Monday, December 2, 2024

GRICE ITALO A/Z B BON

 Grice e Bondonio: la ragione conversazionale e il raziocinio conversazionale – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia. filosofia italiana -- Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library  (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio.  tw ro3''2o-!S6i> SULL’IMPORTANZA DEL RAZIOCINIO: STUDIO STORICO-CRITICO Brignolo. AL MIO INSIGNE MAESTRO VALDARNINI (si veda), PROFESSORE DI FILOSOFIA A BOLOGNA QUESTO SAGGIO DEDICO IN SEGNO DI VERO AFFETTO E DI PROFONDA GRATITUDINE. Che un uomo sappia più (l’un altro nasce quasi unicamente (la questo, che no deduca più conseguenze dell’ago dagli stessi principi. Eosmiki. Il Lizio nei Primi Analitici da del sillogismo una definizione che si può applicare cosi al ragionamento deduttivo come all’induttivo, quantunque per solito lo contrapponesse all’epagoge, vera e propria Induzione. Nel Medio Evo e nei tempi moderni, presso i filosofi inglesi, prevalge il criterio eh come espressione esclusiva della ecuzi «he è auel però considerata la natura del raziocinio, che è quel procedimento della mente con cui essa per' iene a conoscere e ad affermare la convenienza ° «a npugnK» di due idee mediante una terza idea, 1 * ° , forma (ondamentale di ogni argom^o^S^» poi la sua struttura, esso è la forma ttp» 4MgJ argomentazione deduttiva. Sotto questo duplice aspetto ci proponiamo di studiare il sillogismo. Mettendone in rilievo il vero valore, e combattendo le obiezioni mos- segli da alcuni filosofi. Esporremo prima brevemente le dottrine espresse dai filosofi di ogni età intorno all’importanza del raziocinio, senza addentrarci in minute discussioni, accontentandoci di esporre come la teoria sillogistica siasi costituita, quale importanza le abbiano attribuito i filosofi posteriori al Lizio, in che modo infine alcuni di essi si siano ribellati alla dottrina del Lizio, ed altri nell’età moderna abbiano preteso di rifare e migliorare l’opera del più grande filosofo della Grecia. Esamineremo e combatteremo poscia le obiezioni mosse contro il raziocinio, per venire quindi a stabilirne la reale importanza come mezzo efficace all’acquisto di nuove conoscenze; pregio che non gli può disconoscere se non colui il quale nega le idee universali ed ogni inferenza da esse. Il Raziocinio in Aristotele. Il raziocinio ha avuto precedenti? Ecco la domanda che prima si affaccia alla mente di colui che voglia studiarne un po’addentro la storia. E il pensiero corre spontaneo a coloro i quali per primi parvero seguire certe norme nei loro ragionamenti, cioè ai sofisti. Ma ben tosto il LIZIO colla sua opera Hspì .oywuoC vi è?, È7ray©y?i; (2). Si può muovere dal principio e dalla legge al fatto, o dal fatto alla legge ed al principio. Nel primo caso si ha il sillogismo vero e proprio o deduzione. Nel secondo l'induzione: processi opposti fra loro, sebbene, dice il LIZIO, l’induzione si possa formulare in sillogismi che sono perciò la forma elementare del ragionamento. Ma in che cosa differisco il sillogismo del LIZIO dalla divisione dell’ACCADEMIA? È questo un punto da chiarire prima di procedere alla esposizione della dottrina del LIZIO. Dopo aver esposto il suo metodo di dimostrazione, il LIZIO dice che la divisione per generi è « puy.póv 3* f trf P £0v . ewévvj; pcQtóou (3) » cioè del metodo al Apistico, e serve a scoprire le relazioni delle essenze Arist., Anal. Post.' I. 1S. Arist, Anal. Pr., II. 03 ’ Arist., Anal. Post., I.~30 fra loro. La divisione ha due gravi difetti: 1° di supporre in luogo di dimostrare, e di cercare arbitrariamente una delle due alternative della divisione stessa; 2° di prendere per medio il termine più generale. Essa è quindi un sillogismo impotente, che fa non una dimostrazione ma un’ipotesi, e conclude sempre un termine più esteso di quello che si tratta di concludere. Nelle dimostrazioni regolari si scende dal termine maggiore al medio, meno esteso. Nella divisione, al contrario, si prende sempre l’universale per termine medio. Per citare un esempio. Se si deve PROVARE CHE l’uomo è mortale, la divisione platonica stabilisce prima che ogni animale è mortale o immortale. Aggiunge, poi, che l'uomo è animale e conclude: che l'uomo è mortale O immortale » il che NON è punto ciò che si vuole provare. La divisione ci dice solo in questo caso che l’uomo è mortale O immortale. Che sia mortale è solo un’IPOTESI, NON già una CONCLUSIONE dimostrata. Oltre di ciò, “mortale O immortale” è *più esteso* di “mortale” solo. L’errore che falsa il metodo della divisione è la scelta del termine medio, il quale non può essere se non una specie del termine maggiore o un attributo della conclusione -- onde la divisione del genere in specie, non essendo che una parte del metodo sillogistico, richiede un compimento. Vi è una divisione della specie in generi, ed una divisione del genere nella specie, e queste due divisioni (1) Arist. - Anal. Post., IT. 5 e segg. - Ami Post., Aliai. Pr. I. 31. (2) Arist., Anal. Pi’., I, 1- frr? ijjr ,p m sw A r r?r p poste alcune cose, da esse deriva qualcosa di diverso da ciò che esse sono. Il sillogismo consta perciò di tre termini; il medio e due estremi, uno maggiore e l’altro minore. O, se vogliamo, DUE PREMESSE collegate tra loro in modo da avere in comune il termine medio, e da farne SEGUIRE PER NECESSITÀ una terza proposizione che vi era inclusa. Il termine medio poi non ha sempre la stessa relazione verso gli estremi: perocché o esso è contenuto nel maggiore e comprende il minore (1* figura); o comprende sotto di sè il maggiore e il minore (2* figura); o infine è compreso sotto il maggiore e il minore (3“ figura). Onde la 1* figura soltanto è perfetta e vale tanto per le conclusioni affermative quanto per le negative; la seconda e la terza per lo contrario sono imperfette, perchè quella conclude solo negativamente, questa solo particolarmente. IJ_ congegno del Sillogismo è dunque riposto nel nesso triHe premesse "e ciò che ne segue, e nella necessità ai tale lega me. Ma poiché vi sarebbe connessione anche se le premesse fossero false, purché la conclu¬ sione nascesse necessariamente da quelle, così distinse il Sillogismo dalla Dimostrazione o Apodissi, che richiede la verità delle proposizioni sulle quali si fonda. II vero e proprio Sillogismo è lo scientifico e dimo¬ strativo, che deduce la conclusione da cause vere e proprie, e, per valerci delle sue parole, « TsXsiov w.èv oùv [xaXw] t I- r'i' nix. 7730 Tac 7 JCOV. bsso è la forma per eccellenza del ragionamento, (1) Arist. — Anal. Pcst., II, 2. il più perfetto istrumento per la scoperta e l’esposi¬ zione della verità, perchè risponde alle condizioni del¬ l'esistenza reale, esprime il procedimento della natura, che va dal genere alla specie. La forma del ragiona¬ mento ha la sua ragione nel contenuto suo; il Sillo¬ gismo risponde alla natura dell’essere. Il Sillogismo è l’unione di due termini per mezzo di un terzo; si cerca se un tal predicato conviene o no ad un soggetto. Per risolvere la questione, si va in traccia di un termine medio e lo si paragona successivamente con ambo i termini, e secondo i rapporti di convenienza o scon¬ venienza che presenta.con essi, si conclude alla'con¬ venienza o sconvenienza dei due termini estremi. Onde il Sillogismo dimostra sempre alcunché di una cosa, « ó >J.h -z: 7uUoy-.7y.ò; rò zztz rivo; Ss’utvufft Az rovi pW'j (1) ». Ogni dimostrazione è pertanto un «truUoyt- C \jM s-« 7 T 7 ip.ovaó; (2) » e col semplice Sillogismo è in questa relazione : « ‘h p-sv yà? wnoywua; rt;, ó criAT.oys'jp.ò; àz où r.y.'jy. x-ooì'.C'-S (o). » Non occorrendo qui di fare una minuta esposizione della dottrina logica di Aristotele, sorvoliamo su tutto ciò che si riferisce alla costruzione del Sillogismo alle sue figure, a’ suoi modi, alla maniera di ridurlo a suoi elementi ed alle sue forme rigorose (4). noi basta di studiare quei punti della dottrina dello Sta¬ ggita, dai quali apparisce qual conto egli facesse de (1) Arist.  Anni. Post., II, 6. (2) Arist.  Anal. Post, I, 2. (!) Cfr. S l’espo!iz!Òne > fattar!o da B. du ?T den a ^^ t . = ^ « ElemeBta Logict l 2 Ari‘stoteleae »'e specialmente i pavagr. 20-21 e 33-36. X — 14 ! o iaJL Raziocinio ; e ci fermiamo innanzi lutto sui capitoli nei quali parla della ricerca del termine medio (1). Ciò che Aristotele dice in essi ci dimostra che egli riguardava il Raziocinio non solo come un semplice modo di esposizione formale, ma anche come un istrumento di scoperta. Altrove, nei Topici, confrontando l’in¬ duzione colla deduzione aveva detto: « .Vrt Ss yj :piv è-3ty 5 6 15.  > Arist. — Topici I, 10. — 15 — essenziali dagli accidentali, i veri dai probabili ; pren¬ derli universali, perchè non v’ha Sillogismo senza universali; l’universalità poi dovrà essere nel soggetto, non nell’attributo. Questa ricerca non è semplice analisi di linguaggio; e per Aristotele il termine medio non importa per sè, ma per ciò che rappresenta. I veri termini del Sillogismo aristotelico non sono, come avverte un illustre critico, « nè le proposizioni, nè i termini, ma i fatti e le leggi, o meglio, le idee che realizzano negli individui i progressi della natura in moto verso Dio (1) ». Aristotele conclude i suoi precetti sulla ricerca del termine medio con queste parole: « -y.~ u.i'i ò.r/y.’ tz; -spi è/AKSiplzi is-tl jt xpxàoijvxi; » i principi di ogni scienza non ci possono essere dati che dall’esperienza, ma una volta conosciuti la dimostrazione sillogistica s’incarica di mostrarne i rapporti. Negli Analitici Primi Aristotele analizza il Sillogismo in sè, negli Analitici Posteriori ne mostra l’applicazione alla scienza-e studia in qual modo lo spirito arriva a conoscere qualche cosa cou cer¬ tezza. Il primo principio che pone lo Stagirita e che serve di fondamento all’intiera sua teoria è che ogni apprendimento intellettuale proviene da una conoscenza anteriore; ce ne possiamo convincere con l’esame dei metodi che seguono le varie scienze. La Logica procede per Sillogismo e per Induzione, l'uno partente da principi universali, accordati, l’altra dal particolare evidente di per se stesso (2). E come 1 Induzione è quella forma di ragionamento per la quale dall esame (1) Janet e Séailles — Histoire de la pHlosophie. (2) Arist., Anal. Post., I Cfr. anche Saint-Hilaire, « De la logique d’Aristote » Voi. I, pag- 277 e segg. o confronto di più casi osservati si sale ad un prin¬ cipio generale, che comprende non i soli casi osservati ma anche altri i quali hanno con quelli somiglianze e comunanza, così la Deduzione è qualunque forma di ragionamento riducibile a quello schema da lui chia¬ mato Sillogismo. Sapere una cosa in modo vero e stabile, non accidentale e sofistico, è conoscere la causa di questa cosa, che la fa essere tale quale è senza che possa essere altrimenti: l’unico mezzo di sapere così le cose è il «zuXXoywy.ò; èmcrryipovarf;. E però la Dimostrazione deve di necessità partire da principi più cogniti che non sia la conclusione; devono essere veri, primitivi, immediati, anteriori alla conclusione e da essi come da causa quella deve dipendere (1). Posto quindi che la scienza dimostrativa deve discendere da principi necessari e che le cose in sè sono quelle ' essenzialmente necessarie, ne segue che il Sillogismo dimostrativo deve derivare da cose in sè (2). Alla fine degli Analitici Primi Aristotele si fa a ricer¬ care come si formano neH’intelligenza i principi che ser¬ vono di base così alla Dimostrazione come al Sillogismo; o afferma che i concetti universali non si possono otte¬ nere sillogizzando, ma si acquistano con l’Induzione- « Il compito di fornire i principi sui quali si fonda la Deduzione, egli dice, spetta all’osservazione dei fatti particolari che costituiscono il campo di ricerca di ogni scienza. Così per quel che riguarda l’astronomia tale compito spetta alle osservazioni astronomiche ; perocché non si potranno fare deduzioni circa deter¬ minati fenomeni celesti, finché essi non siano stati (1) Arist. — Anal. Post., I, 2. (2) Arist. — Anal. Post., I, 6. Sì . _.L . convenientemente analizzati e compresi. Lo stesso vale per tutte le altre scienze ed arti, nelle quali si po¬ tranno presto trovare le dimostrazioni quando siano stati studiali a dovere i fatti cui esse si riferiscono (1) ». Tale dottrina egli applicò per quanto si poteva ai tempi suoi nei libri naturali, politici e morali. Poiché credeva fermamente che non v'è universale senza Induzione, nò Induzione senza il Senso (2), l'Induzione prepara il Sillogismo, la cui funzione consiste nel termine medio, scoperto appunto dall’Induzione (3). E perchè sommi¬ nistri concetti generali e sia vera l'Induzione, che è preceduta.dal senso, dall'osservazione e dall'esperienza, deve considerare tutti gli individui di una data specie e ricavarne i caratteri essenziali, comuni e costanti. L’argomentazione deduttiva poi ha il compito di ridurre ciò che è incerto al massimo grado di certezza; essa serve ad assicurare della verità di proposizioni solo probabili, collegandole ad altre sulle quali non si può sollevare alcun dubbio, allo stesso modo che nelle matematiche si confermano le proprie asserzioni coi primi principi matematici indiscutibili, di evidenza immediata. Questa è la dottrina dello Stagirita, con la quale pose e risolse una delle più grandi questioni, che agitò tutto il Medio Evo e formò l’oggetto della filosofìa dei secoli XVIII 0 e XIX 0 (4). Da queste poche considerazioni apparisce chiaramente che la Sillogistica aristotelica è ben lontana dal vuoto (1) Arist. — Anal. Pr„ I, 30. _ (2) E S. Tommaso più tardi disse: « Impossibile est speculari universalia absque inductione. » Arist. — Anal. Post., I, 18 e II, 19. (1) Saint-Hilnire - « De la logique d’Aristote. » \ol. II. pag. GG. formalismo, prevalso più tardi in coloro i quali si dissero seguaci del grande filosofo. Perocché egli am¬ mette che la dipendenza dei concetti espressa nel sillogismo rispecchia la dipendenza causale della realta; e.quantunque molto oggi occorra sfrondare dalla sua Sillogistica, rimane però fermo, come osserva giusta?- mente il Masci, il principio che ogni dimostrazione è dall’uiiiversale, « vi piv ò-óonc,i' ex toù xafloXoo. » Tutte le specie di prova prendono valore dai prin¬ cipi, dalle leggi, dagli assiomi, cioè da proposizioni aventi valore universale; e su di esse si fondano tanto il Sillogismo deduttivo (apodittico), quanto l’ó èq Ì7raY&>Yvi; du^Xo^w’po;, che Aristotele ammise esplicita¬ mente nei Primi Analitici (1) e che non avrebbe valore, se non avesse alcun fondamento il principio di causa. Perciò il procedimento di sussunzione è essen¬ ziale nel Sillogismo, e la figura che lo rappresenta è fondamentale. Soltanto bisogna tener presente che la sussunzione quantitativa non è la vera, e che sono legittime tutte le forme di ragionamento che ranno¬ dano una conseguenza ad un principio (2). Questa è l’importanza attribuita da Aristotele al Sillogismo. Altri discuta sul valore della sua logica: a noi basta far rilevare che egli non solo coordinò materiali già esistenti (3), ma in gran parte anche creò; onde dobbiamo riconoscergli pienamente il diritto, che si arroga egli stesso, di invocare « riconoscenza per tutte le scoperte fatte (4). » È suo vauto l’aver dato la teoria compiuta del Raziocinio, dettando quelle (1) Arist. — Anal. Pr., II, 23. (2) Masci, Elementi di filosofia - Logica, pag. 240. (d) Tennemann — Storia della Filosofia. Voi. II, pag. 176. (4) Arist. — Elenchi Sopii., cap. XXXIII. regole che durano anche oggidì con la costante tra¬ dizione di ventitré secoli; egli conobbe per primo il Sillogismo ipotetico (1), e, rilevato il valore dell’Indu¬ zione, osservò che in fondo ogni ragionamento con¬ clusivo è sillogistico, e ridusse a tal forma l’Esempio, l’Obiezione, l’Abduzione. l'Entimema e l’Induzione stessa, giacché in essa l'illazione è la stessa premessa •maggiore del Sillogismo deduttivo, e il termine medio è lo stesso soggetto dell’illazione risoluto nelle sue specie A coloro poi i quali sostengono che Aristotele ha latto solo della logica applicata, eccettuata la dottrina delle tre figure, poiché per la Dimostrazione si è occupato del necessario, che la logica pura non deve conoscere, e pel Sillogismo si è occupato della moda¬ lità delle proposizioni, di cui la logica pura non si deve interessare, non sappiamo far cosa migliore che ripetere le parole del Saint-Hilaire: « Ce répoche n’est pas jusie, et l’exemple de Kant qui n a pas exclu la modalité de sa logique, toute pure qu’elle est, devait ótre un avvertissement suffìsant. Il est vrai •qu’on blàme Kant tout aussi bien qu’ Aristote. Mais pourquoi veut - on proscrire la modalité de la Ihéorie du syllogisme? Parce qu’ elle fait entrer, dit-on, la ■malière de la pensée dans un science qui ne devrait, s’enquerir qua des formes. Si ceci etait exact, il faudrait en effet que la logique s’abstint de toute •recherche sur les modales, et qu’ elle dit avec M. Hamilton, parodiant une sorte de proverbe scholastique: -« De modali non gustabit logicus. » (1) Aristotele intravide del pari la quarta figura sillogistica. Anal. Pr. I, 8. CAPITOLO II. Il f^azioeinio dopo Aristotele. Dopo Aristotele la teoria del Raziocinio non andò soggetta a notevoli cambiamenti; quel che mutò ne fu il senso, perchè la logica andò scostandosi a poco a poco dalla ontologia per avvicinarsi alla grammatica. Teofrasto, amico di Aristotele e continuatore dell’opera sua, aggiunse ai quattro modi della prima figura cinque modi indiretti; più tardi Galeno, a detta di Averroè, svolse una quarta figura del Sillogismo. Innovazione importante fu il maggiore sviluppo dato al Raziocinio ipotetico, al quale del resto già aveva alluso lo stesso Aristotele (1). Ad ogni modo, Boezio ne attribuì a Teofrasto e ad Eudemo la scoperta, e a sè il merito di averne dato per primo la teoria (2). Gli Stoici si occuparono molto della Logica, che ritennero impor¬ tantissima, sia per l’educazione dello spirito, sia per la dimostrazione della verità; essi ridussero però il Sillogismo ad una forma puramente grammaticale, e trattarono solo dell’apodittico, perdendosi a ricavare dai cinque modi semplici un’infinità di altri non sera- W « IloXÀo: ciz v.a.'. értpoi jrspaivovrai si; ù~o6sccco; ou; èn’T/.vltxvGxi ùz~. /.ai /.«0apw;. » Anal. Pi\, I, 33. (2) Theophrastus vero vir omnium doctrinae capax renani tantum suramas exquiritur; Eudemus latiorem docendi gra- ditur viam, sed ita ut voluti quaedam seminarla sparsisse, nullum tamen frugis videatur extulisse proventum ». (Boezio - De Syllogismo hvpotetico, pag. GOG). plicij come ebbe ad avvertire Cicerone (1). Gli Scettici infine, con Pirrone di Elide, ammisero che nè con la ragione, nò coi sensi, ci è dato di conoscere le cose; e siccome non possiamo affermare alcun predicato di nessuna cosa, ognuna dev’essere indifferente per noi (2). Qual conto facessero gli Scettici del Raziocinio apprendiamo dalle Iluppovjìa-. ‘Vjro-ujrwffst; di Sesto Empirico, il quale lo considerò nè più nè meno che un circolo vizioso. Sia data ad esempio la proposizione « Puomo è animale », dice egli; l’afl’ermazione è con¬ fermata dalle proposizioni singolari per Induzione; e se si trova un caso solo contrario agli altri, la propo¬ sizione universale non è più vera. Quando pertanto diciamo: « Ogni uomo è animale, Socrate è uomo, dunque Socrate è animale » e dalla proposizione uni¬ versale vogliamo derivarne una particolare, cadiamo in un modo vizioso di prova. L’Induzione poi, afferma Sesto Empirico, come quella che dai casi particolari vuol giungere all’universale, è anche più impugnabile: poiché se si percorreranno solo alcuni casi essa non sarà fondata, potendo benissimo accadere che un caso particolare lasciato a parte si riscontri poi contrario all’universale; se poi si vorranno percorrere tutti i particolari si intraprenderà una operazione impossibile, essendo essi infiniti e non circoscritti entro alcun limite (3). Concludendo, Sesto Empirico, sia nelle Ipotiposi Pirroniane , sia nell’altra sua opera IT?ò; p-kQ/i- jA«moó?, sostenne che nessun sillogismo, nè alcuna catena di sillogismi varrà mai a farci acquistare alcuna (1) Cicerone — Topici, 14. (2) Fiorentino, Storia della Filosofia, pag. 1-7. (3) Sesto Empirico — Pirroniane Ipotiposi, II - 14. cognizione nuova, e che la Deduzione non è la forma tipica del ragionamento, ma un artifìcio degno dt sofisti, per celare altrui la nostra ignoranza. In tal modo Sesto Empirico fu il primo a levar la voce contro- il valore del Raziocinio: altre e più gravi accuse ad esso muoveranno i filosofi delle età posteriori. É inutile fermarsi a parlar degli Eclettici (1), che non produssero nulla dimuovo nella dottrina sillogistica, nè di Galeno, al quale, come già dicemmo, fu attri¬ buita la scoperta della 4* figura; nè vale la pena di discorrere di Apuleio e di Boezio, il quale fu 1 autore della teoria intorno al Sillogismo ipotetico (2). Che cosa aggiunsero o innovarono gli Scolastici nella teoria del Raziocinio? Il Prantl osserva che « in¬ tuito il Medio Evo non un autore produce da sò un pensiero suo proprio, ma tutta la coltura di quel tempo è dipendente ed è determinata dall’ambito del materiale tradizionale che trova (3) ». Per più di cinque secoli infatti lo studio della sillogistica, tale quale era stato creato da Aristotele, divenne generale; esso fu coltivato da Arabi e Cristiani. Unico merito di quell'età fu di avere inventato quella terminologia ingegnosa, che con l'uso di lettere e di parole facilitò l’apprendimento della Sillogistica. Michele. Pseilo nel 1020 scrisse un compendio della Logica Aristotelica, il quale tradotto da Guglielmo Shyreswood e da Pietro Ispano servì come testo alle scuole di filosofìa dell'Oc- (1) Cfr. a questo proposito Saint-Hilaire « De la logique d’Aristote, cap. G-10, Voi. ri. *.quod. igitur apud scriptores graecos perquam rarissimos strictim atque confuse, apud latinos vero nullos reperì * (De Syllog. hypot., pag. 606). Ob Prantl Storia della filosofia in Occidente. cidenle. Le surriferite parole del Prantl però non vanno prese in senso troppo assoluto; chè quantunque la Scolastica abbia seguito in generale la tradizione e la sapienza filosofica antica, non mancarono però pensatóri i quali tentarono altre vie, precorrendo in certo qual modo l’avvenire. Il primo e il più grande fra tutti fu Ruggero Cacone , che levò la voce contro la validità della Deduzione, e magnificò oltremodo l’Esperienza, tanto che lo si può dire 'il'vero precursore dello sperimentalismo. Egli che esperimentò ed osservò, per quanto i tempi lo consentivano, scrisse nell’ Opus Maius che « Duo sunt modi cognoscendi, scilicet per argu mentum et éxperimentum . Argumentum concludit et facit nos concludere quaestionem, sed non certificat neque removet dubitationem, ut quiescat animus in intuitu veritatis nisi eam invenit via expe- rientiae ». E più oltre: « Ciò è manifesto nelle mate¬ matiche, dove potentissima è la dimostrazione. Chi volesse dimostrare, senza esperienza, che un triangolo è equilatero, egli non sarà pienamente persuaso finché non veda ciò per esperienza, vale a dire per l’inter¬ sezione di due circoli tracciati con un raggio eguale alla linea data, dalla quale intersezione si conducono due linee agli estremi della linea data (1) »• Infine: « Sine experientia nihil sufficienter sciri potest... haec sola scientiarum domina speculativarum. Egli intraprese la riforma del metodo scientifico, e unendo in felice accordo l’esperienza col ragionamento, aprì la via ai rinnovatori del metodo sperimentale com- R. Bacone — Opus Maius, Pars IV, cap. I. Cfr. A. V aldarmm « Il Metodo Sperimentale da Aristotele a Galileo ». pag. 12. (2) R. Bacone,Op. M.] prensivo. Perocché Bacone matematico ed astronomo riconobbe l’influsso della luna sulle maree, intuì l’at¬ trazione universale, ebbe forse l’idea del cannocchiale, e molte delle moderne scoperte divinò in modo mera¬ viglioso. E se errori anche volgari, inevitabili in quei tempi, non mancano nelle sue opere, le divinazioni meravigliose e le importanti scoperte attestano la potenza della mente di lui, che per tal rispetto può considerarsi come anello mediano che unisce Aristotele con Leonardo da Vinci, con Francesco Bacone da Verulamio e con Galileo. Ma le massime dottrine del monaco inglese furono allora soffocate dall’autorità del dogma e della scuola; prima che potessero farsi strada, occorreva che da un lato la Riforma, dall’altro il Risorgimento classico rinnovassero le coscienze e la Scienza. Il Pelrarca ed il Boccaccio furono tra i primi a scagliarsi contro gli Aristotelici. Il cantore di Laura se la prendeva in modo speciale con la sillogistica, pur ammirando altamente l’ingegno sovrano dello Stagirita. « Oh ! costoro, perchè sono tanto diversi dal loro maestro? » diceva egli parlando dei sillogiz¬ zanti filosofi suoi contemporanei. « Come non ridere, esclamava, di quelle meschine conclusioni, con le quali cotesti dotti infastidiscono sé e gli altri, e consumano la vita intera in tali inezie a quella inutili e perciò dannose? » « Se già vecchi, egli concludeva, non sappiamo ancora staccarci dalla scuola dialettica che ci divertì da fanciulli, vuol dire che forse ci piacerà ancora andare a cavalcioni sopra una canna e farci di nuovo d ondolare nella culla dei bambini. (1) » Gli (1) Petrarca — Epistolae de rebus familiaribus I, G-9 - Tra¬ duzione del Fracassetti.Umanisti della corte dei Medici andarono anche più innanzi: cercarono di diminuire i meriti e l’autorità dello Stagirita, pretendendo fra l'altre cose, di trovare in Platone le tre specie di Sillogismo. Lorenzo Valla nelle sue Dialecticae Disputaliones avvicinò la Logica e la Retorica, e combattendo Aristotele, gli contrappose Platone, Cicerone, Quintiliano « Quominus, scriveva egli, ferendi sunt recentes peripatetici qui interdicunt libertate ab Aristotele dissenfiendi, quasi sophos hic noster philosophus et quasi nemo hoc antea fecerit (1) ». Anche Cicerone, aggiungeva il Valla, diede la palma della filosofia a Platone, « quare, concludeva, illis contemplis ac spretis, si quae sunt, quae quarn in Aristotele melius dici possent, ea tentabo ipse melius dicere ». Il primo però, che in Logica tentasse la riforma d 1 cui si sentiva universalmente il bisogno, fu Pietro Ramo, il quale nelle Animadversiones in Dialecticam Aristotelis, biasimò gli ammiratori esagerati dello . Stagirita, ai quali, del resto, contrappose 1 esempio stesso del loro maestro, che senza rispetto alcuno per l’antichità cercava liberamente il vero. Atteggian¬ dosi a riformatore della Dialettica il Ramo afleimò che bisognava prendere la natura per guida; ma poi poco coerente a se stesso chiamò il Sillogismo « unica veritatis exsplorandae via », ed in sostanza alla Logica antica non seppe contrapporre altro che un miscuglio 1 Retorica attinta alle opere di Cicerone e di Quintiliano • In Italia il Telesio ed il Campanella intravidero al di là della Logica il metodo; chè anzi il primo di essi sosteneva nell’opera sua che bisogna stai e a a e. 1 (1) Valla — Dialecticae disputationes - Praetatio.monianza dei sensi e si propose di guardare solo nei fatti, non in altro e di riconoscere per fonte unica d'ogni sapere il senso: concepì in sostanza una Fisica perfettamente induttiva. Così pure in Inghilteria Guglielmo Gilbert per scrutare i segreti della natura dava il primato all'esperienza, e dalla percezione dei sensi risaliva alle cause dei fenomeni, ed ai sensi univa l’aiuto della ragione, necessaria, secondo lui, a far progredire ogni scienza. E da noi ancora l’illustre filosofo naturalista Andrea Cesalpino faceva il più gran conto dell’esperienza, e ai vani sillogismi della Scolastica opponeva un metodo composto di tre pro¬ cessi mentali distinti: l’Induzione, la Divisione e la Definizione. Ma tutti costoro furono preceduti da un altro uomo dì sommo ingegno, Leonardo daVinci,ilquale dotalo di straordinaria penetrazione espresse qua e là nelle sue opere scientifiche sentenze che per la loro pro¬ fondità oltrepassano il suo secolo. « L’esprit géome- trique, dice di lui il Venturi, le guidoit par tout, soit dans l’art d’analyser un objet, soit dans l’enchàinement du discours, soit dans le soin de généraliser toujours ses ideés. Per ciò che si riferiva alle scienze naturali, egli non era mai soddisfatto di una proposi¬ zione, se non l’aveva verificata con l’esperienza; pen¬ sava che innanzi tutto conviene fare qualche esperi¬ mento e che nella ricerca dei fenomeni della natura bi¬ sogna osservare il metodo. La natura comincia, e \eio, col ragionamento, e finisce con l’esperienza; dod a; Telesio — Prefazione all’opera « De reruin natura mxta propria principia ... (-) Venturi, Essai sur les ouvrages scientifiques de -Leonardo de Vinci, pag. 4. importa; a noi, secondo Leonardo da Vinci, conviene prendere la via opposta; perchè l’interprete degli ar¬ tifici della natura è l'esperienza. Bisogna quindi con¬ sultare quest’ultima, e variarne le circostanze, finché noi ne abbiamo desunte regole generali; esse poi ci. dirigono nelle ulteriori ricerche. Così scriveva Leonardo da Vinci un secolo prima di Francesco Bacone. Del resto il metodo del Vinci, come avverte giustamente il Val- darnini, fu scientifico e comprensivo,nonescludendola ragione e l’applicazione della matematica nello studio della natura. Egli riconobbe infatti l’armonia tra l’E¬ sperienza e il Raziocinio, ed affermo esplicitamente che « Chi si promette dalla sperienza quel che non è- in lei si discosta dalla ragione (1) ». Ma la via per la quale la scienza doveva fare grandi e così rapidi progressi fu trovata dal Galilei,, il sommo nostro scienziato. Prima ancora del JSovum Organum di Francesco Bacone, e del Discorso sul metodo di Renato Cartesio, Galileo praticò larga¬ mente il metodo sperimentale induttivo, i cui punti fondamentali sono dal Magalotti espressi nella Prefa¬ zione ai Saggi di Naturali esperienze dell'Accademia del Cimento.' Essi sono in ordine progressivo: 1 c somme verità degli assiomi naturali che stanno ne l’anima; 2° la geometria; 3° l'esperienza; 4 il ragio¬ namento che la guida; 5° il confronto delle espenenze dei dotti per conoscere da questi, provando e ripro¬ vando, la verità. In tal modo fu novatore rispetto alla filosofia medievale, perchè diede giance \aore 1) Yaldarniui - ; «itaque spes est una », concludeva, « in inductione vera (4). » Nè basta; chè altrove aggiungeva: « Nullo modo fieri potest, ut axiomata per argumentationem constituta ad inventionem novorum operum valeant; quia subtilitas naturae subtilitatem argumentandi multis partibus superai. Sed axiomata a particularibus rite et ordine abstracta, nova particularia rursus facile indicant et designant; itaque scientias reddunl activas (5) ». Nel* introduzione al De Augmenlis scientiarum rimpro¬ verava alla logica antica di essersi solo occupala del Raziocinio; e per reazione respingeva assolutamente la dimostrazione sillogistica. Per tutte queste considerazioni egli lasciava al Raziocinio piena giu¬ risdizione « in Artes populares et opinabiles, tamen ad Naturam rerum inductione per omnià, et tam ad maiores propositiones quara ad minores ulimur; indu¬ ci Bac - ^' ov - Org., I Aph 13. (•2) Bac. Nov. Org.. I Api» 11 . (3) Bac. Nov. Org., I Aph 12, (Il Bac. Nov. Org., I Aph U •ó) Bac. Nov. Org.. I Aph, 24. Bac. De Augmentis scientiarum Disp. part. ctionem censemus eam esse demonstrandi formam quae sensum tuetur, et Naturarci premit, et operibus imminet ac fere immiscetur ». Come Aristotele si sforzava di provare che in ogni moto dei corpi vi è alcunché che sta in quiete, e in¬ troduceva elegantemente la favola di Atlante, il quale diritto sulla persona reggeva il mondo, così, diceva Bacone, gli uomini desiderano ardentemente di avere un punto che regga i fluttuanti moti del pensiero, temendo che essi abbiano a precipitare, « nescientes profecto eurn qui certa nimis propere captaverit, in dubiis finiturum; qui autem iudicium tempestive cohi- buerit. ad certa perventurum. Riassumendo, Bacone attribuì al Raziocinio due difetti principali: 1° Esso non permette di arrivare ai principi, e'anche le sue premesse il più delle volte riposano sull’Indu¬ zione. 2° La Deduzione non è in rapporto con la sot¬ tigliezza della natura, e non può convenire se non alle scienze popolari. Non va però dimenticato che Bacone non disdegnò in modo assoluto gli assiomi razionali, e proclamava la necessità di unire il discorso con l’esperienza. « L’uomo, egli ebbe a dire, ministro e interprete della natura, tanto conosce ed opera, quanto ebbe osservato nell’ordine di essa, o con 1 e- sperienza o con la ragione. » In tal guisa presunse di abbattere l’edifizio innalzato di Aristotele col suo sapiente « opyàvov; » e noi, pur riconoscendo che la Scienza non avrebbe rapidamente progredito senza l'aiuto poderoso di sommi pensatori i quali, come il grande filosofo inglese, insegnarono nuove vie, e le aprirono più spaziosi orizzonti, non possiamo I fi) Bac. — De aug. scient.. V. •!.meno di affermare che Aristotele meritava di esseregiudicato con molto maggior rispetto, e lopeia sua tenuta in queiralta stima alla quale ha diritto. Difatto per dirla col Saint-Hilaire, giudicare Aristotele é giu¬ dicare lo spirito umano, non solo in uno dei suoi più illustri rappresentanti, ma in se stesso, poiché con lo Stagirita facciamo comparire avanti a noi tutto il passato dello spirito umano (1). Senonchè v’è una giustificazione alle esagerate invettive di Bacone da Verulamio contro la sillogistica antica; egli non poteva ribellarsi contro quella interminabile e immane catena di errori, che a’ suoi tempi si opponeva ad ogni pro¬ gresso delle scienze, senza scagliarsi contro il Sillogismo, che per l’indole sua si era prestato a dare una appa¬ renza di verità e d'indiscutibilità a tutte le aberra¬ zioni dei tanti pensatori medioevali. E mentre affer¬ mava apertamente ch’egli voleva « reiicere syllogi- smurn », forse riconosceva che della sillogistica non aveva già abusato l’autore suo, ma i Neoplatonici e più tardi gli Scolastici, i quali valendosi del Raziocinio avevano diffuso tutti quegli errori, di cui risentivansi vivi più che mai i danni a’ suoi tempi, in tutti i rami del sapere. Con Cartesio e Bacone si inizia la filosofia moderna, poiché entrambi cominciarono con la critica severa del passato, dubitarono della loro scienza, poi ne divennero certi, fondandola l’uno sul puro pensiero, l’altro sull’esperienza: quegli si valse a preferenza della Deduzione, questi dell’Induzione. Cartesio sdegnò ogni sapere- che non fosse trovato dalla propria rifles¬ sione, volle trovare da sé, e il suo punto di appoggio (1) Samt-Hilairo - De la logique d’Avistote. Preface, pag. XLIfu la coscienza: sottraendo tutto, rimane per lui il pensieio, onde il famoso . « Cogito ergo sum »; e trovata la vera conoscenza potè poi dedurne le altre. Tanto egli quanto la sua scuola notarono che la Lo¬ gica antica eia troppo complessa, occupava eccessiva¬ mente lo spirito, e poteva giovare ad esporre, non a scoprire la verità, non era in grado di dare principi, e non serviva ad altro che a parlare verosimilmente di ciò che si ignora (1). Il metodo di Cartesio poi, in partieoiar modo, era deduttivo; ma il Sillogismo per lui serviva ad esporre i risultati di ogni ricerca; lo spirito solo bensì poteva, secondo lui, scoprire i principi reali, le nature semplici. Onde la Deduzione cartesiana si occupava solo con, metodo analitico della verità, e non della sua espressione formale, e tutto subordinava all’intuizione diretta dello spirito. Appena potè svincolarsi dalla soggezione dei maestri, Cartesio, come narra nel suo Discorso sul Metodo cessò affatto dagli studi intrapresi, e si diede a viaggiare, a fre¬ quentare persone di diverse condizioni, a raccogliere esperienze, con l’intento di non cercare più altra scienza se non quella che poteva trovare in se stesso e nel gran libro del mondo. Il primo vantaggio rica¬ vatone fu di « ne rien croire trop fermement de ce qui ne m’avoit été persuadé que par l’exemple et par la coutume (2) ». Così si liberò .a poco a poco degli errori e fece un bel giorno il proposito di studiare se stesso e di adoperare tutte le. forze dello spirito a cercare le vie che esso deve seguire. Da giovane aveva appreso la Logica, la Geometria, (L) Cartesio — Discours do la métliode, Part. II. (2) Cartesio — Disc. de la mét. Part. I. l’Algebra, tre scienze che dovevano servirgli per il suo disegno. Ma, dopo le assidue cure da lui poste nel ricercare il vero, si accorse che nella Logica il Sillogismo e le sue regole servono a spiegare agli altri le cose che si sanno, non già ad apprenderle. Per di più la Logica antica era, secondo lui, « si abstrainte à la consideration des figures, quelle ne peut exercer l’entendement sans fatiguer beaucoups l’imagination. » E perchè le molte regole offuscano la chiarezza di una scienza, ai molti precetti della Logica sostituì queste quattro regole, alle quali pro¬ mise di attenersi fedelmente: 1° Non si deve aver per vera alcuna cosa, se non si riconosce evidentemente tale. 2" Devesi dividere ciascuna difficoltà per meglio risolverla. 3° Si conducano per ordine i pensieri, co¬ minciando dagli obbietti più semplici e facili a cono¬ scersi e andando ai più complessi. 4° Si facciano enu¬ merazioni così intere da essere ben certi di non aver trascuralo nulla. Concludendo, la logica Cartesiana ripudiò tutte le artificiosità della Sillogistica antica, esaltò l’uso del- 1 analisi matematica nella ricerca della verità ; sdegnò occuparsi dell’espressione formale della verità stessa, e come abbiamo già detto, tutto subordinò all’intui¬ zione diretta, ed all’attività dello spirito (1). Nuovi colpi alla validità del Raziocinio diede Gio¬ vanni Locke, nel suo Saggio sull’intendimento umano, nel quale negò che lo spirito umano apprenda a ra¬ gionare con le regole del Sillogismo: il Raziocinio per lui non è utile a scoprire la falsità di un argomento e non serve affatto ad accrescere le nostre conoscenze: (1) Cartesio — Disc. de la mét., Part. I e I*. II, pag. 1-28. tutt al piu è utile come arte di far valere disputando quel po’ di conoscenza che abbiamo, senza nulla ag¬ giungere. Ed ecco in qual modo pervenne a queste conclusioni. Nel Saggio citato si propose due fini: 1 di combattere 1 innatismo delle idee; 2° di dimostrare 3 origine empirica di tutte le nostre conoscenze, rian¬ nodandosi in tal modo alla dottrina di Bacone e combattendo la filosofia Cartesiana. L'intelletto, pel Locke, è un foglio bianco in cui non sono caratteri di sorta: ve li scrive sopra il senso, poiché « nihil est in intellectu quod prius non fuerit in sensu; Le idee poi sono semplici e complesse; queste ultime sono combinazióni di idee semplici, le quali alla loro volta nascono dalla sensazione e dalla riflessione. Stabiliti questi punti fondamentali della sua dottrina, il Locke negò recisamente il valore del Raziocinio, poiché, secondo lui, esso non aiuta la ragione se non nel mostrare le relazioni che passano fra le idee di una proposizione; ma anche in ciò l'uso suo è assai limitato; queste relazioni si scoprirebbero anche senza il suo soccorso. E quanti sono quegli uomini che, incapaci di formare un Sillogismo, ragionano tuttavia giusta¬ mente ! Del resto è assai dubbio che anche coloro i quali conoscono l’arte e le regole del Raziocinio se ne servano per ragionare, essendo tale metodo troppo lento, e correndo la mente umana molto più veloce. Coloro poi i quali sono penetrati bene addentro nella conoscenza di tali regole, non sono punto ceni, in virtù di un’argomentazione sillogistica, che la conclusione discenda dalle premesse; essi fanno una semplice supposizione. Se il Sillogismo fosse il vero e solo stru¬ mento della ragione, e l’unico mezzo di giungere alle conoscenze, bisognerebbe ammettere che prima di Aristotele non vi fosse alcuno che conoscesse qualche cosa con la ragione. Questa forma di argomentazione non porta con sè nè chiarezza nè convinzione; chè essa è suscettibile del falso come ogni più semplice specie di ragionamento, ed anzi, come forma artificiosa, è più atta ad imbrogliare la mente che ad istruirla e a dissiparle attorno le nebbie. Onde, concludeva il Locke, dobbiamo valerci di qualche altro mezzo per giungere alla conoscenza, e, con tutto il rispetto allo- Stagirita, riconoscere che « Dio non è stato cosi poco liberale cogli uomini, da abbandonarli come semplici creature di due piedi, senza piume e con ugne lunghe, finché Aristotele non li avesse fatti animali ragione¬ voli col Sillogismo. » L’uomo ha la potenza di ragio¬ nare e di apprendere le relazioni delle sue idee. Se dobbiamo quindi scoprire i difetti di un ragionamento, non abbiamo che da spogliarlo delle idee superflue, le quali mescolate in quelle da cui dipende la conseguenza sembrano mostrarne, una dove non è ; quindi confrontare queste idee; e senza tutte le noiose finezze del Sillogismo scopriremo la loro convenienza o sconvenienza. Queste furono le critiche del Locke, il quale negò inoltre che il Raziocinio aiuti la mente a fare nuove scoperte, ed ammise che esso serve tutt’al piò a convincere gli uomini dei loro errori e dei loro inganni, a disporre le prove che già si conoscono, ve¬ nendo sempre dopo la cognizione dalle verità, e a far valere disputando la conoscenza che si possegga, senza nulla aggiungere. Nel Raziocinio infine scoprì un altro gravissimo difetto. Ogni ragionamento sillogistico, egli osservò, per essere concludente deve avere una proposizione generale: or bene parrebbe che noi non potessimo nè ragionare nè aver conoscenze di cose particolari. Ma ogni ragionamento, come ogni conoscenza, non verte che sulle idee esistenti nella mente di ciascun uomo, ognuna delle quali non è che un esistenza particolare; e le cose sono obbietto delle conoscenze umane in quanto sono conformate a queste idee particolari che ha l’uomo nella mente. L’universalità consiste in ciò che le idee particolari, le quali ne sono soggetto, sono tali che ad esse più d’un caso particolare può essere conforme, e più d’una cosa particolare può essere da loro rap¬ presentata. Come Giovanni Locke aveva ripreso ed ampliato le critiche di Bacone alla dottrina sillogistica, così Nic¬ colò Malebranche riprese le obiezioni di Cartesio. « La logique d’Aristote, secondo lui, n’est pas de grand usage, a cause qu’ elle occupe trop l’esprit, et qu’ elle le détourne de l’attention qu' il devroit ap- porter aux sujets qu’ il examine. Le regole che diede il filosofo per la ricerca della verità sono oltre modo semplici; la prima è che bisogna sempre con¬ servare l’evidenza nei ragionamenti per scoprire il vero senza timore di sbagliare; onde noi non dob¬ biamo ragionare se non su cose delle quali abbiamo idee chiare e precise, e cominciare dalle cose più semplici e più facili, ed arrestarci a lungo prima di intraprendere la ricerca delle più complesse e diffìcili. Il Malebranche sostenne che bisogna comprendere bene lo stato della questione da risolvere, ed avere idee distinte sui termini per poterli paragonare, e (1J Locke —Saggio filosofico sull’intelletto umano. Cfr. anche il Saggio del Locke compendiato dal Winne e tradotto dal Soave, Voi. II, pag. 110-113. (2J Malebranche, De la recerche de la Verité, lib. VI, cap. 1. scoprire i rapporti cercati. Quando poi questi non si scoprono paragonando le cose immediatamente fra loro, allora bisogna scoprire, con qualche sforzo della mente, una o più idee che possano servire come di misura comune per riconoscere per mezzo loro i rapporti che vi sono tra esse. Così il filosofo francese continuò l’opera del sommo suo connazionale, disconoscendo ogni valore alla Sillogistica di Aristotele, e tentando di rinnovare la Scienza con l'uso dell’analisi matematica. Il Malebranche fu imitato e seguito fedelmente dal- l’Arnauld e dal Nicole, i quali rimproverarono alla Logica aristotelica di essere in molte parti imbarazzante ed inutile. La Logica di Portoreale che, come avverte il Cantoni (3), diede l’ultimo tracollo all’Aristotelismo scolastico, « perchè lo colpì in quella parte che costi¬ tuiva la maggior sua forza, cioè nella parte formale », ebbe il merito di essere pei suoi tempi d’una grande originalità ed arditezza, e di preparare il trionfo della riflessione personale sui pregiudizi dell’autorità. Giovanni Locke aveva negato che lo spirito umano ap¬ prenda a ragionare con le regole del Sillogismo e che con esse si acquistino nuove conoscenze; Cartesio d altro lato aveva accusato la Logica antica di essere tioppo complessa ed aveva sostenuto che il Raziocinio è metto a scoprire la verità, ed utile solo ad esporle; Guglielmo Leibniz, pure ammettendo che della Sillo- gistica si f osse fatto un grande abuso, sorse col Nuovo (2)^nanld nCh T ~ D6 , la D rech - de la Veri* lib. VI. cap. Piefalione àu & ^t-Royal. - Cfr. anche Compayi a.' asU * * L ^“ (') . Cantoni — Storia della Filosofia, pag. 269 - 260 . Saggio sull'intendimento, a sostenerne la reale utilità, è da grande filosofo ne fece uno studio veramente profondo (1). Egli avvertì giustamente che la forma scolastica del Sillogismo si usa poco e sarebbe troppo lunga ed imbrogliata se la si volesse adoperare seria¬ mente; ma con tutto ciò riconobbe nel Raziocinio UDa delle più belle invenzioni dello spirito umano (2). Al Locke, il quale aveva detto che il Sillogismo non serve che a vedere la connessione delle prove in un solo esempio, rispondeva che sarebbe ridicolo voler argo¬ mentare alla maniera scolastica nelle deliberazioni a causa della prolissità imbarazzante di quella forma di ragionamento: non per questo è men vero, che nelle più importanti deliberazioni della vita una logica severa è necessaria, poiché gli uomini si lasciano abbagliare dall’eloquenza e dall’autorità, dagli esempi male ap¬ plicati e dalle conseguenze fallaci. Sostenne poi che tesservi molti uomini i quali pure ignorando del tutto le regole della Sillogistica ragionano dirittamente, non porta già a disconoscere l’utilità del Raziocinio, allo stesso modo che non si può negare l’utilità della ma¬ tematica, solo perchè alcuno, senza aver appreso l’aritmetica, sa fare conti anche difficili. E contro il Locke, il quale aveva affermato che anche i Raziocini possono diventare sofistici, osservò giustamente che le loro stesse leggi servono a riconoscerne la falsità: e se il Sillogismo non vale nè a convincere, nè a (1) Leibniz, Nuovo Saggio sull’intendimento, lib. VI, cap. I, e lib. IV, cap. 1G. , . (2) « C’est ne espèce da mathéinatique, dice il Leibniz, dont l’importance n’est pas assez connue; et l'on peut dire qu un ar d’infallibilité y est contenu, pourvu qu’on sache, et qu on puisse s’en bien servir. » Saggio ecc. lib. IV cap. I. convertire alcuno, non è già per la sua inettitudine, ma perchè l’abuso delle distinzioni e dei termini male intesi ne rende l’uso troppo prolisso (1). Infine notò che solo nella conoscenza intuitiva si vede immedia¬ tamente il legame delle idee e delle verità ; ma la dimostrazione fondata su idee medie è quella che ci dà una conoscenza ragionata, e ciò perchè il legame dell’idea media con le estreme è necessaria. Ecco in qual modo Guglielmo Leibniz seppe riven¬ dicare il valore del Raziocinio, a torto disconosciuto così dagli Empirici, come dai Razionalisti, che l’avevano preceduto. Ma ben presto un altro filosofo insigne sorse a riprendere la critica contro la Sillogistica, ed a parlare con disprezzo di quello che Aristotele aveva considerato come istrumento di cui si serve la ragione umana nell acquisto delle conoscenze. Contro Aristotele erano insorti Bacone, Locke, Cartesio; contro il Leibniz si levò il Condillac; più tardi contro il Kant insorgeranno il Mill e lo Spencer, e mentre i Logici inglesi si sforzeranno di rifare la Logica aristotelica, in Italia fi Galluppi, il Rosmini ed il Gioberti sosterranno ancora una volta l’utilità del Raziocinio. Quando il Voltaire, abbandonata rin£Thilt.err fl ritm-nè (Oeuvres philosophiques a e Leibniz voi. I., cap. I. avec introd, p. P. Janet, e come già il Montesquieu aveva divulgato la costi¬ tuzione inglese, cosi egli, ardente seguace del Locke,, fece noto ai Francesi il Saggio sull’intendimento- umano, che ebbe tosto non pochi ammiratori: primo e più grande fra tutti il Condillac. Questi da principio seguì le traccie del filosofo inglese nel Saggio sul¬ l'origine delle conoscenze umane, e terminò poi nel più schietto sensismo. Nella Logica, nella quale seppe- imprimere un’orma d’originalità come pochi altri filosofi, parlò della Sillogistica con grande disprezzo,, e- credette di annientare il valore del Raziocinio \&r lendosi di questo ragionamento: Ogni giudizio da noi pronunciato può includerne implicitamente un altro- non espresso; se diciamo ad esempio che un corpo è- pesante, affermiamo implicitamente che esso cadrà se non sarà sostenuto (1). Quando perciò un giudizio è contenuto in tal modo in un altro, si può pronunciare come una derivazione del primo, e dicesi perciò che ne è la conseguenza. Ciò posto, fare un Raziocinio- non è altro che pronunciare due giudizi di questa specie; e nei nostri Raziocini come nei giudizi non- v’hanno se non sensazioni. Il secondo giudizio nel suesposto Raziocinio è sensibilmente racchiuso nel primo e non v’è bisogno di cercarlo; ma se il secondo- giudizio non si mostrasse nel primo,, allora farebbe d'uopo cercarlo, cioè passando dalla cosa nota ai-- l’ignota, si dovrebbe scorrere per una serie di giudizi intermedi per vederli tutti successivamente contenuti¬ gli uni negli altri, fino a scoprire che il secondo gidizio è una conseguenza del primo. Ogni ragionamento è un calcolo; non consiste nell’andare dal generale al. ( 1 ) Condillac, Logique, Pait. I, cap. 7- particolare, dal contenente al contenuto, ma dal me¬ desimo al medesimo, cambiando i segni; suo principio è l’identità, suo procedimento unico è la sostituzione. 11 tipo di questo genere di ragionamento è il ragio- nemento algebrico, al quale tutte le altre forme si possono ridurre. Nè importa obbiettare che così si piocede in Matematica, ove il Raziocinio si fa per equazioni; giacché avviene lo stesso anche per le altre scienze: equazioni, giudizi, proposizioni sono la mede¬ sima cosa. In ogni questione scientifica sono contenuti implicitamente i dati, altrimenti essa sarebbe insolu¬ bile; il trovarli è separarli e distinguerli in una espres¬ sione in cui non si trovano che implicitamente; e per sciogliere la questione bisogna tradurre l’espressione in un’altra, nella quale tutti i dati si mostrano in maniera esplicita e distinta (1). L’artificio del Razio¬ cinio è dunque lo stesso in tutte le scienze: come in Matematica si stabilisce la questione traducendola in néfla „iù * SCie " ze si ‘‘“lisce tradendola è ann i, n^ MeSprmi °" e: 6 1“^» la questione che uóatri C " e la 5ci °* lie »»n è altro z '° ne vixz “onTluro'ohe™! “riputo “Si^T 0 ” 6 S 6 " 0 ™ 1 * Particolari, e non ci ° “ n ° SCenM a—ce che (•) Condillac — Loeiaun p»,.* tt C2; Cond. _ Loo- P 8 '! tt o Cap - 8 ’ tt) yn - n > ca P- 8 - {ó ) 0ona - — Art. do Denser pL» , resto riconosceva altrove che non =; f ’ Cap ' 6 ' 11 Coudillac del della verità se non unendo in un J T f° gl ' essi nella ricerca unendo in un solo metodo l’analisi e la sintesi. Onde il Sillogismo, che è il grande strumento della Sintesi, è perfettamente inutile, e seguire la Sillogistica è far consistere il ragionamento nella forma del di¬ scorso più che nello sviluppo dellè idee (1). E nulla vi è di più frivolo che questo metodo, perocché non importa punto la forma del ragionamento:  pag. 48. osserva che non propriamente l’Hamilton ma un altro filosofo, Giorgio Bentham (1827), riconobbe la necessità di dare al predicato una quantità uguale a quella del soggetto; perii primo però l’Hamilton riconobbe le con- seguenze di tale principio e le sistemò definitivamente (1). Emanuele Kant aveva fatto distinzione tra la forma e la materia della conoscenza; il filosofo inglese poi diede il nome di pensiero all’elemento formale, considerò il pensiero come l’opera degli atti dell'in- tendimento, pei quali noi elaboriamo i materiali fornitici dalle facoltà rappresentative, quindi come con¬ fronto, analisi, sintesi di attributi, nozioni, giudizi, e riguardò la Logica quale scienza delle leggi del pensiero. Essa, secondo Hamilton, non considera le cose come esistono in sé, ma solo le forme generali del pensiero, sotto le quali la mente le conosce, è in sostanza scienza puramente formale, non garantisce nè le pre¬ messe nè la conclusione, ma solo la conseguenza di questa da quelle; e il Raziocinio è l’affermazione esplicita della verità di una proposizione, nell’ipotesi chealtre proposizioni, le quali la contengono, siano vere. La Logica considera non gli atti, ma i prodotti dell’intendimento, e le leggi fondamentali a cui essa è sottomessa sono tre: di identità, di causalità e del mezzo escluso, le quali non possono essere negate, perchè altrimenti bisognerebbe negare anche la pos¬ sibilità del pensiero. Avendo la Logica per oggetto a forma del pensiero, (proseguiamo nell’esposizione della dottrina dell’Hàmilton, quale risulta dai Frammenti di Filosofia tradotti dal Peisse) per compiere l’opera sua deve poter esprimere totalmente il senso de e nozioni, Hamilton, Progments de philosophie, farad, par L. Peisse.dei giudizi, dei ragionamenti che considera, deve poter enunciare nel linguaggio tutto ciò che è contenuto impiicitaniente nel pensiero. Da quanto si è detto deriva l a teoria d eila quantità del predicato. Ogni proposizione è composta di un soggetto e di un pre¬ dicato, uniti da una copula; noi pensiamo il soggetto con una quantità determinata e dalla sua quantità risulta quella della proposizione. Ma il predicato è sempre pensato in maniera quantitativamente inde¬ terminata? Spesso si esprime senza unirgli un segno preciso di quantità, come in quest’esempio: « tutti gli uomini sono mortali », senza dire se si intende parlare di tutti i mortali o solo di qualcuno. Vi sono però casi in cui il linguaggio esprime la quantità anche del predicalo, come in quesl’altro esempio: « nell’uomo non vi ha di grande che lo spirito ». Potrebbe quindi nascere il dubbio che vi fossero eccezioni nel pensiero, come ve ne sono nel linguaggio: per risolvere tale questione consideriamo l'atto dell'intendimento pel quale uniamo un predicato ad un soggetto. Una nozione è l’idea dell’insieme degli attributi generali per cui una pluralità di obbietti individuali coincide; è un tutto puramente ideale che lo spirito è costretto a formare per classificare nel pensiero e separare nel linguaggio gli obbietti vari della sua conoscenza. Attribuire un predicato ad un soggetto è pensare questo obbietto individuale in una nozione data: dire per es. « l’uomo è animale », è porre la nozione « uomo » sotto la nozione «animale». Ma per pensare un concetto sotto un altro bisogna conoscere non solo che l’uno è parte dell’altro, ma anche qual parte ne e; onde il predicato è pensato sempre e necessaria- 1 mente con una quantità uguale a quella del soggetto.li linguaggio che bada solo ad esprimere ciò che si pensa, non come si pensa, non va tanto pel sottile, ma la^ Logica deve enunciare tutto ciò che è IMPLICITAMENTE [cf. H. P. Grice, IMPLICIT REASONING – Aspects of reasoning – implicature, explicature] contenuto nel pensiero ed assegnare ai pre¬ dicati di tutte le proposizioni una quantità determinata. Venendo poi all'applicazione di questa teoria, se il predicato è sempre implicitamente pensato e dev'essere espresso come una quantità determinata, se questa •quantità è uguale a quella del soggetto, se la proposizione è in ultima analisi un'equazione, ogni ragio¬ namento va da quantità uguale a quantità uguale, ogni Sillogismo è in fondo una_serie di equazioni tra ‘membri equivalenti. Non si deve più parlare di maggiore, minore, termine medio ecc.; il tipo di ogni ragionamento è: A = B; B = C; dunque A = C. Due sono poi le specie di ragionamento, poiché, se assolutamente •considerati tutto e parti sono identici, nell’ordine del pensiero si può concepire prima il tutto per dividerlo nelle sue parti, con una analisi mentale, o prima le parti per riunirle in un tutto, con una sintesi mentale: si ha così un ragionamento deduttivo ed uno induttivo. L’Induzione riposa sul principio che ciò che appartiene alle parti appartiene al tutto, ed ogni ragionamento induttivo si può mettere in forma sillogistica A è B, X, Y, Z è A ; dunque X, Y, Z è B; la differenza del Sillogismo ordinario è che nella forma suesposta 1 uno dei termini della conclusione in luogo di essere un tutto è una enumerazione di parti: la quale devessere compiuta nell’Induzione formale, mentre nella reale. non può mai essere (1). Ragionare non è dunque, per concludere, ar rie ~(i; Liard - Op. Cit., pag. 60-G9 ed Hamilton, op. cit. trare una nozione in un’altra, ma sostituire in pro¬ posizioni date nozioni equivalenti a nozioni equivalenti; onde tutti i Raziocini riposano sul principio della sostituzione dei simili, in virtù del quale in ogni pro¬ posizione una nozione può essere sostituita da un’altra equivalente; il ragionamento è, in altri termini, un atto di confronto o di giudizio mediato, perchè ragio¬ nare è riconoscere che due nozioni sono tra di loro nella relazione di tutto e di parte, ed hanno lo stesso rapporto con una terza. Questa è la teoria con la quale l’Hamilton pretese di aver riempito le lacune del sistema aristotelico, e di averlo nel tempo stesso semplificato e liberato da tutte le regole imbarazzanti ed inutili. Non ci sembra però che il filosofo inglese abbia per questo riguardo così bene meritato della logica formale; e quantunque la critica mossagli da Stuart Mill non sia, a nostro avviso, in tutto fondata, nè priva di esagerazioni, cre¬ diamo tuttavia che egli non vada molto lungi dal vero quando afferma che le nuove forme introdotte nella Sillogistica non offrono maggior vantaggio delle antiche; chè anzi vi hanno introdotto ' nuove e serie complicazioni. « Le nuove forme, dice Mill, noni offrono praticamente alcun vantaggio; v’è poco merito ad averle inventate, e poco vantaggio a servirsene, al meno che noi le vogliamo riguardare come un eser¬ cizio di ginnastica mentale, utile a rafforzare le facoltà intellettuali degli scolari. - /l I filosofi inglesi seguaci di Hamilton si sforzarono Mill, La philosophie de Hamilton (trad. Cattive 8 ’ 493 ‘ ? fr ' anChe Bain * Lo o‘ c l ue deductive ed indu- ct.ve » trad. par G. Compayré, Voi. I. pag. 129-181 e pag.269-2G6. sempre più di rinnovare la vecchia Logica, allargando la base della Logica deduttiva, e dando della Deduzione una teoria generale, che abbracciasse tutti i casi ai quali questo metodo è applicabile. E se noi volessimo parlare convenientemente di De Morgan, di Booles, di Jevons, dovremmo estenderci troppo a lungo, e usciremmo dai modesti confini che sin dal principio abbiamo proposti, al nostro studio. Onde ci limiteremo ad accennare brevissimamente come ognuno dei tre filosofi nominati svolgesse le idee dell’Hamilton, rimandando chi fosse desideroso di vedere trattata con ampiezza e profondità questa materia agli scritti magi¬ strali del Bain e del Liard (1). Il Morgan, al pari dell’Hamilton, considerò la Logica come una scienza puramente formale, che nulla ha a vedere con la materia della conoscenza e solo studia le leggi di azione del pensiero, e non tratta se non delle cose in relazione col pensiero e di questo in relazione con quelle. Vi ha per lui- inferenza quando le due premesse sono universali, o quando, una sola essendo particolare, il termine m e d i o  h a _qu. sperimentali; le seconde sono comprensive di tutto ciò che del creato può venire a cognizione dell’uomo. Seguace di Galluppi fu invece, per quel che si rife- ( risce al Raziocinio, il Rosmini, il quale come già nel Nuovo Saggio erasi proposto il problema della conoscenza, ricercando il punto ove sensibililà ed in¬ telletto si congiungono insieme per produrla, così nella Logica combattè Bacone perchè aveva preteso che solo con l’Induzione si riuscisse a scoprire le verità, contrapponendola al Sillogismo, relegato fra gli istrumenti vani ed inutili. Il Raziocinio, pel filosofo di Rovereto « dimostra la precedenza della verità ueH’uomo a lutti i trovaraenti particolari del pensiero. » Esso ha valore sia nel campo teorico sia nel pratico: perocché pel primo riguardo bisogna considerare: 1° che solo l’uomo eser¬ citato nelle inferenze si mantiene coerente nei ragio¬ namenti; 2° che il ragionamento acquista con l’illa¬ zione precisione e chiarezza; 3° che una dottrina non è ridotta in forma di scienza se non quando essa è ridotta ad un principio del quale tutto ciò che essa contiene sia una serie di conseguenze le une derivate dafie altre; 4° che l’inferire le conseguenze da principi conduce alla scoperta di nuove verità; 5° che le inferenze scoprono nuovi veri non solo nella dialettica e nella metafisica, ma anche nella fisica. Nel campo 1; Bufalini -Quesiti sul metodo scientifico. Proemio. Rosi; “T ~ L ° SÌCa N ’ 1002 - °P->. Secondo il affermai 30 certo ^P^to aveva ragione l’Euler quando Sillogismo V 6 *-° gni ve “ til dev e essere la conclusione di un Uogismo, le cui premesse siano indubitabili. pratico poi il Raziocinio è di somma importanza: perchè l’uomo il quale mostra coerenza nei pensieri e nei ragionamenti suole essere coerente in atte le sue azioni; perchè anche negli uffici pri¬ vati e pubblici il più efficace principio è quello della coerenza, laddove l'incocrenza rende deboli i governi stessi, e guasta l'esito di ogni grande impresa. Di queste dottrine si fecero sostenitori anche il Mamiani, il quale affermò apertamente che il pensiero se non fosse aiutato'dal Raziocinio non potrebbe in molti casi farsi strada à scoprire attinenze recondite piene di grande dottrina (1); e Gioberti che, dopo aver sostenuto il progresso discorsivo essere il successivo conoscimento che l'uomo ha dell’atto crea¬ tivo e del progresso cosmico (2), nella Teoria del Sovranaturale scriveva: « Il progresso che la causa efficiente fa dal principio sino alla fine nello svolgi¬ mento successivo della creazione, corrisponde al processo intellettuale che fa la mente dai primi principi sino alle ultime conseguenze nella esplicazione suc¬ cessiva della scienza, e che si Chiama discorso. Per tal guisa il ragionamento dell’uòmo è parallelo ed analogo col processo della natura, e là logica, ossia la sillogistica, si riscontra nella cosmologia (3) ». (i; ROVERE (si veda) afferma cbe l’elemento estrinseco del ragionare importa assai più di quanto si creda ai giorni nostri, onde' ammonisce che non si deve distruggere l’opera della Scolastica,, ma ravvivarla con più largo spirito filosofico. (Del Rinnova-, mento della filosofia antica italiana.  Cap. XIII, pag. 110). (2) Gioberti — Introduzione allo Studio della Filosofia, Voi. Il,' pa. (8) Gioberti — Teorica del Sovranaturale. Compiuta così rapidamente l'esposizione delle dottrine dei filosofi intorno al valore del Raziocinio, ci rimane a farne una critica equa e severa, per poter poi m fine dedurre un giudizio che non pecchi di esagerazione. Poiché la logica posteriore ad Aristotele non fu, per dirla con un acuto critico francese, che un - « eco dei filosofi o un’opposizione impotente contro teorio che si appoggiano sulla verità (1) ». E quel che ò più, esagerarono i filosofi dell’una e dell altra specie;, gli uni rendendo la Logica aristotelica un vuoto for¬ malismo e sostenendo il valore del Raziocinio là ove non dovevano; gli altri combattendolo anche in ciò- in cui non era impugnabile. Ed in vero, come vedemmo, nel secolo XVI cominciò contro la Sillogistica di Ari¬ stotele un'opposizione fierissima, la quale credette di abbattere, ma non riuscì che a far vieppiù risplendere la gloria di quell’opera immortale. Tale movimento contrario allo Stagirita cominciò col Ramo in Francia, e per mezzo di Bacone e Cartesio continuò fino al Locke, spirito profondo, il quale seppe per un istante far disprezzare l’opera che per circa venti secoli aveva istruito lo spirito umano; finché col Coudillac parve che tutta l'ammirazione per Aristotele fosse svanita affatto, nè si ricordassero i principi e la storia del - l'Analitica antica, nè più si distinguesse la pura e genuina dottrina dello Stagirita dai travestimenti che l'età di mezzo le aveva imposti. Fu vanto del Leibniz 1 aver proclamato che Aristotele non era irreconcilia¬ bile con lo spirito moderno, e l’avere sostenuta la importanza innegabile del Sillogismo, che egli chiamò una delle più belle invenzioni dello spirito umano. (1) Saint-Hilaire — De la logique d’Aristote. La reazione del Leibniz fu continuata dal Kant, •dall’Euler, dal Lambert, seguendo la sentenza del sommo filosofo di Kónisberg, che alla Logica quale •era stata fissata da Aristotele nulla v ! era da aggiungere. Poi contro il Alili, il Bain, lo Spencer, i quali nel giudicare il Sil¬ logismo avevano ripreso le antiche teorie degli Scettici, insorsero nella stessa Inghilterra 1’Hamilton, il Mor- -san, il Booles, benché cercassero a torto di semplifi- care un’opera che non ne aveva bisogno, e riuscissero invece ad imbrogliarla e ad ottenebrarla, e, molto meglio, in Italia l’utilità del Raziocinio fu sostenuta dai più grandi pensatori, dal Galluppi al Rosmini, dal Gioberti al Mamiani. Ed a ragione; poiché la Logica antica non è falsa, bisogna saperla applicar bene: come avvertiva il nostro grande Galilei; e la scoperta del Sillogismo, vanamente contestata, porta in se stessa qualche cosa di prodigioso, come osserva Saint-Hilaire. Rien ne la revèle avant Aristote, scrisse il grande critico francese, après lui rien ne la peut renverser. Une école de plnlosophie a tentò inutilement aprés dixhuit siécles, d’en nier la vórité et la valeun ses efforts impuissants n’out pu prévaloir; 1 esprit philosophique, à l’heure qu ’il est. vit de nouveau •de la foi aristotélique, et il croit, d’après elle, à des principos genéraux et indemontrables dans l’intelli- gence, sources de la démonstration et du syllogisme. Saint-Hilaire, De la logique cl’Aristote. Critica delle obiezioni mosse eontro il valore del Raziocinio. Le obiezioni mosse da alcuni filosofi contro il genuino valore del Raziocinio possono dividersi in due categorie: le prime riguardano il Sillogismo come forma tipica' di ogni argomentare deduttivo, le seconde lo riguardano come fondamento dcirinduzione: delle une e delle altre dobbiamo fare una critica breve, ma più che sarà possibile esatta; e cominciamo senz’altro dalle obiezioni della prima specie. La legge principale del Raziocinio è che la maggiore contenga la conclusione: da essa trae la sua forza il Sillogismo, ad essa si riducono le altre otto regole riferentisi ai termini ed alle proposizioni. Ebbene, Mill, Erberto [cf. ERBERTO GRICE] Spencer e tutti gli altri Logici inglesi della loro scuola affermano che appunto per essere la conclusione contenuta nelle premesse il Raziocinio è del tutto inutile. Bisogna però intendersi intorno al significato da darsi alle parole « contenuto nelle premesse. Con tale espressione intendiamo di dire che la conclusione è contenuta IMPLICITAMENTE – cf. H. P. Grice, Aspects of reaoning, Implicit reassoning, Implicature, Explicature] nella maggiore, perchè se vi fosse contenuta « espli¬ citamente la maggiore sarebbe particolare e non più universale. Ma è regola del Sillogismo che nulla si può concludere da due premesse particolari. La conclusione è adunque nota in virtù del Raziocinio che rende esplicita la notizia prima implicita, o per lo meno, nei casi in cui la conclusione fosse già nota prima come fatto, eleva la notizia al grado di scienza. In realtà l’illazione non ha servito a formare le premesse, e non è vero che una proposizione generale si possa applicare solo ai casi nei quali è stata verificata; l’esperienza stessa contraddice l'affermazione, giacché quando affermo: Tutti gli uomini sono mortali, Caio è uomo, Caio dunque è mortale », il caso di Caio ancora vivente non ha potuto servire a formare la premessa generale. Talora il Sillogismo anche di sussunzione può essere ben più diffìcile, potendo essere difficilissimo vedere se un soggetto si riporta o no ad una classe avente una determinata proprietà, o la ragione per la quale un soggetto ha o non ha una proprietà qualunque. Naturalmente la conclusione dev’essere contenuta nelle premesse, e il- Raziocinio è precisamente l’operazione del pensiero necessaria per dare forma logica dimostrativa alla contenenza della illazione nelle premesse. Del resto la maggiore non ha una universalità puramente quantitativa, la quale sarebbe distrutta da un solo caso particolare contrario, ma è una legge, cioè un universale quantitativo. L’operazione sillogistica, come fu avvertito acutamente. non è quindi diversa nel Sillogismo di sussunzione dalla funzione interpretativa del magistrato che applica la legge al caso speciale, operazione anche questa non facile e dalla quale si riconosce il valore del giurista. Senza contare che non tutti i Sillogismi sono e tipo di quello citato da Stuart Mill; poiché ve ne sono alcuni nei quali non si applica solo una regola generale ad un caso speciale, ma in cui le due piemessc Masci, Elementi di filosofia, Logica. sono proposizioni generali, e la conclusione è una proposizione generale che non può essere provata con Tlnduzione, senza ricorrere ad esperienze del tutto diverse da quelle dalle quali le premesse sono state provate. Questo è il ragionamento che ha luogo quando noi veniamo a conoscere che un dato fenomeno X ha costante relazione con un altro Y, non valendoci di una generalizzazione ottenuta dall’aver osservato i fatti nei quali si riscontra la connessione tra X e Y, ma servendoci della conoscenza ehe abbiamo di una relazione tra X ed un terzo fenomeno Z e tra Y e lo stesso Z. In tal caso non v’ha dubbio che con la Deduzione perveniamo a nuove cognizioni, a scoprire cioè certe analogie che la semplice osservazione non ci avrebbe fatto percepire. E, per concludere, il dire che ciò che si afferma nella conclusione è già compreso nelle premesse è precisamente un mettere sempre più in luce l’importanza del Raziocinio, perchè si viene a dire che con esso colui il quale sapientemente trae le sue deduzioni rende fruttuose le premesse di cui si serve nel suo ragionamento, al modo stesso che il lavoratore con l’opera indefessa rende fruttuosa la terra, traendo alla luce i tesori che essa nasconde. Del resto i Logici inglesi a provare la inutilità del Raziocinio si valgono pei primi di un Sillogismo vero e proprio: Quel che è conosciuto, essi dicono, non ha bisogno di essere provato; ma una illazione contenuta nelle prèmesse è nota; dunque non ha bisogno di essere piovata. Or bene o essi considerano veramente inutile il Raziocinio, e in tal caso non vediamo la ragione per cui se ne debbano valere nelle loro dimostrazioni, e special¬ mente poi in questa; o di fatto lo erodono giovevole alla ricerca della verità, e non sappiamo perchè debbano con tanto accanimento disconoscerne a parole il valore. Cosi cade anche l’obiezione che il sillogismo sia viziato da una petizione di principio, poiché l’illazione non ha servito a formare la premessa, e la validità di questa è indipendente da quella dell’altra; obiezione sorta perchè la Logica delle scuole considerava la maggiore come universale semplicemente quantitativo, laddove l’universalità della premessa esprime non già una somma, ma una legge. Se il Sillogismo fosse il rapporto analitico dei concetti, distribuiti secondo la loro estensione, servirebbe a classificare formalmente i concetti, non già a scoprire nuovi veri: onde il Raziocinio non è punto un sofisma, come pretese qualche filosofo. Mill, di fronte alla inconfutabilità di questa verità, cambiò la teoria del ragionamento in generale e del deduttivo in ispecial modo, e sostenne che in¬ esso non si procede dal generale al particolare, ma dal particolare al particolare. Da ogni esperienza, sono press’ a poco le sue parole, nasce l’aspettativa che il caso futuro sarà simile a quello sperimentato, e la fede cresce a mano a mano che aumentano le esperienze accordantisi; la maggiore è un registro abbreviato di inferenze, una assicurazione che le esperienze passa e singolare a legge e giunga al principio die il furto deve andare impunito, vede meglio tutta l’enormità dell’assoluzione. Il Sillogismo poi, secondo Mill, ,rj 0 va perché il ragionamento fondato sulle regole ha maggior evidenza e persuasione di quello fondato sui precedenti e sugli esempi. Non occorre dopo quello che abbiamo detto sopra fermarci molto a confutare l'opinione del filosofo inglese: è chiaro che egli confonde il processo psicologico, il quale va dal particolare al particolare, col procedimento logico, che ha per ufilcio di dire quando l’inferenza è legittima: ed è tale quando la maggiore non è un registro di inferenze ina una vera legge. Onde, concludendo, nel Raziocinio: « Tutti gli uomini sono mortali: TIZIO (si veda) è uomo; Tizio dunque è mortale, si può dedurre la mortalità di Tizio quando consta che egli è uomo. Che so la proposizione generale fosse un semplice registro di inferenza, e una somma dei particolari osservati, se esprimesse un semplice ricordo del passato, nulla si potrebbe inferire dei particolari futuri. Ma qual me¬ raviglia se Stuart Mill con tanto accanimento impugnò il valore del Raziocinio? Egli riguardo alle idee uni¬ versali ed al principio di causalità la pensava come Hume [cf. Grice, HUMEIAN NATURE], il quale non solo negava ogni valore oggettivo all’idea di sostanza come il Locke, e la realtà delle idee astratte come il Berckeley, ma so¬ steneva che non possiamo nò percepire nè dimostrare la causalità, quindi l’ammettiamo per abito, perchè associamo due fatti che vediamo succedersi costantemente l’uno all’altro. Un obiezione che a tutta prima potrebbe parer grave fu pure mossa da alcuni Logici contro il Raziocinio; essi dissero che la sua efficacia sta tutta nella con- nessione di nostri giudizi, quindi non ci assicura che della loro coerenza; esso è nè più nè meno di una tecnica delle relazioni dei concetti, che ha un ufficio secondario nella prova scientifica. Così il Sillogismo viene concepito alla maniera di Bacone, il quale gli negò ogni valore oggettivo per sè e lo stimò in tutto subordinata airinduzione, la sola adatta a scoprire i principi delle scienze. Per ammettere vera e legittima ouest’obiezione bisognerebbe credere con Pirrone Ene- side. no e LEONZIO (si veda) che la verità non esiste e che noi non la possiamo conoscere in sè, avendo le nostro cognizioni valore solo relativo. Colui il quale pertanto no°i sottoscrive allo scetticismo assoluto, vero suicidio del pensiero, come ben fu definito (1), nè d aiti a par e si appaga del dommatismo, che ammette il combacia- mento assoluto tra la mente e la realtà, perchè con- trario ai risultati della filosofia critica e non consentito dalla ragione e dall'esperienza inuminate, nè ha fede nel semiscetticisrao Kantiano, giu m ier o »e surriferita degna in tutto della filosofia dell «neono scibile II vero è che la connessione dei nostri 0 iud.z non è mera legge formale subiettiva del P^ sie ™;“ a essa deriva dalla connessione delle cose nel . . a La forma della conoscenza non può stare d,s 'unto dalla materia; nè il pensiero da un qui tesato; Le nostre cognizioni non possono essere vere M non sono conformi alla natura deg i o iie , a ’l la il Baziocinio non deve essere vero solo quanto a la forma, cioè alla °e a dizi, ma anche per quel che riguarua natura dell’oggetto su cui verte il ragio ValdarniaL (si veda), Saggi di filosofia teoretica. il Sillogismo assicurandoci della coerenza dei nostri pensieri ci garantisce che essi sono conformi alla realtà. Erberlo Spencer ha creduto che manchi un principio- fondamentale, un assioma sul quale si fondi il valore della Deduzione sillogistica: principio che, secondo il suo sistema filosofico dovrebbe essere unico, ed avere valore oggettivo, essere cioè una legge della realtà, non solo del pensiero. Ciò sarebbe vero se si concepisse la conoscenza come imitazione passiva, copia della realtà; ma la conoscenza nel suo procedimento logico deve essere considerata come lavoro di sintesi e di analisi mentale, che passa per una serie più o meno lunga di nessi ideali per giungere al nesso reale. E affermando l’intelletto affermiamo la realtà di un ente, capace per sua natura d’intendere, pensare e cogliere il vero; il pensiero si radica nella realtà e partecipa dell essere universale: ed infine corre un'in¬ tima armonia tra le leggi formali del pensiero e le leggi reali che governano la natura dell’essere intel¬ ligibile. « Se la conoscenza, osserva giustamente il Masci, è via alla realtà, se questa via è quella delle forme logiche e specialmente del ragionamento, il principio di queste non deve dire quale dev'essere la realtà, ma quale dev'essere il procedimento del pensiero per apprenderla mediatamente, cioè quando essa è l’oggetto dell’esperienza diretta. Un tale principio non potrebbe essere un principio della realtà, bensì solo un principio del pensiero nella ricerca mediata e indiretta della realtà, lo schema di un procedimento che ha in sè stesso quel carattere di logica evidenza che è criterio di verità. Masci, Elementi di Filosofia Logica. I Logici non sono d’accordo sul principio logico for¬ male del Raziocinio, e se Aristotele formò detto prin¬ cipio tanto sotto il rapporto dell’estensione, quanto, sotto quello del contenuto dei concetti, la Logica tradizionale lo espresse col « dictum d e omni et de- nullo », Kant la formulò nel « nota notae est nota rei; repugnans notae repugnat rei ipsi », altri come- l’Hamilton lo presentarono nella forma dell’eguaglianza delle parti col tutto, lo stesso Spencer ammise che la ^isti tuzione dell'identico sia il procedimento generale dei Raziocinio, e già il nostro CAMPANELLA (si veda) affermato che la virtù di concludere questo da quello è nel Sillogismo per forza di identità. Ma a dire il vero i principi sui quali si fonda¬ la legittimità dei nostri Raziocini, non meno di quella, dei nostri giudizi, sono i tre che emanano immedia¬ tamente dalla nozione di ente: quello di identità, :l quale, applicato alla quantità, si trasforma nell’assioma « il tutto è maggiore delle parti », ed alla causalità nell’altro « non v’ha effetto senza causa » ; quello di contraddizione, e quello di mezzo escluso. In fatti come il secondo e il terzo sono fondamento del Sillogismo- di seconda figura, cosi il rapporto di principio ad effetto è il fondamento del Raziocinio ipotetico, e pel disgiuntivo vale il principio dell’alternativa, che è una forma di quello. Concludendo, questo principio non ò oggettivo ma formale, non è legge della natura ma del pensiero, non è l’assioma, ma gli assiomi fondamentali del pensare, i primi ed evidentissimi, che non sono dimostrabili, ma si devono ammettere come in¬ contrastabili: essi sono la base di ogni ramo della [CAMPANELLA (si veda), Universalis philosophia. scienza, non essendo essa se non un sistema di cogni¬ zioni dimostrate e dipendenti da un solo principio, o in breve, come voleva Gioberti « l’esplicazione di un principio (1) ». Tali assiomi infine non derivano già dal senso, nè da un intuito primitivo; chè la nostra natura non ha alcuna determinazione, bensì l’attitudine- a conoscere gli obbietti, come e quando a lei si presentano; e come il senso percepisce diretta- mente il sensibile, così l’intelletto coglie l'intelligibile e in tal modo noipossiamo percepire con le nostre facoltà l’essere ideale e reale delle cose. Qui cade in acconcio di rispondere due parole a coloro i quali pur concedendo che il Raziocinio serva all’appli¬ cazione dei principi ai casi particolari, mettono fuori di esso I Induzione inventrice dei principi. Anche nell’Induzione è sempre sottinteso un principio universale, da cui parte e su cui si appoggia ogni ragionamento induttivo. L’assioma è il seguente: « Ciò che in una data specie di cose è sempre avvenuto in un dato modo, avvei rà sempie in questa stessa specie nella maniera medesima, quando le circostanze siano le stesse »; ciò equivale a dire che la natura è governata da leggi fisse e costanti. Ma, di grazia, donde deriva questo principio, se non dagli altri di causalità e di sostanza, dai quali trae tutta la sua forza? Onde l’Induzione considerata sotto questo rispetto può mettersi sempre in forma di Sillogismo, e può benissimo definirsi « la funzione della mente per la quale applicando un principio universale ad alcuni fatti particolari da noi ossei vati, questi generalizziamo con una proposizione esprimente un principio od una legge generale che Gioberti, Introduzione allo studio della filosofìa. ooi affermiamo esistere in natura. Del resto uno dei principi di tutte le nostre conoscenze è il principio di causa, che ha un valore universale, ideale e reale ; ideale appunto perchè è la forma di ogni conoscenza; reale, perchè nei modi e limiti suoi tutto il mondo ci si svela. Lo stesso Mill è costretto a riconoscere questi principi supremi razionali, che sono necessari all’Analogia, all’Induzione imperfetta e alla Deduzione; « e, osserva giustamente il Cantoni, non si può concludere da un particolare ad un par¬ ticolare senza ammettere implicitamente come valido il principio generale, e non si può dare vera, assoluta universalità ad un giudizio senza presupporre i prin¬ cipi supremi della ragione. Rimane ad esaminare l’ultima delle obiezioni mosse al Sillogismo, come forma tipica di ogni argomentare deduttivo. Alcuni Logici, tra cui il Cantoni, osservarono che il Sillogismo non corrisponde a tutte le argomentazioni rigorosamente conclusive. Le regole dei modi di prima figura sono: 1° la maggiore dev'essere sempre universale, ma può essere affermativa o negativa; 2° la minore dev’essere sempre affermativa, ma può essere universale o particolare; la conclusione ha sempre la qualità della maggiore e la quantità della minore (3). Se dunque la minore in un Sillogismo di prima figura in tutti i suoi modi dev’essere affermativa, questo Sillogismo (che cita il Cantoni) « soltanto gli esseri liheri nelle loro azioni sono responsabili, i pazzi non sono liberi, dunque i pazzi non sono re¬ sponsabili », in forza di quel « soltanto conclude Corte, Elementi di filosofia. Cantoni, Elementi di Filosofia. Logica. PEIRETTI (si veda), Compendio di Logica generale. legittimamente. Non occorre una lunga discussione per dimostrare che questa obiezione non regge, poiché quando si dice che la minore dev’essere affermativa, si intende in senso logico, non già grammaticale; onde nel Raziocinio surriferito la minore è gramma¬ ticalmente negativa, ma logicamente affermativa, che equivale a dire: « i pazzi sono non - liberi ». E veniamo ad esaminare le obiezioni mosse contro il Raziocinio come fondamento dell'Induzione; perocché ad alcuni Filosofi non parve che questa prenda dal Sillogismo la sua forza, come non era sembrato che ogni specie di argomentazione deduttiva prendesse da esso la sua chiarezza. Abbiamo già accennato in breve al principio che governa l’Induzione, ora aggiungiamo che essa conchiude dai fatti alle cause, dai fenonemi alle leggi, dal particolare all’universale, in forza della Deduzione stessa, pei seguenti principi impliciti, che, come avverte acutamente il Professor Martini (1), si collegano in forma di Sillogismo. « Ciò che pur va¬ riati gli aggiunti si è osservato essere fenomeno o legge costante in molti particolari, in circostanze di¬ verse dev essere effetto non delle circostanze diverse ma di quello che nei particolari è costante e comune. Ora ciò che nei molti particolari, nel resto diversi, è solo costanto e comune è la loro natura. Dunque que fenomeno o legge costante in essi osservata é effetto della loro natura. Ma ciò che è effetto di alcuna na- tura si ha da verificare in tutti gli esseri che hanno la natura medesima. Dunque si verificherà in tutti i particolari della stessa natura, benché non ancora Firenzo^m diFilosofia - P«MS- 58 (Paravia osservati. » Qui si riduce quella legge che molti asse¬ gnano come fondamento dell’Induzione: « le leggi di natura non mutano, » ove per legge di natura si vogliono intendere non solo le leggi fisiche, ma anche quelle che, fondate sulle realtà, sono regolatrici dell’umano pensiero e discorso. Così intesa, è questa legge il principio che dà all'Induzione la forza di produrre certezza scientifica, benché muova dal particolare contingente. Ciò premesso, ritorniamo all'argomento: la prima delle obiezioni della seconda specie, òche il Sillogismo non sia il tipo ordinario di ogni nostro ragionamento, e non vi sia necessità che noi ci serviamo sempre di tal forma. Quando si considerasse del Sillogismo la sola materia, l’osservazione sarebbe esatta ed avrebbe una certa importanza. Ma se si considera la legge fondamentale del raziocinio e l’inferenza del particolare dall’universale si vede che, se si è dispensati dall’e- sprimere sempre il principio universale che contiene la conclusione, però si è costretti sempre a suppor- velo almeno implicito, e la stessa Induzione dà luogo alle conclusioni generali in forza di un sillogismo sottinteso come vedemmo. L'osservazione poi di coloro i quali affermano che ragionando nessuno adopera la forma sillogistica, non ha alcun valore, perchè nulla impedisce che la mente possa nella pratica intuire nessi remoti e sopprimere un certo numero di nessi intermedi. Allo Spencer, che nei Principi di psicologia afferma esservi ragionamenti i quali non potrebbero mettersi in forma sillogistica e cita in proposito alcuni esempi, si deve osservare che egli non doveva accontentarsi di affermare, ma aveva anche l’obbligo di dimostrare tale impossibilità, la quale nel fatto é solo relativa ; e del resto solo perchè qualche ragionamento non si lascia disporre negli schemi sillogistici, non si può perciò rigettare tutto quanto il Sillogismo. A coloro infine i quali affermano che il Raziocinio deduttivo non forma compiutamente tutti i procedimenti del pensiero nel ragionare si può osservare che neanche l'Induzione generalizzatrice dello scienzato non è per lo più prodotto di un discorso pei singoli casi, che spesso da un solo caso lo scienziato vede le condizioni della validità di una legge, Che se dal non essere formulalo il ragionamento si dovesse concludere che non c'è, allora la Logica dovrebbe, come osserva giustamente Masci, cedere il suo dominio tutto alla Psicologia. La prova segue la scoperta, ma non per questo è meno necessaria per convertire in sicuro possesso le verità trovate. Mill [cf. H. P. Grice, “MORE GRICE TO THE MILL”] e Bain osservarono che il Raziocinio é la riprova dell’Induzione; è un processo di verificazione. Onde fu detto che Mill non annientò il valore del Sillogismo; ma, di grazia, quando ammette che esso non serve alla scoperta di alcuna verità, noti viene a disconoscergli ogni importanza? Un’Induzione dal particolare al generale seguita da una Deduzione, osservò il filosofo inglese, è una forma in cui possiamo ragionare; ed è indispensabile porre in forma sillogistica un ragionamento, quando abbiamo dubbi sulla sua legittimità. Ed anche ciò è vero, perchè ufficio del Raziocinio è quello di smascherare gli errori dei falsi ragionamenti; ed in tal modo non solo esso è strumento di scoperta della verità, ma ha anche un [Masci, Logica, Masci, Logica. compito altamente nobile.se è vero che, come afferma Genovesi, « gli uomini dove non siano aggirati dal falso hanno sempre bastante forza a vedere le più importanti verità. Bain condivise il parere del Mi 11, sostenendo che « uno dei grandi servigi che rende la forma Sillogistica è di analizzare, di mettere in tutta la loro luce e di presentare ad un esame separato le parti differenti di una serie o di una catena di ragionamenti. E'sta bene il Raziocinio ha un reale valore come fondamento dell’Induzione, segue che ne divenga la riprova. Ma non per questo l’obiezione ha valore universale, perché nelle scienze di deduzione si danno Sillogismi che sono unica forma di ragionamento possibile, nè occorre esemplificare, poiché infiniti sono i casi, anche nella sola Matematica, che confermano quest osservazione. Del resto se in natura noi vediamo che l’universale contiene il particolare, il Raziocinio non può non essere il tipo perfetto di ogni argomentazione. Veniamo all'ultima e più universale obiezione: «il Raziocinio non vale alla scoperta del vero ; esso serve tntt’ al più a chiarire e ordinare i nostri concetti. » Che realmente compia questo secondo ufficio non vi ha dubbio alcuno, ed anche in ciò consiste la sua importanza, perchè se i concetti sono oscuri e non si vede la dipendenza loro non si possono dire scientifici; perocché conoscere scientificamente una cosa equivale, per dirla con VICO (si veda), a conoscerla ne suoi principi, e nelle ragioni. È questa un utilità del raziocinio che si può esperimentare quotidianamente. Ma Genovesi  Logica per i giovanetti. Bain, Logica deduttiva e induttiva. ben piccola sarebbe l’utilità del Raziocinio se si limitasse a ordinare le nostre conoscenze; esso serve pure a condurre lo spirito all’acquisto di nuova scienza, che ci sarebbe impossibile acquistare senza il suo aiuto. Su questo punto importantissimo ritorneremo in seguito, qui basterà che ci fermiamo ad una semplice e brevissima confutazione dell’obiezione, ripetuta da Logici di tutti i tempi, a cominciare da Sesto Empirico, per venire Ano a Bacone.e poi giù giù fino a Mill ed alla sua scuola, che cioè il Sillogismo non vale alla scoperta del vero. Prenderemo le mosse da un. passo della Logica di Cantoni (11, nel quale l’insigne professore dell’Ateneo di Pavia fa sua la obiezione espressa già in altri termini da Mill e da Baili. « Con la prima figura, egli dice, che da alcuni' è riguardata come la forma fondamentale e tipica del ragionamento umano, si viene ad affermare di una specie una proprietà deh suo genere. Ora un ragionamento simile pei" solito non si usa nè per dimostrare- le proprietà di un oggetto, nè per discopricele, giacché- solitamente noi Affermiamo che un oggetto appartiene- ad un dato genere quando vi abbiamo osservato e riscontrato le sue proprietà più essenziali ; così non è- naturale questo Raziocinio: Gli organici muoiono; gli animali sono organici, dunque anch’ essi muoiono; perchè tale qualità del morire si è dovuta riscontrare negli animali prima di dirli organici. » Il Cantoni va anche più in là quando afferma che « tali Raziocini valgono ancor meno nella Matematica, la quale nella costruzione stessa dei concetti viene via via attribuendo- alle specie tutte le proprietà dei loro generi senza [Cantoni, Logica. bisogno dei Sillogismi. Or bene ciò non ci pare conforme al vero. Lo dimostra per noi Martini già citato. Nell’esempio surriferito egli osserva a Cantoni:  nSagnosi stesso poi diceva parlando del Sillogismo che esso & « l’argomento delle scienze » (Logica, Hegel - Logica, Voi. II, pag. 2GG. per « enumerationem simplicem », l’£7:«Ycdy/i 7ravrwv è cosa puerile, e non esclude la possibilità d’un caso particolare contrario, il quale la distrugga. Nell’Induzione scientifica l’osservatore dopo aver riscontrato un numero di casi sufficiente la compie legitti¬ mando la conclusione con principi universali, come la legge di causalità, nella formola di essa, secondo la quale cause simili in condizioni simili producono effetti simili. Nè l’Induzione sarebbe possibile senza anticipazione del ragionamento sull’esperienza. Galilei ci offre bellissimi esempi di questo procedimento: l'osser¬ vazione dei fatti suscitava nell’animo suo un’idea, che era come la presupposta spiegazione di essi ; su di quella ragionando cercava di ricondurre i fatti stessi come a loro principio. E così egli procedeva non solo per Induzione ma anche per via di Deduzione; questa però era sempre provvisoria; ipotetica, perchè ad ogni passo del ragionamento il filosofo naturalista sentiva il bisogno di riscontrare la verità dell’ipotesi coi fatti osservati, e di variare quella secondo la natura di questi: soltanto dopo mature e assidue riflessioni convertiva in tesi la primitiva deduzione. Giustamente perciò Navi Ile  osservava che in ogni ordine di ricerche il metodo si compone di tre elementi di¬ ti; Aristotele Aliai. Pr. Naville, La logiqué de l’hypothése, pag. 68. v L’hypotliése, dice il Naville, intervient dans l’observation et la verification; 1 observation intervient dans 1* l’hypotése, dont elle forme le poiut de depart et dans la vérification, dont elle est la sub* stance. La vérification enfili est inseparable do l’observation qui est son instrument, et de 1* hypothése qu’elle a pour but de detruire ou de confirmer. La mdthode est dono triple dans ^on unite, et une dans sa triplicité. stinti ma inseparabili: osservazione, supposizione e verificazione. Gli esempi del Galilei abbondano, ne riferiremo alcuni fra i più chiari e famosi. Il testo di Aristotele il quale afferma che la caduta dei corpi è in ragione del loro peso fa dubitare Ga¬ lileo; egli vede che i chicchi di grandine muovendo insieme ed essendo di diversa dimensione arrivano contemporaneamente a terra; ne induce che 1 affermazione dello Stagi ri ta è falsa. Procedendo più oltre col discorso forma un assioma e suppone che qualsiasi grave discenda con una velocità, la quale si può alterare senza far violenza al suo corso naturale. Final¬ mente stabilisce la legge che gli spazi percorsi da un grave che cade sono proporzionali ai quadrati dei tempi impiegati a percorrerli, astrazion fatta dal peso: cerca poi la conferma della legge nelle osservazioni della discesa dei corpi pel piano inclinato. Ma è meglio riferire il passo importantissimo del Galilei relativo alla sua scoperta. Nelle Esercitazioni filosofiche di Antonio Rocco, filosofo 'peripoletico, così egli sciiveva. « Resta che io produca le ragioni che oltre alla esperienza confermano la mia proposizione, sebbene pei assicurare l’intellplto, dove arriva l’esperienza, non ò necessaria la ragione, la quale io produrrò si pei vostro beneficio, sì ancora perchè prima fui persuaso dalla ragione che assicurato dal senso. Io un assioma, da non essere revocato in du io a nessuno, e supposi qualsivoglia corpo grave discen en e aver nel suo moto grado di velocità dalla natuia 1 untato ed in maniera prefisso, che volerglielo alterare col crescere la velocità e diminuirgliela non si potesse fare senza usargli violenza per ritardargli o concitar^, 1 il detto suo limitato corso naturale. Formato questo- •discorso mi figurai colla mente due corpi uguali in mole ed in peso, quali fossero due mattoni, li quali da una medesima altezza in un medesimo istante si partissero; questi, non si può dubitare che scenderanno con pari velocità, cioè colrassegnata loro dalla natura, la quale se da qualche altro mobile dee loro essere accresciuta, è necessario che questo con velocità mag¬ giore si muova. Ma se si figureranno i mattoni nello scendere unirsi ed attaccarsi insieme, quale sarà di loro quello che aggiungendo impeto all’altro gli rad¬ doppi la velocità, stantechè ella non può essere accresciuta da un sopravveniente mobile, se con maggior velocità si muove? Conviene quindi concedere che il composto di due mattoni non alteri la loro prima velocità. » Da ciò il Galilei concludeva deduttivamente c ìe se due corpi di materia uguale e di peso diverso cadono con velocità differente, ciò non dipende dalla differenza di peso ma da quella di forma, la quale fa i eie i mezzo in cui discendono opponga alla loro caduta una. resistenza differente. La scoperta della legge di inerzia è dovuta quasi esclusivamente al procedimento deduttivo perchè il l’imno^« q- iTfi ne r Dlalogo dei massimi sistemi affermò Sent ; ' glUngGrVÌ S0, ° COn 'Suzione. Nè tnShll P r 7 DedUZÌ ° ne i! Galilei coprii! ;r d °i d „c' h av r dell ° ( * ™ è “ Olanlsotbbri- mento « „ a,eva caEUAlrneMe visto l’ingrandi- “ 8geU ' ? fabl,ricat0 “ telescopio^ ritrovai di “n «r P | r Vm , dÌSC ° rS °- Questo ertiselo coarta ,Clr ° sol ° 0 dl P"> di uno; di u „ s „| 0 „ pu6 Gol.l», Prose scelte ed annotile da A. Conti. Cap.VIII. j essere perchè la sua figura è convessa cioè più grossa nel mezzo che verso gli estremi, o è concava, cioè più f. sottile nel mezzo, o è compresa tra superficie parallele, ma questo non altera punto gli oggetti visibili col crescergli o diminuirgli; la concava gli diminuisce, la convessa gli accresce bene, ma gli mostra assai indistinti ed abbagliati, dunque un vetro solo non basta per produrre l’effetto. Passando poi a due e sapendo che il vetro di superficie parallela non altera niente, come s’è detto, conchiusi che l’effetto non poteva neanche seguire dall’accoppiamento di questo con alcuno degli altri due. Onde mi restrinsi a voler esperimentare quel che facesse la composizione degli altri due, cioè del convesso e del concavo, e vidi come questo mi dava l'intento ». 11 moto di Venere intorno al sole fu da lui dedotto dal vederla falcata scemare e crescere come la luna . Infine Galileo dedusse resistenza dei monti e delle profondità della luna, dalle ombre e dai lumi non meno che dall’orlo smerlato e luminoso della luna che scemava, apparenze che, secondo lui, escludevano che la luna fosse una sfera liscia e pulita ( ). E tanta era la sua fiducia nel Raziocinio, che a prò posito di quest’ultima scoperta egli ^affermava nel Dialogo dei Massimi sistemi (Giorn.) « Se 10 0SS1 nella Luna stessa, non credo che io potessi con mano toccar più chiaramente l’asprezza della sua super eie di quello che io me la scorga ora con l'apprensione del discorso ». Così egli praticava il metodo sperimen- 1 tale, e laddove Francesco Bacone, il grande suo con temporaneo, non faceva alcuna scoperta ed acco tì leva Galilei - Dialogo dei Massimi Sistemi., Giorn. IH (2) Galilei, Dialogo dei Mass. Sisfc., Giorn.. anche ne’ suoi scritti errori volgari, egli arricchiva la scienza di sempre nuove e straordinarie scoperte, e guidalo dal suo genio non solo osservava ma divi¬ nava, nè mai trascurava di accompagnare il ragio¬ namento all'esperienza. Che dire poi del Newton? Induttivamente egli dalle leggi di Keplero ricavò la legge della gravitazione universale; laddove ragionando deduttivamente sull’ipotesi che la deviazione della luna dalla tangente fosse un caso della gravità terrestre, e calcolandone il valore (riconosciuto poi conforme a! vero) trovò l’identità tra la gravità terrestre e l’attra¬ zione esercitata dalla terra sulla luna (l) Il Bode dalla legge generale di continuità da lui scoperta nei corpi celesti argomentò all’esistenza di uno o più pianeti fra Giove e Marte, il che è poi verificato con la scoperta di Cerere. Pallade, Vesta e Giunone. Leverrier solo appog¬ giandosi al calcolo e al Raziocinio vide, prima che fosse scoperto al telescopio, un lontanissimo pianeta, Nettuno, e ne definì con precisione la grandezza, la posizione e l’orbita. Il Torricelli infine, quantunque verificasse che l’aria è pesante coll’invenzione del barometro, già prima di tale sua invenzione dopo aver osservato alcune qualità sensibili dell’aria aveva concluso deduttivamente che l’aria doveva essere pesante •come tutti gli altri corpi. A tanto può condurre il Raziocinio spinto alle ultime [Newton adopero nelle sue dimostrazioni il metodo sintetico di cui avevano dato l’esempio gli antichi geometri greci, e lo preferì ai metodi analitici allora seguiti general¬ mente. Cfr. G. Rossi « I principi Newtoniani della Filosofia naturale, in Riv. Ital. di fìsosof. sue conseguenze! Perocché la conquista di così straordinarie verità, quali quelle del Galilei e del Newton acquistate alla scienza, non si poteva assolutamente fare con semplici procedimenti di paragone, con generalizzazioni fondate sull’aver scoperto alcune analogie; ben altre attività della mente si richiedevano a tant’opera! L'Induzione sola sarebbe stata infruttuosa; si richiedeva anche la Deduzione, ma sapientemente adoperata; non certo come l’usavano gli antichi, specialmente nello studio dei fatti naturali. Per i moderni da Galileo in poi la Deduzione ha avuto un grande valore nel percepire le ultime analogie tra fenomeni in apparenza diversi e non riducibili alle stesse leggi. Abbiamo detto per i pensatori e scienziati moderni, perché, come avverte un dotto scrittore in un suo opuscolo, per gli scienziati antichi spiegare un fenomeno non voleva già dire farne l’analisi o determinare le leggi della sua produzione, ma ravvicinarlo o identificarlo con altri più comuni, da loro meglio conosciuti. Dal Raziocinio non pretendevano altro che questo servizio, laddove esso sapientemente usato, come vedemmo, può spesso precorrere 1 esperienza, farci spingere le teorie alle loro conseguenze ultime, farci vedere fino a qual segno una legge renda conto di tutti i particolari di un dato fatto. Dalle considerazioni da noi esposte e dai numerosi esempi addotti ci pare si possa concludere che la ricerca in¬ duttiva non è mai compiuta di per sé sola. Il procedimento induttivo e il deduttivo si integrano a vicenda Vailati  Il metodo deduttivo come strumento di ricerca. Lettura d’introduzione al corso di lezioni sulla storia della Meccanica, tenuto a Torino (Roux Pressati). come operazioni inverse, e mentre il primo è la veri¬ ficazione della legge nel fatto, il secondo ne è la verificazione. nella teoria, cioè la spiegazione. Le due vie, dice Augusto Conti, continuamente si incrociano. L’un metodo senza l’altro dà nel falso o resta incompiuto; la Deduzione senza Induzione o forma principi arbitrari e non gli applica con precisione, o gli applica a caso; l’Induzione senza Deduzione non ha regole, nè mostra l’attinenza di ragione per cui si va dal noto all’ignoto, cioè da un principio evidente alla conseguenza. Nè questo è tutto, chè le stesse verità sperimentali acquistano il più alto grado di certezza quando si giunga ad applicar loro il calcolo matema¬ tico, il quale è il più bell'esempio di procedimento deduttivo e viene non solo ad ordinarle le verità, ma anche a dar loro una consistenza che altrimenti sa- sebbe vano sperare, non potendosi dire ritrovata una verità se è di ancor dubbia esistenza. È inutile parlare dell’importanza del Raziocinio nelle scienze deduttive in generale, nè vi è bisogno di ri¬ cordare che tanto colui il quale impara le Matematiche, quanto chi le insegna procedono per via di Sillogismo. E vero che, come affermava il Bufalini, le scienze furono povere e superstiziose finché le guidò la filosofia speculativa, e che solo la filosofia sperimentale fece fare ad esse rapidi e prodigiosi progressi. Ma non v’è chi non riconosca che i Peripatetici e specialmente gli ultimi della scuola abusarono del Raziocinio trascurando l’Induzione. Coi loro metodi non fecero avanzare le scienze fi¬ siche durante secoli e secoli dal punto in cui le ave- Conti, Storia della filosofia. -vano condotte i Greci, salvo arditi tentativi di Rogero Bacone. Ed invero dai principii che il sole è più nobile della terra, che il riposo è più nobile del movimento, che il moto circolare è il più perfetto, che la natura ha orrore del vuoto, non potevasi trarre alcuna spiegazione di fatti naturali, nè dare alcuna spiegazione di fatti naturali, nè fare alcuna scoperta. Ma non bisogna però dimenticare che le scienze giunte allo stadio deduttivo sono di gran lunga più ricche e meglio costituite di quelle che sono ancora costrette, ogni qualvolta si presentano nuovi casi, a fare sempre nuove generalizzazioni, in mancanza di una generalizzazione ultima, atta a ricollegare deduttivamente tutte le sue parti. L’astronomia ha fatto rapidi progressi ed ha raggiunto quel grado di perfezione che ora l'adorna in virtù di una sola gcneializznzione, l’attrazione universale; e cosi la Fisica, pel principio dell’equivalenza delle forze; e la stessa Chimica moderna non esisterebbe senza l’ipotesi che dicesi teoria atomica, nè l'Ottica senza quella che la luco sia un movimento ondulatorio. Che dire poi della Meccanica? Vailati avvertiva giustamente in una sua pregevolissima Lettura tenuta pochi anni or sono all’Università di Torino, che le prime esperienze che fecero progredire la Meccanica furono, più che interrogazioni rivolte alla natura- « veri cimenti a cui l’assoggettavano per sfidarla quasi a rispondere diversamente da quel che avrebbe dovuto.Talora pareva che fossero indotti a sperimentare più per convincere gli altri che se stessi ; poiché i fatti soli potevano scuotere gli increduli. E noi già recammo parecchi esempi del Galilei, più eloquenti di lunghi discorsi. Vailati. In ogni scienza ritrovate le leggi semplici incomincia un procedimento inventivo della Deduzione, che può essere una riduzione od una sintesi. Quantoè rimasta più indietro laStoria naturale! E ciò perché sebbene la teoria dell’evoluzione sia una generalizzazione ultima rispetto- alla Biologia, tuttavia non è così certa nelle sue ipotesi, nè così compiuta nelle sue leggi da potersi affidare al procedimento deduttivo nelle dimostrazioni e ricerche. Perciò fin quando non si dimostri che nella cellula germinativa sono tutti gli elementi costitutivi delle- specie, ed anche i germi del sentire, dell intendere, del volere; fin quando non cesserà di essere un arcano come da un atto meccanico si passi ad un atto psi¬ chico, la teoria del Darvin e dello Spencer potrà allct¬ tare molte menti, - ma non sarà riconosciuta quale accertata verità scientifica. Onde l’applicazione della Deduzione alle scienze è desiderabile pel loro progresso ; e tali vantaggi ha posto splendidamente in luce Vailati nel suo scritto già da noi citato. Uno di questi vantaggi consiste per lui nel « reciproco controllo che le proposizioni legate per mezzo della Deduzione sono poste in grado di esercitare le une sulle altre, e nel vicendevole appoggio che vengono così a prestarsi mettendo in certo modo in comune la forza complessiva di tutti i fatti e di tutte lo verifiche di cui ciascuna di esse dispone. Altro vantaggio infine è quello che si riferisce « alla capacità che ha la Deduzione di semplificare e facilitare la descrizione e la caratterizzazione dell’andamento dei fenomeni al cui studio si applica, permettendoci di rappresentare nelle nostra mente le leggi che li regolano mediante Vailati. un minimo numero di proposizioni abbracciane ciascuna un insieme, il più possibilmente esteso, di fatti particolari e casi speciali. Onde apparisce chiaro che il raziocinio è ben più d’un semplice ordinatore, di un istrumcnto tassonomico che vale a scoprire nuovi veri in ogni ramo del sapere. Le scienze poi non vanno divise in due campi, in deduttive e induttive, esclusiva- mente, in quantoche Deduzione e Induzione, come già vedemmo, si integrano a vicenda in ogni scienza, e si può parlare tutt’al più della prevalenza di un metodo sull’altro, non mai di contrasto. Come non è possibile separare l’Analisi dalla Sintesi, perocché se ogni Analisi nella ricerca ha per fine una Sintesi ogni Sintesi è il risultamento della composi¬ zione di precedenti Analisi; così non si può disgiungere la Deduzione dall’Induzione, perchè quella muove o da principi raggiunti con l’Induzione, o da ipotesi, ossia principi formulati analogicamente, conforme agli induttivi; e d’altro lato alcuni procedimenti, coi quali l’Induzione cerca di raggiungerei principi sono dedut¬ tivi, come si vede nel metodo di differenza. Bisogna poi sempre tener presente che in ogni scienza occorre ad ogni passo la spiegazione la quale in sostanza è una Deduzione, una riduzione del particolare all’universale, una generalizzazione. Che più? Tutte le scienze da induttive tendono, come già dicemmo, a diventare deduttive, ed in’ciù consiste la loro perfezione, sia estensiva sia intensiva. E, per concludere, in tutte le scienze se si trovano nuove cognizioni di fatti con l’osservazione esterna ed interna, col ragionamento e con la riflessione si acquistano nuove VailatL. cognizioni razionali; con 1 Induzione si arriva a sco_ prire verità generali nei concetti particolari; col Ra¬ ziocinio si scoprono le attinenze particolari nelle verità generali e nei principi puri e sperimentali; ed infine non già il Senso con l’Esperienza e l'Induzione, ma la Ragione assorge ai principi supremi, li furmola, e li- applica alle stesse scienze sperimentali. Perocché . i principi generali, di perse stessi, per dirla con Augusto- Conti, « sono astratti e nulla insegnano, e sono come- tesoro, che, posseduto non si spende nè si mette in com¬ mercio e quindi non serve a nulla. Onde il metodo- più acconcio per far progredire ogni scienza è il comprensivo, creato e sapientemente seguito dal nostro’ Galilei. Il vero scienziato deve partire dai summi principi della ragione, ingiustamente dal Locke, dal Borckeley e dall'I-Iume considerati infecondi nella scienza- perchè astratti ed universali. Essi sono indispensabili; al progresso del sapere: indi è necessaria la Matematica- e specialmente la Geometria, perchè, per dirla con GALILEI (si veda), l’universo è scritto in lingua matematica, o- i caratteri sono triangoli, cerchi ed altre figure geometriche, » o in altri termini, « i fatti naturali e le proprietà dei corpi si riducono ad attinenze certe di numero o di spazio; perchè le leggi di natura si rendono, per la mente nostra, generali e costanti ove siano sottoposte al calcolo. Viene poscia in campo l'Esperienza, ma questa deve sempre essere sorretta dal Discorso, nè ad essa lo scienziato deve affidarsi troppo ciecamente, ricordando le autee parole dal Magalotti nel Proemio ai Sugffi Conti o Sartini — Filosofia elementare. (2_1 Cfr. anche Conti e Sartini. di Naturali esperienze dell'Accademia del Cimento. Conviene camminare con molto riguardo, che la troppa fede all’esperienza non ci faccia travedere e ci inganni, essendoché alle volte prima eh’ ella ci mostri la verità, manifesta dopo levati quei primi velami delle falsità più palesi, ne fa scorgere certe apparenze ingannevoli,ch’hanno sembianze di vero [Da ultimo non deve mai trascurarsi l’autorità scientifica, che giova ed evitare ogni eventuale inganno delle proprie osser¬ vazioni e dei propri ragionamenti. Questo è il vero metodo scientifico e non altro; esso è gloria nostra, ed ha rinnovalo tutte le scienze e nuovi trionfi è an¬ cora destinato a riportare pel bene dell’umanità. Non possiamo chiudere questo nostro breve studio sul Raziocinio senza accennare ad un altro suo pregio che nessuno vorrà disconoscere, cioè all’efficacia che esso ha nella formazione del carattere. Poiché il Sil¬ logismo facendo vedere ogni fatto particolare collegato con un principio generale abitua gli uomini alla coe¬ renza, che trasportala nelle azioni dicesi carattere. E giustamente osserva Kant che bisogna operare come se la massima dell'azione dovesse divenire legge universale della natura. Ma alla dottrina Kantiana sublime nella sua rigidezza, non sa uniformarsi se non colui il quale, per dirla con Rosmini, si esercita ed abitua nella coerenza dei pensamenti, enonlasciando sterili in se stessi i principi ne deduce le ultime conti) Magalotti, Saggi di naturali esperienze dell’Accademia del Cimento, Proemio  e A. Valdarnini  Il metodo speri¬ mentale ecc. Kant, Fondamenti della Metafisica dei Costumi, e Critica della Ragion Pratica. ' .. /i\ il rii-attere infatti è 1 abitudine di seguenze (1)- stabilita e di attenervisi fcrysrs rr^rr ! tondamente del carattere è lord,ne morale e . dovere, ma perchè possa effettuare, cosinegl uou« come nelle nazioni « è necessario che tutte le nostre hcoltà "li atti della mente, e le libere operazioni .1 proposito i mezzi e l’intento, fondati sul senUmento è sull’idea della legge morale e del dovere armonizzino fra loro e siano rivolti al vero e piu elevato flne della vita umana e della civile società (3). » E se c vero, come vuole lo Smiles, che la nobiltà del carattere è quanto vi ha di meglio nell'umana natura ; se vero che il carattere stesso degli individui e dei popoli è la forza più potente nel mondo morale, il Ra¬ ziocinio che fortemente concorre a formarlo ci rende un altro grande c segnalato servigio. La coscienza morale poi è complessa: richiede in primo luogo a conoscenza della legge; indi la coscienza di un fatto volontario reale o intenzionale; infine la constatazione che l'atto è conforme alla legge o disforme da essa. Onde la coscienza morale fu da alcuno definita mo to bene: « il giudizio della ragion pratica ultimo circa i particolari fatti umani, dedotti dagli universali pnn- (1) Rosmini — Logica, N. 994. ,010 (2) Fiorentino  Elementi di Filosofia -olZ. (3) Yaldarnini — Elementi di Etica e di diritto, pag* cipì del costume, » e può considerarsi come la con- f clusione di un Raziocinio la cui premessa maggiore è data dai primi principi morali, e la minore dalla coscienza del fatto posto o da porre. j Il nostro lavoro è compiuto: in esso abbiamo cercato di seguire sempre il vero, senza curarci di attenerci ! più a questo che a quel sistema filosofico, nè di abbando¬ narci ad esagerate affermazioni. Dallo studio dei più grandi scrittori di Logica ci è parso che in generale si sia trasceso; da alcuni attribuendo al Raziocinio una soverchia importanza che esso non ha, da altri disconoscendogli ogni valore. Nessuno ha mai potuto nè potrà in avvenire infir¬ mare validamente l’utilità e le regole del Raziocinio, che, esposte in antico da Aristotele, furono riferite in ogni età, e dal nostro Galilei opposte di continuo ai falsi Peripatetici dell’età sua. Ricordiamo sempre che se le scienze hanno progredito nell’età moderna in modo così meraviglioso, ciò è stato perchè non il solo metodo autoritario e deduttivo o lo sperimentale induttivo, ma entrambi felicemente congiunti in accordo armonico le guidarono nel loro cammino. E rammentiamo ancora che, come ammonisce molto saviamente Conti, un empirismo senza rigore di ragionamento e senza guida dei sovrani principi è accozzaglia di fatti, non è scienza, nè troverà mai leggi universali, com’è l’attrazione del Newton e le Conti, Storia della Filosofia. oscillazioni del Galilei. Un idealismo senza osservazione dei fatti, che induca e deduca fuor di quello che essi mostrano, non è altro che tela di ragno, un soffio la disfà, e ce l’insegna la storia. Nè ciò vale solo pei fatti esteriori, ma per gli interni altresì; e come 1 tìsici così hanno i filosofi nel Galilei un maestro sicuro. » Il suo metodo e quello della sua scuola ha dato alla scienza così splendidi risultati, che i grandi scienziati non lo abbandonarono più. « Una è la verità; e se la verità ci si palesa dagli insegnamenti di Galileo, è impossibile che essa stia in insegnamenti contrari.  Paj. 5 6 20 70 88 ■ 105. - 20 linea 23 in luogo (lì irfatfe leggi idi 'os 48 P 22 » delio P della G5 P 15 » rendono P rendono 07 P 15 » Teoria Teorica 70 P 20 > contenuto P contenuta 71 » 23 p quantitativo qualitativo ■ 75 P 1 » di > dei 75 » 7 p subordinata subordinalo 77 » 29 9 i pròni P primi 73 > 10- P percepire conoscere 80 » 0 » che > chi 83 P 9 > E sta bene » li sta beile; 93 » 20 P peripotetioo peripatetico- 90 • 19 » al »■ colhh. Pier Vincenzo Bondonio. Bondonio. Keywords: raziocinio. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bondonio”. Bondonio.

 

Grice e Boniolo: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dell’atleta del vicolo -- le regole e il sudore – filosofia del sudore – scuola di Padova – filosofia padovana – filosofia veneta -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimmin-Pool Library (Padova). Filosofo padovano. Filosofo veneto. Filosofo italiano. Padova, Veneto. Grice: “I like Boniolo; especially that he takes ‘antichita’ seriously – he is right on the emphasis on ‘argomentare’ but obviously the balance shoud be between epagoge and diagoge – I would like to see more diagoge! He has philosophised on other topics, too!” Cresciuto nel Petrarca Basket, debutta in prima squadra diventando in quell'anno il più giovane giocatore di Serie A. Giocò con il Petrarca Basket. Presidente. Laureato a Padova, insegna a Padova, Roma, Milano, e Ferrara. Studia I fondamenti filosofici della biomedicina e sulle loro implicazioni etiche, in collaborazione con diversi istituti e fondazioni mediche milanesi. Svolge ricerca in ambito filosofico, in particolare sulla filosofia della ricerca biomedica e della pratica clinica, nonché di etica pubblica e individuale. Si è occupato anche di filosofia della scienza di filosofia della fisica, di storia della filosofia e della fisica contemporanee. Il suo lavoro  è documentato da saggi pubblicati su riviste.  Membro dell'Accademia dei Concordi di Rovigo.  Altre opere: “Mach e Einstein. Spazio e massa gravitante” (Armando Editore); “Linguaggio, realtà, esperimento” (Piovan); “Metodo e rappresentazioni del mondo. Per un'altra filosofia della scienza” (Bruno Mondadori); “Filosofia della scienza” (Bruno Mondadori); “Questioni di filosofia e di metodologia delle scienze sociali” (Borla); Introduzione alla filosofia della scienza” (Bruno Mondadori); “Il limite e il ribelle: etica, naturalismo, darwinismo” (Cortina);. Argomentare” (Bruno Mondadori); “Individuo e persona. Tre saggi su chi siamo” (Bompiani); “Strumenti per ragionare: logica e teoria dell'argomentazione” (Bruno Mondadori); “Il pulpito e la piazza. Democrazia, deliberazione e scienze della vita” (Cortina); “Le regole e il sudore. Divagazioni su sport e filosofia” (Raffaello Cortina); “Strumenti per ragionare” (Pearson Italia spa); “Conoscere per vivere. Istruzioni per sopravvivere all'ignoranza” (Meltemi); “Filosofia della fisica, Bruno Mondadori, J. von Neumann, I fondamenti matematici della meccanica quantistica, Il Poligrafo); Storia e filosofia della scienza. Un possibile scenario italiano” (Le Scienze); “La legge di natura. Analisi storico-critica di un concetto” (McGraw Hill); “Laicità. Una geografia delle nostre radici” (Einaudi); “Filosofia e scienze della vita. Un'analisi dei fondamenti della biologia e della medicina” (Bruno Mondadori); “Passaggi. Storia ed evoluzione del concetto di morte cerebrale” (Il Pensiero Scientifico Editore); “Etica alle frontiere della biomedicina. Per una cittadinanza consapevole” (Mondadori); Consulenza etica e decision-making clinico. Per comprendere e agire in epoca di medicina personalizzata” Pearson Italia spa,.Poincaré, Opere epistemologiche, Mimesis. Mimesis,. Etica alle frontiere della biomedicina. Per una cittadinanza consapevole (Mondadori).  Apoxyómenos Apoxyomenos Pio-Clementino Inv1185.jpg Autore Lisippo Data Copia latina dell'età claudia da un originale bronzeo circa Materialemarmo pentelico Altezza205 cm UbicazioneMusei Vaticani, Città del Vaticano Coordinate41°54′24.23″N 12°27′12.65″E L'Apoxyómenos (traslitterazione dal participio grecoἀποξυόμενος, "colui che si deterge") è una statua bronzea di Lisippo, databile al 330-320 a.C. circa e oggi nota solo da una copia marmorea (marmo pentelico) di età claudia del Museo Pio-Clementinonella Città del Vaticano. Si conoscono inoltre varie copie con varianti.   Dettaglio  La testa Storia Modifica La statua bronzea dell'Apoxyómenos, assieme ad un'altra statua di Lisippo che rappresentava un leonegiacente, si trovò, in epoca successiva, ad abbellire e ornare le terme di Agrippa in Roma. Tiberio, affascinato dall'opera, provò a portarla nel suo palazzosul Palatino, ma dovette poi ricollocarla a posto per le proteste dei Romani.  Una versione marmorea fu rinvenuta nel 1849 nel quartiere romano Trastevere, nel vicolo delle Palme, che da quel ritrovamento, prese poi il nome di "vicolo dell'Atleta".Unitamente alla statua furono ritrovate anche le statue del Toro frammentario e il Cavallo di bronzo.  L'opera venne esposta, quasi subito, nei Musei Vaticani[3] (Città del Vaticano), inizialmente nella camera del Mercurio, nel cortile ottagonale, quindi fu rimossa e spostata al Braccio Nuovo. Nel 1924 fece il percorso a ritroso e ritornò nella Camera dell'Hermes, dove ci fu un nuovo, più accurato restauro effettuato dal Galli. Questi, tra le altre cose, tolse il dado posto dal Tenerani nella mano destra, provvide a rifare lo strigile, effettuò la sostituzione di vari perni esistenti e infine, vi integrò molto accuratamente le dita distese. Nel 1932 la statua trovò la sua collocazione definitiva nella stanza più propriamente detta Gabinetto dell'Apoxyómenos. Nel 1994 la scultura fu oggetto di una profonda e completa opera di pulitura.  La statua fin dal suo ritrovamento ebbe subito una grandissima notorietà mondiale: di essa fu diffuso il calco in gesso, in numerose copie e in varie parti d'Europa. Una copia del calco, venne richiesta anche dallo scultore Shakespeare Wood, al quale venne donata, per essere poi collocata nell'Accademia di Belle Arti di Madras. In tale occasione e per tale finalità fu realizzata una copia cosiddetta "forma buona", vale a dire, una particolare matrice in gesso; di questa operazione, rimasero visibili le tracce fino a quando fu effettuato l'ultimo restauro.  Una variante del tipo dell'Apoxyómenos è il cosiddetto Atleta di Lussino, un originale bronzeo. Una più simile a quest'ultima, ma con le braccia reggenti un vaso si trova nella galleria degli Uffizi.  Descrizione Modifica L'Apoxyómenos raffigura un giovane atleta nell'atto di detergersi il corpo con un raschietto di metallo, che i Greci chiamavano ξύστρα e i Romani strigilis, in italiano striglia. Era uno strumento dell'epoca, di metallo, ferro o bronzo, che era usato solo dagli uomini e, principalmente, dagli atleti per pulirsi dalla polvere, dal sudore e dall'olio in eccesso che veniva spalmato sulla pelle prima delle gare di lotta.[1] L'atleta è quindi raffigurato in un momento successivo alla competizione, in un atto che accomuna vincitore e vinto.[4]  La versione dei Musei Vaticani si presume sia stata eseguita in un'officina romana di buona qualità, pure se, ad una più attenta analisi, resta qualche piccola imperfezione e decadimento di livello; ne è un particolare esempio la resa della zona interna del braccio sinistro. La statua risulta nella sua totalità sostanzialmente completa e tuttora in condizioni molto buone. Piccoli particolari rovinati si possono riscontrare nella punta del naso, mancante, diverse scheggiature relative all'orecchio sinistro, ai capelli, a una delle mascelle e anche allo zigomo sinistro. Esistono due fratture sul braccio destro; una è situata alla metà circa del bicipite e una seconda sopra il polso. Il braccio sinistro riporta una frattura alla spalla, dove si possono anche notare piccole perdite di materiale e una seconda frattura al polso.  Su una vasta zona dell'avambraccio destro sono evidenti le tracce di leggere corrosioni e di un'antica azione del fuoco. In una delle mani mancano tutte le dita e si notano fori di perni che risalgono ad un precedente restauro.  Mancano anche il pene e una parte dei genitali nella zona inferiore. La gamba sinistra rivela una frattura sotto l'anca. La gamba destra rivela due fratture; sotto la caviglia e sotto il ginocchio.  Stile Modifica Col gesto di portare in avanti le braccia (tesa la destra e piegata la sinistra), la figura segnò una rottura definitiva con la tradizionale frontalità dell'arte greca: le statue precedenti avevano infatti il punto di vista ottimale davanti (un retaggio delle collocazioni dei simulacri nelle celle dei templi), mentre in questo caso per godere appieno del soggetto si deve girargli intorno. Con tale innovazione l'opera è considerata la prima scultura pienamente a tutto tondo dell'arte greca.  La figura si muove ormai nello spazio con una grande naturalezza, con una posizione a contrapposto che deriva dal Doriforo di Policleto; in questo caso però entrambe le gambe sostengono l'atleta e la sua figura è leggermente inarcata verso la sua sinistra, seguendo quel gusto per la dinamica e l'instabilità maturato da Skopas qualche anno prima. Esso si protende nello spazio con audacia, col peso caricato sulla gamba sinistra (aiutata da un sostegno a forma di tronco d'albero) e con una lieve torsione del busto, che spezza irrimediabilmente la razionalità del chiasmopolicleteo, cosicché i pesi non sono più distribuiti con simmetria sull'asse mediano. Il corpo dell'opera è percorso da una linea di forza ondulata e sinuosa, che dà l'impressione allo spettatore che l'opera possa in qualche modo andargli incontro.  Il corpo è snello, con una testa più piccola del tradizionale 1/8 dell'altezza del canone di Policleto, in modo da assecondare un'innovativa visione prospettica, che tiene conto del punto di vista dello spettatore piuttosto che della reale antropometria della figura. Scrisse a tale proposito Plinio che Lisippo «soleva dire comunemente che essi [gli scultori a lui precedenti] riproducevano gli uomini come erano, ed egli invece come all'occhio appaiono essere» (Naturalis Historia).  Apoxyomenos, su museivaticani.va.. ^ Vicolo dell'atleta, su romasegreta.it. . ^ a b Apoxyómenos, su treccani.it, Treccani.  ^ a b Lisippo di Scicione: l’Apoxyomenos, su instoria.it. Voci correlate Lisippo Policleto Scopas Atleta di Lussino Strigile Borrelli, APOXYOMENOS, in Enciclopedia dell'Arte Antica, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Paolo Moreno, APOXYOMENOS, in Enciclopedia dell'Arte Antica, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1994. Portale Scultura: accedi alle voci di Wikipedia che trattano di scultura Ultima modifica 15 giorni fa di Botcrux. Doriforo scultura di Policleto  Atleta di Lussino scultura greca  Eros con l'arco Il contenutoGiovanni Boniolo. Keywords: le regole e il sudore, sweat, sudore, instrument to oil, and get sweat off, strigila, strigil, cricket, golf, football. Grice, captain of the football team at Corpus Christi. His philosophy tutor taught him to play golf. Competed in cricketshire for Oxfordshire. Founding member of the Demi-Johns, ‘philosopher and cricketer’, ‘cricketer and philosopher’. Sluga learns cricket from Grice. References to cricket in THE TIMES. ‘rules of games’ – “The conception of values” – rule, “we don’t like rules, except rules in games and to keep quiet in colleges!” --  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Boniolo” – The Swimming-Pool Library. Boniolo

 

Grice e Bonomi: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale dei quattro elementi – scuola di Roma – filosofia romana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza, pel Gruppo di Gioco di H. P. Grice, The Swimming-Pool Library-- (Roma). Filosofo romano. Filosofo lazio. Filosofo italiano. Roma, Lazio. Grice: “Bonomi is undoubtedly a Griceian – my favourite is his account of the copula – as in ‘The wrestlers are good’ – in terms of what Bonomi, after Donato, calls ‘aspetto’ – S is P, S was P, S will be P, Be P!, and so on – Most of his philosophising is Griceian, such as his explorations on what he calls ‘the ways of reference,’ ‘image’ and ‘name’ in terms of  ‘significato,’ and ‘rappresentazione,’ – he is a Griceian in that he respects ‘la struttura logica’ and leaves whatever does not fit to the implicaturum!”  Insegna a Milano. Nei lavori di filosofia del linguaggio (“Le vie del riferimento” – Milano, Bompiani – “Universi di discorso” – Milano, Feltrinelli) concentra il proprio interesse verso il ruolo che l'apparato concettuale svolge nella determinazione dei contenuti semantici grazie ai quali ci riferiamo a oggetti ed eventi del mondo circostante.  Il suo saggi teoreticamente più impegnativo (“Eventi mentali”, Milano, Il Saggiatore) tratta invece delle modalità logiche che sono alla base delle procedure con cui, nel linguaggio, rappresentiamo i contenuti cognitivi di altri soggetti. Si è poi occupato della struttura semantica degli universi narrativi, concentrandosi in particolare sul ruolo che hanno le cosiddette espressioni indicali nel determinare la struttura spazio-temporale di un testo  (“Lo spirito della narrazione”, Bompiani).  Un saggio di semantica formale è dedicato alla struttura degli enunciati temporali (“Tempo e linguaggio. Introduzione alla semantica del tempo e dell'aspetto verbale”, Bruno Mondatori). A metà strada fra realtà autobiografica e immaginazione si colloca invece la opera narrativa (“Io e Mr Parky”, Bompiani), nella quale si descrivono i mutamenti che intervengono nella vita di una persona che scopre di essere affetta da una patologia neurodegenerativa. Altre opere: “Esistenza e struttura, saggio su Merleau-Ponty, il Saggiatore, Milano); “Sintassi e semantica nella grammatica tras-formazionale” (Milano, Il Saggiatore); “Le immagini dei nomi” (Milano, Garzanti). “Gli analitici lo fanno meglio. Le ragioni di un successo crescente anche tra i filosofi italiani cresciuti nella tradizione continentale, in La Stampa. Scuola di Milano. A DARK and mysterious art, called Alchemy,  which originated with the Arabian sages  about the seventh century, was the parent of  the brilliant and enchanting science of Che-  Baistay. Philosophers of the polemical schools main-  tained that Fire, Air, Earth, and Water, were the Four Elements of Nature; but the disciples  of Alchemy denied the validity of this doctrine,  and asserted that Salt, Sulphur, and Mercury,  were the Three Elements, from whose admixture  or union emanated the various productions of  the a,nima.l, vegetable, and mineral kingdoms. Both notions were erroneous, as the sequel  will prove, but that of the alchemists rapidly  excited intense interest, because it led to the  performance of curious experiments, and to the  observance of strange phenomena attendant  upon the mixture of adds, salts, spirits, and  metala  B  U im  pROMB golci^ ami ieSd findk td  hrrfr^ V>f»^^ duit tiie noe afl»adt»iiL of d  (ftimdhf fA Salt, Salphur, and Mercnrr of tl  ^/r»#» ii^aS wr/tUd eaaase ite TraBSHntaciija ini   Th^» ffAvht^mt^f therefore, consfcroctei powe  fifl f^rrirt^'^^ wvfmUid curious stills^ alembic  I'i^.hdn, t^titf'^)tUmf and much costly and con  fillf'Mf^d h^pnmim for extractrug strong acid  «nJlM, Mifid w<ilvt»fif.«, from minerals and earths.   A1jI»mI ljy llu^Mo tliny (jommenced an arduox  MhrtH'li llihiHwIuMd. mII Nature, for an imaginai   substance, which they named the Philosopher's stone; a minute fragment of this miracle of art,  when discovered, and thrown upon molten lead,  was destined to alter the proportions of its three  supposed elements, to cleanse it fix)m impurity  and dross, and transmute it into pure and effulgent gold  From the laboratories of Arabia, the principles of this seductive art soon spread over  ITALIA, and all ranks of society joined in wild  pursuit of the golden phantom for a long succession of ages; vain was their incessant toil and labour, it eluded their anxious grasp, and instead  of enjoying riches and splendour, they invariably  languished in poverty and misery.   The alchemists, baffled in the acquisition of  metallic treasure, sought after a powerful liquid  for dissolving all things; but this was quickly  abandoned, because an Universal solvent could  not be retained in their retorts or crucibles. Ultiniately they dared to think Immortality  within their reach, and presumptuously endea-  voured to prepare a medicine to prevent the  decay of nature, and prolong life to an indefinite  extent; but disease and death were the grim  attendants upon the operators, who trusted to obtain an Elixir of life amidst the poisozi fiimes of the furnace.   Such were the three grand objects of alchern art, and though abortive in regard to their at:::;^  ticipated results, yet productive of the good eflFec:of inducing philosophers to descend from disput^-'^  upon words, to experiments upon things. Accordingly, out of the vast mass of intricat^^  materials accumulated by the alchemists, a fe^^'  master minds were enabled to select, examin and classify valuable facts, striking experimentsf^  and wonderful phenomena, which had been  either abandoned or forgotten during the infatuated pursuits now briefly described.   The gradual introduction of metallic pre-  parations into Medicine, as substitutes for the  drugs and simples of its ancient practice, and of  others into the arts and manufactures, conjoined  with the publication of essays concerning these  and other experimental facts, eventually drew  the attention of civilized society to the utility of  the labours of the philosophers, who engaged  upon the ruins of the once dearly cherished, yet  delusive art, and in an incredibly short time,  like the fabled Phoenix of Arabia, Chemistry  soared from the ashes of Alchemy. Chemistiy, guided by accurate experiment  sound theory, has attained its just rank in  circle of the sciences, and has proved the Unate connexion of its beautiful facts and  trines, with the wonderful phenomena of the  d, and their great utility when judiciously  applied to the arts of life, in aid of the wants,  orts, and luxuries of mankind. The votary of Chemistry is not chained to  ^Q flaming furnace in fruitless labour after gold,  ^or compelled to invoke witchcraft and magic  for the production of an universal solvent, nor  immured in the dark laboratory, amidst deadly  exhalations, to discover the art of prolonging  life; no! in this happy age, the fetters of  ignorance and superstition are shattered by the  powerful hand of Truth, and he comes forth  with freedom into the glowing sunlight of Phi-  losophy, as the servant and interpreter of  Nature; he looks abroad into the rich and mag-  nificent Universe, calls the delightful scenery all  his own, the mountains, the valleys, the oceans,  the rivers, and the sky; through these wide  bounds he is free at will to choose Whate'er bright spoils the florid earth contains,  Whatever the* waters, or the ambient air. All present him with perfect instances of tb^  consummate wisdom of the Almighty God, wb created a World so fraught with beauty, and \K  their examination he gains materials for refle^^  tion and research, which, if properly applied axx*  pursued, not only enlighten and adorn, hv  exalt and purify his mind, teaching him to ap  preciate the miraculous workings of an Omid  potent and Eternal Power. Chemisfay is the most instructive and de  lightfiil study that can be pursued, because it i  purely a science of Experiment; no anticipatioit  can be formed as to the results which will ensu^  upon the presentation of different substances U each other.  By making experiments with great attentior  and accuracy, and intently studying the results,  philosophers soon discovered the real nature oi  the Four Ancient, and the Three Alchemical  Elements; a short account of the conclusiom  which are thus established will furnish a correct  notion of the modem meaning of the term  Elements, which will frequently occur during  the present inquiry.   Fire is not a peculiar or distinct principle, but a result of intense attraction between two  i   '- or Q^Qpe substancea Air is a mixture of two   S^^QB, called Oxygen and Nitrogen. Earth is a   ooQapound of Oxygen and numerous Metala " ^ter is a compound of Oxygen and a gas *   ^ed Hydrogen.   Salt is a compound of a vapour called Ohio-  ^e, and a metal called Sodiimi; but the com-   P^xxents of Sulphur and Mercury are unknown, "^^lefore these two substances are called Ele-   °^^xits, to denote that they have not been   8*Udysed, and in this acceptation of the term   C^Xygen, Nitrogen, Hydrogen, Metals, and several   ^ther substances, are Elements; altogether there  ^e Fifty -six such Elements: their names are shown in the following list. Aluminum. A metal thus named from the Latin  dt/u/men, clay.   Antdcont. a metal thus named from the Greek  am, agoMisty and imvos, movJc, because  several monks were poisoned by its preparations.  Arsenic. A metal thus named from the Qmk   apcrsytKoy, powerful, on aoooont of iti   strengA aa a poison.  Bariu^l a metal extracted from Baiyta^ ft   heavy mineral thus named frx>m the Gieekj   ^apvs, weight. Bismuth. A metal said to be thus named byi he   German miners, from wiesarruitte, a Uoomr   ing meadow, because of the variegatied   hues of its tarnish.  Boron. A non-metallic combustible, obtained   from Borax, a substance so called from the Arabic, burvJc, brillicmt,  Bromink a non-metallic incombustible liquid. Its name is derived from the Greek, Spufjoi, stench, on account of the insupportable   odour of its vapour.  Cadmium. A metal thus named from the Greek   xaSjw.gia, cola/mine, an ore of zinc.  Calcium. A metal thus named from the Latin calx, Ivme. Carbon. A non-metallic combustible, thus named from the Latin carbo, coaL  Cerium. A metal thus named in honour of the   planet Ceres.  Chlorine. A non-metallic incombustible vapour, thus called from the Greek yO^^pos, green, in  aUusion to its colour.   HRomuM. A metal thus named from the Greek  XP<»f^oC) colour, on account of the varied  hues which its compounds assume.   OBALT. A metal thus named after Kobold, a  sprite or gnome of the German mines. OLUMBIUM. A metal thus named from its dis-  covery in a mineral from CoVwmbia,   DPPER A metal thus named from being ori-  ginally wrought in Cyprus. DDYMITJM. A metal thus named from SiJiz/Aoi,  twins, on account of its resemblance to  Lantanum. LUORINK A non-metallic iminflammable va-  pour, extracted from fluor-spa/r,   LUCINUM. A metal extracted from a mineral  named Glucina; a term derived from the  Greek yXvKv;, sweet, on account of such  taste being communicated by its compounds.   DLD. A metal the etymology of whose 5tiame is  uncertain. YDROGEN. A non-metallic inflammable-: gas,  and being an element of water, it is thus  called from the Greek if^cjp, water, t^d  yBvcj, to generate.   K  Bume a red colour; hence ite name tiOM   ' the Greek ^ dSw», a rose. Selenium. A non-metallic inflammable ela  ment, thus named in honour of the moOE  from the Greek atMvn, the nwon.  SrucRTM. A metal thus named from the Latin   SlLTXB. A metfd, ihe oii^ of whose name is   obecnra.  SoDiuiL A metal obtained from the ashes oJ   a plant called the solaola «m2a.  StbontiuU. a metal extracted from a minera]   discoTersd at j%vn<Ja«.  Sdlphdb. a non-metaUio cnmbustible, whoBC   name is probably of Arabic eztntct^on.  Tbxlukium. a metal thus named in honour o:   the Earth, from the Latin TeUAia, the earth.  Thobintju. a metal thus named in honour o:   the Saxon deitj Thor.  Tin. a metal, the origin of whose name is t  matter of doubt  TiTANiUH. A metal thus named in honour o:   the Tita/ns of heathen mythology,  TtraGSTENUM. A metal thus named from th<   Swedish word tUTigaten, heavy-stone, fron   which it was extracted. ^Hanium. a metal thus named in honour of  the planet Uranus,   ^Akadium. a metal thus najned in honour of Vcmadis, a Scandinavian deity.   TTranjM. A metal extracted from a mineral  found at Ytterby.   ZlKa A metal supposed to be thus named from  the Grerman zi/nJcen, ruiUa.   ZmcoKTCTM. A metal obtained from a gem  called zircoon, by the Cingalese, in allu-  sion to its four-cornered shape.   By far the greater number of the above  host of elements have been elicited by chemical  analysis; very few are presented absolutely pure  by Nature. The Elements may be thus classed:  L Forty-four Metals, Aluminum, Antimony,  Arsenic, Barium, Bismuth, Cadmium, Calcium, Cerium, Chromium, Cobalt, Columbium, Cop-  per, Didymium, Glucinum, Gold, Iridium, Iron,  Lantanum, Lead, Lithium, Magnesium, Manganesium. Mercury, Molybdenum, Nickel, Osmium, Palladium, Platinum, Potassium, Rhodium, Silicium, Silver, Sodium, Strontium, Tel-  lurium, Thorinum, Tin, Titanium, Tungstenmn, Cnac^rcoL TjoimSizsl. YmrmB Zsnc, and 1   IL Tla^ie Gaae&. HrdrQeoL Qo?ai. v   IIL Two Vapcrais. CIjctom* awi FhuHin  V. fSx NoEHiXfcetallic s^aA^ Baran. Cuboi  l^/ijlx*^; Pb</«]>lKAi2£, Selfiimmi. zuA Solphur.   Tl^ H*JpporteirE fA combosdon are BromiiM  CJU^^riuLtf;; FliK/nne, Iodine, and QxygtoL   Ti><<:; O/tnlHutibl^s are. Boron. CarlMMi, H]  dr'>g<^^ Vhf^hfjmu^ Selenium, and Snlphm:   It miitst fie particularly remembered that tli  (itM^mhA doe« not affirm these suhstances to I  Um^ Ai/fmif^f or AWJute Elements of Xature  ou iiit', ^yyutrary, }kh d^r/^ms it extremely probabl  tliiit th'ry rrjAy }>^5 aiialysed or decomposed i  the ^y;ijr«-r; of time, but until this be effectei  he «tyl<?« them Elements for convenience <  diw'.'ijwjion, and as a confession of the limits <  hiii aiialyti/;al skilL   Tlie (yliemist investigatf^js the habitudes <  tlies^i KlefrK^itH, dis^^^ivers how they combine 1  form (Join(>oijndH, and how these combine t  form I)oubl(} compounds; he ascertains th  Weight in which tliesc Primary and Secondary combinations ensue, and how the elements of  all known compounds may be separated; he  determines the laws which preside over all  these changes, and studies to apply such know-  ledge to the interpretation of natural pheno-  mena, and to useful purposes in the arts of life.  Throughout these extensive researches the  Chemist depends entirely upon Experiment;  and the marvels which it reveals are referrible  to the exertion of a power which promotes union  between elements and compounds, even though  their natures be strongly opposed. This power is called Chemical Attraction, Attraction of Composition, or Chemical Affinity,  the latter term being used in a figurative sense,  to suggest the idea of peculiar attachments  between different substances, under the influ-  ence of which they combine so that their indi-  vidual characters are totally changed and disguised. Thus, the Elements Hydrogen and Oxygen,  are gases viewless as air, the one combustible,  the other incombustible, and they are opposed  in other respects, but they have mutual affinity,  and combine to form the liquid Compound  called Water. Quattro elementi Lingua Segui Modifica Il riferimento a quattro elementi (aria, acqua, terra e fuoco) è comune a tutte le cosmogonie.  Tanto l'Oriente quanto l'Occidente hanno concepito una stretta connessione tra il microcosmo umano e il macrocosmo naturale. Dall'equilibrio degli elementi dipendeva la vita della specie umana e la sopravvivenza del cosmo: l'universo ordinato, sorto dal caos, era governato da personificazioni divinizzate dei quattro elementi. Tiziano Concerto campestre, Parigi, Museo del Louvre  La donna alla fonte è una personificazione dell'Acqua. Il suonatore di liuto rappresenta il Fuoco. L'uomo con i capelli scompigliati dal vento simboleggia l'Aria. La donna di spalle raffigura la Terra. Storia del concetto in Occidente. Uno dei sette sapienti, Talete di Mileto, indica nell'acqua il principio di ogni cosa, Eraclito nel fuoco, i sacerdoti magi nell'acqua e nel fuoco, Euripide nell'aria e nella terra. Pitagora in verità, Empedocle, Epicarmo e altri filosofi della natura sostennero che gli elementi primordiali sono quattro, aria fuoco terra acqua. VITRUVIO, De architectura) Nella tradizione ellenica gli elementi sono quattro: il fuoco (Fire symbol (alchemical).svg), la terra (Earth symbol (alchemical).svg), l'aria (Air symbol (alchemical).svg), e l'acqua (Water symbol (alchemical).svg).  Rappresentano nella filosofia greca, nell'aritmetica, nella geometria, nella medicina, nella psicologia, nell'alchimia, nella chimica, nell'astrologia e nella religione i regni del cosmo, in cui tutte le cose esistono e consistono.  Empedocle Modifica Platone sembra che si riferisca agli elementi con il termine stoicheia, rifacendosi alla loro origine presocratica. Essi infatti si trovano già elencati dal filosofo ionico Anassimene di Mileto e poi da Empedocle di GIRGENTI, il primo a proporre quattro elementi che chiama rizòmata (rizoma al plurale) "radici" di tutte le cose, immutabili ed eterne.  «Empedocle occupa un posto a parte nella storia della filosofia presocratica. Se si prescinde da quella figura poco conosciuta e per qualche verso mitica che è Pitagora, egli appare in effetti il primo autore dell'Antichità a voler riunire contemporaneamente in un solo e medesimo sistema concezioni filosofiche e credenze religiose. nessun pensatore prima di lui aveva inserito all'interno di un quadro filosofico questa corrente di idee mistiche delle quali si troverà più tardi l'eco nelle iscrizioni funerarie dell'Italia meridionale e nei dialoghi di Platone: per Empedocle, infatti, come per gli anonimi autori delle iscrizioni funerarie, l'uomo, essendo di origine divina, non raggiungerà la vera felicità che dopo la morte, quando si riunirà alla compagnia degli dèi.»  Afferma Empedocle di GIRGENTI. Conosci innanzitutto la quadruplice radice Di tutte le cose: Zeus è il fuoco luminoso, Era madre della vita, e poi Idoneo, Nesti infine, alle cui sorgenti i mortali bevono. Secondo una interpretazione Empedocle indicherebbe Zeus, il dio della luce celeste come il Fuoco, Era, la sposa di Zeus è l'Aria, Edoneo (Ade), il dio degli inferi, la Terra e infine Nesti (Persefone), l'Acqua.  Secondo altri interpreti i quattro elementi designerebbero divinità diverse: il fuoco (Ade), l'aria(Zeus), la terra (Era) e l'acqua (Nesti-Persefone).  L'unione di tali radici determina la nascita delle cose e la loro separazione, la morte. Si tratta perciò di apparenti nascite e apparenti morti, dal momento che l'Essere (le radici) non si crea e non si distrugge, ma è soltanto in continua trasformazione.  L'aggregazione e la disgregazione delle radici sono determinate dalle due forze cosmiche e divine Amore e Discordia (o Odio), secondo un processo ciclico eterno. In una prima fase, tutti gli elementi e le due forze cosmiche sono riunite in un Tutto omogeneo, nello Sfero, il regno dove predomina l'Amore. Ad un certo punto, sotto l'azione della Discordia, inizia una progressiva separazione delle radici. L'azione della Discordia, non è ancora distruttiva, dal momento che le si oppone la forza dell'Amore, in un equilibrio variabile che determina la nascita e la morte delle cose, e con esse quindi il nostro mondo. Quando poi la Discordia prende il sopravvento sull'Amore, e ne annulla l'influenza, si giunge al Caos, dove regna la Discordia e dove è la dissoluzione di tutta la materia. A tal punto il ciclo continua grazie ad un nuovo intervento dell'Amore che riporta il mondo alla condizione intermedia in cui le due forze cosmiche si trovano in nuovo equilibrio che dà nuovamente vita al mondo. Infine, quando l'Amore si impone ancora totalmente sulla Discordia si ritorna alla condizione iniziale dello Sfero. Da qui il ciclo ricomincia.  Il processo che porta alla formazione del mondo è quindi una progressiva aggregazione delle radici. Tale unione, lungi dall'avere un benché minimo carattere finalistico, è assolutamente casuale. E tale casualità si evidenzia a proposito degli esseri viventi. All'inizio infatti le radici si uniscono a formare arti e membra separati, che solo in seguito si uniranno, sempre casualmente tra di loro. Nascono così mostri di ogni specie (come ad esempio il Minotauro), che, dice GIRGENTI quasi anticipando Darwin, sono scomparsi solo perché una selezione naturale favorisce alcune forme di vita rispetto ad altre, meglio organizzate e perciò più adatte alla sopravvivenza.  Le IV radici sono anche alla base della gnoseologia di Empedocle. Egli infatti sostenne che i processi della percezione sensibile (modificata dagli oggetti esterni) e della conoscenza razionale fossero possibili solo in quanto esisteva una identità di struttura fisica e metafisica tra il soggetto conoscente, ossia l'uomo, e l'oggetto conosciuto, ossia gli enti della natura. Sia l'uomo che gli enti erano formati da analoghe mescolanze quantitative delle quattro radici ed erano mossi dalle medesime forze attrattive e repulsive. Questa omogeneità rendeva possibile il processo della conoscenza umana, che si basava dunque sul criterio del simile, tesi esattamente opposta a quella di Anassagora: l'uomo conosceva le cose perché esse erano simili a lui. Infatti così affermò Empedocle: «noi conosciamo la terra con la terra, l'acqua con l'acqua, il fuoco con il fuoco, l'amore con l'amore e l'odio con l'odio.  Ad ognuno di essi Platone associò nel Timeo uno dei solidi platonici: il tetraedro al fuoco, il cubo alla terra, l'ottaedro all'aria, l'icosaedro all'acqua. A questi IV elementi Aristotele ne aggiungerà un V: la quintessenz che egli chiama etere e che costituisce la materia delle sfere celesti.  Per Pitagora di CROTONE la successione aritmetica dei primi IV numeri naturali, geometricamente disposti in  un tetrakys – argomento -- secondo un triangolo equilatero di lato quattro, ossia in modo da formare una piramide, aveva anche un significato simbolico: a ogni livello della tetraktys corrisponde uno dei quattro elementi. Rappresentazione della tetraktys a piramide. Livello I: Il punto superiore: l'Unità fondamentale, la compiutezza, la totalità, il Fuoco. Livello II. I due punti: la dualità, gli opposti complementari, il femminile e il maschile, l'Aria. Livello III. I tre punti: la misura dello spazio e del tempo, la dinamica della vita, la creazione, l'Acqua  Livello IV. I quattro punti: la materialità, gli elementi strutturali, la Terra  La medicina e la psicologia ippocratiche Modifica Magnifying glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Teoria umorale.  I quattro elementi della filosofia antica, base per lo sviluppo della teoria umorale. Ippocrate di Coo elabora la teoria umorale, che rappresenta nell'Occidente il più antico tentativo di fornire un'eziologia per le malattie e una classificazione per i tipi psicologici e somatici.  Secondo Empedocle, ogni radice possiede una coppia di attributi: il fuoco è caldo e secco; l'acqua fredda e umida; la terra fredda e secca; l'aria calda e umida. Ippocrate tentò di applicare tale teoria alla natura umana definendo l'esistenza di quattro umori base, ossia bile nera, bile gialla, flegma e sangue (umore rosso):  il fuoco corrisponderebbe alla bile gialla; la terra alla bile nera (o melancolia, in greco Melàine Chole); l'aria al sangue; l'acqua al flegma. Il buon funzionamento dell'organismo dipenderebbe dall'equilibrio degli elementi, mentre il prevalere dell'uno o dell'altro causerebbe la malattia.  A questi elementi e umori corrispondono quattro temperamenti, pertanto la teoria ippocratica è anche una teoria della personalità. La predisposizione all'eccesso di uno dei quattro umori definirebbe un carattere psicologico e insieme una costituzione fisica:  il malinconico, con eccesso di bile nera, è magro, debole, pallido, avaro, triste; il collerico, con eccesso di bile gialla, è magro, asciutto, di bel colore, irascibile, permaloso, furbo, generoso e superbo; il flemmatico, con eccesso di flegma, è grasso, lento, pigro e sciocco; il tipo sanguigno, con eccesso di sangue, è rubicondo, gioviale, allegro, goloso e dedito ad una sessualità giocosa. Secondo i racconti mitologici e folcloristici, ogni elemento sarebbe inoltre animato da un suo specifico spirito elementare, detto anche «elementale», che Paracelso riteneva realmente operante dentro di essi, dedicando loro un trattato, il Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris, così suddividendoli:  le Salamandre che sono gli elementali del fuoco; le Ondine gli elementali dell'acqua; le Silfidi gli elementali dell'aria; gli Gnomi gli elementali della terra. L'etere, il pémpton stoichêion, 'quinto elemento e un elemento che, secondo Aristotele, si anda a sommare agli altri IV: il fuoco, l'acqua, la terra, e l'aria.  Secondo gli alchimisti, l'etere sarebbe il composto principale della pietra filosofale, fungendo da matrice o materia prima degli altri elementi. La storia dell'etere inizia con Aristotele, secondo il quale era l'essenza del mondo celeste, diversa dalle quattro essenze (o elementi) di cui si riteneva composto il mondo terrestre: terra, aria, fuoco e acqua. Aristotele credeva che l'etere fosse eterno, immutabile, senza peso e trasparente. Proprio per l'eternità e l'immutabilità dell'etere, il cosmo era un luogo immutabile, in contrapposizione alla Terra sublunare, luogo di cambiamento.  Lo stesso concetto venne espresso alcuni secoli più tardi da PACIOLI (si veda), neoplatonico, che coinvolge anche le strutture matematiche e geometriche. Secondo PACIOLI (si veda), infatti, il cielo, il quinto elemento, aveva la forma di un dodecaedro, struttura perfetta secondo lo studioso. Successivamente gli alchimisti medievali indicarono con l'etere o quintessenza la forza vitale dei corpi, una sorta di elisir di lunga vita: Quella cosa che muta i metalli in oro possiede altre virtù straordinarie: come, ad esempio, conservare la salute umana integra sino alla morte e di non lasciar passare la morte (se non dopo due o trecento anni). Anzi, chi la sapesse usare potrebbe rendersi immortale. Questo lapisnon è certamente nient'altro che seme di vita, gheriglio e quintessenza dell'intero universo, da cui gli animali, le piante, i metalli e gli stessi elementi traggono sostanza.»  (Komensky, da Labirinto del mondo e paradiso del cuore) I chimici supposero che la quintessenza non fosse altro se non un elisir ottenuto dalla quinta distillazione degli elementi; da questa ultima accezione la quintessenza ha anche assunto un significato più ampio di caratteristica fondamentale di una sostanza o, più in generale, di una branca del sapere.   La raffigurazione dei quattro elementi (da sinistra) terra, acqua, aria e fuoco, con le sfere alla base rappresentanti i simboli dell'alchimia. La chimica Stato della materia. Secondo ODIFREDDI,  i IV elementi concreti: cioè terra, acqua, aria e fuoco, oggi noi [li] associamo rispettivamente agli stati solido, liquido e gassoso della materia, e all'energia che permette di trasmutare uno nell'altro (ad esempio, il ghiaccio in acqua, e l'acqua in vapore). I quattro elementi in fisica sono associati agli stati solido (terra), liquido (acqua), gassoso (aria) e plasma(fuoco), quest'ultimo definito il "quarto stato" della materia, estende il concetto di fuoco, considerato gas ionizzato della categoria dei plasmi terrestri, come anche i fulmini e le aurore, nell'universo costituisce più del 99% della materia conosciuta: il plasma è infatti la sostanza di cui sono composte tutte le stelle e le nebulose.  L'astrologia Modifica  I segni zodiacali suddivisi in base al loro elemento: terra, fuoco, aria, acqua Segno zodiacalee Triplicità. Nell'astrologia occidentale i segni sono divisi in:  segni di fuoco (Ariete, Leone, Sagittario) segni di terra (Toro, Vergine, Capricorno) segni d'aria (Gemelli, Bilancia, Aquario) segni d'acqua (Cancro, Scorpione, Pesci) In tal modo essi formano complessivamente le quattro triplicità.   La rappresentazione simbolica del microcosmo e del macrocosmo si ritrova nell'antico segno del pentacoloche combina cioè in un unico segno tutta la creazione, ovvero l'insieme di processi su cui si basa il cosmo. Le cinque punte del pentagramma interno simboleggiano i cinque elementi metafisici dell'acqua, dell'aria, del fuoco, della terra e dello spirito. Questi cinque elementi sintetizzerebbero i gruppi in cui si organizzano tutte le forze elementali, spiritiche e divine dell'universo.  Il rapporto tra i vari elementi rappresentati all'interno del pentacolo è ritenuto una riproduzione in miniatura dei processi su cui si basa il cosmo. Questo processo inizia dall'elemento dello spirito, il quale si manifesta dando origine a tutto ciò che esiste. La creazione si verifica partendo dalla divinità e scendendo verso la punta in basso a destra, simboleggiante l'acqua, ovvero la fonte primaria e sostentatrice della vita sulla Terra. Dall'acqua ebbero origine le primissime forme elementari di vita, le quali poi evolsero con il passare dei millenni staccandosi dall'elemento primordiale. Dall'acqua il processo creativo risale verso l'aria, la quale rappresenta le forme di vita sufficientemente evolute da potersi organizzare da sole, prendendo coscienza del proprio sé. Questi esseri, dalla loro innocenza originaria, si evolvono e si organizzano moralmente e tecnologicamente, procedendo lungo la linea orizzontale verso la terra a destra. La terra simboleggia il massimo grado di evoluzione che un'epoca può supportare, quando questo diviene troppo ingente avvengono delle ricadute, sotto vari punti di vista, ma innanzitutto sotto il profilo spirituale. L'essere si allontana dallo spirito, degradando verso il basso, il fuoco, simboleggiante l'apice della degenerazione. In seguito alla depressione avviene però sempre una ripresa, un ritorno alle origini, in questo caso allo spirito, l'essere umano riscopre la spiritualità. Nella tradizione ebraica è ampia la letteratura sui quattro elementi di cui se ne riportano tanto la simbologia tanto le corrispondenze nella Creazione. Ricordando anche il testo di El'azar da Worms Il segreto dell'Opera della Creazione, oltre allo Zohar, il testo più importante che ne tratta l'argomentazione secondo l'interpretazione mistica ebraica è il Sefer Yetzirah, la cui sapienza risale ad Avraham: questo testo argomenta il confronto tra le Sefirot, i quattro elementi, le lettere ebraiche, i pianeti, i segni zodiacali, i mesi e le parti del corpo umano.  Se ne discute anche in altri testi di Qabbalah ed è tra i principali oggetti di studio del percorso esoterico ebraico definito Ma'asseh Bereshit, lo Studio dell'Opera della Creazione. Si ritiene che il mondo sia stato creato con la Torah le cui parole sono formate da lettere ebraiche che, permutate, sono il riferimento della Sapienza divina da cui sorse la parola di Dio al fine di creare ogni cosa esistente. Derivando dal significato delle lettere la loro corrispondenza con le creature e le create è così possibile avvicinarsi alla sapienza della Qabbalah che permette di cogliere il significato segreto proprio di esse.  Lo Zohar afferma che i quattro elementi fuoco, acqua, aria e terra corrispondono ai quattro metalli: oro, rame, argento e ferro; un'ulteriore corrispondenza è quella del Nord, del Sud, dell'Est e dell'Ovest. Dopo averne descritto i rapporti, lo Zohar continua l'esposizione ammettendo che, come si contano così 12 elementi, si possono contare 12 pietre preziose corrispondenti alle dodici tribù d'Israele, cosa confermata poi dalle fattezze degli Urim e Tummim.  Importante anche il confronto con i quattro venti.  I quattro elementi, uniti nel corpo vivente, con la morte si separano.  Con lo studio della Torah l'uomo si eleva al di sopra dei quattro elementi dominandoli anche nel proprio corpo e talvolta, in questo, si collega alle quattro figure metaforiche della Merkavah  Cristianesimo Modifica  Il profeta Elia, di José de Ribera. Secondo il primo libro dei Re, Elia sul monte Oreb  « [...] entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: «Che fai qui, Elia?». [...] Gli fu detto: «Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore». Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto. Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero. (1Re 19, 9.11-12, su laparola.net. Per l'esegesi biblica di Carlo Maria Martini,   «Al versetto [11 e] 12 abbiamo i quattro segni: vento, terremoto, fuoco, mormorio di un vento leggero. Non si dice che il Signore fosse in quest'ultimo ma si nega che fosse nei primi tre. È un passo ricchissimo di simboli che rimandano a tante altre pagine bibliche, un passo oscuro perché non riusciamo bene a capirlo: Jahvé era o non era nel mormorio di un vento leggero? E perché altrove, nella Scrittura, Dio è nel fuoco mentre qui non lo è?  Sempre per Martini, Anche nel Nuovo Testamento troviamo i primi tre segni del racconto di Elia: "rombo, come di vento che si abbatte gagliardo", "lingue come di fuoco", quando ebbero terminato la preghiera, il luogo in cui erano radunati tremò, e tutti furono pieni di Spirito santo. Il vento, il fuoco, il terremoto sono simboli ben noti in tutta la Scrittura; hanno significato la presenza del Signore sul Sinai, nel cammino del deserto, e sono stati ripresi dai Salmi. Non troviamo però il vento leggero. Ciò significa che, tanto per l'ebraismo quanto per il cristianesimo, è dubbio che le manifestazioni relative almeno ai primi tre dei quattro elementi costituiscano una teofania, sia per Mosè ed Elia sul Sinai/Oreb sia per la Pentecoste. Letteratura apocalitticaUso del termine. Pensiero orientale Pensiero hinduista Il pancha mahabhuta, o "cinque grandi elementi", nell'Hinduismo sono:  khsiti o bhumi (terra) ap o jala (acqua) agni o tejas (fuoco) marut o pavan (aria o vento) byom o akasha (etere). Gli hindu credono che Dio usò l'aakasha per creare i restanti quattro elementi, e che la conoscenza dell'uomo sia nell'archivio akashiko.  Pensiero del buddhismo antico Modifica Nella letteratura Pali, i mahabhuta ("grandi elementi") o catudhatu ("quattro elementi") sono terra, acqua, fuoco e aria. Nel primo buddhismo, erano alla base per la comprensione della sofferenza, e per la liberazione dell'uomo dalla sofferenza.  Gli insegnamenti del Buddha riguardanti i quattro elementi li raggruppano come base delle reali sensazioni, più che un pensieri filosofici. Gli elementi erano quindi intensi come "caratteristiche" o "proprietà" di varie sensazioni:  la coesione era una proprietà dell'acqua. la solidità e l'inerzia erano proprietà della terra. l'espansione e la vibrazione erano proprietà dell'aria. il calore era una proprietà del fuoco. I suoi insegnamenti dicono che ogni cosa è composta da otto tipi di 'kalapas', il cui gruppo principale è composto dai quattro elementi, mentre il gruppo secondario è composto da colore, odore, gusto e alimento, derivati dai primi quattro elementi.  Gli insegnamenti del Buddha precedono quelli dei quattro elementi nella filosofia greca. Questo può essere spiegato perché furono inviati 60 arhat nel mondo conosciuto al tempo per diffondere i suoi insegnamenti.   Il pensiero tradizione giapponese usa cinque elementi chiamati 五大, go dai, letteralmente, cinque grandi. Gli elementi sono:  terra, che rappresenta le cose solide acqua, che rappresenta le cose liquide fuoco, che rappresenta le cose distrutte aria, che rappresenta le cose mobili vuoto, che rappresenta le cose che non sono nella vita quotidiana. Pensiero cinese Lo stesso argomento in dettaglio: Xing. Si ritiene che anche la filosofia tradizionale cinesecontenga degli «elementi» come nella filosofia grecaclassica: nel taoismo infatti sono presi in considerazione tre termini affini a quelli occidentali, l'acqua il fuoco e la terra, più altri due, il legno e il metallo, per un totale di cinque, wu xing in cinese, sebbene più che di elementi si tratti di fasi in movimento all'interno di un ciclo, come spiega Cheng:  «La traduzione convenzionalmente adottata di wuxing con "Cinque Elementi" presenta innanzitutto l'inconveniente di non rendere conto dell'aspetto dinamico della parola xing , camminare, "andare", "agire"). Inoltre non vi è qui nulla in comune con i quattro elementi o radici costitutivi dell'universo - fuoco, acqua, terra, aria - individuati da Empedocle nel V secolo a.C., ma sembrano essere originariamente concepiti in una prospettiva essenzialmente funzionale, più come processi che come sostanze.   (Cheng, Storia del pensiero cinese) Si tratta a ogni modo di distinzioni storicamente poco accettate, ad esempio i mongoli hanno accolto nel novero degli elementi sia quelli cinesi che quelli occidentali. Analogie tra i due sistemi sono rinvenibili nel fatto che l'elemento cinese del legno si avvicina maggiormente al concetto occidentale dell'aria, poiché entrambi corrispondono alle qualità del punto cardinale est, della primavera, dell'infanzia e della crescita, mentre il metallo sembra inglobato nelle proprietà occidentali della terra, quali l'ovest, l'autunno e il declino. La terra in Cina occupa propriamente il centro della rosa dei venti, ed è più che altro la matrice degli altri quattro elementi, come in Occidente lo è la prima materia o etere. La peculiarità della concezione cinese consiste semmai nel carattere trasmutatorio dei suoi cinque elementi, da intendere come forze attive o facoltà dinamiche. La loro origine si perde nella preistoria cinese ed è difficilmente ricostruibile. La prima descrizione delle caratteristiche dei Wuxing la troviamo nello Shujing («Classico della Storia»):  «L'acqua consiste nel bagnare e nello scorrere in basso; il fuoco consiste nel bruciare e nell'andare in alto; il legno consiste nell'essere curvo o diritto; il metallo consiste nel piegarsi e nel modificarsi; la terra consiste nel provvedere alla semina e al raccolto. Ciò che bagna e scorre in basso produce il salato, ciò che brucia e va in alto produce l'amaro; ciò che è curvo o diritto produce l'acido; ciò che si piega e si modifica produce l'acre; ciò che provvede alla semina e al raccolto produce il dolce. (Shu-ching, Il grande progetto) Questi Cinque Agenti sono in relazione tra di loro e danno vita a molte altre serie di cinque combinazioni complementari ai Wuxing stessi: i punti cardinali ed il centro, le note musicali, i colori, i cereali, le sensazioni, ecc. Sempre nello Shujing, nella sezione detta "Grande Norma" si fanno seguire ai Wuxing Cinque Funzioni:  «Poi è quella delle Cinque Funzioni. La prima è il comportamento personale; la seconda è la parola; la terza la visione; la quarta l'udito; la quinta il pensiero. Il comportamento personale deve essere decoroso, la parola ordinata; la visione chiara; l'udito distinto; il pensiero profondo. il decoro dà solennità, e l'ordine dà regolarità, la chiarezza dà intelligenza, la distinzione dà deliberazione; la profondità dà saggezza. (Shu-ching, La grande norma. Rappresentazione dei due cicli: in verde quello generativo che procede in senso orario dal padre al figlio (in rosso quello inverso di riduzione o impoverimento); ed in blu le linee dirette del ciclo di controllo con cui il nonno inibisce il nipote. I cinque pianeti maggiori del nostro sistema sono associati e prendono il modo degli elementi: Venere è oro (metallo), Giove è legno, Mercurio è acqua, Marteè fuoco e Saturno è terra. In aggiunta, la Lunarappresenta lo Yin e il Sole lo Yang.  Lo Yin, lo Yang e i cinque elementi sono temi ricorrenti dello I Ching, il più antico testo classico cinese, che descrive la cosmologia e filosofia cinese.  La dottrina delle cinque fasi descrive due cicli di equilibrio, uno generativo e creativo (, shēng), e l'altro dominante e distruttivo, , kè. Generativo il legno alimenta il fuoco il fuoco crea la terra (cenere) la terra genera il metallo il metallo raccoglie l'acqua l'acqua nutre il legno Distruttivo il legno divide la terra la terra assorbe l'acqua l'acqua spegne il fuoco il fuoco scioglie il metallo il metallo abbatte il legno Gli elementi nella cultura di massa. I regista francese Luc Besson ha girato il film di fantascienza Il quinto elemento.  La Walt Disney Company Italia ha prodotto dei racconti a fumetti e una serie di film a cartoni animati (W.I.T.C.H.) ideati da  Elisabetta Gnone dove le protagoniste incarnano i poteri degli elementi naturali.  Sempre nei fumetti, i superpoteri dei Fantastici 4, supereroi della casa editrice Marvel Comics, sono basati sui quattro elementi naturali.  I Gormiti sono basati sugli elementi naturali e hanno poteri collegati ad essi.  La rock band italiana dei Litfiba negli anni novanta ha pubblicato 4 album che compongono la tetralogia degl’elementi", dedicando un disco ad ogni elemento naturale: El Diablo (rappresentante il "fuoco"), Terremoto (la "terra"), Spirito (l'"aria") e Mondi Sommersi (l'"acqua"). Marson, Archetipi di territorio, Alinea Editrice,  Battistini, Simboli e Allegorie, Milano, Electa, O' Brien, Empedocle in Il sapere greco. Dizionario critico, Torino, Einaudi, Empedocle, I presocratici, Gallimard, Kingsley, Misteri e magia nella filosofia antica. Empedocle e la tradizione pitagorica, Il Saggiatore, Tinaglia, Pensiero primario NPT, Lampi di stampa, Mariucci, Il Sapere degli Antichi Greci, SteetLib, Empedocle, Reale, Per una nuova interpretazione di Platone, Odifreddi, Le menzogne di Ulisse. L'avventura della logica da Parmenide ad Amartya Sen, Milano, Longanesi, Milano, TEA, Corinne Morel, Dizionario dei simboli, dei miti e delle credenze, Firenze, Giunti Editore, Sala, Gabriele Cappellato, Viaggio matematico nell'arte e nell'architettura, ed. Franco Angeli, Geymonat, Gianni Micheli, Corrado Mangione, Storia del pensiero filosofico e scientifico, Volume 1, Garzanti, Paracelso, Liber de nymphis, sylphis, pygmaeis et salamandris et de caeteris spiritibus, trad. it. in Paracelso, Scritti alchemici e magici, Phoenix, Genova Magee, Hegel e la tradizione ermetica, Mediterranee, Puliafito, Feng Shui: armonia dei luoghi, Hoepli, Abbri, Le terre, l'acqua, le arie. La rivoluzione chimica del Settecento, Bologna, il Mulino, Rogoff, Ed., IEEE Transactions on Plasma Science, Agrippa, Of Occult Philosophy, su esotericarchives, trad. French, The Key of Solomon, Mathers.  Spagnoli, Cabala e Antroposofia, NaturaSofia, Martini, Il dio vivente. Riflessioni sul profeta Elia, Casale Monferrato, Piemme, Cf. Atti At 2, 2-3, su laparola, Cf. Atti, su laparola.net..  Martini, Bertagni, La teoria indù dei cinque elementi - Da Studi sull'Induismo (René Guénon) ^ Anne Cheng, Storia del pensiero cinese, Vol I, Dalle origini allo studio del mistero, Einaudi, Walters, Il libro completo dell'astrologia cinese, Gremese, Walters, Puliafito, Feng Shui: armonia dei luoghi, Puliafito, Leonardo, La Filosofia Cinese, Da Confucio a Mao Tse-tung, Biblioteca Universale Rizzoli, Leonardo, La Filosofia Cinese, Da Confucio a Mao Tse-tung, Biblioteca Universale Rizzoli, Yu-lan, Storia della filosofia cinese, confucianesimo, taoismo, buddismo, Mondadori, Cles, Rigotti, Schiera, Aria, terra, acqua, fuoco: i quattro elementi e le loro metafore, Bologna, Il Mulino.  Portale Antropologia   Portale Astrologia   Portale Bibbia   Portale Filosofia   Portale Mitologia   Portale Religioni Fuoco (elemento) uno dei quattro elementi classici  Terra (elemento) uno dei quattro elementi tradizionali  Wu Xing. Andrea Bonomi. Keywords: i quattro elementi, “minimal use of transformations” (Grice), chronological logic, time-relative identity, The Grice-Myro theory of identity, A. N. Prior, Chomsky, ways of reference, referring, existence and structure, imagery and naming, universe of discourse, mental event, psychological inter-subjectivity, indicale, Grice on embedeed psychological attitudes Operator, Addressee, Sender, propositional content. I want you to know that p, Iinform you that p, I want you to want to do p, I force you to do P, etc. Symbols in “Aspects of Reason”, Op1 Op2 Op3 Op4 judicative volitive indicative informative intentional imperative interrogative reflective inquisitive reflective Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bonomi” – The Swimming-Pool Library. Bonomi.

 

Gri

No comments:

Post a Comment