamilie, festa che veniva dopo la raccolta, ed il cui significato e 1 uso
moderato della lingua , da dove s introdusse presso i Greci il costume di fare
esclamare e rivolgere al popolo le parole «pi« yWoias tamnete glossas.
cioè , troncate le lingue, astenetevi dal parlare, derivansi da pa-mul, la
bocca circoncidere, o da pamylah, circoncisione della bocca. E siccome
era questa una ottima lezione morale per rendere gli uomini sociabili, e
felici, così tutte le piccole società dei congiunti, o d’altre persone
che vivono insieme, furono dette fatniliae, e da noi famiglie.
Camilla è voce pretta etrusca, dicono Servio, e Festo, e significa
ministra degli Dei . Sia pur vero, ma in idioma orientale significa un
tal nome, ciò che dissero i Latini serva a manu; o filia a rnanu ,
giacché cam vaia mano, ed bill figliolanza , come osservò Eccardo al
titolo 23 della Legge Salica. E filia a manu, o serva a manu e una
espressione convenientissima alle giovinette , che metter dovevano le mani
in cento cose, essendo destinate a servire. Tarconte , autore
secondo le favole di Tarquinia, fratello di Tirreno, o disceso da lui,
che sopraintese a dodici città, il che non è bagattella ,fà secondo la
verità storica un valoroso soldato, che avendo difesa la sua gente, venne
denominato lo scudo 5 tale essendo ilsignificamenlo del gallico tarcon, o
dell’armorico targad. E finalmente, Tages , o Tagete, che narrano
esser saltato fuori fanciullo, dalla terra che sfavasi arando, che fu
alla nazione etrusca il primo maestro delVaruspicio, che il senatore Buonarroti
lo ha creduto espresso nella tavola 45 fra le aggiunte al Dempstero, non
può venire che dalla voce asfcia, tag, la quale significa giorno. E pare
che gli Etruschi volessero fare intendere con questa figura, o parabola, che i
giorni, p come noi diremmo il tempo, aveva loro insegnato l aruspicina, o
l'arte di antiveder l avvenire. Avvegnaché di simile parlare figurato ,
sono ripiene le pagine degli scrittori sacri, e profani. Dei quali
basterà nominar qui, tralasciando gli altri, David, Pindaro, Tullio, e VIRGILIO. E
siccome dice lo stesso Pindaro che le ore avevano insegnato agli uomini
molte delle antiche arti, così poteva secondo gli Etruschi, aver loro il
giorno insegnato l aruspicina-, Imperocché scrive il prelodato Tullio,
che opinionutn commenta del etdies, naturae iudicia confirmat; E Virgilio
cantò, Turne, quod optanti, divum permittere nemo Auderet,
rolvenda dies en attullit ultro. Domanderò ora ai dotti, se dopo la
spiegazione da me data a tanti nomi dei quali potrebbe estendersene il
numero per centinaia , e migliaia, sia possibile che una fortuita
combinazione, possa rendere così ragionevolmente corrispondenti i loro
significati, agli usi, ai tempi, ai luoghi, ed alle circostanze degli oggetti
per essi indicati. 4 ° va spossato di forze; e incontro a lui,
come narra Omero i Troiani e gli Achei si tagliano a vicenda gli scudi e
le targhe. Il berretto asiatico, del quale il recombente è coperto in
questa tavola, mostra più manifestamente che altrove la sua qualità di
Troiano, e perciò mi confermo nel crederlo Enea. Gli altri corpi che
vedonsi rovesciati a terra, fan fede che il fatto accade in un campo di
battaglia; e nel tempo stesso più che bellezza, dà merito al monumento quella
ricchezza di lavoro, che ne’tempi dell' arte in decadenza preferivasi al bello,
che n’è il vero pregio. La ricchezza colla quale vedemmo decorata di
scultura l'urna cineraria in marmo, il cui disegno è stato presentato
nella tavola antecedente, tre volte più piccolo della di lei grandezza,
non potette appartenere che a persona qualificata e facoltosa. Ciò si
verifica nell'osservarne il coperchio in questa tavola disegnato, sul quale
riposa un giovine riccamente vestito, decorato di onorifiche insegne,
quali sono principalmente l’anello e la corona di alloro che ha in mano, il
torque che gli orna il còllo , ed un ricco balteo che dall' omero
sinistro gli scende al destro fianco. La corona che ha in capo non è di
semplice onore, ma gli spetta come recombente a convito: posizione che viene
affermata dalla tazza che ha in mano, come usa chi sta a mensa. É stato
ragionato dagli antichi di una guerra delle Amazzoni, la quale ha non
poco del favoloso 3 , come lo prova inclusive la diversità colla quale è
narrata, ma nella varietà della favola v’è gran concordia tra i mitologi
per introdurvi i cavalli 4 . Or poiché veri combattimenti antichi a
cavallo non si conoscono descritti dagli autori de’tempi omerici, o poco dopo,
così non resta che quel delle Amazoni, o con gli Argonauti 5 , o con gli
Ateniesi 6 , che incontrisi nei monumenti, come approvato tra le
rappresentanze dell’antichità figurata. Dunque intendo di calcar le
massime consuete spiegando il presente bassorilievo per un Amazone
equestre, la quale combatte con un militare a piedi, sia pur costui un eroe
degli Argonauti seguaci di Ercole, o un Ateniese del seguito di Teseo. La Furia
con face in mano è spesso introdotta nei combattimenti anche dai tragici
greci 7. L’urna cineraria in marmo originale misura quattro volte questo
disegno. La semplicità dello stile caratterizza questo bas- i
Iliad. a Inghirami Galleria omerica, Iliade Tav., Monumenti etr.
Diodor. Sic. Monum. etr. 7 Ivi,
Ser, 1. p. 269, 3 i 6 , 477 » 534 » 5 ^ 9 » 568 . 3 9
essi erano quei che si trovavano entro le tombe di Chiusi, perchè
essendo di terra non cotta, potevan soltanto servir per figura in qualche
sacra cerimonia 1 2 . Ecco pertanto in questo disegno uno de’ veri foculi, o
thimiateri qualora questo braciere sia stato in uso per cuocer vittime,
percb’è di bronzo, e per ciò capace a resistere all' azione del fuoco,
siccome anche i vasi e gli al¬ tri arnesi da cucina, che vi si trovarono
dentro. Anche la sua grandezza eh’è due terzi maggiore di questo disegno,
attesta della capacità d’essere stato ado- prato. L’indefessa gentilesca
superstizione ci fa supporre, che non a caso fosse un tale utensile
ornato dal Capricorno, ripetuto nei quattro suoi angoli, mentre ogniun sa
che quel celeste segno fu oroscopo di fortuna, che tennero per loro impresa Cesare
Augusto, l’imperatore Carlo V, e Cosimo I Granduca di Toscana.
Quell'animale vi sta dunque in luogo del gallo che vedemmo nell’altro
foculo già rammentato. La forma di questo foculo di terra nera e non
cotta permette che se ne osservino distintamente i vasi da cucina e da
tavola ivi contenuti. Le replicate teste d’ariete ivi affisse, nonlascian
dubbio che il vaso non sia fatto espressamente per uso sacro, ed allusivo
a Mercurio; il quale presedeva alle libazioni, come il mediatore delle
preci che gli uomini porgevano ai numi 4. Oltredichè ci è noto, che alle
anime, come anche ai numi infernali, facevasi olocauso d’un ariete di
color nero; ed io vidi a questo proposito vari bassi altari nel museo
etrusco di Volterra, ornati di teste d’agnelli, come il foculo qui
esaminato. In un bassorilievo trovato a Chiusi, ove sembrommi di vedere il
medesimo soggetto che nel presente, all'occasione d’averlo dovuto spiegare,
scrissi quanto appresso. « Quando Venere e Apollo ebber sottratto Enea dalle
furibonde armi del prode in guerra Diomede, allora Febo immaginò di
lasciar combattere a sazietà i Troiani coi Greci, sostituendo ad Enea
l’idolo, 9 1’ ombra di lui 6 . Questa poetica immagine del combattimento
di due partiti per un fantasma, fu cara oltremodo agli Etruschi, mentre
ne vediamo la rappresentanza in diversi dei lor cinerari, dove si osserva
il simulacro d’Enea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da
Dio¬ mede, in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione
in cui si tro- 1 Ved. Tav., VIRGILIO, Aeneid, 1 . vi. v- 2 4 L
Varrò ap. Geli. 2 Inghirami, Im, e R. Palazzo Pitti, p. 88. !• iu, c.
11. 3 Ved. Tav. 6 Ilomer Iliad. Monuin. etr: ser. n,
p. mostra in questa Tavola il disegno rappresentatovi, non potea meglio
esprimere in esso un tale avvenimento, poiché dipinse Peleo qual destro
giovine preparato alle nozze, in atto di tenere stretta la ritrosa Teti,
che quasi è per coprirsi ’J volto col ve lo per l’onta di quell'atto.
Peleo eseguì ciò per consiglio di Chirone divenuto il di lui suocero con
quelle nozze. A lui davanti Peleo conduce la sposa, quasi che gli do¬
mandasse assenso della unione maritale, mentre il centauro coll’atto di stender
la mano dimostra l’annuenza paterna dell’imeneo. È superfluo il sospettar
ch’altra favola sia rappresentata in questa pittura fuor che quella di
Peleo e Teti davanti a Chirone, mentre lo attestano le iscrizioni che vi
si leggono setie teaes kipos, e quindi un no¬ me proprio di Nicostrato
coll’aggiunto consueto nikoztpatos kaaos. Le figure qui riportate son alte la
metà di quelle che vedonsi nella pittura del vaso originale, che ha fondo
nero , con lettere dipinte in bianco appena visibili. I vasi che han la
forma come il presente sogliono avere altresì tre manichi, ed una sola
fronte ornata a figure; questo a differenza degli altri è dipinto da due
parti, una delle quali è descritta nella Tavola antecedente, f abra, che
dir si potrebbe la parte opposta del vaso, a causa della inferiorità
della esecuzione del disegno, è la qui delineata, ed il vaso tracciato
sotto di essa è poco più della decima parte dell’originale, in fondo nero con
figure rosse. 11 vecchio calvo che sta nel mezzo a due donne in atto di
correre o di ballare, è tema comunissimo anche ad altri vasi. Ma in uno
di essi, per quanto appresi da S. E. il principe di Canino esimio possessore e
cogni- tore di tali pitture, uno di essi, io diceva, manifesta con
epigrafe il nome del vecchio Tindaro, dal che si dedurrebbe essere una
delle donne la figlia Elena danzante con una delle sue compagne nel
tempio di Diana, dove fu rapita da Teseo, e portata in Atene: tema che
ora m’avvedo essere più chiaramente espresso nel vaso che io inserii
nell’opera dei Monumenti Etruschi, e che dissi allusivo al corso degli astri a
, e che ora maggiormente confermo per la relazione di quel ballo e di
quel ratto con la guerra dei Dioscuri onde riprender Elena, con altri
simili tratti di quella favola, i quali non significano in sostanza che
un continuo levare e tramontare degli astri 3, e delle combinazioni loro
con la luna: nome che in greco porta con poca varietà anche Elena Selene da
sto» la risplendente, e aiUn la luna. La figura di questa Tavola è dipinta
nella grandezza medesima in una tazza di terra cotta con giallastro
colore su fondo nero, il cui aspetto ha tutti i segni del sati 1 Ser. v. Tav. g 8 . 2 Ivi, ser v,
p. 87, li 4 , 4 Ivi, p. 567. sorilievo non distante dai buoni tempi dell’
arte; e se la figura equestre compa¬ risce alquanto piccola, fu condotto
a sì ingrata licenza lo scultore nel volervi introdurre delle figure a
piedi e a cavallo protratte ad un'altezza medesima, e che tutte empissero
il fondo sul quale son collocate. Prima di coricarsi a mensa usarono
gl’italiani dei primi tempi di Roma di spogliarsi de'propri abiti, e prendere
un manto che dissero veste cenatoria o sindone, colla quale in parte
avvolgevansi e in parte potean restare a nudo, per aver le braccia più libere
all’azione di prendere il cibo,- e così coperti dieevansi dai latini
semi-amidi, ma quell’uso fu abbandonato e non tardi, ond’è che d’Erodiano fu
addotto come affettata imitazione delle antiche statue Di tal costume par
che serbi memoria la figura della Tavola presente che giace sul
coperchio,spettante all’urna in marmo che antecedentemente abbiamo veduta. Dell'iscrizione
sarà dato conto a suo luogo. Il vaso che qui si mostra un terzo più
piccolo dell' originale, è di que’soliti di terra nera che si trovano a
Chiusi, nè potrassi mai supporre che siano d’altra fàbbrica fuori della
chiusina, poiché oltre la terra nera e non cotta che vi si adopra- va più
che in altre officine, hanno essi vasi certe forme, una delle quali è la
presente, che mostrano un carattere del tutto originale ed unico, sì nelle
sagome, sì negli ornati. Accenna Omero essere stata volontà degli
Dei,che Peleo togliesse Teti per moglie, quantunque Dea; mentre quell’eroe
non avrebbe volontariamente aspirato ad una unione sì eminente.
Apollodoro ne spiega più minutamente il successo, e dalla di lui
narrazione par che abbia origine questa pittura. Era fama che Giove unitosi
con Teti, da cui restò incinta d'Achille, ne procurasse 1’ imeneo
posteriore con Peleo, quantunque mortale 3 . Quindi soggiunge Apollodoro,
che il centauro Chirone consigliò Peleo ad impadronirsi della ninfa divina con
sagace destrezza, nè lasciarla andare, per qualunque forma ch’ella avesse
presa. La insidiò difatti Peleo, e quantunque la Dea si trasformasse in acqua,
in fuoco, ed in bestia feroce, egli ritennela finché non ebbe ripresa la
di lei primiera forma di ninfa. Il pittore del vaso di cui si i
Monum. Etr. ser, i, p. 3^6. 3 Scol. ap. Heine lliad.H-imer. lliad. Elr. Mas . Chius. Torti. I. ragionamento y SUGL’ETRUSCHI Disputarono
lungamente frà loro gli scrittoli, come abbiamo accennalo, intorno all’ origine
degl’etruschi, e fabbricarono su questo soggetto tre sistemi diversi. Volevano,
per esempio, alcuni che eglino fossero un popolo uscito dalla Grecia, ed una
colonia di Pelasghi, mentre sostenevano altri che erano Lidii, e veni
nano dall’ Asia, ed altri finalmente affermavano essere i medesimi
originarli di Italia. La quale ultima opinione è ragionevolissima, e noi
la crediamo la vera. I moderni poi hanno superato gli antichi nel
numero delle ipotesi, e dei sistemi-. Imperocché il Maffei,col Mazzocchi,
ed il Guarnacci, li fanno venire dalla Fenicia, il Buonarroti dall'
Egitto, il Pelloutier, il Bardetti, ed il Frerst, dai Celti. Li crede Humboldt
I anello di comunicazione frà i Latini, e gl’ Iben, laddove Niebuhr riguarda la
Rezia come la primitiva lor sede. Ed in fine il Mailer suo discepolo,
adottando un termine medio, ammette un popolo primitivo di Etruria, eh’
ei chiama Rase ni con Dionisio d Alicarnasso, e sulla cui origine lascia la
qm- stione indecisa, benché creda d’ altronde, che questi Raseni si
mescolassero coi Pelasghi, qua venuti colle loro colonie di Lidia.
Ora questa moltitudine d’ipotesi antiche-, e moderne, da altra causa non
possono cèrtamente procedere, che, oda troppa leggerezza, e precipitazione
nell’ esaminare i monumenti dei nostri padri, o da impremeditato sistema
in coloro, che ne presero a scrivere, o dal più nocivo di tutti i
sistemi, V amore di parte. Per poco infatti che vi sifaccia attenzione, e
si vogliano mettere alla prova, non è difficile a chicchesia di accorgersi, che
q.essuna di quelle ipòtesi, e nessuno di quei sistemi, contiene elementi
che bastino a diradare il buio che involge le cose etnische, ed a
spiegare, anche probabilmente i monumenti che ci rimangono di quella illustre
nazione. Scegliendo peraltro da ciascuna di quelle ipotesi, e da
ognuno di quei sistemi, ciò che vè di più ragionevole, e di più giusto, e
formandone un insieme, vi si troverà, se il giudizio nostro non và
errato, quanto fà di mestieri, per portar piena luce e spiegare con ogni
chiarezza, e senza replica, tutto quello checi rimane di
etrusco. Stabiliremo dunque frattanto, che furono gl’Etruschi un popolo
particolare d’Italia, indigeno di questa bella penisola, che ebbe, com è
naturale, una lingua sua propria; la quale non è la. Stessa che la greca
antica,, come dimostrammo nel precedente ragionamento, e che anzi ne
differisce mollissimo, anche per sentimento del prelodato Mailer. Col
quale aggiungeremo, a conferma di quanta asseriamo, che inori>', dei
loro ro: orecchie ircine, barba prolissa,naso simo e coda di
cavallo. L'otre vinaria ove stassi assiso è pure suo speciale attributo.
L’iscrizione letta come qui rappresentasi, poco giova ad intenderne il
significato panaitios iupos kacos. Non oso farvi emenda, mentre non
avendo io veduto il monumento, non posso nè asserire, nè porre in dubbio
se questa sia la vera lezione. Quando non vogliasi azzardare il supposto
che la terza lettera dell’ ultima voce sia nell’ originale un p, per cui
avremmo due volte ripetuta la voce bello, come in altri esempi si vede,
potremmo almeno pensare ad una omissione dell’asta che del c ne dovea
formare unir, e la voce significativa di pernicioso potrebbe alludere al
vino, quando n’è fatto abuso. Nè nieu dubbie si mostran le altre voci, a
meno che vogliansi leggere ««<05 che sarebbe un saluto al dio Pan
l’autore della universale natura. Ma tali dubbie iscrizioni debbonsi a
mio parere consegnar colle stampe alle indagini di quelli ellenisti che
in particolar modo si occupano dei vasi dipinti e scritti.
Epigrafi tratte dal museo Oasuccini, come le altre venti già stampate, scolpite
in urne di travertino, o segnate in urne di coccio. :fì\u il AH :
43 :4flHfYf = fln-iq/iDvnas : ma : qd
>- tv -7 bifidi) : dfiUfVf: V13M :
lllfttqfi : 04 :4fi0qfl4 : dfidfVf : liHblqfi : 43
#filflfiOmfiq ; invddfi : O4 > /in fio
Doppia epigrafe 4fi Sopra il coperchio
filfin8dV3 Nell’ orlo del coperchio Iffifliqa : ignqfiq : Jfi 1 -r
fi sic om 131 : lantqfi : I O q fi 4 fiinvi-nai
: firmo filflfl031 6 * 46 il nome di quei
nuovi coloni, e non quello dei primitivi alitanti. Imperocché , trovandosi,
prosegue lo stesso Mailer, nella Tavole Euguhine, la parola Tursee, con
quelle di Tuscom , e di Tuscer, è impossibile di non conchiudere, che dalla
radice Tur si sono fot mali Tursicus, Turscus, e Tuscus, come dalla
radice Qp, derivaronsi Opscus, ed Oscus; Di maniera che Tuprìvoi o Tv eP moi e
Tusci, non sono che le forme asiatiche, ed italiche di un solo, e medesimo
nome Che del resto, un argomento per noi fortissimo, atto a
dimostrare oltremodo remota la civiltà degli Italioti, e singolarmente degli
Etruschi, ricavasi pure da tutti quegli antichi scrittori, i quali parlano
della cosi detta Confederazione etnisca residente a Fiesole, e da tutti quei
Gronólogisti, che ne fissano lo stabilimento a lobo anni prima dell’era
volgare ; dei quali vedasi, fra gli altri, il Sìg. de Long-Champs, nei
suoi Fasti universali. Lo che ci fa credere che gli abitanti dì questa
regione, avessero già acquistale fino diallora, non ordinarie nozioni di
politica teoria. Ed infatti, benché la voracità dèi secoli, e più
ancora la feroce ambizione , e la crudele prepotenza romana , ci abbiano
invidiate le storie etnische, ed anche la maggior parte dei monumenti di
quel popolo celebratissimo. Benché la vanità senza limiti dei Greci, sia
venuta, per giunta alla derrata, ad involgerne di puerili, e RIDICOLE
FAVOLE, perfino il nome, non che le azioni dei nostri antenati, per quella loro
presunzione stoltissima, di far credere che tutte le altre nazioni del mondo,
non furono nulla , in paragone di loro; esistono pure tuttavia in Etruria delle
costruzioni, che gli eruditi chiamano Ciclopèe , perchè non hanno il
carattere, nè fenicio, nè egizio, e che sono per conseguenza indìgene , le
quali sfidano da quattro mila anni a questa parte,gl’insulti degli uomini
e gli urti del tempo, e stanno a conferma di quanto asserimmo qui sopra,
circa la suaccennata civiltà, e straordinaria potenza, ed energia degli
Etruschi . E tali sono, fra le altre, le mura di Volterra, e di più altre
città dell’ antica Etruria, le quali sono formate di enormi macigni, senza
alcun cemento, resi fermi soltanto dal proprio peso- Mal epoca
della colonizzazione, della quale parlammo di sopra, non si può fissare che per
approssimazione. La quale peraltro credè il Mùller, già citato più volte,
che coincida colla emigrazione dei popoli, e che fosse cagionala, e prodotta da
quella, e se la ragiona cosi- Gli Umbri, dice egli, e lo ripetono pure i
compilatori di Edimburgo, erano potenti nella contrada, di cui presero
possesso i nuovi coloni. I quali ebbero a sostenere lunghe, e sanguinose
guerre, prima di spossessarli delle trecento città, che eglino
occuparono, al dire di Plinio lib. terzo, cap. decimo nono, nel paese che
fu più tardi chiamato Etruria. E poi fuori di ogni dubbio che gli Etruschi
si estesero dalla parte del Mezzogiorno, fino alle sponde del Tevere, ed anche
al di là nel Lazio, come lo prova il nome di Tusculo, o Tusculano. E
dietro le tradizioni popolari, quello stesso Tarconte, al quale si
attribuisce la fondazione delle dodici città di Etruria, condusse anche dodici
colonie al di la degli Appennini, e vi gitlò le fondamenta di Dei, non
sono quelli che s' incontrano presso gli Elleni, e che trovatisi nelle
dottrine dei Sacerdoti Etruschi, molti punti, affatto diversi dalla greca
teologia. E ripeteremo ciò che altrove dicemmo, che la sorte, cioè, di
questa nazione, pare che è quella di essere debitrice dei suoi primi
progressi nella civiltà, non ad una tribù greca, o mezza greca, siccome
crede lo stesso Mailer, e con esso lui i dotti compilatori della Rivista
di Edimburgo ; ma bensì ad una emigrazione asiatica, più antica dei greci
medesimi come abbiamo assento, ed in parte ancora provato nel precedente
ragionamento. Nè punto esiteremo d affirmar qui, che la lingua etnisca, o
ella non fu mai scritta nella sua purità primitiva, e scevra di ogni
mescolamento di stranieri vocaboli, o se pure lo fu in lontanissima età,
non è fino a noi pervenuto alcun monumento scritto, il quale ce ne possa far
fede. E ciò sosteniamo con tutta franchezza, perchè quelli
conosciutifinqui, sono tutti composti, senza veruna eccezione, di un rnescuglio
di voci, prese ad imprestito, per la maggior parte, da ognuno di quegli
antichissimi linguaggi, e dialetti, che nominammo nei ragionamenti già
pubblicati in quest' opera stessa. Di che daremo una sicura prova in
altro discorso a questo solo scopo diretto. Sul proposito però dell'
essere, o non essere gli Etruschi una tribù greca , o mezza greca, è molto
curiosa la novelletta che vanno ripetendo, il prelodato Mùller, e con
esso ancora i surriferiti Compilatori della Rivista edimburghese, ove
dicono che i toscani attribuivano eglino stessi, nelle loro nazionali
leggende, la propria civiltà alla marittima città di Tarquinia, e
nominatamente a Tarconle. I quali due nomi altro non sono, secondo essi ,
che due variazioni di Tirreni . Ma questa è una greca invenzione, ed anche
di moderna data, in confronto della remota cultura degli Etruschi, ed è
similissima a tante altre dello stesso calibro , dai medesimi Greci
accreditate, e spacciate per fatti, intorno all’origine di tutte le più celebri
nazioni dell’antichità . Ed aggiungono i medesimi autori, che sbarcarono
precisamente a Tarquinia, e colà stabilironsi da prima, quei terribili
Pelasglii di Lidia, i quali portano seco le arti, e le scienze, che avevano già
apprese o nella patria loro, o nei loro viaggi -, credendo di poter cosi
conciliare maggior fede al loro racconto circa la primitiva civiltà degli
Etruschi. Al venir dunque di si fatti coloni, secondo quell' eruditissimo
prussiano, e quei dotti inglesi, vide per la prima volta 'questo barbaro
paése, degli uomini coperti di bronzo, equipaggiarsi a suono di tromba
per la battaglia. Udì allora per la prima volta , l acuto squillo della
tibia lido-frigia , accompagnare i sagrifizii, e fu testimone della rapida
corsa delle galere a cinquanta remi, Siccome però la tradizione
passando poi di bocca in bocca , non conosceva più limiti, cosi tuttala
gloria del nome toscano, anche quella che non apparteneva prò- priameiife
ai coloid, si attaccò a Tarconte discepolo di Tagete, o d e ! tempo, come
dicemmo nel precedente discorso, riguardandolo quale autore di urlerà novella,
e migliore, nella storia di Etruria. Ed i popoli vicini, vale a dire ,
gli Umbri, ed i Latini ; diederq a questa nazione, che incominciò allora
ad accrescersi, ed estèndersi Nè credo che allia torlo il MiMer,
attribuendo alla preminenza di questi ultimi sul mare inferiore, la
mancanza delle colonie greche, sulla costa setten¬ trionale della
Sicilia, ove al tempo di Tucidide, non eravi che Lnera. Il timore degl’truschi,
chiuse per lungo tempo ai Greci, il passaggio dello stretto di Reggio- E
non avvenne che dopo V epoca in cui ebbero acquistata i Focesi una
potenza navale, che fu dato loro di esplorare entrambi i mari. Ma
la rivalità non tardò molto a manifestarsi frà i due popoli, i quali
cércarono d'impadronirsi dell’ isola di Corsica . E gli Etruschi uniti ai
Cartaginesi, disfecero i Focesi. Furono pero meno fortunati nelle loro
guerre marittime coi Borii di Guido e di Rodi che avevano formalo uno
stabilimento a Lipari. Finalmente, il popolo di Ciana in Campania,
avendo dichiarata la guerra ai Tirreni, chiamò in suo soccorso Gerone
tiranno di Siracusa, che li disfece completamente, e liberò, dice Pindaro
nella prima Ode pizia, la Grecia dalia schiavitù. E difetti uno scudo di
Bronzo trovato nelle rovine di Olimpia, porta questa iscrizione = Gerone,
figlio di Dimmene, ed i Siracusani, hanno consacrato a Giove queste
spoglie dei Tirreni vinti a Clima. Ammesso pertanto che furono gli
Etruschi un antichissimo popolo d’ Italia originario dello stesso paese,
conchiuderemo questo breve ragionamento, colle riflessioni
seguenti. L° Che di necessità ebbero essi, linguaggio, usi, Leggi,
costumanze, arti, scienze, e religione loro particolari, e proprie,
benché dovessero i primi progressi nella civiltà ad una emigrazione asiatica,
in un epoca quasi impossibile a stabilirsi con precisione. Il.° Che
per conseguenza, fra le altre cose , che qui per brevità si tralasciano,
i vasi dipinti di terra cotta, come quelli neri, ed altri, di qualunqueforma,
e grandezza, siano essi aretini, o chiusini, o campani, sono genuinamenee
etruschi, e non altro che etruschi. Benché sia piaciuto agli Archeologi
di chiamarli vasi greci, e più modernamente ancora italo-greci. Le quali
denominazioni hanno dato loro quei dotti, perchè vi si scorgono, come
pure nelle urne cinerarie, e nei sarcof agi, disegnate e dipinte, o scolpite, a
basso , e a gran rilievo, rappresentanze, o storie e favole greche;
ovvero che tali divennero dopo essere state prima etnische, e perchè vi si
leggono parole greche, o che alle greche somigliano. Come se non potessero
essere nel mondo due diversi idiomi i quali abbiamo alcuni vocaboli
comuni ad entrambi. Conforme fu sagacemente osservato, dal dotto, e perspicace
sig. principe di Canino nel suo Museo Etrusco. Campani poi faron detti,
eziandio tali vasi, perchè se ne fabbricavano . e se ne trovano nella Campania,
che fu pure colonia etnisca, come si dicono chiusini, ed aretini, da
Chiusi, e d’Arezzo, ove esisterono speciali fabbriche dei medesimi. E sul
proposito del sig. principe di Canino, sono assai dispiacente di non aver
letto prima d’ora quel suo dotto e giudizioso lavoro, perchè avendovi
riscontrate al- altre dodici città. Lo che serve a trovare che l
Etruria della valle del Pò, fu colonnizzata dall' Etruria del
Mezzogiorno. La medesima tradizione di dodici colonie, viene ripetuta sul
proposito dello stabilimento degli Etruschi in Campania-, Ed il Miiller
suppone che quelle colonie fossero realmente etnische, contro , l’opinione di
Niebuhr suo maestro, il quale pensa che elleno fossero fondate dai Pelasghi
Tirreni, confusi cogli Etruschi, a cagione dell’identità del
nome. In ogni caso però, sembra allo stesso Miiller, che la popolazione
etrusco della Campania, non debba essere stata molto considerabile, perchè
vi prevalse il dialetto Osco, e perchè non si è mai trovata in tutto quel
tratto di paese, una sola iscrizione veramente etnisca. Laonde convien
credere, prosegue egli, che quel fertilissimo paese, immerso nel lusso, e
nella mollezza, esercitasse la sua fatale influenza sugli Etruschi, che vi si
erano stabiliti, mentre furono obbligali ad abbandonare il possesso delle
ricche pianure di Capua ai Sanniti, colà discesi dalle loro
montagne. Io non saprei qui sottoscrivermi all’opinione del dotto
archeologo prussiano, sembrandomi troppo debole la ragione che egli
adduce, per ìstabilire che fosse piccolo il numero dei coloni Etruschi
della Campania, quella cioè del dialetto Osco rima¬ stovi dominante,
poiché potrebb’ essere ciò avvenuto anche dall' avervi quegli ospiti
soggiornato per breve tempo , oppure da un riguardo che poterono benissimo
avere i Vincitori verso i vinti. Di che abbiamo avuto un esempio noi
stessi nelle nostre contra¬ de al tempo dell’ Impero francese. E certamente
gli Etruschi, non erano cosi feroci, come i Romani, i quali ebbero
l’inumanissimo orgoglio di togliere perfino la lingua ai popoli che
avevano l’infortunio di cadere sotto il loro giogo di ferro: ( checché ne
cantino in contrario ifanatici loro lodatori .) E se è permesso di paragonare
le grandi cose alle piccole, quando sono dello stesso genere , dirò in
appoggio della mia supposizione, che anche i Chinesi soggiogati già da
piti secoli dai Tatari Mant- sciu, hanno conservato, e conservano tuttavia
dominante il proprio idioma, benché soggetti ad una dominazione
straniera. Oltre di che, viene ad accrescersi la forza del mio ragionamento ,
riflettendo che era ben facile, e naturale il conservare nella Campania il
linguaggio del paese, altro non essendo il medesimo, che un dia¬ letto
della lingua Etnisca. Sembra poi cosa provata , e da non controvertersi,
che i Tirreni dopo il loro stabilimento in Italia, esercitassero per lungo
tempo la pirateria, e che si rendessero così famosi nelle pianure della Grecia,
ma è peraltro assai difficile a decidersi, se una tale accusa debba applicarsi
a Tirreni del mare Egeo, oppure ai Tirreni Etruschi', I quali possedendo
dei buoni porti sui due mari, conservaronsi la dominazione dell’uno, e dell'
altro, e si resero formidabili, non solamente alle navi mercantili, colle loro
corsare, ma eziandio alle altre potenze, coi loro navali
armamenti. A molti sarà nuovo ed inatteso questo singoiar monumento,- ma
non a chi ha scorsa la mia Opera su i Monumenti Etruschi ove alla ser.
VI, e precisamente alla Tavola G5 ne ho dati a luce due inediti, nè
finallora da nessun altro mostrati, In seguito si videro esibiti
ripetutamente nelle Opere del eh. dot. Dorow. Io dissi di quelli, come
pur di questo ripeto, esser vasi di terra nera, al cui orifizio è soprapposto
per coperchio un capo umano, ed a suo luogo spiegai come que’recipienti dovean
simboleggiare il mondo, ed il capo sovrimpostovi la divinità che Io
governa dall’ alto de’cieli \ Ma poiché questa specie di vasi trovasi nei
sepolcri, cosi potremo credere che i soprimposti capi rappresentino deità
speciali, cosicché se avrà barba un di essi, come quello che pubblicai
altra volta 3, si potrà dire un Bacco infernale, mentre nel presente
monumento dov’ è un capo imberbe, ed alcune protuberanze che dan segno di
petto femminile ravviseremo una Proserpina. Se il vaso qui esposto avea
ceneri umane, di che non posso giudicare dal solo disegno ch'io vedo di
questi monumenti chiusini, in quel caso direbbesi che le braccia, avvingendone
il recipiente, indicano il patrocinio che la divinità dovea prendere di
quel morto ritornato nel caos della materia mondiale. Dico tuttociò brevemente
perchè in queste materie mi sono esteso altrove abbastanza. Qui aggiungo
l'osservazione che molti vasi uguali a questi, ma in pietre di varia
specie trovatisi nei sepolcri egiziani e in gran parte anche dipinti nei
papiri, nelle casse e nelle pareti delle tombe; e dai capi che hannovi
soprapposti di forme varie 4, si ravvisano per figure delle principali deità
egiziane, Questo vaso in terra nera è due terzi più piccolo dell’
originale. È tuttavìa non risoluta questione se figure simili alla presente,
cioè che abbiano lunga barba, corona in testa, abito lungo fino ai piedi
un manto sugli omeri con vaso in mano, ed attorniate da sermenti d’edera
o di vite, è questionabile, io diceva, se dir si debban figure di Bacco o
d'un qualche di lui sacerdote.È altresì cosa degna d’osservazione che l’occhio
qui eseguito, non come dalla natura umana si mostra, è poi disegnato
precisamente come si vede nelle figure de’ vasi di Grecia di Sicilia , e
di tutta 1* Italia meridionale, ove trattisi di pitture che affettino
qualche arcaismo nel loro stile, e specialmente ove le figure sono come
qui di color nero sul fondo gialla- 1 Dorow , Voiage archeologique dans V
a °cienne xbtrurie avec xvi Planches. 1 Voi. io 4 -° P- 46, Paris.
1829. Notizie intorno ad alcuni Vasi. Etruschi Pesaro Monumenti Etruschi, 1 2 > ser. v f p. 490» ser -
Vi* Tav. , p. 4 ^. 3 Ivi,
ser. vi, Tav. num. 1, 3 . ser. vi, tav. N4, num. 1 , e P4. numm. 1 ,
2. cune opinioni, che mi paiono le più giuste, e ragionevoli in
questa materia, e le quali si accordano con quelle da me emesse nei
precedenti ragionamenti, mi sarei fatto un dovere di render nolo al
Pubblico molto prima, quanta sodisfazione io ni abbia di trovarmi
d'accordo con un uomo di tanto ingegno e di tanta dottrina . 0 Che si
avvicina al delirio l'ostinarsi ancora a voler credere opere greche i
suindicati vasi, perle sopra esposte ragioni, e perchè se ne rinvennero alcuni
persino nell' Attica, ed in altre parli della Grecia, i quali sono peraltro in
piccolissimo numero, in confronto a quelli discoperti in Etruria , e
nelle altre parti d'Italia. Ed una tal foggia di ragionare, è simile a
quella di chiunque osservando per T Italia, o in Francia dei lavori di
porcellana della China, e del Giappone, pretendesse di stabilire, che quei
lavori sono italici, o francesi, solo perchè si trovano in Francia, ed in
Italia. IV. ° Che non è meno strano, per non dire assurdo il
pretendere di togliere agli Etruschi l’ onore di tali manifatture, per
farne dono ai Greci, perchè s‘ incontrano molti dei suddétti vasi che
hanno elegantissima forma, e sono disegnati pure, e dipinti con un gusto
squisito. Quasiché gli Etruschi non avessero fatto che comparire sulla
faccia del globo terrestre, e ne fossero subito scomparsi. Oppure, avendovi
di¬ morato per lunga serie di secoli, lo che non hanno saputo negar loro
neppure i più furiosi partigiani dei Greci, fossero stati poi forniti di
tale, e tanta stupidità, da non saper migliorare, ed anche condurre a
perfezione, le loro invenzioni, come fanno tutti i popoli del mondo
Che non si vorrà sostenére finalménte, che le arti non pvesserò presso
gli Etruschi, come presso tutte le incivilite nazioni, che le
coltivarono, diverse epoche, cioè quella della primitiva rozzezza,
qxiella del miglioramento, e quella della perfezione, come quelle del
decadimento, e della successiva barbarie. Nè saprei addurre, per rivendicare
questa usurpazione fatta dagli archeologi ai nostri padri, più bella
prova, e più convinciente ragione dì quella prodotta dallo stesso signor
Principe di Canino, apag. ig dell’opera citata qui sopra. Cioè, che i
vasi dipinti non sono sicuramente greci perchè i Greci stessi non se ne
sono vantati giammai. Ed è ben gloriosa per gli Etruschi una tele
invenzione, conforme riflette pure il prelodalo scrittore, perchè furono essi i
primi ad iscoprire colla meditazione, e colle più profonde indagini, che
per eternare le tradizioni dei popoli, più del marmo, e del bronzo, è
valevole Iùmile terra cotta, perchè ella sola passa a traverso alla fuga
dei secoli senza alterazione veruna . jflniiia : 3 n iq 3© or 248v8 in gran travertino che
serviva di porta ad un sepolcro amq&o : ofl janqoai
Etr. Mus. Chiut. ha sulle
spalle, e come questo riferir si debbe all’autunno l'accennai spiegando
altri vasi chiusini analoghi a questo , LVI. Le quattro tavv. sono impiegate a mostrare un bel monumento di
pietra tofaceadella figura d’ut) cubo, della grandezza due volte maggiore
del disegno qui ripetuto, e che mostra quattro lati scolpiti con figure a
rilievo assai basso, come sono gli altri monumenti di simil natura trovati a
Chiusi. Io non saprei dire se ara sia questa, oppure altare, o foculo, o
base, o altr'oggetto qualunque, perchè non vedendone io che i disegni non
posso da essi giudicarne con fondamento. Esaminiamone le sculture che si vedono
in quattro lati del cubo. È fuori di dubbio che qui si tratta di riti
funebri, e d'ultimi uffici di pietà resi ad un morto, che vedasi steso sul
feretro alla Tavola LUI. Il fanciulletto eh’ è in piedi presso a quel
letto di morte ha un tale atteggiamento di dolore, che non saprebbesi meglio
immaginare dal più sagace dei nostri artisti, brattan¬ to c’insegna che
tenevasi per atto di duolo il porre le mani al capo. Infatti nel quadro
medesimo compariscono due altri astanti colle mani portate al capo ugualmente,
ma ben si ravvisa che l'atto è suggerito più da formalità che da quel vivo
dolore che esprime IL GIOVANETTO PROBABILMENTE FIGLIO DELL’ESTINTO, di cui
qui si rappresentano l’esequie. Un simile atto, e da uomini similmente
abbigliati, è pure nella pietra di memoria perugina da me pubblicata *,
ove rappresentasi ugualmente la funebre cerimonia che praticasi all’ occasione
di un morto. Espressiva è parimente la prefica a capo al letto, in
sembianza di strapparsi per dolore i capelli, mentre ì’uonio che al
cadavere è più vicino, alza le mani probabilmente per espressione pure di
dolore, mista però di sorpresa. Una figura eh’è ultima nella composizione,
suona le tibie con certa bocchetta che legavasi agli orecchi o al capo in giro.
Un tal suono in occasione di funebre cerimonia non credo che andasse esente da
superstizione tuscanica, passata ai Romani ancora, mentre credevasi di poter
porre in fuga gli spettri coll'armonia della musica 1 2 3 , e così
allontanare quelle malie dalle quali avevano opinione che le anime restassero consacrate
alle deità infernali 4 : superstizione peraltro che manca nel monumento
perugino indicato. Dietro al tibicine alla Tavola LIV vediamo
quattro uomini armati di bastoni, che in mano di Etruschi non è
improbabile che siano augurali, ancorché non Lettere di etnisca
erudizione. e seguente Tav. xi. 2 Monumenti etruschi, ser.
vi, tav. Za, e Lanzi Della Scultura degli antichi e vari suoi
stili Tav. ìv. 3 Ved. Luciano pitato dal Ma ilei nella sua
me¬ moria sulla religione dei Gentili nel morire ; Osservazioni
letter. Tom. 1, art. ìx. 4 Tacito, Annali 1 . 1. ap, il Mafie! cit.
p. 5i stro 1 2 . Una tale osservazione unitamente con altre può
essere di non poco rilievo per indagare l’origine primitiva dell’uso di
porre siffatte stoviglie dentro i sepolcri. A chi ha buon gusto peri
lavori di metallo sarà gradevole il conoscere la forma singolare e del
tutto nuova non men che bella di questo vasetto di bronzo, disegnato nella
grandezza medesima dell’originale. Apparentemente dovea contenere de’
liquidi, e perciò l’intelligente artefice operò per modo che tutto
vicorrispondesse l’ornato. Ecco là un uccello aquatico sopra una pianta
quadrifoglia palustre, il che serve di pomo al coperchio: ecco là una
conchiglia lacustre che serve di borchia a! manico : ecco là infine i
lunghi manichi formati in guisa di colli d’uccelli aquatici come del
becco loro nel quale han termine si rav visa. Il vaso di terra cotta di
color rosso che vedesi rappresentato nella parte superiore di questa LII
Tavola, è già noto per la frequenza colla quale si trova nelle collezioni
di simili antichi oggetti. Par che i Gentili 1’usassero per lucerna; ed
alternativamente colle lucerne trovasi difatti nei sepolcri, ma in esso
valutavano anche la forma di barca e di recipiente, alludendolo a certa
favola d'Èrcole eli’ebbe in dono del sole un vaso, col quale varcò
l'Oceano. Come poi si applicasse al vaso qtìi esposto l’indicata favola è
cosa inutile ch’io lo ripeta, dopo averne sufficientemente parlato nell’
opera de’Monumenti Etruschi % dove ne ho riportati alcuni di varie forme.
L’iscrizione che è sul manico suole indicare il figulo, o la fabbrica
figulinaria. Il Vaso al disotto in questa medesima tavola è di que
consueti chiusini di color nero sì nella superficie che nell’interna sua
pasta. Questa qualità di vasi aver suole dei bassirilievi, che girano
attorno ripetendosi ogni quattro o sei figure, perchè fatti colle stampe.
Bisogna convenire della gran somiglianza tra quella manifattura, e le
cose egiziane. Vedo nella prima figura femminile l’atto d’alzare un’uccello,
così nelle figure egiziane dei calendari vediamo elevare per la testa, o
calare al basso tenuti per la coda animali, che indicano il sorgere o
calare abaco dei segni zodiacali. Dell’uomo che segue con bastone in mano
io non saprei dir cosa che avesse inoppugna¬ bile sostegno. Ben potrò
dire che a lui segue la chimera colla doppia testa di leone e di capra,
ch’io mostrai altre volte 4 esser composto di segui celesti. E poi chiaro
il centauro qual cacciatore, che porta la preda appesa al suo frassine
che 1 Moni;memi etr. Ser. v. Tav. 2 Ser. li, p. 359,
36 i , 3 Ivi ser. vi, Tav. E 4 , F^. 4 Monurn. etr. ser. w,
p. 38 a. Vogliamo credere che nella statuetta in bronzo qui rappresentata
di naturai grandezza sia da riconoscersi una Minerva per 1’ usbergo del
quale vedesi armata? Del piccol mostro pure uguale in grandezza all’originale
in bronzo, non fo parola, poiché probabilmente dagli editori di
quest’opera ne saran pubblicati dei simili, ch’io vidi vari anni indietro
a Chiusi. Il vaso è de’soliti che trovansi per tutta 1 Italia
meridionale, con figure giallastre in campo nero, la cui gola soltanto a una
pittura che vedremo nella tavola seguente, mentre è monocromo, ed ha tre
manichi, d una forma essatta- mente ripetuta molte volte coi medesimi
accessori nei ricchi scavi di Canino, e d’altre parti d’Italia. Io
non mi persuado come il mito delle Amazoni combattenti, sì ripetuto nei
vasi fittili di tutta l’Italia, come si vede in questo, non abbia una qualche
allusione religiosa, come ho supposto trattando altre volte questo medesimo
soggetto. Si vedono in fatti sempre come qui le Amazoni a cavallo , ed i
loro avversari sempre a piedi, ed in positure di soccombenti al conflitto,
colle ginocchia piegate. Eppure se alle favole che trattano delle Amazoni
dovessimo ricorrere per Spiegarne il mito, noi le troveremmo sempre vinte o da
Ercole, o da Teseo, o d’Achille Io non
vedo in quel mito che 1’allegorìa del contrasto e del dominio del tempo
in cui si trattiene il sole nei segni inferiori del zodiaco, ma siccome
troppo lungo sarebbe il mostrar qui di tale allegorìa lo sviluppo, così
rimando chi legge ad altri miei scritti, ove trattai lungamente di questa
materia. Questa è la pittura del vaso, la cui forma vedemmo nella Tavola
antecedente, e che vien riportata nella grandezza di due terzi del suo
originale. xxxi. /uif/mDajmjaa xxxii. jfliDnaD :
an/d-nit/ìi : Yfl xxxm. i/ìvjad anfl-uitfl'i ; or xxxiv.
j/qnqai ; vJDfi : ofl, V433 : J lf d Galleria Omerica Tom ii,Tav.VJlDfl :
31 : Vfl Veil. Mommi, etr. agli articoli A magoni. abbiano la forma
di lituo, come osservansi nel monumonto perugino. Infatti ad essi
spettava il presagire che l’anima del defonto fosse passata in luogo di
riposo; di che se non troviamo prove di antichi scrittori, certamente ne
conosciamola pratica presso gli Etruschi, per mezzo del più volte citato
monumento perugino, dove inclusive il vestiario di quegli auguri muniti
di lituo è simile a quello di costoro che qui hanno in mano le verghe,
eh' io dissi augurali. Dopo gli auguri vengono immediatamente nella Tavola LV
le prefiche, donne prezzolate che a suono di tibia cantavano lamenti, e
piangevano la perdita del morto ed in modo sconcio e forzato strappandosi le
chiome e perquotendosi, mostravano cordoglio di quella disgrazia. Quel che sia
rappresentato nell’aggregato di figure della Tavola LVI non mi è
possibile il dichiararlo nè mi è concesso d’ azzardare quelle congetture
che può immaginare a suo grado ugualmente chi l'osserva. tavola evie
Questo bronzo in tutto uguale al suo originale fu anticamente uno
specchio dall’opposta parte, come lo attesta lo specular pulimento che vi
si trova. Qui nel suo quasi insensibile concavo, invece di grafito ha
soprapposta una lamina cesellata a bassorilievo, e in fondo una cerneria,
forse adattata all'adesione del manico. lo vi ravviso Bacco,
il quale ha sulle spalle una face, che tale vedrehhesi qualora fosse intiero il
monumento, poiché ve ne sono altri esempi 3 . Egli si appoggia ad un altro nume
significativo della forza creatrice dalla quale dipende Bacco il demiurgo
artefice del mondo, che il trae dal disordinato e tenebroso caos per
virtù concessagli dal creatore, e vi porta luce con la sua face, non men che
ordine armonico, indicato da quella ninfa che precede i suoi passi ,
arpeggiando la lira: cosmogonica rappresentanza che in cento guise
ripetesi nei monumenti antichi, e della quale ebbi luogo di trattare altrove 3
, Sebben questa bella tazza sia di bronzo, pure se ne usavano dagli
antichi anche di terra cotta d ugual forma e lavoro, come si vedono in
Volterra nel museo del pubblico, ed in quello del Sig. Cinci. Il disegno
qui esposto è soltanto un terzo minore del suo originale. Il pezzo
aggiunto lateralmente fa vedere l’acconciatura di testa ch’è dalla parte
opposta del recipiente. i Fest. in sua voc. Lecil. Sat. xxn.
» Monum. etr. ser. vi, Tav. Y, n. i. , ser. v, p. 3 a,, ser.
vi, Tav. Y, n. 1 . W' Principe di Canino, ed altri già
se ne conoscevano, dissotterrati a diverse epoche, ed in luoghi
diversi . , Diodora Siculo poi descrive nel libro quinto, dietro
Possidonio le mense degli Etruschi imbandite due volte al giorno, le loro
drapperie ricamate , le loro coppe eli oro , e d’argento, e le loro
falangi di schiavi. Al cui quadro aggiunge Ateneo nuovi tratti, e.
mostrano chiaramente le figure giacenti nei sarcofagi, che gli aggiunti di
pmgues, ed obesi, dati dai Romani per isclierno agli Etruschi, non erano
suggeriti dalla malizia nazionale soltanto. E Roma prese ad imprestito
dall'Etruria i combattimenti dei gladiatori, benché sembri che l’uso orribile
d’introdurli nei conviti, e nei banchetti, appartenga sopratutto agli
Etruschi della Campania, e specialmente a quelli di Capua.
Altrìbuisconsi però agli antichi Etruschi anche alcune invenzioni nella musica,
e singolarmente rapporto agli strumenti di essa, poiché non havvi autore,
ch'io mi sappia, il quale pretenda che questa nazione abbia discoperto qualche
modo particolare di tale scienza, benché le venga accordata in essa
qualche celebrità , egualmente che nella plastica ; E non già come piace
ai compilatori della rivista edimburghese, perchè e Aino erano vicini ad un
popolo, il quale essendo estraneo ai Greci, era costretto ad imprestar
loro tuttociò che riguardava il miglioramento, o l'abbellimento della vita
pubblica, e privata , mentre avvenne appunto il contrario. Benché non si
possa decidere dietro alcun monumento storico, se dovessero gli Etruschi
a se medesimi, oppure al commercio che ebbero coi Greci, dopo che già le
arti erano giunte ad un certo grado di perfezione fra loro, i successivi
progressi, fatti dai medesimi nella scultura, e nella statuaria, pur
tuttavia ciò che dicemmo in altro ragionamento intórno all’anteriorità
degli uni, o degli altri, rende quest'ultima supposizione molto probabile. Ma
egli è però certo, che se questo rapporto esistè per qualche tempo fra
gli Etruschi, ed i Greci, non fu mai dì una grande intimità. Lo stile
toscano nelle arti presenta sempre qualche rassomiglianza con quello deoli
Egiziani-, E le opere più perfette di questa nazione , hanno tutta quella
durezza, e quella mancanza di vita, e di espressione, che qualificano la
scultura greca, anche prima che Fidia accendesse la sua immaginazione alle
descrizioni omeriche di Giove, e di Minerva, e che avesse Prassitei e
espresso col marmo l'ideale ch’egli si era fatto della bellezza. Lo che
prova essere stati i Greci i perfezionatori, e non gl'inventori di quelle arti
che si dicono belle ; E viepih si conferma che i medesimi furono in
antichissimi tempi i discepoli degli Etruschi. non già i maestri, come
pretendono i nostri grecomani. Al contrario, in tutta quella parte
dell arie ove il meccanismo senza vero gemo può mungere alla perfezione,
gli Etruschi non la cedono in verun modo ai Greci stessi, biella maggior
loro raffinatezza. Ed un poeta Ateniese riferito da Ateneo nel primo
libro dei Dipr.osqfisti, celebra le opere etnische in metallo, come le migliori
m tal genere ; Facendo egli probabilmente allusione alle coppe, alle
lampade, ai candela- QUALI FOSSERO LA VITA POLITICA, E DOMESTICA, LA
RELIGIONE ED IL GOVERNO DEGLI ETRUSCHI, E QUALI ARTI, EGLINO COLTIVASSERO
PRINCIPALMENTE Ma chi pensasse il pone sieroso tema, E 1 omero
mortai che se ne cerca, Noi hiasmerebbe, se sott’ esso trema.
Caute Par. - -=-x jgj>
1\ on è certamente agevole impresa quella di ritrarre i costumi
domèstici di un popolo, che non ha trasmesso alla posterità veruna immagine di
se stesso nelle produzioni letterarie. E tali appunto sono gli Etruschi, della
cui prosperità nazionale pare che sia stata la primaria base
l'agricoltura, che veniva si ben favorita dal loro suolo, e dal loro
clima, e che sembra avere in ogni tempo fiorito in questo paese, quando i
benefizii della natura non sono stati distrutti da un cattivo governo, o
da una assurda Legislazione, Tuttavìa però , non ha mai goduto V Etruria
centrale, come la Campania, di una spontanea fertilità. Fu d'uopo ognora
che spiegassero i suoi abitanti la loro industria, e la loro destrezza,
per adattare la cultura alle diverse qualità del terreno, che s
incontrano in questo paese, e per arrestare le mondazioni del Pò nelle
provinole che circondano l Adriatico, e che ne furono parte nei tempi
antichi. I primitivi costumi degli Etruschi erano semplicissimi, se
vogliamo credere alla storia, la quale ci dice che la conocchia di Tanaquilla
fosse conservala lungo tempo a Roma nel tempio di Sanco; E pare che un
passaggio di Giovenale nella satina sesia, ci mostri la stretta rassomiglianza
che passava fra le virtù domestiche delle donne romane degli antichi
tempi, e quelle delle donne etnische. Nè ciò desterà maraviglia a chi
sappia, che i primi abitatori dì Roma, non eccettuato il suo fondatore,
non furono altro che Etruschi, della cui energia, e del cui nazionale
carattere, formano al parer mio una sufficiente prova, le grandi loro
conquiste, la loro destrezza, ed il loro coraggio nella navigazione.
Ma quando il commercio, e la conquista nelle parti meridionali d’Italia,
ebbero condotto la ricchezza fra loro, gli Etruschi se ne impossessarono
coll’avidità di un popolo mezzo barbaro ed il lusso invece d‘ introdurre
fra essi il raffinamento, e l’eleganza delle maniere, non vi portò che un vano
splendore, ed un gusto disordinato per ì sensuali piaceri, come rilevasi
anche dalle pitture di alcuni vasi, delti male a proposto italo-greci, dei
quali ne ha discoperti un gran numero nei suoi scavi il signor La forma
del governo etrusco, ove riunivansi l’ aristocrazia , ed il sacerdozio, impedì
efficacemente al genio di quella nazione, di prendere lutto il suo naturale
sviluppamelo. Imperocché ai Lucomoni, ossia alla nobiltà ereditaria, aveva
rivelato Tagete, ed il tempo, gli usi religiosi, che si dovevano
osservare dal popolo, col potere di Applicarli nella maniera che paresse
loro la piti propria aperpetuare il loro monopolio esclusivo, e tirannico-, E
per rapporto poi al potere civile, formavano questi medesimi Lucomoni il
corpo governante di tutte le città di Elruria. Nei primi tempi si parla
di re, non già dell’ intiero paese, ma bensì di stati separati, ed il cui
potereera senza dubbio limitatissimo da quello dell’ alta aristocrazia-, E
questi re senza potere, spariscono ben presto intieramente, come più tardi
nella stona greca, e romana, Mentre che in Etruria, non sorge alcun
ordine corrispondente ai plebei, per rappresentare V elemento popolare della
Costituzione. E molto difficile di poter fissare con esattezza i
privilegi del gran corpo della Casta potente-, E Miiller inclina per
l'opinione, e mi pare eli abbia dato nel segno,che i coltivatori fossero i
servi dei proprietarii del suolo, come furono in tempi a noi piu vicini i
Penasti in Tessaglia, e gl Iloti a Sparta. É cosa certa difatti, che esistesse
una classe simile in Etruria, ma non è però probabile eli ella
comprendesse una gran parte della popolazione, non essendovi altro
argomento, al quale appoggiare questa, ipotesi con¬ trastabilissima, se
non quello che i clienti di Roma fossero servi dei Patrizn. Tuttavia però
è fuori di ogni dubbio che l aristocrazia etrusco teneva gli ordini inferiori
in una dipendenza politica, e che per questo non pervenne quella nazione,
al grado di potenza, a cui avrebbe potuto giungere-, Ma la sua prosperità prova
ad un tempo che non era governata neppure affatto tirannicamente. Non
sembra nemmeno che l’agitasse lo spirito della democrazia, fino al punto di
risvegliar dei timori, ed eccitare la severità della casta governante. Le
insurrezioni di cui parlano gli storici, sono attribuite espressamente agli
schiavi. Era l'antica Etruria fertile di grani, e particolarmente
di quel farro che i Latini chiamarono far, ed anche odor, la cui farina
forniva il puls, che noi diremmo polenta, o polenda e che era l’ordinario
nutrimento degli abitanti di questa parte d’Italia. Il ferro delle sue
miniere, e specialmente quello dell Isola d'Elba era celebre per la sua
purità-, E forniva pure la stessa isola anche del rame per le monete, e perle
opere di bronzo, tanto comuni fra gli Etruschi. È poi molto probabile,
anche secondo il Miiller, che eglino facessero un commercio di ambra, che
loro venisse dal Settentrione. Il precitato Miiller, che è
come abbiamo detto uno degli Scolari di Niebuhr, và discutendo con moli
acutezza nell’ opera sua, la natura dei rapporti che esisterono nei primi
tempi di Roma, e fra i Romani, e gli Etruschi. E si accorda col suo maestro
a preferire alla tradizione che fa di Servio Tullio unfiglio di schiavo I
origine etrusco di quel principe , menzionato dalli Imperatore Claudio
nel suo discorso sull’ammissio¬ ne dei provinciali nel Senato, il cui
testo fu discoperto nel secolo decimo sesto in taòn, ed ai tripodi, e simili,
giacché discopronsigiornalménte alcune di tali opere egregiamente
eseguite. Si spiega però facilmente la differenza che incontrasi
fra le opere degli Etruschi, e quella dei Greci col carattere della
religione dei due popoli. Imperocché la religione dei Greci conti Univa
potentemente al perfezionamento delle arti plastiche, ove quella degli
Etruschi, in ciò che le appartiene in proprio, non ha niente che risvegli, e
che trasporti V immaginazione dell’ artista. Pare anzi che ella favorisse
efficacemente una opinione, che noi ritroviamo del pari nella teologia dei
popoli settentrionali, ed in quella degl’Indii, ed è questa: che gli Dei
erano eglino stessi, come pure il sistema, al quale presiedevano , gli
effetti di un potere che non iscorgevasi che a lunghi intervalli nella
produzione degli esseri, e che assorbiva tutto ciò che aveva crealo, per
crearlo di nuovo. I SIMBOLI di questo potere erano gli Dii involuti della
teologia etnisca, i cui nomi rimanevano ignoti e non erano oggetto di un
culto popolare, ma che Giove stesso consulta. Gli Du consenti poi, che erano
dodici, sei di ogni sesso, presiedevano alt ordine delle cose esistenti, e
ricevevano degli omaggi, e dei sagrifizii. Manifestatasi la loro
intervenzione negli affari umani, più che in altra maniera con presagi di
grandi disgrazie, che dovevano essere allontanate con espiazioni
sanguinose, e crudeli. Ma se da un Iato potè la moralità guadagnare
qualche cosa dalla religione etrusco, che non corrispondeva in verun modo
alla mitologia ridente, ma licenziosa dei greci, la poesia e le arti dell
altro, vi dovettero indubitatamente scapitare non poco. Lo stesso
difetto d immaginazione viva e disinvolta caratterizzava la dottrina
etrusco dell immortalità dell’anima. Il loro mondo sotterraneo, non era
altroché un Tartaro senza Eliso. La superstizione non formò in nessuna
parte del mondo, un sistema più completo che in Etrucia, senza
eccettuarne neppure le Indie, e t Egitto Le regioni del cielo erano
divise, e suddivise in modo che ogni prodigio poteva avere la sua spiegazione
precìsa. Ifenomeni dell’atmosfera, il tuono soprattutto, ed i lampi, erano
osservati, e classati comma minutezza, che avrebbe potuto fornire oli
elementi, aduna vera scienza, se gli osservatorifossero stati veri filosofi, e
non Sacerdoti. Ma nel fatto t osservazione di quei fenomeni, non servi ad altro
che ad accrescere la servitù della moltitudine, a quelli che reclamavano
la co'nuzioné esclusiva dei mezzi coi quali potevano placarsi gli Dei sdegnati
contro il genere umano. Non è necessario di avvertire, che la
filosofia nel senso greco di questaparola, vale a dire lo studio libero
dell’uomo della natura, e della provvidenza, era ignota agli Etruschi,
benché non si possano negar loro le cognizioni pratiche, col mezzo delle
quali eseguivano le belle opere d'Architettura, e di Idraulica, che vengono ad
essi attribuite dagli antichi scrittori, i quali parlano delle cose
etnische senza prevenzione veruna , e senza spirito di parìe. Elv. Mas.
Chius. Go tavola. Quanto sia malagevole scioglier l’enigma che nelle
strane loro figure chiudono le pietre incise in forma di scarabei, ben
potrebbero dirlo e il Caylus, e il D’Han- carville, ed altri chiarissimi
ed eruditissimi ingegni che in vano vi si applicarono; e quantunque in
gran parte non mostrino significato nessuno che ragionevolmente si presti alle
indagini dell’erudito, pur taluni, ancorché pochi, han contrassegni da non
permettere che siano annoverati tra i soggetti capricciosi insignificanti e per
conseguenza inesplicabili. Nello scarabeo di n. 1 ci guidano con
qualche indizio 1 epigrafi, che sebbene sconce come le figure alle quali
si vedono applicate, pure danno adito a ragionarvi sopra non senza
qualche fondamento. Quantunque le lettere siano di forma etrusca, pure
nèson disposte all’uso inverso come scrivevano gli Etruschi, nè presentano voci
che dirsi possano etnische, ma ritengono un misto di paleografia, e
glossologia, che partecipano dell'antico greco e dell’antico latino. Qualora
non vi fosser lettere direbbesi che vi si vede Vulcano assiso sulla sua
pesante incudine in atto di ascoltar le preghiere della consorte sua Venere a
prò d'Enea, come ne dà sospetto lo specchio femminile che tiene in mano, la
donna è la libera di lei nudità. Che le lettere esprimenti parole tronche vi si
conformino lo congetturo dal potervi leggere fex, quasi ephestus ch’era
nome grecamente dato a Vulcano anche dagli antichi Latini. Segue 1 altro
bisillabo vev, che se crediamo sformata l'ultima per una v, potremmo leg¬
gervi la voce Venus con poca difficoltà. Ed in vero quella barba, che in un
modo sì sconcio si volle accennare all’uomo sedente, dà qualche idea del rozzo
costume praticato dal marito di Ciprigna, che qui si vede contro a lui con
assai studiata, sebben antica maniera d’acconciarsi la testa per viepiù sedurre
il manto a compiacerla nell’ inchiesta delle armi pel figlio Enea :
soggetto non raro nella glittografia, dove l’artefice Vulcano è sempre
assiso, e Venere che incontro a lui si trattiene a pregarlo, sempre in
piedi. Quando si voglia credere che la composizione incisa in
questo scarabeo num. 2 abbia un qualche significato allegorico, e non sia
stato fatto a solo oggetto di mostrare lo sgradevole assalto dato da un leone
ad un cinghiale, potremo credere che stiano i due animali a rammentare due
precipue situazioni del sole nel cielo, dalle quali ne avviene il calor
benefico dell'estate, e 1 importuno freddo nell’inverno. Infatti è il
segno del Leone che domina in estate , e che abbatte colla forza dei
raggi solari quei mali che alla natura cagiona 1 ingrato e sterile,
inverno significato dal porco, di che ho^scrittu molto nel trattare dei
Monumenti etruschi - vote eh bronzo a Lione ; Il quale pretende che il
vero suo nome fosse Mastarna, e che foss e compagno di un capo dicosi
detti Condottieri, o mercenarii toscani. Il fatto si è che la voce
etrusco Mastarna, vale imbrattato, ossia di sordida origine,^ corrisponde cosi
a quanta ne dice la tradizione. Ma mentre JMebuhr si allontana intieramente
dalla storia, supponendo che Tarquinio il vecchio fosse uno di quei
Latini pnschi da ha immaginati, pensa il Mailer eh’ei fosse veramente
etrusco, e che traesse il suo nome da Tarquinia, ( e lo pensiamo noi
pure,) il cui dominio estendevasi allora dalla parte del mezzogiorno,
fino alla città di Roma, che erane anche dipendente in quel tempo. I
compilatoli della Rivista edimburghese non credono che questa opinione sia
basata sù fondamenti abbastanza solidi, benché paia loro più probabile di quelle
di lebuhr, per sostituirla ai racconti della storia comune ; E non sanno
comprendere neppure, come dei fatti accompagnati da circostanze sì ben
precisate, quali sono quelle dell'esistenza di Servio Tullio, e
deiTarquinii, del loro paese, e dello stato loro possano cangiarsi tutto
ad un tratto in un simbolo di etnisca supremazia. Lo che peraltro non
desterà nessuna maraviglia a chiunque sia meglio di loro istrutto delle
antichità etnische, e conosca più a fondo che essi non conoscono,
l’universalità dello spinto simbolico di quei remotissimi tempi. E
comunque sia poi la cosa, checché si debba pensare eh tali supposizioni,
il fatto vero si è che Roma fu conquistata dagli Etruschi sotto la
condotta eli Porsetto re di Chiusi, come lo provò, sono già molti anni, Beaufoit,
disvelando gli artifizii , sotto i quali avevano procuralo i Romani scrittori
di nascondere questo colpo umiliante. Oltre di che, furono, come abbiamo
già detto, anche i fondatori, ed i primi abitatori di Roma, una truppa
dibanditi toscani. Ma circa ad un secolo dopo il regno di Porsena, vennero
gli Etruschi umiliati essi pure dai Celti, e da altre barbare genti, che
si resero padrone di tutto ciò che eglino possedevano sulla riva
meridionale del Pò fino a Bologna, e che occuparono anche. Roma, benché
temporanamente. I Romani però, vincitori dei Galli, e cosi più fonnidabih
che mai, non tardarono molto a conquistare, e colonizzare quella parte i
’truna, che si estendeva al mezzogiorno della selva Ciminia; Ed anche
laCam- pania eia caduta allora sotto il potere dei Sanniti, e tutte le
provinole etnische al settentrione degl’Apenninì, erano rimaste sotto la
dominazione dei Galli. Tentarono indarno gli Etruschi, dopo la gran
disfatta, che ebbero presso il Lago Va di mone, oggi di Bussano, di chiamare
in loro soccorso i mercenarii Galli, poiché furono battuti di nuovo,
perchè le loro temporarie confederazioni, non poterono opporre una efficace
resistenza, contro la disciplina, che la vittoria aveva già organizzata
nelle armate romane; Eia potenza di quel popolo celebre, e valoroso per sì
lunga serie di secoli, rimase intieramente abbattuta,prima delle guerre di
Pirro, e di Annibale. del cielo, di che ho trattato in altre mie opere. Le
colonne ed i vasi che son sepolcrali rammentano le ceneri degli avi,
presso i quali fu ucciso l’infelice Laomedonte assalito da Ercole nplia sua
patria presso le lor ceneri. Questo disegno è una quinta parte della
grandezza che ha 1’urna di marmo. La rozzezza della scultura di
quest’umetta in pietra tufacea che nel suo originale è soltanto doppia di
questo disegno, non permette ad ognuno di ravvisarvi il soggetto che a me
sembra esservi espresso. Imperocché io vi scorgo nella figura equestre
un’Amazone, di che ho non lieve indizio nel berretto che le copre la fronte, e
quindi in ogni restante della composizione, che non differisce dalle già
esposte alle tavole. Qui v'èuna circostanza che ne scopre sempre più
l’allusione a soggetto ferale, ed è 1’ albero significativo d’ombra, e
privazione di luce : luogo insomma dove passano i mortali dopo il periodo
vitale assegnato loro dalla natura in questa terra. Un pregio singolare
di questi bassirilievi di pietra tofacea è in qualche modo Tesser tutti
chiusini, e d’uno stile che può dirsi unico in questo genere di antichissimi
oggetti d'arte. Quel di Perugia ch’io riportai con esattezza alla Tav. Z 2
della ser. VI de’Monumenti etruschi, è inferiore nell’esecuzione forse
per difetto della cattiva scélta nella pietra eh'è molto più tenace di
quella chiusina, e più assai porosa, ed a luoghi affatto spugnosa.
L’originale di questo che abbiamo sott’occhio non è che per metà maggiore del
suo disegno. Si vede assai chiaramente esservi rappresentata una
processione religiosa. La prima figura che ha semplice manto, e non veste
lunga è dunque un uomo che ha in mano una gran foglia, dalla quale
argomento esser questa una pompa sacra, mentre in tali riti portavansi le
foglie, e se ne danno persuadenti ragioni, ch’io esposi altrove 3 . Segue
la figura di una donna che per essere assai danneggiata non se ne sa il
destino, Dopo è una figura con bastone in mano,molte delle quali vedemmo già
nelle tavole scorse. Ma siccome tien dalla sinistra mano un uovo , così potremo
in qualche modo congetturare che la pompa della quale quel seguace fa
parte sia espiatoria, e perciò analoga al defonto, presso al quale quest’
ara è stata trovata. Poco sappiamo di una tale superstizione, ma ci è
noto che all'uovo, dedicandolo ad Ecate infernale, 1 Ingliirami, Monum.
etr. g 5 , e Galleria Omerica Tom. n, tav. cxciv, p. j 54 * 2
Monumenti etr. ser. v, p. 44 l 2 * 3 Ved. le tavole 11, lii, iv,,
xxxvni, lui , , Lvi. L’Amorino qui espresso è copia d’un bronzo
grande quanto il suo originale, eh’è d’una bellissima patina verde. Non
saprei giudicare dal solo disegno, che m’è sottocchio, qual ne sia
l’azione, e quale il significato di essa, onde mi limito ad osservare che
l’acconciatura di testa, non meno che lo stile assai molle, e sì
vistosamente lontano da quel rigido, che vedemmo nei già esaminati
bassirilievi chiusini, mi fanno giudicare quest’idoletto per un opera
eccellente degli Etruschi, allorché sottoposti ai Romani praticaron le
arti ne’tempi di Adriano. Leggendo lo storico Diodoro ho incontrato
un avvenimento d’Èrcole, che mi sembra molto analogo a quanto si
rappresenta in questo bassorilievo. Narra quello scrittore che tornato
Ercole insieme cogli Argonauti alle spiagge troiane, ove avea lasciati in
deposito a Laomedonte la vinta Esione ed i cavalli di Diomede, invia suo
fratello Ifito, e Telamone a riprendere il deposito affidato a quel re;
ma il perfido ne ricusa la restituzione, ed oltraggia i messaggi. Allora gli
Argonauti muovono contro Laomedonte e contro i Troiani suoi sudditi, e dopo un
vivo combattimento trionfano. Ercole sopra d’ogni altro fa prodigi di
valore, ed uccide di sua propria mano il re Laomedonte Tanto basti a
ravvisar qui E avvenimento or descritto. Ercole ha in mano la spada per
uccidere il perfido Laomedonte che h». già ghermito pei capelli, nè può
altrimenti evitare il colpo fatale di morte. La pelle di leone che si
annoda sul di lui torace lo manifestano per Ercole, seb¬ bene usi spada e
non clava. Laomedonte altresì fassi noto al berretto asiatico proprio dei
Frigi e Troiani in modo speciale, come ripetuti esempi ne dò nella
Galleria omerica 3 . Il bastone pastorale gli è posto in mano dall’ artista ad
oggetto di aumentarne la distinzione, come spettante alla famiglia di
Dardano, eh io dissi altrove 3 essere stata distinta per la sua
occupazione di guardare gli armenti de suoi antenati, non meno che per la
singolare bellezza della quale furono adorni i di lei componenti. Difatti
qui Laomedonte si mostra bellissimo e delicatissimo, in paragone del robusto
Ercole, e dell’altro eroe eh’è degli argonauti combattenti in quella
occasione con Ercole. Le due Furie con face rovesciata,
ripetutissime nelle urne etnische, non hanno un positivo ed intrinseco
rapporto col fatto. L'altare serve soltanto di espressione per mostrare che il paziente
altro scampo non ha che reclamare la protezione Diod. Sic. Bibl. hist. Galleria
Omerica, Iliad-, Tav. le arche racchiudevano oggetti sacri di mistica
rappresentanza, non visibili ad ogni profano. Il vaso dipinto con queste
donne che staccano in giallastro su fondo nero, fu, cred’io, venerando per gli
oggetti contenuti nella cesta, piuttostochè per le donne che la
portano. Nell’interna e concava parte duna tazza di terra cotta vedesi
dipinto con fondo nero un sacrifizio, che mostra, cred’io l’atto del camillo, o
vittimario di cuocer le carni della vittima sul fuoco acceso nell’ara o foculo,
mentre il sacerdote che sembra di Bacco è pronto a farvi una libazione,
versandovi parte della sacra bevanda. Dalla bassezza di quell’altare,
pare che l’atto religioso fosse diretto al culto di Bacco stigio, che
pregavasi perchè fosse favorevole ai morti; come difatti la tazza dov’è
questa pittura fu posta come le altre in un sepolcro. È invero assai
singolare il bronzo num. 1 che qui presentiamo in disegno nella
dimensione del suo originale, come si può riscontrare nel privato e ricco
museo del sig. capitano Sozzi di di Chiusi dov’esiste. Non è del tutto nuovo
per altro; ed io vidi un idolo lungo due piedi e sottile nel museo di
Volterra tutto nudo, e colle braccia aderenti al corpo, senza nessun
emblema. Il Gori che lo illustrò, gli dette nome di Lare domestico ridotto più
grande e piu maestoso della specie umana, oppure un dei Lemuri che
credevansi ministri del Genio malo, ossivvero lo stesso Genio malo, che
da Plutarco si dice esser comparso a Bruto in aspetto più grande di quel
ch’esser suole l’umana specie 4 . lo crederei che più convenientemente
confermar si potesse esser quest’idolo chiusino un Lare domestico, forse anche
Lemure, pei lumi che ce ne dà Plutarco, giacché Tesser vestito e l’aver
patera in mano tanto converrebbe ad un Lare, quannto sconverrebbe ad un
semplice Genio. Lo stesso Gori ha posti nella sua collezione altr’idoletti
che hanno la qualità speciale d’esser più lunghi delle dimensioni
spettanti all’umana specie, ma che l’espositore per bizzaria dichiarò con
nomi speciali = , senza darne sodisfacente ragione. I bronzi notati
di numm. 2 e 3 sono le due estremità d’un manubrio di qual¬ che vaso
usato probabilmente per sacri riti, come lo mostra la testa d’asino che
ne compone la superior parte, mentre si tien per ovvia la notizia che
questo 1 Plutarc. de animi tranquillitate, ap. Gori, Mus.
Etrusc. Voi. i, Tab. cim, Voi. n, i. 2 Gctì, Mus. etr. Tom, tab.
v. si attribuiva una virtù espiatoria 1 . La figura virile ultima
non ha caratteristica veruna che la distingua. Da un lato, cred'io,
di questo cippo o ara che sia, v’è un’auriga nell'atto di guidare il suo
carro alla corsa : istituzione antichissima rammentata inclusive da Omero
% fra gli onori compartiti da Achille all’ombra di Patroclo.Sorprenderà gli
archeologi la novità di questa lucerna fittile che porta effigiato un centauro
colle ali non più veduto, ch’io sappia. Ma cangerà la sorpresa in
persuasione, tostochè richiamerà alla memoria quanto dissi altrove rapporto al¬
la composizione siderea di untai mostro; di che ripeto qui soltanto qualche
leggierissimo cenno. Dissi pertanto che stando alle dottrine d’Ipparco, il
Centauro si compone di un cacciatore, o per meglio dire della
costellazione che in antico aveva il semplice nome di un dardo, e
dell’alato cavallo sidereo che dicesi Pegaso [citato da H. P. Grice]. E
poiché questo rappresentasi per metà soltanto nel davanti, così inventarono
di aggregare il restante del cavallo, o sia la posterior parte al
cacciatore arciere. E siccome il Pegaso composto dal Centauro è figurato
con ali, così non è fuor di proposito il trovare in questo arciere colla
caccia in mano la posterior parte del cavallo Pegaso colle ali che
formano il distintivo del destriere abitatore del Parnaso. Il vaso
rappresentato in questa Tavola due terzi più piccolo del suo originale è di
terra cotta di naturai colore, a differenza d’altro simile qui pure
esposto alla Tav., eh' è di terra nera. E poi singolare in questo il
veder le braccia staccate dal vaso e fermate con delle cuciture di fil di
ferro agli orecchi o manichi di esso vaso, e pare che abbiano tenuto
qualche cosa nelle mani che soglion esser traforate . Un indizio di barba
rasata ce lo fanno credere un Bacco. Per ogni restante si legga quanto
dissi alla Tav. Fu costume frequentissimo nei sacri riti del
gentilesimo l’introdurvi le femmine canefore, o cistofore ma specialmente in
Etruria, e i monumenti ci mostrano come un tal uso invalse qua nei tempi
antichissimi, come Io mostra il famoso vaso d’argento di Chiusi da me
riportato altrove. Quelle ceste, o picco- i Suid. in VOC.
Excctjjv. a Galleria Omerica Toni, n, lav. ccxvu # 3
Monumenti etr. ser. v^av. lyii, p* 561. 4 Ivi, ser. ih,
Ragionamento vii. SULLA VERA SITUAZIONE TOPOGRAFICA DI V1TULON1A ANTICHISSIMA
SEDE DELL’IMPERO ETRUSCO. AffdS'v’tffzoufft yap y,<x.i nohU «c rirep
av^pwirdi, A. A. . li ori aveva torto lo spiritoso, e bizzarro filosofo
di Samosata, quando scriveva nel suo dialogo intitolato Caronte, che le
città muoiono come gli uomini. Imperocché nel¬ la stessa guisa che si
perde la memoria di moltissimi di questi, così perisce la ricordanza di non
poche di quelle. Nel cui numero è da riporsi con tante altre, la famosa
Vitulonia , prima capitale dell’ Impero Etrusco, della quale sì scarsamente
lasciarono scritto gli antichi, e sì vagamente , e con grande incertezza ne
parlano i moderni. Trovasi infatti accennata dagli uni e dagli altri, quella
già potentissima, e ricca città, con molta dubbiezza, e circa la vera sua topografica
situazione, e circa l’estensione del suo circuito, e perfino riguardo al
modo di scriverne il nome . Avvegnaché PLINIO chiama Yvi ulonii, e
Vetuloniensi i suoi abitanti, e Silio Italico nomina Vetulonia la città stessa,
mentre avvi qualche altro autore, che la dice promiscuamente Vetulonio e
Vetulonia. Quanto poi alla sua topografica situazione, pare anche dal
passo del precitato Plinio, ch’ella fosse come era difatti, vicina al
mare -, poiché sebbene al tempo di quello scrittore già più non esistesse
da lunga data, nondimeno la memoria della sua situazione , e della sua
grandezza sussisteva tuttavìa nella tradizione dei popoli etruschi . Ed il
Cluveno ,lib. ila colloca egli pure non lontano dal mare , e nelle vicinanze
delle paludi caldane, confondendo però, per quanto mipare, le Caldane
volterrane, o i Guadi volterrani, colle Caldane della Fiora, che sono
tutt’altra cosa. Che sorgesse però nei contorni di quel pareggio, non è da
mettersi in dubbio, giacché leggiamo in Dionisio di Alicarnasso, lib. 3,
che al tempo di Tarquinio Prisco , quand’ egli guerreggiava contro i Latini, i
Sabini, e gli Etruschi propriamente delti, fecero legaper andare contro
il medesimo, le cinque popolazioni seguenti, cioè, i Chiusini, gli Aretini,
i Volterrani, i Rosellani, ed i Vètuloniensi , che Plinio al già citato
libro terzo nomina con ordine inverso. Nè senza ragione è da credere, che
quei due gravissimi scrittori nominassero i popoli, piuttosto che le
città dei medesimi, perchè Vitulonia era stata distrutta molli secoli
prima della fondazione di Roma, come congettura il dottissimo Dempstero,
il quale crede ancora giudiziosamente, che perciò si di rado ne abbiano
gli autori fatta menzione. quadrupede spettò a Bacco 1 o a Vulcano a .
Nell'uno e nell’altro supposto converrebbe 1’ unione loro aiCabiri, che furon
detti e figli di Vulcano,ed apportatori del culto di Bacco in Etruria. Una
tale osservazione mi farebbe credere i Cabiri o Dioscuri quei due
giovanetti sedenti e con berretto in testa, che trovansi nel1’estremità
inferiore del manubrio medesimo . E tanto piu me ne persuado , in quanto
che molti bronzi ritrovati in Etruria hanno Bacco unito ai Cabiri 5 . Nè
si allontana da questa congettura lo stesso lor gesto che addita il
cielo, mentre stanno coricati per terra, giacché tale additamento del cielo e
della terra è lor proprio in molti antichi monumenti dell’arte 6 .Il bronzo di
questa Tavola veduto da due parti mi vien descritto di un lavoro squisitamente
condotto per la sua esecuzione, al che si può aggiungere il pregio
dell’arte che splende anche nella giusta, non men che bella proporzione
della figuretta che qui si vede per metà maggiore del vero. Io la credo una
di quelle Giunoni, o genii delle donne che tenevansi nei larari dal gentilesimo. La
pittura di questo vaso consiste in tre figure femminili, che avendo in
ma¬ no delle aste armate di punte, corrono sfrontatamente luna presso
l’altra. Così narra Euripide che Penteo al di lui ritorno in patria udì
che la madre di lui con altre donne Tebane aveano abbandonato il proprio
albergo, e n’eran gite sul monte Citerone a celebrar le feste di Bacco , piene
di lascivo furore 7. ÌR<S>° 1 U : VI I q 3 : aìlflNS
J/ìttq A J : ÌV1V : J33 tfntnqf\ jmn/qo . jfjvm/dn
•• ©nq/i XL R13D J/ilflllV Monutn. etr., sei:, u,
p. 56. 2 Milli» , Peintures de Vases ani. , Tom. 2 3 , not. (6).
3 Monum. etr., ser. n, p. i52. 4 Ivi, p. 693, 713. Etr. Mus. Chius. Tarn.
1. 5 Ivi. Ved. la spiegazione delle Tavole i, p. e ixxvui.
6 Ivi, tav. xlÌx, e sua spiegazione. 7 Euripide nelle
Baccanti atto primo scena iv in principio. 9vono discorso
anche intorno alle sue terme, ed al suo anfiteatro, celebrandone le ime ,
e 1‘ altro. Scrive La-Martiniere che le rovine dì questa città
ritengono tuttavìa t antico nome, e che si chiamano Vetulia,ree/ che concorda
coll'Alberti, e si legge in una nota del precitato Cluverio, che
Vitulonia era situata fra Populonia, e la torre dì San Vincenzo, presso alle
paludi caldane, ed il fiume Linceo, detto oggi la Cornia. La quale
opinione pare appoggiata da quel passo del sullo dato PLINIO; ove nomina
insieme ì Tarquiniesi, i Tuscanesì, i Vetuloniensi, i Veientani, i Visentini,
ed i Volterrani, cognominati etruschi, com’egli si esprime.
Molte altre citazioni, ed altre notizie avrei potute raccogliere ed
aggiunger qui, riguardanti la nostra Vitulonia, ma le ho tralasciate per
brevità, e penso che siano anche troppe le già addotte, per dimostrare
quanta confusione, e quanta incertezza si riscontri negli autori, ogni
volta che ne fanno parola. Ad onta però di tanta confusione, e di tanta
incertezza degli scrittori antichi, e moderni intorno a Vitulonia, per
cui è sembrato ad alcuni archeologi , non solamente difficile ma eziandio
impossibile di poterfissare, ove sorgesse un giorno quella primitiva sede dell
impero etrusco, quandi esso estendevasi a tutta l Italia; io voglio non
pertanto tentare in questo ragionamento di stabilirlo. E voglio in questo
tentativo mettere a profitto le belle, e ricche scoperte di vasi
etruschi, e di altre anticaglie, fatte dall'egregio signor prìncipe di Canino
nelle sue terre di questo nome, e giovandomi ad un tempo dei lumi sparsi
da quel chiarissimo scrittore, illustrando gli uni , e le altre, e per cui
viene ora meritamente lodato in questa materia, come il più benemerito
promotore della gloria dei nostri padri. Tralasciando pertanto di
rintracciare, lo che sarebbe ricerca inutile, e vana, se Vitulonia/bwe
edificata da Tarconte, come pretendono alcuni autori, o dal celeste
Ogige, il quale come vuole non so qual poeta, Itali® Tuscas pelago
descendit ad oras, dove torreggiò Vitulonia, o finalmente lo fosse dagli
Etruschi, regnando su di essi, come piace ad altri quello stesso Giano
Velo che istituì, per quanto si dice, il culto di Vestà, e le Vestali
nelle nostre contrade, diede il suo nome al Gianicolo, combattè per tre
anni coi Celtiberi, e finalmente li vinse, e li sottomise alla sua
dominazione: quello stesso infine, che consacrò , giusta le tradizioni,
una gran selva a Crono nelle vicinanze appunto di Vitulonia, il cui nome
potrebbesi interpetrare stagno, od acqua incostante, passerò in quella
vece a determinarne subito la topografica situazione. Circa la
quale io credo che non possa rivocarsi in dubbio, quanto il sullodato signor principe
di Canino ne ha detto nel primo volume del suo Museo etrusco , parlando in particolar
modo della sua Necropoli; E sono persuaso che ella sorgesse veramente nel luogo
da lui supposto, e descritto. Bifalti la prodigiosa quantità di
vasi etruschi di sommo pregio, e di somma bellezza, e nei quali sono
rappresentate favole, o storie anteriori alla fondazione di Ro- Crede
Ermolao Barbaro, che Orbetello occupi ora il sito dov era una volta Vilu-
lonia, lo che non può essere. E VAlberti scrive che ai suoi tempi chiamavasi
Veletta, o Vetulia, il luogo ove fu Vitulonia; laddove altri sostengono,
che altro in oggi ella non sia ché un luogo deserto, distante tre miglia
dal mare, fra Populonia, e Pisa. E nonmancano neppure di quelli che confondono
Populonia stessa con Vitulonia, benché fossero per località, per età e
per potenza paranco , l’una ben distinta dall' altra. Jf erudito Guarnacci
poi, dice di non poter determinare neppur egli, ove giacesse questa famosa, ed
antichissima città, perché sì conosce, secondo lui, solamente il nome
della medesima, ignorandosi però del tutto, a qual distanza precisa fosse
ella situata da Volterra, e dal mare Ma Annio da Viterbo nelle sue note agli
Equivoci, di Senofonte, afferma esservi un colle chiamato Vetuleto, e lo
afferma con qualche probabilità, per l’età sua, sul quale crede che fosse
situata altre volte Vitulonia. E pensa che dopo la rovina di questa, gli
restasse un tal nome. Il medesimo poi ne deriva l’etimologia del nome da
due parole araniee , che verrebbero a significare, capo di molte città; ciò che
non sarebbe disconvenevole a Vitulonia,- ed aggiungendo, quello che in
molti altri scrittori si legge paranco, che essa godeva il privilegio di
ammettere i forestieri alla cittadinanza volterrana , come ancora la privativa
in età più remota, di dare i fasci, e le insegne reali, la qual cosa
indica essere stata la medesima al disopra di Votterrà. Non di meno il
chiarissimo Passeri nel suo trattato della Numismatica etrusca ; la crede
colonia dei Voltérrani, benché ciò non possa essere accaduto, se pure vogliamo
ammettere che avvenisse in alcun tempo, se non dopo la sua decadenza, e totale
rovina, e dopo il successivo ingrandimento dell'altra. Mentre quando
eraVitulonia nel suo pieno splendore, e capo di potente impero, è ben
ragionevole il credere che succedesse tutto il contrario . Lo stesso
Silio Italico, citato disopra, chiamò la nostra Vitulonia splendore della
Meonia gente, alludendo probabilmente a quei Lidii che si dicevano venuti a
stabilirsi in Etruria, e principalmente in quella regione-, e la disse ad un
tempo inventrice dei Fasci, delle scuri, dei Littori, della Sedia Curale,
e della pretesta, come pure le attribuisce il merito di avere adattata
l'enea tromba agli usi guerrieri-, cantando nell’ ottavo libro delle
guerre puniche. Meoniosque decus Vetuionia gentis, Bissenos
hoec prima dedit precedere fasces, Et junxit totidem tacito terrore
secures: Et princeps Tyrio vestem prsetexuit Ostro;
Hasc altas eboris decoravit honore curuies , Heec eadem
pugnas accendere protulit sere. Esistono infatti antiche medaglie,
riferite dal prelodato Passeri, ed anche dal Guarnacci, coll epigrafe
Vetiunia, e coll’ emblema della scure, o bipenne, insegna dei Magistrati
etruschi, e precisamente di quella città. Ed alcuni gravi scrittori
mo- Messina, e fuori ancora dItalia per fiancheggiare le inaudite
millanterie di quei medesimi Greci, e loro forsennati seguaci, riprodurrò qui
una opinione singolare, ma vera, e che mi pare che siastata sostenuta
anche dal Vico ; e dirò che le Muse ebbero origine in Italia, nell’infanzia,
per cosi dire, del mondo. Ed aggiungerò, che da questa bella penisola
emigrando, pèr quelle vicissitudini, che modificano , e fanno cangiar di
aspetto continuamente a tutte le cose umane, passarono in Arcadia, colle
prime colonie italiche di Pèlasghi Tirreni, che erano indigeni di questo
delizioso paese, favorito in ogni tempo sopra di ogni altro dalla natura, per
tutte le arti dilettevoli, e per tutti gli ameni studi. Ed andarono ad invadere,
é popolare la Grecia, e la Tracia, selvagge allora ed incolte, dove ebbero poi
nome, e culto per opera di Anfilone , di Lino, d’Eumolpo, e d’ Orfeo, ma
vi si erano condotte da prima coi sunnominati Pelasglii-Tirreni , pastori
ad un tempo , e poeti. Da dove ritornarono più tardi in queste benedette
contrade in compagnia d’Evandro, e non ne partirono mai più-, ad onta di
tutte le devastazioni e di tutti i flagelli, che vi portarono gli
stranieri, i quali ne fecero in tutte le età il primo oggetto delle loro
ambiziose conquiste . E persuaso come io sono , che Vitulonia
dettasse in remotissime età le sue leggi agli Italioti, potentissimi
allora sovra ogni altra nazione, da quei luoghi medesimi, nelle cui
vicinanze riscontrasi la grande necropoli, discoperta \dal signor
principe di Canino, come Roma le dettò loro, e all’ universo, in altri
tempi, dall alto del Campidoglio, terminerò questo mio ragionamento,
ripetendo con VIRGILIO, Purpureos spargain flores, animasque
parentum His saltelli accumulem donis. Mà non voglio però dar
fine al medesimo, senza rivolgere brevi parole al signor compilatore dal
Ballettino archeologico di Roma, per pregarlo col dovuto rispetto, a
volersi compiacere di farmi comprendere cosa mai ha preteso di dire, quando ha
scròto del medesimo, con franchezza più che cattedratica, «
Contribuiscono ad illustrare qualunque parte delle antichità dell'
Etruria le utilissime lettere d’ etnisca erudizione che si pubblicano dal
cavaliere Inghirami; siccome allo stesso tendono nel modo loro particolare,
le ingegnose conghietture del signor Principe di Canino, é quelle di
simil genere del professor Euleriani, premesse ai fascicoli del Museo
chiusino » perchè sebbene io confessi ingenuamente : che mi rifugge t animo alt
idea, che debba venire un Oltramontano ad insegnare a noialtri Italiani,
a conoscere le cose nostre, e quelle dei nostri padri, mi sarà tuttavia
gratissimo di potergli rendere pubblica testimonianza di avere imparato qualche
cosa da lui, come non poche me ne insegnarono altre volte, e di vario
genere, ì Dempsteri, gli Acker- blad, gli Zoega, che qui nomino a titolo
cìi onore, ed altri ancora che per brevità si tralasciano. e 9 ma,
e vi si osservano costumi anti-romani ancor essi, dal medesimo dissotterrati
nelle sue campagne della Cucumella, e Cannellocchio , mostra ad evidenza,
che tanta ricchezza di vasi dipinti, non poteva appartenere che alla Necropoli
di una città grandissima ed opulentissima, e capo di potentissimo impero. Nè i
tre ponti dallo stesso discoperti sulla Fiora cosi l uno all altro
vicino, servir potevano ad altro che a mettere in comunicazione fra loro le due
parti di questa medesima città ; E questa non po¬ teva esser che V
itulonia , se ben si voglia riflettere alla sua località, dietro quello
che si legge negli scrittori antichi, e moderni, benché alquanto
oscuramente, intorno alla situazione di quella metropoli. Che
se qualche ultra-greco si ostinasse ancora a sostenere il contrario, è
pregato a considerare un poco meglio i monumenti dei nostri antichi, e
singolarmente quelli dissepolti nelle terre di Canino, ed anche a porre
maggiore attenzione quandi egli legge le opere degli antichi, e son di
parere , scorgerà facilmente timpossibilità di provare il suo assunto.
In quanto poi al predicare la civiltà italica molto anteriore a quella
della Grecia, noi non abbiamo fatto altro in ultima, analisi, che riprodurre
quanto era stato opinato nello scorso secolo dai dottissimi archeologi, e
filologi italiani, e stranieri, assai giudiziosi e non greco-mani,
Dempstero, Buonarroti, Maffei, Cori, Guarnacci, Bocliart, Mazzocchi, Lami
.Bourguet, ed altri ancora. E più modernamente dalli eruditissimo poliglotta
Acherblad, dall’illustre Marini, e dal celebre Visconti, prodigio
d’ingegno, e di dottrina, anche a giudizio dei più dotti francesi. La
quale opinione, propagata da tutti i surriferiti grandi uomini, che
trovasi confermata nelle memorie dell'accademia delle iscrizioni di
Parigi, e che è messa in piena luce da quella mente straordinaria di VICO
(si veda), è poi quella stessa riprodotta, e commentata dal sullodato
signor Principe di Canino, nei varii articoli del precitato primo volume
del suo Museo etrusco, dopo che la riscontrò comprovata dai Monumenti da
lui discoperti, negli scavi fatti eseguire nelle sue terre. Nè di poco
momento è per me, onde viepiù confermarmi in questa opinione che mi è
divenuta certezza, t autorii a del profondo archeologo romano AMATI (si veda),
uomo di somma perspicacia, e dottrina, e nelle italiche antichità versatissimo,
e che la sostiene egli pure. Che del resto la iattanza
impudentissima dei Greci , è dei grecomani, circa la civiltà, e le arti
italiche, non è nuova in queste contrade, sapendo ogni mediocre erudito,
che per rintuzzarne soltanto la vanagloriosa ciarlataneria, pose mano Catone a
scrivere i suoi libri dèlie origini, e si mostrò grandemente sdegnato, perche
nessuno si fosse alzatOkprima di lui a rigettar loro in faccia si
nauseanti, e boriose pretensioni, e si grandi sciocchezze. Ora dunque,
animato dal medesimo amor patrio, e stimolato da eguale sdegno, per le
tante inezie che sf vanno ripetendo ogni giorno a piena bocca, dalli Alpi
a Etr. Mus. Chius. Torri. Quando Venere e Apollo sottrassero Enea, come
inventa Omero alle furi¬ bonde armi del prode in guerra Diomede, allora
Febo immaginò di lasciar combattere a sazietà i Troiani coi Greci, sostituendo
ad Enea l’idolo, o popolarmente parlando, l'ombra di lui. Questa poetica
immagine del combattimento de’due partiti per un vano fantasma fu cara
oltremodo agli Etruschi, mentre ne vediamo la rappresentanza in molti
de’lor cinerari, un de’quali eh’è in marmo, fu da me inserito nella serie
che ho data de’monumenti omerici della Iliade, similissimo a questo ch'è
di terra cotta due terzi soltanto maggiore del presente disegno, mentre quel di
marmo è due terzi maggiore di questo modellato in creta. Vi si vede pertanto il
simulacro d’Enea caduto a terra per la percossa del sasso gettatogli da
Diomede, in atto di cercare una qualche difesa nella trista situazione in
cui si trova, spossato di forze. Intorno a lui si tagliano a vicenda gli scudi
e le targhe Troiani ed Achei. L’originale in terracotta era dipinto a
vari colori, ma ora svaniti. L’ iscrizione è soltanto dipinta in color di
porpora, e rammenta, come sapremo a suo luogo, il nome del morto, le cui
ceneri chiudeva l’urnetta. Un licenzioso stuolo di baccanti si offre allo
sguardo dell’.osservatore della tav. presente, e ci avverte esser questa
la pittura d’un vasetto ch’è rappresentato alla tavola e frattanto si
verifica la massima comunemente invalsa per esperienza, che tre quarti dei vasi
fittili dipinti hanno soggetti bacchici. Questo ha figure nere su
fondo rosso ed è il vasetto originale tre volte maggiore del disegno dato alla
tav. suddetta. La statuetta di Venere che orna quest' ago crinale grande al
pari del presente disegno è adattatissima a dar compimento ad un utensile di
muliebre decoro. È singolare il vedere nei Monumenti etruschi la Venere quasi
sempre co¬ perta negligentemente in una sola gamba. Io vi ho spesso,
ravvisato il velo del quale son coperte agli occhi della nostra
penetrazione moltissime delle operazioni della natura: osservazione che dovette
esser propria specialmente degli Etruschi, i quali si magnificano come studiosi
della filosofia naturale. Proporrei ancora il sospetto che l’ago crinale
fosse un simbolo mistico, e per tal cagione posto nel i
Iliade Tav. Non credasi però mai da alcuno
, che io ni" altlia la stolta pretensione di non essere criticato,
ché anzi mi reputerò sempre ad onore ogni critica fatta a dovere, Ma
quando venga questa in mal tempo, e con peggior garbo, metterò sotto gli occhi
di chi vorrà leggermi, il seguente epigramma. Censura sapiens, et doctus
acutnine gaudet : Stultus at insano carpere dente solet.
Ex tribus his titulis, quem vis, tibi delige lector: Sic
sapiens, doctus, stultus et esse potes. XLI. VIDflDMU 4/mvfl4i
•• flnoai ; qn-i XLEL -.43 : F\\F{- 1/1-1 : 4 /ÌOq/ : i4 :
4/RttYf : intblq/d : 41 XLV. m3iifl4 ; ìi n/qi : 43H3vi
:•.lamvfliflm: finn o ni asiaq'D : 4flim#ì4 : intn.q/a : xLvm.
4/aifn/qi3i lantqfl = ioqfiN XLIX. ninni m Y 131 :
4An#isa : ianq3i : no L. 1 nxnn\ M3f : laUfVf :
flitifl© Al disopra del copercìiio. a Siccome finisce il lembo del coperchio pare
che abbiano continuata la parola al di sopra del coperchio della
stessa urna. I 74 (lutto nell'arte, mentre qui la Furia
infernale esce di sotto terra; come nel teatro. Se quest’uso non è molto
antico, non potremo reputare antichissime neppure queste sculture ove tal
uso è imitato. L’urna è due terzi più grande del presente disegno.
Il soggetto di questo rozzo vasetto non è che un baccanale. Il vecchio
barbato e nudo rappresentar dovrebbe un satiro, mentre a centinaia
s'incontrano i satiri nei vasi che trovansi nei sepolcri, e le lor mosse
costantemente bizzarre, come acche la lor nudità costante, non permettono
di separar questa virile figura dal coro satiresco di Bacco. Ma la rozzezza
del lavoro accompagnato da negligenza; fece dimenticare al pittore di
aggiungere alla sua figura la coda equina che a’ satiri non manca mai. La
donna eh’ è dalla faccia opposta del vasetto, non può essere per
conseguenza che una baccante . I circoli che in buon numero si vedono
attorno alle due figure sono un enigma finora inesplicato. La grandezza
delle figure è uguale a quella dell’uomo barbato. La pittura è giallastra
in fondo nero. I tre recipienti che occupano questa tavola son vasi
con pitture in parte nere e in parte giallastre, che si mostrano separatamente
dai loro vasi, e che vedremo in seguito coi respettivi loro richiami. Ma il
vaso segnato di numero 2 ha soltanto una pittura a parte, l’altra di
minor conto si vede qui in piccolo.Io vi ravviso due degli Efebi davanti
al ginnasiarca, il quale ha verga in mano insegno che istruisce e comanda. Tali
erano gli esercizi del ginnasio, dove la gioventù s’istruiva negli
esercizi del corpo e dell’animo; e gran parte delle pitture de’vasi han simil
soggetto nella parte opposta ad altra, che aver suole qualche rappresentanza
mitologica o simbolica, come in questo vaso, dove si vedrà Ercole accolto dal
centauro Eolo. Queste favole cred’io avevano un senso misterioso, e la
gioventù s’istruiva nell’iutelligenza di quel senso non a tutti palese, per cui
ne’ vasi comparisce nel tempo medesimo l’istruttore e 1 istruzione che
rnostravansi con quelle pitture. Questo, pare a me, eh’esser possa il
momento in cui Ercole passando dal monte Foloe per andare a cercar del
cinghiale d’Eriinanto, trattenutosi dal centauro Folo figlio di Sileno e della
ninfa Mitra, fu ricevuto nel modo il più ospitale che potevasi. Ercole ebbe
desiderio di bere del vino. Folo ne avea soltanto in un vaso eh’era stato
dato da Bacco ai centauri in comune, e perciò non ardiva d’aprirlo. Ma Ercole
incoraggillo a deporre ogni timore, ed apri egli stesso sepolcro dov' è
stato trovato . Dissi altrove difatti, che si venerava in Roma
l'ago crinale della Madre Idea custoditovi fra le cose fatali, da cui facevasi
dipendere la stabile conservazione dell'impero. Le oreficerie degli
Etruschi, di che presentiamo qui un saggio, esser sogliono di uno squisito
lavoro. I due pezzi superiori pare che siano stati usati a formare una
collana, poiché di simili ornamenti vedonsi le belle collane scolpite al collo
delle matrone che si trovano giacenti sopra i coperchi delle urne 3 . Ciò
sia detto per disinganno di coloro che trovando nella Grecia altri
ornamenti muliehri lavorati in oro con una perfezione e con un gusto
simile a quei dei nostri Etruschi, ne dedussero che di Grecia si facesse
smercio in Italia di tali bigotterie; ma poiché la forma dei due pezzi
superiori trovasi ripetuta soltanto nelle sculture d'Elruria,e non in
quelle di Grecia, così non abbiamo pruove che usassero tali ornamenti fuor
dell’Etruria , nè che non si potessero quivi anche eseguire. Tra le
infinite bizzarrie che vennero in testa ai figuli per variar le forme dei
vasi, che servirono per ornar le ceneri dei sepolti, questa che presentiamo qui
non è certamente delle men singolari. Il suo nome suol essere d' un ciato
quando ha forma d’un corno potorio; ma in figura di gamba non avendone io
mai incontrati , per quanto abbia veduti moltissimi vasi sepolcrali, non saprei
certamente quei che possa dirsene. La sua grandezza è due volte maggiore
di questo disegno. È della solita terra nera di Chiusi, ed ha vernice nera
assai lucida che lo cuopre d'uu color solo. In generale questi eran vasi
da bere usati col rito, che dovevasi affatto votarne il recipiente, per
cui non era necessario di tener questi vasi in piedi, ma suolevano star
discenti sulla mensa. La tragica morte di Eteocle e Polinice è soggetto
che fu caro agli antichi Toscani che lo elessero soventemente per ornarne
i loro sepolcri. Qualche mossa, qualche ornato,lo stile medesimo della
scultura, fan vedere che vi fu comunicazione tra la scuola di Volterra e
quella di Chiusi. Il costume della Furia eh' è fra i due moribondi più
che altro manifesta la probabilità di questa mia opinione; come si riscontra
dai paragoni che posson farsene 3. Altrove notai parimente 1’uso teatrale
di far comparire, non già dalle scene i soggetti infernali, ma dal palco
medesimo, quasi che sorgessero di sotto terra ^. Un tal uso vedesi esattamente
intro- Monum. etr. , ser. li J 2 Ved. la Tavola. Monum. etr.,
Tavv. II vasetto che primo si presenta in questa tavola è di terra nera,
uguale in tutto al disegno. Le teste velate son così ripetute nei vasi
sepolcrali chiusini, che io non dubito di confermare il già detto, nel supposto
che siano indicative di larve Ci vien fatta peraltro notare 1 ’esattezza
del lavoro, non meno che la perfetta conservazione del monumento. Si
osserva un anello d’ oro eh’ è in proprietà del sig. capitano Sozzi. Il lavoro,
per quanto mi si elicerà finissimo e di grandezza in tutto eguale
all’originale. È stato, per tanto riportato in doppia grandezza l'incavo che
tien luogo di pietra anulare, perchè meglio si osservi lo stile elevato
di quel lavoro. I due animali, il leone cioè e la sfinge potrebbero
essere interpetrate pel passaggio del sole dal solstizio estivo all’autunno ,
mentre quel mostro con corpo di leone e testa e petto di donna non altro
pare che indichi, sennonché il sole che uscito dal segno del Leone
ardentissimo passa in quel della Vergine, ove comincia a perdere l’estiva sua
forza, per cui si assomiglia a una femmina. La galante forma del vaso n. 1 non
è comune fra quelle usate dai Greci. L’impasto della terra è tutto nero,
ed in luogo di figure dipinte ha dei bassiri- lievi minutissimi,
da’quali, come da una doppia fascia, è circondata la più larga parte di
esso . In una delle nominate fasce al n. 3 stanno assisi due uomini con
veste talare, in atto di voler dispensare delle corone, che ricevon coloro i
quali stanno in piedi. Sotto alla lorsedia è un uccello, che secondo le
moderne interpe- trazioni dei geroglifici egiziani, come dissi altrove ?,
significa la casa dello sparviere, eh’è pur simbolo della divinità; e in
conseguenza la casa o regione del cielo, sul quale stabilite si vedono le
figure sedenti del nostro bassorilievo. Porgono esse dunque delle corone ai
guerrieri, in premio di aver combattuto. Le sfingi nei sepolcri le
ho sempre credute indizio del tempo nel quale passa il sole dai segni
dell’emisfero superiore a quello inferiore 4 , che dicevasi regno dei
morti 5 , e per tal memoria credo esser poste le sfingi nella fascia num. 4 -
Nel bassorii. n. 2 v’è un uomo sedente che ha in mano Io scettro, e ad
esso presentasi un individuo munito di lancia che probabilmente significa
un’anima che passando ad altra vita domanda il premio delle eroiche sue
virtù' 6 , accennando non altro che il tempo di tal passaggio, come ho
provato anche altrove? in quest’Opera. 1 Monum. etruschi, ser. i } i, Ved. la spiegai, della Tav. 3 Lettere di
etnisca erudizione; Monum etr.; Lettere; Vedasi tutta la mia lettera scritta al
dottor Maggi nel Tom. delle lettere, Ved. la pag. 5i , e 52 . ;5 quel
vaso dov’era, come appunto si vede in questa pittura. I centauri tratti
colà dall’odore del vino vennero in folla alla cantina del centauro Folo,
armati di grosse pietre, un de quali è qui rappresentato in dietro ad
Ercole in atto di scagliarliela ; e forse è Anchio, o Agrio che furono
uccisi da Ercole, perchè i primi ardirono d’entrare in quella caverna 1 .
Questa pittura con figure giallastre è inetà del suo originale. In
questo bassorilievo ravviso Paride, il quale mentre viveva oscuro ed
ignoto sul monte Ida tra i pastori, scendeva talvolta alla città di
Troia, ove segnalavasi in tutti i giuochi e combattimenti che vi si
facevano, ed in essi riportava la palma sopra ogni altro concorrente,
inclusive sopra Ettore e su gli altri suoi fratelli, che sdegnando d' esser
vinti da un ignoto pastore meditarono di assalirlo ed ucciderlo. Ma Paride
allora si dette a conoscere per loro fratello, e cosi fu salvo. Qui Paride è NUDO
COME SI COMPETE AD UN ATLETA, ed ha lunga palma sugli omeri, qual
vincitore in competenza coi fratelli che invidiosi lo guardano, e meditano la
di lui perdita, istigati a tanto misfattto dalle Furie infernali che loro
si fanno dappresso. Il ginocchio che Paride tiene sull’ara significala
protezione divina eh’egl’ implora da Venere, come ho detto altre volte a
, e 1 ’ ottiene; mentre Priamo suo padre, a cui si palesò, lo ristabilì
nel suo rango 3 . Il disegno è una terza parte dell’originale.Chi mai trovar
potrebbe in questo vaso un gusto greco? Anzi a rettamente parlare diremo
esservi un fare eh'è tutt'altro che greco.L’ornamento del piede partecipa
delle scannellature che sì frequenti ravvisiamo nelle opere dell'Egitto.
In ogni restante v'è una originalità singolare. I mostruosi animali a
bassorilie* vo che ne ornano il corpo son frequenti in questi vasi
chiusini di terra nera, ed io li tengo sempre per quelli animali caotici
che ad oggetto di rammentare la pili antica delle orientali cosmogonie ne
ornarono i sepolcri, di che ragionai anche altrove L La donna che serve
d'apice a! coperchio del vaso, in quanto al disegno non è molto dissimile
da quelle dipinte in giro nel vaso della Tav. LXXII, come ancora in
riguardo al costume dell’abbigliamento. Questo è dunque l’antico etrusco
stile, o l imitazione di esso, come resulta dal paragone della indicata pittura
pur trovata in Chiusi, ma di stile totalmente greco. Or s’io ripetessi qui
pure, come ho detto altrove 5 , che i Greci lavorarono vasi in Etruria, e
quindi anche i nazionali ma in uno stile del tutto differente, non ne
avrei forse in simili esempi le prove? Diodor. Sicul. Nonn, Dionis. intit.
l’Italia avanti il dominio de’Romani Monum elruschi, ser.[i,p. /{Q 3 i 4 ^ 5 ,
.Monum. etruschi ser. v, Tav. lx. 3 Ved.le mie Osser.sopra i
raonum.ant.uniti all’op. droni perfino del tuono, e del fulmine, i quali peri
loro sorprendenti, e terribili effetti , somministrarono in ogni tempo e in
ogni dove abbondante materia alla superstiziosa credulità dei popoli. Giammai
però, nè presso alcun’altra nazione, ebbe la scienza tonilruale,
efulguraria tanti cultori, come presso gli antichi Etruschi, nè mai se ne
fece altrove uno studio così costante, come nell’ Etruria propriamente
detta, e con successo così, favorevole. Ma i sacerdoti
etruschi, dopo avere immaginata una scienza profonda, e difficile, sui
tuoni e sui fulmini, trovarono ancora il modo di renderla terribile e
spaventevole al volgo della loro nazione. Imperocché, stabilita la
distinzione tra ifulmini di consiglio quelli di autorità e di decreto, tra i
postulatorii, i monitorii, i confermatorii', gli ausiliarii, gli ospitalieri,
ed i fallaci, i pestilenziali, i micidiali i minacciami, ed i reali, e simili,
ne fabbricarono ancora una spece di Diario, ossia Rituale. Del quale, per
darne una idea ai nostri lettori, ne riporteremo qui uno squarcio, tradotto in
italiano. Questo Rituale adunque, o Diario tonitruale, e locale
secondo la luna coni essi lo chiamavano, fu tratto, per quanto ne dicono
le tradizioni, parola per parola, da Publio Nigidio Figlilo, dagli
scritti sacri di Pagete ; Ed è riportato da Lidio nel suo libro dei prodigi al
cap. xxvu, pag. 101, dell edizione fattane a Parigi,per cura di Carlo Benedetto
Tinse. Ecco in qual maniera si esprime il sullodato autore, al
luogo citato, su tal proposito . Se egli è manifesto che gli antichi sapienti
etruschi prendessero in ogni disciplina augurale per guida la luna, poiché
secondo il corso di quella espongonsi qui appreso anche i segni
tonitruali, e fulgorarli, rettamente farà chiunque si sceglierà per duce in
questa scienza le stazioni lunari, Laonde quinci dal cancro, e quindi dal
novilunio, istituiremo la diurna cognizione dei tuoni, secondo i mesi
lunari. Dalla quale passavano i Tusci, o sacerdoti etruschi ad insegnare
le osservazioni locali, anche intorno ai luoghi percossi dal fulmine. E
pare che il principale di tut fi i collegi di questi Tusci risiedesse a
Fiesole, leggendosi in Silio Italico Adfuit et sacris interpres fulminis
alis, Faesula Incominciando poi il Diario, o Rituale
fulgurano, e tonitruale etrusco, dal primo giorno lunare del mese di giugno,
dice cosi. Se tuonerà nel'primo giorno della luna di giugno , vi sarei
abbondanza di biade, eccettuato l'orzo, ed i corpi umani saranno attaccati da
perniciosi morbi ; E se tuonerà nèl secondo, le donne partoriranno piu
facilmente, ma peri ranno le greggi, e vi sarà abbondanza di pesci. Tuon
andò poi nel terzo sara il caldo secchissimo per modo, che non solamente
gli asciutti prodotti della terra, resteranno inariditi, ma si abbruceranno
ancora gli umidi e i verdi. Laddove se tuonerà nel quarto, l’aria sarà
talmente coperta, di nubi, e sì piovosa, che le biade periranno per la
putrida umidità. Se tuonerà nel quinto giorno, sarà dinfausto presagio
alla campagna, e si turberanno tutti quelli, che presiedono ai villaggi, ed ai
piccoli castelli, e borghi ; Se nel RAGIONAMENTO Vili, E IX SULLA
SCIENZA TONITRUJLE, E FVLGURARIA DEGL’ETRUSCHI rpày.[x«Tcc re Fai
$u<rto> oyìav è?s7rovv;'7av ( oi Svpfavot ) sm' Aererò» 9 stai ra 7repe
t»jv xepavvosxomav sarà to*vt&>v àv.S'peomav e^et^yacavro. Diod.
Sic. B^ovrat xaS' v7rvous ayyèXwv èics Xòyot, Astrampsycb. de
Sonili. interp. F_Ja superstizione, il più funesto di tutti i flagelli
che affliggessero mai, in qualun¬ que regione, ed in qualunque età, Ì
umana specie, facendola gemere sotto il giogo più duro, e più pesante di
quanti ne seppero immaginare, e fabbricare, la tirannide più scaltra, e
il despotismo più sospettoso, mescolando ognora profanamente, per meglio
abbrutirla, ed opprimerla, il venerando nome di Dio, alle loro malvagità le
più enormi, fu sempre, e presso tutti i popoli della terra, il
maraviglioso ordigno, e l’efficace strumento, onde si valsero gli astuti, ed i
tristi, a danno dei semplici, e dei buoni, ed i potenti, é gl’ippocriti,
per dominare i deboli, e farsi giuoco dei creduli- Questa Furia
pertanto, esecranda, e crudele, la peggiore di quante ne racchiude nel
suo seno lInferno, che ha percorso sotto varie vestimenta, e con diverso
aspetto, tutta la superficie della terra, è quella che fece risuonare di
strani ululati , e di querule grida le selve di Marsiglia, pei riti sanguinari
di Teuta, le foreste di Norimberga, per quelli d'Irmensul le montagne della
Scandinavia, per placare l ira di Thor o la vendetta di Odino, e le
pianure della Perside, onde rendersi propizio Arimane; ed è pure quella
medesima, che tinse di umano sangue le rive di Aulide, e della Tauride,
fece scorrer vermigli itessalonìci torrenti, e quelli d Irlanda, accese gli
orrendi roghi di Lisbona, e di Spagna, desolò le Americane contrade, e coperse
in una sola notte la Francia intiera, di spavento e dì lutto. Questa Furia
spaventevole che prende tutte le forme, e che le varia poi in mille guise
secondo i climi diversi, ed atteggiandosi ancora nel percorrere in ogni
direzione la terra, secondo le differenti passioni, e la varia indole dei
popoli, ebbe anche presso gli antichi Etruschi, influenza grandissima, e
prepotente dominio. Nè avrebbe, potuto accadere diversamente in una
nazione, ove la casta sacerdotale, o i collegi dei Tusci, facevansi, come
in Egitto, e nelle Indie Orientali, una privativa dell istruzione, e di tutte
le cognizioni letterarie e scientifiche. Ora questa medesima
Erinni,invadendo l’antica Etruria, e facendone in cèrto modo suo nido,
signoreggiò in singoiar guisa gli spiriti dei nostri antenati, prevalendosi
anche presso di loro, di tutti gli strumenti opportuni al suo scopo. Laonde s
impa- Etr. Mus . Chius. 11 ri 0 8o o/o
dal fulmine aneli essi, come facevano i loro maestri. Quindi allorché esso
partiva dall' Oriente, ed avendo toccato leggermente alcuno, ritornava da
quella parte, era questo il segno di una perfetta felicità . Non traevasì
peraltro nessun augurio del fulmine, quandi esso altro non faceva che strepito.
Quelli poi che sembravano promettere lene , o male, erano presi per
contrassegni della protezione, o della collera di Dio. Laonde V erano
fulmini di cattivo augurio, dei quali potevasi peraltro allontanare il
presagio, come dipendeva dalla volontà degli uomini il procurarsi quello dei
fulmini di augurio favorevole , per mezzo di cerimonie religiose, e di offerte.
Ve n erano poi altri, di cui non era dato ai mortali di rimovere la minaccia,
per via di alcuna espiazione. Brasi introdotto pure fra i romani,
come insegnavasi in Etruria , che romoreg- giando il tuono dalla parte
destra, annunziava sempre qualche cosa di felice, e che era di funesto
presagio allorchéfacevasi sentire dalla parte sinistra. I luoghi colpiti
dal fulmine divenivano sacri anche pei Romani, come tali divenivano per gli
Etnischi, e non era più permesso d!impiegarli ad usi profani. J i s inalzavano
allora de¬ gli altari al dio Tonante, e gli Aruspici avevano cura di
consacrarli col sagrifizio di una pecora, dal cui nome venivano detti
bidentali. Anche gli alberi fulminati dovevano essere purificati, ed una certa
classe di sacerdoti delti strufertarii facevano in tale occorrenza un
sacrifizio colla pasta cotta sotto la cenere. Se dobbiamo prestar
fede a P ausonia gli abitanti della città di Seleucia adorano il fulmine, che
eglino riguardavano come la loro divinità suprema. Cantavano inni in suo
onore, ed il culto di esso era accompagnato da singolarissime cerimonie.
Ma è da credersi che il fulmine altro non fosse , se non se il simbolo di
Giove, che adoravano quegli idolatri come essendo il padrone degli Dei. Nella
Mitologia sono i ciclopi che fabbricano entro la fucina dell’Etna i fulmini al
padre degli Dei, e servivansi per comporli, e temprarli delle seguenti materie.
Mescolavano insieme i terribili lampi, lo strepito spaventevole, le
striscianti fiammé , lei collera di Giove s ed il terrore degli
uomini. Il fulmine però non era l’attributo esclusivo di Giove.
Nell’opera di Ralle intitolata Ricerche sul culto di Bacco, stampata a Parigi,
domo primo, si legge che Proserpina ingenerò Zagreo, cioè Bacco, colla testa
ornata di corna, il quale da se solo, e senza veruno esterno aiuto, s inalzò al
trono di suo padre, e trattò il fulmine colle mani ancora infantili. E
nella descrizione delle pietre incise del gabinetto Stoscliiano parla Winkelmann
di una corniola, rap presentante Bacco con diversi attributi, ed un
Satiro, ai piedi del quale vede si il ful¬ mine. Anche Luciano, e Nonno
panopolita, come pure molti monumenti antichi anno il fulmine per attributo a
Bacco. Tutte le grandi divinità del paganesimo hanno due caratteri distinti:
Luna generale, ed era quello del primo principio, dotato della forza, e
della potenza universale, e l’altro particolare, che ciascuna di quelle
divinità riceveva dalle funzio- , 7sesto s ingenererà un insetto nocino nelle
mature biade, e se nel settimo regneranno dei morbi, senza però che
ne molano molti, e le secche biade cresceranno, mentre s’inaridiranno le umide
e verdi. Tuonarldo nel giorno ottavo sarà annunzio di grandi piogge, e della
morte del frumento, nel nono significherà che dovranno perire le greggi
per l'incursione dei lupi, e nel decimo che vi saranno frequenti morti,
ma che tuttavia l'annata sarà fertile;Mentre se tuonerà nelVundecimo,
annunzierà innocenti calori, e letizia alla repubblica, e se nel duodecimo
accadeva lo stesso Quando tuona nel giorno decìmotèrzo, minaccia la rovina
di un uomo prepotente, nel decimoquarto, indica che l’aria sarà
eccessivamente calda, e non dimeno sarà lieto il provento delle biade, con gran
comodità di pesci fluviali, ma i corpi cadranno in languore; E se poi
tuonerà nel decimoquinto i volatili saranno affetti da incomodi nell
estate, e periranno le bestie natanti. Se nel decimo sesto giorno
tuonerà, non solamente minaccia diminuzione dell'annona, ma anche guerra, e
verrà tolto dimezzo un uomo floridissimo; Se tuonerà nel dectmo settimo,
vi saranno calori grandissimi, e mortalità di topi, di talpe e di locuste i E
non pertanto l’anno apporterà abbondanza e stragi al popolo romano.
Tuonan¬ do nel decimottavo , minaccia calamità ai frutti, nel decimonono
moriranno gli animali nocivi agli stessi frutti, e nel ventesimo minaccia
dissezioni al popolo romano. Quando tuona nel ventunesimo giorno, indica
penuria di vino, buon provento delie altre raccolte, e gran copia di pesci, nel
ventesimosecondo presagisce un calore dannoso, e nel ventesimoterzo
dichiara letizia, allontanamento di mali, e fine di morti. E così nel
ventesimoquarto annunzia abbondanza di tutte le cose, e nel ventesimo quinto
significa che vi saranno guerre, e mali innumerevoli. Finalmente se
tuonerà nel giorno vigesimo sesto, il freddo nuocerà alle biade, nel
vigesimo settimo, i primati della repubblica avranno da temere di andare
incontro a perigli per parte dei soldati, nel vigesimottavo, sarcivvi
libertà di biade, mentre tuonando nel vigesimonono, le cose della città
si troveranno in migliore stalo, e nel trentesimo, vi saranno per breve
spazio di tempo spesse morti. E così di tulli gli altri mesi. Allafine
poi dell’ultimo mese, a pag. i 55 viene osservato, che Nigidio oiu- dico
che questo Diario tonitruale, non fosse generale, ma per la sola città di
Roma. Nè ciò parra fuori di proposito , a chiunque facciasi a riflettere
che i sacerdoti etru¬ schi, erano solili vendere a caro prezzo la loro
scienza , a tutti quelli che ambivano di farne acquisto, e singolarmente
ai Romani, che ebbero cominciamento da u na ciurma di banditi d Etruria,
e ne divennero poi gli emuli, quindi i nemici, e finalmente i padroni, ed
oppressori. Impararono però ben presto anche i Romani a fare la
distinzione fra i fulmini lanciati il giorno, e quelli che lo erano nella
notte-, E credevano che partissero i primi dalla mano di Giove, ed i
secondi da quella di Summanno, la qual dottrina è tutta etnisca. Dopo questa
distinzione, non tardarono molto a trarre ogni sorta di presa- m
p. e. gl' Iotorti, i quali sono quelli che tracciano cadendo una linea
tortuosa, nei quali sono prima di tutto da ammirarsi,al dire di essi, la
loro natura, e la difficol¬ tà di contemplarli ; Ed aggiungevasi dai
medesimi libri, che non lutti producono i medesimi effetti, neppure
quelli che vengono formati, secondo loro, dall' aria, e dal concorso
delle nubi. E vi si trovano più altre osservazioni di questa, e di altra spe¬
cie, che sono pure riferite da Lidio a pag. 171, cap. 44 • Afferma
anche Arduino che i Tusci attribuivano a noveDei la facoltà di scagliare i
fulmini, e che ne distinguevano undici specie diverse j E per viepiù
persuadersi che eglino riguardavano come cosa di grande importanza la
scienza dei fulmini, leg¬ gasi anche Seneca, lib. 2.° cap. 32 , 33 , e
seguenti, delle questioni naturali, ov’ egli descrive prolissamente tutta
la lor dottrina, e tutta la loro scienza sui fulmini, ed anche intorno alla
divinazione per mezzo dei medesimi-. Lo che tocca pure CICERONE (si veda)
nel libro primo della divinazione. Censormo poi al capitolo xi, pag. 69 ,
De die natali, loda esso pure i libri rituali degli Etruschi. I
medesimi Etruschi avevano eziandio alcune singolari opinioni per impedire
che i fulmini cadessero in certi luoghi, piuttosto che in altri. E cosi,
leggiamo nei Geoponìci, o scrittori delle cose rustiche, che sotterrando in un
campo la pelle di un ippopotamo, ivi non cadrà il fulmine-, E nel lib.
8.°, cap. xi, è soggiun¬ to , con una sentenza di Zoroastro « affinchè nè
i tuoni nè i fulmini facciano svanire i vini » dopo di che si prosegue
cosi, Il ferro sovrapposto ai coperchi dei dogli , e delle botti,
allontana qualunque danno possano cagionare ai vini i fulmini, e i tuoni.
Osservazione la quale fa un poco ai calci colla buona fìsica, ma ciò non monta.
Co¬ si la spacciavano i Tusci ! Certuni poi vi sovrapponevano alcuni rami
di alloro , i quali dicevano essere giovevoli in ciò, per contrarietà di
natura, e qui avevano ragione. Nei suddetti libri sacri, e rituali dei Tusci,
incontratisi ancora altri nomi da ti ai fulmini, oltre quelli già
riferiti in questo ragionamento. Imperocché altri ne chia¬ marono Fumidi,
altri Candidi, altri Irruenti, ed altri Presteri,' E ciò dicevano essi di
aver istituito, perchè producono diversi effetti. Quindi soggiungevano che
gli Ardenti sono quelli che si dicono Presteri, e quelli senza fuoco son
chiamati Tifoni, laddove i più languidi son detti Enifie. Diconsi poi
Egide quelli che noi diremmo Prefratti, o rotti prima, i quali sono
portati da un igneo globo • Donde avviene che V etnisca tradizione, mette
le Egide intorno a Giove, quasi insinuando che l’aria è la causa cosi
della procella, come del fulmine, e della concussione del tuono. Quando il
fulmine romoreggiava fra il giorno, e la notte, solevano chiamarlo I ROMANI fulmen
prevorsum, e dietro gl’insegnamenti degli Etruschi attribuivanlo a Giove,
ed a Summanno. Gli Scandinavi, ed i Celti, abitanti delle parli settentrionali d’Europa,
credevano che i rimbombi dei tuoni fossero cagionati dai colpi di clava,
coi È cosa degna di osservazione il vedere che gli Scandinavi, ed
altri popoli del Setten¬ trione facessero essi pure uno studio
particolare sui fulmini , sui baleni, e sui tuoni, e che avessero formato
di ciò una scienza come gl’antichi Etruschi, giacche rAnnuani, alle quali
l'aveva ridotta il sistema del politeismo. Elleno ha per attributo il
fulmine, sotto il primo rapporto, ed è ciò che si ritrova presso tutte le
nazioni an¬ tiche. I libri degli Etruschi contenevano secondo PLINIO (si
veda), nove divinità che lanciavano i fulmini -,fEd attribuivano a Marte quelli
che producevano degl' incendii. Eravi a Milon in Egitto, un tempio
dedicato a Nettuno fulminante, per testimonianza di Ateneo, lib. 8.° E Sidonio
Apollinare chiama lo stesso Nettuno Giove Tridentifero, in questi
versi, Sacra Tridentiferi lovis hic armenta profundo
Pharnacis immergi! Genitor. Mentre Stazio nel primo libro dell'Achilleide, lo
chiama ii secondo Giove. Apollo vienne spesso rappresentato, secondo
Golzio, colle ale ed il fulmine j. E si vede su molte medaglie romane
colla testa coronata di lauro, ed il fulmine in mano. Sofocle nell’Edipo
Tiranno, J, e PLINIO (si veda), lib. x,
cap. 2. 0 , parlano pure di Marte fulminante, come si vede su diversi
monumenti antichi. Vulcano lanciava aneli’esso il fulmine, secondo
Virgilio, e Nonno nelle Dionisiache, ed alcune medaglie dell isola di Samo, lo
rappresentano cosi. Vedesi poi il Dio Pane col fulmine, su due piccole
figure romane in bronzo, e ne parla Ateneo nell ’undecitno libro dei
Dipnosofisti. Cibele si vede spesso rappresentata col fulmine, e lo
portavano pure Minerva, e Giunone. E quest’ultima era collocata a
Cartagine sopra un lione, tenendo il fulmine sulla destra, e lo scettro sulla
sinistra-, Mentre della prima dice Virgilio: Ipsa lovis rapidum
jaculata e nubibiis ignem. Finalmente lanciava il fulmine lo stesso
Amore, E questo Amore Kspmvofofos, cioè laudante il fulmine, è scolpito
sullo scudo di Alcibiade, secondo l’Epigramma dell’Antologia
greca. Molti poi sono i generi degli stessi fulmini. Insegnavano i Tusci,
e lo riferisce anche Plinio, che quelli i quali vengono asciutti, non
ardono, ma disperdono, e che gli umili non bruciano mainfoscano.Quindi ne
annoveravano un terzo genere,chiamato chiaro', i quali sono di una natura
veramente mirabile, imperocché asciugano , p. e. le botti, piene di vino
o di altro liquido, lasciandole intatte , e non iscorgendovisi alcun
vestigio per ove le abbiano vuotate . Di più, l’oro, l'argento, ed il bronzo,
vengono da tali fulmini liquefatti entro gli scrigni o nei sacchetti, ove suino
riposti, senza arderli in verun modo, e neppure abbronzargli, ed anche
senza guastare il sigillo di cera col quale siano stati chiusi. Si racconta che
Marcia principessa romana fu colpita da uno di questi fulmini, essendo gravida,
il quale uccise il feto che ella portava, ed essa poi sopravvisse senza
verun altro incommodo; E narrasi ancora nel prodigi Catilinarii del Municipio
Pompeiano,che Marco Erennio Decurione fu percosso da un fulmine in giorno
perfettamente sereno. Oltre questi generi di fulmini, ì libri dei
Tusci ne contenevano ancora altri, come, Etr. Mai. Chius. trar nel cielo:
opinioni uscite tutte quante dalle dipinture allegoriche delle antiche
rivoluzioni del nostro globo. I Brasiliani, ad ogni scoppio di tuono,
riguardano tremando il cielo, e sospirando ; E credono che sia il loro Agnian,
o lo spirito maligno, che minacci di percuoterli. Almeno cosi ci assicura il
viaggìator Cereal. In Circassia, i piartele tuona, escono gli abitanti
dai villaggi, e dalla città, e tutta la gioventù si mette, al dire di Tavernier
nei suoi viaggi, a ballare, e cantare in presenza dei vecchi. Le
quali danze, e le quali cantilene, se non furono funebri, o guerriere nel
loro principio, bisogna dire che la gioia di quei popoli sia fondata
sull' idea che il tuono sia di un felice presagio. Idea conforme ancor
questa a quella dei Persi, e di un gran numero di popoli antichi, ì quali
credevano che il fulmine rendesse sacro tuttocio che toccava-, E ciò
perchè presso i Magi era il fuoco temblèma della Divinità, conforme si
può vedere eruditamente provato dal Signor La [fide, nell opera da lui
composta sulla religione dei Persiani, cap. primo. Presso i
sunnominati Circassi, un uomo ucciso dal fulmine è giudicato avere ricevuto da
Dio un gran favore : E se il fulmine stesso è semplicemente caduto sulla
sua casa, egli e tutta la sua famiglia sono nutriti per un anno a spese del
pubblico. È opinione degli antichi idolatri, che Giove punisse, non già
con volgari ga- stighi, ma bensì fulminandoli, tutti gli spergiuri. E
però si legge in Aristofane, nh. w Si i z* tw-wtmSt ~ h cioè « Imperocché
Giove scaglia questo fulmine vera¬ mente mirabile, contro gli spergiuri .
Ad onta però di queste popolari credenze, non mancavano tuttavìa di
quelli, che le schernivano, e se ne ridevano di tutti i volgari ti¬ mori
. Difatti Luciano, nel Timone, riprendendo timprudenza di alcuni uomini,
che spergiuravano in dispregio dei Numi, subindicò il timore del fulmine
dìcen o che que sta specie di mortali , temono più una lucerna spenta ,
che la caduta di uri fulmine , e di esserne colpiti. s™» w » «cuy»:.
™ ™ 5 T0= «fawoo vale a dire: pertanto alcuni di quelli che spergiurano,
temerebbe piuttosto una lucerna spenta, che Infiamma di quel
fulmine domatore di tutte le cose. I Romani , che al dire di
Cicerone, presero auspicia et sacra ab Ltruscis, e secondo Valerio Massimo
derivarono tutti i semi della religione dall Etruria, e noi aggiungeremo
francamente, anche ogni demento di civiltà , fecero passare un gran
numero di etruschi Numi a Roma . Quindi provano con buone ragioni, ed autorità
. il Dempstero, ed il Gori, che erano presso che infinite le divinità
adorate dai nostri maggiori, e che la più gran parte presero domicilio in
Roma. Laonde chiameremo temerarie, e stolte le critiche mosse da alcuni
Archeologi più moderni, contro quei te alla prima percossa che hanno dal
fulmime, non dispiacerà ai nasini lettori il vedere mescle nessuno animale è
arso, o acceso dal te qui a confronto le supersituom tomtrual, r7P
f u l vararle desìi Scandinavi, ed altri setten- fulmine, se non e
morto, e simili. ejiu 0 uiun 5 t j ] , . t j’ /-.p trionali con
Quelle desìi cinlichi Etruschi sui' Lasciando ora da parte quanto siano
tali os• inori un / & servazioni consentanee alla buona fìsica
, 1 ° stesso proposito» quali il loro Dio Thor percuoteva ì Giganti. Il
qual linguaggio è lo stesso che quel¬ lo dei moderni Persiani, i quali
credono che le stelle cadenti siano colpi di fulmini, che gli Angioli
scagliano nelle altre regioni, contro i Demoni, che si forzano di rieririo
tonitruale di quelli , ha molta somiglian za col Diario fulgorale, e tonitruale
di questi. Si legge infatti in Olao Magno, lib. i, cap. 3i della sua
storia delle genti, e della natura delle cose settentriouali , cne i
tuoni di gennaio significano che i venti soffieranno con mag gior
gagliardia del solito, e che sorgeranno le biade più dritte , e grandi. Quelli
di febbraio annunziano una grande mortalità e singolarmente di
quelli che vivono nella delizia. E quelli di Marzo indicano gagliardi
venti , e che vi dev’essere gran fertilità in quell anno , e
straordinario strepito nei giudizii . Indicano i tuoni di
aprile che cadrà una pioggia conveniente elle biade 9 e che la campagna sara
abbondante in tutto il corso del¬ l'anno, mentre quelli di maggio
significano tutto il contrario, cioè, penuria di biade, ed una
formidabile carestia di tutte le cose. Presagiscono poi quelli di giugno
una piu abbondante fertilità, benché predi cono al tempo stesso
infermità spaventevoli. 1 tuoni di luglio annunziano abbondanza
di frumenti , ma distruzione di legumi 9 e di frutti . Predicono
quelli di agosto che gli uomini converseranno pacificamente fra toro 9 ma
vi saranno malattie pericolose 9 E quelli di settembre denotano fertilità
in quelIalino, nel quale però sovrastano guerra, sedizioni, e morti
. 1 tuoni di ottobre sono qualificati coll’epiteto di portentosi,
perche indicano grandi tem peste in mare, ed in terra ; quelli di
novembre, benché raramente tuona in tal mese, promettono fertilità
nell'anno seguente. E quelli finalmente di dicembre significano
abbondanza di tutte le cose , ed una gioconda conversazione degli uomini fra
loro. Altre osservazioni dei settentrionali sui fulmini , sui lampi, e sui
tuoni portano quanto segue. Quando nell’estate per esempio, tuona
più che non lampeggia, significa dover soffiar venti da quella parte, e per lo
contrario se balena più che non tuona, deve cader molta
pioggia. Quando lampeggia essendo il cielo sereno, vuol dire che vi
saranno pioggie , e tuoni 9 e farà un tempo da inverno E tali cose poi
saranno gravissime, ed atrocissime quando questi lampi , e questi tuoni
verranno da tutte le parti del cielo. Ma se balenerà soltanto dalla
parte ciV Aquilone indicherà pioggia nel giorno seguente j E se i
lampi verranno dal punto preciso del Settentrione 9 soffieranno venti.
Lampeggiando dalla, parte di Austro , di Coro 9 o f avonio , essendo
serena la notte , significherà che devono venir pioggie, e venti da quelle
medesime parti. Dicevano ancora i settentrionali, che i tuoni
che scoppiano la mattina di buonora annunziano venti e quelli che si
sentono nel mezzogiorno predicono una grossa pioggia . Aggiungevano poi
essere imjjortantissimo il sapere da qua! parte vengono i fulmini , e
dove si dirigono. Imperocché sono crudelissimi quelli che partendosi dal
settentrione vanno verso l Occaso , e sono di ottima natura quando ritornano
finalmente a quelle parti dalle quali sono venuti, perche quando
vengono da quella parte del cielo d’ond’ebbero origine, e poi ritornano
alla medesima, presagiscono allora una somma felicità da quella parte di mondo
9 rimanendo però infelici tutte le altre. E finalmente altre curiose
osservazioni aggiungevano intorno a quest’articolo , come, che la notte
piu che il giorno lampeggia senza tuoni , che la natura ha dato il privilegio al-
l’ uomo di essere rare volle ucciso dal fulmine, e che se questo accade
talvolta , è assai più conveniente, e pietoso ufficio il sotterrare quel morto
, che il bruciarlo. Che te ferite dei fulmini sono più fredde che
tutte le altre, che le bestie moiono istantaneamen- parla CICERONE
(si veda) nel primo della divinazione, nè fa diuopo osservare il diverso
inalzarsi della fiamma, o lo scrosciar della medesima, nè lo scoppiettar dell
incenso, delle quali cose scrisse, secondo Stazio, un tal Tiresia, famosissimo
augure etrusco. J\è occorre tampoco far menzione, per esaltare Tetnisca
sapienza, di ciò che osserva fra gli altri Seneca, Uh. n, cap. 4 1 delle
quistioni naturali, circa l avere i medesimi fatta anche la distinzione
tra i fulmini prodotti nelle nubi, é nell'aria, d onde scendevano in terra, e
quelli che prodotti nella terra slanciavansi in alto, e verso le nubi
medesime, giacché queste, e molte altre simili cose trovansi narrate, e
raccolte da vari autori. Ma non sono però da passarsi sotto
silenzio alcune memorie di PLINIO, ove narra distesamente in due capitoli, le
opinioni degli Etruschi, appoggiate ad una ragionevole fiolosofia, circa
lessenza, o la natura, e circa le diverse specie di fulmini da essi
distinte. Conferma ivi quel sapientissimo scrittore ciò che abbiamo qui
sopra accennato, che vengono cioè i fulmini, tanto dalle nubi, quanto
dalla terra, ed assicura aneli esso, che trovavansi negli scritti etruschi,
nove, o più probabilmente undici specie di fulmini, delle quali ì Romani
loro figli, e discepoli, non ne avevano osservate, e mantenute che due.
Il che viene a confermare sempre piu il detto di Cicerone, che quei
superbi conquistatori, ed oppressori del mondo, ebbero dagli Etruschi non
solamente lorigine, ed i riti religiosi, tutti quanti ne usarono mai, ma
eziandio la civiltà. Egli osserva pertanto particolarmente, la diversa
natura, e diversi singolarissimi effetti dei fulmini, che dal cielo
provengono, e di quelli che dalla terra sono prodotti-, ed avverte ad un
tempo, che queste osservazioni furono trasportate, e trascritte negli
annali romani, aggiungendo inoltre che vi erano pure le maniere ed i riti per
chiamare i fulmini, ed impetrarli dal cielo, come fece forse Porsernia, che con
un fulmine così ottenuto, ed accompagnato da un mostro chiamato Volta,
devastò, come dicono, le campagne dei Volsinii. Ei dice di più, che in
questa scienza era dottissimo Numa Pompilio, e che avendolo poco bene imitato
Tulio Ostilio , fu arso da un fulmine-, E che per questo fra i diversi nomi che
per l'etnisca disciplina furono dati a Giove, di Statore, di Tonante ,
Feretrio, e simili, s'incontra pure quello di Elido, o Evocatore. E
finalmente che si prevedono in tal guisa le cose future, benché sia temerità il
credere, che si possa comandare alla natura, o sforzarla . Il medesimo
autore osserva poi, come il baleno sia piu veloce del fulmine , e del
tuono , e come perciò il fulmine stesso debbasi prima vedere, che
udire. Circa le qiiali osservazioni di Plinio intorno alla scienza tonitruale,
e fuigurari a degl’Etruschi, vi sarebbero da fare molte fisiche
riflessioni, se l indole dell opera per la quale sono scritti questi
ragionamenti, lo comportasse. E sul proposito di questa scienza
etrusca, nella quale dice il sullodato Plinio essere stato peritissimo il
re ISuma, ascoltisi anche Ino Livio, lib.t, il quale lo chiama non
solamente dotto nelle arti peregrine, ma eziandio nella tetrica , e
trista due dottissimi scrittori; Colle quali critiche pretendono di
negare, che per esempio , un tal Nume, non abbia potuto aver culto in Etruria,
perchè si cede adorato net Lazio, ed m Roma ,; Avvegnaché dovrebbe
piuttosto aver luogo la congettura contraria, come saviamente rifletteva il
sapientissimo Guarnacci. Imperocché, dovrebbe dedursi che se una tale divinità
si vede adorata in Roma e nel Lazio, è ben ragionevole il credere, che
abbia prima avuto culto in Etruria- quando si voglia riflettere, che una
colonia etrusca erano i Latini, e che lo stesso fondatore dell Eterna
Città, coi suoi primi abitanti, non furono altro come anche altrove
accennammo, che una banda di fuorusciti Etruschi. c he se poi igrecomani,
sottilizzando, ed ostinandosi ognora più a volere irrefragabili prove, e quasi
ancora la fede di battesimo, come diceva il prelodato Guarnac- ci, che un
tale idolo, od un tal monumento qualunque, sia veramente etrusco, e non
greco, nè romano ; Oltre che si può risponder loro che queste prove intrinseche
, non le hanno d’ordinario neppure le cose veramente greche, e romane, e che
l'anti¬ quaria iti genere si aggira sulle asserzioni degli antichi
autori, i quali ci hanno lasciato scritto, dove i vani Numi, e i diversi riti
abbiano avuto l’originario loro culto, Si può ad essi aggiungere ancora
che ve una probabilità, la quale confina colla certezza, che dove un si gran
numero d’idoli, di vasi ed altri monumenti di ogni maniera, sono stati trovati,
siano stati pur lavorati. Ed essendo imedesimi stati dissotter¬ rati
negli scavi etruschi, ed indicando una grandissima antichità, e mollo
superiore alla civiltà greca, e romana , è irragionevole , ed assurdo il
credere, che i soli Greci , e romani li abbiano dappertutto disseminati.
Ed anche a ciò che dice il chiarissimo signor Vermigliali, il qlude
pretende (. E roga ime di Admeto e di Alceste) che i monumenti italici
più sono antichi, e più grecizzino, ed al contrario latineggino
maggiormente, quanto più si avvicinano all epoca del dominio romano in
Etruria, come pure che gl’itali antichi spesso aspicassero, si può rispondere cosa
che sarà di scandalo agli Archeologi pedanti i quali non sanno, o non
vogliono trarsi fuori della traccia segnata dai loro predecessori abbiano essi
fatto bene o male. Ed è questa : ,o,m , ere l e osservazioni del
sullodato filologo perugino, perchè la lingua greca è figlia della
vetustissima etnisca in quanto alle sue radicali, benché ne differisca
grandemente nelle inflesStoni, édi Greci sono scolari degli antichi Etruschi,
ossiano Pelasghi Tirreni, indigeni d Italia, i quali andarono in remotissima
età a colonizzare , e popolare la Tracia eia Grecia, come m altro ragionamento
accennammo . In quanto poi alle aspirazioni degl Itali antichi, procedono
queste dall’orientalismo, che ridonda in ogni dove in Italia, e che vi fu
introdotto in tempi da noi oltremodo lontani da una colonia orientale,
coi primi elementi della civiltà, come pure asserimmo nel quarto di ave
Sti ragionamenti medesimi. Ma torniamo ai fulmini ed ai tuoni. Non occorre
citar qui i libri fatali degl’etruschi , ricordati da Livio, hi. V, nè i
fulgorali, e gli aruspici, dei quali j3 Etr. Mus . Chius. Tom.
J, Chi mai oserebbe di qualificare l’avvenimento qui espresso, non
vedendovisi che due militari pronti alle difese e alle offese, senza
ravvisarvi ne 1 inimico, ne oggetto veruno che sia motivo di questa loro
disposizione al combattimento? Ma siccome questa pittura è nel mezzo
d’una tazza, intorno alla quale sono altre figure giallastre, come
questa, in fondo nero, così tenteremo di trarre da quellequalche
argomento a cognizione di questa. Un corpo esanime steso al suolo,
presso cui stanno alcuni combattenti che ne scacciano altri in costume
diverso, mi richiama alla mente l’avvenimento del corpo di Patroclo,
contrastato fra i Greci e i Troiani,e finalmente ottenuto da quelli
coll’espulsione di questi. Non vi sono caratteristiche assolutamente variate
tra combattenti e combattenti, a dichiarar Greci gli uni, e Troiani gli
altri,ma pure la totale nudità dei primi li fa credere eroi,che la Grecia
rappresentar suole in tal guisa 2 ;mentre gli altri tre hanno in testa un
berretto: uso asiatico e particolarmente dei Frigi 3 .Hanno essi pure
nella clamide che indossano un segno d'abbigliamento, che raramente onon mai
trascurasi nelle figure asiatiche, per quanto io abbia nei monumenti antichi
osservato. L'uomo steso al suolo qual corpo morto, è altresì nudo del
tutto, e inconseguenza spettante ai Greci, cqme difatti era Patroclo il
caro amico di Achille, che fu ucciso in guerra da Ettore, secondo Omero l
. Probabilmente anche i due guerrieri dipinti nel mezzo della patera, e
che vedemmo nella tavola antecedente,son due Greci alla custodia e difesa del
corpo di Patroclo, ch'è dipinto nel fregio della tazza medesima. Infatti
essi vedonsi ARMATI, MA NUDI, giusta il costume greco eroico, siccome dicemmo.
Qui le figure son ridotte un terzo più piccole di quelle che vedonsi
nella tazza originale, ove sono di color giallastro in fondo nero.
Qualora mi si conceda esser probabile la interpetrazione dell’antecedente
rappresentanza della morte di PATROCLO, e del contrasto tra i Greci e i
Troiani, per ottenerne il cadavere, non mi sarà negata fiducia nella
supposizione eh'io son per proporre, che in questa pittura, la qual fa
seguito all’antecedente, vi siano espressi gli o- nori funebri che furon
resi dall’amico Achille a quell’estinto eroe, e particolari Galleria oraer.
Iliade, Voi. 11 , Tavole cxcix , 3 loghirami, MoDum. etr. ser. 11 , p.
45°- cc, cci, ccn. -
a Plot., Vii. Alexand. I? disciplina de vecchi Sabini ( che
erano Etruschi ), di che non vi è stata mai veruna cosa piu incorrotta, e
veneranda. E dicendo che lo stesso Numa era dotto anche nei liti
peregrini, si deve intender qui di quelli di Samotracia, che erano i idrici , e
tri- sti dei Pelasghi, Tirreni, Etruschi ancor essi, come altrove dicemmo
, e lo abbiamo ripetuto pocanzi; E che i Romani riguardavano come
peregrini, perchè tali erano divenuti per loro, essendo in tempi da essi
lontani, passati dagli Etruschi ai Samotraci . La scienza dei quali
riti possedè Porsenna, e molto prima di lui anche Dardano, il quale
portossi in Samotracia pel solo oggetto di conferire con quei sacerdoti, e
per introdurre poi in Troia una religione del tutto ponforme a quella dei
suoi antenati, che era l Etnisca. E si noti, che il medesimo Livio, e
tutti gli antichi scrittori ci fanno sapere che il più volte nominalo
Numa Pompilio fu religiosissimo, e propagatore in Roma di ogni pia istituzione
; Ove non altro ei propagò certamente, che riti etruschi. Ed ecco
una erudita chiacchierata sulla scienza tonitruale, e fulguraria degli
Etruschi. La quale potrebbesi ancora condurre più a lungo, ed arricchire di più
altre peregrine notizie su questa recondita disciplina, se non fosse il già
detto più che abbastanza pel nostro scopo. Ma come e quando mai, e per
quale sovrumana potenza , andarono a mancare queste, e tante altre
superstizioni, stabilite , ed inveterate nel mondo, radicatissime nei
cuori degli uomini, e venerate, e temute in tutte le regioni della terra aliar
conosciute? In qual modo cessarono i terrori e la paura, onde avevano
saputo gli antichi sacerdoti, di concerto sempre cui Despoti, invadere
gli spiriti dei mortali, tenuti ognora da essi, a bello studio nella
cecità, nel timore e nella più profonda ignoranza con mille misteriose ambagi,
e con mille disperate minac¬ ce? Scomparvero tutte queste tenebre, e
caddero tutti questi arcani e portentosi ordigni, al comparire della luce
Evangelica. Al comparire di quella legge, t unica fra quante ne vide
l'universo, che introducesse la vera libertà, e la vera eguaglianza fra
gli uomini. Al comparire di quella legge in somma, che mette, davanti a
Dio, a livello del più temuto tiranno, e del più potente monarca, anche
il più infimo del popolo. In urna di marmo LI. : flnoai ;
qflj J3 : M : 43 un. fm \iflj : miai : janavi : armo
LIV. : iaruv/Hflm ; f\nn o Nell’orlo d’un vaso
cinerario di terra cotta LV, mtvfl Jtiat v/rji 9° È questo
idoletto in piccolo, quello che dissi esser l'altro, rappresentato più in
grande, e con alquanta varietà nelle Tavole XLIX, e LXVII di questa raccolta,
essendo il presente di grandezza simile al suo originale. Ma la di lui
piccolezza, e 1 non esser vuoto, non permette che si riconosca per un
cinerario, sicché fu tenuto soltanto pel nume che riceve, abbraccia e protegge
gli estinti, che nati dalla materia terrestre tornano dopo la morte in
seno alla terra, o per meglio dire alla natura mondiale, della quale
Bacco era il nume tutelare. E poiché mi si dice che piu d uno di tali
idoletti si trovarono in uno stesso sepolcro, da ciò argomento che
speciale fu nel sepolto la venerazione pel nume da questa immagine
rappresentato. Si vede un fregio in bassorilievo che ricorre in giro in un
vaso dei consueti chiusini di terra nera, e non v’è differenza in misura tra
l’originale e la copia. Il significato mi sembra lo stesso dei precedenti
lavori di simil genere. Vedo ancor qui come altrove la Chimera, e credo che
l’oggetto sostenuto in mano dagli uomini sia, come nei calendari egiziani, lo
Scorpione sidereo. Aoterò di passaggio a tal proposito che il famoso torso
egiziano in basalto, che un tempo fu del card. Borgia, pubblicato dal eh.
Lenoir alla Tavola VI del forno [, num. g si vede come qui una figura con
Io Scorpione tenuto per la coda, e dietro a se v’è parimente il leone con la
coda che termina in un serpe, e con la Capra sul dorso, nè spiegasi
differentemente che pei segni delle celesti costellazioni. Si vuol
peraltro che nella Capra sopra del Leone si ravvisi il trionfo del
Capricorno sopra il Leone, e probabilmente i due serpen¬ ti che nel
nostro bassorilievo si manifestano, saranno quei che dominano il cie¬ lo
nel tempo dell'indicato trionfo. A tal proposito, gli astronomi osservano,
che mentre il Capricorno comparisce al nostro Zenith, la Vergine si
mostra sotto il segno dello Scorpione , o del domicilio di Marte 3 : e
difatti sì nel monumento chiusino, che nell'egiziano comparisce una
figura che ha in mano uno scorpione, se non che nell'egiziano si mostra
femminile quella figura, che qui per la sua nudità, par eh esser debba
maschile, ma ciò non si manifesta con sufficiente chiarezza. Che i cavalli
abbian luogo in simile rappresentanza relativamente ai Cavalli siderei, già me
n espressi altrove abbastanza,, ove mostrai principalmente essere il cavallo
sidereo un paranatellone del levare eliaco dello Scorpione J .Lettere di
etnisca erudizione. 1 Lenoir, Nouvelle explic. des hieroglyphes a ivi.
Tom.i, p. io4- % mente il giuoco del pugilato col cesto, che
Omero 1 * pone il secondo tra gli spettacoli dati in onore di Patroclo
nel di lui funerale. Nei vasi, che negli annali dell’istituto di
corrispondenza archeologica si dicono panatenaici, vedonsi a lato dei
combattenti, col cesto come qui, degli uomini coperti d'un manto con
braccio scoperto, e dall'in- terpetre attamente chiamati rabdofori 3 , i
quali assistendo a quel giuoco hanno in mano una verga biforcata,
similissima a questa dei presenti i . Le due ultime nude figure una
soccombente all’altra prevalente, ancorché senza cesti alle mani, mostrano che
i pittori aggiungevan talvolta delle figure e dei gruppi a capriccio, ad
oggetto d'empir lo spazio che doveasi dipingere. Se però consultiamo i più
moderni sentimenti degli archeologi, troveremo-ammessa pure l’ipotesi, che una
figura umana stesa per terra presso alcuni combattenti, ascrivere si debba,
unicamente ad alcuno dei contrasti gimnici, senza ricorrere al particolare
avvenimento di Patroclo per isvilupparne il significato. Un sacerdote di BACCO ed
una Menade con dei vasi libatori formano il soggetto di questa pittura, e son
frequentissimi quanto altri mai nei vasi fittili dipinti , onde potremo
giustamente ripetere col Lanzi che di cento vasi tornati a luce, novanta
contengono soggetti bacchici. È singolare il tirso eh’ entrambe le figure
sostengono, mentre ha un'armilla che nei tirsi non è comune, ma nemmeno del
tutto insolita, senza che per altro s’intenda qual n'era l'oggetto.
Nell’oscurità di questo soggetto non altro saprei ravvisarvi che il celebre
gre¬ co Capaneo estinto sotto le mura di Tebe. Altrove pure narrai come
questi van- tavasi che avrebbe presa Tebe, volesse Giove o non volesse,
ma provocati gli Dei con tali bestemmie, ne accadde che mentre il primo
dava la scalata, Giove non lasciò compier l’impresa, e con un fulmine Io
precipitò dalla scala e lo uccise 6 . Or io noto che qui si vede una
scala squarciata dal fulmine, un uomo rovescia¬ to che dall’alto cade a
terra, e dietro a lui le mura forse di Tebe, dove stanno alla guardia
militari tebani. Le altre figure si possono intendere pel restante del¬
l’esercito, eh’è spaventato, e stramazzato a terra per lo spavento del
fulmine. L'urna in marmo è cinque volte maggiore di questo disegno.
i Iliad. a Galleria omerica Iliade Tom. u, p. 18*. 3 Voi. n,
p. 218. 4 Ivi, lav. xxi, io, 6. xxu, 8. 6. 5 Gerhard,
Annali dell’istituto di corrispondenza ardi. Monumenti etr. ser. i, Tav.
, e altrove, mentre altri sono come il presente eseguiti in forma di vasi
con capricciosi ornamenti, rivestiti per lo piu da fogliami, e con iscrizioni
latine, come pur qui si legge, indicando il nome di Lucio Aulo Carino. Io
stesso nella mia dimora in Chiusi vidi molti monumenti e rottami di essi, di
stile greco e romano e bellissimi. Nell’interno d’ una tazza
di terra verniciata in nero, si vedono queste due figure di color
giallastro; e sono, per quanto mi sembra, d'uno .stile perfettamente simile a
gran parte di quelle pitture monocromate dei vasi italo-greci. Vi si
rappresenta un suonatore con cetra e plettro , in atto di attendere dalla
Vittoria il premio del suo valore, e credo che ciò alluda ai pregi morali
dell’ani- ma, che negli estinti son premiati nella vita futura; e perciò
soggetti simili ed analoghi a questo si trovano frequentemente dipinti
nei monumenti che pone- vansi nei sepolcri, ma ora corrono altre
opinioni. Se aver vogliamo un esatto conto d’ogni figura eh’è in
quest’ urna di mar¬ ino, il cui disegno qui è un ottava parte del suo
originale, non saprei se potessimo riescirvi con plausibile disimpegno. Ma se
consideriamo che gli artisti obbligati a trattare nelle opere loro un qualche
mitologico soggetto, eran poi costret¬ ti ad ornarne tutto lo spazio del
marmo che formava il primario lato dell’urna sepolcrale, ancorché il
soggetto da loro scelto non richiedesse tante figure, quante ne
occorrevano ad ornare lo spazio determinato, noi troveremo irreprensibile
lo artista che abbonda in figure, ancorché non richieste dal soggetto che
tratta, co¬ me ne somministra un esempio assai chiaro il bassorilievo di
questa Tavola. Io vi ravviso Ulisse in atto di adoprare il suo arco, il
qual potea dalle sole sue mani esser teso, ed uccide i proci di sua moglie
Penelope, i quali dilapidavano le di lui sostanze. Egli ha un berretto appuntato,
eh’ è la consueta causia che lo distingue come famoso viaggiatore del mare ’.
Sta con un ginocchio sull’ara, mostrandosi protetto dai numi 3 nella difficile
impresa d’esterminare egli solo coll'aiu¬ to del figlio Telemaco i tanti
suoi nemici. La colonnetta sulla quale solevansi tener degli idoli
domestici, mostra ch’egli è già penetrato nell'interno della sua casa,
mentre le colonne doriche vedute nella parte opposta danno indizio che lo
avvenimento accade nella sua reggia. La forza ch’egli mostra di fare col
braccio destro per tendere un arco, fa ben ravvisare ch’ei solo poteva
piegarlo a forza. i Inghirami, Monum. etr. ser. 1Ì1, p. 19. %
Ved. p. 6i, e sq. e Monum. etr. Qui si mostra nuovamente un ago, o spillo
crinale in oro di un lavoro de¬ licatissimo, considerando che nel suo
capo segnato num. 1, della misura stessa di questo disegno, vi è il
lavoro che portato in grande, si vede al min. 2 , il cui ornato è di
semplice bizzarrìa. Il monumento di numero 3 si rende assai singolare,
per essere una di quelle solite fermezze che in luogo d esser di bron¬
zo, come se ne trovano a centinaia, è doro, e rarissima. Si è creduto da taluno
che queste fermezze servissero a chiudere il cadavere nel lenzuolo d
amianto dove bruciavasi, ed in tal guisa è stata trovata ragionevole
l'indifferenza che tali fermezze siano in maggiore o minor numero in un
sepolcro; e se questo è, noi reputeremo più che altri opulente il morto
presso al quale è stata trovata questa fermezza d’oro. Il numero 4 è similmente
d’oro, e credesi frammento d'una collana . II pregio di questo monumento
consistendo principalmente nella iscrizione dalla quale è circondato,
così attenderemo di conoscerne 1 interpetrazione per ope¬ ra del
cultissimo Vermiglioli che unitamente alle altre del Museo chiusino, ce le
piepara per darcele tutte di seguito in quest’ opera stessa. I
Centauri, che nel calendario del gentilesimo, servirono a notare il tempo
d’autunno, in cui celebravasi coi misteri la commemorazione dei morti -,
hanno servito altresì d'ornamento adattato alle lor cassette cinerarie,
come qui si ve¬ de, figurandovi uno di tali mostri che avendo rapita una
delle donne invitate alle nozze d’Ippodamia la difende dai Lapiti, che
vogliono rivendicarla. II disegno del vaso che qui presentasi la metà più
piccolo del suo originale in marmo statuario,ci fa sicuri che in Chiusi,
dove stato trovato, fiorirono due scuole assai diverse di scultura; funa
etnisca, 1 altra romana, giacche si trovano recipienti eseguiti per l’uso
medesimo di riporre ceneri di umani cadaveri, gli uni in forma
quadrangolare a modo di cassetta, con bassirilievi di figure e con etiu-
sche iscrizioni, come ne abbiamo fatti vedere in quest opera alle Tavole, 1
Inghiraroi, Mommi, etr. - Sa mai v’ha luogo all’interpetrazione di
queste due statuette di bronzo num, i e 2, i cui disegni sono grandi
quanto i loro originali, potrei avventurare che 1 una di a. i fosse
d’Apollo laureato in fronte e con tazza in mano, comesi vede altrove nei
vasi dipinti 'ri’altra n. 2. diMercurio conpetasoin testa,sostenendo con la
sinistra ma¬ no una sacca o borsa ,ch’è propria di questo nume, come
tutelare del commercio. La corniola che qui mostriamo al num. 3 , ci fa
istruiti quanto dagli antichi fosse apprezzato il gruppo delle tre Grazie,
che vediamo ripetuto in un modo medesimo in tanti luoghi e in tanti tempi
diversi. La dimensione della pietra è misurata dall'ellisse num. Fu posto
in ridicolo il Gori celebre antiquario di cose etrusche, perchè fatti disegnare
una quantità d’idoletti in bronzo che si conservano nella R- Galle¬ ria
di Firenze i * 3 , pretese dare a tutti loro un nome speciale , formandone
una serie di etrusche divinità senza rammentarsi che soggiogati gli
Etruschi, signo reggiarono i Romani in questo nostro paese, ove introdussero
colle lor colonie artisti e culti sacri tutti lor propri. Perch' io vada
esente da simil taccia non mi costringa l'osservatore a dare un nome
all’idoletto di bronzo che i sig." editori del Museo chiusino han posto al
num. ì, 2 della Tavola C, che nel disegno trasmessomi per la incisione trovo
notato esser della grandezza medesima dell'originale come pure l’altro di
num. 3 .È grave danno per la scienza antiquaria che dai collettori di antichi
monumenti non facciasi caso nessuno della maniera come questi si trovano
sotterrati, dal che non pochi lumi trar si potrebbero per la storia
dell’arte, non men che dei riti sacri presso gli antichi. N’è prova la
figura che trovo disegnata al num. 3 di questa Tav., mentre si scorge di
un arcaico stile ben diverso da quello che spet¬ ta alla figura superiore
. Or se questi idoletti furon sepolti promiscuamente fra loro in un
sepolcro medesimo, potremo frale supposizioni lecite ammettere che la
figura di num. 3 sia eseguita ad imitazione dell’ antico stile , e
contempora¬ neamente all'altra modellata certamente quando nell'arte era
noto uno stile assai più perfetto . Dopo varie mie riflessioni sul
significato di queste donne che in piccol bronzo trovansi frequenti negli
scavi d’Etruria, restai perplesso nelle due i Tishbein, Pittare
de’ Vasi antichi posseduti dal cav. Hamilton. Tom. i, Tav. 8, 9
.Visconti, Museo Pio dementino Voi. 1, Tav. r. 3 Museum etr.
exhiben» insigne veterum Etruscorum monumenta aereis tabulis cc, edita et
illustrata .4 Maffei, Osservazioni letter L uomo già rovesciato per terra, che
vedasi nel sinistro Iato dell’urna rispetto al riguardante, fa conoscere
già incorniciata la carnificina dei proci. 11 giovine che vibra la
bipenne sopra un armato può significar Telemaco, il quale si presta in
aiuto del padre alla strage di quei malvagi. La Furia infernale tra le
colonne della reggia attamente manifesta il terrore di sì lugubre azione
che scompiglia la casa reale d’Ulisse.I due combattenti al sinistro
fianco di quell’eroe son figure, a mio credere, arbitrariamente dall'artista
introdotte ad empire un vuoto che restava senz’esse nel suo bassorilievo,
come ho detto poc’anzi, ed anche in occa¬ sione di spiegar la
Tavola. Mi sia permesso di rimettere ad altro miglior Edipo, ch’io
non sono, d’in- terpetrare qual fosse l’intenzione degli antichi Gentili
nel rappresentare questo , come pure mill’ altri idoletti di bronzo, che
trovansi nello scoprire antichi sepolcri. Io posso dire soltanto essermi noto
che innumerabili erano gl’idoli dagli antichi tenuti nei larari come
dissi poc’anzi . Ma non so poi quel che significhino gran parte di essi, come
il presente, nè per quali superstizioni passassero nei sepolcri, qualora non
sieno stati considerati che per semplici bronzi atti a dissipare i maleficii 2
. L’Arpocrate fanciullo inetto e silente, perchè non compiutamente ben
forma¬ to, significativo del sole ibernale, è il soggetto che in questa
piccola statuetta uguale al suo originale in bronzo si rappresenta. Fu
antichissimo in Egitto, e ne conserva nel fior di loto, che ha in capo,
il segnale, ma introdotto a’tempi de’To- lomei fra i Greci e fra i Romani
formossene una divinità pantea 3 con forme non altrimenti egiziane,
fingendolo un Amore, perchè da questi nasce lo sviluppo della natura
produttrice , per cui gli posero in mano il corno dell’abbondanza che
attender dobbiamo dallo sviluppo del calor solare, passato il tempo
d’inverno. Il vasetto di terra cotta è parimente rappresentato di misura
uguale al suo originale, ed è dipinto a figure nericcie con fondo
giallastro pendente al bianco, o piuttosto d’un bianco abbagliato, ed è d’un
genere che gli archeologi convengono di nominare maniera egiziana 4 , sì perchè
vi si vedono strane figure sul gusto di quella nazione, e sì ancora
perchè in Egitto si trovan similissimi a questi. Ved. la Tavola uxi.
a Monum. etr. 3 Iablonski Pantheon Aegyptior. lib. u, cap.
vi, Etr. Mus. Chius. Gerhard, Annali dell istituto di
corrispondenza archeologica voi. in, anno i 83 i, p. i4>
*4 orecchi, piedi e coda di cavallo, con busto virile: aggregato non
comune in Sìmili fantastiche figure, delle quali ebbi luogo di trattare
estesamente altrove, dandole per simboli autunnali II vaso che ha in mano
quel mostro non è che un emblema di più per indicare la stagione
d’autunno, allorquando s’empiono tali olle di vino. La donna che gli è
dappresso è una Tiade seguace di Bacco. II perchè poi la unione di queste
due figure significasse il passaggio della razza umana dalla vi¬ ta rozza
e disordinata, alla virtuosa e civile per opera di Bacco e dei suoi misteri,
è argomento sul quale scrissi altrove abbastanza per darne il conveniente
sviluppo a . Delle due figure , che qui sotto al num. 2 si vedono
riportate nella misura di un quarto più piccole dell'originale, dipinte
nella parte opposta di questo vaso, non saprei indovinarne il
significato, tranne il supposto d'un’armatura da un giovane ottenuta nel
passaggio all’ età virile i . Il disegno del vaso è ridotto alla
grandezza di un quarto del suo originale, Questo mistico specchio non può
spiegarsi che mediante l'osservazione di molti altri, nequali per
ordinario si trovano insieme dei numi o eroi di opposta natura o potenza.
Spesso vi sono espressi Dioscuri, la cui consueta combinazione fu da me
assai esaminata in altre mie carte , ov’io li mostrava in sostanza 4 espressivi
di due contrarie potenze, le quali concorrevano, secondo i Gentili alla
formazione e conservazione del mondo 5 . Qui pure è Teti e Giunone
perpetuamente nemiche fra loro, di che ho pure altrove ragionato 6 . Che la
donna seduta sulla pistrice sia Teti lo mostra chiaro un frammento d una
tazza etrusca, dove la figura medesima ivi dipinta ne porta il nome scritto.
Che la donna opposta sia Giunone lo prova Io scettro che impugna.
tavola cv. Il manico doppio di bronzo qui espresso nella
grandezza del suo originale num. 1 mostrasi attaccato da un lato ad una
testa femminile di nessuna significazione, e dall altra ad una maschera
scenica virile, nel che manifestasi quanto fossero vaghi gli Antichi di
variare ornamenti, giacché non altro che il capriccio può a\erli dettati,
come qui li mostriamo, per ornarne un vaso di bronzo. Possiamo frattanto
tener per sicuro che gli artisti di Chiusi non furono di meno elevato
genio degli ercolauesi nell’eseguir le opere loro metalliche. Del bronzo
in figura di maschera di cui vedu qui il disegno n. 2 , nulla so dire ad
istruzione di chi l’osserva. 4 Monumenti etr., ser. 11. 5 Plutatc. de
Iside et Osir. in prineip. 6
Galleria omer. voi. 1, tav. xxxix. opinioni o di assegnar loro il nome di
Speranza o quel di Giunone, invocata dal femminil sesso in loro tutela.
Ma chi non sa che la Speranza, e la Fortuna, ossia la fiducia di migliorar
sorte nel mondo, era l’oggetto primario del culto gentilesco d’Italia? 5 Il
bassorilievo della Tavola presente è un’urna di marmo due terzi maggio-
giore di questo disegno. Qui, a parer mio, si rappresentano i due
strettissimi amici Oreste e Pilade nel pericoloso momento d’essere a
Diana immolati, per l'uso barbaro ordinato da Toante in Tauri, che li
stranieri a quel lido approdati dovevano essere immolati a Diana tutelare
del luogo <. Varie tragedie si scrisse- sero dagli antichi su questo
soggetto, taluna forse delle quali dichiarava Oreste d’età più avanzata
che Pilade, o l’età di questo più avanzata di quella dell’altro, e perciò
Pilade più prudente, per cui cred’io, qui è l’uno imberbe, l'altro,
barbato. Le donne che vi si vedono sono le sacerdotesse di Diana, che
vicine al di lei altare stanno con i coltelli pronte ad immolare li
sconosciuti stranieri. Le teste umane posate sull’ara medesima vi son per
indizio della consuetudine di quel barbaro sacrifizio. Per simil modo
vedonsi tali teste pendenti ad un albero presso l’altare di Diana, ove
pure Oreste e Pilade son condotti al crudo supplizio in un sarcofago del
palazzo Accoramboni di Roma, e recato in luce dal Winkelmann . Questa
Pallade in bronzo della gradezza dell’originale è come ognun vede, d’un
gusto squisito. Nè vorremo negare, che sia di toscanica officina , giacché è
trovata a Chiusi, quantunque lo stile dell’arte ivi usato direbbesi comunemente
gre¬ co , o del buon tempo romano. Oltre di che possiamo additar
quest’idolo col ge¬ nerico nome di Lare, vale a dire un di quei che i
Gentili tenevan chiusi per loro devozione in alcuni armadi delle lor case
col nome di larari. E dicevansi anche patellari, come Plauto li appella 6
, perchè avevano, come il presente, e come altri riportati in quest’Opera i,
piccole patere in mano, in segno di doman¬ dare ai devoti le prescritte
libazioni agli Dei. Riconosco per un satiro il mostro dipinto nel vaso
num. i, perchè vi si vedono Antichi momim. inedit. 6 PJautoap. Inghirami Monum
etr. ser. il. Plinio. Nat. Hist. Ved. Tavv. un, lxx. 4 Euripide,
Ifigenia in Tauri nell’argoin. greco. L opposto lato del vaso che
porta l'antecedente pittura ha similmente dipin¬ te quattro figure
ammantate, insegno, secondo alcuni 1 , di precettato silenzio, come sembra che
non ricusi di ammettere modernamente uno de’ più attenti ed eruditi
interpetri di tali stoviglie, 3 o secondo altri della palestra e del
bagno, e gli ultimi che ne scrissero, notarono in tal circostanza, che
riguardo ai bagni è assai più comune il vedere i loro utensili posti per
dare indizio della palestra, che il trovar particolari espressioni della
loro struttura. Quindi argomenta che i giovani avviluppati nel manto e forniti
degli arnesi atti al bagno si mostrino di là partirne onde recarsi alla
palestra. Io peraltro che soglio dare al significato di tali pitture
maggiore importanza, mentre le vedo sì ripetute da tutto il paganesimo, dove fu
in uso il seppellir vasi coi morti-senza neppure distruggere l'opinione
modernamente invalsa, che significhino esse unicamente il passaggio dei
giovani dai bagno alla palestra, proporrei altresì l’opinione, a parer mio non
re- pugnante, che il vedersi in mano degli efebi gli strigili che
usavansi a purgar la cute da ogni sozzura dopo il bagno, denotasse l’uso
delle virtù catartiche, mediante le quali veniva un’ anima virtuosa a purgarsi
d’ogni viziosa impurità, e farsi degna della celeste beatitudine. Erano infatti
virtù somiglianti insinuate nei ginnasi dai precettori, che in segno di
loro autorità non meno che della disciplina dottrinale che da lor comunicavasi
agl’iniziati, e del silenzio che loro impo- nevasi circa i precetti
religiosi dati colla massima segretezza, tennero, come qui, un bastone in
mano. Io dunque vedo nel vaso in complesso, l’immagine della beatitudine in quel
convito eh'è daH’anterior parte di esso già esposta antecedentemente, e la
occulta e misteriosa via di conseguirla nel significato degli strigili
che hanno in mano i giovani qui espressi davanti ai loro precettori, e
inistagoghi. Leggo nel disegno di questa incisione mandatami da Chiusi esser le
figure, rosse in fondo nero la metà dell’originale. Ho il piacere
di dar termine alla prima parte di quest’opera sul Museo chiusino, con un
monumento de'più interessanti che vi siano stati esibiti, sì per la perfezione
del suo disegno, come anche per l’epigrafi, dalle quali vanno indicate le
figure di deità che vi si contengono. Quest’ultima qualità che rende il
monumento assai pregevole alla considerazione degli eruditi, voglio dire
1’essere 3 Ivi, e Gerhard Rapporto intorno ai Vasi Voi- centi. Sta
negli Annali dell’ istituto di corri» spondenza archeologica , voi. m,
anno i83i r primo fascicolo, Monumenti, Gerhard, Monum. etr. ser. Fin ora sanasi detto esser qui rappresentata
un agape o cena funebre, colla quale si terminavano gli estremi onori che
rendevansi agli estinti qualificati, ed a così giudicare ne moveva per
ordinario il trovar vasi con tali pitture vicini sempre ai cadaveri ‘.Per
simile analogia solevasi dire ancora esser quel convito, accompagnato da
piacevole melodia, una immagine del godimento riserbato alle anime virtuose
negli Elisi dopo la morte, come promettevasi agli iniziati nei misteri
del paganesimo a . Ma nel momento attuale corre opinione che non altro in
pitture tali debbasi ravvisare, se non che domestiche mense ed allegrezza
sociale, senza frammischiarne l'allusione a varun culto religioso 1 2 3 .
Rifletto peraltro che sfio spiego nel metodo primitivo, cioè l'allegorico, la
mensa priva di commestibili, posso ripeter, come dissi altrove, non esser
l’anima suscettibile di pascolo materiale, essendo la sola mensa un
sufficiente segnale del godimento 4 . Se il pittore ebbe in animo di
rappresentarci con questa pittura non altro che una domestica cena, dirò
che la composizione resta incompleta per mancanza dei cibi,
indispensabili ad effettuare l’azione del mangiare. Spiegai altrove
simbolicamente anche Patto, come è qui, ripetutissimo in al¬ tre pitture,
di una tazza sostenuta da un commensale cori un sol dito 5 , ove dissi
che a tenore d’ una dottrina platonica le anime che debbono scendere in
questa terra si trovano in uno stato il più leggero possibile, e quindi situate
nella più elevata parte del mondo; e conchiusi esserla tazza del recombente
signi¬ ficativa del recipiente del nettare per uso de'numi alzata da lui
per simbolo del- Panima sì per la sua elevatezza, e sì ancora per la
leggerezza che mostra uel- l’esser sostenuta con un dito 6 . E qui mi
giova il notare altresì che nessuno dei tre recombenti mostra di bere
alle tazze da loro sostenute, nè v’ è alcun vaso da cui rilevisi essere state
empite onde bere . Non ostante anche le moderne opinioni hanno tal peso che
meritano considerazione, ed io mi son fatto un pregio di esporle qui non volendomi
caricare del giudizio sulla preferenza delle une sulle altre. Leggo nel
disegno di questa incisione mandatomi da Chiusi es¬ sere la metà de! suo
originale, e le figure di colordi rosa. Vermiglio!!, Lezioni elementari di
archeologia, Monum. etruschi Monum etruschi, ser. v, 3 Annali dell
istituto di corrispondenza archeol. Voi. ili, anno i 83 i, Gerhard,
Monumenti Rapporto intorno i vasi volcenti, p. 5y. Politi,
descrizione di due vasi fittili gre¬ co siculi agrigentini i 83 r. Ved,
bullettaio dell’istituto di corrispondenza archeol. Monumenti etruschi.
ò Milli», Peintur. de \ases ant. tot». 11. PI. Monumenti etr. W"
.;.;;Y ; ' Iv i;. 1 1-i. 1 . i
-li • ir -':i [!T
V C R flS i K R 11 B j, -* • ‘ * r ' :A f t -i :
.! V fi . ' t. £ ; > C f- v •; r. f- M 5 !,$
1 C V 5 V V* . c se ? n 11 a . Egè ri) ' Z > • ' i:-
ai scritto, mi costringe a tenermi in assai ristretti limiti nel ragionarne,
poiché i nientissimi sigg. TÌ editori di quest'opera destinarono con savissima
sceltala illustrazione della parte epigrafica di tali monumenti al prof.
Vermiglioli espertissimo quanto altri mai di sì difficile scienza.
A sodisfar dunque soltanto la sollecita curiosità di chi osserva il
monumento qui esposto mi permetto di accennar di volo, esser questo uno
specchio misti¬ co di que’tanti che trovatisi storiati nei sepolcri
d’Etruria, e solamente lisci in quei della Magna-Greeia, ed in esso
esservi quattro figure di deità cioè la Parca, Apollo, Venereletea o
libitina, e Giunone; e presso le indicate persone i nomi loro scritti in
etrusco. /3DIVM moiran nome della Parca ripetuto in altri di que¬ sti
manubriati dischi 1 * . V4-1/3 Aplun nome chiarissimo d’Apollo, ed altresì
ripetuto io vari specchi etruschi 3 . HVT34 Letun Venere letea o libitinia ,
o Proserpina, che il Gerhard ha così bene illustrata per una Dea
infernale, non distinta però dalla luna 3 , per cui cred’io qui si vede
connessa in amplesso con Apollo considerato come il sole. Ecco dunque per la
prima volta incontrato negli specchi mistici il nome di quella donna che
sì ripetutamente vi si vede rappre¬ sentata, e che per Venere libitina
azzardai nominarla tal volta anche prima della presente ed importante scoperta
4. In fine AH 4/3 0 Talna eh’è nome altresì ripetuto nei mistici dischi,
e che io sostenni con lungo ragionamento esser signi¬ ficativo di Giunone
5 quantunque disgiunta dai consueti simboli di questa Dea, men¬ tre qui
ha lo scettro che la •fanno indubitatamente conoscere per la regina degli
Dei unitamente con Giove che n’era il supremo loro imperante. Ma una più
sodisfacente interpetrazione dell'etrusche parole qui riferite debbesi
attendere dall’erudito Vermiglio]/', al quale, come io dissi disopra, è
destinata. In urna figulina LVI. i flit a a =
flnflo ) f\XF\Y\M LVH. AlAtlqAD : 1SUfflM :
lOqfld In urna figulina lviii. CO
-A l#q vn : im : fìURO M : VfflDt : r Ì433 : VA LX V-ÌV#
: VD flitmao i Monumenti etruschi s a -Gerhard, Venere Proserpina illustrata, Nuora
collezione d’opuscoli e notizie di scenze, lettere ed arti, pubb.
dal cav. Fr. Inghirami, 4 Monum. etr. ser. 11, p. 44 <a, 744, e
ser. v,p. 193. 5 Ivi p. Sol. làaBaHBBsasaasa
XXXZ'/Z/. - A'/AZY.Y (IX XUI m ;_i lira
vz. 7 ’ LII fC) i Ouj/ IsUcAenni.
eli/ T £,J\ T. L/A' 3TT J ^ JCZ/Z z,Jirv:
T» z^rjrji-'. IXX3TT 'X tea T^reiir.
ir**:-Jàz-j:. amiBft'igwpcj &r. CJI. v
~ Grice e Musonio (Bolsena) G. MUSONIO RUFO C. Musonio Rufo esercita
un forte influsso sui contemporanei. Di famiglia equestre dell’etrusca
Volsini (Bolsena) suscita per la sua fama di filosofo l’invidia
di Nerone. C. MUSONIO RUFO segue Rubellio Plauto nell'Asia
Minore e lo incoraggia a togliersi la vita quando Nerone lo condanna a
morte. Ritorna a Roma, dove e bandito insieme con Cornuto in
occasione della congiura di Pisone e confinato nell’isola di Gyaros
nelle Cicladi, ove per la sua rinomanza attira uditori da ogni
parte.Verosimilmente richiamato a Roma da GALBA, negli ultimi giorni di
Vitellio si une ad una ambasceria del Senato presso Antonio Primo per perorare
la causa della pace fra i suoi soldati, ma senza successo.Quando VESPASIANO
assunse il potere, C. Musonio Rufo accusa davanti al Senato P. Egnazio Celere,
quale delatore e falso testimonio nel processo di Borea Sorano. Vespasiano lo
escluse dalla prima espulsione dei filosofi da Roma, ma poi lo esiliò per
la seconda volta ; però Tito, che già lo aveva conosciuto, lo richiamò
dopo la sua assunzione al trono. In seguito mancano notizie su di lui, ma da
una lettera di PLINIO (si veda) il Giovane sembra che non fosse più in vita.
Non risulta che abbia composto e pubblicato seritti, anzi sembra che si sia
servito soltanto dell’insegnamento orale, del quale, però, rimangono frammenti
abbastanza numerosi. Essi comprendono : 19 brevi apoftegmi conservati da
Plutarco, da Aulo Gellio e dallo Stobeo ; 2° altri apoftegmi e trattazioni filosofiche
relaivamente ampie raccolti da Epitteto nelsuo insegnamen-È e trasmessi i primi
da Arriano, le seconde dallo Stobeo ; 3° esposizioni o lezioni che si trovano
nello Stobeo o costituiscono la parte più estesa dei frammenti. È verosimile
che provengano da uno scritto di quel Lucio che si è già ricordato e che si
deve ritenere la fonte più importante dello Stobeo ; un’altra è Epitteto, cioè
Arriano. Sembra che un Pollione (probabilmente Valerio Pollione da Alessandria,
vissuto sotto Adriano) abbia composto Memorabili di Musonio, ma non ne
restano tracce. È giudicata falsa una lettera di Musonio a un certo Paneratide.
Le concordanze che si sono osservate tra i frammenti di Musonio e il Pedagogo
di Clemente di Alessandria hanno fatto pensare o alla dipendenza di questo da
uno seritto di Lucio o alla derivazione di ambedue da una fonte più antica.
Della forte azione di Musonio sui contemporanei sono prova i suoi numerosi
scolari, tra i quali si ricordano (oltre al genero Artemidoro, amico e maestro
di Plinio il Giovane), i filosofi Epitteto, Dione di Prusa, Eufrate di Tiro e
il suo scolaro Timocerate di Eraclea, e insigni romani, come Rubellio Plauto,
forse Borea Sorano e Minicio Fundano, Musonio si avvicina ai cinici
nell’assegnare alla filosofia finalità radicalmente etico-pratiche, accetta
spunti dell’ascetismo neo-pitagorico, ma nel complesso dipende dallo Stoicismo
con influssi posidoniani. Nel sno insegnamento non trascurò le esercitazioni
logiche e i frammenti toccano argomenti di fisica, ma ciò che vi è
detto degli Dei, designati con le denominazioni della religione
tradizionale, non supera la sfera del pensiero comune e non ha carattere
filosofico determinato : invece riporta allo Stoicismo l'affermazione della
necessità universale, che equivale alla teoria del fato. Però l'interesse di
Musonio si concentra sulla funzione pratica della filosofia, che è
assolutamente necessaria in quanto (secondo la tesi introdotta dai cinici nel I
secolo a. C. e poi generalmente accettata) gli uomini sono malati che richiedono
una cura continua la quale dev'essere prestata dalla filosofia, che perciò è
necessaria a tutti, alle donne non meno che agli uomini : essa però è
identificata alla ricerca e alla realizzazione della virtù, per conseguire la
quale non vi è necessità di molti discorsi, nè di molte teorie ; inoltre, in
essa l'esercizio ha maggiore importanza dell’insegnamento o del discorso.
Siccome la natura ha posto in ogni uomo i germi della virtù, se il discepolo
non è stato corrotto, una breve dimostrazione è sufficiente per fargli
riconoscere i principi etici giusti. Ciò che soprattutto importa è che
maestro e discepolo uniformino la loro condotta ai propri principi. Si
comprende che Musonio si interessasse in primo luogo della formazione etica
degli scolari. Nell’insieme, la morale di Musonio si conforma alle
dottrine tradizionali della sua scuola. Occorre distinguere ciò che è e ciò che
non è in nostro potere: ora da noi dipende soltanto l’uso delle
rappresentazioni, cioè l'assenso dato alle opinioni sul bene e sul male, dalle
quali è determinata la giusta valutazione delle cose e quindi l'intenzione
quale atteggiamento interiore della volontà; in essa, se è retta, consiste la
libertà, la virtù, la felicità. Tutto il resto non dipende da noi e perciò
rispetto ad esso, ossia alle cose esterne, dobbiamo rimetterci all’ordine
necessario dell'universo e aecettare volentieri ciò che arreca. Soltanto la
virtù è bene, soltanto la malvagità è male e ogni altra cosa è indifferente.
Però, per rafforzare la volontà, Musonio ‘ riteneva necessario, oltre
l'insegnamento e l’esercizio morale, anche l’indurimento fisico, perchè,
essendo il corpo uno strumento indispensabile dell’anima, occorre rafforzare
ambedue. In generale raccomanda, avvicinandosi al Cinismo, la vita semplice e conforme
alla natura e accoglie dal Neo-Pitagorismo il divieto dei cibi carnei.
Oltrepassando le opinioni di molti stoici antichi, esige una vita morale
severissima, raccomanda il matrimonio, condanna la limitazione delle nascite e
l’esposizione dei figli. Nell'insieme, i frammenti di Musonio rivelano un’anima
nobile e retta, appassionata per il bene e guidata dal desiderio di educare gli
spiriti, ma a queste doti non corrisponde il valore scientifico degli
insegnamenti, perchè i suoi pensieri sono molto mediocri e privi di originalità
; inoltre non si può trovare nelle sue parole l’espressione di una visione
della vita vi- brante di dolore e di amore simile a quella di
Seneca. aio Musonio Rufo. Gaio Musonio Rufo (Volsinii) è un filosofo
romano. Frammento di papiro (P. Harr. I 1, Col.), con parte di una
diatribe. Sulla vita di Gaio Musonio Rufo, stoico, si posseggono poche notizie
certe. È noto che nacque a Volsinii, corrispondente all'odierna Bolsena, in
Etruria, che fu cavaliere. Il ‘præ-nomen’ Gaio lo conosciamo solo attraverso
Plinio il minore che ci fornisce anche un’altra notizia su una sua figlia
(presumibilmente chiamata Musonia, secondo l’uso romano), sposata ad
Artemidoro, al quale Plinio presta aiuto anche per stima e affetto nei
confronti del suocero. Sappiamo dalla voce “Mousonios” della Suda che Musonio e
figlio di Capitone ma non abbiamo altre notizie sulla sua famiglia, che era
comunque di origine etrusca. In effetti, il nomen “Musonius” denotare la gens,
e viene indicato da alcuni studiosi della lingua etrusca come forma latina di
un gentilizio etrusco “Musu,” “Muśu-nia.”. E capo a Roma di un circolo o
gregge filosofico e si dedica anche alla politica, con idee abbastanza
tradizionali e moderate. Fa parte del gruppo creatosi intorno a Rubellio
Plauto, un discendente della famiglia Giulia. Quando Rubellio Plauto e
allontanato da Roma in via precauzionale da Nerone, Musonio lo segue in Asia.
Due anni dopo giunge l'ordine del principe di eliminare Rubellio Plauto.
Musonio ritorna a Roma, ma, in concomitanza
della congiura di Pisone, e mandato in esilio, in quanto allievo di Seneca,
nell'isola di Gyaros, inospitale e rocciosa nel Mar Egeo. Indicativi
della sua integrità morale e della sua coerenza sono altri due momenti della
sua vita, entrambi riportati da Tacito nelle Storie. Dopo essere ritornato
dall’esilio, forse grazie a GALBA, con il quale sembra fosse in amicizia, nella
fase finale della guerra civile seguita alla morte di Nerone, Musonio si rese
protagonista di un primo episodio significativo, rivelatore della sua generosa
attitudine a mettere in pratica i principi morali e gli ideali di pace che
insegna. In una Roma che era teatro di violenti scontri tra le fazioni avverse,
il filosofo di Volsinii si impegna a svolgere un’improbabile opera di
pacificazione. “S’era mescolato agli ambasciatori Musonio Rufo, di ordine
equestre, zelante filosofo e seguace dei precetti dello stoicismo, ed in mezzo
ai manipoli prendeva ad ammonire gli uomini armati con le sue disquisizioni sui
beni della pace e sui mali casi della guerra. Ciò fu per molti motivo di
scherno; per la maggioranza, di fastidio. E non mancava chi l’avrebbe spinto
via o l’avrebbe calpestato, se, dietro consiglio dei più equilibrati e fra le
minacce di altri, non avesse deposto la sua inopportuna esposizione di
saggezza.” Il secondo episodio, ci presenta Musonio Rufo impegnato nella
riabilitazione della memoria dell’amico Barea Sorano, che era stato sottoposto
a processo e condannato a morte insieme alla figlia Servilia e a Trasea Peto.
Contro di lui era stata resa una falsa testimonianza da parte del suo stesso
maestro, Publio Egnazio Celere, anche lui appartenente alla corrente stoica.
Musonio, che pure nei suoi insegnamenti si dichiarava contrario ad intentare
cause per difendere se stesso dalle offese ricevute, in questo caso non esita
ad accusare in Senato il traditore per difendere la memoria dell’amico
condannato ingiustamente. Come scrive Tacito: “Allora Musonio Rufo attacca
Publio Celere, accusandolo di aver attaccato Barea Sorano con una falsa
testimonianza. Evidentemente con quell’accusa si rinnovavano gli odii delle
delazioni. Ma l’accusato, vile e colpevole, non poteva essere difeso. Di Sorano
e santa la memoria. Celere, che fa professione di sapienza, testimoniando
contro Barea, ha tradito e violato l’amicizia.” Musonio porta avanti con
tenacia il suo impegno, che e coronato da successo. “Fu deciso allora di
ri-aprire il processo tra Musonio Rufo e Publio Celere: Publio venne condannato
ed ai mani di Sorano e resa soddisfazione. Quel giorno, che si distinse per la
severità dei magistrati, non manca nemmeno di elogi ad un cittadino privato. Si
era, infatti, del parere che Musonio avesse agito con giustizia in tribunale.
Opinione ben diversa si ha di Demetrio, seguace della scuola cinica, in quanto
aveva difeso, più per ambizione che con onore, un reo manifesto. Quanto a
Publio, non ebbe né animo, né eloquenza sufficienti in quel frangente.»
Più tardi Musonio riusce a guadagnarsi la stima di VESPASIANO evitando la
cacciata dei filosofi. Ci e però un secondo esilio e, dopo il suo rientro a
Roma, voluto da TITO, le fonti tacciono. Potrebbe essere stato espulso da Roma,
assieme agli altri filosofi, a causa di un senatoconsulto sollecitato da
DOMIZIANO, che fa uccidere Aruleno Rustico e cacciare Epitteto e altri. Da
un'epistola di Plinio minore si apprende che egli non era più in vita. Si
proclama suo discendente il poeta Postumio Rufio Festo Avienio. Probabilmente
in modo volontario, sull'esempio di Socrate o Grice e come fa anche il discepolo
Epitteto, non lascia nulla di scritto. I principi della sua predicazione
filosofica si ricavano da una raccolta di diatribe dovuta a un discepolo di
nome Lucio, di cui 21 ampi estratti sono conservati nell'Antologia di Stobeo.
Essi sono intitolati: “Che non è necessario fornire molte prove per un
problema” “Su chi nasce con un'inclinazione verso la virtù” “Che anche le donne
dovrebbero studiare filosofia” “Se le figlie debbano ricevere la stessa
educazione dei figli maschi” “Se è più efficace la teoria o la pratica” “Sul
praticare la filosofia” “Che si dovrebbero disprezzare le difficoltà” “Che
anche un principe deve studiare filosofia” “Che l'esilio non è un male” “Il
filosofo perseguirà qualcuno per lesioni personali?” “Quali mezzi di
sostentamento sono appropriati per un filosofo?” “Sull'indulgenza sessuale”
“Qual è il fine principale del matrimonio. Il matrimonio è un ostacolo per la
ricerca della filosofia. Ogni bambino che nasce dovrebbe essere allevato. Bisogna
obbedire ai propri genitori in tutte le circostanze. Qual è il miglior viatico
per la vecchiaia?” “Sul cibo” “Su vestiti e riparo” “Sugli arredi” “Sul taglio
dei capelli”. Lo stile delle diatribe è semplice. In genere viene posta una
questione iniziale, poi sviluppata con chiarezza durante il testo, spesso
costruito in modo figurato, usando metafore e similitudini (spesso sfrutta il
paragone con il medico, alcune volte intervengono immagini di animali). Questa
caratteristica si adatta bene alla sua personalità e al suo tipo di
insegnamento, tutto rivolto alla schiettezza della vita. Ci restano,
inoltre, frammenti minori, spesso in forma di apoftegma. A parte quelli sempre
di Stobeo (in numero di 14), due frammenti conservati da Plutarco sono brevi
aneddoti che potrebbero essere definiti come "detti celebri", mentre
tre brani di Aulo Gellio conservano detti memorabili ed un quarto è lungo
abbastanza da rappresentare la sintesi di un intero discorso. C'è, poi, un
aneddoto in Elio Aristide ed Epitteto ne racconta una mezza dozzina (11, per la
precisione). Restano, inoltre, due epistole, concordemente ritenute
spurie. Musonio rappresenta, con Epitteto, il principe Marc’Aurelio
Antonino e Seneca, uno dei quattro esponenti più significativi del portico
romano del principato. Egli, se per certi versi corrisponde appieno alle
istanze propugnate dalla temperie spirituale del suo tempo, per altri si
distingue e mette in luce, soprattutto per il recupero radicale e profondo di
una filosofia intesa come arte del vivere bene e onestamente, cioè mezzo per
conseguire uno scopo riscontrabile nei fatti. Il ruolo della filosofia
Egli crede che la filosofia (stoica) fosse la cosa più utile, in quanto ci
persuade che né la vita, né la ricchezza, né il piacere sono un bene, e che né
la morte, né la povertà, né il dolore sono un male; quindi questi ultimi non
sono da temere. La virtù è l'unico bene, perché da sola ci impedisce di
commettere errori nella vita. Del resto, sembra che solo il filosofo si occupi
di studio della virtù. La persona che afferma di studiare filosofia deve praticarla
più diligentemente di chi studia medicina o qualche altra attività, perché la
filosofia è più importante e più difficile da comprendere di qualsiasi altra
occupazione. Questo perché, a differenza di altre abilità, le persone che
studiano filosofia sono state corrotte nella loro anima da vizi e abitudini
sconsiderate, imparando cose contrarie a ciò che impareranno in filosofia. Ma
il filosofo non studia la virtù soltanto come conoscenza teorica. Piuttosto,
Musonio insiste sul fatto che la pratica è più importante della teoria, poiché
la pratica ci porta all’azione in modo più efficace della teoria. Sostene che
sebbene tutti siano naturalmente disposti a vivere senza errori e abbiano la
capacità di essere virtuosi, non ci si può aspettare che qualcuno che non abbia
effettivamente imparato l'abilità di vivere virtuosamente viva senza errori più
di qualcuno che non è un medico esperto, un musicista , studioso, timoniere o
atleta ci si poteva aspettare che praticassero quelle abilità senza
errori. In una delle sue diatribe, si racconta il consiglio che offrì a
un re in visita, dicendogli che deve proteggere e aiutare i suoi sudditi,
quindi sapere cosa è buono o cattivo, utile o dannoso, utile o inutile per le
persone. Ma diagnosticare queste cose è proprio il compito del filosofo. Poiché
un re deve anche sapere cos'è la giustizia e prendere decisioni giuste, il
principe studia filosofia, anche per possedere autocontrollo, frugalità,
modestia, coraggio, saggezza, magnanimità, capacità di prevalere nel parlare sugli
altri, capacità di sopportare il dolore e deve essere privo di errori. La
filosofia, sosteneva Musonio, è l'unica disciplina che fornisce tutte queste
virtù. Per dimostrare la sua gratitudine il re gli offrì tutto ciò che
desiderava, al che il filosofo chiese solo che il re aderisse ai principi
stabiliti. Musonio sosteneva che, poiché l'essere umano è fatto di corpo
e anima, dovremmo allenarli entrambi, ma quest'ultima richiede maggiore
attenzione. Questo duplice metodo richiede l’abituarsi al freddo, al caldo,
alla sete, alla fame, alla scarsità di cibo, a un letto duro, all’astensione
dai piaceri e alla sopportazione dei dolori. Questo metodo rafforza il corpo,
lo abitua alla sofferenza e lo rende idoneo ad ogni compito. Crede che l'anima
fosse rafforzata in modo simile sviluppando il coraggio attraverso la
sopportazione delle difficoltà e rendendola autocontrollata astenendosi dai
piaceri. Musonio insisteva sul fatto che l'esilio, la povertà, le lesioni
fisiche e la morte non sono mali e un filosofo deve disprezzare tutte queste
cose. Un filosofo considera l'essere picchiato, deriso o sputato come né
dannoso né vergognoso e quindi non avrebbe mai litigato contro nessuno per tali
atti, secondo Musonio. L'opposizione di Musonio alla vita lussuosa si estendeva
alle sue opinioni sul sesso. Pensa che gli uomini che vivono nel lusso
desiderano un'ampia varietà di esperienze sessuali, sia legittime che
illegittime, sia con donne che con uomini. Osserva che a volte gl’uomini
licenziosi perseguono una serie di partner sessuali maschili. A volte diventano
insoddisfatte dei partner sessuali maschili disponibili e scelgono di
perseguire coloro che sono difficili da ottenere. Musonio condanna tutti questi
atti sessuali ricreativi. Insiste sul fatto che solo gli atti sessuali
finalizzati alla procreazione all’interno del matrimonio sono giusti. Denuncia
l'adulterio come illegale e illegittimo. Giudica i rapporti omosessuali un
oltraggio contro natura. Sosteneva che chiunque sia sopraffatto dal piacere
vergognoso è vile nella sua mancanza di autocontrollo. Musonio difende
l'agricoltura come un'occupazione adatta per un filosofo e nessun ostacolo
all'apprendimento o all'insegnamento di lezioni essenziali. Gli insegnamenti
esistenti di Musonio sottolineano l'importanza delle pratiche quotidiane. Ad
esempio, ha sottolineato che ciò che si mangia ha conseguenze significative.
Crede che padroneggiare il proprio appetito per il cibo e le bevande fosse la
base dell'autocontrollo, una virtù vitale. Sostene che lo scopo del cibo è
nutrire e rafforzare il corpo e sostenere la vita, non fornire piacere.
Digerire il cibo non ci dà alcun piacere, ragiona, e il tempo impiegato a
digerire il cibo supera di gran lunga il tempo impiegato a consumarlo. È la
digestione che nutre il corpo, non il consumo. Pertanto, concluse, il cibo che
mangiamo serve al suo scopo quando lo digeriamo, non quando lo
gustiamo. Musonio sostenne la sua convinzione che le donne dovessero
ricevere la stessa educazione filosofica degli uomini con i seguenti argomenti.
In primo luogo, gli dei hanno dato alle donne lo stesso potere di ragione degli
uomini. La ragione valuta se un'azione è buona o cattiva, onorevole o
vergognosa. In secondo luogo, le donne hanno gli stessi sensi degli uomini:
vista, udito, olfatto e il resto. In terzo luogo, i sessi condividono le stesse
parti del corpo: testa, busto, braccia e gambe. Quarto, le donne hanno un
uguale desiderio per la virtù e una naturale affinità con essa. Le donne, non
meno degli uomini, sono per natura compiaciute delle azioni nobili e giuste e
censurano il loro contrario. Pertanto, concluse Musonio, è altrettanto
appropriato che le donne studino filosofia, e quindi considerino come vivere
onorevolmente, quanto lo è per gli uomini. Suda μ 1305: «Figlio di Capitone,
etrusco, della città di Volsinii; filosofo dialettico e stoico, vissuto ai
tempi di Nerone, conoscente di Apollonio di Tiana e di molti altri. Ci sono
anche lettere che sembrano provenire da Apollonio a lui e da lui ad Apollonio.
Naturalmente per la sua schiettezza, le sue critiche e il suo eccesso di
libertà fu ucciso da Nerone. Numerosi sono i discorsi filosofici che portano il
suo nome e anche le lettere» (tr. Andria). Epistole. Di origine etrusca: cfr.
Filostrato, Vita di Apollonio di Tiana, Cfr. M. Pittau, Dizionario della Lingua
Etrusca (DETR), Dublino, Ipazia Books. Tacito, Annales, XIV, Epitteto,
Diatribe. Storie. Storie, Cassio Dione. Girolamo, Chronicon, Titus Musonium
Rufum philosophum de exilio revocat»; Temistio (Orationi), inoltre, attesta
l'amicizia tra Tito e Musonio. A. Cameron, Avienus or Avienius?, in
"Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik". L'attribuzione è data nell'estratto XV Hense:
sicuramente questo Lucio era un allievo di Musonio, e uno specifico riferimento
in cui Musonio parla da esule a un esule rivela che anche Lucio partecipò al
bando del suo maestro. Per la datazione, nella diatriba VIII (60, 5) Lucio
riporta una conversazione di Musonio con un re siriano e dice, tra parentesi,
che c'erano ancora re in Siria a quel tempo, vassalli dei romani. Dato che
l'ultima dinastia di sovrani siriani fu detronizzata nel 106 d.C., Lucio deve
aver scritto qualche tempo dopo questa data. nell'edizione Hense del 1905. Una
delle due è una lunga lettera scritta da Musonio a Pancratide sul tema
dell'educazione dei suoi figli (dell'edizione Hense). Diatriba VIII Hense. Cfr.
anche il detto «Un re dovrebbe voler ispirare soggezione piuttosto che paura
nei suoi sudditi. La maestà è caratteristica del re che incute timore
reverenziale, la crudeltà di quello che ispira paura» (in Stobeo). A differenza
del suo allievo Epitteto, che mostrava disprezzo per il corpo, Musonio
sottolinea l'interdipendenza tra anima e corpo. Questa visione, del tutto
coerente con il panteismo stoico, non è estranea al pensiero neoplatonico. Diatribe III e IV Hense; cfr.
Nussbaum, The Incomplete Feminism of Musonius Rufus, Platonist, Stoic, and
Roman, in The Sleep of Reason. Erotic Experience and Sexual Ethics in Ancient
Greece and Rome, ed. Nussbaum and Sihvola, Chicago, The University of Chicago
Press. Bibliografia C. Musonii Rufi reliquiae, edidit O. Hense, Lipsia,
Teubner, Cora Lutz, Musonius Rufus, the Roman Socrates, in Yale classical
studies. Dillon, Musonius Rufus and
Education in the Good Life: A Model of Teaching and Living Virtue. University
Press of America. Renato Laurenti, Musonio, maestro di Epitteto, in Aufstieg
und Niedergang der römischen Welt. Berlino, Walter de Gruyter, Cynthia King,
(Musonius Rufus: Lectures and Sayings. Ed,
Irvine. Create Space. D., Musonio l'etrusco. La filosofia come scienza di vita,
Roma, Annulli. Musònio Rufo, Gaio, su Treccani.it – Enciclopedie on line,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Calogero, MUSONIO Rufo, Caio, in
Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Musonio Rufo, Gaio,
in Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Gaio Musonio
Rufo, su Internet Encyclopedia of Philosophy. Opere di Gaio Musonio Rufo, su
Open Library, Internet Archive. Stoicismo Portale Antica Roma Portale
Biografie Categorie: Filosofi romani Filosofi Romani Stoic i[altre]. Luciano
Dottarelli. Dottarelli. Keywords: l’implicatura di Musonio, Musonio, Etruscan
influence on Roman philosophy, Why Roman philosophy is not Greco-Roman – The
Etrurian connection. Etrurian as
‘antique’ – Etrurian as exotic for Indo-European Aryan Latins (Romans). Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Dottarelli” – The Swimming-Pool Library. Dottarelli. Dottarelli.
No comments:
Post a Comment