Grice
ed Eraclide: la ragione conversazionale e l’esperienza -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. He writes a large work expounding the
empiricist philosophy which attracted the admiration of Galeno.
Grice
ed Eraclio: la ragione conversazionale e il cinargo romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Cinargo. He invited the emperor
Giuliano to one of his lectures, hoping to make an impression. He did, but it
was an unfavouable one, and Julian duly produced a written piece critical of
him.
Grice
ed Era: la ragione conversazionale e l cinargo romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano Era was of the Cinargo, and emulated
the antics of Diogene the sophist by publicly criticizing emperor Tito in a
packed Roman theatre. Unfortunately for E., whereas Diogenes had only been
flogged, E. was beheaded.
Grice
ed Erato: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo romano. A Pythagorean, according to Giamblico.
Grice ed Ercole: la ragione
conversazionale e l’implicatura conversazionale della difesa della metafisica –
transnaturalia -- esologia, essologia, e sinautologia – scuola di Spinazzola –
filosofia pugliese -- filosofia italiana Luigi Speranza (Spinazzola). Filosofo spinazzolese.
Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Spinazzola, Barletta-Andria-Trani, Puglia.
Grice:
“I like it when Ercole emphasizes that bit in De Interpretatione which I love –
every ‘logos’ is ‘significant’ (significativo, semantikos, -- adds Ercole
quoting from the Greek) of this or that – even a prayer!” -- Grice: “I must say
I love Ercole; for one, he expands on my idea of the longitudinal unity of
philosophy, being an Oxfordian Hegelian, almost, he thinks history can be
regarded LOGICALLY: scepticism has to follow dogmatism – this is pretty
interesting; for another, he tutored for years on the very same topics I did,
notably “De interpretation” and “Categoriae” – The former being a theory of
semiotics, of course!” – Studia a Napoli. Si interessa per Hegel. A Berlino si
perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg, e Mommsen. Adere anche alla
"Società filosofica hegeliana". Insegna a Pavia e Torino. Dall'hegelismo
iniziale, con l'affermarsi del positivismo, passa a posizioni di adesione
all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer. Polemizza con il teismo, giudicato
contraddittorio e illusorio, manifesta interesse per la riforma del liceo
classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi e defende Fröbel. Altre
opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione secondaria, Pavia,
Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di morte e la sua abolizione
dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana, Milano,
U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano. Teoricamente e storicamente
considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo italiano” (Torino,
Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e Spencer” (Roma,
Tipografia della Reale Accademia dei Lincei); “L'origine del pitagorismo” (Roma,
Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La filosofia della natura di
Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La panlogica di Ceretti”
(Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia di Ceretti”, “La
sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica aristotelica, la logica
kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino, Vincenzo Bona), “La
logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani. Il Ceretti fino a pochi anni fa era un uomo
quasi del tutto sconosciuto. Io mi consolo immensamente a vedere come egli mano
mano venga non solo conosciuto ma anche apprezzato, giacchè merita davvero e
l'uno e l'altro. È probabile che parecchi di quelli, cui capiti nelle
mani questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa conoscano ancor poco, o
fors’anche men di poco, l'autore della medesima. Io non posso certamente in
questa Introduzione entrare nelle particolarità della sua persona e degli
scritti suoi, si perché la natura e i limiti di uno scritto introduttivo non lo
permetterebbero, si perchè ho già pubblicata intorno a lui un'opera abbastanza
voluminosa (1), alla quale chi voglia può avere ricorso. Ciò non ostante,
non posso a meno di pur riferirmici brevemente, e riferirmi sopratutto al suo
general pensiere, ed ai suoi scritti; perchè, essendo egli passato (1)
Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di PIETRO CERETTI, accompagnata
da un cenno autobiografico del medesimo, intitolato: < La mia celebrità »
per PASQUALE D'ERCOLE, Torino -- per diverse fasi di si fatto pensiere, non si
potrebbe, senza tal ricordo, convenientemente collocare e giudicare questa sua
Sinossi. Quanto alla persona, tanto da invogliare a conoscerla chi ancora
non la conosca, mi limiterò a ricordarla con pochissime parole. Nato ad Intra
nel 1823, educato nella puerizia e nell'adolescenza da preti e gesuiti, usci,
dall'educazione e istruzione loro, l'uomo meno informato allo spirito
de'medesimi. Più che coll'opera altrui si è istruito coll'opera propria: sì che
può dirsi ch'egli è stato il vero autodidattico. In giovinezza viaggiò, e
per anni, quasi tutta l'Europa a piedi, da una parte, studiandone le diverse
genti ne’loro costumi e prodotti scientifici e letterari, dall'altra, vedendone
la natura nelle sue diverse forme e manifestazioni. Ed è, certo, da tal
visione ch'egli acquistò un grande amore agli studi naturali, ne'quali riesci a
procacciarsi vaste e profonde conoscenze. I predetti viaggi gli furono tanto
più fruttuosi, in quanto egli, accanto allo studio de'costumi e delle scienze e
lettere de'moderni popoli europei, ne studiava, apprendeva e parlava anche le
lingue. Le quali lingue moderne, congiunte ad antiche è classiche, ch'ei pure
conobbe (sanscrito, ebraico, latino e greco), divenner poi una mirabile, solida
e fruttuosa base pe'suoi studi d'ogni sorta, specialmente filosofici. Ebbe
mente assai varia, cioè poetica, filosofica e letteraria, e fu indubbiamente
un'alta e cospicua individualità, segnatamente dal lato del pensiero
filosofico. Egli è stato, infatti, un fortissimo pensatore e ad un tempo un
fecondissimo scrittore. Ha scritto una quantità veramente sorprendente di opere
(1), appunto di contenuto filosofico, poetico e letterario. Nel letterario
comprendo anche un certo numero di opere sociali, le quali son tra filosofiche
e letterarie, e sotto forma di romanzi, commedie, biografie, ecc., propugnano
una riforma sociale basantesi su principii filosofici. In una dozzina
d'anni, dal 1854 al 1866 circa cominciò a pubblicar qualcuna di tali opere, e
propriamente, di contenuto poetico, un poemetto intitolato: Il Pellegrinaggio
in Italia ed alcune Liriche, e di contenuto filosofico, i tre primi volumi di
un'opera scritta in latino intitolata : Pasaelogices specimen. Gli scritti
poetici pubblicò sotto il pseudonimo di Alessandro Goreni, lo scritto
filosofico sotto il pseudonimo di Theophilus Eleutherus; e, quel che più
importa, si de' primi che del secondo non ne mise in pubblico (così comincia a
comprendersi l'oscurità di Ceretti) che pochissimi esemplari, quasi a
scandagliar primamente con essi la pubblica opinione. De' primi qualche
giudizio, e abbastanza favorevole, venne fuori, e poi non se ne parlò più; del
secondo, che io sappia, non se ne parlò punto, e credo che non lo lesse
nessuno. L'autore stesso, in una sua umoristica autobiografia, riferendosi
specialmente a questa L'elenco compiuto di esse si trova nella mia citata
Notizia, ecc., p. xxvi SS., e tra grandi e piccole non sono meno di una
quarantina. opera filosofica, dice: « Tuttochè questi volumi non fossero
letti da nessuno, furono però variamente interpretati, e da taluni supposti
essere inintelligibili pel proprio autore; perciò mi guadagnarono la fama della
madre notte, che non lascia vedere cosa veruna. Dopo questa prima, quasi
ignorata pubblicazione, non pubblico, anzi non volle pubblicare più nulla; e
cosi si finisce di spiegare la predetta oscurità. Singolare uomo!
rispetto a quest'ultima, più che dispiacersene, egli n'era contentissimo, e quasi
ne gioiva, avendosela persin proposta per scopo, secondo l'adagio (che sovente
ripeteva): Bene vive chi bene si nasconde. E meglio di lui veramente non si era
nascosto nessuno; giacchè nel suo oscuro e silenzioso recesso ei volgeva ed
agitava nella mente tutto un mondo vastissimo di idee poetiche, filosofiche,
storiche, sociali, umane. E, lavoratore infaticabile e costante, queste idee
veniva solertemente scrivendo, finchè ha potuto scrivere egli stesso, e
dettando, quando non potè più scrivere. Giacchè, colto da una paralisi, da
prima leggera, ma pur spietatamente progressiva, dovette a poco a poco smettere
lo scrivere e ridursi a dettare i pensieri, che ancor sempre l'occuparono fino
alla morte. Quanto agli scritti, omettendo di allegare i
poeticoletterari, che non è qui il luogo e l'intento, ricordo i principali
filosofici. La citata opera latina doveva essere La mia celebrità, pag.
101, allegata alla mia citata opera. di otto volumi, ma egli non ne
scrisse che propriamente cinque e non ne pubblicò che tre soli. Oltre ad essa e
ad un'altra opera filosofica, intitolata : Idea circa la natura e la genesi della
Forza, e rimasta incompiuta, scrisse questa Sinossi dell' enciclopedia
speculativa; Sogni e Favole (il titolo par letterario, ma è opera filosofica e
voluminosa); Considerazioni circa il sistema generale dello spirito e circa il
sistema della natura entro i limiti della riflessione; Insegnamento filosofico;
Stramberie filosofiche, e parecchie altre minori. Nella gran massa
de'suoi scritti il pensiere del Cerelti non rimase stazionario e inalterato, ma
si mutò anzi non poco, e passò per diverse fasi. Le quali (comprendendovi anche
il pensiero poetico, sociale e letterario) si possono riassumere in quattro o
cinque, e sono la fase poetica; la fase filosofica hegeliana; la fase
filosofica di transizione; la fase utopistica e riformativa sociale; e finalmente
la fase detta del sistema contemplativo (filosofica anch'essa). La fase
poetica fu la prima della mente del Ceretti, e la prima si per aspirazioni che
per studi e produzioni. Ciocchè si è notato rispetto alla generale evoluzione
della sua mente, va notato anche di questa specifica fase poetica, in quanto
egli passò per varii stadii e varie maniere di concezione e corrispondente
produzione poetica, cominciando dalla leopardiana e foscoliana, passando un po'
per quella di Giusti e finendo con una concezione e forma poetica
umoristicofilosofica. Quanto alla fase filosofica hegeliana, ella è dalla
sua propria designazione indicata chiarissimamente da se stessa. Il Ceretti ne'
suoi svariati, larghi e profondi studi filosofici giunse ad accogliere come
risultato finale di essi la filosofia hegeliana; e nell'alta Italia è stato,
credo, il solo hegeliano, o certamente il solo notevole hegeliano. Tanto più
che egli non si limitò alla pura e semplice riproduzione dell'hegelianismo, ma
si allargò ed elevò ad una propria produzione sotto il nome di riformazione del
medesimo (1). Ma ecco che il Ceretti nella fase filosofica in genere
subisce di bel nuovo una evoluzione, la quale passa per diversi stadii, ognuno
de'quali è una specifica fase filosofica. Egli stesso crede che questi stadii o
queste specifiche fasi sien due, l'una hegeliana, ch'egli designa come «
speculazione hegeliana», l'altra di allontanamento da essa, ch'egli designa
come di « divorzio dalle idee hegeliane » 2). Io però (come ho ampiamente
mostrato nella mia citata Notizia), modificando e integrando l'istesso pensiere
dell'autore, dico che queste fasi specifiche del suo [ocr errors] Nella
prefazione alle Grullerie poetiche, pubblicate in Torino in questi giorni pei
tipi di Bona, alla pag. ix, riferendosi ai suoi studi filosotici nella storia
filosofica passata e recente, dice: « Le ultime fasi della filosofia ellenica,
del neoplatonismo, dell'idealismo germanico, e soprattutto dell'hegelianismo,
guadagnarono il mio spirito, che indi prese le mosse per un ulteriore sviluppo
speculativo, e si costituì in proprio sistema.Vedi La mia celebrità, pag. 92 e
107. pensiere filosofico son tre, cioè la hegeliana, una seconda, che ho
appellata di transizione, e finalmente quella del sistema contemplativo.
Or la Sinossi, che si pubblica presentemente, è un'opera che cade appunto nella
fase di transizione del pensiere filosofico di Ceretti; e di ciò fra poco.
Quanto al così detto sistema contemplativo cerettiano, che non entra neppur
esso nella considerazione e nei limiti della mia Introduzione, rimando il
lettore a ciocchè ne ho scritto nella mia Notizia, segnatamente a pagina
cccxxix ss. Qui mi limito a dir solo che esso è un complesso di idee
stoiche, pessimistiche e subbiettivistiche, ed il subbiettivismo poi (già
cominciato nella fase di transizione) è spinto a tale estremo da essere un
subbiettivismo più immaginativo che pensivo. In filosofia il Ceretti cominciò
coll’Idealismo assoluto hegeliano, procedè, attraverso l'Idealismo obbiettivo
di Schelling, verso l'Idealismo subbiettivo di Fichte (fase di transizione); e
questo Idealismo subbiettivo esagerò poi verso il sistema contemplativo nel
senso predetto. La fase utopistico-sociale è pure in grosso e chiaramente
designata dalla sua denominazione stessa. Infatti, il Ceretti in essa propugna
uno stato sociale e una relativa costituzione, che non sono lontani da quelli
della repubblica di Platone, ossia da una società civile addirittura
utopistica. Poste queste generalità, vengo allo scopo principale di
questa Introduzione, cioè quello di riferirmi in modo [ocr errors]
particolare alla Sinossi da me edita. Senonchè, come questa non s'intenderebbe
ed apprezzerebbe bene, se non mi riferissi all'antecedente pensiere filosofico
cereltiano, del quale ella è, in parte, continuazione, in parte, deviazione,
cosi comincerò da quest'ultimo. L'antecedente pensiere, che fu anche il
primo, come è detto, è stato l'hegeliano. Però è stato parimenti detto che il
Ceretti non accolse l'hegelianismo come un semplice riproduttore di esso, ma
come un riformatore del medesimo. Ora, che cosa pensava egli dell'hegelianismo?
pensava che, nella storica evoluzione filosofica il pensiere hegeliano
rappresentasse il momento culminante, il pensiere speculativo più puro, però
non ancora tanto puro, quanto è richiesto dal Logo assoluto (1). Da questo
modo di apprezzare il pensiere hegeliano, da lui accolto, seguivano due cose.
L'una che, benchè rispetto a tutto il rimanente pensiere, il pensiere hegeliano
fosse il più elevato e il più compiuto, pur non era interamente compiuto, era
ancora difettivo. L'altra, che bisognava correggerne i difetti ed integrarlo.
La correzione e la integrazione sono appunto la riforma dell'hegelianismo,
quale il Ceretti la intende; e la esecuzione di ciò costituisce un proprio
sistema filosofico, che è il sistema panlogico cerettiano. [merged
small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Logus hegelianus (aveva egli detto
nella citata opera latina) est cogitationis cogitatio magis pura quam omnis
hactenus a philosophia prolata logica cogitatio, nondum vero quantum logus
absolutus requirit. Chi non ha l'edizione latina confronti la traduzione
italiana, vol. I, Prolegomeni. I difetti, che il filosofo intrese trovava nel
filosofo di Stoccarda si estendevano a tutte le tre parti della filosofia di
quest'ultimo, alla Logica, alla Natura ed allo Spirito. Rispetto alla
Logica ei trovava i seguenti. Primo: la Nozione (ossia l'Idea) hegeliana si
genera dialetticamente in sè stessa in modo inconscio. Ora, il Ceretti trova
giusto che la Nozione si generi dialetticamente in sè e da sè; ma ritiene però
vizioso ed irrazionale il prodursi dialettico di una Nozione che non si conosce
Nozione (di un'Idea che non si conosce Idea). Secondo: la trattazione logica,
nel suo processo dialettico, è una astratta semplice esplicazione delle
categorie, mentrechè, per essere vera e concreta, dovrebb' essere, secondo il
Ceretti, un processo di esplicazione ed implicazione. Terzo: la predetta
trattazione costituisce piuttosto un logo astratto, che si esplica e riassume
astrattamente in un risultato, anzichè affermarsi in tutti i momenti del corso
esplicativo. Se questi difetti si guardino nel loro complesso e si
esprimano in linguaggio più comune, essi si riducono alla rimproverata
incoscienza e astrazione (non concretezza) del processo dell'Idea logica
hegeliana. Il rimedio a questi vizii (e questo è uno de' punti della riforma
hegeliana) è per lui, primamente che la Nozione o l'Idea logica sia
accompagnata da coscienza, secondamente che il processo dialettico logico fosse
esplicativo ed implicativo ad un tempo, in terzo luogo, che tal processo logico
non lo si vedesse ed esprimesse in un semplice risultato, ma che si veda,
affermi e verifichi in ogni singolo momento del suo corso. Rispetto alla
Natura (e corrispondente filosofia), ei trova il general difetto che il
processo dialettico, che Hegel segue in questa, è anche astratto (come nella
Logica) e non locca le concretezza della Natura istessa. La filosofia della
Natura per Ceretti non dev'essere, come per Hegel, un’Idea raccoglientesi in sè
stessa dal suo Esser-altro, ossia dalla sua esteriorità, ma dev'essere anche e
piuttosto un veramente naturare l'Idea logica. L' emendazione a tal difetto
s'intende bene che pel Ceretti consista nell'effettuare il processo naturale
della Nozione o dell'Idea in guisa che questa realmente si obbiettivi e
concreti nell'esteriore realtà. Finalmente, rispetto allo Spirito, il
filosofo intrese trova, lasciando da banda qualche vizio secondario, due vizii
principali. Il primo è che, nel processo dialettico hegeliano, lo Spirito sorga
in ultimo come un risultato, invece di sorgere e costituirsi in tutta la serie
evolutiva dello Spirito stesso. Il secondo è che lo Spirito non raggiunga
quella libertà, nella cui essenza il filosofo tedesco lo fa massimamente
consistere. Anche qui l'emendazione consiste nel rimuovere i notati difetti, e
però far sì che lo Spirito si costituisca tale nella suc: cession graduale
della sua evoluzione e raggiunga veramente la libertà. lo qui allego
senza discutere: qualche vizio rilevato anche a me è parso reale, altri no:
rimando per questo il lettore alla mia opera sul Ceretti e lì, in una
discussione piuttosto ampia in proposito, veda e giudichi da sè stesso.
Come effettua ora il Ceretti la emendazione dei predetti vizii e la conseguente
riforma dell'hegelianismo? Come segue. Va innanzi tutto notato che
egli nella riforma non vuole uscire dall'hegelianismo istesso; e qui ha
ragione, e mostra uno sguardo filosofico veramente speculativo e profondo.
Giacchè ei pensa, e giustamente, che i sistemi filosofici tutti costituiscono e
debbono costituire tanti singoli, ma pur necessari momenti di un solo
universale Principio, di una sola universale Idea, di un solo universale
Pensiere. L'hegeliano è stato l'ultimo pensiere e l'ultimo principio,
comprensivo di Tutti gli antecedenti. Chi vuole, ora, seguire la catena storica
della filosofia deve riattaccarsi a quest'ultimo, e questo stesso, pur
accogliendolo, ulteriormente sviluppare in sè stesso. E cosi fa egli. Di
fatto, oltre al pensiere hegeliano or rilevato e da lui accolto del significato
della storia filosofica e de' sistemi che lo compongono, ha accolto anche il
principio, pur hegeliano, di tre generali forme di sistemi, vale a dire il
sistema dommatico, lo scettico e l'idealistico. Ha, inoltre, accolto il
pensiere hegeliano fondamentale della triplice forma del principio assoluto,
forma logica, naturale e spirituale, non che la conseguente triparti (1)
Citata Notizia, pag. ex ss. Vi troverà anche i corrispondenti luoghi latini
dell'opera di Ceretti, zione e trattazione di tutta la materia
filosofica. Ha parimenti accolto il concetto enciclopedico della filosofia, il
metodo dialettico con la nota tricotomia che lo accompagna, ed altri principii.
Ma, ciò non ostante, egli sviluppa ulteriormente, modifica e riforma
l'hegelianismo. Punti importanti della riforma son primamente l'Assoluto
ed il Logo: e chi è a notizia delle cose hegeliane, intende bene che con essi
il Ceretti non si colloca punto fuori dell'hegelianismo, ma si pone anzi nel
cuore del medesimo. Imperocchè l'Assoluto (già importantissimo in tutta la
filosofia tedesca) è, notoriamente, l’un capo della filosofia hegeliana,
mentre, d'altra parte, l’Idea, segnatamente logica (il Logo, insomma), ne è
l'altro. Assoluto e Logo dunque, ossia riunendo, e giustamente, i due, il Logo
assoluto diviene in Ceretti il Principio e pernio di tutta la sua concezione
riformativa. Questa concezione, s'intende, vien da lui sistematicamente
disegnata ed effettuata; e il sistema che ne risulta è un Panlogismo, ossia una
universale considerazione speculativa del Logo. Il Logo è cosi il nuovo
principio, che il filosofo intrese pone innanzi, modificando l'Idea hegeliana e
specialmente allargando, anzi addirittura universalizzando l'Idea logica di
Hegel. Se non che, accanto al Logo troviamo in Ceretti una seconda designazione
di tal nuovo principio, ed è quella di Coscienza. Come questa seconda
designazione comincia già ad essere importante nella prima fase filosofica del
Ceretti (nella hegeliana) e divien poscia prevalentemente determinante nella
seconda (in quella di transizione, in cui cade la Sinossi); cosi vuol essere
chiarito come la stia con questi principii, che apparentemente paion due (Logo
e Coscienza) e realmente sono il solo principio novello cerettiano. Si
noti che uno de' punti cardinali cerettiani della riforma è che l'Idea o la
Nozione logica sia non già inconscia, come in Hegel, ma conscia. Si pensi,
d'altra parte, che il principio cerettiano (sorgente dall'hegeliano e
modificante l'hegeliano istesso) è, come s'è visto, il Logo assoluto. Ora, tal
Logo assoluto (secondo il vizio antecedentemente rilevato e la relativa
emendazione) Ceretti lo vuol conscio; ed allora è un passaggio più che
naturale, è una naturale esigenza che il Logo assoluto conscio sia e divenga in
lui Coscienza (non certo subbiettiva od obbiettiva, ma assoluta). In tal
guisa Logo assoluto e Coscienza pel filosofo intrese costituiscono in fondo un
sol principio, e sono il suo novello principio emergente dall'hegeliano. Dico
emergente dall'hegeliano, anche perchè, notoriamente, in Hegel, accanto
all'Idea, che è posta come principio assoluto, spicca come tale anche lo
Spirito (der Geist). Or lo Spirito è l'Idea conscia. Quando si vede la cosa
cosi, può dirsi che si in Hegel che in Ceretti spiccano due principii, almeno
due speciali denominazioni di un sol principio, che son poi in fondo un sol
principio. Cioè, in Hegel spiccano Idea e Spirito, che son poi (l'unico
principio) l'Idea spirituale, ossia conscia; e in Ceretti spiccano il Logo
e la Coscienza, che son poi (pur un unico principio) il Logo conscio, o
puramente e semplicemente la Coscienza. Che poi e come poi Ceretti colla
Coscienza crede di porre innanzi un principio diverso dallo Spirito di Hegel, o
almeno più largo dello Spirito, lo vedremo più innanzi. Ora, pel progresso del
discorso, è necessario rilevare primamente un'altra cosa: ed è che dei predetti
due principii cerettiani (che in fondo son poi uno), il primo o Logo assoluto è
quello che dà più specialmente denominazione, concezione e sistemazione alla
fase hegeliana del Ceretti, ossia al Panlogismo: ed il secondo, o la Coscienza
(pur già appariscente nella predetta prima fase), è quello che dà più
specialmente l'intonazione, la concezione e la sistemazione della seconda fase,
cioè di quella di transizione, in cui cade la Sinossi. Il che vuol dire, in
altri termini, che il Logo informa prevalentemente il sistema panlogico
dell'opera latina, Pasaelogices specimen (prima fase), e la Coscienza informa
più particolarmente la presente opera italiana della Sinossi. Diamo ora
brevemente uno sguardo al sistema panlogico, che per me costituisce ancor sempre
il più poderoso, più originale e più speculativo pensiere Per veder ciò,
naturalmente, non bisogna limitarsi al fuggevolissimo e magrissimo cenno che ne
fo qui; ma bisogna leggere l'opera cerettiana, alla quale un buon aiuto, mi
lusingo di dirlo, è la mia citata Notizia. del Ceretti: il quale sguardo
ci agevolerà l'entrata nel pensiere della presente opera sinottica. Il
Logo per lui è tutto, è l'universale realtà, è l'assoluta realtà; e la
filosofia è la scienza che considera appunto il Logo nella sua universalità ed
assolutezza. Il Logo ha tre forme di esistenza, cioè è Logo in sé, Logo fuori
di sè, Logo per sè; forme, che pel Ceretti hanno anche il significato e valore
di essere il Logo nella sua Subbiettività, il Logo nella sua Obbiettività
(obbiettivazione, estrinsecazione), il Logo nella unità di Subbiettività e
Obbiettività. Si consideri l'Idea hegeliana e le sue note forme, e si
troverà che il Ceretti attribuisce al suo Logo quelle stesse forme di esistenza
che Hegel attribuiva alla sua Idea. Si pensi un'altra cosa. L'Idea di Hegel è
Pensiere ed Essere insieme: può dirsi però che essa è prevalentemente Pensiere
nella Logica, prevalentemente Essere nella Natura, prevalentemente Coscienza
nello Spirito. Il Logo di Ceretti è pur Pensiere ed Essere, ma, starei per
dire, colla prevalente anzi colla essenziale caratteristica di Pensiere: il
Logo é essenzialmente pensivo (senza cessare di essere essente), e però è
essenzialmente conscio, è essenzialmente Coscienza. L'Idea logica di Hegel non
è conscia; l'Idea naturale del medesimo non è neppure conscia; conscia è
soltanto la sua Idea spirituale. Il Logo cerettiano invece è sempre Pensiere ed
è sempre Coscienza in tutte le sue forme di esistenza, che, come fondamentali,
sono le tre predette. Queste tre forme di esistenza, speculativamente
considerate, costituiscono poi tre parti della filosofia, ciascuna delle quali
è una speciale considerazion del Logo. Le quali parti, designate con nomi un
po' singolari, ma, in fondo, pur veri, sono la Esologia (da eis, és dentro), o
dottrina del Logo in sè, del Logo considerato dentro di sė, la Essologia da
(85w, fuori) o dottrina del Logo fuori di sè, e finalmente la Sinautologia (da
cúv e aviós, con, stesso) o dottrina del Logo con sè. A maggiore
intelligenza di queste tre parti, rilevo che il concetto e il relativo obbietto
di esse son dal loro autore espressi in una maniera, che è pur degna di
considerazione, e che, del resto, discende dall'anzidetto. Si è già visto come
il Logo cerettiano, benchè genericamente contenga in sè gli elementi
dell'essere e del pensiere, pure prevalentemente e più specificamente è
pensiere. Conformemente a ciò, il filosofo intrese designa il concetto e
obbietto delle tre mentovate parti appunto dal lato del pensiere, e dice che la
Esologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensiere; la Lo
dice Logo con sè, ma la espressione ha quel medesimo significato che ha in
Hegel quella (del terzo momento) di in sè e per sè. Qui il lettore può intender
meglio ciocchè si è detto innanzi del significato ed estensione del Panlogismo
cerettiano. Infatti, queste tre parti, che sono tutte, e le sole, dottrine del
Logo, nel loro complesso costituiscono la Panlogica (Pasaelogice o Pasalogice:
titolo dell'opera latina); onde il Panlogismo. Intende anche un'altra cosa,
cioè, la relazione intima di queste tre parti con le hegeliane, in quanto la
Esologia corrisponde alla Logica (Logik) di Hegel, la Essologia corrisponde
alla filosofia della Natura (Naturphilosophie) e finalmente la Sinautologia
corrisponde alla filosofia dello Spirito (Geistesphilosophie) del medesimo.
Essologia, un'altrettale considerazione del pensiere del pensato, e finalmente
la Sinautologia è la considerazione speculativa del pensiere del
pensante. Sempre dunque considerazion del pensiere: Il pensiere del
pensiere esprime il pensiere nella sua subbiettività; il pensiere del pensato è
la considerazione pensiva del pensiere come obbiettivato; e l'ultima è la
considerazion del pensiere come unità di subbietto e obbietto (di pensiere
subbiettivo e pensiere obbiettivo). Ciò posto, ecco ora come l'autore
pensa e determina la materia di queste tre parti: nel dir delle quali, dirò
qualche cosa di più della prima od Esologia, perchè essa nella susseguente
Sinossi apparisce poco o punto. Esologia. Questa è la logica cerettiana,
nella quale la coscienza logica, come Coscienza del Logo in genere, è
essenzialmente pensante (essentialiter cogitativa, come egli dice). La
Coscienza logica è da lui definita quale Coscienza di sè e di altro non ancora
esteriore a sè stessa, cioè, non ancora estrinsecata (non ancora divenuta Logo
naturale, Natura). Ei distingue ora l’Esologia in tre parti, che (sempre
dal Logo, che è in fondo ad esse) appella Prologia, Dialogia e Autologia. La
prima considera il Logo esologico nella astratta identità del pensiero; la
seconda lo considera nella differenza del pensiero istesso, la terza lo
considera come sintesi della identità e della differenza del pensiero.
Queste tre ultime, ragguagliate alle parti della Logica hegeliana,
corrispondono alla sfera del Concetto, a quella dell'Essere e a quella
dell’Essenza. Il Concetto in Hegel tien l'ultimo posto; invece, tiene il primo
il Ceretti col nome di Prologia. La Prologia cerettiana (vicinamente alla
dottrina hegeliana del Concetto) è dottrina della Proposizione, del Giudizio e
del Sillogismo. Il Ceretti comincia dalla Prologia, ed in questa dalla
Proposizione, in quanto pensa che il Primo prologico (come dice egli; noi
diremmo in generale il Primo logico) non è nè l'Essere di Hegel e Rosmini, nè
l'Io di Fichte, nè la schellinghiana Identità dell'Ideale e del Reale; ma è la
Proposizione, ch'ei pensa come qualcosa di più semplice e primitivo del
Giudizio stesso. Non entro nelle particolarità nè nell'apprezzamento
della cosa; mi limito a far risaltare soltanto il pensiero cerettiano. Non
posso però a meno di richiamare l'attenzione del lettore sulla triplicità che
pervade (come già in Hegel) la trattazione filosofica cerettiana, la quale
triplicità, come si scorge qui, cosi segue in tutta la susseguente trattazione.
È inutile dire che, trattando di questa parte, l’autore entra nelle
particolarità della teoria si della proposizione, si specialmente del giudizio
e del sillogismo. La Dialogia è la dottrina dell'Essere e considera
questo (come già Hegel) siccome distinto ne' subordinati principii o momenti di
Qualità, Quantità e Modalità (1), ne'quali, alla lor volta, vengono suddistinti
e La Modalità è la misura hegeliana (das Maas): già Rosenkranz l'avea
appellata anche Modalità.speculativamente considerati altri principii subordinati,
come qualcosa, il limite, il quanto, la realtà, la sostanza, la essenza, la
necessità, ecc. Chi è pratico delle cose hegeliane, si accorge che il
Ceretti anche in questa seconda parte ha fatto degli spostamenti, trasportando
e trattando sotto la sfera dell'Essere principii (e persin l'essenza stessa),
che in Hegel ricorrono sotto quella dell'Essenza. La cagion di ciò, a mio
credere, è che il Ceretti tratta tutta la materia logica (anzi tutta la materia
filosofica) secondo i tre momenti della Posizione, della Riflessione e della
Concezione. Così facendo, ha potuto accogliere i principii o momenti hegeliani
dell’Essenza (la quale, notoriamente, è la sfera della riflessione) sotto il
proprio Essere, considerato appunto secondo il momento della riflessione; ossia
ha potuto accoglierli sotto l'Essere riflesso. L'Autologia finalmente,
che è pensata come unità della Prologia e della Dialogia, tratta de'tre
principii del Sapere, Volere, Agire. S'intende bene che anche in questi vengono
distinti, rilevati e trattati altri momenti subordinati come Sapere immediato,
mediato e assoluto, Volere subbiettivo, obbiettivo, ecc. I tre principii
predetti pur ricorrono nella Logica hegeliana, ma in una guisa e sfera
subordinata, mentre qui abbracciano una intera sfera logica per sè, e
costituiscono il punto culminante ed unitivo di tutto il pensiere esologico
(ossia logico). Questa parte del sistema panlogico cerettiano non rimane
poi così magra ed astratta, come potrebbe sembrare, ma si addentra nella
storia, e viene additata in questa la evoluzione di tutte le categorie logiche
(esologiche) trattate. Io qui naturalmente non posso entrare nelle
particolarità: di più ho detto nella mia Notizia degli scritti e del pensiere
filosofico di Ceretti; ma anche in questa fui piuttosto scarso. Ora si è
pubblicata in italiano questa parte della filosofia cerettiana sotto il nome di
Esologia, ed essa sola comprende ben mille e dugento pagine. Io cercherò
un'altra occasione in cui discorrere più lungamente di quest'opera e
paragonarla con la Logica hegeliana, dalla quale prende il general pensiere e
il generale andamento, ma della quale vuol essere, e in parte è, una
modificazione. EssOLOGIA. La Natura è il Logo obbiettivato: però la dice
anche Non-Logo, ossia l'opposto (il negativo) del Logo subbiettivo. La designa
parimenti come Coscienza in forma d'Incoscienza, ossia, in fondo, di Coscienza
ancora inconscia. Che la dice Coscienza, dopo tutto l'anzidetto, s'intende
benissimo; perchè la Coscienza non è che il Logo conscio in genere, salvo poi a
passare per diversi gradi della Coscienza, cominciando dalla incoscienza.
Questo stato ancora inconscio della Coscienza della Natura è incluso nella
mentovata designazione, che, cioè, questa sia Coscienza in forma di
incoscienza. Qualche cosa di consimile egli esprime, quando la designa anche
come Coscienza dormente. Distingue la Natura (alla hegeliana) in
meccanica, fisica, organica o, come anche si esprime, in Logo meccanico, Logo
fisico e Logo organico; e la tratta speculativamente in queste tre forme. Il
punto culminante della Natura è la Vita, il cui Logo supremo, dice egli, è
l'organo sensorio. Col senso poi (che è funzione e manifestazione di
quest'organo) si esce dalla sfera della Natura propriamente detta e si entra in
quella dello Spirito, ossia della Coscienza del Logo conscio, e però del
pensiero del pensante, la cui speculativa trattazione è la SINAUTOLOGIA.
Il concetto della sinautologia dall'anzidetto è chiarissimo e si riassume in
questo, che il pensiero del pensante da essa considerato esprime la concretezza
del pensiero istesso, cioè la Coscienza altuosa di quello Spirito (di quel
Pensiero), che nella Esologia e nella Essologia era ancora inconscio. Le
parti in cui si suddivide la Sinautologia sono l'Antropologia, l’Antropopedeutica
e l'Antroposofia. Queste stesse tre parti sono ulteriormente divise in altre
subordinate, trattandosi in ciascuna in grosso quei principii che nell'
hegelianismo fan parte dello Spirito e della filosofia dello Spirito. Nelle
particolarità io rinunzio di entrare, tanto più che la maggior parte di esse
entrano nella Sinossi, che si presenta ora al pubblico. Con ciocchè è
detto, che io lascio senza apprezzamento, è stato certo il lettore messo nel
caso di conoscere quelle antecedenze, delle quali la Sinossi, da una parte, è
continuazione, dall'altra, ulteriore modificazione, e veniamo dunque alla
presente opera sinottica. Rispetto a questa vi sono due punti a cui mi
riferirò: l'uno è quello dell'opera da me prestata nella pubblicazione di essa:
l'altro è quello di dare una idea generica del suo contenuto e di rilevare
alcune cose che mi paiono degne di nota. Per ciò che concerne il primo
punto, il manoscritto che mi fu consegnato, di indicazioni del contenuto e
dello scopo dell'opera non portava che soltanto il titolo generale di essa,
cioè Synossi dell'Encyclopedia speculativa. Non aveva prefazione od altra
indicazione di sorta, ma cominciava subito col primo paragrafo, e così
senz'altro continuava in sussecutivi paragrafi fino all'ultimo. Or bene,
io ho creduto utile di fare innanzi tutto due piccole innovazioni: primamente,
di ammodernare l'ortografia dell'autore; secondamente di fornire l'opera di
intestazioni. Quanto all'ortografia, Ceretti era un uomo, dirò cosi,
stampato sul classico, e però rispetto ad essa ha ancora ritenuto le forme
latine e greche. Gli è per ciò che, conformemente al saggio ricorrente nel
titolo predetto, egli scriveva analysi, systema, sympathia, philosophia,
abysso, e via dicendo. Adduceva anche le ragioni di ciò, e, in una scrittura
umoristica, riferendosi a questo punto, pregava che lo « si lasciasse
spropositare a suo agio, perchè la sua crassa ignoranza di orthographia
italiana non gli permetteva di fare altrimenti ». Senza che io mi
distenda su questo punto, il lettore intenderà che al nostro tempo una tale
ortografia non poteva trovar favore presso il pubblico. L'autore stesso, Nella
Prefazione ai Sogni e Favole (ancora inediti, ma che si pubblicheranno fra non
molto). del resto, non l'aveva seguita neppur egli in tutte le sue
scritture italiane. Per esempio, non l'aveva seguita nè in una sua prima opera
filosofica italiana, rimasta incompiuta (intitolata Idea circa la genesi e la
natura della Forza), nè in qualche opera letteraria de' primi tempi (poniamo,
nelle Lettere d'un profugo): in generale poi non l'ha mai seguita nelle sue
opere poetiche italiane. Io poteva dunque senza scrupoli innovarla.
Quanto alle intestazioni, mi sono parse utilissime anch'esse. Il Ceretti è uno
scrittore molto difficile, è sovente oscuro. Leggere una sua opera senza
intestazioni di sorta, tranne quella del titolo generale, è una cosa che non
invoglia il lettore. Gli è perciò che, ad agevolare a questo l'intelligenza e
la lettura della medesima, ho diviso innanzi tutto l'opera nelle grandi e
generali parti che la costituiscono, e ho dato loro le rispettive intestazioni;
poscia ho fatto lo stesso coi paragrafi, dando, sia ad un solo sia a più
insieme, la intestazione corrispondente al pensiere da essi espresso. Per
la giusta lezione del testo mi son dato tutta la cura possibile. Non una, ma
ben molte volte sono intoppato in difficoltà: tanto più che il manoscritto era
scritto da un amanuense. Nelle difficoltà ho fatto fare scrupolosi raffronti
coll'originale, nei quali la figlia dell'illustre filosofo, tuttora
amorosamente intenta alla pubblicazione delle opere paterne, mi ha prestato
valido aiuto. Ma, Ad onor del vero, mi piace di far noto che l'opera
della figlia verso il padre non è soltanto di riconoscenza filiale, ma di
intelligente ad onta del buon volere e degli aiuti, mi è rimasto qualche
scrupolo, che in questo o quel luogo qualche mancamento od inesattezza vi sia
rimasto. Quanto a mancamento, mi cade in acconcio di potere affermare
siccome una verità, che, per chi conosce le opere filosofiche cerettiane,
quelle che susseguono l'opera latina in genere si risentono un po' tutte di qualche
mancamento rispetto all'ordinamento e all'integrità del pensiere. Questo,
secondo me, proviene da più cagioni: l’una, che, avendo ogni scrittore un
momento culminante nella sua attività intellettiva, il Ceretti lo ha avuto
nell'opera latina: l'altra che, avendo egli, dopo la pubblicazione de' tre
primi volumi di questa, fermamente deliberato di non pubblicar più nulla, ha
creduto che le sue opere rimanessero inedite; e con tal credenza la cura di
esse è minore: una terza, che negli ultimi dieci anni di vita (in cui cadono
quasi tutte le opere filosofiche italiane, compresa la Sinossi) egli fu
travagliato dalla mentovata infermità. Continuando a dire dell'opera da
me prestata, rilevo che, per l'accennata difficoltà e talvolta anche oscurità
del pensiere dell'autore, vi ho pure aggiunto delle note illustrative, ove mi
son parse necessarie od almeno utili. E finalmente, un po' per la ragione
ora detta, un po' per continuare a far conoscere la persona é gli scritti di
Ceretti, un po' per agevolare al lettore l'entrata nel prestazione, come
ha anche dimostrato, benchè ella lo abbia taciuto, nella mentovata
pubblicazione delle Grullerie poetiche, non che delle Poesie giovanili, apparse
contemporaneamente ad esse. pensiere della Sinossi, vi ho preposta la
Introduzione che sta ora leggendo. Per ciocchè concerne il secondo punto,
quello del contenuto, comincio col richiamare innanzi tutto l'attenzione del
lettore sul principio costitutivo della Sinossi, cioè, la Coscienza; principio,
come ho già detto innanzi, che l'autore crede distintivo della propria
filosofia da quella di Hegel, il quale, invece, pone in genere l’Idea, e più
specificamente l'Idea conscia, ossia lo Spirito. Ebbene, dal poco che ho detto,
antecedentemente e da altro che ho qui taciuto, posso affermare che la
differenza che Ceretti vuol vedere tra la sua Coscienza e lo Spirito di Hegel a
me non pare così essenziale, certo, non così grande, come egli pensa. E che la
cosa sia cosi lo voglio confermare con le stesse parole dell'autore. Nella sua
Autobiografia, opera interessante e ricca di notizie sul corso de'suoi
pensieri, egli stesso dice: « In quel tempo io seppi che l’Assoluto è la Coscienza, e la Coscienza
nel suo svolgimento è, correttamente parlando, una storia, ma fui lontano dal
distinguere la Coscienza dallo spirito e considerare lo spirito come un momento
storico della Coscienza. Per me la Coscienza era un ente, piuttosto che il
termine generale, la cui distinzione costituisce gli enti ». È chiaro
dunque che una distinzione vera dei due principii non l'aveva ancor fatta. Però
qualche cosa di (1) La mia celebrità citata, . Il tempo di cui parla è,
certo, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi dell'opera latina,
pubblicazione che cessò il 1867, distintivo cominciava ad andargli pel
capo. Di fatto, egli afferma in altro luogo dell'opera, che verso quel tempo di
cui si sta parlando « principiava a balenargli l'idea di una Coscienza più
generale dello spirito, Coscienza, della quale lo spirito fosse uno storico
momento. Quest'idea gli era balenata molto tempo prima, ma piuttosto come
un'imagine dell'idealità che come una categorica avvertenza, la quale
avvertenza principiò in questo tempo ed ebbe il suo categorico fondamento
anzitutto nell'infinito nulla, sopra il quale riposa la nostra cogitabilità »
(1). Da questo luogo, che conferma il primo, non solo emerge
ulteriormente che la distinzione ei non l'aveva ancor veramente fatta
nell'opera latina, ma fa capire che in questa (ov'egli pure aveva cominciato a
parlare di tal distinzione) la distinzione era come un primo baleno di pensiere
presentatosi alla mente e intraveduto, non però ancora veramente visto,
compreso' e consciamente fermato. È questo veramente un punto, che io non aveva
neppur nella mia Notizia così determinatamente ancora indicato e, sopratutto,
documentato; son lieto, che mi si è presentata l'occasione di farlo qui.
Ora, è nella Sinossi che il Ceretti è veramente conscio di tal distinzione, ed
è in essa che la Coscienza predomina e spicca come l'universale e fondamentale
principio Può parere strano che il Ceretti faccia poggiare la
cogitabilità sull'infinito nulla. Lo strano sparisce, quando si pensa che per
lui l'infinito nulla è uno de' modi di designare l'essere indeterminato. Ora,
il pensiere è appunto o una determinazione dell'essere indeterminato, o una
ulteriore determinazione dell'essere già determinato. di tutto l'Essere e
di tutto lo Scibile (Pensiero). E la ragion principale della distinzione, come
si scorgerà dalla lettura dell'opera, consiste per lui specialmente in ciò:
Che, giusto perchè la Coscienza è l'universale ed assoluta realtà, l'unico
universale essere, ella accoglie sotto di sè l'istesso spirito come uno de'
propri momenti, una delle proprie manifestazioni e forme di esistenza. Ad
intendere ciò, e in generale la larghezza della Coscienza cerettiana, allego
volentieri il seguente luogo, nel quale ei dice che il filosofo speculativo «
considera l'animale come un momento definito nel sistema della Natura, la
Natura come un momento nel sistema spirituale, e lo Spirito come un sistema nel
sistema della Coscienza. Ora può meglio comprendere il lettore, perchè
io, nel dividere la Sinossi in Tre Parti e nel dare a ciascuna di esse la
relativa intestazione, ho sempre fatto entrare la Coscienza. Del resto,
l'istesso autore dice che: « la Coscienza, sendo il termine più generale, che
possibilita l'essere e l'esistenza, deve necessariamente essere il termine più
generale, nella cui distinzione si distingue logicamente l'Enciclopedia
speculativa » (3). Volendo ora con un breve cenno introdurre il lettore nel
contenuto della Sinossi, rilevo innanzi tutto che le tre grandi Parti, nelle
quali ella è divisa, sono la Coscienza universale, ossia i Principii logici o
logico-metafisici, che Si confrontino specialmente il g 164 e la mia
relativa nota, non che il S 203. Sinossi voglian dirsi (Logica); la
Coscienza naturale, ossia i Principii naturali (Natura); e la Coscienza
spirituale o Principii spirituali (Spirito). Quanto alla Coscienza
universale e ai corrispondenti principii logici, l'autore non entra in
particolarità, anzi non ne espone addirittura la dottrina. Si limita soltanto
ad indicare innanzi tutto le forme dello scibile e le corrispondenti verità;
poscia a designare alcune verità logiche supreme; indi ad accennare in genere
la natura della speculazione logica; e finalmente ad una divisione del pensiere
sistematico logico. Rispetto alle forme dello scibile (ch'ei distingue in
a) scibile estetico e religioso; b) scibile empirico-induttivo, e c) scibile
speculativo), pone che la forma speculativa, che è l'unica e vera filosofica, è
quella « che non con: tiene se non verità necessitate dal pensiero in sè
stesso, indipendente da qualsivoglia autorità esteriore. Queste verità
necessitate poi ricorrono propriamente, od almeno in modo speciale, nella
Logica. E delle tre indicate Parti e corrispondenti discipline filosofiche ei
pensa che « la scienza veramente speculativa è la Logica, e le discipline della
Natura e dello Spirito non possono contenere verità speculative, ossia
necessarie, se non in quanto siano ridotte alla loro radicalità logica », vale
a dire, alla forma o tipo logico. Quanto alle verità logiche supreme,
elle si concentrano nel mentovato principio della Coscienza. E, di fatto,
ei pone come verità prima e radice di tutte le altre verità, e ad un tempo come
« verità generalis sima della speculazione », questa, che a è contenuta
nella proposizione: L'assoluto è coscienza ». E pone quindi come a verità più
particolare, ma non meno necessaria », quest'altra, « la quale è nella
proposizione: La verità assoluta è nella coscienza pensante. A queste due
proposizioni se ne può aggiungere una terza, che, benchè ricorra in fin
dell'opera, pure è con esse intimamente legata; ed è che a nulla è e nulla può
essere fuori della Coscienza » (2). Quanto alla natura della Logica, ei
l'indica, e mi pare eccellentemente, siccome il « sistema generale della
cogitabilità », o, come anche dice, « della pura cogitabilità ».
Finalmente l'autore, non entrando nelle esposizioni di tal sistema, ma
limitandosi alla partizione di esso in tre cicli, designa il primo siccome « la
categoria pura dell'Essere indefinito, l'essere generale qualitativo e
quantitativo v: il secondo come « l'Ente, ossia l'Essere finito, per il quale
il pensiero si definisce in pensieri particolari reciprocamente differenziati
ed opposti »: il terzo come a l'unità del pensiero infinito col pensiero
finito, nella quale unità il pensiero s'individualizza. Questa individuazione,
soggiunge, estrinsecandosi, genera la Natura. (1) La Coscienza pensante è
per lui la Coscienza razionale o concettiva, com'ei la dice, a differenza delle
forme inferiori di Coscienza, cioè la Coscienza riflessa e la Coscienza
sentimentale (quest'ultima abbraccia la Coscienza estetica e si estende alla
religiosa). Sinossi Vedi Sinossi [blocks in formation]
Passando a trattare della Coscienza naturale o Natura, ne dà una definizione,
in cui si sente l'influsso fichtiano, definendola, cioè, siccome «l'Idea scissa
in due termini, che hanno l'apparenza della separazione, e che sono a l’lo e il
Non-Io. Quanto alla partizione però, divide ancora hegelianamente la Natura in
a) meccanica, b) fisica, c) biologica (organica). Cominciando a dir della
prima, tocca innanzi tutto della considerazione estetica della Natura istessa,
di quella considerazione, che attribuisce ai corpi celesti vita e persin
coscienza. Tocca parimenti della considerazione riflessa (o
empirico-induttiva), la quale, oppostamente alla prima, considera la Natura
come disanimata e puramente meccanica. Son due considerazioni ch'ei tiene per
egualmente false, ritenendo invece per unicamente vera la considerazione
speculativa. Conformemente a quest'ultima, piglia le mosse da’ principii
primitivi e condizioni prime della Natura, che sono lo Spazio, il Tempo, il
Movimento, la Forza; quattro principii che nella loro unità costituiscono poi
la Materia. Questi principii ei riunisce in guisa da ricordare addirittura la
consimile unione di Spencer, la quale, del resto, prima che spenceriana, è
stata già hegeliana. Si addentra poscia vieppiù nella Natura, e la
considera nella vita e nel movimento dei corpi celesti. Ribatte la
considerazione estetica, che attribuisce a « Vita e Coscienza analoga
all’umana », siccome questi (1) Sinossi [ocr errors]
fantastica. Rispetto alla Vita di essi, rileva egli, la speculazione (e
considerazione speculativa) a ritiene giusto » che « i corpi celesti....
debbano possedere necessariamente la propria vita, dalla quale abbiano il
proprio movimento, la propria forza e le proprie fasi formali ma respinge
interamente che « detta vita possa essere analoga all'animale ed alla vegetale.
Passa quindi a considerare, secondo la speculazione, la Coscienza nei corpi
celesti; e, anche qui, pur ammettendo una generica coscienza ne' medesimi, dice
che « la Coscienza propria de' corpi celesti non può sotto verun rapporto
somigliare a quella degli animali e delle piante ». Ritiene però che «
l'armonia generale de’loro rapporti cinematici e induttivamente anche dinamici
prova evidentemente che sono regolati non solo dalla coscienza, ma anche dalla
coscienza pensante e razionale. Allontanandosi, ciocchè qui dice
l'autore, non poco dalle comuni intuizioni, è bene di rilevare e determinare
ulteriormente il suo pensiere e la ragione del suo pensiere, non che la
ragione, per la quale egli respinge anche la considerazione riflessa della
Natura (che è poi in grosso la considerazione delle scienze naturali).
Riattaccandosi a quest'ultima, dice che, se la considerazione estetica
attribuisce vita e coscienza agli astri, sbagliandosi nel modo
dell'attribuzione, la riflessione spegne Sinossi Sinossi.
addirittura l’una e l'altra. Imperocchè essa, nella concezione e considerazione
della natura, è dominata « dalla cardinale irrazionalità » di considerare il
pianeta terrestre « come un ente meccanico e fisico, e non mai come un
organismo planetario vivente e cosciente di vita e coscienza propria, altra
dalla vegetabile ed animale. L'autore attribuisce alla riflessione l'errore
della « diremzione (scissione) della Natura e della Coscienza », per cui « deve
necessariamente considerare i singoli fenomeni come altri da quelli della Vita
e della Coscienza o . Diversa poi, a senso dell'autore, è la speculativa
considerazione si della Natura in genere, che dell'ordine terrestre. In quanto
che « la speculazione, ponendo il principio generale, che la Natura e l'Idea
della Natura sono reciproci fattori, deve conchiudere necessariamente che una
Natura qualsivoglia non può esistere se non come viva e cosciente. Le diverse
specifiche nature sono appunto differenziate dalle differenze specifiche della
loro vita e coscienza ». E, conformemente a ciò, rileva i diversi gradi di vita
e coscienza de' corpi celesti, de' minerali, delle piante, degli animali.
« La speculazione (aggiunge egli) concepisce che nessuna esistenza è possibile
se non in quanto sia Coscienza, e nessuna Coscienza è possibile se non come un
sistematico svolgimento dall’una nell'altra determi Sinossi Sinossi nazione,
locchè è Vita ». Mette però in rilievo che « Vita e Coscienza nella
speculazione non sono menomamente limitate all'analogia del processo
vegeto-animale; epperciò, dicendo che i corpi celesti, il globo terrestre e le
materie terrestri sono vive e coscienti, non intendiamo dire che un numero
finito di organismi componga un tale organismo, ma semplicemente che tutta la
natura è organica, viva e cosciente, e conseguentemente ogni organismo è
principio e fine di altri organismi, cosi nel proprio totale, come in ciascuna
minima particella divisibile all'infinito. Non men lontano dalle comuni
intuizioni è ciocchè segue sotto il titolo di anatomia, fisiologia e psicologia
del globo. Si badi però che a si fatte denominazioni il Ceretti non attribuisce
il significato che lor comunemente corrisponde. La ragione, per la quale egli
ha adoperate le predette denominazioni è ch'ei considera il globo siccome un
organismo vivo e cosciente. Di fatto ei dice: « Considerando il globo come un
individuo organico vivo e cosciente, si conchiude necessariamente che vi sia un'anatomia,
una fisiologia ed una psicologia del globo ». Avverte però ch'egli « usa questi
vocaboli in un significato più generale che non in quello della vita
vegeto-animale. E quanto all'espressione di psicologia del globe, che è quella
che più delle altre urta le comuni intuizioni, egli ne giustifica e
chiarisce Sinossi il significato come segue. « Dobbiamo per prima
cosa notare, dic'egli, che non intendiamo parlare di psicologia nel significato
analogo a quello dell'animalità, ma usiamo questo vocabolo nel significato
amplissimo di coscienza vivente. Cosi, per es., la bestia pratica, nell'uso
della sua facoltà locomotiva, esattamente le regole matematiche della statica;
ma questo non vuol dire che la bestia possegga qualche nozione di matematica e
di meccanica razionale; ella non possiede veruna nozione riflessa, ma semplicemente
il senso regolativo della statica, requisito della pratica della locomozione;
ma non è una regola teorica; ossia una Coscienza riflessa della medesima. In
questo significato generalissimo di coscienza la terra possiede la sua
psicologia, non altrimenti che ogni individuo vivente. Da tutto ciocchè
il Ceretti dice intorno a coscienza degli astri in genere e a coscienza e
corrispondente psicologia della terra in ispecie, se ne deduce ch'egli
attribuisce sì ai primi che alla seconda quella coscienza ch'egli nel luogo
ultimamente allegato chiama coscienza vivente, cioè una coscienza che si
caratterizza e risume nella vita, una coscienza che potrebbe chiamarsi
inconscia. E questa è quella coscienza che antecedentemente io stesso ho
designata come generica, non già come specificata e molto meno come
individuata. Ad intender ciò, si pensi che per Ceretti il principio
universale della realtà (qui nella Sinossi) è appunto la Sinossi Coscienza
come universale ed assoluta. In quanto la Coscienza è universale ed assoluta, è
già Coscienza la Natura stessa, che è una delle forme di manifestazione ed
esistenza della Coscienza. Se è così, è ben naturale ch'ei pensi come cosciente
(genericamente, non individuamente gli astri tutti, anzi le cose tutte. Ma la
Coscienza della Natura, nelle formazioni siderali della medesima, non si è
ancora individuata, soggettivata , ossia è una coscienza che non è ancora
presente a sè stessa, non è consapevole di sè stessa, è una Coscienza ancora
inconscia. Ora, il Ceretti pensa che tutto il processo della Coscienza
naturale o, come comunemente diciamo, della Natura, consiste appunto nella
graduale individuazione e soggettivazione di questa Coscienza. Nella terra ed
in genere nella natura minerale tale individuazione, almeno tal vera e reale
individuazione non è ancora avvenuta e ne cerca e segua i relativi gradi
evolutivi. « Il primo esordio, secondo lui, della Coscienza verso una propria
individuazione, oltre l'individuazione planetaria, appare nella vita vegetativa.
E questo esordio è, a tal riguardo, si poca cosa, chè, benchè la pianta abbia «
un'individualità distinta dall'individualità planetaria, quest'individualità si
manifesta tuttavia equivocamente nella vita vegetabile. E di questa equivocità
arreca varie ragioni. Sinossi Sinossi Additata l'individuazione nella
pianta, passa ad additarla nella ulteriore e superiore forma di esistenza della
animalità. È primamente nell'organismo animale che, secondo il Ceretti, avviene
la compiuta individuazione, la quale, si noti, non è ancora soggettivazione in
tutta l'animalità. La soggettivazione, che è il grado supremo
dell'individuazione, da una parte, « si palesa progressivamente nelle specie
superiori », dall'altra, si manifesta nella sua vera compiutezza soltanto
nell’uomo; il quale nella serie zoologica è a l'ultimo frutto, ossia il massimo
sviluppo psichico dell'animalità. Quando l'animale, dic'egli, arriva
definitivamente alla soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suo Io
distinto categoricamente dal Non-Io, entra categoricamente nella Coscienza
spirituale. Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente
questo passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano.
Con l'antecedente esposizione Ceretti, nella Evoluzione della Coscienza, esce
dalla Coscienza naturale ed entra nella Coscienza spirituale, cioè nella terza
parte dell'opera. In questa, cominciando colla distinzione di senso e pensiero,
vien subito all'additamento delle forme, 0, com'ei le dice, fasi dello spirito,
le quali per lui sono il sentimento, l'intelletto ed il concetto. Il concetto è
la facoltà razionale, a distinzione della intellettiva, secondo Sinossi
che ciò s'intende nell'hegelianismo. Il sentimento è da lui inteso in
senso più largo del senso, tanto che designa come momenti del sentimento
l'attenzione, la memoria e l'immaginazione. Così inteso, il sentimento viene ad
esser come una funzione media tra il senso e l’intelletto, quella funzione che
costituisce come il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante (1), e
che perciò somiglia quella che i tedeschi chiamano facoltà rappresentativa
(Vorstellungsvermögen). Segue l'evoluzione della Coscienza spirituale in
quelle forme che, secondo la terminologia hegeliana, fan parte dello spirito
soggettivo, come linguaggio e suoi stadii; stato primitivo dell'uomo (primitiva
coscienza umana); sonno, sogno e veglia ; temperamento; specifiche disposizioni
mentali, tra le quali piglia di mira anche il genio nella sua distinzione
dall'ingegno; carattere e criterio. Dopo di ciò passa alla considerazione
di quei principii che possono designarsi come costitutivi della Coscienza
oggettiva (oggettivata), che corrispondono a quelli del cosi detto spirito
oggettivo hegeliano, e che il Ceretti in questa Sinossi risume ne' tre di
Morale, Diritto, Ragione. La Morale regola i rapporti sociali degl'individui
consociati, ma soltanto siccome regola interiore alla Coscienza. Il Diritto,
facendosi indipendente dalla interiorità della Coscienza morale,
statuisce Ei dice di fatto: La Coscienza che dalla sensazione si svolge
nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità
». Sinossi, S 128. una legge che divien comune e normativa nei rapporti
esteriori del corpo sociale. La Ragione concilia le esigenze della Morale e del
Diritto, cioè dell'elemento soggettivo e dell'elemento oggettivo della civile
società. Continuando, l'autore segue l'evoluzione della Coscienza
spirituale nella sua costituzione sociale. Da prima rileva e determina i gradi
evolutivi di questa ultima nel regime patriarcale, strategico (militare) e
politico. Poscia viene alla determinazione della ragione, la quale è « come il
fattore essenziale del buono e del giusto contenuto » nelle organizzazioni
sociali. Alla ragione disposa la coltura, in quanto l'una e l'altra si
suppongono e svolgono insieme. « La ragione, com’ei si esprime, reclama un
libero svolgimento della coltura e la coltura è il corpo della ragione; questa
e quella sono reciproche esigenze, epperciò non si possono reciprocamente
realizzare se non in quanto concorrono nell'unità del proprio sistema. Termina
questa parte con la distinzione, la determinazione ed il rapporto dello scibile
delle discipline finite e dello scibile speculativo. Assolta questa parte
della Coscienza spirituale, passa all'ultima e suprema della medesima, che è
quella che si riferisce all'Arte, alla Religione ed alla Filosofia, o, che vale
lo stesso, alla Coscienza artistica, religiosa, filosofica. Ciascuna di queste
tre ei considera non solo Sinossi Sinossi, nel suo principio, ma anche
nella sua storica evoluzione. Gli stadii di si fatta evoluzione sono in genere
l'asiatico, il pagano, il cristiano; e quindi arte, religione e filosofia
asiatica; arte, religione e filosofia pagana; arte, religione e filosofia
cristiana. Quanto all'arte, egli accenna non solo all'arte in genere, ma
anche alle diverse forme di arte, additandone l'evoluzione appunto ne' predetti
stadii asiatico, pagano e cristiano. Il medesimo fa per la religione, e
qualificando la religione e le religioni asiatiche per naturalistiche, la
religione e le religioni pagane per antropomorfistiche, la religione e le
diverse forme religiose cristiane per spiritualistiche. E finalmente,
quanto alla filosofia, rilevato il generale concetto di essa e il suo legame
coll'arte e colla religione, viene a toccare della sua storica evoluzione.
Comincia dalla filosofia asiatica, nella quale dà importanza alla filosofia
indiana, essendo questa nell’Asia « la sola che si possa considerare come un
tentativo di speculazione esordiente. Ella si distingue in tre grandi periodi,
di cui il primo è teologicamente ortodosso, epperò armonizza colla religione
costituita; il secondo ed il terzo consistono di sistemi teoretici, che però
non negano il principio fondamentale della religione, alla quale contradicono.
Passa alla filosofia pagana, la quale si risume essen Sinossi, zialmente
nella greca, e nella quale la speculazione non s'ispira, come l'indiana, alla
teologia, ma « si sente perfettamente libera da ogni prestatuto, da ogni
estrinseco alla speculazione » stessa. E ciò si mostra fin dall'inizio della
filosofia greca, nella quale « i primi filosofi furono fisici non teologi ».
Ella « si distingue in tre grandi cicli. Nel primo è speculazione
naturalistico-noologica. Nel secondo è speculazione etica. Nel terzo è
speculazione pneumatologica. Termina colla filosofia cristiana, nella
quale, secondo lui, « le speculazioni dei teologi, la così detta filosofia
scolastica, non appartengono positivamente alla filosofia, ma piuttosto a
quello che si direbbe teologia speculativa », Più vicina al punto di vista
filosofico própriamente detto, come poggiante sulla ragione, è la a nuova
speculazione », o quella del Rinascimento. Questa « esordi con una semplice
rinnovazione della ellenica filosofia ); ma in alcune speculazioni« si
distingue per la forma delle nuove filosofie », come in BRUNO (si veda), in
Giacobbe Böhm e in qualche altro. Quello però che fonda la filosofia
cristiana propria mente detta è Cartesio, al quale poi si riattaccano i
posteriori moderni filosofi per ulteriormente svilupparla. « La filosofia
cristiana differisce dall’ellenica; perocchè questa si svolse nel piano
dell'Idea fisica o metafisica e della sua identità realizzata nel mondo, quella
si svolge nel piano dello Spirito concreto, ossia [Sinossi] unità distinta
dell'Idea in sè stessa (metafisica) colla Idea fuori di sè stessa (Natura).
Questa concreta unità prima è realizzazione dei suoi termini separabili, che
astrattamente si svolgono in astrazioni fisiche o metafisiche; poscia è
concreta unità dei suoi termini indirimibili e distinti. Questa è la tela
del pensiere filosofico della Sinossi dell'enciclopedia speculativa. Ora, a
complemento della cosa, credo ancora utile di rilevare alcuni punti ed alcune
opinioni dell'autore, che mi sembrano degni di nota. Primamente mi riferisco
al punto concernente le idee cerettiane sugli astri in genere e sulla terra in
ispecie, e propriamente riguardo all'animazione e persin coscienza che l'autore
ha vedute in essi. Innanzi tutto allego un luogo di un'altra opera di
lui: in questo si dice chiaramente come egli intende l’evoluzione planetaria,
la quale poi non è altro che l'evoluzione di ciocchè si nella Sinossi, si in
questa mia Introduzione si è appellata la Coscienza naturale. « La mia
astronomia, dic'egli, ossia perlustrazione de' corpi celesti, non somiglia
punto alla disciplina finita (cioè all'astronomia de' naturalisti) di questo
nome, ma si riferisce semplicemente alle più arrischiate ipotesi circa la
genesi di quei corpi. L'idea fondamentale è che le varie età di un corpo
celeste corrispondono alle varie qualificazioni di nebulosa, sole, pianeta, e
cosi oltre, e conseguentemente anche i vari fenomeni sulla superficie di esso
appartengono a [Sinossi] vari momenti della sua età. Cosi, per es., la
vita fitozoica e la storia umana sarebbero una fenomenale momentaneità della
vita planetaria sopra il globo, che oggidi dagli uomini si chiama Terra.
Or qui si dice che la vita non solo vegetale ed animale, ossia
vegeto-sensitiva, ma la stessa vita pensiva umana è una manifestazione
planetaria, che si concreta sulla terra: il che è come dire in altri termini
che nella terra vi sono fenomeni sensitivi e pensivi. In conseguenza di ciò il
Ceretti ha parlato di vita e coscienza degli astri, vita e coscienza del
pianeta terrestre; come, d'altra parte, conformemente a ciò, ha parlato di
anatomia, fisiologia e psicologia della terra. È indubitato che queste
ultime espressioni suonano un po'stranamente, e più stranamente ancora
suonavano alcuni decennii addietro. Però, a misura che si fa strada nella
scienza il realismo e l'evoluzione, quelle espressioni van mano mano perdendo
non poco della loro stranezza. Siam giunti a tale, che leggiamo, e senza
meraviglia (io almeno non me ne meraviglio, (simiglianti cose in libri
seriissimi, che veggono la luce negli stessi nostri giorni. Uno di siffatti
libri (che io credo seriissimo e raccomando a chi no'l conosce ancora), è, per
esempio, il « Cosmos die Wellentwickelung nach monistisch-psychologischen
Principien auf Grundlage der exakten Naturforschung dargestellt von Wolff.
Leipzig. La mia celebrità già citata. Ebbene, Wolff parla anch'egli non
solo di psicologia animale, ma anche di psicologia della pianta e psicologia
della cellula. Notoriamente, di quest'ultima ha parlato e scritto Haeckel,
seguito poi da altri. Ma con ciò siamo nella natura organica. Wolff va ancora
più innanzi e parla anche di fisiologia della natura inorganica (si badi bene,
inorganica). E non si arresta neppur qui: parla persino di segni di
manifestazioni psichiche nella natura inorganica: e, dopo avere additati questi
segni, anche coll'appoggio di Copernico, Herschel, Haeckel, Schopenhauer, viene
alla conclusione che nella natura inorganica c'è un fondo psichico (einen
psychologischen Hintergrund der anorganischen Natur). Siffatte manifestazioni,
secondo il Wolff, « non sono però segni di una esistenza individuale animata,
ma comuni manifestazioni di specie » o generi. Anche Ceretti pensa la cosa in
grosso allo stesso modo; giacchè la sua Coscienza degli astri e della terra non
è individuale, ma generica come ho fatto innanzi rilevare. Fo
considerare, inoltre, come ora si parli non poco di Panpsichismo: chi è a
notizia della recente letteralura filosofica, lo sa. Lo spirito universale di
Hegel (der Weltgeist), lo spiritualismo assoluto del medesimo sono imparentati
con si fatte intuizioni. Non vi è meno imparentato l'Inconscio del vivente
filosofo Hartmann; giacchè l'Inconscio contiene in sè un ele Vedi
dell'Opera citata di Wolff. Al secondo volume di detta Opera, mento
pensivo e spirituale che, foss’anche inconsciamente (e, del resto, nella natura
dev'essere cosi), si manifesta ed agisce nel mondo materiale. Altra
intima parentela con queste intuizioni ha l'attuale e assai generale Monismo;
perchè col Monismo si ha un solo principio superiore, che è spirituale e
materiale, conscio ed inconscio insieme, e che è presente ed agente così
nell'animale e nell'uomo, come anche nella pianta e nel minerale. Sicchè dunque
bisogna guardare e giudicare con sentimenti amichevoli ed indulgenti ciocchè il
Ceretti dice intorno all'animazione e coscienza degli astri. L'aver testè
ricordato il nome di Hartmann accanto a quello di Hegel, mi fa andar per
la mente, che accanto a questi due va collocato immediatamente il Ceretti, e
propriamente, da una parte, come contrapposto a quello, dall'altra, come unito
a quello nella comune provenienza da Hegel. È indubitato che entrambi
provengono da questo, ma si noti, che vi provengono, propugnando ciascuno un
principio opposto a quello dell'altro: Eduardo di Hartmann, propugnando
l’Inconscio, Ceretti la Coscienza, ossia il Conscio. È questo un punto assai
degno di considerazione, ma che meriterebbe uno sviluppo, il quale non può
entrare in questa Introduzione. Prego però che gli rivolgano la mente coloro
che ora conoscono il Ceretti, fino a poco fa sconosciuto. Cercherò un'altra
occasione, nella quale ritornerò su di ciò. Un altro punto, che si
collega ai precedenti e pure degno di rilievo da parte del Ceretti è il
dichiarare e ribatter ch'ei fa come assurda la « supposizione d'una natura
meramente inorganica, cieca e macchinale. Con questa dichiarazione egli si fa,
sia direttamente, sia indirettamente, oppugnatore del Positivismo e
dell'Evoluzionismo, in quanto meccanici. E in ciò bisogna unirsi interamente a
lui. Io non ispregio punto, anzi pregio moltissimo le dottrine positivistiche
ed evoluzionistiche: e persin dichiaro novellamente (l'ho già fatto altra
volta) che accolgo l'evoluzionismo disposato all'hegelianismo sotto il generale
concetto e processo di evoluzione finale. Ma ritengo immensamente irrazionale
l'evoluzionismo meccanico, col quale non solo non si possono spiegare i
prodotti superiori della realtà, l'arte, la religione, la scienza, la vita
domestica e sociale ecc., ma neppure la vita animale e vegetale, e diventano
inesplicabili gli stessi prodotti minerali nelle ordinate formazioni dei
medesimi. Già l'antichità al meccanismo atomistico e in genere
naturalistico aveva giustamente contrapposta la finalità, specialmente nelle
scuole platonica ed aristotelica. Il principio finale, che fu accolto ne' tempi
e filosofi posteriori, è stato nell'ultima filosofia accentuato specialmente da
Schelling ed Hegel, che han visto ed affermato nella natura un finale,
razionale e progressivo organizzarsi della medesima in tutte le sue
maravigliose forme. L'evoluzionismo con Spencer ha assai progredito
a [blocks in formation] riguardo de’due grandi filosofi tedeschi in
moltissimi rispetti; ma, d'altra parte, col meccanismo ha immensamente
regredito rispetto ad essi. Chi sarà l'uomo ragionevole che potrà pensare che
la scienza si possa costituire meccanicamente ed automaticamente? Ebbene è
proprio cosi che dee pensarne la costituzione e formazione chi accetta il
meccanismo comtiano e spenceriano; giacchè da’principii comtiani e spenceriani
riguardo alla scienza non ne discende altra conseguenza. Innanzi a una tale
assurdità o debbon cadere senz'altro il Positivismo e l'Evoluzionismo, o
bisogna, come io penso, integrarli colla finalità. Per ciocchè concerne questo
mio pensiere, sono lieto d'incontrarmi nella stessa idea con un uomo assai
rispettabile e favorevolmente noto nella scienza, col Vacherot. Il quale, pur
movendo dall'hegelianismo, è giunto (nel Nouveau spiritualisme) per altra via a
quella conclusione (all'Évolution finale), cui songiunto anch'io. Altro
punto che voglio rilevare è quello dell'opinione del Ceretti rispetto
all'origine e natura della specie; e lo fo volentieri, perchè si tratta di cosa
oggi tanto dibattuta. Rispetto a questo punto parrebbe che egli si discostasse
tanto da Hegel quanto da Darwin; ma a me sembra che, in fondo, ei riesca alla
stessa idea di quest'ultimo. Il Ceretti dice: «È assurdo supporre che una
specie si Vedi Le nouveau spiritualisme del VACHEROT, Paris, specialmente
il capitolo intitolato l'Évolution finale, pag. 359. Nell'istesso anno 1884,
nel mio Teismo filosofico cristiano, senza che io sapessi nulla del filosofo
francese, ho sostenuto lo stesso principio, con la stessa espressione di
evoluzione finale. tramuti in un'altra come tale, perocchè le specie sono
mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo
naturalista, non facit saltum » ecc. Con ciò parrebbe quasi quasi che non
ammettesse vere specie di sorta e non si accordasse col darwinismo. Ma, d'altra
parte, ei soggiunge: « La vera trasformazione della specie non si deve
investigare nelle specie come lali, ma piuttosto ne'minimi termini della specie,
ossia nelle variazioni individuali. Queste variazioni, tuttochè lentissime,
modificano col volgere de' secoli le specie » (1). Ora a me pare che
l'opinione cerettiana si converta colla darwiniana: perchè secondo i darwinisti
le modificazioni alle specie provengono e non possono d'altronde provenire che
dagl'individui. Un altro punto non meno dibattuto e controverso è ai di
nostri quello della religione; e mi piace di rilevare l'opinione cerettiana in
proposito. Innanzi tutto egli è contrario ad ogni religione filosofica o
scientifica che voglia dirsi. « Provate, dic'egli, a istituire un culto, ossia
una pubblica credenza filosoficamente ragionata; e voi fallirete senza dubbio
al vostro scopo, perocchè la Coscienza pubblica non è disposta a un filosofico
sistema ». E per tal rispetto può dirsi ch'ei si oppone al positivismo, a
dir vero, non a quello del fondatore del medesimo, perchè Comte ammetteva la
ragion di essere della religione, ma al comunale positivismo, che vuol
sostituita la religione colla scienza. E, venendo poi ad esprimere Sinossi
il suo pensiere su tale importante argomento, ei dice: « La religione che
conviene al nostro tempo e alla nostra civiltà non può essere una religione di
miti e di misteri. Non può essere una rivelazione miracolosa d'un tempo e d'un
luogo, epperciò non può essere una religione autorizzata da un codice e da una
tradizione. Il solo fondamento religioso, tuttavia reale del nostro spirito, è
l'idealismo trascendentale, per es., la credenza in una Coscienza e Ragione
generale che governa il mondo: è questa il nostro Dio superstite come Dio,
possibile oggetto d'una credenza religiosa. Probabilmente il lettore
troverà che anche questa religione proposta dal Ceretti (e che abbastanza
generalmente, e da un pezzo, la si propone ed anche coltiva da filosofi,
scienziati e uomini colti) senta un po' del filosofico anch'essa. Io, per parte
mia, penso lo pensava anche il filosofo intrese) che la religione
in genere sorge dalla coscienza popolare. E siccome questa non è nè può essere
mai filosofica o scientifica che dir si voglia; così una religione scientifica,
quale la vogliono i predetti comunali positivisti, è una chimera e, per giunta,
assolutamente contraria alla coscienza del popolo, che costituisce
qualitativamente e quantitativamente la larga base e la gran massa de'
credenti. Questi sono i punti principali e le relative opinioni
dell'autore, che io voleva in ispecial modo rilevare: altri tralascio.
(1) Sinossi, Prima di terminare questa già lunga Introduzione, non posso a meno
di rivolgere ancora l'attenzione del lettore sulla posizione della Sinossi nel
complesso e nel corso del pensiere filosofico dell'autore, non che sulle
ragioni che hanno consigliata la pubblicazione dell'opera. Quanto alla
posizione, ho già detto che essa rappresenta una fase o momento di transizione
dall'idealismo assoluto hegeliano (già accolto dall'autore ed espresso, pur già
con modificazione, nella sua opera latina) ad un assoluto idealismo
subbiettivo, o ad un assoluto subbiettivismo, assai vicino a quello di Fichte.
Ho pur già detto che tal passaggio segue attraverso dello schellinghianismo,
del quale son visibili alcuni vestigi nella presente opera. Il lettore che
leggerà attentamente questa ultima, scorgerà la cosa da sè stesso. Se non che
io voglio ulteriormente rilevare che questo punto io l'ho già rilevato nella
mia opera sul Ceretti, e, per non tornare a dir lo stesso, rimando il lettore a
questa. Quanto alle ragioni della pubblicazione (oltre al desiderio, anzi
volere della figlia del filosofo, la quale crede dovere filiale di cooperare a
far conoscere e pregiare il suo genitore), elle son varie. L'una è che, benchè
ella sia un'opera indubbiamente inferiore alla latina, ciò non di meno, con
tutta la stessa sproporzione che ha nelle tre parti che la costituiscono, è pur
sempre tale da meritare di essere conosciuta. Una seconda è che, Alla più
volte citata notizia, siccome essa rappresenta una delle fasi di transizione
del pensiere filosofico cerettiano, cosi, per conoscer questo tutto intero, era
necessaria la pubblicazione di essa ; tanto più che essa, tra le opere
filosofiche che si riferiscono a tal fase, è una delle migliori. Una terza
ragione è questa, che, accanto all'Enciclopedia filosofica latina, è bene che
se ne conosca di lui anche una italiana. Una quarta è che, essendo rimasta
incompiuta l'opera latina, specialmente per la parte che concerne la filosofia
dello spirito, era opportuno di pubblicare la Sinossi, che si estende anche a
questa parte. A dir vero, le idee sulla filosofia dello spirito nell'opera
latina sarebbero state più vicine alle hegeliane, ma un generico fondo
hegeliano v'è in grosso anche nella Sinossi. Un'ultima ragione è questa che,
come nella pubblicazione dell'opera latina in traduzione italiana, assai
probabilmente non si andrà più in là del secondo volume (dell’Esologia, o
logica del Ceretti), perchè il terzo (la Essologia o filosofia della natura) è
rimasto incompiuto, così la Sinossi si adatta ad esser come la continuazione
della stessa opera latina tradotta. E si adatta tanto più, in quanto questa
giunge, come abbiam detto, fino alla logica, che è trattata ampiamente; e la sinossi,
invece, appena accennando la logica, tratta più estesamente la filosofia della
natura e quella dello spirito, specialmente quest'ultima. E non è improbabile
che Ceretti stesso, per avere appunto largamente trattata la logica nell'opera
latina, ne abbia poi fatto appena un piccolo cenno nella sinossi, che fu
scritta dopo. Termino esprimendo il voto, che una così eminente individualità
filosofica, poetica e letteraria, quale fu CERETTI (si veda), venga sempre più
conosciuta ed apprezzata. Per conoscerla però ed apprezzarla degnamente, non
bisogna arrestarsi ad una sola delle sue opere, ma bisogna abbracciarle tutte;
giacchè, essendo stata la sua individualità assai varia e complessa, bisogna vederla
e conoscerla nella varietà e nel complesso delle sue opere. Dividerò
e tratterò in "varii punti la quintuplice forma di Logica enunciata
nel titolo. Il primo punto è che questa quintuplice forma di Logica
si riattacca nel modo più intimo al mio scritto già pubblicato ed
intitolato: L'essere evolutivo finale come tentamento di una nuova
concezione ed orientazione del pensiero filosofico uscente dal- l'
Hegelianismo. E si riattacca in guisa che la concezione, la posizione e la
soluzione delle indicate forme logiche dipendono in tutto e per tutto dal
medesimo. Il secondo punto concerne la importanza della trattazione delle
enunciate forme logiche. La importanza, quanto alla Lo gica
aristotelica, è addirittura imm ensa, in quanto sì fatta Logica conta
ormai 24 secoli di esis tenza, di ammirazione e di attuazione nel
pensiero umano in genere e nel pensiero filosofico in ispecie. Per
ciocché concerne la importanza della logica kantiana, benché questa, relativamente
al tempo, conti poco più di un secolo di esistenza, pur la sua importanza
è assai grande, in quanto, da una parte, continua ed ulteriormente esplica la
Logica aristotelica, dall'altra, prepara la via, l'indirizzo e la stessa
materia alla susseguente Logica di Hegel. Quanto poi alla Logica
hegeliana, se la sua importanza rispetto al tempo è immensamente minore
della aristotelica, e, relativamente, della stessa kantiana, con- tando
appena circa un secolo di vita, pur non di meno, considerata come entit à del
fatto logico in se stesso, è grandissima anch' essa. Giacché, la Logica
hegeliana, da una parte ; riattaccandosi e contrapponendosi com e_ reale
od ontolog ica alla aristotelica ritenuta e detta formale, e, dall'altra,
sviluppando, integrando e realizzando in un compiuto organismo dialettico
il tentativo ontologico kantiano, è divenuta il più impor- tante fatto e
pensiero logico de' tempi nostri. Quanto alla importanza della cosi detta
Logica matematica, tale importanza rispetto al tempo è di bel nuovo assai
minore non solo della 24 volte secolare ari- stotelica, e della poco più
che secolare kantiana, ma della stessa secolare hegeliana. Giacche la
Logica detta matematica conta soltanto pochi decennii di vita, ed anzi, nella
sua ultima determinata forma, appena una ventina d'anni. E da
ultimo, per ciocche concerne la importanza della Logica indiana, tale
impor- tanza è grandissima anch'essa; in primo luogo, perchè la Logica
indiana è una reale e vera forma logica distinta dalle altre, e pensata
ed esercitata da un popolo anti- chissimo tuttora pensante e logicante
con essa; in secondo luogo, perchè, rispetto alla universale evoluzione
della Logica in genere, la Logica indiana è la prima ma- nifestazione,
avente ragion di essere come le altre. A queste ragioni essenziali potrei
aggiunger l'altra di opportunità ; ed è che essa è assai poco conosciuta, ed è
invece degnissima di esserlo, il che avverrà coll'accenno mentovato della
medesima. Un'ultima considerazione rispetto alle predette forme
logiche, e specialmente rispetto alla sequela storica delle medesime, è
la seguente. Che, cioè, benché la indiana sia la prima in ordine di
tempo, pur non nuoce, anzi giova di esporla, e trat- tarla in ultimo,
perchè essendo essa di un tipo abbastanza dissimile dalle altre enun-
ciate, sarà più agevole di intenderne ed apprezzarne la natura dopo aver
esposte quelle che rappresentano lo sviluppo maturo e razionale rispetto
ad essa. Il terso punto concerne lo scopo della trattazione delle predette
Logiche. Il quale scopo è quello di determinare quale è la vera natura di
ciascuna di esse, consi- derandole sì dal punto di vista storico, epperò
evolutivo, sì dal punto di vista teoretico. Di tutti questi punti
dunque tratterò separatamente, cominciando dalla Logica
aristotelica. Aristotele è detto il Padre della Logica. Sorge subito
la quistione : Ma non_cI è_ un' altra_ L ogica prima _della sua ? e se ce
n'è un'altra, in qual relazione sono quest'altra e la aristotelica, da una
parte, dal punto di vista della anteriorità e della posteriorità,
dall'altra, dal punto di vista della evoluzione storica dall'una
all'altra? La risposta a tal quistione sarà più opportunamente fatta e
compresa dopo la trattazione e giudicazione di tutte le predette Logiche.
E veniamo alla Logica ari- stotelica. Innanzi tutto è bene di
allegare le Fonti della nostra esposizione e trattazione. Tutti intendono
che la prima ed essenzial Fonte è Aristotele stesso e questa noi avrem
sempre presente nel testo originale. Aggiungiamo solo che, come Aristo-
tele, specialmente attraverso del Medio evo e del Rinascimento, è stato
ripensato e riferito nella famosa traduzione latina " interpretibus
variis „, riconosciuta come giusta interpretatrice del grande filosofo
greco, cosi noi ci serviremo anche di questa, allegandola persino
ordinariamente accanto al testo greco. La edizione de' due testi che noi
abbiam presente e seguiamo è quella della « Academia Regia Borussica,
Berolini fatta da Becker e da Brandis. Altre Fonti importantissime
sono le seguenti: Severino Boezio (l'infelice e insigne filosofo,
condannato a morte e fatto uccidere dal re Teodorico). Egli è uno de' più
benemeriti della Logica aristotelica come tradut- tore e illustratore
degli scritti logici di Aristotele: Arist. Stag., Organimi, Boethio
Sever. interp. età, Venetiis, Geschichte der Logik etc, von Prantl, che è
un'opera addirittura mo- numentale nel suo genere. System der Logik und
Geschichte der Logischen Lehren von Ueberweg, Bonn: opera eccellente anche
questa, dovuta al merito e alla giusta fama di quell'uomo, che ha
lasciato durevole traccia di sè anche nella Storia della Filosofia. Aristotelis
Organon etc, edidit Waitz Philos. Dr. Lipsiae: importantissima e
stimatissima opera in due volumi contenenti il testo greco e il commento
di lui al medesimo. D. r Eduard Zeller, Die Philosophie der
Griechen etc, nella quale (zweiter Theil, zweite Abtheilung) vi è un volume
speciale, di quasi un migliaio di pagine, trattante di Aristotele.
Dello stesso Zeller è fonte anche preziosa il suo Grundriss der
Geschichte der griechischen Philosophie, specialmente nella 10 a edizione
del 1911 (Leipzig) elaborata (bearbeitet) dal D. r Franz Lortzing. Trendelenburg,
Elemento logìces Arist., Berolini: notissima e importante
operetta. Barthélemy Saint-Hilaire, Logique d'Aristote, traduite, ecc. 4
voi. Alle Fonti già indicate, che son le più importanti, aggiungerò
quella del nostro Galluppi che ha due' opere sulla Logica, luna quella
degli Elementi di Filosofia, in cui ha- una lunga trattazione della
Logica pura; l'altra, amplissima, quella delle Lezioni di Logica e
metafisica; e, occasionalmente, forse anche qualche altra Fonte, per
esempio quella di Ruggiero Bonghi. E ora vengo alla indicazione ed
esposizione degli scritti logici aristotelici. Gli scritti logici o V
Organo (tò òqyavov) della filosofia aristotelica. È opportuno riferire
una osservazione che fa iWaitz [Arist. Org.), e che accoglie e riferisce
anche il Zeller (nel suo terzo volume precitato), sulle denominazioni di Logica
ed Organo. Questi cioè dice che 8 presso gli espositori greci fino al
sesto secolo „ non si trova ne l'una nè l'altra di queste deno- minazioni
come l'espressione tecnica e generalmente accettata degli scritti logici
di Aristotele : ma che però più tardi questi vengono " già denominati
organici {òqya- « vmd), perchè essi si riferiscono all' òqyavov (ovvero
sM'ÒQyavixòv fiégog) tpOo- aotplag
». Ciò posto, gli scritti logici costituenti l'Organo sono: Le
Categorie (KaziqyoQiaì); 2° De Interpretatione {LTeoì c EQH7]vslag)
; I Primi Analitici (due libri) : 'AvaÀvzixà nqózEQa ; 1 Secondi (o
Posteriori) Analitici: 'AvaXvzmà vazEqa; I Topici (libri): Tomxd;
8U Elenchi Sofistici (De Sophisticis elenchis): Uocpiozixoì
"EÀsyxot. Le Categorie. Questa prima parte degli scritti logici
aristotelici è importantis- sima, perchè essa costituisce come un anello
di congiunzione tra la Logica e la Metafisica di Aristotele. Il lor significato
e la loro estensione appartengono e si allar- gano ad entrambe queste
parti del pensiero filosofico aristotelico. Il significato è che essi
esprimono i supremi pensabili, cioè, i supremi concetti sotto cui cadono
e si aggruppano nel nostro pensiere gli ogge tti della universale
realtà. Il numero di tali supremi pensabili, ovvero delle categorie,
secondo Arist., è, notoriamente, di dieci: infatti, egli dice (Kateg.,
cap. 4, all'inizio): zwv xazà firjóe- filav ovfMiÀoxrjv Xeyofièvoìv
è'xaozov tfzoi oiaiav ar\\iaivu ?} noaòv ^ noìbv fj tiqóq zi f} nov ^
note f} xeìo&cu è'xEiv fj noietv ^ nda%Eiv. La traduzione latina men-
tovata di questo luogo suona : " Eorum quae sine coniunctione dicuntur,
unumquodque " aut substantiam significat aut quantum aut quale aut
ad aliquid aut ubi aut quando aut situm esse aut habere aut agere aut pati. Il
predetto numero e la denominazione delle Categorie son anche riferiti in
modo chiaro e preciso nei Topici (I, 9, al principio) come segue: è'azi
óè zavza (scilic. zà yévrj %&v xazr}yoQiùv) %òv àoid-fiòv déxa, zi
èazi, noaòv, noiòv, JiQÓg zi, nov, nozè, xeìo&at, e%eiv, noisìv,
nào%siv. Per lo scopo che io mi propongo non posso entrare in tutte le
particolarità, nelle quali entra la maravigliosa mente analizzatrice di
Aristotele. Ma come rias- suntivo dell'essenziale a tal riguardo
allegherò il seguente luogo del Zeller (loc. cit., pag. 267).
" Fra le singole Categorie, dice questo, la più importante è di gran
lunga la * SQstg^za, della quale in seguito dovrà parlarsi più
diffusamente. La Sostanza, in " senso stretto, è sostanza singola.
Ciocche si lascia dividere in parti è un Quanto (ein Quantum) ; se queste
parti son divise (getrennt), il Quantum è discreto, una Moltitudine
(Menge); se esse sono insiem congiunte, il Quantum è una Grandezza; se
sono in una determinata posizione (&éoig), la Grandezza è spaziale; se poi
le parti son soltanto in un ordine (zd^ig) senza posizione, allora la
Grandezza non e Vedi pei due luoghi greci Zeller, citato; e nel testo
greco stesso, vedi Arist., KaTijy., e Tonino, al luogo indicato. Secondo
il gusto e l'uso de' versi memoriali, queste 10 Categorie furono espresse dal
seguente distico : Àrbor sex servos calore refrigerat ustos
; Cras ruri stabo, sed tunicatus ero. spaziale (ist eine
unràumliche). L'Indiviso (das Ungetheilte) o l'Unità, per mezzo di cui
vien conosciuta (erkannt) la Grandezza, è la Misura della Grandezza
stessa; ed è questa appunto la nota distintiva della Grandezza, che essa
è misurabile, che ha una Misura. Come la Quantità spetta (zukommt) al
Tutto sostanzialmente divisibile, così la Qualità esprime le distinzioni
mediante le quali vien diviso il Tutto. Giacché per Qualità in senso
stretto Aristotele non intende altro che la nota distintiva, o la
determinazione più vicina, in cui si specifica un dato Generale. E come
le due specie principali delle Qualità egli designa quelle che esprimono una
deter- minazione essenziale, e quelle altre che esprimono un movimento od
attività. In altro luogo egli novera quattro determinazioni qualitative
come le principali; ma - queste però si lasciano sottordinare a quelle
due. Siccome nota propria della Qualità vien considerato il contrapposto di
Simile e Dissimile. Del resto, l'istesso Aristotele è imbarazzato nel
conterminare questa Categoria verso altre. Al Relativo " appartiene
tutto ciò, la cui propria natura o essenza (Wesen) consiste in un determinato
comportarsi verso altro; e come tale il Rektivp_è quella. Categoria cui corrisnonde
la minima realtà. Aristotele distingue di esso tre specie, le quali però
« si lasciano" ridurre a due. Ma in ciò egli non rimane eguale a sè stesso
; ed ancor * meno sa evitare più di una miscela (Vermischung) con
altre Categorie, ovvero ottenere una nota sicura di quella costituente il
Relativo. Le altre Categorie furono da Aristotele sì brevemente trattate
nello Scritto delle Categorie, che anche noi " non possiamo
trattarne più diffusamente „. E basti di ciocche concerne le
Categorie, e passo a dire del secondo scritto del- l'Orbaco, cioè del
" IIeqì èqiirivtiac, „, o De Interpretatiom. Rispetto al tempo in
cui fu composto questo scritto, è bene di rilevare, che esso fu composto
dopo gli Analitici, come lo stesso LIZIO dice chiaramente ed
esplicitamente. L'oggetto di questo saggio dell' Ermemia è la
£rojosizione, e non nel senso di pura e semplice proposizione grammaticale,
ma di proposizione logica od esprimente un pensiere logico (“Pirots karulise
elatically’). Il Lizio, analizzatore per eccellenza, comincia
coll'esaminare e stabilire l’elementi della proposizione stessa, i quali non
sono altro che i nomi delle cose. E comincia a farlo con una osservazione
importantissima intorno al nome, tò ovoma, e al verbo, tò §fj/ta, la quale è
che i nomi (“shaggy”), prima della loro unione, sia tra loro, sia col
verbo, non esprimono nulla di vero e di falso. Ed anzi, secondo lui, quando
si dice nome (dvo/ia) IN SENSO LATO, vi si comprende anche il verbo (“...
is shaggy”). IIzqì yàg, dic'egli nell' Ermeneia, oév&EOiv k<xì
òia'iQEoiv èan tò ipsvóog xal tò àAy&és NAM IN COMPOSITIONE ET DIVISIONE
EST VERITAS AVT FALSITAS. Quando poi col collegamento e colla divisione delle
parole (“shaggy”), Qffàa d<jLnomi, comincia la verità e la falsità, allora
il nome, come specificamente logico, è propriamente Uyog. Uno scrittore che ha
rilevata bene la differenza di òvofia e di Myog e Biese, Die Philosophie
des LIZIO, Berlin, dicendo che Uyog designa la parola in quanto è
espressiva del pensiere (“Pirots karulise elatically” – “karulatico”. In altri
termini, λόγοϛ [dictive content, what is said] è la parola logica per
eccellenza. Altra cosa notevolissima è che, secondo il LIZIO (IIeqì
'Eq^veiag), ogni discorso, Àóyog, è SIGNIFICATIVO di alcun che
(arjfiavxixóg) – Pirots karulise elatically. Ma non ogni discorso è ENUNCIATIVO,
giudicativo (dnotpavxixóg), sì bene quello che ha che fare {imdq%£i) col
vero e col falso. E soggiunge, ad esempio, che la preghiera, eb%<t\, DEPRECATIO,
è certamente un discorso, ma non è nè vera nè falsa. Son dunque la verità e
la falsità che costituiscono la proposizione logica, o il giudizio, il
quale senza di esse non sorgerebbe nè verrebbe ad esistenza. Che il giudizio
è dal LIZIO così concepito, ha una importanza straordinaria rispetto alla
quistione della logica formale e della logica reale od ontologica. Comunemente
si dice che la logica del LIZIO è formale. Ciò è vero in certi limiti e
non in tutto e per tutto. Infatti, il dire che un giudizio è tale soltanto
rispetto alla verità ed alla falsità, vai tanto quanto dire che un
giudizio è vero o falso secondo che esso è conforme o non conforme alle coso,
ossia alla realtà. Per forma che un giudizio non puo neppure aver luogo,
se, a così dire, non sorgesse ed anzi non fosse prodotto dalle stesse
cose reali. Trendelenburg, autorevolissimo in tal materia, dice. Senza un
tal rapporto alle cose non v'è alcun giudizio. E, conformemente a ciò, lo
stesso Trendelenburg ne' suoi Ehm. logie. Lizio aggiunge: [LIZIO], qui quidem
enunciationis naturam in rerum peritate positam esse voluit etc. Del resto, già
in antico pensa ed espresso lo stesso BOEZIO (si veda) (nel cit. Arisi. Stag. LIZIO
Organum, etc.) dicendo. Sed denominationes istae (scilic. categoriae) ex
rebus pendent etc. Ciò posto, passiamo a dire del giudizio, o, che vale lo
stesso, della proposizione logica. E per l'esposizione di questo punto,
ne' limiti dello scopo che ci proponiamo, ci varremo degli stessi analitici,
i quali furon composti prima dell'Ermeneia, e nei quali Aristotele ne
aveva appunto trattato. La proposizione (Ilqóxamg). La definizione che ne
da il LIZIO è la seguente: Ilqóxamg [tèv odv èaxl Zóyog xaxatpaxixòg fj
dnocpaxixòg xivòg xaxd xivog. Cioè, la proposizione è un discorso
affermante o negante alcunché di alcunché. E la famosa traduzione latina ha: Propositio
igitur est oratio affirmans vel negans aliquid de aliquo. Subito appresso,
determinando l'estensione e la specifica natura della proposizione, o del
predetto discorso, dice: otixog de f xa&óÀov $ èv fiéqei j}
dòióqiaxog. Àéyo) de xad-óÀov fiev xò navxì i) (irjóevì fmaq%£iv, èv
fiéqei de xò xivl % (irj navxì iindqxeiv, àdióqiaxov òh xò Ò7iàq%eiv |
fifj vnàq%eiv dvev xov xa&óAov, 1} xaxà fiéqog, oìov xò xCùv èvavxiav
slvai xrjv ctvxrjv èniax^firjv $ xò xrjv ^dovijv fifj eìvai dyadòv. Cioè,
nella traduzione latina. Hæc (scilic. ORATIO) autem aut est universalis,
aut in parte (particolare), aut indefinita, universale appello omni aut
nullo inesse, in parte vero, alicui aut non alicui aut non omni inesse,
indefinitum autem, inesse aut non inesse absque universali aut particulari
nota, veluti contrariorum eandem t esse scientiam, aut voluptatem non
esse bònum. In Erlauterungen zu den Elementen d. LIZIO Logik, Aufl. Beri. In
Waitz, Aristotelis LIZIO Organon etc, vi è una interessante nota sulla
voce jiQÓiuais e le corrispondenti in CICERONE (si veda), nel PORTICO ecc. „
T ™< T* *ma*m Tf ATJTTANA ED HEGELIANA, ECC. E qtì ad ulteriore intelligenza
della cosa, debbo ricordare al lettore la famosa finzione dello quattro
forme di posizioni ohe rappresentano una parte „ levan e nella funzione
del Sillogismo, cioè la Svenale affermativa, la umversaU nevai m la
7er 9 ouóle colle uote iniziali di a, e, i, o, prendendo « ed i da
afnrnro ed e ed o da "^Urliamo egualmente l'attenzione del
lettore su di un'alt» parlar ^ricor- rente poco appresso nel luogo stesso
e riattaccante a ciocche e teste detto che ZTu dire di una cosa ohe è
interamente in un'altra vai tanto quanto due che essa interamente
attribuita ad un'altra «-** -W*? « «• ohe il re che una cesa non è
in alcun modo frrt nHj B ™ lta °' uanto dire che essa non è in alcun modo
attribuita all'altra. Tott, ricenoscerann TelTe due espressioni de. e del
«* la oorrisnondente espressione latina del Didum de amni et de
nullo. Tvendo testò detto che nel trattare della Logica
aristotelica m sare, limitato ai punti fondamentali, Ve
*V^SJS!^^^^^1 tale e che non posso a meno di riferire. Onesto concerne le
regole della conversione t esse e ricorre (ibid.) al paragrafo secondo; e
per migliore intelligenza ed appre - zam nt'o le allego nella sua
integrità. Però nell'allegarie,
s> perche e comunemente neTa la lingua Francese, si per la grande
autorità che ha un traduttore delle opere aristoWi'he, quale è il B~mv ok
S^-H^rna, mi valgo della tradu- ZÌ °" Oomte tonte proposition
(eoa, quest'ultimo) exprime quo la obese est sim- moment ou quelle est
nécessairement, en qu'elle peut étre; et que dans tonte •I pTee
d'attributien, les prepesitions sont afflrmatives ou negative*: comme, de
- plus les prepesitions afflrmativee et négatives sont tant6t nmverselles,
tentot par • Mières tantot indéterminées, il y a necessitò ,ue la
proposto simple umver- • et privative pnisse se eonvertir en ses
prepres termes; par exemple, s, neon nWsir Test un bien, il faut
nécessairement anssi qu'aucun bien ne soit un plaisir. Crepo tion
afiirmative doit anssi se convertir, non pas en umverselle, ma, L narticulière; si, par exemple, tout plaisir
est un bien, il faut anssi quo qnelqne . U sl un piparmi les prepesitions
particella, ,'afnrmative se cenver nécessairement en particulière ; car si
quelqne plars.r est un • „ue quelqne bien soit un plaisir. Mais il
n'y a pas de couversion necessaire peur a prTpositien privative: en effet,
si homme n'est pas attrihnable qnelqne animai, . il ne s'ensnit pas qne
animai ne soit pas attribuable à qnelqne homnie. La règie (cosi ibidem, al paragrafo terzo) sera la
meme encore pour les p.o [Notoriamente in queste Ufiene delle Scolo, si
esprime™ ciò, dicendo: A.serit a, no B »t «, veruni universiditer
«mbo: Aisorit i. nogut o, Ter™ particulantei ambo. Il si.eiao.to di „..t. ».'*. &
— « * "»» 6 <* e """" positions nécessaires,
c'est-à-dire que l'universelle privative se convertii en uni- ! vergelle,
et que chacune des deux affirmatives se convertit en parti culière...
Quant ' à la P r oposition particulière privative elle ne peut ici non
plus se convertir, par la mème raison que nous avons dite plus haut. Pour
les propositions contingentes, comme contingent se prend dans bien des
" sens, puisque nous disons que le non-nécessaire et le possible sont
contingente, la conversion de toutes les propositions affirmatives se fera
ici de la mème ma- 8 niòre... La règie change pour la conversion des
négatives; mais elle est encore la * mènie P° ur les Propositions
où les choses sont dites contingentes, soit parce que "
nécessairement elles ne sont pas, soit parce qu'elles ne sont pas
nécessairement. *! Par exemple, si l'on dit que l'homme peut ne pas ètre
cheval, et que la blancheur [ peut a ' étre à aucun vètement, de ces deux
choses lune nécessairement n'est pas, " l'autre n'est pas
nécessairement. Ici donc la convertion a lieù de la mème ma- " mete.
En effet, si ètre cheval peut n 'appartenir à aucun homme, ètre homme
peut n'appartenir aussi à aucun cheval; et si blancheur peut n'ètre à
aucun vètement, ' vétem ent aussi peut n'ètre à aucune blancheur.
Autrement, s'il n'y a nécessité que '• vétemen t soit à quelque
blancheur, blancheur aussi sera nécessairement à quelque véfcemen t-
C'est ce qu'on a démontré plus haut. Au contraire, pour les choses que
" l'on dit contingentes, parce qu'elles sont le plus habituellement et
naturellement " de telle facon, ce qui est la définition que nous
donnona de contingent, il n'en * sera plus de mème pour les
conversions négatives. Ainsi la proposition unìversèlle " privative
ne se convertit pas, et la proposition particulière se convertit. Ceci
de- ! viendra évident quand nous traiterons du contingent. Bornons-nous
ici à constater, " a P rès tout ce <l ui précède, que pouvoir
n'ètre à aucune chose ou pouvoir n'ètre' " pas à quelque chose, ont
la force d'affirmation. C'est que le verbe pouvoir est place dans la
proposition comme le verbe ètre; et que le verbe ètre, à quelques attributions
qu'on l'ajoute, forme toujours et absolument une affirmation : par
* exemple, ceci est non bon, ceci est non blanc; ou, d'une manière toute
generale, « ceci est non cela. Du reste cotte théorie sera reprise et
confirmée plus loin. Mais, quant aux conversions, ces propositions
contingentes seront comme les autres pro- " positions „.
E ciò basti per lo scopo propostomi,
delle proposizioni, e passo a dire dell'ele- mento del termine.
Il Termine (8qo S ). Questo è definito da Aristotele (ibidem), così:
"Ogov óè xalib rig ov diaAvztai $ 7tQÓ%aai Sì oìov %ó re
xaTiryoQoépevov xal %ò xaWoi xait]yoQel-rcu f] nQoa'uèefiévov %
òuuQovftévov %ov elvai mei elvai. Ossia: Io chiamo termine quello in cui
la proposizione si scioglie, cioè l'attributo, e quello a cui si
attribuisce, sia che si aggiunga sia che si separi Tessere o il non
essere (nella traduzione latina: « Terminum vero appello in quem
dissolvitur propositio, ut attributum et id cui attribuitur, sive adiiciatur
sive separetur verbum esse vel non esse „). L'attributo e quello a cui si
attribuisce sono ciocche comunemente chiamiamo il predicato ed il
soggetto. Ciocche è qui allegato intorno al termine concerne il
concetto e la definizione del medesimo. Ma vi sono altre particolarità
essenziali che si riferiscono ad esso. Se non che, come queste si
riferiscono più direttamente al Sillogismo, e si inten- dono meglio dopo
aver detto di questo, così io passo a dir prima di questo. Il Sillogismo
(avUoy^óg). - Prima di venire ad Aristotele stesso, è bene ricordare un
importante luogo di Boezio, il qual luogo è tanto più importante, m
quanto si riferisce alla natura non solo del Sillogismo, ma anche degli
Analitici, che sono la teoria del Sillogismo stesso. "
Duo sunt, dice BOEZIO (si veda), in syllogismo, tamquam in homine corpus et
animus. « In corpore est materia et dispositio ac ordo partium: in animo
vis et vita et « actio. In superiorità Analyticis (Primi Analitici)
Aristoteles velut de syllogismi « praecipit corpore, hoc est, de
partibus, deque illarum nexu et compostone : ideoque « priora nominantur.
In his autem
posterioribus, hoc est, interionbus, et magis re- « conditis de anima
ipsa syllogismi, nempe de demonstratione , de vi et efficacia « rationis.
Analytici libri sub Aristotelis nomine multi olim circumferebantur, sed
hi « quatuor ex orationis filo, totiusque praecipiendi rationis modo ac
facie, Aristoteli " sunt adiudicati, caeteris reiectis „. Veniamo ora ad Aristotele stesso, e primamente alla
stupenda definizione che egli dà del Sillogismo, la quale è e rimarrà
sempre una delle più belle, più precise e più espressive della vera
natura del medesimo. SvUoyiOfiòg èé hon Xóyog (2) èv § Ts&évwv
tivùv foeqóv fi wv ^ifiévcov ég àvdyxyg ov^aivzi *$ mvw rfvai. Cioè, il sillogismo
è un discorso nel quale, posto alcun che, segue necessariamente qualcosa
d'altro da quel che e posto, perciò solo che è posto. E la corrispondente
traduzione latina ha: Syllogismus autem est ORATIO, in qua quibusdam positis
aliud quiddam diversum ab us quæ posita sunt, necessario accidit eo quod hæc
sunt. A spiegar meglio il modo e la necessità della consecuzione, Aristotele
(nella predetta traduzione) soggiunge subito in continuazione: '< Dico
autem eo quod haec " sunt, propter haec evenire, ac propter haec
evenire intelligo, nullo esterno termino opus esse ut sit necessaria consecutio
Il caso della consecuzione necessaria senza bisogno di altro termine
esteriore è poi quello che costituisce il Sillogismo perfetto (léAeiog
ovXXoyiafióg), come Aristotele lo appella. Che il Sillogismo
imperfetto (cheftfc) si possa poi ridurre al perfetto coi mezzi da
Aristotele indicati, è cosa a tutti nota, che occorre appena di rilevare.
Invece è bene di rilevare intorno al concetto aristotelico del Sillogismo
alcune cose degnissime di attenzione. La prima è che il rapporto delle
proposizioni o de* -iudizii sillogistici ed il procedimento de' medesimi
son tali che costituiscono una necessaria connessità. Il che importa che
il Sillogismo non è un fatto accidentale, ma è tale che ha una necessaria
ragion di essere. La seconda è che la conclusione non è una ripetizione e
riproduzione delle due premesse, ma esprime altro da quel che è espresso
da esse: insomma, esprime un principio nuovo. Questa seconda cosa è tanto
più importante, in quanto in tempi posteriori ad Aristotele è stata messa [In
Abist. Stag., Organum, già mentovato, pag. Dic'egli subito all'inizio dei Primi
analitici. innanzi la opinione che nella conclusione non si contenga un
novello principio, ma soltanto la ripetizione del contenuto delle
premesse. Una terza cosa è che la parola conclusione è a prendere ed
intendere nel vero" significato di inclusione di uno de' termini
negli altri due : per forma che la conclusione esprime addirittura il
vero chiudersi de' termini l'un nell'altro. E giacche si è
accennato al concetto del Sillogismo, è hene di accennare anche al
concetto del Sofisma, il cui concetto è proprio l'opposto di quello del
Sillogismo. Infatti, il concetto di quest'ultimo, come si è visto, è
costituito da ciò, che le due premesse conducono ad una necessaria
conclusione. Il concetto del Sofisma (tò oó- <piafia), al contrario, è
costituito da ciò, che la conclusione è in contraddizione colle premesse,
che, cioè, queste non concludono rettamente, e però concludono fal-
samente. Ma del Sofisma si dirà più ampiamente in seguito. Ora è opportuno
di ritornare alla esposizione dei Termini, ad integrazione di ciocche di
questi è stato teste detto. I Termini di un Sillogismo son tre, e non
pos- sono essere più di tre (Sqol tQsìc;). I quali tre hanno un contenuto
od estensione diversa; e sono il termine maggiore (fist^ov àxqov), il
minore (è'Àanov) e il medio (%ò \ièaov). Aristotele li designa anche
puramente e semplicemente coi nomi di primo (tò TiQ&'cov), ultimo (tò
ia%a%ov) e medio (tò [aégov). Il numero di soli tre termini non
vien contradetto neppure dal caso del Poli- sillogismo, nel quale vi
possono essere più medii. Perchè i più medii son ciascuno sempre il medio
di un solo Sillogismo nei varii Sillogismi costituenti il Polisillo-
gismo stesso, cominciando dal cosidetto Prosillogismo e terminando
coll'Episillogismo. Indicata la denominazione e l'estensione de'
Termini, la maravigliosa e precisa mente aristotelica passa alla
definizione di essi, che è la seguente: Aèyoy de fisl^ov \iev àxqov èv tò
fièaov èativ, e'àccttov de tò imo tò fièaov òv... KaÀà) óè fièaov fièv o
xal aèxò èv àÀÀ(p xal écÀAo èv to-ùto) èativ, 8 xal %f\ &éoei
yiyvEtai fièaov. axqog oh tò aè%ó te èv dAÀq> ov xal èv & àXXo èaiiv
(3). Cioè (in italiano): Chiamo (termine) maggiore quello in cui è
(contenuto) il medio; e (termine) minore quello che è accolto nel medio
Chiamo termine medio quello il quale è esso stesso in un altro, e
nel quale è alla sua volta un altro, che divien medio anche per
posizione. Chiamo poi estremi sì quello che è in altro, sì quello in cui
è altro. E la nota traduzione latina ha : " Maius extremum appello, in quo
medium est, minus autem quod est sub medio... Voco autem medium quod et
ipsum est " in alio, cum aliud in ipso sit, et positione quoque sit
medium. Estrema autem " appello et id quod est in alio, et id in quo
est aliud. L'esser medio per posizione vuole uno schiarimento, che fa
comprendere come questa espressione aristotelica nella dizione greca è
perfettamente esatta. Infatti, nella prima Figura sillogistica (che è
quella del Sillogismo perfetto) noi diciamo: B (l'uomo) è A (mortale); C
(Pietro) è B: dunque C è A. Aristotele, invece, nella dizione greca
dice: A vale di B; B vale di C; dunque A vale di C. Opinione
già espressa dagli antichi scettici, e poi ripetuta ne' tempi moderni. Amst,
Top., 8, 11. Ibid., paragr. 4. Sicch, dna,a, U medio -» nt .a
vera Ma questa popone medtana non e q»> ^ ^ come la
conclusione. ; Qfflntfismo Aristotele ne fa cadere Però, ooanto a
-amerò * che ne. Sillogismo non tatto il poso «olle promesse, e
penano m p u» Ae e dimostraai(m e ed ogni vi sono ohe A»
proposizioni. E dopo aver dette ^consta, e ogn Siilogismo di soli
tre termini (nella tradazmne '^^Zm^J^,: 8 iCplan.mestotiams y llo S
ismnmoe„stareexdaabas propos t,on » ^ p preponi ohe 4 »i sono
indahhiamen e ^ ^ adsu . • mini sunt doae propomtiones (o. yaQ r?«S
»v » 3ec nndnm priama t„r, at i„i,i.dictnmest,adper a eiendos «J**»^^^^,
Lia eipa.es pro^ositiones ^ * -^J^TlC^ » : ffs :^^r^ti~ - *U-r + — -
? dimidia pars propositionum „. _ . . , , q:ii ft „i Bm0 la Logica
aristo- ::' "re S?- " — ""•
seguenti otto (ricorrenti in tutte le Logiche delle Scuole).
Termina esto triple*, medius, maiorque, minorque; Latius hos quam
praemissae concludo non vult; Nequaquam medium capiat concludo
oportet; Jtot semel, mot iterum medi™ generalità esto; Utraque si
praemissa neget, mail inde sequetur; Ambae affirmantes nequeunt generare
negantem; Nil sequitur geminis ex particulanbus unquam; Peiorem
sequitur semper conclusio partem. ki igiene di ,neste rogo.e si a^
«ohe ^ le cosi dette diverse forme di Sillogismo, cerne sono 1 Enhmema,
V pag. 95 seg.), ne allego £££££ oviaiano: . SOTV are potai: perderò
Dd»~~ _«* ^^tldolo .11. forma sillogistica di tre prepo- " an
possim, rogas „ ? & lo spiega, nuu taPP itit:::v:c: o
u^^ lettore ne trova in tutte le Logiche che vanno per le Scuole; e
passo a dire delle Figure sillogistiche pur ricorrenti negl’analitici, e
intimamente connesse col sillogismo. Le Figure (%à affiliata)
sillogistiche. Secondo il LIZIO il sillogismo è di tal natura che si
distingue in tre figure sillogistiche, delle quali la prima {o%i\fia
jiqùxov) poggia sul sillogismo perfetto, la seconda e la terza (axVP®
devtegov e o%ruia tohov) poggiano sul sillogismo imperfetto. E qui è necessario
di rilevare una cosa, che a primo aspetto pare di poco momento, ma che è invece
importantissima. Ed è che il LIZIO nella esposizione e dimostrazione
delle predette tre figure si serve come SIMBOLI delle lettere dell'alfabeto
greco, specialmente delle prime tre del medesimo α, β, γ. Il significato
dell'adoperamento di tali SIMBOLI FORMALI, specialmente per l'applicazione
di queste alle matematiche, sarà detto tra poco. Tornando alle figure,
è bene avvertire che il LIZIO per esse si vale in complesso degli stessi esempi
allegati per triplicità di termini, dovendo ciascun di questi
rappresentare uno de’tre termini sillogistici. Così, per darne una idea, nella
prima figura (ove adopera i SIMBOLI FORMALI alfabetici α, β, γ) si vale
de’termini: piacere, bene, animale; animale, uomo, cavallo; scienza, linea, medicina;
bene, abito, sapienza; bene, abito, ignoranza; bianco, cigno, neve. Nella
seconda figura (ove adopera i TRE SIMBOLI FORMALI alfabetici <5, e, £, ecc.)
si vale di questi esempi: animale, cavallo, uomo; animale, inanimato, uomo;
animale, scienza, animale selvaggio; corvo, neve, bianco. Nella terza
Figura (ove adopera i TRE SIMBOLI FORMALI n, q, o) si vale di bel nuovo degli
stessi esempi, che ricorrono nella prima e nella seconda. E, per essere
quanto è possibile esatti, soggiungo che nelle stesse due figure seconda e
terza, oltre agli indicati SIMBOLI FORMALI alfabetici, si vale anche dei PRIMI
TRE: α, β, γ. La conclusione cui giunge il LIZIO nelle indicate operazioni è
che tutti i sillogismi imperfetti diventan perfetti mediante la prima figura
(nel famoso testo latino: PERPICVVM EST OMNES IMPERFECTOS SYLLOGISMOS
PERFICI PER PRIMAM FIGVRAM. La maravigliosa analisi del LIZIO intorno al sillogismo
non si arresta a ciò, ma si estende alla considerazione e determinazione
di altre forme del medesimo, quali sono il sillogismo per ANALOGIA (cf.
Grice, ESCHATOLOGY), il Sillogismo per riduzione all'impossibile, quello per
Induzione, per ipotesi, per verisimiglianza, ecc. Ma noi non possiamo
entrare anche nella considerazione di queste forme speciali
sillogistiche, e passiamo a considerare la seconda delle tre predette
cose. Questa seconda è quella concernente la diretta relazione delle scienze
matematiche colla prima figura, o, che vale lo stesso, col sillogismo perfetto:
il qual punto è dal LIZIO trattato nell’analitici posteriori. Prima
di riferire da questi ciocche concerne le matematiche, rilevo che il LIZIO
anche per queste, come ha fatto per le altre discipline, si vale di esempi
per chiarire e determinare la cosa. Se non che gl’esempi che egli arreca
per esse sono sopratutto di natura matematica. Infatti allega i
seguenti esempi tratti dal punto, dalla linea, dal triangolo, ecc.: K triangulo,
dic'egli nella famosa traduzione latina, INEST LINEA ET LINEÆ PVNCTVM; ed
anche: Triangulo, qua est triangumm, insunt duo recti, quia per se
triangulum est aequale duobus recti s, etc. Ed è, inoltre, oltremodo
importante per la determinazione della natura delle scienze matematiche,
che per lui le scienze matematiche versano intorno alle FORME LOGICHE,
perchè le cose matematiche non sono in alcun soggetto -- etenim scientiæ
mathematicæ circa FORMAS LOGICAS versantur, quia res mathematicæ non sunt
in nullo subiecto. Ciò posto, venendo alla considerazione della diretta
relazione delle scienze matematiche col sillogismo e colle figure
sillogistiche, dice: Delle figure la prima è attissima a produrre la scienza;
imperocché le scienze matematiche effettuano le dimostrazioni mediante tal figura
tautologica e analitica a priori, come l’aritmetica, la geometria e l'ottica EX
FIGVRIS AVTEM PRIMA EST AD SCIENTIAM GIGNENDAM APTISSIMA NAM MATHEMATICÆ SCIENTIÆ
PER HANC FIGVRAM DEMONSTRATIONES AFFERVNT VT ARITHMETICA ET GEOMETRIA ET
OPTICE. Passo alla terza ed ultima delle tre cose predette, a quella, cioè,
concernente la formazione della conoscenza. La qual formazione è dal
grande filosofo (nell’Analitici Posteriori) espressa come segue. Dal senso si
genera la memoria. Ma dalla memoria, formatasi dalla ripetuta riproduzione
della stessa cosa, si genera l'esperienza; giacche molte memorie
costituiscono una sola esperienza. Se non che, dalla esperienza si genera
il principio dell'arte e della scienza; dell'arte, se spetta alle cose
della generazione; della scienza, se spetta a ciocche «è,; EX SENSV
IGITVR FIT EX MEMORIA VERO SÆPE EIVSDEM REI FACTA FIT EXPERIENTIA MVLTÆ ENIM
MEMORIÆ NVMERO SVNT UNA EXPERIENTIA AT VERO EXPERIENTIA FIT PRINCIPIVM ARTIS ET
SCIENTIÆ, ARTIS SI PERTINEAT AD GENERATIONEM SCIENTIÆ SI PERTINEAT AD ID QUOD
EST. La considerazione dell'arte è ciocche con stupenda designazione poco
appresso è denominato <5ófa, mentre la considerazione della scienza è
appellata Àoyiafióg. Ed ora è tempo che veniamo a determinare quale
è in Aristotele il significato dell'adoperamento dei SIMBOLI FORMALI alfabetici
α, β, γ, come espressione del sillogismo e delle figure sillogistiche.
Ebbene, tal significato, brevemente indicato nella sua genericità, è che le
proposizioni del sillogismo (LE PREMESSE E L’ILLAZIONE) in tutte le figure
sillogistiche di questo vengono INTESE ED ADOPERATE IN FORMA UNIVERSALE, ossia
in forma estensibile ed applicabile a tutti gl’elementi della realtà. Ora,
questi elementi sono tre, il quantitativo, il qualitativo, e l'unità di
entrambi, ossia il modale (il modo, la misura). Che questo triplice
elemento sia costitutivo [E subbie tto ...vai. qui obbietta, cioè, singola
e determinata, cosa della realtà. La generazione concerne il sorgere e
perirò delle cose. Id quod est, nel corrispondente greco rò.Sv, e ciocche
nell'Hegelianismo, e propriamente nella Logica hegeliana, è stato
designato come das Sein an und fiir sich. Anche questa denominazione di
Àoyurpós è degna della più grande considerazione, perche il LIZIO ha già
con essa additato e determinato l'elemento logico come elemento scientifico
per eccellenza, lasciando all'arte il carattere di elemento soltanto
opinativo della Realtà, emerge indirettamente dalla stessa tavola aristotelica
de'giudizii, cioè de' giudizii quantitativi, qualitativi e modali, come
più chiaramente si sono appellati nelle posteriori Logiche del LIZIO delle
Scuole. Qui basti l'avere accennato di ciò; le importanti applicazioni che
ne derivano rispetto alla scienza matematica e alla voluta corrispondente
LOGICA MATEMATICA le faremo, quando giungeremo alla esposizione e
giudicazione di quest'ultima; e ritorniamo per ora all'argomento delle figure
sillogistiche, per prendere in considerazione, da una parte, i modi,
dall'altra, il numero di esse. Quanto ai modi, è di bel nuovo il caso di
dire che essi sono comunemente allegati e discussi in tutte le logiche del
LIZIO delle Scuole. Fra i tanti uomini autorevoli che potrei citare a tal
riguardo, rimando il lettore alla citata Logica e Storia della dottrina
logica d’Ueberweg, che ne tratta ampiamente. Ma, per un breve ricordo di questo
punto della sillogistica, mi varrò invece del nostro insigne GALLUPPI (si
veda), il quale, nelle Lezioni di Logica e Metafisica, Milano, espone tal
dottrina con la solita sua lucidezza e precisione. Della sua esposizione e
discussione di questa materia, io riferirò brevemente l’essenziale. Il
modo del sillogismom dice egli, consiste nella disposizione delle tre proposizioni
secondo le loro quattro differenze A, E, I, O. Ora, secondo la dottrina delle
combinazioni, quattro termini quali sono A, E, I, O, venendo presi tre a
tre, non possono diversamente disporsi in più di 64 maniere. Ma di queste 64
maniere, *54* sono escluse dalle regole generali sillogistiche, che sono
state innanzi allegate. Restano perciò soli dieci modi concludenti. Ma ciò non
vuol dire che solo dieci sieno le specie de’sillogismi, perchè un solo di
questi modi può formare diverse specie, secondo la varia disposizione de'
tre termini innanzi detta. E qui il nostro GALLUPPI (si veda)
dispone addirittura i tre termini secondo le possibili combinazioni, e ne
risulta una tavola di 64 modi, emergenti dalle quattro figure sillogistiche,
delle quali egli indica anche brevemente le diverse regole. A questo breve
cenno aggiungo però volentieri due cose: l'una, alcuni versi memoriali dei
modi delle quattro figure: l'altra, un esempio di sillogismi secondo i
predetti modi. I versi memoriali, fra i tanti, li allega Ueberweg, come
segue: BARBARA CELARENT PRIMÆ DARII FERIOQVE CESARE CAMESTRES PESTINO
BAROCO SECVNDAE TERTIA GRANDE SONANS RECITAT DARAPI FELAPTON DISAMIS DATISI
BOCARDO FERISON QVARTÆ SVNT BAMALIP CALERAES DIMATIS FESAPO FRESISON. Dinanzi a
queste parole stranissime e non additanti per se stesse alcun senso, il
buon GALLUPPI (si veda) fa la seguente sensata osservazione. Queste formole, dic'egli,
di cui la prima comincia infelicemente con BARBARA, sembreranno in effetto
oggi molto BARBARE. Esse hanno ricevuto più ingiurie in un secolo, che
onore in mille anni. Esse hanno terminato col cadere in un intiero obblio.
Coloro che oggi le volgono in ridicolo non si hanno sempre dato la pena di
meditarle. Il filosofo che riflette con attenzione sulle regole dell'antica logica
è sorpreso nel vedere sino dove gl’autori avevano portato L’ANALISI DEL RAGIONAMENTO
[cf. Grice on Barbara, ASPECTS OF REASON, BARBARA CELARENT – Murphy]. Colla più
severa imparzialità alcuno non può impedirsi di convenire che ciascuna di
queste regole è di una rigorosa esattezza, e che il loro insieme è sì
completo che una sola delle forme possibili del ragionamento non è loro
sfuggita. Il Lizio, senza dubbio u non ha sovente il soccorso
dell'esperienza. È questa la disgrazia del secolo, nel quale egli nacque.
Ma egli è stato forse il pensatore più profondo, il genio più eminentemente
didattico che si sia mostrato sull'orizzonte della filosofia. Io dubito che
siensi innalzate dopo teoriche sì belle come quelle di cui egli ci ha lasciato
il modello. Quanto alla profondità e genialità del LIZIO, GALLUPPI (si
veda) ha perfettamente ragione, e queste due doti spiccano di tale luce e
verità proprio nella sillogistica del LIZIO e ne’modi della medesima, che
i posteri non hanno avuto ad aggiungervi nulla, o nulla d'importante. Solo
che, contrariamente a GALLUPPI (si veda), che accoglie il pensi'ere, da
non pochi seguito, delle quattro figure, il grande Stagirita non ne
ammette che tre con tre soli corrispondenti modi. Ma del numero delle figure
e de' modi fra poco. Un esempio, intanto, del ragionare e concludere secondo le
quattro figure, è per GALLUPPI (si veda) il seguente. La tavola
aristotelica dei Modi, quale ricorre in Waitz, Arisi. Organon (rilevando le
espressioni tecniche di nata navtòg, **** m óevòg ecc., sia colle
corrispondenti De omm et de nullo ecc., sia colle note quattro iniziali
A, E, I, O), è la seguente: I. a', tò A xatà jiavTÒg tov B, tò B %mà
navTÒg tov P, tò A narà navtòg tov P. IL tì'. TÒ A xatà fAfi&svòg
zov B, tò A xatà navzòg zov P, rò B xazà fiydevòg zov
P. y'. tò A xatà /^ijóevòg zov B, zò A xazà Tivòg tov P,
zò B xatà Tivòg tov P ov. III. tò A xazà navzòg tov P, tò B
xazà navzòg zov V, zò A xazà zivòg zov B, y' . zò A
xazà zivòg zov P, zò B xazà navzòg tov P, zò A xazà Tivòg zov
B. e', zò A xazà zivòg tov P ov, tò B xazà navTÒg zov P, tò
A nata zivòg tov B oli §. tò A nata ^ijóevòg zov B, tò B xarà navTÒg
tov P, tò A xazà /^tjdevòg tov P. /5'. rò A xazà navzòg
tov B, tò A %aTà j^rjÒEVÒg zov P, tò B naia fA,t]devòg zov
P. 5'. tò A xazà navzòg tov B, zò A xazà zivòg zov P
off, tò B xazà zivòg zov P oi!. zò A xazà [A,t]Sevòg tov P, tò
B xazà navzòg tov P, tò A xarà zivòg tov B ov. ò". tò A nata
navTÒg zov P, zò B xazà zivòg tov P, tò A xazà Tivòg tov
B. zò A xarà fifiòsvòg zov T, tò B xazà zivòg tov P,
tò A xatà tivòg tov B oil. Figura (avente il medio come sogg.
del magg. e predio, del minore). Ogni sostanza pensante è semplice,
L'anima umana è sostanza pensante, L'anima umana è dunque semplice. II
Figura (avente il medio come predicato de’due estremi). Niun corpo è una
sostanza pensante, L'anima umana è una sostanza pensante, L'anima
umana dunque non è corpo. Ili Figura (avente il medio come soggetto
de' due estremi), Ogni sostanza pensante è semplice, Ogni sostanza
pensante è indistruttibile, Dunque qualche sostanza indistruttibile è
semplice. IV FIGURA (avente il medio come predio, del maggiore e
sogg. del minore). QUALCHE ESSERE SEMPLICE È SOSTANZA PENSANTE; OGNI SOSTANZA
PENSANTE È ATTIVA; DUNQUE, ALCUNE SOSTANZE ATTIVE SONO ESSERE SEMPLICI. Il
numero delle figure e de'modi. Il lettore ha visto a pie' di pagina le
tre figure e i tre corrispondenti Modi aristotelici allegati dal Waitz.
Del Waitz riferisco volentieri una osservazione concernente la seconda e
la terza Figura, nelle quali ei dice: ultimum modum secundae et quintum tertiæ figurae
non demonstrari nisi deductione facta ad absurdum. GALLUPPI (si veda) opina
doversi ammetter come valida anche la QUARTA figura e i corrispondenti modi.
Ma, francamente detto, il sillogismo ch'egli ne arreca ad esempio, da una
parte, cammina stentatamente. DALL’ALTRA, È DI DIFFICILE COMPRENSIONE. In
generale, puo dirsi che la mente umana, nel suo naturale procedimento logico, non
ragiona in quel modo. E un ragionamento logico che contraria la natura nè
può considerarsi come il migliore nè deve ammettersi come buon procedimento
logico. A conferma di tale osservazione rilevo che, in generale, i grandi
filosofi si son tenuti alla del LIZIO triplità di figure e di modi. Notoriamente,
è stato il famoso medico Galeno di Pergamo quello che ha così legato il
suo nome alla dottrina del sillogismo, che apparisce in quasi tutti i
compendii della Logica, anche ne' più triviali. Galeno, cioè, secondo
l'espressione comune, ha accresciuto il numero delle tre figure aristoteliche
del Sillogismo categorico coll'aggiunzione di una quarta, nella quale il
concetto (o termine) medio è predicato della maggiore e soggetto della
minore. Soggiunge che la notizia di tale innovazione non si trova in
tutta la letteratura greco-romana, Zellek, Grundriss d. Gesch. d. Griechischen
Phiìosophie, nell’ediz. del Loktzing. Così Prantl, Gesch. der Logìlc,
età, e che proviene da fonte arabica, e propriamente da Averroe. Il quale
Averroe, per Giunta ne fa menzione proprio nella confutazione che fa
della quarta figura. Alcune altre particolarità importanti tanto rispetto
ai modi quanto rispetto alle figure sono le seguenti. Quanto ai modi,
il LIZIO, per ognuna delle tre Figure da lui ammesse e corrispondentemente alle
possibili combinazioni delle loro proposizioni secondo le indicate lettere A E
I O, ha trovato che i modi valevoli, perchè non contrarli alle otto regole
sillogistiche, sono 4 per la prima figura, 4 per la seconda e 6 per la
terza, in tutto dunque quattordici. GALLUPPI (si veda), che, con
Galeno, ammette la quarta figura, anch'egli esamina le combinazioni e modi
che son possibili e valevoli in questa; e trova che, accanto ai molti modi
contrarli alle otto regole sillogistiche, ve ne sono però 5 validi. SICCHÉ IL
NOSTRO FILOSOFO NAPOLETANO, INVECE DI 14, AMMETTE 19 MODI VALIDI! Quanto poi
alle figure, va considerato un ultimo punto importante, cioè, quello della
riduzione della 2* e 3 a Figura, che danno sillogismi imperfetti, alla l a
che sola li dà perfetti. Ora, tal riduzione, secondo il LIZIO,
avviene per mezzo di conversione: Azi yaq ytyvstai òià %fjs dvvunqof^g
ovUoyiGfióg, dic'egli, Anal. Pr. Inoltre, la conversione può
avvenire in due modi, cioè, o estensivamente, ovvero per riduzione
all'assurdo òemtix&$ % tov àòvvàiov). E da ultimo, secondo lui, tutti
i sillogismi, quando sono rettamente convertiti, si riducono a sillogismi
universali della prima figura {tpaveQÒv ovv fot 7zdv%eg àva%Sf\aov%ai eig
rovs & %<$ nqcbto? oxfipan xa&óXov ovMoyiopovg). Di
quest'ultimo punto, a maggior intelligenza e a complemento della cosa,
allego la solita traduzione latina non soltanto de’passi corrispondenti a
quelli da me allegati in greco, ma anche della rimanente parte, che è
dimostrativa e illustrativa dei medesimi La traduzione suona così. Semper
enim fit syllogismus per conversionem, præterea manifestimi est
pronuntiatum indefinitum pro attributivo particulari acceptum efficere
eundem syllogismum in omnibus figurili, item PERSPICVVM est omnes
imperfectos syllogismos perfici per primam figuram aut enim
demonstratione aut per impossibile perficiuntur omnes utroque autem modo
fit prima figura, ac demonstratione quidem si perficiantur, fit prima
figura, quia sic omnes perficiebantur per conversionem: conversio autem
efficiebat primam figuram si vero per impossibile confirmentur, adhoc fit
prima figura, quia posito quod falsum est, syllogismus conficitur in prima
figura, ut in postrema figura si tò a ac tò p omni y, probatur tò a
inesse alicui p. nam si tò a insit nulli 0 ac tò § omni y, tò a inerit
nulli y. sed antea positura erat omni inesse, similiter fit etiam in alns.
licet etiam reducere omnes syllogismos ad syllogismos universales primæ
fìguræ. nam qui fiunt in secunda figura, sine dubio per illos
perficiuntur, non tamen omnes eodem modo, sed universales converso
pronuntiato privativo, particularmm autem uterque per deductionem ad
impossibile, particulares autem primæ fìgurae perfìciuntur quidem per se ipsos,
sed licet etiam secunda figura eos confirmare ducendo ad impossibile, ut
si tò a inest omni |3 ac tò p alicui y, tò a inerit alieni y. nam si
nulli insit, omni autem fi insit, certe nulli y tò § inerit: hoc enim scimus
per « secundam figuram. similiter enim in privativo syllogismo erit
demonstratm. nam si zò a nulli | ac %b 0 alicui y inest, tò a alicui y
non inerit. etenim si omni insit ac nulli § insit, zò § nulli y inerit:
hoc enim erat media figura, itaque cum " omnes sillogismi mediae
figurae reducantur ad syllogismos universales primæ figuræ, particulares autem
primæ ad syllogismos secundæ, PERSPICVVM est etiam syllogismos
particulares primæ figuræ reduci ad syllogismos universales primæ figuræ qui
vero fiunt in tertia figura, terminis quidem universaliter acceptis
statim per eos syllogismos perficiuntur, terminis autem in parte sumptis
perficiuntur per syllogismos particulares primæ figuræ hi vero ad illos
reducti sunt: quapropter ad eosdem reducentur etiam syllogismi
particulares tertiæ figuræ. perspicuum igitur est omnes reduci ad
syllogismos universales primæ figuræ. E ora, ritenendo di aver detto a
sufficienza della sillogistica del LIZIO, passo a dire del saggio
dell'Organo, cioè di quello de' Topici. I Topici {Tonino). Di questo
saggio del grande stagirita BOEZIO (si veda) dà la seguente notevole
informazione e giudicazione. TOPICA HOC EST LOCI VNDE DVCVNTVR ARGVMENTA. OPVS
EST OCTO VOLVMINIBVS DISTINCTVM VARIVM SANE HOC EST MVLTÆ ERVDITIONIS ET
OBSERVATIONIS RERVM DIVERSARVM SED VT ILLA OMNIA PRIMVS IPSE PARIEBAT NON
POTVIT TAM MVLTA SIMVL EDERE SIMVL EXPOLIRE ITAQVE RELIETA EST VELVT INGENS QVÆDAM
MATERIA ET DIVES AD EXTRVENDVM PVLCHERRIMVM ÆDIFICIVM. Questo giudizio di BOEZIO
(si veda), primamente, è vero, come il lettore stesso se ne convincerà
dal cenno che noi faremo de' Topici; secondamente, ha grande importanza anche
per l'influenza da BOEZIO (si veda) esercitata nell'insegnamento logico delle scuole.
Accanto al giudizio di BOEZIO (si veda) debbo riferirne un altro veramente
acuto e profondo di Prantl, Gesch. d. Logik im Abendlande, Leipzig, sulla
grandezza speculativa della mente del Lizio. Prantl dice che la
superiorità (Ueberlegenheit) della mente di lui ècapace di esaminare
secondo il concetto {begrifflich) e di costruire teoricamente secondo
concetti adeguati anche campi (Gebiete) ed aspirazioni che sono al di sotto
della speculazione propriamente detta, come sono il campo e la materia
de'topici. Rispetto a' Topici riferisco volentieri anche una circostanza
rilevata da Zeller, che cioè, un saggio de’topici rimastoci non provenga
dal LIZIO, come dimostra Pplug, de Ar. Topicorum libro. Ma, ciò
nonostante, noi ne accenneremo egualmente. Subito nel primo paragrafo,
il LIZIO indica lo scopo de’topici in genere, il quale scopo è quello di
trovare il metodo di argomentare di ogni problema proposto dajrobabili
je£ èvóófrv, e disputarne in guisa da non dir nulla di ripugnante. Nella
traduzione latina il predetto scopo è indicato così. PROPOSITVM HVIVS
TRACTATIONIS EST INVENIRE METHODVM PER QVAM POSSIMVS ARGVMENTARI [Tale
influenza viene attestata da tutte le parti; la confermano, tra gli altri, Ueberweg-Heinze
nel Grundriss d. Gesch. d. Philosoph. das Alterthum, Beri. Nel Grundriss d.
Gesch. d. GriecMsohen Philosophie della citata ediz. del Loetzino] DE OMNI PROPOSITO PROBLEMATE EX
PROBABILIBVS ET IPSI DISPVTATIONEM SVSTINENTES NIHIL DICAMVS REPVGNANS. E
soggiunge doversi innanzi tutto dire che cosa è il sillogismo estendendosi
intorno a questo ed indicarne le diverse specie, ecc. E non ha torto di dire
del sillogismo, della sua natura, delle sue specie, ecc.; perchè, se lo
scopo della trattazione de topici è quello di trovare il metodo di argomentare,
foss'anche da' probabili, l'argomentare è un sillogizzare, e quindi
bisogna conoscere come si sillogizza, ecc. Ed in generale il lettore vede
che in questi topici si tratta di una grande quantità di cose di cui si è
già trattato nelle CATEGORIE, nell'ERMENEIA e negl’analitici tanto primi
quanto secondi. Intanto il LIZIO, sempre preciso, dice subito ivi stesso
che cosa debba intendersi per probabile. E lo determina dicendo nella
traduzione latina. PROBABILE AVTEM SVNT EA QVÆ VIDENTVR OMNIBVS VEL PLERISQVE
VEL SAPIENTIBVS ATQVE HIS VEL OMNIBVS VEL PLERISQVE VEL MAXIME NOTIS ET CLARIS.
Investiga e determina a quante e quali cose sia ntite questa trattazione de’topici.
E statuisce che ella sia utilis ad tna, ad exercitationem, ad congressi, ad
philosophicas scientias. quod igitur ad exemtationem sit utilis, ex his
perspicuum est, quoniam hanc methodum habentes facile de omni re
proposita poterimus argumentari, ad congressi autem, quia multorum
opmiombus enumerata, non ex alienis sed ex propriis singulorum sententns
poterimus cum eis aere refellentes quod non recte dicere nobis videtur.
ad philosophicas autem scientias, quia cum poterimus in utramque partem
dubitare, facile in smgulis perspiciemus veruni et falsum. Il predetto metodo,
soggiunge egli, è perfettamente posseduto, quando lo si adoprerà nella retorica
e nella medicina, come fanno l'oratore e il medico. Ho rilevata
volentieri questa circostanza della retorica e dell oratore, perche tutti
sanno come questa materia trattata ne’topici è passata realmente, se non
m tutto certo in buona parte nella retorica: Retorica, che specialmente
noi gl’italiani studiamo, con qualche profitto sì, ma anche con non poca
pedanteria d'insegnanti e d'insegnamento. Sono stato piuttosto diffuso
nella indicazione di queste generalità di questo saggio de’Topici per
dare una idea della trattazione e del modo di trattazione de' medesimi. Ma ora
procedo più speditamente e più brevemente, fermandomi però alquanto di più
ne' punti di maggiore importanza. Continua ad occuparsi di sillogismi e di
proposizioni, ma con riguardo ai principii comuni ad entrambi, come sono
il genere, il proprio, l'accidente, Indifferenza, la definizione, ecc.; e
nei seguenti determina e illustra siffatti principii. Pone il
quesito: 11 Quot modis idem dicatur; e lo risolve dicendo: [Quanto alla
materia de'problemi proposti, anch'essa, secondo l'uso delle scuole, è
espressa nel seguente verso memoriale: Quis? quid? ubi? quibus
auxilds? cur? quomodo? quando? Videri autem possit idem, ut typo expìicem,
tripertito distributum esse, aut enim numero aut specie aut genere idem
soliti sumus appellare, etc. Più avanti si propone di definire i generi
delle CATEGORIE, e di indicarne il numero, che è di dieci; e il relativo luogo
è stato già riferito. Nei paragr. susseguenti determina la natura della
proposizione dialettica, del sillogismo dialettico, della tesi
(determinata come sententia alieuius nobihs philosophi, ut dicebat
Antisthenes. Si propone di " esplicare quot sint rationum dialectitram
species; e in seguito si occupa ancora de 3 generi delle proposizioni,
per quindi occuparsi della somiglianza, e propriamente della SIMILITVDO
CONSIDERANDA IN IIS QVÆ SVNT IN DIVERSIS GENERICA. E con ciò si chiude la considerazione
del saggio. Il lettore che consideri bene la trattazione del LIZIO
deve convenire nell'acutezza e giustezza del giudizio di BOEZIO (si veda)
intorno ai Topici. Nel primo paragrafo del saggio, Aristotele torna ad
occuparsi de’problemi, in quanto ALIA [SCILIC. PROBLEMATA] SVNT VNIVERSALIA,
ALIA PARTICVLARIA; e si fa a considerarli ne’diversi rispetti della
generalità e della particolarità [cf. GRICE PARTICULARISED GENERALISED]. Nei
paragrafi immediatamente susseguenti torna a considerare i varii modi
secondo cui alcunché si dice, sia quantitativamente sia qualitativamente.
Passa a considerare un punto importantissimo, e propriamente quello
concernente l’opposizione e il principio di contraddizione: il qual punto è da
lui considerato ne più minuti casi ed aspetti, con relative distinzioni,
suddistinzioni ecc.; e noi ne riferiremo con qualche ampiezza. Quoniam
autem CONTRARIA (dic'egli, nella traduz. latina) sex modis inter se coniunguntur,
contrarietatem autem efficiunt quattuor modis coniuncta, oportet accipere
contraria prout expedit evertenti et adstruenti. sex igitur modis ea
coniungi manifestum est aut enim utrumque utrique contrariorum iungitur,
atque hoc bifariam, ut de amicis bene mereri et de inimicis male, vel contra de
amicis male et de inimicis bene, autem ambo de uno, et hoc quoque
bifariam, ut de amicis bene mereri et de amicis male, vel de inimicis bene
mereri et de inimicis male aut autem de ambobus et hoc quoque bifariam, ut de
amicis bene et de inimicis bene, vel de amicis male et de inimicis male,
primæ igitur duæ coniunctiones quas dixi, non faciunt contrarietatem: de
amicis enim bene mereri et de inimicis male NON SVNT CONTRARIA, cum ambo
sint optabilia et eorundem morum effectus (badi il lettore alla
circostanza e corrispondente espressione del morum effectus, che nel testo
greco suona: d/upóreQa yÙQ aÌQ£%à Hai zoì) av%ov ij9ov S ). neque item
contraria sunt de amicis male et de inimicis bene mereri. nani et haec
sunt ambo fugienda et eorundem morum effectus. E il LIZIO nelle dette
distinzioni e suddistinzioni non si arresta neppur qui, ma procede ad
altre, che noi omettiamo di riferire. N Se non che, continuando a parlare
de’contrari!, passa a considerarli da quel rispetto, che è stato appellato
il principio di contraddizione, sostenendo: fieri nequit ut contraria
simul eidem subiecto insint (cioè, nel corrispondente testo greco: àòvvaiov
yàq tàvavxia djia t$ ai>%$ òndgxeiv). E trattandosi di un principio
tanto importante, che, per giunta ha avuto posteriormente una rigida e non
sempre bene intesa applicazione, voglio allegarlo anche nella forma più
compiuta in cui ricorre in Metaph. Iti, 3; cioè: xò yàg afixò
djm bjia,Q%Eiv xe xal [ir] vnaQxeiv àóvvaxov %(p avxòì uaì xaxà xò avx ó
(nella traduzione latina: IDEM ENIM SIMVL INESSE ET NON INESSE EIDEM ET
SECVNDVM IDEM IMPOSSIBILE EST. E soggiunge poco appresso che questo è il più
certo di tutti i principii: avxr\ ài] naa&v èaxl ^E§aioxdxmj xcov
àq%(àv (HOC AVTEM EST OMNIVM PRINCIPIORVM CERTISSIMVM. Noti però il lettore
che, per non fraintendere il principio del LIZIO di contraddizione, si deve
aver presente ciocche il Lizio ha detto teste, che, cioè gl’OPPOSTI non sono CONTRADDITTORII,
epperò non escludentisi (poniamo, come amici e nemici) quando siffatti
opposti sono morum effectus, ossia effetto della natura di essi. L'uomo,
per chiarire ancor meglio l'esempio, ha nella propria natura umana l'essere
amico ed anche l'essere nemico, come per sua natura può esser buono e può
essere anche cattivo. Non è l'una e l'altra cosa ééfia, nel medesimo tempo.
Ma l'uomo è però pur sempre il medesimo soggetto, che ora è amico ora
nemico, ora buono ora cattivo: ed inoltre, è amico e buono ne’tali e tali
uomini, ed è nemico e cattivo ne’tali e tali altri uomini. E basti di
questo importantissimo punto. Ne' paragrafi immediatamente susseguenti si
continua a parlare dell'opposizione, si accenna anche alle simiglianze, e
non ricorre altro di rilevante. Passo a dire del saggio. Il Lizio apre
questo saggio col quesito di ciocche sia migliore e più desiderabile, e,
per giunta, di esaminare e a tal riguardo sermonem instituere non de iis
quae longe inter se distant et magnam differentiam habent sed de iis quæ vicina
sunt. E risolve la quistione dicendo che quod est diuturnius et
constantius, magis est eligendum quam quod est minus tale. E nella elezione è
certo anche di peso quod eligat vir prudens, aut lex recta aut ii qui in uno
quoque genere scientes sunt. Ne’eguenti paragrafi continua in grosso l'esame e
soluzione dell'istesso quesito, per poi venire a prendere in
considerazione i luoghi utili a conoscere ciocche debba eleggersi e
ciocche fuggirsi. E statuisce. Sumendi sunt loci de eo quod magis vel maius est
quam maxime universales sic enim sumpti ad plura problemata utiles erunt. E
questa è la sostanza della ricerca e soluzione del quesito proposto in
questo saggio. Passo al saggio. E qui posso essere ancora più breve
di quel che sono stato nell'antecedente saggio. Giacche in questo si torna a
discorrere de iis quae ad genus et proprium pertinent colla considerazione
di differenze, specie, distinzioni e suddistinzioni di casi, di esempii,
di applicazioni (anche al principio di contraddizione), che servono ad
illustrare e confermare il proposto quesito. E si giunge così al saggio che,
come è detto innanzi, non proverrebbe dal Lizio. Ma in questo stesso saggio non
vi sono altri argomenti veramente nuovi, ma si torna a trattare di quelli
antecedentemente trattati. Infatti questo saggio comincia così. Utrum
autem proprium sit necne id quod est propositum, ex his locis quos
deinceps exponemus considerandum est. E prosegue dicendo: Proponitur autem
proprium vel per se et semper, vel per comparationem cum altero et interdum. E
passa ad investigare e determinare, quando il proprio è per sè, quando per
comparazione, ecc. Continua ancor sempre il discorso intorno al
proprio ne’suoi più diversi aspetti e rapporti: ne’quali aspetti e rapporti non
manca la considerazione de’principii contrarii, e de' principii contrarli
relativamente al proprio, per scorgere an contrarium sit contrarii proprium etc. In
grosso è lo stesso nel paragrafo in cui ex casibus refellitur, si ille
casus non est illius casus proprium etc. Finalmente, refellitur, si
quis potestate proprium tradidit, etiam ad id quod non est rettulit illud
potestate proprium, cum potestas rei quæ non est, inesse nequeat etc. Rispetto
alla predetta opinione di Pflug accennata da Zeller, dico rispetto a tale
opinione, non contro ad essa, mi permetto di fare una personale
osservazione. Ed è che, leggendo e considerando attentamente questo saggio,
la materia, il modo di pensarla, ordinarla, distinguerla e
suddistinguerla ne’suoi varii rispetti e rapporti, si mostra, da una
parte, interamente simile a quella degli antecedenti saggi topici, dall'altra,
interamente conforme alla mente del LIZIO. Ed ora vengo al saggio.
Questo si inizia coll'argomento delle definizioni, e si continua tutto con
esse; ma queste stesse vengono di bel nuovo considerate ed esaminate con riferimento
al proprio, al genere, alle differenze, ecc. Trattandosi di un argomento che
ha della importanza, e che si addentra nella natura delle definizioni e
nelle diverse parti costitutive d’esse, allego un lungo luogo in cui ciò è
effettuato. Della trattazione dunque quæ ad definitiones pertinet quinque
sunt partes vel enim definitio reprehenditur, quia omnino non vere dicitur, de
quo nomen, etiam oratio, quandoquidem oportet hominis definitionem de omni
homine vere dicitur. vel quia cum sit aliquod genus, non collocavit rem
definitam in genere aut non collocavit in proprio geuere, quoniam debet is
qui definit, cum in genere definitum collocaverit, differentias adiungere, si
quidem eorum quae in definitione " ponuntur, maxime genus videtur
rei definitæ essentiam declarare ; vel quia oratio non est propria (nam
oportet definitionem propriam esse, quemadmodum et supra u fuit); vel
quia, cum omnia quae dixi perfecerit, tamen non definivit, nec dixit
" quidditatern rei definitæ reliquum est præterea definitionis vitium, si
definivit quidem, non tamen recte definivit. an igitur de quo nomen
dicitur, non etiam oratio vere dicatur, ex locis ad accidens pertiuentibus
considerandum est. nam ibi quoque omnis consideratio in eo consistit ut
intelligatur utrum sit verum an non verum. cum enim disserendo ostendimus
accidens inesse, dicimus esse verum. cum " autem ostendimus non
inesse, dicimus non esse verum. an autem non in proprio " genere
posuerit, vel non propria sit oratio tradita, ex dictis locis, qui ad
genus " et ad proprium pertinent considerandum est. reliquum est ut
dicamus quomodo disquiri debeat an non sit definitum, vel an non recte
sit definitum, etc. Nel susseguente paragr.vien la considerazione dell'omonimo,
del simmetrico, con le corrispondenti definizioni. Qui stesso LIZIO si fa
a considerar la definizione in rapporto al sillogismo, e se in tal
rapporto essa sia fatta chiaramente od oscuramente ecc. Continua sempre
l'argomento delle definizioni. Si considera la definizione del corpo,
determinandolo (come si è poi sempre ripetuto e si ripete tuttora, meno
il caso presentemente considerato da Zollner ed altri, della cosi detta 4
a dimensione) siccome ID QVOD HABET TRES DIMENSIONES. Il LIZIO fissa
l'attenzione alle differenze, in quanto in esse considerandum est an
generis differentias dixerit. Se tali differenze non sono state indicate
e precisate, non vi sarebbe stata vera definizione. Nei susseguenti
paragrafi continua sempre lo stesso argomento delle definizioni, con
esemplificazioni intorno all'abito, alla simigliala, e si termina con la
considerazione della composizione delle cose, della quale, per avere una
giusta definizione, bisogna indicare tutti gl’elementi che la costituiscono. E
così si passa all’altro saggio. Gli argomenti di questo saggio sono
anch'essi suppergiù i medesimi di quelli trattati negli antecedenti saggi
con speciale riguardo all'Oratoria, la quale naturalmente vien congiunta
coi modi e forme di sillogizzare, obbiettare, ecc., col consueto riguardo
ai generi, specie, differenze, opposizioni, casi tali o tali altri. Ecco,
infatti, come al principio del saggio è enunciata la materia da
considerare in essa. Utrum autem id de quo agitur sit idem an diversum,
secundum eum modum qui inter modos supra de eodem expositos est maxime
proprius, nunc dicendum est. dicebatur autem maxime proprie idem esse quod
est numero unum, considerare autem oportet atque argumenta sumere ex
casibus et coniugatis et oppositis nam si iustitia est idem quod
fortitudo, etiam IVSTVS est idem quod FORTIS et iuste idem quod fortiter similis
ratio est oppositorum etc. Qui stesso vien la volta di prendere in
considerazione anche il sorgere e perire ortus et interitus delle cose.
Poco appresso ricorre un riferimento anche alle cose che accadono: nam quæ alteri
accidunt, etiam alteri accidere debent. E ciò vien messo ivi stesso in relazione
anche colle CATEGORIE, in quanto videre oportet an non in uno categoriæ genere
ambo sint, sed alterum QVALITATEM alterum QVANTITATEM vel ad aliquid RELATIONEM
declaret. Vien la considerazione della definizione e del sillogismo, pur
con riferimento ai generi, alle specie, alle differenze, non che ai contrarii,
alle differenze contrarie, ecc. Si ritorna sui luoghi atti a disputa,
oratoria, ecc., ma con riferimento all'aiuto della memoria. Infatti statuisce Maxime
autem locorum omnium apti sunt ii quos nunc dixi, nec non ex casibus et
coniugatis. Ideoque maxime memoria tenere et in promptu habere oportet hos
locos (utilissimi enim sunt ad plurima problemata, atque etiam ex ceteris
eos qui sunt maxime communes, quoniam inter reliquos sunt efficacissimi. Nell’ultimo
paragrafo ricorrono ulteriori considerazioni pur attinenti a definizione,
sillogismo, a genere, proprio, ecc.; e con esse si chiude il saggio. L'argomento
principale di questo saggio de’topici è la disposizione della materia del
discorso, con riguardo speciale ad interrogazioni, risposte, e
ritrovamento (INVENTIO) di quegl’argomenti che spettano ed importano al
dialettico, al filosofo. E quale argomento conduce naturalmente il LIZIO
a connettervi, come d'ordinario, i modi di argomentare, sillogizzare, ecc.
Ma sentiamo il LIZIO stesso. Egli indica nella traduzione latina lo scopo
e la materia della trattazione con queste parole. Post hæc de
dispositene, et quomodo interrogare oportet, dicendum est primum autem
debet is qui INTERROGATVRVS est, locum invenire ex quo argumentetur, deinde
interrogare et disponere singula ipse per se, tertio et postremo hæc
dicere contra alterum ac loci quidem inventio æque ad philosophum et ad dialecticum
pertinet, eorum autem quae inventa fuerunt dispositio et interrogatio dialectici
est propria, quoniam hoc totum adversus alterum est philosopho autem et ei
qui ipse secum veritatem inquirit, curæ non est, si vera sint et nota ea
ex quibus efficitur syllogismus, nec tamen ea ponat is qui respondet,
propterea quod propinqua sint quaestioni ab initio propositæ ac provideat
quod eventurum sit quin immo fortasse dat operam ut axiomata sint maxime nota
et problemati propinqua, quandoquidem ex his constant syllogismi qui scientiam
pariunt. Sillogismo senza proposizioni intanto non si dà. Perciò il LIZIO
rivolge la sua attenzione a queste. Di queste ve n'ha di necessarie ed
anche di non necessarie. Necessariae autem dic'egli, dicuntur eæ ex quibus
syllogismus conficitur quæ vero præter has sumuntur quattuor sunt vel enim
sumuntur inductionis causa, ut detur quod est universale, vel ut
amplificete oratio vel ut celetur conclusio vel ut magis perspicua sit oratio
etc. Nell'anzidetto si contiene il pensiere del Lizio di questo saggio, e
s'intende che ciocche segue non può essere che l'ulteriore e più ampia
esplicazione di ciò con applicazione a singoli casi e quesiti ed a singole
corrispondenti soluzioni. A conferma di ciò, si pone che nel dissertare utendum
syllogismo apud dialecticos potius quam apud multos contra inductione apud
multos potius. Si fanno di ciò, ad illustrazione, applicazioni a casi
vari, poniamo al caso della salute, valetudo, della malattia, morbum, ecc.
Quanto alla natura della proposizione dialettica e al corrispondente elemento
dialettico, si dice poco appresso. Propositio enim dialectica est ad quam
respondere licet etiam aut non. Si prendono in considerazione le hypoiheses, le
captiosæ argumentationes con riferimento ai principia ultima, da cui tutte le
dimostrazioni e tutti i principi subordinati traggono origine e ragione
probativa. Nam cetera, scilic. Principia, per hæc probantur, ipsa vero per
alia probari non possunt. Riferendosi all'interrogare e rispondere, dice: De
responsione autem primun determinandum est, quod eius sit officium qui
recte respondet, quemadmodum eius qui recte interrogai est autem interroganti
ita disputationem deducere ut
respondentem cogat maxime incredibilia dicere ex iis quae praeter thesim
sunt necessaria; respondentis vero, ne sua culpa videatur evenire quod
absurdum vel præter opinionem est, sed propter thesim. L'istesso argomento
dell'interrogare e rispondere viene svolto nei paragrafiseguenti con ulteriori
considerazioni di altri casi e rispetti. Ma più innanzi nel paragrafo a
proposito della reprehensio argumentationis, ricorre l'accenno ad
argomentazioni false e vere nel senso ed intendimento di ciocche si è
discorso ed esposto negl’analitici; e il corrispondente luogo, relativo a
molti modi d’argomentazione, è degno di essere riferito e suona così. Qui
vero, dice il Lizio, ex falsis verum concludunt, non possunt iure
reprehendi, quoniam falsum quidem semper necesse est ex falsis concludi,
sed verum licet interdum etiam ex falsis concludere: hoc autera est
perspiciram ex analyticis quando autem argumentatio quæ dieta est, alicuius rei
est demonstratio, si quid aliud sit quod nihil cum conclusione probanda
commune habeat, profecto non erit ex eo syllogismus sin autem videatur, SOPHISMA
erit, non demonstratio. est autem philosophema syllogismus demonstrativus,
epicheirema vero syllogismus dialecticus, sophisma syllogismus contentiosus,
aporema syllogismus dialecticus contradictionis. Per ragione del tecnicismo di
queste ultime espressioni della logica del Lizio, allego quest'ultima
parte del luogo nel testo greco, il quale suona così. Eati òe
(piloaócprifia (lèv ovÀÀoyiafiòg ànoòeimixóg, km%eiqrnia òè avlkoyiofiòg
òiaXemmóg, oóqjiofia òè cvAZoyiofiòg ègiormóg, ànóqrifia òe ovZAoyiofiòg
òialemwòg àvwpdoewg. Nel seguente paragrafo si stabilisce come massima che
argumentatio est PERSPICUAuno modo, eoque maxime vulgari, si ita
concludat ut nihil amplius oporteat interrogare. E dopo altre consimili
considerazioni si conclude il saggio con quest'altra massima di carattere
generale: oportet paratas argumentationes habere adversus eiusmodi problemata,
in quibus cum paucae argumentationes suppetant, adversus plurima
problemata utiles erunt. hae vero sunt argumentationes universales, et quas
assumere ex rebus passim obviis difficile est. Dopo siffatte, se non diffuse,
certo sufficienti indicazioni sulla materia, sullo scopo e sul modo di
trattazione de'topici, passo a dire degl’elenchi sofistici. JUeqì
t&v ooyiauxwv èÀéy%ù)v. Anche per questa parte, come ho fatto per le
altre, della logica del LIZIO comincio coll'allegare un notevole giudizio di BOEZIO
(si veda), il quale dice. ELENCHVS MVLTA SIGNIFICAI SED HOC LOCO PRO
REDARGVTIONE SVMITVR. LIBRI SVNT DUO AD CAVENDAS SOPHISTICAS CAPTIONES ET NE IN
DISSERENDO FALSA PRO VERIS PER IGNORANTIONEM COLLIGAMVS AVT ADMITTAMVS HUIC
OPERI INITIVM DEDIT ACCADEMIA IN EUTHYDEMO OSTENDVNTVR ILLIC PAVCI QVIDEM DOLI
DISPVTATORIS CAPTIOSI [LIZIO] AVTEM REM OMNEM VT SOLET A PRIMIS INITIIS COMPLEXVS
DIGESSIT IN ORDINEM ET FORMULAS. A questo giudizio di BOEZIO si unisce Prantl
il quale colla sua autorità in tal materia, lo allarga ed integra con
altre importanti osservazioni. La qual cosa egli fa nella sua citata opera
Gesch. d. Logik, età, primamente, osservando come quest’elenchi sofistici
si colleghino intimamente ai libri topici; e secondamente, esponendo in un
breve e succoso cenno la materia e lo scopo de' medesimi. Ma vi è
stato in Italia un uomo, che, riattaccandosi ai due nominati scrittori,
ha fatta una traduzione eccellente de’primi capitoli degl’elenchi, facendovi
precedere un elaborato ed illustrativo proemio, corredando i capitoli stessi di
sommarli ragionati abbastanza diffusi, estendendosi a dar sommarli anche
de' rimanenti capitoli, e, per giunta, a confermare ed illustrare il tutto con
note amplissime e dottissime, nelle quali è abbracciata tutta la parte
storica dell'argomento, Quest'uomo, veramente sommo e a tutti noto, è BONGHI
(si veda), il quale non solo mostra vastità di dottrina in questo
speciale argomento della logica dal Lizio, ma allarga ed approfondisce i
suoi studi nella traduzione e illustrazione delle opere dell’ACCADEMIA e
della Metafisica del LIZIO, traducendo ed illustrando quasi tutte le
opere del primo, e i primi saggi della Metafisica del secondo. E, per
giunta, fortifica i suoi studi filosofici, oltre che collo studio della storia
della filosofia fino agl’ultimi tempi inclusivamente, anche colle sue
amplissime conoscenze di storia di tutti i tempi, e con un'ampia
erudizione nelle altre discipline dello scibile. La esposizione che io,
per assolvere il mio scopo e compito, faccio di quest’elenchi, consiste in tre
diversi cenni: il primo, quello di valermi della TRADUZIONE ITALIANA stessa e
delle corrispondenti illustrazioni di BONGHI (si veda); quale migliore e
più sicura guida nell'adempimento del mio scopo? il secondo,
nell'allegamento di un brevissimo luogo di BOEZIO (si veda), riportato in
nota dallo stesso BONGHI (si veda), luogo che serve alla indicazione delle ESPRESSIONE
LATINE DE’SOFISMI TRATTATI DAL LIZIO; il terzo, nell'allegamento di un
luogo importantissimo d’Ueberweg, nel quale, in breve e succoso cenno,
sono distinti e illustrati tutti i sofismi con le relative denominazioni
greche. E vengo alla esposizione. Cominciando da BONGHI (si veda), è bene
ed utile di rilevare alcune importanti affermazioni e considerazioni di lui in
riattaccamento a BOEZIO (si veda), a Prantl, allo stesso sorgere e
costituirsi della sofistica, ed anche a Socrate, l’ACCADEMIA e il LIZIO in
quanto riferentisi alla medesima. Per ciocche concerne il sorgere e
costituirsi della sofìstica, benché egli ricordi cose note, pur voglio
ricordar le parole di lui. Prodico, LEONZIO (si veda) e Protagora, dic'egli
nell’introduzione alla traduzione dell' Eutidemo, per i primi accettarono
i nomi di sofisti e fondarono la sofistica E, come essa è il principio e
il fondamento dell’eloquenza e il più grande stimolo e sprone di coltura, essi
sono maestri di eloquenza, e diffonditori di cultura in tutta la Grecia. Senonchè,
pur troppo la sofistica degenera in eristica. Ora, l’ACCADEMIA si oppone a
questa perversione di giudizii tanto più che non si sarebbe potuto mai far
intendere il valore di Socrate, fino a che questa confusione avesse preoccupato
le menti. Si aggiunga a ciò, che quando in Grecia si moltiplica il numero di
quei professori o maestri che si ripromettevano d'insegnare al cittadino la
miglior maniera di condursi per se e per gli altri nello stato nacque una
gran contrarietà d'opinioni ne’nuovi metodi d'insegnamento. E da questa, e dal nome
d’uno degl’eristici che vi discorre trasse origine l’Eutidemo di Platone. Vengo
ora alle confutazioni sofistiche. Nell'avvertenza alle confutazioni sofistiche,
come BONGHI (si veda) traduce il trattato jieqì %ùv oocpMmxcòv
èÀéyx<op, egli dice di essere stato indotto alla traduzione dal pensiero,
che avrebbe potuto riuscire di molto interesse e utilità il vedere come
una mente così sottile, investigatrice, sistematica come quella del LIZIO per
la prima volta mette ordine e luce in una MATERIA PER SÈ COSÌ COMPLICATA E BUIA
COM’È QUESTA DEL RAGIONAMENTO usato a inganno altrui. Nell’Eutidemo l’ACCADEMIA
rappresenta l'arte; nelle Confutazioni Sofistiche il LIZIO, che vi ricorda
tante volte l' Eutidemo e l’ACCADEMIA, ne dette la teorica. Soggiunge, il
LIZIO non esser facile in nessuno suo saggio; e questo è uno di quelli ne
1 quali è più difficile. Indicando la ragione, i limiti e il modo come ha
Vedi Dialoghi dell’ACCADEMIA, trad. da BONGHI
(si veda), Eutidemo; Aristotele, Delle Confutazioni Sofistiche, ecc.
Torino-Roma-Firenze, Fratelli Bocca. condotto la propria opera, dice essergli mancato il tempo di condurre a termine
la traduzione; ma che, ciò non ostante, la trattazione teorica de'sofismi è ne'
primi compiuta essendo nei seguenti solo indicate le vie praticamente
utili a cavarsene fuori; e che, per giunta, come si è detto, anche per
questi ultimi ha aggiunto lunghi sommari!; sì che il lettore finisce per
aver conoscenza di tutta la materia del saggio logico del LIZIO.
Ora ecco i punti sostanziali di questo. Il LIZIO nel Primo Capitolo,
paragrafo 1, di questo dice che prende a discorrere delle confutazioni sofistiche
e di quelle che paiono bensì confutazioni, ma SONO PARALOGISMI E NON CONFUTAZIONI.
Nel seguente paragrafo fonda questo suo giudizio con questa osservazione. Che
de’sillogismi alcuni son VERAMENTE TALI; altri paiono e non sono, è manifesto. chè
come questa apparenza ha luogo nelle altre cose per una cotal
simiglianza, COSÌ ACCADE ANCORA NEI RAGIONAMENTI. E difatti, la persona che
altri hanno aitante, altri col gonfiarsi e acconciarsi paiono averla. E
delle cose inanimate è del pari; chè di queste quale è argento e oro
davvero; quale non lo è, ma pare al senso; per mo' d'esempio, d'argento
quelle di stagno e di piombo; d'oro quelle tinte di giallo. E allo stesso
modo, sillogismi e confutazioni, quali sono, quali non sono, ma paiono
per l'imperizia. Dappoiché, continua egli, indicando la ragione dottrinale
della differenza di SILLOGISMO e confutazione, ossia di sofismo) il
sillogismo si compone di alcune PREMESSE per modo, che di necessità per
via di esse proposizioni dica qualcosa di diverso dalle proposizioni. Confutazione
è sillogismo in cui si contraddice la conclusione. Cominciando ad enumerare le
cause, dice che di queste una fonte è più copiosa e comune di tutte,
quella per VIA DI VOCABOLI (way of words). I vocaboli sono finiti di
numero e i ragionamenti altresì; dove gl’oggetti sono infiniti. Sicché è
necessario che un solo ragionamento e un unico nome significhi più oggetti. Fa
ulteriori esemplificazioni sulla sofistica, che si intendono e spiegano con
ciocche è detto innanzi. Ma passando ad indicare le specie de'
ragionamenti sofistici il LIZIO dice che di quelli che occorrono NEL CONVERSARE
[LOGIC AND CONVERSATION – CONVERSATIONAL IMPLICATURE], v'ha quattro generi:
didascalici, dialettici, pirastici ed eristici. Sono: Didascalico, insegnativo,
quello ragionmento che si sillogizzano da’principi propri di
ciascuna disciplina e NON DALL’OPINIONE DI CHI RESPONDE (chè chi impara, deve credere) :
" Dialettico” – “discorsivo” --
quell ragionamento che da proposizioni probabili sillogizzano la
contradittoria: "drastico” – “tentativo” -- quell ragionmento conversazionale che lo fa
da proposizioni AMMESSE DA CHI RISPONDE " e necessarie a sapere da chi ha
la scienza (e in che modo si è chiarito altrove): "eristico” –
“contenzioso” – quel ragionamento conversazionale che sillogizzano (o paiono
sillogizzare) da proposizioni ammesse solo in apparenza, ma non in realtà, Ricordando
che di un ragionamento apodittico – “dimostrativo” -- s'è discorso negli
Analitici, del dialettico e del pirastico altrove, dice doversi
discorrere al presente del ragionamento conversazionale “agonistico” – “garoso”
-- e del ragionmaneto conversazionale “eristico” o “contenzioso.” E ciò fa, Aristotele,
proponendosi di fermare quante sono le mire di quelli che gareggiano e si
puntigliano nel ragionare, dice che queste son V di numero: I confutazione
II falsità III paradosso IV solecismo V il farcianciare chi conversi teco (e
questo è il costringerlo a dire più volte il medesimo) o non la realtà, ma l'apparenza di ciascuna
di queste cose. E, spiegando le cinque generi di ragionmento, dice che quello
che sopratutto si propongono, è di parere di confutare. In secondo luogo,
di mostrare che uno dica il falso in qualcosa. Terzo, di tirarlo a un
paradosso. Quarto, di fargli commettere un solecismo -- e questo è il fare
che chi risponde, per effetto del ragionamento, BARBARIZZA. Per ultimo, il
fargli dire più volte la stessa cosa. Venendo all’indicazione dei modi di
confutare, dice esservene di due sorte. Gli uni stanno nella dizione, gli altri
fuori della dizione. Indicando VIII i motivi che per effetto della dizione
generano un falso vedere, dice che di essi ve n'ha VI; e sono I equivocazione
– aequi-vocal --, II anfibologia, III composizione IV divisione V accento
VI figura della dizione. E la prova di ciò s'ha per induzione E ne'
susseguenti paragrafi chiarisce e illustra con esempi i predetti sofismi della
dizione. Passa dopo il nostro filosofo alla designazione dei paralogismi
fuori della dizione e ne novera VII specie: I dell'accidente, II dal
dirsi una cosa in assoluto o non in assoluto ma per un certo modo o posto
o tempo o rispetto, III dall'ignoranza della confutazione IV dal susseguente
V dalla petizion di principio VI dal porre la, non causa come causa; VII dal
fare di più interrogazioni una sola. E anche per questi paralogismi il LIZIO fa
illustrazioni ed esemplificazioni. Notevole è in questo ciocche il
LIZIO statuisce intorno all'ultimo de' paralogismi allegati, cioè intorno
a quelli che nascono dal fare di due interrogazioni una sola. Rispetto a
questi, quando resti nascosto che son più, e come se fossero una sola, le si
dia una unica risposta; benché rispetto a tal caso riconosca che in
alcune è facile scorgere che son più, ma in altre meno. Il LIZIO pone
l'alternativa che " o s'hanno a distinguere così i sillogismi e
confutazioni apparenti come si è detto e fatto negli antecedenti
paragrafi, o a ridurre tutti all'ignoranza della confutazione, ponendo per
principio questa: che v' è modo di risolvere tutti i modi che se ne son
detti, nella definizione della confutazione. E l'alternativa e corrispondente
soluzione proposta vien discussa a proposito degli altri ultimi
paralogismi allegati. Si continua a prendere in
considerazione altri degli allegati paralogismi, come quelli dall'equivocazione,
dall'anfibolia, dalla composizione e dalla divisione, dall'accento e dalla
figura della dizione, dall'accidente, ecc. si indica il modo di conoscerli e
confutarli. Poiché sappiamo per quante vie si generino i sillogismi
apparenti, sappiamo altresì per quante si possano generare i sillogismi e le
confutazioni sofistiche. E dico sillogismo e confutazione sofistica non solo il
sillogismo o la confutazione che appare e non è, ma anche quello che è
bensì, ma proprio della cosa appare soltanto. E cotesti sono quelli che
non confutano secondo la cosa, e non mostrano che altri l'ignora, che è il
caso della pirastica. Ora, la pìrastica è parte della dialettica. Questa può
sillogizzare il falso per ragione dell' igno ranza di chi rende ragione.
Invece, le confutazioni sofistiche, quando anche sillgizzino la contradizione,
non fanno manifesto se altri ignora, poiché anche chi sa, impacciano con
siffatte argomentazioni. E che gli otteniamo collo stesso metodo, è chiaro. Dappoiché per
quante vie appare a chi ascolta, che si siano sillogizzate appunto le
proposizioni di cui gli s'era fatta interrogazione, per altrettante potrebbe
altresì parere a chi risponda. Sicché per queste, o tutte o alcune, verran
fuori sillogismi falsi, che quello che uno non interrogato crede d'aver
conceduto, interrogato lo concede. Eccettochè in alcuni paralogismi succede
insieme che si dimandi quello che manca, e la falsità si chiarisca, come
in quelli dalla dizione e dal solecismo. Si fanno consimili considerazioni
intorno ad altri paralogismi, come quelli risultanti dall'accidente, dal
conseguente, ecc. Il LIZIO statuisce che da quanti luoghi si traggano
confutazioni di quelli che son confutati, non bisogna provarsi a
determinarlo senza la cognizione delle cose tutte. Ora, ciò non è
di nessun'arte; stantechè le scienze sieno infinite forse, sicché è chiaro
che anche le dimostrazioni son tali. E di confutazioni ve n'ha anche di
vere; stantechè quante cose v'ha luogo " a dimostrare, tante v'ha
luogo a confutare a chi asserisca il contraddittorio del vero; p. es., se
uno ha asserito commensurabile il diametro, altri lo confuterebbe col dimostrare
eh' è incommensurabile. Sicché bisognerà essere scienti d'ogni cosa, ecc. Però,
anche le confutazioni false sono del pari infinite; chè v'ha secondo
ciascuna arte il sillogismo falso; p. es., secondo geometria il geometrico,
secondo medicina il medico; e dico secondo ciascun'arte quello secondo i
principi di essa. E ne’seguenti paragrafi, su questi stessi principi stabiliti,
si fanno consimili considerazioni. Aristotele pone in discussione e
srisolve la seguente importante quistione intorno a ragionamenti relativi
al vocabolo e al pensiero: Non v' ha; dic'egli, tra i ragionamenti la
differenza che taluni dicono; alcuni ragionamenti riferirsi al vocabolo, altri
al pensiero ; chè è assurdo il pensare, che altri sono i ragionamenti che si
riferiscono al vocabolo, e altri quelli al pensiero, e non già i medesimi
„. Poiché (paragrafo 2) , che è egli mai il non riferirsi al pensiero se
non quando uno non usi del vocabolo nel senso cui l'interrogato ha
consentito, credendo che fosse quello che avesse nella interrogazione?
Ora, questo stesso è riferirsi al vocabolo. E riferirsi al pensiero è, quando
l'altro pensi quello cui egli ha consentito, ecc. E ne' paragrafi
immediatamente seguenti viene confermando ciò con ulteriori non meno
acute illustrazioni ed applicazioni, delle quali voglio rilevare l'applicazione
che ne fa alle Matematiche, che attirano in modo speciale la nostra
attenzione per la trattazione della così detta Logica matematica. "
I ragionamenti nelle matematiche, dice infatti Aristotele al paragrafo 7,
si riferiscono al pensiero o no ? E se ad uno t " ang03 ° SÌgDÌfichÌ PÌÙ
C0S6 ' 6 non ha che esso sia la figura flì della quale s'è
concluso, che son due retti rnWn , ! tì
g ura 0)> " al pensiero di questo o no? ' '«Wonamento s'è
egli diretto =' a ™a (Paragrafo 2) ,1 comune a piii cose secondo
ciascuna è dialettico- eh «ut 71 m aPPa T a ' è - D °" d6 " » ritornare suìl' TZ a
h W * ^conducono , so/fe « stessi, ehe . preflggm(Iosi vinler a „ S
ni nodo, sappiano a tatto „ come appunto • fauno gli eristici 8
SousUcTche "f T" Ò SOt ' ile, Se,Tat °' ""-*»*' » mesta m
at"eria degli Elenchi ci : lc n T' ° ^ *S C, ' eata SÌCC ° m8
"' Ksta ^ r te 8 log I ' ehe alcuno di! f!l , P m08trare (dic
' e S li . iafatti, al paragrafo 1) cacca adatta a co ; che quelli
che parlano a caso, errano di più ' e parlano a caso, quando non si siano
proposto nulla P P & e il" TJIZTJ''J!T S ^° " a
"' abbatteraÌ 1 " na Wsita ° a paradosso ' dir r„Zo s are ' er
v 7 T°" Pr ° P0SM0M 0gge " mt.rroga.iene, ma • d'attacco ! '
S ° ,mParare ; daF P° Ì<!hè ^ acquisizione dà „,„do di £ r:i n
~:ir che A " istotek abbk • lnog„ A Lelirr t (COntÌ , n ° a
ArÌ8t ° tele Paragraf ° 4 » Cle "no dica falso, è proprio luogo
quello aojsfco, ,1 menare a tali cose, che s'abbia contro osse copia di
aL m „ta z ,o„, ; e ,„esto vi sarà modo di farlo bene e non bene, seconTs
l So ed ™2 Z deÌTuak 8 ; £S* '"T ** *" relali ™
alla ' luto f, i " '' lJeVa " lat ° Paradossastico come
segue - Il La qual S gu ,a, se lo noti i, lettore, rappresenterebbe qui
Trento del vocabolo. LA LOGICA del LIZIO, LA LOGICA KANTIANA ED HEGELIANA,
ECC. 1essere cosa bella secondo legge, ma secondo natura non bella. Sicché
bisogna chi * parla secondo natura, affrontarlo secondo legge ; e
chi secondo legge, menarlo alla a natura; giacche vi sia luogo a dir
paradossi ne' due modi „. Capitolo In questo capitolo si tratta di
un argomento che par futile, cioè quello del cianciare; eppur questo dà
luogo a una acuta e teorica disamina della sofìstica da parte del LIZIO. Prima
di allegare le parole del grande filosofo, allego una osservazione interpretativa
che fa BONGHI (si veda) in proposito, e che è questa. Col cianciare, cioè,
dice quest'ultimo, si passa al quarto fine del sofista, che è il FORZARE L’AVVERSARIO
a dir più volte la stessa cosa, che torna al cianciare o infilzar parole
senza senso. Il presupposto di tali sofismi è che il vocabolo è tutt'uno
colla sua definizione e quello non differisce in nulla da questa, sicché si può
in una proposizione surrogare l'uno all'altra. P. es. doppio si definisce
doppio di metà. Ora, se la definizione può essere surrogata al definito,
noi possiamo definirlo: doppio di metà di metà; e da capo doppio di metà
di metà e così in infinito. Ciò posto, ecco ciocche dice il LIZIO intorno al
discorrere per puro cianciare. Tutti i siffatti discorsi vogliono far
questo; se non differisce per nulla il dire il vocabolo o la definizione,
doppio e doppio di metà è tutt'uno; se adunque è doppio di metà, sarà
doppio di metà di metà ; e di novo, se in luogo di doppio, si ponga doppio
di metà si sarà detto tre volte : doppio di metà di metà di metà. Ed evvi
egli il desiderio del piacevole? Ora, questo è appetito del piacevole;
dunque, desiderio è appetito del piacevole del piacevole, ecc. L'argomento del
LIZIO è il solecismo e la sofisticazione in cui può incorrersi con esso. Il
Lizio parla e ragiona in questo modo. Questo, cioè, il solecismo, v'è
luogo a farlo e a parere senza farlo, e a non parere facendolo. Ssiccome dice
Protagora, se ò fiijvig e ò s**Pff sono un mascolino; giacché chi dice
oi)Aofiévt]v solecizza secondo lui, ma agli altri non pare; chi ovÀó/ievov
pare bensì, ma non SOLECIZZA. Si noti che firjvig e JvfjÀrji son
propriamente femminili. Sicché è chiaro che uno puo ad arte far questo;
per il che molti ragionamenti pur non sillogizzando un solecismo paiono
di sillogizzarlo, siccome nelle confutazioni. I solecismi apparenti hanno
occasione pressoché tutti dal vóde, e QUANDO LA DESINENZA NON MANIFESTA NÉ
MASCHIO NÉ FEMMINA, ma il di mezzo. Difatti ofirog significa MASCHIO ed
a%%r\ femmina. Ma tomo vuole bensì significare il di mezzo, pure spesso
significa anche l'uno o l'altro di quelli: p. es., che è %ov%o ?
Calliope, LEGNO – maschio in italiano, neutro in latino --, Corisco.
D'altronde, del maschile e del femminile le desinenze de’casi. Qui mi par di
vedere il LIZIO (senza menomare la fina osservazione e interpretazione
del nostro BONGHI (si veda)) riferirsi al famoso dialettico Zenone di
VELIA (si veda), del quale uno degl’argomenti famosi, quello cioè del non
potersi andare da un punto all'altro dello spazio, è pensato e condotto
appunto in tal guisa. Cioè, di non potersi percorrere l'intero spazio senza
giungere alla metà di questo, non potersi giungere a questa metà senza
percorrere la metà di questa metà, e così non potersi giungere a questa
seconda senza percorrere la metà della metà della metà, ecc. in infinito,
il che è impossibile a fare in un tempo finito. differiscono tutte, ma del
genere di mezzo quali sì, quali no. Ed ecco che spesso, essendosi lor
concesso %ov%o, sillogizzano, come se fosse stato detto %ov%ov; e del pari
una desinenza in luogo d'un' altra. E il paralogismo si genera perchè il
tóóe è comune a più desinenze. Giacche tomo significa quando ovzog quando
zovxov. Però deve significare quando l'uno e quando l'altro; con è oixog,
con essere iqviqv, 8 per es., è KoQioxog, essere Koqioxov. E nei vocaboli
femminili del pari; e in quelli, che son bensì d'utensili, ma però hanno
appellazione femminile o maschile. Dappoiché tutti quelli che terminano in o e
in v, hanno soli l'appellazione da utensili, come ^vkov, o%oiviov. Ma
quelli che non così, l'hanno maschile o femminile, di cui applichiamo
alcuni agl’utensili; p. es. daxòg è vocabolo maschile, xÀhrj femminile. Per il
che anche rispetto a questi differirà del pari l'è e l'essere. E in un certo
modo il solecismo è simile alle confutazioni tratte dal PRENDERE PER SIMILI
COSE NON SIMILI. Giacché come a queste accade di solecizzare sulle cose, così a
quello su' vocaboli; chè uomo e bianco sono e cosa e vocabolo. Sicché è
manifesto che da simili desinenze bisogna sforzarsi di sillogizzare il
solecismo. Le specie, dunque, de’discorsi contenziosi e le parti delle
specie e i modi son quelli che si son detti. Con questi capitoli finisce la
parte teorica degl’elenchi sofistici, e che, come si è detto, nei
seguenti capitoli si espone e fa l'applicazione dei primi. Io ometto di
esporre anche questa parte applicativa, ritenendo sufficiente pel mio scopo la
conoscenza della teoria. Passo perciò al secondo punto del triplice cenno
che io voglio fare degl’elenchi predetti, cioè alla indicazione latina
de' paralogismi o sofismi, secondo la indicazione di BOEZIO (si veda).
Questi infatti (vedi BONGHI (si veda), nota alle Confutazioni Sofistiche) indica
le denominazioni sofistiche di Aristotele così: æquivocatio [cf. Grice,
aequi-vocal] amphibolia compositio [synthesis] divisio accentus [cf. Grice,
STRESS] figura dictionis [cf. Grice, figure of spech] propter accidens propter
id quod simpliciter vel non simpliciter propter redargutionis ignorantiam propter
consequens propter id quod est in principio sumere propter id quod non est
causa ut causam ponere, ovvero, propter non causam ut causam propter phires
interrogationes unam facere. In questa stessa nota Bonghi ha un notevole
accenno ad Alberto Magno, che pure scrive degli Elenchi Sofistici. E altri
accenni non meno notevoli ha nella nota 160 per Alfarabi ; nella nota 161
per S. Tommaso ; e nella nota 163 per Duns Scotus, il cui tractatus
logicae è l'ultimo nella Scolastica, e che è intitolato De sillo- gismo
sophistico sive fallaciis. Ed ora pongo termine alla mia
esposizione coll'allegamento dello stupendo e comprensivo luogo
dell'TJEBERWEG (Syst. d. Logik u. Gesch. d. Logischen Lehren), che suona come
segue. Il LIZIO nel scritto tisqì xtbv ao(pia%iKù>v èXèy%(àv si è fatto
guidare nelle diverse parti del medesimo dallo speciale riguardo ai
sofismi molto disputati al suo tempo. Egli definisce (Top.) il oócpiofia
come avÀÀoyia/iòg EQiatixóg, e divide i sofismi in due classi principali:
naqà tìjv As^iv e è'^co vrjg Àé^ecog. Alla prima classe principale novera
(De Soph. Elench.) come appartenenti sei specie: ófihìvvfila æquivocatio –
cf. Grice, aequi-vocal -- àfMpifioXia AMBIGUITAS – cf. Grice, ‘Avoid ambiguity’,
ovv&soig (FALLACIA a sensu diviso ad sensum compositum, diaigeoig FALLACIA
a sensu composito ad sensum divisum jiQoacpòia accentus – cf. Grice STRESS
-- a%f[na vf/g Aé^sojg figura dictionis cf. Grice figure of speech --: de’quali
sofismi però il terzo ed il quarto (la confusione del senso distributivo e
del collettivo, ovvero la confusione di ciocche vale in modo speciale di
tutti i singoli od in ogni singolo rapporto, e di ciocche vale della
generalità come tale), in quanto appartenenti alle FALLACIIS SECVNDVM DICTIONEM,
si lasciano aggruppare (subsumere) sotto il concetto dell'anfibolia nel
senso indicato. Per ayfifiaza zfjg Aé^scog il LIZIO intende qui le forme
grammaticali de’nomi e de’verbi, e, secondo Poet., in modo speciale le
proposizioni grammaticali fondate sui diversi rapporti di predicato con soggetto
– cf. H. P. Grice e P. F. Strawson, Soggetto e predicato nella logica e nella
grammatica -- : proposizioni grammaticali, alla cui espressione servono in
parte i modi verbali, come comando – Grice: !p], preghiera, minaccia, enunciazione
– Grice, .p --, domanda – Groce ?p -- e risposta – Grice: ?p. Alla seconda
classe principale, cioè ai Sofismi è'^oy xfjg Àé^eag, il LIZIO novera come
appartenenti le seguenti specie: naqà tò avfi^s^rjìióg FALLACIA RATIONIS EX
ACCIDENTE tò ànX&g fj [lì] àicl&g A DICTO SIMPLICITER AD DICTM SECVNDVM
QVID fj tov èXéy%ov àyvoia IGNORATIO ELENCHI naqà tò èuó/À,evov FALLACIA
RATIONIS EX CONSEQUENTE AD ANTECEDENTEM tò èv àQ%fj Aafifiàveiv, aheìa&ai PETITIO
PRINCIPII tò /li] ahiov Ti&épai FALLACIA DE NON CAVSA VT CAVSA tò tó
tiàeiù) èqo)%fji4,ma ev noielv FALLACIA PLVRIVM INTERROGATIONVM. Se non
che questi errori sono in parte errori di dimostrazione (Beweisfehler). Degli
errori indicati adduce il LIZIO stesso esempi nel scritto tieqì %<òv
ao<pianxò)v èXéy%(av. Si può paragonare con esso il dialogo dell’ACCADEMIA
(o di un accademico) Eutidemo. Antiche e moderne esemplificazioni, però in
gran parte già fatte, dà Fries, System der Logik. Una diffusa ed esatta
disamina di sofismi si trova in Mill, Log. tr. Schiel. Rispetto al carattere
nebuloso e confuso di parecchie moderne speculazioni, e rispetto ad
innumerevoli sofismi, per mezzo de’quali, dato l'insolvibile compito di
derivare il pieno dal vuoto, si è creduto di ottenere l'apparenza di una soluzione,
ha detto Trendelenbtjrg (Eri. su den Ehm. der Log. LIZIO) con ragione. È tempo
di tradurre secondo il tempo moderno (iris moderne) il saggio del LIZIO
degl’elenchi sofistici. Questo compito è stato risolto soltanto in modo
unilaterale mediante l’Antibarbarus logicus di Cajus, comunque il suo autore
nel campo del pensiero filosofico sa esercitare con destrezza di polizia certe
funzioni polizeiliche di vigilanza. Chiudo la mia considerazione ed
esposizione della logica del LIZIO, e concludo dicendo che questi punti
fondamentali del pensiero logico del lizeo o LIZIO e la corrispondente
legislazione del medesimo sono addirittura una immortale creazione, che
non i soli 24 secoli passati han già confermata e glorificata, ma che
continueranno a confermare e glorificare anche i secoli venturi. Grice: “How
can people speak of ‘mathematical logic’ when Russell says that mathematics
rests on logic?!” – logica aritmetica, aritmetica logica – His exposition of
‘logica aristotelica’ is impressive, and overlaps with Grice/Strawson’s
seminars on Categoriae and De Interpretatione. His editorial work on Ceretti is
excellent. He has written on some other Italian philosophers, too. Pasquale D’Ercole. Ercole. Keywords:
difesa della metafisica, panlogica, esologia, essologia, sinautologia. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ercole” – The
Swimming-Pool Library.
Grice
ed Ermino: la ragione conversazionale e il portico romano -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. Contemporary of Plotino. He
confined his activities mainly to teaching and wrote little or nothing.
Grice
ed Ermodoro: la ragione conversazionale all’isola -- Roma -- filosofia italiana
– Luigi Speranza
(Siracusa). Filosofo
italiano. A pupil of Plato of whom he wrote a biography. He also wrote a
history of mathematics. According to Suda, he took Plato’s books and sold them.
Grice
ed Erode: la ragione conversazionale e la filosofia degl’ottimati -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. One of the richest and best connected people in the Roman empire.
More of a sophist and a friend of philosophers than a philosopher himself. He
condemned the Porch philosophers for their lack of feeling. Erode Attico.
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