Grice
ed Eschine: la ragione conversazionale e la setta di Napoli. Roma – filosofia
antica – Luigi Speranza (Napoli). Filosofo italiano. Giannantoni, Socratis et Socraticorum Reliquiæ, iv
(Elenchos. Collana di testi e studi sul pensiero antico diretta da Giannantoni,
Naples). 'L' Alcibiade di E. e la letteratura socratica su Alcibiade'. In
Giannantoni e. Narcy, Lezioni Socratiche (Elenchos. Collana di testi e studi
sul pensiero antico diretta Giannantoni, Naples. E. of Neapolis (Naples) –According to Diogene Laerzio,
E. was a Platonist and favourite pupil of Melantio di Rodi. He seems to have
been the same person as the E. said by Plutarco to have studied under Carneade.
Eschine.
Grice
ed Esimo: la ragione conversazionale a Roma – filosofia antica – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. An undated inscription found at Pergamum refers to Claudio Esimo as a
philosopher.
Grice
ed Estieo: la ragione conversazionale e la diaspora di Crotone -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a
Pythagorean. Suda says he was the father of Archita di Taranto.
Grice ed Esposito: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale -- il sistema dell’in/differenza – scuola di Sorrento – filosofia
sorrentina -- filosofia campanese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Piano di Sorrento). Filosofo
sorrentino. Filosofo campanese. Filosofo italiano. Piano di Sorrento. Grice: “I
like Esposito; of course, his ‘origine della filosofia italiana’ owes a bit to
the historians of Roman literature and that infamous embassy of the very best
of Grecianism: Carneade, Critolao, and Diogene!” 599 ab urbe condita!”. Parte dalla
constatazione dell'esaurirsi del tradizionale lessico della politica e dalla consapevolezza
della necessità di una sua diversa formulazione. Su questo presupposto, si
incentra sulla ripresa e sulla rielaborazione di questa tradizione all'interno
di nuove esigenze, a partire da una re-interpretazione delle categorie
classiche della filosofia. A tal fine nelle sue opere lascia interagire saperi
e linguaggi differenti, dalla filosofia alla letteratura, all'arte, alla
poesia, all'antropologia, alla teologia.
Dopo i primi studi su Vico e Machiavelli, il suo lavoro si è concentrato
intorno a quattro nuclei tematici. L'impolitico viene inteso come rovescio
impensato dalla politica. Le riflessioni su questo tema sono confluite in “Categorie
dell'impolitico” (il Mulino, Bologna), Nove pensieri sulla politica (Bologna,
il Mulino), “L'origine della politica” (Roma, Donzelli). La filosofia della comunità e biopolitica sono
confluite in una trilogia. “Communitas: origine e destino della comunita”
(Einaudi, Torino)” è un tentativo concettuale di ridefinire il concetto di
comunità, al di fuori di ogni riferimento ai comunitarismi passati e presenti,
privilegiando piuttosto gli filosofi da Rousseau a Kant, da Heidegger a
Bataillein cui prevale una concezione della comunità in quanto legge comune
dell' “essere insieme”, ma anche la coscienza tragica di ciò che contiene di
irrealizzabile da un punto di vista politico. “Immunitas: protezione e
negazione della vita” (Einaudi, Torino) è una lettura biopolitica dei conflitti
in seno al corpo sociale. “Immunitas” persegue il lavoro di scavo teorico
cominciato in Communitas e pone la categoria dell'immunità al centro di questa
riflessione sulle contraddittorie strategie di difesa della società rispetto ai
rischi, reali e immaginari, che la insidiano. In questo senso l’immunizzazione
è allo stesso tempo una protezione e una negazione della vita che rischia
sempre di diventare una sorta di malattia immune del corpo sociale. “Bios:
biopolitica e filosofia” (Einaudi, Torino) è una rilettura, a partire di
Foucault, della storia del pensiero biopolitico alla luce del concetto d'immunità.
Essendo l'immunitas una protezione negativa della vita, la biopolitica che ne
incorpora le procedure è sempre a rischio di trasformarsi in tanato-politica.
Ciò non toglie che possa profilarsi una, sia pur problematica, nozione
affermativa di bio-politica. Al concetto
di persona e di impersonale ha dedicato “Terza persona: politica della vita e
filosofia dell’impersonale” (Einaudi, Torino) e “Due. La macchina della
teologia politica e il posto del pensiero” (Einaudi, Torino) e “Le persone e le
cose” (Einaudi, Torino). A partire da una critica del concetto, giuridico
romano di persona, inteso come un dispositivo che separa la vita umana da se
stessa, l’impersonale è inteso come la forma di una possibile ri-unificazione
tra corpi. e persona. Nel dittico
costituito da “Pensiero vivente. Origine a attualità della filosofia italiana”
(Einaudi, Torino) e “Da fuori. Una filosofia per l'Europa” (Einaudi, Torino) ha
ricostruito i caratteri prevalenti della tradizione filosofica italiana, a partire
da MACHIAVELLI (si veda), BRUNO (si veda), e VICO (si veda), fino a quella che
viene definita Italian Theory. Essi riguardano la connessione tra le categorie
di storia, politica e vita. Altre opere: La politica e la storia. Machiavelli e
Vico (Liguori, Napoli); Termini della politica. Comunità, immunità, biopolitica
(Mimesis, Milano); “Politica e negazione: per una filosofia affermativa”
(Einaudi, Torino); “La filosofia italiana come problema: da Spaventa all’Italian Theory, "Giornale
Critico di Storia delle Idee"; “Protezione e negazione della vita
(Einaudi, Turin), più largamente, documenti di tutti gli interventi ripresi,
con le risposte dell'autore).Politiche della vita sul margine pericoloso
dell'impersonale, di Ciccarelli per il «Centro per la Riforma dello Stato». Treccani,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. The category of applicational generality
relates to Esposito’s concept of the im-PERSONAL. La terza persona is not a
person like “I” and “thou”. Grice uses
‘person’ generally, “Someone (i. e. I) is hearing a noise). “Someone” is (Ex)
with the addition of ‘person’. A sock is not a someone; a rose bush is not a
someone – a dog is not for Grice a someone. But then ‘someone’ is a solecism. Esposito considers the communication and
community alla Tonnies. Grice knows the connection community and communication,
when he criticizes Stevenson for trying to define the Anglo-Saxon ‘meaning,’
circularly, in terms of ‘communication. – The problem of the third person is
fascinating. Obviously a grammarian’s mistake – a grammarian usually not
knowing anything about philosophy, used philosophical concepts – such as person
– first person for “I” is ok, second person for “Thou” is okay – when it comes
to verbs, and pronouns, “The chair is comfy” (La sedia e comoda.) – there is
nothing personal about a chair being personal. It is not true that someone is
comfortable (jemand). – there’s nothing personal about this. Since Homer, πϱόσωπоν,
etymologically “what is opposite the gaze,” has designated the human “face” in
particular, and then, metaphorically, the “façade” of a building, and
synechdochically, the whole “person” bearing the face. Another remarkable
semantic extension is that of the theatrical “mask” (Aristotle, Poetics),
leading in turn to the meaning “character in a drama” (Alexandrian stage
directions for dramatic works regularly included the list of the πϱόσωπα τоῦ δϱάματоς), and then
to a narrative. Its Latin equivalent, persona, refers in its turn to the mask
that makes the voice resonate (personare), before it designates a character, a
personality, and a grammatical person (VARRONE (si veda)). The meaning of the
compound prosôpopoiein [πϱоσωπо-πоιεῖν]—“to compose in direct discourse,”
that is, to make the characters speak themselves—clearly shows that the
dramatic meaning of prosôpon had a particularly great influence on the history
of the word. In any event, it seems quite likely that when grammarians adopted
prosôpon to designate the grammatical “person,” they were thinking of the
dialogue situation characteristic of the theatrical text, which makes use of
the alternation “I-you”: the face-to-face encounter between person(age)s is
rooted in the category of the “person” (see SUBJECT, Box).Whereas terms like
“tense”, χϱόνоς, and “case”,
πτῶσις, are
attested before they appear in strictly grammatical texts, this is not the case
for prosôpon used to refer to the “person” as a linguistic category. On the
other hand, in the earliest grammatical texts, and in a way that remains
perfectly stable later on, prosôpon is adopted to describe both the
protagonists of the dialogue and the marks, both pronomial and verbal, of their
inscription in the linguistic material. In fact, the main difficulty
encountered by grammarians regarding the notion of prosôpon seems to have been
how properly to articulate reference to real persons occupying differentiated
positions in linguistic exchange (speaker, addressee, other) with reference to
the person as a grammatical mark. This difficulty occurs notably in a quarrel
about definition. In the Technê attributed to Thrax, Grammatici Græci, Uhlig. Lallot,
the verbal accident of prosôpon is defined as follows. Пϱόσωπα τϱία, πϱῶτоν, δεύτεϱоν, τϱίτоν· πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς]. There are three persons: first,
second, third. The first is the one from whom the utterance comes, the second,
the one to whom it is addressed, the third, the one about whom he is speaking.
This minimal definition clearly sets forth the two protagonists of the
dialogue, distinguishing them by their position in the exchange, and introduces
without special precaution a third position, characterized as constituting the
subject matter of the utterance. The parallelism of the three definitions—a
simple pronoun for each “person”—masks the lack of symmetry between the (real)
first and second persons and the third person; the latter, as Benveniste
pointed out (Problèmes de linguistique générale), may very well not be a
“person” in the strictest sense. This definition, which remained canonical for
several centuries, was attacked by Apollonius Dyscolus, who completed it as
follows. I adopt the formulation in Choeroboscos, Grammatici Græcim Uhlig, a
Byzantine witness to the Alexandrian master. πϱῶτоν μὲν ἀφ’ оὗ ὁ λόγоς πεϱὶ ἐμоῦ τоῦ πϱоσφωνоῦντоς, δεύτεϱоν δὲ πϱὸς ὃν ὁ λόγоς πεϱὶ αὐτоῦ τоῦ πϱоσφωνоυμένоυ, τϱίτоν δὲ πεϱὶ оὗ ὁ λόγоς μήτε πϱοσφωνοῦντος μήτε πϱоσφωνоυμένоυ].) The
first person is the one from whom the utterance comes meaning me, the speaker,
the second, the one who to whom the utterance is addressed meaning the
addressee himself, the third the one about whom the utterance speaks and who is
neither the speaker nor the addressee. Apollonius’s arrangement contributes
useful explanations: each “person,” including the first two, can be the subject
of the utterance; the third is defined negatively as being neither the first
nor the second (which implicitly opens up the possibility that it is a “person”
only in an extended sense, insofar as it does not need to be competent as an
interlocutor); the overlap of enunciation and enunciated is explicit: there is
a first person when the utterance refers to the enunciator-source, a second
person when it refers to the addressee, and a third when it refers to someone
or something else. Despite the incontestable advance represented by
Apollonius’s revision, it nonetheless leaves an ambiguity regarding the
designatum of prosôpon: are we talking about extralinguistic entities,
“persons” engaging in dialogue or not, or are we talking about linguistic entities,
“accidents” of the conjugated verb and the pronomial paradigm (personal
pronouns)? Apparently the former, which is surprising coming from a grammarian
who prides himself on correcting another grammarian. In fact, there is hardly
any doubt that in Apollonius, the ambiguity I mentioned is still attached to
the term prosôpon. Consider the following text, taken from Apollonius’s Syntax (Grammatici
Græci Uhlig]): τά γὰϱ μετειληφότα πϱόσωπα τоῦ πϱάγματоς εἰς πϱόσωπα ἀνεμεϱίσθη, πεϱιπατῶ, πεϱιπατεῖς, πεϱιπατεῖ. The
persons who take part in the act of walking are distributed into persons: I
walk, you walk, he/she walks. We can interpret this to mean that in a group of
persons—extralinguistic entities— who are walking, every utterance concerning
the walk will elicit the appearance of verb endings distributing the walkers
among the three grammatical persons: such is the alchemy of Apollonius’s
prosôpon. Jean
Lallot BIBLIOGRAPHY Benveniste, Émile. “Structure des relations de personne
dans le verbe.” in Problèmes de linguistique générale, Paris: Gallimard. Tr. Meek:
Problems in General Linguistics. Coral Gables, FL: University of Miami Press.
Grammatici Græci. Ed. Hilgard, Schneider, Uhlig, and Lentz. Leipzig: Teubner. Reprint,
Hildesheim, Ger.: Olms. Lallot, Jean. La grammaire de Denys le Thrace. Paris: Le Centre National de la
Recherche Scientifique. Liberté,
Égalité, Fraternité motto della Francia Lingua Segui Modifica Ulteriori
informazioni Questa voce o sezione sull'argomento società non cita le fonti
necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Liberté, Égalité, Fraternité
(in italiano Libertà, Uguaglianza, Fratellanza) è un celebre motto risalente al
Settecento e associato in particolare all'epoca della Rivoluzione francese,
divenuto poi il motto nazionaledella Repubblica Francese. Testo
esposto su un cartello che annunciava la vendita dei biens nationaux, ovvero di
quei possedimenti e domini della Chiesa (edifici, oggetti, terreni e foreste)
che furono confiscati dopo la Rivoluzione francese. All'epoca, il motto fu
talvolta mutato in Libertà, Egualità, Fraternità, o Morte: ma quest'ultima
parte fu poi abbandonata perché troppo fortemente associata con il regime del
Terrore Libertà Lo stesso argomento in dettaglio: Libertà. La prima parola del
motto repubblicano francese è "Liberté", che fu all'inizio concepita
secondo l'idea liberale. La Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino
la definiva così: «La libertà consiste nel potere di fare ciò che non nuoce ai
diritti altrui». «Vivere liberi o morire» fu un grande motto repubblicano,
adottato nello stemma originale del Club dei Giacobini. Sotto il governo
giacobino-montagnardodel Comitato di salute pubblica, di cui Maximilien de
Robespierre fu il leader più importante (cosiddetto regime del Terrore),
divenne famoso il motto: «Nessuna libertà per i nemici di essa».
Uguaglianza Lo stesso argomento in dettaglio: Uguaglianza sociale.
Timpano di una chiesa con un'iscrizione risalente all’anno della legge sulla
separazione tra Chiesa e Stato Secondo termine del motto repubblicano, la
parola "Égalité", significa che la legge è uguale per tutti e le
differenze per nascita o condizione sociale vengono abolite (egualitarismo);
ognuno ha il dovere di contribuire alle spese dello Stato in proporzione a
quanto possiede. Il principio teoricamente era già presente nel concetto di
Stato di diritto, ma con la Rivoluzione Francese venne praticamente messo in
atto. FratellanzaModifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso
argomento in dettaglio: Fraternità. Nella Dichiarazione dei diritti e doveri
del cittadino, parte integrante e iniziale della Costituzione, la parola "fraternité",
terzo elemento del motto repubblicano, è definita così: "Non fate agli
altri ciò che non vorreste fosse fatto a voi" (cosiddetta etica della
reciprocità) Origini e uso I primi contenuti riferibili al motto Liberté,
Égalité, Fraternité sono presenti nel saggio pubblicato a Londra da Marat, Work
wherein the clandestine and villainous attempts of princes to ruin liberty are
pointed out ("Opera in cui s'illustrano i sotterranei e scellerati
tentativi dei prìncipi di cancellare la libertà"), che egli pubblicherà
poi in francese col titolo più noto Les chaînes de l'esclavage("Le catene
della schiavitù"), dove si anticipavano i temi dell'azione politica: una
violenta presa di posizione contro il dispotismo a favore della sovranità
popolare e dell'uguaglianza. Successivamente, nel libro La Costituzione, o
Progetto di Dichiarazione dei Diritti dell'Uomo e del Cittadino vengono ripresi
e perfezionati gli ideali di Libertà, Uguaglianza e Fratellanza che verranno
progressivamente adottati a motto e simbolo. La prima formulazione del motto è
attribuita a Camille Desmoulins (l'inventore anche della coccarda tricolore
francese) per la Festa del 14 luglio 1790, anniversario della presa della
Bastiglia. Sebbene Liberté, Égalité, Fraternité sia un motto nato dalla
Rivoluzione francese e usato nella Prima repubblica, occorre attendere la IIIe
République (Terza Repubblica) perché venga adottato come simbolo ufficiale:
prima di allora il motto subisce una battuta d'arresto, insieme ai principi
fondanti della Repubblica. L'Impero e la Restaurazione trascurarono la
valorizzazione legislativa del motto, che ritorna alla pubblica ribalta solo grazie
alla penna di Leroux, all'epoca rappresentante del popolo in seno alla
Assemblée Nationale (Assemblea Nazionale). Egli partecipa attivamente al
percorso di riconoscimento del motto come principio costituente della Seconda
Repubblica. Nell'ambito di una repubblica a cui sovente si pospone
l'aggettivo "operaia", il motto acquista significati più ampi:
l'adozione del suffragio universale estende a tutti la Liberté di scelta
politica. La Commission du Luxembourg (Commissione del Luxembourg), nel
promuovere le Associazioni Operaie (antenate delle cooperative di produzione),
estende l'Égalité ai domini specifici dell'economia e della società. Infine,
per mezzo di uno Stato che assegna la sovranità al popolo, la Fraternité
esprime il senso della solidarietà e modera i potenziali ardori estremisti
delle altre due sorelle. Mentre in passato si tendeva a privilegiare l'Égalité
o la Liberté, questa fase storica vede la Francia percorrere la strada della
democrazia con un maggiore equilibrio. Tuttavia, ancora una volta, la Repubblica
si divide: la repressione popolare de il ritorno dell'Empire rimettono in
vigore la filosofia e la portata sociale del triplice motto. È necessario che
trascorrano ancora dei decenni per arrivare a vedere la celebre massima incisa
sui frontoni di tutti gli edifici pubblici. Poi, le Costituzioni riconoscono
autorevolmente il valore che il triplice motto ha per la storia del Paese
d'oltralpe. Liberté, Égalité, Fraternité rappresentano un valore così
grande da travalicare i confini della Francia, sono simboli che hanno portata e
rilevanza universali. Questo motto, nato dalla fucina d'idee della rivoluzione
francese, è un caposaldo irrinunciabile della moderna cultura
dell'Occidente. Alcune repubbliche sorelle della Francia rivoluzionaria
come la Repubblica Cisalpina napoleonica e la Repubblica Napoletana adottarono
un motto simile ("Libertà Eguaglianza" e "Libertà e Uguaglianza.
Bosc, «Sur le principe de fraternité. Voci correlateModifica Emblemi della
Francia Motti nazionali liberte, egalite, fraternite, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Liberté, Égalité,
Fraternité, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Il motto
della Repubblica francese - Il sito ufficiale della Francia, Liberté, Égalité,
Fraternité, su Les symboles de la République française, Présidence de la
République - Élysée.fr. URL consultato il 9 giugno 2010 Portale Francia
Portale Rivoluzione francese PAGINE CORRELATE Emblemi della Francia
Révolution nationale Stemma di Haiti Wikipedia Il contenutoWikipedia Ricerca
Uguaglianza sociale ordinamento per cui tutte le persone di una società godono
degli stessi diritti e doveri Lingua Segui Modifica Ulteriori informazioni
Questa voce sugli argomenti diritti umani e sociologia è solo un abbozzo.
Contribuisci a migliorarla secondo le convenzioni di Wikipedia. Segui i
suggerimenti del progetto di riferimento. Ulteriori informazioni Questa voce o
sezione sugli argomenti diritto e sociologia è priva o carente di note e
riferimenti bibliografici puntuali. L'uguaglianza sociale - che si applica ai
diritti e ai doveri della persona, considerati in termini di giustizia- è un
ideale che dà ad ognuno, indipendentemente dalla sua posizione sociale e dalla
sua provenienza, la possibilità di essere considerato alla pari di tutti gli
altri individui in ogni contesto. Si tratta di un ideale presente, almeno come
tale, in tutti i paesi civilizzati, come rivendicazione di pari dignità
individuale e sociale per tutti. Luigi Taparelli d'Azeglio Mentre
il concetto di giustizia sociale può essere ricondotto alla teologia di
sant'Agostino e alla filosofia di Thomas Paine, il termine "giustizia
sociale" iniziò ad essere esplicitamente utilizzato negli anni '80 del
1700. Al sacerdote gesuita Luigi Taparelli viene tipicamente riconosciuto
l'aver coniato il termine, che si è poi diffuso durante i moti rivoluzionari attraverso
le opere di SERBATI (si veda). Storia Studi antropologici su siti archeologici
indicano l'esistenza di una sostanziale uguaglianza nelle società di
cacciatori-raccoglitori mentre con l'avvento dell'agricoltura si rilevano gli
inizi delle disuguaglianze. Concetti di base L'uguaglianza sociale è una
situazione per cui tutti gli individui all'interno di società o gruppi
specifici isolati debbano avere lo stesso stato di rispettabilità sociale. Come
minimo, l'uguaglianza sociale comprende la parità di diritti umani e individuali
secondo la legge. Esempi sono la sicurezza, il diritto di voto, la libertà di
parola e di riunione, e dei diritti di proprietà. Tuttavia, essa comprende
anche l'accesso all'istruzione, l'assistenza sanitaria e altri basilari diritti
sociali, ed inoltre pari opportunità e obblighi. Genere sessuale,
orientamento sessuale, età, origine, casta o classe, reddito e proprietà,
lingua, religione, convinzioni, opinioni, salute o disabilità non devono
tradursi in una disparità di trattamento. Un problema aperto è la
disuguaglianza orizzontale, la disuguaglianza di due persone della stessa
origine e capacità. Nel mondo contemporaneo, poi, "i confini
dell’uguaglianza sociale si spostano in avanti: dopo le importanti conquiste
dei diritti sociali, legate alle lotte di emancipazione dei lavoratori e alla
costruzione dei moderni welfare state, si apre oggi un piano di azione per una
emancipazione ulteriore, che ha caratteristiche più sottili e insieme più
profonde: quelle della agibilità effettiva dei diritti sociali formalmente
sanciti e del pieno dispiegamento delle capacità individuali ancora compresse o
sotto-utilizzate per una larga parte della popolazione. In questi termini
appare evidente la natura «universalistica» delle nuove politiche, come
politiche per la promozione delle capacità e l’empowerment di tutti i
cittadini. Il principio universalistico dunque è costitutivo dell’approccio di
queste nuove politiche. In filosofia L'uguaglianza in termini
aristotelici è l'analogia delle parti da attribuire a soggetti uguali rispetto
a qualche caratteristica specifica (eguaglianza proporzionale) o la pura
uguaglianza matematica. Ci sono diverse forme di uguaglianza relative alle persone
e alle situazioni sociali. Per esempio, si può considerare la parità tra i
sessi per quanto riguarda l'accesso al lavoro; le persone interessate sono di
sesso opposto, la cui situazione sociale comune è l'accesso all'occupazione.
Allo stesso modo, la parità di opportunità, in senso generale, implica l'idea
che le persone dovrebbero essere nelle stesse condizioni di partenza nella
vita, ovvero che tutti dovrebbero avere pari opportunità indipendentemente
dalla loro nascita e successione. Peraltro, una perfetta uguaglianza
sociale è una situazione ideale che, per vari motivi, non ha riscontro in
alcuna società odierna. Le ragioni di ciò sono ampiamente dibattute:
circostanze concrete, addotte per il perpetrarsi della disuguaglianza sociale,
sono comunemente ritenute l'economia, l'immigrazione/emigrazione, la politica
estera e gli altri vincoli di cui soffre la politica nazionale. Storia
delle idee L'uguaglianza sociale è un obiettivo politico soprattutto dei
partiti di ispirazione socialista in tutte le sue variegature storiche. Il
concetto di uguaglianza anche in massoneria è estremamente importante,
divenendone uno dei cardini unitamente alla tolleranzaed alla fratellanza. Le
battaglie in questa direzione hanno avuto un apice con l'abolizione dei
privilegi della rivoluzione americana. La prima parla di Dichiarazione dei
diritti dell'uomo e del cittadino, versione francese, comincia così: Les hommes
naissent et demeurent libres e lala7 en droits (Gli uomini nascono e
rimangono liberi e uguali nei diritti). In antitesi vi è il concetto di
gerarchiameritocratica tipico della destra, mentre un sincretismo può considerarsi
il "comunitarismo". Un controesempio di uguaglianza sociale è stata
ritenuta la disuguaglianza sociale dell'Europa medievale.
MedioevoModifica Il concetto di uguaglianza tra le persone si riscontra anche
in epoca medievale. Si tratta di un concetto ereditato dall'epoca della
cavalleria, dove grande importanza aveva l'ideale secondo cui la vera nobiltà
sgorgava dal cuore delle persone, i quali quindi sarebbero stati al fondo tutti
uguali. «...tu vedrai noi d'una massa di carne tutti la carne avere, e da
uno medesimo Creatore tutte l'anime con iguali forze, con iguali potenzie, con
iguali virtù create. La virtù primieramente noi, che tutti nascemmo e nasciamo
iguali, ne distinse;» (Boccaccio, Decameron) Tra gli studiosi dell'epoca
medievale c'è chi (si può citare Huizinga) rintraccia in quei documenti che
testimoniano la diffusione di questo principio i presupposti per poter parlare
dell'esistenza di un ideale egualitaristico già in epoca medievale. Se così
fosse, nonostante la grande diffusione nella letteratura di corte dell'epoca,
andrebbe comunque sottolineato come questo primitivo concetto di uguaglianza si
limiti tuttavia a una mera considerazione di natura morale, senza che sia
minimamente avvertita la necessità, da parte di chi abbraccia tale ideale
(nella fattispecie i membri della nobiltà), di attivarsi per operare
attivamente sulla società per ridurre le disuguaglianze esistenti. Ciò si può
anche spiegare in base al fatto che durante il Medioevo dominava nella cultura
popolare e nobiliare una visione della società divisa in classi, regolate da
rapporti gerarchici ben precisi secondo un ordine che non poteva essere messo
in discussione, in quanto emanazione diretta della Divinità. Rimanendo
nell'ambito di questa interpretazione, l'unica nozione diffusa relativa
all'uguaglianza tra le persone, al di fuori dei già nominati ideali nobiliari,
è l'uguaglianza di tutti di fronte alla morte. Nella Costituzione
italianaModifica In Italia il principio è riconosciuto nell'art. 3 della
Costituzione il quale afferma che: «Tutti i cittadini hanno pari dignità
sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza,
di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e
sociali» (eguaglianza in senso formale) Quest'articolo esprime il
principio di uguaglianza in base al quale non devono essere attuate
discriminazioni di alcun genere tra i cittadini. Tale principio può apparire
scontato ma ci sono state, anche in tempi recenti, situazioni in cui esso non
era assolutamente riconosciuto. Concludendo, poi, che: «È compito
della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che,
limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il
pieno sviluppo della persona umana» (eguaglianza in senso sostanziale. Paine,
Agrarian Justice, Printed by Folwell, for Bache. Majhanovich, Rust, Education
and Social Justice, Kohler, et al., Greather post-Neolithic wealth disparaties
in Eurasia than in North America and Mesoamerica , Nature, in Volpato, Le
radici psicologiche della disuguaglianza,Introduzione, Laterza, Bari, Paci e Pugliese
(cur.), Welfare e promozione delle capacità, Bologna, Mulino, Montesano,
Vademecum di Loggia, Roma, Edizione Gran Loggia Phoenix. L'autunno del Medioevo.
L'autunno del Medioevo. Tra i contributi alla stesura di questa parte della
norma costituzionale si ricorda quello di Giannini, offerto su richiesta del
costituente Basso. Ritenendosi da parte socialista che fosse “un tradimento
fermarci all'enunciazione dell'uguaglianza formale, ma non essendo “pensabile
una norma di garanzia dell'uguaglianza economica e sociale, che presupponeva un
tipo di Stato allora e anche oggi inesistente”, Giannini propose due soluzioni
alternative: la prima più spinta, che impegnava la Repubblica a offrire a tutti
i cittadini “uguali posizioni economiche e sociali di partenza”; l'altra che
corrispondeva al testo poi accolto. E senza una minima carica retorica noterà
che “non avevamo intenzione di fare del nuovo, ma solo di affermare un
principio di dinamica dell'azione dei pubblici poteri per una società più
giusta” (Cesare Pinelli, Lavare la testa all'asino, in Mondoperaio. Crosato,
L'uguale dignità degli uomini. Per una riconsiderazione del fondamento di una
politica morale, ed. Cittadella, Assisi. Huizinga, L'autunno del Medioevo,
Roma, Newton Compton. Rawls, Una teoria della giustizia, in Maffettone, Universale
economica, traduzione di Santini, Milano, Feltrinelli, Rousseau, Il contratto
sociale, in Universale economica, traduzione di Bertolazzi, introduzione di Burgio,
Milano, Feltrinelli, Burgio, Eguaglianza, interesse, unanimità. La politica di
Rousseau, Napoli, Bibliopolis. Accademia nazionale dei Lincei, Disuguaglianze e
classi sociali: la ricerca in Italia e nelle democrazie avanzate, in Atti dei
convegni lincei, Roma, Bardi, Voci correlate Differenziazione sociale
Disuguaglianza sociale Distribuzione della ricchezza # Disuguaglianza
Egualitarismo Potere Stratificazione sociale Società (sociologia) Pari
opportunità Femminismo Eguaglianza, su Enciclopedia Treccani, Portale
Diritto Portale Politica Portale Sociologia
Egualitarismo dottrina politico-sociale che propone la parità di diritti e
opportunità degli individui Una teoria della giustizia Uguaglianza di
genere in Azerbaigian eguaglianza Condizione per cui ogni individuo o
collettività deve essere considerato alla stregua di tutti gli altri, e cioè
pari, soprattutto nei diritti civili, politici, sociali ed economici.
L'eguaglianza di tutti davanti alla legge è, assieme alla libertà, un diritto
fondamentale dell'uomo e una delle regole-base di una convivenza democratica.
In Italia l'eguaglianza è garantita dall'articolo della Costituzione. Le
costituzioni democratiche assicurano inoltre l'eguaglianza dei cittadini
attraverso la libera partecipazione alla vita politica e mirano a garantire
pari opportunità nella vita sociale, cioè a offrire a tutti le stesse
possibilità di crescita e di affermazione personale e professionale.
eguaglianza formale e politica Di eguaglianza si parla in molti sensi:
innanzitutto come eguaglianza formale e politica. La prima consiste nel fatto
che tutti i membri della società sono assolutamente eguali nei diritti e nei
doveri senza distinzione di sesso, origine, razza, ricchezza, convinzioni
religiose o politiche, e non devono subire discriminazioni. L'eguaglianza
politica, invece, sta nel fatto che ogni cittadino ha uguale diritto di voto e può
a sua volta essere eletto. Questi ideali di libertà e di eguaglianza si sono
venuti affermando in Europa e negli Stati Uniti, dopo una lunga lotta contro i
regimi monarchici e assolutistici (e contro la Gran Bretagna per le colonie
americane) che riconoscevano, tra l'altro, privilegi e differenze di status
giuridico alle classi aristocratiche. Gli ideali di eguaglianza hanno trovato
espressione nelle dichiarazioni dei diritti della storia inglese (a cominciare
dalla Magna charta libertatum) e soprattutto nella Dichiarazione d'indipendenza
americana e nella Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino approvata
dall'Assemblea costituente francese, in cui l'enunciazione di tali principi
gettava le basi di un nuovo ordine politico. APPROFONDIMENTO di Luca
Entrata nella cultura occidentale con lo stoicismo e soprattutto con il
cristianesimo (che considera tutti gli uomini dotati della stessa dignità, in
quanto figli di un medesimo Padre), l'idea che gli uomini siano eguali tra loro
ha giocato un ruolo decisivo nelle vicende sociali e politiche soltanto a
partire dal Seicento. I principali pensatori politici (da Hobbes a Locke, da Rousseau
a Kant) partono dall'ipotesi che gli uomini siano liberi ed eguali e di
conseguenza pongono l'origine dello Stato in un accordo volontario (il patto o
contratto) stipulato dagli individui stessi. Mentre per Platone e Aristotele
esisteva una gerarchia 'naturale' (fondata sull'intelligenza e sul sapere) tra
chi è adatto al comando e chi è adatto all'obbedienza - gerarchia che durante
il Medioevo si irrigidì nel criterio ereditario, fondato sulla nascita - per i
moderni pensatori contrattualisti gli uomini dispongono di eguali diritti e di
conseguenza l'ordine sociale e politico è qualcosa di 'artificiale', che gli
individui costruiscono tramite accordi. Queste idee troveranno
spettacolare applicazione nelle due grandi rivoluzioni moderne, quella americana
e quella francese, i cui più famosi documenti si aprono con un solenne richiamo
all'idea di eguaglianza. All'inizio della Dichiarazione d'indipendenza
americana troviamo un elenco di 'verità' autoevidenti, la prima delle quali è
"che tutti gli uomini sono creati uguali"; e nel primo articolo della
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadin troviamo proclamato il
principio secondo cui "gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei
diritti. Diverse interpretazioni di una stessa idea Il principio
dell'eguaglianza si rivelò ben presto suscettibile di varie interpretazioni:
esso poteva infatti essere invocato sul piano civile, come eguaglianza di
fronte alla legge e nei diritti di libertà (garanzie giudiziarie, libertà di
coscienza, libertà di iniziativa economica); oppure sul piano politico, come
eguale partecipazione al potere tramite il diritto di voto; oppure, sul piano
sociale, come eguaglianza nel possesso di risorse economiche. La richiesta
dell'eguaglianza civile ha caratterizzato, i movimenti politici di ispirazione
liberale, la cui principale preoccupazione era la tutela della libertà
individuale da ogni forma di potere collettivo; l'eguaglianza politica - con la
connessa richiesta del suffragio universale - è stata invece, nella seconda
metà del 19° sec., la ragion d'essere dei movimenti democratici, i quali
consideravano la partecipazione di tutti al potere politico (cioè l'autogoverno
collettivo) la forma più alta di libertà; l'eguaglianza sociale, infine, è
stata la bandiera dei movimenti socialisti, che hanno teorizzato la scomparsa
della proprietà privata e del libero mercato, nella convinzione che la vera
libertà potesse scaturire soltanto dall'eguale possesso delle risorse
economiche e non dal possesso di 'diritti astratti'. Tra questi diversi
tipi di eguaglianza, la differenza più grande è quella che separa l'eguaglianza
formale da quella sostanziale. L'eguaglianza nei diritti civili e politici è
un'eguaglianza formale, perché riguarda la sfera dei diritti e non quella dei
beni; di conseguenza, è compatibile con un grado più o meno ampio di
diseguaglianza sociale. Il fatto di essere eguali di fronte alla legge e nelle
libertà individuali significa che ogni individuo non subisce discriminazioni e
che dispone delle stesse facoltà: ma quanto ai risultati, sul piano sociale,
questi dipenderanno dal suo impegno e dalla sua abilità. Anche l'eguaglianza
politica non incide direttamente sulla sfera sociale, sebbene la partecipazione
di tutti al voto (e quindi, indirettamente, alle decisioni legislative) possa
far prevalere politiche di ridistribuzione della ricchezza. L'eguaglianza
sociale, invece, è un'eguaglianza di tipo sostanziale, giacché non riguarda i
diritti, ma i bisogni, e si traduce nell'eguale distribuzione dei beni: poiché
si tratta di una forma radicale di eguaglianza, in questo caso si è soliti
parlare di egualitarismo. Diritti sociali e pari opportunità Se per
gran parte del 19° sec. lo scontro è stato soprattutto tra liberali e
democratici (divisi dal tema del suffragio universale), nel secolo successivo
lo scontro è stato tra liberali e democratici da un lato e socialisti e
comunisti dall'altro, divisi dal tema dei diritti civili, dei diritti politici
e della libertà economica: dal punto di vista dei socialisti e dei comunisti,
infatti, l'eguaglianza civile e politica era soltanto una maschera degli
interessi economici della borghesia, i quali determinavano la più reale e
oppressiva delle diseguaglianze. Nel corso del Novecento, tuttavia, sono sorte
correnti di socialismo democratico o riformista, che non rifiutavano i diritti
conquistati da liberali e democratici, ma pensavano piuttosto a integrarli con
una serie di diritti e politiche sociali (diritti sindacali, istruzione,
assistenza sanitaria e pensionistica, assegni di disoccupazione, servizi
sociali), il cui scopo è correggere gli squilibri dell'economia di mercato e
ridurre le diseguaglianze sociali. Per altro verso, anche nel pensiero liberale
si è manifestata una maggiore sensibilità sociale, che si è concretata nel
principio dell'eguaglianza delle opportunità, che mira (attraverso le borse di
studio, i prestiti d'onore e altri strumenti) a dotare tutti gli individui
delle stesse possibilità, cioè ad eguagliare i punti di partenza. A
partire dagli anni Sessanta del Novecento, il tema dell'eguaglianza ha giocato
un ruolo decisivo nella questione femminile, ossia nella lotta per eliminare le
discriminazioni e le diseguaglianze tra uomini e donne sul piano dei rapporti
personali e dei ruoli pubblici. Il tema delle 'pari opportunità', in questo
ambito, ha avuto negli ultimi anni un grande risalto: sono sorte infatti
apposite istituzioni il cui scopo è garantire, per le donne, eguali possibilità
di carriera nel settore pubblico e privato e una maggiore presenza nella vita
politica (a livello locale e nazionale).egualitarismo Concezione
politico-sociale tendente a realizzare, accanto all’uguaglianza di diritto
sancita dalle norme costituzionali o legislative, una uguaglianza di fatto,
fondata sull’equa ripartizione dei beni e delle fortune tra tutti i membri di
una società. L’egualitarismo affonda le sue radici nell’Illuminismo e nella
Rivoluzione francese e ha ricevuto particolare impulso dai movimenti
socialisti. Egualitarismo salariale Tipo di politica sindacale mirante a
ridurre le differenze retributive tra le diverse qualifiche nell’ambito di una
categoria o nell’insieme dei lavoratori dipendenti. In Italia si è parlato di
egualitarismo salariale per gli aumenti retributivi in cifra fissa previsti dai
contratti collettivi di lavoro e per l’unicità del punto di contingenza, Roberto Esposito. Esposito. Keywords: fascismo, il
Sistema dell’in/differenza, Vico, Spaventa, Machiavelli, Bruno. Tanato-ethics,
tanato-politica, three features of the conversational imperative: generality:
formal generality, applicational generality, conceptual generality. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed
Esposito” – The Swimming-Pool Library.
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