molti e più è domandata; e tanto più si paga quanto più (i)
Intendendo questo nel senso della filosofia positiva e non in quello della
metafìsica materialistica. Come spiego da per tutto nei miei libri, e più a
lungo in quello col titolo V Unità della Coscienza nel VII voi. dì queste Op.
fil. iiu^.i'i>nn^ si domanda; ma si
paga quanto occorre per averla e non più. Questa legge poi, che determina nei
suoi limiti ne- cessari la contribuzione assentita e giusta nell'organismo
sociale, è analoga alla fisiologica, onde un tessuto vivo si impadronisce delle
sostanze che lo nutrono nei limiti deter- minati dallo stesso bisogno della
funzione domandatagli. 4. — E quindi il fatto in discorso deve essere con-
siderato come un caso speciale di selezione naturale; che si potrebbe chiamare
la selezione etico-sociale. E dalle cose dette si conferma e si chiarisce
viemmeglio la dottrina sopra esposta, che il Diritto indi- viduale è pur esso
una autorità (i). Poiché, come ve- demmo, il Diritto individuale si impone a
tutti quelli che contribuiscono all' essere suo; e agli eguali, che lo rico-
noscono e lo rispettano; e agli inferiori, ossia a quelli che, in ragione dei
rapporti nascenti dalla sua speciale natura, ne subiscono una dipendenza e una
direzione; e al Potere sociale subordinante, in quanto questo non lo crea ma lo
riconosce, ed è determinato a riconoscerlo dal fatto stesso di porsi da sé;
onde, una volta che si sia posto, viene ad essere realmente Diritto in virtù di
se stesso. Le unità minime, le unità medie, e V unità ^ massima nel corpo
sociale. L’individuo è V unità minima del composto so- ciale, come r atomo del
composto chimico. E, come in (i) Vedi Capo III, specialmente \ V. tutti gli
altriorganismi naturali, cosi nel sociale, oltre le unità minime degli
individui sociali, e Munita massima dell' intero organismo, si trovano delle
unità di mezzo di terzo grado, risultanti di più individui associati parti-
colarmente fra loro, o di più di queste associazioni di individui collegate
particolarmente in federazioni più grandi. In unaSocietà adulta, fiorente e
grande, la vita del tutto si manifesta nelle più svariate e spiccanti differen-
ziazionidelle attitudini e conseguentemente dei Diritti individuali, come
accennammo or ora. Anzi la grandezza della Società è, alla sua volta, il
risultato di tali varietà o specificazioni di attitudini; ovvero di tale
divisione di lavoro, verificatavisi: come in ogni altro organismo; per esempio,
in quello fisiologico dell' uomo, nel quale la ec- cellenza zoologica sopra gli
altri animali dipende da una suddivisione di specificazioni in massimo
gradodegli or- gani componenti. In un animale del grado infimo della scala
zoologica la sostanza componente (come avvertimmo nel principio del libro) non
è né muscolo ne nervo: come in una Società umana primitivissima tutti gli
individui sono, mettiamo, dei guardiani d' armenti: e non vi si trova una
distinzione di occupazioni, per salire, po- gniamo, da uno che attende a far
pascolare le oche ad uno che attende a costruire stromenti di ottica o di
astro- nomia. La differenziazione in discorso nella Società più pro-gredita va,
si può dire, all' infinito. E non solo nelle u- nità minime degli individui, ma
anche nelle combinazioni medie già dette delle associazioni degli individui e
delle confederazioni di queste associazioni. Le quali pure, nelle Società
adulte fiorenti e grandi, si producono, per cosi dire, anch' esse all' infinito:
dalle più comuni, normali, e costanti, come quella della/amiglia, alle più
insolite, ac- cidentali ed efimere, come quella ad esempio per dare una volta
una festa o uno spettacolo: dalle più piccole, come di due persone in una
impresa commerciale, alle più grandi, come di due provincie di uno Stato tra
loro consorziate per interessi speciali. Or bene, anche queste unità medie sono
(al modo che una data somma, come tale, si distingue dalle sin- gole quantità
sommate, considerate ad una ad una) sog- getti distinti in possesso di una
facoltà speciale, analoga alla individuale, a somiglianza di ciò che pur si
verifica neglialtri organismi naturali: nei quali, per esempio, la cellula
nervosa singola ha le sue proprietà particolari, e una data massa distinta di
cellule nervose ha un dato uf- ficio distinto fisiologico, che essa esercita in
quanto esiste e si conserva nella peculiarità del suo insieme. E siccome poi il
possesso di una potenza di fare im- porta il possesso di un Diritto, come
dimostrammosopra,cosinellaSocietà si danno i Diritti degli individui e i
Diritti delle stssociazioni loro. E questi Diritti delle As- sociazioni hanno
le proprietà già notate dei Diritti indi- viduali più quelle dipendenti dalla
specialità proporzio- nale della associazione. Delle quali ultime proprietà una
massimamente occorre che sia qui messa in rilievo. L' individuo, in astratto,
si può considerare siccome un plasma generico, il quale, nell' ambiente sociale
e nel circolo della sua vita, secondo le disposizioni già pos- sedute nascendo,
e le circostanze accidentali nelle quali viene a cadere, riceve una
particolarità di impronta di- stinta e tutta sua. Nel che ha luogo un fatto di
selezione naturale: cioè la selezione naturale onde una unità so- ciale si
sceme quale individualità distinta fra altre unità. Anche le agglomerazioni di
più individui in associa- zioni o totalità distinte sono determinate e
foggiate, con grandezze, tendenze e attività particolari, neir ambiente
sociale, secondo i bisogni ed i fatti, e costanti e acciden- tali, onde
emergono, per una analoga selezione naturale distinguente un composto singolo
fra altri composti. Ma in questo composto (o unità media, come sopra lo
chiamammo) ha luogo un' altra forma della selezione naturale: cioè quella che,
neir interno stesso del com- posto, diflFerenzia edistingue fra loro le parti
compo- nenti: e si che esso composto riesca un organismo e non rimanga una
semplice agglomerazione inorganica di ele- menti tutti identici fra loro. E
questa forma di selezione si potrebbe chiamare selezione interorganica. La
unità sociale da noi detta media non è puramente un certo numero di parti addizionate
le une alle altre, ma è una collaborazione organica degli individui o dei soda-
lizi aggregati insieme; e quindi con diversità di attinenze e di facoltà
distribuite fra loro. Altri fanno numero, con- tribuiscono e concorrono a
mantenere T associazione: altri invece la rappresentano, la dirigono, ne
applicano le forze accumulatevi. E, occorrendovi specialità di lavoro e di
ufficio, queste vi sono divise quali negli uni e quali negli altri. E, come è
naturale la creazione di queste differenze interorganiche delle parti
costitutive delle unità medie, cosi è naturale la selezione interorganica dalla
quale di- cemmo che proviene. Questa selezione interorganica, come insegna la
os- servazione del fatto, avviene in diverse maniere secondo i casi; ma soprattutto
secondo la legge, che riesce a una data facoltà ufficio chi piti vi ha
attitudine, o ne ha il merito, e colla condizione del consentimento degli as-
sociati. Il fatto del merito, onde uno acquista una preroga- tiva o una
particolarità d'ufficio a preferenza di altri, è analogo a quello notato da
Darwin della specie preva- lente nella lotta per la esistenza. Il fatto del
consentimento degli associati è analogco air altro, pure da Darwin segnalato,
dell* efficacia del- l' ambiente nel secondare la trasformazione progressiva
dell' essere naturale. L' individuo investito di nna facoltà o di un ufficio in
un corpo di individui o di sodalizi viene con ciò ad avere due sorta di facoltà
o di Diritti: cioè il Di- ritto fondamentale spettante a lui come parte elementare
della Società intera, e il Diritto avventizio, onde è in- vestito come organo
speciale della associazione partico- lare a cui appartiene. Il Diritto
fondamentale ha il suo rapporto immediato colla costituzione generale delle
Società che lo garantisce direttamente a tutti senza distinzione: T avventizio
V ha con quella della associazione particolare per la quale e- merge; ed è
garantito dal Potere sociale supremo in quanto esso riconosce il Diritto della
medesima associa- zione particolare. Se privato si dice ciò che è proprio della
unità sociale minima, come tale, e pubblico ciò che è proprio della unità
massima, parlando delle unità medie si dirà che hanno un carattere di mezzo tra
i due, e gradata- mente; in ragione cioè della importanza loro, intensiva-
mente o estensivamente, nella vita sociale complessiva. Il pubblico poi si
differenzia in genere dal privato in quanto ha un rapporto diretto col Bene,
non indivi- duale, ma sociale; ossia è, non egoistico, ma antiegoistico. La
proprietà quindi di ente morale antiegoistico com- peterà massimamente alla
unità più glande o allo Stato. E se, come sopra dicemmo, il Diritto in genere è
\2l fa- coltà del Bene sociale e il suo esercizio è la funzione del Bene
sociale, ciò si avvererà meno pel Diritto privato, più pel Diritto delle
associazioni sociali intermedie, e in grado più alto pel Diritto dello Stato.
Ma non diremo che per questo Diritto dello Stato il principio si avveri proprio
nel grado massimo, per la ragione che, come sopra dicemmo n), uno Stato
singolo, o già in effetto, o almeno in potenza, si coordina internazionalmente
con altri Stati, anzi con tutte le Società umane esistenti sulla terra. La
selezione interorganica nella evoluzione formatrice dello Stato. La legge della
selezione interorganica, che si avvera nella costituzione degli organismi delle
unità com- (i) Dove parlammo del Diritto internazionale (Capo [, \ II). plesse
medie, si avvera poi per le ragioni medesime nella costituzione dell' organismo
della unità massima dello Stato. Ed è per essa legge che ha luogo in questo la
formazione del Potere onde si esercitano le sue fimzioni subordinanti, che sono
poi funzioni del Bene sociale. Questa selezione assume storicamente forme svari
atis- sime. Ma anche la varietà è determinata da una ragione costante, che si
rivela chiarissimamente nella storia poli- tica degli Stati, e che non è altro
che una applicazione del principio nostro fondamentale della formazione etico-
sociale, che cioè la prepotenza è V indistinto onde si forma il distinto della
Giicstizia, E in vero nello stadio iniziale, o della prepotenza, la selezione
formatrice del Potere sociale è dipendente dalla violenza, che a poco a poco si
mitiga nella eredità, finché da ultimo è sostituita, prima in parte e poi del
tutto, dalla elezione (per parte dei subordinati, e in modo legale e pacifico)
dei più degni, in ragione del merito morale e della Giustizia» e non del
soprastare materiale della ricchezza o della forza dei muscoli: e si che riesca
investito dell' ufficio chi si trova piti atto ad esercitarlo, e che il Potere
nella direzione del corpo sociale sia quel premio del virtuoso del quale un'
altra volta parlammo nel Capo precedente (i). 2. — Il costante e vivissimo
lavoro evolutivo del- l' organismo dello Stato, onde si ha la sua formazione
na- turale e il suo sviluppo e isuo progresso, è T applica- zione nel grado
massimo del principio della formazione (I) \ VII, numero 8. morale, cioè, dall'
indistinto (morale solo virtualmente) della prepotenza e dell' egoismo, al
distinto (morale in atto) della Giustizia antiegoistica. Più procede la formazione
organica dello Stato e più si estende e arriva in tutte le parti e nel!' intimo
di esse la virtù direttiva e moralmente perfezionatrice della So- vranità
politica. In modo che, dove prima le parti erano agglomerate e coacervate e
tenute in fascio violentemente, a poco a poco vanno organizzandosi vitalmente
insieme e finiscono coli' aderire 1' una con V altra, e tutte nel tutto,
volontariamente e per liberoconsentimento. Come, per esempio, le molecole di
certe sostanze, che fanno sentire la loro affinità e aderiscono insieme a
formare un cri- stallo solo in seguito ad una compressione che le sforzò a
ravvicinarsi meccanicamente. Il quale processo però va di pari passo con quel-
r altro; che le parti stesse subordinate, di mano in mano che si orientano
nella armonia politica dello Stato, di- ventando partecipi e collaboratrici
della sua vita, reagi- scono sul Potere sovraincombente, rintuzzando la prepo-
tenza, che vi fosse, e riducendolo ad una forza giusta e mo- rale; ad una
forza, in una parola, diretta al Bene di tutti. 3. — Non è nostro compito (non
richiedendolo lo scopo del presente libro) di studiare i modi precisi onde, per
la elezione interorganica, e pel processo di distin- zione, si va formando
nell' organismo dello Stato bordine del Potere, che riesce un sistema complesso
di funzioni speciali esercitate da individui e corpi particolari; e come nasca
il fatto, mettiamo, della divisione del Governo in diversi ministeri, e di
ciascuno di questi in parecchie Voi. IV. 17 dipendenze, alle quali, variamente e per mez£o
di centri subordinati, si rannodano le ultime propag^ni della
am-ministrazionepubblica sparse in ogni parte dello Stato. Pel nostro scopo, in
riguardo alle specializzazioni ac- cennate degli organi del Potere, basterà
fare T osserva- zione (pure importantissima) che, come si distinguono tra loro
le amministrazioni pubbliche, e quindi gli c^getti di ciascheduna, e
conseguentemente il modo di funzionare (che deve atteggiarsi in conformità
dell' intento da otte- nere), cosi si distinguono tra di loro le Sanzioni pub-
bliche e legali degli atti sociali relativi; e quindi (si noti bene) le specie
di Responsabilità, che neemergono. E da ciò proviene che le forme della
Giustizia e quindi della Moralità si specializzano insieme collo spe- cializzarsi
della pubblica amministrazione; onde, moral- mente, non sono, per esempio,
identiche le azioni degli individui giudicate da un tribunale civile e
quellegiudi- cate da una una intendenza di finanza, o da una commis- sione
igienica o di belle arti; e per un reato controla proprietà individuale o per
uno contro le restrizioni della libertà della stampa, in materia scientifica; e
cosi via. Il che non vuol dire però che non si possano tutte le dette azioni
ridurre al genere comune delle obbliga- torie nel foro intimo della coscienza,
in ragione che Del- l' individuo si è formata, come sopra abbiamo dimostrato, r
abitudine virtuosa e propria del saggio; l'abitudine cioè di attribuire
universalmente alle Idealità antiegoistiche sociali un valore obbligativo per
se, assoluto e indipen- dente dalle specialità di procedura e di Sanzione, che
loro corrispondono nella amministrazione governativa. m — Come risuiii spiegata
la prima /orina de li* ufficio del Intere, e anche la terza: e stabilito l'
assunto del liérù. Ora, facendo, colla proporzione dovuta, al fatto del Diritto
del Potere, Tapplicazione del priacipio stabi- lito sopra, che ogni Diritto
importa una conirièuzionc, possiamo trovare la verità di quella che sopra, alla
fine del Capo I, dicemmo la pritna forma dell' ufficio del Po- tere, cioè: di
stabilii*^! nella Società a spese delle sue parti. Et facendo allo stesso
fatto» pure colla pro- porzione dovuta, r applicazione dell' altro principio,
che il Diritto è la facoltà del Bene^ constatiamo la verità di quella, che ivi
stesso chiamammo la terza forma dell' uf- ficio del Potere, cioè: di flÌH|ìensHri^
la forza propriadeir ambiente sociale (cioè le contribuzioni suddette) al migli
orauiento delle sue parti. In questo ultimo enunciato poi abbiamo il com- pendio,
per cosi dire, di tutta la trattaEione di questo libro, E> in relazione allo
stesso enunciato, si verificano, in ragione cho lo Stato si perfeziona in ogni
sua parte, i principj che seguono: Primo* Che le contribuzioni di ogni genere,
prestate da tutti gli elementi costitutivi dello Stato, diventano li-èeramente
consentile. Secondo. Che le contribuzioni medesime si vanno av- vicinando al
massimo di ciò che pi4Ò dare ciascuno ^ senza suo esiziale detrimento* ^ i
'«.iFI-i-^..' TChe nulla, di ciò che è contribuito, va consur- malo
prepotentemente ed egoisticamente da chi è investito del Potere di disporne.
Quarto. Che la erogazione medesima è fatta secondo il volere di quelli stessi
che contribuiscono. Quinto. E alla tutela dei Diritti di tutti; e dXVotte-
nimento della prosperità, e al miglioramento morale. Sesto. E a questo
soprattutto. E nella ragione che il miglioramento morale ottenuto, supplendo da
sé, come dimostrammo sopra (i), alla tutela dei Diritti e all' otte- nimento
della prosperità materiale, lascia per sé disponi- bili mezzi sempre maggiori. E
cosi nello Stato siverifica T idea della prov- videnza, che il teista colloca
in dio, come in esso colloca il tipo della specie di una pianta, per la solita
illusione tante volte notata. E si verifica anche V idea della grazia,
immaginata per una simile illusione dalla teologia cattolica siccome emanazione
divina, atta a rendere V uomo morale, a far che segua le leggi della Giustizia
ed eserciti la beneficenza. La possibilità per 1* individuo di essere morale,
di conoscere e seguire la Giustizia, e di essere benefico verso gli altri, si
ha, come dimostrammo nel corso del libro, dalla sua convivenza nella Società e
dalla proprietà di questo di svolgere e perfezionare le facoltà dell'uomo, e di
moralizzarlo. 5. — Onde lo Stato, cosi concepito, viene ad essere l'attuazione
pura e compiuta della Idealità sociale, ossia (i) In molti luoghi: per es.
Numero 2 del J VI del Capo IV. 201 del principio del Bene an ti egoistico, del
Bene morale, in una parola del Bene pel Bene, E quindi lo Stato medesimo riesce
la prova concreta ' sperimentale della verità del principio della Morale dei
positivisti da noi affermato, chiarito, dimostrato: e una prova evidente, in
quanto nel fatto dello Stato il fenomeno individuale si trovaingrandito, E mi
spiego. Se, ad esempio, si può dubitare che un atomo materiale preso da sé sia
pesante, perchè il peso deir atomo è tanto piccolo che non si può rilevare iso-
latamente, il dubbio cessa affatto prendendo una grande congerie di atomi, nella
quale i pesi minimi non valu- tabili di ognuno sisommano in un peso valutabile,
dal quale si arguisce quello troppo piccolo dei componenti. E, se si può
dubitare che una molecola di ferro, consi- derata isolatamente, sia calamitata,
il dubbio cessa quando se ne prenda una grande massa. E cosi nel caso nostro.
Se si può dubitare che T uomo singolo sia mosso nelle sue azioni da una
Idealità sociale antiegoistica, perchè la ragione di questa, nella singola
azioneumana di un individuo, si sottrae facilmente alla osservazione, stante il
concorso e il contrasto colle ragioni egoistiche, le quali ve la accompagnano,
il dubbio è tolto interamente arguendo dal fatto che, appuntandosi i voleri
individuali nella totalità dello Stato, ne risulta la incontrastabile sovranità
del volere morale, e antiegoistico, che vi os- servammo. Le cose dette nel
corso del libro dimostrarono che la Responsabilità, intesa nel senso che sia
Vastraito delle Sanzioni,onde la Società reagisce, rintuzzandola, contro V
azione propriamente umana individuale, si rife- risce, non solo agli atti della
Giustizia propriamente detta, ma anche a tutti gli altri atti
etico-civili dell'uomo; cioè: Primo. Agli atti offensivi non contemplati e non
con- templabili dalla Legge. I quali perciò, esclusi dal campo della Giustizia
propriamente detta, vanno attribuiti a quel- la altro della puraConvenienza.
Secondo. Agli atti sindacabili soltanto dalla coscienza intima dell’individuo
in cui si avverano, e producenti la sola reazione del rimorso intemo. Terzo.
Agli atti virtuosi, che V individuo potrebbe fare e sarebbe bene facesse, e non
fa. Ossia a quegli atti che non si attribuiscono, ne alla Giustizia, né alla
Con- venienza, ma alla Carità, come dicevano i moralisti vecchi, o alla
Filantropia o Beneficenza, come direbbero inuovi. E cosi è sciolta la
questione, propostaci nella Introduzione, come compito di questa nostra
Sociologia. Rodrigo Ardigò. Keywords: sociologia. Grice ed
Ardigò: implicatura cooperativa —
positivismo filosofico — biologia
filosofica — psicologia filosofica naturalista — il sociale — l’intersoggetivo
——, la morale positivista, il positivism filosofico. La morale e il diritto
all’altro – la convivenza sociale – la giustizia, il bene sociale – la
benevolenza e la beneficenza – il calcolo ragionale nella convivenza sociale –
l’evoluzione sociale – l’organismo sociale – il positivismo filosofico –
communicazione e convenienza sociale – l’onesta morale – spettazione di onesta
reciproca – Fondazione naturalistica della morale – Fondazione – il fatto
sociale – il devere, la regola d’oro, fare all’altro cioe che vorreste fatto a
te – consiglio di prudenza – kant – costume – fatto sociale presupposizione del
linguaggio -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ardigò” – The
Swimming-Pool Library.
Grice ed Arena – nudi –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Ripatransone). Filosofo
italiano. Grice: “I like Arena; my favourite of his tracts are one on what he calls,
ambiguously, ‘guerriero dello spirito,’ which is pretty naif – wasn’t Aeneas
killing for something too, not necessarily ‘spiritus’? – His focus is two
orders: the templari and the teutonic order – my other of his favourite trats
is his ‘nudi’ – or ‘gnudi,’ if you
mustn’t – when Romolo converses with Romo, they are ‘nudi’ – what they say is
what they mean and what they mean is what they say – ‘nakedness’ becomes a
philosophical category, as when Strawson says, ‘the naked true.’” “There is no
reason why it shouldn’t be a philosophical category, since the etymology is
fascinating – vide Clarke, “The naked and the nude,” -- Leonardo Vittorio Arena (Ripatransone),
filosofo. Arena insegna "Storia della filosofia contemporanea" presso
Urbino. Filosofo e orientalista,ha dedicato in particolare al Buddhismo Zen, al
Taoismo e al Sufismo una vasta produzione saggistica; è anche autore di romanzi
e traduzioni sui medesimi temi. Insegna tecniche di meditazione tratte da
pratiche buddhiste e sufi. Ha collaborato ai programmi religiosi della Radio
Svizzera. Pensiero La sua visione filosofica è esposta principalmente
nelle tre opere Nonsense o il senso della vita,Note ai margini del nulla e Sul
nudo, dove si propone una sintesi delle grandi correnti filosofiche orientali e
occidentali, con particolare riguardo a Nietzsche, Wittgenstein, Zhuāngzǐ e il
Buddhismo Chán/Zen. Il nonsense, come dall'opera Nonsense o il senso
della vita, è da intendere come la meta di ogni autentica indagine filosofica,
realizzando la "distruzione delle opinioni" sulla scorta del
Buddhismo. La filosofia del nonsense non è teoria, bensì non teoria: come la
zattera del Buddhismo o la scala di Wittgenstein, serve ad arrivare a una sorta
di consapevolezza speciale, per poi essere tranquillamente accantonata. Punto
di partenza: non è possibile formulare una filosofia esente da contraddizioni.
Nelle pagine di ogni filosofo si cela il tarlo dell'incoerenza. Traendo tutte
le conseguenze logiche di ogni filosofia se ne attesta la contraddittorietà.
L'idealismo, base di ogni filosofia, dovrà sfociare nel vuoto e nel nonsense,
laddove se ne sviluppi il suo principio-base, che è esistenziale prima ancora
che teoretico, secondo cui il mondo è la rappresentazione del soggetto o di una
mente cosmica. La posizione del nonsense spinge a riconoscere che le cose
stanno proprio così (Tathātā), cioè sono caratterizzate da una nudità che non
può essere interpretata o espressa attraverso alcuna dottrina od
opinione. Non c'è senso nascosto, e tutto è già qui, direttamente
accessibile nella vita quotidiana all'uomo comune e al Risvegliato, mai così
tanto accomunati. Lo strumento del nonsense è l'arte, specialmente la musica e
si procede verso la dimensione del non suono, già cara a John Cage, nella sua
composizione 4'33", cui Arena dedica una lunga disamina, nella sua opera
La durata infinita del non suono. La stessa tematica viene ripresa e ampliata
in Il tao del non suono, nonché nell'analisi di alcuni solisti o gruppi di
musica contemporanea, come John Lennon, David Sylvian, Brian Eno, Robert Wyatt,
Giacinto Scelsi e Ryuichi Sakamoto. Musica e filosofia si intersecano, entrambe
sono mezzi di conoscenza, addirittura intercambiabili. Arena è influenzato
dalla beat generation, e riconduce parte del suo interesse di lunga data per
l'Oriente ai Beatles e ai grandi gruppi rock dei '60 e '70. Nella poesia,
l'haiku esprime lo yugen, un senso di "profondità misteriosa" che
convive con la semplicità del "qui e ora". Nonsense implica il
superamento degli opposti, quindi permette di giungere alla non dualità, al di
là della logica formale di Aristotele, perseguita dall'esorcista del nudo, il
quale pretende di cogliere e congelare in una articolazione sistematica il
caotico divenire della vita; operazione votata all'insuccesso, e alla
contraddittorietà. Come per Nāgārjuna e Wittgenstein, anche per Arena la logica
può servire a invalidare sé stessa, ma nella dimensione radicale del kōan, come
è concepita nel Chán/Zen. L'insegnamento si trasmette grazie a una sorta di
empatia o comunicazione energetica tra maestro e allievo -, di baraka nel senso
che il termine acquista nel Sufismo -, veicolata dal silenzio e dal non
suono. Nella sua opera Note ai margini del nulla, Arena riprende la
posizione di Bodhidharma, relativa al "non sapere, non distinzione"
(fushiki), in direzione epistemologica ed ermeneutica, sottolineando la
complessità della diffusione del nonsense nell'ambito del sociale. Egli
analizza le concezioni di vari esponenti del pensiero orientale e occidentale,
tra cui Max Stirner, Fernando Pessoa e i maestri del Taoismo, specie Zhuāngzi.
Il nonsense propone un nichilismo costruttivo, dove le "ragioni" del
nulla non vengano concepite attraverso la modalità unilaterale del nihil
privativum, negativum od oggettivizzato. Arena rovescia la conclusione del
Tractatus Logico-Philosophicus: di tutto ciò su cui si dovrebbe tacere occorre
proprio parlare. Arena propone di sondare il nonsense attraverso il nudo,
una comprensione che sfoci nella non comprensione e nel non pensiero, ben più
fecondi di quanto la riflessione logico-formale non abbia dato da vedere
all'Occidente. Nietzsche, Bob Dylan e i maestri Zen si rivelano, al momento, i
suoi principali ispiratori nei toni di una filosofia non accademica, nemica del
dogmatismo e della necrofilia della teoresi. La musica elettronica
contemporanea sembra particolarmente adatta a sondare la nudità, nei modi della
improvvisazione radicale, cui Arena dedica anche un'attività concertistica
solista con lo pseudonimo Mu Machine. Arena ha pubblicato una serie di
ebook sull'analisi di maestri e filosofi alla luce delle categorie del nonsense
e del nudo, sondandone tratti indipendenti dai "punti nodali",
riscontrabili nei compendi od opere manualistiche, e considerando queste figure
nella loro alterità: Samuel Beckett, Jacques Derrida, Nietzsche e Wittgenstein
rientrano nel novero, ma anche Jacques Lacan (cfr. la voce Opere).
Parallelamente, sta sondando le illusioni e i condizionamenti dell'animo, che
non lasciano percepire il nudo/nonsense. La produzione romanzesca è
iniziata con La lanterna e la spada, dove Arena analizza la figura di Qinshi
Huangdi, il primo imperatore della Cina, famoso per l'unificazione della
lingua, del Paese, e il forte impulso dato alla costruzione della Grande
Muraglia, ma anche per il rogo dei libri, che ha ispirato Ray Bradbury in
Farenheit 451, e varie efferatezze. La produzione letteraria è proseguita con
un altro romanzo, L'imperatrice e il dragone (ripubblicato come Il Tao del
sesso), in cui si rievoca un'altra figura molto discussa, stavolta nella Cina
medioevale, quella di Wu Zhao, la quale regnò per virtù propria, fondatrice di
una sua dinastia, e non come semplice imperatrice vedova, altresì famosa per
gli eccessi e le passioni sessuali. Anche di questa figura Arena dà un ritratto
senza giudizi moralistici ed esaminandone i multiformi aspetti, come per il
primo imperatore. In L'Ordine nero, ripubblicato come La svastica sul Tibet, si
tratta della spedizione Schaefer, alla ricerca delle origini della razza umana
e di ineffabili segreti magici. Nel gruppo di nazisti si trova anche il
filosofo Leonard Mayer (personaggio inventato), alla ricerca del segreto della
mente. In Il coraggio del samurai, si parla dell'arcano connubio tra samurai e
ninja, e dei segreti di questi ultimi, descritti attraverso un gruppo di donne
guerriere, la cui sovrana è la misteriosa Padrona, di cui si dice che abbia
quattro secoli; si parla anche di Yoshitsune, un samurai del clan dei Minamoto,
sfortunato quanto valoroso, ostile al fratello Yoritomo. Nell'ultimo
romanzo pubblicato, La corda e il serpente, Arena si discosta dal romanzo
storico e scrive un'opera sperimentale, dove la trama è un pretesto, e si nota
l'influsso di William Burroughsanche di H.Lovecraft, per certi aspetti:
nell'opera si parla di Atlantide, un mondo sommerso, distrutto da una
catastrofe; il protagonista L., darà vita a una nuova specie umana. Arena
propone una personale versione della meditazione nella sua opera La Via del
risveglio, Manuale di meditazione. Egli prende spunto dal buddhismo, vipassana
e Zen, dal sufismo e da Georges Gurdjieff, dalla psicologia analitica di Carl
Gustav Jung (il Libro rosso)[25] e dal lavoro sull'ipnosi di Milton Erickson.
Una meditazione che conduce talvolta agli stati alterati di coscienza e
permette di sviscerare il nudo nonsense, caposaldo della visione filosofica di
Arena. Una meditazione che ha il suo supporto nella musica, la quale non ne
costituisce solo il sottofondo, ma anche la base per approfondire le intuizioni
che ne emergono. "Difficile separare la musica dalla meditazione",
scrive Arena, "l'una porta all'altra".[26] Scopo della meditazione è
anche attingere il non suono, categoria che Arena aveva sviscerato nei
succitati studi su John Cage e Brian Eno. Una meditazione che attinge
all'Oriente, ma fa tesoro delle conquiste psicologiche e spirituali
dell'Occidente. Per indicare la modalità filosofica della pratica Arena propone
una metafora: "La meditazione è premere il pulsante della
consapevolezza".[27] Dopo anni, e non sulla base di un ripensamento
quanto di un ampliamento, Arena torna sul nonsense con una nuova riflessione,
imperniata sul non sapere alla luce del buddhismo Chan/Zen nel suo complesso
(non solo in riferimento a Bodhidharma), e soprattutto da non intendere come non
sapere socratico. Il non sapere invita a diminuire la quantità di nozioni, a
spogliare la mente dei preconcetti, principio che potrebbe essere il pilastro
della scoperta scientifica. Lo anima il non pensiero, attività più affine alla
intuizione, che usa la logica ponendola contro se stessa. Anche questa
posizione, come quella relativa al nonsense nelle opere precedenti, mira
all'acquisizione di un equilibrio psicofisico, all'autorealizzazione, al riparo
da dogmatismi ed eurocentrismi. L'incontro con la nudità permetterà, nella
solitudine esistenziale, di svelare nuove risorse nel soggetto, un incontro con
se stessi fecondo e produttivo, senza entrare in polemica con alcuna visione
filosofica, anzi ospitando visioni del mondo contrastanti. La contraddizione, implicita
nel nonsense, è foriera di nuovi sviluppi teoretici, e consente di recuperare
istanze che, nel pensiero occidentale, erano state sepolte dopo la
demonizzazione dei sofisti.[28] Altre
opere: “Nietzsche-Wagner-Schopenhauer” (Fermo); “Il Vaisheshika Sutra di Kanada
(Quattroventi) La filosofia di Novalis (Franco Angeli) Comprensione e
creatività. La filosofia di Whitehead (Franco Angeli) Novalis, Polline (Studio
Editoriale) Antologia della filosofia cinese (Arnoldo Mondadori Editore) Storia
del buddhismo Ch'an (Mondadori) Il canto del derviscio [povero mendicanti sufi]
(Mondadori) Il Nyaya Sutra di Gautama (Asram Vidya Edizioni) Antologia del Buddhismo
Ch'an (Mondadori) Diario Zen (Rizzoli) I maestri (Mondadori) Haiku (Rizzoli); “Al
profumo dei pruni. L'armonia e l'incanto degli haiku giapponesi, Rizzoli ).
Realtà e linguaggio dell'inconscio (Borla) Novalis, Enrico di Ofterdingen
(Mondadori) Vivere il Taoismo (Mondadori) Il Sufismo (Mondadori) Il bimbo e lo
scorpione (Mondadori) La grande dottrina e Il Giusto mezzo (opere confuciane)
(Rizzoli) La filosofia indiana (Newton) Buddha (Newton) La via buddhista dell'illuminazione
(Mondadori) Del nonsense (Quattroventi) Sun-tzu, L'arte della guerra (Rizzoli)
Iniziazione all'autorealizzazione. Un percorso verso la consapevolezza
(Edizioni Mediterranee) Chuang-tzu, Il vero libro di Nan-hua (Mondadori);
Zhuangzi (Rizzoli). Poesia cinese dell'epoca T'ang (Rizzoli) La barriera senza
porta (Mondadori) La filosofia cinese (Rizzoli) La storia di Rama (Mondadori)
Nei-ching, canone di medicina cinese (Mondadori) I-ching. Il libro delle
trasformazioni (Rizzoli) Samurai. Ascesa e declino di una nobile casta di
guerrieri (Mondadori) Musashi, Il libro dei cinque anelli (Rizzoli) Kamikaze.
L'epopea dei guerrieri suicidi giapponesi (Mondadori); “Hagakure, Il codice dei
samurai (Rizzoli) La mente allo specchio (Mondadori) Il sogno della farfalla
(Pendragon) Il libro della tranquillità. 100 koan del buddhismo Zen (Mondadori)
Sun Pin, La strategia militare (Rizzoli) Dogen, Shobogenzo (Mondadori) Tecniche
della meditazione taoista (Rizzoli); “Il tao della meditazione, Rizzoli); I 36
stratagemmi (Rizzoli); I guerrieri dello spirito (Mondadori); La lanterna e la
spada (Piemme) Lo spirito del Giappone (Rizzoli) L'imperatrice e il dragone
(Piemme) La pagoda magica e altri racconti per trovare la felicità dentro di sé
(Piemme); “Il libro nella felicità”; “II pensiero indiano (Mondadori) Orient
Pop. La musica dello spirito (Castelvecchi) L'arte della guerra e della
strategia (Rizzoli) Il lago incantato. Racconti sull'amore (Piemme) L'ordine
nero (Piemme) L'innocenza del Tao (Mondadori); Il maestro e lo sciamano
(Piemme, ) Incontri di filosofia. La biblioteca di Babele, I (Città di Ripatransone). Xunzi, L'arte confuciana
della guerra (Rizzoli) Confucio (Mondadori) Il coraggio del samurai (Piemme)
Nietzsche in Cina nel XX secolo”; Incontri di filosofia. La filosofia come
conoscenza di sé, II (Città di
Ripatransone). Memorie di un funambolo; Note ai margini del nulla; Nonsense o
il senso della vita; La durata infinita del non suono (Mimesis) Il pennello e
la spada. La Via del samurai (Mondadori, ) Introduzione al Sufismo (ebook, ).
Un'ora con Heidegger (Mimesis, ). Introduzione alla storia del Buddhismo Ch'an
(ebook, ). Il libro della tranquillità (Congronglu) 100 koan del Buddhismo
Zen”; L'arte del governo (Huainanzi) (Rizzoli); “Heidegger, il Tao e lo Zen
(ebook, ). Il Tao del sesso: La storia di Wu Zhao; La lanterna e la spade”; “La
svastica sul Tibet”; Il libro dei segreti d'amore”; All'ombra del maestro”; Il
Tao del non suono”; “La filosofia di David Sylvian. Incursioni nel rock
postmoderno (Mimesis); “Ikkyu poeta zen; “La filosofia di Brian Eno. Filosofia
per non musicisti (Mimesis); “Novalis come alchimista”; “La filosofia di Robert
Wyatt. Dadaismo e voceunlimited (Mimesis). Yogasutra (di Patanjali) (Rizzoli ).
Sun-tzu: l'arte della guerra per conoscersi; La barriera senza porta (Wu-men
kuan) 100 koan del buddhismo Zen”; “La comprensione negata”; “Buddha: La via
del risveglio”; “Nagarjuna: la dottrina della via di mezzo (Zhonglun)”; “Il
libro rosso di Jung (ebook, ). La storia di Rama (Ramayana)”; “Sul nudo. Introduzione
al Nonsense (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; Lacan Zen, L'altra
psicoanalisi (Mimesis). Storia del pensiero indiano”; “Oltre il nirvana”;
L'altro Derrida”; “Watt, la cosa e il nulla. L'altro Beckett; L'altro
Wittgenstein”; “Nietzsche, lo Zen, Bob Dylan. Un'autobiografia”; “ L'altro
Nietzsche”; “Una introduzione alla filosofia di John Lennon”; “Scelsi: Oltre
l'Occidente, Crac Edizioni. La corda e il serpente, Illusioni, La filosofia di
Sakamoto, Il Wabi/Sabi dei colori proibiti, Mimesis. La Via del risveglio,
Manuale di meditazione, Milano, Rizzoli. Wenzi, Il vero libro del mistero
universale. Un classico della filosofia taoista, Milano, Jouvence. La filosofia
di John Lennon. Rock e rivoluzione dello spirito, Milano-Udine, Mimesis.
Togliersi le idee. L'ombra del nonsense, Il Tao della pedagogia (selezioni da:
Annali Primavere-Autunni di Lu Buwei); Il libro segreto dei ninja: Shoninki; Ikkyu:
l'Antibuddha, (poesie in traduzione dal giapponese); Confucio come counselor, Miyamoto
Musashi: Dokkodo; Quanti orientali. Oltre il Tao della fisica; Daodejing: Laozi
come counselor; Zhuangzi: i capitoli interni; Bhagavad Gita; Qohelet, l'interpretazione
"orientale"; Il pensiero giapponese. L'età moderna e contemporanea,
Jouvence. La filosofia di Bob Dylan, Mu Machine Collection; Zhuangzi: i
capitoli esterni, Mu Machine Collection; Zhuangzi: miscellanea, Mu Machine
Collection; La raccolta della roccia blu (i cento koan del Biyanlu), Mu Machine
Collection; Basho:Haiku, Mu Machine Collection; Vivere il taoismo, Mu Machine
Collection; Il libro rosso di Jung: Liber Primus, Mu Machine Collection, ebook.
Storia del pensiero indiano, II, Mu
Machine Collection, Storia del pensiero indiano, III, Mu Machine Collection, Storia del
pensiero indiano, IV, Mu Machine
Collection, ebook. Il libro rosso di Jung: Liber Secundus, Mu Machine
Collection, L'antistoria della filosofia, Mu Machine Collection, Zen contro Zen,
Mu Machine Collection, I greci in
Oriente, Mu Machine Collection, Liezi il libro taoista della verità, Mu Machine
Collection, Lo spirito del samurai: Budoshoshinshu, Mu Machine Collection, Il
giardino nascosto (sul tempo), Mu Machine Collection, Neijing il canone di
medicina cinese, Mu Machine Collection, Dogen Shobogenzo, Mu Machine Collection,
Guida al cinese classico, Mu Machine Collection; Nascita di un samurai, Mu
Machine Collection; Il Canone di Mozi. La logica cinese, Mu Machine Collection,
ebook. Jung Zen, Mu Machine Collection. In Inglese Nonsense as the Meaning, ebook,.
Nietzsche in China in the 20th Century, ebook,. The Shadows of the Masters,
ebook,. An Introduction to Sufism, ebook,. The Dervish, ebook,. Cage Nagarjuna
Wittgenstein, ebook,. Nosound, ebook,. The Red Book of Jung, ebook,. Illusions,
ebook,. The Book On Happiness, ebook. On Nudity. An Introduction to Nonsense,
Mimesis International. David Sylvian As A Philosopher, Mimesis International.
In Spagnolo El canto del derviche. Parabolas de la sabiduria Sufi, Grijalbo,
Barcelona 1997. In Francese Sur le nu. Introduction à la philosophie du
Nonsense, Editions Mimésis,. Note L. V.
Arena, Nonsense o il senso della vita, ebook, cap. 1 Nonsense o il senso della vita, cap. 6 L. V. Arena, La durata infinita del non
suono, Mimesis L. V. Arena, Il tao del
non suono, ebook L. V. Arena, Una
introduzione alla filosofia di John Lennon, Kindle Edition L. V. Arena, La filosofia di David Sylvian.
Incursioni nel rock postmoderno, Milano, Mimesis L. V. Arena, La filosofia di Brian Eno, Milano,
Mimesis,. L. V. Arena, La filosofia di
Robert Wyatt, Milano, Mimesis,. L. V.
Arena, Scelsi: Oltre l'Occidente, Falconara Marittima, Crac Edizioni,. L. V. Arena, La filosofia di Sakamoto, Il
Wabi/Sabi dei colori proibiti, Milano-Udine, Mimesis,.. L. V. Arena, Orient pop. La musica dello
spirito, Roma, Castelvecchi, 2007.
Nagarjuna, The Philosophy of the Middle Way, D. Kalupahana, Albany, 1986 L. Wittgenstein, Tractatus
Logico-philosophicus, Torino, Einaudi 1984
L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook, passim L. V. Arena, Note ai margini del nulla, ebook,
cap. 1 Biyanlu, 1 Leonardo Vittorio Arena, Zhuangzi: I capitoli
interni, ebook; Idem, Zhuangzi: i capitoli esterni, ebook, idem, Zhuangzi:
Miscellanea. ebook.. Contra Kant,
Critica della ragion pura, Roma-Bari, Laterza 1979, p.281 Nonsense o il senso della vita,
Appendice L. V. Arena, La comprensione
negata, ebook,. Leonardo V. Arena, La
filosofia di Bob Dylan, Collezione Mu Machine, ebook.. Leonardo V. Arena, Nietzsche, lo Zen, Bob
Dylan, Autobiografia, I, ebook. L. V. Arena, Illusioni, Kindle Edition,. L. V. Arena, La Via del risveglio, Manuale di
meditazione, Milano, Rizzoli.. Leonardo
Vittorio Arena, Il libro rosso di Jung, ebook.
Ibidem13. Ibidem15. L. V. Arena, Togliersi le idee, L'ombra del
nonsense,.. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio su Leonardo
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nulla, su amazon. L'attività accademica di Leonardo Vittorio Arena
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Arena, su leonardovittorioarena.wordpress.com. L'autobiografia, su amazon. Filosofia
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italianiStorici delle religioni italiani 1953 Ripatransone. Leonardo Vittorio
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Butterfly, Turandot, Mascagni, Iris, Leoni, L’Oracolo, Confucio, la guerra,
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know’ – metafisica, greco-latina, Heidegger citato par Arena, Leonardo Arena,
Leonardo Vittorio Arena. Cinese, linguaggio, la filosofia del linguaggio di
Novalis, Gozzi, libretti di Butterfy, Turandot, Isis, L’Oracolo. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arena” – The
Swimming-Pool Library.
Grice ed Aresandro – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Lucania). Filosofo italiano.
According to Giamblico di Calcide, Aresandro was a Pythagorean.
Grice ed Aresa – Roma – filosofia italiana
– Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. Aresas was a Pythagorean. According to
lamblichus of Chalcis, he re-established the school of Pythagoras, and Diodorus
of Aspendus became one of his students or companions. He is also said to have previously
fled from Croton when it was attacked by enemies of the Pythagoreans and sought
safety with friends at a distance, but he would have had to have lived an
extraordinarily long time for both stories to be true. Although many identify
Aresas with Aresandrus of Lucania, it may be that two separate stories and
people have been confused, with the earlier history belonging to Aresandrus and
the later one to Aresas.
Grice ed Ario – filosofia italiana – Roma
– Luigi Speranza -- Ario Didimo. Ario Didimo (in greco Ἄρειος?;
latino: Arius Didymus) è sun filosofo italiano, insegnante di filosofia di
Ottaviano. Ario era un cittadino di Alessandria d'Egitto. Ottaviano lo
stima talmente tanto che, dopo la conquista di Alessandria, dichiara di aver
risparmiato la città solo per il bene d’Ario. Secondo Plutarco, Ario suggere ad
Ottaviano di giustiziare Cesarione, il figlio di Cleopatra e Giulio Cesare, con
le parole οὐκ αγαθὸν πολυκαισαρίη "non è bello avere troppi Cesari",
un gioco di parole basato su un verso di Omero. Ario, come i suoi due figli
Dionisio e Nicanore, insegnano filosofia ad Ottaviano.Viene spesso citato da
Temistio, il quale afferma che Ottaviano lo considerava meritevole quanto
Agrippa. In Quintiliano si scopre che Ario scrive o insegna anche retorica. Si
tratta probabilmente dello stesso Ario la cui Vita era nella parte finale
mancante del libro VII delle Vite di Diogene Laerzio. Ario Didimo viene
solitamente identificato con l'Ario le cui opere vengono citate a lungo da
Stobeo, e che sintetizzano lo stoicismo, la scuola peripatetica ed il
platonismo. Il fatto che il nome completo sia Ario Didimo lo sappiamo grazie ad
Eusebio, il quale cita due lunghi passaggi della sua visione stoica del
dividno; la conflagrazione dell'universo; e l'anima. Plutarco, Ant. 80,
Apophth.; Cassio Dione, li. 16; Giuliano, Epistles, 51; comp. Strabone, xiv. ^
David Braund at al, Myth, history and culture in republican Rome: studies in honour
of T.P. Wiseman, University of Exeter Press, 2003, p.305. La frase originale
era οὐκ αγαθὸν πολυκοιρανίη " cioè "Non è bello avere troppi
capi" o "il regno di molti è una brutta cosa" (Omero, Iliade II,
v. 204). "polukaisarie" è una variante di "polukoiranie".
"Kaisar" (Cesare) sostituisce "Koiran(os)", che significa
"capo". Sventonio, Augustus, 89. ^ Temistio, Orat. v., viii., x.,
xiii ^ Quintiliano, ii. 15. § 36, iii. 1. § 16 ^ Comp. Seneca, consol. ad Marc.
4; Eliano, Varia Historia, xii. 25; Suda ^ Richard Hope, 1930, The book of
Diogenes Laertius: its spirit and its method, pag 17. ^ Inwood, B., (2003), The
Cambridge Companion to the Stoics, pag 32. Cambridge University Press ^
Eusebio, Praeparatio Evangelica, xv. 15, 18, 19, 20. Bibliografia Arthur J.
Pomeroy (ed.), Arius Didymus. Epitome of Stoic Ethics. Texts and Translations
44; Graeco-Roman 14. Atlanta, GA: Society of Biblical Literature, 1999. Pp. ix,
160. ISBN 0-88414-001-6. B. Inwood, e L.P. Gerson, Hellenistic Philosophy.
Introductory Readings, 2ª edizione, Hackett Publishing Company,
Indianapolis/Cambridge 1997, pp. 203–232. Fortenbaugh, W. (Editor), On Stoic
and Peripatetic Ethics: The Work of Arius Didymus. Transaction Publishers.
(2002). ISBN 0-7658-0972-9 Altri progetti Collabora a Wikiquote Wikiquote
contiene citazioni di o su Ario Didimo Collegamenti esterni Arìo Dìdimo, su
Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.
Modifica su Wikidata Andrea Ferro, ARIO DIDIMO, in Enciclopedia Italiana,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1929. Modifica su Wikidata Ario Didimo, in
Dizionario di filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su
Wikidata Arìo Dìdimo, su sapere.it, De Agostini. Modifica su Wikidata (EN)
Opere di Ario Didimo, su Open Library, Internet Archive. Modifica su Wikidata
Eusebio di Cesarea, Praeparatio Evangelica, Libro XV. 15, 18, 19, 20. Portale
Biografie Portale Filosofia Categorie: Filosofi romaniFilosofi del
I secoloRomani del I secoloNati nel I secolo a.C.Morti nel I secoloAlessandrini
di epoca romanaStoici[altre]
Grice ed Arione – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Locri). Filosofo italiano. Arion
was a Pythagorean visited by Platone.
Grice ed Aristea – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo
italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristea was a
Pythagorean.
Grice ed Aristeneto – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Nizza). Filosofo italiano. Aristeneto
was a pupil of Plutarco.
Grice ed Aristeo
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico
di Calcide, Aristeo was a pupil of Pythagoras. When Pythagoras died, Aristeo
became his successor ad married his widow, Theano. Fragments of a work on
harmony are attributed to him. Legend has it that he married Pythagoras’s
widow, herself the daughter of Brontino. There is however, some confusion over
this. According to another tradition, it was Brontino who married Pythagoras’s
widow. Still according to a yet another tradition, the woman was Pythagoras’s
pupil, not wife, whom Brontino married. Schuler argues that there were actually
two women involved, perhaps mother and daughter. This convolution is one of the
main reason why Oxford is not co-educational.
Grice ed Aristide
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According to Giamblico
di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristide was a Pythagorean.
Grice ed
Aristippo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico
di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristippo was a Pythagorean.
Grice ed Aristo –
Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Aristo specialised in
legal philosophy. Plinio Minore describes him as a man of great wisdom, and
superior in virtue to all the philosophers of his time.
Grice ed Aristo –
Roma –filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Aristus was the brother
of Antioco and a friend of Brutus. Aristu was said to hae been an inferior
philosopher to his brother, but a wholly admirable individual.
Grice ed
Aristocleida – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico
of Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristocleida was a Pythagorean.
Grice ed
Aristocle – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Tito Claudio Aristocle. A
member of the Lizio, studied at Rome under Erode Attico.
Grice ed
Aristocrate – Roma – filosofia italiana. – Luigi Speranza – Filosofo italiano. Petronio Aristocrate – Regarded
as an accomplished philosopher, a man of great learning, and someone who lead a
pious life. He was a puil of Lucio Anneo Cornuto and a friend of both Persio
and Agatino.
Grice ed
Aristocrate – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Reggio). Filosofo italiano. According to Giamblico
di Calcide, Arisocrate was a Pythagorean.
Grice ed
Aristodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. Aristodoro was the
recipient of the tenth letter of Platone – but we do not if he responded to it.
In the letter, Plato credits Aristodor as being a “philosopher” himself.
Grice ed
Aristomene – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Metaponto). Filosofo italiano. According to
Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), Aristomene was a Pythagorean.
Grice ed Aristone
– Roma – filosofia italiana – Filosofia del principtao -- Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Ariston was a philosopher
at Rome, attached to the household of Marco Lepido. According to Seneca,
Aristone used to engage in philosophical discussions when travelling around in
a carriage, leading a wit to observe that he was obviously not a ‘peripatetic.’
Grice ed Aristone
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Ceos). Ariston of Julii after the town on Ceos.
Grice ed Aristosseno – Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Taranto). of Taranto. How to
live the good life. Aristosseno filosofo greco antico Lingua Segui
Modifica «Diceva Aristosseno che il vero amore del bello sta nelle attività
pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il voler bene hanno inizio dalle
buone usanze e occupazioni, così come, nelle scienze ed esperienze, quelle
buone ed oneste amano davvero il bello; mentre ciò che dai più è detto amore
del bello, cioè quello che si manifesta nelle necessità e nei bisogni della
vita è, se mai, la spoglia del vero amore.» (Stobeo, Florilegio, III, 1,
101.) Aristosseno (in greco antico: Ἀριστόξενος, Aristóxenos, in latino:
Aristoxĕnus; Taranto, ... – ...; fl.335 a.C.[1]) è stato un filosofo greco
antico, peripatetico e scrittore di teoria musicale. Ritratto
immaginario di Aristosseno. Figlio di Spintaro (allievo di Socrate), fu da
questi e dal padre avviato alla musica e alla filosofia. S'interessò alla
dottrina pitagorica, per poi diventare discepolo di Lampo Eritreo, di Senofilo
e infine uno dei principali allievi di Aristotele: infatti ebbe l'incarico di
tenere nella sua scuola lezioni di musicologia. Aspirò alla successione del
maestro e la nomina di Teofrastoalla direzione della scuola peripatetica, dopo
la morte di Aristotele, fu la profonda delusione della sua vita [2].
Infatti si trasferì a Mantinea, una città del Peloponnesofamosa per la
diffusione della musica, dove visse per molti anni, ebbe molti discepoli detti
Aristosseni e fu consigliere del re Neleo. Qui scrisse due opere, Il carattere
dei Mantinei [3] e l'Elogio dei Mantinei [4]. OpereModifica Secondo Suda,
Aristosseno scrisse 453 opere, molte delle quali sulla musica, per la quale
divenne autorità indiscussa. In base ai frammenti, le opere aristosseniche
possono essere divise in vari gruppi [5]. In primo luogo, Aristosseno si
dedicò, sulle orme di Aristotele, allo studio delle teorie pitagoriche, con
opere come la Vita di Pitagora (Πυθαγόρου βίος, fr. 11 Wehrli); Su Pitagora e i
suoi allievi (Περὶ Πυθαγόρου καὶ τῶν γνωρίμων αὐτοῦ, fr. 14 Wehrli); La vita
pitagorica (Περὶ τοῦ Πυθαγορικοῦ βίου, fr. 31 Wehrli); Massime pitagoriche
(Πυθαγορικαὶ ἀποφάσεις, fr. 34 Wehrli). L'attenzione alla dimensione
educativo-pedagogica è testimoniata dalle Leggi educative (Παιδευτικοὶ νόμοι,
fr. 42-43 Wehrli) e dalle Leggi politiche (Πολιτικοὶ νόμοι, fr. 44-45 Wehrli).
Numerose furono anche le sue biografie: Vita di Archita (Ἀρχύτα βίος, fr. 47-50
Wehrli); Vita di Socrate (Σωκράτους βίος, fr. 54 Wehrli); Vita di Platone (Πλάτωνος
βίος, fr. 64 Wehrli); Vita di Teleste (Τελέστου βίος, fr. 117 Wehrli), sul
poeta ditirambico. Dove, però, Aristosseno lasciò una duratura impronta
fu la teoria della musica, con opere come Sui tonoi(Περὶ τόνων), di cui resta
una breve citazione nel commentario di Porfirio agli Armonica di Claudio
Tolomeo; Sulla musica (Περὶ μουσικῆς, fr. 80, 82, 89 Wehrli); Ascolto della
musica (Μουσικὴ ἀκρόασις, fr. 90 Wehrli); Su Prassidamante (Πραξιδα .μάντεια,
fr. 91 Wehrli); Sulla melica (Περὶ μελοποιίας, fr. 93 Wehrli); Sugli strumenti
(Περὶ ὀργάνων, fr. 94-95, 102 Wehrli); Sugli auloi (Περὶ αὐλῶν, fr. 96 Wehrli);
Sui flautisti(Περὶ αὐλητῶν, fr. 100 Wehrli); Sui fori degli auloi(Περὶ αὐλῶν
τρήσεως, fr. 101 Wehrli); Sui cori (Περὶ χορῶν, fr. 103 Wehrli); Sulla danza
della tragedia (Περὶ τραγικῆς ὀρχήσεως, fr. 104-106 Wehrli); Comparazioni
(Συγκρίσεις, fr. 109 Wehrli); Sui poeti tragici (Περὶ τραγῳδοποιῶν, fr. 113
Wehrli). Infine, tipicamente erudite erano le Miscellanee simposiali
(Σύμμικτα συμποτικά, fr. 124 Wehrli); Memorabilia (Ὑπομνήματα), Memorabilia
storici(Ἱστορικὰ ὑπομνήματα), Memorabilia in breve (Κατὰ βραχὺ ὑπομνήματα),
Note miscellanee (Σύμμικτα ὑπομνήματα), Note sparse (Τὰ σποράδην): fr. 128-132,
139 Wehrli.[6] A noi sono giunti gli Elementi di armonia (᾿Αρμονικά)
divisi in tre libri: nel primo, intitolato Principii vengono esposti la
definizione della scienza armonica e i suoi argomenti, quali la voce, acuto e
grave, intervalli, melodia, generi, suoni e tonalità; nel secondo vi è una
introduzione filosofica, una presentazione innovativa delle caratteristiche
dell'armonia, una polemica contro gli esperti di musica passati e
tradizionalisti; il terzo libro inizia con l'approfondimento degli intervalli e
s'interrompe sulla parte intitolata Elementi. Musica ed estetica in
Aristosseno. Interessa rilevare negli scritti di Aristosseno la presenza più o
meno esplicita di un pensiero estetico: un'idea di quel che sia o come debba
essere intesa l'opera d'arte musicale. Alla musica attribuì un notevole
influsso etico ed educativo, ma anche un uso terapeutico: «il vero amore
del bello sta nelle attività pratiche e nelle scienze; perché l'amare e il
voler bene hanno inizio dalle buone usanze e occupazioni, così come, nelle
scienze ed esperienze, quelle buone ed oneste amano davvero il bello; mentre
ciò che dai più è detto amore del bello, cioè quello che si manifesta nelle
necessità e nei bisogni della vita è, se mai, la spoglia del vero amore.»
(Stobeo, Florilegio, III, 1, 101.) Aristosseno applicò alla musica il duplice
metodo, sperimentale e teorico, di chiara influenza aristotelica, tanto da
scrivere che i pitagorici «usavano medicine per purificare il corpo e musica
per purificare la mente». Abbinò questi studi allo sviluppo della dottrina dell'anima
come armonia del corpo, perfezionando gli astratti presupposti
dell'aritmeticapitagorica con l'osservazione attenta dei fenomeni del suono. È,
tra l'altro, andata perduta un'opera di Aristosseno che era intitolata
Sull'ascoltare musica, nella quale pare si sostenesse il carattere
necessariamente attivo di questa operazione, che richiede un vigile e assiduo
confronto tra i suoni passati e quelli presenti e futuri. Ossia, Aristosseno
riconobbe la funzione fondamentale della memoria nell'intelligenza della
musica, come risulta da un paragrafo degli Elementi di armonia: «Di queste due
cose, invero, la musica è coesistenza: sensazione e memoria. Bisogna infatti
sentire ciò che accade e ricordare ciò che è accaduto». Grazie a Plutarco
sono giunte fino a noi altre parti del modello musicale elaborato da
Aristosseno, il quale era consapevole che la musica non poteva essere limitata
a una ricreazione scientifica e nemmeno a un gioco di sensazioni, bensì alla
riuscita di tutte le sue parti, dalle parole ai ritmi e ai suoni, e il compito
del genio è quello di creare le corrispondenze fra questi elementi, attraverso
un lavoro di sintesi. Il compito dell'ascoltatore, secondo le teorie di
Aristosseno è quello di ricostruire l'opera stessa e se la fusione è esaustiva,
in qualche modo l'opera esiste. Secondo la Cronaca eusebiana. ^ Suda, s.v. ^
Μαντινέων ἔθη, fr. 45, I, rr. 1-9 Wehrli. ^ Μαντινέων ἐγκώμιον, fr. 45, I, rr.
10-12 Wehrli. ^ Il riferimento è all'edizione di F. Wehrli, Die Schule des
Aristoteles, vol. 2, Aristoxenos, Basel/Stuttgart 1967, con il testo greco dei
frammenti e commento in tedesco. ^ a b "Dizionario di Musica", di A.Della
Corte e G.M.Gatti, Torino 1956, voce "Aristosseno", pp. 21-22.
Modifica Carl A. Huffman (ed.), Aristoxenus of Tarentum: Discussion, New
Brunswick - London 2011. Sophie Gibson, Aristoxenus of Tarentum and the Birth
of Musicology, New York, Routledge, 2005. Amedeo Visconti, Aristosseno di
Taranto. Biografia e formazione spirituale, Napoli 1999. F. Wehrli, Die Schule
des Aristoteles, vol. 2, Aristoxenos, Basel/Stuttgart 1967. Altri
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dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata ( EN ) Aristosseno, su
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fa di Biobot PAGINE CORRELATE Spintaro compositore e filosofo greco antico
Clearco di Soli filosofo cipriota De audibilibus opera dello
Pseudo-Aristotele
Grice ed Armetta –
dialogo – filosofia italiana – filosofia siciliana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo
italiano. Grice: “I like Armetta; he is into ‘dialogue,’ I am into
conversation. I once suggested to Strawson that he should write a dissertation
on the distinction betweehn dia-logos and cum-versatio, but he said that
‘converse’ is used to mean ‘make out’ in the Bible, while ‘dialogue’ ain’t!” Principale
allievo di Santino Caramella, di cui cura il lascito. Si è laureato in Filosofia presso l’Palermo
con Santino Caramella, di cui è diventato subito assistente universitario. Con
lui e gli altri allievi e collaboratori ha fondato la rivista di filosofia
«Dialogo» (1964-1974); dal 1960 al 1992 ha insegnato nei licei di stato (per un
lungo periodo di tempo presso il Liceo Ginnasio Vittorio Emanuele II); dal 1981
insegna presso la Pontificia Facoltà Teologia di Sicilia «San Giovanni
Evangelista», prima come docente incaricato di Dottrine filosofiche e fino al
2004 anche di Logica; ha fatto parte della segreteria della Rivista della
Facoltà per un decennio fino al 1998 e sin dall’anno accademico 1985 è
Segretario Generale della medesima Facoltà.
Il pensiero di Armetta è una rilettura del neoidealismo crociano e
gentiliano sulla base dello spiritualismo cristiano. I suoi studi sono rivolti
soprattutto alla storia del pensiero filosofico e teologico in Sicilia, e sono
culmila curatela del monumentale Dizionario Enciclopedico dei pensatori e dei
teologi di Sicilia. Altre opere: "La
filosofia del volere da Omero a Platone”; “Storia e idealità in S.
Kierkegaard”; “L’uomo come natura”; “Guida agli scritti di Santino Caramella”;
“Teoria e pratica in Santino Caramella”; “Caramella e Gobetti. Un rapporto oscurato”;
“Il Carteggio Caramella-Croce”; “Il carteggio tra Caramella e Radice”; “Per una
società in dialogo”; “Il pensiero filosofico in Sicilia”; “Elementi di
ideologia”; “Istituzioni ideologiche”; “Rosario La Duca. Guida agli scritti”; “La
toponomastica di TerrasiniFavarotta”; Dizionario enciclopedico dei pensatori e
dei teologi di Sicilia. Secc. XIX e XX, Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma);
“Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini
al sec XVII (Sciascia Editore, Caltanissetta-Roma). Riconoscimenti Papa
Benedetto XVI lo ha insignito del titolo di Cavaliere Commendatore dell'Ordine
di S. Silvestro (13 febbraio ).
Note Caltanissetta, Sciascia
Editore,. Filosofia Filosofo del XX secoloFilosofi italiani Professore1928
Palermo. Francesco Armetta. Keywords: dialogo, fascimo filosofico, filosofi del
fascism, croce e caramella – il carteggio curato da Armetta, presenza di
Caramella nel primo convegno a Milano, dialogo, implicatura dialettica,
Caramella e Giobetti, storia della filosofia italiana, filosofia politica nella
Italia del primo novecento, la metafisica del dialogo in Vico. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Armetta” –
The Swimming-Pool Library.
Grice ed Arnoufi – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza.
A philosopher. His talents extended to magic. He conjured up a stor for the
Romans at a time when they were short of water.
Grice ed Arriano – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza
-- Lucio Flavio Arriano – Scolaro di Epitteto.
Grice ed Arrighetti –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo italiano. Grice: “I
like Arrighetti: his forte was Aristotle’s rhetoric, and he was very popular
with the Accademia degli Ardenti, and later with a subgroup of this, The
Accademia degli Svelati (which later merged with the Accademia dei Lunatici);
his other forte was the distinction between ‘oratio’ and ‘oratio vvocalis’ –
“Os” is of course Romann for ‘mouth’ – but figuratively for ‘linguaggio’ –
(after all, the tongue is IN the mouth). I happen to prefer ‘mouth,’ because
Roman ‘os’ is related to ‘essere’: you are who you are, i.e. you exist, because
you can breathe through your mouth. Appartenente a una nobile famiglia fiorentina,
studiò la lingua Greca e le filosofie Aristotelica e Platonica nelle Pisa e di
Padova. Dedicatosi agli studi teologici, venne ascritto al Corpo dei Teologi
dell'Università Fiorentina il 20 novembre del 1631. Il Pontefice Urbano VIII,
che aveva molta stima per il giovane, lo creò Canonico Penitenziere della
Cattedrale di Firenze e esaminatore sinodale, posizione che mantenne fino alla
morte. Arrighetti morì il 27 novembre del 1662 all'età di 80 anni. Fu uno dei
membri più illustri dell’Accademia Fiorentina e di quella degli Alterati fra i
quali si chiamò Fiorito. Altre opere:
“La rettorica d’Aristotele e Cicerone spiegata” (Firenze); “La Poetica d'Aristotele, spiegata” (I
Svogliati, Pisa), “Il Piacere” (Firenze); “Il riso” (Firenze); “L’ingegno”
(Firenze), “L’onore” (Firenze); “Vita di S. Francesco Saverio estratta dalle
relazioni, fatte in Concistoro da Francesco Maria Cardinale del Monte”,
“Sermoni sacri, volgari e latini fatti in varie chiese e compagnie di Firenze”;
“Opere spirituali”; “L'Orazione vocale e mentale”; “Tractatus de iis quae
necesitate medii et precepti credenda sunt”. Note Arrighetti (Philippe), in: Louis Gabriel
Michaud: Biographie universelle ancienne et moderne, 2ª edizione 1843, 2291.
Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society for
the Diffusion of Useful Knowledge, 3, 2
(1844)641 sg. Arrighetti (Philippe), in:
Nouvelle biographie générale, 1852–66,
3358 Arrighetti, Filippo. In: The Biographical Dictionary of the Society
for the Diffusion of Useful Knowledge,
sg. Biografie Biografie Cattolicesimo Cattolicesimo Filosofia Categorie: Religiosi
italianiFilosofi italiani del XVI secoloFilosofi italiani del XVII
secoloGrecisti italiani 1582 1662 27 novembre Firenze PadovaTraduttori dal
greco all'italiano. RETTORICA E POETICA D'ARISTOTILE TRADOTTE
E SPIEGATE DA FILIPPO ARRIGHETTI CANONICO FIORENTINO. PROLOQVII NELLA RETTORICA
D'ARISTOTELE RECITATI NELL'ACCADEMIA DELLI SVEGLIATI IN PISA. RAGIONAMENTO I.
De principii vniversali dell'arte. Prooemium. E' lodevol'usanza di tutti i
buoni espositori et massime di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal
principio di qualunque trattato ch'eglin si metton ad esporre, i quali da lor
son detti prolegomeni, o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima
cagione, per chiarezza et intelligenza delle cose che si deven trattare, et
molti son questi de quali si fa maggior o minor copia secondo la qualità de
trattati parte nascenti dalla natura delle cose da insegnarsi, parte da varii
accidenti onde si vede che questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo
oscura ma al men come lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso
silenzio. Pregoti dunque benigno uditore, poich'io solco mar non troppo
cognito, che tu aiuti questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione.
Quel ch'inducesse li huomini et quando a ritrovar l'arti. E' cosa manifesta a
ciascheduno che l'huomo è composto di due parti principali, d'anima et di
corpo. L'anima divina et immortale et per se stessa aspirante a cose alte et
elevate: ma per esser racchiusa nel profondo del corpo nostro, tale che non può
senza l'aiuto suo sostenersi, il ch'è la vita nostra. Hebben acconcia la terra,
onde potessen nutricarsi et altresì provedut'onde commodamente vivesseno, si
dieden alla contemplazione. Et tanto basti haver detto dell'occasion del
ritrovar l'arti, et del tempo in che elle si ritrovarono. Trattano i
logici e metafisici della diffinizione ma con esquisitezza singulare mostrando
che la diffinitione è una oratione, la quale dichiara la essenza et natura
della cosa, et questa da loro si compone di genere et differenze. Ma havendoci
noi proposto di ragionar di quelli che son più oscuri et manco trattati da
professori della Rettorica, che son chiaramente quelli di cui già habbiam discorso.
Poscia che havuto fine il nostro proposito, porrem anchor noi fine al nostro
ragionamento. Camminando su l'orme de discorsi fatti sin a qui sì in
generale, sì in particolare sopr'il negozio rettorico acciocché si proceda
secondo l'ordine della natura, che è cominciando prima delle cose prime, andrem
ritrovando il fine a cui s'indirizza questa professione, o ver arte che dir la
vogliamo. Però essend'egli parte della felicità, vien ad esser ancho parte del
fine humano. Insin a qui habbiam vedut'in quanti modi si piglia il diletto, et
non ha dubbio alcuno ch'un di questi si convien alla poesia; hora è da veder
quale et come, et scior le dubitazioni ch'intorn'a ciò accadesseno. Disse
Aristotele l'imitazione esser una delle principali cagioni della poesia et noi
poco fa l'habbiam posta come fine. Adunque terremo per fermo che l'imitazione
co'l metro habbin dat'origine alla poesia et che le sien la vera essenza di
quella. Del suggetto della poetica. S'egli è vero quel che noi habbiam
determinato ne discorsi rettorici essend'il suggetto quel ch'è capace della
forma che intende d'introdur l'artefice et ove s'impiega l'opera del poeta,
tutta rigirandos'intorno a questo che s'imiti alcuna attione è necessario dir
ch'ella sia il suo suggetto. Et vedesi che s'è ben dato qualche condimento
all'arti et alla filosofia mediante il verso come fecen molti scrittori innanzi
a Platone Anassagora Empedocle ET APPRESS'I LATINI LUCREZIO et di medicina
da Q. Sereno et altri la qual'usanza non è stata approvata né seguita da
maestri delle scienze et pur le cose da loro eran trattate co' principii
proprii, cosa molt'alieno dal sentimento et processo poetico. Che sorte
d'arte sia la poetica. Dell'unità dell'arte poetica. Dell'origine della poesia.
Del furor poetico. Quel che nel poeta possa più l'arte o la natura. Due son le
parti del ben poetare come di esercitar ben tutte l'arti et professioni, l'una
è l'ingegno, l'altra il giudicio, perché ogni buon opera debbe esser regolata
da buon giudicio. Ma si com'il giudicio non ha luogo ove non è l'invenzione, sì
anchor l'invenzione senza giudicio è cosa poc'artifiziosa et casuale. Della
Rettorica d'Aristotele libro primo. La Rettorica ha convenienza con la
dialettica trattando l'una e l'altra di quelle cose le quali communemente da
tutti in un certo modo si conoscono, né si riferiscono ad alcuna determinata
scienzia. Di qui è che tutti gli huomini in qualche modo dell'una o dell'altra
partecipano, conciosiache tutti infino a un certo termine sappino arguire e
rispondere, e difendere e accusare. Noi dunque (disse colui) domanderemo che
voi giudici stiate a le cose che con il giuramento havete sententiato, et noi
ci staremo? Anchora le altre cose simili che appartengono all'amplificatione.
Et questo basti haver detto quanto alla fede senza artificio. Sommario del
primo libro della Rettorica d'Aristotele. La Rettorica è distinta da Aristotile
in tre libri. Nel primo narra le cose communi a i tre generi dell'oratione, i
quali distinguendosi in deliberativo, dimostrativo e giudiziale, dichiara le
propositioni et il fine di ciascheduno. Intorno a quai modi allega Aristotile i
precetti di trattare de giuramenti. E così pon fine alle fedi et al primo libro
della Rettorica. Seguendo di ridurre in breve le cose principali del 2°
libro della Rettorica d'Aristotile diremo avanti come in questo libro
Aristotile tratta de gli affetti dello animo, de costumi. Termina poi questo
libro annoverando le cose egli ha trattato nell'ultima parte et proponendo la
materia del 3° libro che resta a perfettionare questa arte, cioè la locutione
et dispositione. Sommario del terzo libro della Rettorica. Nel terzo
libro della Rettorica si contengono come dicemmo da principio due cose
principali che sono gli ornamenti della oratione con le parti di essa.
Comprende dunque l'epilogo la benevolenza dell'uditore, la amplificatione, la
commotione degli animi et l'essamenatione delle cose dette. Lettione.
Proemio nella Rettorica d'Aristotele. Se dalle operationi si conosce la nobiltà
della cosa niuna è più propria a manifestare l'eccellenza dell'animo nostro che
quell'istessa la quale da gl'animali irragionevoli ci fa differenti. E' l'huomo
mercé della divina bontà di molti doni dotato; onde secondo il Filosofo
mediante la parte intellettiva vive sempre desideroso di conoscere la verità.
Et Quintiliano seguitando Cicerone afferma che quest'opera è come un germoglio
della civile filosofia. Et questo basti haver detto circa i preloquii della
Rettorica. Qui fa fine Aristotile al trattato delle fedi senz'artificio et al
primo libro della sua Rettorica. Intorno all'espositione della quale mi sono
affaticato, per dar maggior luce et agevolezza a voi più giovani accademici
nell'apprender da questo famoso filosofo i precetti dell'arte poetica. Il fine
della dichiaratione del primo libro della Rettorica. Proloquii nella Rettorica
d'Aristotele. Proemio. E' lodevol cosa di tutti i buoni espositori et massime
di quelli d'Aristotele proporr'alcuni capitoli dal principio di qualunque
trattato che eglin si metton ad esporre, i quali da lor son detti prolegomeni,
o ver proloquii, molt'utili reputati non senza legittima cagione, per chiarezza
et intelligenza delle cose che si devon trattare, et molti son questi de quali
si fa maggior o minor copia secondo la qualità de trattati. Onde si vede che
questa, per non dir come tropp'alta et forse troppo oscura ma al men come
lontana dalla prattica, è stata involta 'n un tenebroso silenzio. Pregoti
dunque benigno lettore, poich'io solco mar non troppo cognito, che tu aiuti
questo mio corso con l'aura benigna della tua attentione. Quel che nel
poeta possa più l'arte o la natura. Delle parti del poema. Della poetica come
metodo. Delle parti della poesia come metodo. Ne metodi ben ordinati il
principio e comincia dalle cose che per ordine di natura procedono et questo
ordine è di più maniere perché o egli è di perfettione, o di origine. Resta
solo per dar fine a questo trattato che noi aggiunghiamo le considerazioni
della musica delle quali col tempo piaccendo a dio da cui ogni mia attione
riconosco, un'altra volta ne scriveremo. Magl. Cl. Rettorica e Poetica
d'Aristotile tradotte e spiegate da Filippo Arrighetti canonico
fiorentino. Il testo del vol. I.com. con questo titolo, "Proloquii nella
Rettorica d'Aristotele recitati nell'Accademia delli Svegliati in
Pisa". Cart., autogr., in fol. Leg.in mezza membr. Già della Bibl.
Mediceo. Palatina. Precede il vol. I la tavola delle materie (lezioni, proloqui
e versioni). II,I,22.(Magl.CI). Il titolo è di a Lezioni, relazioni e ricordi
varii. Ma il vol.contiene "Lettione del Piacere recitata nell'Accademia
degl'Alterati da Filippo Arrighetti accademico detto il Fiorito" (fol.
1-6). Lezione «DelRiso» delmedesimo (fol.7-10). Lezione sull'In gegno, del
medesimo (fol.13-27). «Notitiaetincontridelviaggiodel R. card. di Firenze
Legato in Francia l'anno 1596 » (fol. 29-31). Propositi tenuti da S. M. tả
(Enrico iv] alli signori del suo Parlamento in presenza del suo Consiglio et de
Duchi et Padri di Francia » (fol. 33 34). « Lettera in materia delle cose di
Francia e de Ghisi » (fol. 35 45). « Lettera del Re di Navarra [Enrico iv) ai
tre Stati del Reame di Francia » (fol. 50-58): in fine è la data 4 marzo 1589.
Cart., infol., sec.XVII, autogr.dafol.1-6,f.79. Leg. inmezza membr.Proviene
dalla Bibl. Mediceo-Palat. II,I,23. (Magl.CI.VI, num.15). G. MAZZATINTI
Manoscrilli delle biblioleche d'Italia, viii. (Carlo di Tommaso Strozzi, num.581. at:interlocutori
SaccenteeFrinfri(fol.60-71).— «Ricordian l'Alchimia u tichi.Autore Iac.
Petribonifiorentino» (titolo del sec.XVII). Precede na nota dei Gonfalonieri di Filippo Arrighetti.
Keywords: il piacere, lista di figure rhetoriche --
A Accumulazione Adynaton Agnizione Allegoria Allusione Anacoluto
Anadiplosi Anagramma Analogia (retorica) Anastrofe Anfibologia Annominazione
Antanaclasi Anticlimax Antifrasi Antilogia Apagoge Apallage Aprosdoketon
Arcaismo B Baritonesi C Cacofemismo Cacofonia Captatio benevolentiae Catacresi
Catafora (figura retorica) Chiasmo (figura retorica) Clavis aurea Climax
(retorica) Concinnitas Correctio D Deissi Diafora Dialefe Dialisi (figura
retorica) Diallage Diastole (retorica) Dieresi Difrasismo Dilogia Disfemismo
Distribuzione (figura retorica) Dittologia E Ekphrasis Ellissi (figura
retorica) Ellissi temporale Enallage Endiadi Endiatri Enfasi Engo Enjambement
Entimema Enumerazione Epanadiplosi Epanalessi Epanodo Epanortosi Epicherema
Epifora (figura retorica) Epifrasi Epitesi F Fallacia patetica Figura di stile
Figura etimologica Figure di suono H Hysteron proteron I Iato Invettiva
Ipallage Iperbato Ipocoristico Ipofora Ipotassi Ipotiposi Ironia Isocolon K
Kakekotoba Kakemphaton Kenning L Latinismo Leixaprén M Merismo Metalessi Metalogismo
Metanoia Metasemema Metatassi N Nemesi storica Neologismo Noema O Occupatio
Olofrase Omeoarco Omeottoto Omoteleuto Onomatopea P Palindromo Palinodia
Panegirico Paradosso Parafrasi Paragone Paraipotassi Parallelismo Paraprosdokian
Paratassi Parequema Paretimologia Parodia Paromeosi Paronimia Paronomasia
Patronimico Pleonasmo Polisemia Polittoto Premunizione (figura retorica)
Priamel Prolessi R Reduplicazione S Sarcasmo Scarto semantico Senhal Sillessi
Similitudine (figura retorica) Simploche Sinafia Sinalefe Sinchisi Sincope
(linguistica) Sineddoche Sineresi Sinestesia Sinonimia Sistole Tautologia Tmesi
Truismo Umorismo Understatement Variatio Zeugma tipi di discorsi,
discorso dimonstrativo, discorso deliberative, discorso di giudizio,
imitazione, ornamentation, parte dell’orazione, giovinetti, rettorica per
giovinetti, dialettica a la sua convenienza colla rettorica, rettorica come
arte, dialettica come arte, l’arte di conversare, filosofia civie, rispondere,
argomentare, il fine della retorica, le la rettorica distinta in tre parti,
demostrazione, giudizio, buon giudizio, deliberazione, albero della retorica,
luoghi retorici, il fine della poesia e il diletto, animale ragionabile,
animale non-ragionabile, lucrezio, cicerone, quintiliano, il dire dilettevole,
la benevolenza dell’oratore, la benevolenza del conversante, la benevolenza
dell’auditore, la benevolenza dell’audienza, principi di rettorica, cicerone
sulla rettorica di Aristotele – l’aristotele toscano, aristotele per i
platonici di fiorenze, del piacere, della lussuria, dell’onore, dell’ingegno,
del riso – Bergson – la felicita come fine – arte e natura – poetica come arte,
il poeta e la natura – l’imitazione come fine della poetica, la filosofia e la
rettorica. Rettorica e dialettica, universalita fra i uomini, la villa di
Giulio di Filippo Arrighetti – Filippo Arrighetti, canonico, detto il Fiorito –
pseudonimo, figura retorica, Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Arrighetti” – The
Swimming-Pool Library.
Grice ed Artemidoro – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza. Filosofo italiano. Expelled from Rome. A close
friend of Plinio Minore, who admired him greatly and supported him after he was
one of the philosophers expelled from Rome. Plinio describes him as a s a man
of sincerity and integrity, as someone ho lived a frugal and disciplined life,
and as someone who faded physical hardship with indifference.
Grice ed Aruleno – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza
(Padova). Filosofo italiano. Quinto Giunio Aruleno Rustico -- Of the porch. Specialised in political
philosophy. He actively supported the opposition of the Porch and was
condemnded to death by Domiziano, for publily defending the activities of
Thrasea Paetus and Helvidius Priscus.
Grice ed Asclepiade – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Based in Rome, he was a member of the Accademia. He
wrote a book on the immortality of the soul based on his interpretation of
certain pronouncements of the oracle of Apollo at Delphi.
Grice ed Asclepiade – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza.
Filosofo italiano. Friend of Lactanzio. Wrote a book on Providence.
Grice ed Asclepiade – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Roma). Filosofo italiano. He developed a new approach to medicine by
introducing ideas on atomism.
Grice ed Assiopisto – Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza
(Locri). Filosofo italiano. Epicarmo.
Grice ed Assunto – i nazareni – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Caltanissetta). Filosofo italiano. Grice: “I like Assunto; of
course in Italy they take aesthetics seriously; my wife would say that they
ONLY take aesthetics seriously! And I would correct her, ‘You mean that they
take only aesthetics seriously,’ and she would re-correct me, ‘Whatever,
dear.’” – “Anyhow, Assunto is best known in Italy as a historian, but he fails
to see that when at Clifton we speak of the classics we mean the timeless – my
timeless meaning was meant as a Cliftonianism! So Assunto is lacking background
when he equates classicism, or worse, neo-classicism of the Canova type popular
in London, as dealing with ‘l’antichita’ – that would have offend Canova: his
statues were meant to represent Platonic timeless ideas or ideals!” Grice:
“Gilbert and Leighton are very explicit about this in ‘The Artist’s Model’!” “Then
Assunto thinks he can play with a fictiotious dichotomy between ‘l’antico’ and
‘il non-antico.’” Grice: “I treasure Millais’s slogan that at the Royal
Academy, he had to do only TWO things: draw naked men ‘from nature’ – or draw
naked men ‘dall’antico’!” – Grice: “As Millais suddently realised: ‘We found
out that there were no English types that would represent the ‘antico’, or
timeless ideal, so we had to deal with Italian models!” -- L'uomo che contempla
il giardino vivendo il giardino [...] solleva se stesso al di sopra della
propria caducità di mero vivente.» -- Ontologia e teleologia del giardino).
Ha compiuto i suoi studi secondari presso il Liceo Classico di Caltanissetta
nella sua città natale. Laureato in Giurisprudenza è stato avviato alla
filosofia da Pantaleo Carabellese professore di filosofia teoretica presso
l'Roma. È stato docente di Estetica a Urbino dal 1956 e titolare dal 1981
della cattedra di Storia della filosofia italiana presso la Facoltà di
Magistero a Roma. «Il suo insegnamento è anticonformista, fortemente
intriso di contraddittorio. Ma forse proprio per questo motivo, quando arriva
il Sessantotto, il filosofo sceglie la via della controrivolta: quella che
passa attraverso l'élite. Rifiuta di adeguarsi al voto politico, si oppone ai
collettivi e agli insegnamenti assembleari. I suoi allievi non si oppongono al
suo rifiuto, anzi con questo comportamento Assunto riesce ad attirarsi la stima
di molti esponenti del Movimento studentesco. Talmente rivoluzionario da
divenire reazionario, Rosario Assunto dagli anni Settanta in poi avrà un
atteggiamento sempre più schivo...» Un isolamento, il suo, iniziato col
Sessantotto, ma poi sempre più accentuato; infine, si chiuse nei suoi studi e
nelle sue speculazioni dopo la morte della moglie, la storica dell'arte Wanda
Gaeta, molto amata («Sono la fotocopia di lei, che è stata uccisa dal mio
stesso male»). A Roma fu molto amico di Giulio Carlo Argan pur
contrastando le sue idee politiche. Pensiero Rosario Assunto, interessato
ai temi estetici della filosofia da un punto di vista storico e teoretico li ha
trattati non solo come tipici della filosofia dell'arte e del bello ma
considerandoli coincidenti con la filosofia stessa giudicata come pura
estetica. Egli si rifà a Baumgarten, Cartesio, Leibniz, Kant esaminati
soprattutto per la loro concezione dell'uomo e del suo rapporto con la natura.
Una visione tradizionalista della filosofia, proprio nel momento in cui
l'estetica si rivolgeva alla semiotica, che isolò Assunto soprattutto in
Italia, mentre in Germania veniva tradotto e apprezzato. Assunto ha
rappresentato una delle voci più significative all'interno del dibattito
filosofico estetico del Novecento. Vivamente interessato all'estetica dei
giardini anticipa largamente nelle sue opere alcuni rilevanti concetti per la
riflessione più recente, come per esempio quello di "estetica del paesaggio",
che hanno ispirato i temi ambientalisti sulla tutela e conservazione del
paesaggio, naturale o elaborato dall'uomo, che egli definisce «Spazio limitato,
ma aperto; presenza, e non rappresentazione, dell'infinito nel finito». Altre
opere: "Civiltà fascista"; “Il teatro nell'estetica di Platone, in
"Rivista italiana del teatro"; Curatela di Heinrich von Kleist,
Michele Kohlhaas, Torino, Einaudi); “Essere e valore nella filosofia di C. A.
Sacheli, in "Rivista di storia della filosofia"; “L'educazione estetica,
Milano, Viola); “Educazione pubblica e privata, Milano, Viola); “La pedagogia
greca, Milano, Viola); “Forma e destino, Milano, Edizioni di comunità); “L'integrazione
estetica. Studi e ricerche, Milano, Edizioni di comunità); “Teoremi e problemi
di estetica contemporanea. Con una premessa kantiana, Milano, Feltrinelli); “La
critica d'arte nel pensiero medioevale, Milano, Il saggiatore); “Estetica
dell'identità. Lettura della Filosofia dell'arte di Schelling, Urbino, STEU); “Giudizio
estetico, critica e censura. Meditazioni e indagini, Firenze, La nuova Italia);
“Stagioni e ragioni nell'estetica del Settecento, Milano, Mursia); “L'automobile
di Mallarmé e altri ragionamenti intorno alla vocazione odierna delle arti,
Roma, Ateneo); “L'estetica di Immanuel Kant, una antologia dagli scritti a cura
di, Torino, Loescher); “Hegel nostro contemporaneo” (Roma, Unione italiana per
il progresso della cultura); “Il paesaggio e l'estetica I, Natura e storia,
Napoli, Giannini); Arte, critica e filosofia, Napoli, Giannini); “L'antichità
come futuro. Studio sull'estetica del neoclassicismo europeo, Milano, Mursia);
“Ipotesi e postille sull'estetica medioevale. Con alcuni rilievi su Alighieri teorizzatore
della poesia, Milano, Marzorati); “Libertà e fondazione estetica. Quattro studi
filosofici, Roma, Bulzoni); “Intervengono i personaggi (col permesso degli
autori), Napoli, Società editrice napoletana); “Specchio vivente del mondo.
Artisti in Roma” (Roma, De Luca); “Hohenegger. Esploratore del possibile”
(Roma, De Luca); “Infinita contemplazione. Gusto e filosofia dell'Europa
barocca, Napoli, Società editrice napoletana); “Filosofia del giardino e
filosofia nel giardino. Saggi di teoria e storia dell'estetica, Roma, Bulzoni);
“La città di Anfione e la città di Prometeo. Idea e poetiche della città,
Milano, Jaca); “La parola anteriore come parola ulteriore, Bologna, il Mulino);
“1. Il parterre e i ghiacciai. Tre saggi di estetica sul paesaggio del Settecento,
Palermo, Novecento); “Verità e bellezza nelle estetiche e nelle poetiche
dell'Italia neoclassica e primoromantica, Roma, Quasar); “Ontologia e
teleologia del giardino, Milano, Guerini); “Leopardi e la nuova Atlantide,
Napoli, Istituto Suor Orsola Benincasa-Edizioni scientifiche italiane); La
natura, le arti, la storia. Esercizi di estetica, Milano, Guerini studio); “Giardini
e rimpatrio. Un itinerario ricco di fascino attraverso le ville di Roma, in
compagnia di Winckelmann, di Stendhal, dei Nazareni, di D'Annunzio, Roma,
Newton Compton); “La bellezza come assoluto, l'assoluto come bellezza. Tre
conversazioni a due o più voci, Palermo, Novecento); Il sentimento e il tempo,
antologia Giuseppe Brescia, Andria, Grafiche Guglielmi, 1997. Note Rosario Assunto, Ontologia e teleologia del
giardino, Guerini e Associati, 1994,
978-88-7802-513-4. Enciclopedia
multimediale delle scienze filosofiche, su emsf.rai. 24 agosto 26 agosto ).
Paola Nicita, Assunto scandaloso esteta, La Repubblica, 13 maggio
2006 Cutinelli-Rendina, Emanuele, Il
Sessantotto di Rosario Assunto, Ventunesimo secolo: rivista di studi sulle
transizioni: 22, 2,, Soveria Mannelli: Rubbettino,. Op. cit. ibidem Assunto scrisse contro il progetto politico
della realizzazione del ponte di Messina
Antonio Debenedetti, Rosario Assunto, filosofo delle forme, Corriere
della Sera, 25 gennaio 1994, p.27 Claude
Raffestin, Dalla nostalgia del territorio al desiderio di paesaggio. Elementi
per una teoria del paesaggio, Alinea Editrice, 2005 p.90 Marisa Sedita Migliore, Il giardino: mito
estetico di Rosario Assunto, Società Dante Alighieri, 2000. Teresa Calvano,
Viaggio nel pittoresco: il giardino inglese tra arte e natura, Donzelli
Editore, 1º gennaio 1996, 139–, 978-88-7989-218-6. Claudia Cassatella, Enrica
Dall'Ara e Maristella Storti, L'opportunità dell'innovazione, Firenze
University Press, 2007, 191–, 978-88-8453-564-1. Francesca Marzotto
Caotorta, All'ombra delle farfalle. Il giardino e le sue storie, Edizioni
Mondadori,, 207–, 978-88-04-61114-1. Domenico Luciani, Luoghi,
forma e vita di giardini e di paesaggi: Premio internazionale Carlo Scarpa per
il giardino, 1990-1999, Fondazione Benetton Studi Ricerche, 2001. Pier Fausto
Bagatti Valsecchi e Andreas Kipar, Il giardino paesaggistico tra Settecento e
Ottocento in Italia e in Germania: Villa Vigoni e l'opera di Giuseppe
Balzaretto, Guerini, 1º gennaio 1996,
978-88-7802-665-0. Emanuele Cutinelli-Rendina, Il Sessantotto di Rosario
Assunto (con un carteggio inedito), in «Ventunesimo secolo», VI (2009), 45-57. Altri progetti Collabora a Wikiquote Citazionio
su Rosario Assunto Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
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Assunto, su Goodreads. Filosofia Filosofo Professore1915 1994 28 marzo 24
gennaio Caltanissetta Roma. Rosario Assunto. Keywords: i nazareni, massimo, sala dante,
koch, civilta, civilta fascista, theorie des schoenen; D’Annunzio, i Nazareni,
I nazareni, pittori germani a Roma, Casino del marchese Carlo Massimo,
Aligheri, Tasso, Ariosto. D’Annunzio, la preservazione dei Giardini antichi,
villa, giardino di villa, giardino di palazzo, estetica del giardino, il
giardino e il uomo, giardineria, filosofia del giardino, il giardino di Epicuro
a Roma. Horto di Epicuro – il giardino d’Epicuro (non di Epicuro). Hortus, orto
romano, i Scipione e la filosofia a Roma dopo Carneade – filosofia al giardino
– filosofia nell’orto – orto italiano, giardino italiano, orto romano,
simmetria, “teatro, cinematografo, radio” “sono tre simboli ideali” – “Civilta”
– “estetica del teatro in Platone” assunto — annunzio — i nazareni a roma
— il giardino d’epicuro — “teatro, cinematografo, radio” — teatro nell’estetica
platonica — schelling — il bello — intro alla fondazione della metafisica dei
costumi — natura ed arte — roma città — giovanni gentile — -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Assunto” –
The Swimming-Pool Library.
Grice ed Asteas – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. Pytthagorean
according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”).
Grice ed Astilo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Metaponto). Filosofo
italiano. Pythagorean according to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”.
Grice ed Astone – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Crotone). Filosofo
italiano. Aston was a Pythagorean. According to Diogene Laerzio, there was a
view that Aston was the true author of some works attributed to Pythagoras.
Grice ed Astorini – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Albidona).
Filosofo Italiano. Grice: “I like Astorini, but more so does Sir Peter, vide
his section on ‘Space’ in “Individuals: an essay in descriptive metaphysics”:
‘Surely we wouldn’t have space as we know it if it were not for Astorini.” La
vivacità del suo ingegno, e il desiderio di apprendere cose nuove, lo induce a
spogliarsi de' pregiudizi del secolo, e a studiare attentamente i filosofi,
conosciuta la forza delle loro ragioni, ardì dichiararsi nemico del Peripato;
al che avendo congiunto lo studio delle lingue ebraica e siriaca, ei cadde
presso alcuni in sospetto di novatore, e per poco non si attribuì ad arte
magica ciò che era frutto del raro suo ingegno e del suo instancabile studio.”
Alcuni considerano i paesi di Cirò o di Cerenzia la sua patria. Si ritieneno
deboli gli argomenti esposti da un ingegnoso filosofo di Cirò il quale volle onorare la sua patria della
sua nascita. Molti filosofi presero a difendere l'autorità del romano pontefice
e a sostenere la chiesa romana contro i nimici della medesima. Uno solo,
Astorini, ne accennerò per amore di brevità, con tanto maggior vigore si
accinse a difenderla, quanto più avea per sua sventura potuto comprendere la
debolezza dell'armi con cui essa era oppugnata. Vari luoghi della Calabria
Citeriore han preteso all'onore di aver dato i natali a questo insigne filosofo,
ma noi crediamo rimuovere ogni dubbio intorno al luogo di lui natìo, seguendo
in questo punto l'opinione di Zavarrone, il quale afferma esser egli nato nella
Città di Cirò, detta anticamente Cremissa, luogo non ignobile del Paese de'
Bruzi, dove questa famiglia vive ancor oggi onorevolmente. «Molti scrittori di
materie ecclesiastiche rilussero in questo secolo, e fra i più celebri si
annoverano: primo, Astorini. Studia con il padre Diego, medico in loco, la
grammatica, la retorica e la lingua greca. Si trasferì a Cosenza per completare
gli studi e poi a Napoli per apprendere gli studi di filosofia, e di teologia a
Roma, dove fu insignito dalla corte papale del compito di scrivere alcuni
annali. In questo periodo pubblica “De vitali aeconomia foetus in utero”.
Pubblicò alcuni saggi di matematica e geometria, come gli “Elementa Euclidis ad
usum...nova methodo et compendiare olim demonstrate” e un “Decamerone
pitagorico”. Dopo alcuni anni lascia l'Italia per raggiungere la Svizzera e la
Germania, ma in quei territori, come la città di Groninga, riscontra una
notevole influenza religiosa protestante e poiché il conversar co' i filosofi
protestanti gli fece conoscere chiaramente che fuor dalla chiesa di Roma non
v'e unità di fede, decise di tornare in patria -- Terranova, feudo del paese di
Tarsia. Note Giacinto Gimma, Elogi
Accademici Della Società Degli Spensierati Di Rossano, Troise, 1703. 7 dicembre. Si tratta di Francesco Zavarrone (Montalto
Uffugo, 1672Roma, 1740), religioso dell'ordine dei Minimi e teologo al servizio
di illustri politici, come Augusto III re di Polonia e pontefici. Fu lettore
del collegio urbano Propaganda Fide e consultore del Tribunale dell'Inquisizione. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura
italiana, Tomo VIII, Parte I, Libro III, par. V ("Notizie e opere delElia
Astorini"), Firenze: Molini, Landi e C.o,
110-11, 1812 (Google libri) Pietro Napoli-Signorelli, Vicende della
Coltura nelle Due Sicilie o sia storia ragionata, 1784 9781145973954 Niccolò Morelli di Gregorio,
Pasquale Panvini (Domenico Martuscelli), Biografia degli uomini illustri del
Regno di Napoli, ornata de loro rispettivi ritratti, N. Gervasi. Falcone,
Biblioteca storica topografica delle Calabrie (seconda edizione), 1846 9781104076337
Elia Astorini, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Opere di
Elia Astorini, su openMLOL, Horizons Unlimited srl. Filosofi italiani del XVII secoloMatematici
italiani Professore1651 1702 5 gennaio 4 apriled Albidona Terranova da
SibariCarmelitani. Altre opere: "De Vitali Oeconomia foetus in utero"
(Groninch); "Elementa Euclidis ad usum novæ Academiæ Nobilium Senensum,
nova methodo, & compendiariè demonstrata" (Stampat. in Sienna e di
nuovo Neap., apud Felicem Mosca in 8); "Prodromus Apologeticus";
"De Potestate Sanctæ Sedis Apoftolicæ"; "De Vera Ecclesia Jesu
Christi, contrà Lutheranos,& Calvinianos, libri tres" (Neap.
apud de Bonis, in 4); "Apollonij Pergæi Conica, integritati suæ, ordini,
atque nitoripri stino restituta" (Neap. in 4); "De Recto Regimine
Catholicæ Hierarchiæ"; "Ars Magna Pythagorica";
"Philosophia Symbolica"; "Archimedes restitutus"; "Decameron
Pitagorico"; "Il consenso, e dissenso delle tre Gramatiche Ebraica,
Arabica, e Siriaca; e'l modo facilissimo per apprenderle ciascheduno da se
stesso in breve tempo"; "Commentaria ad Scientiam Galilæi de Triplici
Motu". La movimentata vicenda biografica di Astorini aonda le radici
in una formazione cosmopolita e interdisciplinare, iniziata in Calabria sotto
la guida del padre e proseguita accanto allo zio Tommaso Cornelio, esponente
del fronte de inovatores nella Napoli di metà secolo. Fu per lui naturale
ripudiare la filosofia scolastica e aderire alle teorie dei moderni, da Galilei
a Cartesio, Hobbes e Gassendi, teorie che diuse a Cosenza e tra i filosofi
nobili in varie località del viceregno e che gli recarono grande notorietà. Al
termine di un lungo viaggio in Svizzera, Germania e Paesi Bassi durante il
quale si fece apprezzare per le non comuni capacità didattiche,visse alcuni
anni tra Firenze e Siena, dove frequenta i principali esponenti della cultura
umanistica e scientifica toscana, da Magliabechi a Redi e Viviani. Ritornato
nel viceregno per dedicarsi alla pubblicazione di numerose opere, si pone sotto
la protezione di D. Carlo Francesco Spinelli Principe di Tarsia, ed anche
d'Orsini, avvezzi amendue a favoreggiar letterati. Per l’ampiezza dei temi
arontati, sua "Philosophia Symbolica puo giovarsi del ricco patrimonio
librario custodito nella biblioteca di Spinelli. Il testo e diviso in dialoghi
nei quali sono illustrati tutti gli antichi sistemi filosofici, colle
dimostrazioni matematiche e colle osservazioni fatte in varie accademie, ed erudizioni
prese da' filosofi latini." Sebbene varii luoghi della Calabria‘si
contendano la patria dello Astorino, pure l’opinione più comune de’ suoi
biografie, che egli sia nato a Cirò e fu nel battesimo nomato Tommaso Antonio.
Fu gli padre un Diego Astorino professore di medicina reputatissimo in
Albidona, ove da questi il figliuolo apprese la grammatica, la lingua greca e
la rettorica. Studia quindi in Napoli e Roma la filosofia aristotelica, in che
acquista tale riputazione, che gli venne permesso di scrivere a fronte delle
sue conclusioni il motto: de/‘elndet ipse solus. Morto il genitore ripatrio per
assestare i suoi dome stici affari, e iotè frai libri e fra le conversazioni
dei suoi concittadini, dopo non lievi meditazioni, darsi tutto alle dottrine filosofiche
del Telesio, ed alla libera maniera di ragionare. Era cosi istrutto nelle
lingue greca, latina, ebraica, siriaca ed araba, che ne compose le relative
grammatiche. E si disse,secondo l’andazzo de’tempi, e fu accusato lotto per
magia; ma ei pote discolparsi dalla bassa calunnia, e percorrere per ben tre
volte l’ltalia, ovunque acquistandosi e fama ed amicizia. Nominato a reggente
di filosofia a Cosenza, fu da qui il propagatore della moderna filosofia per le
calabrie; come lo fu altresi della città di Penne per gli Abruzzi. Invitato in
Roma, vero o supposto che vi sfinfermasse, egli invece dimoro per qualche tempo
in Albano. Ritenuto a Bari da alcuni nobili filosofi, che lo vollero a maestro,
ebbe a cominciare in quella Chiesa di S. Nicolo il suo annuale di prediche; ma
le convinzioni libere che egli spacciava, gli mossero fiera persecuzione.
Sicclie passò in Zurigo, ed indi in Basilea, ove non dimore che un solo aniie.
Pescia recessi nel Palatinato, donde si trasferì nell’Assia, dove fu costituito
Maggiore ossia Vice Prefetto dell'Universita di Marburgo con la facoltà d’
insegnar filosofia, dacche non essendo dottorato non avrebbe potuto insegnarla.
In stabile sempre si condusse dappoi in Groninga, e da quella Repubblica ebbe
l'incarico di insegnar filosofia e quivi a spese del Senato fu dottorato, nel
quale anno pubblico il suo saggio, "De vitali oeeonomia foetus in
utero", in cui sostenne la opinione, non per ance in quell’era divulgate,
della generazione dell'uome. Scorgendo intanto, che iteo legi della Chiesa
riformata. fra le mille contese religiose si laceravano, penso ritornarsene
fra’cattolici in ltalia; e d’Amburgo chieseil condono d’ogni apostasia; il che
ottenuto dal S. Uffizio, recatosi presso il Vescovo di lilunster‘ fece solenne
abiura, e si porto in Roma, onorevolmente accolto, ed inviato in Pisa come
predicatore generale. Dopo un anno da Pisa si tradusse in Firenze, ove si
acquista il favore del Granduca, e si concilio l’amistà fraternevele del Redi,
del Viviani, del Marchetti e d’altri molti filosofi. In Siena, dove recessi
come professore di filosofia, coopera efficacemente alla istituzione dei
Fisio-Eritici, e ne fu eletto Principe e Censore perpetuo. Qui pubblica nel
medesimo anno: Eiementft Euclidis nova methodo demostraiei. Ritornato in Roma
fu inviato a Cosenza col grado di maestro in filosofia, e di prefetto degli
studii. Ma riaccesigliodiisempre a cagien de’ suoi meriti, si ritira in
Cervinara nel Principato Ulteriore; e da la spesso recandosi in Napoli ebbe a
cenciliarsi la stima di Carlo Spinelli principe di Tarsia, il quale per
Paifetto che portava all'Astorino (e per rimuoverlo dalla tristezza in che era
caduto per la morte di Francesco Mainerio Astorino) lo indusse a recarsi in
Terranova, deputandolo custode della sua scelta biblioteca. Fu questa l'ultima
residenza, perocchè vi mori. Sono del pari sue opere stampate: Apollonii Pergei
conica integritati suae ac nitori restituta" (Nap.); "De potestate S.
Sedis apos-tolicae, Siena); "De‘nera Ecclesia Christi disciplina, libri
tre Nap.). Fra i molti altri saggi che lascia si commendano: "Philosophia
symbolica iuxta propria principia, in dialoghi"; "Ars magna
Pythagorica," una specie di enciclopedia scientifico-universale;
"Decamerone Pitagorico", in verso, diviso in dieci giornate, e
contenente tutta la filosofia naturale pitagorica in forma di satire in verso
sciolto bernesco; "Commentario, ad scientiam Galilaei de tripliei
motu"; "Archimedes restitutus"; "De reato reyimine Catholi
caelticr archiae; "De vita Christi"; Apologiapro fitte catltolica,
che divisava di dedicare a Filippo di Spagna. Parlano con somma lode di questo
dotto filosofo il Cimma, il Zavarroni, l’Amato, l'Aceti, il Mazzucchelli,
l’(lriglia, il liraboschi, il d’ Alllitto, il Signo relli, i Dizionarii
storici, e per tacer‘ di tanti altri,. il Cantù. ASTORINI, Elia. - Nacque il 3
genn. 1651; è incerto se a Cirò, feudo degli Spinelli principi di Tarsia che lo
protessero nelle ultime fortunose vicende della sua vita (Zavarroni), o ad
Umbriatico oppure ad Albidona (Gimma), dove il padre Diego esercitò la
professione di medico e dove sicuramente egli trascorse gli anni
dell'adolescenza. Sedicenne, nel 1667, entrò fra i carmelitani dell'antica
osservanza, mutando il nome di Tommaso Antonio in quello di Elia. Completò gli
studi di filosofia aristotelica a Napoli nel convento dei Carmine Maggiore
(dove appartenne all'Accademia degli Incauti) e a Roma quelli di teologia. La
morte del padre lo richiamò in Calabria, nell'ambiente familiare. Stando
ai suoi biografi, in questi anni (1670-75) si colloca la sua prima crisi
spirituale che investe il campo delle dottrine filosofiche acquisite: un
radicale atteggiamento antiperipatetico lo avrebbe indotto a formarsi un
sistema eclettico platonico-pitagorico e meccanicistico-materialistico,
quest'ultimo ispirato dalla lettura delle opere di Galilei, Gassendi, Cartesio,
Mersenne, Hobbes. Più prechaniente. possiamo dire, sulla base degli elementi
desumibili da taluni suoi scritti, che egli riprese il pensiero dei suoi
conterranei, del famoso "notomista" Marco Aurelio Severino, erede
delle speculazioni campanelliane e delle teorie fisiognomiche del Della Porta;
di Carlo Musitano, che aveva accolto le posizioni dei "moderni" come
elaborate dalla napoletana Accademia degli Investiganti; e soprattutto di
Tommaso Comelio, del quale l'A. amò più tardi dichiararsi nipote (cfr. Giornale
de, Letterati del 1692..., p. 119). La crisi non gli impedì tuttavia di
raggiungere il sacerdozio nel 1675 e di divenire, nel 1680, reggente degli
studi e lettore di filosofia e teologia nel convento dei suo Ordine a Cosenza.
Ma i confratelli, nella congregazìone della provincia di Calabria, il 26 aprile
dell'anno successivo, gli si ribellarono apertamente chiedendo al generale la
sua sostituzione. Rivalità locali, come il contrasto tra l'A. e il provinciale
P. T. Puglisi, adombrano l'inquietudine intellettuale del giovane religioso e
le resistenze di metodi tradizionali di studio. Sospeso dall'insegnamento,
penitenziato nel carcere della curia arcivescovile di Cosenza durante il 1682,
l'A. è infine inviato a Roma per un giudìzio definitivo da parte deì superiori
dell'Ordine. Dopo un breve ciclo di predicazìone si ritira ad Albano: non si sa
se per punizione inflittagli o per motivi di salute. Ha comunque ìnizio adesso
il momento più ambiguo e per taluni aspetti più oscuro della sua vita.
Nel 1683 passa a Bari, dove stringe amicizia con G. Tremigliozzi, seguace del
gassendista Sebastiano Bartoli e del Cornelio e fondatore in quello stesso anno
dell'Accademia dei Coraggiosi, bandìtrice delle nuove dottrine antigaleniche
nel settore delle scienze mediche. Partecipò alle polemiche del Tremigliozzi in
difesa del Musitano e compose un "epitafio" sulla "materia
prima" per quella Nuova Staffetta del Parnaso circa gli affari della
medicina...dirizzata all'illustrissima Accademia degli Spensierati di Rossano,
Francoforte 1700, che ad opera del Tremigliozzi costituì una convinta difesa
del metodo sperimentale degli Investiganti contro la metodologia cartesiana. A
Bari conobbe il Gimna, che sarà il suo più diffuso biografo, al quale avrebbe
mostrato vari suoi lavori manoscritti (tra essi un'Ars magna trigonometrica di
cui si dirà più avanti). Predicò a S. Nicola e visse nel convento carmelitano
barese dal quale poco tempo prima era fuggito, apostata in Svizzera, il priore
Angelo Rocco. Se dietro esempio del Rocco o per raggiunta maturazione della sua
crisi, è certo comunque che di lì a poco l'A., rotto ogni indugio, depose
l'abito religioso e riparò anch'egli oltr'Alpe. Da Zurigo raggiunge
Basilea, dove nell'ottobre del 1684 presenzia a esperimenti. di medicina di J.
J. Harder (Apiarium observationibus medicis... refertum,Basileae 1687, pp. 28,
47, 110) e dove rimane circa un anno seguendo anche i corsi di teologia di J.
R. Wettstein (non si sa se il padre, morto nel 1684, o il figlio succedutogli
nello stesso anno sulla cattedra). Sostò nel Palatinato presso il principe
elettore Carlo fino alla morte di lui (26 maggio 1685), per trasferirsì poi,
nel suo peregrinare da università ad università, a quella di Marburgo dove
divìene viceprefetto con facoltà di insegnare filosofia pur non essendo
addottorato (stando al Gimma, ma la notizia non trova conferma nel Catalogus
professorum Academiae Marburgensis 1527-1910, a cura di F. Gundlach, Marburg
1927). A Marburgo prosegue con fervore gli intrapresi studi di medicina
ascoltando le lezioni del rettore J. J. Waldschmiedt. Nel 1686, dopo un breve
soggiorno a Brema, è a Groninga: insegna matematica nel collegio dei nobili
cadetti francesi e si laurea in medicina, il 1° novembre, con la dissertazione
De vitali oeconomia foetus in utero,Groningae 1686 (pubblicata sotto il nome di
Tommaso Antonio), che pare sottendere nello studio del problema della
fecondazione, oggetto allora di discussione tra "ovisti" e
"animalculisti", le preoccupazioni speculative dell'autore, volte
sulla scia del Severino e più del Bartoli alla ricerca del
"principio" vitale e formativo dell'embrione. Durante il
soggiorno in Olanda, tra il 1686-88, si ha notizia vaga di una sua
partecipazione alle polemiche religiose nell'ambito del calvinismo: la difesa
che egli assume del cattolicesimo preannunzia un suo più meditato ritorno
all'antica fede. Attaccato pubblicamente dai ministri calvinisti, si rifugia ad
Amburgo. Qui una sua lettera al S. Uffizio, con la richiesta di poter ritornare
in Italia, gli procura una benigna risposta da parte del cardinale Lorenzo
Brancati di Lauria e un salvacondotto. Assolto dal vescovo di Münster il 13
dic. 1688, è a Roma il 13 marzo dell'anno successivo. Riammesso
nell'Ordine, predicò a Pìsa e, nel 1690, la quaresima a Firenze. Conobbe allora
A. Marchetti, cui dovette unirlo l'interesse per la filosofia
"corpuscolare" e che lo presentò al Magliabechi, il Redi, cui lo legò
la comune curiosità per il problema della generazione, e il Viviani. là questo,
tra il 1691-94, il periodo culturamente più felice dell'Astorii. Nel
1691, per interessamento del principe Gian Gastone de, Medici, ottiene la
cattedra di matematica nella Nuova Accademia dei nobili senesi: per
l'insegnamento prepara un'edizione degli Elementa Euclidis ad usum Novae
Academiae Nobilium Senensium nova methodo et succincta demonstrata..., Senis
1691,dedicata al principe protettore. Ma la prefazione è indirizzata al Redi, e
in essa l'A. chiarisce il proprio metodo ("... etiam proportiones ipsas,
quarum nimis longa est series, redigerem. ad acquationes, more
Analystarum", p. X) ed esalta la matematica in funzione dello sviluppo
delle scienze naturali, concludendo con un elogio della scuola scientifica
toscana, dal Galilei al Redi al Torricelli al Viviani al Marchetti al Bellini
al Malpighi. Il Redi lo ringraziò (v. lettera del 18 sett. 1691, edita in
Gimma, p. 413), promettendo di intervenire nuovamente presso Gian Gastone: il
che dovette procurare all'A. la cattedra straordinaria di filosofia naturale
nell'università di Siena, che resse dal 5 nov. 1692 al 3 apr. 1694.
Intanto, nel 1691, l'A., con Pirro Maria Gabrielli e Teofilo Grifoni, è tra i
fondatori dell'Accademia dei Fisiocritici e ne diviene "principe
perpetuo" (v. lettera del Redi al Gabrielli del 6 ott. 1691, in Redi,
Opere,VIII, p. 56).Dalle lettere che l'A. indirizzò m questo tomo di tempo al
Maghabechi desumiamo molte preziose notizie circa i rapporti tra cultura
filosofica e scientifica meridionale e tradizione sperimentale toscana,
rinnovando l'A. quell'incontro che per la generazione -precedente era stato
compiuto a Pisa dalla scuola iatromeccanica,di G. A. Borelli. Il rapporto
ideale tra le due culture è anzi tanto stretto che l'A. teme per quella
toscana, le ripercussioni della lotta scoppiata a Napoli contro la filosofia
"moderna" (processo degli ateisti): "In Napoli vi sono di gran
rumori: mi scrivono che sia stata origine la dottrina di Tomaso Comelio e che
già la modernità va sossopra. Mi dispiace per diversi capi, benché io non
dubiti esservi framischiate delle calunnie degli emoli aristotelici e
galienisti, e molto più mi dispiace per essersi già qui in Siena eretta
un'Accademia fisicomedica tutta moderna e per esserne io stato eletto principe
perpetuo. L'abbiamo celebrata due volte con l'intervento di tutta la più dotta
nobiltà, ma adesso ci siamo raffredati non sapendo dove vadano a terminare le
faccende" (al Magliabechi, Siena, novembre 1691). Sotto la guida dell'A.
l'Accademia poté tuttavia continuare con tranquillità le riunioni "colla
metodo de' Progimnasmi [i Progymnasmata Physica] di Tomaso Comelio" (al
Magliabechi, Siena, 15 nov. 1691). L'A. sperò contemporaneamente di
raggiungere una sistemazione migliore: ambì (1691) al titolo di maestro di
teologia e sollecitò, tramite il Magliabechi, un intervento del Malpighi, per
il momento senza successo (divenne maestro il 13 marzo 1693);compose, mettendo
a frutto la sua diretta esperienza del mondo protestante, un Prodromus
apologeticus de Potestate sanctae Sedis Apostolicae, Senis 1693,dedicato al
cardinale Francesco Maria de' Medici (ristampato in J. T. Roccaberti,
Bibliotheca maxima pontificia, XI, Romae 1698),introduzione a una progettata
serie di dissertazioni controversistiche, che però non si distacca dalla
consueta letteratura dei tempo; dedica tuttavia il meglio della propria
attività ancora al settore scientifico, apprestando, tra l'altro, l'edizione
delle Coniche di Apollonio, con la quale per suggerimento del Redi e del
Viviani intese completare e sistemare l'edizione già apprestata dal Borelli con
l'aiuto di Abramo Echellense (Firenze 1661), e stendendo uno scritto di
meccanica (Commentaria ad scientiam Galilaei de triplici motu), rimasto
inedito. Ma ai primi del 1694 l'A. lascia quasi improvvisamente Siena per
le non buone condizioni economiche, dati gli scarsi proventi che gli venivano
dall'insegnamento, e per le sue precarie condizioni di salute. Il 29 maggio
1694 è a Roma; poi a Cosenza, quale prefetto degli studi e successivamente
commissario generale nel suo convento di un tempo. Si riaccendono le
persecuzioni a suo danno; le vicende sono ancora più oscure che per gli anni
1680-81, ma gli procurano la protezione del principe di Tarsia, F. Spinelli,
presso il quale, a Terranova, dimorò nel 1697, e quella del cardinale Vincenzo
Maria Orsini (poi Benedetto XIII), allora arcivescovo di Benevento. Il 12 genn.
1697 chiese il trasferimento dalla provincia di Calabria a quella di Terra di
Lavoro nel convento di Cervinara e, in un secondo momento, in quello di
Mongrassano. Nel giugno 1698 è però di nuovo prefetto degli studi a Cosenza; il
10 settembre priore del convento di Scala e come tale partecipa al capitolo
provinciale del maggio 1699. Eletto priore di Mongrassano, non partecipa al
capitolo dell'aprile 1701 per le peggiorate condizioni di salute e rinunzia
anche alla carica. Cura nel frattempo a Napoli la stampa dei De vera
Ecclesia Iesu Christi contra Lutheranos et Calvinianos libri tres (1700), degli
Apollonii Pergaei Conica (1698?, 1702?) e la ristampa degli Elementa Euclidis,
Neapoli 1701. Il nucleo ispiratore dei De vera Ecclesia... libri
tres,abbozzati in parte a Siena e dedicati al principe di Tarsia, ha un reale
interesse. L'A., come aveva accennato in una lettera al Magliabechi, appare
preoccupato di confutare la tesi protestante circa i fondamenti aristotelici
della dottrina cattolica e sostenere invece "la identificazione della
nuova linea culturale incentrata sull'umanesimo e sul neoplatonismo con il
cattolicesimo" (Badaloni). Sulla linea umanistica viene rivendicata anche
la continuità del movimento scientifico del '600italiano. Ma tali motivi
accennati nella prefazione sono sommersi, nell'opera, da un denso argomentare
tradizionale, in cui tuttavia èmessa a frutto dall'A. la conoscenza
dell'ebraico e delle lingue orientali. Nel chiuso ambiente conventuale,
dopo l'esperienza in terra tedesca e in Toscana (durante la quale però sembra
che l'A. sia stato spinto più dall'esigenza di contatti e di fresche osmosi
scientifiche che non da un meditato approfondimento culturale), accanto a un
crescente disagio che lo rende insofferente della disciplina dell'Ordine e lo
induce a frequenti viaggi a Napoli per sorvegliare la stampa delle sue opere,
riaffiorano nell'A. le preoccupazioni proprie di una formazione e di una
tradizione meno aperta e duttile: il pesante enciclopedismo e il gusto
mnemotecnico della giovinezza prendono nuovamente il sopravvento
sull'inteligenza sperimentale della natura, e l'A. dedica gli ultimi anni della
sua vita a studi linguistici, condotti con criteri analogico-combinatori, Il
consenso e dissenso delle tre Grammatiche ebraica, arabica e siriaca, e 'l modo
facilissimo per apprenderle ciascheduno da se stesso in breve tempo (inedito),
e ad elaborare o completare una Philosophia symbolica,sorta di enciclopedia
pitagorica di cui probabilmente facevano parte opere che dai biografi ci sono
indicate con titoli particolari: un'Ars magna pythagorica, un Decamerone
pitagorico (esposizione in rime bernesche della filosofia naturale), una Logica
pythagorica seu de natura et essentia rerum (lo stesso che l'Ars magna?).
Degli inediti è conosciuta soltanto l'Ars magna in duas divisa Dissertationes
Altera De origine rerum altera De ortu et progressu Scientiarum (ms. 336;copia
sec. XVIII, pp. 31 con 4 tavv., della Biblioteca Alessandrina di Roma). La
copia fu effettuata dall'erudito calabrese Zavarroni per la Raccolta d'opuscoli
scientifici e filologici diretta da Angelo Calogerà (cfr. acclusa allo stesso
ms. una lettera dello Zavarroni al Calogerà del 21 luglio 1739).Probabilmente
il carattere in apparenza bizzarro dello scritto dovette dissuadere gli editori
dal darlo alle stampe. Esso, almeno nella copia dello Zavarroni, pare
l'introduzione a una serie di Dissertationes e non va tout court identificato
con l'Ars magna di cui fa menzione il Gimma. Se il De origine rerum,cioè la
prima parte del manoscritto, può in qualche modo connettersi ai primi studi
dell'A., a escludere che il De ortu et progressu Scientiarum sia uno scritto
giovanile contribuiscono il cenno all'edizione postuma dei Progymnasmata del
Comelio (1688),il ricordo del Redi e del Viviani, la notizia degli studi
compiuti dall'A. sulla scienza galileiana del triplice moto, la notevole
conoscenza che l'A. dimostra degli studi di anatonúa, elementi tutti che
presuppongono appunto la sua esperienza culturale in Germania e in
Toscana. La prima parte dell'opera, che vuole essere una guida "ad
metam naturalis sapientiae", contiene una critica agli schemi mnemotecnici
del Lullo e del Kircher e si svolge nell'elencazione di triadi
platonico-pitagoriche, alla cui base v'è il presupposto gnoseologico della
possibilità di conseguire verità assolute attraverso l'ordine naturale delle
idee (poiché nella natura creata v'è una "triplex virtus",
"intellectiva, volitiva et effectrix", ad essa corrisponde una
"triplex operatio", "interectio, volitio et impetus"'
ecc.). Tale schema conduce ovviamente alla critica decisa della definitio
logica aristotelico-scolastica che non attingerebbe alla "quidditas
rei" come la definitio methaphysica,vagheggiata dall'autore. La
seconda parte è in sostanza una ripartizione delle scienze ancora su base
platonico-pitagorica. Da "Sophia" è esclusa la logica, di cui sì
ribadisce il carattere meramente discorsivo; ma a "Sophia"
appartengono la metafisica (notevoli i cenni platonizzanti circa il rapporto
microcosmo-macrocosmo); la fisica, per la quale l'A. si dilunga nella critica
all'aristotelismo e al cartesianesimo e nell'esaltazione della filosofia
atomistico-gassendiana e dello sperimentalismo galileiano, pur richiamandosi
insieme nettamente alla tradizione filosofica meridionale da Bernardino Telesio
a Tommaso Cornelio; la politica, per la quale egli esalta l'insegnamento di
Platone; l'etica, per cui continuo è il richiamo al pensiero di Hobbes,
ecc. A questo impasto di vecchio e di nuovo, che contrappunta un momento
della cultura meridionale e riflette il travaglio di un pensiero l'A. dedicò
dunque lo scorcio estremo dei suoi anni, divisi tra la meditazione filosofica e
la occupazione di biblìotecario presso il principe Spinelli, a Terranova di
Sibari, dove morì il 4 apr. 1702. Fonti e Bibl.: Firenze, Bibl.
Naz. Centrale, Magl. CI. VIII,171, Elia Astorini lettere ad Ant.Magliabechi da
25 sett. 1691 a 29 maggio 1694...; Giornale de' Letterati del 1692 e primo di
Modena, pp. 118-119; Giornale...dell'anno 1693, pp. 244-246; F. Redi,
Opere,VIII,Milano 1811, p. 56; G. Gimma, Elogi accademici della società degli
Spensierati di Rossano,I,Napoli 1703, pp. 387-413; A. Zavarroni, Bibliotheca
calabra, Neapoli 1753, pp. 172-174; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori
d'Italia,I,2, Brescia 1753, pp. 1194-1196 (riprende dal Gimma); N. Di
Cagno-Politi, E. A. filosofo e matematico del sec. XVII,Appunti, 2 ediz., Roma
1890; G. Maugain, Etude sur l'évolution intellectuelle de l'Italie de 1657 à
1750 environ,Paris 1909, pp. 133 s.; A. Grammatico, E. A., O. Carm., insignis
disceptator saec. XVII, in Analecta Ord.Carm.,VI(1927-29), pp. 493-515; N. Badaloni
Introduzione a G.B. Vico, Milano 1961, p. 225. Elia Astorino. Elia Astorini.
Tommaso Antonio Astorini. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Astorini”
– The Swimming-Pool Library.
Grice ed Ateiniano – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Nizza). Filosofo
italiano. Marco Ateiniano. Filosofo.
Grice ed Atenodoro – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. Filosofo
italiano. Maestro d’Ottaviano. Atenodoro Cananita. Atenodoro di Tarso Atenodoro
di Tarso, o Atenodoro Cananita o Atenodoro Calvo (Cana), è uno filosofo italiano. Nacque a Cana presso
Tarso da un uomo di nome Sandone. Studente di Posidonio di Rodi e maestro
dell'imperatore romano Ottaviano Augusto a Apollonia e, in seguito, di diversi
esponenti della famiglia imperiale. Pare che segue Ottaviano a Roma. Ottaviano,
proprio per i natali dati a maestro di filosofia, allevia la tassazione della
città di Tarso. In seguito fa ritorno a Tarso dove aiuta ad eliminare il
governo di Boeto e abbozza una nuova costituzione che da vita ad un'oligarchia
pro-romana. Dopo la sua morte in suo onore fu tenuto un festival ed un
sacrificio annuale a Tarso. Plinio il giovane racconta un episodio secondo il
quale Atenodoro prende in affitto una casa a basso prezzo poiché era infestata
da un fantasma. Mentre scrive di filosofia a tarda notte, un fantasma
incatenato gli apparve e lo invita a seguirlo fino in cortile ove spare. Il
giorno successivo, con il permesso dei magistrati della città, Atenodoro fa
scavare nel punto in cui il fantasma e scomparso e trova uno scheletro
incatenato. Dopo che allo scheletro venne data una degna sepoltura il fantasma
non infesta più la casa. Gli vengono attribuite le seguenti opera: un'opera
contro le Categorie aristoteliche (sebbene venga talvolta attribuita a
Atenodoro Cordilione), una storia di Tarso, un'opera di qualche tipo dedicata a
Ottaviano, un'opera intitolata περί σπουδη̃ς και παιδείας ("Sul fervore e
la giovinezza"), un'opera intitolata περίπατοι. Nessuna di queste opere ci
è pervenuta. Aiuta anche Cicerone nella scrittura del “De Officiis” ed è
stato suggerito che la filosofia di Atonodoro possano aver influenzato Seneca e
Paolo di Tarso. Note ^ Plutarco: Vita di Publicola 17; Strabone,
Geografia, XIV, 5, 14. ^ Pseudo-Luciano, Macrobii, 21. ^ Strabone, Geografia,
libro XIV, 5, 14 ^ Pseudo-Luciano, Macrobii, 21, secondo il quale Atenodoro
morì a 82 anni. ^ Plinio il giovane, Lettere, libro VII, lettera 27. A Sura ^
Griffin, p. 201. ^ Griffin, p. 201; sempre Griffin, pp. 206-208, ritiene
possibile che l'autore di questo trattato sia l'Atenodoro logico stoico
menzionato da Diogene Laerzio in Vite dei filosofi, VII, 68. ^ Plutarco: Vita
di Publicola 17. Bibliografia (EN) Michael J. Griffin, Which 'Athenodorus'
commented on Aristotle's Categories?, in Classical Quarterly, vol. 63, n. 1,
2013, pp. 199-208. Altri progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene
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Collegamenti esterni Atenodoro di Tarso (figlio di Sandone), in Dizionario di
filosofia, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 2009. Modifica su Wikidata (EN)
Athenodorus Cananites, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica,
Inc. Modifica su Wikidata V · D · M Stoicismo Controllo di autorità VIAF (EN)
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romaniStorici del I secolo a.C.Storici del I secoloRomani del I secolo
a.C.Romani del I secoloNati nel 74 a.C.Morti nel 7Stoici
Grice ed Atenodoto – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. Filosofo
italiano. Porch. Pupil of Musonius Rufus, and a tacher of Marco Cornelio
Frontone.
Grice ed Attico – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. FIlosofo italiano. best under
Pomponio. Tito Pomponio detto il “Attico”.
Grice ed Attalo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Attalo
(filosofo). Attalo è un filosofo Italiano. Attalo visse a Roma e fu maestro di
Seneca che lo stima molto e lo cita spesso come nelle Lettere morali a Lucilio
quando scrive, “Come soleva dire il nostro Attalo 'il ricordo degli amici
estinti è gradevole come certi frutti sono soavemente aspri.” -- o ancora a
proposito dell'avidità dell'uomo che gode senza discernimento dei beni della
fortuna come fa il cane che inghiotte voracemente i pezzetti di carne lanciati
dal padrone. Così rifacendosi a Attalo, Seneca afferma che una vita senza
affanni e senza nessun attacco dalla Fortuna non è tranquillità è bonaccia.
“Attalo lo stoico soleva dire 'Preferiamo che la fortuna mi abbia nel suo
accampamento piuttosto che tra le mollezze. Subisco la tortura, ma
coraggiosamente. Questo è vero bene'” e che procurarsi un amico è più piacevole
che averlo poiché, dice Attalo, avviene che «come per un artista è più
piacevole dipingere che aver dipinto.” Ed infine da Attalo Seneca reca il
supremo insegnamento riferito principalmente all'ingrato che si tormenta e odia
il bene ricevuto perché dovrà ri-cambiarlo, ne sminuisce i valore e accresce
l'importanza delle offese ricevute. “La malvagità stessa beve la più grande
porzione del suo veleno.” Una massima che Attalo ha modo di vedere applicata
quando messo al bando da Roma, Lucio Elio Seiano, amico estremamente influente
di Tiberio, e infine da questo stesso fatto giustiziare. Note ^ Seneca, Lettere
morali a Lucilio, Edizioni Mondadori, 2013 p.64 ^ Seneca, op.cit. p.73 ^
Seneca, op.cit. p.68 ^ Seneca, op.cit. ^ Seneca, op.cit. p.82 ^ Pierre
Matthieu, Historie delle prosperità infelici di Elio Seiano, Grillo, 1620
p.48 Portale Biografie Portale Filosofia Categorie:
Filosofi romaniFilosofi del I secoloRomani del I secolo
Grice ed Aulo – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano. Aulo Gellio. under
Gellio? Pupil of Lucio Calveno Tauro and Peregrino Proteo. Friend of Erode
Grice ed Ausonio – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza –
filosofo italiano.
Grice ed Avieno – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza. Filosofo italiano. Avieno Rufio Festo. Porch. A Distant descendant of Musonio Rufo. Wrote
Phenomena.
Grice ed Aurano – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza
(Napoli). Filosofo
italiano. Gaio Stallio Aurano followed the doctrine of the Garden.
Grice ed Azeglio – non si danno doveri
reciprochi senza società – filosofia italiana – Luigi Speranza (Torino). Filosofo Italiano. Grice: “I like
Azieglo; first he was a marchese, unlike me – second he looked for the
fundamental law (or ‘fundamental question,’ as I call it) for the principle of
cooperativeness – he finds it’s a natural thing, not a Rousseaunian
contractualist thing – so he is a Griceian at heart – on top, he relies on
Bentham, to minimise the Kantian rationalism and make it digestibale to those
who care about what Azieglo calls ‘amore proprio’ – i. e. conversational
self-love as still operating under a wider principle of conversational
benevolence.” Coniò il termine giustizia sociale,
successivamente ripreso e sviluppato da Antonio Rosmini (1848) nel saggio La
Costituzione secondo la giustizia sociale e da John Stuart Mill nel saggio
Utilitarianism. Taparelli d'Azeglio è
stato anche uno dei primi teorici del principio di sussidiarietà. Era il quarto
degli otto figli di Cesare, conte di Lagnasco e marchese di Montanera,
diplomatico della corte di Vittorio Emanuele I, e della contessa Cristina
Morozzo di Bianzè. Alla nascita gli fu imposto il nome di Prospero che,
divenuto gesuita, cambiò in Luigi. I fratelli Massimo e Roberto furono politici
e senatori del Regno. Maturò la propria
vocazione religiosa a seguito di un corso di esercizi spirituali dettati dal
venerabile Pio Brunone Lanteri (1759-1830), fondatore della congregazione degli
Oblati di Maria Vergine. Studiò nel Collegio Tolomei di Siena e poi nell'Ateneo
di Torino fino al 1809. Entrato nel seminario di Torino, quando il padre fu
inviato come diplomatico alla corte di Pio VII si trasferì con lui a Roma e fu
ammesso nel noviziato dei gesuiti di Sant'Andrea al Quirinale. Fu ordinato sacerdote nel 1820. Iniziò a
studiare negli anni 1824-29 la filosofia di San Tommaso d'Aquino, studio che
continuò a Napoli negli anni 1829-32. Nel 1833 fu destinato al Collegio Massimo
di Palermo dove insegnò lingua francese per poi assumere la cattedra di diritto
naturale. Nel 1840-1843 pubblicò con i
tipi della Stamperia d'Antonio Muratori di Palermo il suo testo più importante,
il Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, considerato a quel
tempo una vera enciclopedia di morale, diritto e scienza politica. Nel 1850 ricevette da papa Pio IX il permesso
di cofondare con il padre Carlo Maria Curci La Civiltà Cattolica, rivista della
Compagnia di Gesù, ove scrisse per venti anni per poi assumerne la direzione
nell'ultimo periodo della vita. I suoi oltre duecento articoli pubblicati sulla
rivista furono tutti caratterizzati da un contenuto tale da meritargli il titolo
di «martello delle concezioni liberali»(Antonio Messineo). Morì a Roma il 21 settembre 1862. Pensiero Era preoccupato soprattutto dai
problemi che nascevano dalla rivoluzione industriale. Il suo insegnamento
sociale influenzò papa Leone XIII nella stesura dell'enciclica Rerum novarum
sulla condizione dei lavoratori.
Proponeva di riprendere gli insegnamenti della scuola filosofica tomista.
A partire dal 1825 portò avanti questa convinzione, ritenendo che la filosofia
soggettiva di Cartesio portasse a errori drammatici nella moralità e nella
politica. Argomentava che mentre la differenza di opinioni sulle scienze
naturali non ha nessun effetto sulla natura, al contrario idee metafisicamente
poco chiare sull'umanità possono portare al caos nella società. A quel tempo la Chiesa cattolica non aveva
una visione sistematica chiara sui grandi cambiamenti sociali apparsi
all'inizio del secolo XIX in Europa, la qual cosa portava molta confusione tra
la gerarchia ecclesiastica e il laicato. In risposta a tale problema, Taparelli
applicò, in maniera coerente, i metodi del tomismo alle scienze sociali. Dalle
pagine de La Civiltà Cattolica attaccò la tendenza a separare la legge positiva
dalla morale e lo "spirito eterodosso" della libertà di coscienza
che, a suo avviso, distruggeva l'unità della società. Termini chiave della sua opera sono socialità
e sussidiarietà. Vedeva la società non come un gruppo monolitico di individui,
ma come un insieme di varie sub-società disposte in diversi livelli, ciascuna
formata da individui. Ogni livello di società ha sia diritti che doveri, ognuno
dei quali deve essere riconosciuto e valorizzato. Ogni livello di società deve
cooperare razionalmente e non fomentare competizione e conflitti. Dopo l'istituzione della Società delle
Nazioni, Taparelli d'Azeglio ne vanne considerato un precursore. Sua fu l'idea
di un'autorità universaleda lui chiamata "etnarchia"con il ruolo di
tribunale e di arbitrio, che potesse proteggere ogni nazione dalle minacce
esterne. Taparelli d'Azeglio continuò a fungere da autorevole guida al pensiero
cattolico in materia di pace e guerra ancora nel Novecento. Altre opere: “Saggio
teoretico di diritto naturale appoggiato sul fatto” (Palermo); “Nazione e
nazionalità” (Genova, Ponthenier); “La Legge fondamentale d'organizzazione
nella società” (Roma, Edizioni di Storia e Letteratura); “La libertà tirannia”
“Saggi sul liberalesimo risorgimentale” (Piacenza, Edizioni di Restaurazione
Spirituale); “La Civiltà Cattolica). Diritto soggettivo, proprietà e autorità
in Luigi Taparelli d'Azeglio, di Alessanfro Biasini, sito della Università Ca
Foscari Venezia. Scuola Dottorale d'Ateneo.
The Origins of Social Justice: Taparelli d’Azeglio, su home.isi.org. Education and Social Justice, J. Zajda, S.
Majhanovich, V. Rust, E. Martín Sabina, Springer Science & Business Media,
20061 Vittoria Armando, Il Welfare oltre
lo Stato. Profili di storia dello Stato sociale in Italia, tra istituzioni e
democrazia Seconda edizione, G. Giappichelli Editore, Georges Minois, La Chiesa
e la guerra. Dalla Bibbia all'èra atomica, Bari, Dedalo, 2003493. L. Pereña, La autoridad internacional en
Taparelli, Libreria editrice dell'Università Gregoriana, 1964, 405-432. Studi Pierre Thibault, Savoir et
pouvoir. Philosophie thomiste et politique cléricale au XIXe siècle, Québec, Maria
Rosa Di Simone, Stato e ordini rappresentativi nel pensiero di Luigi Taparelli
d'Azeglio, «Rassegna storica del Risorgimento», Giovanni Miccoli, Chiesa e
società in Italia fra Ottocento e Novecento: il mito della cristianità, in Id.,
Fra mito della cristianità e secolarizzazione, Casale Monferrato, Francesco
Traniello, La polemica Gioberti-Taparelli sull'idea di nazione, in Id., Da
Gioberti a Moro. Percorsi di una cultura politica, Milano, Francesco Traniello,
Religione, Nazione e sovranità nel Risorgimento italiano, «Rivista di storia e
letteratura religiosa», Emma Abbate, Luigi Taparelli D'Azeglio e l’istruzione
nei collegi gesuitici del XIX secolo, «Archivio storico per le province napoletane»,
Saggio teoretico di dritto naturale appoggiato sul fatto, 5 voll., Palermo,
Stamperia d'Antonio Muratori, 1840-1843. S. T., Per il centenario della nascita
delLuigi Taparelli D'azeglio, in Rivista Internazionale di Scienze Sociali e
Discipline Ausiliarie, Luigi Di Rosa, Luigi Taparelli. L'altro d'Azeglio,
Milano, Cisalpino, Gabriele De Rosa, I Gesuiti in Sicilia e la rivoluzione del
'48, con documenti sulla condotta della Compagnia di Gesù e scritti inediti di
Luigi Taparelli d'Azeglio, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1963. A.
Perego, La «Miscellanea Taparelli», in Divus Thomas, Gianfranco Legitimo, Sociologi cattolici
italiani. De MaistreTaparelliToniolo, Roma, Volpe, 1963, 30–51. Antonino Messineo S.J., IlLuigi
Taparelli d'Azeglio e il Risorgimento italiano, in La Civiltà Cattolica, Carlo
Maria Curci Compagnia di Gesù La Civiltà Cattolica Rerum novarum Luigi Taparelli d'Azeglio, su
TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Angiolo Gambaro, Luigi Taparelli d'Azeglio,
in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Luigi Taparelli
d'Azeglio, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Luigi Taparelli d'Azeglio,. Francesco Pappalardo, Luigi Taparelli
d'Azeglio, in Giovanni Cantoni, Dizionario del pensiero forte, Piacenza,
Cristianità, 1997. Giovanni Vian, Luigi Taparelli d'Azeglio, in Il contributo
italiano alla storia del Pensiero: Storia e Politica, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana,.Aloysius Taparelli, in Catholic Encyclopedia, Compagnia
di Gesù Filosofia Sociologia Sociologia
Categorie: Gesuiti italianiFilosofi italiani del XIX secoloSociologi italiani Torino
Roma. Non si danno doveri reciprochi senza società. Egli è costume di chi
spiega diritto naturalo -- il ius naturale -- il considerare certe classi di
doveri dell'un uomo verso l'altro anteriori ad ogni idea di società. E un tal
modo di speculare è coerente con tutto il resto della dottrina allorchè la
società si riguarda come una pura convenzione umana. Ma siccome il fatto di
questa convenzione, per confessione di parecchi fra i suoi difensori, non è se
non una finzione di diritto, fictio juris, ed io non amo fondar sopra una
finzione quanto vi ha di più sacro ed importante nel commercio fra gli uomini,
mi vidi astretto a cercare nel *fatto reale* (italici d'Azeglio) altro miglior
appoggio. E sì mi parve averlo trovato con nulla più che analizzare la idea che
ognuno si forma allorché pronunzia il vocabolo *Società*, o paragonar questa
idea collo stato *naturale* in cui ogni uomo trovasi sulla terra. Ecco per qual
motivo non credei poter trattare dei *doveri reciprochi* fra gli uomini se
prima non li considerava formanti una qualche società. E in verità, come
potrebbero esservi *doveri* reciprochi senza relazioni reciproche? Come
relazioni senza qualche congiunzione? Come congiuzione senza qualche legge?
Come legge senza legislatore e senza autorità? Data poi la congiunzione di
molti esseri intelligenti sotto una autorità comune che altro ci manca per
costituire una società? Parventi dunque ripugnante la voce di *relazioni
extrasociali*, usata dal ch. C. di Haller -- di cui per altro ammiro in molti
punti la dottrina --, nù seppi come introdurmi a considerare i doveri
reciprochi se prima non no stabiliva *sul fatto* le fondamenta con una attenta
osservazione dell’essere sociale. La legge fondamentale del *civico* operar
sociale potrebbe dunque ridursi a questa — la socielà (e per essa la autorità)
dee far sì che ciascuno *cooperi* a *difendere* e crescere il bene altrui senza
sua perdita, anzi con vantaggio proporzionato alla sua cooperazione. Della
società in generale. Società suol dirsi una concorde comunicazione di bene fra
esseri intelligenti. Società di questi esseri *in istato di tendenza* sarà
dunque la *tendenza concorde a fine comune*. E siccome la tendenza intelligente
fra uomini dee produrre azione esterna, cosi la società umana potrà definirsi
*cooperazione concorde di uomini ad un bene comune*. Prop. I.: Gli uomini tutti
hanno nella lor *natura* un elemento di società universale. Prova: Gli uomini
tutti sono obbligati a secondare l’ intento del Crea- tore. Or il Creatore
vuole da essi *cooperazione concorde a ben comune*. Dunque ec. La minore
si prova. Uno è per natura il bene da tutti conosciuto, ed a cui tendono tutti,
giacche una è la loro *natura* ossia impulso primitivo. Questo impulso
manifesta l'ntento del Creatore. Dunque ec. Diremo questo elemento *dovere di
socialità*. Coroll. 1.: Ogni dovere sociale deriva da questo principio *fa il
bene altrui*. Giacché la causa che mi obbliga a far ad altri *un* qualche bene
è che debbo far loro il bene. Coroll. 2.: Questo è il primo principio *sociale*
applicazione del primo principio morale. Coroll. 3: Il precipuo bene di ogni
società è la *onestà*, giacché a questa tende precipuamente la *natura umana*.
Coroll. 4.: Poiché *ottener il bene* è negli *enti ragionevoli* un *divenir
felice*, il fine di universal società è rendere gli *associati* *onestamente
felici*. E poiché la felicità dell’uomo consiste *secondo natura* nei beni di
*mente* e di *corpo*, *assicurarci* e *crescerci* queste due specie di beni è
il fine naturale della società universale. Una società determinata può o
abbracciare tutto il fine naturale con mezzo particolare cioè col convivere
stabilmente, o abbracciarlo parzialmente. Il *fine* particolare della prima
sarà il *convivere* onestamente felice. Della seconda il conseguire quel
particolare oggetto per cui ella si associa. Diremo società *completa* quella
che abbraccia tutto l'obbietto naturale della umana società, cioè il bene di
mente, quello di corpo, o la difesa di entrambi. Incompleta quella che ne
abbraccia sol qualche parte. Coroll. 5.: La società è *mezzo*, non fine dell’
individuo. Luigi Tapparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Luigi Prospero
Tapparelli d’Azeglio, marchese d’Azeglio. Prospero Tapperelli d’Azeglio,
marchese d’Azeglio. D’Azeglio. Azeglio. Keywords: non si danno doveri
reciprochi senza società, ius naturale, “non si danno doveri reciprochi senza
società”, cooperazione, cooperare, fa il bene altrui – onesta, fine, principio
della socialita, applicazione del principio della moralita, natura umana,
fatto, socieeta totale, societa parziale, definizione di societa in termine di
cooperazione, ‘de more geometrico’ – tendenzia impulso naturale all’onesta –
societa – azione esterna, esseri ragionabile, esseri intelligente, convivir
stabilmente, felice, -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Azeglio” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Bacchin – anypotheton
haploustaton; overo, i fondamenti della filosofia del linguaggio – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Belluno). Filosofo. Grice: “I like
Bacchin; as an Italian he is allows to speak pompously as we at Oxford cannot!
But he is basically saying the commonplace that ‘intersoggetivita’ has a
‘dialectical dimension’ (interoggetivita come dimensione dialettica) in the
sense that the ego (or ‘l’io’) presupposes the ‘altro’ (as he puts it: ‘a cui’)
– therefore; it is a presupposition of the schema, as Collingwood would have
it, alla Cook Wilson – and thus only transcendentally justified. Bacchin has
noted that the operator ~ is basic in that ‘inter-rogo’ invites a ‘risposta’
whose ‘motivation’ may be ‘implicita’ – the ad-firmatum is motivated by the
domanda – which can be another dimanda: why do you think so? “Why do you ask
why I think so?” -- Bacchin is alla
Heidegger and other phenomenologists, with the ‘essere’ versus appare on which
my impicata in ‘Causal Theory of Perception’ depend (‘if A seems B, A is not B.
Note that there is no way to express this implicata without a ~. It might be argued
that it can express with some of the strokes or with some expression that would
flout ‘be brief, rather than the simplest” – and which would involve, as
Parmenide has it, the idea of, precisely –altro’ (other than). Note that
Bacchin equivocates on the ‘altro’ – in the dialectical dimension of
intersubjectivity he obviously means ‘tu,’ not ‘altro.’ In the negation or
contradiction (in dialectical terms) of an affirmation – which is involved in
every ‘dialogue’ that Bacchin calls ‘socratico’ or euristico rather than
sofistico (based on equivocation) – the ‘altro’ is the other, A is not B, impying
A is other than B (cf. my ‘Negation and Privation’). This does not need have us
multiply the sense of ‘ne,’ in old Roman!” -- Giovanni Romano Bacchin
(Belluno), filosofo. Dopo aver conseguito la laurea ottenne la libera docenza
in filosofia della storia. Insegnò filosofia della storia e filosofia della
scienza presso l'Perugia. Occupò anche la cattedra di filosofia della scienza
presso l'Lecce. Fu docente presso la facoltà di lettere e filosofia
dell'Padova, tenendo la cattedra di filosofia teoretica. Fu membro della "Società Filosofica
Italiana". Morì sulla spiaggia di Rimini.
Pensiero Cresciuto filosoficamente nella scuola metafisica padovana di
Marino Gentile, intorno agli anni sessanta, Bacchin presto sviluppò una propria
originalità di approccio e di ricerca filosofica, che lo rendono difficilmente
assimilabile ad una qualche corrente o "famiglia" filosofica se non
quella della libera e inesausta teoresi.
A testimonianza della specificità del suo approccio metafisico si può
citare questa sua affermazione. «V'è un
senso metafisico che può andare perduto. Né basta parlare di metafisica e
considerarsi metafisici per possederlo. La perdita del senso metafisico è anche
trionfo del condizionale e quindi dell'ipocrisia: "direi",
"avanzerei la proposta", "mi si passi l'espressione",
"vorrei che il lettore ricavasse l'impressione..'", "anche se
siamo, il lettore ed io,certo ioimmensamente piccoli", "a mio
sommesso avviso" e così via in un continuo spostare l'attenzione su di sé
e in un continuo, inutile, domandare scusa al lettore della
propriascontatapochezza, rivelando che non è poi così scontata da non parlarne.
Nudo e indifeso alla presenza della verità, il metafisico non lo può essere di
meno di fronte agli uomini, i qualidi certo- non sono la verità. » Riferimento costante dell'incessante dialogo
filosofico di Bacchin fu senz'altro l'attualismo gentiliano. Altre opere: “Su le implicazioni teoretiche
della struttura formale” (Roma, Jandi Sapi); “Originarietà e mediazione del
discorso metafisico” (Roma, Jandi Sapi); Sull'autentico nel filosofare” (Roma,
Jandi Sapi); “L'originario come implesso esperienza-discorso” (Roma, Jandi
Sapi); “Il concetto di meditazione e la teoremi del fondamento” (Roma, Jandi
Sapi); “I fondamenti della filosofia del linguaggio” (Assisi); “L'immediato e
la sua negazione, Perugia, Grafica); “Anypotheton” Saggio di filosofia
teoretica” (Roma, Bulzoni); “Teoresi metafisica” (Padova, Nuova Vita); “Haploustaton”
(Firenze, Arnaud); “La struttura teorematica del problema metafisico”; “Classicità e originarietà della metafisica,
scritti scelti” (Milano, Franco Angeli); “La metafisica agevola o impedisce
l'unità culturale europea?”in ‘Il contributo della cultura all'unità europea',
Danilo Castellano, Edizioni scientifiche italiane, Napoli); “L'attualismo nel
pensiero di Marino Gentile, in Annali, Roma, Fondazione Ugo Spirito. Informazioni
biografiche reperibili anche in G.R. Bacchin, Haploustaton, Arnaud, Firenze
1Giovanni Romano Bacchin in Teoresi metafisica, 1984 Berti, Enrico Ricordo di Giovanni Romano
Bacchin, "Bollettino della Società Filosofica Italiana", 1Scilironi,
Carlo Tra opposte ragioni: nota in ricordo di Giovanni Romano Bacchin a dieci
anni dalla morte. in Studia patavina: Rivista di scienze religiose. Filosofia Filosofo
Professore Belluno Rimini. Metafisica del principio.
Si comincia dopo avere cominciato. L’innegabile è innegabilmente. Negare è
escludere un’inclusione indebita. Non v’è limite del sapere. Il luogo del
filosofare è la domanda del luogo per filosofare. Ciò che v’è di originario
nell’esperienza. La filosofia non ha oggetto e nessun oggetto si sottrae alla
filosofia. La riappropriazione metafisica. L’esperienza praticabile è
conversione fattuale in fatto. Funzione della parantesi nell’asserzione e
l’aporia del dogmatico. L’autorità del dogmatico si presenta come critica di
ogni autorità. L’ideale dell’autorità è di essere indiscutibile. Autorità e
intelletto si fronteggiano. Ciò che l’intelletto impone all’autorità è di
essere ciò che pretende di essere. Il luogo della domanda è l’insufficienza di
ciò che si presenta a ciò che, presentan- dosi, non è interamente. L’identità
tra inevitabile e necessario è solo co- struita. Il senso in cui non si può
domandare tutto. Ciò da cui dipendono le valutazioni del domandare. Il senso in
cui non si può non domandare tutto. Domandare tutto è negare di poter asserire.
Paradigma del dottrinario in filosofia. Una richiesta che preceda la domanda di
verità non può essere vera. Il prefilosofico oltrepassa il sapere di non sapere
credendo di superarlo. L’impossibilità di oltrepassare quel ‘limite’ che è la
stessa impossibilità di oltrepassarlo. La costante esistenziale dell’esperienza
e gli equivoci della sua valorazione. La domanda universale investe il
linguaggio come luogo della possibilità dell’errore. Digressione. La base del
filologismo in filosofia. Dell’ingenuità storiografica in filosofia. Le due
direzioni dell’ingenuità storiografica. L’equivoco storico in filosofia.
Equivoco di coscienza storica e conoscenza storica. Le storie della filosofia
rendono la filosofia accessibile al senso comune prefilosofico. L’ideale
sistematico del prefilosofico si prolunga nella storiografia. Filosofare
nonostante la storia della filosofia. Inattualità teoretica dello storicismo.
La nozione dogmatica di storia. Il carattere fideistico della tradizione e il
circolo del riconoscimento. Due figure dell’accoglimento della tradizione: integralismo
e progressismo. La ragione formale come unica ragione delle due figure.
L’ideale immanente del credere è coincidere con il vivere. La ragione. Indice.
Indice formale presiede nel suo uso ciò che la determina nei suoi contenuti. Se
ogni fede è cosmica, ogni cosmo è creduto. La valenza sperimentale è già nella
protomatematica, come si esemplifica in Galilei. Il carattere ipotetico di ogni
riferimento assertorio all’esperienza. Il rischio erme- neutico è considerare
effettivo ciò che è interpretazione, come si esemplifica in Galilei. Il senso
in cui la scienza è alienazione. Ingenuità del ten- tativo di fondare scienza e
filosofia sull’esperienza immediata. Il campo in cui si discute è ciò che
intanto permane indiscusso. Credere di conoscere è non sapere di credere. Il
rapporto tra intendere e pretendere è struttura del conoscere. Il rapporto
strutturale di compreso e comprendente tra universi. Il rapporto di compreso e
comprendente è struttura del contenuto di osservazione. Costanti del progetto
d’esperienza e il vettore di interesse. Il progetto fondamentale e Kant. Il
progetto di filosofare è il modo filosofico di progettare: miraggio del ritorno
all’immediato, Controllabilità e statuto dell’individuale. Ambiguità del
sapersi orientare nel mondo. L’intenzione conoscitiva del fenomeno individuale.
Progetto del conoscere come adeguazione progressiva. Il co- noscere
rappresentato come rappresentazione. Il presupporre è limite presupposto
all’operare. La scienza ignora di essere una fede. La scienza non può sapere
ciò che essa implica, dovendo postulare ciò di cui abbisogna. La considerazione
pensante. La conoscenza scientifica ipotizza la realtà che le consente di
ipotizzare. Tentativo della distinzione tra ‘visione naturale’ e ‘visione
scientifica’ del mondo. Esame della struttura del ‘punto di vista’ nella
configurazione dei sistemi di riferimento. Dopo l’intermezzo ludico, che cosa
si intende per ‘considerazione logica’. La logica formale è il modo formale di
considerare la logica. Il formalismo della logica è il nihilismo della verità.
La conciliazione tra storia mondana e filosofare non può avvenire nella storia
mondana. Ciò che si presenta con la divisione pone la richiesta della
connessione. Il pensiero si affida al linguaggio per essere riconosciuto come
indipendente dal linguaggio. Si esemplifica con l’espressione hegeliana
“movimento dell’essenza”. Si insiste con l’esemplificazione hegeliana. Ancora
esemplificazione hegeliana: la “cosa stessa” non può venire utilizzata. Il
senso della cura–custodia. Il senso in cui il pensare penetra. Il pragmatico è
fittiziamente teoretico. La verità mette in questione ogni discorso intorno
alla verità. Il nesso tra tecnica logica e configurazione funzionale del
concetto. La conoscenza scientifica considera astratto ciò che essa non può
considerare. Rischio dell’equivoco tra mera domanda e domanda pura. L’imporsi
della verità è l’asse delle pseudofilosofie. Volontà di coerenza e volontà di
dominio. Coerenza è fedeltà alla logica di un sistema. Sistema ed esistenza. Esistenza
e chiarificazione. Esistenza e coscienza. Coscienza e punto di vista. Il punto
di vista fondamentale non è un punto di vista. La nozione comune di esistenza e
l’istituzione. Ciò che esiste non è assoluto. Differenza tra teoresi e teoria e
l’impossibilità di scegliere la teoresi. La teoresi, che non è teoria, appare
in una qualche teoria. Poiché l’intero non può essere oggetto, nessun og- getto
è intero. La scienza che escluda la filosofia diventa “filosofia della
natura”. Il mondo della vita impone l’astrazione. La filosofia non vincola a se
stessa le scienze. Ricorso alla formula. La “formula” e l’aporia del metodo
ideale. Il metodo di filosofare è filosofare, ossia domandare. Inevitabilità
dell’astratto. Necessità e cogenza. Il carattere divino della matematica è
l’essenza matematica di Dio anche se Galilei non lo vuole. L’ordine astratto si
esemplifica in Wolff, ma esso è la logica interna della formulazione del
principio di non contraddizione. La “proposizione” è la figura minima del
sistema, la forma del quale è l’equazione. L’ideale del conoscere esclude dal
conoscere l’operare. Le condizioni del conoscere sono riconosciute nella loro
indipendenza dal conoscere, nel conoscere di cui sono condizioni. La relazione,
che è esperienza, non può essere relazione dell’esperienza con altro da essa.
La conoscenza dell’incono- scibilità dello in sé è conoscenza in sé. L’astratto
è inevitabile, ma non necessario. Per dire con che cosa si comincia, si
comincia con la domanda intorno a come si comincia. Affermare la totalità è
dimostrare che es- sa non può venire negata e, dunque, non abbisogna di venire
affermata. La condizione apriori è trovata analiticamente, perché è
contraddittorio che, nel no- stro conoscere, tutto derivi dall’esperienza.
L’uso è unicamente empirico ed è riconosciuto trascendentalmente. L’analisi è
la presenza operante del “principio di non contraddizione”. La struttura
sintetica del giudizio è l’infinitezza dell’analisi. Il giudizio è domanda
infinita di venire fondato. Tra esperienza e giudizio non sussiste rapporto,
perché l’esperienza non può essere un giudicato. La prima forma di mediazione è
l’immediatezza fenomenologica, o medialità. Il contessere infinito del dato non
è dato. Ogni ordinamento di oggetti è teorico. L’oggetto è pluralità di
oggetti. Se è astratto l’oggetto, è astratto il suo contesto. L’intuizione
astrae dal contessere infinito. Ciò che è dato per primo è risultato di un
processo astrattivo: l’intuizione non è originaria. Differenza tra teorica dei
giudizi e teoresi del giudizio. Impostazione. L’interpretazione empirica
dell’oggetto “come tale” quale “oggetto in generale”: trascrizione
generalizzata degli oggetti. La sintesi precede ogni analisi e la condiziona.
Il conoscere presenta un duplice livello: quello del suo fungere che
costituisce l’oggetto, quello della consapevolezza di tale fungere. Il
conoscere muove dalla fiducia nello essere in sé del conosciuto, con base
esclusiva- mente pratica. Può venire formulata anche la contraddizione, dunque
la forma proposizionale non è struttura del giudicare. L’analisi come pre-
senza dell’incontraddittorietà formulata come “principio di non
contraddizione”. Un giudizio media la posizione di altro giudizio: medialità
posizionale o fe- nomenologica. Di volta in volta un giudizio può valere come
analitico o come sintetico. Si intende di sapere con necessità. Se v’è un modo
empirico di conoscere, v’è un modo non empirico di riconoscerlo. Kant conosce
analiticamente che la conoscenza umana è sintetica. Nessun giudizio matematico
è conoscitivo. La ragione dell’aritmetica è un fatto, perché le risulta
possibile ciò che le risulta fattibile. Le categorie. Indice. Indice trovate
dall’analitica sono usate dalla stessa analitica. L’esperienza è condizione del
darsi delle sue condizioni. “Cosa” ha significato operativo. Il tempo è
essenzialmente prassi. Spazio e tempo provengono dalla sintesi dell’intelletto,
ma operano nella sensibilità. L’oggettivazione dell’esperienza è
matematizzazione, di cui il trascendente è negazione. Il trascendentale è, ma
non appare. La sintesi è negazione di se stessa come negarsi reciproco dei suoi
termini. Tempo e durata. La presenza fungente dell’apriori è analiticamente
reperibile nel dato e non lo eccede. La differenza tra conoscere e sapere è
conosciuta e saputa. Conoscere non è sapere e l’oggetto è matematico perché è
oggetto. Esemplificazione con Kant di ambiguità fra matematica e conoscenza. Il
conoscere della matematica, essendo matematico come conoscere, non è conoscere.
La volontà di potenza è l’impotenza dell’io nei confronti delle sue
rappresentazioni. L’io si riferisce a se stesso come dato all’io. Non vi può
essere una ragione pura. Teoresi e finitezza della ragione. Il senso teoretico
dell’inconoscibilità dello “in sé” è quello dell’inoggettivabilità del vero. La
ragione è strumentale per se stessa. Il carattere filosofico della
pricerca. Il carattere dialettico, o negatorio della
filosofia. La dialettica dell identico livello. La dia-letticità
della filosofia e il momento analitico della filosofia del linguaggio. I
limiti di validità dell analisi nella filosofia del linguaggio. Limiti di
validità e valore. Come è possibile una filosofia del linguaggio.
Concetto di "teoria" e sua riduzione. La riduzione del concetto
di teoria e la radice pragmatica dell intellettualismo. La nozione
ateoretica dello "in generale" come base della teoria.
Riduzione del procedimento analitico all inde terminato, cioè al
contraddittorio. Differenza ontologica tra il contraddittorio ed il
negato. La dialetticità come impossibilità di un procedimento analitico
sulla totalità. La domanda totale e la totalità domandata. L intero della
domanda totale e della totalità domandata. La conversione dialettica della
totalità domandata nella esclusività del domandare. La domanda come
riferirsi in atto alla risposta. La problematicità della
"definizione" concettuale. L intersoggettività come
dimensione dialettica. La struttura dialettica dell'implicazione.
L'insignificanza teoretica del disaccordo. La preoccupazione di
raggiungere un accordo effettivo è empirica e filosoficamente ingenua.
Fittizietà del rapporto tra filosofia e senso comune. La superfluità del
problema del "solipsismo". Presenza e coscienza. La
realtà come pensiero si risolve nel pensiero come atto. La realizzazione.
L'attualismo come attualismo puro. La realizzazione come negazione e come
posizione. L'attualismo monistico come naturalismo. La presenza pura. La
coscienza della presenza pura. Il rapporto tra atto ed oggettivazione tra
presenza e pre-sentificazione. Importo teoretico dell'espressione
"Verum et esse convertuntur". La metaforicità intrinseca delia
parola. La "cosa stessa" come l'intero di se stessa. L identità
pensare-essere. Il riproporsi del pensiero su se stesso come origine
della parola "cosa". La duplice funzione della parola
"cosa". Le condizioni ad un indagine critica. L atto critico o
negatorio come atto di pensiero nella coscienza. La ricerca del mezzo
logico adeguato e l interrogazione. I limiti teoretici delle asserzioni
condizionate da interessi. La riduzione pretesa del "sapere"
al "potere" e il concetto ateoretico di
"teoria". L'interpretazione matematicistica nei suoi limiti. La
teoria come formulazione generale. La radice dell'interpretazione
matematicistica. Le condizioni imposte dal concetto d
interpretazione. Il carattere teoretico del controllo sull
esperienza. Lo spostamento del limite come essenziale alle
determinazioni. La determinazione come ritorno dell atto: totalità di
definizione e totalità di esaustione. La totalità di definizione come
"essenza". L' atteggiamento fondamentale umano operante nella
definizione concettuale. Il modo indiretto dì dire l'essenza.
Originarietà e mediazione nel discorso metafisico (Il "Tema";
Svolgimento delle indicazioni teoretiche del "Tema". L'originario
come implesso esperienza-discorso. L'"Esperito" e l'"Esperienza
integrale". Il significato dell'"Implesso"; Il senso
dell'"Originarietà" dell'"Implesso". Il concetto di
meditazione e la teoresi del fondamento (L'impostazione; La
"sospensione" degli enti dall'essere). Giovanni Romano
Bacchin. Keywords: anypotheton, haploustaton; ovvero, i fondamenti della
filosofia del linguaggio, il discorso metafisico – a new discourse on
metaphysics, from genesis to revelations, etymologia di ‘autentico’,
l’esperienza e il disscorso, implesso esperienza-discorso; anypotheton, haploustaton, anypotheton
hypotheton, supponibile, insupponibile, haplloustaton, superlative di haplous,
simplex, simplicior, simplicissum, simplicissmo, complesso, simplice/complesso,
simpliccismo, simplicissimo, complessissimo, complesso proposizionale, semplice
sub-proposizionale – implesso, analisi del concetto d’impicazione – senso e
significato – senso e segno – proposizione – funzione proposizionale –
Whitehead. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Bacchin” – The Swimming-Pool
Library.
Bacchio
– Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza. Filosofo italiano.
Bacchius. He was a member of the Accademia. Antonino attended his lectures. He
was the adopted son of Gaius.
Grice e Bacci – I bagni dei romani –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Sant’Elpidio al Mare). Filosofo
Italiano. Grice: “You’ve got to love
Bacci; he was born in the Italian equivalent of Weston-super-Mare, and
therefore, he dedicated his philosophy to swimming!” – Studia a Matelica,
Siena, e Roma. Scrive “Del Tevere, della natura...”. Pubblica il “De Thermis”,
un saggio sulle acque, la loro storia e le qualità terapeutiche che venne
accolto con entusiasmo. Dopo aver ottenuto la cattedra alla Sapienza e l'iscrizione
all'albo dei cittadini romani, e nominato Archiatra pontificio. I saggi “Delle
acque albule di Tivoli”, “Delle acque acetose presso Roma e delle acque
d'Anticoli”, “Delle acque della terra bergamasca”, “Tabula semplicim
medicamentorum”, “De venenis et antidotis”, “Della gran bestia detta alce e
delle sue proprietà e virtù”; “Delle dodici pietre preziose della loro forza ed
uso”, “L'Alicorno”. Il monumentale trattato “De naturali vinorum historia”, un
compendio in sette libri su tutti i vini conosciuti. Tratta temi relativi alla
vinificazione e conservazione dei vini; Consumo dei vini in rapporto alle
condizioni di salute; Caratteristiche peculiari dei vini; Uso dei vini nell'antichità
classica, Vini delle varie parti d'Italia, Vini importati a Roma, Vini
stranieri. Note DBI. Andrea Bacci la figura le opere, Atti della
giornata di studi tenutasi il 25 novembre 2000 a Sant'Elpidio a Mare. Altri
progetti Collabora a Wikisource Wikisource contiene una pagina dedicata a
Andrea Bacci Collabora a Wikiquote Citazionio su Andrea Bacci Mario Crespi, Andrea Bacci, in Dizionario
biografico degli italiani, 5, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana. De Naturali Vinorum Historia De Vinis
ItalEae et de Conuiuijs Antiquorum Libri Septem Andreae BacciI Traduzione del
libro Quinto nella parte dedicata ai vini delle Marche, Gianni Brandozzi,
Associazione culturale Giovane Europa, Filosofi italiani del XVI secolo Medici
italiani Scrittori italiani Professore Sant'Elpidio a Mare Roma Enologi
italiani. In quo agitur de balneis artificialibus,
penes instituta recæperit, hoc tempus non esta deo compertum, nisi quantum
legitur fuisse antiquissimum. Nam ex omnibus monumentis quæad notitiam hominum
peruenerunt, vetustissima huncritum lavationum, perinde necessarium ad communem
vitam commemorant. Balnearum enim mentionem invenio non modo ante ROMANORUM
IMPERIUM. Sed ante asiaticos etiam et chaldæos extitisse. Imòsiiactatis,
antequam ulla extitissetliterarumin ventio, dicterija credamus; extat apud
Pisandrum id circo Calida balnea fuif fe natura bal. cognominata Herculea, quòd
Minerva olim fesso Herculi calida parasset. Vel veterum et Galeni in
Thermis primus la tascoengerit quodammodo ad lauacra homines. Quippe ean ecessitas,
quæ uationumv a primordio rerum monstrauerat mortalibus ex agresti vita victum
quærere, sus. Tecta construere,abæstu& frigoresetueri:eadem &
fordesabluere,mun ditiæquecultum monftrauit.primo quidem quantum
vitæsatisfaceret,donec paulatima liqua industriaadhibita, laffata corpora mollia
quarum foturecrea reedocuit. Verum quando id inftitutum locum aliquem in REPUBLICA
HABE ROMANORUM, VANTA fuerit naturæ solertiaincumulandis gratijsaquarum
spontemanantium et quæ differentiæsinttùm simplicis Elementi, tùm consequentes ex
misturi. Et quisvsusearumin balneis. Hactenus proeoac potuimus explicauimus.
Quis enim pro dignitate naturæ, speciales proprietatescunctarum aquarum sermonem
consequi audeat? In hisautem quæ ad thermarum vsum dicendarestant, sirectèquis
thermarum ARTIFICIALIUM magisteriaconsi dignitas. deret, summum artis cum
natura certamen videri poterit. Ut tnesciam anadeo sciuerit natura elargiri mortalibus
tota diumentorum materiam, torqueadeo diuinæ dispositionis ostentare miracula
inaquis. Quanto maiora funt, quæ arsaddiditornamentain Thermissuis. Præsertimfubila
ROMANI IMPERII maiestate. Inquarum monumentis,quæ exeispartimvidentur et
partimle gunturapud varios authores, nons atisconstatapudme vtra fuerit maior, an
magnificentia operis ad illorum temporum instituta, an commoditas popu.
larisadvtilitatemlauationum.Principiononeftdubium fiprima quasiin cunabula cæterarum
rerum coniectemus, quin ipsa vitæ, ac naturæ necessi quia quia
eidem (vtAthenæus est author)vulcanusmuneris vice feruida suppo fuisset.
Etlivera credimusre tulisse Platonem tamspectatæfapientiæautho rem,superatomnium
seculorummemoriam, quamipsetraditexantiquissi mis monumentis, de Atlantica maxim
a olim insula nun c Oceano ipso occupant aextram Columnas; quam Neptunimunere
cùmomni delitiarum genere Thermar r o n clarssima, habuisse refert ipse etiam
balneas quæ omni cultu ornatæ partim usus, quidem subdiuopaterent, partim verò subtecto
calentia haberent lauacrahy Είμαζα, τ'έξιμοιρα, λοιπάτε θερμα,καιανα cus Sexcenti
sautem post Homerum annis,Hippocratesprimusmedicinæau derat. thor, Thermarumvsum
curandarum ægritudinum causa, tanquamreiiam in Græciacommunitervsitate commemorat,
ac damnauit aliqua. Floruitau tem (ut ratio temporum habeatur) natus primo octogesimæ
Olympiadis ut Hippocrates Soranus tradidit circam Peloponnesiacum bellum:quod teste
Plinio gestu estàtricentesimovrbisRoniæannoexactisanteàRegibusannos
circitersexa ginta,& ArtaxersePersarumRegemagnam Græciæ partem, &
Hellespontú occupante. Poftquæ temporadum Græciaindies Sapientiffimorum virorú
scriptis venirent illustrior, perpetua habemus de Balneis testimonia, Socratis,
Platonis, Aristotelis, cæterorum quesuccessu temporum authorum,qui& Aliam, &
PersiamnonfolùmGręciambalnearumvsumhabuissefamiliarem LaconesTber testantur. Laconesinter
Græcos antiquiores, primamlaudem Thermarum marimiznitanquam suuminuentumsibivendicare
videntur, Dioneauthore: ac abeis tores. pofteà huncmorem reliquas nations didicisse.
Quod confirmatpartium nomina in Thermis Romanis, quæ omnes græcæ
suntvoces,laconicum,Hypo cauftum,Miliarium,& Thermæ ipfæ, nedicam cætera.
Ex quibusconstat vsumThermarumapud Romanos fuise posteriorem, aceasinæmulationem
græcorum constructastestanturMarcus Varroin librode antiquis nomini bus,&
item Vitruuius.VeruntamensubilaRomaniimperijmaiestate, sicut omnes artes
floruere, ac inuenta prius ab alijs meliora cuasére, vnde meri to Roma QUASI
ALTER A MVNDI PARENS dictaest: itaomnium maxi mè Thermarumi nftituta incredibiles,
& supraquàm exprimivnquam pof sit,habuêreprogressus,eatamen
obliterataferèad hancætatem,necliteris mandata, multisforsanèdoctishæcmeliusscientibus.Quamobrem
nos, volentes ad noftrarum lauationum regulam, antiquum Thermarum vsum rcuocarein
lucem; operæ precium eftRomanarum institutaprosequi:inqui bus quæ prima ipsarum
introducendarum ratio fuerit, quisordopartium,& quisvsus,& quæ tandem
ineis medicinæ pars extiterit,percurremus. In Critia, berno tempore, atque
feorsumaliaregibuspriuata,alia viris,aliamulieri bus,aliaitem equis, cæterişúeiumentis.
Posterisveròseculispater Home rus, cuiusscriptisnullumconstatapud Græcos testimonium
antiquius,mul toties calidaruin lauationum mentionem fecit. Præcipuè verò in Odysseæ
lib. 8.vbi Poëtaomnium fermèrituum memoriadignorum obseruátissimus, Thermas
indeliciiscommemorat illisversibus. vic. Homeri lo Aid δωμϊνδαίς τεφίλη, κιθαρίςτε,
χοροίτε, De affiduis primùm venatibus deditos,necminusagrestibus operibusedu
catos, nonaliaferè industriatùm amplificandæ Reipublicę, tùmdefen dendæquùm
opusfuit, præualuiffe, quàm quoddurataiampacislaboribus
corpora,facilèquodcunquemilitiæonussustineredidicerant.Inquo perce
lebremhabemus Quintium Cincinnatum, abaratroaddictaturamvocatum. Itemque C.
Fabritium et Curium Dentatum, qui rure ac militiæ laudatissimi, omni Spicula contorquent,
cursuque, ictuquelacescunt, Abhisergoexercitijs, vterant frequentes, harena, puluereque
conspersi, ac fudoreprofusiatqueoleo,vtseminudi
acexertisbrachijs,cruribusque,vel liberosaltemhabitu, quo degebant, vt effent admunia
propriores, necessario lauationes pofcebant. Qua dere, dum adhuc nouitiavrbs
inhis studijs Patres campum Martium vicinum Tyberi, in quo iuventus post
exercitium Lib.1. c.10 armorum, ludorem, pulueremque dilueret, aclassitudinem,cursusquela
borem natandodeponeret. Qui mos vt paulatim èreipsa, & quasi nemine
Lauationes instituentese in ciuitatem ingessit (quem ve plurimum soletese nouo rūrituum
in Tyberi, introductio)itatandem crescente indiesiuuentute,armorumquefimulac exercitiorumaffiduostudio,viamtamfrugiinstitutiaperuit.
Sanèin ciuile videri nobilem ciuitatem in luculentis Auminis aquis quotidielauari;aclaua
craid circo Asiaticorum, & Græcorum moreparandaesse,quæpostexercitia non ad
munditiam facerentsolùm, verumetiam recrearent, maiusque robur laffatis membrisadiungerent.Quod
tamenpropositumlongissimèdistulêre:
nonquideminscitia,autvecordiatamgenerosæciuitatis, sed propter
Antevrbempueri, & priinęuofore iuventus. Exercenturequis, domitant que in puluerecurrus.
Aut acres tendunt arcus, aut lenta lacertis 7. Aeneid. Lauationum Deprimis Thermarum
institutis in vrbe Roma. Aris quidem constar Romanos illos Quirites,antiquosque
Sabinos, satissuntexemplonobis, hæcfuisseilliusseculiftudia. Non pecuniapræua
lere, non forma, nõ ambitiofo hominum comitatu, non stemmatis dignitate
certare: fed totamvimin proprijanimiexcellentia,viribuscorporis,acexa etacura Rei
pub. collocare. Feruebant honestælaudisemulatione ingenia, vt quosarma,&
propria virtus ad prim s ciuitatis honores euexerant, studio, ac laboreæ quarent.
Quare vbi militiæ in externosceffasset occasio, ROMANORUM quasi natiuo instinctu
dediti ad labores, autrurese agrestibus exercebantope-studia. ribus, autaddisciplinamac
roburcorporis, ciuilibus,ijsquevarijs exercita mentis vtebantur: cursu,disco,faltu,
lucta,& pugilatu,natatione, atque armis. Quem more man t è urbem conditam
fuiffe quoue. APUD LATINO antiquissimum, planèilis versibusrepresentauitVergilius.
necessitas. 36 strenuè adolesceret, præclarum habemus Vegetij testimonium,constituisse
gruentem,au&taque fpatio temporis,spectatævrbisinfinitimasterrasautho
Aquaríper ducen.decre ritate; deaquistandem èvicinis montibus, Auuijsquein
vrbem perducen- tum. 1 (vtegoreor) potissimascauffas:Tùm quiaprimiili Patresnontamfrugifu
turumolimhuncritum existimauêre, quàm luxui, ac mollicieiforelenoci nium; id quod
accidisse, posteà declarabitur. Deinde ob aquarum incom moditatem,quarum
incolles,vbitunchabitabantdifficiliserat,& nonsine maximaimpensa,perductio.
Verùmhoc laucitiædesideriovniuersimin dis, duas dis, decreto S. P. Q.
R. publico ftatutum est: quæ & potuum fimul,& laua tionumritui suppeterent.Quod
factum est primùm M. Valerio Max. P. De cio Mure Coss. (authore Plinio) aqua
Tyberinarī Appia ex Tusculano per ducta, Censore Appio Claudio curante. Aquibusté.
porusdimif. poribus, Tyberinarum aquarum vsus,adeam vsque ætatem tàm potu, quá
sus. lauacrofrequentiffimus, exolescerepaulatimincepit:aclauationum simul,
atque exercitationis gratia (ut tradit Festus Pompeius) Piscina publica ad cli
Piscina Pub.uium Capitolinum iuxtàTyberimestconstituta.Pofteà Thermæconstructę.
stitut& uationumduntaxat,conftitutæ fuerant,haudmagnum habuêre progressum.
Visicùm auctaciuitate, simul atquecrescenteindiesineisiuuentutisapplau. fu; semper
maiorisearum capacitates ratiofuit habenda.& præsertim vbime dicorum
consensu incurationem quoque ægritudinum suscipicæperunt.Ve
rumtamenpostinitiadiuadmodum consuetum fuitangustasfieri,actenebri
cosas;nonenimcalidævidebanturnisiobscuræ;quem admodum fcribitSe
necaadLucillum,fuissebalneum Scipionis Aphricani ad Linternum. Causa verò amplificationis
Thermarum præcipua, fuit Palæstrarum adiunctio. Quippe cùm apud Romanos veteres,
ferèvfquead Augustum,nonadeo multa extiterit architecturæ dignitas, nec adeo
fuerit consuetudinis Italicæ. (vt desuotemporescripsitVitruuius,&
multoetiampost)cumPalęstrisLa uationes habere coniunctas;contentus quisque
ruralibus exercitationibus, ThermeadvelCampo ipfoMartio,&
harenaPlatearum;solasin Thermisobibantla exercitia có uationes. Quo ritu ad
imperium vsque Principum perseuerante (vnde planè stitute.
constarepoteritThermas exercitiorum cauffa fuiffeinstructas)vbicunqueali qua
fierent publica edificia, ac populi celebritas,iuxtà constituebantur &
Thermæ.Exemplo primùm Agrippæ clarissimo;qui ob celebritatem admira bilistempli
Pantheon,atque Campi Martij; iuxtà,Thermas suas extruxit.
SicNeroposteàNeronianassuasiuxtà Agonalem circum, ob Ludos,quiibi fiebant celebres,constituit.
Necfecus authore Suetonio TitusVespasianus dedicato Amphitheatro,Thermas
celeriterextruiiussit: nimirùm ad Amphi Palestrari theatri,& exercitiorum, quæineofiebantcommoditatem.
Donectandem cum Ther.illustratacuniImperijmaiestateArchitecturæperitia,moreGræcorum
Palæ mis coniun-ftræcum Thermis fuêre coniunctæ,vbinimirùm generosa
iuuentus,relictis iamruribus,atqueharenis,simul&
exercitationesobirentomnisgeneris,ac lauarentur. AtquehincnonsolumoperaThermarum
fueruntelegantiùsdi. sposita,atque admodum amplificata, sedtantam etiam
promeruerunt o m niumgratiam,vttotaciuitaspaulatim
hancsusceperitconsuetudinem,fre quentare singulis diebus Thermas, & tàm
Senes,quàm consulares,atque amplissimiordinisviri,necnonartifices,&
matronæ.Proveteriinstituto, acftudiovirium,promunditia,&
prosanitate,atqueomnicuracorporum. Romanarum Thermarum cenfura, atque Magnificentia,
Quæ quoniamfrugiinprimis,obeam, quam dixi causam et ad ritum la.10 Etæ 40 čtio.
A e c ergo initia, atque hæc incrementa fuerunt thermaru m Romanorum. Primò quidem
institutæob ritum laudabilem,quem exer citium,& vitæratioillorum temporum
inuexerat. Deinde au Therme con Therma auCtæobcommunemvtilitatem,&
magnificatæcumpalestris. Eradfum mam tandem amplitudinem, acmagnificentiamperductęobdelicias.quem
ad modum à nobis ex earum aliqua descriptionem on f trabitur. Quan quam id
quidem, prorei, atq;vrbis magnitudine, haudnostroindigeret testimonio,descriptio
quiMedicinęduntaxatineisinstitutaprofiteremur: nisiminusplenèomnes,curnecela
quide Architecturaconscripserunt, earummaiestatem expreffiffent. Nam ria.
quidde Vitruuijlibriseliciemus,nisinudaquædam lineamenta,atqueeaqui Invitruvio
dem nonadmodum explicata,paucaquelocabalnearumsuitemporis,quan-censura.
doperangusta,& blactariafiebantbalnea(vtpauloantèex Senecætestimo niodiximus)
quæeiusætate,& poftcà maximè, locuminter primasædificio rum
vrbismagnificentiashabuêre?Minusàiuniorum scriptis,quimutatis rebusposttotsecula,acminus
concordibus, quifparfimdeeismeminerunt authoribus; fatissibi,atquelegentibus
fecisseratisunt,sivastamduntaxat Thermarum dixerintmolem, acDedaleioperisinstaradmirarentur,
cùm ta men Romanarum rerum magnitudo cunctarum nationum miracula supera-
Medicorum. uerit, non in Thermis folum. Minimè omnium à medicis. Quos turpe h o
dieadrectam lauandiægros institutionem videri deberet hæcignorasse; indi
gnissimumveròproea,quam profitentur Galeniimitationem,quæ vixvlla
essepotestsinehorumrituum notitia, inquibus ferètotaeius doĉtrina versa 20tur. Quam
obremoperæ preciumest, advniuersam instituti nostril rationé, Therme an aliquam
ThermarumVrbanarum,partiumq;ipfarúcensuramfacere.Princi-publicę,an pioThermas
fuissedecreto publico constitutas, (vt eftdictü)non eft dubitan priuata. dum.Nam
idmultæ declarantauthoritatesscriptorum,acmarmoreæ tabu læ,inquibus vel Senatusconsultaleguntur,
vellegespositæinThermis,ve! munera. Quę exmultispofteàritibusdeclarandavenient,vtpotè,inaliquo
publicogaudiosinemercedepræstarisolitas;veloleum gratuitodari.incom muni
veròluctupublicè Thermarum vsum interdicisolitum. Imò in priua tispęnisexéplum legimus
apud Valerium Max. lib.2.Titio pręfectoobigno miniofam deditionem Calpurnium Cor.
Conuictum hominum, & balnearu vsuminterdixisse. Verùm
quinegantThermasoperafuiffepublica,memi sedinThermis:quarumhodieamplitudinem,accelebritatem,hac
sancta religioneintroducta, templanostra, ac pia xenodochia immittantur. Quare &
Thermæ Xeniædicte, quæitaapudgræco scognominarifolebant, quasi hospitales,&
gratuitæ, quo cognomina Thermarum publicarum vtitur manı Thermarum
nissedebent magnificos in eis Imperatorum titulos, qui æternitate nomi-
Thermarum nissui, tantioperismagnitudine affectassevidenturacRomanis suis, vel Po-
magnitudi Oo pulo gratuito constitutasindicant.Quo planum
fitetiam,easfierioportuis secapacissimas. Non enim in templistuncconsueuit
populus congregari, quæidcirco angustafiebant, acsuisquisqueindigetisacpenatibuseratcon
tentus, Tuniorum, nis ratio. Therma xea 40. Vnde perperam inhistorijsretulit Volaterranus,
quiblice. M.Tulliuspro Cælio legitproSenensibus, cùm nus Francisci Patritij
imitatus, Senias primas verò scripta subSenarummenioria.Inter quam
balneainantiquislegantur, quarummeminititem palatine.,credo fuiffe Palatinas, atquehas
xenias per acpublicas,ademissaria Aque Claudiæ adeaspofteå
Cicero,vbiSex.Rosciusoccisus,authoreeodemSene,earum cura erat publici muneris
Max. ductæ. Necminus ætatem, quails & Cato, & Fabius ca, nobilissimos Aediles
antesuam, acsuaetiam & alij, populum inthermis exigend imunditias gratia receptare
niæ dop H. 2 manutemperare folitos. Balneatorestamenin Plautolegimus,
& pofteain Balneatores M. Tullio pro Celio, quieiministerioaderant. EtIureconsulcus.Instru
et Balneato me nto inquit balneatorio legato, balneatores continentur, quoniam
sinerium lega ti. his balneæ vsum suum præber e non possunt. Producto autem seutis
annis instituto ipso ad luxuriam Principum, non solùm capacitatitantæ vrbis con
sultum eft, fed citrà vllam mensuram aut modum, & vt Ammianus aflimi
Thermarunlat potiusprouinciaruminftar,quàmvlliusædificijforma Thermascæpe
numerus Ther.Impe runtextruere. Extatinterprimamonumenta,M.Agrippam,inAedilitatis
munere;quodpostconsulatum gessit,gratuitapræbuiffebalneaquæ'po steasub Nerone,vt
testator Plinius, ad infinitum auxêre numerum. Sextus autem Aurelius victorin
censu partium vrbis, Thermas, amplissima opera Imperatori axii. nominauit. Priuatarum
verò balnearú, quasad priuatosvsus Ther. Priua qui lautè viuerētsibiinproprijs domibus
compararunt, numerum exeodem ta. fubducimusferèdcccLx.quassuccinctèperregioneshicrecensebimus.
Prima s ergo ha r u m duo deci m n o n eft dubitandum, fuisse Agrippę Thermas, qui Ther. Agripeo dé authore Plinio, imperáte
Augusto eiussocero, multa & egregiainvrbe perfecitopera, ac Thermas
fuaslytostrato,acencaustopinxit,& pauimétaex Neroniana. vitropofuit.
ErantautemvltràCampum Martium adfiniftram templiPan
theon,vbinunclocusvulgòCiambelladicitur,vtquæin Campo & inAgo nali Circo exercitaretur
iuventus, hinc Tyberisnaturalem aquam, hincverò
calentiuminThermisaquarumhaberetcommoditatem,vbilauaretur.Ineis verocùm neque capacitati,
nequeadeodelicijs consultumfuisset, eodem au. thore, successitquadragesimocirciterpofteàanno
Nero profusiffimusImpe. rator, quiad Agonalem ipsum CircumsecundasThermassuonomineextru.
xit.Inquibus,vtscribitLampridius,syluasdeputauit;& nonfolùmdulces,
Alexandri. sedvelmarinasaquasinterdum,velalbulasperAquæductusAnienisadduci
Hadriani Traiana. eum
fecissememinitSuetonius.PonitidēLampridiusAlexandrinas,abAle xandro Seuero
extructas in C a m p o Martio, quas quidam easdem esse N e r o nianas putant,
quam tanto imperio fastuo- 30 sam,par erathacquoquenoncareresuperbia.InIli&
SerapideMoneta Regione, c ù m Titus Amphitheatrum dedicasser, Thermas iuxtà
celerite rex truxit, Suetonio;quæ tertiæfueruntImperatoriæ,nimirùm
inAmphitheatri celebritatem& commode (vti diximus) & id circo breues. Quartæiuxtàhas
Traianę, quas Traianusobhonorem Suræ, cuiusstudioad imperium perue
nerat,erexit,acTitiThermismaiores,vbiquæextantmiraAquarum rece ptaculaseptem Salasvulgo
appellant. Priuatæveròintotahac Regione Bal cömodianæneę xxx.I n Regione ad Portam
Capenam, quintæinordinefuerunt Com & Seueria-modianę,quarum &Alexandrum
Seuerum affectassenomen videtur: etiamsi nę. Antoniana. interpriores, acnoftrosantiquarios,
aliquafitdelocis, & temporibus,&
cognominumassignationevarietas.Inquapræterhas,extantalicuiusnomi nisapud
authoresciuium balnea,Torquati,Vettij Bolani, Mamertini, Aba s c antiani,
Antiochiani, & priuatæ aliæ Balneæ Lxxxv. Sextæ in Circo Maximo Antonianæ, quasmaximas
verè dixeris, Spartianoauthore,quieasm e minitadradices AuentinicollisAntoninumImperatoremcognomento
Caracalla minchoasse,perfeciffeveròeundem Seuerum:mirahodie architectu
ra, ratoria. pa. na. Agrippina.
Titi. instauratas. Adhæc P.Victor Hadriani Thermas. Et ex priuatis
Balneisintotahac RegioneLxu11.Eodemtemporeerexitquoq;suasTher-: mas
iuxtàExquilias Agrippina Neronismater
ra,necimitabili,cumPalęstrisconiuncto.Inhac& Varianæ,& Decianępo
sterioresnumeranturaP.Victore,necnon Syriacæaliæcognominatę, & Pri
uatæaliæLXIIII. Seueriquoque nominef uêrein TranītyberinaRegione Scueriane.
Thermæ, eode in Spartiano teste. Necnon Aurelianz,Vopisco. Balneuitem
Aureliane. Ampelidis, Balneum Priscilianæ, & Priuatæ aliæ 1xxxvi. Inter Esquilias
&Montem Celium, apud Titi & Traiani Thermas, PhilippiImp. Thermas
Gordiani. amplifl. ac pofitum
estadperpetuamreimemoriaminipsabasylicadistichuin,deAngelis. Quodlicànobisest restitutum.
QuæfuerantThermæ,nunctemplum estVirginis,auctor El Pivs
ipsePater,cediteDeliciz. ruptèdicuntur,&PriuatæintotahacRegione
1xxv.Porròrecenseturinli. EsquilijsRegioneOlimpiadisLauacrum,vbisummo
colliculoSanctiLau Vltimæ Cæsarum nomine, Constantinæleguntur ThermæinCliuoMontis
Quirinalis. Quas non reparatas, non d e integro ex tructas à Constantin o e x i
ftimo, cùmvetuftofatis appareant opére. Necnonmarmoreæ tabulætestimo
nio,quodlegitur: HAS CIVILI BELLO DEVAST ATAS QVANT VM PVBLICÆ PATIEBANTUR
ANGVSTIÆ PETRONIVS PERPENNA RE STITVIT. Propèhas L.quoq; PauliBalnea,quæ vulgò Balnca
Napolicor- Balnea Pau rentijinPanisperna,monialium ecclesiahodiecelebratur. Adcliuumcollisà
Olympiadis. Suburra Agrippinæ Neronis,quod diximus Balneum, & infrà Nouati
ciuis alix balneæ, vbi S. Pudentianæ est ecclesia. Et Priuatæ aliæ in totum lxxv.
Subinde vede Priuatisreliquisbreuiteragam: erantinquartaRegione,vbi&
Templum Pacis, Priuatæ BalnexLxxv.cum Daphnidisbalneo. InCeli montio xx. InviaLataLXXV.
InForoRomano iXVI.InPiscinaPubli. caxlinn. InP alatioxxvi. PluresinMartialesparsimlegunturThermæ,
Tuccæ,Hetrusci,Grilli,Lupi, Fortunati, Pontij, Seueri, Fausti, Peti,Ti ti, Tigillini,
quarum locanon assignantur. PorròextraVrbem nonminor Thermarum
cultusessedebuit, vtexquarundam preclariscolligimusm onu, Constantina. mentis. Erantad
Hostiam P. Tacij Thermæ, centum Numidicis columnis Thermeer Ooij adscribit Pomponius
Lçtus. Necprocul Gordianorum Domus, quam descri psitIul.Capitolinusadmirandam,ducentascolumnasvnostilohabentem,&
cum Therinisadeolautis,vtprætervrbanas,vixaliæfimileshaberenturin toto orbe
terraru m. In a lta Semita Regione, Viminali colle, Diocletianæ ex - Diocleti.1
1.. tant Thermæ, quasincçperatquidem Diocletianus Imp. cuni ordine exactif
simo, atque amplissimoPalestrarú omnium generum,inquarum opus quadra
gintamilliaChristianorumeum addixisseaccepimus. Ob magnitudinem tamen (v tin Marmorea
tabula legitur)CONSTANTIVS ET MAXIMIANVS OMNICVLTV PERFECTASROMANIS SVIS
DEDICAR.Hę,cùm in fermè ædificio admirandæ permanerent, hodieCartusiensium Mona
tegro sterio Sacræ, Pio Iu11.Pont. Max.subtitulo Sanctæ Mariæ de Angelis
magnificèrestaurantur: Curante M. ANTONIO AMV110.S.R.E.CARD. S. Maria exornatæ.
Arpini suas instituitThermas Cicero,scribens ex Asia ad Q. Fra trem. Erantin Lucullano,
quænunc Frascati vulgò dicitur, Luculli Thermæ, vbi nos integra vidimus
Hypocausti vestigia. Ad Baias autem Thermæ Baians. erantprætervrbanas,supraquàm
quisoptarepotuissetvoluptuofiffimæ,na turaipsaibia quasvberriinè fuppeditante,gelidas,calidas,&
plurifariâfalu bres,quasfatisinsuishistorijscelebrauimus.Quid verò hìc cęteras Italię
pro sequar Philippi. Trarbem L. haberet? Quinetiam Rusticanas, inquibusfamilia
(vt inquit Columella,& Rusticana. exeoPalladius) ferijssaltemdiebuslauaretur:
nequeenimfrequenteniearū vsum robori corporis operariorum conuenire. Similiterhunc
morem acce Aquarum maris, & portuumcommoditate, aquarumduntaxatsustineretpe-':
nuriam;hacinpartevenisseincertamenquodam modo cum naturavisaest, vtaquarum
quoque essetabundantissima. Itaquecumhocdesiderio, crescen teindiesinstituto Thermarum,
& modò aliaatquealiaadducta multo spatio temporis in tantam aquæ venêre copiam,
vt Augustiætate, Strabone teste, pervrbem, atquecloacasomnesinundareviderentur,
& vni uersæpropemodum ędessubterraneos meatus, syphones, acfistulasvndo
sashaberent.Quo temporeM.AgrippaAugustiipliusgener,quem complura
invrbefecisseconstatopera,cultu,atqueedificiomagnifica;aquarum Cu
ratorperpetuus,authorePlinio,alijscorriuatisatqueemendatis,& alijs nouiter
adductis,septingentos lacus fecit.Pręterea fontes c v,Castella Lacusintelligoex
Frontino, alueosbreuimuro,inquibusaquæ reciperen tur,&
aliaexalia,vtfiuntapudnos Fontane,Lauacra,Fullonum stagna, jumentorumaquagia,&
huiusmodipublicacommoda. Fontes, quiprimas ac fyn ceras ex Castello funderent
aquas, pauciores id circo quàm lacus. C a stella,certaAquæductuum receptacula, ad
MęniaVitruuio,&inviarumdi uortijs, vbi aquarum facienda esset distributio.Quale
etiam num visitur in E r quilijs Castellum aquæ Claudiæ, indiuortio ad portam Maiorein
nunc dictá et adpisse reliquas Provincias, quibus Romani imperassent, in
transcursu diversarum lectionum obseruauimus. Prætermultas, quaslegimus Romanis
anti Lacus in vr sequar Thermas, cùmeatempestate vulgò vilaquæ libetdiuitumfuas
balneas quiores, vtquasprimasinGreciadiximus, in Asia,inSicilia,&
apudPersas Hebræorum DarijThermas, quasPlutarchusdescribitditiffimas, &
lautiffimas. EtIose Hifpanorum phus Hebrçorum Thermas ad Ascalonem, ad Tripolim,
ad Damascum, ad Ptolemaidam. Hispaniaqua calidalauari poftfecundum bellum
Punicum à 10 Romanisdidicêre,anteànon consueueruntnisiinfrigidalauari,authorIu
stinusHistoricus.Multæ occurrunt apud authores Thermarum memoriæ,in
Germania,inGallia,inBritannia,aclongè pluraipfarumvestigiavisuntur in Italia, in
quibus vidi sępius per inscitiam etiam doctos virosobstupescere, alij
Theatra,alij Labirinthos, alijmemorandas moles alicuius sepulchri ia ctantes.Quarum
tamenritum legimusvenisseadeocommunem, vtnonco lonias, & municipia solum,sednemo
dignè tùm Romanam militiam profi terivisusesset,quinon haberetsuabalnea,&
gymnasia, inquibuscommi litonessuiexercerentur. Quod de CleandroTribuno equitum
Commodi Cęs.meminit Herodianus. Indomesticisveròvsibusbalneum eratviainci-20
bum,vtnotauit Arthemidorus. Cuiusreipassimhabentur exempla,quùm ex
itinere,labore,acexercitio quopiam balneum primò ingredi consueue rint,&
pofteamolliaquarumfotu recreatiaccumberent. De aquis vrbanisad vsum Thermarumadductis.
Externe. aqua;haud copiaivrbe bequid. Fontes V Ros autem Roma,cùmprætercæterasgratias,quibuseamaltissi
musdecorauit,salubritateaëris,situagriadimperium opportuno, zo adportam SanctiLaurentij,quod
pofteà C.Marijtrophæisinsignitum, adhuc illius retinet n o m e n. Porrò
fingulis castellis aquaruin erant propositi Trophça
suiCastellarij,vtpræclaroquod Romæ legitur epitaphiocostat. D. M. Clemen
Aquarum propria commoda. Mirariveròlicet inprimis ipsarum ductuum fabricam, duétuumma
dignam planècùm magnitudine operis, tùm certè publicaipsavtilitate, quęgnitudo.
Pluribus mundispectaculisproponendaessevideatur.Molesingens,àdimi
dioferèItaliæquædam perducta,partimexcisisac perforatismontibus, par
30timascendens, partim abimis vallibus perimmensosarcussublata, quibus
Aufeia,& 20 fue xit. Etanteà lib. 31. cap. 3. Clarissima inquit Aqua ruinomniumintotoorbefri
goris, falubritatisquepalmapræconio vrbis Martiaest, inter reliquadeûn damlociscentum&
nouempedesaltitudinismensurantur.Vniuersamverò omnium
censuramitahabuitFrontinus.AltissimusAnioestnouus,Proxima Claudia,Tertiumlocum
tenetIulia,quartum Tepula,dehinc Martia,quæ capiteetiam Claudiælibramæquat,deindeAppia,omnibus
humiliorAllie tina. Primaverò,vtpropinquior,& maximècommoda,Appiaadducta co
ftarexTusculano:Cenfore vtfupradiximus Appio Claudio, annovrbisAppiaaqua quæ
perportam Capenam,nuncSanctiSebastiani,inocto vr munera
vrbitributa.Vocabaturhæc quondam Aufeia.Fons autem ipfePico nia. OriturinvltimismontibusPelignorum.TransitMarsos,&
Fucinum La piconia tempus addu tiCæsarum N.Seruo CASTELLARIO Aquæ Claudiæ fecit
Claudia Saba tis& fibi& fuis. Extat Senatus consultum apud Iul. Frontinum,quoaquam
non eratpermissum nisiexcastelloadducere,ne autriui, autfiftulæ publicæ
lacerarentur. Publicisidcirco Thermis, propriacastella videnturfuissecon
ftituta: qualiavidemusintegraadDiocletianasThermas,& adTraianas,mul
tipliciopereconcameratas.In Priuatisautemprima Censorum,aut Aedi
liumeratauthoritas,quorum arbitratupermodulos, digiti, velvncięnomi
necertoannuosolutovectigaliconcedebatur. Legequecautum codem te fte,ne
quispriuatus aliam duceret,quàm quæ exlacuredundaret,quam ca ducam vocabant:
& hancipsam non in alium vsum quàm balnearum, aut
fullonicarumdariessesolitam. Omnem aquaminpublicosvsuserogari
debere.Cæterùmquotnumeroessenthæaquæ,quæ,quonomine,& quo tempore,& vnde
adducerentur,breuiterpercurrendumest. ScribitPro
copiusIustinianiCæs.fcriba,Romæ quatuordecim fuisse aquarum ductus, excocto
latere,ealatitudine,acprofunditate, vtferèequesteripsocúequo
pereosposseteuadere. Nos Frontinum imitati, qui Nerva imperante pręfuit
hisceoperibus curator perpetuus, & fcriptis cuncta sid elitermandauit, octo
aut nouem suo emissario per ductas dicimus. Quę fuerunt ex ordine, Appia,
Anienisvetus, Martia,Tepula,Claudia,Anienisnouus,Iulia,Allietina,& virgo: etiamsi
pofteàduplici, acplurinomine, vtvsueuenit,fuerintcogno minatæ. Nam poft
Frontiniætatem, non aliamlegitur, prętereasfuiss ead ductam, nisieasdem àdiuersis
Imperatoribusautinstauratas, autseductasad bi sRegiones exviginti caftellis distribuebatur.
Quadraginta veròannispo- tus. fteà, exmanubijs PyrrhiRegisEpiri,SpurioGarbilio,L.PapirioCoff.prima
Anienisadductafuit,vtetiamcommodavrbi,& altæoriginissupraTybur.Martiaquę.
Tertia fuit adducta Martia, dicente Plinio lib. 36.c.15.Q.Martius iussusà Se
natu Aquarum Appiæ, & Anienistegulaductusreficere, nouamànomine suo
appellatam, cuniculispermontes actis intràpræturæ cum, Marü. Anienis ve Oo i
1 Triana. cum, Romam non du biè p e t e n s. M o x specum e r s a in Tiburtina
s e a p e r i t n o. uem millibus passuumfornicibusftructis perducta. Primuseam
invrbem per ducereauspicatusestAncusMartius,vnus exregibus.Poftea Q.MartiusRex
inprętura, rursus querestituit M. Agrippa. Hæc Plinius. Hancdemum& Traia
namnuncupatam aseritFrontinus,àTraianoinAuentinumvsq; protracta.
QuartafuitTepula,quaabagroLuculli,quéinTusculanoexvarrone legimus Tepula,. Gn. Seruilius
Cepio, L.CasiusLonginusCollin Capitolium perduxêre, via, quæ PortaMaiorhodie appellatur,claristitulis
Cæsarum, Claudij, Claudiaque VespasianiT, iti,& M.Aurelij. Eamquidemdestinaueratprius
Caligula,per & Curiadaduxitveró Claudiusabvsque xxxvi. lapide, viaTiburtina,
èfontibus Cæ Cerulean ruleo,Curtio,atque Albudino collectam,quibusfæpènominibusscribitur.
Adduxithiç & alteram Anienem, cuiductuiaddifferentiamveteris,Nouus Aniocognomentumfuitinditum,
Frontino authore, qui& ipfumpofteàre Fons Albu
ftituit.Concipiturautemperagrum Tyburtinumxx, milliario,operealtili-. Moad Portam
Esquilinamadducto.AquamveròIuliamadmiscuitcum Tepu laM.Agrippa, viaLatina,quæab
Aurelianoiterurmeftituta, eiuscognomen Juliaquęegassumplit. Ållietinam,quam &
Augustam, miratur Frontinus Augustumpro Aureliana, uidentiffimum Principem per ducere
curasse nullius gratiæ, imò & parum sa Alietina, lubrem,nisi fortecùm
opusNaumachiæ aggredereturtransTyberim. Qui dam ob hoc eam intervrbanas aquas
non numerant. DE AQVA VIRGIN E,QVAM duxitAgrippa,vtPlin,meminitlib.31.c.3.&
deinde Claud. Cęs.Pri mum veròauthorêCaium Cęs. fuisseindicantmarmoreæinscriptiones,quarú
30 vnaineiusaquæductuitalegitur. Tit.CLAVDIVS DrusifiliusCesarAug.
Nominisra-ductusaquæ Virginis destinatosper Cæs.àfundamétisrefecit, acrestituit.Vir
ginis porrò nomen (vt Frontinus scribitnobilis author de aquis vrbanis ) ad
cafum fuithuicaquæ inditum:nam quærentibusa quammilitibus, puellam virgunculam
quasdam venas præmonstrasse, ac il as sequut o s in gentem a q u ç
moduminueniffe.AediculaidcircoVirginisfontiapposita.Quod nomen
posteavidenturadsciuiffe Dianæ, ac Triuiænuncupaffe, quasi Dianæfonsdi Fons
Diane triplex habere dicebatur numen, celebrarisolita, necnon à
triplicifonte,qui- 40 bushæcaquaconcipitur. Vel (vtquibusdamplacetantiquarijs) virginisno
futurna menindicasseIuturnam,quam Nymphamsic dictam (testeVarrone) quòd Nympha.
iuuaret, invotisfuisehabitaminfirmis, quiexeaaquabiberent, facramque in via.
simulat que puteum, qui extat, dive Mariæ
Virgini fuisse consecratum, vt r a n In Triuia.
libetquiseiusnominisinterpretationem accipiat,verumtamen eofit magis
verisimilisnoftrafententia huncfontemfuisse virginéàDiana,& Triuianun Meuiæ,quæ
dinus, Anio nouns 20 vocant Şaloniam, tio. Vel Triuię. & aqua Diançsacra,quęveteribusvirgohabitaest,&
in Triuijs, vt AQVA autem Virgincquoniamsolahæcadnostramhancætatem Romam
perducitur, altioraliquantosermohabendusest. Eam per cupa Primus aute D thor,
ceretur, 10 Latina dextrorsus,longex1, milliapaff. subterraprius, deinde arcuato
opere. Quinta, ac fausti nominis fuit aqua Claudia,vtinfrontispiciolegiturPortæ
id circo hanc ædemei fuisse constitutamasseruntiuxtaipsum fontem,quam
Sinct.Mar.posteàReligioneintroducta,insuperstitionempræteritiseculiabolendam,
JO est Herculaneus riuus, quem refugiens, virginis nomen obtinuit. Hactenus
Ductus lon Plinius. Habetautemductus longitudinesàcapiteadipsum Triuijfontem,girudo.
spatio a bestàvia Prænestina, dicente Plinio.Marcus Agripa & virginéaddu ”
xitaquamaboctauilapidisdiuerticuloduomillia pafsuú Prænestinavia:iuxtà (vt
Frontinus dimensus est) milliariorum XIIII.n a m vbi fpecus subit montių,
vbicircuitcolles,velvallesæquatarcuatoopere, multoshabetflexus. Pro greditur Anienemfuuium,acintersectaTyburtinavia,
& exinde Nomenta na, & proximè Salariavia; tandeminter Collatinam Portamque
estsalaria, & Puteus Po. Pincianam sub colle Hortulorú, qui est hodie
Sanctæ Trinitatis, ad Trivium litianus vicum exilit fonte. Subitautemeum
collempro fundiffimnospecu,cuiusho die puteus altissimus repertus estin medio
viridario, quod magnifico, ac con spicuointotāvrbem ædificio ibi constituit Cardinalisamplish.
POLITIA. 20NVS, & vtrinqueduæ eiusaquæ marmoreæ inscriptiones.Tı.CLAVDII
nomine. Etquo digno tum fuit magnisilis Romanorum Architectis, erita; omni
futuro seculo memorabile Camilli Agripæ Architecti inventum, salientemsuaptes ponte
facit aqua (impulsam tamen in æreum tubum rotis ræ, primam fanèlaudem
promerentur Sanctiffimi D.nostriPivs IIII.& qui - statim ei successit Pivs
V. Pont. Max. quivirginem ipsam aquam ad Virginisper pristina mantiquorum formam
perducerecurauêre. Quippe lapsu temporum hæcaqua varias subijt mutationes,&
quodmirum eft, vsqueà Plinijtem lutem. Pofte àc raffantibus in Italiam,&
invrbemipsamtotbellis,acvaria rumgentium incursionibus: plana in historijs monumenta
habentur, quæ ductio. Refert Platina, Adrianum patria Romanum Pont. Max.d omitisiamaf.
Adrianiin fi&isque Longobardis, anno falutisnoftræcirciter Virginis Stauratio.
Aquæductum dirutum, cumalijsvrbisaquæ ductibus restituisse. Donecite
rumnonmulto poftdirutus, protantarerum,quæsuccessitcalamitate, nuf quam prætdr
e a videtur fuisse restitutus. Nam quod in ipso Trivii fonte legi Nicolai. tur,
Nicholaumv. annoabhinccxII. Virginem fontem restituiffe, planevi detur is Pontifex
haud vllam antiqui ductus huius aquæ partem instauraffe;
sedconfluentesduntaxatèviciniavenascitràpontem Salarium prorefugio vrbis collegiffe,
quæeftminimapars; virgoigitur aqua octauo (vt diximus) est Salonia. Milliario concipitur,vbi
nunc locusà Salone dicitur: Quæcunque fuerithu ius nominis significatio apud
vulgus, quod,vt consueuit huiusinodi aqua run conceptaculafalasdicere,forsan
& hoc obamplitudinem areę Salonem nunc uparit, dicente præsertimFrontino,hunclocumvnde
virgo aqua con- Riuusnúad iicitur, palustrem fuiffe, & vt scaturigines contineret,
lignin operecom-mititur. 40 cupatum, quod nomen ipsum ædis Sancta Maria
invia, vulgari (vt videtur) vocem utila dicitur, pro Sancta Maria in Trivia, vbi multa cum devotione
Beatæ Mariæ Virginis etiam num ea aqua ab infirmis bibitur. De Fonte ergo ipso
quia d huc in Triviæ vico celebris est, non est dubitandum. De origin e a u -
Origo. tem, Pliniusa pertèdicit concipivia Prenestina. FrontinusautemCollatina
ad milliariumoctauum, quæ vtquidam putant,duorumcircitermilliariorü
pore(vtipsememinit )cæpithuius aquæ fimulatque Martiæpenuria: Ambitione (inquit)
ac auaritia in vilas,acsuburbanadetorquentibus publicamsa Artificium per Usurpatio.
Herculews ipsam aquam volubilibus, &
machinis) quæ eximo puteoads ummam planiciem. paffusexilitfonte, actantavbertate,
vt non hortosfolùm,fed & totam quoque subiectam vrbis partem reddat irriguam.
Cuiustam frugiope Agrippe. mu 4 OO 111) munitum, quod nunc quoque visitur
aliqua parte. Iuxtà estriuus Herculaneus. quemtamen non admittit, tùm quia locus
palustris humilisque est, ac v l i g i n e totus obsitus; nec aquæ est satis
vtilis: tùm qui a satis fupe r q; adeam
formam aquæductus Salonia est. Neceum riuum admisisse antiquos,satis apertè de clarantea
Plinij verbaiam allegata. Iuxtàest Herculaneus riuusqué A Salinis refugiens Virginis
nomen obtinuit. Nec secusdimittendaeorum sententia aqua. est,qui ad Salinas
vocatas à Frontino aquas pro Salonia acceperint: cùm hæ longiusinfluantà Salone,
sinistrorsusàvia Præneftina, vcidem Frontinus inquit,passuum
septingentorumoctogintaquævelAppiaaqua,velAppix Appi&origo carestudeat, piètamen
& public vtilitati consulens, opus tàm frugiprofequu Vltimaper tusest, aquamqueVirginem,
adeototseculisdesideratam, hocanno,acmen se MDLxx. decimoseptimo Calen.Septembris,
cummaximo totiusvrbis applausu, ac gaudio perduxit in totum. Consultistamen
prius (vt Sapientissimum decet Principem) Medicis, àquibus & bonitatem aquæ,
et vtilitatem, quam præbere posset huic almæ vrbì re latam comprobauit. Qua
dere Naturaem hæc mea eft sententia: Sanè magnum argumentum bonitatis huius aquæ
hoc Qualitates esseexistimo, quòd hæcaquafueritinvsu, vt nunc quoqueeft, longiffimis
seculis. Quippe hæc primas sempermeruit laudes simulcum aqua Martiain
tercæteras vrbisaquas. Authore Pliniolib.eodem 31.cap.3.d.Quantum vir
gotactu(hocestfrigore)tantumpræstatMartia haustu:alternantehocbo
tactusintfrigidæ, easnonperinde(laudabiles) & haustuesse. Hæcs uccinctè Plin.
Hác aquam Martialis cognominatcrudam, ilisuerlibus. Ritussi placeanttibi Laconum,
Contentus potesaridovapore 30 te influentium, & tepidarum, & frigidarum
aquarum; hanc specialiter vsu Ab experi- balnei comprobat frigore, &
profrigida, metri causa dixitcrudam. Velcru mentis. Dam intelligas eum dixisse in
comparatione aquæ Martiæ, quæ (vt dictúest) vtilior haultuerat, virgo tactu. In
experimentis, tardius hæccoquit legu mina, accibariareliquaque Tyberisaquęlimpidę,&
Cisternalesaliquę.nimi rum quia fluuialeseiusmodi, inrespectu fontium, omni
exutæsuntcrudita te,ac pluuiales magis aëreæ. Cæterùm hęcaquanullis fontium
aquis vide- 40 turmeritò postponenda. Cætera veròquælegunturaquarumvrbisnomina,
autvariæduntaxatipso nomin e sunt, sicut iam plura ali c u i a quę adduximus
nomina:a u t externę sunt Crabra. Sabatina Lacus Saba saporem, inter vrbanas non
adnumerant. Nec Crabram,quæ erataliaaqua, aquæ,nonvrbanæ. Quomodo quidam
Alfietinam, itavocatamobingratū tis.Amnis Tusculanis, vndeaduehebatur, relicta.
NecSabatinam,quamàLacuSa Larus. batis, qui hodie est amnis Larus, nouissima momnium
aquarum breuimo. Io ductio. Martialis. pars per Capenam portam, nunc Sancti
Sebastiani ducebatur in vrbem. Tota ergo virgo aqua Saloniaeft, multisvenarum, &
riuulorum acquisitionibus (vt Frontini verbisvtar) obitervsqueinviam Salariamaucta'.
Quam Pivs IIII. Pont. Max. vt delectabatur vrbem suam æternis monumentis, publi
cisq; idgenus operibus adornare,destinauerat.Pivs verò V. Pont. Max.cũ
fanèprimùm orthodoxamfidemnoftramàtotseculihuiuserroribusvendi no, vtquæ
CrudaVirgineMartiaquemergi. Quo nomine haud quidem cruditatisvitioeāhic Poëta
damnare voluit. Sed mirisex tollens laudibus Hetrusci balneum, blandicie
præsertim, & varieta dulo 20 qua q u a n ı diversæ à prædictis
aquæ. Quod vsu cuenit in eternis id gen us operibus, perpetuams ibiquisque memoriamcomparare.ItaqueprimaTherma
structuræ exemplo, nulloque integrèscriptoremandata literis, nisi
obiteràmultis,& controuersè. Etquæobfitaadeovetustissimisiacetruinis, vt
quanquàm peritissimi multi hacętate antiquarij conquisitiffimè studuerint
easinali quamlucem reuocare:nonminortamenadhucrelictafit, magnis
etiamingenijsconfusio, vtquęsparsim dehislegunturauthoritatesscripto rum,cum
paucisquæipsarumapparentreliquijs concordentur. Inprimis
describendaessetixvoypapíce, basisquetantiedificij,quam noftriadverbúPlan
tamrectè appellant: at hæc diuersissima habeturabe aquam tradit Vitruuius,
neceadem dispositioin omnibus Thermis.Porrò, præterfpatiaplatearum, m i n a
esse tantum aut instauratorum, aut insigniu meor u n d e m constat, h a u d ac
additos lucos, hortosque immensos, ac Lacus, distinguenda effentloca
exercitationum àbalneis.Acloca propriacuique exercitijgeneriassignanda,
vbicominus, acbreuicirco, vbieminusfierent, sub Diuo, subtecto, in Xi stis. Et quæratio
fuisset exercitiorum in Palestris, & quali aexercitia.Quis vsus præter e a
totali a r ú partiu m: & quæ dispositio, Corycęi E, p h e b ç i, E l ç o
thefij, Conisterij, Exhedrarum, Spheristerij, Xistorum. Etdebalneis, fi singulæ
Thermæ plura habebant balnea, at dubiumnonest,quæ naniratio 30 distinctionis, ancommoditati,
an loco, an ordini, vtcunctis legitur fuisse consultum. An omnibus vnum essetcommune
hypocaustum:& feu vnum commune omnibus, seu commune vni partitioni, vt
verisimile fit, quo loco maximècommodo.Anbinæ& ternæ, quælegunturlauationes,eodem
fie rentbalneo, andiuerso.Etsidiuerso,aneadem pluribusferuiebat,ansin
gulisnouaaqua.Velquæ ratiotàmmiriartificijcalefaciendivna hora tantam aquæ
quantitatem, quæ innumerabili populo sufficeret? Vnde & quo certo
ductutantæ aquæ copia? Quæ ratio erat Pensilium Balnearum, quastantocú applause
Vrbis, & totius Italiæ quosdamintroduxisselegitur? Quibusadid valibus, aut balneis,
aut alueisvtebantur? Etsilabrislapideis(vt quidam pu t a n t) quæ videmus per
Vrbem maximis: q u æ e o r u m e r a n t i n balneis dispositiones, & quo situ
ad aquas accipiendas? Etdebalnearijsrebus,quæ fanis expedirent,& quæęgris. Quiddicamdelauandirituperordines;perætates,
perleges,peranni tempora, peripsaexercitia;acde innumerisdenique id
genuscircunstantijs,quasvelnon scriptasabantiquarijs,velper coniectu ramduntax attentatasà
iunioribus, merispotiùserroribus obscuratas, quàm explicatas invenimus? Quar e
n o s d u m h e c aliqua ex parte revocare in lucem intendimus, &
quævsuimaximè medico opportunasunt, exponere,nullam Fos Veneris 1 rum
instituta, atquemomenta Aquarum ductuum habemus. is fchnographia Thermarum, &dehisquetractandafunt.
Cap.v. Hermas verò per partesliterisinstaurare, haudquaquàm presentis muneris
est. Nec facile esset, pro tantæ molis magnitudine, non vnius dulorestituit Hadrianus I. Pont. Max.quam & Ciminam interim
appellariin uenio, àCiminoipsomonteinFaliscis, fonteVenerisdeducta.Drusaauté,
Ciminaaqui Annia,Traiana,Antoniana,Seueriana,Alexandrina,& idgenusaliæ,no.
ferè Dubia in Ther. 2 Oov ferèiuniorum positionemfequemur: sedquátum
exrationeillorumrituum, Spacia Thersimulatque
locorum ipsorum diligenti consideratione colligerepotuimus, percurremus. Spatia
in primis Thermarum videmus amplissima: atque ad eo vt quasdam vndeciesmilliespedumtotaarea
continere constet,authore Baptista Alberto in libris de Architectura. In Diocletianis,
quæ inipsaareaappa rentvestigia,præterspatiavndiqueplatearum,&
prætermembra,quæinfe riusacsuperiusvarijsThermarum ministerijsferuiebant,centum
continent partitiones, vario ac nobiliffim oordine. Nec mirum, siconsidereturpublici
çdificijmagnitudo,inquocommunis fueritratiomaximæciuitatisadexer 10 Magnitudo.
citia corporis, ad balneas, ad disciplinas. In
i s enim communia er nt studia,
tamanimi quàm corporis, necaliaerantartium gymnasia, vndefæpè apud authores Gymnasia
legimus pro balneis. Necminus addelicias: Nam ratio Gymnasia acresipsaostendit,
nonfolùmvsuiinpartibus Thermarumfuiffe consultum, verumetiamvtiuuentus faciliùsadea
studiatraheretur, & delicijsmaximè, & ornamento cunctarum rerum.
Propterea Thermæ neque digniores occupa bantvrbis locos, nequeintervilioresfiebantvicos,
sed vbilocicapacitas, at Forma Ther marum, ac partitið. Queoperis maiestas requireret.Vitruuijtamenętatenon
videturfuissecon suetudinis Italicæ (vtipsescribit)magnificareadeo palæstrasac
Gymnasia in Thermis: vtquibus satisad exercitiafacerenttùm Campus
ipfeMartius,tùm Agonalis, totCirci,totplatex,totaliaexercitationumlocapublica,
& priuata. Sed per angustas fieri, & paruas quales Agrippæ Thermas
meminit Pli nius.Pofteà veroperductoimperiovrbisad luxuriam Principum,non modò
Græcorum more constitutæ, sed dilatatæfuêreamplius,distinctaquem e liusloca exercitationum,
acGynınaliaàbalneis. QualesAntonianæ, acDio cletianæde maioribusextant,acmeliusdispositis:quarum
sinunc præsumná describere magnitudinem, non tam describere, quàm maiorem
partem di gnitatis earum mihi videbor minuere: sedharum m a x i m è,ad notitiam
tanti ritus, fequarvestigia. In his edificationis eratvaria forma, ac varia
dispositio partium: sed a r e a amplissima, q u æ i n quadrum c l a u s a,
tribu s v e l u t i perpetuis circuitionibusdiuisaesset. In
primovndiq;ambitu,quæ męnioruminftar lib.s. 6. 11. totum edificium claudebant,
errant gymnasia exercitationum, varioordine, quædicemus. In secundo, longèlat eque
spatia platearum, Xista, acPlatano nes, ad exercitiasub diuo. In
medio,totaipfamoles Thermarum,quæ sunt membra balnearum,Atria,simul atq; Xifti,
& Palęstrarum amplissimæ porti cus,vbi (authoreVitruuio) Athletæ perhyberna
tempora intectisstadijsexer cerentur, actranfirentstatim ad balneas, vtdelineataprimùmipfarumbasi,
distinctèmagissingulaexplanabimus, 4marum. Thermæ. Ther. Diocl. 1 Oo
vj Hexedra Lalitudopal. 200 choricen Calidaria FO х NAT MC) V
R a THERMARVM DIOCLE Longitudo Platego Atriolum Die Scola riú BВ Spheriferti H
Tostring 71 Apod TOD Schola Longitudo Ρ
Ι Α ΤΑ Laconica Hexedra Basilica Fngida Topida n uนี"
Agaagiâetlume ORIINS Hexedma Hephebri ATRIVM nPoarttaitciuosnis la карэхэн Spheristerium
200 Hacera Lpatlitudo. 2 Hemicyclus
Condste platego Porucus Tres Stadiate Theatric SET VN M M HT NONES
Hexedra A triolum sperifleriâ Laconicü Coniste Hephebell Hexedra pal. Kesedara
LongituPdloa. odyterium Hypocau Dico Engda Hexedra 'Jių rium Porticus Staduatę
Aquagiấetlume pal. OCCIDENS OS Tres salo ирэхэн ATIOTES TIANARVM ICON. ATRIVM n
Paotrattiicounsis Spenfterum I O O O. Basilica Tepida Frigidai Calidariú
Tõstrina A 5oC Hemicjclus sefala ridium PTENTRIO Scola 1
Departibus Thermarum, acexercitationumlocis. N PRIMA ergo facie, quæestadmeridiem,tertiamferèpartemmediamoc
cupabat Theatridium. Quæparseratprincipalis,& tang caputtotiushuius
ædificij: vndeduplicem (vt quibusdam videtur) habebatvsum;alterum extrinsecus,
alterum intrinsecus. Ambitum enim exterioré ponunt fuisse arcuato opere
distinctum,& apertum,quo exéplo patet, circūcolumnium poftbafilicam
Posticã. ecclesiæ Lateranen.Vnde. f.ingrederenturquafiper Posticum, fiuedextrâverte
rentur, fiuefiniftrâ per porticus, apertèvenirentinampliffimam plateam,ac
exindè quò vellent, fiue in palæstras, fiue in balneas. In conspectu verò
interiori ergaplateas, eratTheatrispeciedistinctumcũsedibus,vbi.f.populus,&
maximè nobiles subvmbrameridiei sederetadludorū spectacula, quiinplateisexercitij
causa fierent. Partes verò quæ vt rinqueà Theatri d i o plures sunt, aliqui
balnea putant. Ná quodrotundaformaestvtrinqueinversurisvnum,pinguntessecali
darium, & consequenterponunt vnú Tepidarium,vnum Frigidarium,& vnum
lib.5.c.1 Apodyterium. Nec equidem nega uerim debuisse quæ d ã balnea s e o r f
u m, & quali extra palestras constitui: partimmulieribus,partim
artificibus, &hisquivenien tesàciuitate,statimintrarent, &
quasiextràconspectumpopularemlauarétur, & abirent. Verütamenhæcnonfuiflebalnea,hauddubièvidetur:nam
iuxtàeá ria Sacella. appictionem,nullus hicvidetur Hypocaufti locus: quoddebuite
ffeinmedio, & communevtriqueordinibalnearum,tefteVitruuio,atinmediohiceftThea
tridiummaximum.Nec eratconsentaneum,vtmébraspectaculieffentStuphæ. Deest &
laconicum,nisifortasse hæc opinio confundat laconicum cũ calidario.
Saterat& vnum Apodyterium comune,vtpotevnum vestibulum balnearum: hicduo
ponuntur. EtprætereaTepidariaduo,cùm tamenidemfitTepidarium, quodApodyterium. Meliusergomihivideturdicendū,hæc
fuiffepartimipfius Theatridij membra, & partimlocaadvsumAthletarum.i.eorum,quiexercendi
essentcoram Theatridio, vtpote Conisteria, Elçotesia,& quædam apertè in pla
team, forsane quorum carceres. Duo pofthæc Peristiliaquadracaoblonga, hinc (vt scribit
Plin. Lunior de villa sua) exercitationú generibus.Vel Sacella, vt nota
turperædiculasæquisvndiquespatiisstaruarum. hæceratprimæfacieipartitio.
Porròinalterafacie,quæabaquiloneeodemcomensuhuic refpondet, videntur Gymna fuiffe
maiori ex parte Gymnasia, philosophis dicata, ac Rhetoribus, reliquisq; q
studiis literarum de dissent operam.Vtpot epars magis remota àftrepituAthle
tarum,& litucômodiffimo, tùm propteramenitatévnibrarum (erant.n.inhac
plareaPlatanones,vtdicemus)tùm proptergratafontium murmuria, inNataa
tionéipsamcadentiū. Quaproptervisum estpluribusantiquariis, inmediohoc
Vestibulu. Spatioå Septétrione fuifleprincipale vestibule totius huiusæ dificij.
Exquoper40 Hexedre medios Platanones patebat aditus ad Natationem, & hinc, &
hinc in porticus, in & Hemi-basilicas, Diętas, & atria, quæ pofteà dicemus.
Primùm verò àd extra vestibuli, cycli. & àsinistraerant Ex hedræ pluresclausæ
ante plateam, &cusedibus Hemicycli forma, vt disputantes, & tam loquentes,
quàm audientes sese omnes afpicerent: & aliquæpatentes, cellscholænoftræad leuiora
studia. Maioremverò citer 10 Peristilia fia. atq; hincvnum
àTheatridiq,quasipalestræbreues,veldeābulationes.Acinver Spheriste
surisvtrinque,vnum Sphærifterium,quod diximus rotunda forma,cum plurib. 30
Schola. exercitationum. Gymnasticarum continebant partem duæ vtrinque facies
laterales, hinc, atquehinchabebantpartitiones.Ac fuisseeasadexerci quæ
conformes tiadicatas videtur: tùmquia platexhælateraleserant liberæ,&
amplæmillecir, citer pedum spatio. Tùm
quia membr a ipsa partim erant Hemicycli aperti cũ
sedibus,acvarioornamento,quod apparet,lignorum,acpicturarum:&
partimconisteria, Elæothesia,aliaquemembra advsumAthletarum oppor tuna. Totam
hanc autem primam circunferentiam circundabant continua
porticus,ducentiscolumnisvnostylo. Subinde erantPlatex,amplæ,&.Nam
siædificiorum perfectioproportionibushumani corporis responderedebet,vtVitruuiustradit,perfectisfimèresponder
in Thermis Diocletianis, ac melius quàm constituat ex Græcis Vitruvius. Ex Lib.
3. 20 eniminhis Theatridium, vbieratvestibulum, tanquàmcaput: Apodyteriū,
pectus: Hyppocaustum, Stomachus: vmbilicus, maxima, acregalisbasili-Diocletiana
cainmedio: venter, Natatio. Membrorum veròvtrinque, quæfuntbalnea, rummirifica
atria, palæstræ, porticus, Diętæ, basilicæ; æquaratio, ac mensura eft, vt
braars et de chiorum, acfæmorum. itavtquæ exvnatradeturparte,cadem ex alterapa
basilicaameniffima, vbiconuenirentomnes, quivelinpalæstrasventuriBasilica.
essent,velinbalneas. Idcircosatisampla,ornatuplastices,acpicturis adhucnitetantiquiflimis.
Hinc rectâ in Diętam, quæerateadem capacitate, fed latiortamen basilica, duplici
columnarum stylotripartita: nam media par
teceuatriolum,erataditusinatriummaximum, & inpalestras: capitaverò
hincatquehincdeunebantinhemicyclis, vbifortasseAthletarum ferrentur iudicia
Circuncolí - liberæ, vt dixi, t à m q u æ a n t è Theatr i d i u m Stadium, nia.,erant
xistum, Platanones, & autem,quæeratanteNatationem enim Xista (authoreVi
maximè estiuas idonea. Fiebant adexercitationes Platani, virentesqueidgenusXista,&Syl
)interduasporticusSylux,quæerant caperentre-ua. truuio situantèNatationem,vndeaquarum
arboresconfitæ,aptissimo autemStadium,itafiguratum,inquit Vitruuius,vtpof
frigeria. PoftXiftum, Athletarum cursus, variaque alia sent hominum copiæ fine
impedimento hæ omneserantpartitionesquoquo latere,& gym: spectarecertamina.Atque
veròoperismaiestas,erattotamolesinme Stadium nasiorum,& platearum. Summa,acmultimodisearúmē
dio,quæ communes habebatpalæstrascum balneis bris,acmiriartificij,quàm
vtræquelaterales. Inea Porticus riterintelligendafit. Incipiemusautem
àNatatione, quæpatentiffimapars aspiciebatAquilonem:&
exeaàlatereperbasilicas,acdiệtasveniemusin atria, exindein palæstrasinteriores,
acmaximam bafilicam,& demum ad balnearum membra. Erat in quam Natatio in recessum
e dio ab aquilone, lon Natatio. Gitudinedu centorum pedum, latitudinedimidiominus,
ponte, acarcubus bipartitaadinteriores aditus, vbinunc factaestmaiorisaltaris basilica.
Habe batautemàcastelloproximo Aquæ Martiæ emiffarium, quod per occultos tubos ferebatad
Natationem ipfam aquas.Habebat& supernèadlongitudi-Emissarium nem
fontesvariaspecie,acMusxa,quæ teftePlinio,expumicibus, acero-aqua Mar
fisvetustatefaxisextructa (vt hodie quoque Romæ sunt in vsu) specusima-tię. g i
n e m referebant, ac fiftulis modò apertis, m o d ò clausis, vario, blandisli
moque salientium aquarumlusu, recentessemperaquasinnatationéipfam Fontes,ac
fundebant. Miriscircùmadhibitisornamentis,quorum etiamnumapparetMufaa
ædiculæfignorum,& statuarum, fontiumquevestigia, & columnarum bases. A
Natatione plura, ac nobilissimamembra: primùmabvtroquecapiteerantPorticusna
amplissimæ porticus conformes, nimirùm & adspectaculaNatationum,&
tationis. adrefrigeriaconstitutæ. Etaliæadaltiorem
prospectumporticuspensiles,mi noristylo.Exeuntibusveròàporticu,tamdextrâ,quam
sinistra,eratprimùm fcriptio. 30 Platanones. Dięta. iudicia. I n Atriis
era nt Peristilia, hoc est circü columnia, quæ facie ba n t a t r i u m
oblongum trecentis pedibus, latitudine dimidiominus. vbiin Porticu, orie
simacum sedibus, quæ tertiaitem parte longior quàm lata, eratad exercitia
Corticum. iuuenumdicata. Sub dextra Ephebei erat Corticeum, seu Coryceum à Co.
Coryceum. ryco, quod videtur pilæ genus in Galeno 11. de San. tuenda. Seu
Choriceum Choriceum dictum, Choreisnimirùm, ac saltationibus locus proprius. Proximè
Frigidarium, locus ventis per flatus, feneftris amplis. Ab eoqueiterin Spheristeriú
ro oblongum, & fimplex, ad pilæ ludum aptissimum. Adsinistram Elçothesium,
Spherifleritquæeratad vnctiones faciendascellaolearia. SubhocConisterium, vbificcó
Elçothelium.puluere, velharenaluctaturiseseconspergerent. Ab eoqueiterinPropni.
Conisteriú. geum, vbi erat in ver u r a
porticus Laconicum, quod referemus suo loco p o Propnigeú. iteà. A
Peristilioautem, atrioqueintrantibus ad interiores Palæstras, erant Talastre in
Porticus tres stadiatæ,quas hodie occupat longitudo ecclesiæ.Ex quibus m e
teriores. diaparsamplissima, centumpedumlatitudine, superingentescolumnas,al
Porticusftatissima prominettestudine, cæterùmitafactasecundum Vitruuium, vtilate
Frigidariit. diate. Xistus. ra, quæ
suntvtrinqueadcolumnasmargineshaberent,& qualeshabethodie via ab Hadriani mole
adVaticanumsemitas,nonminuspedum denûm,re
liquaqueplaniciesoctogintapedúm.Itaquivestitiambularentcircùminmar 20 ginibus, non
impediebanturàcunctisfeexercentibus. Hæc autemPorticus ziso'sapud Gręcos
vocitatur,in quo Athletæ in tectis stadijs exercerentur.Quę
quoniamexacteeratinmedio,& velutiincordetotiusedificij,vbimaximè conuenire solebat
nobilitas ad exercitia hyberna, ad ambulationes, & adspe ctacula; cæterasmeritò
exceditpartes, tùm magnitudine, tùmregalimaie stateoperis, altiffimisfuperbiffimisqueprominenscolumnis,&
patentissima vndiqueinperistilia, inbalneas,in Hypocaustum,inNatationein,acfuper
nè feneftris illustrator latissimis. præualereassuesceret: deinde ad sanitatemtuendam,quiduofuerant
fines præcipui:& demumaddelicias. In quibus omnibus mutua Balnearum,atq; Exercitationum
errant beneficia. Nam quantum conferebant balnea lassatis rumque similiter coniunctaeratvtilitas,
acmutuaerantinuicembe Thermarumneficia. Nempe Thermarum ratioduos, imòtreshabebatfines:
primum ad instituta, ac disciplinam iuuentutis,
quæfic viribus corporis, honestis que vitæ conatibus fines et Exercita exercitatione,
aclabore corporibus ad robur virium reparandum, & admuntionum muditiam. Tantundem
rependebant vtilitatis exercitia, fine quibus balnea non tuo beneficia possuntesse
vtilia, maximèsanis. Itaque Galenusinlibrisdetuenda San.mo Non p i l a, non
sollis, non t e paganica Thermis Prz. tali parte, eranthæcmembra,situaliquantifperdiuerfoabeo,quem
assignat €phębeum Vitruuius.PrimòEphæbeum, in medio, hoc autem erat Hexædraamplif
Balnearum 1 Bal. Recurel Atria. De exercitatio num generibus, ac preparationibus
ad balnea. Cap. vir. CONSTAT ergo hactenus,balnearum locainThermis,atqueExer
citationumfuisseconiuncta. Idqueoptimaratione,quoniam vtro
dobalneaRecuratoriaviriumessedixit;modò Exercitia Præparatoriaadbal toria. Exerci
nea.Quod frequenter inalijs authoribuslegimus,& succinctèeoEpigram
tatio,Prapa ratoria. mate colligiturMartialis vnde dieta existimat D. Augustinusin
confessionibus, quòd Bénestaisdivíes,idestquòdan xietatestollat. Ergo vtpro
veteriinstitutogenerosæ Ciuitatis,quam diximus inlaboribusnatam& educatam, magnaeratomniuminThermiscelebritas;
itapro tempore, & pro conditionibus personarum,Exercitationeserantva-
Exercitatio riæ,& invarijslocis. Quippealiæin Palestrisfiebant, aliæinXistis,
aliæinnumloca. Hexedris, subdioalię,instadio,& platearumlibero fpatio; alięinpluribus
fiebantlocis. Necsecus quædam eran tcommunes exercitationes,pueris,
senibus,& iuuenibus, vteo carminenotaturà Martiale. tereolusuum
genera,quorum (vt cætera rumrerum viciffitudincs sunt) vix nomi. Iuuenum De fatu. Præparat, aut nudis tipitisictushebes.
Vara nec iniecto ceromate brachia tendis, Folle decet pueros ludere, follesenes.
Quædam propriæ. Iunioresautlucta, autcursu, autfaltu, autpilaludicriss; Personarum
20 idgenus exercitijscepissentafsuescereinEphebęis.Quemplanèmoremre
exercitatio- presentauit Plautusin Bacchidibus, vbi in personam
seuerisenisindicatpue-nes. Rosprimis vigintianniscum Pedagogo in Palestramantè Solem
exorientem veniffefolitos, d. Βαλανέα Romanorum Puerorum Non harpaftamanu
puluerulentarapis. Vidiffesigiturtum frequentem civitatem,nonfecusatq; hodienossolemus
Vite ratio facrasEcclefiasfestissolennibus, frequentare Thermas. Alios quidem adho
nestos, quos primo instituto proposuimus vitæ conatus.Alios ad sanitatem Ther.
tuendam. Et alios ad oblectamenta tam animi,quàm corporis capienda, pro
celebritate illa populi, pro variarum rerum, ac ludorum spectaculis. Et denique
pro amænitate loci deliciosissimi: vnde barevéesidcirco dictas græca voce Ibi
cursu, luctando, hasta, disco, pugilatu, pila, Saliendo se exercebant, magis q
uam scorto, aut fauijs. Fortiori autemiuuentaiis dem quidemexercebantur, velacrioribusetiáple
runqueludis,halteribus,harpafto,& aliquandocęstu.Velarmorum varijs g e n e
ribus in Palestris. Vel in Hippodromis cursu equì, vel agitatu. Athle - Caftus.
tæ vel stadium spectante populo de cusrrissent, vela c r i pugilatu dimicassent,
Halteres. cum
cęstibusplumbeis,acbaltheis implicatismanibus,quo grauiùs percu terent.
Alijsaltusimul et halteribus, item plumbeis globulis. Alijinsphę
risterijslusifsent pila, vel foliinplateis, vel Harpasto, pilamaxima.
Senio-Harpastum. resquidam, quorum erat ad sanitatem
præcipuastudia,vtrecensuitGalenus, ambulatione duntaxatantèbalneumcontentierant.
Alijclaralectione, vel Senumexer disputatione in Hemicyclis, velde clamatione oratoria,
vel cantumusico. Alijcitationes. modòvnovtebantur, modòalioperoccasionem, exercitij
genere. Id circos. Defa. tu. nec mirum septies quosdam aliquadielauari solitos,
quod apud Plinium le gitur. Alexander Seuerus, vt meminit Lampridiuspostlectionemoperam
Palęftræ, aut Sphæristerio, aut cursui,aut luctaminibus mollioribus dabat, m o
x venieba t in balneum. Aliis supplebant diurni operris labores, quia d r e
Operari j. creandum lassatum viriumr oburvsuriessent balneo. Cæterùm lenis
exercitationis modus erat ambulatio,quam Senes, & Virigraues, &
imbecilles potiffimùmobibant. Dignior adl audem, acdisciplinam,eratexercitatioin
Palestris & armiseorum, quirobustisess entviribus. Etquam oriquazíar, hoc
2. Desa.cu. est vmbra t i l e m pugnam, vt interpretatur Gellius, Græci
appellant, divodepce T e u Tirl, ob salubritatem a gymnasticis dictam,Galeno
teste. Innumera præ Рp nomina ad posteras ætates transiêre. Nec nostræ
professionis est exercitatio Nostrisecunum singulosmodos,aut
genera:quibusiliveteresvterentur, recensê. livita dif ferensaban tiquis. re, quam
partemà Hieronymo Mercuriali, Medico atque Philosopho scientissimo elucubratam,
propediem in luce meditam videbimus.Verùm exco rum exercitiorum censu, quem
fecimus, hanc præcipuam habebimus vtili tatem, considerantes quàm longè
differathic præsens nostri seculi viuendi modus,& maximèPrincipum,necopportuno
pofteros destituemusconfi lio. Sanèvbiillorumtemporum
vitaaffiduisdeditaeratexercitijs,vtpote 10 quæ & fanitatem
conseruarent,& promptiores redderentviresad singula, tàm animi, quam
corporis munera o b e unda; è contra hodie in continuo ocio degitur. Età
Principibus maximè, quiob decorum, ac ampliffimi ordinis maiestatem, semotam à
communi consuetudine degentes vitam;aut curis animi grauibus iugiter tenentur.
Aut siad ludicra aliqui tranfire foleant, ea Exercitianoinertiasunt, tabellæ, alex,
vel Trochinouus modus hàc illuc supermensam stritemporisagitati: inquovitægeneretandemobdefidiain,&
anxietatem,totam breui inertia, cursu vitædeficiant. Quapropter generalisfimum
hoc ac saluberrimum sibi 20 Exercitijnequisqueproponeredebet
institutum,exercitiumnecessariumessead susten cesitas ad vitationem vitæ:
inquire omnes sapientes, variorum quenationum ritussum moconsensu conueniunt. Verùin
quoniam hoc tempore non solùm pluri maveterum exercitiorum generanon funtinvsu,
imòvelipsorum nomina (ut diximus) sunt obscura; necadeoilisvtiessetpoffibile,quinec
Palestras habemus, nec Thermas, proptereàingratiamnoftrorun Principum,aliquot
particularium exercitation numgeneraproponemusexGaleno, atq;alijsan
tiquisauthoribus, quarum multas si non in campis et plateisobirepoterit;
licebitfaltem et incameris et inatrijs,acviridarijsfuis,seruataetiainperso
nægrauitate,percommodèexerceri.Exercitationum (inquitGalenus)com
Exercitatio-pluresdifferentiæinueniuntur. Aliærobustæsunt, & violentę, fiuevehemen
num dife-tes; aliæmediocres,&lenes. Aliæ singulares, aliæcumalio fiunt. Etaliæ
rētiæex Gavni uersas simul corporis exercent partes, aliæ vnam magis,&
aliæalteram. le.2.desan.Vehemens exercitatiodicitur,quę& robusta,&
celerissit:atquehæcmul tergrauequoduistelum iaculari,&
continuatisia&tibusoneremaximo subla tame, pervertere temperaturam
coguntur. Vnde non mirum est, qui præ properam accelerentsenectam, incurrantque
facileautinmorbosrenales,autinpoda gram,autinHemicraniam,aliosqueidgenus
affectus,medioquevelutiin fum tuen to, tash abet differentias. Quædam enim fiuntocylimèagitatis,
quædamrobore, acnixu, quædamfinehis, quædam cum roborepariter & celeritate,
& quæ Exercitatio-damlente.Fodererobustaest,& singularis exercitatio,remigare,discum
nugenera. mittere,mouericeleriter,saltare;idquefineintermissionemaximè. Simili
et ac clivis ambulare.Grauiarmaturatectumceleriteragitari.Continua
tusdiucursus.Et iterfacere.Perfunem manibus apprehensum scandere, modo in
Palestris quo solitum erat puerosexerceri.Velèfune,velperticama nuapprehensa sublimenpendere,acdiutenere.Manibusinpugnum
redu: &tis, iisdemqueprolatis, velinaltumsublatis. Halteribus,feuglobisplus
minusgrauibusleorsumpositis,vtraqueseinflectensmanu attollere.Quæ robustior
erit exercitatio, si qui ad sinistram manum fuerit dextrâ coneturat tollere, &
sinistrà qui ad dexteram. Diuq;,acsępiusidentidem facere.Potest &
foliscruribuserectusacvnolococõsistensceleriterexerceri, modò retrora suminsiliens,
modóinanterioravicifsim crurumvtrunquereferens.Solus fimiliterexerceriest,summispedibusingredi,tensasqueinsublimemanus,
hancantrorsum, illamretrorsumcelerrimèmouere.Sehumi celeritercir cumuoluere, velsolum,velcumalijs.Cum
alijsverò& citràrobur, & violen tiammultæexercitationesperaguntur.
Vtcursusadmetam constitutam.Vel vibratilisar morum meditatio. Summisinuicem
manibusconcertare.Co nes cú alijs. ryco,& paruapilaludere. Stare, nec
finereseloco dimoueri;quo exercitij genereMilo
Crotoniatescelebratur.Velseerectum,& circumactum 10astantemmutare. Complecti
quempiam manibus,digitisquepectinatimiun ctis,isque diuellere seadnitens.
Medium appræhendere,ac sublatum ceù magnumonusprotendere,&reducere.
Luctaytriusqueluctatorisrobur maximèvtipoteruntSeniores,&
quiadmotumsuntimbecilles. Ambula.Vltimò Fri &tiones suppleant. His omnibus ex
ercitationum generibus,imòinfinitis alijs (vtGalenusinquit)docebant Pædotribæexercendumesse:&
velinPa læstris, velextrà, velinaltopuluere, velconculcato, & firmosolo, &
omni noantèbalneum. Quibus & nosiuxtàpræsentemviuendimodum,siuepro
præparatione, fiquis velit ad balneum,feusinebalneo,vtpleriquehodiefa
tecdicere,quæ situborealifrigidas,acpurasstatimàfontibusadmittebat
aquas.EratenimNatatio (vtidiximus) separataà partibus balnearum: citationes, le
cimus, percommodè vtipoterimus. Sed de exercitationum emolumentis 40 alio loco occurretdicere:
nunc ad describendas balnearum partesin Thermis redibimụs, acaliaineisrequisitaexplicabimus.
De Natatione. Ne i principes autemThermarum partes, primùm de Natatione opor
Cap. vii. Рp ij nimi. Exercitatio. prope rium mem brorum.exercet. Luctaricum
roboreest, ambobus cruribus alter alteriu scrus com plecti, minibus intersesecollatis,
& collo. Manua lteratanquamfunecol
loalteriusiniecta,ipsumqueretrorsumtrahere, acreuellere.Pectoribusex aduers o i
n n i x i, magn o se co n a t u i n uicem retrudere. Ad singulares porrò
universalis, attinet electionem, qua parte corporis quis vtivelit, aut indigeat
exerci- particula tatione. Aliæ enim vniuersas simul exercent corporis
partes;quo nomine ludusparuæpilæà Galenoprætercæteracommendatur. Aliæ
vnam magis, aliæalteram exercentpartem, lumbos, crura,brachia,
spinam,pulmonē, Deparuepi thoracem. Itatio, cursusquecrurum exercitationes sunt.
Acrocorisini, hoclxludo. Est festiuæs altationes & Sciamachiæ, crurum, brachiorum,&
manuum pro pria. Lumborum autem, affiduèse inclinare,autpondusaliquod àterra
tollere,autassiduèmanibus sustinere, Spinam transuersim exercet, atollere vt dictum
est alternatimhalteres. Thoracis vero et pulmonis suntpro priæ, maximæ Respirationes.
Cor. Celsus inter exercitationes imbecillisto lib.2. c.8. macho conferentes,claramcommendatlectionem.
Maximaveròvoxvocis quoque instrumentaomniapermouet, dilatatque:naturalemexcitatcalo-Clarale&tio.
rem, & quomagisfitafsidua, eomagisvniuersis corporis partibus communicatur,
vtinnostris concionatoribus experimur et in libro de voceà Gale noestproditum. Hoc
genere exercitationum per vocem, quælenessunt, Lenesexer Lufta. Etio,& amo
tioneetiam quimagis validi. Velequitationessufficiantur, gestationesquebulatio.
seucurru, seuproægrotantibusin Scimpodio,& Sellaportatili Cap. 18.
Nimirùmquia singularis eiuserat, acpropriusvsus, non tàm quidemadlaua
Varzac efttionem,quàm ad exercitium. Eftenim Natare laboriosum, quòd itaiacta
quoddam e rerectè Aristoteles in Probleumatibus, Natationem, oblaborem, cursuico
parat, aquarum periculaexercerentur. Et Galenus testator de suo tempore, pue 1,
Defa.tu,rosin aquis qumasina's Feudasfacere consueuiffe,idest, quòd prima
fiebantin of Pifcina, Piscina P u aquis pueritiæ rudimenta. Itaque præter Tyberis
commoditatem,propria adhuncritumlocaconstituta fuisseinvrbediximus,quæ
diuersisexplicata nominibusinuenimus, Natationes, Piscinas, Stagna, atque etiam
naumachias, Piscinædi&tæ, quòd & pisces hauddubiècontinerent,
nontamenad vsum piscium, nam ad hoc propriaerantviuaria,sed ad munditiam
seruanda aquarum,& amoenitatem. Videturautem exercitatio numhuiusmodi causa,
primùm constituta fuiffe Piscina publica dieta sub cliuo Capitolino, ad
veniebat populus. Exca& piscinæaliquandofuntdictæparticularesNata
tiones,& labra lapidea, qualia Romæ videmus maxima, nec non portatilia, ac lignea
advsum etiam calidarum aquarum. Quod authoritate constatM. 08 Tullijad Q.Fratrem
desuisbalneis,Latiorem (inquit)piscinamvoluissem, vbiiactatabrachianon offenderentur.
Hasà Galeno,acalijsGræcisautho x a n u p u s o ' n ga ribus, modò x o d u a k r
í z s a s, mod ò Bari i su p o e edicta s legimus. Parva autem Solia,
Capesupulco peluesquequercus; quam differentiam planamfaciuot Galeni verba lib.7.
Mé πυελοι. Stagna. thodi, vbi ad ventriculis iccitatem curandam, quæ
Hecticamminetur, nata tioneminbalneo factam consulitivteīsno numerisus, id eft in
piscinis natandocó stitutis, quàmivtotspixpsīsavenoīs. Memorantur porrò &
Neronis Stagna,vbi Amphitheatrumà Martiale poniturinprimis Epigrammatis d. Hic,
vbiconspicuivenerabilisAmphitheatri Erigitur moles Stagna Neronis erant. Quod tamen
stagnumnon plane constatanad natationis usum, anpro Nau stagno circumpofuit, conseuiffe.
Stagnihuiusin Vaticano Naumachiæno Navale Sta minememinit Egelippus Græcus author,
in D. Petri & Pauli martyrologijs. Cæterùm NaumachiapostNatationes&
balneas,altiorisfuitinstitutiquàm Naumachia adnatationem,nec, nifipoftimperiaprincipuminuenta.
Nempe inqua nautici certaminis fieret spectaculum, vel ad disciplinam militarem,
q u ò faci of Finis duplex liùsmilites pericula Aluminum, vel naualis belli, cùın
opus fuisset, possent Naumachię euadere. Sic Polybius refert Romanos primo bello
Punico, quod aduersus Chartaginienses gesturierant, militessuosinnaualidisciplina
exercuisse. Et SuetoniusAugustumcúm effetcótrà Pompeiumiturus, inportuIulioapud
Baias milites in nauali exercitatione tota vna hieme detinuiffe. Vel erat N a u
jucundunfpe Etaculum.
machiævsusaddelectationempopuli,vtcæteraspectacula.Pluraenimerãt q u æ
præberent animo delectationem:primò aluei magnitudo, ac Cyrci c u 1 vivarium. blica. Quam (ut Festus Pompeius est
author) & natatum et exercitationis caussas duo. rat, gnum. xercitium,
tismanibus, accruribusaffiduè, vniuerfæcorporis exercentur partes.Qua Et Oribasiuseaminteraliaexercitationum
generaadnumerat. Imò Natationis in vrbe fuitprimus,acantiquissimus vsus ante
balnea:quando scilicet conftitutæ fuerunt exercitationes in Campo Martio,vbiiuuenes
(te ste Vegetio) puluerem, sudoremque
detergerent, simulatque ad obennda machiafuerità Nerone constitutum.Vsumtamen
vtrunquepræftarepote Neronis no- sicut& de altero eius nominis meminit
Tacitus,claufifle Neronem in mine stagna valle Vaticani spatium, in quo equos
regeret, apud quenemus, quod navali iusdam OZ jusdamamplissimiforma, editaadcommoditatem
tantiludi,inconspectu maximæciuitatis. Deinde classisineam, etiammagnarumnauiumintrodu
Etio, & ludusipsecertaminis. Etdemum populicelebritas, & velipsaaqua r
u m copia, atque amænitas, maris instar tranquillissimi. Et quæ apertis eu ripistantamvimaquarun
vnohaustureciperet,laxaretquefinitospectaculo.Martialis inquo mouet
admirationem aduenæ Martialis,dum sicadulatur Domitiano.locus. Cui lux primas acrimunerisipsafuit.
Ne tedecipiatratibus naualis Enyo (Paruamora est) dices, hicmodò Pontuserat. Ex
quo plane authoritate colligitur, in Cyrcotammarisquàm terræcelebra In Cyrco
rispectaculadebuisse: vbimodòterra (inquit) modòPontuserat. Quod Naumachia.
Cyrci Maximisitus confirmatinterAuentinnm montem,& Palatinum de pressus, inquem
Gabiusæaquæriuus,quemMarianam posteridixerunt,per Gabiusaa petuòinfluit na. na
aqua,vtFrontinuseftauthor, quæ fapore,& crafficiemarinamaquam AugustiNa 2 0
æmulabatur, in q u a faciliùs natat r, t e f t e quo que Aristotele in
Problemati - u m achia: sub colle Hortulorum, ademiffarium aquæ Virginis.
Authore Sueto Domitiani. nio,quiasseritDomitianum circunstructoiuxtà Tyberinilacu
(inter Cain pum Martium scilicet& ipsum collem Hortulorum, vbi nunc iuxtà
Sanctito pluresessentqui exercerentur et quifrequentarent Thermas adca,quă Bal
spectaculaquàm quilauarentur.Eteodemtemporemagnahominum co-nearum.
piaexercebatur, &quivno,& quialioexercitiigenere. Atadbalneasin
trantiumcontinuaficbatsuccessio, nam cùm priores occupassentloca, reli qui (vt scribit
Vitruuius) circunstabant,dum lauarentur. Pleriquesani,ac robusti, poftquàm in
exercitijs incaluissent, nullisferè alijsvtebantur bal neis vtinfràmonftrabitur
nisinatatione. Quæ parsidcircoeratamplissi ma, &
exercitationibustamsubdialibus; quàm interniscommodissima. Vel Balnearum
transiffentdunt axat ad balneas calidas, atque illicoegrelliinsiliebantinfrigisitus.
dam. Summa ergo artificijin balneishæc fuissevidetur, vt in locoessentquả
commodo omnibus seseexercentibus;acmirandiplanè artificijministerijs totaquarum,calidarum
simul,& tepidarum,quæcontinụèexsefunderen turin balneas. Pro commoditate, ac
ratione lauationum, erant omnes ad Рpij meri Et parvndafreti, hic modò
terrafuit. Non credis?spectes dum laxent æquora Martem. ropriè verò ad vsum
naualis certaminis, duæ fuerunt certiffi-qua Maria inæ Naumachiæ. Priina Augustitrans
Tyberim, adductâobidineam Alfieti Sylueftriædesapparentvestigia naualespugnasineo,
penè iustarum Claf fiume didisse. Luxuosissimus Heliogabalus, euripis vino plenis,
naumachia Heliogabali. exhibuisse. Tradit Lampridius. Sed nuncad partes balnearum
proprias acMilanius. De partibus balnearum, esde Milliariis vafisin Hyppocausto.
BÀLNEARVM veròin Thermisnoneam videmuscopiam, quamde BВ exercitationum locis iam
diximus. Ex quo planè videtur, quod mulnum pluralo Exercitatio Siquisades longis
serus spectatoraboris, bus. Alteraverò et magis celebris, fuit naumachia, quam Domitianidixi.
mus Apodyteriú seu Tepidarium. meridiem,vndefolissemperillustrarentur, acfouerenturaspectu.
Nam tó: taeafaciesanteriorerat distincta in duos ordines balnearum, vnusàdextris
Hypocausti,&alteràfiniftris. Etvterqueordo distinguebaturinquatuor Cameras,
conformes vtrinque, ac ita collocatas, vt ex una in aliam Etuplatearum
àsitumeridionaliproposuimus,progressuferèad media pla eratceùvestibulum regaleApodyterium,seu
Tepidarium. Quem lo mirabilem, meritò alterum noftræ ætatis Trimegistum
dixerim. Hinc fini Hypocaustús tror sumn modicus introitus in Hypocaustum. Sive
(vt meliusdicam) super Hypocaustilocum, quirotundaforma, cumopportunishincatquehincmē
Cryptoportibris, nuncprimisNouæEcclesiæfacelisdicatuseft.Totaeniminfràmoles
res. Aftuaria. darum, aliæ frigidarum aquarum ductus, alię calorum æstuaria, aliægrandes
tores vt vocabulo vtar Iure consulti curam succédendi ignem habebant in
Thermis. Eratautem vnicum, teste etiam Vitruuio: collocatum tamenin medio,vtcommuniseiusessetvsusvtrisquecaldarijs,exvnapartevirilibus,
30 exaltera muliebribus. Idqueperopportunaæstuaria,quierantmeatus ab Hypocausto
perpetui, vndecalores occulti in cameras caldariorumipsorum penetrabant. Quod
tetigit in primo Syluarum Papinius Statiusd. Vbilanguidusignisinerrat dioplacet
æneatamenpatinasubiecta. Quorum idemeratnomencum ca meris prædictis,vnum caldarium,
alterum tepidarium, tertium frigidarių. Legitur item Milliaria, a magna
fortasse capacitate, quali plus millelibrarú aquæ caperent. Quippeidgenusvasa, teste
Vitruuio,maximi aheni inftar, actestudinataadcircinum,itaerantcollocata, utex
tepidarioin caldarium quantum quæ calidæ exisset, infueret, de frigidario in
tepidarium adeundem modum. Atque hinc planum artificium est, in quotant opere
laborauimus, quomodo ad communeinvsumtantaaquarum copia exvafisfuppedi
tareturinbalneas. Quod restituo in lucem ex Seneca, quidum ad Lucillum
miradeliciaruminuentasuitemporisdetrectat, hocafferitobiter. Construiteam,
huiusædificij, concameratainuenitur,acdistinctaaddiuerfosvsus. Aliæ Fornacato.
Criptoporticus erant patentes ad refrigeria in magnis caloribus. Aliä сali 40
IO CUS. 20 cum laxum, & hilaremdescribit PliniusadApollinarem, hocest,amænum,
acmollisteporis, tùm solaribusradijsàmeridie illustratum;tùm proximi Hypocausti
vapore laxum:vbi nimirùm ingressuri ad balneas exuebát vestes. Qux
quoniamprimaerat, acnobiliffima Thermarum pars, nobilissimietiá
numapparetartificij. Figura inquadrumoblonga,achemicyclisquaquefa
ciedistinctum,cum aditisvndiqueintercolumniorum,columnisquesuper
nætestudinisaltissimis, quætàmauthoris,quàmoperissummam maiestate ostendunt.
Vnde sapienter hæc pars, proposita est pro prima porticu Ecclesiæà Michaele Angelo
Bonaroto, quem pictura, sculptura et rchitectura cloacæ vnde lauationes exonerarentur,
& aliadenique Hypocaustum,atq; Lib.s.c.10 Hypocaustimembra.EratergoHypocaustum
fornaxinferior, vbifornaca Aedibus,& tenuem voluunt hypocaustavaporem. Vasariatria
Super Hypocaustotriaerant compositavasariaænea, velplumbea (ut Palla Mincepice
Græcis hæc Mirsapíe, Latinis (vt apud Catonem, Senecam, atque Palladium folitum
aditus.Inmedio quidemerat Hypocaustum, vtrinqueveròinversuris La conicum, deinde
consequenter Calidarium,Frigidarium,& tepidarium,vt planèsingula explicabimus.
Principio contram Theatridium, quodinprospe pateret solitumin ipsis milliarijs
dracones, quæerant fistulatavasatubæ instarære tenui, perdecliuemilliariocircundata,vtaquadum
ados draconis con lis canales occultos, quorum aliquæ visæ sunt reliquię in
eruendis ad nouam 2 0 ecclesiam m a c e r i j s: atque ex hinc aquas de duci
solitas in Natationes, in Fonsicis organis n o n absimiles. Quia d firmitatem
quidem, ac robur faciebant Tubi etepi ipsis v a l ibus: simulatque artificio
ferès i miliquonos hodie Romæ nymph e i s s t o m i a. acviridarijsdamus
velarcemusaquas, habebantfiftulasinfra parietes occul tas, q u æ in cameras balnearum,vbi
opportunis locis essent epistomia, infundebant aquas. Quod ex eodem Seneca non
est dubium, d u m n i miæ la uti ti æ adscribit, quod continue aqua calida ex sefunderetur
in balneas,acrecens semper, veluti ex calido fonte per cameras transcurreret.
Et ex Galeno, vë iam decamerarum dispositionibus dicemus. De Laconico, esde Solis
Balnearum. RDINES quidembalnearumin Thermisduosdiximus,vtrinque
scilicetabhypocausto vnum testeVitruuio,alterumvirilium,alte Balnea viri. rum
muliebrium. Nam vtscribit Gelliuslib.io.cap.3.authoritateVar
ronis2.deAnalogia,Pudornon patiebaturvtrunquesexum simullauari,sed do liadoMu
aquarкт epis t o m i j s, fundebantur. Vbi nota harum ductuum in Balneas
alterum arti 30fícium. Eranttubięne ierecti, tresàdextera et tresàsinistra milliarijs,
m u 40 glomerati specie plurieseundem ignemambiret, pertantumfueretspatij, vasis.
quantum acquirendocalorisatisesset. Quare triplex semper aqua invalis,
acinfinitæcopiæ, calida, tepida,frigida, nam successiuas vasexvase Caldarium
piebataquas.primum quidem,quod caldarium dicebatur,superprimavas.
hypocaustistraturacollocatum, tanquam omnium vasorumvalis, calfa tes, Dracones
i 10 са. Etasperdraconisinuo lucra fundebat aquas. Secundumsuperhoc erat
tepidarium, quod a primi vasis vaporibus modicè incalescebat. Tertium Fri-
Frigidariú. gidarium: vtpotequod frigidass tatimab emissario aquas capiebat et quan
tum subiecta vasa vacuabantur, tantum hoc nouarum aquarum infunde- batfinefine.
Emissarij verò huius obscura quoque ratio est. Nam vide-Emisariaa mus quidemad
Thermas ipsas propria aquarum Castella constituta: qualequarum· extatin Diocletianis
poft palestras orientali parte. Etin Antonianisàt ergo Theatridij admeridiein. Horum
tamen altitude nullibi excedit planiciem bal nearum. Nec vllus est modus, neque
artificij vllius vestigium, insummis Thermarum testudinibus, vndetam altè deduci
potuissent aquæ.Videturita que mihià proximis iliscaftellis cóstructosfuiffeinfràpauimentatotiusm
o Tepidarium lib.io.administris balnearijs veletiam iumento alligato, subleuatæ
aquæinsu ipsihypocausto piscinam infundebantur, quæs ponteposteàinsubie pernamn
rursusin Tepidarium,& conse ĉtumFrigidariumcaderent,& exFrigidario,
quenterinCaldarium,velutidiximus. Vnde plenas emper vasa suis aquis imumcalida,
medium temperata, supremum frigida, quæ per fistulasencas hinc atque hinc in
quolibet vase compactas, versis ad vnum quenque actum Tympana Fistulę aqua ac
alias piscinas. Hinc, tanquam a communi fonte, per rotas ac tymparo t e a c na,
ac id genus alias machinas aquæ hau storias, quas describit Vitruuius
commoditas coniungi desiderabat. Quanquam in hisque post Varronis et post
Vitruvi j ętátem f a &t æ sunt, hæc distinctio non sit mihi ve risimili. Q
a n rum. liebria. do auctoritu exercitationum,ac lautitia inThermis,vix
publicas potuisse virorum frequentiæ sufficere videtur.Itaquepromiscuas potius
ex eo tempo refuissereor,achonestismulieribussatisfecissepriuatas,velquasprincipes
Matronas constituisse iam scripsimus, Agrippinæ Neronis matris balneas, terke
inbal Olympiadis,atquealias. Cameræ in quoque ordine quaternæ, Laconicum,
Calidarium, Frigidarium et Tepidarium. Velternæ adminus:hoc enim non
videturdubitandum,non fuisseThermas vno stylo vbique,nequevno ordinepartium et
tam in publicis quam in priuatis. Et hinc in authoribus Celsus. Tanta earum inuenitur
varietas. Quaternas point Celsus lib. 1. cap. 4. dum scribit, Sub veste primùm
paululumin Tepidario sudare folitos: tùmtranfi- Galenus. re ad Calidarium, vbi sudabatur
largiùs, quod ponitpro Laconico: tumque aut in calidamd efcendere,autinTepidam;deinde
in Frigidam. Easdem C.i72ero qua λουτρόν Pyriateriit. Hypocaustü point Galenus
lib.10..Methodi, a Laconico incipiens: Primùm enim inquit ingredientis inaë reversantur
calido:hinc secundò in aquam Calidam defcé dunt,quod propriè aoutcovait appellari.
Ab hac mox in tertiam Frigida ibár: & tandem in quarta sudoren detergebant,
quod erat tepidarium, seu Apo dyterium græce dictum. Inquo&
Celsusdicit,fenouissimèquiselauissent abstergere,& vngereconsueuisse. Quem
planèordinem & inhis Thermis, quarum videmus vestigia, seruatum inuenimus.
Extat Laconicum adsuda tiones inquoqueprimæfacieiangulo vnum, idquenonadeomagnum,hu-
200 iusenim partis noneratvsus communis, nequeadeo necessariusomnibus, vtquibus
fatis ad sudandum exercitiafeciffent. Sed imbecillis proprius et quiminus validiadexercitia,sudoreshocloco
excitabant:subindeintrabát adcæterasbalneas. Nomen autemdeduxità Laconibus: quos
huncritum rium, Laconicum veròc ommuniter omnibus, & Ciceroni quodam loco ad
Sphærifte- Atticum. Suetoniusin Vespasiani Cæs. Vita Sphærifterium hanc partemap-
30 rium. pellat à figuræ rotunditate. Locus quippe concameratus ac rotunda
fpecie, Lib.5.c.10.habens,authore Vitruuio, inhemisphæriolumen,exeoqueclypeumæneú
cathenispendens,percuiusreductiones,acdemissiones perficeretur Suda Clypeus Lationum
temperatura, vaporibusnimirùm ficretentis,veldifflatis. Erat autem huius institutiratio,
vtfcribit Dion in Annalibus, vtfus è intrantesinhac par vfus: t e sudaret et
sub i n d e unctione ad hibita, statim descenderent in frigida. Quod planè
clarius ex Galeno fiet pofteà, ac à Martiali obiter tangitur in Hetrusci
Thermis, ad Oppianuin tribus versibus. tepidum tamen aquarum vaporem potuisse suscipere.
Proinde Celsusineo, affus dixit sudationes lib.z. cap.27. alibi exiccari dixit corpora:
Seneca exani tos .primò instituise, Plutarchusin Alcybiadis Lacedemonijvitaeftteftis.
Græ Calidarium. cialiquando Ilupice Supo's,& nonnullisuTorw50sdictum,ob
igneum ineova Sudatorium.porem:Latinis modo Calidarium,inodò Cella
calidaria,Senecæ Sudato Laconici coni, ncis. mari, ritus si placeant tibi
Laconum Contentus potes arido vapore CrudaVirgine, Martiaquemergi. Vaporíqua
Virginem dixit, & Martiaminhisbalneis Romanasaquas, blandissimifrigo litas
in Laco ris. Videtur autem Laconici aërem,siccum quidem fuisse, atque igneum, Bico.
Galenus & alijmediciinterdum elixari, Oribafius planè aëreferuidu dixit, ac
præhumidum i n Laconico. Quod rationi consonum sit. Nam ex æstuarijs, partim
quidem siccis, ex quibusiaindiximusabhypocaustooccul 10 su tenui calore, diceba t Galenus x. Methodi,
reservatis vniquem eatibus, liquatisque per totum corpus superfluis,sudores, vtilesquemadores
clicere, quæ inęqualias untęquare, cutimlaxare et multa quæsubhac detenta
erant, vacuare. Ex Laconico patet aditus i n Calidarium, quod proprie Calidum So
aoutpór, hocestlauacruindicitur, eodemteste,& calidum Solium. Patetau-lium.
tem hæc pars,duplex magnitudine ad cęteras cameras:vt cuius in balreis maior erat
necessitas, longior in e o f i ebat mora, ac usus frequentior, præsertim
minusvalidis ac imbecillis. Vbi meminisse oportetex Celli verbis, quæ pau Halat
& immodicosextaNeronecalet. Mox tertiolocoeratFrigidarium,seuFrigidumSoliuminquo
aquaexquisi. acviresdensatacutifirmarentur. Qui enim, subdit, hoc modo
àcalidislaua- Vlus. tionibus, sudationibus que laconicis ftatim in frigidam non
descendissent, Paulo post transpirato immoderatius calido innato,totum corpus
frigidius euafiffe sentiebant. Quodfanè frigidælauatiofieri prohibebat,totum
semel corpusconftringendo,&constipando,nonsecusatqueaccideresoletcalen
tiferro,quod quùm infrigidammittitur, & refrigeratur,& induratur. Atque
huius rei causa potissimum constatinuenta fuisse balna, pro imbecilliu vm i
delicetcorporumrobore: hoceftvtimbecilla corporapræcalfacerent, itaque ad frigidum
Soliumpræpararent. Adeoquepræualuit semperfrigidarũvsus, Frigidarum
40vtvixquidam alijsbalneis vterentur. Carmis Maffiliensis Medicus, etate
Neronis prerogativa, scribit Plinius lib. 29. cap. 1. damnatis prioribus Medicis,
ac balneis, frigidalauarihybernis etiam algoribuspersuasit. Merficęgrosin Lacus.Vide
bamussenes consularesin ostentationem vsquerigentes. Ex frigido tandem Solio erat
exitus in Tepidarium, tepidiscilicetaëris,q uod diximus apodyterium, sive spoliatorium.
Etcratfinisinbalnco.Ancè Tepidarium tamen Cella olearia in Diocletianis commodè
est ut videtur Cella Olearia, eademque Tonstrinæ na. tôs penetrare ignes
in cameras, partim aqueis per suostubos ac spiracula, v a pores misti ad hemisperium
Laconicipetentes,sub curuatura magni clypei intenuiffimas conuertebanturaspergines,quæimbrium
modò super capita Facultates. corum,qui morabantur in Laconico depluebant.
Potest autem hæc prima pars lo ante retulimus,vel in calidam fieridescensum,
vel in tepidam, & quali ad uno, tenore vtentis arbitrium potuisse
temperari. Et Galenus in 3. de an, t u e
n d a idem videtur asserere, nimirùmquòd in Calido Solioaqua, exvafisquæ
diximus Miliariorum calidis, tepidis,ac frigidis, poteratadvsum trifariam
tèfrigida, ad hunc videlicet vsu minquit Galenusx.Methodi;vtquæ fuerantFrigidum.So
fòexcalfacta fiue'in lium., anterioribus Solijs, fiucin exercitijs, hicrefrigerarentur,
An balnea calida. fieri, tepidam, aciusto calidiorem. Quam tamenva ri, nempè
temperatam lauationibus, sed in priuatis,vel non videopotuissefieriinpublicis
rietatem, parabatur à Balneatore aqua advsum pu adpriuatosvsus. Nam in Thermis
compara LO Aeftiuo serues vbi piscem tempore quæris. fortas selocus,vbinimirùmoleaseruarentur,atquevnguenta
do Tonstri,aliique odo blicum,vnotenorecalidaomnibus. Quod declarant authoritates
scripto-frigidæ, alia rum, quialias Thermas appellant frigidas, alias blandas, alias
fervidas. Vei frigidas significauit Martialisinprimo Epigrammatum. In Thermisferua
Cecilianetuis. Idem inx. Neronianas indicat fuisse calidiffimas, eo epigrammate.
Temperat hæc Termas nimios priorhoravapores res cal d a Therme alię
resad opportunosvsus,& quivellentbarbæ,& capillorum cultuivacarent.
Unetiones in Eratautem hæc pars vn ade necessarijs, acessentialibus (ut ita loquuntur)
in Thermis, toto ritu Thermarum, quandohiçmoseratcommunissimus,vtquisque lo
tus,simplicis faltem oleivnctionevteretur,tùmvtsudoresinhiberet,tùm
vtfeabextrinsecùsambientisiniuriavendicarepofset. Hunc enim tenorem in omnibus
ferè,quę hùc sparsim adductæ sunt,authoritatibus obseruabis:
primùmlegiturexercitium, deindebalneum, vbifrictiofiebat,& detersio,
inoxstatim frigidæ lauatio, pofteavnctio,posteacibus& potus,vltimòso mnus.
Proinderecolome legissepluriesinvitisPrincipum, ficuti ntermu..10 Oleimunus
nerapublica erat Congiarium,erat Recta, erat Sportula,itaoleum aliquan
publicum. do publicè donatum, quoin communi velutigaudio,quisque frueretur in
balneis.Nimirùm vel Thermis cùmprimùmdicatis,velfaftualiquoPrinci pis.vnctionum
verò,quasquisquesibipriuatimdeferebatadbalneum,luxus legiturinestimabilis. Quidelicatèviuerent,
velimbecilles, odoratisvnguen Balnea contis refouebant spiritus. Quosdam legimus
iuffisse spargi parietes unguento. spersa vn-Vtfimul (equidem puto) &
lauarentur, proiectisinalueositaimbutosaquis ipfis, & vngerentur, fic penetrante
exactiùs vnguento, & odorem, virtu temquesuam diutiusseruante in corpore. Atqueita
Caium Principemsoli tum lauari, testisest Suetonius. Scribit Lampridius
Heliogabalum nunquá inPiscinislauarisolitum,nisiillæcroco, aliisúepreciosisvnguentisperfusæ
fuissent. Velplanè conspersiseo modoadluxum parietibus vtebantur,vedu quis se
parieti confricaret (quod aliqui facere folebant, vt apud Spartianum in Hadrianoleginus)sineministris,acetiam
proprijsmanibusperungilice Balneton ret. Neroautem profusissimus non folùm calidis
balneass pargebatodorib. guentipre-sed & frigidis quoque vnguentislauabatur,
fcribitPlinius.'Recensenturau ciosi. tem hoc in generepræciolamulta,quæ (Galeno
teste) Romanorum lauritia Olea, etvn- inueniffevidetur: vt Mendelium, Cyprinum,
Narcissinum, Susinum, M e guenta pre- galium factum ex balsamo, Regale apud
Reges Parthos primò comparatum. ciofa. Nardinumquoque,quod&
Foliatumdicebatur, Plinio:& alterum Spicatú,
QuodidemNardipisticæpræciosivnguentum legiturinEuangelio.Etitem30 Iasminum
oleum,quododoriscaufla(vtteftiseftDioscorides)non inbal
neissolùm,verumetiaminterepulandum apud Persas, vsurpari consueue. Unguenta in
r a t. Dono, equidem opinor, et in Xenijs. Quem morem d i u Spartanos, at
conuiuijs. Quelonasretin uiffe narrat Valerius quę, Plinio teste, Diapasmata,quasi
conspersoria dixeris, Cyprini pulueris instar, quohodievtimurodoratissimi; dequoebriam,putidamq;Felceniam
illuditMartialis in primo Epigrammatum, eo carmine. Quid?quod oletgrauiusmiftumdiapasmatevirus?
Apodyterií Vt redeamus ergo ad cameras, Apodyteriumerat principium, &
finisinbal gues. 40 M a x.lib.2. vnguenti, coronarumq uein conuiuio dandarum,
secundismensis.Erat& Oenanthinuminter præciosa. Quorum similia aliqua apud Paul.
Aeginetam legimusvnguenta, atqueolea. Multaquei d genu salia apud Plinium
lib.13. inalabastrisferuari solita:nunc omnia rarissima, aut que dam subdititi
a, vel adulterata, tantæ verò e a tempestate copiæ, vevsuscorum ad vulgares quoquede
fuxerit, quodserioarguit Iuuenalis. Moechis Foliataparantur. Diapasmara Ad
sudores autem propri cohibendos, quæda m
ficcis constabnt odoribu, neo; eôdem nimirùm reuertentes, vbiantèbalnearum
vestimentacõsignal sent.Idemqueex Galeniverbisplanèintelligiturx. Methodi: hicenim
dum cunctarentur, actergerentur, corpusadhucpersudorem,innoxiè,accitrà
refrigerationem vacuabatur,acinnaturalem redibatmediocritatem. Porrò vana
quorundam controuersia est, ponere Auicen.trescasas(itaenim interpretantur) in balneo,
easque long è aliter dispositas, quam diximus. Cui bil. cnim dubium non fuisse balneas
vnost ylovbiquenequevno ordine? Defijf setamen pariterapud Arabes hunc ritum,
testator Auerroes in Canticis, acBalnearum nonmirùm imperfectastùmeoshabuiffebalneas,
Nequein antiquiffimisa nidemsły 10exempliseadistinctioquærendaeft: quando Hippocratisætatenon
adeori tè balneaparabantur, quod & ipseinnuit 3. De ratione victus in morbis
acutis. Neque in priuatis multo minus, quas Galenus aliquando perinde damnat, acincommodas,
Depensilibus balneis, ac balneariis rebus. Uenire potuirationem. Nam si Pensiles
balncas intellexeris sublime salueos, Pensile quid & quæ fu per solario locatæessent,
idmagnuninoneft: ficut & Hortospensi lesvidemus, atquehorrea, acmaiusopus, Thębas
Aegyptias pensiles fcribit Plinius. Audiuiqui id artificiumattribuant Laconico,
ècuiussuspensura lusvbique. ENSILIVM veròbalnearum, celebreduntaxatnomenperuenitad
nos, fuis se eas inter maiora illius seculi blandimenta: cæterùm Cap. xi.
namearum fuerit ratio, non facilè ex aut ho r i b u s colligitur. Ponit Valerius
Max,interluxuriæexemplalib.9. CaiumSergium OratamPensiliabal quæ Auicenna
neaprimum facereinstituiffe. Idquet radit Plinius lib.9.cap: Pensilibal 54.L. Crafsi
Ora- neurum inui torisetate,parum
anterempub.occupatam.Queminteraliasvoluptates,& torSergius Ostrearum
afferitinueniffe viuaria, nec tamgulæ causaa, quàm auaritiæ, vt Orata. Quiitamangonizatas
vendebat villas. Eadem testator Macrobius 3. Saturna lium cap.15. Porrò venisse
eas in gratiam popularem planè oftendit Plinius lib.26. cap.3.Asclepiadis Neronis
Mediciçtate: vrbe, inquit, imòveròtota Italia imperatrice, tum primùm vsu balnearum
pensiliadinfinitumblandien te. Extat & Annei Senecę censura ad Lucillum,dePensilibusbalneis:qua
vapores conuersosintenues aspergines, imbriummodo Aqua pensi supercapitacorum, lis.
q u i lauabantur, depluere diximu s. Vel quem ad modum Aqua Pensilis dicitur z
Fluvius p e n & Auuius Pensilis, ita id balneum Pensile fortasse intelligendum,
exquodi-filis. ximus authore Seneca, atque Galeno calidas perpetuò aquas, vel
quales quisquevellet & tepidas & frigidas, velut ex calido fonte depluere,
actran {currerepercameras. Verùm nihililliusblandimentivideoinhis,quam ob rem
populus eascum tanto applausu receperit, & quæ ad authorem adscri: bantur voluptuosiffimum.
Pensiles ergo balneę haud publici videntur fuisse vera balnea instituti, sed in
priuatis extitiffe. Vtquæ priuatum habuêre authorem, & pri-rum Pensi uatamc
aussam,nempèinuentæaddelicias. Necvllumvestigium,nulladeliurnrutio. Hisin Thermispublicismentiohabetur,
Earumveròrationem, inquatanto. perehesitaui,elicioexeodem Plinio, cuidererumantiquarummemoriapri
ma laussupercæterosscriptores, meritòtribuendaest.Pensileenim dicitur rum
inqnit suspensura inuentaest,vtnequid deesset adlautitiam. Hæc ha 3 benturde inuentione,
atquedelicijs Pensilium, quarum tamen non facilèin 40 P suspen
suspenfum,& mobile: qualesipfememinit lib. 19. cap. 5. Tyberij Cesaris
hortos Pensilesmiræ voluptatis,quoshaudquaquam ponitsupersolariolocatos,
sedsuspensos,& mobiles, quos inquit singulis diebuspromouerentadso
lemrotisolitores. Quod idem clarainbalneis authoritate exposuit lib.26.
сар.3.dum Cleophantum Medicum commemorat, authore M. Varrone, alia quoque blandimenta
ex cogitaffe, iam inquit suspendendo lectulos, quo rum
iactatuautmorbosextenuaret,autsomnosalliceret. Iambalneasaui disfima hominum cupiditate
instituendo: easdemscilicet,&suspensas,vtdi xitlectulos.Quam fententiam
confirmantquæmoxpaulòsubiunxitverba, quæ allegauimus; Anxiam nimis fuisse Asclepiadis,
& quorundam eum se." quentium curan,tum primùm Pensili balnearum vsu
ad infinitum blandien te. Easdem & balnearum suspensurasdixitSeneca. Et ValeriusMax.impen
faleuibusinitijscępta,suspensis calidæaquæ balneis. Vnde fiiam mente co
cipiasvidere hominem inbalneo Pensili,velęgritudine debilem,vel volu
ptuofævitæ,çuiusdulcitepore,acleniiactaræ,& nęnijs,& dulciconcentu
tibiarum,somno& quietiindulgeretur, iamnihilpoterisexcogitaresuauius.
Leftuli non Ex quibus intelligitur, neque lectulorum ritum in
publicisextitisse: sed ho erấtin Therrumquoq;, vt Pensilium balnearum, priuataratio
effedebuit, maximèegris. mis. Vtensilia in Neque particulariumquorundam
vtensilium,quorum in balneis aliquando xandrinusPedagogij lib.3. cap.5. consueuiffe
nobilesante ferreadbalneasva sainnumerabilia, aurea,atqueargentea, quorum
hęcquidem adlauandum, illa ad vescendum, alia ad propinandum. Quin etiam
carbonum craticulas, Syndones. &cathedras. Syndonestergendosudoripræparatas,
maximèægris,memi-. nusfitpedesdenos, vtgradusinferiorindeauferat,&
puluinusduospedes. Labrainvr-Hactenus Vitruuius. Quare, vtarbitror, labraistalapidea,
quæmultavide bemarmo-muspervrbemmaxima, vicenos& ampliuspedeslongitudine, erantfortaf-40
s e i n priuatis balne s. Vel aliqua fort af f e in Thermis ad magnificentiam
potius operis, ac ornamentum, quàm advsum. Alioquia d publicum vsum nó
videolocum,nequeadeofuiffevidenturcapaciapopulo. Pofteàvitroquæ dam extructafuiffeconftat.
Pauimentorumautem, ac Lythoftrotorum, quibus alveos, atque ipsas cameras
adornabant, luxus erat inæstimabilis. Quod certe inuentum Agrippæ tefte Plinio
lib. 36. cap. 25. In Thermis, inquit, quas Romæ fecit Agrippa, figlinum opus encaustopinxit,
in reliquis albarioador Sufpenfabal nea, Thermis. mentio fit, quæ pueris
voquisque domino ad balneum ante ferebant. Ut de strigili, quo sudore in detergebant;meminit
Persius eocarmineIronico. Strigiles Ipuer,& Strigiles Crispiniadbalneadefer.
Inęgristamen prostrigilibus,quierantvelofsei,velferrei,velargentei,spon
giavtebantur,Galeno testex.Metho. Idgenuserat& Guttus,quodLe
cythumquoquelegitur, inquoferuabanturoleuni,velaliavnguenta præ 20 30 rea,
ciosa ad balneum. Hydriæ, pelues, alabastri, aliaqueid genusvasa, exau
Vasaaurea.ro,argento, ferro, velinterdum lapidibusquibusdam. Refert Clemens Ale
Labra, nit Galenusx. Methodi. Labraautem ex Vitruuio,& vestigijsipsorumal
ueorum videntur fuiffe extructa in cameris signino opere, atque albario: sic
enimlegiturlib.5.cap.1o. Labrumsubluminefaciendum videtur, nestan tes circumsuisvmbriso
bscurentlucem. Scholasautem labrorumitafieri oportetspaciosas, vtcùm
prioresoccupauerintloca, circumspectantes reli quirectèftare poffint. Aluei autem
latitude inter parieten & pluteumnemi nauit. O nauit. Non dubi èvitreas
facturus cameras, fipriusi dinuentum fuisset. Libro
autem3.cap.12.visasolimscribitBalineasgemmis,acargentostraras,vtnevitres ca
vestigio quidem locus esset. Argento fæminas lauari solitas, argenteis folijs,
meræge m Afiaticori sum missem perin delicijs fuisse apud omnes nationes oftenditur,
hanc par mirans, hydrias, pelues, vnguentorum odores, & alabastros, cunctaauromaditißimg
20 lita, ac miro ornamento instructa; ad socios conuersus, & quasi nimiunı
il DeritibusantiquisinThermisvrbis. Primis ergoThermarum,ac Palæstrarum
institutis,jam partium earum principalium distinctiones,necnon requisitaad
earum vsum magis necessaria tetigimus. De Ritibus verò in eis, atque ordine
publicaemolumentum, quoniam per hæc oblectamenta, assiduafiebatin gymnasijs frequentia,acvarijs,quasdiximuscorporisexercitationibus
af suefiebat iuuentusad armorum industriam,vnde faciliùs posset militiæ labo
res,quando hæc erantprimailliusfeculiftudia, sustinere. Hûc accesserat&
alia causa, quoniam qui tepidescere quodammodo ab honeftis conatibus
cepiffent,perhas delicias retrahebaturà vitijsanimi, sicqueocium, quod
eftomnium malorum fomes, tollebantur, feditionesarcebantur, & omnes populares
corruptelæ. Ex quibus triainter communes ritus videnturesse manifesta. Primùm si
vetustam illam verecundiam, ac Romanum decusrespicias, summam
inThermishonestatemfuisseferuatam. Simaiestatempopu li,omnia ineis fuisse magnifica
& splendida, velutidiximus, & quæ nolentes allicerent, atque etiam
traherent. Sid enique communem causam. Communem, ac liberum earum vnicuique fuiffe
usum. Erat autem hæc balnea- Thermecó. Rum condition communissima, vt singuli balneum
ingressuri Quadrantem solmunes. Uerent balneatori. Quod planèali quæpræclaræ declarant
authoritates: pri Quadrantis mùm M. Tullii pro Cælio, vbi quadrantariam vocat permutationem
balnea em concludam. Asiaticos durante suo imperio luxuofiflimos fuisse, acexeis
Thermalu A Fines, etvti &, probrisseruisse. Pauper fibiquisquevide
eandeinque materiam & cibis seexercentium,aclauationum,haudmirum est hæc instituta
semper maioré mis,acar litatesprin habuisseprogressum;siconsideremus non folùm
hincvitæ cip.iles Ther 30 seruare consueuiffe, fanitatem elegantiam eos, &
roburcorporis;sedquod maius eftinre ز gëtostratę. Baturacsordidus (scribit Seneca
ad Lucillum) nisiparietes balnearūmagnis, a c preciocis orbibus refulsissent.
Alexandrina marmor a Numidicis crustis distincta, operose vndique, &
picturæmodo variataçircunlitio, Vitroconditæ cameræ. Aquainper argenteaeffundebantepistomia,
& adhuc (inquit) ple beiasfiftulasloquor. Relinquocum
hisstatuasillicęternitatidestinatas, operatectoria,picturas, speculariorumlapidumluxus,
quiantècameras præbe bantlumina, & columnarn mingentium numerum, alia quetantioperisor
namentasinefine. Atque hocvnotantùm Plutarchiexemplo,quobalneas primùm ad Gręcos,
& exindeadRomanos huncmorem balnearumema nafse,apud veterum
historiarummonumenta clarum est. Cùm ergo Alexa der Magnusdeuicto Dariorerumtandem
Persię, ac imperijeius potitusesset, balneumque, vt sudorem pugnæ leuaret, ingrederetur;
aquarum ductusad-Darij Ther ludens luxum, Hoccine (inquit) imperare erat. Torifieri
solitam. Indicat & cocarmine Horatius, folutio. 1. Saty.3. Qq dum
xuofiffima. Nuditas in Redde pilam,sonatæs Thermarum,luderepergis? Verecundi
ase nudum quisque in balneas exhibere,& etiamin exercitationes. Cuiusreiinteraliafidem
faciuntstatuæ, præsertimvirotum,inqui bus videtur minuere potuisse corporis
gratiam, ac venustatem, si non pudenda etiam fimpliciterenudataessent.
Nonnullitameninterexercitationes,
autfuccinctafibulaprodiresolebant,autsubligaculis,quæ & subligariavo nihil
foluiffe videntur:teste Iuuenali Satir.2.d. Nec pueri credunt, nisiquinondum
ærelauantur. Quorum tamen priuatafieret lauatio, hora extraordinariaquæeratpoftde
cimā, ij pluri precio lauabant, quod indicate o carmine Martialis lib. 10.
Balneapostdecimanılafo, centumq; petuntur Quadrantes, &c. incommunitamen gaudio,
erataliquandohocmunus interalia Principum, ut gratis lavaretur. Antonini Pij exemplo,
quem balneum sinemercede prestitisse, meminitIul. Capitolinus. Sive ergo proveter
iinstituto, fiueproso Sub ligaculo cabant. AuthoreM.Tullio1.offi.Scenicorum
mostantamhabetveterisdi rumvfus. Sciplinæ verecundiam, vtin Scenasinesubligaculo
prodeat nemo. 40 Tecta tamen non hac,qua debes partelauaris..promi-Cæterùm cum haclicentiabalnei,videturdiuadmodum
perdurassemulie. Eal. Mulierum verecundiam,quænon
promiscuècumvirisintrarentinbalneas,nisi perabusum.Hinctotpriuatarum balnearumnumerus.Etquædam
viden uerecunda. Subligar. E.. dum tuquadrante lauatum 14.annum, Lauari.
Cædere Syluano porcum, & quadrantelauari. Pueri tamen antè Fibula. Bal
Rexibis,&c. Vituperanseum Principem, quivtvnusdemultisqua drāte lauaretur.
Idem Iuuen.authoritate confirmatur in 6.ybi mulieres quas damarguit impudentiæ,
quæ communiter cum viris auderent, inquit ips e,
lutamercede,hocmanifestumest,commune,acperpetuum fuissein Ther Locai Thermis
indultum,vtlocus inbalneo, cuicunque tam primati,quàm plebeio co mis commu
munis esset, atque indifferens. Ex quo intelligitur Tertulliani similitudo nia.
aduersusMarchionem, QUASI LOCVS IN BALNEIS: quiavidelicetnul li e x merito datur,
nectollitur locus in balneis, iam gratuito constitutis, & T intinnabu - ad
usum publicum. Erant autem tintinnabula in Thermis summo quo p i a m fasti gi
oposita, fære factitio conflata, quorum sonitu populum, sicut i h o d i e
adfacra; conuocari lauandihoraeratsolitum.Tintinnabuluminter Xenias exhibuit Martialis,
eo disticho. Virgine visfolalotusabire domum? Facitadeandem licentiam Suetonijauthoritas,
D. Titum Cæs. admissaple Secum plebebenonnunquamin Thermissuis lavisse. Et Aelij
Spartianialia, Hadrianum Cæs. tamprobatævitæ, publicè frequenterselauiconsueuiffecum
multis, verecundia etiam priuatis. Inuafiffe enim consuetudo videtur,ex
affiduis il lisexercitijs, inbalneis. vndefolutohabitu, acseminudiplerunquehominesdegebant,vtnonesset
Idem affirmatquodamloco Clemens Alexandrinus de athletis et martialis si pudor
est, transfer subl igar in faciem. 10 la. Reges lauif. invil. bres. uaret.d.
Dum ludit media populospectantepalæstra Delapsa est misero fibula verpus erat.
Et lib.3. Chionemnotat verecundiæ, quæmuliebriainbalneis contectala tur publicæ
fuisse muliebres, ut Agrippinæ Augustæ Neronis matris. Olym piadisitem balneæ in
Suburra. EtquastransTyberim, quasiextràconspe čtum hominum habuisse Ampelidem,&
Priscilianam ex P.Victorerecensui mus. Conqueritur hac de caussa insuis Amatorijs
Propertiusnon eam esse tum Romanis virginibusin balneis libertatem, quibuscum
more Spartano publice liceretcertare, & lauari, hisversibus. Sed magè virgine
itot bona gymnasij. Quòd noninfamesexercetcorporelaudes cepsbeneinstitutę Reip.lapsus)
totossingulisdiebuslauaricepisse.Invniuer 20sum, qui cunquein exercitijsfuis, autlaboribusdefatigatieffent,vixfanam
vitam putassent, nisibalneasstatimintrarent, vbisudoré,fordespulueremq;
detergerent,acintotum semolliaquarumfoturecrearent. Quoplanèfit, ve Septiesquos
dam lauari. mirumessenondebeat, nequeluxuiadscribendum,quodquidamsepties eadem
dietum lauari consueu erint, quod Plinius in primis refert. Ac posteri scriprores
Commodum Cęf. et Gordianum idasseruntfactitasse. Sicenim intelle
xêrequotienscunqueexercerentur,laffitudinisacrefrictionisvitarepericula,
obstructionestollere,cutis afperitateinlenire, faciei,manuum,ac vniuersi
corporis decorem conciliare. Erant tamen lauandi horæ constitutæ. Scribit
Lauandiho I ul. Capitolinus antem Alexandri Severi tempora numquam Therinasantèau
30 roram apertas fuisse, & semper antè solis occasum claudi consueuiffe.
Communiterv erò lauandihora erat a meridie ad vesperum, quando, inquit Vitruvius,
maxime calidæ auræ a spirare incipiunt. Cuiomnesaliæ authoritates consentiunt.
Hadrianus Cęs. (inquit Aelius Spartianus) ante horam octauam inpublico neminem,
nisiçgrum, lauaripassus est: quod erat duashoras poftmeridiem.Vbi operæ præciumest
Horarum apudantiquosHorologiri rationemhabere,quidiemartificialem
quolibetannitemporedistinguebanttusapudan horisduodecim, &no&tenipervigilias.
Horæergoerantinęquales, maiorestiquos. estate, quialongiorestuncdies; minoreshieme,
& proportionecæteristem poribus.Haud tamen intelligendumest cosà
prandiovsosbalneis fuise: Prădijetcę Nam communiter vir Romanus impransus, autientaculo
tantùm primoma-navfus. nerefectus,bonam dieipartemimpendissetnegocijs:mox
àmeridie,àsexta nimirùm ad decimam horam,exercitijs & balneo;à balneo autem,circa
vi gesimamscilicet& secundamhoram,cenabatopiparè.Quam dieiatqueho rarum
partitionemconquisitèin eo Martialis epigrammate comprehensam habemus.
Primasalutantes, atquealteracontinethora, Exercet raucos tertiacausidicos.
Martialis ma 10 CO, Multa tuæ Spartemiramur iura Palæstræ, Inter
luctantes n uda puella viros. Refert Plutarc husinterlaudabiles Catonisillius
Cenforij mores,hocsum- verecundiă ma:laudiilicefliffe,
quodcùmfilionunquàmlauisset. Imò Val. Max. fcribitinterafines. Deinstitutis antiquis,
necpatercum filiopubere, necsočercum generis lauabatur. Quia interista fancta Vincula,
non magis quàm in aliquo sacra tolo nudaresenefasessecredebatur. Sed transeamusiamadeosritus,
qui com inunivsuretinebanturin Thermis. Perinitia institutihuius, narratSenecaad
Lucillum consueuifseveteresquotidiebrachia,& cruralauare, totosnundi
nisfolùm. Cæterùm poft Magni Pompei ętatē (cuiusmemoria notatur præ ra. Qa ij
Ad quintam variosextendit Roma labores, Sexta quieslafis,septimafiniserit.
Sufficitinnonam nitidisoctaua palæstris, Imperat extructos frangerenonatoros.
Hora libellorum decimaest Euphememeorum, Temperatambrosias cùm tuacuradapes.
Octavam verò dieihoram fuisselauationibus propriam,tùm publica,tùm pri M.
Tullius, uata testantur exempla. M. Tullius scribit ad Atticum de Cesare:
Ambulavit inquitinlittore,pofthoram octauamin balneum, vnctusest,
accubuit,edit, bibitq;opiparè. Horam & distinctionem temporum
aliquamadnotamusex Galenus, Galeno v.deSa.tuen.d. Antoninus Imp. cognomento
Pius, ad curam corporis promptifsimus, subbrumabreuibus, f.diebus, sole
Occidente in palestram ingressus, sub indeole operun & tus lauarierat solitus:
in Solstitio autemhora Thermehie-nona, autfummumdecima. Porrò quod legitur apud
aliquos authores,Ther males, eteftimasaliquasfuise Hiemales,
aliquasAestiuas;hæcnoneratcommunisom niumdistinctio,sedquarundam
àcertocoelisitu dispositio. QualesHiema lesfecissetraditVopiscusAurelianum Cæs.in
Transtyberina regione; nimi rum ad meridiem expositæ,apertè solis fouebantur
aspectu, itaq; ad hie males exercitationes aptissimæ. A e quaratione A estivas
in Gordiano Iunior e meminitIul. Capitolinus, quæ in opaco fit uinter montem
Celium & Esqui Bal.vfuspe-lias,gratas estate exercitationibus præftabant
vmbras. Alioquî penes anni nesannitem tempora, vix vllaeratlauandidistinctio, sedbenèpersonarum.
Nam qui cun que lavabantura d exercitium, in differentert am hiem e, quam
estate lauissent, quando cunquescilicetexercerentur.Sanitatisverò&
mundicieicauf sa:quandocunque opusfuisset,velad priuatamcuique consuetudinem,
vt de Telep o Grammaticom e m i n i t Galen. v. de San. t u. qui lauari
consueverat hieme bis mense, estate quater,medijs verò temporibus ter. Et de
Primigene quodam philosopho, quiquadienonlauisset, febricitabatomnino. Adde
liciasautemac voluptates,velme tacente, priuataquoqueratio essedebuit, 30 &
citràvllamaut regulam, autmensuram. Vnde Meridianælauaționes le Lychniinguntur,
atqueetiam antemeridianę,& vespertinæ. Necnon Medicine introductio.
xi,trimixi,polymixi, idest angulorum & luminum,vnius, duorum,trium,
plurium, Devrilitatibus Balnearum esquandoprimum Dalnceinvfum Medicinavenêre.
seruatur;nonaliam legimusfuiffeRome Medicinamsexcentisannis, quàm balnea. Quod
teftatur Pliniuslib. 29.cap.1. Receptos primùm è Græcia Medicos L.Aemilio,
M.Licinio Coff.vxxxv.VrbisRomæ anno. Quádoqui dempetrarierant, nisiquiob
cæliinclementiam crassarenturmorbi.Nam quæ exmalovitæregimine, acextermis
causiseuenirep.
Andrea Baccius. Andrea Bacci. Keywords: i bagni dei romani, De thermis –
thermal baths – philosophy of thermal baths – implicatura ginnastica – le xii
pietro pretiose – storia naturale del vino, bacco – terme romane – il vino e la
filosofia, bacco ed Apollo, le xii pietre pretiose per ordine di dio I sardio
II topatio III smeraldo IV barconchio IV saphhiro VI diaspro VII lingurio VIII
agata IX amethisto X berillo XI chrisolito XII onice – tevere, le tibre au
louvre, i vini. Thermopolium romanum – illustrazione – incisione terme romanae
– natatio – piscina – ginnasio, mercurial, arte ginnastica. -- Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Bacci” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Badaloni – colloquenza –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Livorno). Filosofo Italiano. Grice:
“I like Badaloni; he never took the ROMAN story of philosophy – I say story
since history, as every Italian knows, is too pretentious! – seriously until he
had to teach it! “Storia del pensiero filosofico – l’antichita’ is my favourite
– because he does his best to understand Plato’s pragmatics of dialogue as
misunderstood by Cicero!” -- Nicola
Badaloni, Sindaco di Livorno Durata mandato19541966 PredecessoreFurio Diaz
SuccessoreDino Raugi Nicola Badaloni (detto Marco) (Livorno). filosofo. Di
spiccate convinzioni marxiste, è stato uno studioso di Giordano Bruno, Tommaso
Campanella, Giambattista Vico, Karl Marx, Antonio Gramsci. All'attività di ricerca e di docenza presso
l'Pisa, dove è stato Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia e ha occupato
dal 1966 e per molti lustri la cattedra di Storia della filosofia, Badaloni ha
affiancato un'imponente attività politica nelle file del movimento operaio,
ricoprendo per molti anni la carica di sindaco di Livorno (dal 1954 al 1966),
di presidente dell'Istituto Gramsci, nonché di membro del Comitato centrale del
PCI. I suoi contributi storiografici, salutati fin dall'esordio
dall'apprezzamento di Benedetto Croce hanno messo in luce autori considerati
minori e pensatori inattuali (Niccolò Franco, Gerolamo Fracastoro, Giovanni
Battista Della Porta, Herbert di Cherbury, Antonio Conti) rinnovando
radicalmente, attraverso una collocazione nel contesto storico, grandi figure
viste dalla storiografia idealistica precedente come immerse in una «solitudine
metastorica». Storicismo e filosofia Nella
presentazione dell'ultima pubblicazione di Badaloni nel 2005, Remo Bodei ha
sostenuto che il marxismo, lontano da ogni vulgata, conserva, per lo storico
della filosofia toscano, la sua capacità di strumento di comprensione del
mondo, di erogatore di energie di cambiamento, di guida per lo sviluppo di una
prassi razionale, ancora validi dopo le esperienze del cosiddetto
"socialismo realizzato". Badaloni ha incessantemente ricercato un
legame, nella storia, tra pensiero e azione sociale e sviluppato uno storicismo
di impronta marxista che raccordasse autori lontani nel tempo (come Giordano
Bruno, Gian Battista Vico, Antonio Labriola), ma accomunati dalla tensione al
rinnovamento e alla trasformazione progressiva degli assetti sociali in una
data situazione storica determinata. Così come c'è alterità profonda, ma non
rottura senza legame, tra Hegel e Marx e similmente tra Croce e Gramsci. Altre opere: “Retorica e storicità in Vico”
-- “Inquietudini e fermenti di libertà nel Rinascimento italiano” (ETS, Pisa);
“Appunti intorno alla fama del Bruno”; “Introduzione a Giambattista Vico,
Feltrinelli); “Marxismo come storicismo, Feltrinelli); “Tommaso Campanella”
(Feltrinelli, 'Istituto Poligrafico dello Stato); “Conti. Un abate libero
pensatore tra Newton e Voltaire” (Feltrinelli); “Il marxismo italiano degli
anni Sessanta” (Editori Riuniti); “Labriola politico e filosofo, sta in Critica
marxista, Roma); “Per il comunismo. Questioni di teoria, Einaudi); “Fermenti di
vita intellettuale a Napoli dal 1500 alla metà del 600, sta in Storia di Napoli, Società Editrice Storia di
Napoli); “Cultura e vita civile tra Riforma e Controriforma” (Laterza); “La
storia della cultura, sta in Storia d'Italia, III -(Dal primo Settecento
all'Unità), Einaudi); “Il marxismo di Gramsci. Dal mito alla ricomposizione
politica, Einaudi); “Libertà individuale e uomo collettivo in Gramsci, in
Politica e storia in Gramsci, F. Ferri,
1, Roma, Editori Riuniti-Istituto Gramsci); “Labriola, Croce e Gentile”
(Laterza); “Dialettica del capitale, Editori Riuniti); “Gramsci: la filosofia
della prassi, sta in Antonio Gramsci. La filosofia della prassi come
previsione, in Hobsbawm, E. H., Storia del marxismo” (Torino, Einaudi); “Teoria
della società e dell'economia in A. Labriola, I e II, in Dimensioni”; Forme
della politica e teorie del cambiamento. Scritti e polemiche” (ETS); Movimento
operaio e lotta politica a Livorno”; “Democratici e socialisti in Livorno”
(Nuova Fortezza); “Filosofia della praxis, sta in Gramsci. Le sue idee nel nostro tempo,
Editrice l'Unità); “Labriola nella cultura europea dell'Ottocento, Lacaita); “Il
problema dell'immanenza nella filosofia politica di Antonio Gramsci, Quaderni
della Fondazione Istituto Gramsci Veneto, Venezia, Arsenale); “Giordano Bruno.
Tra cosmologia ed etica, De Donato); “Laici credenti all'alba del moderno. La
linea Herbert-Vico, Le Monnier-Mondadori); “Inquietudini e fermenti di libertà
nel Rinascimento italiano, Edizioni ETS, Pisa, Nicola Badaloni è inoltre
coautore di due importanti manuali:
Storia della pedagogia, (Laterza); “Il pensiero filosofico. Storia.
Testi. Per le Scuole superiori” (Signorelli Editore). Notizia della morte sul
settimanale Macchianera, su macchianera. Giuliano Campioni, Addio a Nicola Badaloni,
uomo politico e maestro di filosofia, Athenet, Sistema bibliotecario di ateneo,
Pisa. La lezione di Nicola Badaloni di Giuliano Campioni, professore del
Dipartimento di Filosofia dell'Pisa, 20 gennaio,, in Pisanotizie. Nicola
Badaloni, in TreccaniEnciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Predecessore Sindaco di
LivornoSuccessoreLivorno-Stemma.svg Furio Diazdal 1954 al 1966Dino Raugi90637957
Filosofia Politica Politica Categorie:
Politici italiani del XX secoloPolitici italiani del XXI secoloFilosofi
italiani del XX secoloFilosofi. Nicola Badaloni. Keywords: colloquenza, la
retorica di Vico. La storia di Vico, storia e storicita, campanella, lingua
utopica. Bruno, Campanella, Gentile, Croce, Labriola, Gramsci. badaloni — implicatura vichiana — libero — biologia
filosofica telesio — vallisneri — lingua
utopica di campanella — “retorica e storicità” — laico — bruno — comune —
comunismo — marchetti — vignoli —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Badaloni” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Baglietto –
dialettica – filosofia italiana – filosofia ligure – Luigi Speranza (Varazze). Filosofo
italiano. Grice: “I like Baglietto; unlike me, he was a consceinious objector,
but then we were fighting on different camps! I love the fact that his first
tract is on ‘il problema del linguaggio’ in Mazzoni – but then he turned from
‘la bella lingua’ to Dutch! And specialized in Kant, but most notably Heidegger
– ‘mitsein und sprache.’ But he also wrote on ‘eros’ and ‘love,’ – which is
very Platonic of him! And of me, since the ground for my theory of conversation
is on the balance between what I call a principle of conversational self-LOVE
(or egoism, if you mustn’t) and a corresponding principle of conversational
OTHER-love (or altruism, if you must, since I prefer tu-ism – ‘thou-ism’).” Claudio
Baglietto (Varazze), filosofo. Di
origini modeste, dopo gli studi liceali presso il Liceo "Chiabrera"di
Savona, studiò Filosofia all'Pisa e si perfezionò presso la Scuola Normale
Superiore di Pisa, allora diretta da Giovanni Gentile. Baglietto fu assistente
del filosofo Armando Carlini. Negli anni pisani sviluppò idee di riforma
religiosa e morale, in contrapposizione al Cattolicesimo e al Fascismo. Insieme
ad Aldo Capitini, Baglietto organizzava riunioni serali in una camera della
Normale, cui partecipavano giovani studenti, divenuti in seguito affermati
intellettuali, come Walter Binni, Giuseppe Dessì, Carlo Ragghianti, Claudio
Varese. Così Capitini ricordava l'amico
nel suo saggio Antifascismo tra i giovani (Trapani, 1966): "era una mente
limpida e forte, un carattere disciplinato, uno studioso di prima qualità, una
coscienza sobria, pronta ad impegnarsi, con una forza razionale rara, con
un'evidentissima sanità spirituale. Cominciai a scambiare con lui idee di
riforma religiosa, egli era già staccato dal cattolicesimo, né era fascista. Su
due punti convenivamo facilmente perché ci eravamo diretti ad essi già in un
lavoro personale da anni: un teismo razionale di tipo spiccatamente etico e
kantiano; il metodo Gandhiano della noncollaborazione col male. Si aggiungeva,
strettamente conseguente, la posizione di antifascismo, che Baglietto venne
concretando meglio. Non tenemmo per noi queste idee, le scrivemmo facendo
circolare i dattiloscritti, cominciando quell'uso di diffondere pagine
dattilografate con idee di etica di politica, che continuò per tutto il periodo
clandestino, spesso unendo elenchi di libri da leggere, che fossero accessibili
e implicitamente antifascisti. Invitammo gli amici più vicini a conversazioni
periodiche in una camera della stessa Normale [...]". Ottenuta nel 1932 una borsa per perfezionarsi
presso l'Friburgo in Germania, dove allora insegnava Heidegger, in coerenza con
i suoi ideali di nonviolenza incompatibili col Fascismo, Baglietto decise di
non rientrare più in Italia e rinunciò alla borsa, cosa che scandalizza Gentile
(che aveva garantito per lui presso le autorità per il visto). Anche Delio
Cantimori criticò animatamente la scelta di Baglietto, in particolare nel suo
carteggio con Aldo Capitini e con Claudio Varese, accusando i colleghi
normalisti dissidenti dal Fascismo di mancanza di senso di realismo politico,
nonché di senso dello Stato (fu poi lo stesso Cantimori ad avvisare Gentile della
morte di Baglietto). Lasciata Friburgo,
Baglietto si trasfere quindi a Basilea, dove visse da esule, proseguendo gli studi
e dando lezioni private. Morì nel 1940:
è sepolto nel cimitero di Basilea. Il
cammino della filosofia tedesca dell'Ottocento, “Annali della Scuola Normale di
Pisa”, Scritti religiosi. Antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); "Kant
e l'antifascismo", in Claudio Fontanari e Maria Chiara Pievatolo,
Bollettino italiano di filosofia politica, Pisa, Ospitato su
archiviomarini.sp.unipi. (Saggio inedito di Baglietto, composto a Basilea e da
anni depositato nell'Archivio Marini dell'Pisa) Note. A. Capitini,
L'antifascismo tra i giovani, Celebres, Trapani); Chiantera Stutte, Delio
Cantimori. Un intellettuale del Novecento, Carocci, Roma, che rinvia
soprattutto a Simoncelli, La Normale di Pisa. Tensioni e consenso; Franco
Angeli, Milano); Scritto pubblicato postumo Aldo Capitini. Aldo Capitini Mahatma Gandhi Nonviolenza Claudio Baglietto e la questione morale -- "Phenomology Lab", 2 giugno,.
Claudio Baglietto, Kant e l'antifascismo di Claudio Fontanari, nel sito "Archivio
Marini". Filosofia Università
Università Filosofo Professore1908 1940 Varazze Basilea Nonviolenza Antifascisti
italiani Studenti dell'Pisa. Claudio Baglietto. Keywords. dialettica,
filosofia ligure, baglietto — il kantismo di heidegger — manzoni — filosofia
dell’amore — dialettica — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Baglietto” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Balbillo – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza.
Filosofo italiano. Tiberio Claudio Balbillo. A man of learning, he was much
admired by Seneca. He was the personal philosopher of Nero and wrote a long
book on astrology.
Grice e Balbo – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza.
Lucio Lucilio Balbo. L. Lucilio Balbo, scolaro di Q. Mucio Scevola Pontefice, e
soprattutto un giurista. I shall say
but little of some other Balbus's, mentioned by ancient Authors. Lucius Lucilius Balbus, disciple of Mucius
Scavola, and preceptor of Servius Sulpitius, was an excellent Lawyer. Cicero says, that Servius Sulpitius did
exceed his master, who, by the addition of a mature judgment to his learning,
was fomething slow, whereas his disciple was quick and expeditious. Balbus's writings are lost, to which perhaps
his disciple Servius Sulpitius did not a little contribute, by inserting most
of them in his own.
Grice e Balbo – Roma – filosofa italiana – Luigi
Speranza
(Roma). Filosofo italiano. Lucio Cornelio Balbo. Member of the Porch. Consul.
Friend of Cicero, who successfully defended him in a legal action. Comments
made by Cicero suggest he was a member of the Garden.
Grice e Balbo – Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza.
Filosofo italiano. Lucilio Balbo. Q. Lucilio Balbo è chiamato stoico da
Cicerone, che nel "De natura Deorum," gli assegna l’esposizione delle
dottrine teologiche stoiche. Ivi Q.
Lucilio Balbo dichiara di avere familiarità con Posidonio. Antioco d'Ascalona dedica a Q. Lucilio Balco
un’opera. Secondo Cicerone, L. Lucilio
Balbo e pari ai più insigni stoici.
Quintus Lucilius Balbus (fl. 100 BC) was a Stoic philosopher and a pupil
of Panaetius. Balbus appeared to Cicero
as comparable to the best Greek philosophers. He is introduced by Cicero in his
dialogue On the Nature of the Gods as the expositor of the opinions of the
Stoics on that subject, and his arguments are represented as of considerable
weight.[2] His name appears in the extant fragments of Cicero's Hortensius, but
it is no longer thought that Balbus was a speaker in the dialogue. Cicero, De
Natura Deorum, i. 6. Cicero, De Natura
Deorum, iii. 40, De Divinatione, i. 5.
Griffin, Miriam (1997). "Composition of the Academica". In
Inwood, Brad; Mansfield, Jaap (eds.). Assent and Argument: Studies in Cicero's
Academic Books. Brill. This article incorporates text from a publication now in
the public domain: Smith, William, ed. (1870). "Balbus, Q. Lucilius".
Dictionary of Greek and Roman Biography and Mythology. This ancient Roman
biographical article is a stub. You can help Wikipedia by expanding it. This biography of a philosopher from Ancient
Greece is a stub. You can help Wikipedia by expanding it. Categories: 1st-century BC
philosophersPhilosophers of Roman ItalyRoman-era Stoic
philosophersLuciliiAncient Roman people stubsGreek philosopher stubsAncient
Greek people stubs GRICE E BALBO We must
not, as Glandorpius has done, confound this Balbus with *Quintus* Lucilius
BALBUS, the philosopher, and one of Cicero's interlocutors in the books de
Natura Deor. A member of the Portch. Cicero uses him as a spokesmn for the
Porch in De natura deorum.
Grice e Baldini – il
linguaggio – filosofia italiana – Luigi Speranza (Greve).
Filosofo Italiano. Grice: “I like Baldini, but more so does Austin! In his
collection of ‘lessons’ (lezioni) on ‘filosofia del linguaggio’ (not just
‘sematnica’ or ‘semiotica’) for the distinguished Firenze-based publisher
Nardini, he deals with Austin, but not me!” Grice: “Baldini fails to realise
that I refuted Austdin – when Baldini opposes ‘filosofese,’ I am reminded of my
non-conventional non-conversational implicata – and Austin’s less happy idea of
a felicity condition for a perlocutionary effect!” Grice: “But what I like
about Baldini is that being Italian, he refers to ‘amore’ in his ‘natural’
history of AMicizia – which is all that my conversational pragmatics is about:
Achilles and Ayax must share a lot of common ground to be able to play the game
of conversation, and they do!” -- Massimo Baldini (Greve in Chianti), filosofo.
Si è dedicato in particolare alla filosofia della scienza e alla filosofia del
linguaggio. Figlio dello storico Carlo Baldini, laureato in Pedagogia presso
l'Università degli Studi di Firenze nel 1969, nel 1970 è stato nominato
assistente incaricato di Filosofia; l'insegnamento era tenuto da Dario
Antiseri) presso la Facoltà di Magistero dell'Università degli Studi di Siena.
Nel 1975 è diventato professore incaricato di “Storia del pensiero scientifico”
presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università degli Studi di
Perugia. Nel 1980 ha vinto il concorso di professore di prima fascia di
“Filosofia del linguaggio” ed è stato chiamato dall'Bari alla Facoltà di
Lettere e Filosofia. Ha insegnato anche presso l'Università degli Studi di Roma
“La Sapienza” nella Facoltà di Medicina. È stato direttore del Dipartimento di
Filosofia e dell'Istituto di Filosofia presso la Facoltà di Scienze della
formazione all'Università degli Studi di Perugia e direttore della sezione di
Storia della medicina del Dipartimento di Patologia presso l'Università degli
Studi di Roma “La Sapienza”. Nel 1999 è stato chiamato dalla Libera
università internazionale degli studi sociali Guido Carli di Roma per coprire
la cattedra di "Semiotica". Qui ha insegnato anche “Teoria e tecniche
del linguaggio giornalistico e radiotelevisivo”, “Semiotica dei linguaggi
specialistici”. Presso la LUISS ha inoltre rivestito numerosi incarichi
accademici: preside della Facoltà di Scienze Politiche (da giugno 2007);
coordinatore del corso di laurea magistrale in “Comunicazione politica,
economica e istituzionale”, direttore della Scuola superiore di giornalismo, e
direttore del Master di primo livello in “Economia, gestione e marketing dei turismi
e dei beni culturali” (dal 2004). In precedenza, è stato vice preside della
Facoltà di Scienze Politiche, direttore del Dipartimento di Scienze storiche e
socio-politiche, direttore del Centro di ricerche sulla comunicazione. Tre sono
stati gli ambiti di ricerca che più di altri Massimo Baldini ha coltivato: la
filosofia della scienza (con una particolare attenzione al pensiero
dell'epistemologo Karl R. Popper, di cui ha curato anche alcune opere in
edizione italiana), la filosofia del linguaggio, la semiotica della moda. A
partire dagli anni Settanta, Massimo Baldini ha dedicato numerosi lavori
all'epistemologia contemporanea, cogliendone le possibili applicazioni alla
medicina, alla storia della scienza, alla pedagogia e, infine, alla filosofia politica.
Parallelamente, ha rivolto i suoi interessi anche alla storia della scienza e,
in particolare, alla storia della medicina. Un'attenzione particolare è stata
dedicata ai nessi che intercorrono tra l'epistemologia e la filosofia della
politica: sulla scorta delle riflessioni popperiane, ha riletto il pensiero
utopico sia nella sua dimensione storica che in quella teorica. L'altro
grande interesse filosofico di Massimo Baldini è stata la filosofia del
linguaggio. In particolare ha studiato le tesi dei semanticisti generali, un
movimento nato negli Stati Uniti tra le due guerre mondiali e di cui si era
occupato per primo in Italia negli anni Cinquanta Francesco Barone. L'interesse
per la filosofia del linguaggio si è declinato anche in chiave storica: e alla
storia della comunicazione Massimo Baldini ha dedicato numerose opere. Inoltre,
gli studi sulla filosofia del linguaggio si sono incentrati sull'analisi di
alcuni linguaggi specialistici: quello della pubblicità, quello dei mistici,
quello della pubblica amministrazione, quello dei giornalisti, nonché il tema
correlato del silenzio. Tutti questi linguaggi, sono stati studiati nelle
prospettive dell'oscurità e della chiarezza, e dell'oggettività (soprattutto
con riferimento al contesto dell'informazione). La biblioteca
comunale "Carlo e Massimo Baldini" di Greve in Chianti A partire
dalla fine degli anni Novanta, infine, gli interessi di Massimo Baldini si sono
incentrati sul tema della moda, che egli ha studiato dal punto di vista storico
e semiotico, e nelle diverse componenti della moda vestimentaria e della moda
capelli. Tutta l'attività di ricerca di Massimo Baldini è confluita in numerose
opere individuali e collettive, curatele, introduzioni e prefazioni a testi
italiani e stranieri, traduzioni, nonché nella collaborazione stabile con
alcune case editrici e riviste scientifiche. In particolare, presso l'editore
Armando (Roma) ha diretto le collane Temi del nostro tempo, I maestri del
liberalismo, Moda e mode, I linguaggi della comunicazione; presso l'editore
Rubbettino (Soveria Mannelli) la collana Biblioteca austriaca (con Dario
Antiseri, Lorenzo Infantino e Sergio Ricossa). Menzione a parte merita
poi il ricordare che Baldini è stato ed è rimasto nel corso dei decenni un
grande estimatore e diffusore dell'opera del concittadino grevigiano Domenico
Giuliotti, il "poeta-mistico" o "profeta" Giuliotti,
del quale il nostro ha riedito alcune delle sue maggiori opere per lo più per
conto delle edizioni Logos di Roma, oltre a dedicare al medesimo alcune
raccolte di saggi come "Il più santo dei ribelli. Scritti su Domenico
Giuliotti" oppure "Giuliotti. Cristiano controcorrente" (ed.
EMP, 1996), senza contare i volumetti preparati per conto della preziosa casa
editrice La Locusta di Vicenza, a partire dal 1977, in consonanza agli
interessi espressisi e sviluppatisi soprattutto a partire dagli anni ottanta,
quelli che afferivano ai connotati e alle 'modalità' del linguaggio dei
mistici, o alle relazioni intercorrenti fra le dimensioni del silenzio-parola-Parola
di Dio-ascolto. È stato altresì membro del Comitato Nazionale per la
Bioetica; membro del comitato scientifico delle riviste L'Arco di Giano, 'Nuova
civiltà delle macchine, Desk. Morì a causa di un infarto mentre si
trovava a cena con alcuni colleghi universitari. Nel per la casa editrice Rubbettino è uscito il
libro La responsabilità del filosofo. Studi in onore di Massimo Baldini Dario
Antiseri con saggi di amici, colleghi, collaboratori e studenti per ricordare
la figura intellettuale e morale di Massimo Baldini a quattro anni dalla
scomparsa. Partecipano all'antologia Tullio De Mauro e Derrick de Kerckhove. Il
primo maggio è stata inaugurata a Greve
in Chianti la Biblioteca comunale "Carlo e Massimo Baldini".
Sulla filosofia del linguaggio «È chiaro che devo preoccuparmi di essere inteso
da tutti perché penso che la chiarezza sia la cortesia del filosofo»
(José Ortega y Gasset, Cos'è la filosofia?) Secondo Baldini scopo del filosofo
e della sua filosofia è essere chiari: scrisse infatti «l'accusa che più
frequentemente viene rivolta alle opere dei filosofi è quella
dell'illegibilità». I filosofi come dimostra nel suo Contro il filosofese e nel
Elogio dell'oscurità e della chiarezza non seguono sempre questa missione ed in
alcuni casi sembra usino volutamente un linguaggio oscuro ed incomprensibile.
Tre dei filosofi più oscuri secondo Baldini, che ricalca in questo anche il
giudizio di Schopenhauer, sono stati Fichte, Hegel e Schelling. Parlando di
Hegel, Baldini riporta il giudizio di uno scritto di Alexandre Koyré che
definisce la lingua di Hegel "incomprensibile e intraducibile".
Citando inoltre il giudizio di Popper scrive: «Troppo spesso, secondo Popper, i
filosofi vengono meno alla virtù della chiarezza. Con l'oscurità sovente
mascherano le tautologie e le banalità che infiorettano i loro discorsi». Henri
Bergson cita l'esempio di Cartesio, di Nicolas Malebranche e di molti altri
filosofi francesi mostrando che idee molto raffinate e profonde possono essere
espresse nel linguaggio ordinario anziché con circonlocuzioni e ridondanze e
termini che sono causa di equivoci. Baldini afferma che «l'oscurità in
filosofia è, dunque, il modo migliore per fingere di spacciare pensieri, mentre
si sta solo spacciando parole, è una maschera che cela spesso il vuoto di
pensiero o la banalità dei pensieri». Nonostante tutto secondo Baldini, non
bisogna giudicare frettolosamente un filosofo, definendolo "oscuro",
a volte può essere una carenza della nostra conoscenza che ci porta a
respingere come vuoto suono, parole che invece, hanno il loro preciso
significato. Scrivere la filosofia in maniera chiara può avere le sue
difficoltà, Nietzsche infatti afferma che «ci vuole meno tempo ad imparare a
scrivere nobilmente che chiaramente» e Ludwig Wittgenstein che celebra a più
riprese la chiarezza, fa autocritica ammettendo in una sua lettera a Russell
che il suo Tractatus logico-philosophicus «è tremendamente oscuro». Quanti
celebrano la chiarezza in filosofia, sanno bene che ogni lettore di testi
filosofici deve fare proprio il consiglio che Wittgenstein dava a Bertrand
Russell, quando questi si lamentava con lui dell'oscurità del trattato, gli
scrisse: «Non credere che tutto ciò in cui tu sei capace di capire consista di
stupidaggini». Invece, un personaggio che volutamente, secondo Baldini, tendeva
a non farsi capire e a sopraffare linguisticamente («fra gli applausi di
ammirazione») i suoi ascoltatori, è stato Armando Verdiglione. Chi si
avventurava nelle sue opere, fa rilevare il filosofo, si imbatteva in frasi
tipo questa: «Sono tratto da un demone a dire, a fare, a scrivere sempre fra
oriente e occidente e fra nord e sud. Senza luogo della parola. Questo demone è
il colore del punto, dello specchio, dello sguardo, della voce: la moneta
stessa. Punto, sembiante, oggetto scientifico, è indotto dalla pulsione,
dall'instaurazione della domanda, dove l'offerta è il pleonasmo», ed ancora:
«Ecco questo primo rinascimento. Primo in quanto procede dal secondo, ovvero
dall'originario. Secondo dunque non in senso ordinale, non in nome del nome.
Non è neppure nuovo, perché non parte dalla corruzione per arrivare
all'utopia». "Oscuro superlinguaggio" e "gargarismi linguistici
e semantici" sono secondo Baldini il risultato della
"verdiglionite" ovvero di chi si muove "sui sentieri del
filosofese". Secondo Baldini quindi la difficoltà di esprimere alcuni
profondi pensieri filosofici non dovrebbe essere amplificata, è vero che ci
sono pensieri filosofici difficili da esprimere in modo semplice, ma è pur vero
che il filosofo che desidera trasmettere la propria filosofia, dovrebbe fare un
onesto sforzo affinché essa sia quanto più possibile comprensibile al proprio
uditorio. Note Sociologi: è morto
Massimo Baldini, semiologo e filosofo, Adnkronos, 11 dicembre 2008 Contro il filosofeseI filosofi e l'abuso
delle parolepag. 43-49 Contro il
filosofeseFichte, Schelling, ed Hegel: i professionisti dell'oscuritàpag.
50-56 Alexandre Koyré, Note sulla lingua
e la terminologia hegeliana, Interpretazioni hegeliane, La Nuova Italia,
Firenze 1980, pag.43 Bertrand Russel.
L'autobiografia Longanesi, Milano Armando Verdiglione, Manifesto del secondo
rinascimento, Rizzoli, Milano 198323. Altre opere: “Epistemologia e storia
della scienza” (Ed. Città di vita, Firenze); “Campanella ed il linguaggio dell’utopia”
– “Utopia e ideologia: una rilettura epistemologica” Ed. Studium, Roma); “Epistemologia
contemporanea e clinica medica” (Ed. Città di vita, Firenze); “Teoria e storia
della scienza” (Armando Editore, Roma); “I fondamenti epistemologici
dell'educazione scientifica” (Armando Editore, Roma); “La semantica generale”
(Ed. Città nuova, Roma); “Gli scienziati ipocriti sinceri: metodologia e storia
della scienza” (Armando Editore, Roma); “La tirannia e il potere delle parole: saggi
sulla semantica generale” (Armando Editore, Roma); “Congetture
sull'epistemologia e sulla storia della scienza” (Armando Editore, Roma); “Epistemologia
e pedagogia dell'errore” (Ed. La Scuola, Brescia); “Il linguaggio dei mistici”
(Ed.Queriniana, Brescia); “Il linguaggio della pubblicità” “La fantaparola”
(Armando Editore, Roma); “Educare all'ascolto, Ed. La Scuola, Brescia); “Parlar
chiaro, parlar oscuro” (Ed. Laterza, Roma Bari); “Lezioni di filosofia del
linguaggio” (Ed. Nardini, Firenze); “Antologia filosofica, Ed. La Scuola, Brescia);
“Contro il filosofese” (Ed. Laterza, Roma-Bari); “Storia della comunicazione,
Newton & Compton, Roma); “La storia delle utopie, Armando Editore, Roma);
“Il proverbi italiano” (Newton & Compton editori s.r.l., Milano); “Karl
Popper e Sherlock Holmes: l'epistemologo, il detective, il medico, lo storico e
lo scienziato” (Armando Editore, Roma); “La medicina: gli uomini e le teorie,
Ed. CLUEB, Bologna); “Il liberalismo, Dio e il mercato” (Armando Editore,
Roma); “L’amicizia” (Armando Editore, Roma); “Introduzione a Karl R. Popper,
Armando Editore, Roma); “Capelli: moda, seduzione, simbologia” (Ed. Peliti,
Roma); “Popper e Benetton: epistemologia per gli imprenditori e gli economisti”
(Armando Editore, Roma); “Elogio dell'oscurità e della chiarezza, LUISS
University Press e Armando Editore, Roma); “Elogio del silenzio e della parola:
i filosofi, i mistici, i poeti, Rubettino Editore, Soveria Mannelli); “I
filosofi, le bionde e le rosse, Armando Editore, Roma); “L'invenzione della
moda: le teorie, gli stilisti, la storia. Armando Editore, Roma); “L'arte della
coiffure: i parrucchieri, la moda e i pittori, Armando Editore, Roma); Popper,
Ottone, Scalfari, LUISS University Press, Roma 2009. Altri progetti Collabora a
Wikiquote Citazionio su Massimo Baldini
Scheda dell'Università LUISS, su docenti.luiss. Filosofia Filosofo del
XX secoloFilosofi italiani del XXI secoloAccademici italiani del XX
secoloAccademici italiani Professore1947 2008 18 giugno 10 dicembre Greve in
Chianti RomaProfessori della Libera università internazionale degli studi
sociali Guido CarliProfessori della SapienzaRomaProfessori dell'Università
degli Studi di PerugiaProfessori dell'Università degli Studi di SienaProfessori
dell'BariStudenti dell'Università degli Studi di Firenze. In questo
contributo intendo concentrarmi su alcuni aspetti della teoria aristotelica
dell’amicizia: il metodo di indagine attraverso cui è articolata e acquisita, e
il suo significato dialettico e teorico. Il processo conoscitivo, per Aristotele,
è una transizione da ciò che è “primo per noi” a ciò che è “primo per sé”[1], e
l’indagine sull’amicizia non fa eccezione. Il “primo per noi” contempla la
nostra esperienza della cosa intesa in senso ampio, tale da includere: le
prassi linguistiche e ascrittive diffuse[2], le opinioni notevoli (ἔνδοξα)
condivise da tutti o dai più o dai sapienti o da alcuni di essi[3], i topoi o
luoghi comuni consegnati dalla tradizione, i fenomeni intesi come “fatti della
vita”, ovverosia le ordinarie prassi umane, i comportamenti concreti implicati
nelle relazioni di amicizia[4]. Si tratta di un materiale eterogeneo,
variegato, opaco, bisognoso di sintesi e di articolazione concettuale: il suo
trattamento dialettico preliminare sarà orientato anzitutto a evidenziare le
contraddizioni che tale materiale ospita, per poi cercare di superarle entro
una sintesi superiore la quale, attraverso una teorizzazione positiva ˗
materiata di distinzioni semantiche e concettuali, argomenti, definizioni ˗ ne
salvi gli elementi genuini nella misura del possibile, mostri l’apparenza delle
contraddizioni, e produca così una sorta di “equilibrio riflettuto” fra il
“primo per noi”, da cui pure si sono prese le mosse, e il “primo per sé”, punto
d’arrivo dell’indagine. Una buona teoria dovrà fare giustizia dei caratteri
manifesti dell’oggetto, renderli cioè intellegibili e inferibili[5]; invece una
teoria che negasse questi caratteri, sarebbe ipso facto una teoria deficitaria,
insoddisfacente: non ci riconcilierebbe coi φαινόμενα, che pure sono il suo
originario explanandum. Questa cifra metodologica va tenuta presente, se
si vuole apprezzare in modo non superficiale la trattazione aristotelica
dell’amicizia nelle due Etiche. Perciò è opportuno partire non da Aristotele,
bensì dall’orizzonte teorico-culturale cui egli si rapporta dialetticamente,
nonché dai suoi obbiettivi polemici. Il significato ordinario di «φιλία» ha
un’estensione ben più ampia della nostra nozione di «amicizia»: oltre
all’amicizia propriamente intesa, può denotare anche l’alleanza politica[6], la
vasta gamma dei rapporti sociali, dalle relazioni parentali e matrimoniali a
quelle commerciali, quelle cameratistiche, quelle amorose ed erotiche; insomma,
qualunque interazione umana positiva e non ostile, fra individui o fra gruppi –
ma anche fra uomini e dei[7] – è denotabile come φιλία. Nella caratterizzazione
preliminare che ne offre, Aristotele attinge ai grandi modelli omerico ed
esiodeo, così come ai Sette Savi, ai tragici, nonché al sapere filosofico dei
predecessori (Empedocle, Eraclito, etc.); ma il punto di riferimento dialettico
che, sottotraccia, orienta l’intera trattazione, è il Liside platonico, la
prima indagine filosofica sistematica dedicata alla φιλία[8], nelle cui note
aporie sono peraltro condensate e portate a tematizzazione le contraddizioni
insite nelle istanze della tradizione pre-filosofica globalmente intesa. Il
Liside dunque, fra gli ἔνδοξα e i λεγόμενα, riveste un ruolo
dialettico-polemico primario, anche se non se ne fa alcun riferimento esplicito.
È impossibile in questa sede tentarne anche solo una cursoria sintesi, ma è
necessario individuare perlomeno quelle aporie di fondo intorno alla φιλία che
Aristotele riprende in maniera puntuale[9]. Una importante aporia
(210e-213c), radicata nella dicotomia attivo/passivo, è articolata intorno alla
questione: chi dei due, in una relazione amicale, è l’amico? Chi ama o chi è
amato[10]? Si sonda tutto lo spazio logico delle possibilità, producendo esiti
paradossali (di qui, appunto, lo status di aporia): se 1) è chi ama, ad essere
amico di chi è amato, allora nel caso che chi è amato odiasse chi lo ama, uno
sarebbe amico di chi lo odia! 2) se è chi è amato, ad essere amico, sarà anche
il caso che chi è odiato è nemico, dunque se qualcuno ama qualcuno che lo odia,
allora sarà nemico di un suo amico! 3) se sono amici o chi ama o chi è amato,
indifferentemente, resta fermo che uno potrebbe essere amico di chi lo odia 4)
se sono amici necessariamente entrambi, allora non potremmo essere “amici” di
entità che non ci amano, come la scienza, o il vino, o i cavalli. L’aporia
presuppone l’ampia estensione semantica di φιλία e di φίλος, che da un lato può
avere significato passivo (esser caro a qualcuno), attivo (essere amico di) o
reciproco[11], dall’altro come prefisso (φίλο-) può comporre termini denotanti
amore, passione o apprezzamento per entità impersonali, che non reciprocano. Ma
l’aporia è filosofica, non meramente linguistica[12]. Una seconda aporia
(213d-223b) muove dalla questione se l’amicizia si dia fra simili o fra
dissimili. Se 1) si dà fra simili, allora anche i malvagi sarebbero amici, ma
fra malvagi non si dà vera amicizia (assunzione qui data per vera)[13]; 2) se
si dà non fra simili simpliciter ma fra simili nell’esser buoni, sorge il
problema di come il buono – il quale basta a se stesso[14] – possa trarre
utilità da un altro buono, e viceversa, quando si era precedentemente stabilito
che nessun amico è inutile all’amico (210c6-8); 3) se si dà fra dissimili
contrari, come povero/ricco, sapiente/ignorante etc., allora, daccapo, l’amico
sarà amico del nemico, il malvagio del buono etc.: amico/nemico e
malvagio/buono sono contrari; 4) forse si dà fra certi dissimili non contrari:
chi è intermedio fra buono e cattivo può amare il buono in virtù della presenza
in sé di un “male”, cioè della privazione di bene di cui è conscio e che lo
rende intermedio[15]; così l’amicizia diventa un caso particolare del
desiderio[16], volto strutturalmente a ciò di cui si è privi. Ma anche qui si
ricadrebbe nel caso 1 della Prima aporia: pare che l’amare unidirezionale e non
ricambiato non sia sufficiente all’amicizia, inoltre il buono sarebbe amato
senza amare a sua volta (infatti l’altro gli è inutile giacché egli ha già il
bene presso di sé). A questo punto viene introdotta l’idea che, se noi
cerchiamo nell’amico il bene ma nessun amico può avere il bene pienamente
presso di sé, allora ciò che cerchiamo negli amici è il «Primo Amico», qualcosa
che trascende sia noi che gli amici stessi, di cui questi ultimi sono apparenze
(εἰδώλα)[17]. Le relazioni amicali sono da ultimo orientate verso qualcosa che
trascende entrambi i relati, secondo una dinamica “ascensionale” segnatamente
platonica: ma così l’amico in carne e ossa parrebbe ridotto a mero luogo di
transito di una tensione desiderante che ascende in direzione di un assoluto
ideale. Riesaminando poi la relazione “orizzontale”, si introduce la nozione di
«affine» (οἰκεῖος): forse la φιλία è rapporto col simile in quanto affine, o
familiare; ma l’affinità pare essere reciproca (se A è affine a B, B è affine
ad A), dunque il buono risulta inservibile a chi è già affine al buono;
inoltre, sono affini anche i malvagi. Anche se la trattazione appare un
poco schematica e talora verbalistica, essa tocca problemi speculativi genuini.
Come ci si aspetta da un dialogo “socratico” di Platone, le aporie non trovano
uno scioglimento, se non la paradossale acquisizione che né amanti né amati, né
simili né dissimili né contrari, né affini, né buoni, possono essere amici[18]!
Teniamo dunque a mente questi nodi problematici. L’amicizia è studiata nel
libro VII dell’Etica Eudemia, e nei libri VIII-IX dell’Etica Nicomachea[19].
Mentre la trattazione dell’Etica Eudemia risulta più logica e astratta, quella
dell’Etica Nicomachea è più orientata a salvare i fenomeni, è più empirica e
inclusiva: per cogliere i nuclei teorici di fondo, è sensato muovere dalla
prima, e valutare criticamente quando e perché la seconda propone integrazioni
o discostamenti teorici da quella. Sia la Eudemia precedente alla Nicomachea o
meno[20], in essa appare più nitidamente come la trattazione aristotelica
costituisca una sorta di virtuale controcanto filosofico del Liside
platonico[21]. Etica Eudemia VII introduce il soggetto come specialmente
degno di essere indagato: gli ἔνδοξα universalmente diffusi pongono la φιλία
come il fine stesso della politica, come antidoto all’ingiustizia, come habitus
caratteriale rivolto ai buoni, pongono l’amico come il più grande dei beni
esterni (anche in quanto volontariamente scelto) e l’assenza di amici come il
male più terribile[22]. La φιλία è aspetto centrale dell’etica – soprattutto
entro un’etica eudemonistica imperniata sul bene e sulla felicità – dunque non
sorprende che la sua trattazione occupi quasi un quinto degli scritti etici
aristotelici. Ma altre opinioni notevoli non sono universalmente
condivise: per alcuni il simile è amico del simile (Omero, Empedocle), per
altri lo è il contrario del contrario (Esiodo, Euripide, Eraclito)[23]: sono le
opzioni 1 e 3 della Seconda Aporia del Liside, che pure non viene citato. Si
ricordano poi altre opinioni, topoi tradizionali già ripresi dal Liside: per
alcuni non c’è amicizia fra malvagi ma solo fra buoni (cfr. opzione 1 della
Prima Aporia), per altri solo chi è utile può essere amico (cfr. opzione 2
della Seconda Aporia). Prima di passare alla pars construens, Aristotele
enuncia candidamente il criterio metodologico e lo scopo dell’indagine:
Occorre trovare un’argomentazione che insieme renda conto (ἀποδώσει) al
massimo grado delle opinioni (τά δοκοῦντα) intorno a queste cose, e anche che
sciolga le aporie e le contraddizioni. Ciò avverrà qualora appaia che le
opinioni contrarie sono sostenute con buone ragioni: una tale argomentazione
sarà nel massimo accordo coi fenomeni. E le tesi in contraddizione risultano
mantenersi, se quel che affermano è vero in un senso, ma in un altro no. (Et.
Eud.). Le opinioni diffuse e notevoli
non vanno accolte in modo supino e acritico, ma comprese nelle loro buone
ragioni e, nella misura del possibile, salvate entro una sintesi teorica che
superi le aporie e mostri che le affermazioni apparentemente incompatibili
possano essere vere entrambe, in sensi diversi; così vi sarà anche il massimo
accordo coi φαινόμενα. Questi, i desiderata da soddisfare. Se l’amicizia
è desiderio (altra acquisizione del Liside[25]), il desiderio può essere del
piacevole (appetito) o del buono (volontà)[26], dunque ciascuno di essi ci è
«amico» o caro (φίλον); comunque il piacere si presenta come un bene (o appare
tale o è creduto tale[27]): la prima distinzione da fare è perciò fra bene e
bene apparente (φαινόμενον ἀγαθόν), oggetti del desiderio[28]. La seconda è
quella fra bene incondizionato (ἁπλῶς) e bene per qualcuno[29]: ciò che è buono
simpliciter lo è per l’essere umano in generale, ciò che è tale «per qualcuno»
lo è per certi individui particolari in certe circostanze (per esempio,
un’operazione per un malato); parimenti, vi è un piacevole incondizionato e un
piacevole «per qualcuno» (per esempio, in condizioni fisiche o morali
alterate); Aristotele sostiene che il piacevole incondizionato coincida col
buono incondizionato[30]: ciò che è buono per l’uomo in generale, è anche
piacevole per l’uomo in generale, invece un individuo malato o corrotto troverà
piacevoli cose non oggettivamente buone; né coincideranno il piacevole «per
lui» e il buono «per lui». Un uomo saggio e virtuoso troverà piacevole ciò che
è buono, dunque nel suo caso si identificano bene apparente e bene reale (è
buono ciò che gli appare tale), bene «per lui» e bene incondizionato (ciò che è
bene per lui è buono in generale per l’uomo), nonché bene e piacere: egli è
norma rispetto a ciò che per l’uomo in generale è e deve essere buono e
piacevole, in quanto esprime l’eccellenza della stessa natura umana. A ogni
modo, ciò che motiva un soggetto S deve apparire un bene a S (che lo sia o
meno), e apparire a S un bene per lui (che sia o meno anche un bene in senso
incondizionato)[31]. Ci sono cose per noi buone in quanto le riteniamo
dotate di valore intrinseco, cose per noi buone in quanto le riteniamo utili, e
cose per noi buone in quanto le troviamo piacevoli. Poiché l’amico è un bene
scelto e desiderato ˗ il φιλεῖν è un caso particolare di desiderio ˗ potrà
esserlo per questi tre motivi: come bene in sé, e cioè in quanto è ciò che è e
«per la virtù», o in quanto è ci è utile, o in quanto sia piacevole, «per il
piacere»[32]. Chiariremo successivamente perché il buono in quanto buono,
quando il bene sia l’amico stesso, si identifichi con la sua virtù. Colui
che è amato in base a uno dei tre aspetti suddetti (bene-virtù, utilità,
piacevolezza) diventa un amico ˗ si aggiunge ˗ quando contraccambia l’affetto:
dunque la reciprocità diviene un tratto essenziale dell’amicizia, una sua
condizione necessaria; Aristotele sceglie l’opzione 4 della Prima Aporia del
Liside, ma replica all’obiezione ivi contenuta, secondo cui cose amate come il
vino, i cavalli e la scienza non possono ricambiare, mediante la distinzione
fra φιλία e φίλησις[33]: la seconda è un affetto/desiderio per le cose
inanimate, la prima implica un simile affetto come componente, ma include
necessariamente la reciprocità. Talvolta, una nozione vaga può essere
disambiguata mediante una distinzione semantica, in modo da sciogliere
apparenti contraddizioni e insieme “salvare i fenomeni”. Tuttavia, l’affetto
reciproco sulla base di uno dei tre amabili non è ancora sufficiente perché ci
sia φιλία; tale reciprocità deve essere esplicita, non celata, nota ai due
amici: se amo qualcuno che non lo sa, non siamo amici, nemmeno nel caso lui ami
me e io lo sappia; entrambi devono amarsi l’un l’altro, ed entrambi lo devono
fare in modo manifesto, tale che sia noto all’uno e all’altro. La coscienza di
essere amici è essenziale all’essere amici: qualcuno può credere di essere
amico senza esserlo[34], però nessuno può essere amico di qualcuno senza
credere di esserlo. Se manca la reciprocità, non si ha amicizia ma
«benevolenza» (εὔνοια), cioè desiderio del bene dell’altro; quando quest’ultima
è reciproca e non è celata, allora può divenire amicizia[35]. Le tre
forme di amicizia, rispettivamente basate su virtù, utilità, piacere, secondo
l’Eudemia intrattengono la relazione asimmetrica che Aristotele chiama πρὸς ἓν,
in cui vi è un significato primario o focal meaning cui gli altri, secondari e
derivati, rimandano[36]: l’amicizia a causa della virtù e fondata sul bene è
posta come πρώτη φιλία, «prima amicizia», da cui le altre dipendono dal punto
di vista definitorio. Quindi «φιλία» non denota tre specie di un unico genere,
né è un termine equivoco che denota realtà completamente diverse; è termine
“multivoco”, giacché l’amicizia si dice in molti modi ma in riferimento a un
senso che illumina tutti gli altri, e a cui gli altri si rapportano
necessariamente. Molti critici ritengono che, siccome l’amicizia
“utilitaristica” e quella “edonistica” possono darsi indipendentemente da
quella “virtuosa”, l’idea che esse rimandino necessariamente a quella
“virtuosa” non sarebbe convincente, e proprio per questo sarebbe poi abbandonata
nella Nicomachea[37]. Ma la gerarchizzazione πρὸς ἓν è anzitutto definitoria:
il piacere è un bene apparente (dunque, una declinazione del bene), l’utile è
tale in quanto foriero di bene[38] o di piacere (che, daccapo, è un bene
apparente); dunque i tre amabili sono un bene, un modo di apparire del bene,
una via che porta al bene. Al modo in cui il piacere e l’utilità si definiscono
in rapporto al bene[39] (ma, per Aristotele, non viceversa), così le amicizie
basate sul piacere e l’utile si definiscono in rapporto a quella basata sul
bene come tale: e infatti, come vedremo, ne sono forme imperfette e
difettive. Si noti la pur generica assonanza fra la πρώτη φιλία e il πρῶτον
φίλον, il Primo Amico del Liside: se Platone radica il senso delle relazioni
amicali in un anelito a qualcosa che trascende le amicizie e gli amici stessi
illuminandole, per così dire, dall’alto, Aristotele immanentizza il bene entro
gli amici stessi e le loro relazioni; c’è una amicizia prima, ma non un Amico
primo che si distingua dagli amici empirici e concreti. Il bene che è in gioco
nell’amicizia è ubicato negli amici stessi, è immanente. Qual è la
ragione profonda di questa tripartizione? Si può mostrare in modo puntuale che
si tratta di una risposta alle aporie platoniche: se i platonici pongono come
amicizia solo quella virtuosa, «non riescono a dare conto dei fenomeni»[40],
ove per fenomeni si devono intendere non solo le prassi umane, ma anche gli ἔνδοξα
e i λεγόμενα. Se vi sono tre forme di amicizia, può darsi che alcune opinioni
notevoli e intuizioni siano vere dell’una ma false dell’altra, altre siano vere
dell’altra ma false dell’una, come afferma il passo metodologico succitato. Se
poi a partire da ciascuna delle tre caratterizzazioni si potessero inferire o
congetturare dei rispettivi propria, che coincidano coi rispettivi tratti
manifesti dell’amicizia che parevano aporetici in quanto incompatibili, allora
grazie a questa tassonomia tricotomica le aporie potrebbero essere sciolte,
poiché alcuni di questi tratti caratterizzeranno un tipo di amicizia, alcuni
altri un altro tipo di amicizia. L’amicizia virtuosa, fondata sul bene, è
fra simili in quanto buoni[41]: essa cattura l’opzione 2 della Seconda Aporia
del Liside, nonché l’ideale arcaico, omerico ma anche teognideo e in generale
aristocratico, della φιλία come sodalizio elettivo fra ἀγαθοί; a questo topos
tradizionale, il Socrate del Liside replica che esso è incompatibile con
un’altra idea ben radicata (basata su altri due topoi tradizionali): il buono è
autosufficiente, e un amico gli sarebbe inutile, ma l’amicizia è fondata
proprio sull’utilità reciproca; quest’ultima idea, di matrice esiodea[42] ma
anche un luogo comune confermato dalle prassi umane, non può essere negata, per
Aristotele: sono gli stessi φαινόμενα a mostrare che coloro che intrattengono
relazioni continuative di utilità e soccorso reciproco, si chiamano amici
e si ritengono tali, e così sono dagli altri chiamati e ritenuti. La
contraddizione è apparente, se si postula che l’utilità reciproca è un
prerequisito di una forma di amicizia (quella basata sull’utile) e non
dell’altra (quella basata sul bene). Le relazioni utilitaristiche sono
amicizia, sebbene di un certo tipo; sia queste che quelle fondate sul piacere,
possono sussistere anche fra individui non buoni, persino fra malvagi, sebbene
in forma estremamente labile e instabile: l’opzione 1 della Seconda Aporia del
Liside è anch’essa percorribile, in quanto due individui non “buoni” possono
essere amici sulla base del piacere, e sono simili nella misura in cui
condividono certi tipi di piacere; inoltre, l’intuizione per cui l’amicizia si
dà fra contrari come povero/ricco, sapiente/ignorante etc. ˗ opzione 3 della
Seconda Aporia del Liside ˗ è anch’essa fatta salva, in quanto viene posta come
peculiare all’amicizia utilitaristica, che tipicamente è intrattenuta da
individui in qualche senso contrari (l’uno ha qualcosa che l’altro non ha).
Aristotele riesce a salvare i fenomeni attraverso una distinzione tassonomica
fondamentale, che deve conciliare certe apparenti incompatibilità ma al tempo
stesso preservare una certa unitarietà dell’oggetto: quella di amicizia è una
nozione originariamente ospitale, plurale e polivoca, tanto internamente
differenziata da implicare una demarcazione netta fra l’amicizia virtuosa e le
altre, ma non tanto monolitica da implicare che si escludano dal novero delle
amicizie quelle forme di relazione (utilitaria, edonistica) ordinariamente
denominate così: altrimenti si farebbe violenza al linguaggio e alle “cose stesse”[43]:
a quel “primo per noi” che è lo stesso explanandum originario. Una delle
ragioni per cui l’amicizia virtuosa è detta «prima» nella Eudemia e poi
«perfetta» (τέλεια) nella Nicomachea[44], è che essa è costitutivamente
piacevole, benché non sia fondata sul piacere, e implica la disposizione alla
mutua utilità quando serva, benché non sia fondata sull’utile: dunque contiene
in sé, in certo modo, le altre due. Tuttavia, il piacere che consegue al bene
ed è persino costitutivo di esso, non è lo stesso piacere che fonda le amicizie
edonistiche; il primo è inseparabile dal bene cui consegue[45], quindi
l’integrazione di piacere e utilità nell’amicizia virtuosa non è da concepirsi
come una somma estrinseca o giustapposizione di aspetti positivi (bene + utilità
+ piacere). La perfezione di questa amicizia non è una somma di amicizie
imperfette, è originaria completezza. Nella Nicomachea non vi è traccia
della relazione πρὸς ἓν, e la πρώτη φιλία diventa τέλεια φιλία[46]. Le altre
amicizie qui sono dette tali «secondo somiglianza» a quella perfetta[47]: a mio
avviso, al netto della differenza di linguaggio, la posizione di Aristotele non
muta in modo sensibile fra le due opere; la somiglianza delle amicizie
edonistica e utilitaristica a quella perfetta consiste anche qui nel fatto che
quest’ultima è, per entrambi gli amici, utile e piacevole, dunque contiene
quegli aspetti che fondano le amicizie imperfette, ma non ne è simmetricamente
contenuta. Infatti, ciò che è buono è anche utile e piacevole, mentre ciò che è
utile può non essere piacevole e può non essere buono (né simpliciter, né per
l’individuo) – per esempio, se l’individuo è corrotto e trova per sé utile
qualcosa che lo approssima a ciò che non è il suo bene (anche se egli magari
crede che sia il suo bene[48]) – e ciò che è piacevole può essere inutile o
persino dannoso. Questo vale in generale, e a fortiori vale per gli amici
buoni, utili, piacevoli. In realtà, lo stesso “compito” etico implicitamente
affidato all’uomo, gli è affidato anche in rapporto all’amicizia: l’ideale
umano, incarnato dal saggio che ne è norma ed esempio, è quello di far
coincidere ciò che è bene per sé con ciò che è bene in generale, e ciò che è
piacevole per sé con ciò che lo è in generale; si realizza così anche la
coincidenza di bene e piacere, visto che il buono in generale e il piacevole in
generale si identificano per natura[49]. Ciò importa che occorra anzitutto
essere buoni (saggi e virtuosi) e, essendolo, prediligere le amicizie virtuose
(che sono appannaggio dei buoni): esse non ospitano conflitti strutturali,
soprattutto il bene e il piacere – il confliggere dei quali sopraffà l’acratico
– sono adeguati ab origine, nell’amicizia perfetta, giacché essa è piacevole
proprio in quanto buona. Ma ciò non esclude che i buoni possano intrattenere
anche amicizie fondate sul piacere, o sull’utile[50]: esse però, nell’economia
della loro vita, risulteranno marginali, sia nella quantità che nella
qualità. Può sorprenderci il fatto che alla forma di amicizia più rara e
più “inarrivabile” delle tre (i buoni sono pochi, gli amici a causa del bene
ancora meno) venga ascritta una priorità definitoria, sia essa del tipo πρὸς ἓν
o «per somiglianza». Ma per Aristotele qualunque capacità umana – l’amicizia è
una virtù, le virtù sono capacità acquisite – viene individuata e definita
sulla base della sua eccellenza: è il caso eccellente, in cui un tratto umano è
più pienamente realizzato, che funge da essenza normativa rispetto ai casi
difettivi, deficitari, degradati, imperfetti; per definire, occorre guardare ai
casi migliori, alla modalità in cui una potenzialità è dispiegata ed espressa
più compiutamente, e che misura gli altri casi quasi costituendone un virtuale
dover-essere rispetto a cui essi mostrano la loro manchevolezza. Perciò la teoria
aristotelica presenta al contempo una dimensione descrittiva e una normativa,
fra le quali sussiste una sorta di tensione dialettica. E in effetti le
amicizie fondate sul piacere e sull’utile sono incomplete: vengono
caratterizzate addirittura come amicizie per accidens[51], il che sembra sulle
prime vanificare l’atteggiamento inclusivo adottato da Aristotele come cifra
metodologica, non solo praticata ma persino esplicitata in modo
programmatico[52]. È come se in sede di definizione generale Aristotele fosse
interessato a preservare l’unità della nozione di amicizia nonostante le
differenze, ma in sede di caratterizzazione sinottico-comparativa dei diversi
tipi, ponesse invece l’enfasi sullo iato che separa l’amicizia prima o perfetta
dalle altre, fino a trattare le altre come solo accidentalmente tali. Perché
esse sono caratterizzate come «accidentali»? Chi si ama per l’utile o per
il piacere lo fa «non perché l’individuo amato sia quello che è, ma in quanto è
utile o in quanto è piacevole»[53]: l’utilità e la piacevolezza sono proprietà
relazionali esterne all’essenza dell’amico amato, determinate dagli effetti che
esso ha su chi lo ama, «perché gli uni ne traggono un qualche bene, gli altri
un piacere»[54]; invece l’amicizia basata sulla virtù e la bontà dell’amico
amato, è basata su proprietà intrinseche all’amato, su ciò che da ultimo
l’amato è[55]. Noi siamo il nostro carattere, il nostro carattere è l’insieme
unificato delle nostre virtù, una seconda natura che è frutto prima
dell’educazione e poi delle nostre scelte: noi siamo un sé che sceglie, e i
nostri pensieri, discorsi e azioni manifestano il nostro “sé”. Pertanto,
nell’amicizia perfetta il bene che è in gioco è l’amico stesso che è amato, per
ciò che egli essenzialmente è, mentre il bene che è in gioco nelle altre
amicizie è il bene – nella forma dell’utile o del piacevole – dell’amico che
ama. Anche se l’amicizia è sempre reciproca, resta fermo che nell’amicizia
perfetta il fondamento è, per ciascuno degli amici, l’altro come buono, nelle
altre è invece il proprio bene in quanto utilità o piacere[56]. Nelle amicizie
imperfette la ragione per cui si vuole e persegue il bene dell’altro, resta
radicata nell’interesse proprio come diverso dal bene elargito all’altro e
diverso dall’altro stesso come dotato di valore intrinseco. È questa differenza
radicale a rendere le amicizie imperfette amicizie per accidens: ciò non
implica, si badi, che non siano amicizie[57], bensì che lo sono solo in virtù
del loro somigliare all’amicizia perfetta, seppure in modo difettivo. Ma
l’amicizia fondata sul bene dell’amico non rischia così di risultare
“disinteressata” in un modo psicologicamente implausibile? Solo in apparenza,
in quanto il bene di chi ama è in gioco, ma lo è in quanto coincide col bene
dell’amico: se siamo amici perfetti, siamo entrambi buoni e virtuosi, e il
nostro bene individuale coincide col bene simpliciter: noi, come amici
perfetti, cooperiamo per realizzare il bene in generale[58]; il bene mio e
dell’amico sono voluti – rispettivamente, dall’amico e da me – in conseguenza
del fatto che anzitutto io e l’amico siamo dei beni: se lo siamo l’uno per
l’altro, è perché siamo buoni, siamo dotati di valore intrinseco, e lo
riconosciamo reciprocamente. Non si tratta di una implausibile relazione puramente
altruistica e disinteressata, perché non si fonda – ribadiamolo – solo sul
volere il bene dell’altro, ma anzitutto sull’altro come bene in sé: voglio e
perseguo il bene dell’altro non per altruismo astratto, ma perché l’altro è un
bene. Una nozione comune con cui forse potremmo rendere più chiaro questo
aspetto, è quella di stima. L’amicizia perfetta è fondata sulla stima
reciproca: un amico che stimo per ciò che è e per come è, esemplifica in sé ciò
che è buono, a prescindere da ciò che io posso trarre da lei/lui: «se uno non
gioisce perché l’altro è buono, non c’è la prima amicizia» (1237b4-5). La stima
reciproca presuppone una consonanza di valori, un’intesa su ciò che vale e ciò
che è degno: e visto che i due amici sono virtuosi e buoni, essi valgono e
sanno di valere, per questo valgono anche l’uno per l’altro. Si tratta di una
amicizia in cui coltivare il proprio bene coincide col coltivare l’altro e il
suo bene, e questo coincidere non è accidentale – come accade nelle altre
amicizie – bensì è costitutivo. Invece posso trarre vantaggio da un amico utile
senza stimarlo affatto, così come posso trarre piacere – per esempio,
divertendomici insieme – da qualcuno che non stimo, che non ritengo una persona
buona, degna, valida. L’accidentalità delle amicizie non perfette si
rende perspicua nella loro strutturale instabilità: un rapporto fondato
sull’utilità non avrà più ragion d’essere, qualora uno dei due amici smetta di
essere utile all’altro; i bisogni umani sono cangianti, e tali sono le risorse
altrui per farvi fronte, cosicché anche le relazioni utilitarie sono
essenzialmente mutevoli; lo stesso accade per gli amici secondo il piacere:
cambiano, nel tempo, le fonti del piacere, i “gusti”, e cambiano anche le
capacità altrui di procurarci piacere; l’amicizia piacevole, poi, è precaria
anche perché riguarda tipicamente i giovani, i quali sono di per sé in continuo
cambiamento[59]. Invece la virtù del carattere è cosa stabile: le
amicizie complete sono stabili perché sono fondate sul bene come virtù, che è
costante e non facile a mutare[60]. Il tempo può rendere inutile un amico che
prima era utile, o non più piacevole un amico che lo era, ma difficilmente può
sottrarre a un carattere le virtù, far diventare malvagi i buoni, stolti i
saggi, e dunque minare le basi su cui le relazioni virtuose fra buoni sono
costruite. Per questo l’amicizia completa è specialmente solida, quasi
incrollabile[61], e l’amico virtuoso è un amico «al massimo grado»[62], un
amico «vero»[63]. Un tale amico si renderà utile se può e quando sia
necessario, ma sarà utile perché è un amico, piuttosto che essere amico perché
è utile; e sarà piacevole all’amico, giacché ci risulta tendenzialmente
piacevole frequentare chi stimiamo[64]. Così Aristotele, forte della sua
tassonomia tripartita, deriva dei propria (dei caratteri distintivi) di
ciascuna amicizia, spiegando i fenomeni e riconciliandoci con le comuni
pratiche ascrittive: alcune intuizioni, luoghi comuni e opinioni notevoli sono
vere di un’amicizia, alcune dell’altra. Parlando coi giovani Liside e
Menesseno, Socrate nel Liside si dice desideroso di amicizia più di ogni cosa
al mondo – con una Priamel che restituisce in modo icastico l’idea
dell’amicizia come il più grande dei beni esterni, fatta anch’essa propria da
Aristotele – e invidia ironicamente la loro felicità, visto che sono giovani e
sono diventati amici «in modo facile e rapido»[65]. Si tratta di caustica
ironia, visto che la φιλία che ha a cuore Socrate non è né facile né rapida:
ciò che è dissimulato, è che quella non è verace amicizia, ma altro. Qui c’è
un’aporia in nuce, visto che i giovani che si frequentano, pur con una certa
leggerezza e una conoscenza reciproca non profonda, paiono amici e sono detti
tali, eppure non soddisfano i requisiti della “vera” amicizia non solo secondo
l’idea socratica, ma anche secondo l’opinione diffusa per cui la vera amicizia
è durevole, lenta e difficile a darsi. Aristotele distingue i soggetti delle
attribuzioni incompatibili, salvando la verità di entrambe: l’amicizia
giovanile (per esempio, quella di Liside e Menesseno) è fondata sul piacere, e
ha certi tratti distintivi quali la facilità a prodursi e a decadere,
l’intensità emotiva, e così via; l’amicizia perfetta, tipica degli uomini
maturi (è quella per cui Socrate dice di ardere di desiderio), necessita di una
lunga consuetudine e di una conoscenza reciproca profonda[66], è rara e
appannaggio di pochi, è difficilissima a nascere ma altrettanto difficile a
morire, fondandosi su ciò che in noi vi è di più stabile. Invece, quella utile
caratterizza tipicamente gli anziani, particolarmente bisognosi d’aiuto e
sensibili, per debolezza, al beneficio che può arrecare il mutuo soccorso[67];
inoltre, essa si riscontra nei più, nelle masse, le quali sono più preoccupate
dei benefici personali che del bene e del bello. Fra le amicizie incomplete,
Aristotele ascrive una superiore nobiltà a quella fondata sul piacere, mentre
quella fondata sull’utile è «da bottegai»[68]. In effetti, la condivisione del
piacere è qualcosa di meno strumentale rispetto al trarre vantaggi da qualcuno:
perlomeno il piacere è un fine, non un mezzo; inoltre, il piacere appartiene
alla frequentazione stessa dell’amico, mentre l’utile è a questa completamente
estrinseco: dunque il fondamento dell’amicizia utile è più esteriore e più
contingente di quello dell’amicizia piacevole. Un altro aspetto
problematico del Liside emerge in particolare nella Prima Aporia rispetto alla
polarità attivo/passivo (amante/amato), ma soggiace implicitamente anche ad
altre aporie: l’amicizia sembra implicare uguaglianza e comunanza da un lato, e
differenza e asimmetria dall’altro; si mescolano aspetti tipici del rapporto
pederastico-erotico (amante e amato non sono intercambiabili), aspetti del
rapporto genitoriale, anch’essi per definizione asimmetrici, e relazioni “fra
buoni” simili, potenzialmente simmetriche. Aristotele cerca di articolare
queste istanze entro un quadro più sistematico: la tassonomia delle tre
amicizie si arricchisce di una distinzione trasversale, fra amicizie simmetriche
e amicizie asimmetriche in cui uno è superiore e l’altro inferiore[69]; la
φιλία deve essere reciproca, ma tale reciprocità può essere simmetrica o
asimmetrica (fra superiore e inferiore). I tipi di amicizia sono dunque sei,
giacché si può essere superiori quanto a virtù, a utilità, e a
piacevolezza. La ulteriore distinzione fra amicizie simmetriche e
asimmetriche consente ad Aristotele una esplorazione straordinariamente ricca
dei legami sociali più eterogenei, che assimila alla φιλία e alle sue declinazioni
i rapporti familiari (padre-figlio, marito-moglie, figlio-figlio), i rapporti
politici fra città (in vista dell’utile)[70], gli stessi rapporti fra i
cittadini in rapporto alla loro comunità, i rapporti fra governanti e
governati, le relazioni commerciali, e così via, e indaga le relazioni profonde
fra amicizia, giustizia, concordia, comunità. Non è possibile restituire
nemmeno sommariamente la ricchezza di tali analisi in questo contributo, il
quale si focalizza piuttosto sul significato filosofico e dialettico della
tripartizione in generale: ma fa d’uopo rilevare che le applicazioni di questa
teoria generale sono molteplici e fecondissime. 3. Amicizia
e autosufficienza La tripartizione (con ulteriore dicotomia trasversale)
non scioglie di per sé un nodo aporetico concernente la stessa amicizia
perfetta fra buoni: è l’idea espressa entro il punto 2 della Seconda Aporia del
Liside, per cui chi ha il bene presso di sé è autosufficiente e non ha bisogno
di nulla, dunque l’amicizia di chicchessia gli sarebbe inutile. È vero che
Aristotele ha distinto l’amicizia perfetta da quella utile, ma resta il
problema di comprendere come mai colui che è saggio, virtuoso e buono, bastando
a sé stesso, abbia una qualche motivazione a coltivare un amico, foss’anche un
amico perfetto: «se è felice chi ha la virtù, che bisogno avrà di un
amico?»[71]. L’idea dell’autosufficienza di chi è saggio, virtuoso, felice e
beato, ripresa dal Liside, è un topos tradizionale, quindi ha lo status di ἔνδοξον
ben radicato, di cui va dato conto e di cui va mostrata la compatibilità con la
teoria positiva proposta nonché con altri ἔνδοξα altrettanto ben
attestati. Il problema è affrontato in Etica Eudemia VII 12 e in Etica
Nicomachea IX 9, in maniere parzialmente differenti. L’Eudemia muove
dall’analogia con la condizione divina, paradigma dell’autosufficienza. Ma la
condizione umana può assurgere all’autosufficienza solo nella misura in cui lo
consente la natura dell’uomo, che è animale sociale-politico[72] e può/deve
realizzare questa natura, non quella divina[73]: il bene umano contempla sempre
il rapporto a un’alterità – è καθ’ ἕτερον[74] ˗ quello divino è assoluto
rapporto a sé[75]. L’autosufficienza divina funge da “idea regolativa”, da
norma ideale: l’uomo felice minimizzerà il numero degli amici e si limiterà a
quelli virtuosi, degni di accompagnarsi a lui; proprio il caso di chi non è
obnubilato da bisogni e mancanze, evidenzia il valore intrinseco dell’amicizia
perfetta, perseguita non già per ricevere benefici bensì per fare, dare e
condividere il bene che si possiede. Ma l’argomento successivo – che è molto
complesso e possiamo solo sintetizzare[76] – chiarisce che non si tratta di un
altruismo generico e astratto, in quanto l’amicizia è ingrediente essenziale,
non accessorio, della felicità individuale. Vivere, per l’uomo, è
percepire e conoscere[77], e – prosegue Aristotele ˗ l’aspirazione massima di
ciascuno di noi è, da ultimo, quella di conoscere noi stessi (tesi che rivisita
il celebre monito delfico-socratico); la felicità è costituita dalla conoscenza
di sé in quanto attivi come buoni e virtuosi[78], e la conoscenza di sé passa
per la conoscenza reciproca fra amici: l’amico è «un altro sé»[79], «percepire
l’amico necessariamente è percepire in certo modo sé stesso e conoscere in
certo modo sé stesso»[80]. Condividendo con l’amico i beni, i piaceri e le
attività della vita felice, incrementiamo dunque la conoscenza di noi stessi e
della nostra stessa felicità. La Nicomachea chiarisce la relazione fra il
riconoscimento reciproco degli amici virtuosi e la loro felicità, soprattutto
in un passo speculativamente densissimo: Se l’essere felici
consiste nel vivere e nell’agire, e l’attività dell’uomo dabbene ed eccellente
è per sé virtuosa [..], se poi anche ciò che è familiare/affine (οἰκεῖον) a
qualcuno è tra le cose che lui trova piacevoli, se noi possiamo osservare il
nostro prossimo meglio di noi stessi, e le sue azioni più che le nostre, se le
azioni degli uomini superiori, che siano anche amici, sono fonte di piacere per
i buoni, dato che hanno tutte e due le caratteristiche piacevoli per natura,
allora l’uomo beato avrà bisogno di amici simili a lui, posto che davvero
preferisca osservare azioni buone, e che gli sono proprie, come lo sono le
azioni dell’amico, quando è buono. (Et. Nic. IX 9 1169b31-1170a4)[81] Le
attività di un’esistenza virtuosa e felice sono obbiettivamente piacevoli agli
occhi di un uomo buono, virtuoso e felice a sua volta: vi si rispecchia,
sentendocisi “a casa propria”, e la familiarità determinata da affinità e
prossimità, gli è in sé piacevole. Come si evincerà, la nozione platonica di οἰκεῖον,
introdotta sul finire del Liside come cifra stessa della φιλία, trova una
ripresa puntuale e una valorizzazione speculativa nella teoria aristotelica. Il
prossimo si offre alla nostra conoscenza in modo più trasparente che noi
stessi, giacché la sua distanza da noi lo rende meglio oggettivabile. I due
tratti umani piacevoli per natura sono da un lato la felicità di cui la virtù è
costitutiva, dall’altro la familiarità, che chi è felice è virtuoso riscontra
ed esperisce nel contemplare e cooperare con un’altra esistenza felice e
virtuosa. Le azioni di un nostro amico “perfetto” sono buone e nel contempo ci
sono proprie, cosicché contemplarle è come trovare in esse lo stesso bene che
noi siamo. Potrebbe stupire il riferimento reiterato al tema del piacevole,
quasi che si trattasse di una delle due amicizie non perfette: ma occorre
tenere a mente che il piacevole per natura o ἁπλῶς coincide col bene ἁπλῶς, e
che si tratta di un piacere costitutivo del bene e inseparabile da esso,
piuttosto che di un piacere addizionale ed esteriore rispetto al bene cui
consegue. Se l’altro è sufficientemente prossimo a me, posso de-situarmi e
oggettivarmi riconoscendomi nelle sue azioni, secondo una dialettica complessa
e chiastica di riconoscimento reciproco. «Se l’uomo eccellente si comporta
verso l’amico come si comporta verso di sé, dato che l’amico è un altro se
stesso, allora, così come è desiderabile per ciascuno il suo proprio esserci,
così è desiderabile l’esserci dell’amico, o quasi» (EN IX 9, 1170b5-8). In
questo gioco speculare di identificazioni reciproche, il mio rapporto con
l’altro è mediato del mio rapporto con me stesso[82], l’altro è un «altro me» e
perseguo il suo bene in maniera pressoché equivalente a come perseguo il mio
(quel «quasi» è una concessione al realismo empirico, da cui questa
idealizzazione non vuole disancorarsi); ma è altrettanto vero che il mio
rapporto con me stesso è a sua volta mediato dal mio rapporto con l’altro,
giacché conosco genuinamente me stesso non già con un qualche misterioso atto
introspettivo[83], bensì conoscendo persone simili a me che a loro volta mi
riconoscono simili a sé: questa è la ragione perché v’è bisogno di amici buoni
e virtuosi entro relazioni di amicizia “perfetta”; se la felicità implica
autosufficienza, si tratta di un’autosufficienza umana e non divina, che passa
per l’inclusione del prossimo nella nostra esistenza, e per la cooperazione con
chi scegliamo come degno incarnare il bene e la virtù[84]. Come l’essere amici
non si dà senza il sapere di esserlo anche se si può credere di essere amici
senza esserlo, così l’essere felici (in quanto buoni e virtuosi in attività)
non si dà senza la coscienza di essere felici (in quanto buoni e virtuosi),
anche se è possibile credere di essere felici senza esserlo davvero. E per
sapere chi sono, devo rispecchiarmi in amici simili a me[85]. Ciò importa che
l’uomo beato non avrà bisogno di amici “meramente utili” e “meramente piacevoli”,
invece dovrà avere amici buoni e virtuosi: il topos tradizionale è riscattato
nella sua verità profonda, ma anche oltrepassato in virtù della tripartizione;
in un senso è vero, in un altro no. Essere felici insieme è diverso dal
semplice divertirsi insieme, anche se lo include, ed è diverso dal semplice
aiutarsi l’un l’altro, anche se può includerlo. L’amico perfetto ˗ come
ogni altro autentico bene ˗ è oggetto di scelta razionale[86]. Anche per questo
la teoria aristotelica si distanzia da quella platonica[87]: la φιλία erotica,
già ben presente nel Liside sin dalla sua ambientazione scenica – una palestra,
ove Liside è il «bello del momento» di cui Ippotale è innamorato – viene
relegata da Aristotele a una delle tante forme di φιλία, degna di pochi accenni
espliciti, mentre nel Simposio e nel Fedro, dialoghi ben più elaborati e
costruttivi del Liside, l’eros è la forma di φιλία che viene eletta a oggetto
di indagine paradigmatico. Ma le componenti mistico-estatiche della φιλία
erotica come «follia divina» e frutto di invasamento[88], risultano
completamente marginalizzate entro la teoria aristotelica. L’amicizia più degna
e verace è attività derivante da scelta come desiderio razionale; se la
felicità è attività e i beni che la materiano sono oggetto di scelta, allora
anche l’amicizia, ingrediente costitutivo della vita felice, sarà espressione
di attività, piuttosto che passivo invasamento consistente nell’esser
“posseduti” da uomini o dèi. Il primato etico, fisico e metafisico dell’azione
sulla passione, è anche il primato di un certo tipo d’amore su un cert’altro.
L’amicizia è riportata fra gli amici, e la sua declinazione più eccellente,
normante rispetto alle altre, è caratterizzata secondo la dimensione eticamente
più elevata dell’umano: la ragione che sceglie e governa il desiderio,
piuttosto che esserne governata. L’eros platonico, così bellamente ed
enfaticamente rappresentato nel Simposio e nel Fedro, diventa per Aristotele
solo una delle tante declinazioni possibili di un tipo di amicizia – quella
fondata sul piacere – che è già di per sé incompleta e deficitaria[89].
Secondo l’aporetico excipit del Liside, né amanti né amati, né simili né
dissimili, né contrari né affini, né buoni, possono essere amici[90]; le Etiche
aristoteliche presentano una teoria la quale non solo consente ma anche prevede
che amanti, amati, simili, dissimili, contrari, affini, buoni, e perfino
malvagi possano essere amici; inoltre tale teoria offre le risorse concettuali
per chiarire quali coppie di amici possano e/o debbano avere questo o quel
carattere distintivo, e perché. Spero di avere almeno approssimato il
duplice obbiettivo prefissatomi: mostrare in modo dettagliato e sistematico la
dipendenza polemico-dialettica della teoria aristotelica dal Liside platonico,
e mettere in luce il significato filosofico generale della tripartizione della
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L’anima del vivente. Vita, cognizione e azione nella psicologia aristotelica,
Milano-Brescia: Morcelliana. Note al testo [1]
Cfr. Phys. I 1: la conoscenza procede da ciò che è più prossimo e più
conoscibile per noi, a ciò che è primo per se o per natura; se tale “risalita”
verso i principi a partire da ciò che ci è immediatamente più vicino è il
metodo della fisica, a fortiori esso si applica all’ambito etico, che è ambito
segnatamente umano: cfr. Et. Nic. I 2, 1095a31-b4, ma anche De An. II 2,
413a11-17 e Met. VII 3, 1029a35-b12. Sul valore epistemologico di questa
differenza, resta decisivo Ruggiu (1965). [2] Per esempio: quando diciamo,
tipicamente, qualcuno «amico» di qualcun altro? Sul rapporto costitutivo fra il
primo-per-noi e il linguaggio, cfr. Wieland (1993). [3] Cfr. Top. I 1, 100 b
21-23; intendo questa definizione di ἔνδοξον come una disgiunzione inclusiva:
se un’opinione è condivisa almeno da uno degli insiemi indicati (tutti, i più,
i sapienti, qualcuno di essi), è un ἔνδοξον, e ciò che lo rende tale può essere
quantitativo, o qualitativo, o entrambi: per esempio, se è condiviso da tutti,
lo sarà anche dai sapienti. [4] Sulla intima connessione fra δοκοῦντα, λεγόμενα
e φαινόμενα, cfr. Owen (1967), Nussbaum (1986b). [5] Cfr. De An. I 1, 402b
16-403a8. [6] Cfr. Herod. III 82, 35 e Tucid. I 137, 4, in cui si trova
l’endiadi «συμμαχίᾳ καὶ φιλία». [7] Nei poemi omerici non vi è il termine φιλία
– le prime occorrenze si trovano in Teognide (Teog. I, 31-38, 53-60, 323-28) –
ma termini analoghi come φιλότης, φίλος sono utilizzati sia a proposito del
rapporto fra uomini che di quello fra uomini e dèi. Sulla φιλία nel mondo
antico, cfr. Pizzolato (1993), Fraisse (1974). [8] Nel Fedro platonico
(228a-e), Socrate confuta un discorso di Lisia sulla φιλία, che Fedro custodiva
sotto il mantello: quindi è verosimile che anche prima della data di
composizione del Liside la φιλία fosse importante oggetto di dibattito e di
riflessione critica. Del resto Giamblico (De Pythagorica Vita, 229-30) e
Diogene Laerzio (Vitae Philosophorum, VIII, 10) attribuiscono già a Pitagora la
prima trattazione filosofica della φιλία. [9] Anche il Fedro e il Simposio si
occupano lungamente della φιλία – l’eros è una forma della φιλία, per Platone
quella più significativa – ma, come cercherò di mostrare, l’indagine
aristotelica dipende sistematicamente dal Liside: per così dire, essa articola
una differente risposta a quelle aporie, rispetto a quella che propone Platone
nel Simposio e nel Fedro. [10] Meglio: se qualcuno sia amico di qualcun altro
in quanto ami o, piuttosto, in quanto sia amato. [11] φίλος + dativo significa
“caro a qualcuno”, φίλος + genitivo indica colui a cui qualcuno è caro, due
individui sono φίλοι, quando sono l’uno “caro” all’altro. [12] Alcuni
interpreti leggono il Liside come un esercizio dialettico, filosoficamente
debole [Versenyi (1975)] o più retorico-sofistico che filosofico [Bordt
(1988)], o dal significato prolettico-introduttivo rispetto ai maturi Simposio
e Fedro [Kahn (1996), ma già Gomperz (2013), Auslage 5, e Willamovitz (1959)];
benché questi due dialoghi successivi ne possano a buon diritto adombrare il
valore intrinseco, tuttavia i temi sollevati dal Liside sono nodi aporetici
sostanziali, e non deve fuorviare il fatto che Socrate mutui il linguaggio e lo
stile argomentativo dal tipo di interlocutore che affronta (per esempio,
“facendo” il sofista col sofista Menesseno, e così via). Per una
interpretazione non riduttiva del Liside e del suo valore speculativo, è
illuminante Trabattoni (2004). [13] Un altro topos tradizionale – per cui la
vera amicizia è fra ἀγαθοί – ricorrente in Platone: per restare all’esempio più
noto, in Resp. I, 351a-e Socrate replica a Trasimaco che fra malvagi e ingiusti
non può esserci alcuna cooperazione né amicizia; era comunque un tema
essenziale per Socrate (cfr. Senofonte, Mem., 2.6 1-7). [14] Sull’ascendenza
omerica di questo topos tradizionale, e sulla sua importanza per Aristotele
(cfr. infra: Par. III), cfr. Adkins (1963). [15] La coscienza del male come
tale è sintomo del fatto che il male è relativo e non assoluto. [16] Qui nel
Liside si tratta di ἐπιθυμία (cfr. 217c). [17] Tralascio qui la questione della
possibile identificazione del Primo Amico col Bene: ciò che rileva, qui, è il
fatto che esso trascenda gli amici concreti, i quali sono tali solo «a parole»
e stanno al Primo amico – che è tale «in realtà» (τῷ ὄντι) – come i mezzi al
fine (cfr. Lys. 220b1-4). [18] Lys 222e1-7. [19] La letteratura sull’amicizia
in Aristotele è sterminata: in luogo di proporre una lunga lista di studi che
comunque sarebbe tutt’altro che esaustiva, nel seguito mi limiterò a citare
alcuni contributi che sono particolarmente pertinenti agli aspetti che
tratterò. Un commento sintetico e preciso a Et. Nic. VIII e IX è Pakaluk
(1998). [20] È il giudizio nettamente prevalente, anche se non unanime. [21]
Sul rapporto fra il Liside e le Etiche aristoteliche riguardo l’amicizia, buoni
spunti si trovano in Annas (1986). [22] Et. Eud. VII 1, 1234b18-1235a4; cfr.
anche Et. Nic. VIII 1. [23] Et. Eud. VII 1, 1155a33-b7. [24] Trad. it.
modificata. [25] Cfr. supra: nota 16. [26] Et. Eud. VII 2, 1235b22-23. [27] C’è
chi crede che il piacere sia un bene, ma c’è anche chi crede che non lo sia
eppure gli appare – porto dalla φαντασία – come se lo fosse. Nell’acratico la
forza della φαντασία sopravanza, nelle scelte pratiche, quella della δόξα. [28]
Il «bene apparente» è qualcosa che appare come bene; ma può anche non esserlo:
tuttavia, anche il bene reale motiva il desiderio solo apparendo come bene.
Dunque «apparente» qui non va affatto interpretato come falsa apparenza. [29]
Et. Eud. VII 2, 1235b30-1236a1. [30] Il piacevole non è l’immediato, ma anche
ciò che non procura dispiacere futuro; Aristotele sa bene che molte cose
dannose possono procurare del piacere immediato. Ma chi non è acratico, conscio
delle conseguenze negative, accorderà il suo desiderio con la sua ragione, e la
motivazione data dall’ipotetico piacere immediato sarà soverchiata dalla
motivazione a evitare danni futuri. [31] Questo punto è più chiaro per come è
presentato in Et. Nic. VIII 2, 1155b23-27. [32] Nelle espressioni δι’ ἀρετὴν,
διὰ τὸ χρήσιμον, δι’ ἡδονήν, la preposizione significa a un tempo «in base a»,
«a causa di», «al fine di»: il rispettivo amabile è ciò che causa
quell’amicizia, ciò che ne costituisce il fondamento o ragion d’essere, ciò che
ne rappresenta il fine [su un’idea analoga, cfr. Nussbaum (1986a)]; nei termini
della nota teoria delle quattro cause (dei quattro sensi del διὰ τί, cfr. Phys.
II 3), potremmo plausibilmente intendere il tipo di amabile come causa
efficiente, formale e finale della rispettiva relazione amicale. [33] Cfr. Et.
Nic. VIII 2, 1155b26-31. Mentre la φίλησις è una passione o affezione (πάθος),
la φιλία è uno stato abituale (ἕξις, 1557b28-29). [34] Cfr. Et. Eud. VII 2,
1237b17-23; Et. Nic. VIII 4, 1156b30-33. [35] Vi è discussione sul fatto che
questa caratterizzazione definitoria offra condizioni sufficienti perché
qualcosa sia amicizia, oppure solo condizioni necessarie; propenderei per la
seconda opzione: per esempio, Aristotele ritiene che per diventare amici deve
passare del tempo, e molti scambiano il desiderio di essere amici con
l’amicizia stessa (Et. Eud. VII 2, 1237b12-22); ma se il desiderio è reciproco,
sussiste già benevolenza reciproca non celata, che non è ancora amicizia. [36]
Sul focal meaning cfr. Owen (1963), Ferejohn (1980). L’exemplum princeps è quello
della Metafisica: la sostanza è il focal meaning dell’essere, tutto ciò che è o
è sostanza o rimanda a una sostanza, al modo in cui tutto ciò che è «sano»
rimanda alla salute e tutto ciò che è «medico» alla medicina (cfr. Met. IV 2,
1003a32-1003b11). [37] Cfr. Fortenbaugh (1975). [38] Può esserlo in modo
mediato, come foriero di un altro utile, al modo in cui qualcosa è mezzo di un
altro mezzo, ma in ultima istanza l’utile è tale perché porta al bene e i mezzi
sono tali perché portano al fine. [39] Per esempio, in De An. III 7, 431a10-13
il piacere è definito come l’essere percettivamente attivi nei confronti del
bene in quanto bene; l’utilità è indefinibile se non come capacità di
avvicinarci a un qualche bene; l’utile sta al bene come il mezzo al fine, e non
vi è modo di definire cosa sia un mezzo, senza chiamare in causa la nozione di
fine. [40] Et. Eud. VII 2, 1236a25-26. [41] Et. Eud. VII 2, 1236b1-2; Et. Nic.
VIII 4, 1156b7-8. [42] Cfr. Esiodo, Opera et dies, 342-360; 707-723. [43]
Chiamare amicizia solo quella prima, equivarrebbe a «violentare i fenomeni»
(βιάζεσθαι τὰ φαινόμενα, Et. Eud. VII 2, 1236b 22). [44] Et. Nic. VIII 4,
1156b7. [45] La prima amicizia, infatti è quella «secondo virtù e a causa del
piacere della virtù» (EE VII 1238a31-32). [46] Secondo Aspasio (164.3-11), Owen
(1960) e Dirlmeier (1967) vi sarebbe comunque focal meaning e relazione πρὸς ἓν,
ancorché non esplicitata. [47] Et. Nic. VIII 5, 1157a32. [48] Se poi
l’individuo è acratico, potrebbe anche non credere che qualcosa sia il suo
bene, ma perseguirlo perché gli “appare” bene e frequentare individui utili a
qualcosa che egli cerca di procurarsi pur sapendo che non è il suo bene: come
uno che frequentasse un pusher in modo costante per procurarsi della droga,
sapendo di farsi del male ma perseverando nel suo comportamento autodistruttivo
(e nelle frequentazioni relative) per debolezza. [49] Sulla rilevanza della
distinzione fra «bene per qualcuno» e «bene incondizionato» in rapporto alla
teoria delle tre amicizie, insiste doverosamente O’Connor (1990). [50] Et. Nic.
IX 10,1170b20-29. [51] Così, nella Nicomachea (Et. Nic. VIII 2, 1156a17), non
nella Eudemia. [52] Cfr. supra: Par. II, 3. [53] EN VIII 3, 1156 a 16-17. [54]
EN VIII 3, 1156a18-19 [55] Cooper (1977) sostiene che le amicizie accidentali
siano tali perché dipendano da tratti accidentali del carattere dell’amico
amato; Payne (2000) replica che anche i tratti in virtù di cui qualcuno risulta
piacevole o utile possono essere altrettanto essenziali di quelli che lo
rendono virtuoso: gli amici perfetti sarebbero scelti «per sé stessi» in quanto
i loro caratteri virtuosi sono scelti come fine e non come mezzo (per altro).
Ma le letture sono forse componibili: l’esser utile o piacevole, anche se
sopravviene a tratti essenziali del carattere altrui, restano esterni
all’altro, in quanto relazionali in un senso diverso dalla virtù; l’esser buono
è sia essenziale e intrinseco all’amico, che scelto per sé stesso e non per
altro, e rende anche l’amico stesso, che ha quel carattere virtuoso, scelto per
sé stesso e non per altro. Cfr. supra: nota 31. [56] In Et. Eud. VII 7,
1241a5-7 si afferma che «se uno vuole per un altro i beni perché costui gli è
utile, li vorrebbe allora non per quello ma per sé stesso; mentre invece la
benevolenza, proprio come l’amicizia, si ritiene che sia rivolta non a quello
che la prova, ma a colui per il quale la si prova. Pertanto, è chiaro che la
benevolenza è in relazione con l’amicizia etica». Qui pare che solo l’amicizia
etica (=virtuosa) implichi la benevolenza, che però è un costituente della
definizione generale di amicizia. Da passi di questo tenore pare che le
amicizie incomplete non siano amicizie in senso proprio, visto che non
soddisfano la definizione; Aristotele è oscillante, è innegabile che vi sia una
tensione irrisolta fra la sua vocazione inclusiva e lo sforzo di enucleazione
della “vera” amicizia come tipologia normante e assiologicamente sovraordinata,
che non è semplicemente una delle tre amicizie ma quella par excellence, di cui
le altre sono approssimazioni manchevoli. Si può accogliere la lettura di
Walker (1979), per cui l’amicizia perfetta soddisfa criteri più severi, le
altre criteri più laschi. [57] Si pensi alla percezione per accidente (De An.
II 6, III 1): essa è comunque studiata come una modalità genuina di percezione:
le ragioni per cui essa è percezione per accidente non inficiano il fatto di
essere genuinamente un tipo di percezione. [58] I due amici perfetti, in quanto
buoni e virtuosi, realizzano l’eccellenza della natura umana, sono esempi del
bene incondizionato e del piacere incondizionato. [59] Et. Nic. VIII 3,
1156a31-1156b1. [60] Et. Eud. VII 2, 1238a11-30; Et. Nic. VIII 3, 1156b17-32.
[61] Può succedere che l’altro cambi, peggiori, o impazzisca, ma non accade per
lo più. Cfr. Et. Nic. IX 3. [62] Et. Nic. VIII 4, 1156b10. [63] Et. Eud. VII 2,
1236b31. [64] La sventura, poi, può rivelare che un’amicizia che pareva
perfetta era in realtà in vista dell’utile (Et. Eud. VII 2, 1238a19-21). [65]
Lys. 211e-212a. [66] Et. Eud. VII 2, 1237b13-27. [67] Et. Nic. VIII 3,
1156a24-31. [68] Et. Nic. VIII 7, 1158a21. [69] Et. Eud. VII 4; Et. Nic. VIII
8. [70] Et. Eud. VII 9-11, Et. Nic. VIII 12-14. [71] Et. Eud. VII 12, 1244b4-5.
[72] Cfr. Pol. I 1, 1253a10-12; Et. Nic. IX 12, 1169b18-19. [73] Et. Eud. VII
12, 1245b15-16. [74] Et. Nic. 1245b18. [75] Et. Eud. VII 12, 1245b18-19. [76]
Si tratta di una complessità anche filologica, dovuta a corruzioni del testo.
Su ciò, cfr. Kosman (2004). [77] Delle tre anime – nutritivo-riproduttiva,
percettiva, razionale – la percettiva e la razionale sono quelle che
discriminano la realtà (cfr. De An. III 3, 427a17-23); la percettiva, poi, è
intimamente connessa col desiderio e, quindi, con l’azione (cfr. De An. III
9-11). Vivere significa realizzare le proprie capacità naturali e acquisite, il
che per l’uomo implica anzitutto l’esercizio di percezione e pensiero (ove
entrambe vanno concepite come connesse all’azione, in quanto coinvolgono anche
desiderio e intelletto pratico). Su ciò, mi permetto di rimandare a Zucca
(2015), Capp. II e VI. [78] La felicità è «una certa attività dell’anima
secondo virtù completa» (Et. Nic. II 13, 1102a5-6). [79] Et. Eud. VII 12,
1245a30; Et. Nic. IX 9, 1166 a 32, 1170 b 6. [80] Et. Eud. VII 12, 1245a35-7.
[81] Trad. it. modificata. [82] In Et. Eud. VII 6 e in Et. Nic. IX 4 si
argomenta che i tipi di relazione che si hanno con gli altri dipendono dal
rapporto che si ha con sé stessi: chi è buono e virtuoso sarà anche amico di sé
stesso in modo armonico e costante – sebbene si possa parlare di amicizia solo
κατὰ ἀναλογίαν (1240a13), nel caso dell’auto-rapporto – chi è malvagio sarà
incostante e in conflitto con sé stesso, e in senso analogico sarà nemico di sé
stesso. Questa idea non contraddice l’idea per cui la conoscenza di sé passa
per la conoscenza dell’altro (Et. Nic. IX 9), ma anzi la completa: il buono e
virtuoso è felice anzitutto in quanto ha un “sano” rapporto con sé, ma si
conosce e realizza come felice solo in quanto ha un rapporto di riconoscimento
reciproco con amici che hanno, a loro volta, un altrettanto “sano” rapporto con
sé stessi. [83] L’idea di un accesso introspettivo infallibile ed
essenzialmente privato ai nostri propri atti mentali, così tipicamente moderna,
è affatto estranea ad Aristotele. [84] Come è naturale porre l’enfasi sul
valore speculativo intrinseco della teoria, così è altrettanto opportuno
ricordare che l’amicizia perfetta aristotelica resta prerogativa di un
sottoinsieme dei maschi adulti liberi; tuttavia, questa tara storica affetta la
teoria dell’amicizia, per così dire, mediatamente: in quanto restringe a quel
sottoinsieme la capacità di realizzare l’eccellenza morale, precondizione della
relazione d’amicizia perfetta. [85] Non uso la locuzione «sapere chi sono»,
anacronisticamente, come il coglimento di me stesso in quanto individualità
irriducibile, magari ineffabile e inaccessibile ad altri – non è certo questa
sorta di soggettività “novecentesca”, che secondo Aristotele giungerebbe alla
coscienza di sé nell’amicizia – bensì come il venire a conoscenza di che tipo
di persona sono. [86] Come bene intrinseco che trascende il livello del
piacevole, è un amabile oggetto di volontà piuttosto che di appetito (Et. Eud.
VII 2, 1235b22-23), e la volontà è desiderio razionale di beni scelti. [87] Un’analisi
sistematica e comparativa delle nozioni di amicizia e amore in Platone e
Aristotele, è Price (1989). Cfr. anche Kahn (1981). [88] Cfr. Phaedr. 265b-c.
[89] La relazione erotica amante/amato, peraltro, è anche meno significativa e
più instabile di altre relazioni fondate sul piacere – dunque, già di per sé
instabili – in quanto in questo caso il piacere «non deriva dalla stessa fonte»
(l’uno gode nell’esser corteggiato, l’altro nel contemplare l’altro, Et. Nic.
VIII 5, 1157a2-10). [90] Lys. 222a3-7. Proverbi, impicatura proverbiale. A
Errare humanum est.jpg Ab amico reconciliato cave. Guardati da un amico
riconciliato.[1] Absit reverentia vero. Bando ai pudori di fronte alla verità.
(Ovidio) Abusus non tollit usum. L'abuso non esclude l'uso.[2] Accidere ex una
scintilla incendia passim. A volte da una sola scintilla scoppia un
incendio.[3] Ad impossibilia nemo tenetur. Nessuno è obbligato a fare
l'impossibile.[4] Adulator propriis commodis tantum suadet L'adulatore tiene di
mira solo i suoi interessi.[5] (Giulio Cesare) Amantis ius iurandum poenam non
habet. Il giuramento dell'innamorato non si può punire.[6] Amicus certus in re
incerta cernitur. Il vero amico si rivela nelle situazioni difficili.[7]
(Quinto Ennio) Amicus omnibus, amicus nemini. Amico di tutti, amico di
nessuno.[8] Amicus Plato, sed magis amica veritas. Amo Platone, ma amo di più
la verità.[9] (Aristotele) Amor arma ministrat. L'amore procura le armi [agli
amanti perché possano essere grati alla persona amata].[10] (proverbio
medievale) Amor caecus. L'amore è cieco.[11] Amor gignit amorem.[10] Amore
genera amore. Amor tussisque non celatur. L'amore e la tosse non si possono
nascondere.[12] Amoris vulnus sanat idem qui facit. La ferita d'amore la risana
chi la fa.[12] Anceps fortuna belli. Le sorti della guerra sono incerte.[9]
(Cicerone) Aquila non captat muscas. L'aquila non prende mosche.[13] Athenas
noctuas mittere.[14] Mandare nottole ad Atene. Fare cosa inutile e superflua.
Ars est celare artem.[15] La perfezione dell'arte sta nel celarla. Audi, vide,
tace, si vis vivere in pace.[16] Ascolta, guarda e taci, se vuoi vivere in
pace. B Barba virile decus, et sine barba pecus.[17] La barba è decoro
dell'uomo e chi è senza barba è pecoro. Bene qui latuit, bene vixit. Ben visse
chi seppe vivere nell'oscurità.[18] (Ovidio) Beati monoculi in terra caecorum.
Beati i monòcoli nel paese dei ciechi. Bis dat qui cito dat. Dà due volte chi
dà presto.[19] Bis peccat qui crimen negat.[20] È due volte colpevole chi nega
la propria colpa. Bis pueris senes.[21] Il vecchio è due volte fanciullo. Bonis
nocet qui malis parcet. Chi risparmia i malvagi danneggia i buoni.[22] Bonum
nomen, bonum omen.[23] Buon nome, buon augurio. C Caecus non judicat de
colore.[24] Il cieco non giudica i colori. Non si può giudicare ciò che si
sottrae alle nostre attitudini. Caesar non supra grammaticos.[25] Cesare non
(ha autorità) sopra i grammatici. Le persone più altolocate non possono avere
autorità se non su quelle cose di cui s'intendono. Canis caninam non est.[26]
Cane non mangia cane. Carpe diem. Cogli il giorno. (Quinto Orazio Flacco)
Caseus est sanus, quem dat avara manus. Fa bene quel formaggio servito da una
mano avara.[27] Causa patrocinio non bona peior erit. La causa cattiva diventa
peggiore col volerla difendere.[28] (Ovidio) Causa perit iusta, si dextera non
sit onusta.[29] La giusta causa soccombe se la destra non è piena [di denaro].
Cave a signatis. Guàrdati dai segnati.[28] Antico adagio in odio a coloro che
sono affetti da qualche imperfezione fisica: guerci, zoppi, ecc. Cave tibi ab
acquis silentibus. Guàrdati dalle acque chete.[28] Cavendo tutus.[30] Se sarai
cauto, sarai sicuro. Cogito ergo sum. Penso dunque sono. (Cartesio)
Commendatoria verba non obligant.[31] Le parole di raccomandazione non
obbligano. Commune periculum concordiam paret.[32] Il comune pericolo prepari
la concordia. Consuetudo est altera natura. L'abitudine è una seconda
natura.[33] D De gustibus non est disputandum. Sui gusti non si discute.[34]
Difficilis in otio quies. È difficile esser tranquilli nell'ozio.[35] Dulce
bellum inexpertis, expertus metuit. La guerra è dolce per chi non ne ha
esperienza, l'esperto la teme.[36] (proverbio medievale) Dum caput dolet,
caetera membra languent. Quando duole il capo, tutte le membra languono.[37] Dum
Romae consulitur, Saguntum expugnatur. Mentre a Roma si delibera, Sagunto è
espugnata.[38] Dum vinum intrat exit sapientia.[39] Mentre il vino entra, esce
la sapienza. Duo cum faciunt idem, non est idem.[35] Quando due fanno la stessa
cosa, non è più la stessa cosa. E Errare humanum est, perseverare autem
diabolicum.[40] L'errare è cosa umana, il perseverare nella colpa invece è
diabolico. Error hesternus sit tibi doctor hodiernus.[41] L'errore di ieri ti
sia maestro oggi. Est in canitie ridicula Venus. È ridicolo l'amore di un
vecchio.[42] (Proverbio medievale) Est modus in rebus, sunt certi denique fines
| quos ultra citraque nequit consistere rectum. C'è una giusta misura nelle
cose, ci sono giusti confini | al di qua e al di là dei quali non può sussistere
la cosa giusta. (Quinto Orazio Flacco) Ex ungue leonem.[43] Dall'unghia si
conosce il leone. Da un atto compiuto si rivela la forza dell'autore, morale o
materiale. Excusatio non petita fit accusatio manifesta (proverbio
medievale)[44] Chi si scusa senza esserne richiesto s'accusa. F Fabas indulcat
fames.[45] La fame addolcisce le fave. Facile est inventis addere.[46] È facile
aggiungere a ciò che è stato inventato. Facile perit amicitia coacta.[47]
Facilmente muore un'amicizia forzata. Facit experientia cautos.[48]
L'esperienza rende cauti. Fac sapias et liber eris.[49] Fa' di sapere e sarai
libero. Felicium omnes sunt cognati. Tutti sono parenti dei fortunati.[8] Fiat
iustitia et pereat mundus. Sia fatta giustizia e perisca pure il mondo.
Frangitur ira gravis cum sit responsio suavis.[50] Una dolce risposta infrange
l'ira. Frustra sapiens qui sibi non sapet.[51] Inutilmente sa chi non sa per
sé. G Gutta cavat lapidem. La goccia scava la pietra. H Homo longus raro
sapiens; sed si sapiens, sapientissimus. Un uomo lungo (ossia alto) di rado è
sapiente; ma se è sapiente, è sapientissimo.[52] Homo sine pecunia, imago
mortis. L'uomo senza danaro è l'immagine della morte.[53] I Ianuensis ergo
mercator. Genovese quindi mercante.[54] Imperare sibi maximum imperium est.
Comandare a sé stessi è la forma più grande di comando. (Seneca, Lettere a
Lucilio, CXIII.30) In magno mari capiuntur flumine pisces.[55] Nei grandi fiumi
si pescano i grandi pesci. Nei grandi affari si fanno i grossi guadagni. In
medio stat virtus. La virtù sta nel mezzo. (Orazio) In vino veritas. Nel vino
c'è la verità. L M Magnum vectigal parsimonia.[56] La parsimonia è un gran
capitale. (Cicerone) Major e longiquo reverentia.[56] La riverenza è maggiore
da lontano. (Tacito) Mala gallina, malum ovum.[57] Gallina cattiva, uovo
cattivo. Mea mihi conscientia pluris est quam omnium sermo.[58] Per me val più
la mia coscienza che il discorso di tutti. (Cicerone) Medicus curat, natura
sanat. Il medico cura ma è la natura che guarisce.[59] Melius est abundare quam
deficere. Meglio abbondare che trovarsi in scarsezza.[60] Mors tua vita
mea.[56] La tua morte è la mia vita. Mortui non mordent. I morti non
mordono[61] [truismo] Mortuo leoni et lepores insultant. Anche le lepri
insultano un leone morto.[62] Multi multa, nemo omnia novit. Molti sanno molto,
nessuno sa tutto.[63] N Natura non facit saltus. La natura non procede per
salti.[64] Naturalia non sunt turpia.[65] Le cose naturali non sono turpi. Nemo
non formosus filius matri. Nessun figlio non è bello per sua madre.[66] Ne
pulsato portam alterius, nisi velis pulsetur et tua.[67] Non bussare alla porta
altrui se non vuoi che bussino alla tua. Nihil est in intellectu quod non
fuerit in sensu. Nulla è nell'intelligenza che prima non fosse nel senso[68]
Non omne quod licet honestum est.[69] Non tutto ciò che è lecito è onesto. Non
omnibus dormio. Non dormo per tutti.[70] Nomen omen Il nome è un presagio (v.
anche nomina sunt consequentia rerum e conveniunt rebus nomina saepe suis)
(Plauto, Persa, 625) Nomina sunt consequentia rerum. I nomi sono corrispondenti
alle cose. (Giustiniano, Institutiones, 2, 7, 3) O Omne animal post coitum
triste. Tutti gli animali sono mesti dopo il coito.[71] Omne ignotum pro
terribili.[72] Tutto ciò che è ignoto incute paura. Omnia munda mundis. Per chi
è puro tutto è puro. (Paolo di Tarso) Omnia vincit amor. L'amore vince ogni
cosa. (Virgilio, Bucoliche X, 69) Omnia fert aetas. Il tempo porta via tutte le
cose. (Virgilio) Omnis festinatio ex parte diaboli est.[73] Ogni fretta viene dal
diavolo. P Panem et circenses. Pane e giochi [per distrarre il popolo].
(Giovenale, X 81) Patere quam ipse fecisti legem.[74] Subisci la legge che tu
stesso hai fatta. Pectus est enim quod disertos facit È infatti il cuore che
rende eloquenti (Quintiliano, 10,7,15) Pecunia non olet Il denaro non puzza
(Vespasiano) Per aspera ad astra. Alle stelle [si giunge] attraverso aspri
sentieri.[75] Periculum in mora. Vi è pericolo nel ritardo. (Tito Livio, Ab
urbe condita; XXXVIII, 25) Philosophum non facit barbam.[76] La barba non fa il
filosofo. Primum vivere deinde philosophari (Thomas Hobbes) Prima vivere, poi
fare della filosofia. Q Quando Sol est in Leone, bibe vinum cum pistone. Quando
il sole è in Leone [segno zodiacale], bevi il vino col pistone [a garganella].[77]
Qui aquam Nili bibit rursus bibet.[78] Chi beve l'acqua del Nilo la berrà di
nuovo. È destinato a ritornarvi. Qui asinum non potest, stratum caedit.[79] Chi
non può bastonare l'asino bastona la bardatura. Qui gladio ferit gladio perit.
Chi di spada ferisce di spada perisce.[80] Qui in pergula natus est, aedes non
somniatur. Chi è nato in una capanna, i palazzi non li vede neanche in sogno.
(Petronio, 74,14) Qui jacet in terra non habet unde cadat. Per chi giace in
terra non c'è pericolo di cadere.[81] [truismo] Qui medice vivit, misere vivit.
Chi vive sotto la guida del medico, vive miseramente.[81] Qui scribit, bis
legit. Chi scrive, legge due volte.[82] Quisque faber fortunae suae. Ognuno è
artefice del proprio destino. (Appio Claudio Cieco) Quod differtur non aufertur
Ciò che si dilaziona non lo si perde[83] Quod non potest diabolus mulier
evincit. Ciò che non può il diavolo, l'ottiene la donna.[84] (proverbio
medievale) Quot homines tot sententiae. Tanti uomini, altrettante opinioni.[85]
Quot servi tot hostes. Tanti servi, tanti nemici.[85] R Re opitulandum, non
verbis.[86] L'aiuto va dato con i fatti, non con le parole. Rem tene, verba
sequentur Possiedi l'argomento e le parole seguiranno. (Marco Porcio Catone)
Res satis est nota, plus foetent stercora mota.[87] È cosa nota: lo sterco più
è stuzzicato e più puzza. S Salus extra Ecclesiam non est[88] Al di fuori della
Chiesa non v'è salvezza (Tascio Cecilio Cipriano, Lettera, 73, 21) Sapiens
nihil affirmat quod non probet.[89] Il saggio nulla afferma che non possa
provare. Satis quod sufficit.[90] Ciò che è sufficiente al bisogno, basta.
Semel abas, semper abas.[91] Una volta abate, sempre abate. Proverbio
medioevale, affermante che chi ha vestito una volta l'abito sacerdotale non può
spogliarsi più delle idee e delle abitudini ecclesiastiche. Significa anche,
per estensione, che si conservano sempre le idee una volta acquistate. Semel in
anno licet insanire. Una volta all'anno è lecito fare follie. (Seneca)
Senatores boni viri: senatus autem mala bestia.[92] I senatori sono brava
gente; ma il senato è una cattiva bestia. Sero venientibus ossa.[93] Per chi
viene troppo tardi restano le ossa. Si vis pacem, para bellum. Se vuoi la pace
prepara la guerra. (Vegezio) Sicut mater, ita et filia eius. Quale la madre,
tale anche la figlia.[94] Simia simia est, etiamsi aurea gestet insignia.[95]
La scimmia resta sempre scimmia, anche se indossa ornamenti d'oro. Sol lucet
omnibus.[96] Il sole splende per tutti. Vi sono delle cose di cui tutti gli
uomini possono godere. Sorex suo perit indicio.[97] Il topo perisce per essersi
rivelato da sé. Sublata causa, tollitur effectum.[98] Soppressa la causa,
scompare l'effetto. T Timeo Danaos et dona ferentes. Io temo comunque i Greci,
anche se recano doni. (Publio Virgilio Marone) U Ubi maior, minor cessat.
Dinanzi al più forte, il debole scompare.[8] Ubi opes, ibi amici. Dove sono le
ricchezze, lì sono anche gli amici.[8] Ubi uber, ibi tuber.[99] Dove è la
mammella, ivi è il tumore. Dove c'è abbondanza, ivi si forma il marciume, la
corruzione. V Verba movent, exempla trahunt.[100] Le parole commuovono, ma gli
esempi trascinano. Verba volant, scripta manent.[101] Le parole volano, gli
scritti restano. Vigilantibus, non dormientibus, jura succurunt.[102] Le leggi
forniscono aiuto ai vigilanti, non ai dormienti. Vinum lac senum.[103] Il vino
è il latte dei vecchi. Vulgus vult decipi, ergo decipiatur. Il popolo (il
mondo) vuole essere ingannato, e allora sia ingannato.[104] Note Citato in Mastellaro, p. 21. Citato in Tosi 2017, n. 1408. Citato in Tosi 2017, n. 1010. Citato in 2005, p. 6. Citato in Mastellaro, p. 11. Citato in Mastellaro, p. 25. Citato in Mastellaro, p. 18. Citato in Mastellaro, p. 20. Citato e tradotto in 2005, p. 15. Citato in De Mauri, p. 27. Citato in Mastellaro, p. 24. Citato in Mastellaro, p. 23. Citato in Tosi 2017, n. 2265. Citato, con spiegazione, in Umberto Bosco,
Lessico universale italiano, vol. XV, Istituto della Enciclopedia italiana,
Roma, 1968, p. 59. Citato e tradotto in
2005, § 169. Citato e tradotto in 2005,
§ 188. Citato e tradotto in 2005, §
215. Citato con traduzione in 2005, p.
28. Citato in 1921, p. 43, § 161. Citato e tradotto in 2005, § 243. Citato e tradotto in Lo Forte, § 148. Citato con traduzione in 2005, p. 30. Citato e tradotto in 2005, § 256. Citato e tradotto in Lo Forte, § 154. Citato e tradotto in Lo Forte, § 155. Citato e tradotto in 2005, § 280. Citato in Andrea Perin e Francesca Tasso (a
cura di), Il sapore dell'arte, Skira, Milano, 2010, p. 41. Citato e tradotto in 2005, p. 37. Citato e tradotto in 2005, § 305. Citato e tradotto in 2005, § 312. Citato e tradotto in 2005, § 343. Citato e tradotto in 2005, § 344. Citato in Mastellaro, p. 9. Citato in 2005, p. 57. Citato in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla
saggezza nella vita, traduzione di Oscar Chilesotti, Dumolard, Milano,
1885. Citato in Marco Costa, Psicologia
militare, FrancoAngeli, Milano, 2006, p. 645. ISBN 88-464-7966-1 Citato in 1876, p. 66. Citato in 1921, p. 496. (ES) Citato in Jesús Cantera Ortiz de Urbina,
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744. Citato e tradotto in 2005, §
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spazio: la terra, il mare, il diritto secondo Carl Schmitt, G. Giappichelli
Editore, Citato e tradotto in 2005, § 1072.
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alla spada periranno di spada (Mt 26:52).
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2005, p. 258. Citato in Tosi 2017, n.
1174. Citato in De Mauri, p. 171. Citato in 2005, p. 266. Citato e tradotto in 2005, § 2342. Citato e tradotto in 2005, § 2363. Spesso la frase viene attribuita a Cipriano
in una forma diversa: Extra Ecclesiam nulla salus. Citato e tradotto in 2005, § 2415. Citato e tradotto in 2005, § 2421. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1034. Citato e tradotto in 2005, § 2457. Citato e tradotto in 2005, § 2472. Citato in 1921, p. 138, § 465. Citato e tradotto in 2005, § 2528. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1079. Citato e tradotto in 2005, § 2606. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1097. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1169. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1203. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1204. Citato e tradotto in Lo Forte, § 1216. Citato in Proverbi siciliani raccolti e
confrontati con quelli degli altri dialetti d'Italia da Giuseppe Pitrè, Luigi
Pedone Lauriel, Palermo, 1880, vol. IV, p. 140.
Traduzione in voce su Wikipedia. Bibliografia L. De Mauri, 5000 proverbi
e motti latini, seconda edizione, Hoepli, Milano, 2006. ISBN 978-88-203-0992-0
Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, Milano, 1921. Giuseppe Fumagalli,
L'ape latina, Hoepli, Milano, 2005. ISBN 88-203-0033-8 Giacomo Lo Forte, Ad
hoc, Sandron, 1921. Paola Mastellaro, Il libro delle citazioni latine e greche,
Mondadori, Milano, 2012. ISBN 978-88-04-47133-2. Gustavo Benelli, Raccolta di
proverbi, massime morali, aneddoti, ed altro, Carnesecchi, Firenze, 1876. Renzo
Tosi, Dizionario delle sentenze latine e greche, Rizzoli, 2017. Voci correlate
Modi di dire latini Lingua latina Palindromi latini Categorie: Lingua
latinaProverbi per nazione. Proverbi Exquisite-kfind.png Per approfondire, vedi: Proverbi
toscani. A A brigante brigante e mezzo.[fonte 1] A buon cavalier non manca
lancia.[fonte 2] A buon cavallo non manca sella.[fonte 2] A buon cavallo non
occorre dir trotta.[fonte 3] A buon intenditor poche parole.[1][fonte 2] A
caldo autunno segue lungo inverno.[fonte 4] A cane scottato l'acqua fredda par
calda.[fonte 5] A cane vecchio non dargli cuccia.[fonte 2] A carnevale ogni
scherzo vale, ma che sia uno scherzo che sa di sale.[fonte 6] A caval che
corre, non abbisognano speroni.[fonte 3] A caval donato non si guarda in
bocca.[2][fonte 2] A cavalier novizio, cavallo senza vizio.[fonte 3] A cavallo
d'altri non si dice zoppo.[fonte 3] A cavallo di fuoco, uomo di paglia, a uomo
di paglia, cavallo di fuoco.[fonte 3] A cavallo giovane, cavalier
vecchio.[fonte 3] A caval nuovo cavaliere vecchio.[fonte 2] A chi batte forte,
si apron le porte.[fonte 7] A chi Dio vuole aiutare, niente gli può
nuocere.[fonte 4] A chi fortuna zufola, ha un bel ballare.[fonte 4] A chi ha
abbastanza, non manca nulla.[fonte 4] A chi mangia sempre polli vien voglia di
polenta.[fonte 8] A chi non piace il vino, il Signore faccia mancar
l'acqua.[fonte 8] A chi non può imparare l'abbicì, non si può dare in mano la
Bibbia.[fonte 4] A chi non vuol credere, poco valgono mille testimoni.[fonte 8]
A chi non vuol credere sono inutili tutte le prove.[fonte 8] A chi non vuol far
fatiche, il terreno produce ortiche.[fonte 9] A chi prende moglie ci vogliono
due cervelli.[fonte 4] A chi tanto e a chi niente.[fonte 2] A chi troppo e a
chi niente.[fonte 10] A chi ti dà il cappone, dagli la coscia e l'alone.[fonte
8] A chi ti porge un dito non prendere la mano.[fonte 2] A chi vuole fare del
male non manca l'occasione.[fonte 4] A ciascun giorno basta la sua
pena.[3][fonte 2] A ciascuno sta bene il proprio abito.[fonte 4] A donna di
gran bellezza, dalla poca larghezza.[fonte 4] A duro ceppo, dura accetta.[fonte
4] A goccia a goccia si scava la pietra.[4][fonte 11] A goccia a goccia
s'incava la pietra.[fonte 2] A gran salita, gran discesa.[fonte 4] A granello a
granello si riempie lo staio e si fa il monte.[fonte 4] A grassa cucina povertà
vicina.[fonte 4] A lavar la testa all'asino si perde il ranno e il
sapone.[fonte 12] A lume spento è pari ogni bellezza.[fonte 4] A mali estremi
estremi rimedi.[fonte 1] A muro basso ognuno ci si appoggia.[fonte 1] A nemico
che fugge ponti d'oro.[fonte 1] A ogni uccello suo nido è bello.[fonte 1] A
padre avaro figliuol prodigo.[fonte 13] A pancia piena si ragiona meglio.[fonte
8] A pagare e a morire c'è sempre tempo.[fonte 14] A paragone del molto che
ignoriamo, è meno di niente quanto noi sappiamo.[fonte 4] A pazzo relatore,
savio ascoltatore.[fonte 8] A pensar male, s'indovina sempre.[fonte 15] A
pensar male ci s'indovina.[fonte 2] A pentola che bolle, gatta non
s'accosta.[fonte 8] A rubar poco si va in galera, a rubar tanto si fa
carriera.[fonte 1] A san Lorenzo il dente la noce già sente.[fonte 2] A san
Martino [11 novembre], apri la botte e assaggia il vino.[fonte 8] A San Martino
ogni mosto è vino.[fonte 16] A san Mattia la neve va via.[fonte 4] A scherzar
con la fiamma, ci si scotta.[fonte 17] A tal fortezza, tal trincea.[fonte 4] A
torto si lagna del mare chi due volte ci vuole tornare.[fonte 4] A tutto c'è
rimedio fuorché alla morte.[fonte 1] A usanza nuova non correre.[fonte 2]
Abbattuto l'albero scompare l'ombra.[fonte 8] Accasa il figlio quando vuoi, e
la figlia quando puoi.[fonte 18] Acquista buona fama e mettiti a dormire.[fonte
4] Ai bugiardi e agli spacconi non è creduto.[fonte 8] Ai voli troppo alti e
repentini sogliono i precipizi esser vicini.[fonte 19] A voli troppo alti e
repentini sogliono i precipizi esser vicini.[fonte 2] Abate cupido, per
un'offerta ne perde cento.[fonte 4] Abate rigoroso rende i frati
penitenti.[fonte 4] Abbi piuttosto il piccolo per amico, che il grande per
nemico.[fonte 8] Abiti stranieri, costumi stranieri; costumi stranieri, gente
straniera; la gente straniera sloggia gli antichi abitanti.[fonte 4] Abito
troppo portato e donna troppo vista vengono presto a noia.[fonte 4] Abbondanza
genera baldanza.[fonte 4] Accade in un'ora quel che non avviene in
mill'anni.[fonte 2] Accade in un'ora quel che non avviene in cent'anni.[fonte
2] Accendere una candela ai Santi e una al diavolo.[fonte 4] Accendere una
fiaccola per far lume al sole.[fonte 4] Acqua che corre non porta veleno.[fonte
4] Acqua cheta rompe i ponti.[fonte 16] Acqua di san Lorenzo [10 agosto] venuta
per tempo; se alla Madonna viene va ancora bene; tardiva sempre buona quando
arriva.[fonte 2] Acqua e chiacchiere non fanno frittelle.[fonte 20] Acqua
lontana non spegne il fuoco.[fonte 21] Acqua passata, non macina più.[fonte 22]
Ad albero vecchio ed a muro cadente, non manca mai edera.[fonte 4] Ad ogni
primavera segue un autunno.[fonte 4] Ad ognuno la sua croce.[fonte 23] Ad
ognuno pare bello il suo.[fonte 4] Ad un grasso mezzogiorno spesso tien dietro
una cena magra.[fonte 4] Agosto ci matura il grano e il mosto[fonte 16].
Agosto: moglie mia non ti conosco.[5][6][fonte 1] Ai macelli van più bovi che
vitelli.[fonte 2] Ai pazzi ed ai fanciulli, non si deve prometter nulla.[fonte
8] Ai pazzi si dà sempre ragione.[fonte 8] Aiutati che Dio t'aiuta.[fonte 24]
Aiutati che il ciel t'aiuta.[fonte 25] Aiutati che io ti aiuto.[fonte 16] Al
baciarsi presto tien dietro il coricarsi.[fonte 4] Al bisogno si conosce
l'amico.[fonte 1] Al buio la villana è bella quanto la dama.[fonte 2] Al buio,
le donne sono tutte uguali.[fonte 8] Al buio tutti i gatti sono bigi.[fonte 16]
Al confessor, medico e avvocato, non tenere il ver celato.[fonte 26] Al
confessore, al medico e all'avvocato non si tiene il ver celato.[fonte 2] Al
contadin non far sapere quanto è buono il formaggio con le pere.[fonte 1] Al
cuore non si comanda.[fonte 1] Al cuor non si comanda.[fonte 27] Al cazzo non
si comanda.[fonte 2] Al culo non si comanda.[fonte 28] Al destino non si
comanda.[fonte 2] Al tempo non si comanda.[fonte 2] Al tempo e al culo non si
comanda.[fonte 2] Al debole il forte sovente fa torto.[fonte 8] Al fratello
piace più veder la sorella ricca, che farla tale.[fonte 8] Al levar le tende si
conosce il guadagno.[fonte 4] Al gatto che lecca lo spiedo non affidar
arrosto.[fonte 8] Al genio non si danno le ali, ma le si tagliano.[fonte 4] Al
medico, al confessore e all'avvocato, bisogna dire ogni peccato.[fonte 8] Al
povero manca il pane, al ricco l'appetito.[fonte 8] Al primo colpo non cade
l'albero.[fonte 2] Al primo colpo non cade un albero.[fonte 2] Al suono si
riconosce la pignata.[fonte 29] Al villano, se gli porgi il dito, si prende la
mano.[fonte 30] All'A tien dietro il B nel nostro abbicì.[fonte 4] All'eco
spetta l'ultima parola.[fonte 4] All'orsa paion belli i suoi
orsacchiotti.[fonte 8] All'uccello ingordo crepa il gozzo.[fonte 2] All'ultimo
si contano le pecore.[fonte 1] All'umiltà felicità, all'orgoglio
calamità.[fonte 8] Alla fame è presto ridotto chi s'imbarca senza
biscotto.[fonte 4] Alla fine anche le pernici allo spiedo vengono a noia.[fonte
8] Alla fine loda la vita e alla sera loda il giorno.[7][fonte 4] Alla fine
loda la vita e alla sera il giorno.[fonte 2] Alla guerra si va pieno di denari
e si torna pieni di vizi e di pidocchi.[fonte 4] Alle barbe dei pazzi, il
barbiere impara a radere.[fonte 8] Alle volte si crede di trovare il sole
d'agosto e si trova la luna di marzo.[fonte 8] Altri tempi, altri
costumi.[fonte 2] Alzati presto al mattino se vuoi gabbare il tuo vicino.[fonte
8] Ambasciator non porta pena.[fonte 2] Amare e non essere amato è tempo
perso.[fonte 4] Ambasciatore che tarda notizia buona che porta.[fonte 2]
Amicizia che cessa, non fu mai vera.[fonte 4] Amico beneficato, nemico
dichiarato.[fonte 4] Amico di buon tempo mutasi col vento.[fonte 4] Amico di
ventura, molto briga e poco dura.[fonte 31] Ammogliarsi è un piacere che costa
caro.[fonte 4] Amor che nasce di malattia, quando si guarisce passa via.[fonte
8] Amor di nostra vita ultimo inganno.[8][fonte 32] Amor, dispetto, rabbia e
gelosia, sul cuore della donna han signoria.[fonte 8] Amor nuovo va e viene,
amor vecchio si mantiene.[fonte 8] Amor regge il suo regno senza spada.[fonte
32] Amore con amor si paga.[fonte 2] Amore di parentato, amore
interessato.[fonte 4] Amore di villeggiatura poco vale e poco dura.[fonte 2]
Amore di fratello, amore di coltello.[fonte 8] Amore è il vero prezzo con che
si compra amore.[fonte 33] Amore non si compra né si vende.[fonte 33] Amore
onorato, né vergogna né peccato.[fonte 8] Amore scaccia amore.[fonte 4] Anche
fra le spine nascono le rose.[fonte 34] Anche i fanciulli diventano
uomini.[fonte 4] Anche il più verde diventa fieno.[fonte 4] Anche il sole ha le
sue macchie.[fonte 4] Anche l'abate fu prima frate.[fonte 4] Anche l'ambizione
è una fame.[fonte 4] Anche la legna storta dà il fuoco diritto.[fonte 4] Anche
la regina Margherita mangia il pollo con le dita.[fonte 35] Anche le bestie le
ha fatte il Signore.[fonte 8] Anche le colombe hanno il fiele.[fonte 4] Anche
le pulci hanno la tosse.[fonte 2] Anche le uova della gallina nera sono
bianche; ma staremo a vedere se anche i suoi pulcini sono bianchi.[fonte 4]
Anche un giogo dorato pesa.[fonte 8] Andar presto a dormire e alzarsi presto
chiude la porta a molte malattie.[fonte 8] Andar bestia, e tornar bestia, dice
il moro.[fonte 36] Anno nevoso anno fruttuoso.[fonte 16] Anno nuovo vita
nuova.[fonte 1] Approfitta degli errori degli altri, piuttosto che
censurarli.[fonte 4] Aprile dolce dormire.[9][fonte 2] Aprile e maggio sono la
chiave di tutto l'anno.[fonte 4] Aprile ogni goccia un barile.[10][fonte 2]
Aprile piovoso, maggio ventoso, anno fruttuoso.[fonte 4] Ara nel mare e nella
rena semina, chi crede alle parole della femmina.[fonte 8] Arcobaleno porta il
sereno.[fonte 2] Aria rossa o piscia o soffia.[fonte 2] Asino che ha fame mangia
d'ogni strame.[fonte 2] Assai bene balla a chi fortuna suona.[fonte 4] Assai
digiuna chi mal mangia.[fonte 8] Assai domanda chi ben serve e tace.[fonte 37]
Assai domanda chi si lamenta.[fonte 8] Assalto francese e ritirata
spagnola.[fonte 2] Attacca l'asino dove vuole il padrone e, se si rompe il
collo, suo danno.[fonte 1] Avuta la grazia, gabbato lo santo.[fonte 8] B Bacco,
tabacco e Venere riducon l'uomo in cenere.[fonte 2] Ballaremo secondo che voi
suonerete.[fonte 4] Bandiera rotta onor di capitano. Bandiera vecchia onor di
capitano.[fonte 2] Basta un matto per casa.[fonte 8] Batti il ferro finché è
caldo. Batti il ferro quando è caldo.[fonte 1] Bei gatti e grossi letamai
mostrano il buon agricoltore.[fonte 38] Bella cosa presto è rapita.[fonte 4] Bella
in vista, dentro è trista.[fonte 4] Bella ostessa, conti traditori.[fonte 2]
Bella ostessa, brutti conti.[fonte 39] Bell'ostessa, conto caro.[fonte 40]
Bella vigna poca uva.[fonte 2] Bellezza di corpo non è eredità.[fonte 4]
Bellezza e follia vanno spesso in compagnia.[fonte 41] Bello in fasce brutto in
piazza.[fonte 1] Ben sa la botte di qual vino è piena.[fonte 4] Ben si caccia
il diavolo, ma Satana ritorna.[fonte 4] Bene per male è carità, male per bene è
crudeltà.[fonte 8] Bene educato, non mentì mai.[fonte 4] Bene perduto è
conosciuto.[fonte 4] Beni di fortuna passano come la luna.[fonte 2] Bevi il
vino e lascia andar l'acqua al mulino.[fonte 8] Bisogna dire pane al pane e
vino al vino.[fonte 2] Bisogna far buon viso a cattivo gioco.[fonte 1] Bisogna
fare di necessità virtù.[fonte 2] Bisogna fare il pane con la farina che si
ha.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando cade, e prendere il tempo come
viene.[fonte 4] Bisogna fare la festa quando è il santo.[fonte 4] Bisogna
mangiare per vivere e non vivere per mangiare.[fonte 2] Bisogna prendere gli
avvenimenti quando Dio li manda.[fonte 4] Bocca che tace nessuno l'aiuta.[fonte
2] Bocca che tace mal si può aiutare.[fonte 42] Bocca chiusa ed occhio aperto
non fecero mai male a nessuno.[fonte 4] Botte buona fa buon vino.[fonte 2]
Brutta cosa è il povero superbo e il ricco avaro.[fonte 8] Brutta di viso ha
sotto il paradiso.[fonte 2] Brutto in fasce bello in piazza.[fonte 1] Buca il
marmo fin d'acqua una goccia.[fonte 8] Bue sciolto lecca per tutto.[fonte 8]
Bue fiacco stampa più forte il piede in terra.[fonte 4] Bue vecchio, solco
diritto.[fonte 4] Buon fuoco e buon vino, scaldano il mio camino.[fonte 8] Buon
sangue non mente.[fonte 2] Buon tempo e mal tempo non dura tutto il
tempo.[fonte 1] Buon vino e bravura, poco dura.[fonte 8] Buon vino fa buon
sangue.[fonte 1][fonte 8] Buon vino, favola lunga.[fonte 8] Buona fama presto è
perduta.[fonte 4] Buona greppia, buona bestia.[fonte 8] Buona guardia giova a
molte cose.[fonte 4] Buona la forza, migliore l'ingegno.[fonte 4] Buone parole
e pere marce non rompono la testa a nessuno.[fonte 31] Burlando si dice il
vero.[fonte 4] C Cader non può, chi ha la virtù per guida.[fonte 4] Cambiano i
suonatori ma la musica è sempre quella.[fonte 1] Cambiare e migliorare sono due
cose; molto si cambia nel mondo, ma poco si migliora.[fonte 4] Campa cavallo
che l'erba cresce.[fonte 2] Campa, cavallo mio, che l'erba cresce.[fonte 1] Can
che abbaia non morde.[fonte 1] Cane affamato non teme bastone.[11][fonte 2]
Cane e gatta tre ne porta e tre ne allatta.[fonte 8] Cane non mangia
cane.[fonte 43] Cane ringhioso e non forzoso, guai alla sua pelle![fonte 4]
Capelli lunghi, cervello corto.[fonte 4] Carta canta e villan dorme.[fonte 1]
Casa fatta e vigna posta, non si sa quello che costa.[fonte 44] Casa mia, casa
mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 45] Casa mia, casa
mia, benché piccola tu sia, tu mi sembri una badia.[fonte 2] Casa mia, casa
mia, pur piccina che tu sia mi sembri una badia.[fonte 9] Castiga il buono e si
emenderà; castiga il cattivo e peggiorerà.[fonte 4] Cattivo cominciamento, fine
peggiore.[fonte 8] Cavallo da vettura, poco costa e poco dura.[fonte 46]
Cavallo vecchio, tardi muta ambiatura.[fonte 47] Cavolo riscaldato non fu mai
buono.[fonte 2] Cavolo riscaldato, frate sfratato e serva ritornata non furon
mai buoni.[fonte 2] Cento teste, cento cappelli.[fonte 48] Certe macchie ben si
possono grattare ma non togliere.[fonte 4] Cessato il guadagno, cessata
l'amicizia.[fonte 49] Chi a tutti facilmente crede, ingannato si vede.[fonte 4]
Chi accarezza la mula rimedia calci.[fonte 2] Chi accarezza la mula buscherà
calci.[fonte 2] Chi accetta l'eredità accetti anche i debiti.[fonte 4] Chi ad
altri inganni tesse, poco bene per sé ordisce.[fonte 4] Chi alza il piede per
ogni paglia, si può rompere facilmente una gamba.[fonte 8] Chi ama me, ama il
mio cane.[fonte 50] Chi ara terra bagnata, per tre anni l'ha dissipata.[fonte
51] Chi asino nasce, asino muore.[fonte 4] Chi balla senza suono, come asino si
ritrova.[fonte 52] Chi ben coltiva il moro, coltiva nel suo campo un gran
tesoro.[fonte 47] Chi ben comincia è a metà dell'opera.[fonte 53] Chi ben
comincia è alla metà dell'opera.[fonte 2] Chi ben comincia è alla metà
dell'opra.[fonte 1] Chi bene semina, bene raccoglie.[fonte 4] Chi beve vin,
campa cent'anni.[fonte 54] Chi beve birra campa cent'anni.[12][fonte 2] Chi
biasima il suo prossimo che è morto, dica il vero, dica il falso, ha sempre
torto.[fonte 4] Chi caccia volentieri trova presto la lepre.[fonte 4] Chi cade
in povertà, perde ogni amico.[fonte 4] Chi cava e non mette, le possessioni si
disfanno.[fonte 55] Chi cavalca o trotta alla china, o non è sua la bestia, o
non la stima.[fonte 8] Chi cento ne fa una ne aspetta.[fonte 1] Chi cerca di
sapere ciò che bolle nella pentola d'altri, ha leccate le sue.[fonte 8] Chi
cerca lealtà e fedeltà nel mondo, non trova che ipocrisia.[fonte 4] Chi cerca,
trova.[13][fonte 2] Chi cerca trova e chi domanda intende.[fonte 2] Chi coglie
acerbo il senno, maturo ha sempre d'ignoranza il frutto.[fonte 8] Chi comincia
in alto, finisce in basso.[fonte 8] Chi compra il superfluo, si prepara a
vendere il necessario.[fonte 56] Chi compra sprezza e chi ha comprato
apprezza.[fonte 2] Chi conserva per l'indomani, conserva per il cane.[fonte 8]
Chi contro Dio getta la pietra, in capo gli torna.[fonte 8] Chi d'estate secca
serpi, nell'inverno mangia anguille.[fonte 4] Chi d'estate vuole stare al
fresco, ci starà anche d'inverno.[fonte 4] Chi da gallina nasce, convien che
razzoli.[fonte 8] Chi da savio operare vuole, pensi al fine.[fonte 4] Chi dà
ghiande non può riavere confetti.[fonte 4] Chi di gallina nasce convien che
razzoli.[fonte 2] Chi dal lotto spera soccorso, mette il pelo come un
orso.[fonte 8] Chi dà per ricevere, non dà nulla.[fonte 8] Chi del vino è
amico, di se stesso è nemico.[fonte 8] Chi di spada ferisce di spada
perisce.[14][fonte 1] Chi di speranza vive disperato muore.[fonte 1] Chi di una
donna brutta s'innamora, lieto con essa invecchia e l'ama ancora.[fonte 8] Chi
di coltel ferisce, di coltel perisce.[fonte 4] Chi di spirito e di talenti è
pieno domina su quelli che ne hanno meno.[fonte 4] Chi dice A arrivi fino alla
Z.[fonte 4] Chi dice A deve dire anche B.[fonte 4] Chi dice donna dice
danno.[fonte 1] Chi dice donna dice guai, chi dice uomo peggio che mai.[fonte
8] Chi dice male, l'indovina quasi sempre.[fonte 4] Chi dice quel che vuole
sente quel che non vorrebbe.[fonte 1] Chi disprezza compra.[fonte 1] Chi
disprezza vuol comprare e chi loda vuol lasciare.[fonte 2] Chi domanda ciò che
non dovrebbe, ode quel che non vorrebbe.[fonte 2] Chi domanda non erra.[fonte
2] Chi domanda non fa errore.[fonte 57] Chi dopo la polenta beve acqua, alza la
gamba e la polenta scappa.[fonte 8] Chi dorme d'agosto dorme a suo costo.[fonte
2] Chi dorme non piglia pesci.[15][fonte 1] Chi è causa del suo mal pianga se
stesso.[16][fonte 1] Chi è bugiardo è ladro.[fonte 4] Chi è destinato alla
forca non annega.[fonte 58] Chi è generoso con la bocca, è avaro col
sacco.[fonte 4] Chi è in difetto è in sospetto.[fonte 1] Chi è mandato dai
farisei è ingannato dai farisei.[fonte 4] Chi è morso dalla serpe, teme la
lucertola.[fonte 8] Chi non è savio, paziente e forte si lamenti di sé, non
della sorte.[fonte 8] Chi è schiavo delle ambizioni ha mille padroni.[fonte 4]
Chi è stato trovato una volta in frode, si presume vi sia sempre.[fonte 4] Chi
è svelto a mangiare è svelto a lavorare.[fonte 1] Chi è tosato da un usuraio,
non mette più pelo.[fonte 8] Chi è uso all'impiccare, non teme la forca.[fonte
4] Chi fa da sé fa per tre.[17][fonte 1] Chi fa come il prete dice, va in
Paradiso: ma chi fa come il prete fa, a casa del diavolo se ne va.[18] Chi fa
del bene agli ingrati, Dio lo considera per male.[fonte 4] Chi fa il male odia
la luce.[fonte 4] Chi fa l'altrui mestiere, fa la zuppa nel paniere.[fonte 59]
Chi fa la legge, deve conservarla.[fonte 4] Chi fa una legge, deve anche
preoccuparsi che sia eseguita.[fonte 4] Chi fa le fave senza concime le
raccoglie senza baccelli.[fonte 2] Chi fa falla e chi non fa sfarfalla.[fonte
1] Chi fa un'ingiustizia, la dimentica; chi la riceve, se ne ricorda.[fonte 4]
Chi fosse indovino, sarebbe ricco.[fonte 4] Chi fugge il giudizio, si
condanna.[fonte 4] Chi fugge un matto, ha fatto buona giornata.[fonte 8] Chi
getta un seme lo deve coltivare, se vuol vederlo con il tempo
germogliare.[fonte 60] Chi gioca al lotto, è un gran merlotto.[fonte 8] Chi
gioca al lotto, in rovina va di botto.[fonte 8] Chi gioca al lotto, in rovina
va di trotto.[fonte 8] Chi ha avuto ha avuto e chi ha dato ha dato.[fonte 16].
Chi ha avuto il beneficio, se lo dimentica.[fonte 4] Chi ha da far con un
incostante, tien l'anguilla per la coda.[fonte 4] Chi ha denti non ha pane e
chi ha pane non ha denti.[fonte 1] Chi ha farina non ha la sacca.[fonte 1] Chi
ha fatto ingiuria ad altri, da altri convien che la sopporti.[fonte 4] Chi ha
il capo di cera, non vada al sole.[fonte 61] Chi ha imbarcato il diavolo, deve
stare in sua compagnia.[fonte 4] Chi ha ingegno, lo mostri.[fonte 62] Chi ha
per letto la terra, deve coprirsi col cielo.[fonte 8] Chi ha polvere
spara.[fonte 1] Chi ha portato la tonaca puzza sempre di frate.[fonte 2] Chi ha
prete, o parente in corte, fontana gli risorge.[fonte 63] Chi ha tempo, ha
vita.[fonte 64] Chi ha tempo non aspetti tempo.[fonte 1] Chi ha terra, ha
guerra.[fonte 56] Chi ha tutto il suo in un loco l'ha nel fuoco.[fonte 2] Chi
ha un mestiere in mano, dappertutto trova pane.[fonte 4] Chi il vasto mare
intrepido ha solcato, talvolta in piccol rio muore annegato.[fonte 65] Chi la
dura la vince.[fonte 1] Chi la fa l'aspetti.[fonte 1] Chi lascia la via vecchia
per la nuova sa quel che lascia ma non sa quel che trova.[fonte 1] Chi lascia
la via vecchia per la nuova peggio si trova.[fonte 16] Chi lavora con
diligenza, prega due volte.[fonte 4] Chi lavora, Dio gli dona.[fonte 4] Chi mal
semina mal raccoglie.[fonte 1] Chi male una volta si marita, ne risente tutta
la vita.[fonte 4] Chi male vive, male muore.[fonte 2] Chi maltratta le bestie,
non la fa mai bene.[fonte 8] Chi mangia sempre pan bianco, spesso desidera il
nero.[fonte 8] Chi mangia sempre torta se ne sazia.[fonte 8] Chi mena per primo
mena due volte.[fonte 1] Chi molto parla, spesso falla.[fonte 66] Chi mordere
non può non mostri i denti.[fonte 40] Chi muore giace e chi vive si dà
pace.[fonte 1] Chi nasce afflitto muore sconsolato.[fonte 1] Chi nasce è bello,
chi si sposa è buono e chi muore è santo.[fonte 1] Chi nasce matto non guarisce
mai.[fonte 8] Chi nasce tondo non può morir quadrato.[fonte 57] Chi non ama le
bestie, non ama i cristiani.[fonte 8] Chi non apre la bocca, non le piove
dentro.[fonte 4] Chi non beve in compagnia o è un ladro o è una spia.[fonte 1]
Chi non caccia non prende.[fonte 4] Chi non comincia non finisce.[fonte 1] Chi
non crede di esser matto, è matto davvero.[fonte 8] Chi non crede in Dio, non
crede nel diavolo.[fonte 67] Chi non dà a Cristo, dà al fisco.[fonte 8] Chi non
è con me è contro di me.[fonte 2] Chi non è volpe, dal lupo si guardi, perché
ne sarà preda presto o tardi.[fonte 4] Chi non fu buon soldato, non sarà buon
capitano.[fonte 68] Chi non ha fede, non ne può dare.[fonte 8] Chi non ha il
gatto mantiene i topi e chi ce l'ha li mantiene tutti e due.[fonte 8] Chi non
ha imparato a ubbidire, non saprà mai comandare.[fonte 8] Chi non ha testa
abbia gambe.[fonte 57] Chi non lavora non mangia.[fonte 2] Chi non mangia ha
già mangiato.[fonte 2] Chi non muore si rivede.[fonte 2] Chi non naufragò in
mare, può naufragare in porto.[fonte 8] Chi non può bastonare il cavallo,
bastona la sella.[fonte 4] Chi non risica, non rosica.[fonte 1] Chi non sa
adulare non sa regnare.[fonte 4] Chi non sa fare non sa comandare.[fonte 68]
Chi non sa leggere la sua scrittura è asino di natura.[fonte 69] Chi non sa
niente non è buono a niente.[fonte 4] Chi non sa tacere non sa parlare.[fonte
2] Chi non sa ubbidire, non sa comandare.[fonte 68] Chi non segue il consiglio
dei genitori, tardi se ne pente.[fonte 4] Chi non semina non raccoglie.[fonte
2] Chi non si innamora da giovane, si innamora da vecchio.[fonte 8] Chi non
trovò ombra nell'estate, la troverà nell'inverno.[fonte 4] Chi non vuol essere
consigliato, non può essere aiutato.[fonte 4] Chi parla due lingue è doppio
uomo.[fonte 70] Chi pecca in segreto fa la penitenza pubblica.[fonte 8] Chi
pecora si fa, il lupo se la mangia.[fonte 1] Chi per grazia prega, non ha mai
bene.[fonte 4] Chi perde ha sempre torto.[fonte 1] Chi perdona senza
dimenticare, non perdona che metà.[fonte 4] Chi pesca con l'amo d'oro, qualcosa
piglia sempr e.[fonte 8] Chi piglia leone in assenza, teme la talpa in
presenza.[fonte 8] Chi più ha più vuole.[fonte 1] Chi più ha più ne
vorrebbe.[fonte 2] Chi più lavora, meno mangia.[fonte 4] Chi più ne fa è fatto
papa.[fonte 4] Chi più ne ha più ne metta.[fonte 2] Chi più sa meno
crede.[fonte 1] Chi più spende meno spende.[fonte 2] Chi poco sa presto
parla.[fonte 2] Chi porta fiori, porta amore.[fonte 8] Chi predica al deserto,
perde il sermone.[fonte 71] Chi prende l'anguilla per la coda, può dire di non
tenere nulla.[fonte 4] Chi prima arriva meglio alloggia.[fonte 2] Chi prima
nasce prima pasce.[fonte 1] Chi prima non pensa dopo sospira.[fonte 2] Chi
rende male per bene, non vedrà mai partire da casa sua la sciagura.[fonte 8]
Chi ricorda un beneficio, lo rinfaccia.[fonte 4] Chi ride il venerdì piange la
domenica.[fonte 1] Chi rimane in umile stato, non ha da temer caduta.[fonte 8]
Chi ringrazia non vuol obblighi.[fonte 8] Chi ringrazia per una spiga, riceve
una manna.[fonte 8] Chi Roma non vede, nulla crede.[fonte 8] Chi ruba poco,
ruba assai.[fonte 72] Chi rompe paga e i cocci sono suoi.[fonte 1] Chi ruba un
regno è un ladro glorificato, e chi un fazzoletto, un ladro castigato.[fonte 4]
Chi ruba una volta è sempre ladro.[fonte 4] Chi s'accapiglia si piglia.[19] Chi
s'aiuta Iddio l'aiuta.[fonte 1] Chi sa fa e chi non sa insegna.[fonte 1] Chi sa
fare fa e chi non sa fare insegna.[20] Chi sa il gioco non l'insegni.[fonte 1]
Chi sa il trucco non l'insegni.[fonte 1] Chi sa senza Cristo non sa
nulla.[fonte 8] Chi scopre il segreto perde la fede.[fonte 1] Chi semina buon
grano avrà buon pane; chi semina lupino non avrà né pan né vino.[fonte 2] Chi
semina con l'acqua raccoglie col paniere.[fonte 2] Chi semina raccoglie.[fonte
2] Chi semina vento raccoglie tempesta.[21][22][fonte 1] Chi serba serba al
gatto.[fonte 1] Chi si contenta gode.[fonte 1] Chi si diletta di frodare gli
altri, non si deve lamentare se gli altri lo ingannano.[fonte 4] Chi si fa i
fatti suoi campa cent'anni.[fonte 57] Chi si fa un idolo del suo interesse, si
fa un martire della sua integrità.[fonte 73] Chi si fida nel lotto, non mangia
di cotto.[fonte 8] Chi si fida di greco, non ha il cervel seco.[fonte 74] Chi
si guarda dal calcio della mosca, gli tocca quello del cavallo.[fonte 4] Chi si
immagina di essere più di quello che è, si guardi nello specchio.[fonte 4] Chi
si loda si sbroda.[fonte 4] Chi si prende d'amore, si lascia di rabbia.[fonte
8] Chi si scusa si accusa.[fonte 1] Chi si somiglia si piglia.[fonte 2] Chi si
sposa in fretta, stenta adagio.[fonte 75] Chi si umilia sarà esaltato, chi si
esalta sarà umiliato.[fonte 8] Chi si vanta da solo non vale un fagiolo.[fonte
2] Chi si vanta del delitto è due volte delinquente.[fonte 4] Chi siede in
basso, siede bene.[fonte 8] Chi sta tra due selle si trova col culo in
terra.[fonte 2] Chi tace acconsente.[fonte 1][23] Chi tace davanti alla forza,
perde il suo diritto.[fonte 4] Chi tanto e chi niente.[fonte 1] Chi troppo e
chi niente.[fonte 1] Chi tardi arriva male alloggia.[fonte 1] Chi ti dà un osso
non ti vorrebbe morto.[fonte 4] Chi ti vuol male, ti liscia il pelo.[fonte 8]
Chi tiene il letame nel suo letamaio, fa triste il suo pagliaio.[fonte 8] Chi
tiene la scala non è meno reo del ladro.[fonte 76] Chi troppo comincia, poco
finisce.[fonte 77] Chi troppo vuole nulla stringe.[24][fonte 1] Chi trova un
amico trova un tesoro.[fonte 1] Chi uccide i gatti fa male i suoi fatti.[fonte
38] Chi va a caccia non deve lasciare a casa il fucile.[fonte 4] Chi va a Roma
perde la poltrona.[fonte 2] Chi va all'acqua d'agosto, non beve o non vuol bere
il mosto.[fonte 8] Chi va all'osto, perde il posto.[fonte 78] Chi va al mulino
s'infarina.[fonte 1] Chi va con lo zoppo, impara a zoppicare.[fonte 79] Chi va
piano va sano e va lontano. Chi va forte va alla morte.[25][fonte 80] Chi ha
più fretta, più tardi finisce.[fonte 4] Chi fa in fretta fa due volte.[fonte 4]
Chi pesca e ha fretta, spesse volte prende dei granchi.[fonte 4] Chi va via
perde il posto all'osteria.[fonte 81] Chi vanta se stesso e abbassa gli altri,
gli altri abbasseranno lui.[fonte 4] Chi vende a credenza spaccia assai: perde
gli amici e i quattrin non ha mai.[26][fonte 2] Chi dà a credito spaccia assai
perde gli amici e danar non ha mai.[fonte 2] Chi va alla festa e non è
invitato, ben gli sta se ne è scacciato.[fonte 4] Chi vien di raro, gli si fa
festa.[fonte 8] Chi vince ha sempre ragione.[fonte 82] Chi vive in libertà non
tenti il fato.[fonte 4] Chi vive sei giorni nell'oasi, il settimo anela il
deserto.[fonte 8] Chi vivrà vedrà.[fonte 2] Chi vuol d'avena un granaio la
semini di febbraio.[fonte 2] Chi vuol dell'acqua chiara vada alla fonte.[fonte
4] Chi vuol udir novelle, dal barbier si dicon belle.[fonte 8] Chi vuol esser
libero, non metta il collo sotto il giogo.[fonte 8] Chi vuol essere pagato, non
dev'essere ringraziato.[fonte 8] Chi vuol guarire deve soffrire.[fonte 4] Chi
vuol impetrare, la vergogna ha da levare.[fonte 83] Chi vuol lavoro degno assai
ferro e poco legno.[fonte 2] Chi vuol pane, meni letame.[fonte 84] Chi vuol
presto impoverire, chieda prestito all'usuraio.[fonte 8] Chi vuol provar le
pene dell'inferno, la stia in Puglia e all'Aquila d'inverno.[fonte 8] Chi vuol
saper cos'è l'inferno faccia il cuoco d'estate e il carrettiere
d'inverno.[fonte 8] Chi vuol un bel pagliaio lo pianti di febbraio.[fonte 8]
Chi vuol vedere Pisa vada a Genova.[fonte 85] Chi vuole arricchire in un anno,
è impiccato in sei mesi.[fonte 4] Chi vuole assai, non domandi poco.[fonte 86]
Chi vuole essere amato, divenga amabile.[fonte 9] Chi vuole essere sicuro della
sua farina, deve portare egli stesso il sacco al mulino.[fonte 4] Chi vuole i
santi se li preghi.[fonte 1] Chi vuole la figlia accarezzi la madre.[fonte 4]
Chi vuole vada e chi non vuole mandi.[fonte 1] Chiara notte di capodanno, dà
slancio a un buon anno.[fonte 8] Chiodo scaccia chiodo.[fonte 2] Chiodo
schiaccia chiodo.[fonte 9] Chitarra e schioppo fanno andare la casa a
galoppo.[fonte 8] Ci vuole altro che un'accozzaglia di gente per fare un
esercito.[fonte 4] Ci vuole ingegno per governare i pazzi.[fonte 4] Ciascuno è
artefice della sua fortuna.[fonte 2][27] Ciascuno è artefice della propria
fortuna.[fonte 2] Ciascuno porta il suo ingegno al mercato.[fonte 4] Cielo a
pecorelle acqua a catinelle.[fonte 1] Ciò che è male per uno, è bene per un
altro.[fonte 4] Ciò che lo stolto fa in fine, il savio fa in principio.[fonte
87] Ciò che non si può cambiare bisogna saperlo sopportare.[fonte 4] Col fuoco
non si scherza.[fonte 1] Col latino, con un ronzino e con un fiorino si gira il
mondo.[fonte 4] Col nulla non si fa nulla.[fonte 1] Col pane tutti i guai sono
dolci.[fonte 1] Col tempo e con la paglia maturano le nespole.[28][fonte 2] Col
tempo e con la paglia maturano le sorbe e la canaglia.[fonte 2] Colla sola
lealtà, non si pagano i merletti della cuffia.[fonte 4] Come farai, così
avrai.[fonte 4] Come i piedi portano il corpo, così la benevolenza porta
l'anima.[fonte 4] Comincia, che Dio provvede al resto.[fonte 4] Compar di
Puglia, l'un tiene e l'altro spoglia.[fonte 8] Comun servizio ingratitudine
rende.[fonte 8] Con arte e con ingegno, si acquista mezzo regno; e con ingegno
ed arte, si acquista l'altra parte.[fonte 4] Con gli anni crescono gli
affanni.[fonte 8] Con i matti non ci son patti.[fonte 8] Con l'inchiostro, una
mano può innalzare un furfante ed abbassare un galantuomo.[fonte 8] Con la
pazienza la foglia di gelso diventa seta.[fonte 88] Con la pietra si prova
l'oro, con l'oro la donna e con la donna l'uomo.[fonte 8] Con la più alta
libertà, abita la più bassa servitù.[fonte 4] Con le buone maniere si ottiene
tutto.[fonte 89] Con un bicchier di vino si fa un amico.[fonte 8] Con un occhio
si frigge il pesce e con l'altro si guarda il gatto.[fonte 8] Conchiuder lega è
facile, difficile il mantenerla.[fonte 4] Confidenza toglie riverenza.[fonte 4]
Conserva le monete bianche per le giornate nere.[fonte 8] Contadini, scarpe grosse
e cervelli fini.[fonte 1] Contano più i fatti che le parole.[fonte 90] Contro
due donne neanche il diavolo può metterci il becco.[fonte 8] Contro due non la
potrebbe Orlando.[fonte 91] Contro la forza la ragion non vale.[fonte 1] Contro
la nebbia forza no vale.[fonte 4] Coricarsi presto, alzarsi presto, danno
salute, ricchezza e sapienza.[fonte 8] Corpo satollo anima consolata.[fonte 1]
Corpo sazio non crede a digiuno.[fonte 1] Cortesia schietta, domanda non
aspetta.[fonte 92] Corre un pezzo la lepre, un pezzo il cane; così s'alternano
le vicende umane.[fonte 8] Cosa fatta capo ha.[29][fonte 2] Cosa di rado
veduta, più cara è tenuta.[fonte 8] Cosa rara, cosa cara.[fonte 8] Cucina
grassa, magra eredità.[fonte 4] Cuor contento gran talento.[fonte 93] Cuor contento
il ciel l'aiuta.[fonte 94] Cuor contento il ciel lo guarda.[fonte 2] Cuor
contento non sente stento.[fonte 2] D D'aprile ogni goccia val mille
lire.[fonte 2] D'aquila non nasce colomba.[fonte 4] Da colpa nasce colpa.[fonte
4] Da cosa nasce cosa.[fonte 95] Da falsa lingua, cattiva arringa.[fonte 8] Da
Lodi, tutti passan volentieri.[fonte 8] Da un disordine nasce un ordine.[fonte
8] Dagli amici mi guardi Iddio che dai nemici mi guardo io.[fonte 2] Dàgli,
dàgli, le cipolle diventano agli.[fonte 96] Riferito alle insidie che l'amore
riserva alle virtù delle fanciulle. Dai giudici siciliani, vacci coi polli
nelle mani.[fonte 8] Dall'asino non cercar lana.[fonte 4] Dall'opera si conosce
il maestro.[fonte 4] Dall'immagine si conosce il pittore.[fonte 4] Dalla mano
si riconosce l'artista.[fonte 4] Dal canto si conosce l'uccello.[fonte 4] Dal
passato è facile predire il futuro.[fonte 4] Dalla casa si conosce il
padrone.[fonte 4] Danaro e santità, metà della metà.[fonte 8] Denari e santità
metà della metà.[fonte 97] Date a Cesare quel che è di Cesare.[30][fonte 2]
Davanti al cameriere non vi è Eccellenza.[fonte 4] Davanti l'abisso e dietro i
denti di un lupo.[fonte 4] Debole catena muover può gran peso.[fonte 8] Dei
vizi è regina l'avarizia.[fonte 98] Del senno di poi son piene le fosse.[fonte
1] Delle calende non me ne curo purché a san Paolo non faccia scuro.[31][fonte
2] Detto senza fatto, ad ognuno pare un misfatto.[fonte 4] Di buone intenzioni
è lastricato l'inferno.[fonte 99] Di chi è l'asino, lo pigli per la coda.[fonte
4] Di dolore non si muore, ma d'allegrezza sì.[fonte 8] Di maggio si dorme per
assaggio.[32][fonte 2] Di malerba non si fa buon fieno.[fonte 4] Di notte si
ritirano i galantuomini ed escono i birbanti.[fonte 8] Di quello che non ti
interessa, non dire né bene né male.[fonte 4] Di tutte le arti maestro è
l'amore.[fonte 8] Dice la serpe: non mi toccar che non ti tocco.[fonte 8]
Dicembre favaio.[fonte 16] Dicono che è mercante anche chi perde, ma questo
presto ridurrassi al verde.[fonte 100] Dieci ne pensa il topo e cento il
gatto.[fonte 101] Dietro il monte c'è la china.[fonte 2] Dietro il riso viene
il pianto.[fonte 8] Dimmi con chi vai, e ti dirò che fai.[fonte 73] Dimmi con
chi vai, e ti dirò chi sei.[fonte 102] Dio aiuti il povero, perché il ricco può
aiutar se stesso.[fonte 8] Dio dà la piaga e dà anche la medicina.[fonte 4] Dio
guarisce e il medico è ringraziato.[fonte 4] Dio li fa e poi li accoppia.[fonte
1] Dio manda il freddo secondo i panni.[fonte 1] Dio mi guardi da chi studia un
libro solo.[fonte 4] Dio misura il vento all'agnello tosato.[fonte 4] Dio vede
e provvede.[fonte 2] Disse la volpe ai figli: "Quando a tordi, quando a
grilli".[fonte 4] Dolore comunicato è subito scemato.[fonte 4] Domandando
si va a Roma.[fonte 2] Domandare è lecito, rispondere è cortesia.[fonte 2]
Donna al volante, pericolo costante.[fonte 103] Donna adorna, tardi esce e
tardi torna.[fonte 8] Donna baffuta sempre piaciuta.[fonte 2] Donna barbuta,
sempre piaciuta.[fonte 103] Donna barbuta coi sassi si saluta.[fonte 2] Donna
bianca, poco gli manca.[fonte 8] Donna rossa coscia grossa.[fonte 8] Donna che
canti dolcemente in scena, pei giovani inesperti è una sirena.[fonte 8] Donna
che dona, di rado è buona.[fonte 8] Donna che piange, ovver che dolce canti,
son due diversi, ambo possenti incanti.[fonte 8] Donna che sa il latino è rara
cosa, ma guardati dal prenderla in isposa.[fonte 8] Donna e fuoco, toccali
poco.[fonte 8] Donne e motori gioie e dolori.[fonte 104] Donna e vino ubriaca
il grande e il piccolino.[fonte 8] Donna giovane e uomo anziano possono
riempire la casa di figli.[fonte 8] Donna io conosco, ch'è una santa a messa e
che in casa è un'orribil diavolessa.[fonte 8] Donna nana tutta tana.[fonte 2]
Donna nobil per natura è un tesor cheonna savia e bella è preziosa ancsempre
dura.[fonte 8] Donna pelosa, donna virtuosa.[fonte 2] Donna pregata nega,
trascurata prega.[fonte 8] Donna prudente, gioia eccellente.[fonte 8] Dhe in
gonnella.[fonte 8] Donna si lagna, donna si duole, donna s'ammala quando lo
vuole.[fonte 8] Donne e sardine, son buone piccoline.[fonte 8] Donne, danno,
fanno gli uomini e li disfanno.[fonte 8] Dopo desinare non camminare; dopo
cena, con dolce lena.[fonte 4] Dopo e poi son parenti del mai.[fonte 2] Dopo il
dolce vien l'amaro.[fonte 8] Dopo il fatto il consiglio non vale.[fonte 4] Dopo
il fatto viene troppo tardi il pentimento.[fonte 4] Dopo il giorno vien la
notte.[fonte 8] Dopo la grazia di Dio, la miglior cosa è la libertà.[fonte 8]
Dopo la tempesta, il sole.[fonte 8] Dopo le fosche nuvole il sol splende più
fulgido.[fonte 8] Dopo vendemmia, imbuto.[fonte 105] Non bisogna lasciarsi
sfuggire le occasioni favorevoli, chi ha tempo non aspetti tempo. Dove c'è
l'amore, la gamba trascina il piede.[fonte 8] Dove è castigo è disciplina, dove
è pace è gioia.[fonte 4] Dove entra la fortuna, esce l'umiltà.[fonte 8] Dove
l'accidia attecchisce ogni cosa deperisce.[fonte 4] Dove la fedeltà mette le
radici, Dio fa crescere un albero.[fonte 4] Dove non c'è amore, non c'è
umanità.[fonte 8] Dove non c'è fieno, i cavalli mangiano paglia.[fonte 8] Dove
non c'è ordine, c'è disordine.[fonte 8] Dove non si crede né all'inferno né al
paradiso, il diavolo intasca tutte le entrate.[fonte 8] Dove non vi è
educazione, non vi è onore.[fonte 4] Dove non vi sono capelli, male si
pettina.[fonte 4] Dove può il vino non può il silenzio.[fonte 8] Dove regna
Bacco e Amore, Minerva non si lascia vedere.[fonte 4] Dove regna il vino, non
regna il silenzio.[fonte 8] Dove son carogne son corvi.[fonte 8] Dove sono i
pulcini, ivi è l'occhio della chioccia.[fonte 8] Dove vola il cuore, striscia
la ragione.[fonte 8] Due cani che un solo osso hanno, difficilmente in pace
stanno.[fonte 4] Due noci in un sacco e due donne in casa fanno un bel
fracasso.[fonte 8] Due polente insieme non furon mai viste.[fonte 8] Dura più
un carro rotto che uno nuovo.[fonte 4] Duro con duro non fa buon muro.[fonte
106] E È cattivo sparviero quel che non torna al richiamo.[fonte 8] È difficile
far diventare bianco un moro.[fonte 4] È difficile guardarsi dai ladri di
casa.[fonte 4] È difficile piegare un albero vecchio.[fonte 4] È difficile
zoppicare bene davanti allo sciancato.[fonte 8] È facile lamentarsi quando c'è
chi ascolta.[fonte 8] È impossibile come cavalcare un raggio di sole.[fonte 4]
È impossibile volare senza ali.[fonte 4] È inutile piangere sul latte
versato.[fonte 98] [truismo] È l'acqua che fa l'orto.[fonte 98] L'acqua fa
l'orto.[fonte 98] È la donna che fa l'uomo.[fonte 57] È lieve astuzia ingannar
gelosia, che tutto crede quando è in frenesia.[fonte 4] È meglio avere la cura
di un sacco di pulci che una donna.[fonte 4] È meglio contentarsi che
lamentarsi.[fonte 8] È meglio correggere i propri difetti, che riprendere
quelli degli altri.[fonte 4] È meglio esser digiuno fuori, che satollo in
prigione.[fonte 8] È meglio essere testa d'anguilla che coda di storione.[fonte
8] È meglio essere uccel di bosco, che uccel di gabbia.[fonte 8] È meglio
essere umile a cavallo, che orgoglioso a piedi.[fonte 8] È meglio gelare nella
nuda cameretta della verità, che crogiolarsi nella pelliccia della
menzogna.[fonte 4] È meglio mangiarsi l'eredità, che conservarla per il
convento.[fonte 4] È meglio meritar la lode che ottenerla.[fonte 4] È meglio
sentir cantare l'usignolo, che rodere il topo.[fonte 8] È meglio testa di lucertola
che coda di drago.[fonte 8] È meglio un esercito di cervi sotto il comando di
un leone, che un esercito di leoni sotto il comando di un cervo.[fonte 4] È
meglio un leone che mille mosche.[fonte 8] È più facile biasimare, che
migliorare.[fonte 4] È più facile lagnarsi, che rimuovere gl'impedimenti.[fonte
8] È più facile prevenire una malattia che guarirla.[fonte 8] È più facile
trovar dolce l'assenzio, che in mezzo a poche donne il silenzio.[fonte 8] È un
bel predicare il digiuno a corpo pieno.[fonte 4] È una bella risposta quella
che si attaglia ad ogni domanda.[fonte 8] Ebrei e rigattieri, spendono poco e
gabbano volentieri.[fonte 4] Ecco il rimedio per l'ipocondria: mangiare e bere
in buona compagnia.[fonte 8] Errare è umano, perseverare è diabolico.[fonte
107] Errare è umano, perseverare diabolico.[fonte 2] Sbagliare è umano,
perseverare è diabolico.[fonte 108] Errore non è inganno.[fonte 4] Errore non
paga debito.[fonte 4] Errore riconosciuto conduce alla verità.[fonte 4] Esser
dotto poco vale, quando gli altri non lo sanno.[fonte 8] Èssere più torbo che
non è l'acqua dei maccheroni.[fonte 8] F Fa quel che il prete dice, non quel
che il prete fa.[fonte 1] Fa quello che fanno gli altri, e nessuno si farà
beffe di te.[fonte 4] Faccia bella, anima bella.[fonte 4] Facile è criticare,
difficile è l'arte.[33][fonte 109] Fare debiti non è vergogna, ma pagarli è
questione d'onore.[fonte 4] Fare e disfare, è tutto un lavorare.[fonte 110]
Fare l'amore fa bene all'amore.[fonte 111] Fate del bene al villano, dirà che
gli fate del male.[fonte 8] Fatta la legge trovato l'inganno.[34][fonte 1]
Fatti asino e tutti ti metteranno la soma.[fonte 4] Fatti di miele e ti
mangieranno le mosche.[fonte 4] Fatti le ali e poi vola.[fonte 4] Febbraio,
febbraietto mese corto e maledetto.[35][fonte 2] Felice non è, chi d'esserlo
non sa.[fonte 64] Femmine e galline, se giran troppo si perdono.[fonte 8]
Ferita d'amore non uccide.[fonte 8] Finché c'è vita c'è speranza.[fonte 1] Fino
alla morte non si sa qual è la sorte.[fonte 8] Fidarsi è bene, non fidarsi è
meglio.[fonte 1] Fidati dell'arte, ma non dell'artigiano.[fonte 4] Fino alla
bara sempre s'impara.[fonte 112] Fortezza che parlamenta, è prossima ad
arrendersi.[fonte 4] Fortuna cieca, i suoi acceca.[fonte 4] Fortuna instupidisce
colui ch'ella favorisce.[fonte 4] Fortunato al gioco, sfortunato in
amore.[fonte 4] Fra Modesto non fu mai priore.[fonte 8] Fra sepolto tesoro e
occulta scienza, non vi conosco alcuna differenza.[fonte 8] Fra un usuraio e un
assassino poco ci corre.[fonte 8] Frutto precoce facilmente si guasta. Fuggire
l'acqua sotto la grondaia.[fonte 4] Funghi e poeti: per uno buono dieci
cattivi.[fonte 8] G Gallina che non razzola ha già razzolato.[fonte 113]
Gallina vecchia fa buon brodo.[fonte 114] Gallo senza cresta è un cappone, uomo
senza barba è un minchione. Gatta inguantata non prese mai topo.[fonte 8]
Gattini sventati, fanno gatti posati.[fonte 115] Gatto e donna in casa, cane e
uomo fuori.[fonte 38] Gatto rinchiuso diventa leone.[fonte 8] Gatto scottato
dall'acqua calda, ha paura della fredda.[fonte 4] Gelosia non mette ruga. Gioco di mano gioco di villano.[fonte 1] Gioia
e sciagura sempre non dura.[fonte 8] Giovani di buon cuore, indoli buone,
crescono cattivi per poca educazione.[fonte 4] Giugno la falce in
pugno.[36][fonte 2] Gli abiti e gli uomini presto invecchiano. Gli abiti e i
costumi sono mutabili.[fonte 4] Gli abiti sono freddi, ma ricevono il calore da
chi li porta.[fonte 4] Gli amori nuovi fanno dimenticare i vecchi.[fonte 4] Gli
eredi dell'avaro sono onnipotenti, perché possono risuscitare i morti.[fonte 4]
Gli eretici rubano la parola di Dio.[fonte 4] Gli errori degli altri sono i
nostri migliori maestri.[fonte 4] Gli errori non si conoscono finché non siano
commessi.[fonte 4] Gli errori si pagano.[fonte 8] Gli estremi si toccano.[fonte
4] Gli idoli separano papa e imperatore.[fonte 4] Gli occhi s'hanno a toccare
con le gomita.[fonte 91] Gli stolti fanno le feste e gli accorti se le
godono.[fonte 116] Gli uccelli dalle stesse piume devono stare nello stesso
nido.[fonte 8] Gli uomini onesti non temono né la luce, né il buio.[fonte 8]
Gobba a ponente luna crescente, gobba a levante luna calante.[fonte 2] Gola
degli adulatori, sepolcro aperto.[fonte 117] Gotta inossota, mai fi
sanata.[fonte 118] Gran giustizia, grande offesa.[fonte 4] Grande amore, gran
dolore.[fonte 8] Greco in mare, Greco in tavola, Greco non aver a far
seco.[fonte 74] Gru e donne fan volentieri il nido in alto.[fonte 8] Guardalo,
figlia, guardalo tutto, l'uomo senza denari com'è brutto.[fonte 4] Guardare e
non toccare è una cosa da imparare.[fonte 2] Guardati da chi accende il fuoco e
grida poi contro le fiamme.[fonte 4] Guardati da cane rabbioso e da uomo
sospettoso.[fonte 8] Guardati da chi giura in coscienza.[fonte 8] Guardati da
chi non ha cura della sua reputazione.[fonte 8] Guardati da chi ride e guarda
da un'altra parte.[fonte 8] Guardati da tre cose: da cavallo focoso, da uomo
infido e da donna svergognata.[fonte 8] Guardati da tutte quelle cose che
possono nuocere all'anima e al corpo.[fonte 8] Guardati dai fanciulli che
ascoltano: anche i piccoli vasi hanno orecchie.[fonte 8] Guardati dai matti,
dagli ubriachi, dagli ipocriti e dai minchioni.[fonte 8] Guardati dai tumulti,
e non sarai né testimonio né parte.[fonte 8] Guardati dal diffamare, perché le
prove sono difficili.[fonte 8] Guardati dal vecchio turco e dal giovane
serbo.[fonte 119] Guardati dall'ipocrisia, perché è una cattiva malattia.[fonte
8] Guardati dalla primavera di gennaio.[fonte 8] Guardati in tua vita di non
dare a niun smentita.[fonte 8] Guerra, peste e carestia, vanno sempre in
compagnia.[fonte 120] H Ha cento volte un uomo flemma e giudizio, alla centuna
corre al precipizio.[fonte 65] Ha bel mentir chi vien da lontano.[fonte 76] Ha
la giustizia in mano bilancia e spada, perché il giusto s'innalza e l'empio
cada.[fonte 4] Ha più il ricco in un angolo, che il povero in tutta la
casa.[fonte 8] Ha un buon sapore l'odore del guadagno.[fonte 4] Ha un coraggio
da leone, quello che non fa violenza ai deboli.[fonte 8] Ho veduto assai volte
un piccol male non rispettato, divenir mortale.[fonte 65] I I baci sono come le
ciliegie: uno tira l'altro.[fonte 2] I cani abbaiano come sono nutriti.[fonte
4] I capponi sono buoni in tutte le stagioni.[fonte 8] I cattivi esempi si
imitano facilmente, meno i buoni.[fonte 4] I debiti sono gli eredi più
prossimi.[fonte 4] I denari del lotto se ne van di galoppo.[fonte 8] I denari
servono al povero di beneficio, ed all'avaro di gran supplizio.[fonte 4] I
desideri non riempiono il sacco.[fonte 4] I docili non hanno bisogno della
verga.[fonte 8] I doni dei nemici sono pericolosi.[fonte 4] I fanciulli
diventano uomini e le ragazze spose.[fonte 4] I fanciulli e gli ubriachi cadono
nelle mani di Dio.[fonte 4] I figli dei gatti mangiano i topi.[fonte 8] I figli
sono la ricchezza dei poveri.[fonte 18] I figli sono pezzi di cuore.[fonte 2] I
fiori tanto profumano per i poveri come per i ricchi.[fonte 8] I frati non
s'inchinano all'abate, ma al mazzo delle sue chiavi.[fonte 4] I gamberi son buoni
nei mesi della erre.[fonte 8] I gatti e i veri uomini cadono sempre in
piedi.[fonte 121] I genii si incontrano.[fonte 4] I genitori amano i figli, più
che i figli i genitori.[fonte 4] I genovesi risparmiano anche sui numeri: li
usano due volte.[37][fonte 122] I giovani vogliono essere più accorti dei
vecchi.[fonte 4] I giuramenti degli innamorati sono come quelli dei
marinai.[fonte 4] I granchi son pieni quando la luna è tonda.[fonte 8] I guai
della pentola li sa il mestolo che li rimescola.[fonte 8] I ladri grandi fanno
impiccare i piccoli.[fonte 4] I loquaci e i vantatori son mal veduti da
tutti.[fonte 8] I matti ed i fanciulli hanno un angelo dalla loro.[fonte 8] I
matti fanno le feste ed i savi le godono.[fonte 4] I medici vogliono essere
vecchi, i farmacisti ricchi ed i barbieri giovani.[fonte 4] "I miei
datteri sono più dolci", dice il vischio che cresce sulla palma.[fonte 8]
[wellerismo] I panni sporchi si lavano in casa.[fonte 123] I paperi vogliono
portare a bere le oche.[fonte 4] I parenti sono come le scarpe: più sono
stretti, più fanno male.[fonte 2] I pazzi crescono senza innaffiarli.[fonte 8]
I pazzi e i fanciulli possono dire quello che vogliono.[fonte 8] I pazzi per
lettera sono i maggiori pazzi.[fonte 124] I pazzi si conoscono dai gesti.[fonte
8] I peccati di gioventù si piangono in vecchiaia.[fonte 8] I poeti nascono, e
gli oratori si formano.[fonte 8] I poveri cercano il mangiare per lo stomaco; e
i ricchi lo stomaco per mangiare.[fonte 8] I poveri hanno la salute e i ricchi
le medicine.[fonte 8] I pulci di vendemmia li tiene l'uomo e non le
femmine.[fonte 125] I ricchi devono consolare i poveri.[fonte 8] I rimproveri
del padre fanno più che le legnate della madre.[fonte 8] I soldi non fanno la
felicità.[fonte 2] I veri amici sono come le mosche bianche.[fonte 4] Il bel
tempo non viene mai a noia.[fonte 9] Il ben di un anno se ne va in una
bestemmia.[fonte 4] Il ben fare non è mai tardo.[fonte 4] Il bisognino fa
trottar la vecchia.[fonte 2] Il bue dice cornuto all'asino.[fonte 126] Il bue
mangia il fieno perché si ricorda che è stato erba.[fonte 2] Il buon ordine è
figlio del disordine.[fonte 8] Il buon nocchiero muta vela, ma non
tramontana.[fonte 8] Il caffè deve essere caldo come l'inferno, nero come il
diavolo, puro come un angelo e dolce come l'amore.[38][fonte 127] Il caldo
delle lenzuola non fa bollire la pentola.[fonte 128] Il cane che ho nutrito è
quel che mi morde.[fonte 8] Il cane è il miglior amico dell'uomo.[fonte 2] Il
cane pauroso abbaia più forte.[fonte 4] Il cane rode l'osso perché non può
inghiottirlo.[fonte 4] Il coccodrillo mangia l'uomo e poi lo piange.[fonte 8]
Il colombo che rimane in colombaia è al sicuro dal falco.[fonte 8] Il colore
più caro agli ebrei è il giallo.[fonte 4] Il coraggio copre l'eroe meglio che
lo scudo il codardo.[fonte 8] Il corpo e l'anima ridono a chi si alza di buon
mattino.[fonte 8] Il corvo piange la pecora e poi la mangia.[fonte 117] Il cuor
cattivo rende ingratitudine per beneficio.[fonte 8] Il cuor magnanimo si piglia
con poco amore, e il cuore dello stolto con poca adulazione.[fonte 8] Il cuore
ha le sue ragioni e non intende ragione.[39][fonte 129] Il dare è onore, il
chiedere è dolore.[fonte 8] Il delitto non si deve tollerare, ma anche meno si
deve approvare.[fonte 4] Il denaro è il nervo della guerra.[fonte 4] Il denaro
può molto, ma l'amore può tutto.[fonte 4] Il diavolo ben si lascia pigliare per
la coda, ma non se la lascia strappare.[fonte 4] Il diavolo fa le pentole ma
non i coperchi.[fonte 1] Il diavolo non è così brutto come lo si dipinge.[fonte
130] Il diavolo vuol farsi cappuccino.[fonte 2] Il diavolo vuol farsi
santo.[fonte 2] Il domandare è senno, il rispondere è obbligo.[fonte 8] Il dono
del cattivo è simile al suo padrone.[fonte 56] Il dubbio è padre del
sapere.[fonte 4] Il fare insegna a fare.[fonte 4] Il fatto non si può
disfare.[fonte 4] Il ferro di cavallo che risuona, ha bisogno di un
chiodo.[fonte 8] Il ferro è duro, ma il fuoco lo rende morbido.[fonte 4] Il
figlio al padre s'assomiglia, alla madre la figlia.[fonte 4] Il filo sottile
facilmente si strappa.[fonte 4] Il fuoco che non mi scalda, non voglio che mi
scotti.[fonte 4] Il fuoco che non mi brucia, non lo spengo.[fonte 4] Il gatto
ama i pesci, ma non vuole bagnarsi le zampe.[fonte 131] Il gatto brontola
sempre, anche quando gode.[fonte 8] Il gatto che si è bruciato, ha paura anche
dell'acqua fredda.[fonte 121] Il gatto è una tigre domestica.[fonte 8] Il gatto
lecca oggi, domani graffia.[fonte 132] Il gatto non è gatto se non è
ladro.[fonte 133] Il gatto non ti accarezza, si accarezza vicino a te.[fonte
134] Il generoso non ha mai abbastanza denaro.[fonte 4] Il gentiluomo chiede
solo il miele, ma la gentildonna vuol anche la cera.[fonte 8] Il gioco è bello
quando dura poco.[fonte 2] Il gioco, il lotto, la donna e il fuoco non si
contentan mai di poco.[fonte 8] Il giudizio è opera di Dio.[fonte 4] Il grano
rado non fa vergogna all'aia.[fonte 135] Il Greco dice la verità solo una volta
all'anno.[fonte 4] Il lamentarsi non riempie camera vuota.[fonte 8] Il lavorare
senza pregare, è una botte senza vino, e oro senza splendore.[fonte 4] Il
lavoro nobilita l'uomo.[fonte 136] Il letto si chiama rosa, se non si dorme si
riposa.[fonte 137] Il lotto è la tassa degli imbecilli.[fonte 8] Il lotto è un
inganno continuo.[fonte 8] Il lupo non caca agnelli.[fonte 2] Il lupo perde il
pelo ma non il vizio.[40][fonte 1] Il lupo quando acciuffa una pecora, ne
guarda già un'altra.[fonte 4] Il magnanimo è superiore all'ingiuria,
all'ingiustizia, al dolore.[fonte 8] Il magnanimo non ricorre all'astuzia.[fonte
8] Il male che non ha riparo è bene tenerlo nascosto.[fonte 4] Il male peggiore
dei mali è il timore.[fonte 8] Il male viene in grandi quantità, e se ne va via
a poco a poco.[fonte 4] Il matrimonio è la tomba dell'amore.[fonte 2] Il
mattino ha l'oro in bocca.[fonte 138] Le ore del mattino hanno l'oro in
bocca.[fonte 139] Il medico pietoso fa la piaga puzzolente.[fonte 140] Il
medico pietoso fa la piaga verminosa.[fonte 140] Il meglio è nemico del
bene.[fonte 1] Il merlo ingrassa in gabbia, il leone muore di rabbia.[fonte 8]
Il miele non è fatto per gli asini.[fonte 4] Il miglior tiro ai dadi è non
giocarli.[fonte 4] Il molto ringraziare significa chieder dell'altro.[fonte 8]
Il mondo ricompensa come il caprone che dà cornate al suo padrone.[fonte 8] Il
mulino di Dio macina piano ma sottile.[fonte 141] Il nano è piccolo anche se è
sul campanile.[fonte 8] Il passato deve essere maestro dell'oggi.[fonte 4] Il
passato non deve prendere a prestito dall'oggi.[fonte 4] Il peggior passo è
quello dell'uscio.[fonte 2] Il pesce puzza dalla testa.[fonte 1] Il Piemonte è
la sepoltura dei francesi.[fonte 8] Il poeta ben trova le palme, ma non i
datteri.[fonte 8] Il politico bacia con la bocca, e tira calci con i
piedi.[fonte 8] Il Portogallo[41] è piccolo, ma è un pezzo di zucchero.[fonte
8] Il povero non può e il ricco non vuole.[fonte 8] Il prete, dove mangia, vi
canta.[fonte 142] Il prete vien cantando e va via zufolando.[fonte 143] Il
prete vive ancor un anno dopo morte.[fonte 142] I suoi familiari continuano ad
incassar per un anno i suoi redditi.[42] Il primo amore non si
arrugginisce.[fonte 8] Il primo amore non si scorda mai.[fonte 8] Il primo anno
ci si abbraccia, il secondo si fascia, il terzo anno si ha la malattia e la
cattiva Pasqua.[fonte 4] Il puledro non va all'ambio, se la cavalla
trotta.[fonte 144] Il ramo assomiglia al tronco.[fonte 4] Il ricco ha tanto
bisogno del povero, quanto il povero del ricco.[fonte 8] Il ricco vive, il
povero vivacchia.[fonte 8] Il ringraziare non fa male alla bocca.[fonte 8] Il
ringraziare non paga debito.[fonte 8] Il riso abbonda sulla bocca degli
stolti.[fonte 2] Il riso abbonda sulla bocca degli sciocchi.[fonte 145] Il riso
nasce nell'acqua ma deve morire nel vino.[fonte 8] Il sapere è di tutti.[fonte
2] Il «se» e il «ma» sono due corbellerie da Adamo in qua.[fonte 4] Il silenzio
è d'oro e la parola d'argento.[fonte 1] Il sospirar non vale.[fonte 8] Il
superfluo del ricco è il necessario del povero.[fonte 8] Il tatto è
tattica.[fonte 8] Il tatto è tutto.[fonte 8] Il tempo è denaro.[fonte 146] Il
tempo è un gran medico.[fonte 147] Il tempo scopre tutto, perché è
galantuomo.[fonte 147] Il tempo vola.[fonte 147] Il termine della notte è
l'inizio del giorno.[fonte 8] Il timore fa trottare anche lo zoppo.[fonte 8] Il
troppo gestire è da pazzi.[fonte 8] Il troppo tirare, l'arco fa spezzare.[fonte
4] Il turco ben può divenir un dotto, ma un uomo giammai.[fonte 119] Il ventre
non ha orecchie.[fonte 2] Il vero infermo è quello che non vuol esser
guarito.[fonte 8] Il vino al sapore, il pane al colore.[fonte 8] Il vino è
buono per chi lo sa bere.[fonte 8] Il vino è forte ma il sonno lo vince, ma più
forte d'ogni cosa è la donna.[fonte 8] Il vino è il latte dei vecchi.[fonte 8]
Il vino è mezzo vitto.[fonte 8] Il vino fa ballare i vecchi.[fonte 8] Il vino
la mattina è piombo, a mezzodì argento, la sera oro.[fonte 8] Impara a vivere
lo sciocco a sue spese, il savio a quelle altrui.[fonte 4] Impara l'arte e
mettila da parte.[fonte 1] In amore e in guerra niente regole.[fonte 8] In
bocca chiusa non entran mosche.[fonte 2] In Campania si inganna persino il
diavolo.[fonte 8] In casa del calzolaio non si hanno scarpe.[fonte 4] In cento
libbre di legge, non v'è un'oncia di amore.[fonte 148] In chiesa coi santi e in
taverna coi ghiottoni.[fonte 1] In compagnia prese moglie un frate.[fonte 1] In
febbraio la beccaccia fa il nido.[fonte 8] In Lazio si nasce coi sassi in
mano.[fonte 8] In lunghi viaggi anche la paglia pesa.[fonte 8] In paradiso non
ci si va in carrozza.[fonte 141] In Sardegna non vi son serpenti, né in
Piemonte bestemmie.[fonte 8] In tanta incostanza e quantità delle cose umane,
nulla, se non quello che è passato, è sicuro.[fonte 4] In terra di ciechi,
beato chi ha un occhio.[fonte 36] In terra di ladri, la valigia dinanzi.[fonte 8]
In vaso mal lavato, il vino è tosto guastato.[fonte 8] Ingegno e capelli,
crescono soltanto con gli anni.[fonte 4] Insieme non vanno la pudicizia e la
beltà.[fonte 4] Inventare è poco, diffondere l'invenzione è tutto.[fonte 4] L
L'abbaiare dei cani non arriva in cielo.[fonte 4] L'abbondanza non lascia
dormire il ricco.[fonte 4] L'abete che fa ombra crede di fare frutti.[fonte 4]
L'abete cresce in altezza, ma la felce cresce in larghezza.[fonte 4] L'abito
non fa il monaco.[43][fonte 2] L'abuso insegna il vero uso.[fonte 4] L'acqua
cheta rovina i ponti.[fonte 2] L'acqua corre al mare.[fonte 149] L'acqua e il
fuoco sono buoni servitori, ma cattivi padroni.[fonte 4] L'acqua fa male e il
vino fa cantare.[fonte 8] L'acqua fa marcire i pali.[fonte 5] L'acqua fa venire
i ranocchi in corpo.[fonte 150] L'acqua di maggio inganna il villano: par che
non piova e si bagna il gabbano[44].[fonte 2] L'acqua non è fatta per
sposarsi.[fonte 9] L'allegria dei cattivi dura poco.[fonte 8] L'allegria è di
ogni male il rimedio universale.[fonte 4] L'allegria è il balsamo della
vita.[fonte 8] L'allegria fa campare, la passione fa crepare.[fonte 8]
L'allegria piace anche a Dio.[fonte 8] L'allegria scaccia ogni male.[fonte 8]
L'allodola vola in alto, ma fa il suo nido in terra.[fonte 8] L'altezza è mezza
bellezza.[45][fonte 2] L'ambizione e la vendetta muoiono sempre di fame.[fonte
4] L'ambizione è nemica della ragione.[fonte 4] L'amore di carnevale muore in
quaresima.[fonte 8] L'amore è cieco.[fonte 2] L'amore è cieco, ma vede lontano.[fonte
8] L'amore fa passare il tempo e il tempo fa passare l'amore.[fonte 8] L'amore
non è bello se non è litigarello.[fonte 103] L'amore non si misura a
metri.[fonte 8] L'amore passa dentro la cruna di un ago.[fonte 8] L'amore
quanto più è bestia, tanto più sublime.[fonte 32] L'amore scalda il cuore e
l'ira fa il poeta.[fonte 8] L'amore senza baci è pane senza sale.[fonte 8]
L'animo fa il nobile e non il sangue.[fonte 8] L'anno produce il raccolto, non
il campo.[fonte 4] L'apparenza inganna.[fonte 1] L'appetito non vuol
salsa.[fonte 151] L'appetito vien mangiando.[fonte 1] L'arancia la mattina è
oro, il giorno argento, la sera è piombo.[fonte 2] Con riferimento a chi fa
fatica a digerire le arance. L'arcobaleno la mattina bagna il becco della
gallina; l'arcobaleno la sera buon tempo mena.[fonte 1] L'arte non ha maggior
nemico dell'ignorante.[fonte 4] L'asino e il mulattiere non hanno lo stesso
pensiero.[fonte 4] L'asino non conosce la coda, se non quando non l'ha
più.[fonte 4] L'assai basta e il troppo guasta.[fonte 1] L'avaro in punto di
morte rimpiange i soldi spesi per la bara.[fonte 8] L'avaro lascia eredi
ridenti.[fonte 4] L'avaro non dorme.[fonte 4] L'avaro non vive, vegeta.[fonte
4] L'avversità che fiacca i cuori deboli, ingagliardisce le anime forti.[fonte
8] L'eccesso degli obblighi può fare perdere un amico.[fonte 4] L'eccesso della
gioia divien tristezza, e l'eccesso del vino ubriachezza.[fonte 8] L'eccezione
conferma la regola.[46][fonte 1] L'eclissi di sole avviene di giorno e non di
notte.[fonte 4] L'edera taciturna si arrampica in cima alla quercia.[fonte 4]
L'elefante non cura il morso delle pulci.[fonte 8] L'elemosina non fa
impoverire.[fonte 4] L'eloquenza del cattivo è falso acume.[fonte 8] L'Epifania
tutte le feste porta via.[47][fonte 1] L'erba del vicino è sempre più
verde.[48][fonte 152] L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del
re.[fonte 2] L'erba che non voglio, cresce nell'orto.[fonte 4] L'erba non
cresce sulla strada maestra.[fonte 4] L'eredità paterna ai paterni, la materna
ai materni.[fonte 4] L'errore che si confessa è mezzo rimediato.[fonte 4]
L'errore è un cocchiere che conduce sopra una falsa strada.[fonte 4] L'errore è
umano, il perdono divino.[fonte 153] L'esercizio è buon maestro.[fonte 4]
L'esperienza nel mondo conduce alla diffidenza, la diffidenza conduce al
sospetto, il sospetto all'astuzia, l'astuzia alla malvagità e la malvagità a
tutto.[fonte 4] L'esperienza senza il sapere è meglio che il sapere senza
sapienza.[fonte 70] L'estate ce la porta sant'Urbano e l'autunno san
Bartolomeo.[fonte 4] L'estate davanti e l'inverno dietro.[fonte 4] L'estate di
San Martino dura tre giorni e un pochinino.[49][fonte 2] L'estate per chi
lavora, l'inverno per chi dorme.[fonte 4] L'estate è una schiava, l'inverno un
padrone.[fonte 4] L'estate per il povero è migliore dell'inverno.[fonte 4]
L'eternità è una compera lunga.[fonte 4] L'eternità non ha capelli grigi.[fonte
4] L'eterno parlatore né ode né impara.[fonte 4] L'idolo si adora finché non è
infranto.[fonte 4] L'ignorante ha le ali di un'aquila e gli occhi di un
gufo.[fonte 4] L'inchiostro è il mio campo, su cui posso scrivere
valorosamente; la penna, il mio aratro; le parole, la mia semente.[fonte 8]
L'inchiostro è nero, e tinge le dita e la reputazione.[fonte 8] L'inferno e i
tribunali son sempre aperti.[fonte 4] L'ingegno viene con gli anni, e se ne va
con gli anni.[fonte 4] L'ingratitudine converte in ghiaccio il caldo
sangue.[fonte 8] L'ingratitudine è la mano sinistra dell'egoismo.[fonte 8]
L'ingratitudine è un'amara radice da cui crescono amari frutti.[fonte 8]
L'ingratitudine nuoce anche a chi non è reo.[fonte 8] L'ingratitudine taglia i
nervi al beneficio.[fonte 8] L'intelletto è nella testa e non negli anni.[fonte
4] L'intelletto non viene mai prima degli anni.[fonte 4] L'interesse acceca
anche i galantuomini.[fonte 8] L'inverno al fuoco e l'estate all'ombra.[fonte
4] L'invidia è annessa alla felicità.[fonte 4] L'invidia è un gufo che non può
sopportare la luce della prosperità degli altri.[fonte 4] L'invidia è una
bestia che rode le proprie gambe, quando non ha altro da rodere.[fonte 4]
L'invidia somiglia alla gramigna, che mai non muore, e da per tutto
alligna.[fonte 4] L'ipocrisia intasca il denaro, e la verità va mendica.[fonte
4] L'ira senza forza, non vale una scorza.[fonte 4] L'ira turba la mente e
acceca la ragione.[fonte 4] L'Italia è il paese dove corre latte e miele.[fonte
4] L'Italia è un paradiso abitato da demoni.[fonte 4] L'Italia per nascervi, la
Francia per viverci e la Spagna per morirvi.[fonte 4] L'occasione fa l'uomo
ladro.[fonte 1] L'occhio del padrone ingrassa il cavallo.[fonte 1] L'oggi non
deve calunniare il passato.[fonte 4] L'olivo benedetto vuol trovar pulito e
netto.[50][fonte 2] L'ombra di un principe dev'essere la liberalità.[fonte 4]
L'ordine caccia il disordine.[fonte 8] L'ordine è pane, il disordine è
fame.[fonte 8] L'orgoglio crede che il suo uovo abbia due tuorli.[fonte 8]
L'orgoglio è stoltezza, l'umiltà è saviezza.[fonte 8] L'orgoglio fa colazione
con l'abbondanza, pranza con la povertà e cena con la vergogna.[fonte 154]
L'orologio dell'amore ritarda sempre.[fonte 8] L'ospite è come il pesce: dopo
tre giorni puzza.[fonte 2] L'ospite e il pesce dopo tre dì rincresce.[fonte 1]
L'ozio è il padre di tutti i vizi.[fonte 1] L'ozio in gioventù non è la via
della virtù.[fonte 4] L'uguaglianza e misurar tutti con la stessa spanna, è la
legge della morte.[fonte 8] L'umiliarsi è da saggio, l'avvilirsi è da
bestia.[fonte 8] L'umiliazione va dietro al superbo.[fonte 8] L'umiltà è il
miglior modo di evitare l'umiliazione.[fonte 8] L'umiltà è la corona di tutte
le virtù.[fonte 8] L'umiltà è la madre dell'onore.[fonte 8] L'umiltà è una
virtù che adorna tanto la vecchiaia, quanto la gioventù.[fonte 8] L'umiltà
ottiene spesso più dell'alterigia.[fonte 8] L'umiltà sta bene a tutti.[fonte 8]
L'umiltà sta bene con la castità.[fonte 8] L'unione fa la forza.[fonte 1]
L'uomo avaro e l'occhio sono insaziabili.[fonte 4] L'uomo deve tenere aperta la
bocca a lungo prima che c'entri un colombo arrostito.[fonte 4] L'uomo fu creato
per lavorare, come l'uccello per volare.[fonte 4] L'uomo ordisce e la fortuna
tesse.[fonte 1] L'uomo politico accende una candela a Dio e un'altra al
diavolo.[fonte 8] L'uomo per la parola e il bue per le corna.[fonte 1] L'uomo
propone e Dio dispone.[fonte 1] L'uomo propone e la donna dispone.[fonte 2]
L'uomo si conosce al bicchiere.[fonte 4] L'uomo si giudica male
dall'aspetto.[fonte 4] L'usura arricchisce, ma non dura.[fonte 8] L'usura è il
miglior apostolo del diavolo.[fonte 8] L'usura è la figlia primogenita
dell'avarizia.[fonte 8] L'usura è un assassinio.[fonte 8] L'usura è vietata da
Dio.[fonte 8] L'usura veglia quando l'uomo dorme.[fonte 8] L'usuraio
arricchisce col sudor dei poveri.[fonte 8] L'usuraio ha un torchio a
sangue.[fonte 8] L'usuraio ingrassa andando a spasso.[fonte 8] La bestemmia
gira gira torna addosso a chi la tira.[fonte 4] La buona cantina fa il buon
vino.[fonte 8] La buona mamma fa la buona figlia.[fonte 4] La buona sorte ogni
vile cuore fa forte.[fonte 8] La calma è la virtù dei forti.[fonte 2] La
capacità si vede nelle difficoltà.[fonte 4] La carestia è il pane
dell'usuraio.[fonte 4] La carne migliore è quella intorno all'osso.[fonte 4] La
carne senz'osso non fa brodo.[fonte 4] La carrucola non frulla, se non è
unta.[fonte 4] La cattiva sorte porta spesso buona sorte.[fonte 8] La cicala
prima canta e poi muore.[fonte 8] La coda è la più lunga da scorticare.[fonte
1] La comodità fa l'uomo cattivo.[fonte 8] La compassione è la figlia
dell'amore.[fonte 4] La concordia rende forti i deboli.[fonte 8] La contentezza
viene dalle budella.[fonte 1] La corda troppo tesa si spezza.[fonte 1] La
cupidigia rompe il sacco.[fonte 4] La dieta ogni mal quieta.[fonte 155] La
difficoltà sta nell'iniziare.[fonte 4] La diffidenza aguzza gli occhi. La
diffidenza è la morte dell'amore.[fonte 4] La diffidenza porta più avanti della
fiducia.[fonte 4] La donna a 15 anni scherza, a 20 brilla, a 25 ama, a 30
brama, a 35 sente, a 40 vuole e a 50 paga.[fonte 8] La donna bisogna praticarla
un giorno, un mese e un'estate per sapere che odore sa.[fonte 8] La donna buona
vale una corona.[fonte 8] La donna deve avere tre m: matrona in strada, modesta
in chiesa, massaia in casa.[fonte 8] La donna e l'orto vogliono un sol
padrone.[fonte 8] La donna ha più capricci che ricci.[fonte 8] La donna oziosa
non può essere virtuosa.[fonte 8] La donna per piccola che sia, vince il
diavolo in furberia.[fonte 8] La donna più sciocca vale due uomini.[fonte 8] La
donna troppo in vista, è di facile conquista.[fonte 8] La fame caccia il lupo
dal bosco.[fonte 1] La fame caccia il lupo dalla tana.[fonte 4] La fame spinge
il lupo nel villaggio.[fonte 4] La fame condisce tutte le vivande.[fonte 4] La
fame non vede la muffa nel pane.[fonte 4] La fame è cattiva consigliera.[fonte
1] La fame, gran maestra, anche le bestie addestra.[fonte 4] La fame muta le
fave in mandorle.[fonte 4] La farina del diavolo va tutta in crusca.[fonte 1]
La fedeltà non è mai rimeritata abbastanza, e l'infedeltà mai abbastanza.[fonte
4] La femmina è cosa mobile per natura.[fonte 4] La fine della passione è il
principio del pentimento.[fonte 129] La fortuna aiuta gli audaci.[fonte 2] La
fortuna del savio ha per figliola la modestia.[fonte 8] La fortuna è
cieca.[fonte 2] La fortuna è cieca, ma la sfiga ci vede benissimo.[fonte 108]
La fretta fa rompere la pentola.[fonte 8] La fretta è una cattiva
consigliera.[fonte 108] La furia non fu mai buona.[fonte 4] La gallina del
vicino sembra un fagiano.[fonte 152] La gatta frettolosa fece i gattini
ciechi.[fonte 1] La gatta grassa fa onore alla casa.[fonte 121] La gatta, mette
il piede davanti alla vacca.[fonte 156] La gatta non s'accosta alla pentola che
bolle.[fonte 38] La gatta vorrebbe mangiar pesci, ma non pescare.[fonte 157] La
gelosia della moglie è la via al suo divorzio.[fonte 4] La gelosia è il
peggiore di tutti i mali.[fonte 4] La gelosia è una passione che cerca
avidamente quel che tormenta.[fonte 4] La generosità è un muro che non si può
alzare più alto di quello che arrivano i materiali.La gente ricca alleva male i
suoi cani, e la gente povera i suoi figlioli. La gente savia non si cura di
quel che non può avere.[fonte 87] La gioventù fugge, e la bellezza
sfiorisce.[fonte 4] La gioventù vuol fare il suo corso.[fonte 4] La lealtà se
ne è andata dal mondo e la dirittura si è messa a dormire.[fonte 4] La lega fa forte
i deboli.[fonte 4] La liberalità è un muro che non si deve rizzare più alto di
quello che comportino i materiali.[fonte 4] La liberalità non sta nel dare
molto, ma saggiamente.[fonte 4] La libertà del povero è di lasciarlo
mendicare.[fonte 4] La libertà è da Dio; le libertà, dal diavolo.[fonte 4] La
libertà è più cara degli occhi e della vita.[fonte 4] La libertà fila con le
sue mani il filo della sua tenda.[fonte 4] La lingua batte dove il dente
duole.[fonte 1] La lingua non ha osso e sa rompere il dosso.[fonte 4] La lingua
spagnola è la più amabile; quando il diavolo tentò Eva, le parlo in
spagnolo.[fonte 8] La lode propria puzza, quella degli amici zoppica.[fonte 4]
La luna di gennaio è la luna del vino.[fonte 2] La luna è bugiarda: quando fa
la C diminuisce, e quando fa la D cresce[fonte 158] La luna non cura l'abbaiar
dei cani.[fonte 2] La luna regge il lume ai ladri.[fonte 158] La luna, se non
riscalda, illumina.[fonte 158] La Lombardia è il giardino del mondo.[fonte 8]
La madre del peggio è sempre incinta.[fonte 159] La madre degli imbecilli è
sempre incinta.[fonte 160] La madre dei fessi è sempre incinta.[fonte 160] La
magnificenza spesso copre la povertà.[fonte 4] La mala erba non muore
mai.[fonte 1] La mala nuova la porta il vento.[fonte 1] La malerba cresce
presto.[fonte 2] La malinconia e le cure fanno invecchiare anzitempo.[fonte 4]
La mercanzia rara è meglio che buona.[fonte 8] La miglior difesa è
l'attacco.[fonte 1] La minestra lunga sa di fumo.[fonte 8] La modestia è il
dattero che matura raramente sull'albero della ricchezza.[fonte 8] La modestia
è madre d'ogni creanza.[fonte 8] La moglie è la chiave di casa.[fonte 8] La
morte ci rende uguali nella sepoltura, disuguali nell'eternità.[fonte 8] La necessità
aguzza l'ingegno.[fonte 2] La necessità fa più ladri che galantuomini.[fonte 8]
La notte è fatta per gli allocchi.[fonte 8] La notte porta consiglio.[fonte 1]
La novella non è bella, se non c'è la giuntarella.[fonte 8] La pancia del
buongustaio è il cimitero dei cibi buoni.[fonte 8] La parola del ricco è simile
al sole, e quella del povero è simile al vapore.[fonte 8] La pazienza è la
virtù dei forti.[fonte 9] La pazienza è una buon'erba, ma non nasce in tutti
gli orti.[fonte 88] La pecora che se ne va sola, il lupo la mangia.[fonte 91]
La peggio ruota è quella che stride.[fonte 8] La peggior carne da conoscere è
quella dell'uomo.[fonte 4] La penitenza corre dietro al peccato.[fonte 8] La
pentola vuota è quella che suona.[fonte 8] La pianta si conosce dal
frutto.[fonte 1] La pigrizia e l'impudicizia sono sorelle.[fonte 8] La pittura
è una poesia tacita, e la poesia una pittura loquace.[fonte 8] La più bell'ora
per il mangiare è quella in cui si ha fame.[fonte 8] La polenta è utile per
quattro cose: serve da minestra, serve da pane, sazia e scalda le mani.[fonte
8] La povertà è priva di molte cose, l'avarizia è priva di tutto.[fonte 56] La
prima acqua è quella che bagna.[fonte 1] La prima gallina che canta ha fatto
l'uovo.[fonte 108] La prima eredità al primo figlio, l'ultima eredità
all'ultimo figlio.[fonte 4] La provvidenza quel che toglie rende.[fonte 4] La
pulce che esce di dietro l'orecchio con il diavolo si consiglia.[fonte 8] La
puttana e la lattuga una stagione dura.[fonte 8] La rana è usa ai pantani, se
non ci va oggi ci andrà domani.[fonte 8] La rana non morde, perché non ha
denti.[fonte 8] La rana, o salta o piscia, ma mai non sbrana.[fonte 8] La razza
comincia dalla bocca.[fonte 8] La roba dei pazzi è la prima ad andarsene.[fonte
8] La ruota della fortuna gira.[fonte 4] La ruota della fortuna non è sempre
una.[fonte 4] La scorza fa bella la castagna.[fonte 4] La scimmia è sempre
scimmia, anche vestita di seta.[fonte 8] La semplicità senza accortezza è pura
pazzia.[fonte 8] La sera leoni e la mattina coglioni.[fonte 2] La sorte è come
ognuno se la fa.[fonte 8] La speranza è cattivo denaro.[fonte 161] La speranza
è il pane dei poveri.[fonte 2] La speranza è il patrimonio dei poveri.[fonte 2]
La speranza è il sogno dell'uomo desto.[fonte 2] La speranza è l'ultima a
morire.[fonte 2] La speranza è la miglior consolazione nella miseria.[fonte
161] La speranza è la miglior musica del dolore.[fonte 161] La speranza è la
ricchezza dei poveri.[fonte 2] La speranza è sempre verde.[fonte 2] La speranza
è un balsamo per i cuor piagati.[fonte 161] La speranza è un sogno nella
veglia.[fonte 2] La speranza infonde coraggio anche al codardo.[fonte 161] La
speranza ingrandisce, l'esperienza rimpicciolisce.[fonte 57] La superbia è
figlia dell'ignoranza.[fonte 1] La superbia mostra l'ignoranza.[fonte 162] La
superbia va a cavallo e torna a piedi.[fonte 1] La terra è madre di tutti gli
uomini ed anche sepoltura.[fonte 8] La troppa umiltà vien dalla superbia.[fonte
8] La vanagloria è un fiore che mai non porta frutta.[fonte 163] La vera
libertà è non servire al vizio.[fonte 4] La verità è nel vino.[fonte 8] La
verità viene sempre a galla.[fonte 2] La veste copre gran difetti.[fonte 55] La
via dell'inferno è lastricata di buone intenzioni.[fonte 1] La vipera morta non
morde seno, ma pure fa male coll'odor del veleno.[fonte 8] La virtù sta nel
mezzo.[51][fonte 164] La vita è breve e l'arte è lunga.[52][fonte 55] La vita è
già mezzo trascorsa anziché si sappia che cosa sia.[fonte 165] La volpe si
conosce dalla coda.[fonte 4] Lamentarsi, supplicare e bere acqua è lecito a
tutti.[fonte 8] Latte e vino, tossico fino.[fonte 8] Lavora come se avessi a
campare ognora, adora come avessi a morire allora.[fonte 4] Lavoro non ingrassò
mai bue.[fonte 4] Le allegrezze non durano.[fonte 8] Le belle penne rendono
bello l'uccello.[fonte 4] Le bellezze durano fino alle porte, la bontà fino
alla morte.[fonte 4] Le braccia e le mani del povero appartengono al
ricco.[fonte 8] Le bugie hanno le gambe corte.[fonte 1] Le bugie sono lo scudo
degli uomini dappoco.[fonte 4] Le chiacchiere non fanno farina.[fonte 1] Le
colombe che rimangono in colombaia, sono sicure dal nibbio.[fonte 8] Le cose
lunghe diventano serpi.[fonte 1] Le cose lunghe prendono vizio.[fonte 1] Le
dita della mano sono disuguali.[fonte 8] Le donne hanno lunghi i capelli e
corti i cervelli.[fonte 4] Le donne hanno quattro malattie all'anno, e tre mesi
dura ogni malanno.[fonte 8] Le bestie vanno trattate da bestie.[fonte 8] Le
cattive nuove sono le prime ad arrivare.[fonte 8] Le cattive nuove
volano.[fonte 1] Le chiavi ed i lucchetti non si fanno per le dita
fidate.[fonte 8] Le disgrazie non vengono mai sole.[fonte 1] Le disgrazie sono
come le ciliegie: una tira l'altra.[53] Le donne hanno lunghi i capelli e corti
i cervelli.[fonte 166] Le donne hanno sette anime... e mezza.[fonte 8] Le donne
ne sanno una più del diavolo.[fonte 2] Le donne piglian bene le pulci.[fonte 8]
Le lacrime sono le armi delle donne.[fonte 4] Le leghe e le corde fradice non
durano a lungo.[fonte 4] Le malattie ci dicono quel che siamo.[fonte 88] Le
montagne stanno ferme, gli uomini s'incontrano.[fonte 167] Le ore del mattino
hanno l'oro in bocca.[fonte 1] Le parole sono femmine e i fatti sono
maschi.[fonte 1] Le piante che fruttano troppo presto, si seccano.[fonte 8] Le
querce non fanno limoni.[fonte 2] Le ragazze sono d'oro, le sposate d'argento,
le vedove di rame e le vecchie di latta.[fonte 8] Le rane han perso la coda
perché non seppero chiedere aiuto.[fonte 8] Le rose cascano, le spine
restano.[fonte 168] Le teste di legno fan sempre del chiasso.[fonte 55] Le
Trentine vengono giù pollastre e se ne vanno sù galline.[fonte 8] Le vie della
provvidenza sono infinite.[fonte 1] Le vie del Signore sono infinite.[fonte 1]
Leggi, rileggi e pondera.[fonte 8] Lingua cheta e fatti parlanti.[fonte 4] Lo
sbadiglio non vuol mentire: o che ha sonno o che vorrebbe dormire, o che ha
qualche cosa che non può dire.[fonte 8] Lo scarafaggio corre sempre allo
sterco.[fonte 8] Lo scimunito parla col dito.[fonte 8] Lo scorpione dorme sotto
ogni lastra.[fonte 8] Lo smargiasso ciancia in guerra, il valente combatte
muto.[fonte 8] Loda il gran campo e il piccolo coltiva.[fonte 169] Loda il
monte e tieniti al piano.[fonte 2] Loda il pazzo e fallo saltare, se non è
pazzo lo farai diventare.[fonte 8] Lontano dagli occhi, lontano dal
cuore.[fonte 170] Lontan dagli occhi, lontan dal cuore.[fonte 2] Luna di
grappoli a gennaio luna di racimoli a febbraio.[54][fonte 2] Lunga lingua,
corta mano.[fonte 8] Lungo come la quaresima.[55][fonte 2] Luglio dal gran
caldo, bevi bene e batti saldo.[fonte 16] Lungo digiuno caccia la fame.[fonte
4] Lupo non mangia lupo.[fonte 2] M Ma in premio d'amore amor si rende.[fonte
33] Maggio ortolano, molta paglia e poco grano.[fonte 16] Maggiore il santo,
maggiore la sua umiltà.[fonte 8] Mai gli uomini sanno essere abbastanza
riconoscenti verso gli inventori.[fonte 4] Mal comune mezzo gaudio.[fonte 2]
Mal può rendere ragion del proprio fatto chi lardo o pesce lascia in guardia al
gatto.[fonte 65] Mal si giudica il cavallo dalla sella.[fonte 3] Male che si
vuole non duole.[fonte 9] Male ignoto si teme doppiamente.[fonte 8] Male non
fare, paura non avere.[fonte 2] Male voluto non fu mai troppo.[fonte 57]
Maledetto il ventre che del pan che mangia non si ricorda niente.[fonte 8]
Manca tanto la pazienza ai poveri, quanto la compassione ai ricchi.[fonte 8]
Mangiar molto e far buona digestione, è un privilegio che han poche
persone.[fonte 8] Mano dritta e bocca monda possono andare per tutto il
mondo.[fonte 4] Marinaio genovese, mercante fiorentino.[fonte 8] Martello d'oro
non rompe le porte del cielo.[fonte 47] Marzo è pazzo.[fonte 16] Marzo
pazzerello guarda il sole e prendi l'ombrello.[fonte 2] Marzo molle, gran per
le zolle.[fonte 16] Mazza e pane fanno i figli belli; pane senza mazza fa i
figli pazzi.[fonte 171] Medico vecchio e chirurgo giovane.[fonte 172] Medico
vecchio e medicina nuova.[fonte 2] Chirurgo giovane e medico anziano.[56]
Mediocre bestiame ben pasciuto è di maggior vantaggio che molto bestiame mal
mantenuto.[fonte 173] Meglio andare a letto senza cena, che alzarsi con
debiti.[fonte 4] Meglio aperto rimprovero, che odio segreto.[fonte 8] Meglio
dietro agli uccelli, che dietro ai signori.[fonte 8] Meglio essere ben educato,
che nascere nobile.[fonte 4] Meglio essere invidiati che compatiti.[fonte 174]
Meglio fare la serva in casa propria, che la padrona in casa altrui.[fonte 4]
Meglio fave in libertà, che capponi in schiavitù.[fonte 8] Meglio fringuello in
man che tordo in frasca.[fonte 2] Meglio fringuello in tasca che tordo in
frasca.[fonte 2] Meglio il marito senz'amore, che con gelosia.[fonte 75] Meglio
l'uovo oggi che la gallina domani.[fonte 1] Meglio mangiar carote in pace che
molte pietanze in disunione.[fonte 8] Meglio mendicante che ignorante.[fonte
124] Meglio pane con amore, che gallina con dolore.[fonte 4] Meglio poco che
niente.[fonte 1] Meglio soli che male accompagnati.[fonte 1] Meglio tardi che
mai.[fonte 1] Meglio un asino vivo che un dottore morto.[fonte 1] Meglio un
fiorino guadagnato, che cento ereditati.[fonte 4] Meglio un magro accordo che
una grassa sentenza.[fonte 2] Meglio un morto in casa che un pisano
all'uscio.[fonte 2] Meglio una festa che cento festicciole.[fonte 1] Meglio una
volta arrossire che mille impallidire.[fonte 8] Meglio vivere ben che vivere a
lungo.[fonte 64] Meno siamo meglio stiamo.[fonte 57] Mente lieta, vita quieta e
moderata dieta.[fonte 2] Merito non conosciuto poco vale.[fonte 8] Milan può
far, Milan può dir, ma non può far dell'acqua vin.[fonte 8] Mille errori sono più
facilmente pronunciati che una verità.[fonte 4] Moglie e buoi dei paesi
tuoi.[fonte 1] Donne e buoi dei paesi tuoi.[fonte 2] Mogli che non
contraddicono e galline che facciano le uova d'oro, sono uccelli rari.[fonte 8]
Moglie maglio.[fonte 1] Molte cose si giudicano impossibili a farsi prima che
siano fatte. Molte mani fanno l'opera leggera. Molte paglie unite possono
legare un elefante.[fonte 8] Molte volte la belleza più adorabile si unisce
alla stupidaggine più insopportabile. Molte volte si perde per negligenza
quello che si è guadagnato con giustizia.[fonte 4] Molti hanno buone carte in
mano, ma non le sanno giocare.[fonte 4] Molti inventano oro con la bocca ed
hanno piombo alle mani e ai piedi.[fonte 4] Molti parlano d'Orlando anche se
non videro mai il suo brando.[fonte 8] Molti sfuggono alla pena, ma non ai
rimorsi della coscienza.[fonte 8] Molti si immaginano di avere il pulcino, che
non hanno ancora l'uovo.[fonte 4] Molti si lamentano del buon tempo.[fonte 8]
Molti sono i verseggiatori, pochi i poeti.[fonte 8] Molti squartano un gatto e
giurano che era un leone.[fonte 8] Molti voti fanno l'abate.[fonte 4] Molto
denaro, molti amici.[fonte 4] Molto fumo e poco arrosto.[fonte 1] Molto può
nuocere una piccola negligenza.[fonte 8] Morire di fame in una madia di
pane.[fonte 4] Morta la serpe, spento il veleno.[fonte 8] Morto un papa se ne
fa un altro.[fonte 1] Mulo buon mulo, ma cattiva bestia.[fonte 8] Muore il
ricco, gli fanno il funerale; muore il povero, nessuno gli dice: vale.[fonte 8]
Muove la coda il cane non per te, ma per il pane.[fonte 4] N Natale con i tuoi,
Pasqua con chi vuoi. Né col capretto né con l'agnello, si adopera il
coltello.[fonte 8] Né di venere, né di marte non si sposa né si parte, né si dà
principio all'arte.[fonte 2] Né donna né tela al lume di candela.[fonte 8] Ne
uccide più la lingua che la spada.[fonte 2] Ne uccide più la gola che la
spada.[fonte 2] Necessità fa legge e tribunale.[fonte 2] Negli ordini pari, i
pareri sono dispari.[fonte 8] Nel bere e nel camminare si conoscono le donne.[fonte
8] Nel bosco tagliato non ci stanno assassini.[fonte 8] Nel dubbio
astieniti.[fonte 2] Nel monte di Brianza, senza vin non si danza.[fonte 8] Nel
paese degli zoppi, zoppicar non è vergogna.[fonte 8] Nel regno dei ciechi anche
un orbo è re.[fonte 175] Nel regno dei ciechi anche un guercio è re.[fonte 175]
Nel regno di Dio, poveri e ricchi sono uguali.[fonte 8] Nell'autunno non
bisogna più sognare di rose e tulipani.[fonte 4] Nell'estate si deve pensare
all'inverno, e nella gioventù alla vecchiaia.[fonte 4] Nell'eternità si arriva
sempre in tempo. Nell'inverno il pazzo sogna rose, e nell'estate il savio le
raccoglie.[fonte 4] Nella botte piccola c'è il buon vino.[fonte 8] Nella
felicità ragione, nell'infelicità pazienza.[fonte 8] Nella gotta, il medico non
vede gotta.[fonte 176] Nelle sventure si conosce l'amico.[fonte 1] Nessuna
corona è più bella di quella dell'umiltà.[fonte 8] Nessuna fortezza è così
salda che non si lasci conquistare dall'oro.[fonte 4] Nessuna ingiustizia
rimane impunita.[fonte 4] Nessuna mela è così bella che non abbia qualche
difetto.[fonte 4] Nessuna nuova, buona nuova. Nessuno è profeta in patria. Nessuno
può dare quello che non ha.[fonte 4] Nessuno può difendersi dalla beffa.[fonte
4] Ne uccide più Bacco che Marte.[fonte 4] Neve di Dicembre dura fin che dura
la brina.[fonte 8] Niente è più bello di una faccia allegra.[fonte 8] Niuna
guardia è migliore di quella che una donna fa a se stessa.[fonte 4] Non
accettare i rimproveri o consigli da chi educare non seppe i propri figli.[fonte
4] Non aspettar che l'abete porti pomi.[fonte 4] Non basta esser galantuomo,
bisogna anche esser conosciuto per tale.[fonte 8] Non bisogna fare il diavolo
più nero di quello che è.[fonte 8] Non bisogna fasciarsi il capo prima di
romperselo.[fonte 8] Non bisogna mai usare due pesi e due misure.[fonte 8] Non
bisogna scuotere l'orzo dal sacco prima di avere il frumento.[fonte 8] Non c'è
alcuno così povero che non possa aiutare, né alcuno così ricco che non abbia
bisogno d'aiuto.[fonte 8] Non c'è cosa più triste sulla terra dell'uomo
ingrato.Non si muove foglia che Dio non voglia. Non c'è affanno senza
danno.[fonte 4] Non c'è Carnevale senza luna di febbraio.[fonte 2] Non c'è due
senza tre.[fonte 1] Non c'è due senza tre e il quarto vien da sé.[fonte 2] Non
c'è cosa così cattiva che non sia buona a qualche cosa.[fonte 4] Non c'è eretico
che non abbia la sua credenza.[fonte 4] Non c'è fumo senza arrosto.[fonte 1]
Non c'è gallina né gallinaccia che di gennaio l'uova non faccia.[fonte 2] Non
c'è intoppo per avere, più che chiedere e temere.[fonte 178] Non c'è male senza
bene.[fonte 4] Non c'è miglior cieco di quello che non vuole vedere.[fonte 4]
Non c'è pane senza pena.[fonte 1] Non c'è peggior sordo di chi non vuol
sentire.[fonte 2] Non c'è regola senza eccezioni.[fonte 1] Non c'è rosa senza
spine.Non cade foglia che Dio non voglia.[fonte 1] Non ci fu mai frettoloso che
non fosse pazzo.[fonte 8] Non ci rimane nessuna vigna da vendemmiare, e né meno
nessuna donna da maritare.[fonte 179] Non credere a donna, quand'anche sia
morta.[fonte 4] Non destare il can che dorme.[fonte 1] Non dire quattro se non
l'hai nel sacco.[fonte 2] Non dire gatto se non ce l'hai nel sacco.[fonte 180]
Non è arte il giocare, ma lo smettere.[fonte 4] Non è bello ciò che è bello, ma
è bello ciò che piace.[fonte 181] Non è bene esser poeta nel villaggio.[fonte
8] Non è bene riporre denaro in una cassa di cui non si ha la chiave.[fonte 4]
Non è col dire "miel, miel," che la dolcezza viene in bocca.[fonte
117] Non è contento quel che si lamenta.[fonte 8] Non è in nessun luogo chi è
in ogni luogo.[fonte 4] Non è mai gran gagliardia, senza un ramo di
pazzia.[fonte 8] Non è povero, se non chi si crede tale.[fonte 8] Non è sempre
savio chi non sa esser qualche volta pazzo.[fonte 8] Non è sì tristo cane, che
non meni la coda.[fonte 182] Non è tutto oro quel che luccica.[fonte 183] Non è
tutto oro quel che riluce.[fonte 183] Non esiste amore senza gelosia.[fonte 8]
Non fa la stessa viva sensazione il solletico a tutte le persone.[fonte 8] Non facendo
niente, più pena si sente.[fonte 4] Non far mai bene, non avrai mai male.[fonte
8] Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te.[58][fonte 2]
Non fare il male ch'è peccato, non fare il bene ch'è sprecato.[fonte 1] Non
fare il passo più lungo della gamba.[fonte 2] Non gira il corvo che non sia
vicina la carogna.[fonte 8] Non lodare il bel giorno prima di sera.[fonte 4]
Non mettere il carro davanti ai buoi.[fonte 184] Non mettere il rasoio in mano
a un pazzo.[fonte 8] Non mettere un rasoio in mano a un pazzo.[fonte 185] Non
mi morse mai scorpione, ch'io non mi medicassi col suo olio.[fonte 8] Non
nominar la corda in casa dell'impiccato.[fonte 1] Non ogni abisso ha un
parapetto.[fonte 4] Non ogni lettera va alla posta, non ogni domanda vuole
risposta.[fonte 8] Non pensa il cuore quel che dice la bocca.[fonte 4] Non
perde il cervello se non chi l'ha.[fonte 8] Non rimandare a domani quello che
puoi fare oggi.[fonte 1] Non sempre va d'accordo la campana dell'orologio con
la meridiana.[fonte 8] Non serve dire «Di tal acqua non berrò».[fonte 4] Non si
campa d'aria.[fonte 4] Non si comincia bene se non dal cielo.[fonte 4] Non si
dà fumo senza fuoco.[fonte 4] Non si entra in Paradiso a dispetto dei
Santi.[fonte 1] Non si fa niente per niente.[fonte 1] Non si fan nozze coi
fichi secchi.[fonte 186] Non si finisce mai di imparare.[fonte 4] Non si
insegna a nuotare ai pesci.[fonte 4] Non si legge mai libro senza imparare
qualcosa.[fonte 4] Non si possono cavar le castagne dal fuoco colla zampa del
gatto.[fonte 187] Non si può avere la botte piena e la moglie ubriaca.[fonte 1]
Non si può bere e fischiare.[fonte 77] Non si sa mai per chi si lavora.[fonte
4] Non si sta mai tanto bene che non si possa star meglio, né tanto male che
non si possa star meglio.[fonte 8] Non sono cacciatori tutti quelli che portano
il fucile.[fonte 4] Non sono uguali tutti i giorni.[fonte 4] Non ti far povero
a chi non ha da farti ricco.[fonte 8] Non ti fidar d'un tratto, di grazia o di
bontà.[fonte 8] Non ti vantar farfalla, tuo padre era un bruco.[fonte 8] Non
tutte le ciambelle riescono col buco.[fonte 1] Non tutte le lacrime vengono dal
cuor.[fonte 4] Non tutti i matti rompono i piatti.[fonte 8] Non tutti i pazzi
stanno al manicomio.[fonte 8] Non tutti possiamo abitare in piazza.[fonte 8]
Non tutti sono ammalati quelli che sono in letto.[fonte 8] Non tutti sono
infelici come credono.[fonte 8] Non tutti sono infermi quelli che gridano
ahi![fonte 8] Non tutti vedono la serpe che sta nascosta sotto l'erba.[fonte 4]
Non tutto il male vien per nuocere.[fonte 2] Non v'è mai tanta pace in
convento, come quando i frati portano tonache uguali.[fonte 8] Non vi è donna
senza amore.[fonte 8] Non vi è inganno che non si vinca con l'inganno.[fonte 4]
Non vi è lino senza resca, né donna senza pecca.[fonte 4] Non vi è nulla che
ricercando non si possa penetrare.[fonte 4] Non vi è peggior burla che la
vera.[fonte 4] Non vi fu mai gatta che non corresse ai topi.[fonte 8] Non
vendere la pelle dell'orso prima di averlo ucciso.[fonte 1] Non vo' dormire né
fare la guardia.[fonte 4] Notte, amore e vino fanno spesso l'uomo
meschino.[fonte 8] Novembre vinaio.[fonte 16] Nulla è così buono che a lungo
andare non venga a noia.[fonte 8] Nuovo padrone, nuova legge.[fonte 58] Nutri
il corvo e ti caverà gli occhi.[fonte 8] Nutri la serpe in seno, ti renderà
veleno.[fonte 8] O O taci, o di' cosa migliore del silenzio.[59][fonte 8]
Occhio che piange cuore che duole.[fonte 2] Occhio che piange cuore che
sente.[fonte 2] Occhio non vede, cuore non duole.[fonte 2] Occhio per occhio,
dente per dente.[60][fonte 2] Olio di lucerna ogni mal governa.[fonte 2] Oggi a
me domani a te.[fonte 2] Oggi allegria, domani malinconia.[fonte 8] Oggi
creditore, domani debitore.[fonte 8] Oggi fresco e forte, domani nella
morte.[fonte 8] Oggi in figura, domani in sepoltura.[fonte 8] Oggi in pace,
domani in guerra.[fonte 8] Oggi mercante, domani mendicante.[fonte 8] Oggi
pioggia e doman vento, tutto cambia in un momento.[fonte 8] Ogni Abele ha il
suo Caino.[fonte 4] Ogni animale per non morir s'aiuta.[fonte 188] Ogni bel
gioco dura poco.[fonte 1] Ogni bella scarpa diventa ciabatta, ogni bella donna
diventa nonna.[fonte 8] Ogni bene infine svanisce, ma la fama non
perisce.[fonte 4] Ogni cosa ch'è rara, suol essere più cara.[fonte 8] Ogni
disuguaglianza, l'amore uguaglia.[fonte 4] Ogni erba si conosce dal seme.[fonte
4] Ogni fatica merita ricompensa.[fonte 4] Ogni gatta ha il suo febbraio.[fonte
8] Ogni giorno non è festa.[fonte 4] Ogni giorno non si fanno nozze.[fonte 4]
Ogni grillo si crede cavallo.[fonte 8] Ogni lasciata è persa.[fonte 1] Ogni
legno ha il suo tarlo.[fonte 1] Ogni lucciola non è un fuoco.[fonte 8] Ogni
lumaca vede le corna delle altre.[fonte 189] Ogni matto fa il suo atto.[fonte
8] Ogni medaglia ha il suo rovescio.[fonte 1] Ogni pazzo vuol dar
consiglio.[fonte 8] Ogni pelo ha la sua ombra.[fonte 4] Ogni popolo ha il
governo che si merita.[fonte 190] Ogni promessa è debito.[fonte 1] Ogni rana si
crede gran dama.[fonte 8] Ogni rana si crede una Diana.[fonte 8] Ogni scimmia
trova belli i suoi scimmiotti.[fonte 8] Ogni serpe ha il suo veleno.[fonte 8]
Ogni simile ama il suo simile.[fonte 1] Ogni uccello fa il suo verso.[fonte 8]
Ogni uccello canta il suo verso.[fonte 191] Ognun patisce del suo
mestiere.[fonte 192] Ognuno trascura per sé i godimenti dell'arte sua, quasi
venutigli a noia perché ci ha guardato dentro: il cuoco non è mai ghiotto, il
calzolaio va colle scarpe rotte. Ognun per sé e Dio per tutti.[fonte 1] Ognun
vede le proprie oche come cigni.[fonte 8] Ognuno all'arte sua e il lupo alle
pecore.[fonte 2] Ognuno ama sentirsi lodare.[fonte 4] Ognuno che ha un gran
coltello, non è un boia.[fonte 4] Ognuno fa degli errori.[fonte 4] Ognuno
faccia il suo mestiere.[fonte 2] Ognuno ha i suoi gusti.[fonte 193] Ognuno ha
il suo affanno.[fonte 8] Ognuno ha la sua croce.[fonte 1] Ognuno tira l'acqua
al suo mulino.[fonte 2] Orto, uomo morto.[fonte 169] Orzo e paglia fanno il
caval da battaglia.[fonte 8] Ospite raro ospite caro.[fonte 1] Ottobre
mostaio.[fonte 16] P Paese che vai usanza che trovi.[fonte 1] Paga il giusto
per il peccatore.[fonte 1] Pancia affamata, vita disperata.[fonte 4] Pancia
piena non crede a digiuno.[fonte 1] Pancia vuota non sente ragioni.[fonte 1]
Parla all'amico come se ti avesse a diventar nemico.[fonte 8] Pane finché dura,
vino con misura.[fonte 194] Parenti, amici, pioggia, dopo tre giorni vengono a
noia.[fonte 8] Parenti serpenti.[fonte 1] Parenti serpenti, cugini assassini,
fratelli coltelli.[fonte 2] Parere e non essere è come filare e non
tessere.[fonte 2] Parlare francese come una vacca spagnola.[fonte 4] Passata la
festa gabbato lo santo.[fonte 1] Passato il fiume scordato il santo.[fonte 4]
Patti chiari, amici cari.[fonte 2] Patti chiari amicizia lunga.[fonte 2] Pazzi
e buffoni hanno pari libertà.[fonte 8] Pazzo è colui che bada ai fatti
altrui.[fonte 8] Pazzo è quel prete che biasima le sue reliquie.[fonte 195]
Pazzo per natura, savio per scrittura.[fonte 8] Peccati vecchi, penitenza
nuova.[fonte 8] Peccato celato è mezzo perdonato.[61][fonte 196] Peccato confessato
è mezzo perdonato.[fonte 8] Per amore anche una donna onesta, può perdere la
testa.[fonte 8] Per chi vuol esser libero, non c'è catena che tenga.[fonte 8]
Per essere amabili, bisogna amare.[fonte 9] Per fare l'elemosina non manca mai
la borsa.[fonte 4] Per il galantuomo non ci sono leggi.[fonte 8] Per il saggio
le lacrime delle donne sono come gocce salate.[fonte 4] Per imparare qualche
cosa, non è mai troppo tardi.[fonte 4] Per l'abbondanza del cuore la bocca
parla.[fonte 4] Per l'oro, l'abate vende il convento.[fonte 4] Per la santa
Candelora[62] dell'inverno siamo fora, ma se piove o tira vento, dell'inverno
siamo dentro.[fonte 2] Per la santa Candelora se tempesta o se gragnola
dell'inverno siamo fora; ma se è sole o solicello siamo solo a mezzo inverno.[fonte
2] Per natura tutti gli uomini sono simili; per l'educazione diventano
interamente diversi.[fonte 4] Per ogni civetta che si sente cantare sul tetto,
non bisogna metter lutto.[fonte 8] Per quanto alletti la bellezza di un fiore,
nessuno lo coglie se ha cattivo odore.[fonte 4] Per san Lorenzo la noce è
fatta.[fonte 2] Per San Lorenzo la noce si spacca nel mezzo.[fonte 197] Per san
Lorenzo piove dal cielo carbone ardente.[fonte 2] Per Santa Caterina [25
novembre], le bestie fuori dalla cascina.[fonte 198] Per trovare ingiustizie
non occorrono lanterne.[fonte 4] Per un chiodo si perde un ferro, e per un
ferro un cavallo.[fonte 8] Per un punto Martin perse la cappa.[63][fonte 2] Per
una scopa formano un mercato tre donne e assordan tutto il vicinato.[fonte 8]
Perde le lacrime chi piange davanti al giudice.[fonte 4] Perdona a tutti, ma
non a te.[fonte 199] Perdonare è da uomini, scordare è da bestie.[fonte 199]
Pesce che va all'amo, cerca d'esser gramo.[fonte 8] Pianta a cui spesso si muta
luogo, non prende vigore.[fonte 4] Piccola fiamma non fa gran luce.[fonte 8]
Piccola pietra rovesciar può il carro.[fonte 8] Piccola scintilla può bruciar
la villa.[fonte 8] Piccole ruote portano gran pesi.[fonte 8] Piccolo ago
scioglie stretto nodo.[fonte 8] Piglia il bene quando viene, ed il male quando
conviene.[fonte 8] Piove sempre sul bagnato.[fonte 2] Pisa, pesa per chi
posa.[fonte 8] Più alta la condizione, più si deve essere umili.[fonte 8] Più
briccone, più fortunato.[fonte 4] Più il fiume è profondo, più scorre il
silenzio.[fonte 4] Più si chiacchiera, meno si ama.[fonte 8] Piuttosto un asino
che porti, che un cavallo che butti in terra.[fonte 87] Poca brigata vita
beata.[fonte 1] Poeta si nasce, oratori si diventa.[fonte 200] Poeti e Santi
campano tutti quanti.[fonte 201] Poeti, pittori e pellegrini a fare e a dire
sono indovini.[fonte 8] Polenta e latte bollito, in quattro salti è
digerito.[fonte 8] Portare frasconi a Vallombrosa.[fonte 4] Prendi la bruna per
amante e la bionda per moglie.[fonte 8] Preghiera di gatto e brontolio di pulce
non arrivano in cielo.[fonte 131] Preghiera umile entra in cielo.[fonte 8]
Presto e bene, raro avviene.[fonte 8] Prete spretato e cavolo riscaldato, non
fu mai buono.[64] Prevedere per provvedere e prevenire.[fonte 202] Prima della
morte non chiamare nessuno felice.[fonte 4] Prima di ammogliarsi bisogna fare
il nido.[fonte 4] Prima di andare alla pesca esamina ben bene la tua
rete.[fonte 8] Prima di domandare, pensa alla risposta.[fonte 203] Prima
lusingare e poi graffiare, è arte dei gatti.[fonte 8] Prodigo e bevitor di
vino, non fa né forno né mulino.[fonte 8] Pugliesi, cento per forca e un per
paese.[fonte 8] Puoi ben drizzare il tenero virgulto, non l'albero già fatto
adulto.[fonte 4] Putto in vino e donna in latino non fecero mai buon
fine.[fonte 4] Q Qual proposta tal risposta.[fonte 1] Qualche intervallo il
pazzo ha di saviezza, qualche intervallo il savio ha di stoltezza.[fonte 8]
Qualche volta anche Omero sonnecchia.[fonte 204] Quale uccello, tale il
nido.[fonte 205] Quand'anche si trapiantassero in paradiso, i cardi non
porterebbero mai rose.[fonte 8] Quando arriva la gloria svanisce la
memoria.[fonte 2] Quando c'è l'esercito, si trova anche il generale.[fonte 4]
Quando c'è la salute c'è tutto.[fonte 57] Quando canta la rana, la pioggia non
è lontana.[fonte 8] Quando ci sono molti galli a cantare non si fa mai
giorno.[fonte 16] Quando è alta la passione, è bassa la ragione.[fonte 206]
Quando è finito il raccolto dei datteri, ciascuno trova da ridire alla
palma.[fonte 8] Quando fischia l'orecchio dritto, il cuore è afflitto;
quando il manco, il cuore è franco.[fonte 8] Quando gli eretici si
accapigliano, la chiesa ha pace.[fonte 4] Quando il colombo ha il gozzo pieno,
le vecce gli sembrano amare.[fonte 8] Quando il culo è avvezzo al peto non si
può tenerlo cheto.[fonte 2] Quando il fanciullo è satollo anche il miele non ha
più gusto.[fonte 4] Quando il fanciullo ha sette anni, la ragione spunta in
lui.[fonte 207] Quando il gatto lecca il pelo viene acqua giù dal cielo.[fonte
38] Quando il gatto non c'è i topi ballano.[fonte 1] Quando il gatto non può
arrivare al lardo dice che è rancido.[fonte 8] Quando il gatto si lecca e si
sfrega le orecchie con la zampina, pioverà prima che sia mattina.[fonte 8]
Quando il gozzo è pieno, le ciliegie sono acerbe.[fonte 8] Quando il grano
ricasca, il contadino si rizza.[fonte 57] Quando il grano va a male, bisogna
ringraziare Dio per la paglia.[fonte 8] Quando il lardo è divorato, poco val
cacciare il gatto.[fonte 8] Quando il mandorlo non frutta, la semente ci va
tutta.[fonte 8] Quando il padrone zoppica, il servo non va diritto.[fonte 8]
Quando il sole splende, non ti curar della luna.[fonte 8] Quando il tempo è
chiaro in autunno, vento nell'inverno.[fonte 4] Quando in autunno sono grassi i
tassi e le lepri, l'inverno è rigoroso.[fonte 4] Quando l'amore è a pezzi non
c'è alcuna colla che lo riappiccichi.[fonte 8] Quando l'angelo diventa diavolo,
non c'è peggior diavolo.[fonte 4] Quando l'avaro muore, il danaro
respira.[fonte 4] Quando l'Italia suona la chitarra, la Spagna le nacchere, la
Francia il liuto, l'Irlanda l'arpa, la Germania la tromba, l'Inghilterra il
violino, l'Olanda il tamburo, nulla è uguale ad esse.[fonte 8] Quando la barba
fa bianchino, lascia la donna e tienti al vino.[fonte 208] Quando la cicala
canta in settembre, non comprare gran da vendere.[fonte 8] Quando la fame entra
dalla porta, l'amore esce dalla finestra.[fonte 8] Quando la grazia di Dio è
nel cuore, gli occhi nuotano nell'allegria.[fonte 4] Quando la guerra comincia
s'apre l'inferno.[fonte 4] Quando la neve si scioglie si scopre la
mondezza.[fonte 1] Quando la pera è matura casca da sé.[fonte 1] Quando la pera
è matura bisogna che caschi.[fonte 16] Quando la radice è tagliata, le foglie
se ne vanno.[fonte 8] Quando la ragione dorme, il cuore scappuccia.[fonte 8]
Quando la luna è bianca il tempo è bello; se è rossa, vuole dire vento; se
pallida, pioggia.[fonte 4] Quando la rana canta il tempo cambia.[fonte 8]
Quando non dice niente, non è dal savio il pazzo differente.[fonte 8] Quando
non sai, frequenta in domandare.[fonte 209] Quando piove col sole le vecchie
fanno l'amore.[fonte 1] Quando piove col sole il diavolo fa l'amore.[fonte 1]
Quando piove col sole le streghe fanno l'amore.[fonte 2] Quando piove col sole
si marita la volpe.[65][fonte 2] Quando piove d'agosto, piove miele e
mosto.[fonte 8] Quando si è in ballo bisogna ballare.[fonte 1] Quando si è
patito si è inclini a compatire.[fonte 4] Quando si mangia non si parla.[fonte
57] Quando sono fidanzate hanno sette mani e una lingua, quando sono sposate
hanno sette lingue e una mano.[fonte 8] Quando un amico chiede, non v'è
domani.[fonte 210] Quando un povero dà al ricco, Dio ride in cielo.[fonte 8]
Quando una cosa è accaduta, poco vale lamentarsi.[fonte 8] Quando viene la
forza, il diritto è morto.[fonte 4] Quanto più è alto il monte, tanto più
profonda la valle.[fonte 4] Quanto più la rana si gonfia, più presto
crepa.[fonte 8] Quanto più se n'ha, tanto più se ne vorrebbe.[fonte 4] Quattro
lumi non s'accendono.[fonte 2] Quattro nuove invenzioni vanta il mondo:
scorticare senza coltello, arrostire senza fuoco, lavare senza sapone, e invece
degli occhiali vedere attraverso le dita.[fonte 4] Quel ch'è innato per natura,
si porta alla sepoltura.[fonte 8] Quel ch'è raro, è stimato.[fonte 8] Quel che
con l'acqua mischia e guasta il vino, merita di bere il mare a capo
chino.[fonte 8] Quel che è disposto in cielo, conviene che sia.[fonte 4] Quel,
che è fatto, è fatto, e non si può fare, che fatto non sia.[fonte 211] Quel che
è fatto è reso.[fonte 2] Quel che non può l'ìngegno, può spesso la
fortuna.[fonte 4] Quel che non puoi pagare col denaro, pagalo almeno col
ringraziamento.[fonte 8] Quel che è gioco per il forte per il debole è
morte.[fonte 8] Quel che si dà al ricco, si ruba al povero.[fonte 8] Quel che
si fa a fin di bene, non dispiace mai a Dio.[fonte 4] Quel che si fa
all'oscuro, appare al sole.[fonte 4] Quel che supera il mio intelletto, lo
lascio stare.[fonte 4] Quella bellezza l'uomo saggio apprezza che dura sempre,
fino alla vecchiaia.[fonte 4] Quelli che hanno meno ingegno, ne hanno da
vendere più degli altri.[fonte 4] Quello che abbaia è il cane sdentato.[fonte
4] Quello che deve durare per l'eternità non si deve scrivere con
l'acqua.[fonte 4] Quello che è accaduto ieri, può accadere oggi.[fonte 4]
Quello che è passato, è scordato.[fonte 4] Quello che ha da essere, sarà.[fonte
4] Quello che non avviene oggi, può avvenire domani.[fonte 4] Quello che non è
stato può essere.[fonte 4] Quello che non può l'intelletto, può spesso il
caso.[fonte 4] Quello che puoi fare oggi, non rimandarlo a domani.[fonte 4]
Quello che si dice all'eco nel bosco, il bosco lo ripete.[fonte 4] Quello che
si impara in gioventù, non si dimentica mai più.[fonte 4] Quello che si usa non
si scusa.[fonte 212] Quello è mio zio, che vuole il bene mio.[fonte 4] Quello è
un fanciullo accorto che conosce suo padre.[fonte 4] Questo devi sapere che la
gelosia di un Arabo è la stessa gelosia.[fonte 4] Quieta non muovere.[fonte 16]
R Raglio d'asino non giunse mai al cielo.[fonte 2] Rana di palude sempre si
salva.[fonte 8] Rane, malsane.[fonte 8] Render nuovi benefici all'ingratitudine
è la virtù di Dio e dei veri uomini grandi.[fonte 8] Ricchezza mal disposta a
povertà s'accosta.[fonte 8] Ricchezze nell'India, sapere in Europa, e pompa fra
gli ottomani.[fonte 8] Ricchi e poveri non portano che un lenzuolo all'altro
mondo.[fonte 8] Ricco e grande fortuna potrà farti, ma mai il comune senso
potrà darti.[fonte 4] Ricorda che il nemico può diventarti amico.[fonte 8] Ride
ben chi ride ultimo.[fonte 2] Ride ben chi ride l'ultimo.[fonte 2] Roba calda
il corpo non salda.[fonte 213] Roba d'altri, tutti scaltri.[fonte 4] Roma, a
chi nulla in cent'anni, a chi molto in tre dì.[fonte 8] Roma non fu fatta in un
giorno.[fonte 2] Roma santa, Aquila bella, Napoli galante.[fonte 214] Rosso di
mattina, pioggia vicina.[fonte 215] Rosso di sera bel tempo si spera; rosso di
mattina acqua vicina.[fonte 2] Rosso di sera, buon tempo si spera; rosso di
mattina mal tempo si avvicina.[fonte 1] Rosso e giallaccio pare bello ad ogni
faccia, verde e turchino si deve essere più che bellino.[fonte 216] Rovo, in
buona terra covo.[fonte 169] S Salta chi può.[fonte 1] San Benedetto[66] la
rondine sotto il tetto.[fonte 2] San Lorenzo dalla gran calura.[fonte 2] San
Pietro abbracciato, Cristo negato.[fonte 4] San Silvestro [31 dicembre] l'oliva
nel canestro.[fonte 2] Sangue giovane sempre spavaldo.[fonte 8] Sasso che
rotola non fa muschio.[fonte 47] Pietra che rotola non fa muschio.[fonte 2]
Sbagliando s'impara.[fonte 1] Scalda più l'amore che mille fuochi.[fonte 8]
Scherza coi fanti e lascia stare i Santi.[fonte 1] Scherzando intorno al lume
che t'invita, farfalla perderai l'ali e la vita.[fonte 65] Scherzo di mano,
scherzo di villano.[fonte 1] Gioco di mano, gioco di villano.[fonte 1] Schiena
di mulo, corso di barca, buon per chi n'accatta.[fonte 8] Scusa non richiesta,
accusa manifesta.[67][fonte 217] Se ari male, peggio mieterai.[fonte 47] Se
fossero buoni i nipoti non si leverebbero dalla vigna.[fonte 218] Se gioventù
sapesse, se vecchiaia potesse.[fonte 167] Se i gatti sapessero volare, le
beccacce sarebbero rare.[fonte 131] Se il coltivatore non è più forte della su'
terra questa finisce per divorarlo.[fonte 47] Se il ladro lasciasse il suo rubare,
non ci sarebbero più forche.[fonte 4] Se il giovane sapesse di quanto ha
bisogno la vecchiaia, chiuderebbe spesso la borsa.[fonte 4] Se il padre di
famiglia è miope, i servi sono ciechi.[fonte 8] Se il piede destro è zoppo, Dio
rafforza il sinistro.[fonte 8] Se il poeta s'erige a oratore predicherà agli
orecchi e non al cuore.[fonte 8] Se il primo bottone hai fatto essere secondo,
tutti sbagliati saranno da cima a fondo.[fonte 4] Se il re sputa sopra un abete
si chiama subito abete reale.[fonte 4] Se il ricco conoscesse la fame del
povero, gli darebbe del suo pane.[fonte 8] Se il ringraziare costasse denaro,
molti se lo terrebbero in tasca.[fonte 8] Se il tuo gatto è ladro non
scacciarlo di casa.[fonte 8] Se il virtuoso è povero, il lodarlo non basta; il
dovere primo è d'aiutarlo.[fonte 8] Se la pazzia fosse dolore, in ogni casa si
sentirebbe stridere.[fonte 8] Se le lattughe lasci in guardia alle oche, al
ritorno ne troverai ben poche.[fonte 219] Se ne vanno gli amori e restano i
dolori.[fonte 4] Se nessuno sa quel che sai, a nulla serve il tuo sapere.[fonte
8] Se non è zuppa è pan bagnato.[fonte 1] Se non hai mai rubato, la parola
ladro non è per te un'ingiuria.[fonte 4] Se occhio non mira, cuor non
sospira.[fonte 8] Se ognun spazzasse da casa sua, tutta la città sarebbe
netta.[fonte 220] Se piovesse oro, la gente si stancherebbe a
raccoglierlo.[fonte 8] Se son rose fioriranno.[fonte 1] Se ti vuoi nutrire
bene, fai ballare i trentadue.[fonte 8] Se un fratello compie un omicidio, gli
altri non sono responsabili.[fonte 4] Se vuoi che t'ami, fa' che ti
brami.[fonte 8] Se vuoi portare l'uomo a incretinire, fallo ingelosire.[fonte
4] Segui il filo e troverai il gomitolo.[fonte 4] Senza denari non canta un
cieco.[fonte 1] Senza denari non si canta messa.[fonte 1] Senza umiltà tutte le
virtù sono vizi.[fonte 8] Sempre ti graffierà chi nacque gatto.[fonte 8] Senza
umanità non vi è né virtù, né vero coraggio, né gloria durevole.[fonte 8] Seren
d'inverno e nuvolo d'estate, non ti fidare.[fonte 4] Sette in un colpo! disse
quel sarto che aveva ammazzato sette mosche.[fonte 8] [wellerismo] Settembre,
l'uva è fatta e il fico pende.[fonte 16] Si bacia il fanciullo a causa della
madre, e la madre a causa del fanciullo.[fonte 4] Si deve alzare di buon'ora
chi vuol contentare i suoi vicini.[fonte 8] Si dice il peccato, ma non il
peccatore.[fonte 2] Si mantiene un esercito per mille giorni, e non se ne fa
uso che per un momento.[fonte 4] Si parla del diavolo e spuntano le
corna.[fonte 130] Si può conoscere la tua opinione dal tuo sbadigliare.[fonte
8] Si può vivere senza fratelli ma non senza amici.[68] Si stava meglio quando
si stava peggio.[69][fonte 2] Sia l'astrologo che l'indovina ti portano alla
rovina.[fonte 4] Sicuro come il pane.[fonte 4] Sin che si vive, s'impara sempre.[fonte
4] Sol gente di mal'affare, bestie e botte, van fuori di notte.[fonte 221] Son
padrone del mondo oggi le donne e cedon toghe e spade a cuffie e gonne.[fonte
8] Sono meglio cento beffe che un danno.[fonte 4] Sono sempre gli stracci che
vanno all'aria.[fonte 1] Sopra l'albero caduto ognuno corre a fare legna.[fonte
4] Sopra ogni vino, il greco è divino.[fonte 8] Sotto la neve pane, sotto
l'acqua fame.[fonte 1] Spesso a chiaro mattino, v'è torbida sera.[fonte 222]
Spesso chi commette un'ingiustizia, ne subisce una peggiore.[fonte 4] Spesso
vince più l'umiltà che il ferro.[fonte 8] Sposa bagnata sposa fortunata.[fonte
223] Stretta la foglia, larga la via dite la vostra che ho detto la mia.[fonte
2] Larga la foglia, stretta la via dite la vostra che ho detto la mia.[fonte 2]
Stringe più la camicia che la gonnella.[fonte 4] Studia non per sapere di più,
ma per sapere meglio degli altri.[fonte 224] Studio in gioventù, onore alla
vecchiaia.[fonte 4] Sulla pelle della serpe nessuno guarda alle macchie.[fonte
8] Superbia povera spiace anche al diavolo; umiltà ricca piace anche a
Dio.[fonte 8] T T'annoia il tuo vicino? Prestagli uno zecchino.[fonte 4]
Tagliare i capelli con la pentola.[fonte 225] Tagliarli male. Tal lascia
l'arrosto che poi brama il fumo.[fonte 4] Tale padre, tale figlio.[70][fonte 2]
Tanti galli a cantar non fa mai giorno.[fonte 1] Tanti idoli, tanti
templi.[fonte 4] Tanti pochi fanno un assai.[fonte 226] Tanto fumo e poco
arrosto.[fonte 2] Tanto l'amore quanto il fuoco devono essere attizzati.[fonte
8] Tanto l'amore quanto la minestra di fagioli vogliono uno sfogo.[fonte 8]
Tanto va la gatta al lardo che ci lascia lo zampino.[fonte 1] Tempo chiaro e
dolce a capodanno, assicura bel tempo tutto l'anno.[fonte 8] Tenga bene a mente
un bugiardo quando mente.[fonte 4] Tentar non nuoce.[fonte 1] Terra assai,
terra poca.[fonte 169] Terra bianca, tosto stanca.[fonte 227] Terra coltivata
raccolta sperata.[fonte 2] Terra nera buon grano mena.[fonte 2] Testa di
lucertola, collo di gru, gambe di ragno, pancia di vacca, groppa di
baldracca.[fonte 8] Testa di pazzo non incanutisce mai.[fonte 8] Tinca di
maggio e luccio di settembre.[fonte 8] Tinca in camicia, luccio in
pelliccia.[fonte 8] Tira più un pelo di fica che cento paia di buoi.[fonte 2]
Tira più un capello di donna che cento paia di buoi.[fonte 8] Tolta la causa,
cessato l'effetto.[fonte 8] Tondi l'agnello e lascia il porcello.[fonte 8]
Torinesi e Monferrini, pane, vino e tamburini.[fonte 8] Tra cani non si
mordono.[fonte 1] Tra i due litiganti il terzo gode.[fonte 1] Tra il dire e il
fare c'è di mezzo il mare.[fonte 1] Tra l'incudine e il martello, mano non
metta chi ha cervello.[fonte 4] Tra moglie e marito non mettere il dito.[fonte
1] Tradimento piace assai, traditor non piace mai.[fonte 148] Trattar male il
povero è il disonor del ricco.[fonte 8] Tre cose cacciano l'uomo di casa: fumo,
goccia e femmina arrabbiata.[fonte 4] Tre cose fanno l'uomo ammalato: amore,
vino e bagno.[fonte 8] Tre cose simili: prete, avvocato e morte. Il prete
toglie dal vivo e dal morto; l'avvocato vuol del diritto e del torto; e la
morte vuole il debole e il forte.[fonte 142] Tre cose sono rare: un buon
melone, un buon amico e una buona moglie.[fonte 8] Tre sono le meraviglie,
Napoli, Roma e la faccia tua.[fonte 228] Trenta monaci e un abate non farebbero
bere un asino per forza.[fonte 4] Triste e guai, chi crede troppo e chi non
crede mai.[fonte 8] Triste quel cane che si lascia prendere la coda in
mano.[fonte 8] Triste quell'estate, che ha saggina e rape.[fonte 8] Tromba di culo,
sanità di corpo.[fonte 213] Troppa manna, nausea.[fonte 8] Troppa modestia è
orgoglio mascherato.[fonte 8] Troppe soddisfazioni tolgono ogni voglia.[fonte
8] Troppi cuochi guastano la cucina.[fonte 1] Troppo povero e troppo ricco fa
ugual disgrazia.[fonte 8] Tu scherzi col tuo gatto e l'accarezzi, ma so ben io
qual fine avran quei vezzi.[fonte 8] Turchi e Tartari, flagelli dei
popoli.[fonte 229] Tutta la strada non fallisce il saggio che, accortosi a
metà, corregge il viaggio.[fonte 4] Tutte le cose sono difficili prima di
diventar facili.[fonte 70] Tutte le strade portano a Roma.[fonte 1] Tutte le
volpi si ritrovano in pellicceria.[fonte 2] Tutte le volpi si rivedono in
pellicceria.[fonte 2] Tutte le volte che si ride si toglie un chiodo dalla
cassa.[fonte 230] Tutti del pazzo tronco abbiamo un ramo.[fonte 8] Tutti i
fiumi vanno al mare.[fonte 1] Tutti i giorni sono buoni per andare a caccia. ma
non per prendere uccelli.[fonte 4] Tutti i guai son guai, ma il guaio senza
pane è il più grosso.[fonte 1] Tutti i gusti son gusti.[fonte 1] Tutti i
mestieri danno il pane.[fonte 231] Tutti i nodi vengono al pettine.[fonte 1]
Tutti i peccati mortali sono femmine.[fonte 8] Tutti i salmi finiscono in
gloria.[fonte 1] Tutti siamo figli di Adamo ed Eva.[fonte 190] Tutto ciò che
dura a lungo annoia.[fonte 8] Tutto è bene quel che finisce bene.[71][fonte 1]
Tutto il cervello non è in una testa.[fonte 4] Tutto il mondo è
paese.[72][fonte 1] Tutto quello che è bianco non è farina.[fonte 4] Tutto
s'accomoda fuorché l'osso del collo.[fonte 31] U Uccellin che mette coda vuol
mangiare a tutte l'ore.[fonte 2] Uccello raro ha nido raro.[fonte 8] Ucci ucci,
sento odor di cristianucci.[fonte 2] Umiltà e cortesia adornano più di una
veste tessuta d'oro.[fonte 8] Un bel tacer non fu mai scritto.[73][fonte 2]
Un'anima magnanima consulta le altre; un'anima volgare disprezza i
consigli.[fonte 8] Un'oncia di allegria vale più di una libbra di
tristezza.[fonte 232] Un'ora di contento sconta cent'anni di tormento.[fonte
233] Un abete non fa foresta.[fonte 4] Un bell'abito è una lettera di
raccomandazione.[fonte 4] Un buon abate loda sempre il suo convento.[fonte 4]
Un buon principio va sempre a buon fine.[fonte 4] Un cattivo libro ha spesso un
buon titolo, ed una fronte onesta, un cervello ribaldo.[fonte 4] Un cuor
magnanimo vuol sempre il bene, anche se il premio mai non ottiene.[fonte 8] Un
esercito senza generale è come un corpo senz'anima.[fonte 4] Un fido amico, e
ricchezze ben acquistate son due cose rare.[fonte 8] Un fratello aiuta l'altro.[fonte
4] Un granello fa traboccare la bilancia.[fonte 4] Un granello di polvere fa
scoppiare tutta la bomba.[fonte 4] Un ladro non ruba sempre, ma bisogna
guardarsi da lui.[fonte 4] Un lume è più presto spento che acceso.[fonte 4] Un
male tira l'altro.[fonte 4] Un padre campa cento figli e cento figli non
campano un padre.[fonte 2] Un pazzo ne fa cento.[fonte 8] Un piccolo buco fa
affondare un gran bastimento.[fonte 8] Un povero virtuoso val più di un ricco
vizioso.[fonte 8] Una bella barba e un cuor valente adornano l'uomo.[fonte 4]
Una bella giornata non fa estate.[fonte 4] Una bella lacrima trova facilmente
un fazzoletto che la asciughi.[fonte 4] Una bugia ha bisogno di sette
bugie.[fonte 4] Una buona risata si trasforma tutta in buon sangue.[fonte 232]
Una ciliegia tira l'altra.[fonte 2] Una cosa tira l'altra.[fonte 16] Una estate
vale più di dieci inverni.[fonte 4] Una parola tira l'altra.[fonte 2] Una e
buona.[fonte 16] Una ma buona.[fonte 16] Una fa, due stentano, ma a tre ci vuol
la serva.[fonte 8] Una Fenice fra le donne è quella, che altra donna confessa
essere bella.[fonte 8] Una mano lava l'altra e tutte e due lavano il
viso.[fonte 1] Una mela al giorno leva il medico di torno.[fonte 2] Una ne paga
cento.[fonte 1] Una ne paga tutte.[fonte 1] Una rondine non fa primavera.[fonte
1] Un fiore non fa giardino.[fonte 4] Un fiore non fa primavera.[fonte 4] Una
volta corre il cane e una volta la lepre.[fonte 1] Una volta per uno non fa
male a nessuno.[fonte 1] Uno semina, l'altro raccoglie.[fonte 72] Uno si fa la
sorte da sé, l'altro la riceve bell'e fatta.[fonte 8] Uomo a cavallo, sepoltura
aperta.[fonte 2] Uomo avvisato mezzo salvato.[fonte 1] Uomo da nessuno
invidiato, è uomo non fortunato.[fonte 4] Uomo di vino, non vale un
quattrino.[fonte 8] Uomo morto non fa più guerra.[fonte 234] Uomo senza
quattrini è un morto che cammina.[fonte 2] Uomo solitario, o angelo o
demone.[fonte 235] Uomo zelante, uomo amante.[fonte 4] L'uomo misero è un morto
che cammina.[fonte 2] Uovo di un'ora, pane di un giorno, vino di un anno, donna
di quindici e amici di trent'anni.[fonte 8] V Va' in piazza vedi e odi, torna a
casa bevi e godi.[fonte 236] Va più di un asino al mercato.[fonte 4] Val più un
piacere da farsi che cento di quelli fatti.[fonte 8] Val più una messa in vita
che cento in morte.[fonte 4] Vale più la pratica che la grammatica.[fonte 1]
Vale più un fatto che cento parole.[fonte 237] Vale più un gusto che un
casale.[fonte 1] Vale più un testimone di vista che cento d'udito.[fonte 2]
Vale più uno a fare.[fonte 16] Vanga e zappa non vuol digiuno.[fonte 47] Vanga
piatta poco attacca, vanga ritta terra ricca, vanga sotto ricca il
doppio.[fonte 2] Vecchi doni vogliono nuovi ringraziamenti.[fonte 8] Vecchiaia
d'aquila, giovinezza d'allodola.[fonte 4] Vedere e non toccare è una cosa da
crepare.[fonte 2] Vedere per credere.[fonte 238] Vento fresco mare
crespo.[fonte 239] Ventre pieno non crede a digiuno.[fonte 16] Ventre vuoto non
sente ragioni.[fonte 16] Vesti un legno, pare un regno.[fonte 41] Vi sono dei
matti savi, e dei savi matti.[fonte 8] Vicino alla chiesa lontano da Dio.[fonte
2] Vicino alla serpe c'è il biacco.[fonte 8] Vigna nel sasso e orto in terren
grasso.[fonte 240] Vincere un ambo al lotto è un malefizio, che più accresce la
speranza al vizio.[fonte 8] Vino amaro, tienilo caro.[fonte 8] Vino battezzato
non vale un fiato.[fonte 8] Vino battezzato, non va al palato.[fonte 8] Vino
dentro, senno fuori.[fonte 8] Vino di fiasco la sera buono e la mattina
guasto.[fonte 8] Vino e sdegno fan palese ogni disegno.[fonte 8] Vino non è
buono che non rallegra l'uomo.[fonte 8] Violenza non dura a lungo.[fonte 241]
Vivi e lascia vivere.[fonte 1] Vizio di natura fino alla fossa dura.[fonte 2]
Vizio di natura, fino alla morte dura.[fonte 242] Voglia di lavorar saltami addosso,
lavora tu per me che io non posso.[fonte 243] Voglio piuttosto un asino che mi
porti, che un cavallo che mi getti in terra.[fonte 4] Volpe che dorme, ebreo
che giura, donna che piange, malizie sopraffine colle frange.[fonte 4]
Note Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. Matteo, 6, 34. La locuzione latina gutta cavat
lapidem (letteralmente "la goccia perfora la pietra") venne
utilizzata da Tito Lucrezio Caro, Publio Ovidio Nasone e Albio Tibullo. Cfr.
voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Titolo
di un'opera di Achille Campanile del 1930, passato a proverbio e modo di dire
comune. Cfr. Petrarca: «La vita el fin, e 'l dí loda la sera». Cfr.
Giacomo Leopardi: «Amore, | amor, di nostra vita ultimo inganno, |
t'abbandonava». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata
su Wikipedia. Cfr. Giovanni Verga, I Malavoglia. Slogan
pubblicitario degli anni Ottanta. Cfr. Gesù, Discorso della Montagna:
«Cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto; perché chiunque chiede riceve,
e chi cerca trova». Cfr. Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rimetti la spada
nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di
spada». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Citato in Giovanni
Battista Rossi, Conferenze popolari per gli uomini nel tempo degli esercizi
spirituali, Tappi, Torino, 1896, p. 164. Citato nel film Riso
amaro. Citato in Dizionario Italiano Olivetti, dizionario-italiano.it.
Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. Libro di Osea: «E poiché hanno
seminato vento | raccoglieranno tempesta». Cfr. attribuite a Papa
Bonifacio VIII: «Qui tacet, consentire videtur». Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. Cristoforo
Poggiali, Proverbj, motti e sentenze ad uso ed istruzione del popolo, 1821:
«Chi dà a credenza, molte merci spaccia; | Ma un presto fallimento si
procaccia». Cfr. Appio Claudio Cieco, Sententiae: «Quisque faber fortunae
suae.» Cfr. voce dedicata su Wikipedia. La frase è attribuita
(Niccolò Machiavelli, Istorie fiorentine, II, 3; Giovanni Villani, Nuova
Cronica, VI, 38) a Mosca dei Lamberti che, nel 1215, a Firenze, convinse così
gli Amidei a uccidere Buondelmonte de' Buondelmonti; dal delitto nacquero le
fazioni dei guelfi e dei ghibellini. Citato anche nella Divina Commedia di
Dante Alighieri (Inferno, 28, 106-108): Gridò: "Ricordera' ti anche del
Mosca, | che disse, lasso!, 'Capo ha cosa fatta', | che fu mal seme per la
gente tosca". È possibile che Mosca dei Lamberti adattò al momento un
proverbio già noto ai suoi tempi (Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli,
1921); secondo l'Accademia della Crusca (Dizionario della lingua italiana,
1827) corrisponderebbe al latino «Factum infectum fieri nequit». Cfr.
Gesù, Vangelo secondo Matteo: «Rendete dunque a Cesare quel che è di Cesare e a
Dio quel che è di Dio». Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce
dedicata su Wikipedia. Cfr. Philippe Néricault Destouches, Le Glorieux,
atto II, scena V: «La critique est aisée, et l'art est difficile.». Cfr.
«Facta lex inventa fraus.» Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr.
voce dedicata su Wikipedia. Riferito all'uso di numeri civici di colore
nero per le abitazioni e rosso per gli esercizi commerciali. Cfr. Michail
Aleksandrovič Bakunin: «Il caffè, per esser buono, deve essere nero come la
notte, dolce come l'amore e caldo come l'inferno». Cfr. Blaise Pascal:
«Il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce». Cfr. voce
dedicata su Wikipedia. Nei dialetti siciliani e nel napoletano l'arancia
viene chiamata portogallo. La spiegazione è in Strafforello, vol. III, p.
329. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Veste da lavoro usata,
specialmente in Toscana, da contadini e operai. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Cfr. voce dedicata su
Wikipedia. Cfr. Ippocrate: «La vita è breve, l'arte è lunga, l'occasione
è fugace, l'esperienza è fallace, il giudizio è difficile». Citato in
Dizionario Italiano, dizionario-italiano.it. Cfr. voce dedicata Cfr. voce
dedicata su Wikipedia. itato in Dizionario Italiano Olivetti. Cfr.
Gesù, Vangelo secondo Luca: «Nessun profeta è ben accetto in patria».
Cfr. Etica della reciprocità. Cfr. anche Salvator Rosa, iscrizione
riportato su un autoritratto: «Aut tace | aut loquere meliora |
silentio.». Questo detto, ripreso dal Libro dell'Esodo («occhio per
occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per
bruciatura, ferita per ferita, livido per livido»), è chiamato Legge del
taglione. Il proverbio compare in una novella del Decameron di Giovanni
Boccaccio (la quarta della prima giornata). Cfr. Focus storia n. 49, novembre
2010, p. 74. 2 febbraio: in tale giorno la Chiesa cattolica celebra la
presentazione al Tempio di Gesù (Luca 2,22-39), popolarmente chiamata festa
della Candelora, perché in questo giorno si benedicono le candele, simbolo di
Cristo. La festa è anche detta della Purificazione di Maria, perché, secondo
l'usanza ebraica, una donna era considerata impura del sangue mestruale per un
periodo di 40 giorni dopo il parto di un maschio e doveva andare al Tempio per
purificarsi: il 2 febbraio cade appunto 40 giorni dopo il 25 dicembre.
Cfr. voce dedicata su Wikipedia. Citato in Vocabolario degli accademici
della Crusca, vol II, parte 2, Tipografia Galileiana di M. Cellini e c.,
Firenze, 1863, p. 726. Una leggenda simile esiste anche in Giappone: i
demoni-volpe (le kitsune) preferirebbero celebrare i loro matrimoni sotto la
pioggia mentre splende il sole; il regista Akira Kurosawa ne prese spunto per
il primo episodio (Raggi di sole nella pioggia) del film Sogni (1990). 21
marzo, prima della riforma del calendario liturgico del 1969. Cfr.
Proverbio latino medievale: Excusatio non petita, accusatio manifesta.
Citato in Macfarlane, p. 256. Attribuita a Francesco Domenico
Guerrazzi. Cfr. Libro di Ezechiele: «Ecco, ogni esperto di proverbi dovrà
dire questo proverbio a tuo riguardo: Quale la madre, tale la figlia».
Titolo di una commedia di William Shakespeare, scritta fra il 1602 e il
1603. Cfr. Petronio Arbitro, Satyricon, 45, 4. Cfr. Iacopo Badoer:
«Un bel tacer | mai scritto fu». Fonti Citato ne Il nuovo
Zingarelli. Citato in Lapucci. Citato in Carlo Volpini, 516
proverbi sul cavallo, Cisalpino-Goliardica, 1984. Citato in Donato.
Citato in Max Pfister, Lessico etimologico italiano, vol. 3, Reichert, 1987.
Citato in Schwamenthal, § 14. Citato in Schwamenthal, § 29. Citato
in Selene. Citato in Marino Ferrini, I proverbi dei nonni, Il Leccio,
2002³. Citato in Schwamenthal, § 52. Citato in Schwamenthal, §
78. Citato in Schwamenthal, § 85. Citato in Schwamenthal, §
122. Citato in Schwamenthal, § 123. Citato in Schwamenthal, §
131. Citato in Vocabolario della lingua italiana. Citato in
Schwamenthal, § 170. Citato in Macfarlane, p. 118. Citato in
Schwamenthal, § 278. Citato in Schwamenthal, § 235. Citato in
Schwamenthal, § 242. Citato in Schwamenthal, § 243. Citato in
Schwamenthal, § 255. Citato in Schwamenthal, § 281. Citato in
Schwamenthal, § 281. Citato in Schwamenthal, § 288. Citato in
Schwamenthal, § 290. Citato in Schwamenthal, § 290. Citato in
Castagna 1866, p. 137. Citato in Schwamenthal, § 317. Citato in
Vezio Melegari, Manuale della barzelletta, Mondadori, Milano, 1976, p.
35. Citato in Macfarlane, p. 352. Citato in Francesco Protonotari,
Nuova antologia di scienze, lettere ed arti, volume settimo, Direzione della
nuova antologia, Firenze, 1868, p. 454. Citato in Grisi, p. 34.
Citato in Daniela Schembri Volpe, 101 perché sulla storia di Torino che non
puoi non sapere, Newton Compton Editori, 2018, p. 121. ISBN 978-88-227-2521-9
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Franceschi, Proverbi e modi proverbiali italiani, Hoepli, 1908. Citato in
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Proverbi italiani, A. Salani, 1886. Citato in Schwamenthal, § 848.
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Franceschi, Atlante paremiologico italiano, Edizioni dell'Orso, 2000.
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Unione Tipografico-Editrice Torinese, vol. IV, p. 369. Citato in
Macfarlane, p. 281. Citato in Grisi, p. 106. Citato in
Schwamenthal, § 1324. Citato in Schwamenthal, § 1365. Citato in
Giuseppe Fumagalli, Chi l'ha detto?, Hoepli, 1921, p. 583. Citato in
Grisi, p. 247. Citato in Macfarlane. Citato in Schwamenthal, §
1541. Citato in Emanuel Strauss, Concise Dictionary of European Proverbs,
Routledge, 2013. Citato in Macfarlane, p. 112. Citato in Giuseppe
Giusti, Dizionario dei proverbi italiani. Citato in Macfarlane, p.
364. Citato in Macfarlane, p. 299. Citato in Macfarlane, p.
122. Citato in Schwamenthal, § 1742. Citato in Schwamenthal, §
1744. Citato in Schwamenthal, § 1753. Citato in Schwamenthal, §
1754. Citato in Schwamenthal, § 1762. Citato in Schwamenthal, §
1788. Citato in Schwamenthal, § 1796. Citato in Filippo Moisè,
Storia della Toscana dalla fondazione di Firenze fino ai nostri giorni, V.
Batelli e compagni, 1848, p. 73 Citato in Schwamenthal, § 1821.
Citato in Macfarlane, p. 476. Citato in Macfarlane, p. 399. Citato
in Schwamenthal, § 1933. Citato in Alfani, p. 75. Citato in Macfarlane,
p. 103. Citato in Schwamenthal, § 1994. Citato in Schwamenthal, §
2034. Citato in Schwamenthal, § 2035. Citato in Schwamenthal, §
2047. Citato in Castagna 1866, p. 56. Citato in Schwamenthal, §
2142. Citato in Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera, Il Grande
dizionario dei proverbi italiani, Zanichelli, 2006. Citato in
Schwamenthal, § 2168. Citato in Grisi, p. 145. Citato in
Schwamenthal, § 2245. Citato in Schwamenthal, § 2253. Citato in
Valter Boggione, Chi dice donna, POMBA, 2005. Citato in Schwamenthal. Citato
in Salvatore Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, VII Grav -
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in Macfarlane, p. 144. Citato in Grisi, p. 62. Citato in Donalda
Feroldi, Elena Dal Pra, Dizionario analogico della lingua italiana, Zanichelli,
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1931. Citato in Grisi, p. 39. Citato in Schwamenthal, § 3271.
Citato in Castagna 1866, p. 18. Citato in Carlo Giuseppe Sisti, Agricoltura
pratica della Lombardia, Milano, 1828, p. 99. Citato in Schwamenthal, §
3296. Citato in Schwamenthal, § 3528. Citato in Florio, lettera
N. Citato in Schwamenthal, § 3566. Citato in Schwamenthal, §
3630. Citato in Castagna 1866, p. 75. Citato in Paronuzzi, p.
66. Citato in Schwamenthal, § 3674. Citato in Pescetti, p. 105.
Anche in Arthur Schopenhauer, Aforismi sulla saggezza della vita, Parenesi e
massime, 29. Citato in Schwamenthal, § 3691. Citato in
Schwamenthal, § 3723. Citato in Grisi, p. 191. Citato in
Schwamenthal, § 3761. Citato in Schwamenthal, § 3770. Citato in
Grisi, p. 270. Citato in Schwamenthal, § 3952. Citato in
Macfarlane, p. 310. Citato in Schwamenthal, § 3992. Citato in
Alfani, p. 102. Citato in Schwamenthal, § 4019. Citato in
Schwamenthal, § 4130. Citato in La scienza pratica: dizionario di
proverbi e sentenze che a utile sociale raccolse il padre Lorenzo da Volturino,
Quaracchi: Tipografia del Collegio di S.Bonaventura, Firenze, 1894, p.
457. Citato in Focus storia n. 49, novembre 2010, p. 74. Citato in
Schwamenthal, § 4306. Citato in Schwamenthal, § 4352. Citato in
Grisi, p. 197. Citato in Schwamenthal, § 4498. Citato in
Schwamenthal, § 4499. Citato in Piero Angela, A cosa serve la politica?,
Mondadori, Milano, 2011, p. 145. ISBN 978-88-04-60776-2 Citato in
Schwamenthal, § 4568. Citato in Macfarlane, p. 95. Citato in
Schwamenthal, § 4615. Citato in Macfarlane, p. 390. Citato in
Grisi, p. 224. Citato in Schwamenthal, § 4698. Citato in
Schwamenthal, § 4757. Citato in Macfarlane, p. 255. Citato in
Pescetti, p. 98. Citato in Schwamenthal, § 4850. Citato in Augusta
Forconi, Le parole del corpo. Modi di dire, frasi proverbiali, proverbi antichi
e moderni del corpo umano, SugarCo, 1987. Citato in Castagna 1866, p.
136. Citato in Castagna 1866, p. 35. Citato in Castagna 1866, p.
24. Citato in Schwamenthal, § 5051. Citato in Castagna 1866, p.
8. Citato in Grisi, p. 78. Citato in Schwamenthal, § 5147.
Citato in Schwamenthal, § 5314. Citato in Grisi, p. 254. Citato in
Schwamenthal, § 5385. Citato in Grisi, p. 269. Citato in Salvatore
Battaglia, Grande Dizionario della Lingua Italiana, XII Orad - Pere, Unione
Tipografico-Editrice Torinese, Torino, 1984, p. 1065. Citato in Schwamenthal,
§ 5454. Citato in Schwamenthal, § 5513. Citato in Castagna 1866, p.
73. Citato in Gustavo Strafforello, La sapienza del mondo, ovvero,
Dizionario universale dei proverbi, Volume III, A. F. Negro, 1883, p.
701. Citato in Schwamenthal, § 5620. Citato in Schwamenthal, §
5630. Citato in Francesco Grisi, Il grande libro dei proverbi.
Dall'antica saggezza popolare detti e massime per ogni occasione, Piemme, 1997,
p. 12. (EN) Citato in Jerzy Gluski, Proverbs. Proverbes. Sprichworter.
Proverbi. Proverbios. Poslovitsy. A comparative book of English, French,
German, Italian, Spanish and Russian proverbs with a Latin appendix, Elsevier
Pub. Co., 1971, p. 114. Citato in Schwamenthal, § 5721. Citato in
Macfarlane, p. 267. Citato in Novo vocabolario della lingua italiana,
vol. I-II, coi tipi di M. Cellini e C., 1870, p. 312. Citato in
Schwamenthal, § 5765. Citato in Schwamenthal, § 5795. Citato in
Schwamenthal, § 5817. Citato in Castagna 1866, p. 39. Citato in
Macfarlane, p. 138. Citato in Schwamenthal, § 5924. Citato in
Schwamenthal, § 5932. Bibliografia Augusto Alfani, Proverbi e modi proverbiali,
Tipografia e Libreria Salesiana, Torino, 1882. Niccola Castagna, Proverbi
italiani, Antonio Metitiero, Napoli, 1866. Niccola Castagna, Proverbi italiani,
pe' tipi del Commend. Gaetano Nobile, Napoli, Donato, Gianni Palitta,
Dizionario dei proverbi, L.I.BER. progetti editoriali, Genova, 1998. John
Florio, Giardino di ricreatione, appresso Thomaso Woodcock, Londra, Grisi, Il
grande libro dei proverbi, Piemme, Lapucci, Dizionario dei proverbi italiani,
Mondadori, 2007. David Macfarlane, The Little Giant Encyclopedia of Proverbs,
Sterling, New York, 2001. ISBN 0-08069-7489-3 Alessandro Paronuzzi, José e
Renzo Kollmann, Non dire gatto..., Àncora Editrice, Milano, Pescetti, Proverbi
italiani. Raccolti, e ridotti sotto a certi capi, e luoghi comuni per ordine
d'alfabeto, Compagnia degli Aspiranti, Verona, 1603. Riccardo Schwamenthal e
Michele L. Straniero, Dizionario dei proverbi italiani e dialettali, Selene,
Dizionario dei proverbi, Pan libri, Volpini, 516 proverbi sul cavallo, Ulrico
Hoepli, Milano, 1896. Aa. Vv., Il nuovo Zingarelli, Zanichelli, Zingarelli,
Vocabolario della lingua italiana, Zanichelli Editore, Bologna, Strafforello,
La sapienza del mondo: ovvero, Dizionario universale dei proverbi di tutti i
popoli,, vol. III, Augusto Federico Negro, Torino, stampa 1883. Voci correlate
Modi di dire italiani Scioglilingua italiani Categoria: Proverbi dell'Italia.
Massimo Baldini. Keywords: linguaggio, Campanellese, lingua utopica,
fantaparola – phanta-parabola, il proverbio italiano, amici, implicatura
proverbiale, proverbi romani, proverbi italiani, lezioni di filosofia del
linguaggio, con D. Antiseri, indice, grice – filosofia analica, parte I:
filosofia analitica Austin e Grice, parte II tipi di linguaggio. baldini — implicatura proverbiale — i amici —
das mystisch — filosofia italiana della moda maschile italiana — haircuts —
journalese — journal of the Royal Association of Philosophy — lingua utopica —
Campanellese — Empedocle filosofo poeta — Lucrezio filosofo poeta — Parmenide
filosofo poeta — Eraclito l’oscuro — vallisneri — fantaparola — gargarismo —
trabocchetta — rumore — ingorgo — aforismo — Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Baldini” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Baldinotti –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. Grice: “I
like Baldinotti; Speranza thinks he is a Griceian, just to oppose to the
Italian received view that he is Lockeian! But I say, he is MORE than either!
Baldinotti can quote from Rousseau, and
the French authors that Locke never cared about! And most importantly, he can
SIMPLIFY and need not appeal to Anglo-Saxonisms as Locke does (what does it
mean that a ‘word’ STANDS for ‘an idea’?” --.” Grice: “In fact, as Speranza
showed at Oxford, one can organize a tutorial on the philosophy of language (he
won’t though – he hardly organises!) just using Balidonotti’s rough Latin of first
chapter of ‘De vocibus’!” “All the
material I rely on in my Oxford 1948 talk on ‘meaning’ for the Philosophical
Society can be found there: ‘vox’ significat affectus animae artificialiter,
lachrymal significat affectum animae naturaliter --.” Grice: “Unless she is a
crocodile, as Speranza remarks!” Tutore di metafisica nel ginnasio di Mantova,
pavia, padova. -- Altre opere: “De recta humanae mentis institutione”; Historiae philosphica prima,
et expeditissima adumbratio -- Operationum mentis analysis . De elementis
humanarum cognitionum -- de perceptione et ideas, earumque adnexis -- de
idearum affectionibus, et in primis de realitate, abstractione, universalitate
earumdem -- de simplicitate, compositione, relatione idearum -- de idearum
clartitate, et distinctione, veritate, et perfectione -- DE VOCIBUS -- DE
SYNONIMIS, ET INVERSIONIBUS -- DE VARIETATE LINGUARUM, ET DE MUTUO VOCUM, ET
IDEARUM IFLUXU -- DE USU, ET ABUSU VERBORUM -- DE VERBORUM INTERPRETATIONE --
DE MULTIPLICITI SCRIBENDI RATIONE. De humana cognition. Humana cognitionis
analysis -- de PROPOSITIONIBUS -- de gradibus humana cognitionis -- De
cognitione probabili -- De cognitionum realitate -- De extensione
humanarum cognitionum -- De impedimentis humanarum cognitionum -- de
humanarum cognitionum instrumentis -- De mentis magnitudine, et
perspicacitate augenda -- De analysi, et definitione -- de ratiocinio et
demonstratione -- De nonnullis argumentorum generibus -- De
inductione et analogia -- De methodo generatim -- De methodo
analytica -- De methodo synthetica -- De principiis -- De
hypothesibus -- De ratione coniectandi probabilia -- De fontibus
humanarum cognitionum -- de conscientia -- de ratione -- De concursu
rationis, et revelationis -- De sensibus, deque recto eorum usu
-- De cognitionibus, et erroribus sensuum -- De observatione, et
experientia -- de auctoritate -- De testibus oculatis, et auritis --
De traditione et monumentis -- De historia -- De librorum
authenticitate,sinceritate, suppositione, interpolatione, corruptione, et de
interpretationibus -- de arte hermeneutica -- “Tentamen”; “De metaphysca
generali liber unicum” De existente et possibili, et deiis, quae
qua tenus tale est, ad utrumque pertinent -- De identitate, similitudine,
distinctione -- De composito, simplici, uno -- De infinito. De spatio. De
tempore. De causa. De non nullis impropriis causarum generibus. De Kantii
philosophandi ratione et placitis, ut ad metaphysicam generalem referuntur. S. Gori Savellini,
Cesare Baldinotti in "Dizionario Biografico degli Italiani", Istituto
dell'Enciclpopedia Italiana, Roma. E. Troilo, Un maestro di Rosmini a Padova,
Cesare Baldinotti in: "Memorie e documenti per la storia della Padova",
Padova. Cesare Baldinotti, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. DE VOCIBUS. Voces nostrum
studium,et operam expostulare,fuit iam suo loco (V. Introd.) observatum.Quae
cum sint idearum nostrarum signa, horum tradenda prima divisio est', qua in
naturalia, et artifi cialia distinguuntur. Signum naturale cum re significata
habet nexum ex eius natura derivatum; artificiale vero ex hominum institutione,
et arbitrio aliquam rem significat: lacrymae sunt doloris signum naturale,
voces signum idearum artificiale. Non erit porro alienum de naturalibus
signis advertere, homines non raro ad errorem trahi, dum ex illisrem
significatam inferunt: sunt enim haec signa, vel effectus, qui caussas, vel
caussae quae effectus indicant,ut in signis rerum futurarum. Iidem autem
effectus nunc ab una,nunc ab alia caussa oriun tur;neceadem caussa eosdem
semper effectusgignit; sed multa sunt, quae causarum actionem determinant,
suspendunt, et etiam omnino mutant. Non igitur necessario, et semper SIGNUM
NATURALE rem certam innuit; sed a multi spendet, quod eo una potius,quam alia
ostendatur. SIGNA AFFECTUUM ANIMI SUNT NATURALIA. Eos tamen non semper
denotant,et ille in perpetuo errore versaretur, qui de affectibus ex eorum
signis statueret. Sed ad voces revertamur, quarum origo, indoles, vis, in ideas
et mentis operationes, influxus, usus, abusus, interpretatio leviter
attingenda. Quin imo Reid Rech. sur. l'Entend. tom. I. p.147. arbitratur, eas,
quas dicimus causas, esse tantum RERUM SIGNA.Videmus dumtaxat, quae dam hunc
inter se nexum habere, ut si unum praecedat, aliud illico subsequatur. Id
tantum statuere possumus; non vero in eo, quod prae cedit respectu illius, quod
subsequitur, causalitatem, ut aiunt, inesse, cum haec nullaratione ostendatur. Inter
eas quae non prorsus inutiliter attinguntur, commemorari possunt potissimum
nominum divisiones, ad quarum normam nomen in enunciatione, vel est subiectum
de quo aliquid effertur, vel est praedicatum quod effertur, vel est concretum,
remque significat cum sua forma, vel est ab. Voces INSTITUTIONIS esse signa
nempe ARTIFICIALIA, nec necessarium habere NEXUM CUM REBUS, ad evidentiam
probantmuti, et linguarum varietas. Nam si haberent, organo tantum vocis
impedito, sermonis nullus esset usus, et quae apud omnes eadem sunt, iis
demetiam nominibus appellarentum. Mira autem est non rerum, sed verborum
diversitas; et muti sunt ii, qui surditat elaborant. Nunc vero videamus, an
facultates humanae vocibus AD RES SIGNIFICANDAS INSTITUENDIS sint pares. An
videlicet possint homines linguam aliquam condere. Animi affectus, sensusque
vividi doloris et voluptatis naturalibus quibusdam signis coniunguntur,
iisdemque manifestantur: homines haec facile possunt artificialia reddere,
sinempe observent affectus, quos indicant, nec ea tantum edant impellente
natura, sed consulto, ut quae experiuntur, ceteris manifestent. Quae signa
clamoribus non articulatis, habitu vultus, et gestibus continentur, atque
actionis, quam vocant, linguam conficiunt. Usu autem constat facilem, expeditam
secretam idearum COMMUNICATIONEM hac lingua non obtineri, distantia, et
interposito corpore impediri. Sensim igitur ab ea recedere coguntur homines, ad
eamque feruntur, quae vocis distinctionibus pititur. Hanc ut instituant
clamores naturales in primis pro stractum solamque formam exprimit, vel est
categorematicum quod solum et per se aliquid notat, vel est syncatagorematicum
quod ab alio avulsum nihil certi repraesentat, vel categoricum quod rem
categoria comprehensam obiicit. Sed de his satis, sapiens est non qui multa,
sed qui utilia novit. Negat P. Lamy in Trat. de Ar. log.; et Rousseau disc.
sur. l’ineg. parmi les Hom. parum abesse censet, quin demonstratum sit, fieri
numquam posse, ut lingua ulla suam ab hominibus originem habeat. Ita etiam A.
Encycl. A. lang. His e diametro se se oppouunt Epicurei, quorum hac super re
doctrinam Lucretius l.5. de Nat. rerum exposuit. Diodorus Siculus lib. I. Bibl.
quod nobis possibile, et hypotheticum est, factum habet, omnesque linguas
humanum fuisse inventum putat. Nuperrime in Diss. de ling. orig. ab A. Berol.
an. praemio donata Herder contendit linguas in universum non divinae, sed
humanae prorsus esse institutionis. De hac lingua V. Condil. Gram. part. 1.
lib. 1. Sinensium lingua hanc videtur originem habuisse, ea constat ex
monosyllabis 328., quae pronunciationo variata otficiunt SIGNA, (V.
Condil. 100 -- trahunt, et simul iungunt, rerum etiam externarum
sonos referunt, et imitantur (1), unde voces oriuntur, quae elevatione et
depressione multum distantes aliquo modo gestuum et clamorum vim exprimunt (2).
Atque ita verborum dstinctioni consultum, quantum patitur vocis et auditus
organum rude adhuc et inexercitatum. Subtilius, qui haec disputant, quorum
etiam aures delicatiores, similitudinem quamdam inveniunt inter impressionem a
rebus, et a verbis excitatam. Eamque prolatis ex. gr. vocibus "crux",
"mel", "vepres", "furens",
"turbidus", "languidus" distincte sentiunt. Hinc multae voces
(3). Multae etiam facultate, qua pollemus, per metaphoras sive transferentiam
omnia explicandi, et associandi insensibiles ideas sensibilibus. Revera verba,
quae res insensibiles referunt, metaphorica sive transrelata omnino sunt.
Perpetuo autem usu nomina propria evasere, et vetustate multorum etymologia
sensibilis ita evanuit, ut res pror sus in sua SPIRITUALITATE relinquant (4).
Quin immo eadem verba solum confugiendo ad metaphoras sive transferentiam
poterant fabricari. Externa namque forma carent, etsono res insensibiles, unde
earum no mina desumantur. Ac certe per imagines solum et similitudines id, quod
experimur, aliis, qui illud ipsum non experiuntur, possumus explicare. Traité
des connois. hum. t. II.) Alii monosyllaba Sinensium numerant 330. Freret sur
la lang, des Chin. 214., et signa inde componunt 54509. et 80000. Haec loquendi
ratio supponit iudicium aurium subtilissimum.V. Soave Compendio di Lock. l.
III. Ap. al c.I. Hoc facile sibi suadeat quisquis rerum, quae sonorae sunt,
nomina advertat ex gr. "ululare", "hinnire",
"sibilus", "tonitrus", "stridor",
"murmur". Observat Warburthon Ess. sus les Hierogl. actionis lingua,
inventis iam vocibus, homines usos fuisse, Orientales praesertim, quorum
alacritas, et imaginatio vehemens hunc exitum etiam requirit. Atque exempla
permulta ex historia tum sacra, tum profana hanc in rem profert. Ut recte
nomina rebus IMPOSITA sint, quamdam esse debere rerum, et nominum convenientiam
ex ipsa earumdem rerum natura ortam in Cratylo contendit Plato. Sunt enim, ait
ipse, nomina IMITAMENTUM, quemadmodum etiam pictura, et qui rei speciem in
litieras, ac syllabas referre nonnovit, is ineptus nominum opifexest.
Erecentioribus Ioannes Baptista Vico, principii d'una scienza ec., de
similitudine verborum cum forma rerum multis disseruit. Horum nominum exempla
sint cogitatio, voluntas, desiderium, aliaque huiusmodi. V. Traité de la
Formation mechan. etc. Ch.XII. Quod vero homines, ut boc aliisque modis
ad sermonem formandum aptisutantur, fortius incitat, indigentia est, maxima
rerum omnium magistra. Sermonis etiam utilitas, atque necessitas vix paucis
inventis vocibus sub oculos posita. Hinc multi conatus, ut verborum numerus
augeatur, quos felices reddit cognitionum, et idearum COMMERCIUM homines inter
initum. Haec enim se mutuo fovent, et,ut verba commercium illud amplificant,
ita ex commercio novae vires additae, et nova suppeditata istrumenta, quibus
ars faciendorum et deligendorum verborum perficiatur. Nec vero sunt verba
hominum opus, in quo ipsi nihil aliud, quam arbitrium recte sequantur. Est enim
illa analogia im pressionis, et soni imitatio, quam pulcherrime in fingendis
vocibus sequimur. Est forma, et affectio orgaai vo eis, a qua earumdem
elementa, literae praesertim vocales determinantnr. Sunt denique derivata, et
voces artium, et technicae in hominum libertate haud repositae, cum illae
derivationis naturam imitentur. Hac vero vim, et EFFECTUS RERUM SIGNIFICENT
significent. Duo sunt, quae videntur iam asserta impugnare. Primum scilicet
sermonis institutionem requirere, ut de significatu verborum conveniatur.
Conveniri autem inter eos non posse, qui omni sermone destituti sunt. Quasi
vero nulla alia praeter voces ratio suppetat. Qua explicetur quid ipsae
SIGNIFICENT Percipi enim id. Modum transferendi verba necessitas genuit inopia
coactaet augustiis, post autem delectatio iucunditasque celebravit. Cic. de
Orat. III. 38. Notat et illuminat marime orationem tamquem stellis qui. busdam
verbum translatum Idem ib. 48. Huc faciunt quae de linguarum analogia
subtiliter disserunt Valcke naerius in observatt. academicis, Lennep inpraelett.
academicis et Scheidius in orat. de linguarum analogia ex analogicis mentis
actionibus probata. Sed est etiam unde moveantur homines ad res alias per
multas metaphorice appellandas, eas scilicet quas primum obscure, et confuse
percipiunt. Et enim has meditando earum quamdam similitudinem cum aliis
distincte perceptis intelligunt, quorum proinde nomina ad illa transferunt.
Atque in hoc mirifice dele ctantur luce, quae ex rebus claris, et distinctis in
alias obscuras, et confusas diffunditur. potest ex circumstantiis, in quibus
adhibentur, et ex gestibus, qui pronunciatis nominibus res indicarent. In
eamdem etiam rem conferet illa imitatio, atque similitudo. Aliud vero erat
huiusmodi. Summis viris difficultas maxima se semper obiecit in linguis
ornandis, et perficiendis. Qui ergo fieri potuit, ut homines plane rudes, atque
ferini, communione scilicet cum aliis non exculti ex integro sermonem con dant?
Fieri istud quidem non posset, si de perfecto sermone contenderetur, in quo non
tantum apte expressa, quae ad necessitatem pertinent, sed etiam, quae ad cultum
vitae, et oblectationem. In quo multae orationis partes, multae leges syntaxis,
et inflexionum, multa denique, ut numerus, et varietas obtineatur. Haec sermoni
non absolute necessaria sunt, et vix nomina, utaiunt, substantiva, et signum
aliquod numquam variatum ad verbum auxiliare sum exprimendum. Quae quidem
hominis licet sylvestris facultates non superant. Multa in qualibet lingua
videntur esse synonima, voces scilicet, quae unam, eamdemque ideam referunt.
Dubitari autem iure potest, an revera sint. Quin potius statuerem ea, quae di
cuntur synonima, eamdem ideam principalem reddere, accessoria vero differre
plerumque. Atque hoc modo inter se differunt "amo", et "diligo";
"peto", et "postulo", "timeo", et "vereor"
V. Condill. Gram. P. I. Ch. XIV. V. Traité de la form. mechan. du langage V.
II. Ch. IX. et suiv. Condillac Traité des connois. hum. T. II. Grammaire P. I.
Ch. I. II., Maupertuis Diss.sur les moyens etc. pour exprimer leurs idées; Sulzer
de l'influence recipr. de la raison, etc. extat in Ac. Ber. et Vol. IV. opusc.
Select. Mediol. Soave Comp. etc. L. III. Ap. al C.I. Receptum apud logicos
novimus, ut nomina tribuant in synonima, quae secundum unam eamdem que rationem
de pluribus usurpantur, et in homonyma quae rationem naturamque diversam in iis
SIGNIFICANT, de quibus adhibentur, Iam vero homonyma alia dicuntur casu et
citra rationem ac temere im. Synonima stricto sensu accepta, quae nulla idea
accessoria differrent, linguae vitium indicarent. D'Alemb. Elem. de Phil. XIII.
Hac de re notandum est, vocibus duplicem illam ideam subesse. Et, ut
praeteream exempla, quis est, qui non noverit, vocabula quaeque loco, et
tempori, et generi s u scepto orationis non convenire? Quod profecto maxime oritur
ex idea accessoria, quae non solum verba eamdem principalem exprimentia
distinguit, sed eorum etiam opportunitatem deter minat. Quae ergo synonima
habentur, ea profecto non iure; namque discrepant accessoriis illis ideis, quae
rerum diversos aspectus, gradus, et relationes, et adiuncta exprimunt. Imperiti
haec apprime synonima reputant, quorum levia discrimina lin guarum cultores
notant. In eo frequenter peccant ex lexicis pene omnia, quae adolescentes,
misere decipiunt. Duplex distinguitur ordo verborum, et conformatio, naturalis,
et artificialis; seu inversa. Porro quem ordinem habent ideae, idem etiam
verborum est: ordo autem idearum, fertur ad modum, quo in mente sibi succedunt,
vel ad earum dependentiam mutuam,ex qua fit, utaliaealias regant, et explicent,
aliae explicentur, atque regantur. Si primum, ordo, quo exprimuntur ideae,
naturalis erit, quando idem, ac ille, qui in earum successione servatur. Qui
quidem in singulis diversus est. Si secundum, ut ordo sit naturalis, quae alias
regunt, vel ab aliis explicantur praemittendae sunt. Quae reguntur, et alias
explicant postponendae. Secus erit artificialis, seu inversus. Sed unde oritur,
quod ordo inversus orationi vim addat,et siteius quasi lumen quoddam nosque
voluptate perfundat? Scilicet posita, et alia dicuntur ratione, quod rebus
tribuantur aliqua inter se similitudine cohaerentibus. Posteriora haec aptius
vocantur analoga, sive attributionis, quum uni quidem rei primario conveniunt,
reliquis secun dario,sive proportionis,quae pluribus rebus propter proportionem
aliquam accommodantur. Ex hoc fonte methaphorae pleraeque omnesdimanant.
Nonnullarum rerum, atque actionum voces quaedam ex ideis hisce accessoriis
inhonestae, et turpes evadunt; quae ideae si in aliis vocibus omittantur, vel
mutentur,nulla amplius est turpitudo. Unde fit, quod eae. dem res, etverecunde,
etobscoene dicifpossint,etquod ea,quae turpia re non sunt, nominibus, ac verbis
flagitiosa ducamus. vel re. D'Alembert loc. cit. Traité de la form. mech. du
lang. ch. IX n.161. quia eum, quem Rethores MODUM appellant, et numerum
parit; quia imaginationem exercet;quia ideas nimis disiunctas coniungit. Revera
voces ordine inverso positas ad se mutuo referi m u s, ut postulat idearum
ratio. Atque si in periodo multae sint ideae, quae a quadam principalipendeant,
et exiis aliquaehuic praeponantur, postponantur vero aliae, arctius omnes cum
ea coniunguntur. In quo nexu illud praesertim admirabile,quod uno verbo ad integram
sententiam animus revocetur. ET IDEARUM INFLUXU. Varietatem linguarum,et nos ad
confusionem Babylonicam referimus: simul autem liceat statuere,ex diverso
hominum ingenio, et indole,eorumque externis circumstantiis oriri potuisse, et
magna ex parte ortum esse,ut singulae suum -co lorem habeant. Ac ex confusione
illa vocum origines potius, quam ipsaelinguae;quae perfici sensim
debuerunt,etaugeri verborum copia, atque syntaxi, et inflexionibus moderari.
Non una autem in hoc fuit omnium gentium ratio, quod multis causis tum
physicis, cum moralibus tribuendum est. Atque inter eas recenserem caeli
temperiem, non eamdem ubique faciem naturae, rerum aspectus multiplices,
diversas opiniones sive ad civitatem sive ad religionem pertinentes, regiminis
formam, educationem, mores denique et studia. Revera sermonis vis, copia,et
harmonia, et inflexio nationum exprimit characterem,ingenium,atque culturam;ac
eadem linguarum, et gentium fuere semper fata, et vicissitu dines. QUOD IN
ROMANI IMPERII, ET LINGUAE LATINAE ORTU, progressu, et occasu velut sub oculos
positum est. Iunctam, cohaerentem, levem, et aequabiliter fluentem orationem
facit verborum collocatio. de Orat. II. 43. V. D'Alembert Eclair cis. S. X.
Condill. Gram. P. II. ch. XXIV. Art.d'Ecrire L. I. Ch. I. II. V. Traité de la
form. mechan. etc. Ch. IX. INSTITUTIONE DE VARIETATE LINGUARUM, ET
DE MUTUO VOCUM. Sed ex iisdem quoque caussis fit, ut nationes singulae suas
habeant idearum compositiones, et vocibus, quibus aliae carent, utantur. Inde
in interpretando necessitas verborum circuitum saepius adhibendi, cum non
semper verbum e verbo exprimi possit. Indeadeo difficile, libros ex una in
aliam linguam convertere. Atque in hoc lice tomnis cura, et studium ponatur,
adeo singulis linguis suum quoddam inest ingenium, ut nullae fere sint
interpretationes, quae authographi vim, et elegantiam, et nativum splendorem
nequaquam desiderent. Quae quidem eo nos adducunt, ut intelligamus, quem dam
esse posse sermonem, edisci, et percipi omnino facilem. Quem si universalem
veluti linguam cunctae gentes amplecterentur, eo possent mutuum idearum, et
cognitionum commercium inire. Ac difficultas, qua ab hoc impediuntur, ex lin
guarum varietate, et multitudine orta, alia etiam ratione vinci posset,
characteristicam nempe aliquam linguam adhibendo, quae res ipsas, non rerum
voces exprimeret. De bac sermo erit inferius. Interim cum nullus ex hisce modis
adhuc suppetat. Nec ulla spes sit, ut in unum, V. Clericum Art. Crit. tom. I.
part. II. cap. II JII.IV. Linguarum varietas non leve incommodum affert
societati, et progressui scientiarum. Nec enim consultum, ut facile edisci
possent, sed casu magna ex parte conditae, et procurata copia, et ornatus.
Sublatis declinationibus, coniugationibus, et generibus, si substantiva unam
immutabilem terminationem haberent, suam adiectiva, et verba pariter, quae
adverbiorum ope temporibus, et modis distinguerentur. Pullae superessent
regulae grammaticorum, et solius lexici auxilio linguam quam libet
perciperemus. Cumque insuper esset prima illa lingua absurda, et egestate,
atque uniformitatis squalore sordesceret. Maxime erit optandum, ut LATINI
SERMONIS USU conservetur. Locupletissimus namque est hic sermo, electissimis,
et praeclaris verbis abundat, communis hactenus fere fuit omnium eruditorum;
qui eo abiecto, si suam singuli linguam in scribendo usurparent, iam, vel
aliena omnia nescirent, vel in omnium gentium, quae doctrinae laude vel alium
conveniant omnes. Splendescunt, perdiscendis linguis curam, et operam
compellerentur insumere, quam ad rerum cognitionem adipiscendam con tulissent.
Quae hactenus de vocibus dicta sunt, satis ostendunt, easabideis, et cogitandi
modo non parum pendere. Sed magnus etiam est verborum in ideas, et mentis
operationes influxus. Atque in psychologia, si fortasse ad veritatem plane non
sua detur, nullas fere absque verborum usu nos exequi posse. Illud profecto
demonstratur, eo foveri multum, et perfici. Quod probari nunc potest exemplo
mutorum. Earum etiam gentium, quibus signa numerica pro maioribus quantitatibus
deficiant, cetera sint nimis composita. Illi quidem multis omnino ideis
destituuntur, mentisque facultates obtusas habent, nec ad operandum faciles et
expeditas. Hae vero gentes in rebus ARITHMETICIS ne vix quidem progressae sunt.
Tantum signa valent ad humanas cognitiones promovendas vel impediendas. Equidem
arbitror, a veritate abesse longius, qui crederet verba communicationi cum
aliis tantum inservire. Ea menti sistunt obiecta. Nimis composita dividunt. Si
magnifica sint et nobilia, res amplificant, et extollunt. Si humilia, imminuunt,
et deprimunt. V. Laur. Mosheim DISSERT. DE LINGUAE LATINAE CULTURA ET
NECESSITATE V. etiam quae nuperrime Ferrius, et Tiraboschius, Alexander Gorius,
et Clementinus Vannetti in eam habent Alamberti sententiam (Melang. tom. V.)
statuentem bene LATINE scribi non posse, et LATINITATE abiecta studium omne ad
patriam linguam transferentem. Refert Condaminius, quosdam Americae populos,
cum ocesnume rorum supra ternarium non habeant, in hoc arithmeticam eorum
consistere: certevix paucis huiusmodi signis utuntur, iisque ad modum
compositis, ex quofit, ut maiores numeros mente haud comprehendant, et quem
libet ultra vicesimu in indefinite concipiant, atque capillorum numero
comparent.V. De la Condamine Voy. Paw Rech. sur les Americ. tom. II. ch. 27.
Cogitatio, ait Plato in Theaeteto, est sermo,quem mens apud se volvit circa
illa, quae considerat. Cum enim cogitat, secum ipsa disserit adeo, ut cogitatio
sit sine strepitu vocis oratio, aut interior collocutio. Verba sunt veluti
signa algebrica idearum. Brevitati proinde consulunt, multarum idearum
comparationem faciliorem reddunt, mentenique sublevant in consideratione
multarum rerum, atque compositarum: quae verborum utilitates maxime elucentin
modorum mixtorum ideis, quas in nullo exemplari iunctas videmus, sed verbis
exhibentur et comprehenduntur. Verba denique nexus inter ideas augent, eas
facilius, et promptius exsuscitant, distinguunt, quae vix confuse percipe
rentur. Sic technicae in arte pingendi voces omnia alicuius tabulae vitia,
omnemque praestantiam indicant. Quae eos prorsus fugerent, qui illas voces
nequaquam callerent. Quare scientiae, omnesque artes multum debent verborum
inventoribus, ut Linnaeo Botanica; et Ontologia, licet nomenclatione tantum
contineretur, non esset penitus contemnenda. De verborum usu, et abusu haec
fere a Lokio, aliisque melioris notae Logicis accepimus. In primis duplicem
esse usum verborum. Vel enim eo cogitationes nobiscum cooferimus, vel aliis
exprimimus. Illum jam attigimus capite superiore, in quo osten debam, maximas
utilitates ex hoc interno sermone profluere. Cum aliis autem utimur verbis,aut
in vitae civilis consuetudine,vel in studio Scientiarum. Inquo praesertim
distinctioni, et perspicuitati. Ideae in primis connexae inter se sunt ex
analogia rerum, et ex circumstantiis, in quibus acquiruntur. Sed insuper verbis
etiam unae cum aliis colligantur. Quot ideas unum verbum saepius excitat? Atque
ex verbis haec alia utilitas provenit, ut in ideiş revocandis, et disponendis
ordini, quo a nobis comparatae fuere,non adstringamur, sed illum qui magis
placeat, magisque conveniat iisdem tribuimus. V. Bonnet Ess. Analyt. ch. XV. V.
Sulzer loc. iam citato, Micheaelis de l'influ. des opin. sur le lang. etc.
Condil. Art. de penser. part. 1. ch. II. STELLINI OSSERVAZIONE SULLE LINGUE
tom.V. Soave Comp. di Locke I. III. ap. al cap. XI. Scilicet, si circa
ideas maxime compositas, sertim versemus, iisdem nomina, quibus
appellantur, substituimus. Nimis enimesset operosum, eetiam impossibile, omnes
ideas simplices illas componentes mente revolvere. Quod etiam confusionem
afferret, et, ne idearum relationes viderentur, obstaret. Haec habitualis, non
actualis distincta perceptio est idea coeca, et symbolica Leibnitii. circa
notiones prae 1 litandum est, ne per se difficilia reddantur difficiliora. Et
ne rerum INVESTIGATIONES in aeternas quaestiones de nomine abeant. Locutionis
perspicuitas, atque distinctio maxime optanda idearum claritatem, et
distinctionem desiderat: quomodo enim, quae confuse percipimus, aliis distincte
explicarentur? ad eam confert brevitas, in qua tamen habendus modus;nam ut
nimia verborum copia res obruit, ita eorum egestas tenebras rebus offundit.
Denique cum iis, qui loquuntur confuse, vitanda fa miliaritas est,qua nihil
fortius ad idem vitium contrahendum. Ita autem verbis utamur,ut unicuique idea
determinata re spondeat;dequo,sinobiscum tantum colloquimur, nos ipsos debemus
interrogare; si vero cum aliis,et dubium sit, an verba ideas
claras,etdistinctas in aliorum mentem immittant, tunc ea dilucide explicanda
sunt. Id quidem de nominibus idea rum simplicium praestari potest (vix autem
erit necesse), si observanda proponantur obiecta,quae significant,etmodus,et
circumstantiae indicentur, in quibus eorum ideae acquiruntur. Nomina vero
idearum, quae sint compositae, decla rantur earum obiectis exhibitis, et addita
ipsorum definitione; nec enim omnia attributa patent sensibus, et multa indolem
potentiae habent. Quod si haec obiecta non existant.Verborum universalium
magnus est usus, et maxima utilitas; innumera enim individua una tantum voce
comprehendi mus, quae esset impossibile omnia suis nominibus distinguere. Esset
etiam inutile, quia necii, quibus cum loquimur, multoque minus illi, quibus
aliquid scriptum relinquimus, eadem indivi dua agnoscunt. ergo. Sed quae
circa rectum verborum usum,et eorum inter pretationem, de qua inferius,
praecipienda sunt, separari vix possunt ab idearum doctrina iam tradita;
utrisque enim idem finis, avocationempe ab erroribus. Inter eaetiam intimus
nexus, quantus inter voces, et ideas. Nunc lum, quae propius ad verba
pertinent, quaeque eo loci explicata non sunt. ne actum agam, so meratio
idearum, quas simul reflexione, aut pro arbitrio con iunximus. fiat enu Vocibus
demum abutimur, si quae incertam significa tionem habent, non definiantur; si
definitus sensus mPombaur. Si in rebus scientiarum artes consectemur oratorias.
Namque delectant, et movent, mentemque avertunt a philosophico rerum
examine,quas non accurate,sed ad similitudinem exprimunt. In verborum sensu
commutando peccarunt vehementer scholastici. V. Gassendum in Exerc. Arist.
Exerc. I. Y2. Hic cum Logicis fere omnibus non praecipio, abstinendum esse a
tropis atque figuris:rebus enim permultis vocabula metaphorica necessario
imposita sunt, aliis utiliter, cum ex iis orationi splen dor accedere
videatur.V. Condil. Art. d' écrire lib. II. ch.VI.VIII. Translationes propter
similitudinem transferunt animos,etre. Neque vero minor utilitas ex verbis
notionum;.harum nullum archetypum extra nos invenitur iunctas exhibens ideas,
ex quibus componuntur. Id vero praestant nomina, quae illas comprehendunt. Sunt
denique voces, quas particulas appellant Grammatici; his utimur, ut ideas, et
periodi membra, et periodos ipsas interse coniungamus. Quisaneusus mirificus
est, et ex eo maxime vis tota orationis derivat. Rectus erit,si m u tuam
rerumdependentiam, et relationes diligenter consideremus. Haecdeusu. Nunc
de abusu,quirestat,dicendumest. Iam vero abutimur verbis, si iis, nullam ideam,
aut obscuram associemus, adeo ut inania sint, et ambigua: in quo non rarum
estlabi;etmaxime verba notionum virtutis,honoris,et simi lium multo pluribus
sunt meri soni; obiectum namque non referunt, quod sensus moveat, nec illud
quod referunt in in fantia, percipimus. Hinc ea absque ulla significatione
usurpandi longam consuetudinem iam contraximus, a qua ut reMilanius, reflexione
vehementer nitendum est. Sed abusus verborum etiam ex ignorantia, et malitia.
Scilicet, qui partium studio, vel anticipata opinione moventur. Qui vulgo avent
imponere. Qui difficultatum pondere haerent et idearum defectu impediuntur.
Tunc enim vero ii obscuritatem affectant, verbis inanibus se se involvunt, nova
etiam fundunt, atque sesquipedalia. Optimum ergo erit, mentem parumper a verbis
abstrabere, eamque in ideas intendere, ne verborum so nitu hallucinemur. Ut
verba recte interpretemur, advertendum in primis, notiones eius, a quo
adhibentur,'significare. Non igitur suppo natur, omnes iisdem verbis adnectere
easdem ideas, et ipsis rerum realitatem apprime respondere. Quae qui supponunt,
de rebus perperam ex verbis iudicant, et ex propriis aliorum ideas non bene
copiiciunt. Hisce per summa capita indicatis, advertam in primis, duplicem
distingui sensum verborum,proprium scilicet,et tran slatum;namque verba,aut
illam rem exprimunt,cui primum fuere assignata. Vel ex quadam similitudine cum
re ipsis propria eadem verba ad aliam significandam transferimus. Quod si fiat,
sensum habent translatum, secus autem proprium. Nisi quis sensum proprium alicuius
vocabuli accurate perceperit, numquam fieri poterit, ut translatum assequatur;
hic siquidem ad illum refertur. Rerum praeterea conditionem inspiciet,ex qua
oritur, ut quaedam voces potius, quam aliae, ad res sensu translato exprimendas,
electae fuerint. Inde clarius is sensus patebit ferunt, ac movent huc, et
illuc, qui motus cogitationis celeriter agi tatus per se ipse delectat. de
Orat.III.39. Translatio est, cum verbum in quamdam rem transfertur ex alia;
quod propter similitudinem recte videturposse transferri. Cic. ad Heren. IV.
34. V. D’Alembert Eclaircis., sur les Elém. de phil.S.IX. Quam vero
quisque vocibus notionem subiicit, arguere tuto possumus, si multa nobis nota
sint, eaque invicem conferamus; loquentis scilicet ingenium,et characterem;
affectus, oris habitum; linguae, quautitur, vim, etindolem; rem,quam tractat;
circumstantias, in quibus versatur; opiniones, religionem, quam sequitur;demum
popularium eiusmores, ritus, consuetudines. Haac enim omnia efficiunt, ut licet
verba sint eadem, non tamen eumdem significatum, eamdemque vim habeant. Nunc
vero singula verborum genera persequar, deque Difficilius assequimur
sensum verborum, quae notionibus respondent; siquidem praeter caussas nominibus
rerum existentium communes, peculiares etiam concurrunt, ex quibus efficitur,
ut singuli fere has ideas diverso modo componant. Nec eadem semper significatio
est vocibus orationis par ticulas exprimentibus; loquentium igitur, vel
scribentium affe ctus, et praecipue contextus consulatur,cum ex iis sit dedu
cenda. De nominibus relativis, quid advertendum in praesen tiarum,ut recte
explicentur? Porro id muneris iam explevi dum agebam de eiusdem generis ideis.
Quid de nominibus uni versalibus,quod paritereoloci, traditum non sit? Illud
subiungam,voces particulares,aliquis,quidem etc. obscuras esse et
indeterminatas, nec denotare, quae, et quanta subiecta sint; universales vero
aliquando particulariter esse sumendas, aliquando non omnia individua
generum,sed individuorum omnia siores esse, iisnonnulla admoneam,ad quae
semper in eorum interpretatione spectemus. Qualitatum sensibilium nomina,
colorum nempe, saporum, aliarumque huiuscemodi, sensationum etiam doloris, et
voluptatis, non ita accipienda sunt, quasi explicent id, quod est in rebus
extranos positis. Nostras affectiones, sensationesque upice indicant, nec vero
vim,et quantitatem earumdem. Hanc experimur, non autem accurate possumus
efferre. Fit autem sae pius,ut in singulis maior,vel minor multiplici gradu
sit. Dubitari quidem potest,quin ipsae sensationes apud aliquos prorsus
differant, licet omnes iisdem verbis utantur. Omnes arborum folia viridia
appellant; sed adhuc videndum, utrum haec vox eamdem omnibus ideam excitet.
Quam dubitationem ingerit di versa corporis temperies, et habitus, nec eadem
omnino fabrica sensuum;unde certo oritur,affectiones easdem aliquibus inten
aliis languidiores. Nomina idearum compositarum non idem apud omnes. Maxime si
veteres cum recentioribus confe rantur.Ne eas igitur ex nostris notionibus
interpretemur,sed ex illis quae ampliores fortasse, vel angustiores. Nominibus
substantiarum easdem qualitates non omnes complectimur. Nulli essentiam
primariam,a qua eae nascuntur,et quam nemo novit. genera
significare. Quae quidem ex circumstantiis, linguarum indole, ingenio, loquendi
consuetudine patent dilucide. His fere,quae adhuc de vocibus
disserebam,continentur potiora,ex quibus Grammatica philosophica conficitur:
linguarum singulae suam habent, eaque particularis Grammatica dicitur. Est vero
etiam Grammatica universalis,quae principia constituit omnibus linguis
communia.Notandum superest,syntaxim totam legibus concordantiae, et regiminis
moderari. Illae principio identitatis, hae principio diversitatis innituntur.
Verborum disputatio manca videretur, si de scribendi rationibus haudquaquam
dissererem. Non igitur una fuit haec ratio apud omnes,nec omnibus
temporibus;tamen in eo con veniebant, quod signis non ore,sed manu
expressis,quae mente revolvimus, manifestarent. Ac, quae fuere adhibitae,
pictura, symbolis allegoricis, denique signis arbitrariis continentur. Pictura,
aut unam figuram, aut plures exhibet, signa arbitraria, aut ideas,aut syllabas,aut
litteras verborum significant. Scripturae, licet ab ea, qua nunc omnes fere
gentes utuntur, longe dissimilis,specimen aliquod hominibus innotuit per
imagines, quae sui res exhibent, et quas conamur exprimere gestibus, et
clamoribus, ut iis longinqua designemus. Ad has imagines adumbrandas urgebat
necessitas communicandi cum absentibus, et praesentibus explicandi id, quod
verbis efferri non poterat. Inde scripturae origo potius, quam ex cura
committendi nostras cognitiones posteritati. Ac homines ex rerumimaginibusidconsiliicepisse,ut
illas ad suos cogitationes enuntiandas delinearent, omnium pene De usu, abusu,
interpretatione verborum videantur Locke Ess, etc. lib.III. Leibnitz
Nouv.Ess,etc. lib.III. Ioannes Clericus art.crit. tom.I. pari.II. V., silubet,
Du Marsais princip. de gram. Condillac gram. D'Alembert Elem.de Phil. XIII. et
Eclaircis. sur les Elem. etc. S.X. Hinc sensim crescere CONVENTIONIS
SIGNA, etomniatan. dem huiusmodi evadere. Quae sola notiones reflexione
perceptas possunt exprimere;quae ob multos rerum aspectus sunt neces saria.
Namque notiones illae nullam imaginem praeseferunt, nec ulla imago diversas
relationes comprehendit, sub quibus res, ut lubet, consideramus. Signa autem,
quae ex CONVENTIONES sunt, optime quidem ab eo constituta fuissent, qui singula
singulis ideis simplicibus destinasset, suaideis universalibus, aliademum
determinationibus individua constituentibus. Enim vero simul iungendo, et apte
componendo haec signa, res omnes possent distincte explicari. Hoc scribendi modo
philosophus tantum uti potest, nempe ille solus, qui probe noverit, quaenam
ideae simplices illas substantiarum, et notionum componant. Quique etiam adeo
individua observaverit, ut ea possit plane describere. Illum Si V. Paw
Recher. sur les Americ. tom. I. part.V. sect.I. Quemadmodum artis typographicae
occasio fuit ars caelatoria et sculptoria, ita occasio scripturae non inepte ex
pictura derivatur. Praesertim quum non aliter pictura sit obiectorum in oculos
incurrentium scriptura, quam scriptură sit obiectorum quae aures feriunt
pictura. Videsis Augustum Heumannum in conspectu reipublicae literariae cap.
III. Signa huiusmodi spectant ad linguae universalis institutionem. Alia ratio,
qua ad eamdem possumus pervenire, indicata, vix est N. LXXII., LXXXII. V. Soave
Comp. di Locke lib. III. cap. XI. append. II., qui etiam celebriores scriptores
recenset, a quibus ea institutio suscepta fuit. V. Leibnitii historiam, et
commend. characteristicae linguae univers. V. Traité de la Form.etc. ch. XII.
XIII. Mémoires de l'Acad.de Berl., ibi Thiebault videtur succensere Michaelis,
et non ita difficilem, nec vero inutilem, et multo minus perniciosam,
quemadmodum ille, censet linguae universalis institutionem, quae primo illo
modo conti. neretur. Sepositis iis,quae de universali lingua instituenda
excogitari subti. vetustarum nationum monumenta, et gentium sylvestrium
usus confirmant. Quae scribendi ratio picturae affinis, cum auctis cogni
tionibus, relationibus, et indigentiis ad omnia exprimenda non non satis esset
apta, paulatim a signis discessum est rerum i m a ginem referentibus, et huius
pars tantum depicta, et plures ideae uno signo manifestatae. nenses adhibent;
proindeque mirum non est, si tanti apud illos sit literas scire. Quae
difficultas effecit, ut nationes pene omnes eum scribendi m o d u m
probaverint, quo non obiecta, non ideas, sed sonos verborum reddunt; ad quem
duplici via perveniri posse declarabam liter possent, splendideque proponi;
multo fuerit satius consilio adquie scere Ludovici Vivis, cuius haec sunt (De
tradendis disciplinis lib.III. verba. Sacrarium est eruditionis lingua,et sive
quid recondendum est,sive promendum velut proma quaedam conda.Et quando
aerarium est eruditionis, ac instrumentum societatis hominum,e re esset generis
humani unam esse linguam, qua omnes nationes communiter ute rentur: si perfici
hoc non posset, saltem qua gentes ac nationes plurimae, certe qua nos
christiani initiati eisdem sacris, et ad commercia et ad peritiam
rerumpropagandam. Peccati enim poenaesttot esse linguas. Eam vero ipsam linguam
oporteret esse cum suavem, tum etiam doctam et facundam. Suavitas est in sono
sivé simplicium verborum ac separatorum, sive coniunctorum. Doctrina est in
apta proprietate appellandarum rerum. Facundia in verborum et formularum
varietate ac copia. Quae omnia effi cerent, ut libenter ea loquerentur
homines,et aptissime possent explicare quae sentirent, multumque per eam
accresceret iudicii. Talis videtur mihi latina lingua ex iis certe quas homines
usurpant, quaeque nobis sunt cognitae. Quod continuo diligenter, ostendit,
eaque tradit quae merito cum disputatione componantur ab Aloisio Lanzio libris
inscriptionum et carminum praefixa. Sinensium alphabetum Typographicum ex
50000. signis constat. V. Mémoir, concernant l'histoire etc. des Chinois parles
mission. tom.X1., Mopertuis ius auget ad 80000. Iaponenses, licetomnino diversa
linguautan tur, quae tamen Sinenses literis consignant,probe intelligunt; adeo
verum est haec signa non rerum voces, sed earum conceptus delineare. V. Marpertuis
loc. Iam. cit.
Cesare Baldinotti. Keywords: signum, genere, segno, genere, segno naturale,
lacrima, segno artificiale, ‘homo’, conventione, imposizione, idea,
ideazionismo, ‘Locki’ – enciclopedismo, illuminismo, ‘discorso sulle lingue’,
propositione, articulazione, logica, grammatica, forma logica, modus
significandi, imitatmento, il Cratilo di Platone. Refs.: Luigi Speranza, “Grice
e Baldinotti” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Balduino – il
vestigio dell’angelo al Campidoglio –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Montesardo). Filosofo italiano. Grice:
“It is amusing that when we were lecturing with Sir Peter at Oxford on
‘Categoriae’ and ‘De Interpretatione,’ Girolamo Balduino had done precisely
that – AGES before, in a beautiful beach town of Italy! ‘vir Montesardis,’ –“
Grice: “Strawson and I, following an advice by Paulello, drew a lot from
Balduino’s commentary – especially of the Peri Hermeneias, the section on the
‘oratio,’ since we were looking for ordinary-language ways to render all the
modal distinctions (indicative, imperative, optative, interrogative, vocative,
…) that Balduino finds so easy to digest – but our Oxonian tutees didn’t!” -- Girolamo Balduino (Montesardo), filosofo. Studiò all'Padova sotto Marco Antonio Passeri
(detto il Genua) e Sperone Speroni, formandosi nell'eclettismo aristotelico
proprio di quella scuola. Insegna sofistica in quello Studio; passò poi
all'Salerno e all'Napoli. Nella seconda
metà del Cinquecento le sue opere furono occasione di vivaci dibattiti. Alle
sue dottrine si oppose, in particolare, il filosofo padovano Jacopo Zabarella. Altre
opere: “Perì hermeneias”, “De interpretation, “Dell’interpretazione”; “Quaesita
tum naturalia, tum logicalia”. Studi
Giovanni Papuli, Girolamo Balduino: ricerche sulla logica della Scuola di
Padova nel Rinascimento, Manduria, Lacaita, Giovanni Papuli, Girolamo Balduino
e la logica scotistica, in « Acta Quarti Congressus Scotistici
Internationalis», II, Roma, Giovanni Papuli, Dal Balduino allo Zabarella e al
giovane Galilei: scienza e dimostrazioni, in « Bollettino di storia e filosofia
», Raffaele Colapietra, recensione di Ricerche sulla logica della scuola di
Padova nel Rinascimento, Emeroteca della Provincia di Brindisi. Girolamo
Balduino. “De signis”. It. segnare, notare, segnificare, notificare. Primum
oportet ponere quid sit nomen et quiddam in proæmio, ut propositum suæ considerationis
ante quid verbum cognovit et infra ab orationibus rethoricis et poeticis, atque
his quæ affectus explicant, illam se legit. Item tes cum iste liber cum tota
logicae undem modum cong ordine lint considerandæ quo, ex processu resolvente
com, siderandi participet, qui ut ante monstrani est instrumen monstrat cum
inquit primum bum etc. vers tum seu organum notificandi. Quid inter hunc librum
quid nomen quid alios differt? Respondetur. Id interesse et, inter diversos
primum, non intentione, cum libros eandem rem eodem. Sed quod primo exequi
instituimus dicit opor versa prædicata propria, de illa cognoscantur. Q dis
eaq. præs cipia quæ ut deus, et prima in omni tempore, loco, et subiecto dicata
ex fine libri facile inveniri possunt demostrationis prin sunt nes mus,
extremum nam ut posuis cellaria. Sed suppositione in hoc libro et finis, rum
conceptarum res et secundum quid. nam tuimus dicata quinq vocem SIGNIficativam
stag are, ut toto, necessario tra verlrum etc. Hæc verbi, orationis, enunciationis
nominis, nis quibus eædem libro poeticorum est præceptionem tradere finiendo considerant
alterum ut aspernetur et um metrum formandum, bi etc. ponere ergo sumetur non
tanquam res dubia inquirendum sum, verum et constans ponendum primo mento magno
exemplo explicatur artificum idem ligna ut lignum, sit sed ut per seno post incos
unus artifex statua malter, referet tæ, cum suo proprio monius inquiens est, ad
metria positi oest. Ita que non nisi ut enunciativa. Sed de subiecto do post
secund infine. Regulem logicem ponuntur ut notæ orator et poeta enunciativa orationis codem modo ista
des:ante et SIGNIficativas intendit idenim definitionem nomini suer, sitione SIGNIficantes
tionis tantum urilitatem declarat apo demonstra, ad impossibile primo prior de
tione simplici et hæc porest. Sed demonstratio viriali cuius, extranea autem quod
licer hæc omnia demonstrationis Postremo scientiarum. ne viam atrium et
iuxtaponitur uerbo. Magentinus positionis modos modo considerantes est
interpretario posis ab instituto, nomen, aim. Ponere seu constituere. Ammonius
has tres particulas legit cum ergo sunt prædicata propria, affirmationis et
negatio mum ponendum constituat, alterum appetendum explicaretur oportet
definire et fugiat. Poeta ad cocinnum orator vero adornatum. Id, quasi istorum
quid nominis ad efficiendam. Huic quam retuli rei confidera Averrois, definitio
enim inquit Aristotele ingeo navem, alteradarcham considerandi modo, assentit,
Amonius definitiones positiones in arte dicuntur. Metafisicae in hoc libro confiderari
de oratione, in magno com cuiusratio est primopoft. quam per voces clariores mo
prior primo, syllogismus est positis et concessis et concesso, pri oratio in quaquibusdam
attingit. Magentinus syllogism ducente hac tenus. Paul e re niam fiunt. Quos
cis nunc. De utilitate dicimus ab anima, quæ facile opus suum inquitex proposito
patet: ad de et ex inscriptione cepit ergo tertium modorum quos Ammonius attulit. Su subiceti interpretationem
refertur. Quam mitur enim gratia quæri retulimus nam enunciatio ad ins ponere,
primo prosupposito tendatur tet non simpliciter sic enunciatio in to, propositum
quas per voces clariores NOTIFICARE nostrum esse, de oratione enunciativa. Hic autem
finis haberino potest, nisi per hæc præ tertio ait igitur de partibus
tractandum est, quid nomen et quid verbum inquiens et Aristotele verba conne
fit ita res tractatæ alibi differunt. Requires et ens quia propositum
Aristotele quam, necessario. Quona igitur modo sei ungi simplicium essential cognoscenda
differentia locus, tamen hic nomen quid ferme omnis explicatur ex proprio fine quoniam
et uerbum. Juult ergo cum cæteris ista considerat utg syllogism parte
sefficiantur logicus bus ponere sumendum fore pro definire et definit, ut verum
strationi deseruiant, grammaticus vero voces tis compositas incongruum sermonem
ex elemen, ut congruum, siue oportet ponere, id est definire et falsum
declarant. Et novissime ut demons dissentio latina ac sensum accedens ab Aristotele
sidiceret. Sed ab his ad Aristotele verba græca et. nam committeretur nugatio
possunt? ideo dixit primum est erfide hoc infra fit proprius considerandi
oportet ponere id est definire, magis ut
iudico. Hæc ut bene Ammonius cognoscit. Ac.p fine propositis nullo modo tamen, ut
omnia moveri commune commodum est id muniter posito primo top. nono.Tertio et
concello quomodo sumitur procom de mente Ammonii attulimus gratia explicentur
omnibus Aristotele. Quarto pro ea fine ratiocina, pro proprium est. Locis quos
adverbio quod nibuscarentibus pro definitio positione fieri ex Heracliti
sententia via relinquenda non est docentes, fine via eius contemplationem
medio. Secundo poster incommens damus, tenebrisan; circumsusi more feramur, est
igitur enumerat: tray in incertum imperitorum via, illa quam toti logicæ
Aristotele to magno est. coniung nomine et verbo. Pris. primo post secundo post.
et ratiocinatione ex hypothesi. Secundo supra retulimus et hic accepit sed quem
modum Aristotele hic fert. Ex hisitaque patet. Arit, resconsiderandas
acceperit, verbum nullum proj ea considerantur. Quod si orationem ante etiam
posuit et tractavit, non nisi ut genus commune enunciationis, ad verbum. OD rum
ordinem pofuisse) tanquam subiecta et tertio prædi num triplex potestelle
consideratio: primo ut absolute Cara, quideorum, scilicet ponere sive
constituere. Sed SIGNIificant simplices CONCEPTUS. Ita in prædicamentis cons
citorcum primo post in parva commentatione: scieny fiderantur. aliomodo
secundum orationem, ut partes tiasitunius generis fubieéti, quçcúq; exprimis
componitur, sunt enunciationis: sica dhuc librum spectabunt, propter et partes
et PASSIONES horú sunt pse. igitur duo sunt per reaenim inquit traduntur sub
rationem nominis: uet er se predicata, substantia sive essentia quæ per definitione,
et biut SIGNIficant cum tempore aut sine tempore, intulit accidens proprium,
quod per demonlirarionem concluditur. etiam. et traduntur alia huius modi, quæ ad
dictionum secundo post. Inmagno commento cur tantum pertinentrationem, ut enunciationem
conftituunt sed quid istorum proposuit? Ad hoc dicendum mihi uiden quam vistant
iuiri ingenium et iudicium semper cum sum tur: ex primo post res quarueif ecf timperfectum,
et quasi in mente, non habentuere definitiones. Secundo ponendum quod supra
documus, res logicas ut intrumen ta et organa artium et scientiarum, ad proprios fines et quod satis
probatum est supra cum a nobis Ammonius notitiam explicandam referri. His datis
patet ad petitios est reprehensus. Præter eaut diximus nome et verbum nem
responsio: namdum Aristotele quid prædi et orumponen simplicior asunt decem vocum
conceptibus. Amplius dumpropofuit, et propriosfinesquiipsorumpropriafer
rationoininis et ucrbi et fi ut materia adorationemenun rendicuntur accidentia,
anteposuille dicetur sic enim ora, ciatiuam pertineant: tamen corum rationes sunt
commu cionem definiens enunciatilia inquiet non omnis: sed in nes, non ad orationem
tantum contra et æ. ut prædicari de qua verum et falsum explicatur et nomen
quod vox fit si vocibus simplicibus prædicamentorum non possint, licet SIGNIificatrix.
Requirit secundo Ammonius a quo Aquinas cum divo Thomas in ultimo suo dicto contra
Ammonii opis mas accepit. Side simplicium vocum essentia in prædica; nionem consentiam:
nomina et verba in hoc libro tracta mentistra et auit: cur hic iterum repetits
respondet Ammonius. ri,ut cum tempore aut sine tempore SIGNIficant, et non solu
unum quod supra tanquam falsum reiecimus. Nam et fi hæc SIGNIificare dicuntur,
sed et alia huius modi quæ perlig verum dicat. Ut robique easdem res subicto, rationetas
nent ad rationem dictionum. Licet ipse sub inferat, utes men differentes finiri:
nihilo minus differentia quamaddu nunciationem constituunt. Non solum
affirmatigam enun cit est falsa. Dum inquitin prædicamentis voces simplis
ciationem, ut Ammonius afferebat. Si autem ista verba, ces considerariut
indicativæ sunt rerum simplicium quæ Aquinas referret addi et tasuperius ut diceret
qiftain hoc quando cum temporis mensura SIGNIficant, verba: quando libro
traduntur sub ratione nominis et verbi et alia huius, sine tempore cum
articulis explicant, nomina sunt dicen modi, scilicet traduntur quem ad rationem pertinent diction da. Quando pars
affirmationis uel negationis, dictio: cum num, tunc inter nomen, et verbum et dicionem
distingue autem pars syllogismi, terminus. Sed primum inas SIGNA y ret. Sed
primum de mente sua verius credo. nam alii ta differentia dubito: quarationeun quam
fiet: ut substan teridemdi et umforet contrasequodin, Ammonium die sia per le existens
SIGNIficari possit cum motu? maxime ximus. Postular Ammonius et AQUINAS curaliisoras
cum prædicamentares sint completæina et tu. Nam quinto tionis partibus missis,
solum nominis et verbi considen metaph. septimom et septimo primo physic. ens
rationem præposuit? addituretiam. quia libro poetico, quod est, aut existere dicitur,
in decem primasres, seu voces partitur: quo ergo SIGNIficari possunt cum
tempore! nisi diceres ut sunt imperfe et cres, et in motu cum actione, et
passione et generatione lubstantiæ alteratione qualitatis augumento quantitates
et ex accidente mutatione eorum quem ut uo referuntur. Seundo nec dubium solve
revidetur quod dicit. Sed falsum etiam est in prædicamentis rum orationis
partes enumerans, inquit septem elle. Elementum, syllabam, coniunctionem, nomen,
uerbum, articulum, orationem. Ad hoc breviter respondent alig qui Aristotele omifisse
quediximus, tanquam inutilia et ad rectum poetarum metrum spectancia hic solum
mentioq nem fecisse nominis et verbi: pista sunt necessariæ parstes enunciativæ
orationis, inquo, Ammonio non aduery voces considerari, ut ad simplicium rerum cognitionem
dedu satur nec diuo AQUINAS & fi oratio enunciativa quando que cunt. Sed inftan
taliqui. In prædicamentis, Aristotele fini ens in conftetexaliis, non necessario,
simpliciter, omnitempore, quit. Substatia dicitur. sed quam uanère spondeantex Aril.
Quinto meta et Alexandro Aphrodiseo exponente cognoscant, secundum se inquit vero
dicuntur quæcunq; predicamenti figuras SIGNIficant aut secundum Boethium quæcunque
figuras predicationis significant. Itaq. Per Aphrodiseus quod a nomine, vel
uerbo deducitur:lig verbum hoc dici et significare res simplices, prædicamen ca
ad metaph. Non logicum pertinent: sed ut decemu ces, res mediis CONCEPTIBUS A
POSITIONE SIGNIFICANT logie corum considerationi convenient. Tertio dubito et
tan cuti et legendum, et navigandum alegere et navigare verbo originem ducunt.
Similia dici possunt de explicatione Alexandri. Quautitur Ammonius dum de verbo
consin dcrans Aristotele inquit. Verba autem secundum se dicta nomina sunt id
est simplex habent SIGNIficatum nominis eius simplicibus partibus simile, ex
quibus constatoratio. Ita pro Alexandro dicendum. Adverbia plurima ex parte
quam vanam explicationem existimo, dictionem, scilicet affirmationis partem
vocari. Nam quid interest dicere nomen et verbum vocem esse SIGNIFICATRICEM A
PLACITO et afferere nomen et verbum dictionem esse ihuius may de ducia vero
nomine aut a parte orationis simpliciquæ nifestum indicium ex Aristotele
sumitur. Qui ipsam orationem definiensait oratio est vox SIGNIficatrix, cuius
ex partibus aliqua separata SIGNIficat ut dictio, verum non ut affirmatio ergo
idem est dictio, quod nomen. Ut habet translatio Magentini. Et verbum. Ergo
dictio, orationis communis pars erit, non affirmatione stantum. Nisi per appropriationem
dicat illud sed AQUINAS vidensuocesalo, gico consideratas non posse decem simplicissimas
resnis fime diis conceptibus explicare itaenim secundo intely uim habeat
nominis. Et ita si quando goriatura verbo, nihil Alexandri et Aristotele sententiæ
officit. Sed cur particispium, quoquam se pissime in demonstrativis scientiarum
sermonibus utitur, tam hicquam poeticorum libro relis quit? Ammonius dicit, quia
ad nomen et verbum reduciy tur. Alii vero quod idem sft dicunt quia pars
comporis ta non simplex orationis dicitur. Quæ responsio magis perspicua et evidens
iudicio meo est. Nam primo pos ter, secundo, præposuit dupliciter præ
cognoscere oportere, leda sive secundæ intentiones dicentur, nonu tres linere
alia namgquia sunt prius opinari necesse est alia vero quid lationibus denotant
ad philosophiam naturalem spe et an est quod dicitur intelligere oportet sed
cum duas propos tes et metaph. A literalseric, simplicium inquit diction ne rettrese
numeravit et ad hoc respondet Aver, optertia ma veneratione sanctitatis
probarim: in hactamenre' sponsione dissentio: cum decem voces non solum simplices
conceptus sed res mediis conceptibus explicent: loco et subiecto et non nisirespe
et uhorum ut pronomen loco proprii nominis. Adverbium tam hic, quam in libro
poeticorum relinquitur, uel quiaut Ammonius ait, modum dicit quo prædicatum
incit subiecto. aut ut sрее species composita est ex his dicas
etiam o duas præposuit neccessarias signum est q Aristotele dixit dupliciter
præcognoscere oportet et quia lunt, opinari necesse est et quid intelligere oportet
ad tertiam vero præcognitionem der scendens, fineullo necessitates verbo additoait
quædam autem ut rag nam compositaquæ esse et am tertiam naturam non dicunt distinctama
componentibus, explicatis necessariis partibus, coniunctim ex his explicari intelliguntur
verum quicquid sit de Arist. textu et ratione quamdi xi: sufficiens ref ponfiofit:
qhicde simplicibus partibus Aristotele loquitur, quale non est participium.
Coniunctionem omisit, nonquia inutilis, quoniam. infra quod ipseconfirmat hic, et
supra contra Boethii opinionem adduxit Arist. dividet orationem enunciatiuam in
unam simpliciter et coniunctione unam: quæ necessario coniuctionem expostulat. Nec
exomisit ut Ammonius et Aquinas quia pars orationis non est sed pars conne et ensatque
coniungens. quoniam Aristotele coniunctionem poeticæ locutio nian numeravit, tanquam
orationis elementum. Item in cap.quarto Aver dicet, q syllogismus conditionalis
est unus per unam copulativam. Gifoloritur ergo dies est sicut predicativus est
unus per medium terminum sed hic medius terminus necessaria est pars prædicatiui
sive CATHEGORICI syllogismi. Ergoconiunétio syllogismiexpofis
tionefiuehypothetici.Hinc etiam contra eos fequetur inutilemconiun et ionemnonesse:
sed hypotethico fyllor gisino necessariam: ut medium terminum prædicativo syllogismo.
Alii sentiunt propterea coniunctionem omiy filfe de enuntiatione una
simpliciter demonstrationi servienti, non coniun et ione una considerat sed
hanc reo sponsionem suprareiecimus: ea rationeq hic liber etiam ad librum
priorum dirigitur, proximam syllogismo hypothetico positionem seu præmis lamelargiens.
Itemin hoc libro, capit.quarto, propofitam enunciationem ab aliis oratoriisac
poeticis seligens, in has duas partitur. itidemq; definite oratione in libro
poeticorum eam in hasdistribuit feudi uisit species. Dicendum igitur nobis videtur,
proptereahic relictam coniunctionem esse, quia facilis, et Aristoteles sufficiens
erat ea parva cognitioquam tradidit in libro poeticorum. Aut secondo dicasquor
demonstrativa scientia. Et secundo poft. iuxta ordi niamhic propofitum est de vocibus
necessario SIGNIFICATRICI nemquem compositiuum aut componentem appellant, pri
bus agere ad interpretationem per voces clariores efficieendam: quem oém orationem
efficient nam hic libercom munia principia explicat. Dic secondo q in libro
poeticorum cap. septimo, coniunctio significationis est expers: qua de causa
definitioni, quæ perfecta oratio est, nond eses Post ea quid est negatio, o
affirmatio et enunciatio, u oratio, deinde quid sit negatio, a affirmatio, o
enunciatio, oratio. mo genus, quid syllogismus, inde speciem, demonstrationem collegit.
Premponens igitur hic ista duo tangfinem unum in tegrūperse ex genere et specie
constitutum, primo ait enunciationem, deinde oratione, non ita per se intenta:
nobis innato aminus communi ad communiora. Sed hæc responsio improbatur quia.
Si ordinen obis innato, seu aminus communi et im per se et oincipiendum est,
cur latus ordo ex accidente euenit, ut quando gab imperfer et o furnatinitium
quia in libro de anima secundo, textura Magentino cum universe res quas
universalia dicunt singulis præferantur, cur hic non primum de oratione et
genere, deindede enunciatione affirmatione et negatione ex orsus fit Aristoteles
sed primum a nomine et uerbo: nam auta nobilior iincho an dumerat, aut are magiscõi,
ut ordone ceffarius servaretur, non anobiliori, cum negationem affirmationi
prætulerit non acommuniori, quia oratio fuif setante ponenda. Responder ipse. Solere
quandoq; Arist. Hocfacere et are communiori quæ ad singulasres spes et antincipere
quomodo hic dicita nominee SIGNIficante substantiam sive eflentiam et a verbo
SIGNIficante actionem seu passionem, Aristoteles inchoare sed quare istum secundum
necessarium ordinem inter negationem et affirmationem, enunciationem et
orationem non seruauerit, ut Gbioccultumomi fit. Præter ca enunciatio ut finishorum
materialium principiorum prenstantior est, ergo antepor nendafuisset. Amplius
nomen et uerbum, non ideo communiora esse dicimus, q subtantiam aut accidens SIGNISFICARE
dicuntur, sed q voces SIGNIficative apositionelunt, non substantiæ aut
accidentis, ut naturæ terminatæ, sed communiter omnium ratio ergo est sumpta a
processu resolvente finem in causas et principia prima intra rem itas quecum orationem
non omnem, sed inqua est verum et falsum, id est enunciativam, ut finems peculetur,
et hæc ex nomine et verbo, ut materiis, constituatur necessario ergo primum dehis
ponendum quidf snt: deinde complebit reliquas partes processus resolutiui sed subiectum,
ut totum potential primas species continens, cognosci non potest finesuis speciebus,
sicut totum constare non potnifiex suis constituentibus principiis materialibus:
ergo deinde de his quæ ad finem proprium diriguntur, dicendum, quid oratio et
enunciatio, ut completes finisele et us habeatur: quiahec in affirmationem et negationem
dividitur ut pris mophy intelligere et scire, id est intelligere scientificum:
quod Auer. Finem rerum naturalium pofuit. Item genuscum principali sua specie unum
finé constituit, acea uno proce mio proponuntur et epilogo colliguntur: ut primoprio
rumde syllogismo tradaturus, resoluentem processum efficiens a principali fine inchoauit:
de demonftratione et Propositis communibus, ut materia, principiis, quæ
per se SIGNIficant ia omnem orationem conftituunt: nunc de coniumctis ex his principiis
& conftitutis proponit. pri mumq; ait Deinde, ut diximus ex Ammonio, ordinem
et urum proponit de rebus omnibus: deinde de elementis, denotata principiorum constituen
tiu madres constitutas. Et de omni anima prius quam hac autilla animaratio pof
t e a inquit quid ne a t i o affirmati o et c Hic quæris igitur &
causa ordinis a dnoscelatiesta notioribus nobis Diiii gationem affirmationi
prætulerit. Ammonius ait prius nomen perfectius posuit? Item in situs, et ad nosre
asenfuuisus incepit ut Auer. aitineodem libro. de anima de intellectu prius quamdesecuny.
dum locum motiva potentia. Similiter secundum accidens est ut a comunioribus five
minus comunibus pro Milanius. Nam de generatione considerans de ea generatim
sedin ruit: et fi per se non SIGNIficat ut ait Aristotele licet SIGNIfica,
demonftratio intenditur quam syllogifmus. Et primophy. tionem non impediat
perfead hunc librumnon per primo finem proponens rerum naturalium primum, dixit.
Et at, quietiam per se SIGNIFICANTIA principia ut materias spe quoniam intelligere
et scire contingit, id est rationem ellen culari conftituit. Quarenon inutilis quidem
coniun&tioerit: tiam ac naturam ipsarum, inde scientiam per demonstras
sednec necessaria pars SIGNIficans, orationi per se, id est, tionem acquisitam
ratione et eflentia posita et explicata omni conveniens oratio autem divisa in species
duas, per definitionem, in fine explicando, nobilius explicavit, quas monstravimus,
conjunctionem a poetica, ut eius parti ac magis intentum. Sed ad huc dubium remanet
curnes utilem, mutuo accipit sed ad enunciationem relatam ut primo priorum, prius
TEX. BOETHII. ordine ad nos relato, ab imperfecto ad perfectum procedit et
tum negatio enim diuisionem continet, affirmatio autem in compositione
consistit negationem igitur affirmationi præposuit, et magis ad partes accedir,
compositioautem ad totum. Sed ueniat anti uiri fit dictum negation magis
composita dicitur quam affirmatio, cum additione negan cis particulæ, affirmatio
efficiatur negatio. Ad rationem orationem quatenus ex luis materialibus
principiis cons harum alter utra præferatur. Sed contra dicimus, pris mo hic liberad
demonstrationem dirigitur, ut ipse fal dem, fic nece ædem voces. Quarum autem
hæ primum NOTAE sunt, eædem omnibus PASSIONES ANIMAE sunt et quas rum hæ similitudines,
res etiam eædem. Sunt quidem ergo hæc in voce, earum in anima passios ad modum necliter
et omnibus cædem, fic nec eædem voces. sentiens cum Magentino reprehenditura Sueffa.
adiu mentum seu commodumin proæmio, nointractatupræ do secondo phy.tertio.natura
est principium motus et quietis, per se et non secundum accidens ita que ex his
positis sequitur negationem instrumentum explicans con fitione formam eflentiam
q; cognoscimus hoceft agen rium et dirigentium ad ipsas. Oportet igiturante cogno!
Scereea exquibus est definitio: propter eaq ifta præcogni tetur, quææternorum est
non autem ad eaquæ possunt ponitur. Diceret enim ille utilitatem totius libri
et subiecti esse et non esse. Amplius et fiinuno, quod de potens anteponenda, non
utilitatem cognitionis, perquampro tiaadactume ducitur, non esse prius fit eo, quod
est: pofitad eclarari, ac definiri possunt. meæ etiam rationi nontamen simpliciter
in omni natura: cumea, quem poten responderet. In sequenti textu commodum quale
fitex tia continentur, non nisiaba et tu, ac eo quod uere eft in plicari: sed quam
in ordinate ac fine arte id faciat, uides actume dantur præterea cap.quarto enunciationem
in rintalii, retamen idem cum Ammonio sentit quiait Ari. has duas species diuidensinquit.
Prima autem oratio docere uelle nomen et verbum quorum finitiones promi
enunciatiua est affirmatio, deinde negatio ergo analoga, fit, voces SIGNIficativas
esse, quod ifferata vocibus nonli aut per rationem ad aliud nonç que diuisa participatur
ab SIGNIficantibus, ut scindapfus docetom quæ inprimis, ac utrii: fedde hoc fuo
loco dicemus. sicut Ammonius di proxime ab ipfis vocibus in dicentur. conceptus,
scilicet durum promittit: Mihi quod uerius probatur iftud est, primo: quorum interuentures
explicantur.quæ omnia, hic affirmationem et negationem numerariut plures species
enunciationis, id est oppositionem contradictoriam erficientes. Quæ infine fectionis
fecundæ, in hoc conssistit. ut aliquas edeiiciant, deftruant, abiiciant, atque
ne gent; in hoc autem efficiendo potissimam et inprimis vim habet negatio. Quade
causa ibi primum ab Arift .numeratur, ut secondo de anima cum species subiecti
fint plures, ex enumeratione ipsarum precognoscitur esse, id verum in demostratione,
iti demin definitionem ons quod anteponendum est, prius quam tractatus cognitioaut
definitiohabeatur. Secundo sciendum primo topic. ofta Opposita secundum contradictionem protenfa alterum
oppositum explicare.Et primo post. octauo. In antiqua commentatione, de omni
eft quod non inquodam quidem fic, in quodam autem non nec aliquando quisdem
sic, aliquando quidem non. Jitidem & tex. Quinto scire autem simpliciter opinamur:
sed non sophistico monitionis: qua simplici conceptu fine assertione seu compo
iun et a et divisa, notio rem esse quam affirmationem
nam ta, ad eam habendam nos dirigunt at qzillamex præno attendere folemus diligentius
ad contraria, ut nobis ads uerlancia, quam eaquæ sunt nobisi nnata. hæc autem affirmatio,
illa negatio explicat per externa, explicantia ti sefficiunt. Arif. igitur quoniam
dixit oportet nos constituere, siue ponere quid nomen, et uerbum etc et com
muniter hæc erunt voces SIGNIificatiuæ positione aliem fine quodam modo alterum
sed cum iple species ex propriis very explicatione, aliem cum vero. iccircoiftatria
antemani principiis internis definiuntur, I uxta ipsarum naturam, feftat: nesue
definitiones fineratione et fineea quam ipse proprietatem et ut ad commune genus
proportionale tradidit arte ponantur, at constituantur. In hoc textu eu analogum
referuntur, finienda sunt primo, modo hic in proæmio negatio præposita
numeratur, ut instrumeng voces esse SIGNIficatiuas: quod Ammonilis exponens cum
tum est habens ellenorius: secondo autem modo infra in Magentino ait quattuor ad
ho cutilia effe: rem, conceptum, tra et tatu et propria definition subsequitur itainfra
intely vocem, et literas. Amm. autemait Aril. inchoare, nona lectus quando plineuero
est et falso: circa composition rebus, quæ perse, nec simplices sunt nec compofitr:
id nem enim est falsum et uerum. Querunt novissime curuo enim habent conceptus sed
a vocibus, tr"fine quibus dis cem omiserit. Sed Aris . infri ad hoc respondebit
ut supra sciplina et præceptio fieri non potest aitam; nullam facere etiam a nobis
fatis est dictum. Propter ea ad alia contendamus. Aristotele de literis mentionem
g nullius ui funt ad proporto & fiuerafint, dimin Pombaamen ponunturcum
aliammay gis intentam differentiam SIGNIFICARE SCILICET A POSITIONE, NON NATURA
relinquat, quamtamen Alex. et Pfellius prosequuntur et in expositione tex. Ammonius
A uer. ato alii non omittunt unum ergo et idem cum hissentiens, eorum veritatem
confirmo. Cum nominis doctrina et dissciplina ex ante posita fiue præexistenti fiat
cognitione, ftretur et testimonio Auer. confirmetur. primopost.ses cundo. et
Arift. primo Metaph. et apud Alex. pri motop. quarto oportetenimait Arift. ex quibus
eft de finitiopræ scire, fiue ante cognoscere et Alex. inquit definition per omnia
nota et precognita procedit et Averroes primo post. secundo. fic. etiam uerisimile
eft effe dispositionem specierum prænotionum conceptionis id est defiunumeorum quæ
diximus explicatur, nomen et verbum primo secundo. hec autem quandog
imperfctiora, TEX. BOETHIL. Suntergoea, quæ funt in voce earum, que sunt inanie
quandoy perfectiora, minus communia autcomiora. Ma ma, passionum not&,o
eaquæ scribuntur, corum, que gentinusaitq cum evidentia dixerit, abhistanquam abdi
tis et occultis abstinuit. Aquinas dicit gquia Aril. cępitapar sunt in uoce. Et
quem ad modum nec literæ omnibuse et s tibuse numerare: ideo nunc procedit a
partibus ad tol adducam dicitur. aliud effe dicere num note: O quæ scribuntur
eorum IN VOCE. Et queme procedere, quia magis sensate sunt de anima instrumentum,
seu Atat, esse magis minusu e compositam aliud finem habes PASSIONES ANIME SUNT,
o quarumbæ similitudines, res quoquecedem. re ut alterum coniungicum altero, aut
feiungi ab altero enunciet. secundum concedimus: sed exillo affirmationis
naturam magis compositam esse, sequi negamus sed Magentinus dicit q enumeratis nominee
et verbo et aliis eorum definitiones tradendæ erant, quas ponere constistuerat.
Sed hoc Aril. non facit: sed caput proponit quod nobis ad iumento erit sed quod
fit ad iumentum non exiplicat, nec increpandus ame eritut Herminius idem
negationis potius. Secundo respondet p in hisquę possunt efle X non efle, prius
eft non effe quod SIGNIficant negatio, quamefle, quod explicat affirmatio sed ut
species sunt æque genus diuidentes, sunt fimulnatura, nihil grefert Quorum
tamen hæc primum notæ funt, eædem omnibus i ta con la contemplanda.
Quod fi ita est. Cur ergo iftorum quat PASSIONES SEU CONCEPTIONES esse omnibus easdem:id
est tuor meminic? Et si infra longioribus, nunc tamen quod ellea natura: Expolitores
non explicant qua de causa, ad rem pertinent dicamus et brcuiter: finem huius
libri interpretationem esseut fupra pofuimus hæc autem ut lov gicum instrumentum
et organum cognoscendi, ad explicationem rerum dirigitur, ac tanqua multimum
& perfe netemere et fineulla ratione iddrift pofuiffe dicamus. notandum, sexto
topi. In explicandis partibus defini tionis oppositorum, non tantum opus effe oppoftiscum
negation præpofita, sed etiam rebus huius modi, quiz intentum finem refertur interpretatio
uero rerum non busdefinitio feu definitionis pars tanquam habitui conue fit
nisi per voces clariores SIGNIficantes A POSITIONE, aut perl iteras cum voces
defuerint propter eanecresomi lit, sed tanquam fine multimum et in primis intentum
por fuit tertio enim mera meta nemo define consuls nit: nam per se habitus per
privations noscuntur: licet quodammodo id est ut commentator primo pofter, in magna
commentauone et primorheto. cap. quin toinepitomatibus logicalibus explicet alicui
generi ha minum privatio, atque oppositum cum negatione praeposita, alterum manifestet.
quam obrem topica loca constituunt. Qomnibus, aut pluribus ita uidentur. Cum
igitur supra explicasset, li voces SIGNA ESSE A POSITIONE, ex appo fat: fed ftatuitatq;
ponit: sed quomodo et per quæis finis eueniat deliberat. nam primo ethico septimo,
fifinem tanquam exemplar habuerimus, magis intelligemus quæ nobis sunt bona et septim
opoli. in principio: duo funt inquibus omnis commendation bene agendiconsiy
fito cum negatione præmissa, nunc eadem explicat pary ftit. unum ut propositum
ac finis recte agenda subjaceat: alterum ut eas quæ in illum sinem ferant actiones
inueniamus, resigitur hic non relinquuntur sed tanquam fines explicanda ponuntur.
Nec literæ fruftra ab Arift. nume rantur cum vocum fungantur officio: hisq; principibus
explicatis,& quæ scribuntur aperiri intelligimus huius enim caula quæ sunt in
voce conscribimus, ut absentisbus uocibus, res concepta scertius, uberius et firmius
teneremus quæ enim uox, tot philosophorum, a nobis absentium, sententias unquam
aperuit ad quas eorum libri nostam facile deduxerunt, ut possemus aliquando quid
ticulamex opposite positiuo passiones enim et respros prereaq eædem sunt omnibus,
NATURA SUNT, NON EX ARBITRIO ET POSITIONE ex opposito voces, ac scripiuræ quia
non sunt eædem, A POSITIONE, NO NATURA SIGNIFICANT. aHinc etiam differentia vocum
A POSITIONE ET PASSIONUM sive conceptionum et rerum colligitur et approbationem
intelligat, ex græca particular aperitur. quæ diciti quorum quidem. Quæ particula
causam propofiti explicat, non controversiam. Quioaduerba, Ammonius primum obseruat.q
cumde uocibus et literis diceret Arist. ait. quorum ex SIGNA sunt sed passions
similitudines re senserint eorum scripta fæpius repetentes a gnoscere: No rum uocauit.
Quia simulacra rerum naturas, quoadlicet igiturut Ammonius dico nihilo pusesse scriptis.
Sed dico, representant ut inpi et uristidetur inquibus mutarefor magis fuisse conveniens
Arift. nomen & verbum et c des mas præsentatas non licet. litin Socrate pitto
calvo, fi finire per uoces quæ in disciplinis quasalio certo duce mo, oculis prominentibus
SIGNA vero et NOTAE totumha per discimusfacile primas tulerunt: quam
perscripta: bent ab impositione et cogitatione nostra, ut in militum quibus
periti occulta cognoscunt et percepta declarant, SIGNIS ET NOTIS diversis a; institutis
conspicitur. Sed cong Nunc ad litera mueniamus ea quæ in uoce sunt, cons
traquia secondo priorum. de enthimema te tractans. fi stunt, aut continentur, sunt
SIGNA se unorem ounebonor enim duo hæc significat earum passionum i.eorum
conceptuum: quos patitur, id est, ut formis perficitur phantasia, mens, seu anima,
ut Prelliusait et quem scribuntur SIGNA ac NOTAE funt eorum quæ in uoce
consistunt. Etquemadmo gnificans.quiaidemuerbum,lignum,¬auocatur. dum
necliteræomnibusexdem ficneceædem uoces.} Explicata prima definitionis
particula, núc ad secundam accedit q uoces A POSITIONE SIGNIFICANT. Id que approbat
Arifto. ratione fumpta ex opposite cum negation prol tensa. Quodquodam modo notius,
alterum palam facit. primo topico et auo, hinc facile confirmatut experimen Arist.
quod supra de negatione ante posita affirmationi docuimus ratione sed oppositum
ei quod est A POSITIONE elle, estelle A NATURA: quæ eadem omnibus in est ex opsposito
igitur ratio in hunc modum formetur ad conclusionem ex similinotiori in litteris
innuendam, id natura esse dicetur quod eftomnibus idem; natura enim princiy
pium est perse& deomni: quæ igitur non sunt omnibus eadem, non natura sunt aut
significant. A negatione proy Prætereasi hæc differentia uera esset, acillam Aristot.
ex his uerbis intenderet, his tantum nominibus pofitis suffincienter explicasset,
dum diceret. Propterea quod uoces & literæ SIGNA ac NOTAE sunt, A POSITIONE
SIGNIFICANT. PASSIONES vero et RES quia SIMILITUDINES SUNT A NATURA. Ita in
finiendo nomine et uerbo sufficeretsiduntaxat dixisset, nomen et uerbum es tnota
non igitur addendum quog cesfint A POSITIONE SIGNIFICANTES et hic omittendum fuils
set, quod voces & literæ sunt notæ fue SIGNA non eadem, neidem calu, actemere
refricaret. Mihi ita sentiendum videtur. Ovuboloy superior “NOTAM” (NOTARE,
NOTIFICARE), “SIGNUM” (SIGNARE, SIGNIFICARE), “VESTIGIUM” dices re quæ ita dicuntur
quia ut notiora exterius NOTIFICANT, ac ut VESTIGIA pedum significant. Hoera
autem, id est PASSIONES SIVE CONCEPTIONES non ita: quanuis interius priæ definitionis
ad negationem definiti henc propositio, similitudines rerum vocentur: rem tamen
et fiinterius, quia perspicua, approbanda non est: sed lumiper senoi exterius non
aperiunt propterea igitur voces et literas fi, tam oportet, alibi quodam modo declarandam:
Allumy SIGNA ET NOTAS vocauit et PASSIONES
SIMILITUDINES quia ille prio, id eft minor propositio in textu ex oppofito cumne
exterius, hæc interius manifestant. Secundo ex dicti sfaz gatione præposita notiori
in literis et quemadmo! cile reprehenditur syllogismus quem Suella formauitex
dum neque literæ omnibus eædem: fic nec eædemuol litera dum afferit Arifto. uelle
probare voces & literas ces conclusio consequetur. Igitur nec voces A
NATURA SIGNIFICANT a quume uarient, A POSITIONE haberi, conceptiones ver et
SIGNIFICANT et non omnibuseç demerunt. Quorum aux res, cum non euarient, natura
esse. hocto tumuultelle tem.; Approbata minori propofitione ex simili notiori
præceptum et complexionem fiue conclufionem ad qua inliteris, in quibus idem prædicatum
inuenitur. nunc inferenda mait Aristotele in textu ratiocinari. Quæcung sunt
alia duo, conceptus scilicet, seu passions & resmanis aliorum SIGNA VEL
NOTAE, positione se habent. Uult deinde fe stata natura effe et ita ead emomnibus,
inquit ledpal, quom dassumptionem, id est minorem Arift.ponatibi funt Gones animæ
quarum hædi et æ uoces primum nuly quidem igitur quæ sunt in uoce et c. id est
sed nomina et lointeruentu, noræ sunt hæ animæ passiones sunt cæs uerba. Et scripta
sunt signa et notæ aliarum, voces, Ccili demomnibus et res quarumhæ passiones sunt
similitus c et conceptionum, et scripta vocum: sequitur conclusiout dines, etiam
eædem funt. Sed cuius gratia manifestat putatibi qaemad modum nec literæe ædem ficnecuos
Aristot. ipsum definiensait, syllogismus est imperfectus: ex signis ubieodem
uerbo ut itur ad ex plicandum SIGNUM NATURALE E SIGNUM A POSITIONE uana iti demerit,
assignata differentia Magentini. non fita positione ceseæd emerunt ubi sic ingræco
non haberi affirmattur. Sed primær esponsionis partitio, feudiftinentio, quo quod
manifefte falsum eft Toosenim sic latine significat nam modo fit uera in primo suo
membro, supra longios et quem ad modum et ait et uim habere inferendi fæ ribus disservimus
cetera tamquam uera probanus. Seddu pe consueuisse. Sed obiurgandus est Ammonius
qui lis SIGNUM ET NOTAM ait approbationem, id est probationem bitabis Vox SIGNIficatrix
est per se genus nominis et uery bi: igitur vox erit generis pars communis, per
se unum constituens: duo igitur consequuntur. primum naturale ,unā per se constituerecum
artificiali, et ens reale cum enteratio, nis: secondo partem efle intotoniinuscommuni:
signifi care,scilicetapositione,effeinuoce,quæeftmagiscomo munis. Qui modus
improprius dicitur eius, quod est in esse.q nomina,& uerb auoces, & scripta
a positionef SIGNIificent: cum secondo priorum In Epiromatibus logica, libus, de
rhetorica persuasiua et syllogismo contradictoria SIGNA enthimematis et demonstrationis
et topica etiam, non a positione
significent. lignum ergo, et NOTA, commune est ad signum, quod EX ARBITRIO ET inftituto
signifiy alioelle. quartophy.Adprimum&finihilhicneceffario cat,&
signumnaturaconsistens. Secundo propria eius ratiocinatio confutatur: non enim unus
est syllogismus in textu quen suo arbitratu diuisit, sedduo. Vnus quonos mina Aristot.
Et verba voces esse SIGNIFICATIVAS declarat: quod amedi&um est Paulo antedum
primum in textum hoc modo quæ sunt in voce sunt NOTAE ET SIGNA scilicet SIGNIFICANTIA
exterius earum quæ sunt in anima passionum minor siue assumptio, ut pofitio per
se nota, ap Aris. dubitarem res logicas ut habentes esse imperfectum et quasi in
cogitatione ut subiecto: in voce ut SIGNO,aliam naturam ullam sortitas non esse,
quam eamquam anima probationis non indigens ponetur. Cum nomen et uers ex arbitrio
finxit: ut ad aliud SIGNIficandum exterius refe bum definiet, sed nomen et verbum
sunt SIGNA seu voces: ratur. Ficut ea, quæ artificum manuseffingunt præterna
itaq; maior, ergo et c.propositio allumpta est, ut per seno turæopis, lignum, scilicetæs,
aurumue, nil reliquumha ta. SIGNUM est illa græca particula quidem igitur quæ
bent, nisi quod ars uera per sua inftrumenta hoc uelillo uel executionis fit nota,
uel fi neulla approbatione ex propositis inferens, meam sententiam confirmabit
id esse fine approbatione aliqua positum. ut communiter affertum abomnibus: Secundus
syllogismus eriti bi. Etquems admodum et c ut secunda pars definitionis ponatur,
SIGNIFICARE, SCILICET, A POSITIONE. Quod tanquam per se notum, non demonstrat, sed
quia non omnino, cinealiy qua controversia est consessum propter eaquodam modo
ex opposito cum negatione præposita manifestat. Quod in scriptis est manifestius,
a positione sint; et eui dentius conttantius q; manifestent. Syllogismus igitur
erit. quæ non omnibus eadem sunt illa non a natura quæ in omnibus uno modo invenitur:
per se idem in omnibus similiter operans sed A POSITIONE sunt et SIGNIFICANT minor
in textu. Et quem ad modum nec literæ omnibus eædem, fic nec uoces eædem. Ita que
maior propositio syllogismi Suessenon est ad hanc inferendam conclufionem, quam
nostra secunda ratiocinatio intulit et quæa suessa ratiocinationis conclusion
et complexion dicitur, no bisminor secondi syllogismi cum eius approbatione ex
simili literarum uiderur nam fine ulla controuersia ut bene animaduertit Ammonius
scripturæ et literæa positione significant licet quodam modo uertaturindus
biuman nomina et uerba, nátura, ut Plato uideturassere re, anaconfilio, ut Arift.
sentit, significare dicantur. hinc. per se unum constituit cum voce, naturali
opera anima ut fequetur eum non aduerba Arift. ne que sensum dicere. dum
infecunda sua expofitione afferit, quam Alexandri & Afpafii esse confirmat,
hic Aristotele velle colligere similitudi singulare opus naturæ est, fed ut indiuiduum
ab arte for matum. Itaque nec primum sequetur, naturale cum arti ficialiunum per
se constituere: quianon ut naturale, sed nem inter scripta et uoces. Sed q ex hoc
predicato, significa ut arte effectum, formatum cum sua causa formali perl e re
ut non idem, idefta pofitione: quod norius et firmiusin unum efficeredicitur: similiterres
logicas et placitum scriptis uidetur. Inferti demde uocibus significatiuis, tan
uementis arbitrium in uoce contineri affirmamus: non quam genere proximo nominis
et uerbi et omnium alio tamen ut opus naturæ eft, per se unum genus conftituit,
rum. Quærit secundo Ammonius: cur Arift. non dixer fed tantu muta positione, et
confilio, et cogitatione fal cit. uoces sunt SIGNA CONCEPTIONUM. Sed eaquæ sunt
in et um eft, ut vox ad hoc uel illud explicandum ponatur. Voce irespondet primum:
cum triplex fit oratio, concel & ex communi imponentium consiliore feratur.
Sica pra, in uoce; inscripto: de secunda hic loquitur fecuny mentis relatione, que
in uoce ad significandum relinquis do respondet, voces naturae dimus ficut uidere,
audire: aliud eft ergo uoces esse, ut opus naturæ, aliud nomis na et verba a positione
et nostra cogitatione, quæ uoce utuntur, nam quem ad modum ianua dicitur lignum,
& nummusæsue laurum ex arte, quæ imponit figuras et tur, uocem naturæ opus,
artis logicæ inftrumentum et opus artificiale per leunum et ad alterum SIGNA ng
dum relatum conftituitur. Ex his ad id quod secundo consequebatur patet responsio
non enim in conuerniens eft minus commune, quod formam et a&umdig
characteres: eodem modo et uoces dicuntur nomina, cit, contineriin alio magis communi
quod in potentia cum a locutoria
imagination fingunturac formantur, fie exiftensperficiacformariabaliopossitminuscommu;
gna eorum,quæ inanimouoluntantur,& talem sunt formamadeptæ:utex
positionefignificent.signum est uoxmutorum articulata, quæ quianon ex composito
et institutione aliorum eft, ideo nomen
et uerbum non dicis ni.ut de intellectu et cogitativa Auer opinatur de anima
altrice, sentiente et rationali et ex Aristotele confirmatur secundo de anima. Postremo
in uoce, perfe&io placiti, seuarbitrii, confilii, &pofitionis, effet dicendum
sed metaphyfico et naturali hæc quæftio difficilis relinquenda ellerbonitatis, tamen
gratia, quam breuissime poterore spondebo. Sed animaduerten dum primo modo effigiantia
progenuerit. Hoc,alterum comitatur, easdem res logicas, uts ecundo intellecta, ad
logicam non ut scientiam sed artem spectare namearuni, mentis arbitrium, ut externa
causa efficiens assignatur aquo effig ciunturea, quæartiu et scientiarum explicationi
conuer niunt et in uocibus, acaliis notioribus regulis apponuntur primo post secondo
poster tertio ponens dum metaph. Non eodem modo, omnium unitatis per se causam
requiri. Alia nanque, quæ matelriæ conditionibu suacant, ut intelligentiæ fiue mentes,
fta timens et unum persesunt. Aliaquæ ex materiis constant, unum per se fiunt q
hocidem, quod ens potentia erat; idem fit et u:efficiente tantum educented epotens
tiaina et um artificialia per se unum conftituunt, secundo physica secundode
animao octauo, non cum subiecto ut naturæ indiuiduum est, sed ut arte formatum,
viue effigia tum est: artis, ac formæ artificialis esse recipiens. causa enim propria
cum sitars, & esse us artificiale quiderit. Ficut causa propria indiuidui
et esse et in naturalis est forma et substantia, effe tum igitur subftantia erit,
ita proportione et similitudine quadam, quæ de unitate et definitioneres rum artificialium
dicta sunt: fere eadem de rebus logicis, et v ocesignificatrice a positione dicenda
sunt non enim quod in uoce ex consilio et mentis arbitrio pofitumest, quibus
quibu suoxipsa, quali formatur et denominatione exo trin. ecus SIGNIFICARE A
POSITIONE dicitur, atque, ut aiunt, per attributionem placiti, ut formæ specialis,
uoci, ut cantibus omnibus, non definite contractis ad nomen et verbum: nam uox
significativa partem communits imam generis nominis et uerbi et orationis
conitituit non pros materiæ sive generi magis communi ad sunt. Nec incon prie nomen
et uerbum tantum. Differentiam aut eniliter ueniens modus ellendi in alio eft, minus
communisinma rarum abelc mentis quam Ammonius accepita Dionysgis communi fiue formæ
in materia, ut Suetreuidetur, quo fio, lumasab Arist. in libro enim poeticorum ait.
Eles niam quarto physica Primus modus numerator partis in mentum uocem effe indiuuduam:
ergo proprie in uoce sed toto, secundus totiusin partibus tertius specie ingenere,
ad sensum patet literas partes eorum efle quæ scribuntur. Quartus generis in specie,
quintus speciei, leu formem inmai Quæriturcur passiones uocauit et similitudines
uelfimu feria et c. Nec ualetfua obiectio
contra Porphyrium: lacra. Ut Ammonius dicit. Sueffar espondet propter eafie sequeretur
Arist. Intam paucis verbis ambigue dicere. Militudines appellari, qarederiuaniur:
passiones uero, ut animum ipsum perficiunt:c onceptus, ut principilim et ratio intelligendi.
Sed contra, quiarecte Ammonius interpretatur, simulacra rerum dicuntur, non quia
causa, taarebus ut phantasmatibus siue sensu perceptis sed quoniam rerum naturas,
quo ad licet, representant ut in picturis demonstrate in quibus mutare, ac
transformare naturas representatas non licet. Præterea conceptus, nifi
constituantur nouarum rerum uocabula, rem iam concer ptam et cognitam supponunt.
Non igitur proprieprincis piumseuratio cognoscendi dicentur: nisi ut species et
phantasma, ut obiectum alumina intellectus agens, eft des puratum, uta iunt,
formatum et illustratum. Item non explicatquem animum passiones perficiant. quianon
mentem per se impatibile in, ut Auer. opinatur. Sed animam seu mentem phantasticam,
id eft existentem in phantasia ut oprimePsellius explicauit attributiue enim mens
quia dudicit eaque sunt in uoce. Sumitur ut parsminus communis in toto, id est inmagis
communi. cum vero sequitur, sunt SIGNA earum passionum quæ sunt in anima nunc sumitur
ut accidens et forma in subiecto. Sed constraquia æque ipsum inconveniens hoc sequetur:
cum placitum, fiue consilium, uoci non hæreat denominatione interna, id est intrinsecus
sed a confilio imponentium attributum, ut SIGNOf Placitum ergo fiue arbitrium, pactio
et mentis cogitation eft in uoce ut SIGNO non cui extraanis mæ operationem inhæreat:
sed passiones animæ rationa liconueniuntutactueamformantesacperficientesetiam
dum dormimus. Item proprius modus elrendi in alio maxime dicitur ultimus,utinlocoueluale
aliitrans lumptiue, id est per translationem, ut Arift et commentator afirmant.
Tertio queritur quod primo loco quæren dun fuerat an per uoce, ergo aliquid ex propofitis
inferat, an executionis fit nota AQUINAS ait ex præmissis concludere, hoc modo quia
Arift. dixit oportet ponere quid nomen et uerbum et c Shemc sunt uoces SIGNISficatii
caduca et infirmapatibilis et poftremo in homine sola mortalis. Sed hic primum quærocur
solum Arift. passion num et similitudinum seu simulacrorum meminit: Respo
deturcu principio intelletus fiue mens phantastica rerum qualia dumbratas
intelligentias et similitudines recipit, his ut patiens i l lu f tratur u t patibilis
intellectus. Hinc requistur, eas similitudines, ut animam perficiunt phantasticam,
passiones vocari, perficientes, ac illustrantes eamnuilo contrario ante corrupro.
Hemec similitudines dicuntur ut o intendimus ex Ammonio jur rerum naturas quo ad
licet representant et conceptus, ut abintelle et tu patibili seu possibili concipiuntur,
autiam sunt conceptæ. Secundo ponendum intellectum patibilem, idest possibilem
ad passiones et similitudines cum eas primum concipit conferri, ut poteftate eft
omnia illa, tertio de anima quem ad modum TABVLA RASA in qua nihil esta scriptum
siue fir et um. Indeetiam sequitur tertio intellectum semper esse uerum. tertio
de anima id eft non errare. sed intelles Etu ssecundo progressus ultra componit
illas passiones, ut simplicial intelle et a: et hoc quando ßuerequandog false compræhendit
ut infra sectione quinta datur opisnio falsa ac apositione, confilio, fiue arbitrio
opinatur. Buntur sunt notæ eorum quæ sunt in voce, non autemdi dequibus Alexander
forteait dee isdem rebus fæpe uæ: ergo oportet uocum SIGNIficationem exponere, seu
rectius ponere. Contra placet Sueffecum græcis omnibus notam elle executionis. Sed
nec ipse quicontradicit diffi cilere fellitur, non enimdiuus AQUINAS afirmat ergo
aliquid supra tra & tatum, seu, ut
ipsia iunt, colligere supra execustum, sed ex prædicatis ac præceptis inferre, infraconfidei
randaspræ cognitiones ut nosetiam diximus et itaes xecutionis est nota propter eanon
uniuersatim eft uerrum quidem igitur notam efle executionis, quæexan te positis
no ntr a haturnam nomen definiens, nomen in quitquid emigitur eft uox et c. definition
autem nominis exante cognitis partibus sequitur similiter secondo priorum deenthimematetractans,
declarator et posito quidfis gnumdicatur, intulit Enthimema qudem igitur est syllorgismus
imperfectus sed alii arbitrantur, ornatus causa a græcis poni.fica NOSTRIS
LATINIS quidem enim adexory nandam orationem ponuntur: Mihi Arift. uerba et pro
cellum consideranci, quando que epilogi, quando q exer cutionis, siue ornatus ellenota
uidetur: quod facileex fuperiore & inferior scriptura, ne ambigua estimentur,
perspicuum fiet. Quærit Ammonius cur dixerit. quçscri nos diuersos sensus habere
in quo Magentinus fruftraconatur, Alexandrum arguere. itaphi sensusuarii quos exueris
simplicibus cognitis et eifdem, acanaturacon di non sunt literem & elementa
sed horum partes i secundo fiftentibus intellectus coniungit non omnibus iidem
Xerit .literæ et elementa sunt SIGNA eorum, quæ in uoce: duobus modis respondet,
primo hic Arif. de nomine et uerbo, acaliis propositis in proæmio speculari, cuiusmo
aitq si'uerbum Aris ad omnem dictionem extenditur litteræ proprie sub his
continentur quem scribuntur, elemens taueroquæ proprie in prolatione consistunt,
subhisquem in oce. Sed Arift. generatim
loquitur de vocibus SIGNIficatiuis ut pars definitionis eft omnium, quæ in proæmio
definire proposuit. Sed in libro poeticorum elementum definitur, a uox fit indiuidua:
non omnis, scilicet per se significans sed ex qua intelligibilis vox fieri poteft.hic
uero dixit eaquæ sunt in uoce.i.arbitrium, confilium, an passiones simplices quas
de ipsis habemus, easdem res cognitio, intelligentia sunt SIGNA SIGNIFICANTIA
et intelli SIGNIFICARE dicantur: cum semper fint distinguen deutdie gentiam
conceptuun explicantia, non igitur hic eft fers uerfas res continentes Responde
as aliudeile dicere paso mo proprie de elementis ex literis, quæ eadem sun tre,
li fiones primas effe similitudines easdem, id eft a natura cetratione quam diximus
differant, ledde uocibus SIGNIFICANTES fignifi constantes, aliud passionesesse naturales
fimilitudines rem patibilem affirmamus primo de anima tery tio de anima ratione
phantasiæ fiue cogitatiue quæ funt ,l icet a positione et opinantium consili opendeant.
His positis, patethorum duntaxat Arist. meminiffe, quia hæc sola sint uere omnibus
eadem, adquæ anima cons paratur ut potestate recipiens quam obrem passiones
Arift. appellauit alii autem conceptus, aut non iidemdi cuntur, autadillas, quas
diximus passiones et similitudines, reducuntur hæc dehisha et enus quæ tunc docenda
erunt cum de anima dicemus. De æquiuocis ambigunt. id est natura consistentes habebunt:
quibus plura cognosscunt et representant, acreferunt licet voces quarum proprie
ambiguitas dicitur, non naturas inteædem feda positione SIGNIficent: æquoca
enim rem unam cominus nemnon habent: fed tantum uocem et hoc responsio, diz ui
AQUINAS dictis, eft fuita. Sed obiicies ut Suella contra Porphyrium ubi voces funt
eædema consilio, pofitæ, easdem primas conceptiones fine erroreaut falso SIGNIficant;
non ergo ambigue loqui contingeret, ne quedifting bis. ubinamin Ari. patet, similitudines
in primis esseres rum simulacra et naturalia ficutresnatura eædem omnis bus
sunt? Respondeasextertiode anima animam, quodammodo efficiomnia,cum omnium
formas,aut sensu, aut mentes uscipiat et quia singulorum formæ per animam
cognoscuntur, LAPIS autem NON EST IN ANIMA,sed species et forma eius primum lapidem
representans. Primum ergo similitudines et species rem et DURAM LAPIDEM ESSE repre
reautillic Arist.dicit. Ad phantasmata intellectus confers tur, ut sensus ad SENSIBILIA
a quibus natura mouemur: atque impossibile dicitur, qui nuis istangamur. Itemne
celle Arilair, intelligentem phantasmara, id eft eorum SIMILITUDINES, specularit
ex res autem o narura constent, tanquam omnibus perspicuum omittatur. Amnionius
di de anima ad poftremo relatum dixit cæterum prodig tum de hiseflein libris de
anima, scilicet tertio de anir TEX. BOETHIT. De his uero dictum – LAPIS EST
DURA – est inijs, qui sunt de anima, alte rius enim est negocij. Eius demrei uel
diuerfarum nam analoga, ut primum offensioad arteriam, fideconsulto et composito
siat, illac concipiuntur, diuersa continent, ordine, comparatione qua commeat spiritus
uox eft: tussisuero, non eft ea uox: seu proportione adunum collata. tamen
eorum prime intelligentiæ fcuconceptiones eædem dicuntur, id eft naturra non arbitrio
uariæ ficut voces: qux comparatione, reu proportione dicta A POSITIONE
SIGNIFICANT simili ratione ambigua, id eft æquiuoca, primas conceptiones easdem,
nus, quicum SIGNIficatione aliquaemittitur. Sed postula quamuis per eadem loca,
machinamenta proueniat. quia, scilicet non ex proposito accidit nam aitfi necogitatio
ne aut consilio vox missa, non est vox nam “hocomnino” in definitione uocis collocandum
eft quoniamuox eft so in guere differentes, qui satis ex notis locibus, atque
errore, conceptionibus conftituere poffent, quod fit ads sentant, nam
intellectus omnium, de rebus senfibilibus primum uenit, ex quibus VISA quædam et
similitudines procreat ad quasintelligens feconuertit et cum intelli
uersariorum consilium ,aut quid ueline Dicas his disting dioneuti opus non effe,
quibus ita hæc nomina sunt perspicua et communia, ut quasidomi ab ipsorum positione
nascantur. Sed his qui quasi modo nascentes de notissimis rebus atque nominibus
hæsitant, nihilq; ab aliisexplicar tum nouerunt: qua de causa, diftinctio in
bis nominibus fiet, quæ habentur dubia: quorum res abditæ et arbitrium consilium
plurimarum rerum et conceptum non gie necesse est simul phantasma aliquod
speculari. phang ialmata enim, sicut sensibilia sunt: præterquam tertiode
aninia sunt sine materia. fecido natura constant similitudines: non ex arbitrio
pendent: quia ad similitudines comparatur patibilis intellectus, ut natura pure
potentia aut poteft ate recipiens tertio de anima in natura enim anime ef tunum
natura agens, alterum natura patiens ficut in omnia lia natura monstratur tertii.
Prætes perspicuuin dicitur. Ad textum nunc redeamus. Ex uerbis his collige quod
supra docuimus uenforqui dem igitur quandog ad exornandam orationem ab Ari.
poni, ut hic: nilenim ex supra cognitis infert, neque alia quid exequendum. seu
tractandum proponit. Queresab Arift.cur istorum naturam dillerere diligentius et
proprietates omittis? quibusg ab animantibus instrumentis uocalibus proueniant:
pulmone et aspera arteria, aquos ma at conceptus dicit mentis primi, quid
intererit quo minus fint phantasmata: Respordet an neque alii phantasmata sunt,
uerum non fine phantasmate tum in rum primo, uocis materia aer præstatur. ab
altero, voces graves et acutæ effigiemfumunt.& q articulate dicantur a
lingua, palato labiis, ac dentibus ut animæ rationalis motioni deseruiunt curhçcitidema
positionc, alteraa natura confiftant atque fimilitudines rerum sint primum
fimulacra, voces uero passionum ligna, ac notæ dicans tur: Ad hæc omnia putoAristot.
respondere propterea abeo essereliaa o alterius est pertra &ationis, id eft
ad alium pertinent modum considerandi naturalem deani, ma: nam pertra et are quanam
ratione istaabaninia, ac instrumentis eius proueniant, an a voluntate pendeant,
ut operationes, ad animam, suum proprium principium res rum voces primo res generatim
SIGNIificare, sedl ogicos feruntur, de quibus ut supra diximus, secundo de
anima differit ubi vocem significativa mex imagination animæ uoluntaria, Conum
appellat: hinc ergo patet voce sesse SIGNIificatiuas sic enim ad interpretatio
rum primo conceptus quod ex definitione Platonis aquo Grammatici acceperunt confirmant
nomen nem dicuntur conferretex et apositione SIGNIifica re quia ab imaginatione
SIGNIficant et voluntate ut commentato at Arist. asserunt. Arist. enimait oportet
animatum esse ucrberans et cum imaginatione aliqua, id eit voluntaria cuius rationem
adducens, inquit sunt in aninia et quarum passionum eq voces primum gnasunt etc
sed contra quia eodemmodo nomen defini, tura logico, poeta, atque grammatico id
autem ut verum fit in definition nominis declarabimus secundo fin nisharumuo cum
eft idem ei ad quem oratio enunciatiua refertur hicautem eft interpretation rerum
conceptarum, quæ idem sunt quod conceptus: SCOTUS vero quæstione secunda
respondet conceptus SIGNIficarerem, ut similitudo et speciesrei, non ut accidens
animæ dicitur, Sed non quæritur hoc, sed duntaxat, an voces principaliter, seu vox
enim est quidam SONUS SIGNIFICATIVUS NON NATURALITER ut SIGNIficatiuus est sonus respirati acris sicut
tussis sed ab alio libero movente hunc aerem ad arteriam. Ing quit etiam Themistius
acute hunc locum perspiciens hus iusergoaeris quem spirando reddimus percussion
et quibus imaginationem passivi intellctus nomine appels landamcensuit tertio de
anima primo de anima ex quibus tam obscuris verbis non potest concludi aliud, nifiquod
poftremo deduximus non enim video quid suadi et a sequatur, fi primi et aliia primis
conceptibus non sunt phantasmata, non tamen sine phantasmate, line quo nihil
intelligit animam, nisi conceptus primo phantasmata representare et necesario:
ut intulimus. Mihi autem VISUM eft, sermonem Arift. adomnia supra di et a
potuisse referri, cuius uerifimile argumentum poteft esse. dixit dictum eft, quidem
ergo in his quæ de anima, id est libris duobus secondo et tertio: ut retulimus;
non tertio solum ut Ammonius opinatur. Et ut finem tandem quærendi faciamus paucis
ad hæcadditis, poftres moquæramus nomina fiue uoces an primo SIGNIficent res, an
conceptus? Quidam respondent, grammaticos finientes quod substantiam vel
qualitatem significet et hic Arift.quæ in voce, ligna sunt earum passionum quæ de
his quidem igitur dicemus in his que de anima alterius enim estnegocij: et um
hoc Arift. Dehis quidem dictum efti nhis, quæ in primis res aut
conceptiones significent. Propterea uerius ad rem et senfum accedens, respondeo
et nobiscum, sinominibus non concinnat suella, re tamé idem affirmat cum Alexandro
primum pono voce tanquam ultimo in? Tentumfinem et principalius, mediatetamen, SIGNIficare
RES et extremum, voces, an res ipsas SIGNIficent in contrariam partem Arift. et
Comment. et quæ scribuntur SIGNA et no iæ sunt eorum quæ in voce & li uoces
PRIMO SIGNIFICANT CONCEPTUS, et conceptus primum res, scripturæ ergo primum
uoces declarant sed contrarium, leniuum teltimonio et experimento monfiratur. Quia
scriptura homini et cei terarum rerum dequibus philosophi differunt, utimur, rei
cum ipsarum explicandarum causa præterea epistola in uen fecundo autem minus
principaliter, sed IMMEDIATE CONCEPTUS quæ duo afferta exemplo a scie manifestant
urnam ascia ut instrumentum efficit immediatum sed principale seu princeps efficiens
est artificismanus quod declar ta affirmatur, ut certiores faciamus absentes, siqu
id esset rans primo de anima octauoThemist ait qprincipale ac ultimo intentum
cognosci et definiri, indiuiduum dicitur: fed alio intermedio cognito forma uero
uniuersalis fine alio medio: ut tamen ad indiuiduum cognoscendum refertur. Hæc di
et ahisrationibus approbantur. Id quod eos scire aut nostra autipsorum interesset:
igiturres poftremo, ut ultimü & finis, explicari intenduntur. Item fi quæ scribuntur
SIGNA sunt vocum, autearum quæ extraani mam, quod impossibile eft, aut in anima:
uoces autemin anima conceptus dicuntur, quos ad rerum explicationem in primis uoces
SIGNIficant, ad quod SIGNIficandum nouos referriut sinem supraretulimus. Nunc ade
aquæ adducerum nominum inventorim posuit hic autem ad rem explicandam uoces consticuit
id.n. de uerbo considerans Aril. et manifestans uerbum SIGNIficare, approbat, quia
consftituit intellectu. sed VOX PROLATA hominis tunc conftituit, et quie
cerefacit intellectum non cum ad conceptum: sed ad naturam humanam deducit ergo
voces et nomina tanguls timum finem in primis intentum res explicabunt licetins
ter mediis conceptibus præterea primo elenchorum pris banturex Arift. respondebo.
Non solum querendum quid philosophus dicat. Sed quid convenient errationi et
sententiæ suæ vere opinetur audiendum. Hunc enim in modum. Aristoteles Intelligimus
quæ scribuntur, sunt notæ eorumquç in voce i. confilii et arbitrii in voce quæ
secondo intellectus et conceptus res explicantes dicuntur. Sici nterpreteris
quæ ex Arift. adducuntur que scribuntur sunt lignaeorü, quæ in voce i.explicant
cum voces defuerint ea, quem ex plicantur per voces, quarum uice fungitur immediateer
go uoces sed non tanquam ultimum et extremum, quod mo, uocum finem declarans Arist.
ait: quoniam res addil serendum afferre non poffumus, utimur nominibus loco
rerum ad explicationem ergo rerum, consideration uocum referturnon conceptuum, ut
fine mulcimum. Amplius. Idem opus exercetcumeo, cuiusuicemgerit, utdeconsu
metaph. Ratio illiusrei, cuius nomen est SIGNUM, definition eft uox igitur rei per
definitionem explicatæ, SIGNUM dicetur. Item teftimonio fenfuum confirmatur:quorum
clara& certaiudiciasunt, eorumquærationeetiamiudis cantur.Ad quidenimtam diu
expectamus, flagitamusuo le, rege et pro-consule, siue proregein vollendiscontro
uersiis perspicuum est. Scripta autem vocum uicem exercent. Idem ergoextremum significatum
habebunt. explicationem, scilicet, conceptarum rerum. Amplius literarum inventor,
ad rerum explicationem direxit et Auer. Ait scri cum interpretationem: nisi ueri
inuenié di gratia in rebus, pturas SIGNIficare uerba, id est fine medio et
SIGNIficata uer quas cognoscere cireftatuimus I denim uolumus et borum cum forte
uoces defuerint, hæc dequestionibus ardemus defiderio tang extremum. Ad hæc.fi conceptus
sunt inftrumenta ipsa rumuocum ut ad rerum notitian mediis conceptibus ducant nó
igitur ultimum et extremum que verum adbucest. SIGNUM autem huius est, hır coce
e ruus enim aliquid SIGNIficat, sed non dumuerum aliquid, vel falsum, fi non uelese,
uel non esse addatur, uclfine pliciter, uel fecundum tempus. Est autem quem admodum
in anima aliquando quidem o falsum. Nomina quidem igitur ipsa Q verba consimi
liafuntei intelligentiæque est sine composition neo diuie suimus et rationibu sacsensibus,
rationem confirmatibus fone, ut “HOMO” uel “ALBUM”, quando non aliquid additur:
nes approbauimus. Pugnabis poftremo, fi uoces, mediis con queenim falsum, nequeuerumadhuc
est. SIGNUM autem ceptibus explicationem rerum efficiunt: cum immediate bus
ueritas et falfitas inuenitur, hæc autem conceptus sunt, non res ipsę. respondeasuerum
et falsum in conceptibus, ut in rerum similitudine inueniri: quæadipfarumuerará
rerum cognitionem refertur uerum in rebus est, ut in causa. In poft prædicamentis
cap.de priori et in fine huius primi libri itap attributiue. i. per attributionem
et collationem ad res, veritas in conceptibus erit: uere autem, ut in causa, in
rebus. Dices propter quod unum quod am tale et illudma césrefertur, ueascia admanus
artificum: quod suprapor SIGNIficatum non ab organo sumi oportere: sed ultimo
explicare conftituunt. nam quod uicem alterius perficit, dum uerum aliquid uel falfum;
si non uel esse uel non effe fatis, ac principale SIGNIficatum vocum dicentur.
Etfiobiicietati quidem intellectus fincuero, uel falso, aliquando autem cuiiam
quis Arift. textum, quem retulimus voces PRIMUM SIGNIFICARE CONCEPTUS intelligas
fine medio alio. non tamen,ut necessees thorum alterum in effe, fic etiam in uoce.
Circa compositionem n. o divisionem, eft uerum,o falfum. No ultimum &
extremum SIGNIficatun. Nam uoces dicuntur SIGNIficare conceptus, ut rerii sunt
similitudines ut ab ipsis rebus conceptus uenisse ad intelletum dicamus, quas
novissime, ut finem et ultimum intermedias conceptibus per voces clariores
NOSCAMUS. Nec secundum eorum argumentum concludet. Voces ea in primis ut finem SIGNIficare
in quis mina igitur ipsa et verba consimilia sunt ei, qui fine comegis. Si ergo
voces mediis conceptibus explicantres, igitur uoces magis et inprimis conceptus,
q res ipsa saperient. Dic Aristoteles locum ualere in causa principe. i. principali
non iuuante tanquam instrumento, quomodo conceptus a duo intellecus et cogitation
fine vero uel falso, aliquando autem cuiiam necesse est alterum horum ineses, ic,
etiam inuos ce. Circa compositionem enim et divisionem estuerum conceptus, ut accidentia
denotent, nunquam substantiam explicabunt. Paucis, ut supra, respondeas, tocum
propria addatur, uel simpliciter uel secundum tempus et extremo fine intent. Quod
quandoq substantia quando g accidens appellatur. Huic veritati Alexander et
Themistius ascribunt, etc. Ammonius non dissentit. Secundo quæs ritur, an scripturæ
siue quæ scribuntur, tanquam ultimum Magentinus hunc in modum Aristotelis textum
cum præce denticonne et tit.cum duo sint investigata. Primiiquonam modo nominis
et uerbi SIGNIfication intelligenda ellerutrum TEX. BOETHII. Est autem, quem ad
modum in anima, aliquando positione, divisione est, intellectui. Ut “HOMO”, uel,
“ALBUM”, quando non aliquid additur, neque enim falsum. Ne huius est, quia
“hircocervus” aliquid significat sed none E hæc duo fineab
Aristotele, posita, causam et finem curitapo ratiocinatur. Quem ad modum in anima
intelle usquando fuerit, non declarant:ut.l. quid nominis partium definir
tionis nominis et uerbiorationis, enunciatiuæ tang præs cognitions ponag ntur. Alterum
etiam secondo dicúrey fello. Non et enim video ubi investigauerit Aristotele
inquibus verum et falsum inveniretur. Quod nucquog inueftigare constituat. Item
pugnantiacum Ammon. dicit. aitenim in anima eft quando querum aut falfum et ita
probatio Ammonius per hæc utilitate in ad institutæ commentatio, esset
minorisibi. Circaca in positionem. n.intellectus et di nis propositum tradi cum.
C. verum et falsum sit in mentis uifione meftuerum aut falfum conclufio ut claratuncre
concepribus et uocibus ut SIGNIficantibus et quodnumcdo linqueretur ergo itaerit
in uoce sed uere arguit ex hypo cet philosophus non in his simplicibus sed compofitisue
theli, non potential cathegorico syllogism nam cumpos rum et falsum spectari non
nominibus nisi ut peroratio fitionem quodammodo ignotam manifestet, non syllogir
n e m enunciatiuam a firmativam coniunctis, vel per negativam divisis, ita gnó in
quit hæc quæ diximus Aristotele docuif m o arguit. Ex quo aliud ignotum natura
concluditur, sed ex hypothesi, ut diximus et infradicemus. Prætere aut Commen
et Ammonius asserunt ibi circa compofitionem enim & diuisionem non minorem sed
approbationem unius partis antecedentis apponit. Aliquádo intellectus cumuero et
falso fit SIGNUM est particula enim quæcau sam propositi denotat, scilicet quia
verum et falsum sunt circa compositionem, id est affirmatione, quaaliquid cum
falsum in compositione et divisione sequuntur intentiones se: sed nunc docere
et in conceptibus et vocibus ut SIGNI? SIGNIficatiuis, falsum & uerum spe
et ari,dum coniunguntur aut diuiduntur non persesumptis. Addeex Amm.hæc Aris. Nunc
docere ut alteram orationis parte mante cognoscat. Dices pro Magentino illa quæ
dixit, ab Amm.ferem aduer bum superiori textu sumpfife cuminquit cumhæcitaq
percaquæ nunc dicunturtradentur. Iuocesesse SIGNIficati was rerum mediis
conceptibus tum uel maxime quibus in rebus quocunq fuerit modo ueritatem ac
falfitatem scruz tariconuenict C. inhoctex. Addés uero quem in textu supe
intellectus. i. sunt in anima, sexto metaph. Ergo eruntin riori confideret ait.
de quibus in præsentia nobis perpen uocibus seu uerbis significantibus ipsas conceptiones,
ut fioest. Utrumin rebus anmentis conceptibus, an uocibus, Comen. animaduertit.
Exhis declaratis etiam patet,q in aninquibufdam. harumduabus: anetiamin omnibus.
telle et usfitali quando finc uero aut falso, idq; tangexsuo fiin uocibus qualibus
his scilicet compofitis non nomine & uerbo et prædicamentis, ita incompositis
conceptibus qui causa funt locum, no per le in simplicibus nec compo! Fitis rebus)
Sed animaduerte quod dixerit nobis perpensio uisionez.i. line uero aut falso hæc
exemplo manifeftat subs inprçsentiaeft) quod tamen inferius considerabit. neg
dicitab Arifthæcquæ ipse perpendit, inveftigata nec'ait Inveftigasse Aristan SIGNIficatio
nominis et uerbis olī, pen deatexuocetantum, an ex intelligentia uel rebus: sed
quo cunq; fueritmodo, inhisueritas & falfita seft, ute xplicátis bus instrumétis
hac enim ratione res ipfa sabiecit adquas famen ut extremum et finemultimum explicandas,
uoces ter et non admittunt: ergo nec dequominus: nistuery et conceptiones animæ
referuntur, q siquispiamhęcquæ bum effe affirmatum, aut non effe negatum addatur.
fim eft fine uero aut falso, quando cuihorum alteruminesse necesse eft, ita et
in uoce: hoc totum eft propofitio maior, affumptio et minori bi.circa compofitionem
enim et diui rionemestuerum et falsum et non circa simplicia, ita ergo erit in
voce. Sed contra: quiaminor hæc effe debuiflet: fed alio componi SIGNIficatur, aut
diuifioné, id est negationé, qua explicatur prçdicatum a subie&to disiúgi.
et uerum et opposite perspicuum utcorolarium et consfequens posuitcū ait. nomina
quidemigituripsa et uerba consimiliasuntei intelligentię fiue intellectuiquiestfine
compositione et di ftantię et accidétis: “HOMINIS”. C. et “ALBI” . utexhisomniaalia
prædicamenta intelligatur. quando. n. his non aliquid ads ditur, fcilicet uerbum
prædicatum “ALBUM” cum “HOMINE” suz biecto coniungens, neque falfum ne que uerum
adhuc eft. Hoc denominehyrcoceruimanifeftat, nanquehuiusinor di compofita
nomina uidentur uerum aut falsum admity exvocetanti: m, aut sola intelligentin,
an ex resolumuos ex Anmonio dicimus non probarit, inutrunq zfitdi&tum. Cesitemper
animi sensus rerum elle interpretes. Secundo inquibusuerum et falum inuenireiur
quòdnunequoß idoftendendti Arist. proponit. fedutrunchiltorum reiicio. non
eniin fupra inuestigauit. Sed pofuit, ut persenorum, AQUINAS dicitq postquam
tradiditordinem SIGNIficationis uocum, hic agitde diuersa uocum SIGNIficatione:
quarum quædam uerum & falfum SIGNIficant: quædam non. Sedli
cetuerumdicatur, ut de Ammonioreiulinius: tamenfine nomina et uerba SIGNIficatiua
efle, cx hoc peaquæsuntin cuius gratia ista ponantur,fubricuit: Licédumigiturcum
uocefunt SIGNA ET NOTAE SIGNIFICANTES PASSIONES nullomes diointerie et o, hisautem
mediis, tanquam ultimui, res explicare. prçterea non uideo ubi inuestigarit, an
nominis et uerb SIGNIgnificatio intelligenda esset ex uoce tantum, aut
intelligentia tantum, aut ex re solum: fed hoc posuit sunt uæ, quibus etiam differebantabaliis:
nuncuelleconstitue quidem ergoquę funt in uoce et c ut SIGNIficatio sumatur non
ex uoce tantum, nonintelligentia, fed arbitrio,cognitione, et CONSILIO et imponentium consensu, quem in uoce re feuante cognoscere
differétiam, qua oratio differtano mine et uerbo: et quaoratio enunciatiuaaboraroriis
poeticis optantibus et c.separatur et quoniamquępones reoportet et
antecognoscere, ut per senota, non isialiquo facili instrument innuidebent nullo
modo demonstrari. Propterea ex fimili seu hypothefi, &cóceflo, acpofitotery
expaétione et confilio reliquerunt acuoci per attributio né dederunt at nullamentio
eftfaéta de rebus, anabeasu mendaeflet SIGNIicatio nominis et uerbi quoniam maxiy
m u m esset ignorationis, ac inscitiæ in Arift. argumentum, firem tam
perspicuam, nec dubiain pro occulta quæliffet tiam definitionis partem et
differentiam manifeftat.cũ inz quit. esid. ubi, ',proenim Magentinus uertit. ut
causam hic assignareuelit ut Ammonius et Aquinus dixerút, acdubia. cuieniniuelrudi
dubium uideretur, nomen et uerbum quod ut organum & instrumentum SIGNIficant
a rebus, inftrumenti SIGNIficatiu et organi cognoscendi alte rum, SIGNIficationem
habere, cum tantü SIGNIficentur, & nul lomodo SIGNIficent ine SIGNIficare &
explicare ,utorgas num logicum uideantur? Item ea SIGNIficatioerat nomio nis et
uerbiponenda, quæ ut præcognitio partium definitionisadea cognoscendadirigeret hæcautem
eftuoxa de quo nunc differemus aitergo de antecedente syllogismi exposito ficutuelquem
admodu menim eft in anima intellectus cogitatio, intelligentia vóruceenim ifta SIGNIficat.)
aliquando quidemsine uero uel fallo: aliquandouer rocui necesse esthorum
alteruminesse. Ex hoc posito et notiori antecedente infert quodammodo ignotumin
choantibus consequens ficetiam in uoce ut SIGNIS ET NOTIS CONCPTVVM erit, aliquando
sine uero uel fallo ut in nominibus et uerbis, aliquando cuinecesseestiam horum
alterumin effe: ut in oratione enunciatiua, Suellaueroita pofitione SIGNIficans,non
res tantum SIGNIficata: a uoce ergo et intelligentia in voce relicta, Ctributa fiue
attributa SIGNIficatio nominis et uerbi pident, no ar ebus. Amplius: Suela nam
licet fupra male textum Arist. declararit Sucr sa, nun cueritatecoaaus idem
dicit quodnosin explicans do philofopho dicebamusp ofitisduabus partibus defini
tioniscómunibusnomini et uerbo et orationi enunciatis pliciter, efle, quamartemutexemplar,
adopuseffin latenus inc aliquiduocum: neceorum quæ in uoce, no ut
gendumexteriusafpicit, qopusexarte notioriinmates finis: cum conceptus prior fit
uoce et ueritate quem in uoce confiftit: non ut agens.quia res agens est, a qua
oratioues taut falsa vocatur sed non difficileest Amm. et Aquinas. sententiam
et opinionem, a Suessæ argumentis defendere. primum, absurdum affirmat. Conceptus
non tangformam SIGNIficant: qui in voce tang artificiali materia relinquuntur: quo
esseueriautfalliinuoce, cumnecaliquidfintvocum, nec cumuiuocessuntnotæ: Exhisrespondemus:
rationem eorum quæsuntin uoce: Peroenimabeocumsupra dixe ritArift. Eaquæfuntinuoce
etc.nonnifiarbitrium, et placitum, cogitatiointelligitur: ut ipse metcum locum
interpretans, opinatur: ergo conceptus est aliquid existens in voce, non utopus
naturaleest, sed arte.i. uoluntate: confi et um.
Itemipfeconfiteturuocemsignificatiuam,communeges nusnominisuerbi& orationisenunciatiuęuocari:nõuo
lessuntsimilitudinesrerum.Seddicessecundomenunc cé, utnaturaleopus. ergoutacognitione,
imaginatione pugnantiadicerecumhis, quæanteacontraAnimo.Boe uoluntaria effi&taeft:utsignumfitadaliudextraexplican
thium,& Scotum diximus: orationen dariinméte et no dum relatum: Et fecundodeanima
Averroes et Themist. tioremesseea, quæinuoceconfiftit. Diximusadhçcartis
fumentes ab Arift. asserunt: essentiamuocisinterpretatis inuentoribu sueliaminuentam
docentibus, ineodem no efle percussionem aeris anhelati, ad membrum quod cana
tioremesse artem, acconceptionescūuero& falsoinani dicitur, abexpulfioneanimæ
imaginatiuæ uoluntariæ: et ma, quam exterius opus effictum: ficinpropofito,excong
infraqinessendo uocem necesse est ut percutiens habeat ceptibus rationem coposuit,
notioribusapositione signifi animamimaginatiuam, tuoluntatem:effentiaergouol
catis:quiquodammodonotiores:utindu&ionesensata cispendet abipso conceptu et
placito reliéto a positione patet infraenim sectione quinta ex opposition maioriin
in uoce, tangforma et uox uropus naturæ interpretans mente, explicatitae! Tein uoce:
Item placitum eft caufa, a placito ab animaetiá,tangagente, depédet:nam secundo
de anima. percussiorespiratiaerisad uocala arteriam ab anima quæinhispartibus uoxeftutefficien
tecausa hinc Cómen. Inprincipiocómentiait oportet igiturut percussioaerisanhelati
ab anima, queestisismé præcognitionem partistertię definitionisratiocinatur:no
brisadcannam, fitillud quodfacituoc a et inmediocom igitur demonftrationem
effect quæadnaturaliterignos menti primum enim mouensinuoce,estanima,imagina
tiua et concupiscibilis et ideouox eftsonusilliusprimi uolentis & mouentis.
Etq etiamdicipofsitquodammo dofinisuocum, perspicuum est ex his,quæ fupradocuio
mus: fine muocum effè eriam res conceptas: namorgal na ad eorum opera, tang
finem & ultima, diriguntur.pris mo topic..cumnonpropterse, sedpropteralterum
exo petantur:sed uoces SIGNA sunt ET NOTAE CONCEPTUUM adquos
explicandosreferimus: finesergomedii,licetnon ultimi tumdir igitur. Secundo post.primo.
necillam utperitus ad rem per se nota efficere potuit. ne ipse suampręcogni
tionum artem confirmaturus experiment contrarioinfir maret. Itidemminimeconsecurionem
ualeredicimus:ra tio ex caufis eft notioribus, ergodemóftrationempropter quid
aut simpliciter constituereaffirmabitur.quoniam alte rum& pręcipuum demonftratiodi
&arequirit.utadigno tum naturaliter dirigatur, non ad pręcognitionem ponendam,
utpersenotam:nam primopofte veręetiàdefis uocabuntur:Exhisfacileeiusrationibus respondemus.
nitiones, quidtantum nominis non ueræ definition suim haberedicunturab Auer. utpræcognitionessunt:ita
et fi hæc præcognitio ex caufamonftretur, nonutdemonstras tiua, fedutexfimiliaccepta,
et uisa, et alibideclarata; pros ptereatopica potius, quàmdemonftransuocanda:noto
pica,o fitdubia, autfalfa,immouera, sed hic accepta alig biuisa philosopho et hic
posita, utc redita:dequo latius ressecundum feeffedicantur, nótamenapudeosquicon
ceprus et res conceptas ignorant: adquarumexplication nem, utultimum, referuntur.
Adtertiamdeagentedico: inquit exAmmonioait. Primo quiahæcconfi& anomina rem,
agensremotumuocari: aquo intellecus phantasticus falsum significare uidentur: ut.
Aquinas ait. Sedcótra.quia fimilitudiné abftrahit: sedanima,utnaturaagens,uocem
ab Aristotele dicitur sed non dum uerum aut falsum signifi interpretantem tang operationem
propria mefficit, &lo cant. Nifi effe aut non effe addatur: ergoutrunque signis
gicotradit: cuilogicusproprium considerandi modum ficareuidentur. Item causa assignandafuiffet,
curexem attribuens,utinftrumentum significandi & explicandicon
pliscöpositis (que uerum dignificare potius etiá uidentur) Ad primam,utpatet,
intelligentia, inuoceartecong fi et tareli&ta,eft,utaliquiduocis.i.forma. Ad
secundam Q non fitfinis,nonualet,idpriuseft,ergonon finis:Deus enim eftpriormotu&creatura,quæad
Deicognitionem deducunt, ut signa et effe&taadsuumfinemcognoscenda
directa:fimiliterdicaturdeuocibus, & ficóceptusprio riaexternareli&um: manifeftum
eft argumentum qdixit Arist. bon uoces: sedeaquæsuntinuoce, suntsignapass
fionum et conceptuum,utnaturaliumsimulacrorum et res rum fimilitudinum. i.cóceptusapositione,(utratio)signi
exfimilinotiori, et fuperiusab Arif. pofito, exlibrisdeani maprocessisle:
ficutinanima eftaliquandointelle us fineueroautfalso, aliquandocum horum
altero: ita& in uoce: et de uero et falso loquitur utAlex. et Ammo.ac cæteriboni expositoresaffirmant)orationisenunciatiuæ,
et denominibusfignificantibusaplacito,nonutnaturas quamobremuoces significant cúfiuntnotæ.
Necproptes reao conceptusutcaufedicuntur.quosnomina et uoces tanquam SIGNA et effetusimitantur, afferendúeftArif.des
monftrantem rationem efficere: namhich ypotheticè ad Deoda nieprimotopic. dicemus.
Quæruntcur Arift.fis &aprotulitexemplapotiusquàmuera.Sueflasumens ut
pliciter, quod præsentis efttemporis.aut secundum tome pus.i.præteritum&
futurumut Com. explicauit. De Am monii expositione dicemustunc,cumaddubiaresponden
bimus. Quæritprimú Suessa.qualisnam ratiocinatio Aris. fuerit(quéadmodum
inanima quandoq intelligétiafine ueroautfallo, quando quehorumalterumnecetle eft
in esse.respondet. Aquinas et Ammo. intex. præcedenti,nes liderat, accognoscit:
Respondendum ergoest uteftdig &um Arift. exhypothefileu positione,& ex fimili
notion riprocedere: quod quemadmodum particuladenotat. dum asimili: sed a causaquamimitatureffectus,
proceder re. nam Ammo. ait: circa enunciatiuam orationem quæ quæsupraetiam Aril.
poluit: namproptereauoxfignum exillorumcomplexuefficitur, uerum et falsum spectari.
¬aexterius explicansdicitur, qapositione et intellig ante voces quoq; hæccircaconceptuscósiderari.utqui
causæ uocuinlunt,aquibusconceptusfimplicesfineueris tate, & compofiticum
uero & falsodefignantur & declas tantur: Responsionem improbat Suelta: quia
conceptus non causaueriaut falliinuocetang formasunt:cumnuls duftioncperspicuum
eft ut Amnioniusanimaduertit no tioremartem Seddices ratione inaliniilieffe&
et tamex ignotis concludes re, nanieaexquibushic ratiocinatur, extertiodeanima infrasumuntur:
hæcautemtanquam ardua,& inchos antibus difficilia,utphilofophus,&
relinquendasupra nosmonuit: Satis huicrationi faciendum arbitror ex his,
gentiaatqzarbitriopendet:ineo presertimartific equivoces impofuit: uel ab impositis
et Gibi notis nominibus, regulas logicæ docet:in mente enim artificis&
docétis ing E ii quærimus, ad que causa hæc nondirigitur. Tertio dicit:
ut quçinintelle&usuntfolo.sednefcioquçueritasdicipót,
cuinihilextraresponderinre:cum infra& inpoftpredi camentisdicatur abeoq
resest, uelnoneftoratiodicitur uerauelf alla remota aūt causa et prima radice, ceterade
ftruinec effe eft. Item Aristotele de vocibus loquitur. Propterea mihi hoc libet
dicere. Hac de causa fiais exemplissuasen tentianicomproballe,o fi&aamer a positione
significant: & ideo magisobuia& perspicuaacconsuetafuntadexpli candum: ut
quod ámodonotiora, ut magisuulgata, exars omnemueritatem haberiin compofitione&
diuisione.ne excludatur ueritas apud Platonem in intelligibilibus,& in
telligentiisfiuemenubus,& apudArift.desimpliciuming telligentia et abstractis:
fedeam que in pronunciatiuissubs est motibus, scilicet cum discursu: seu ratiocinatione:
quæ perenunciatiuam fitorationem.&inniotibuspronuna ciatiuis,non invoce
solum (intelligas) exiftentibus:fices nimtextui Arift.&
eiusdillisaduersantiadiceret.sedetia ne&diuifionefalsum & uerumremouerineceffeeft:pro
ptereaergodixit, (circacompositionem at causam noia ret: sed ad nomina in uoce
descendens ait non significare uerum, aut falsum: significare enim proprium
eftnomi num, quæinuocea compositione significanteconfiftunt. PetitAmmonius
quomodo uerum fit, circacomposicios innueretueritatem non in rebusreperiri:fedinhisetiam,
nem et divisionenelle uerum et falsum. Responder non nonutitur: ficut utiturhis,
quæ falsum significare maxime affirmantur. fecundam causam adducit: utinnueret,
non solum nomina simplicia ad ueritatem explicanda indiges reuerbo sed etiam
ipsa composite. Sed idem est dicendum de nominibus compositis ueris, nosautem de
fictis proprie non bitrio plurimorum: exhistamenfi&lisnominibus, aliaue
ca intelligendasunt. exempla autem innotescendi gratia inuenta, exuulgatis&
consuetistr ad endafunt et lificadi cantur: quibustaméuerum facilius inueniamus,
autinuen tum facilius doceamus: Petit Suella cur Aristotele.dixerit conpositionem
significare cum uero et falso, non autem significare uerum aut falsum i
respondet, hoc differreinter significare uerum et significare cum uero:quias
ignificare ueru potest uere in nomine simplici inueniri:u.g.hoc nomen uerum aut
fallum, simplex verum significat.i. se ipsum: sed significare cum uero, eftfignificare
cum uerbi complexu ut de uerbo dicetur, significare cum tempore, notempus: ut dies
et annus sedlicethęc dubitatione relinquenda foret, cum id quærat, quodin Arift.textunoneft:tamenneaus
inmotibus pronunciatiuis, ideftquicaufafuntutper enung ciatiuam orationem pronuncientur,ueritasergoquacon
ditorum ingenia, obuiriau&oritatem fallantur, ponere& cipitur,aut
enunciatur aliquid ineffc alicui,folum circa con pofitionem &
diuifionemeft,utspeciesorationisenuncia tiuæ.dixieam ueritatem
circacompofitionem elle,quæ concipiturinmente, uelexplicaturinuoce,&
quaprædiy catuminesse subiectoaffirmatur:quoniam primotopic.4, loca accidentis
propriè dicuntur,quibus potentes fumus concludere hæc alteriineile:& ideo locaeducentia
uerum enunciative propofitionis dicuntur loca accidentis et veritatis qua aliquid
alicui in esse concipitur vel explicatur:Sci scitatursecüdo Ammonius cur
Aristotele dicens nomina igitur et uerba consimiliaíunteiqui sine compositione
et divisione est intelleclui exempla protulittantum nommun, non uerborum
dicens, ut “homo” vel “album”. Respondet per hominem nomen: per “album” verbum fumpfiffe:
non eata meninquitratione, qua verbum proprie inferius definitur. Sed quia
Aristotele statuit, omnemvuocem quæt erminum prædicatum facit, verbum appellanda.
Sed responsio hęc improbandauidetur: primum q Arift.nondieetinfraprę
refellereconstitui:non.n.Aristotele dicit compositionem cum uero aut falso significare:
sed ait circa. n. compositionem et divisionem elle veritatem et falsitatem. Item
de “hircoscervi” nomine afferuit. “Chircocervus” aliquid SIGNIficat, sed non dum
uerum aut falsum de nominibu sergoopposiy dicatumu erbum appellandum fore: quod
fictiam dices tum dicit eiquod Suellafingebat: nomina non significare ret, exemplum
albiquod posueratantea, adexplicandum uerum aut falsum, sed significare sine vero
aut salso: Eiusery uere uerbum, inutile videretur:Aliter igitur responden, gore
sponfioin textu Aristotele.infirmatur, cum denominibus dum. His exemplis dicta inchoantibus
comprobandaque compositis neget significare verum aut fallum: differentia etiam
abeo assignatauerbis Aristotele, adversatur Ampliu snec potuisset Aristotele dicere,
compositionem et diuisionem verum significare, na in compositio.i.affirmatio et
divisio.i.negay cumuerbonominibus:tamenutnotaprædicatumcuin ciosumerenturinuoce
quo infrade oratione enunciatiua dubieto connectens, dubiumfaciunt, anuerum &
failum dicetur. Litoratio significans verum vel falsum, &inqua fignificent,
signum est. Ammoniusetiam tanquam duy eftuerum& falfumutinfigno externo significante:nam
oratio in mente, non significate positione, ut hic intelli, bium quærit de uerbis
primæ et secundæ personæ “ambulO”, “ambulaAS” et in quibus tertia persona et certas
statuitur. Git SIGNUM est opde nominibus fimplicibu s& compofitis, line uerbo,
intulit dicens nomina igitur ipsa auteur bacó similia sunt fine compositione et
divisione intellecus. lt homo et album hircocervus quæ et si aliquid simplex significent,
non dum tamen uerum aut falsum hæc autem nomini in voce sunt, noninmente:
quiafiutinmēte essent, ut ningit. quæ veritatis et falsitatis videntur capacia.
Licet nonperfe, fedcomplexuhorumuerborum cũcertispery fonis.nonitadubium eft de
nominibus, dequibusinse acceptishæstat nemo, an veritatem significant aut falsitatem:
Quærit nouissime Ammonius quid intellexerit Aristotele. Per simpliciter, uel secundum
tempus cum ait. (hircocery considerentur, non dicerenturno significare uerum aut
falsum et q effent fimilia intellectui fine compositione& diy uifione: quiaessentipseintelle&us,seuintelligentiafineue
roautfallo: Dicendum igiturin questionem potiusuerten dumcurdixerit.(circac
compositionem.et divisionem, ut inmentesunt, est verum et falsumj denominibus autem
in uocecorolarieinferens,ait:(fineuerbonondum uerum uusenim
aliquidsignificat:fednondum uerumaliquid autfalsum, finon, ueleffeuelnonesseaddatur,uelfimpli
citeruel secundum tempus. respondet sermonem Arif. ad eadem referens verba, inquiens:
nifi effe addatur fimplicis ter,ideftnisi effe addaturindefinite et
indeterminate significans: ut “Fuit hircocervus” est, auterit. Non definiens, ac
determinansan hodie, sero, anmane, perendie etc. vel aut falsum significare. Ad
quod respondendum, quod fecundum tempus, ideftnifiaddatur cum aliqua determis
propterea vox quando eftfineuero&fallo, quandoque natione tempori addita præsenti,
præterito, uel futuro, cum his, quia circa compofitionem et divifionem intelle,
sciliceterat,eft,erit,herianno superiori, hodie uel cras, & us eftuerum
& falfum:ex quo intulit de nominibus in autsuccessiuotempore.quam
tamenexplicationemaci uoce, gfintfine uero, X fallo ex eadem causa, pfimiliasing
intellectui fine compofitione et divisione: circa quæuerum cipiens Magentinus uel
in latinum vertens non intellexit: cumpereffef smpliciter et omnino, in, finitoacdetermi
& falsum uersatur, ut caulam, quaposita, uerum aut falsum i ponitur. &
hac remota (ut in nominibus fineaddito uery natotemporeintelligat. Ad tempus uero
et in tempore infinito. tragelaphuserat, uel erit, hęc.n.infinitafunt: fed
bouidetur, quæ fimiliasuntintelligentięfinecompositio eft presentist emporis, aitdefinitumelle:l
iceteft,utdeDeo facilius conftitutam sententiam approbant verba aute in ut dicetur
quandam compositionem significant, quam licet ex se non habeant, sed ex alio, ex
compositis, scilicet dicitur infinitum significet: Idem Deus, erat, et est,
sed in aliis rebus, tempore non definite uti murita. Hinc liquet, igitur erunt:
quæ et fiacu et explicite verbii, prædicatum et subiectum ut nomina non contineant,
illata men eximigit, ergo et hic per tempus dimpliciter, tempus præsens, 8C per
secundum tempus præteritum vel futurum: quæ pros ptereanuncupantur et lunt, quere
tempus prælensciry cunstant, iuxtas; ipsum ponuntur: propterea dixit, secun
significat, quemadmodum in oratione quaestequus ferus. Ofitis et precognitis partibus
definitionis nominis ac nunc ad definitione sponendas integras ac totas accedit:
sed Ammonius querit cur primo de nomine ade verbo definis dum tempus quod non simpliciter
et ina et ueft. Sed quod.tionem assignet? respondet, proptere a nomen uerbo esse
præteriit uel futurum est: solum præsens simpliciter et in actuest utre et te. Aquinas
exposuit. Nec Sueffe confutatio ualet et que liber differentia temporis est tempus
secundu quid: quoniam per aliquid ab aliis differentiis differt: quod autemper partem
est, fecundumquid, non simplicitertas antepositum, qnomen substantiả.i. naturam
et vim rerum significat: verbum vero a&ionematqz affetionem, quænel Cellario
naturam acuimmouentem supponit. contraarguit Sueffa. substantia non nisi per accidentia
cognoscitur, prius ergo verbum definiendumq nomen: Ad instantiam, Am Icesse dicetur:
primo clenchorum. Sedĝfalla hæc fit monius facile diceret substantiam cognoscifine
describir improbatio patet, quiaens, cumin substantiamens simplisciter diuidatur
& accidens, inaĉtum simpliciter, et potens tiam secundum quid, ne quaquam uere
divideretur: quia per aliquid differ substantia ab accidente et potentia ab
aétu, &fi proprie differentiam non habeant. Item ratiofal lit. lihęc species
per aliquam differentiam acuprecipue differt, rrgo per partem. Igitur secundum
quid. accidenti aut posteriora accidentia vero per substantias definiri, ut priores:
fic Aristotele primo naturam quam motum finiuit, aquamotus, ut perseprincipio, prouenit:
& materiam primo phy..g formam. phy. quæ a materia cuiu nitur&
datellelustentatur, Aliteripse respndet, proptere a nomen uerbo prætulisle,
onotius est. Et iterbi feconuenire Arist. affirmauit, sed enunciationitantu: erunt
igitur enunciationes, cum enunciationis proprium opusef signum. sed compositionem
acueritatem comsignificat quan fician. Suellanouariis Sorticularumdi et tis et
improbatis sententiis, hocuisum est: literas et nomina quo ad prima eorumimpo fitionem,
non significare nidi in complexum, nec cum uero et falso: sed quod quo ad nova impositio,
nem, significare possunt cum vero et falso: propter eaqapo in compositione
explicare fine additouer bonó possunt. Dis fitione sunt. Nung tamen erunt
propositiones aut enuncia cas Querbumetsi compositionem extremorum aétu non
tiones: propter eanóualereait, a, significat cum uero aut dicat, a et tionem tamen,
et affectionem significat, quæ causa fallo, ergo enunciation erit. Quoniáin quit
oportetinantes est, qpredicatum seu appositúsubie &ofiue suppositocon
cedenteaddere. significet ex prima impositione, nonau iungatur, uerbum ergo lempereftunio
comiungens apritu temex nova institutione. Sed contrahancadditam conditio
dinesaltem cum in propositione non est. Sedcunsecundum nem ex proprio arbitrio.
Enuciatio prima impositiones isse, acpurú accipitur: nomina uero sunt composita,
seu quæ significat propriecum vero et falso. Ego ubi est proprium apta sunt pera
& tumuerbi coniungi, proptere a nomina pen opus, necessario propriumerit instrumentum:
neq; enima denta verbo, quasi formauniéte et verbiianoíe quasimai nova aliqua
institutione propriú opus a proprio inftrosen teria, qunici habetp uerbum. Ut
materiaaŭt, tempore pre iungipoteft: proptereafi. a. b. c, etc. novis aut
antiquis concedit forma, & prius,utfacilius& ordinenecessitatisnos Giliis&pofitioneimpositasunt,
ad verum et falsum, seu ut menanteafiniendu. Verbum vero, quniéda funt,
prçsuppo ipfi volunt cum uero et falso significandum. enunciationes nés, posterius
ut ignotius et the posterius explicandú: quas quando secundū se,
acpurumdicetur. Ipsum.n.sic purumi nullüueritatis et compositionis, aqua verum
explicatur, est dam, nonperse, sed quam sine compofitis nominibus non est
intelligere. Gi ergo hac de causa nomem præponit verbo, q notitia verbi in
compositione verum explicantis, non pont, intelligi sine nominibus compositis.
Ita et nomina, uerum illud, quod Ammonius, tempus simpliciter &
omnino, ponentium CONSILIO coplcctuntur. Exemplo simili Amm sus ideftindetinite
et indeterminate significans, appellabat, Ma, gentinus dicit esse tempus
finitum et determinatum. Et parsticula, quam Ammo. adom né temporis
differentiam rer pra, cum dicimus "curro", "curris", nin
git, pluit, complexuhorūuer borum cúcertis intelle&is personis, cú vero et
fallof sgnificant. ferebar, Magentinus ad solum præsens direxit. falsum igir. Keywords: il vestigio
dell’angelo, Campidoglio Inv. # 334, donazione di papa Gregorio, logicalia,
interpretatio, interpretazione, logica, signum, segno, nota, notare, notante,
segnante, notificare, segnante, vestigio, il segno del’angelo, campidoglio, san
michele, vestigo, etym. dub. ves-stigium, foot-print. – segno naturale – segno,
genere e specie – genere: segno. Specie: segno naturale, vestigio, marca, nota..
segno artifiziae, segnar per posizione, arbitrio, a piacere, consilio. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Balduino” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Banfi – Eurialo
e Niso; ovvero, la tradizione vichiana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Vimercati).
Filosofo Italiano. Grice: “What I like about Banfi is that he is more
‘important’ than it seems, at least to Italians! He has written bunches, but my
favourite are two: his ‘l’interpretazione’ (Banfi makes a distinction between
‘esegesi,’ ‘interpretazione’ and ‘TEORIA dell’interpretazione,’ in a slightly
non-Griceian use of ‘teoria’ – and his essays on ‘eros e prassi,’ for indeed
the second strand (eros e prassi) is the base for the former (interpretazione):
unless you CARE, why interpret – which is indeed, a performance?!” -- Antonio
Banfi seenatore della Repubblica Italiana LegislatureI, II Gruppo parlamentareComunista
CircoscrizioneLombardia Dati generali Partito politicoPartito Comunista
Italiano Titolo di studioLaurea in Lettere UniversitàUniversità Humboldt di
Berlino ProfessioneDocente. torico della filosofia, traduttore, accademico e
politico italiano. Fu sostenitore di un razionalismo aperto e antidogmatico in
grado di attraversare i vari settori dell'animo umano. A lui è intitolato
il Liceo Scientifico con Sezione Classica Aggregata del suo comune natale,
Vimercate. Antonio Banfi nacque a Vimercate, in provincia di
Milano, in un ambiente familiare formatosi su principi cattolici e liberali
della borghesia colta lombarda, nella quale da generazioni combaciavano una
moderna e positiva idea del cattolicesimo e un razionale illuminismo
tecnico-scientifico. La ricca e vasta biblioteca in possesso della famiglia
diventò per il giovane grande stimolo di conoscenza nei suoi studi, quando da
Mantova, dove frequentava il Liceo Virgilio, ritornava a Vimercate, dove
assieme alla famiglia trascorreva le vacanze estive. Nel 1904 incominciò
a frequentare i corsi universitari alla facoltà di lettere della Regia
Accademia scientifico-letteraria di Milano e ottenne, dopo quattro anni, la
laurea con lode, discutendo (con il relatore Francesco Novati) una monografia
su Francesco da Barberino. Incominciò a insegnare all'Istituto
Cavalli-Conti di Milano e contemporaneamente proseguì con grande determinazione
gli studi di filosofia (con Giuseppe Zuccante per la storia della filosofia e
Piero Martinetti per la teoretica); il 29 gennaio 1910 prese la seconda laurea
in filosofia, discutendo con Martinetti una tesi intitolata "Saggi critici
della filosofia della contingenza", contenente tre monografie sul pensiero
di Boutroux, Renouvier e Bergson. Con la borsa di studio attribuita
dall'Istituto Franchetti di Mantova ai laureati meritevoli, Banfi decise di
andare in Germania e iscriversi, con il suo amico Confucio Cotti, alla facoltà
di filosofia della Friedrich Wilhelms Universität di Berlino, dove strinse
amicizia con il socialista Andrea Caffi. Nella primavera del 1911 ritornò in
Italia e partecipò a vari concorsi, ottenendo una supplenza di Filosofia prima
a Lanciano, in seguito a Urbino; per molti anni assunse diversi incarichi in
varie sedi scolastiche. Banfi conobbe una ragazza, la contessa Daria
Malaguzzi Valeri, con la quale dopo poco tempo, il 4 marzo 1916, si unì in
matrimonio civile nel municipio di Bologna. Durante la guerra, già riformato al
servizio di leva, si dedicò con senso di servizio e scrupolosa diligenza
all'insegnamento e, per la penuria di insegnanti richiamati al fronte, oltre
alla sua cattedra fu costretto a ricoprire altri incarichi; solo agli inizi
dell'ultimo anno venne aggregato come soldato semplice all'ufficio annonario
della Prefettura di Alessandria. Nei primi anni del dopoguerra Banfi, pur
non militando nel movimento socialista, assunse in modo molto deciso posizioni
di sinistra e partecipò, come iscritto alla Camera del Lavoro,
all'organizzazione della cultura popolare, diventando in poco tempo una delle
personalità più in vista del mondo culturale democratico alessandrino; venne
nominato anche direttore della biblioteca di Alessandria, da cui fu in seguito
allontanato dal nascente squadrismo fascista. Nel 1925 fu tra i firmatari del
Manifesto degli intellettuali antifascisti, redatto da Benedetto Croce. Nel
1931 Piero Martinetti, che era stato collocato a riposo d'autorità per aver
rifiutato di giurare fedeltà al fascismo, lo propose come suo successore per
l'insegnamento della Storia della Filosofia all'Università degli Studi di
Milano, dove, a partire dal 1941, fu maestro di Rossana Rossanda. Diresse
la rivista Studi filosofici, pubblicata dal 1940 al 1949. Nel secondo
dopoguerra, con le elezioni politiche del 1948, fu eletto per le liste del
Partito comunista,nel Senato della Repubblica. Il mandato fu confermato alle
successive elezioni del 1953. Il razionalismo critico Magnifying glass
icon mgx2.svg Problematicismo. Antonio Banfi può essere considerato il maestro
della corrente filosofica che in Italia si è denominata Razionalismo critico e
che ha avuto anche derivazioni significative nel campo della pedagogia
teoretica con il Problematicismo. In sostanza, usando il concetto kantiano di
ragione, Banfi la considera come la facoltà di un discernimento critico,
analitico, presupposto trascendentale che sistematizza l'esperienza, i dati
empirici, non pervenendo a dogmi o a sistemi di sapere chiusi e assoluti. Il
principio razionale permette di cogliere e comprendere la realtà nelle sue
complesse determinazioni: senza questo principio, che va assunto appunto come
trascendentale, la realtà sarebbe caotica e solo contingente ed esperienziale
oppure interpretata secondo la Metafisica o sistemi di pensiero chiusi e non
problematici come richiesto dalla scienza e in generale dalla complessa
dinamica del mondo umano e naturale. L'apertura della ragione è talmente ampia
che anche le filosofie assolutizzanti vengono poste come possibilità di verità,
seppur parziali ("È bene tener presente che il pensiero non pensa mai il
falso in modo assoluto"). La filosofia è lo strumento indispensabile per
l'analisi critica del reale, non deve tendere a un sapere assoluto, ma porsi il
tema privilegiato della coscienza, purché questa coscienza sia "coscienza
della relatività, della problematicità, della viva dialettica del reale".
Si sfugge al relativismo possibile seguendo le orme di Socrate: l'eticità prevale
quando, non potendo esistere se non come tendenza verità assoluta, le verità
relative sono assunte come problema, cioè come ricerca interrogante e
incessante fondante l'intero processo conoscitivo. Le conclusioni sono, come
nell'ambito scientifico (la scienza è lo strumento pragmatico della ragione, la
filosofia lo strumento teoretico) non false ma possibili, non solo provvisorie,
ma reali. Le categorie che Banfi propone per sintetizzare la sua proposta
filosofica, sono quelle di "sistematica" del sapere, fondata su un
significato antidogmatico della ragione, una "sistematica" aperta per
il rinnovamento critico di tutte le strutture razionali e di un umanesimo
nuovo, radicale, che ponga l'uomo al centro dell'indagine razionale e nella sua
realtà storico-effettuale, che forma la sua coscienza concreta nel mondo reale:
dunque critica alla metafisica ma necessità della filosofia, il sapere
costruttivo garanzia di libertà e concretezza. Il confronto che Banfi predilige
è con gli indirizzi filosofici della prima metà del Novecento, in particolare
la Fenomenologia, il neokantismo di Marburgo, il neopositivismo,
l'Esistenzialismo, ma negli ultimi anni orienta sempre più il suo interesse al
Marxismo, di cui condivide gli assunti fondamentali leggendoli alla luce del
suo razionalismo critico, come si evince dalla raccolta postuma Saggi sul
marxismo editi nel 1960. Archivio Si segnalano tre fondi archivistici del
pensatore: "Fondo Antonio Banfi" presso la Biblioteca Panizzi
di Reggio Emilia. L'archivio, insieme con la biblioteca personale di Banfi,
dopo la morte del pensatore venne donato alla provincia di Reggio Emilia
insieme con la costituzione del "Centro studi Antonio Banfi”. In seguito,
il Centro si trasformerà in "Istituto Banfi", con sede a Reggio
Emilia. Nel, l’archivio e la biblioteca personale del filosofo sono stati
depositati alla Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, a seguito di un accordo
tra Soprintendenza Archivistica per l’Emilia-Romagna, Comune e Provincia di
Reggio Emilia. La biblioteca conserva anche l'archivio di Daria Malaguzzi
Valeri e l’archivio delle carte di Clelia Abate, segretaria del Fronte della
Cultura e allieva di Banfi. Archivio "Antonio Banfi e Daria Malaguzzi
Valeri" presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di
Milano. Il fondo archivistico contiene diverse centinaia di documenti
conservati da Daria Malaguzzi Valeri, moglie del filosofo, e da lei usati nella
stesura del libro Umanità, pubblicato nel 1967 per le Edizioni Franco di Reggio
Emilia. I documenti del fondo coprono l'intero arco di vita di Antonio Banfi ma
risultano particolarmente ben rappresentati gli anni giovanili; da segnalare
soprattutto il ricco epistolario con la futura moglie, riferito e la
corrispondenza con Piero Martinetti, durante la sua docenza presso la Regia
Accademia Filosofico Letteraria di Milano e poi dal suo ritiro di Spineto.
"Archivio privato familiare Antonio Banfi" conservato presso
l'Università degli studi dell'Insubria. Centro Internazionale Insubrico Carlo
Cattaneo e Giulio Preti, riunisce migliaia di lettere, biglietti, cartoline
postali, plichi e buste, conservati in 33 raccoglitori a loro volta inseriti in
15 buste, per una consistenza di circa 1,5 mi. Gran parte dell'archivio è
costituito dal carteggio tra Antonio Banfi e Daria Malaguzzi Valeri,
sposatisi Il rapporto epistolare con la
moglie, infatti, non si limitò alla sfera affettiva e familiare, ma affronta
spesso tematiche filosofiche (ad esempio, la frequentazione di G. Simmel durante
il giovanile soggiorno a Berlino, nel 1909-1911, o la ricezione dell'opera e la
personale conoscenza di E. Husserl) e di attualità, nella concretezza dei
riferimenti a eventi e circostanze del presente e ai rapporti sociali coltivati
da Banfi come pensatore, studioso, organizzatore culturale e uomo politico. Altre
opere: “La filosofia e la vita spirituale” – lo spirito, l’animo, vita, animo
vitale – (Milano, Isis); “Principi di una teoria della ragione” (Firenze, la
Nuova Italia); “Pestalozzi, Firenze, Vallecchi); “Vita di Galileo Galilei”
(Lanciano, R. Carabba); “Sommario di storia della pedagogia” (Milano, A.
Mondadori); “I classici della pedagogia: Rousseau, Pestalozzi, Capponi,
Gabelli, Gentile” (Milano, Mondadori); “Studi filosofici: rivista trimestrale
di filosofia contemporanea” (Milano); “Saggio sul diritto e sullo Stato, Roma,
Rivista internazionale di filosofia del diritto); “Per un razionalismo critico,
Como, Marzorati); “Lezioni di estetica raccolte Maria Antonietta Fraschini e
Ida Vergani, Milano, Istit. Edit. Cisalpino); “Vita dell'arte, Milano,
Minuziano); “Galileo Galilei” (Milano, Ambrosiana); “L'uomo copernicano,
Milano, A. Mondadori); “La crisi dell'uso dogmatico della ragione, Milano,
Bocca);:La filosofia del settecento, Milano, La Goliardica); “La filosofia
critica di Kant” (Milano, La Goliardica); “La filosofia degli ultimi
cinquant'anni, Milano, La Goliardica); “La ricerca della realtà” (Firenze,
Sansoni); “Saggi sul marxismo, Roma, Editori Riuniti); “Filosofia dell'arte”
(Roma, Editori Riuniti). Note
"Perciò appunto non ho dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto
che fossi tu a succedermi, In questo senso ho scritto, richiesto da Castiglioni
stesso, che ora è preside, a Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la
facoltà ad accaparrarsi te per la F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria]
d.[ella] F.[ilosofia]"; Lettera n. 108 Piero Martinetti a Adelchi
Baratono, 21 dicembre 1931, in Piero Martinetti Lettere, Firenze,, Rossanda, Rossana, La ragazza del secolo
scorso, Torino, Einaudi, Vedi scheda del Senato della RepubblicaI
Legislatura. Vedi scheda del Senato
della RepubblicaII Legislatura. Cit. in
"Il marxismo e la libertà di pensiero", "Saggi sul
marxismo", Editori Riuniti, 1960, pag.152
A.Banfi, La mia prospettiva filosofica, in La ricerca della realtà,
Fondo Banfi Antonio, su SIUSA Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. 3 dicembre.
Centro Internazionale Insubrico Carlo Cattaneo e Giulio Preti per la
filosofia, l'epistemologia, le scienze cognitive e la scienza delle scienze
tecniche, su dicom.uninsubria. 3 dicembre.
G. M. Bertin, Banfi, Padova, MILANI, 1943 E. Garin, Cronache di
filosofia italiana (1900), Bari, Laterza,Bertin, L'idea di ragione e il
pensiero etico-pedagogico di Antonio Banfi, Roma, Armando, Papi, Il pensiero di
Antonio Banfi, Parenti, Firenze 1961. F. Papi, Banfi Antonio, in Dizionario
Biografico degli Italiani, Treccani. A.
Erbetta, L'umanesimo critico di Antonio Banfi, Milano, Marzorati, 1978. Antonio
Banfi tre generazioni dopo. Atti del convegno della Fondazione Corrente,
Milano, Il Saggiatore, Milano 1980. Roselina Salemi, banfiana, Parma, Pratiche, 1982. G.
Scaramuzza, Antonio Banfi. La ragione e l'estetico, Padova, Cleup, 1984 Luciano
Eletti, Il problema della persona in Antonio Banfi, La Nuova Italia, Firenze, Centenario
della nascita di Antonio Banfi, Reggio Emilia, Istituto Banfi, 1986. Livio
Sichirollo, Attualità di Banfi, Urbino, QuattroVenti, 1986. Francesco Luciani,
Incontro con Banfi, Cosenza, Presenze Editrice, Neri, Crisi e costruzione della
storia. Sviluppi del pensiero di Antonio Banfi, Napoli, Bibliopolis, Papi, Vita
e filosofia. La scuola di Milano: Banfi, Cantoni, Paci, Preti, Milano,
Guerrini, 1990 Paolo Valore, Trascendentale e idea di ragione. Studi sulla
fenomenologia banfiana, Firenze, La Nuova Italia, Scaramuzza, Crisi come
rinnovamento. Scritti sull'estetica della scuola di Milano, Milano, Unicopli,
Luciani, Polemiche della ragione. Gramsci, Banfi, Della Volpe, Cosenza, Arti
Grafiche Barbieri, 2002. Giovambattista Trebisacce, Antonio Banfi e la
pedagogia, Cosenza, Jonia editrice, Papi, Antonio Banfi e la pedagogia,
Cosenza, Jonia editrice, Chiodo G. Scaramuzza (a cura), Ad Antonio Banfi
cinquant'anni dopo, Milano, Unicopli, 2007. A. Vigorelli, La nostra
inquetudine. Martinetti, Banfi, Rebora, Cantoni, Paci, De Martino, Rensi,
Untersteiner, Dal Pra, Segre, Capitini, Milano, B. Mondadori, Giovambattista
Trebisacce, La pedagogia tra razionalismo critico e marxismo, Roma, Anicia,
2008. D. Assael, Alle origini della scuola di Milano. Martinetti, Barié, Banfi,
Milano, Guerrini, Sacaramuzza, Estetica come filosofia della musica nella
scuola di Milano, Milano, CUEM, Miele, Antonio Banfi Enzo Paci. Crisi, eros,
prassi, Milano, Mimesis,. M. Gisondi, Una fede filosofica. Antonio Banfi negli
anni della sua formazione, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura,. A. Crisanti,
Banfi a Milano. L'università, l'editoria, il partito, Milano, Unicopli,. Maria Corti Antonia Pozzi Luciano Anceschi
Rossana Rossanda Pietro Bucalossi Piero Martinetti Scuola di Milano Altri
progetti Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene immagini o
altri file su Antonio Banfi Antonio
Banfi, in Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Antonio Banfi, su
siusa.archivi.beniculturali, Sistema Informativo Unificato per le
Soprintendenze Archivistiche. Antonio
Banfi, su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana. Opere di Antonio Banfi, su openMLOL, Horizons
Unlimited srl. Opere di Antonio Banfi. Antonio Banfi / Antonio Banfi (altra
versione), su senato, Senato della Repubblica.
La morte a Milano del sen. Antonio Banfi articolo del quotidiano La
Stampa, Archivio storico. Massimo Ferrari, Piero Martinetti e Antonio Banfi, in
Il contributo italiano alla storia del Pensiero: Filosofia, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Marcello Gisondi, La formazione intellettuale e
politica di Antonio Banfi. Tesi di dottorato discussa presso l’Università
Federico II di Napoli (a.a. /) "Antonio Banfi a Milano", sito della
mostra allestita dal 22 maggio al 13 giugno
presso la Biblioteca di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano Filosofia
Università Università Filosofo del XX
secoloStorici della filosofia italianiTraduttori italiani Vimercate
MilanoAccademici italiani del XX secolo Direttori di periodici italianiPolitici
italiani del XX secolo Professori dell'Università degli Studi di Milano Antifascisti
italiani Senatori della I legislatura della Repubblica Italiana Senatori della
II legislatura della Repubblica ItalianaStudenti dell'Università Humboldt di
BerlinoTraduttori all'italianoTraduttori dal franceseTraduttori dal greco
all'italianoTraduttori dall'inglese all'italianoTraduttori dal latinoTraduttori
dal tedesco all'italiano. Antonio Banfi. Keywords. Eurialo e Niso; ovvero, la
tradizione vichiana; banfi — spirito vitale — storiografia filosofica —
istituto di storia della filosofia — ragione e conversazione — criticismo —
conversazione con hegel — personalismo — l’interpersonale — sovranità — lo
stato italiano — lo stoicismo romano — enea e marc’aurelio — acerrima indago —
diritto criminale — kantismo —Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Banfi” – The
Swimming-Pool Library.
Grice e Baratono –
stilistica – filosofia italiana – Luigi Speranza (Firenze). Filosofo. Grice:
“I like Baratono – especially his ‘stilistica italiana’ – if I were to offer an
English stylistics I would not count as a philosopher – but that’s because
‘English’ is spoken by more than Englishmen, while Italian ain’t!” Grice:
“Baratono thinks he is a sensist alla ‘Giovanni Locke,’ which he possibly is.” Grice:
“In the typical Italian way, instead of focusing on the classics – Roman
philosophy – he read sociology and psychology and came up, in a typically
Italian way, with a ‘sintessi,’ ‘la psicologia del popolo’ alla Wundt.” Grice:
“If Austin punned on sense and sensibility – Baratono takes ‘sensibilia’ VERY
sensibly – as the basis for ‘aesthetics,’ seeing that ‘aesthetikos’ IS
Ciceronian for ‘sensibile’.” – Grice: “Baratono is Griceian in his search for
what he calls the ‘elementary’ – he applies ‘elementary’ to ‘fatto psichico’:
judicativo e volitivo – both based on the ‘sensibile’ – or rather on
probability and desirability – credibility and desirability --. His use of
‘sense’ does not quite fit the Oxonian ‘sense datum,’ since the will is
involved in the sensibile – or, in his wording, it is the anima (or psyche)
that searches for the corpus -- -- The compound is something like the
hylemorphism – the form is sensible – and the volitive (prattica) and
judicative (teoretica) components of the soul operate on this.” -- Fra i maggiori esponenti del Partito
Socialista Italiano nel periodo fra le due guerre. Vive sin dalla giovinezza a Genova, dove
compie i suoi studi. Si laurea in filosofia. Insegna a Genova, Savona,
Cagliari, Milano. Baratono si iscrive al
PSI subito dopo la fondazione e viene eletto consigliere comunale a Savona,
aderendo all'ala intransigente in forte polemica con i riformisti. Entra nella
Direzione nazionale del partito. Alcune battaglie politiche lo vedono emergere
come figura di primo piano del socialismo italiano, come quella che Baratono
porta avanti capeggiando la frazione comunista unitaria al Congresso di
Livorno. L'accettazione con riserva dei 21 punti dell'Internazionale comunista
di Mosca determina la clamorosa scissione e l'uscita dei comunisti dal Partito Socialista.
Presenta al congresso la mozione massimalista. Diviene deputato. Confermato per
la terza volta membro della Direzione socialista, mentre la maggioranza
massimalista si orienta per la scissione dei riformisti, al Congresso di Roma sostiene
fortemente l'unità, anche per il timore dell'affermarsi delle forze fasciste.
Dopo il Congresso di Roma, aderisce al Partito Socialista Unitario e diviene un
assiduo collaboratore di Critica Sociale. Collabora al “Quarto Stato”. Con il
consolidamento del regime fascista, si dedica esclusivamente ai suoi studi
filosofici. Torna all'attività politica
all'indomani della Liberazione, con collaborazioni sull'Avanti! riprendendo i
suoi studi di critica marxista.
Note «Perciò appunto non ho
dimenticato i tuoi interessi e sarei lieto che fossi tu a succedermi, In questo
senso ho scritto, richiesto da Castiglioni stesso, che ora è preside, a
Castiglioni. Ho consigliato lui e con lui la facoltà ad accaparrarsi te per la
F.[ilosofia] e Banfi per la St.[oria] d.[ella] F.[ilosofia]». Lettera n. 108,
Piero Martinetti a Adelchi Baratono, 21 dicembre 1931, in Piero Martinetti
Lettere (1919-1942), Firenze,, Fonti Vittorio Mathieu, «BARATONO, Adelchi» in
Dizionario Biografico degli Italiani, Volume 5, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, 1963. Altri progetti Collabora a Wikisource
Wikisource contiene una pagina dedicata a Adelchi Baratono Collabora a Wikiquote
Citazionio su Adelchi Baratono Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons
contiene immagini o altri file su Adelchi Baratono Adelchi Baratono, in Dizionario biografico
degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Adelchi Baratono, su Liber
Liber. Opere di Adelchi Baratono, su
openMLOL, Horizons Unlimited srl. Opere di Adelchi Baratono,. Adelchi Baratono, su storia.camera, Camera
dei deputati. Filosofi italiani del XX secoloPolitici italiani del XX
secoloAccademici italiani Professore1875 1947Nati l'8 aprile 28 settembre
Firenze Genova Politici del Partito Socialista ItalianoDeputati della XXVI
legislatura del Regno d'ItaliaStudenti dell'Università degli Studi di
GenovaProfessori dell'Università degli Studi di Genova Professori
dell'Università degli Studi di CagliariProfessori dell'Università degli Studi
di Milano. Critica dei valori ed estetica metafisica. Psicologia critica dei
valori e metafisica estetica. Carissimo Groppali. Nella tua pubblicazione dal
titolo Psicologia sociale e psic.collettira, trovo rammentato un mio articolo
(comparso nel quarto fascicolo del l'Archivio di Psic.coll.).con queste parole citato;
non posso fare comequel buon figliuolo di Renzo Tramaglino, che, a sentir dire
che la sua Lucia era una bella baggiana, per amor dell'epiteto lasciava passare
il sostantivo. Lasciami invece un po'brontolare contro la seconda parte del tuo
giudizio. E, quantunque in fatto di scoperte scientifiche nessuno si possa dire
assolutamente il primo scopritore, permettimi di dare al Sighele quelch' èdi Sighele,
ea me quelchesembramio. Per il nostro caso,
la scoperta piùimportante, acuisono giunti questi autori, è la semplice
constatazione del fatto, che gli atti estrin secanti la emozione d'un individuo
riproducono in altri individui ana loghe emozioni ed atti volontari. Ebbene: prima
e più completamente di quegli scienziati, Spencer e pervenuto alla medesima
legge con la sua teorica della simpatia; e per di più aveva spiegato il fatto
diquella suggestione con la ragione sociale, osservando che un atto emotivo non
puo suscitare nei pre senti un sentimento corrispondente se non vi fosse stata
l'esperienza propria o atavica che avesse associato quell'atto all'emozione
reale unitamente sofferta; trovandone perciò la genesi nella convivenza
sociale, per essere gl'individui associati sottoposti alle medesime cause di
piacere e dolore. Adunque io nel mio studio potevo passarmi di citare altre
teorie, oltre quella spenceriana, quando ridussi il fenomeno collettivo a
fenomeno simpatetico. E fin qui non ho fatto, nè ho detto di fare, nessuna
scoperta: ma soltanto ho applicato la legge spenceriana a un nuovo gruppo di
fatti, da Ini non considerati specialmente. Ripeto: io non ho sostenuto come
mia scoperta, ma ho soltanto accettato e meglio dimostrato, che il fatto
psichico del delirio collettivo ha per sostrato il giuoco delle emozioni e
rappresentazioni, cioè il fatto simpatetico. A questa domanda non puo
rispondere nè Sighele, che non è mai entrato nel campo della psicologia
generale, nè,c ome si sa, Spencer e gli associazionisti, che si contentavano di
descrivere il fatto, riducendolo a uno schema associativo,ciòche,come
spiegazione, ha ilvalore di una tautologia, senza svelarne il meccanismo, cioè
il rapporto fra gli elementi; né I materialisti, che ne davano una ipotetica spiegazione
anatomo-fisiologica, senza entrare nella pura psicologia. Dall'altraparte, rispondere
a quelle domande significa trovarele ragioni ultime e più generali del fenomeno
collettivo. Vale a dire, ridurlo completamente. Questo ho tentato io di fare;
di qui comincia il mio studio genuino. Me ne sono vantato? ho soltanto asserito
che tentavo di muovere un Sighele intui, che i fatti caratteristici della
emozione di una folla si possono ridurre a qualcosa di più generale, ov'entri
quella facoltà dell'imitazione, quella suggestione, con le quali altri avevano
spiegato il contagio morale; perciò egli, se mal non ricordo, senza nulla
aggiungere di proprio, si rifere alle teorie di Bordère, Ebrard, Jolly,Tarde,
Sergi, Espinas ecc. ecc. Ho dunque accettata una legge, o, meglio, ladescrizione
di un fatto generale, che si potrebbe enunciare cosi. In due individui associate,
A e B, la percezione degl’atti corrispondenti alle emozioni di alcuno destando
in altri la rappresentazione di piaceri o dolori analoghi, suscita piaceri o
dolori analoghi e gliatti corrispondenti. In questo enunciato c'è qualcosa di
mio. Ma non mi curo di metterlo in luce. Piuttosto ti rivolgo la domanda:
osservato il fatto, Spencer ne trova la ragione sociologica. Ma vi è qualcuno
che ne trova la ragione *psicologica*? Come una rappresentazione emotiva può
diventare un'emozione attuale, condizione e stimolo di atti volontari? Passo
nel cammino della psicologia collettiva. Tu puoi scusarmene, perché conosci il
tripudio di chi lavora per la scienza, che oggi è ancor l'unica nostra
ricompensa. Adunque il rimanente studio, la risposta a quella domanda è mio. Mio
nelle premesse, che si riferiscono al saggio, “I fatti psichiri elementary”,
dove dimostro che la legge più generale della psiche è data dalla serie dei
fatti emotivo -conoscitivo -volitivo, quando si consideri questa come
l'espressione di un rapporto, per cui il primo termine rappresenta l'energia
determinante degli altri. Mio nell'applicazione al fenomeno collettivo, dove le
multiple rappresentazioni emotive devono agire sopra ognuno degli individui
come altrettante emozioni reali attenuate, ma accumulate sulla prima; onde
l'esaltazione propria della folla. Tutte queste tesi sono diverse da quelle
sostenute e dall'intellettualismo e dal volontarismo. Epilogando: Sighele
giunse a ridurre il fenomeno collettivo a un fatto generale enunciato come
legge; e Spencer da la spiegazione sociologica di questo fatto. Ma, perchè vi
fosse una spiegazione *psicologica*, bisogna aver trovato non solo
l'associazione, ma anche il rapporto tra gli elementi associati; il quale
rapporto di dipendenza, cioè di condizione e stimolo, dove, per ridurre completamente
quel fenomeno, coincidere col rapporto o legge più generale della psiche.
Questo ho cercato difare: e, poi che in modo particolare avevo stabilita la
serie dei fatti psichici veramente elementari e il loro rapporto, cio è la
legge psicologica generale, anche particolare, dove riuscire l'inferenza al
fenomeno collettivo. Non posso, egregio e carissimo amico, riassumere in poche
pagine quello che, a giudizio mio ed altrui è già troppo strettamente riassunto
ne'miei saggi. A te, che liconosci, e che possiedi un forte ingegno intuitivo,
basta questo richiamo; e spero che ti persuaderai, che Sighele restaugualmente
uno de'nostri migliori scienziati, anche senza regalare a lui, che non ne ha
bisegno, quelle due o tre pagine con le quali si termina il mio saggio. Spero
ancora più fervidamente, che tu non mi dia del noioso e del l'immodesto per
questa mia lettera, e che sempre mi creda il tuo. Adelchi. Nacque a Firenze
dove il padre, Alessandro, originario di Ivrea, si era stabilito dopo il
trasferimento della capitale del regno da Torino. La madre, Ermelinda Rossi,
era fiorentina. La famiglia si fissa definitivamente a Genova, e compiuti gli
studi classici, frequenta l'università, addottorandosi in lettere e in
filosofia. Suo principale maestro fu Asturaro, del cui indirizzo sociologico B.
risentì nei suoi primi lavori (Sociologia estetica, Civitanova Marche; Sul
problema religioso,in Riv. ital. di sociol.), così come, successivamente, sube
l'influsso di Morselli e delle sue lezioni di psichiatria. I suoi interessi
psicologici sono documentati in questo periodo da numerose pubblicazioni (I
fatti psichici elementari, Torino; Sulla classificazione dei fatti psichici, Bologna;
Energia e psiche, in Riv. di filos. e scienze affini). Psicologia e sociologia
venivano, poi, naturalmente a fondersi in una wundtiana psicologia dei popoli (Sulla
psicologia dei popoli, Genova), permeata di una filosofia scientificamente
concepita. Questo movimento culmina nei Fondamenti di psicologia sperimentale
(Torino), che risentono ancora dell'influsso positivistico, nella ricerca di
una filosofia scientifica, ma cominciano, al tempo stesso, a rivelare la sua originalità
filosofica. Contemporaneamente coltivava il proprio gusto estetico frequentando
i circoli letterari, le mostre di pittura, i caffè degli artisti. Pubblica un
volumetto di versi (Sparvieri,Genova, con acqueforti di Edoardo De Albertis),
che sarà seguito da altre poesie (Lettera - Notturno - Congedo), articoli
letterari e frammentarie commedie, comparsi generalmente in Riviera
ligure. Questo duplice interesse, psicologico, ed estetico, accompagna il
filosofo per tutta la vita, ma non senza trasformarsi radicalmente,
dall'originario positivismo, in una personale forma di sensismo, dove tornavano
a incontrarsi il significato etimologico e il significato moderno della parola
"estetica". L’anno del congresso internazionale di filosofia di
Bologna, a cui B. partecipa - egli, che l'anno prima aveva celebrato I funerali
del positivismo italiano (in Lavoro nuovo), pubblica la Psicologia sintetica, in
cui l'aspetto filosofico e quello scientifico-sperimentale della ricerca erano
nettamente divisi, e la psicologia venne assegnata al secondo. Conseguita
la libera docenza, tenne corsi e conferenze all'università di Genova - oltre
che all'università popolare - prendendo a interessarsi del problema pedagogico,
strettamente congiunto con quello politico. Quattro Discorsi sull'educazione
furono da lui riuniti in un volumetto, e alcuni anni dopo uscì la sua opera
fondamentale in materia: Critica e pedagogia dei valori (Palermo). Dalla
politica si er sentito attratto. Le sue convinzioni etiche lo indussero a
militare nelle file del socialismo; tuttavia, anche nell'attività politica,
egli conserva quell'atteggiamento aristocratico e leggermente distaccato che lo
caratterizzava sul piano culturale, ciò che tolse mordente alla sua azione. Per
le elezioni amministrative, redasse in collaborazione con Gennari un ordine del
giorno, votato poi all'unanimità dal Consiglio nazionale del partito, dove si
dichiara che dei comuni ci si doveva impadronire per parálizzare tutti i poteri
e tutti i congegni dello Stato borghese, allo scopo di accelerare la
rivoluzione proletaria. Rispetto alla rivoluzione russa, si pronuncia contro
l'accettazione senza riserve delle ventuno condizioni poste da Mosca per
l'adesione alla Terza Internazionale, ma e messo in minoranza nella riunione
della direzione. Cerca inoltre di evitare ogni scissione a sinistra, anche a
costo dell'espulsione dei riformisti, che rappresentavano l'ala destra del
partito: questo suo punto di vista, sostenuto prima e durante il congresso di
Livorno, trova tuttavia la via sbarrata dal successo degl’unitari. Dalla sua
dirittura morale e portato all'intransigenza. Antimassone, respinge
l'anticlericalismo di maniera, auspicava la libertà dell'insegnamento. Turati ha
a definirlo "il filosofo della direzione del partito". Eletto
deputato nella legislatura, sedette al parlamento, ma l'avvento deli fascismo
lo costrinse ad abbandonare l'attività politica (nella quale rientrano anche
scritti come Le due facce del marxismo italiano, Milano e Fatica senza fatica, Torino).
Più fortunata divenne, a, questo punto, la carriera universitaria. Titolare a
Cagliari, si occupa, tra l'altro, di Problemi universitari (Mediterranea) e
vagheggia un progetto Per la riforma della facoltà filos. (Atti della Società
ital. per il progresso delle scienze), che fu combattuto dal Gentile (Giorn.
crit. d. filos. Ital.). Passa a Milano, sulla cattedra di P. Martinetti (che si
era ritirato per non prestare giuramento) e torna all'amata Genova,
stabilendosi sulla riviera di Sant'Ilario. Qui riceve volentieri i suoi
studenti e colti visitatori, attratti da una fama, che, specialmente dopo la
pubblicazione di Arte e poesia (Milano), si estese oltre la cerchia dei
filosofi di professione. Riprese l'attività politica negli ultimi anni,
soprattutto in forma di collaborazione a giornali e di rielaborazione di vecchi
scritti di critica marxista. L'ultimo articolo, L'etica dell'economia marxista,
uscì sull'Avanti! alla vigilia della morte. Al suo nome è intitolato l'istituto
universitario di magistero di Genova. La sua prima formulazione
pienamente matura della filosofia può essere considerata il volume Il mondo
sensibile, introduzione all'estetica (Messina), preparato da alcuni degli
scritti raccolti in Filosofia in margine (Roma); in esso si vuol raggiungere la
"prova esistenziale" della spiritualità del contenuto sensibile.
Contro l'impostazione gnoseologica che soggettivizza il mondo, propugna
un'impostazione estetica che vede nel mondo sensibile, preso per se stesso,
"la forma dell'esistenza". Tale dottrina fu chiamata
"occasionalismo sensista", in una comunicazione alla sezione
piemontese dell'Istituto di studi filosofici
(Per un occasionalismo sensista, in Concetto e programma della filosofia
d'oggi, Milano). La denominazione esprime l'intento di "riflettere sulla
pura forma invece di prenderla quale rappresentazione di altro (soggetto od
oggetto) posto come un contenuto irreducibile a quella forma. L'esperienza
estetica ci mostra che un'ide a pura esiste come forma pura,
sensibilmente, e che questa forma sensibile vale per sé, in un rapporto formalmente
sentito con certezza, che diciamo verità. Ciò costituisce un valore sensibile
direttamente, diverso sia dal valore del sensibile (che rappresenta il valore
specificamente teoretico) sia dal valore del sentimento (che rappresenta il
valore pratico). L'esserci sensibile interessa il pensatore o l'uomo pratico
solo come ostacolo da superare, ma riempe di meraviglia chi guarda il mondo con
gli occhi spalancati sol per la gioia di vedere, e così ne può apprezzare la
bellezza. Queste idee sono esposte in Arte e poesia,e messe alla prova non solo
a contatto con estetiche come quelle di Burke e di Focillon, a cui iscrisse
introduzioni (Milano), ma con la stessa opera poetica, per es. di un Verlaine,
di cui ripubblica in Italia una raccolta di Poesie, conintroduzione (Milano).
Arte e poesia si conclude con una "apologia della forma", la quale
sembra a torto imprigionare lo spirito e limitare il valore solo perché, in
realtà, lo determina e lo realizza. Rovesciando l'istanza idealistica, secondo
cui il valore sta in un'unità spirituale che si riduce a un'esigenza
puro-pratica, a una rappresentazione di ciò che non è, dichiara che l'anima
cerca il corpo, non viceversa, che lo spirito cerca la forma, la filosofia la
poesia. Sicché il valore non appare più la premessa indimostrabile di ogni
esistenza, ma il risultato intuitivo della stessa forma sensibile.
Bibl.: F. Della Corte, A. B., in Genova, Sul B. Ipolitico: F. Meda. Il
Partito Socialista Italiano dalla Prima alla Terza Internazionale, Milano, I
deputati al Parlamento per la legislatura, Milano, M. Carrea, Per una filosofia
del socialismo, in Osservatorio, Genova, Nenni, Storia di quattro anni, Roma, Tasca,
Nascita e avvento del fascismo, Firenze, Turati-A. Kuliscioff, Carteggio.
Dopoguerra e fascismo, a cura di A. Schiavi, Torino, vedi Indice. Inoltre per
alcuni scritti del B., in Critica Sociale, degli anni 1923-24, vedi Critica
Sociale, a cura di M. Spinella, A. Caracciolo, R. Amaduzzi, G. Petronio, III,
Milano, Indici, a cura di M. T. Lanza. Sul B. filosofo, oltre l'esposizione del
proprio pensiero fatta da lui stesso in Il mio paradosso, in Filosofi ital.
contemporanei, Como, Milano, cfr. U. Spirito, L'idealismo ital. e i suoi
critici, Firenze, Volpe, Crisi dell'estetica romantica, Messina, Sciacca, Il
secolo XX, Milano, Faggin, Il formalismo sensista di A. B.,in Riv. crit. di
storia d. filos., Assunto, B. e
l'estetica moderna, in L'Italia che scrive, Bertin, L'estetica di B.,in Studi
filosofici, Bontadini, Dall'attualismo al problematicismo, Brescia, Talenti, A.
B., Torino (con bibl.). Adelchi Baratono.
Keywords: stilistica, breviario di stilistica italiana, fatto psichico
elementare, i fatti psichici eleentare, psicologia filosofica, illuminismo,
implicatura luminaria, implicatura escataologica, politica ed etica, la
filosofia al margine: gentile, croce, natura umana, esperienza, il mondo
sensibile, estetica, il bello, il sublime, criticismo, assiologia, hume a
Cremona e torino, spirito, animo, forma logica, l’eneide, riviera ligure,
“Rivera Ligure”. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Baratono” – The Swimming-Pool
Library.
Grice e Barba –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Gallipoli). Filosofo italiano. Grice: “I
like Barba, but then I like Gallipoli – and he was born and died there, at
Villa Barba. His main interest was Roman philosophy, which he studied at
Naples! – The Roman occupation in Southern Italy brought ‘a breath of fresh
air,’ as Barba has it, to the old “Grecia Magna” tradition --.” Grice: “Barba
is very clear: ‘Epigrafia filosofica latina,’ o ‘epigrafia filosofica romana’
surely ain’t Grecian!” -- Figlio di Ernesto,
conduce gli studi a Gallipoli, per poi trasferirsi a Napoli presso il zio,
Tommaso Barba. Tommaso Barba e presidente della Gran Corte. Studia grammatica e
materie letterarie nella scuola di Puoti. Si laurea in Filosofia. Studiare nel
R. Collegio Cerusico e divenne professore di anatomia umana comparata. Insegna
scienze e lettere al ginnasio di Gallipoli e fu sovrintendente scolastico ed
Assessore delegato alla Pubblica Istruzione.
Fu arrestato ed esiliato a causa delle resistenze al governo. I membri
dell'Associazione Democratica posero una scritta: "Nato dal popolo, Per il
popolo si adoperò". A lui fu intitolato il Museo civico di Gallipoli. Note
AnxaEmanuele Barba, su anxa. 21 aprile
13 ottobre ). Scheda sul sito del
Museo Emanuele Barba. Filosofi. Emanuele Barba. Keywords. epigrafia latina,
iscrizione latina, iscrizione greco-romana, la iscrizione di Platone sulla
porta dell’academia, ageometretos medeis eisito, Delville pittore belga
(Libert), a Italia crea ‘L’ecole de Platon,’ per la Sorbonna. I vasi di Barba – gemelli, fratelli siamesi,
ecc. Monete romana, Gallipoli, colonia romana, ‘Proverbi e motti del popolo
gallipolino” – poesie di Barba sulla morte del re d’Italia, risorgimento –
esilato, carcere – la filosofia di Barba, barba filosofo. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Barba” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Barbaro – il
Daniele – filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo. Grice:
“This can be confusing to Oxonians, althou we are familiar with the Hanover
dynasty! Daniele Barbaro, a faitehful nephew, commented on his uncle’s, Ermolao
Barbaro’s, ‘translation’ of Aristotle’s rhetoric – I shouldn’t even be saying
this since it’s implicated in the title where Ermolao features as ‘interprete,’
and the ‘commentarium’ is due to Daniele.” Grice: “On top, Daniele wrote about
‘eloquenza,’ but his comments on his uncle’s vulgarization into latin of
Aristotle’s vulgar-greek (koine) rhetorica – is perhaps more Griceian – since
there is little conversational about Daniele Barbaro’s ‘eloquenza,’ while the
rhetoric (or ‘rettorica,’ as he prefers) is ALL about ‘dialettica’ and
dialogue!” -- Daniele Barbaro patriarca
della Chiesa cattolica Portret van Daniele Barbaro Rijksmuseum SK-A-4011.jpeg
Ritratto di Daniele Barbaro, attorno al 1561-1565, opera di Paolo Veronese,
presso il Rijksmuseum di Amsterdam Template-Patriarch (Latin Rite) Interwoven
with gold.svg Incarichi ricopertiPatriarca
di Aquileia. Nato 8 a Venezia Nominato patriarca 17 dicembre 1550 da papa
Giulio III Deceduto13 aprile 1570 (56 anni) a Venezia. Ritratto da Paolo
Veronese, 1562-1570 (Firenze, Palazzo Pitti)
Villa Barbaro a Maser Pratica
della perspettiva, 1569 È noto soprattutto come traduttore e commentatore del
trattato De architectura di Marco Vitruvio Pollione e per il trattato La
pratica della perspettiva. Importanti
furono i suoi studi sulla prospettiva e sulle applicazioni della camera oscura,
dove utilizzò un diaframma per migliorare la resa dell'immagine. Uomo colto e
di ampi interessi, fu amico di Andrea Palladio, Torquato Tasso e Pietro Bembo.
Commissionò a Palladio Villa Barbaro a Maser e a Paolo Veronese numerose opere,
tra cui due suoi ritratti. Daniele
Matteo Alvise Barbaro o Barbarus fu figlio di Francesco di Daniele Barbaro ed
Elena Pisani, figlia del banchiere Alvise Pisani e Cecilia Giustinian. Suo
fratello minore fu l'ambasciatore Marcantonio Barbaro. Barbaro studiò
filosofia, matematica e ottica all'Padova.
Fu ambasciatore della Serenissima presso la corte di Edoardo VI a
Londra, dall'agosto 1549 al febbraio 1551, e come rappresentante di Venezia al
Concilio di Trento. Nipote del patriarca
di Aquileia Giovanni Grimani, fu suo coauditore nella sede patriarcale di Aquileia.
Venne promosso in concistoro a patriarca "eletto" di Aquileia
(coadiutore), con diritto di futura successione, ma non assunse mai la guida
del patriarcato perché morì prima dello zio. All'epoca tale carica era quasi
una questione di famiglia per i Barbaro, infatti furono patriarchi di Aquileia
ben 4 Barbaro. Ermolao Barbaro il Giovane, patriarca di Aquileia dal 1491 al
1493, Daniele Barbaro, patriarca di Aquileia, Francesco Barbaro, patriarca di
Aquileia dal 1593 al 1616, Ermolao II Barbaro († 1622), patriarca di Aquileia
dal 1616. Fu forse nominato cardinale in pectore da papa Pio IV nel concistoro
del 26 febbraio 1561 e mai pubblicato.
Solo i Grimani, con cui erano imparentati, occuparono più volte il
patriarcato (ben sei). Partecipò a varie
sedute del Concilio di Trento a partire dal 14 gennaio 1562 fino alla sua
chiusura. Atre opere: commentarii di Aristotele Retorica del suo pro-zio
Ermolao Barbaro il Giovane (Venezia); Compendium scientiae naturalis di Ermolao
Barbaro il Giovane (Venezia); Commento sull’archittetura d Vitruvio, pubblicato
col titolo “Dieci libri dell'architettura di M. Vitruvio” (Venezia). Di essa
pubblica anche una versione in latino intitolata M. Vitruvii de architectura,
(Venezia). Le illustrazioni sono realizzate da Palladio --; un trattato sulla
geometria, prospettiva e scienza della pittura, La pratica della perspettiva (Venezia);
un trattato sulla costruzione delle meridiani, “De Horologiis describendis
libellus” (Venice, Biblioteca Marciana, Cod. Lat. VIII, 42). Più tardi si
scopre che il testo del Barbaro affronta la tecnica di strumenti come
l'astrolabio, il planisfero, il bacolo, il triquetrum, e olometro di Abel
Foullon. Cronache, probabilmente riprese da Giovanni Bembo nella Cronaca Bemba.
Aurea in quinquaginta Davidicos Psalmos doctorum graecorum catena interpretante
Daniele Barbaro electo patriarcha Aquileiensi, Venetiis, apud Georgium de
Caballis. Note La pratica della perspettiva, 1569,
consultabile online (testo italiano + tavole originali) Giuseppe Trebbi, Barbaro Daniele, in Nuovo
Liruti: dizionario biografico dei friulani. 2: l'età veneta. A-C, Forum
editrice universitaria, Udine 2009374
Eubel, Hierarchia Catholica Medii et Recentoris Aevi, III39, che cita
gli Acta camerarii 9, f. 37 e gli Acta vicecancellarii 8, f 7 Louis Cellauro, Daniele Barbaro and Vitruvius:
the architectural theory of a Renaissance humanist and patron, Papers of the
British School at Rome, 72 (2004),
293–329 Pio Paschini, Daniele Barbaro letterato e prelato veneziano del
Cinquecento, Rivista di storia della chiesa in Italia, Władysław Tatarkiewicz,
History of Aesthetics, III: Modern
Aesthetics, edited by D. Petsch, translated from the Polish by Chester A.
Kisiel and John F. Besemeres, The Hague, Mouton, 1974. Daniele Barbaro, Pratica
della perspettiva, In Venetia, appresso Camillo, & Rutilio Borgominieri
fratelli, al Segno di S. Giorgio, Robert Devreesse, La chaine sur les psaumes
de Daniele Barbaro, in Revue Biblique, Giovanni
Mercati, Il Niceforo della Catena di Daniele Barbaro e il suo commento del
Salterio, in Biblica, Storia della
fotografia Villa Barbaro. Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia
Italiana. Giovanni Vacca, Daniele
Barbaro, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Daniele
Barbaro, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Giuseppe Alberigo, Daniele Barbaro, in
Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Opere di Daniele Barbaro, su openMLOL,
Horizons Unlimited srl. Opere di Daniele Barbaro,. David M. Cheney, Daniele
Barbaro, in Catholic Hierarchy. Daniele
Barbaro, su museogalileoMuseo Galileo, Firenze. 21 ottobre. Daniele Barbaro
(15141570), su mathematica.snsEdizione Nazionale Mathematica Italiana, Pisa,
Centro di Ricerca Matematica Ennio De Giorgi. 21 ottobre.Salvador Miranda,
Barbaro, Daniele Matteo Alvise, su fiu.eduThe Cardinals of the Holy Roman
Church, Florida International University. PredecessorePatriarca di
AquileiaSuccessorePatriarchNonCardinal PioM.svg Giovanni Grimani17 dicembre
155013 aprile Aloisio Giustiniani Umanisti italiani Nati Venezia
VeneziaBarbaroPatriarchi di AquileiaAmbasciatori italiani. DELLA ELOQUENTIA,
DIALOGO. INTERLOCVTORI: L'ARTE, LA
NATVRA, ET L'ANIMA. R. IO VORREI VOLENTIERI Natura, che noi disputassimo insieme,
se però l'ufficio del disputare alla tua conditio nesi conuenisse. NAT. Il disputare
é cosa da te ò arte, figliuola mia. Ma se à me stesse l'ammaestrarti, di presente
direi, che tra il tuo intendimento, o il mio, alcuna differenza non fusse, da
che dentro ti venija se il contender meco. AR. Al almeno desidero tale
occasione. NAT. Vano, o dannoso desiderio é il tuo, si perche io non sono
mai ociosa, come perche tu sempre dei non mes no abbracciare il bene che
cercare la verità delle cose. AR. Niena te più migioua, che il bene, ne che il
vero più mi diletta. NA. In questo almeno tu m’assomigli, che ouunque sia,
ch'io mi ritrdovi, il vero sono, o il bene di ciascuna cosa. AR. si, ma tu alla cieca ne vai, e io di tanto amo ogn'uno,
che con deliberato consiglio, o anati veduto fine faccio, lo difar bene. NAT.
Emmipur manifesto che la tua grandezza è di nascondere te stessa quantopuoi, o
di accoltarti à me. AR. Questo é, maciò aviene, perche tu prima di me al mondo venisti,
o gli huomini a’ tuoi piaceri adulasti, innanzi ch'io ci nascessi; o questa mia
imitatione non ti accresce dignitade alcuna. Percioche, nella formica vile
animaluzzo e più degna, nell’huomo meno onorato, ancor che questo quella
imitando, l'estate per lo verno ſiproueda. La mia industria, o natura, fa
maggiore il tuo povero patrimonio. NAT. Che accrecimento farebbe ella, se io
non ti lasciassi che accres cere? Tupure, se uuoi, ben sai, che ogni opera presuppone
il soggetto, senza il quale nulla si può fare. Que so da me, non da te procede.
Oltra che appresso giusto giudice il secondo. A secondo luogo, non che il
primo, ti faria denegato. AR. Giusto à tua scelta intendi colui, che te à me
anteponga; ma nonſai che per la età molto ti concedo. NAT. E'mipiace di
ragionare an poco tea cosopra questa materia, poi che tant'oltra procedutaſei,
che di te con buona equità midolga. Dicoti adunque, che in ordine di onoranza
ne prima ſei, né ſeconda. Ar. Chi adunque à noi ſopraſta? NAT. Chi ne fece
ambedue é il primo senza mezo dalui nace qui. Tu doppo me sei. NAT. Adunque
mentono coloro che affer mano, te effer madre uniuersale, poi chetu ſteſſa non
nieghi eſſere d'altruifattura? NAT. Ad un modo io ſono madre,ad un'altro
figlia. A R. Adunque di te coſa picprestante ſi truoua? NAT. Chi ne dubita? Ma
io per eſſere å gliumaniſentimenti vicina, tutta fiata ſon preferita. AR. Hai
tu conoſcimento di fine alcuno? NAT. Certo no; ma nel gouerno del tutto io ſon
drizzata, e quafi addeſtrata dalpadre mio. AR. In che dunque é ripoſta queſta
tud gloria? NAT. Tanto potente, ſaggio, w buono é il mio fattore, che la ſua
gloria in me mirabilmente ſoprabonda. AR. Sommi più voltemarauigliata di
coteſta tua occulta uirtù, dalla quale tu ſei cosi gentilmente
guidata.jpelefiate mi è uenuto in animo di cre dere che ella forſe habbia
potere di trar mead imitarti diforza; ergo però diſcorrendo,etpiù dentro
penetrando, bo giudicato eſſere gran famiglianza tra quelprincipio, che ti
muoue, &me, ondeper la ſea creta uirtu,non tua,io mi muouo ad operar come
tu fai. Ma poi mi pare,che,ſe il diſcorrere l'ordinare,e il ridurre àfine le
coſeantiue dute, è ufficio mio,io ſia inanzi di teſtata nel Cielo appreſſo il
padre tuo, che egli habbia l'opera mia uſata in generarti ò produrti NAT. In
altra guiſa io faccio le coſe mie tule tue, di quella del fattor noſtro,
chenehafatte, & create.Però guardati dinon giudi care troppo animoſamente
le coſe, figurando le inuiſibili, & occulte per le uiſibilio manifeſte. Ma
perchecosi agramente mi condane ni? ſe in qualunque modo tu uuoi per le coſe
già dette chiamar mi, ò madre, è figlia, o ſorella, ó amica ſeisforzatadi
nominarmi? no mi tutti di congiuntione, amicitia, oſtrettezza. Egli non ſi uuol
có. si correre a furia. AR. Non ti adirare ó Natura, che io non ho contra te
mal uolere, né il finemio é ſtato cattiuo, anzi per lo tuo ef faltamento ho
uoluto raffrenare la mia credenza, che era di ſapere con qual calamita io
tirata fußi ad operare come tu fai,e mi uenu to ben fatto per lo ragionamento, che
éftato fra noi, perche hauen do noi do noi ritrouata l'origine del noſtro
naſcimento, ſiamoſicuré della no ftra nobiltà, come quella checon la eternità
ſipareggi,o dal primo fattore d'ogni coſa proceda. Ma ben mi duole, & per
queſto ti ho chiamata,cheà molte ſciagure ſia la grandezza mia ſottopoſta.Et
quanto maggiore è lo stato mio, tanto àpiù pericoli mi ueggio eſſer ſoggetta.
NAT. Quai ſciagure, oquai pericoliſono queſti? AR. Saper dei Natura, madre mia,
che in tutte le parti delmondo mi truouo hauer molti miniſtri,de quali neſono
alcuni,chemifanno una gran uergogna, a oltre à ciò miſono di danno infinito, o
per lor cagione io ne ſento male. Perche non indrizzando me al debito fine,
anzifieramente in abuſo ponendomi, come buona, utile, oono reuole cheio
ſono,rea,dannofa, & uituperabilemifanno. Ondegli huomini per mezo mio
ingannati da loro, certi de' loro danni, main certi di chi la colpaſiſia,
s'accendono d'ira contra dime, à guiſa di co loro,che le ſpade,o non
glihomicidi punir uoleſſero. NAT. Tu non ſei ſola nelmale di si fattioltraggi,
tutto'l dime ne uengono afe ſai. Percioche producendo io ogni coſaà beneficio
della vita di chi ci naſce, moltiſciagurati epieni dimal talento, maleufando
l'arti ficio loro,empiono iltutto diconfuſione, auelenando, uccidendo,in,
gannando, eoffendendoſenza riguardo alcuno; e chi ode o xede taliſceleraggini,
maledice ogni mia fattura. AR. Duraper certo ėlaforte noſtra,però che il uolgo
cieco, &ignorante non ſa,chereo non è quello, che in bene uſar
ſipuote.Maper uer direzio poco mi marauiglio, ſe il ueleno auelena,ò il
ferrouccide, ma ben grandeam miratione miporge,quädo il cibo, di cuiſiuiue,cosi
ſpeſſo in cattiuo umore ſi conuerte,che alla morte conduce. Et ciò dico à
fine,chetu Sappia quantoiogiuſtamente mi dolga,che lapiù pretiofa parte,che
tupergratia del tuo fattoreall'huomo cõcedi conla quale egli poſ fan debbia
altrui eſſere d'infinito giouamento, cosi ad offeſa Sia, ex à danno preparata,
che niente più. NAT. Chié quelmaluagio Oingrato,che tal coſa ardiſca di fare? AR.
L'Anima, o la più diuina parte di lei. NAT. Perseguitiamola dunque, o facciamo
la citare dinanzi al tribunal diuino, Voglio, che ella dica la cauſa ſua. AR.
Ma prima uoglio,che infingendo noi con eſſo lei,tanto la prendiamo che ella
dica à noi ogni ſuaeſcufatione. NAT. Né la giuſtitia del Giudice, né la uerità
del fatto, nela tua dignità ricerca tale inganno,eſſendo quello ſincerißimo,la
coſa uerißima, otu quel la,che del medeſimo errorej, del quale ſei per
riprender lei, puoi eſ A 2 Ser accufatd. A R. Ben di..Ma io altrimenti non
ſonouſata difure. Ma eccoti queſta ingrata,che di molte parti, et eccellenti
doni da noi dotata d'alcuna gratia,che futta le habbiamo,non ſi ricorda,contre
mecon me fteſa,o contra te per li beni, che dato le hai, altiera ſi lieua.
Aſcoltiamola alquanto. ANIMA. Iddio vi ſalui ſorelle amantißime, delle qualiund
mi rende atta l'altra mi fa gagliarda als l'operare. AR. Et te ancora ſecondo
il tuo buon uolere, ma dins ne, che usi tu cercando? AN. Te ſopra tutte le coſe.
AR. In parte difficile ti ſei riuolta, perciò che biſogna, che tu oſſeruicon di
ligenzatutte le operationi, a modi di coteſta noſtra commune amis ca. A N. Hoio
ad impiegare tanta fatica, innanzich'io t'imprens da? AR. Et poſponere a queſta
ogni altra cura,ben che dolcißima cura ti fia, per la ſperanza dello acquiſto,
che ne farai. Ma che parte di me conoſcer deſideri? AN. Indifferentemente,ſe
poßibil fuſſe, tutte le uorrei, tutte le abbraccerei tutte le poſſederei. Ma
ora grado mifia tant'oltre procedere, ch'ioſappia altrui paleſare i cons cetti
miei. AR. Più chiaramente midi quel che uuoi,perche in molte maniere giouar ti
poſſo d'intorno à cosi fatto dimoſtramento di penſieri. Vuoi tu ſapere conqual
nodo di ragione ſi ſtringa ung parola con l'altra quale ſia la concordanza de'
numeridelle per fone, ode' uocaboli delle coſe, et con quai regole dirittamente
fifcri Me? AN. Queſta parte io la preſuppongo. AR. Forſe tu uai cer cando
d'intendere con quale unione una coſa con l'altra conuengd, per poter'à tua
uoglia diſcorrere,argomentare,o foſtenere le cons teſe AN. Né ciò intendo per ora, ma di più
diletteuol parte ho curd. AR. Tu uuoi tutta fiata porgere diletto col parlar
ſoauiſ fimamente,à guiſa di delicata uiuanda acconciandoi numeri,il ſuono, per
l'armonia delle uoci eſprimenti coſe piaceuoli, & grate à i fenfi umani? A
R. 10 uorrei più adentro penetrare, né tanto effer folles cita di piacere alle
orecchie,quanto di giouare all'animo, operò dimmiſe hai più parti, quaſi
figliuole,cui ſi conuenga la cura del ras gionare. AR. Honne, o hauer ne poſſo
ancora molte altre, che nonſono in luce; ma tra le altre una ue n'ba, che non è
leggitima; un'altra la quale bēche leggitima ſid, pure e di tāto riſpetto, che
rare Holte ſilaſcia al mondo compiutamente uedere. La prima in tanto da me é
hauuta per buona, in quanto ella inſegna di conoſcere gli ingan ni del parlare,
e à fuggire i ciurmatori. Laſeconda e da me coſto dita, &guardatamolto, percheio
temo, che gli huomini di malaf fare non la ſuijno. Et eſſendo ella di
bellezza,o di forma ſopra ogni altra eccellente gran pericolo miſoprafta
Jlquale tolga lddio, ma doue non paſſa la maluagità umana: doue non penetra
l'audacia? ego di queſto, poco fa, la Natura, a io ci doleuumo, et
penſauamo,che tu fußi quella tu, che d'ogni male Q uergogna noſtra fußi
l'apporta trice. A N. Perunared eu perfida, che ſi truoua, non crediate di
gratia, che oggi di tutte ſieno tali,perche da me ui prometto,che als tro che
onore non hauerete, AR. Bene, o cosine cape nell’anis mo. Che uuoi tu adunque
da me ſapere? AN. 10 cerco molto, Ò
Arte, à modo mio di posſedere coteſta tua cosi bella, o riguardata figliuola,à
benefitio deipopoli, o delle genti, o à gloria tua, di me,dicui altro cibo più
ſoaue non truouo. AR. Prega tu prima la Natura, che à te conceda corpo ben
diſpoſto, oformato, aſpetto graue, o gentile, uoce chiara, á eſpedita
fianco,modo, o mouimen ti conformialla virtù, che deſideri". Appreſſo poi
à me prometterai congiuramento di non ufare già mai la figliuola mia,uezzofa,
inſos lente, « che tanto uagaſia delle bellezze ſue, che per farſi uaghegs
giare in ogni luogo, in ogni tempo, in ogni propoſito ſenza riſpetto alcuno
compariſca. Et con luſinghe eadulatione dal ben fare le genti, o i popoli
aſcoltanti rimuoua. AN. Se ottimo uolere, fe oneſtédimanda ritruoua luogo
appreſſo di te, o Natura, con ogni af fetto ti priego, chetu mi dia quello
chel'arte mi perſuade, che ti dis mandi, corpo gratiofo,formato,odotato di
quelle parti, che conue nientiſono alualore della figliuola fua. Etſe bene in
alcun tempo io non ti poteßi di tanto donorimeritare,pure non ceſſerò di
eſſertiſem pre obligatißima. NAT. Siati la gratia, che dimandi, conceſſa. A N.
Io tigiuro ó Arte,perquella diuinità, che ſi truoua maggiore, di accoſtumare la
tua figliuola à giouare ouà ben far’altrui, né per modo alcuno permettere, che
ella ſeguagli apperiti diſordinati, ma circoſpetta ſempre, oſempre riguardeuole
compariſca. AR. CO si habbi la chiarezza del ſangue, la libertà, eccellenza
della pas tria, ibeni da gli huomini defiderati, come ciò facendo,alcolmo della
gloria à pochi conceſſa,peruenirai. NA. Felice patria,che di tale, e
tant'huomoſaràfornita. Maqual patria le dareſti tu,ó Ar te? AR. A'mia uogliale
darei quella,in cui le leggi poteſſero piit, che gli huomini, doue la maggior
parte alla commune utilità s'ina drizzaſſe; antica,nobile,illuſtre,e di
quelgouerno, nel quale il bes ne di tutti glialtri gouerniſiconteneffe, qualeforſe
non più che unds'e s'è ritrouata,oſi
ritruoua al mondo, oforſe tu, o Natura,conſentia ſti di prepararle il più ſicuro
& comodo luogo, oil piie forte fito, cheueder ſi poſſa,nonmeno al mare che
alla terra uicino,cui di gra tiaſpeciale ancora il Cielo concede priuilegio di
eſſer nimica d'ogni tumulto, o ſeditione,parca,pia,oreligioſa, con
inſtitutiottimi temperata: NA. Troppo di cuore commendi, o lodi queſta tua
Città, eforſe à ciò fare queſto t’induce,che tu in eſſa puoi il tuo ud lore, o
la tuaforza chiaramente dimoſtrare. Ma tu, ó Anima, già ricca di tanti doni,
chefatti t'habbiamo, che dici? A N. Le gratie non ſonopari al uolere,io attendo
quello, che attender dei, &sò lo ſtudio,che tu ſei ſolita di porre nelle
coſe tue;mi& rendo certa, che tuſai ancora, che ritrouando io
unatemperatißima compleßione di corpo,à quella dò la umanaperfettione, o come
quella temperanza cade, cosiſopra di eſſa declina ilmio ualore. Làondeſono
alcune co ſe, allequali io non degno la uita concedere. Ad altre ueramente dos
no la uita,ma le operationi di quella cosi ſono occulte, che in forſe fi ftà di
credere ſe in eſſe la uita ſi truoui. Altre uita,ſenſo, omouis mento da me
hanno comealcune intelligēze, et amore, coſa nobile et ueramente diuina. NAT.
Queſtomipare,checosi ſia map ure als cuna fiata io ueggo, che le anime uan
ſeguitando le compleßioni de' corpi. Onde poiſono alcuni ſdegnoſi, alcuni
manſueti, altriuanno dietro alle apparenze, altrialle fauole più che alla
uerità fi danno, emolti in ogni pruoua, ſoda ex inquiſita ragione uan
ricercando. A N. Et queſto èquello da me tantodeſiderato dono, che e di ſapes
re in tal guiſaſpiegare i concetti miei,ch'io ſatisfaccia à tanta diuer. ſità
di nature, o d'ingegni. NAT. Quando tu ſarai giunta à quel paßo,chetu ſappia
per mezo dell'arte cosi ben gouernarti con ogni maniera di perſone, dotte,roze,ciuili,
barbare, umane, e inumane, allora potrai à tua uoglia mitigar’anco gli adirati,
fpingere i pigri, raffrenare i feroci, ingagliardire i deboli; et di uno in
altro cótrario à uiua forza ogni anima tramutare. A N. Coteſta é und magica
eccellentiſsima. Ma tu Arte,cui è dato di ritrouare alcune uie ragio neuoli di
peruenire alla cognitione di coſe non conoſciute, incomincia da quelle che
facili, en eſpedite ad inuiarmi al deſiderato fine riputes rai. Ar. Cosi
uoglio, o à te farò capo, ó Natura, dinuouo addis mandandoti,di che beni uuoi tu
adornare queſta noſtra nouella ſpoſa? NAT. Hollo già detto, a più aperto ti
diſtinguo,dar le uoglio, ol tre al corpo ben formato unauoce grata, chiara,
eguale, che ogniſuonoageuclmente ſi pieghi, e che ſe ſteſſa inſino all'eſtremo
ſoſtenti. AR. Et io le dimoſtreró parole atte ad eſprimere leggia dramente ogni
concetto,pure,ampie, illuftri, eleganti ſeuere,giocona de,
accoſtumate,ſemplici,uere, tarde, ueloci, ofinalmente tali, che abbracceranno
la uera idea di me in queſtoeſſercitio. Et di più io l'inſegnerò di collocarle
si fattamente inſieme, che diletteranno ſema pre, o non falliranno già mai; or
iu Anima farai ociofa? AN. Hauendo io per gratia di te Natura le coſe
conuenienti, oper tud corteſia ò Arte le parole conformi, farò si, che niuno in
mepotrà de fiderare ne penſamento neſtudio alcuno. NAT. 10 a' ſenſi tuoiſot
toporrò tutte le coſe, dalle quaifacilmēte ti uerrà fatto di prendere argomento
di ragionare. Tu fin tanto non mancherai di diligenza. AR. Paterno, oſaggio
ricordo. Però che con la diligenza ogni giorno teſteſſa auanzerai, ella ti farà
poßibile ogni impoßibilità,ela la é la perfettione, lalode di tutte le opere de
mortalijà cui cons giunte ſono tutte queſte coſe, cura, induftria, penſamento, fatica,eſſer
citio, imitatione de migliori, «il tempo padre d'ogni coſa. Credi adunque à me
quelloche la lunga eſperienza mi haidimoſtrato, cioé, che niente giouano
imieiprecetti,niente le regole, niente gli ammae ſtramenti,ſenza la
diligenza,con la quale oltre alla inuentione, all'ordine delle coſe,otterrai di
accommodar la uoce alle parole, eſpri mendo le umili con baſſo, o rimeſſo
ſuono, le pure coniſchiettezza, le afpre con durezza,abbaſſando, &
inalzando queſto beato inſtrué mento à que' tuoni, che ſaranno conuenienti. An.
Coteſte fono leggi da eſſere oſſeruate allora che io ſarò col corpo congiunta.
Pers cheben ſai chenė lingua, nė uoce habbiamo, nė però egliſi uuoldire cosi ad
ogn'uno,in che maniera tra noi fauelliamo. NAT. 10 ſo be ne, chegli huomini
andrannofauo leggiando di noi, come altre fiate hanno detto chele cannucce
parlarono, ilche é maggior miracolo, che ſe gli Indiani uccelli eſprimono le
uoci umane. A R. Se già col mio aiuto uolarono gli huomini, molte coſe
inſenſate hebbero mo uimento, che marauiglia potranno oggi maiprendere del
parlar nos ſtro? AN. Che debbo dir’io? partita ora dalluogo,oue il parlaa re é
uiſibile, l'intendimento ſenza fauella ſi ſcuopre, muoueſi ſenza luogo,e
s'impara ſenza discorso. AR. Coteſti miracoli, che tu ci narri,ſono ſegno, che
tu non habbia biſogno dell'opera noſtra. AN. Tu di vero, ſeio nella mia
primiera ſimplicità mi rimaneßi. Ma diſcendendo dalpuro o purgato eſſere, o venendo
quaſi ad un'aria infettata e corrotta,molto mi ſento dal mio primo ſtato ria
moſſa. NAT. Peggio ti auerrà meſcolandoti con la masſa matea riile del corpo. A
N. Ad ogni modo mi biſogna ſtar ſottopoſta. AR. Non uſciamo di ſtrada,macome
buoni mercatanti accontiamo inſieme. Haßi dunquefin'ora promeſſa di uoce
eſpedita, di copia di parole, di modo conueniente di accomodar la uoce alle
parole;oraci reſta di affettare le parole alle coſe. Cheditu Natura? NAT. Die
co, ch'egli è più che neceſſario queſto affettamento,ſenzail quale le parole
ſarebbon uane et ſenza frutto, però accreſcendo le doti, che io intendo dare à
coſtei, promettole di dimoſtrarle nelle coſe mie us na certa uerità, alla quale
accoſtandoſi, potrà ſeco tirare ogniforte di gente, o di tale ueritàſenza
dubbioti affermo eſſerne ogn'uno capace. A'R. Già tre corde di queſto liuto
ſono accordate, uoci, parole, a coſe. Reſta, che nelle coſeſi ueda una certa
conuenienza con eſſo teco,ò Anima, e con le parti tue; che ne riſulti la
perfetta e compiutafoauità della deſiderata armonia. Però aiutamia ritros uare
le tue più ſecrete parti, epiù occulte uirtù, acciò cheſi ſappia qual parte di
te, con quai coſe, « con che parole, et con che attione ſi debba muovere. A n.
Piacemi queſta diſpoſitione mirabilmene te ofappi,che auenga;ch'io nonſia ſtata
col corpo già mai, nientes dimeno come nouella ſpoſa nella caſa del padre molte
coſe hoſapute, che mi aueranno quando ciſarò legata. A R. Ora incomincia à dir
mene alcune. AN. Hogià inteſo,che quando io ſarò con eſſo il cor po, molte mie
forze emoltemie uirtù ſi ſcoprirāno,le qualiora non ſi conoſcono. Et prima ne
gli occhi io ſarò il uedere, nell'orecchie l’u dire, nel palato il guſto, per
ogni luogo oparti del corpo faró ſentimento, nel cuore principio diuita,di
ſenſo,etdi mouimento.Ben che ad altra intentione altri riguardando,la origine
di tai coſe ad al tre parti aſſegnerano. In un luogo ſarò fantaſia,in altro
memoriain altro ingegno,et per tutto ſarò anima.Et ſe il corpo fuſſe di tal tem
pra, chegli fuſſe diffoſto à riceuere ogni mis uirtù, farei nelle orecs chie la
uiſte, o ne gli occhi l'udito, quantunque per molti accia denti, che uengono à
i corpi, l'animepouerelle uſar non poſſano le forzeloro, da che nacque
l'opinione di coloro, che dicono "credos no che noi moriamo inſieme col
corpo.Ma io ti giuro per quell'onnis potente maeſtro, che mi fece che
noiſiamoimmortali, oſe ora io fo noſenza il corpo,perche non ſi dee credere che
io reſtar poſlı dapoi, che'l corpoſarà disfatto? AR. Tutto chemolte ragioni aſſai
pro Babiliper l'und ei per l'altra parte mi muouano,pureal modo,che io
Sonoſolita di cercare la uerità delle coſe,io non ſono puntoſicura del la
voſtra immortalità, però rimettendomi à qualche maggior ſapien za, che la mia
non é, mi gioua di credere che noi uiuiate eternaměte. A N. Più oltraiſe fenza
il corpo conoſco,fo ueggio, econoſco di conoſcere,miapropria operatione, che
dirai tu poſcia dello eſſer mio? AR, Ritorniamo al cominciato ragionamento. An.
Ben ti dico ora delle forze mie, perche io conoſco di dentro, e di fuori,
dentro con la fantaſia, col diſcorſo, o con l'intelletto, o ciò si dia
mandavolontà, come quello del ſenſo appetito, il quale hauirtù di
porſiinanzialle coſe diletteuoli, o di fuggire le diſpiaceuoli.La no lontà è
Regind. AR. A'me pare, che tu mi hábbiposto inanzia gli occhi la forma di una
ben'ordinata Republica, nella quale ui ſia il Principe, iCoſiglieri,i
Guardiani, et gli Artefici. Mainfinitamentemi doglio d'alcuni, che per molti
ſecreti auenimenti, de' quali non fan renderealtramente ragione, corrono à
fabricar nomi, che nonſono, et con quegli impauriſcono le genti,aguiſa delle
nutrici,che ſpauenta, no ifanciulli con le fauole, quindi è nato il nome della
Fortuna,cui ca pital nimica io ſempreſonoſtata, nõ percheio creda,che à quel nome
alcuna coſariſponda, maperche mimoleſtalafalſa opinione di colo ro, che non
ſolamente uogliono, che ella ſia una coſa come le altre, che ſono, ma le
attribuiſcono la diuinità. NAT. 10fo bene, che la for tuna non è fattura mia.
ART. Né di me'ancora. An. Molto mea no dimeauezza à coſe stabili e
impermutabili. ART. Laſcida mola dunque andare, o ueggiamo ſe io ti bo
ben’inteſa, due ſono i conſiglieri,per quanto io comprendo,ragione,
&appetito, daiquali commoſſo e perſuaſo,s’induce à fare, eoperare il tutto,
perche ora nė difortuna,nédi uiolenza alcuna ragiono. A N. Senza dub bio,ſe
riguardi al nome, maſaper dei, che ſotto queſto nome di appea tito ſi
comprendono due conſiglieri,l'uno, nel quale è poſto l'iracons dia,che è come
difenſore dell'altro,nelquale è posta la cõcupiſcenza. AR. O diquantimali, e di
quante conteſe l'uno e l'altro de gli appetiti ſuoleſſer ſemenza. An. Queſto
non già auiene pur il dritto gouerno in tirannia non ſi tramuti. Diritto gouer
è quel lo,nel quale,chi deue ubidire, ubidiſce, ochi dee comandare, cos
manda". La ragione adunque di queſta piccola città preceder deue allo
appetito, e non permettere, che egli ad abandonate redini cors sendo, ſeco
dietro la tiri. AR. Moltomipidce quello che tu di,eso B per che 1 jo per
ricompenſa di tal piacere voglioti ſcopriremoltiſecreti, che io bo d'intorno
alle predette coſe.Ma dimmi tu prima queſta una parte, nella quale é riposta la
ragione,diche hai tu inteſo cheella eſſer deb bia adornata? NAT. Diſcienza o di
buona opinione ART, Vero é, per che la ſcienza é ilpiù bello adornamento, che
s'habs bia, al qualeſe s’auicina la buona opinione,ò che gentileabito é que ſto,diche
l'animaſiueſte apparando le ſcienze. Alora ella acquiſta laſua
perfettione,allora ella é pronta à conſeguire il deſiderato fine, & quaſi
ſeſopraſeinnalzando auanza ogni coſa mortale, o ſi cons giungecon la diuinità.Ma
come di coſa precioſa,orara, difficile,or non da noi ora cercata,non ne
ragioniamo, ma ritorniamo alla buong opinione, la quale si come la ſcienza è
una certa cognitione delle cofe occulte, nata da uere og manifeſte cagioni,
cosi eſſa opinione è una incerta notitia,nata da alcune dubbioſe cagioni, alle
quali l'anis ma con timore difallire, odi errare, s'inchina. Per uoler'adunque
ottenere l'intento fuo,é biſognoconoſcere il modo,col quale dapia gliareſi
hanno,o, comeſidice, farſi beneuoli i detti conſiglieri,ac cio che acquiſtata
lagratia loro, l'animaſi muoua àfareleuoglie di chi parla.Muoueſiadunque la
ragioneuol parte,che è nell'anima, că lepruoue, ocon le ragioni; & tal
mouimento s'addimanda inſegna re. Etperche la ragione è uno de'
conſiglieri,prudente,etſuegliato, perd nell'ufficio deŪ'inſegnare é di mestiere
diacuto epronto inten: dimento, mal'appetito in altro modoſimuoue.Il primo, che
è detto Concupiſcibile,richiede una certa piaceuolezzaet cõciliatione. Pero
ciòche cosi di dentro i petti umaniſono da quello tirati. Ilſecondo gli
fpigneàforza, operò cõ eſo egliſiuuole uſare uno impeto, a cui più propriamente
queſto nomedimouimento ſi conuiene, che à gli al tri; e comedebito è lo
inſegnare,cioè il dimoſtrare con ueriſimil pruoua le propoſte coſe, cosi è
onoreuole il conciliare, o neceſſario il muouere. Ma da ogni afficio di queſti
tre peruiene lapropria dileto tatione. An. Io ſo almeno,che altro diletto non
ho che lo apparda re. AR. Et tu prouerai appreſo quanto piacere naſca negliapa
petiti. An. 10 pure ſono auifata cheeſſendo in eßi ripoſte le umaa ne
affettioni, nonpuò eſſere che ſenza riſentimento di dolore ſimuou wano. ART. In
ogni affetto, & mouimento d'animo,dolore, o piso cere ſono compagni.Oruedi
quáto sfrenataſia l'iracondia, oquana to doloroſo ſia l'adirato,et pure
conoſcerai, che lo appetito,et la ime ginatione della vendettaglie piùfoane che
il mele. Ho duucrtito,che nc ELOQVEN Z A. ii negli eſtremi dolori gli huomini
hauuto hanno piacere di dolerſi, ayo il non poter ciò fare, èſtato loro di
doppia doglia cagione, non cbe à loro elettionehaueſſero uoluto l'occaſione di
dolerſi,ma poſti neldo lore; dolce coſa il poter'à lor uoglia ramaricarſi hāno
riputato. Dilet ta ueramente la ſperanza,ma il deſiderio la tormenta. Peßima
coſa è la diſperatione tra tuttigli affetti umani, maſola è ſicura contra la
morte. Mauannetu diſcorrendo nelle altre perturbationi,che trouca rai nella
allegrezza ſteſſa un mancamento diſpiriti, ounatenerez xa, che al pianto ti
condurrà fpele fiate.Però io tiſcuopriròintorno à tai coſe bellißimiſecreti. A
N. sidigratia; percioche queſte mi paiono leuere, epotentifuni, con le quai ſi
tirano l'altrui ate nos ſtre uoglie. A R. 10 ho inſegnato a' mieifedeli,che non
fieno fema pre folleciti d'intorno ad unoaffetto, per fuggire la noia con la
uda rietà dellecoſe, imitando la Natura, la qualeamaſopra modo il udm riare,o
il mutare le coſe ſue. NAT. Vero è, perche chiaramente dei vedere la diuerſità
delle ſtagioniedei tempi, la grandezza co l'ornamento de i cieli, la
moltitudine delle coſe e delle apparenze, ch'io ſonouſata di dare alle coſe
mie. AR. O'quanto io leggo fo pra il tuo libro è Natura;ma non abandoniamo
l'impreſa. Deiaduna que fapereè Animà un'altroſecreto, non meno delſopra detto
bello, degno da eſſere apprezzato. Jo ti dico che tu auuertiſca bene di nõ
ſollecitare con tutte le forze ad unoſteſſo tempo i detti conſiglieri, perche
l'anima trauiata in molti mouimenti, non attende comeſi dee ad un ſolo.L'eſperienza
ti moſtrerà, che ad un'bora né gliocchi, di belißime pitture,né l'orecchie di
ſoauißime confonanze potrai pies: namenteſatiarejma compartendole opere, meglio
aſſai per guſtare i diletti,e i piaceri delſenſo,uederai quanto può
queſtaſeparata pers ſuaſione. Inſegna adunque. Inſegnato che hauerai, muoui,apporta
le facelle, et eccita con gli ſtimolide gli affetti l'animo de gliaſcoltanti.
AN. O' Arte tu ſarai ſempre arte. A n. Et tu anima ſaraiſempre anima. A N.
Eſſendo io anima, o da te ammueſtrata,diuentero Ar te, o tu eſſendo in me Arte,
Anima diventerai. A R. Nuouo miracolo,didue coſe farne una; ma digratia non ci
laſciamo ſuiare dalle occaſioni,che in uero alcuna uolta épiùdifficile la
ſcelta, che la inuentione. Ora foniamo a raccolta, o quaſi ſotto uno ſtendardo
ria duciamo le tue;uirtù, dalle quali fin’ora habbiamo iregali aßiſtenti
ragione, concupiſcenza,oira. Reſta, che andiamo alle altre parti.; AN. Cosi
faremo, o da eſſa memoria ſidarà principio. AR..O B quanto tiſon tenuta in
nomeſuo,che mi giouerebbe duuertiré un'afa fetto di Natura, ſe altra fiata in
quello abbattendomi, la memoris preſta nõ mi diceſse, Eccoti,ò Arte,quello che
ancora uedeſti. Che es ſperienza ſitruouain meſenza di eſſa?chis'accorgerebbe,
che in al. cuna di uoi, ó Anine, io miritrouaßi, ſe non fuſe la memoria come
guardiana, teſoriera ditutte le parti dello ingegno? onde con ues rità ſidice,
Che tanto fa l'huomo, quäto ſiricordaNaſce la memoria dal bene ordinare,
l'ordine dello intendere, odal penſamento, però poſſo io con le imagini in
alcuni luoghi riposte artificioſaméte indura rela memoriadelle coſe. NAT. A
lungo andare tu le ſeipiù toſto di danno, che di prò alcuno,però non mipiace
altro che uno eſſercitio, di eſſa memoria,cheſi fa mandando motte coſe à mente.
A R. Che fai tu di eſſercitio • Natura, l'ordine della quale è ſempre conforme?
il tuo fuoco ſempre tiraall'insù, la tua terra per lo dritto all'ingiù di
fcende, o cot ſuo giuſto peſo al centro rouinando à modo alcuno non fi può
uſare alla ſalita.volgeſiilcielo tutta fiata raggirandoſi in ſe medeſimo, ogni
tua legge e impermutabile, o tutto che i tuoi mona ftri, le tue ſconciature
alcuna volta ci diano da marauigliare, pus ge ſono tue fatture,néſono alla tua
generale intentione repugnanti, mal'Anime da uno in altro cõtrario trapaſſando,
buone di ree,et ree di buonediuengono. NAT. Io conoſco il biſogno in quel modo
che gli occhi comprendono la notte, che é priuatione di luce, ma ben ti
dico,chela memoria da me con molta cura é guardata nella compoſiz tione
dell'huomo. A R. Io l'ho auuertito nel tagliare di eſſo, egomi fono
marauigliata con quanta cura difeſo hai quella parte,nella quale éla memoria collocata,hauendole
dato nella parte di dietro della tes ſta un'oſſo fermo, e rileuato,che da
ogniſtranieraforza nella difens da.Tui in temperata umidità e la impreſione, e
in ſecco proportios nato la ritentione delle coſe. Ma tu Arima,la cui nobiltà
fi fa manife ſta per tante & tali operationi, di ciò il tuo fattore ne
ringratierai, regolando con la ragione i tuoi appetiti, penſa,ordina, ocon lo
eſa fercitio conſerua la memoria quanto puoi,percheciò facendo,tale di
senterai,quale deſideri, e conoſcendo te ſteſſa, conoſcerai l'altre tue forelle,
& come della più onorata di eſſe la tua ragione ſopraſta alla loro, il tuo
dritto deſiderio ſarà lor freno, onde infinita riputatione acquiſterai,perche
di leggieriſicrede à colui,in chiſifida, et facilmen te ſi fida in chi ſi
truoua autorità, w credito, il qual naſce dalla inte grità,o bontà de' coſtumi,
o queſto é,ch'io deſideroſa, fe altra ſi truoua del bene,temo aſſai non
abbattermiin perſonemalungie.AN: In che potranno ufare la loro malu agità, non
eſſendo lor data ſede? ART. Come io non ti niego,che il uiuer bene,es
accoſtumatamente non ſia di gran giouamento à farſi luogo nel coſpetto degli
huomini, e acquiſtarlagratia de gli aſcoltanti,cosi non ti conſento che l'has
uergli dalla ſua,per uirtù, oforza di parole non ſi poſſa fare. A N. Perche
inſegni tu coteſti incanteſimi? A R. Il mio ualore e tale, che io poſſi in
parti contrarie e repugnanti, ſenza che io deſidero ſcoprire in altruiſimili
inganni,e però biſogna conoſcergli, cosila uerità ſtadi ſopra, ola bugia
cade'uinta in terra,cosiſiponfine alle conteſe, cosi ſi terminano le liti, cosi
ſi ammolliſce le durezze degli adirati, s'attura le rabbie de’ ſeditioſi, ſi
ſollieua l'autorità delle leggi caduta contra il uolere di quegli, che ſtimando
l'oro, l'argento, più cheil douere, & à prezzoſeruendo, poſpongono la
ſalute coma mune alla utilità priuata.o quanto nei publici mali,e nei tempi pe
ricoloſi compenſo pigliarſi ſuole dal parlare digraue et onorato cit. tadino,le
cui parole condite diſenno,ſeco hanno l'alleggiamento d'o gnimalinconia,che
gliafflige. An. E dunquegran difetto d'huos mini da bene? AR. Senza dubbio, o
ciò auiene perche la uia dis ritta è una,male torteſono infinite, però di raro
ſi vede tra mortali, chi per la ſola camini. Ma tuſcordata ti ſei
d’un'altrauirtù, la quale per mettere le coſe dinanzi a gli occhi (il che
éſommamente richies ſto)non ha pari.Di queſta uirtù, perche ella ha grande
amicitia co i ſenſi corporali,o é molto confuſa,come quella, che é lo ſpecchio
ges nerale di tuttii ſentimenti umani, o perciò è detta imaginatione; di queſta
uirtù dico, non hauendola tu ancora eſſercitata, non ne haifin ora alcuna
parola mosſa. Io odo dire che nella imaginationeſirifere bano le imagini, e le
apparenze da ſenſi riceuute,et beneppeſſo in lei cosi ſtranamente tramutarſi
che i ſogni non ſono cosi turbati, et con fuſi, là onde molti ſono detti, o
riputati fantaſtici, altri ſi fanno Re O signori,o talmente par loro eſſere
que'tali, che ſi credono di eſ ſere,che riſo eg compaßione mouono a chigli vede.
Alcuni uanno, come ſi dice,in aria fábricando, et tanto ſi ſtannonel lor
penſiero fißi, che forſennati,e pazzi da tutti creduti ſono. A R. Quanto piùe
uanamente ſpender ſi ſuole tal uirtù, tanto à maggior prò li deue ue
farla,& adoperarla. Per queſta l'huomo prima taleſi fa, qual uuole che
altri ſieno. Perche egli prima dentro diſe ſi propone la coſa, che egli cerca
dare ad intendere altrui, con quel migliore e più eccelslente modo cheſi può,
auolendo egli metter’altri a pianto, non tera rà mai gli occhi aſciutti. Simile
forza nella pittura ſi dimoſtra,lo ar tefice della quale, ogni forma, che egli
cerca di far uederenelle ſue tele, primanella imaginatione fermamente ſi
dipinze, o quanto più belli,o gagliarda è la ſua imaginatione, tantopiù
illuſtre, o loda. ta e la ſua pittura. Molte forme, oſembianze ſono de gli
adirati,ma una più eſprimela forza dell'iracondia; queſta una deue inanzi alle
altre eſſer poſta nella fantaſia, o à quela il pennello e la linguafi deue
indrizzare; en cosi tutta fiata il più efficace modo o di moues re, o di
dilettare, ò d'inſegnare por ſi dee chiragiona,inanzi,accioche egli ſi habbia
l'aſcoltatore come deſidera.Et queſta è la utilità grans de di coteſta
tuapericoloſa potenza,pericoloſa dico,perchemolti no ſanno ufarla à
feruigidello intelletto, ocredono, che lo imaginarſi ſia intendere odiſcorrere.
Ma laſciamo queſto da parte;o racco: gliamo le tue uirtù. Che mi hai tu dato
fin'ora? An. Mente,uolons tà,appetito,memoria,imaginatione. A RT. Molto mi piace.Nella
mente, che uiporremo altro, ſenon buona opinione, con l'ufficio dello
inſegnare? Làonde la uolontà ſi muoua ad abbracciar le coſe. Et nel lo
appetito,che ui ſtarà ſenongli affetti,eccitaticol muouere, &col dilettare,
Là onde l'animo ſia uiolentato à bene eſſequire? Della me. moria non dico
altro, né della imaginatione, percheſono ambedue di ſopra aſſai bene ſtate de
noi diſtinte. Ora bella coſa udirai, oda non eſſer à dietro laſciata. A N. Che
mi dirai tu? ART. Dicoti,che doppo la eſpedita dimoſtratione di tutte le tue
parti, fa di meſtiere di ſapere in qual maniera elleſieno dipoſte à riceuere la
impreſione dei loro oggetti. Perche uana, ofriuolafatica quella ſarebbe, di chi
af fettaſſe in parte al pianto diſpoſta ſenza alcun mezo porre il piacere.
Credi tu che eguale prontezza hauerai allo imparare,et allo adirars ti?
Indrizza adunque i tuoi penſieri à gli ammaeſtramenti, che io ti uoglio dare,
oſaperai comedeueeſſer' apparecchiato l'animo dico. lui che ricerca la pruoua,
edi colui che è pronto all'affettione, imis tando i buoni medici, i quali prima
uannoinueſtigado quai partiſieno guaſte, o quaiſane,eappreſſo, le guaſte uanno
disponendo à rices uere i rimedij conuenienti; e primaleniſcono, e ammolliſcono,
poi apportano la medicina. L'anima adunque, nella quale la ragione fi dee
porre, acciò che dia luogo alle pruoue, et accettar poſſa la buona opinione, e
iſcacciare la contraria,deue eſſere ripoſata, e quieta,et non in modo niuno
affettionata, et trauagliata. Perche eſſendo il piancere,cheha l'anima, quando impara,
foauißima coſa, biſognofache ellaſia lontana da ogniturbatione, operò molto
male è conſigliato colui chenel conſigliar'altrui uſa la forza, o la violenza
degli aps petiti, °li affetti, laſciando il ripoſo della verità daparte;
qual contento può riportar colui, che partito dal Senato dica, per qual ragione
ho io aſſentito?perche ho io cosi deliberato?Buona coſa è l'hauer’alla uerità
conſentito,mamiglior'e, ciò hauerfatto ragion neuolmente più toſto che à
forza,perche in tal caſo non pure ſifabe ne,maſiſa di far bene; di che non è
coſa più diletteuole w gioconda. Habbiaſi dunque l'animo ripoſato di colui
cheattende la ragione; queſto ageuolmenteſi può fare, ponendoſiprima di mezo
trail si o il no,come chiſta in dubbio.Però che più prontamëte ſi prende para
tito,et ſi ammette il uero dubitando,che portando ſeco alcuna opinio ne. Macome
diſpoſto ſia lo appetitoalle coſeſueattendi,che loſaprai con una bella
diuiſione degli affetti. Perciò che in eſſo appetito gliaf fetti ripoſti
ſtanno,comet'ho detto. Ogni affetto e d'intorno al male, ò d'intornoal bene,
truouiſi pure lo affetto in qualunque parteſi uos glia. Ecco nel tuo
generoſoſoldato,cui é conceſſo l'adirarſi, opren. der l’armi quando biſogna
dico dello appetito iraſcibile,d'intorno al bene uiſta la ſperanza, e la
diſperatione. Laſperanza é uno aſpetta re il bene, la diſperatione è un
cadimento da quello aſpettare. D'in = torno al maleuiſta l'ira, la manſuetudine,
il timore, ol'audacia. Ira é appetito diuendetta euidente per riceuuto
oltraggio Mania ſuetudine èraffrenamento dell'ira, oambedue queſti affettiſono
in torno almale,difficile,etpreſente.Il timore é un aſpettatione di noia, ouero
un ſoſpetto di eſſere diſonorato.Et queſta ſichiamauergogna. Il primo,ouero é
temperato,ouero eccede la miſura. Dal temperato neuieneil conſiglio,dall'altro
la inconſideratione,il tremore, & altri ſtrani accidenti.Laconfidenza,
«audacia, é contrario affetto. Et queſte perturbationi tutte ſono d'intorno
almale che dee uenire.Nel L'altro appetito, in cui è poſta la concupiſcenza,
d'intorno al bene ui ſta l’amore,il deſiderio, a l'allegrezza. D'intorno al
male l'odio, o l'abominatione, di cui ſegno infelice e la triſtezza, dalla
quale naſce l'inuidia, la emulatione, lo ſdegno, o la compaßione,quando auiene
che la triſtezza detta ſia de i maliouero de i beni altrui. Ma nelle co fe
proprie affligendoſi l'huomo tre alleggiamenti ritruoua. Il primo ė ripoſto nel
proprio ualore, perche niuno ſcelerato é compiutamente aüegro.L'altro è meſſo
nel conſiderare il dritto della ragione, werita 16 D ' Ε ι ι Α fuerità delle
coſe, da che naſce la ſofferenza figliuoladella fortezza. L'ultimo é la
conuerſatione di alcuno amico, perche ne gli amici e ripoſta la ſoauità della
uita. Ritornando adunque allo amore, ti dico, che Amore è uoglia del bene
altrui,eu ſe é mouimento d'animo a far bene, li dimanda gratis. Senonſopporta
concorrenza, geloſia, lela ſopporta ad onefto fine, amicitia. L'inuidia non
uorrebbe, che altri haueſſe bene,ſe benuifuſſe il merito. Lo ſdegno non lo
uorreb be, non ui eſſendo il merito La emulatione il uorrebbe anche per ſe. La
compaßione ſi duole del male altrui, temendo il ſimilenon da uengu á lei. Etciò
ti puòbaſtare in quanto ad una brieue dichiaraz tiore di tutti gli umani
affetti. Ora econueniente, che tu ſappia in che modo à ciaſcuno d'eſſi tu ſia
diſpoſta, acciò che tu ſappia poi als truiſimigliantemente diſporre. Eſſendo
adunque l'appetito uarias mente affettionato, quandoſi ſdegna,quandoinuidia,
quando aborris ſcequando ama, quando teme, quandofpera, equando in altro mo. do
é trauagliato,acommoſſo, aſcolta un bellißimo ſecreto, ilquale non ſolamente à
diſporre gli animi à qualunque affetto è buono, ma in ogni operatione é
neceſſario, & benche oggi mai per uero ammies ſtramento della uita da
ogn'uno ſi dica, RIGVARDA AL F 13 NE, non é però d'ogn’uno l'applicare alle
attioni o opere de' mor tali, cosi belle ſentenza. Laſcerò da canto le coſe,
che non ſpettano alla noſtra intentione,ſolo dirotti quanto io deſidero, che
ſia negli af fetti oſſeruato. Deiſapere che egli ſi truoua una maniera
diparlare, la quale in molte, manifeſte parole effrime la forzı, ey la natura delle
coſe; e quelle molte, omanifeſte parole altro non ſono, che le parti della coſa
eſpreſſa. Queſtamanieradi parlare é detta Diffie nitione. Ora dunque io ti
ammoniſco, che nel muouere gli effetti pri ma tu habbia à riguardare alla
diffinitione di ciaſcuno,come al deſide rato fine. Però cheſe la diffinitione
rinchiude in certi termini la nas turi della coſa propoſta, ſenza dubbio
querrà, che il conoſcitoredel la natura, o delle parti deltutto diffinito,
oeſpreſſo, indrizzerà tutte le forze dello ingegno ſuo, à ciò fare,et tale
aiuto preſterà abon dantißima copia di ragionare, o diſciogliere ogni
occorrente diffi cultà, e durezzé. Eccotiſe ſai, che l'ira é deſiderio di
uendetta per riceuuto oltraggio, o ſe mirerai in queſto fine, non anderai tu
dia ſcorrendo, in qual modo eſſer debbia diſpoſto all'ira colui, che tu uora
rai hauere ſcorucciato? o conchi, oper qualicagione, & quanti modiſieno di
oltraggiare altrui? Et ciòin ogni affetto facendo,non ti farai ſignore, &
poſſeditore dello animo di ciaſcheduno? Et rans to più dimoſtrerai con la uoce,
& co i mouimenti del corpo, te tale. effere, quale uorrai,che altri
ſia,certamente si. La diffinitione adun queé il ſegno,al quale ſi deue
attentamente guardare. Ora inbrieue ti dico dell'ira, che eſſendo ella uoglia
di uendetta,è neceſſario,che lo adirato ſi dolga, o dolendoſi appetiſca alcuna
coſa, dalche naſce,che repugnando altri à gli umani deſiderij, ouero à quelli
alcuno impedi mento ponendo, ouero in qualunquemodo ritardande le uoglie al
trui, porga cigione di adirarſi, cioé di deſiderare uendetta,ilperche nella
ſtanchezza nell'amore, nella pouertà, e ne i biſogni ſonodiſpoſti i petti umani
agramente al dolore cagionato dall'ira, epiù cheſono ideſiderijmaggiori, più
apparecchiati, oprontiſono all'ira, o al furore. Lo hauer male di chi s'attende
ilbene,lo eſſere in poco pre gio tenuto, ò diſubidito, o prezzato, o per
ingratitudine, ò per ingiuria ſenza prò dello ingiuriatore, ſono tutte
diſpoſitioni al predet to mouimento.Giouamolto, oin queſto, & in altri
affetti ſaper. la natura,ilpaeſe, la fortuna, ela conſuetudine di ciaſcheduno.
Se adunque ſi accende nell'ira in tal modo, chië diſonorato, o iſcordas
to,ſenza dubbio acqueterai colui cheſarà onorato, riuerito,ubidito, ammeſſo, et
riputato;ouero, chiſiſarà uendicato,a cuiſarà dimandato perdono con la
confeßione del fallo, incolpando la violenza, enon la uolontà. Deueſi dare
molto al tempo, oalla occaſionein ognicoſa, operò ne' conuiti, ne i diletti,
one igiuochigli umani appetitifoa no più alla manfuetudine inchinati
Dell'amorealtro non tidico, le non che eſſendo eſo soglia del bene altrui,
l'eſſere cagione, mezano, interceſſore, aiutore al bene altrui,diſpone
ageuolmente à tale affets to ciaſcuno. Et perche Amore appreſſo, é una
ſimiglianza, w unios ne di uolere, però coluiſarà più amato, ocon l'animo più
abbrace ciato, il quale dimoſtrerà d'eſſere d'un'animo, o d'una uoglia steſſa
con noi. Ilche nelle allegrezze, one i dolori ſi conoſce, o neį biſoa gni
ancora; non ſolo nelle perſone amate, ma ancora negli amici de gli amici. Allo
Amore riferiſco la Benuoglienza, e l'Amicitia, las quale, ben che affetto non
ſia, pure è nata da eſſo amore, che è uno de gli umani affetti. Qui non é luogo
di più diſtintamente ragionare dell'amicitia; de gli oggetti, delle parti, e
delſine ſuo. Perciò che altroue nei graui ragionamenti di filoſofia ciò ſi
conuiene. Baftiti d'hauere per ora la ſuperficie, el'apparenza. Ritorno adunque
e ti dico,che ipiaceuoli,coloro, cheſidimenticano dell'ingiurie i с faceti,
imanſueti, gli officiofi uerſo i lontani, atti ſono ad eſſer'amati. Peril
cótrario ſapersi chedire intorno all'odio,il quale è ira inſatia: bile, da
uendetta, da tempo,daruina alcuna non mitigato; occulto ine ſidiatore,
ymortale, nato da in giurie o ſoſpetti. Al quale diſpoſte ſono altre nature
più, altre meno, o à megliodiſporle,biſogna ams plificare le ingiurie, «
iſospetti,acciò che nonſoloſi brami una ſema plice uendetta, ma la diſtruttione
della perſona odista. Del timore, odella confidenza, che ne attendi più, ſe di
queſta, ed'ogni altra perturbatione ne i uolumi degliſcrittori, et nelle
pratiche umane'ne Jei per uedere aſſai? Timore e turbation d'animo, nata da
ſoſpetto di futura noia. Et però chi temeſa ó penſa dipotere ageuolmente
eſſer’offeſo, eda chiſpecialmente, ſopraſtando il tempo,es la occas: fione.
Etchiciò non ſoſpetta,non é al timore diſpoſto comeé chi ſem pre éſtato
fortunato, chi ſempre miſero, chi è copioſo d'amici, di ros 64,09di potere,chi
é fuggitoſpeſo dalle ſciag ure, ode pericoli,ego altriſimiglianti;o
que'taliſono confidenti, &audaci. Euui altra maniera di timore, non
didanno,madi biaſimo; alla quale diſpoſtiſos no i giouanetti,i riſpettoſi,
oriuerenti, quelli cheuoglionoeſſer' ha uutiper buoni da ' più uecchi, o da
ſimili, opari. Et però aûa loro preſenzaſonopronti ad arroſire. Non cosi ſono i
vecchi,perche non credono,che di loro altri ſoſpettino quelle coſe, che ſono
ne' giouani, come laſciuie,amori, euanità. Etperche il diſonore è coſa, cheuies
n'altronde, però gli ſpiritidalſangue à quellaparte, che più lo ricer inuiati
ſono.Ladoueil uiſo ſi tignediquel roſſore, cheſi vede. il contrario nei timidi,
nel cuore dei quali il ſangue ſi riſtringe, per ſoccorſo di quella parte, che
teme la offenſione.Nella uergogna ſi abbaſſano gli occhi, come che tolerar
nonſi posſa la preſenza dicos lui, che è giudice de i difetti umani. Queſto è
ne' giouani aſſai buon ſegno di gentil natura. Però che pare, cheuergognandoſi
conoſcas no idifetti, ey habbiano cura di quelli. Non uogliopire diſcorrer’ina
torno all'audacia, allo ſdegno, alla compaßione, alla emulatione, « al la
inuidia. Però che molto ne uedraiſcritto, eragionato da altri. Ben non ti poſſo
tacere del male acerbo, mortale, ch'io uoglio à quella fiera indomita,
eabomineuole dell'inuidia, che all'udir ſolo il nomeſuo, ſtranamentemi muouo.
Lafigura,i modi, ai coſtumi di eſſa ſono da gran poetadeſcritti. Di queſta mi
dolgo, per eſſer quels la, che più regnaneimiei seguaci. Là doue il fabro al
fabro, il mes dico al medico,l'uno artefice all'altro, inuidia portano ſempremai.
M4 ca,Md tacciamoora di queſto, e poicheragionatohabbiamo di te, delo le parti
tue,delle quali taci, che in eſſeſi ſtanno,e delle loro difpofia tioni,
addimandiamo la Natura quaicoſe a’quai parti di te conuena gono, acciò che
accordando la foauißima armonia della umana elo quenza con piacere, og
utiledegli aſcoltanti uditi ſiamo apieno por polo raccontare i miracoli della
Natura. ' AN. lo ueggio ben oggia mai' ' Arte, che tuſei quella chefai l'acume,
ò la ſottilezzadell’oca chio mortale nel ſecreto della diuinamentetrapaſſare.
AN. Anzi per te, ó Anima,coteſto mirabile ufficio s'acquiſta, la cui cognitione
tanto apporta di lume, e chiarezzaad ogniprofeßione, o scienza, che ucramenteſi
può dire chetuſia ilprincipio d'ogni conoſcimento Etperò chiunqueſtima; ola
uſanza di uno leggieri eſſercitio, o il ca fo tanto potere quanto tu, o
io.uagliamo, grandamente s'allontana dal uero. Tu t'abbatterai in un ſecolo
impazzito, d'huomini, i quali s'accoſteranno ad imitare più uno, che l'altro,
olo imitar loro non faràſenon manifeſto rubamento, ſciocchi,oferui imitatori,
che non Sapendo, perche altri s'habbiano acquiſtato il nome, tutta via in ciò
s'affaticano. Altri perche hanno unaſcelta di belle, &ornate pde role
uogliono ad uno ſteſſo tempo fcoprirle accomodando à quelle i concetti loro; ma
che poi ſono cosi rozi, a inetti,cheſenza ordine, Ofuor di tempo le metteranno,
e diranno, Io cosi dißi,perche cosi ha detto alcuno de' più preſtanti.
Queſtiſono gli incomodi delfecom lo. Nat. O`quanto m’increſce perciò eſſere
ſtimatapouera «biſo gnoſa, come che à me manchi alcunafiata,che donare, o che
nel cer care l'altrui teſoro l'huomo perda,ò non conoſca il ſuo. AR. Chi ſempre
ſegue, ſempre ſta di dietro, chi nonua dipari,nõ puòauan zare. Male
hauerebbonofatto i primi inuentori delle coſe, fehae veſſero aſpettato,chiloro
douea farla ſtrada. Et troppo pigro écoe lui, cheſi contenta del ritrouato.
Ionon porgo già mai la mano a chi laſcia, oabandona la naturale inclinatione,
come bene ho ueduto que' ali non conſeguire il deſiderato fine. NAT. Mi turbano
apa preſſo quelli, ò Arte, che tanto di me ſi fidano, che te laſciano à dies
tro". A R. Non ti dißi da principio, chenoi erauamo unite, e che ciò che
appare di uarietà, e diſomiglianza tra noi,e in un principio ricongiunto? Che
miditu? Chiunque opera alcuna coſa da me drizzato, uſa una regola commune,
& uniuerſale, che à molte, diuerſe nature feruendo,quelle uniſce, o lega in
uno artifi cio medeſimo, perche io ſono la conformità,o la ſimiglianza;altri
acutifono, eſuegliati, altriſeueri,& graui,altri piaceuoli,&eles ganti
per natura. Vnaperò e l'arte,una éla uia, che ciaſcuno al ſuo ſegno conduce.
Quando adunque l'arte precede,facile e lo imitare; lodeuole il rubare, &
aperta la ſtrada alſuperare altrui. Et in tal guiſa bene ſilpendeſenza lo
auantarſi di eſſer ricco, a fenza dar ſos: spittione di uergognoſo furto.
Accompagnifi dunque nelle ciuili con teſe il core, ola ſcrima,cioè la natura,
el'arte, ogſi uederanno poi que’miracoli, ch'io ſo fare. Ma laſciamo tai coſe,
e incomincia o Natura, o dimmi, in che modo le coſe tue fiſtanno, che di eſſe
cosi dileggieri gli huomini ſi uanno ingannando NAT. Sappi ò Arte, che ogn'uno
che ci naſce, ſeco porta dal naſcimento ſuo unacerta ins clinatione alla uerità,
donde auiene, che inſieme con glianni creſcens do ella in parteſuole il uero
congetturare, laqual congetturi opis nione più toſtocheſcienza uferai di
chiamare. Laſcio la uſanza mia imitatrice,chefino da primiannirecarſuole molte
opinioni, che poi dipenacon l'altra certezzaſileuano, parlerò di quella
ſembianza più toſto, che ſembiante di uero,cheé atta nata à muouere l'umane
mentia far giudicio delle coſe. Dico adunque, alcune coſeeſſer da ſe ſteſſe
manifeſte, chiare, altre, niente da ſe hanno di lume, edi
fplendore,mailluminate da quelleche ſeco hanno la luce, ſi fannoa? fenſi
umanipaleſi; nel primo gradoé il Sole, o tutti que' corpi, che ſon chiamati
luminoſi. Nel ſecondo ſono i corpi coloriti, i quali non hannoin ſe ſcintilla
di chiarezza, ma d'altronde ſono illuminati. Il fimigliante ſi ritruoua nello
intelletto. Iljaale riceuendo alcune coſe diſubito quelle apprende, og ritiene.
Però che quelle ſeco hannoil lume loro, ſe à me ſteſſe il fabricare de' nomi,
io le chiamerei Noti tie, ouero Intendimentiprimi. Ma poi altre ſono, che non
hannoda ſe lume, ó uiuezza alcuna,&però di quelle ſifa giudicio con
ſoſpetto di errare, fe da altro luogo la loro intelligenza non uiene; quinci ė
nata la opinione, la quale come opinione, che ella é, né uera ſitruoua, ne
falfa. Il difetto naſce daquelli uirtù,chepoco dianzi diceſte.Pero che le coſe
mie fono, come ſono,mariceuute nell'anima, e da' ſenſi al la fantaſia per
alcune debili ſembianze traportate, ſtranamente meſcolate, fannodiuerſe opinioni.
Ben’é uero, ch'io non faccio una co ſa tanto diuerſa da un'altra, che l'huomo
dueduto non poſſa alcuna Somiglianza tra eſſe ritrouare. A R. Molto mi piace
che l'animadi ciò nonſia fatta capace, perche accadendoleſpeſo mutare le
opinioni umine, e da uno in altro contrario traportarle, molto deſtramente
biſogna adoperarſi,et diſimiglianza, in ſimiglianzaà poco a poco pas
fando,perchelo errore in eſe ſimiglianze ſinaſconde, tirar le menti, che no
s'aueggono di una in altra ſentenza. An. Et chi può queſto ageuolmente fare? A
R. Chi con diligenza inueftiga la natura dela le coſe ſottilmente, uedrà in che
l'una con l'altra ſi conuenga, ma non chiamiamo però la opinione
incerta,cognitione à queſto ſenſo,checo lui, che ha opinione ſappiaſempre
quella eſſer’incerta, o dubbioſt conoſcenza, ma bene che in ſe conſiderata,
come opinione da chiuna que hauerà il uero ſapere,ſarà riputataincerta. NAT. O
quans to mi nuoce in questo caſo,la uſanza inſieme con la età creſciuta, lds
quale à guiſadimeſtesſa, ferma talmente le coſe nelle menti umane, che bene
ſpeſſo la bugia, più che la uerità in eſi ritruoua luogo. Et peròcredono molte
coſe che nonſono, ouerofe ſono, ad altro modo di quello, che ſono, uengono
giudicate. Etfe pure dirittamente appreſe ſono, altre cagioni lor danno,che le
uere, e quelle ch'io so eſſere in mediati o continuate à gli effetti. Et queſto
auiene quando la ragio ne inchina più al ſenſo che all'intelletto, « più
all'apparenza, che al l'eſſenza. AR. Tu hai più dell'Arte,o Natura,che di te
ſteſſa,cos si bene uai diſtinguendo i tuoi ragionamenti. NAT. Non te ne ma
rauigliare, ò Arte,perche io qual ſono,tale mi dimoſtro, oſe di me medeſima
parlo, cometu uedi io lo faccio in quel modo, chetu altre uolté hai confeſſato,
che io ragionereiſe io fußite. AR. Quello che io dico, lo dico per
amınaeſtramento di coſtei, laqualanche non ſi dee marduegliare di queſta
apparenza del uero. Perciò che è aſſai als l'huomo ſaggio, che le buoneragioni
gliſieno ſemprequelle ſtelle, da quelle ne prenda la ſimiglianza del uero, che
per lo più muoue le umane menti, oin eſſe ageuolmente ſi pone, al che fare,
opportuna, ocomoda coſa é ricordarſi, in che maniera per lo pulſato l'huomo ſe
ſteſſo habbia ingannato, o in qual modo ancora, e per qual cagione altri
ingannatiſi fieno da loro medeſimi, in uero te ne riderui, uedens do alcuni che
penſano, ogni coſa, che precede un'altra, cffer di quella cigione, ò che lo
eſſer fimile ſia il medeſimo. Ne per ciò direi che l'os pinione fuſe
ignoranza,comenon dico, eſſa eſſere ſcienza, perche la ſcienza e stabilità,o
fermata da uero, e infallibile argomento, en la ignoranza non è di coſe uere.
Onde naſce,chela opinione è un abi to mezano tra il uero intendimento, o
l'ignoranza, differente dal dia bitare in queſto che la opinione piega più in
una, che in un'altra par te, il dubitare tiene in egual bilancia la mente tra
l'affermare, o il negare, eye però biſogna riuocare in dubbio le coſegià
ammeſſe,e di mojtrare quäto pericolo ſia il giudicare. Da queſtone naſcerà la
que ſtione, e la dimanda, la quale diſponendo le menti alle ragioni; quan to
leuerà della prima opinione, tanto porrà di quella, che tu uorrai, o à ciò fare
uia non é appreſſo quella che ua per le ſimiglianze delle coſe.Partipoco,ò
Anima,cotesti uirtu? penſi tu,che ſia cosi facile il perſuadere? ó credi tù
chegià biſogni con dritto giudicio, o con ſal do intendimento penetrare dalla
ſuperficie alla profondità delle coſe? A N. Da che occulta radice l'apparente
bellezza dicoteſta tua figli uola,nel cuiadornameiito la Natura ſola non baſta.
NAT, Ora ogniſentimento mi ſi ſcuopre, ó Anima, da costei, emanifeſta uedo
eſſermifatta la cagione,per la quale molti miei amiciſono diſonorati. ART. Quai
ſono coteſti amicituoi? NAT. Quei, che inueftis gando uanno iſecretimiei, le
ripoſte cagioni delle coſe,i movimenti, le alterationi, &i naſcimenti
d'ogni coſa, o che non ſicontentano di ſtare par pari de gli altri
huomini,manobilitando la ſpecie loro con le dottrine traſcendono i cieli. AR.
Che ſtrano accidente può ueni re à perſone cosi pregiate, come ſono iſeguaci
tuoi, ogli amatori della Sapienza,i quali comerettori delmondo, felicißimi,er
beatißis mi eſſer deono riputati? NAT. Queſti fedeli miei à punto ſonoquel li,
che più de gli altri ſono diſonorati. An. In che coſa? ART. Aſcolta digratia;
mentre che gli ſtudioſidi meſi ſtannoſoli, ein par te ripoſta comeſchiui
dell'umano confortio,non é loda • grido onora to, che con ammiratione delle
gentinon gli eſſalti o inalzi infino al cielo. Mapoi che compareno, et uěgono
alla luce,ſono prima da ogn'u no guardati, si per la eſpettatione già conceputa
della virtù loro, si an cora per la nouità dell'abito, o dell'aſpetto,et del
portamento,ogn's no lor tiene gli occhi addoſſo, a attentamente ſi dimoſtra di
uolergli udire. Io non ti potrei eſprimere con che grauità poi aprono la boca
ca, e con che tardezza poimandano fuori le parole, etquanta ſia la dimora de i
loro ragionamenti, i quali poi che da principio nonſono in teſi dalle
genti,comecoſe lontane dalla umana conuerſatione, non cosi toto uiene lor tolta
la credenza, per che purſiattende coſa miglios respire conforme alla opinionede’uolgari,iquali
dalla prima eſpets tatione inuiati danno i ſeſteßi la colpa del non capire la
profondità de' concetti loro. Mapoi che nel ſeguete ragionare s'accorgono pur
in tutto di non poter’alcuna coſa da que'beati ritrarre, et che ogn'os ra più le
coſe intricate, ar le parole aſcoſe ogni lume d'intelligenza Hanno lor
togliendo, quanto ſcherno, Dio buono, jego quanto riſo ſe ne fanno. AR. Jo
grauemente miſdegno, ó Natura, & mi dolgo di ſimili auenimenti, poi chegli
infelici non fanno drittamente ſtimar le coſe, benchefino al fondodi eſſe
paſarſi credono,maforſe è, cheſtan do eßiſemprein altro, quando poi allo in giù
riguardando ueggono l'altezza loro, a la profondità delle coſe terrene, uanno
uaccillando con gli occhi; ocomparando il cielo alla terra, ſtimano ld terra un
minimo punto, o una bella città un niente che nobiltà, che chiaa rezza diſangue
può eſſere appreſſo coloro, che ſeſteßicon la eterni tà miſurando, tutti da uno
ſteſſo principio uenuti affermano?Che rica chezzaſarà grande appreſocoloro, che
ſi ſtimano poſſeditori del cie. lo? qual prouiſione daſoſtentare i popoli farà
colui il quale quaſipa ſciuto del cibo de i Dei,altro non guſta, altronon
ſente,altronon din fia,cheſempre ſtare alla ſteſſa menſa? ne credono, che
altriſieno in bi sogno? Queſte coſe io direi in loro efcuſatione. Ma che
midiraitu di quelli cheſonoſtudioſi della vita ciuile,ochefanno le cagioni
de’mu. tamenti de i Regni, e delle Rep.le conditioni de principi, gli ufficij
di ciaſcuno,le uirti, gli abiti uirtuoſi? Non credi tu, che queſti ſie no più
auenturati de gli altri? NAT. Peggio, percioche il ſapere ciaſcuna delle dette
coſe,hauer le diffinitionid'ogni uirti, ocoa noſcere diſtintamente ogni buona
qualità,non é aſſai, ma egli biſogna uſar tanto teſoro al governoaltrui per ſalute,
ocomodo uniuerſaa le, e oltre all'uſo hauer parole al preſente maneggio oalla
ciuile uſanza accomodate. ART. Dondeprocede coteſta loro cosi ſot tile
ignoranza: forſe cosi eleggono penſando di eſſer' hauutiper dot
tiæintelligentiparlando in cotalguiſa?Ma questa é una groſſezza infinita,perche
non é piacere, che s'agguagli àquelloche prende ľa ſcoltatore quando impara
&intende ciò che uien detto.Sai tu duns que la cagione di cosi fatto errore?
NAT. Forſe è,perche non ha uendo eſsi alcuna eſperienza della conuerfatione
cittadineſca, fanno quelguidicio dimolti cheſonoſoliti di far d'alcuni pochi,
loro come pagni,co i quali tutto’l giorno con uarie diſputationi argomentando
trapaſſano,ne mai ſono riſoluti. ART. Et io ancora cosi credo, pe rò guardati ó
Anima, di non entrare nel loro no conoſciuto collegio, ò ſe pure ui uorrai
entrare tanto iui dimora,quanto alcun giouamen to ne puoi ritrarreper la ciuile
amminiſtratione. Nel resto pronta, et ſuegliata nel coſpetto degli huomininon
meno alla ſcuola eall'acas demia,che alla piazza,alla corte, o alſenato
intentafarai, o uſans do. D E L L A. doistiche le gi,con mozeme uoci
raptorersi, percbe riund coſa é få mots, creudire ripublicico:lizále uanie dig
esioni, o le Haitat parole di moint, i quali razlo" 2r.do le ébloro per la
Città frendere unsguerra,realize, ne: i mezi di efl: u21 riguardando, riaprindo
le ſcuole de presa deguono, di 7: oro, oargos:ht::opia ficcrente del mondo, o
cercano chifu il primo ins kantore deli'arxi chifrino in ROMA trionfale,
cbisitrouo le naui, chui brizla i czasu, et ilere ciance si fatte,cbenc
irfegn2":0,ne dis last250,14.1widojiore della prostione de' daruri, delle
genti, o del *010, col quale s bubbis a fartal guerra. Il percbelo. To poi
auies fie, cbei nero perini,çia deguamente di loro parlando, ſono con grue de
11ratione acoltati. NAT. Cotto e mio dono,percbe ditus to potere affreuz! cusi
mi truono,che wina forzaglimetto irrar ci i tuoi ſegussi. AR. Et forſe corne
sfrenati causlii, gli fai tel mezo del coro pericolare; pero sili eccellente
natura,che ta lorda, sorrei che mi falje l'aiuto rio.percbe meglio, o çik
ficuri aadribs 6290 per lefiziglianze dre coſe. An. Bisogna dunque pik skatie
rigliz- guardare, cbe al wero? A R. Cosi biſcgna; o quedo porriaz slitacels il
facesi, sı il donerci tu fare, o ciaſcuno, che * pis airtai perjuadere, accio
cbe fiso aſcoltato, o inteſo dude geri, lezasli barefeito -Is bagis nga 14.0,
får cbe in ejja las casicae spetto dd zero. Queto per fo cjjere, cbei şià f-
931 babe bis 10 c50 surorit: b4xx.: predoi popoli cbei nácti inges gs. An.
Dizni gratis, çusio é cbegli buozi idaro fede: cazzo, cbe apps uto, nos lo
faze0 percbeloro piace il nero? Ar.. As. Paepiuere già saco: 507 co:cf-:: ta?
Forzz aidake,che il sero lis és glicucuitico? Ax Pacte danese giàceil serezos
bruszni P -T271? AR Perikliois tragises filer cxz. AX. Aja -- 22:04 ks:0
600leri: del bero. Às. SostraTrao Adira.secte lazaratsie sesi tid: acts
indiscrezi!4.cezecklacteaefepie regiaze, o lomatto; c (72.0: 1, o
Resmitironine. cedriersdieedia 2.3 " To Rossiradizioro Boricitis 32 2
ciasto nigirisececeáciless Aires22:22: carte.ro 2:46, 13:3050: 22: 15: 4:15,cheſe
la opinione con la ragioneſarà legata, per modo niuno potrà fuggire,anzifuori
dell’eſſerſuo leggiadramente uſcita nõ più opinio ne,maſcienza ſi potrà
nominare. A N. Dimmi, ſe'l uerifimile e tale ad ogn'unoegualmente. AR. Nó. An.
Che differenza ci fai tu? A R. Grande. Ben'è uero,che quando io dico ueriſimile,
io intendo ciò che pare alla più parte. Ma diſtinguendo dico, la più parte però
effere ode gli huomini ſenza dottrina,o degli huomini letterati. Et altro ſarà
il ueriſimile,che parerà à gli Idioti, altro à iperiti. AN. Inſegnami à
conoſcere queſto uerifimile. AR. Il ſegno della ſimia glianza alcuna fiata ſi
ritruoua in eſſaſuperficie delle coſe, cheſenza diſcorſo di ragione ſono
riceuute,o appreſe daiſenſi umani; da ciò naſce il veriſimile, che pare
egualmente a tutti, come auienedimolte miſture, che's'aſſomigliano à l'oro,
cheſe il giudicio filaſciaſſe al ſenſo ſolo,per oro da ogn’uno ſarebbono
hauute. Alcune uolte il detto fe gno emeſcolato con alcuna ragione,accompagnata
col ſenſo, oque sto é quello, che pare àmo!ti. Speſſo più di ragione, che di
ſenſo ſi mette, e ciò è quello,che pare à i piùſaggi; o quarto più dalſenſo
s'allontana,o s'accoſta la ragione all'intelletto, tanto de' più saggi, edi
pochi ſarà l'apparenza del uero. Ma laſciando coteſte più ina
terneſomiglianzedel uero, bauendo tu àfare. con la moltitudine, quelle
attendi,che a tutti,ò alla partemaggiore appariranno; &co: si ogniforza di
proponimento nelle altrui menti rompendo, farai la uoglia tud. AN.
Queſtomipiace. Ma uorrei, che tu m'inſegnaſi à congetturar quello chepuò eſſere.
Dimmi, ſe n'hai ammaeſtramen to alcuno. A R. Dimandane pur la Natura. AN. Non
n'hai tu ancora poter’alcuno? A r. sibene; ma la Natura operando, Sa meglio
dime,quello che èpoßibile. An. Dimmi tu dunqueò Naz tura,quai coſeeſſer poſſono?
NAT. Tutte quelle il principio delle quali ſi ritruoua. An. Adunque ui ſarà
l'arte deldire, poi che'l prin cipio di lei ſi truoua? ilquale nõ é altro, che
l'ojferuatione,che fu l'Ar te di te ó Nitura. Ar. Che uai tu mettendo in dubbio
quello che fie qui habbiamo fermato? ſegui. NAT. Se quello chepiù importa, ò
che piie uale, ò che ha più difficultà, fiuede, ſenza dubbio il meno
importante, il più debile, il più facile ejer potri. A n. Adunque ſe l'arte
puòridurre gli huomini rozialla uita ciuile, meglio potrà gli ammaeſtrati
inalzare algouerno della Città? A R. T4 pur uti argomentando. AN. Mercé tua,
che giàmiſei fatta familiare. A R. Queſto ſo io, che poſſeduta che io ſono
dalle anime,dimoſtro il. Α ualore, il piacere, o la facilità dell'operare. NAT.
se può eſſer la cagione, chivieta che lo effetto non posſa eſſere? et ſe
queſtoé, quel la di neceßità ſi haue. Quello che ſegue dimoſtra,che può eſſere
quel lo che antecede. In ſomma ogni coſa può offere, di cui naturale appeti
toſi uegga, o dalla poſibilità delle parti naſce quella del tutto. Dals
l’uniuerſale il particolare, o dal meno quello che più comprendeſi congettura.
Vna metà, il ſimile, il pare ricerca l'altra metà, l'altro Simile, o l'altro
pare. Etſeſenza arteſi puòfar’una coſa molto me glio ſi farà con artificio, ſe
chi meno può opra, chi più può non opes rera egli ancora? Chene attendi più,ſe
queſto ti può eſſere à baſtan za à farti aprire gli occhi è ritrouare il fonte
della eloquenza? AR. Et io già mitruouoſatisfatta in queſta parte,che alle coſe
appar tenenti all'intelletto ſi conuiene; però aquelle io uorrei,che paſſaßi,
lequaliſono da eſſere ne gli appetiti collocate.Et attendo,che tu quel le
brieuemente mi dimoſtri,etdiffiniſca, acciò che l'anima oggimaicõ. tenta
dellaſeconda promeſſa,alla terza,et ultima ſi riuolga. A N. Per qual cagione, ò
Arte, dimanditu le diffinitioni della Natura? ejendo ſuo carico il diffinire. A
R. Perche ora io non attendo le eſquiſite, Oregolate diffinitioni,maquelle che
dalla più parte delle gentiſono ammeſſe, delle quaiquaſiſenz'artificio ſe ne
può formare un numero infinito. An. Tu ſei molto circoſpetta. AR. Seguiò Natura,
féle coſe àgli umaniappetitidi lor natura piacere, o dispiacere posſo no
apportare,òpur l'Anima ne li fa tali. NAT. Senza dubbio non folo elaAnimaha
uirtidi apprendere, ofuggire le coſe, ma in effe ancora e nonſo cheda eſſer
fuggito,ouero abbracciato. Quädo adun que tra la coſa, o l'animaſi truouaalcuna
conformità, allora lo appe tito ſi muoue ad abbracciarla, o queſto mouimento,ſi
può dire, no minar defiderio,ilquale è appetito di coſa che nõ ſi
poßiede,cõforme però à quella uirtù ò parte dell'anima, che l'appetiſce; ma
quando no ui é queſta conformità,tra gli oggetti, o l'anima,ella gli aborre, o
fugge, né ſolamente oue o anima,oſentimento ſi truoua cotefti ab bracciamenti,e
fugheſiueggono,ma doue occultamente io ſonoſoli ta di operare, doue non éſenſo,
ociò faccio con un ſemplice inſtinto, ilquale al mio poteree tale, quale al tuo
é la conoſcenza. Coteſto in ſtinto ogni coſa conduce alla conſeruatione, o
albene; & dalmale & dalla morte il tutto ritragge quanto può. Maper
dirti de gli huo mini, ſappi, che eſſendo tra le coſe oppoſte, ole parti de gli
animi lo ro,conuenienza,quando auiene,che quelli ſíenopreſenti,oche laſcia no
impreſſa la loro qualità,in quellapartechegli appetiſie, allora ſi genera
ildiletto, e l'allegrezzanata dalla morte delprimo deſides rio, perche
poſſedendo la coſa deſiderata, il diſio è già conuertito in piacere.
Ilqualpiacere altro non é,cheadempimento di uoglie. Tu conoſcerai, cheil guſto
tuo bauerà conformità con le coſe dolci; da queſta nenafcerà
l'appetito,auenendo poi,chele coſe dolci uicine fica no à quella parte,doue il
detto ſenſo dimora, eche in eſſa laſcino la lor qualitàimpreſſa,che é la
dolcezza, nonha dubbio,che quella par te nonſia per bauer diletto, egiocondità.
Il ſimigliante uedrai in ogni tua parte, Et per lo contrario ſi ſente noia, e
diſpiacereo nella priuatione delle coſe deſiderate, o nell'hauere le difformi,
oaborrite, ecome il principio di ottenere il bene era il deſiderio dalla
ſperanza accompagnato,cosi il principio di hauere la noia, era la fuga dal
timore commoffa. Etcome nella prima impreſione la ſperanza in gio is fi
conuertiua, cosi nella ſeconda la paura ſi tramutaua in dolore. Eccoti adunque
i quattro principali affetti diuoianime. AN. Vor reiſaperè,o Natura, in cheſia
poſta la conueneuolezza, che é trale coſe, ole parti mie. NAT. Percheioſono
tale in ciaſcuna coſa, quale io mi truouo, però nelle coſe eſaéripoſta per me;
maperche poi auenga,che io tale mi truoui in ciaſcuna coſa,dimandane chi cos si
ab eterno prouid. AR. Or l'anima tiparetroppo curioſa? ma dimmi quai coſe,à
qual parte dell'anima ſono conformi. NÁT. In fomma il uero é il bene, &per
tal cagione, quello che è uero,uien giu dicato bene. Ar. Che intendi tù bene?
NAT. Ciò che daogn'u no,e da ogni coſa uien deſiderato, &uoluto. A R. Qual
bene Ć cercato daữ’intelletto? NA T. Dimandane coſtei AN. il ſapee re, la dritta opinione. NAT.
Dalla uolontà? AR. Ogniabis to di uirti. NAT. Da gli appetiti. AR. Ogniutilità
® dilets to AR. Che naſcerà poi, ò Natura, dal deſiderio ditai coſe? NAT. Lo
sforzo, o lo ſtudio de'mortali per conſeguirle. An. Buui alcuno inganno de gli
appetiti intorno al bene, come ui é l'ingan no dell'intelletto intorno al uero?
NAT. Grandissimo. AN. Et come ſe il bene e cosi conforme all'anima? NAT. Non
hai tu udito poco di ſopra, come l'anima era d'intorno al uero, opure anco il
ue to le era molto conueneuole, et proportionato? AN. Ben'inteſi, che la
cognitione del uero era molto confuſa, riſpetto alla fantaſia. A'R. Cosi é. Et
di nuouo ti dico, afferino,che ogn'uno confufae mente apprende un bene,nelquale
par che l'animo s’acqueti, et quels lo deſideri,mapoi da gli appetiti
traportato (come prima era l'intele letto dalla fantaſia ) e aquegli rivolto
ſmarriſce la uera strada di quel bene, al quale ciaſcuno digiugner contende,
moſſo dalla interna forza della Natura. Et in quella ſtrada,orapiù lentamente,
ora più. velocemente camina, troppo è meno amando, et deſiderando quello, che
con miſura dourebbe amare,ò defiderare. Indië nata la ingorda uoglia delle
ricchezze, lo sfrenato appetito dei piaceri, vtalbora la pigritia, om
negligenza dell'ocio; &deſiderando altrilapropria con ſeruatione,
s'inganna, credendo,che il bene altrui,ſia la ruina ſua,oue ro temendo di
perder’i ſuoibeni, fauori,gratie,amiſtà,onori,o lodi, ſi muoue alla ingiuria,alla
inuidis,alla uendetta. Et di qui naſce quello di che tutto di ſi contende fra'
mortali, il giuſto, lo ingiufto,ildouere, l'equità, l'utile, oaltre coſe, che
ſono cagioni di liti, o di conteſe Per il diletto adunque, & per il comodo,
ciaſcuno ſi muoue à fare. Et benefarà quello, alquale ogni coſaſi riferiſce,
ouero ſiriferirebbe, • perragione, o per appetito, o per natura.Et ciò
cheopera, difende, conſerua,accreſce,accompagna, ſegue,ordina,et ſignifica il
bene,bene ſi chiama, operò la felicità, o tutte le parti ſueſarannobuone, a le
uirtie ſopra tutto ſono benidiſua natura degni,bencheàmoltinon ſono cosi
apparenti. Ilpró,l’utile, il piacere ebene, perche l'utile ė mezo di conſeguire
il deſiderio, oil piacereè moltoalla natura cona forme. A N. Fermati un poco,
& dimmi,come non eſſendo beni cosi apparenti le uirtù de coſtumi,gli
huominiſieno uenuti in cognis tione di quelle: AR. Credi, ó Anima,che ogni
maniera di bene, che appare à gli huomini, éſimiglianza di quel bene, che non
appare,e chi uuole drittamente giudicare da coteſti apparenti beni, potrà ris
trouare la uia di peruenire alla cognitione di quegli, cheſono in ſebe ni, o
che fanno la uera, es ſola felicità,più deſiderata,che conoſciu taima non ſta
bene ora difiloſofare intorno a tal coſa. Baſtiti, ch'io ti ritruoui la uia,
per la quale gli huomini ſono andati a ritrovare i beni dell'animo, o le uirti
interiori. Dicoti adunque, che uedendo i mortali nel corpo umano molte buone
conditioni, hanno congetturas to, ancora nell'animo ritrouarſi alcune ottime
qualità, à quelle del cor po in qualche parte conuenienti. Dimandane la Natura,
quali ſieno le doti del corpo,che tu ſaprai da me poſcia quali ſienogli
ornamenti tuoi. AN. Dimmi ò Natura, fe egli ti piace, diche beni adorni tu i
corpi umani? NAT. Prima diſanità, o di forza,poidi bellezza, O d'integrità
diſenſi. An. In checonſiſte la ſanità? Nat. Nels la. la proportionata
meſcolanza degliumori principali, enell'uſo di ej 14,6 queſta proportionata
meſcolanza, ueramente ſipuò chiamare una egualità ragioneuole. ART. Credi tu, o
Anima,di eſſer’al corpo inferiore? AN. Non già. ART. Credi adunque, che in te
eſſer deue una certa egualità. Il cui ualore conſiſte nell'uſo. A N. Quale uuoi
tu che ella ſia? AR. Quella che Giustitia ſi chiamna,fers ma, o coſtante
volontà di render a ciaſcuno ilſuo. Ma che dici tu delle forze? NÅT. Dico, la
gagliardezzaeſſer’una uirtù del cor po,poſta nel potere à ſua uoglia
abbattere,atterrare,et uolgere ogni alieno impeto con leggiadria. AR. Bella,
aneceſſaris uirtù neli aa nimo. Perqueſto giudicarono ifaggi,eſſer la fortezza,
laquale reſis ſtendo à gli impetidella fortuna,ſola nė"ſuperbanel bene,ne
uile nelle auuerſità ſi dimoſtra, &fola guida nella militia della uita mortale
uin cendo,glorioſamente trionfa. NAT. Che dirai tu della bellezza del corpo,
laquale è una proportione di membra, o di parti tra ſe ſteſ fe, o col tutto
conuenienti dauiuacità di colori, et gentil gratia acs compagnata? AR. Tumi
dipingila temperanza dell'animo,laqua le in ſe ſteſſa raccolta,
ecompoſta,inuera, o proportionata miſura conſiſte, tanto può di dentro,che di
fuorinel corpo il ripoſato, o quieto penſiero uedi, dolce, ogratioſa maniera ſi
conoſce, & quafie una conſonanza di tutte le conſonanze. NAT. Che coſa
trouerai tu nell'anima,conformealla integrità dei ſenſi, come alla bontà della
uiſta, alla perfettione dell'udito, « al uigored'ogni ſentimento? ART. La prudenza,
la quale consiste in saldo, o sincero conoſcia mento delle attioni umane: A N.
Egli mi pare, che io ſia da Dio creata à fine, che le coſe mie fieno ſcala
all'altezza di quello. AR. Che penſitu altro, ò Natura? NAT. Nulla, ſenon che
conchiudo frame, che gli huominiſi ſieno aueduti delle uirtú interiori per le
qua lità eſteriori. AR. Senza dubbio, a molti anche ſi ſono ingannas ti, oper
una ſimiglianza, che hanno le uirtù con alcuni uitij, se lo Cangiando il nome
hanno detto chela tardezza ſia moderata pruten za,la liberalità ſia la
larghezzaſenzamiſura; e cosi all'incontro il prodigo ſia liberale. Et non hanno
conſiderato, eſſergran differenza tra il ſaper dare, er il non ſaper
conſeruare.Et queſto è quel ueriſimi le nei beni, che muoue ſpeſſo lementi,
ogli appetiti umani. Orain brieue l'ordine,l'ornamento,e la coſtanza delle coſe
handimoſtra to le uirtù, ou appreſſo la concordanza di tutte le operationi, o
la grandezza, che le ſopra feſteſſa inalzają si come in ogni arte, com in ogni scienza
biſogna hauer’alcuna coſa manifesta, e chiara, dalla quale da prima ella naſca,
o s'augumenti,cosinella felicità, bed ta uitaſi richiede,
euidentefondamento,preſo dui benimanifeſti à i ſen ſi umani,dalquale
s'argomenti il uero, ottimo fine, operò dalle predette coſe ſiſtima,quella
eſſer felicità, che con proſpero corſo tracorre,tutta diſeſteſsa, tutta di ſua
uoglia, tutta piena,tutta d'ogni parte abondeuole, ocopioſa, eyd'intorno à tai
coſe ricordati ſeme pre della diffinitione, da unaparte conſiderando, che coſa
é bene,di! l'altra diſtinguendo quello che é del corpo, da quello, che é
del’ani mo, e come ciaſcuno in molte parti ſi diuide.perciò che cosi ne trar:
rai quella abondanza di coſe che tuuorrai,doue meritamente la pres detta
parteſi può dar tutta alla inuentione, laquale e il fondamento della noſtra
fábrica. Partidoadunque tutto quello cheſotto il nome di bene, ò uero, ò
apparente ſi conciene, trouerai la felicità con tutte le ſue parti,o trouerai,
che'l fuggire dal maggior male,ſia bene, et l'acquiſto delmaggior bene, « il
contrario delmale; & queſto, pera che molti s'affaticano, e che i nimici
lodano alcuna fiata.Et che ſifa ſenza incomodo, feſa, fatica, ò tempo, ſe é
diſiderato; ofinalmente tutto è bene,uero, apparente, v dubbio, quello che
uiene deſiderato. AN. Che dirai tu del piacere? AR. Grande ueramente è la fore
za del piacere, & del dipiacere, percheſin da fanciulli ſi uede, che il
tuttoſi fa per tai contrarietà. Et s'io uoleßi pienamente ragionarti, io non
finirei cosi toſto, però di eſſo alcune brieui ſentenze io ti pros pongo,dalle
quaiſe ne ritrarrà quella ſimigliäza di uero, che in tai be niſi può trarre.
Dicotiadunque,che quelle coſe grate ſono, dipid= cere,che ſono alla natura
conformi,come hai diſopra ſentito; pero à ciaſcheduno grato ſarà quello,à che
eglidi natura ſua ſaràinchinas toje per la medeſima ragione,foaue,et gioconda
coſa é la conſuetudi ne, come quella chemolto alla natura ſi confaccia. Perche
quello, che speſſo,et per lo più ſifa, è molto uicino a quello che ſempre ſi
ſuolfa re. Caro e quello,che non ſi trde per forza,perche la forza é contra
natura, onde i trauagli,lecure, e ogni maniera diſtudio, odi pens ſiero,che
turbi la quiete dell'animo, perche é uiolēto,arrecca moleſtia o diſpiacere.
Seforſe la conſuetudine non l'ammolliſce. Cosi per con trario il diletto, il
giuoco, il ripoſo,la ſicurezza ilſuono, et la rimeßio ne, come coſe di ogni
neceßitá lotane. Néſolo col ſenſo uicino ſiprende piacere delle coſepreſenti,
ma con la memoria,con la ſperanza,del lequali una riguarda le paſſate, l'altra
le future. Lepaſſate apportano nella ricordatione aſſai diletto,perche la
imaginatione le fa quaſi pres ſeriti, e ſe erano graui, o noioſe, con lieto, o
piaceuol fine fatte ſos no dolci, eſoauile coſe buoneche hanno à uenire nello
ſferare con fortano, comele preſenti nel goderle,ouero nel imaginarle, ilche
ſuos le à gliamantiuenire, iquali non hanno ripoſo ſenon quanto penſano alle
coſe diſiderate. Lauittoria ė foauißima coſa, ó lo auanzare il compagno, or
però ogni maniera digiuoco ſuol dilettare la caccia, l'uccelare, la peſcagione,
et appreſſo l'onore,ogni gratitudine, ogniri uerenza,inſin l'adulatione piace
infinitamente. Lo imparare ancora é coſa piaceuole, onde la imitatione delle
coſe è giocondiſſima, tutto che le coſe imitate non dilettino, perche nõ la
coſa eſpreſſa,malo sfor zo, e il contraſto dell'arte ſuol dilettare. Indi è
nato, che la pittura, le statue,o l'opre finte aggradano chi li mira. Ne più ti
uoglio af faticare,o Anima,in dimoſtrarti,quello cheda te, et in te prouerai ef
ſendo con eſſo il corpo.o quanto ti fia dipiacere il dominar’ultrui il
comandare il ridurre à compimento le coſe incominciate, il veder riu ſcire ogni
tua deliberatione, e finalmente tutto quello, che al bene t’indrizzerà,ò dal
male ti ritrarrà. AN. Se queste coſe ſono buo ne, come tu di, per qual cagione
ſipuò errare nel deſiderarle, nel cercarle? A R. Due mouimenti,ò Anima in te
conoſcerai, l'uno de' quali da eſſa Natura riceuerai, e l'altro riporterai
teco. Nel primo niuno errore puoi commettere,perche non è colpa tua, che alcuna
co ſa ſi truoui,che ti diletti; ma nelſecondo ageuolmente puoi cadere, eſſendo
in tua mano il freno di non conſentire cosi à pieno à quella prima voglia&,
non riguardare alla ragione, che con certo conſiglio al gouerno de'primi
appetiti guidar tidee. Maperche per lo primo, O naturalemouimento gli
huominifanno il più delle loro operatio ni però debbonoeſſer ueriſimilmente
guidati,o é creduto per lo più, che ciaſcuno faccia con deliberatione quello
cheegli fa, ſeguendo il primo inſtinto; néſi conſidera che in teſi truoua uirtá
libera, o po tente,dalla quale ognilode, o ogni biaſimo procede. Etacciò che el
la ſiapiù drittamentegouernata, eccoti l'autorità delle ſacre leggi, nella
quale è poſta la ſalute, e la correttione d'ogniumano errore. Contra le
quaichiunquepreſume di opporſi, dal proprio conſiglio abandonato, è dato in
preda alle ſue proprie uoglie,e ſottoposto ale la pend, come quello cheiniquo,
o ingiuſto ſia. Ora in brieue ti dico, che eſſendo eſſe leggi nelle rep. àgli
animi quaſi medicine delle loro infirmità, o rimedijà i loro errori, biſogna
ſapere ogni maniera di gouerno, gouerno,
in che eglipiù fermo fia,da che uegna il cadimento di quels lo, et quanti
ſienoi contrarij ſuoi,per poteralla cõmune utilità con le Sante
inſtitutioniliberamente prouedere. NAT. Matu non dimo ſtri, ò Arte, che alcune
leggi ſono eterne, er immutabili, non da gli huomini ſecondo gli ſtati loro
ordinate, ma dallo editto diuino, o da me inuiolabili ſtatuite, communi,&
uniuerſali à tutte le genti, lequai non più allo Indiano,cheallo
Ethiope,eguali, in ogniſecolo, in ogni luogo ſi Sogliono ritrouare, non ne
igrandiuolumiſpiunati da' morta li,manel libro della eternità impreſſe,et
ſigillate in ciaſcuno che ci na ſce. AR. Coteſte leggi,ó Natura,non ſono
ritrouamenti umani, né ſecondo le occaſioniformate, ma eterne, econtinuate ad
un modo in permutabile, del quale non tocca à me il ragionare, «pint é quella
ch'io non dico di eſſe, o forſe quella equità,dichefpeſoſi ragiona, al tro
nonė, che la leggeſcritta nel cuore d'ogn'uno per correttione di quella cheè
poſta per commune uolere di ciaſcun popolo. An. Dun que nelle umane leggiſi
truoua errore? AR. Nongià, ma ben può eſſereche ilfondatoredi eſſe al tutto non
proueda,et chenon conſide ri molte coſe,lequaiperalcuno accidente, come, che
molti ne ſieno fanno uariare i giudicij, e in queſto caſo la equità, &
l'oneſtà può aſſai, operò molto prudente, oqueduto biſogna cheſia, chiunque
forma le fante leggi, « che il più che può tolga il potere à gli huos mini di
giudicare da ſe ſteßi. Però cheben ſai, quantopericoloſopra ſtà nel giudicio,
riſpetto allo amore, all'odio, e ognialtra perturbae tione umana. Matempo è, cheſi
dia fine à queſta parte, perche aſſai sé detto d'intorno alle uirtù
dell'anima,e d'intorno alle coſe appars tenenti ad eſſa, si di quelle che allo
intelletto, come di quelle, che ape partengono allo appetito. In quanto che
elle hanno ſimiglianza del uero, delbene, dj appartengono alla inuentione. A N.
Tutto che ó Arte, inanzi à gli occhimiſieno le coſe, che tu m'hai dimoſtras te,
hauendole tu ſopra la Natura delle coſe ſtabilite,pur uorrei ſapes re
alcunſecreto, come diſopra molti me n'hai ſcoperti, quando tra noi ſi ragionaua
delle parti mie. AR. Io non per naſconderti alcu na coſa miſon taciuta,
maperche eglimipare, cheda te ſteſſa potrai ogni ripoſte bellezza conſiderare,
uedere, che da que' beni che di ſopra habbiamo diſtinti,naſcono treparti
principali dello artificio no ſtro. Però che ſe il bene é utile,nenaſce quella
parte, che é posta nel conſigliare, laquale ſi uſa neiſenati. Se'l fine è
giuſto, quell'altrapare te, che delle ingiurie ciuili,ò criminalitra i popoli
fa mentione, felfie ne 1 1 ne é honeſto, allora ampia, o magnifica materia
ſipreſta di lodare nelle pompe, et ne i trionfi le opere glorioſe, ma il ualore
delgraue, o riputato Cittadino,primanel ben fare,poi nel ben conſigliareſi di
moſtra. AN. Diche coſa più ſi conſiglia? AR. Di quello, che: più abbraccia
l'utile uniuerſale. Etprima d'intorno al corpo delle uettouaglie, odel uiuere
per ſoſtenimento di ogn'uno, odella difen fione per ſicurtà de i popoli, delle
ricchezze perſoſtenere la difes Ja. Dapoi delle ſacre leggi, e della religione
per ottenere l'ultis mo, o deſiderato fine. ANI. Che ſi ricerca nel conſigliare?
ART. Prudenza, beneuolenza, animo, ſecretezza, e celeris, tà nello eſſequire. A
N. Gli ineſperti adunque,imaligni, i timis di, i uani, i pigri huomini, non ſono
atti al conſigliare: ART. Non già. Necoloro, che non ſanno conſigliare ſe
ſteßi. Ma odi: alcuni ſecretidi queſta parte, forſe non uditi fin'ora. Vuoi tu
ſapere un modo mirabile di conoſcere glianimi de' mortali? AN. Queſto eil tutto.
A R. Sappi,checiò, che ſecreto nell’hkomo ſi truoua, forza cheſia in alcun
ſentimento di eſſo,ò di dentro, o difuori.Sentis, mento chiamo ora ogniparte di
te ó Anima. Et però uolendo tu ri trouar coteſto ſecreto, tenterai ogni
ſentimento, perche quando es toccherai quella parte,nella qualee ripoſto il
ſecreto di alcuno, o pia ceuole, ò noioſo,che egli fi fia,ſenza dubbiomanderà
fuorialcuniſea gni,comemeſſaggieridelle uoglie ſue,ocon alcuneſimiglianze dimo
ſtrerà quello,che egli ſipenſa di haueredétro diſe naſcoſo; aguiſa di una corda
chealſegno tirata di un'altra; quandoritruoua la conſon: nanza,ſimuque, a ſuona
di pari armoniacon quella.Da queſta reues, latione dipende la uittoria, eu
l'onore di chi parla nel coſpetto degli huomini.Etqueſto è un ſecreto ripoſto
aſſai, wodegno di penſamento.. L'altro è, che a conoſcereil giuſto, e lo
ingiuſto,biſogna riguardas re al fire,alquale ciaſcuna coſa deueeſſer
meritamente riferita, pera, che quando ſia, che dal debito fine alcuna coſa ſi
rimuoua, allora ne ng ſce la ingiuria,la quale éuna eſpreſſa maniera di
ingiuſtitia. Aqueſta ingiuria altri ſono più diſpoſti a farla, che à patirla,altri
per lo cons, trario. Et questo biſogna conſiderare per potere in quella parte
uas lere, ii cuifinalgiudicio rizuarda il giuſto, o l'ingiuſto. Altri ſes creti
ui ſono, ma io mi riſeruo là doue della applicatione ragiones remo, cioè
quandoſi dirà il mododi porre le coſe nell'anima. Ma che marauiglia è queſta?
doue é gita l'Anima, ò Natura? Perche te ne ridi tu? come ſono ingannata? come
tolto mi viene il poter ſeguire E l'incominciato ragionamento? NAT. Aſpetta ó
Arte, non titurs bare, toſto merrà, con chi tu habbi à ragionare. Ora uoglio
che noi ci tramutiamo, o che cifacciamopalpabili, o viſibili. AR. Che
mutationimiusi predicando? NAT. Taci, attendi. Eccomi qui di corpo,e di formaumana.
AR, Guardami ancora tu, ch'io ſo no trafigurata,à chimiſomigli tu o Natura? NAT.
Io non ſaprei à coſa alcuna ſimigliartijmubene io uedo, che tu hai molto del
graue nell'aſpetto, e nello andare, onel uestire,et à pena io ardiſcofiſarti.
gliocchi à doſſo. Et mi viene una certa tenerezza di lagrimare. A R. Coteſto é
ſegno,che tu mi ami et riueriſci;et tanto più ch'io ti ſcorgo un certo roſſore
nel uolto, e ti odo ſopirare. Ma che ti pare de gli occhi miei? NAT. Tu
haideldiuinoin eßi,come cheſieno di coloa re celeſte, o di luce penetrante. A
R. Et de capelli,chedi tu? delle ciglia? NAT. Quelli ſono neri, a queſte rare,
e di oneſta grandezza. ART. Saitu di cheſieno ſegni le predette coſe? NAT. Non
già,ma bene ſtimo, che tu t'habbifigurata in quel mo do difuori,che tuſei di
dentro, cioè piena d'intelletto, edi capacità ftudiofa delbene,folerte,er
ſuegliata comeſei. A R. Tudi il ues ro, e dipiù il naſo aquilino, le orecchie
egualiil collo brieue, il pete tolargo, le ſpalle große, le braccia, le palme,
ø i diti lunghi, tuttiſou no ſogni euidenti dello eſſer mio. NAT. Ma tunonſei
peròtroppo grande,bencheiltuo mouimento ſia tardo, elo ſtarediritto, chedie
moſtrino te manſueta, umana, a piaceuole. Ar. Se non fuſſe il mio continuo
penſamento, mi uedreſti ancora più allegra. Ma guarda quantiſtrumentiadoperar
mi conuiene perporre in opra quello che io nella mente diſegno. NAT. 10 ſono
dite più ſemplice, o piis ſchietta comeuedi. AR. Tu mifai ridere con tante
mammelle. NAT. A punto io fo ridere ogni coſa per tante mie mammelle, pero che
credi tu, chelefemine, noni maſchi habbiano tai parti? AR: Perche le femine
ſono quelle chepartoriſcono, però biſo gna, che come eſſe danno la uita, cosi
diano il notrimento,etperò han no le dette parti come iſtrumenti della
nodritione. NAT. Quans te adunque nedebbo hauer’io, eſſendo madre dituttele
coſe? AR. Tu hairagione,ma chi é quel giouane cosi bello, che incontro ne uie
ne? NAT. L'anima,che poco dianzi era ſola,ora è accompagnata col corpo. AR.
Chemiracoli fai tu ò Natura? NAT. Credi tu Arte ſapere ogni coſa? AR. 10 fo
bene quello, che credo, ſo che le genti non crederanno queſte mutationi, che tu
o io facciamo. NAT. E LO QVENZA. NAT. Pochi ſono i ueri Sauij., però non diamo
orecchie al uolgo. Eccoti il deſiderato aſpetto, conſidera o miſura le parti
fue, che ria trouerai bella,o proportionata compoſitione. Ar. Che carne gen
tile, odelicata, non però troppo molle, guarda chedignità,che maa niera
chefronte allegra, « ſignorile,chipotrà dire che egli nonhab bia ad eſſere
pieno di coſtumi, o d'ingegno? NAT. Ben ſai,che io gli ho la promeſſa ſeruata
in tutto. ART. Rallegromi ueramen. te, o mi pare, che tu ſeimolto miglior
maeſtra di me, ma che nome gli daremo?.NAT. Quello che conuengaà chi lo fece.
ART. Io ne ho poco che fare. NAT. Anzi tugli hai dato, & darai il
miglior'eſſere;ben’è uero,ch'io ne ho la parte mia, o il mie fattore la ſua.
ART. Chiamiamolo dunque DINARDO. NAT. Perche? AR. Perche Dio, Natura, &
Arte il donarono. NAT. Tu mi allegri con tal fabrica di nomi. A R. In molte
lingue io ho queſto potere, il quale e poco da gli huomini conoſciuto. NAT.
Mipiace, ma perche non l'hai tu dacapo a piedi minutamente miſurato? AR.
Micuſui lo hauerglidimoſtrato, che la oratione eſſer dee.comeil corpo umano, o
hauere principio,mezo, & fine.Etche le partiſue deono corriſpondere à
ſejteſe, al tutto con dignità,e decoro? Et si comenel capo ſono tutti i
ſentimenti del corpo, cosi nel principio eller deono ripoſti i ſentimentidella
oratione. A lui pofciaſtarà di ore dinar la predetta materiafecondo il biſogno,
facédolo auuertito, che i teftimonij delle opere de’ mortaliſono le coſe che
ſtanno d'intorno à quelli. Et però mi gioua di nominarle circostanze, percioche
fa cendo,o operando l'huomo alcuna coſa, ha ſempre inanzi,ò apprefe ſo il
tempo,il luogo,le perſone, il modo, ilfine, le quaicoſe fanno fede ſe
l'operaſua è buona, orea. Da coteſta conſideratione, ſi ſtima chi ragiond, e
con chi,ſe è la occaſione di dire ſe in questo, o in quel luo, goſtarà bene di
parlareſe ilfine è buono,et altre coſe,alle opere ap pertenēti. Ma tu
gratioſißimo Giouane, che con tăto fauore delcielo ſeinato,ti ricorderai tu
quelle coſe che dette habbiamo fin'ora? Non titurbure,cheio ſono l'Arte, e
queſta è la Natura,con la quale tu, eſſendo Anima ragionaſti. Din. In che
maniera ſono le coſe ſchiette, oignude, oin che forma ſono le compoſte,che cosi
uiſiete mutate, piacemi di hauerui riconoſciute, o cosi uiaffermo di ricordarmi
di quanto s'è detto. ART. 1o non mipoſſo ſatiare di guardarti. NAT. Che
giouanezze ſono queſte? ART. Non ti dolere, o Natura, che la bellezza delle
opere tue ſia da me riguardata con E 2 marauiglia. NAT. Poi che io à tale fon
uenuta, che pienas mente ho ſatisfatto al deſiderio tuo, e chef Anima pronta
s'è die moſtrata, comincia tu ancora ò Arte ad inſegnarci ilmodo, col quale
applichiamo le coſe all'Anima. Et perché non più aſtratte ſiamo,ma
compoſte,però voglio,che con le eſperienze degli ingegni altrui, eo con
glieſempi, cheſono oſtaggi della verità, e con l'uſo quotidiano, tu ti rivolga
à darci ad intendere la forza di L’ELOQUENZA UMANA. AR. Cosifarò. Ma tu ò
Dinardo, preſteraimi udienza, enon las ſciare à dietro coſa, ch'io ti dica.
Marauiglioſae ueramente la forza ola virti di LA FAVELLA UMANA. Perciò che oltre
alla intentione de i concetti e delle uoglie di uoi mortali, che per essa si
fuole con besneficio univerſale, &euidente diletto appaleſare, non é in uoi
ſentismento alcuno, l'appettito del quale non ſia da quellafieramente eccia
tato, e commoſſo; a chi uoleſſe di ciò prender debito argomento. ogn'hora,che
ueniſſe bene, riguardando à i modi, cheſiuſano tra uoi, ritrouerebbe le coſe à
i sensi ſottopoſte alcuna uolta effere di minor uirtù in muovere ciaſcuna il
ſenſo ſuo, che IL PARLARE, qualhora egli fia con bello, efficace, es
maeſtreuole modo formato, o fabricato, o appreſo doppo alcuna più profonda consideratione,
conoſcerebbeese fere QUASI INFINITO IL VALORE DI ESSO PARLARE,come che ſolo
allo intellets to dimoſtri la ſoſtanza, ela ragione delle coſe, it che à niuno
altro sentimento, quantunque la Naturaſempre atutti liberaliſima ſtata fia,né
é,në fu, nefarà conceſſo già mai. Quante cofe del cielo, quante delle
intelligenze, quante del divino PER MEZZO DELLA LINGUA, ſenza l'aiuto de
gliocchiò d'altro ſentimento ſi fanno? Il parlare èſolo dimoſtras tore della
ſoſtanza, IL PARLARE E SOLO PER UNIVERSALE MINISTRO DELL’ANIMA, IL PARLARE E
SOLO STRUMENTO DELLA RAGIONE, ma onde é o Dinardo, che ne gliquenimenti, et ne
gli atti degli huomini tanta forza discens da NELLE PAROLE? DINARDO. Credo
ueramente, cheeſſendocidato da eſſa Natura IL PARLARE, come tu dici, affine,che
LE NOSTRE BISOGNE, I NOSTRI PENSIERI ALTRUI MANIFESTIAMO, gran potere in quella
FAVELLA debeba eſſere, la quale da uero, &ſaldo intendimento, e da sforzes
uole diſiderio procedendo, tale difuori apparirà, quale di dentro nele l'animo
dimorando ſtaraſi. ART. Ben di. Eſſendo adunque le pas role come oſtaggi delle
uoglie, o de concetti, bifogna, come tra’ sis gnori auiene,dare gli oſtaggi
alle perſone conuenienti, e però prens dendo noi DINTORNO AL PARLARE quelmiglior
partito, che ſi conviene, soglio,che picde inanzipie mettendo or, gentilmente
più oltre pafé fando ritrouiamo le maniere, egli ASPETTI DELL’ORATIONE, oconfia
deriamo quale PARLAMENTO à qual coſa, età qual perſona fi conuenga. DINARDO. Di,
ch'io t'aſcolto. AR. Non è dubbio, che riportando IL PARLARE per gl’orrecchi
alle anime de gli ascoltanti, la forza dello intendere, o del volere, bisogna
in questo viaggio dar mouimento,et modo ad eso PARLARE. Perciòche lo
intendimento ó la uoglia nell'anisma ſi ripoſano, o iui come nel ſuo caro nido
dimorano, ne ſi potreba bono da quello senza ragione, et artificio, dipartire.
Al che fare accõa ciamente uoglioin prima che in ciaſcuna forma, o maniera di
L’ORATIONE ſi truoui IL CONCETTO DELLE COSE INTESE, ca DESIDERATE , il quale
par oraſia detto, ey nominato SENTENZA. Appreſſo uoglio, che ci sia lo
artificio dileuare LA SENTENZA dall uogoſuo, & là doue farà biſoagno,
leggiadramente portarla, perche SIMIGLIANDO LA SENTENZA AL RISPOSO E ALL’ANIMA,
diremo, che l'artificio sia la machina, il modo conueniente di levare il peſo
della SENTENZA dalla MENTE umana Ma perche si vede, che l'anima usa le forze sue,
oadopra il corpo come strumento, però à ciaſcuna forma di LA ORATIONE appresso
l'artificio, Ry LA SENTENZA, le ſidarà PAROLE, e uoci, per mezo delle quali potrà
l’anima delle sentenze la ſua uirtù, le forze ſue gentilmente ad opearare. Ma
perche aspetto alcuno non si potrà vedere, oueſieno le pare ti, la compositione
di eſſe, IL COLORE, i contorni, oifinimenti del tutta, desidero condonar alle
parole i suoi COLORI, il ſito, o le parti qua ſi membra, o i ſuoi termini,
accioche altri allo aspetto, o alla forma conosca quali oſtaggiſienodati
dall'anima DEI I SUOI RIPOSTI E SECRETI INTENDIMENTI. Chiameremo dunque i
colori FIGURE, le parti membra, il ſito compositione, il finimento chiuſa o
termine della oratione. Et perche uan a fatica ſarebbe la noſtra, le haueßimo
folamente formasto si bella creatura affine che ella ſifteſle, népunto
ſimoueffe, pexo come uiuo s'intende quel corpo, cui mouimēto e conceſſo, cosidaremo
AL NOSTRO PARLARE il ſuo paſſo, ò uero il ſuo corso, il quale ſifarà col ripofo
di alcune parti, e col mouiméto di alcune altre, come farſi vede ne gl’animali,
o perche con altro mouimentoſi muoue uno adirata, con altro un manſueto, o
altro é il paſſo d'huomo graue, & atteme pato, altro d'un leggiero, &
ancorafreſco di età, però nello spatio, per lo quale haverà da correre, o
caminare LA ORATIONE, uoglio che ſi conoſcaogni interna qualità delle cose
perlo mouimento, e per lo rispoſo di LE PARTI DEL SERMONE, ewe perchedi sopra
habbiamo dato à cias fcunaparte il nome che à formar UNA MANIERA DI PARLAMENTO ſi
richies de däremo ancora à queſta ultima il nome ſuo, si ueramente che il
riposfo, yo il mouimento delle parti ſotto uno steſſo uocabolo ſi rinchiuda,
poi chiamato fia ó Numero, o numeroſo componimento. Din, Qual Dedato
potrebbecosi belle figure, a fare, adornare, come fai tu ò Arte! Raccolgofin
tanto quelloche io ho da te sentito fin’ora, odi * co,che tu uuoi, che LA
ORATIONE habbia una qualità, che conuenga alle cose, o alle perfone soggette, o
queſta iſtessa qualità, formaá maa inierazò guiſa dimandi. Ari Cosie, DINARDO.
Tuuuoi appresso, che ciaſcuna forma primieramente habbia la sua SENTENZA, che
altro non è che il concetto della cosa, dapoi l'artificio, che é il modo di les
uarla dalluogo ſuo, ne queſto ti baſta, a però uuoi ire grandamente fi
conſideri con quai PAROLE si posſa pixi acconciamente RAGIONARE, a esprimere la
OCCULTA uirtù delle SENTENZE, diſponendo quelle PAROLE, e dando loro iſuoi
COLORI, o finalmente rinchiudendole in alcuni termini accio che ſieno alla SENTENZA
eguali, come l'Anima à tutto il cor. Spo, oaciaſcuna parte dare il fuo numeroſo,
e MISURATO mouimeto, che col ripoſo, o con la uelocità del tempo preſente ſi
miſuri. ART. Cosi u'ho detto DINARDO: Ogni coſa mi pare d'intendere ragioneuolmente,
ſolo che tu uoglia dichiararmi alquanto d'intorno a questo numero ſo componimento,
che NvMERo hai nominato. Et io fon diſpoſta àfarlo, sueramente, ch'io uoglio
prima partitamente ragionare, ego distinguere le maniere, e le forme predette,
decioche tu fappia il numero dici aſcuna determinatione. Dico adunque, lapris
smaguila, esla prima formadouer eſſere la LA CHIAREZZA, la quale ſotto dife
contiene la PURITA, o la ELEGANZA del DIRE, anzi più presto da queſte maniere
ne riſultala cagione, che nel primo luogoſi riponga queſta forma perche niuna
coſa più ſi ricerca, ò ſi diſideradachi jagiond, cheil laſciarſi intendere, il che
altramente non ſi può fare fenzá LA PURITA DEL DIRE, la mondezza, la quale oggi
uoglio, che ELEGANZA fi chiami da noi. Ma percheſpeſſo auiene, chesforzans doſi
alcuni di eſfer’inteſi, cadono in forma umile, ego dimeſſa molto les cuando,
otogliendo della dignità, della grandezza del PARLARE, però appreſſo la
predetta forma,fi'dirà della grandezza, o GRAVITA DELLA ORATIONE, quale
damoltealtre forineprocede, che ſono ques ste, Mueftd, Comprensione, Asprezza;
Veemenzt, splendore, viuacie tài boppo LA CHIAREZZA, e la grandezza del DIRE a
me pare che ſi conuenga conoſcer’un'altra forma; ta quate tutto il corpo della
os ratione con la conuenienza delle parti, ornamento, osgratia recando, bella,
en miſurata ſimoſtra, v però mi gioua di nominarle Bellezzi, alla quale
un'altra formaſi darà, uolubile, preſta, perche tèggiaa dramente ſi muoua,
leggiadramente dico a fine, chene troppo sciolta, né troppo legtta ſiueggia. Et
ſe la chiara, a la grande, e la bella, o la veloce forma sono tanto richieste,
quanto previ dá te ſteſſo cona ſiderare che diremo noi di quella, nella qual ſi
dimoſtrano imodi, i coſtumi delle persone? Et diquell'altra, chefa credere ogni
coſa, che fi dice esser uerissima? Certo non meno queste, che quelle esserticare
deuriano, quando in queſte sta ripoſta ogni riputatione di CHI PARLA; et ogni
credenza delle coſe, cosi uoglio nominar quella forma, la quae le ſecondo le
nature, & gli abiti delle genti ua ragionando ſotto della quale è la
ſimplicità, la giocondità, o l'acutezza; e quels l'altra ancora, che uerità ſi
dimanda, ſono forme, ſenza le quali morta, e spenta ſarebbe la oratione. Et in
queſto numero ſono chiuſe le maniere, o le guiſe, delle quali alcune haueranno
le loro ſentenze, &i loro artificij, e l'altre parti diſtinte, es ſes
parate dalle altre; alcune comunicando inſieme, ſi confarànno, o nelle ſentenze,ò
nello artificio, ò nelle parole, ò nelle figure;o nel reſto, cos me chiaramente
uedrai. Queſte uoglio, chetu da feſteſe, come ſemplici forme riguardi diſtinte
l'una dall'altra. Perciò che non quel lo cheſitruoua, maquelloche può eſſere, uoglio
che tra te medeſimo rivolgendo conſideri, e ciaſcuna forma, come tale, ew tale
conoſchi. DINARDO. Io t'intendo, Tu vuoi, ch'io sappia considerare ogni guisa
di ORATIONE in se stessa, onde poi a scelta mia io possa questa con quella, et
quella con altra meſcolando, di più ſemplici formarne una bella coinin
poſitione. AR. Che credi tu, che uaglia poicoteſta mescolanza, che nella purità
ritenga grandezza, a peſo, nella ſemplicità, forzkiego fplendore, et habbia nella
grandezza del bello, e diletteuole, mache afþramente piaceuole, e piaceuolmente
aſpra ſi dimoſtri, pungendo; gungendo, comeſi dice ,ad un'horafteli, & facendo,
chequello, che è nelle sentenze ampio, o ripieno, ſia nello artificio ampio, ad
leggida dro? Et in tal modo accompagnando le figure d'una forma con le PAROLE
d'un'altra, di più contrarij (coſa alla natura medeſima riputatd. impossibile)farne
una amore uole fratellanza, onde poiqueſto genes roſo accozzamento di coſe
repugnanti empia ogn’uno di marauiglia. DINARDO: Non mi accender pir di gratia,
diquello che io ſono, cos minciami oggimai à formare ciaſcheduna delle dette
maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe,
e del PARLARE. DE Ï Ï A parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenel l'Anima,
al. tra parte è quella che apprende la ragione, alfra quella, che é da gli
effetti commoſſi, come dicemmo, o nella Natura altre ſono le coſe allo
inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno,
le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle coſe della uoglia,
odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di
poter acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella.
Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere
qual forma à qual coſaſi confaccia. DINARDO. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara
con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondo la occaſio ne,in qualunque
libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intorno al
Numero, o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai
ſecondo il bisogno. Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à
conſiderare il modo, es la ragione del medicare, che ritrouando alcuna bella cosa
nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla ad IL ARTE DEL DIRE, non è
dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,
grandiſsima ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre sanità, oue ella non
ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua. Il ſimile fa queſt'arte, d'intorno
alla buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla, ò di
mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con
qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata, cosi queſt'arte opra con
l'anima, e con le parti sue con le forme del PARLARE. La medicina quantopiù può
fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo, con mele ò con
zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle
medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon
offendere quell ſentimento, che prende iſuoi ris medij, il qualſentimento é
negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità del ſuono fa
trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa dalla natura
aborrita. Et finalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette,
non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù
dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiosa
FAVELLA, non ti posſo in poca hora dichiarare, perche troppo grande é la forza
delſuo numeroſo componimento; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor
delle PAROLE, o delle SENTENZE, paſa,e penetra per ogni parte dell'anima, deſ
leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è
però da dimandare alcuno Idiota, onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche
queſto giudicio è più proprio dell'intelletto, che del sentimento umano.
Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione,
che LE PAROLE più ad un modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio
numeroſe, ritrüoua il tutto eſſere alla natura, quanto al ſuo principio,
conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima
parte. Et perche tuſappia quello che la natura, a quello che io ti poßiamo
prestare, dico,che la natura ha posto alls cor nelle orecchie il ſuo piacere
& diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità, a
dolcezza di IL DIRE; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare,
che'l numero, ola fosnità delle PAROLE. Il qual numero biſogna, che di ſua
uoglia uegna nella ORATIONE, si perchefa ORATIONE, e non musica, si perfuggir
la fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che
uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, opera leua loro ogni perſuaſione,
o fede. Ma quando con ine certo, & non conoſciuto numero, dolce però, e
foaue, SI COMPONE IL PARLAMENTO, oſi lega inſieme il faſcio della SENTENZA,
& del'intendimento, fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi
riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, ogni regola continouata del uerſo; continouata
dico, peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o
fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, conſueto ritorno, più alſuono, che
alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi, il numero de'
quali ufae to, e conoſciuto, più dall'arte, che dalla natura procedente. Ma
percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee restare l'ORATIONE,
che OSCURA, cu piaccuole ne rimarrebbe, però numeroſa o compoſta ella fi dis
fidera grandemente. Ora da che nasca, o per qual cagione diuerſamente offer
conuenga numeroſa l'ORATIONE, quanto à me s'appartiene dirò bries uemente, dichiarando
prima, che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo componimento. DINARDO. Queſto ordine à
meſommamente diletta, però di cuore ti prie go, che più diſtintamente che puoi,
me lo dimostri. AR. La neceßità uuole, che LE PAROLE ſieno pari alla SENTENZA, perche
à queſto fine ſi ragiona, comeſi è detto, accioche quanto habbiamo di dene
troſi dimoſtri di fuori, doue mancando o accreſcendo PAROLE, o il CONCETTO
interno non ſarebbe ESPRESSO, come nella mente dimora, ò IL PARLAR ſarebbe
ociofo, ò mancheuole. Maperche la ſentenza nell'anima è finita O terminata, però
debbon’eſſer finite, os terminate in quantità LE PAROLE, che dimostrano. La qual quantità inſieme
ragunata, Giro, o circuito nos mineremo il quale altro non ſarà, che pieno o perfetto
abbracciamento del LA SENTENZA. Questo abbracciamento di pari accompagnando la
uirtù di ef LA SENTENZA, puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori,
ſecondo le parti di LA SENTENZA; a
ciaſcuna parte é composta di PAROLE, oſi chiama Membro, o Nodo; osi come ogni
parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuo fine, e il ſuo mezo, o il corpo medeſimo
e terminato, & finitocosi, le parti dello abbracciamento, welfo
abbracciamento ſarà finito, o terminato. In tutto queſto spatio adunque, che è
tra il principio, il fine di ciaſcuna parte, e tra il cominciamento, es la
chiuſa, che s'è detto chiamar ſigia ro, ė forza, che la lingua alcuna uolta
s'adagi, o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno, oſi muoua più ueloce,ò piu tarda
ſecondo la qualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento, miſurato
col tempo di IL PROFERIRE, para toriſce il numero, del qual ragioniamo, uero
figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, o molto piu nel fine,
che nel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi che nel mezo.Et perche di
eſſo Numero gl’orecchi fanno giudicio in quanto al sentimento del piacere, o
del dispiacere, per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi,
ol'intellettofos lo come ti dißi, ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in
parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene, in parte dico, perciò
che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere
hanno dia uerfo numero. Però cominciando a trattare di LE FORME DEL DIRE daremo
a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroueremo
quello che con ragione ſfarà dimostrato. DINARDO. Molto bene auif di far mi capace
di questa magnifica o illusſtre compoſitione; però ſegui, che con maggior
deſiderio, che prima, fono apparecchiato di aſcoltarti, perche mi pare, che ora
tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La prima forma e nominata CHIAREZZA, la
qual nasce da purità, og da eleganza, come s'è detto. Pero essendo ella quaſi
un tutto, acciò che meglio ſi manifeſti, ſi dirà delle parti fue, & prima
della mondezza opile rità, poi della scelta, o eleganza. Deefl dunque dare alla
purità del dire quelle SENTENZE, le qualiſono di piana intelligenza, & non
hanno bisogno di piu consideratione,come per lo pia fono, o effer deono le
narrationi delle co fe, come qui. Leggi. DINARDO. Tancredi, principe di Salerno,
fu signore affai umano, di benigno aspetto. AR. Eccoti, che senza alcuna fatica
di diſcorſo ogni mediocre in. gigno
gegropuò capire ilſentimento della SENTENZA già letta, come ancora in
questi uerfi. Leggi. DINARDO. Io son Manfredi, nipote di Costanza Imperatrice.
Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle, la SENTENZA delle quali per
la maggior parte è molto alla uolgar’intelligenza fottoposta, pur che
partitamente ſa ciaſcheduna inſe conſiderata, percio che pua re non ſarebbono,
quando adalcun fineſi riguardaſſe, oueroaltro attendes fero per fornir'il
ſentimento loro, comeſe in questa guifa ſi dicesse. Essendo Tancredi principe
di Salerno Signore aſſai umano, per che queſta SENTENZA non ſarebbe terminata, o
finita, douendo attendere a quel io, che segue, o però più preſto oſcura
ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque altro intendimento, chi uuoleſſer
puro nella SENTENZA, las quale stando nell'anima, dee cljer con tal'artificio
leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di dentro dimostra il concetto,cosi di
fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun accidente che quella accompagni,o conſegua.
Et però daquesta formaſia bandita ogni circoſtanza di tempo diluogo, di
perſona,o di modo, ò d'altro auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella
ſentenza: DINARDO. La quale percioche egli, sicomei mercatanti fanno, andava
molto in tornoapoco con lei dimoraua, s'inamora d’uno uomo chiamato Roberto.
AR. Non lascia eſſer pura cotesta SENTENZA, quel trammezamento, che dice, percioche
egli,si come i mercatanti fanno, anda molto intorno, o questo adiuiene, perche
ſospeſoſi tiene l'animo, di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi
eſſere nel tuo dir mondo, &neto; &narra le co Se partitamente come
ſtanno, ma de i raccoglimenti quãti,o quali ſieno, dirà poi. Delle PAROLE ueramente
con le quali ſi dee uestire la purità breue ammaestramento ſi daràperche, tutte
le parole, piane, facili, ufitate, bricui, O communi ſono all'anima della
purità molto proportionate, onde le trae portate, le ſtraniere, le lunghe,
& quelle, che la lingua pena à PROFERIRE, o l'intelletto a CAPIRE fono
dalla purità lontane, però purissime sono queste. DINARDO. Cheà me
pareuaeßer’in una bella, « diletteuole ſelua, & in quella andar cacciando
ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu che la neue bianca, or in
brieue spatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da me nonſi partiua,tutta
uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non partiſſe, le mi pareua
nella gola hauer meſſo un cola no d'oro, e quella con una catena d'oro tener
con le mani. ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar le PAROLE adognima
niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle, o colorirle,on de
ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura delle parole, al la
purità ſotto poſte, é il dritto,ecco. DINARDO. Nicolò Cornacchini fu nostro
cittadino, o ricco huomo. ARTE Et quiancora DINARDO. Aſolo adunqueuago, «
piaceuole castello posto ne gli estremi gioghi delle nostre Alpiſopra il
Triuigiano ecfi come ogn’uno dee sapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non
cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo, Di Aſolo,
uago & piaceuole castello poſſe ditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e
per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia, doue
ſi dice Arneſe, uoce straniera, ancora nello artificio non é puro per quello
tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circostanze
del castello uago, piaceuole, pera che ritarda il sentimento de gl’acoltanti,
oui mette le circonstanze del luogo. DINARDO. Dunque erra chi uolendo cßer puro
usa parole non pure, artificio, ò figura d'altra maniera, della oratione? AR:
Errerebbe ſe egli credeſſe, otentasse d'eſſere in ogni parte puro, &netto,
& non usasse quello che ſi conuiene, ma non erra uolendo alla purità del
dire porgere «grandezza o dignità. Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe
ſteſſa conſiderata, e però la purità del dire ha le parti ſue distinte, os
ſeparate dalle altre; nė ſolamente il dritto è figura, di questa forma, o
maniera, ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprensione
della quale ſi dirà poi, ora trattiamo delſito, odella compositione delle
parole, Dico nella purità, cs mondezza del dire douerſi mettere le parole insieme
con quel modo, che piu uicino ſia al FAVELLARE, uſitae coſenza molta cura, caffettatione
semplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna PAROLA di queſta forma
biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere, o di ſillabe, accioche
la uoce di suono e quale, temperato, non impedito ufciſſe fuori, cosi nella
compositione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate,
che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del sogno ſi conoſceud.
Conſided ra tu poi la forza, & lo spirito di ciaſcuna lettera, e di
ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſua piaceuolezza,
durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono delle parole, della loro
diſpoſitione, ucdi che la A ſi forma nella più profonda parte del petto, o eſce
poifuori con alta восс, uoce, riſonante, onde lo spirito di eſſa grande, oſonoroffente,
odi laſe guente, ch'é, B. LA B é puraſnella, deſpedita,come è afpra'la C. quando
è fine della fillaba, ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per
lo contrario e di dolce, ſpeſſo, o pieno ſuono, precedendo alla I. @alla E.co.
me qui. Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al
piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo.
Conſidera poi da te stesso il restante delle lettere, in che maniera eſſa
natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più
questa,chequella compoſitione. Le parti, & le membra, della purità esser
deono breui, & ciaſcuna dee terminar'il suo sentimento, non ritar: dando
con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del popolo, come
qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole
nembofofpinti errano, otrauagliano la lor uia, colſegnodella indiana pie tra, ritrouare
la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo, non Ria lor tolto il
potere, & uela, ogouerno, là doue eßi di giugner procaca ciano, ò almeno
doue più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minore ſpatio
raccogliere il sentimento di ciaſcuna para te, oueſt uuole eſſer puro, ofare in
questo modo, benche le PAROLE fieno ale quanto dure. Leggi. DINARDO. Chino di
Tacco piglia l'Abbate di Clugni, a medicalo del ma le di stomaco, « poi il
laſcia, L'abbate ritorna, in corte di ROMA, o il rico cilia con Bonifatio Papa,
o fallofriere dell'ospedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta
norma oſſeruata, come, qui. Leggi. DINARDO. Pace non trouo, e non ho da far guerra,
E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra
parte. DINARDO. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che il senso è
troppo ritardato, o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità
quello chebiſogna d'intorno alle SENTENZE, allo artificio, aile PAROLE, alla
figura, alla compositione, & alle parti di cſa. Reſta, che ſi tratti del
numero, & del finimento, cioè della chiuſa, odel ter mine della SENTENZA,o
delle parti ſue. Dico adunque, che nello andare, ego nello spatio di queſta
forma non ſi dee eſſere néueloce, ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi, one
i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione, co dal fine, però ſapendo
quale eßer dee la compoſitione dele PAROLE, quale il fineztutto quello, che ſotto
di queſte partiſ contiene DA AD INTENDER QUELLO CHE SI E DETO, perche quantoſi ricerca alla com positione si
é dichiarito resta che ſidica del finimento ogniſentenza, ogni giro può finire,ò
in alcuna parola tronca, o in parola piena, ſienoque ſte parole, ò di due, ò di
tre,ò di piu ſilabe, o ancora di una. Le parole pie ne, e compiute ò
ſonoſdrucciolofe, & uolubili, o ſalde, oferme, opers che non ſoloRidce
conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco la vicina, o proſima, però
partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luogo ſuo. Comeadunque uoglia la
purità terminare le chiuſe ſue, aſſai chiaro ofer dee. Perciò che aßimigliandoſi
elle al dire cotidiano, fugge il fine del le parole tronche, come ſono quelle
andò, corfuftarà, o C. perche le medesime dee nella dispositione fuggire, come
ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine, che per lo più la natura
a’uolgari dimostra, ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in
parole piene, & perfete te, fuggendo le tronche, ole fdruccioloſe, che
alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare, perche quello cheſi
dice, ſi dice per la maggior parte de I finimenti, e delle chiuſe della purità.
Da questi adunque odalla dispositione riſorge quella miſura, che noi numero
addimandiamo. Eſſendo adunque la chiuſa ſimile alla dispoſitione, la
diſpoſitione non isforzeuole, ma temperata, enaturale, fcguita che il numero
dell'uno, o, dell'altro figliuolo ſarà, à quelle fomigliante. Ben'è uero, che
la forza di cia fcuna manierà, e ripoſta piu toſto nelle altre parti, che nel
numero, eccetto, che nella bellezza, douc l'ornamento, e il numero grandementeſ
cerca, as molto piùè ne i uerfi, nella poesia, che altroue, o questo dico,
acciò che fu non metta piu ſtudio, doue non biſogna riportandoti a gli orecchi,
il giudicio delle quali da eſſa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è
Dinardo, quanto giouala mondezza, opurità del dire alla chiarezza. Ma perche
questa ſemplice forma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſia qualche
impedimento, però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri, con la eleganza
aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro, piu questo ordineche
quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplice purità del
dire, il qual'aiuto èpiù presto nell'artificio, che nelle ſentenze ripoſto.
Però che ella ſi sforzafar ogni SENTENZA CHIARA e aperta,non che le pure già
dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della eleganza, o prima dello
artificio, colquale ella lcuar fuole ogni SENTENZA nella mente riposta. AR. La
ceeganza e maniera, che porta chiarezza à tutte le maniere della oratione, operò
non tanto alla purità, dove ella manca soccorre, quanto à ciascaduna forma opra
intelligenza, o facilità, daquesto nasce, che la eleganza dalla purità del dire
in alcuna cosa é differente. Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara, oaperta,ma
la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun sole, che ogni
oſcurità, che per quella poteſſe uenire, leua, o diſgombra, o però in ogniſentenza ella
può molto, si con l'artificio fuo, si co i colori, le figure. L'artificio
adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto, acciò che ella ſia inteſa,
cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DINARDO.
Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe
Poiſeguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa
nella proſa,comequi. DINARDO. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de'
quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una
fia alqua to me comendare, & l'altra il biaſimare alquanto altrui, ma prio che
dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi il purfarò. AR. Vedi
quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali
auuertimenti, Appreſſo i quali aſſai bello artificio, s'intende quela to, che
per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe
ageuolmente il reſtante. Leggi. DINARDO. Ma per trattar del ben, ch'io vi trovai,
Dico de l'altre coſe, ch'io ui ho ſcorte. AR. Se il poeta qui non doueſſe
dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in disgratia di
Dio, non haur ebbe potuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci
poi,per hauer lo inferno cers Cato. Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto
quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di FIRENZE,
auuertendo pri ma chi legge, in queſto modo. DINARDO. Mapercioche qualefuße la
cagione, perche le coſe che appref fo Rileggeranno, aueniſſeno, non ſi poteua
ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare, quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla
miconduco. AR. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe, fatta per
le uare ogni impedimento, chepoteſſe offendereilrimanente. DINARDO. Ma io mi ti
uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci
uoleſti uenire, e non poteſti, alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente
veduto, comefoleui, & oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo, non
ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine
di coſe, e ſecondo, che elte ſon fatte, narrandole, ė artificio ſcelto, &
elegante, però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DINARDO.
Veramente quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora
materia del mio canto, AR. E qui ancora DINARDO. Et canterò di quel ſecondo
regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’al Ciel diuenta degno. ART. il
fimigliante modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo
uedrai. Suole ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le
riſpoſte partitamentecome qui. Leggi. DINARDO. Saranno per auentura alcuni di
uoi, che diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppo licenza usata.
ART. Eccola dimanda ſeguita la ſolutione. DINARDO. La qual coſa io niego, percioche
niuna cosa esi disonesta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno.
ART. Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te
inſieme posto habbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbia fcufato, ma quelmodo
non ha dello elegante, comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme
allora quando diſſe, Leggi. DINARDO. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni,
che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta
coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni
han dete to peggio,di coinmendarui, come io fo. Altri più maturamente moſtrando
di uoler dire, hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro
queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te
neri della miafamamo ſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente, àſtarmi con
le Muse in Parnaso,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi. Etſon di quegli
ancora,che più difpettoſamente, che ſauiamente parlando, hannodete to,cl’io
farei più diſcrettamente à penſare, donde io poteßi hauer del pae ne, che
dietro a queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa
eſſere state le coſe da me raccontateui, che come io le ui porgo s'ingegnano in
detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe
contra dello autore ſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è
cosi elegante,come il primoartife cio,ben che in tanta confuſione egli
ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo
aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni, perche
non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN.
Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me
raccontare, non una nouella intera,ma parte di una. AR. Et ne poeti ancora fi
oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN.
Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di
meritar mi ſcema la miſura? A R.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte
della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda,
doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima
àleſtelle. Secondo la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte
effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello
cheſegue. DINARDO. Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente,
e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto
la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi
dee dire, quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui
ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia
quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti
luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio
che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual
luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui
moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leua dalla mente
ogni ſenienza,oraſi dirà con quai parole più acconciamente ella ragioni,
oquesto brieuemente ſi farà.Vſa la eleganza le medeſime parole, che la
purità,chiare,piane,natie,o tali,che niuna durezza in eſe ſi truoui. Et
perònonſono eleganti,né con eleganza diſposte le parole che dicono, Amen due
ſopra gli mal trattiſtracci caddero à terra,&quelle, Non curandofar gli
falſ, o quelle che nellapurità dicemmo,Ghino di Tacco piglia l'Abba te di
Clugni. Da quelloche ſi è detto delle parole, tu puoi uedere chedalla
difpofitione di eſſe,le parti,i finimenti, &il numerononſono dalla purità
lontani,anziſonole coſe steſſe. Leggerai,come gentilměteſi sbriga dalle co
fe,come brieuemente rinchiuda il ſentimento, come puramente elegga, o
temperatamenteſi muoua questa nouella di Ricciardo de' Manardi,otro uerai
parole parti, chiuſe,numerio fiti diparole purißime, oelegantisſa me. Ma le
figure di queſtaforma fono diuerſe molte, tra lequali ottiene il primo luogo la
ordinatione, laquale è unafigura,che da quello cheſi dia ce,dimostra altro
ſeguirne, come qui. DÍN. Et accioche quello chemi par difare,conoſciate,oper
conſes guente aggiugnere, o menomare poßiate à uoſtro piacere,con pocheparo le
we lo intendo di dimostrare. AR. Et ancora qui della fortunaparlando. DIN. Le
quai noiſcioccamente nostre chiamiamo,ſeno nelle ſue ma ni, oper conſeguente da
lei ſecondo ilſuo occulto giuditio ſenza alcuna po ſa, d'uno in altro,o d'altro
in uno fucceßiuamente ſenza alcun conoſciuto ordine da noi,eſſer da lei
permutate. AR. Egli ſf ordina, come ſi è detto anco nel proporre di quante coſe
fha da dire,con lo auuertimento di dire prima una coſa,o poi un'altra.Il che
inquanto abbraccia più coſe,ė Comprenſionedella qualeſi dirà. Main quanto
diſpone, acconcia allo intendimento,epuro,eleganteo chiaro.Al
trafiguraèſcelta,eelegante,oltra la predetta nominata Partitione, lde quale
Afa,quando noi,due coſe è piùſepariamo parlando, come qui. DIN. Et il
tacere,oil parlareoggimai mi ſonoegualmente diſcari, perciò che nè quello
debbo,ne questo poſſo. AR. In molti modipuòpartitamente ragionare,come qui con
mola ti efſempi ſi dimostra. DIN. Tra per la forza della peftifera mortalità,
per lo eſſeremol ti infermimalſeruiti,& abbandonati. AR: Etqui ancora. DIN.
Et tra che egli s'accorſe, si come huomo, che molto aueduto erd, Otrache da
alcuno fu informato,trouò dal maggiore al minore Co. ART. Etaltroue. DIN.
Carißime dore,siper le parolede fauijhuomini udite, o si per le cofe da me molte
uedute or lette. AR. Appresso le dette figureit ripigliamento è bellißimo
colore della eleganza, come quelloche alla obliuione,alla oſcuritafoccorra, in
quca ſto modo, DIN: E perche mifogliate immantenente Del ben,che adkor’adhor
l’anima fente? Dico che ad hord ad bora, Vostra mercede, iofento in mezo l'alma
Vna dolcezza inufitata e noua AR. Et nella proſa, come qui. - DIN.
Ilchemanifestamente potrà apparire nella nouella, laquale dl raccontare
intendo,manifeſtamente dico,non il giuditio di Dio, maquello de gli
huominiſeguitando. · AR. Queſto ripigliamento appreſſo la chiarezza e di non
poco peſo alla oratione, come figura molto uicina al raddoppiamento, ilquale è
di for za marauiglioſanell'arte deldire,o,òinterpretado,ò interrogado,ò riſpon
dendodi ſubito alla eleganzaconuerrà grandemente.Etper contrarioRfan ra nella
oſcurità,la quale naſce da confuſione,& diſordine, nel’animofia tà, o ne
gli affetti grandementeſi ricerca,perche in eſil'animo dallo ema pito
traportato ogni coſa difordina,o la mente confonde. E adunque la confufione
alla ſcelta,& elegante oratione contraria,come la meſcolanza, alla purità,
da ambedue, cioè confufione, meſcolanza, naſce la oſcurità, come da quell'altre
due la chiarezza del dire. Della quale pora uoglio che à baſtazaſa detto,o
dimoſtrato.Resta chefi ragioni del la grădezzadel dire,acciò che il pericolo
della baſſezza,odell'umilità,che Hella chiarezza ciſopraſta,con l'autorità
della orationeſ leui in tuttó. DELLA GRANDEZZA DEL DIRE, prima della Maeſtà.
ESSEND'O la grandezza del dire unamaniera, che oltra l'uſato modo di ragionare
inalza, ø follicuala oratione, è di neceßità di molte parti compoſta delle
quali altre faranno daſe ſteße altreinſieme alcune co fe raccommunando faranno
un tutto magnifico, generoſo. E adunque la grandezzafatta dalla maestà,dalla
comprenſionedalla ucemenza, dalla ui uacità,dallo ſplendore,o dall'apprezza.La
maeſtà, ola comprenſione da ſeſtanno,ohanno le parti loro dall'altre
ſeparate.Etperò di clje prima di rò, poi dell'altre partitamente. La maestà del
dire é maniera conueniente alle coſe grandi,o Rfa quan do di eſſe con dignità,o
ornamento ſi ragiona.Leſentenze ueramentedela la maeſtàſono prima quelleche
appartengono à Dio, o alle diuine coſe,co uerità e decoro efpreffe,come
queſte.Leggi, DIN. Conueneuole coſa è carißimeDonne,che in ciaſcuna coſa, che
l'huomo fa,dallo ammirabile,oſanto nome di colui,ilquale di tuttofufate tore,
le diaprincipio. AR. AR. Dapoi,le coſe
appartenenti alla natura umana, come qui. Leggi. DIN. Natural ragione è di
ciaſcuno che ci naſce, la ſua uita quantū que può,aiutare,e conferuare, &
difendere. ART. Et appreſſo quelle,oue le ſecrete cagioni delle coſe
inuestigane do, & dimoſtrando ſt uanno,lequai poco appartengono alla uita
ciuile, po co dico, perche alcuna uolta ſi diconoperfare alcuna fede à
quellochedicia mo,come qui. DI N. Andiamo adunque,& bene duenturoſamente
aſſagliamo la nde ue, che Iddio alla noſtra impreſa fauorcuole ſenza uento
prestarle,la citien ferma. AR: La maeſtà è uſata per lo più ne i proemij delle
nouelle. Perció che in eßi fi contiene il fine, perlo qualeſi racconta il tutto,&
percheil fi ne, per utile,a giouamento de gli huomini ſi ricerca,però di coſe
al uiucre appartenenti con grandezza maeſtaſiragiona.Leggi queſto principio,
come è pieno di alta,o degna ſentenza. DIN. Credefi permolti filoſofanti,che
ciò che s'adopra de mortali, Rade gli Dij immortali diſpoſitione,&
prouedimento. AR. Degne adunque di riuerenzaſono le coſe di Dio, però chiunque
di quelle altramente ragiona,ė dalla maeſtà del dire lontano, perche chida
ramente da te comprenderai,che niuna maeſtàſi truoua là,doue il mutamē to in
Angelo, d’un frate ſi narra, &doue in alcuni altri luoghi non ſi dicon no
coſe alla religione conformi,con quella uerità e decoro, che ſi conuica ne,
&però aliena dalla maeſtà équcũa comparatione, chedice, DIN. Si come eterna
uita é ueder Dio, Ne più ſ brama,né bramarpiulice, Cosi me, Donna, il uoi
ueder, felice Fa in queſtobreue, efrale uiuer mio: AR. Lo affetto di chi
ragiona ſcuſa chiunque parla in tal modo, pere che lo acceſo deſiderio
acciecal'intelletto,ela lingua come di ebbri uacil la,ofa dire che gli Angeli
aſpettano di uedere il bel uiſo delle amate los rou che la preſenza di quelle
adorna il Paradiſo, altre coſe,le quai pe rò ſotto altra form !,che questa ſi
riduranno.Sarà dunque ſeuera,o degna, epiena di maeſtà la ſeguente ſentenza.
DIN. La gloria di colui che tutto mouc Per l'uniuerjo penetra, e riſplende In
una parte più, e meno altroue. ART. Et per la più parte degno e il preſente
poema,dalquale aj na turali, co umane,o diuine ſentenze,ſecondo la macià delle
coſe leggendo ne ritrarrai, come qui,
DIN. Le coſe tutte quante Hann'ordine tra loro,e queſto è forma Che l'uniuerfo
à Diofa ſomigliante. Qui ueggion l'altre creature l'orma De l'eterno ualore,
ilqualefine, Al qual'èfatta la toccata forma. A R. Et finalmente pieniſono i
uolumi de i buoniſcrittori. Leggi. DI. ciaſcuno, che bene, o onestamente unol
uiuere, dee in quan topuò, fuggire ogni cagione, laquale ad altrimenti fare il
potere cons durre AR. Et qui, D I N.Manifesta coſa è cheogni giuſto Re,primo
oſſeruatore dee eſſe re delle leggifatte da lui. AR. Baſtiti queſto d'intorno
alle ſentenze della formapredetta. Ord, con che artificio dal lor ſoggiorno
leuareſi debbano,intenderai.Percheadū que piene di maestà ſono
quelleſentenze,che di Dio, & delle diuine coſe, delle umane,& naturali,
peròfanno con fiducia O certezza è afferman do,ò negando,ſarà l'artificio della
maestà. Negando,come qui. DIN. Ne creator,necreatura mai Cominciòci, figliuolfu
ſenzaamore O ' natural, o d'animo, e tu'l ſai. AR. Affermando,come qui, DIN. Lo
natural fu ſempre ſenza errore Ma l'altro puote errar, per mal'oggetto oper
poco, ò per troppo di vigore. A R. Leggi pure,chenon mancano effempi. DIN. Le
coſe, che alferuigio di Dio N fanno, deono far tutte nete tamente. AR. Et qui,
DIN. Chiunque fouente fa male,egli certamente non é Iddio,& chii que Iddio
e,egliſenza dubbio non puòfar male. AR. Laeſpreßione ha gran forza
nell'artificio di quella forma com me qui. DIN. Veramente fiam noi poluere
eombra, Veramente la uoglia cieca,e ingorda, Veramente fallaceè la ſperanza,
AR. Et qui ancora DIN. 57 DE LL A DIN. Nel ciel, che più de la ſua luce prende,
Fu'io, euidi coſe, che ridire Nésà, ne può, chi di la sù diſcende. A R. Hanno
in queſta forma le allegorie peſo, or forzagrandißima, eperò le ſacre lettere
di allegorie ſono ripiene,etutto il preſente poema è quaſi una continuata
allegoria,coſa molto alla ſuamaeſtà diprofitto,co d'ornamento, &però la
leonza,il leone,la lupa, e tutto quello chein tute ta l'opera gli
appariſce,èuna raunanza di allegorie, degna « grande for pra modo.Conſidera
come queſt'altro poeta uolendo innalzar le coſe baſe, Qumili grandemente ſi dà
alle allegorie,facendo con quelle i cotidiani aue nimenti si grandi apparire
che ifatti d'arme, ole coſe marauiglioſe di na tura si grandi nonſono.Ecco,
DIN. Quando dal proprio ſito ſi rimoue L'arbor, che amogià Febo in corpo umano,
Soſpira e fudaà l'opera Vulcano, Per rinfreſcar l'afpre ſaette à Gioue. AR.
Questa grandezza di coſa, altro non uuol dire,ſenon,che nel partiredi un luogo
ad un'altro della donnafua, fieramente era il Cielo tura bato da uenti, « da
tempefta.Et cosi il reſtante di questo fonetto, omolti de gli altri,che ſeguono
per l'artificio delle allegorie,ode gli enigmi, mis rabili appariſcono,à chi
gli legge.ENIGM Iſono modi oſcuri di dire, come qui, Fortuna, chi t'intende,
non t'intende, Efa chiſei,chi non ſa chi tufa. Tale adunque é l'artificio della
maestà. Reſta óra à dirſi delle altre par tijeg prima delle parole.Sono alcune
lettere, lequali fanno leparole ampie, e di ſpirito sforzeuole,come la A la
0,però quelle parole, che ſono di tai lettere, odiRllabe di eſſe fatte,ſaranno
alla maestà del dire conucnicne tißime,tanto più diforza haueranno,quanto
auanzeranno le duefillas be,odi maggiorſignificatione faranne.come qui. DIN.
Quel, che infinita prouidenza, o arte, Moſtrò nel ſuo mirabil magistero, Che
creò questo, e quell'altro emiſpero, E manſueto più Givue, che Marte. ART. Et
ancora in un'altro luogo. Perſeguendomi Amor’al loco uſato Ristretto, in guiſa
d'huom, ch'aſpetta guirra, Che prouede,e ipaßi intorno ferra, Di mici antichi
penſier mi saua armato. AR. Sono ancora le parole traportate,di grandezza, e
maestà mdo rauiglioſa, «perche molti credono il loro dritto pagare,ſe degni,
ogran di riputando,poi gonfi fono o freddiper la troppa licenza,cbe piglia no
nel trasferire,però alcuna coſa ti ſcoprirò d'intorno alle traslationi, bel
lage degna,o di profitto non mediocre. Voglio,che dalla bruttezza del uitio
ſpauentatoda quello alla uirtù ti riuolga,o però di quelli dirò, i qua li cosi
gonfiamente,o cosi freddamente parlando, come fanno,ſono da ogni ſaldo giuditio
abborriti. Alcuni di queſti hanno ardire di fingere,odi co por
nomi,oparoleſenza alcuno raffrenamento di conſideratione,chiamar do il Cielo
oculoſo,il mare ueligante, la terra granifera, o di queſte s'eme piono
ifogli.Altri danno à nomi ſtranieri,dalla antichità rifiutati,nuoui, oſcuri,o
di niunſentimento,coſa fpenta,o agghiacciata, comeeßiſono, che uuoi tu più
freddo,che'l continuare in fimili inuentioni? Tuſei l'ombra del l'angustia,il
diadema della mestitia,un'atto fatale,o si fatti. Peccano mola ti dando ad
ognicoſa i loro aggiunti, ilche quando nonſifa per diletto, o con
circonfpettione,come per condimento del dire,affettato,inſipido,o rin
creſceuoleſ truoua, comeſe in luogo diſudoreſi diceſſe,il liquoredelle car
niperlo caldo ſtillato,o non le feſte,ma la celebrità delle feſte,ne i triona
fi,ma la grandezza de i trionfi,&alere gonfiezze, ilqual uitio in alcuni ė
ucnuto al fommo,o però parlandoeßi più che pocticamente & fuor di të
po,fannocoſe degne di riſo, o di compaßione,fono oſcuri &ociofiſatiano,
Orincreſcono fieramente.Leggi. DIN. Potrei,poſcia che il vento della licentia
datami di ragionare ba tanto inantifpinta la naue del mio parlamentoper l'ampio
pelago di si fat ta materia,conducerui distintamente à uedere checoſa è
difpofitione. AR. 1o mene rido di tai coſe, guarda quanto meglio ſi èdetto qui
nel uerfo, o con più modestia. DIN. O'uoi, che ſete in piccioletta barca,
Defideroft d'aſcoltar ſeguiti Retro almio legno,che cantando uarca, Tornate à
riveder inoſtri liti Non ui mettete in pelago, cheforſe Perdendo me
rimarreſteſmarriti. AR. Ecco,chedi più ampia materia ragionaua il Poeta, &
non diffe la naue del ſuo parlamento,o altroue diſſe, Per correr miglior’acqua
alza le uele Ormai la nauicella delmio ingegno Che laſcia retro à ſe mar si
crudele, Etquandopurepiù arditamenteegli baueſſe alcuna traslatione uſata, dico,che
egli era Poeta, o hauea ſotto la penna materia,ſe altra ne è,gră dißima, o
d'ogni parte degna; o poteua ben laſciarſi portare(dirò cosi) dal uento della
licenza,ma uedi ancora nella proſa in miglior modo ridotta laſopradetta
traslatione. DIN. Madonna,aſſai m'aggrada,poi che ui piace, per questo campo
aperto Wlibero, nel quale la uoštra Magnificenza ci ha meßi,del nouella.
re,d'eſſer colci, che corra il primo arringo. AR. Ma riuolgiti à queste
fredde,çocioſe maniere,& leggi, DIN. La real conditione del quale ſaria
stata di più felice uita,odi più beata memoria,che uerun'altra mai,ſe il
generoſo della bontà di lui,hax uelle men creduto al maligno della
fraudealtrui. AR. E' ancora più ſpento qui. DIN. Nel finedelle parole
cadendogli giù per le gote alcune lagrie me non men groſſe,che calde, le compaßioni
delle ſuepietadi transformaro. no l'ira in manſuetudine. 1. AR. Di che giudicio
dotati,di che eſperienza ammaestrati,e di quan ta gratia eſſer deono adornati
coloro, i quali uogliono traportare le paro. le nate à ſignificar’una coſa,
alla di chiaratione d'un'altra, nonſi può cosi brieuemente eſporre.Baſtiti per
tuo ammaeſtramento,che tu fugga le ridic cole,perche ſono de' comici,le gonfie,
percheſonode' tragici, le austere dure,perchenon ſono euidenti, & infine
quelleche dallalunga ſi uanno tra endo,comeſe alcuno chiamaſſe la ſapienza lo
ſteccato della anima, l'acqua loſpecchiodi Narciſo, ò che diceſſe le faccende
qui uerdeggiano,o altre coſe sifatte. Biſogna adunque deriuare le parole da
coſe facili,& di pres fta intelligenza, con queste i due pocti le loro
fittioni mirabilmente innale zarono, delle quali piene ormai ne ſono tutte le
carte.Alte parole appreſſo ſi odono quelle del nome,or del uerbo partecipi
comeAmante, Ardente,co quelle ancora Andando, Vergognando,percheſono di ampio o
largo fpiris to.Et nel loro andare ſonoadagiate graui. Et di queſta ſia detto
aſſai. Ora con quai colori, ofigure adornar ſi debba la maeſtà delle parole, ſi
di rà,o prima,che alle coſe clgne unafalda confirmatione del proprio gilidi
tio, come un fermo tratto di pennello,rileua mirabilmente la oratione.Pere che
non è uera grandezza quella, della qualeſi tiene alcuna dubitanza,cu però
grande è quella parte. Leggi. DIN. Chi il commendò mai tanto, quanto tu il
commendaui in tutte quelle coſe laudeuoli,di che ualoroſo huomodee eſſer
commendato? certo. certo non a torto. AR. Ma quel giuditio,cheſeguc,ė fatto con
timore na dubbioſamente te proferito,però non ha del grande,benche al modeſto
dire, grandemente fi conuegna. DIN. Che ſe i miei occhi non mi
ingannarono,niuna laude da te data glifu, ch'io lui operarla,o più mirabilmente
chele tue parole non poteca no eſprimere,non uedeßi. ART. Conſidera quanto
togliedella maeſtà di quel ſonetto,che con mincia, Perſeguendomi Amoral loco
uſato, quel timido o ſoſpetto giudicio che dice, quella che ſe'l giudicio mio
non erra,Era più degna d'immortaa le ſtato, Et tanto più quanto quest'ultimo
uerfo non ha quelſuono,che gli al tri hanno.Douea ſenza temenza giudicare
ancora questo autore. Leggi, DIN. Et perciò che la gratitudine,ſecondo ch'io
credo,fra l'altre uir tùėfommamente da commandare. AR. Perche la ſentenza è
degna, a ricercaua un colore,che terminaf se il ſentimento.Nequesta figura
ſolamentealla maeſtàſ conuiene, ma tut te quelle che alla purità
ſirichieggono,delle quai di ſopra ſe ne è detto afa ſai.Et ciò ſifa,perche la
maestànon entri in tumidezza, o cada (diroco. si )in quella infermità che
idropiſia é nominata. Le parti, le membra eſſer deono bricui ſenza alcuna
lunghezza di giriyil che ſi uede ne'ſauij huomini, iquali breuißimamente uanno
raccom gliendo le coſe loro in fentenza, & detti,come oracoli.Leggi, DI N.
Giuſtitia moſſe il mio alto fattore. Fecemi la diuina potestade, Laſommaſapientia,e'l
primo amore. A R. Et qui ancora. DIN. Iſon Beatrice, che tifaccio andare, Vegno
dal loco oue tornar diſo, Amor mi moſſe, che mifa parlare. ART. Etqui. DIN. Gli
animi noſtri ſono eterni,perche difuggeuole uaghezza gli inebriate.Mirate uoi
come belle creature ci ſiamo,o penſate quanto dee of ſer bello colui, di cui
noi ſiamo miniſtre. AR. Inſomma,degno è ilſeguenteparlare in ogni ſua parte.
Leggi, DIN. Et queſto altrimenti non ſi fa,che à quello Iddio gli noſiri ani mi
riuolgendo,che ce gli ha dati. Ilchefarai tufigliuolo,ſe me udirai, o
penſerai,che eſſo tutto queſtoſacro tempio,chenoi mondo chiamiamo,di ſe
empiendolo hafabricato. ART. AR. Et qui ancora dicoſeumane. DIN. La uirti
primieramente noi,che tuttinaſcemmo, o naſciamo equali,ne distire,o quegli, che
di lei maggior parte haucuano, o adopee rauano, nobili furon detti, e il
rimanente rimafe non nobile. A R. La diſpoſitione o il ſito delle parole nella
maestà del dire dee tal mente ordinarji,che non ui ſia concorſo di uocaboli,
onde la bocca ſi apra ſconciamente. Voglio poi,che le paroleſdruccioloſe, con
più libertà uilica no,che nella parità, o tal ſuono eſſe legate inſieme diano,
quale ft deſides raua,che da ſe steſſo diſciolte faceſſero.Il ſimileſi dice
nella chiuſa, o nel finimento,operò il fine in parole manche non deeper alcun
modo hde uer loco in questa forma, deſidero la uarietà de' finimenti,o de i
princia pi, ma fieno di parole cheauanzino le dueſilabe, oquello cheper la più
ſarà tale in tutto il giro, farà il numero, che in queſtaforma ft ricere ca.
Leggi tutto il ſopra detto effempio, che ciò chen'ho detto, chiaramena' te
wedrai. Et ciò della maeſtà ti può bastare. Eſſendo la comprenſione alla grane
dezza del dire comela eleganza alla chiarezza, e eſſendoſi della male stà detto,
come di forma, che da ſemedeſima di tutte le ſueparti era cone tenta, nè ad
altra maniera, Òſentenze,ò numeri, ò parole, ò artificio, o ale": tra
qualità concedeuia,nėda altri alcuna coſa pigliaua, non è fuori dira. gione che
ſi dica ora della comprenſione, uera, ounicaforma da folleuare ogui baiſao
umile maniera della oratione. Et pero delleſueſentenze fi dirà prima, poi delle
altre parti. Le ſentenze di queſta forma,ſono quel le, che chiamano altro
ſentimento, o che raccolgono,operò in queſtapar te la comprenſione è oppoſta
alla purità del dire,nella quale dicemmo,non eſſer’alcuno raccoglimento.
Raccoglimento intendo,quando quello che piis i riſtringe nel meno,come una coſa
commune in generale, alla ſpecialità ė ristretto. Leggi, Certißima coſa é
adunque,ò Donne, che di tutte le perturbationi dell’d nimo,niuna coſa é cosi
noceuole, cosi graue, niuna cosiforzeuole o nio. lenta, niuna che cosi ci
commoud,ogiri,comequellafa,che noi amore chia mia mo. Eccoti che la
perturbatione è un genere commune ſotto il quale ſi rac coglie l'amore, che è
una ſpecie di perturbatione. Raccoglieſi ancora lo in determinato v oſcuro,allo
aperto & terminato,comequi. Molte nouelle,dilettoſe Denne à douer dar
principio à cosi lieta gior. nata,come questa ſarà,per douere eſſere da me
raccontate miſi parano das uanti,delle quali una più nell'animo me ne piace. Et
qui ancora molto più lines. $ 9 fi uede per due raccoglimenti. Et come che à
ciaſcuna perſona stia bene, à coloro maßimamente éria chieſto,li quali già
hanno di conforto hauuto mestieri, & hannolo trouato in altrui.Fra quali ſe
alcuno mai ne hebbe,ò gli fu caro,ò già ne riceuette piacere io ſono uno di
quegli. Riduceſt tutto il tutto alla parte ſia quel tutto è del tempo, ò del
luogo, ò d'altra coſa. Del tempo,come qui, · 10 amaiſempre,ey amo forte ancora.
Del luogo ancora, come qui, In Frioli, paeſe quantunque freddo,lieto di belle
montagnedipiù fiumi e di chiarefontane,è una terra chiamata Vdine. Suole
ogniſentenza, che chiama o ricerca ſentimento alcuno, eſſere di quella forma,o
appreſſo tutte quelle che alla purità ſono repugnanti nelle quali ogni
circostanza di luogo,di tempo dimodo, oogni accidente, che
preceda,accompagni,ófegua,alle coſe ſiſuoleaggiugnere.Come fe egli R diceſſe in
queſta guiſa, in sù la meza notte con molti'armati al luogo del le
guardieſoprauenne,fdegnato per la ingiuria fattagli il precedente gior no.Ecco
checon molte circostanze ſi narra il fatto,oR amplifica mirabil mente la
coſa.Come in queluerſo ancora, Giouane incauto,diſarmató, e ſolo. Chiamano
altroſentimento alcuni in questo modo, Ma si come àlui piacque,il quale eſſendo
egli infinito, diede per legge incommutabile à tutte le coſe mondane bauer fine,
il mio amore oltre ad ogn'altro feruente,o il quale. AR. Non legger piùche da
teſteſſo poi nel predetto luogo potraiper comprenſione eabbracciamento uedere
tantagrandezza di oratione che niente più. Abbracciano alcuneſentenze
mirabilmente,o ſono quelle, che la ragio nedella coſa in ſe ſteſſe
ritengono,come s’io diceßi,L'ira de'mortali immor tale eſſer non dee,e queſta,
Aſai dimanda chi feruendo tace. Et quell'altra. Un bel morir tutta la uita
onord. Etſimiglianti. Senza timor uiue chi le leggi teme.: Che il perder tempo,
à chi più sàpiù piace. Queste fonole ſentenze,che abbracciano a comprendono, ma
l'arte H 2 difolleuareè prima in ogni tramezamento. Leggi, Alla qual coſa fare (come'chein
ciaſcuna età stia bene il leggere « l'u dire le giouenili coſe, & c.
Etſopra l'altre questa. Percioche non amare,come che ſia,in uoſtra stagione
nonſi può, quane doſi uede, che da Natura inſieme col uiuere a tutti gli
huomini è dato, cbe ciaſcuno alcuna coſa ſempre ami, oſempre diſii,pure io, che
giouane fono, gligiouani buomini,« le giouani donne conforto oinuito.
Maggiormente queſti tramezamenti inalzano la oratione comeuedi, i quali uanno
meſcolando le ragioni con le coſe, o fanno la oratione ampia ecircondotia, o
uſanſiſpeſſo da queſto Autore nelle fentenze baſſe, co me qui, Le quai coſe,quantunque
molto affettuoſamente le diceſſe, conuertite in uentocome le piu delleſue impreſefaceano,tornarono
in uano. AR. Lo andare per gli gradi raccogliendo,ė artificio di quella fora
md, come qui, Figliuola miaio credo,che gran noiaſa ad una bella edelicata
donna come uoi ſiete,bauere per marito un mentecatto,ma molto maggiore la cre
do eſſere d'hauere un geloſo. Et queſta ancora. Leggi, Drmare ciaſcheduna delle
dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima
delle coſe, e del parlare. 40 DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere
che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella,
che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe
allo inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la
orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle
coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė
ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione
con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da
te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi
difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola
occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per
alcuna coſa d'intornoal Numero, o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me
guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo,
chequalhora alcuno ſi rivolga à conſiderare il modo, es la ragione del medicare,
che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia giudicioſamente
applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia per uedere tra
la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza. Ecco la
medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi
truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno alla buonaopinione, perche conogni
ſtudio s'affitica di metterla,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La medicina
conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o
preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel
parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento
recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il
peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la
mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris
medij,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità
delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa
dalla Natura aborrita. Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune
coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte
apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi
conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare, perche
troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento; il quale portando ſeco
ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per
ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà, e benche gli orecchi del
uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda,
ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più proprio dell'intelletto, che
delſentimento umano. Giudicando adunque, o conſiderando lo intendente huomo
quale ſia la cagione, che le parole più ad un modo, che ad un'altro diſposte
fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo
principio, conueniente, ma quanto alla perfettione non cosi; però che io ne ho
grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la Nde tura, a quello che io ti
poßiamo prestare,dico,che la Natura ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo
piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi folleuino con la ſoauità,
a dolcezza del dire; al che fare niuna coſa è più potente nel uostro ragionare,
che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual numero biſogna, che di ſua
uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la
fofpitione dello artificio, la quae le con luſingheuole inganno pare, che
uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione,
o fede. Ma quando con ine certo, & non conoſciuto numero,dolce però, e
foaue,ſi compone il parld. -mento, oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza,
& del'intendimento,fena za dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi
riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola continouata del uerſo;
continouata dico, peroche lo ſteſſo numero più volte replicato facilmente
ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato, « conſueto ritorno,
più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il
numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più dall'arte,che dalla Natura
procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del tutto non dee
restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però numeroſa o
compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per qual cagione
diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene dirò
bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come ponimento.
DINARDO. Queſto ordine à me sommamente diletta, però di cuore ti prie go,che
più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. AR. La necessità uuole, che le
parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è
detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o
accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente
dimora, ò il parlar ſarebbe ociofo,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima
è finita Otermina ta,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le
parole, che la sentenza dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro, o
circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento
del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la
ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti
della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó
Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo
mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi, le parti dello
abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to. In tutto queſto
ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il
cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua
alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno, oſi muoua più ueloce,ò
piu tarda ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento, miſurato
col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual ragioniamo,uero
figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel
fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche
di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere,
o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi,
ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in
parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò
che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere
hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo
a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo
quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di
questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con maggior
deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che ora tu
facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual
naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un
tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della
mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità
del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno
biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi
delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore
affai umano, di benigno aſpetto. A R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di
diſcorſo ogni mediocre in. gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià
letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi, Nipote di
Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti essempi ſono della purità nelle nouelle, la
ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla
uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe
conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe,
oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa
ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che
queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che
ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque
altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando
nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di
dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun
accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita
ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro
auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza: DIN. La quale
percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei
dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura
cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti
fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo,
di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo,
&neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti
quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee
uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le parole, piane,facili,ufitate,
bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto proportionate, onde le trae
portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che la lingua pena à proferire, o
l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però purisſime ſono queste. DIN.
Cheà me pareuaeßer’in una bella, « diletteuole ſelua,& in quella andar
cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu che la neue
bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da me nonſi
partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar
le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle,
o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura
delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini
fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo adunqueuago, «
piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il
Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non
cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo,uago
&piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la
figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia,doue ſi dice
Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello
tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze
del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti,
oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro
uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione? ÁR:
Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro, &netto,
& non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del
dire porgere «grandezza o dignità. Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe
ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os
ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o
maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della
quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole, Dico
nella purità,cs mondezza del dire douerſi met: tere le parole inſieme con quel
modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione
ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma
biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche
la uoce di ſuono e quale, temperato, « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella
compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate,
che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud.
Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna
fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, &
tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che
la A ſi forma nella più profonda parte del petto,o eſce poifuori con alta
uoce,riſonante,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente,
ch'é,B. LA B é puraſnella,deſpedita,come è afpra'la C.quando è fine della
fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e
di dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto
mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é
ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te
ſteſſo il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua propria
qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più questa,chequella
compoſitione.Le parti, &le membra, della purie. rità effer deono
breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con
lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo,come qui,
D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti
errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la
trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il
potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue
più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio
raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in
questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco
piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il
laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o
fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma
oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra, E temo,
eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte.
DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che ilſenſo è troppo
ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello
chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura,
alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero,
& del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle
parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di queſta forma non
ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi,one i
mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo
quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto
quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto,
perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del
finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola
piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le
parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde,oferme,
opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco
la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go
ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer
dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le
parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee
nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di
quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con
tanta religioneſifiniſca in parole piene, &perfete te,fuggendo le
tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo
parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de
ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione
riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa
ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,&
naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà, à quelle
fomigliante.Ben'è uero,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto
nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc
l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella
poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio,doue
nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giudicio delle quali da eſſa natura é
ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza, opurità
del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si
chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le
ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un
modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando
eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire,ilqual'aiuto èpiù presto
nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni
ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo
adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni
ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera, cheportachiarezza à
tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, douc ella manca
foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto
nafce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò
che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e
magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe
uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con
l'artificio fuo, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare
ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento
innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi
in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à
luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi.
DIN. Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi
conuerràfar due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me
comendare, &l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė
dall'una,ne dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto
gentilmente | sbriga lo intelletto dello aſcoltare con tali
auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio, s'intende quela to,che per
chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le quali non ſi in tenderebbe
ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar del ben, ch'io ui trouai,
Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il poeta qui non doueſſe
dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che ſono in diſgratia di
Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il beneche ne riuſci
poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima neceßità costretto
quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta nella egregia Città di
Firenze, avvertendo pri ma chi legge,in queſto modo. DIN. Mapercioche qualefuße
la cagione,perche le coſe che appref fo Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua
ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi dineceßità coſtretto à ſcriuerla
miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella preparatione di coſe,fatta per
le uare ogni impedimento,chepoteſſe offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio
unpoco ſcuſare,che di que' tempi, che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti
uenire, e non poteſti,alcune ci uenisti, onon fosti cosi lietamente
veduto,comefoleui,& oltre à questo di ciòche io al termine promeſſo,non ti
rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni precedente auifo, & ogni ordine di
coſe, e ſecondo, che elte ſon fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, &
elegante,però tutte le propofitoni de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente
quant’io del regno fanto Ne la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del
mio canto, AR. E qui ancora DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que
l'umanoſpirito ſi purga E di ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il simigliante
modo è oſſeruato ne i principij di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole
ancora la Eleganza porre artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte
partitamentecome qui. Leggi. DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che
diranno,ch'io habbia nello ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART.
Eccola dimanda seguita la solutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna
coſa esi difoneſta, che con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART.
Et cosi di paripaſſo alle obiettioni riſponde, benche altre fide te
inſiemepostohabbia ogni accuſa di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo
non ha dello elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme
allora quando diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni,
che queſte nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta
coſa nonė, che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni
han dete to peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando
di uoler dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro
queſte coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te
neri della miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le
Mufe in Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli
ancora,che più difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei
più diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a
queste fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere
state le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in
detrimento della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe
contra dello autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è
cosi elegante,comeilprimoartife cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe
di eſſer chiaro, cinteſo, eso auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa
doue dice,roppo alquanto dalle predet te oppoſitioni,perche non di ſubito
riſponde, ilche ancora é dalia cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti,
ch'io uegna à far la riſpoſta ad alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non
una nouella intera,ma parte di una. A R. Et ne poeti ancora fi
oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare cosifatti partimenti.Vedi. DIN.
Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza altrui,per qual cagione Di meritar
mi ſcema la miſura? AR.Queſta éuna propoſta,alla quale ſecondo l'arte della
eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita.
DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la
ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme
collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN.
Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria
Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In queſto luogo non tanto la eleganza
dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire,
quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui
ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che
ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti
luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio
che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual
luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui
moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare
ciaſcheduna delle dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata
catena dell'anima delle coſe, e del parlare. DE Ï Ï Á parlare. AR. Bendi.
Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la
ragione,alfra quella, che é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o
nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal muouere appartenenti,
cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello
intelletto,als cune alle coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto
non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re
opinione è affettione con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel
trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi
confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi
obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu
uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero, o numeroſo
componimento. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno.
Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à conſiderare il modo,
es la ragione del medicare, che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina,
uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli
non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima
ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di
conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno alla
buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla,ò di mantenerla oue
ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer
debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le
partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia
chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con
altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da
queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon offendere
quelſentimento,che prende iſuoi ris medij,il qualſentimento é negli orrecchi
ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la
opinione, quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita. Etfinalmente la
medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle
parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo
infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca
hora dichiarare, perche troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento;
il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle
ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà,
e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno
Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più
proprio dell'intelletto, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o
conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un
modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto
eſſere alla Natura, quanto alſuo principio, conueniente, ma quanto alla perfettione
non cosi; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia quello che la
Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico,che la Natura ha posto alls
cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle affaticate fi
folleuino con la ſoauità, a dolcezza del dire; al che fare niuna coſa è più
potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle parole. Il qual
numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si perchefa oratione, e
non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la quae le con
luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli aſcol tanti,
operò leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo, & non
conoſciuto numero,dolce però, e foaue,ſi compone il parlamento, oſi lega
inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za dubbio il
tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, « ogni regola
continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero più volte
replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti l'ordinato,
« conſueto ritorno, più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa aſſai chiara,
oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più dall'arte,che
dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o ſciolta del
tutto non dee restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne rimarrebbe,però
numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che naſca, o per
qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione, quanto à me s'appartiene
dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia NVMERO, ò numeroſo come
ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente diletta,però di cuore ti prie
go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri. A R. La neceßità uuole, che
le parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto fine ſi ragiona,comeſi è
detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri di fuori,doue mancando o
accreſcendo parole, o il concetto interno non ſarebbeeſpreſſo, come nella mente
dimora, ò il parlar ſarebbe ociofo,ò mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima
è finita Otermina ta,però debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le
parole, che laſenten F DEELLA za dimostrano. La qual quantità inſieme ragunata,
Giro, o circuito nos mineremo ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto
abbracciamento del la ſentenza. Questo abbracciamento di pari accompagnando la
uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori,
ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi
chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il
ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpo medeſimo e terminato, & finitocosi, le
parti dello abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to. In
tutto queſto ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte,
e tra il cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che
la lingua alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più
ueloce,ò piu tarda ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto
mouimento,miſurato col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual
ragioniamo, uero figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare,
omoltopiu nel fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel
mezo.Etperche di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento
del piacere, o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione
de' ſenſi, ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però,
hauendoſifin'ora in parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in
parte dico,perciò che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce,
odiuerſe maniere hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme
del dire daremo a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora
ritroue remo quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di
farmicapace di questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con
maggior deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che
ora tu facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza, laqual
naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un
tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della
mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità
del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno
biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi
delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore
affai umano, di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di
diſcorſo ogni mediocre in. gigno. gegropuò capire ilſentimento della
ſentenzagià letta, come ancora in questi uerfi. Leggi. DIN. Io son Manfredi,
Nipote di Costanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle
nouelle, la ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla
uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe
conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe,
oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa
ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che
queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che
ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque
altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando
nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di
dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun
accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita
ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro
auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella sentenza: DIN. La quale
percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei
dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura
cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti
fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo,
di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo,
&neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti
quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee
uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le
parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto
proportionate, onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che
la lingua pena à proferire, o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però
purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole ſelua,&
in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu
che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da
me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. F 2 AR DEL LOA: ARTE Non è poco hauer giudicio
di ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel
diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la
figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò
Cornacchini fu nostro cittadino, o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo
adunqueuago, « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre
Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di
Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato,
Dicendo, DiAſolo,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di
Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola
puro non ſia,doue ſi dice Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non
é puro per quello tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per
quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il
ſentimentode gli aſcoltanti, oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque
erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra
maniera,della oratione? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in
ogni parte puro, &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non
erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora
uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire
haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è
figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario
als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom
poſitione delle parole, Dico nella purità,cs mondezza del dire douerſi met:
tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae
coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in
ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni
difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale, temperato,
« non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di
acconciare talmente, che pine tosto nate, che fabricate appariſcano,come nello
eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, &
lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte
ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono
delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda
parte del petto,o eſce poifuori con alta восс, uoce,riſonante,onde lo ſpirito
di eſſa grande,oſonoroffente,odi laſe guente, ch'é,B. LA B é
puraſnella,deſpedita,come è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C,
órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo contrario e di
dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio
dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer tuo, cosi é ciò
che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera poi da te
ſteſſo il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua propria
qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più questa,chequella
compoſitione.Le parti, &le membra, della purie. rità effer deono
breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con
lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo,come qui,
D. Suol’essere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti
errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la
trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il
potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue
più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio
raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in
questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco
piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il
laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o
fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma
oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra, E temo,
eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte.
DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che ilſenſo è troppo
ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello
chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura,
alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero,
& del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle
parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di queſta forma non
ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi,one i
mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo
quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto
quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto,
perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del
finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola
piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le
parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde,oferme,
opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco
la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go
ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer
dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le
parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà,o C. perche le mede. fime dee
nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di
quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con
tanta religioneſifiniſca in parole piene, &perfete te,fuggendo le
tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo
parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de
ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione
riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa
ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,&
naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà, à quelle
fomigliante.Ben'è uero,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto
nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc
l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella
poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio,doue
nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu. dicio delle quali da eſſa natura
é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza, opurità
del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si
chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le
ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un
modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando
eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire,ilqual'aiuto èpiù presto
nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni
ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo
adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni
ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à
tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, douc ella manca
foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto
nafce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò
che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e
magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe
uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio
fuo, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza
dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento innanzi fatto
di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade
Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à luim'increbbe
Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DI N. Mipiace à
condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe
molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra
il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non
intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto
dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio,
s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le
quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar
del ben,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. A R. Se il
poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che
ſono in diſgratia di Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il
beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima
neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta
nella egregia Città di Firenze,auuertendo pri ma chi legge,in queſto modo. DIN.
Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo
Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi
dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella
preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento, chepoteſſe
offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi,
che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci
uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di
ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. In fine ogni
precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon
fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, & elegante,però tutte le propofitoni
de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne
la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora
DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di
ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij
di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre
artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi.
DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello
ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la
ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che
con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo
alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa
di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo non ha dello
elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando
diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte
nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė,
che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to
peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler
dire, hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte
coſe, cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della
miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente, àſtarmi con le Muse in
Parnaso,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più
difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei più
diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste
fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state
le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento
della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello
autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,comeilprimoartife
cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso
auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle
predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia
cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad
alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di
una. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare
cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza
altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? A R.Queſta éuna
propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi
è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita.
Ancor di dubitar ti dà cagione Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo
la ſententia di Platone. AR. Ben che tu ueda qui le propoſte effer'inſieme
collocate, non è per ròſenza cleganza quella parte,per quello cheſegue. DIN.
Queſteſon le question,che nel tuo uelle Pontano egualemente, e però pria
Tratterò quella chepiù ba di felle. In queſto luogo non tanto la eleganza
dimoſtra lo artificio fuo per lo auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire,
quanto per la elettione di riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui
ancora un'altro artificio della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia
quello,che ſi è detto, et ſi dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti
luoghiſegnati. DIN. Ma hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio
che mi basti,o à coloro riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual
luogo acciò chemeglio quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui
moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto fin qui,con che arte la eleganza leuarmare
ciaſcheduna delle dette maniere, accion che io ueda il fine della deſiderata
catena dell'anima delle coſe, e del parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che
comenell'Anima,al. tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella, che
é da gli effetti commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo
inſegnare altreal muouere appartenenti, cosi alcune formedels la
orationeſaranno, le quali conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle
coſe della uoglia, odello appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė
ragione alcunaſarebbe di poter acconciamente indurs re opinione è affettione
con la forza della fuuella. Però auuertiſci, che nel trattamento delle forme da
te ſtesſo potrai intendere qual forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi
difarmi ogni coſa chiara con glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola
occaſio ne,in qualunque libro di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per
alcuna coſa d'intornoal Numero, o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me
guidare cheil tutto ſaperai ſecondo il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo,
chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi= derare il modo, es la ragione del
medicare, che ritrouando alcus na bella coſa nella medicina, uoglia
giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è dubbio, che egli non ſia
per uedere tra la medicina, o l'arte di che ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza.
Ecco la medicina cerca di indurre ſanità, oue ella non ė, ò di conſeruarla doue
ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno alla buonaopinione, perche
conogni ſtudio s'affitica di metterla,ò di mantenerla oue ſia biſogno. La
medicina conoſce qual parte del corpo con qualrimedio eſſer debs bia riſanata,
o preferuata,cosi queſt'arte opracon l'anima, e con le partiſue con le formedel
parlare.La medicina quantopiù può fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento
recar'atl'infermo,con mele ò con zucchero, ò con altra coperta mitigando il
peßimoſapore, ego l'odore delle medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la
mia figlis uola, cercandodinon offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris
medij,il qualſentimento é negli orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità
delſuono fa trapaſſar’inſino all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa
dalla Natura aborrita. Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune
coſe ui mette, non tanto gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte
apportatrici delle uirtù dell'altre coſe al luogo infermo, il chequãtoſi
conuenga all'artificiofa fauella,non ti posſo in poca hora dichiarare, perche
troppo grande é la forza delſuo nus meroſo componimento; il quale portando ſeco
ageuolißimamente il ualor delle parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per
ogni parte dell'anima Ειοο ν Ε Ν Ζ Α. dell'anima,deſ leroſa di queſta foauicà,
e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da dimandare alcuno
Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto giudicio è più
proprio dell'intelletto, che delſentimento umano. Giudicando adunque, o
conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole più ad un
modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua iltutto
eſſere alla Natura, quanto alſuo principio, conueniente, ma quanto alla
perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia
quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico,che la Natura
ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, uuole chequelle
affaticate fi folleuino con la ſoauità, a dolcezza del dire; al che fare niuna
coſa è più potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle
parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si
perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la
quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli
aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo,
& non conoſciuto numero,dolce però, e foaue,ſi compone il parld. -mento,
oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & del'intendimento,fena za
dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, «
ogni regola continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero
più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti
l'ordinato, « conſueto ritorno, più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa
aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più
dall'arte,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o
ſciolta del tutto non dee restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne
rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che
naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione,
quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia
NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente
diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri.
AR. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto
fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri
di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non
ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar sarebbe ocioso, ò
mancheuole. Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta,però
debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che laſentenza
dimostrano. Laqual quantità inſieme ragunata, Giro, o circuito nos mineremo
ilquale altro non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza.
Questo abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la
ſentenza,puòhauere una ò piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti
della ſentenza;@ ciaſcuna parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó
Nodo; osi come ogni parte del corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo
mezo, o il corpomedeſimo e terminato, & finitocosi, le parti dello
abbracciamento, welfo abbracciamento ſarà finito, otermina to. In tutto queſto
ſpatio adunque,che è tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il
cominciamento, es la chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua
alcuna uolta s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce,ò
piu tarda ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento,miſurato
col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual ragioniamo,uero
figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel
fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche
di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere,
o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi,
ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in
parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò
che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere
hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo
a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo
quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di
questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con maggior
deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che ora tu
facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual
naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un
tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della
mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità
del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno
biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi
delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore
affai umano, di benigno aſpetto. AR. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di
diſcorſo ogni mediocre in. gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià
letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi, Nipote di
Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle, la
ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla
uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe
conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe,
oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa
ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che
queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che
ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque
altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando
nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di
dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun
accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita
ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro
auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza: DIN. La quale
percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei
dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura
cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti
fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo,
di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo,
&neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti
quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee
uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le
parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto
proportionate, onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che
la lingua pena à proferire, o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però
purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareva eßer’in una bella, diletteuole ſelua,&
in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu
che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da
me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. F 2 ARTE Non è poco hauer giudicio di ritrouar
le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel diſporle,
o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la figura
delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò Cornacchini
fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. A solo adunqueuago, «
piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre Alpiſopra il
Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di Cipri. ARTE Non
cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato, Dicendo,DiAſolo,uago
&piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di Cipri. Ma puro e per la
figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola puro non ſia,doue ſi dice
Arneſe,uoce ſtraniera, ancora nello are. tificio non é puro per quello
tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per quelle circoſtanze
del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il ſentimentode gli aſcoltanti,
oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque erra chi uolendo cßer puro
uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra maniera,della oratione? ÁR:
Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in ogni parte puro, &netto,
& non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non erra uolendo alla pu rità del
dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora uoglio che ogni maniera ſia in ſe
ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire haurà le. parti ſue distinte,os
ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è figura, di questaforma, o
maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario als la comprenſione della
quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom poſitione delle parole, Dico
nella purità,cs mondezza del dire douerſi met: tere le parole inſieme con quel
modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae coſenza molta cura,caffettatione
ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in ciaſcheduna parola di queſta forma
biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche
la uoce di ſuono e quale, temperato, « non impedito ufciſſe fuori,cosi nella
compoſitione biſos gna guardare di acconciare talmente, che pine tosto nate,
che fabricate appariſcano,come nello eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud.
Conſided ra tu poi la forza, & lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna
fillaba, come la natura in tutte ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, &
tifa rai queſto giudice del ſuono delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che
la A ſi forma nella più profonda parte del petto,o eſce poifuori con alta
восс, uoce,riſonante,onde lo ſpirito di eſſa grande,oſonoroffente,odi
laſe guente, ch'é,B. LA B é puraſnella,deſpedita,come è afpra'la C.quando è
fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la A à la V come per lo
contrario e di dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla I. @alla E.co. me
qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia perſona è al piacer
tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al comando tuo. Conſidera
poi da te ſteſſo il restante delle lettere, in che maniera eſſa natura diſua
propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai onde nde ſce più
questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra, della purie. rità effer
deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non ritar: dando con
lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe polo,come qui,
D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o fortuneuole nembofofpinti
errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana pie tra,ritrouare la
trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non Ria lor tolto il
potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca ciano,ò almeno doue
più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna parimente in minoreſpatio
raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt uuole eſſer puro, ofare in
questo modo,benche le parolefieno ale quanto dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco
piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le di ſtomaco, « poi il
laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia con Bonifatio Papa,o
fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer dee la predetta norma
oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho da farguerra, E temo,
eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene in queſta altra parte.
DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò che ilſenſo è troppo
ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque della purità quello
chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile parole, alla figura,
alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi tratti del numero,
& del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della ſentenza,o delle
parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di queſta forma non
ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i ripoſi,one i
mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal fine,peròſapendo
quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il fineztutto
quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender quellocheſi è detto,
perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito reſta che ſidica del
finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in alcunaparola tronca,oin parola
piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di piu ſilabe,o ancora di una. Le
parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe, & uolubili,o ſalde,oferme,
opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema parola di tutta la chiuſa, ma anco
la uicina, o proſima,però partitamente ſi dirà di ciaſcun finimento al luo go
ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer
dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire cotidiano,fuggirà il fine del le
parole tronche, comeſono quelle andò,corfuftarà, o C.perche le mede. fime dee
nella diſpoſitione fuggire,come ramarico, o render florido. Et A contenterà di
quelfine,cheper lo più la Natura a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con
tanta religioneſifiniſca in parole piene, &perfete te,fuggendo le
tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta nonſimetta fie nealtrimenti alſuo
parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per la mage gior parte de
ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque odalla diſpoſitione
riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo adunque lachiuſa
ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non isforzeuole,matemperata,&
naturale,fcguita che il numero dell'uno, o, dell'altro figliuoloſarà, à quelle
fomigliante.Ben'è uero,che laforza di cia fcuna manierà,e ripoſta piu toſto
nelle altre parti,che nel numero, eccetto, che nella bellezza,douc
l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto piùè ne i uerfi, « nella
poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non metta piu ſtudio,doue
nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu. dicio delle quali da eſſa natura
é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto giouala mondezza, opurità
del dire alla chiarezza; ma perche questa ſempliceforma non può daſefola si
chiaramente parlae re che non uiſiaqualche impedimento,però biſogna ouunque le
ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza aiutarla, come con maniera chepiù un
modo, che un'altro,piu questo ordineche quello ſecondo il biſogno adoprando
eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del dire,ilqual'aiuto èpiù presto
nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto. Però che ella ſi sforzafar ogni
ſentenza chiara &aperta,non che le pure già dichiarite di ſopra. Parliamo
adune que della cleganza,o prima dello artificio,colquale ella lcuar fuole ogni
ſentenza nella mente riposta. AR. La cleganza e maniera,cheportachiarezza à
tutte le maniere della oratione, operò non tanto alla purità, douc ella manca
foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra intelligenza, o facilità,daqueſto
nafce, che la eleganza dalla purità del dire in alcuna coſa é differente.Perciò
che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma la eleganza nella grandezza, e
magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni oſcurità, che per quella poteſſe
uenire, leua,o diſgombra,o però in ogniſentenza ella può molto, si con
l'artificio fuo, si co i colori,«le figure.L'artificio adunque di les uare
ogniſentenza dallo intelletto,acciò che ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento
innanzi fatto di quello che ft ha da ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi
in libertade Mentre Amor nel mio albergo à ſdegno s'hebbe Poiſeguirò si come à
luim'increbbe Troppo altamente: AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DIN.
Mipiace à condiſcendere à conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar
due coſe molto a' miei costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare,
&l'altra il biaſimare alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne
dall'altra non intendo partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga
lo intelletto dello aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai
bello artificio, s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne
narra fenza le quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN.
Maper trattar del ben,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte.
A R. Se il poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di
quegli,che ſono in diſgratia di Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere
facilmente il beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui
dalla medeſima neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità
peruenuta nella egregia Città di Firenze,auuertendo pri ma chi legge,in queſto
modo. DIN. Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo
Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi
dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. AR. Ecco qui ancora un'altra bella
preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe
offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi,
che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci
uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di
ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari. AR. In fine ogni
precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon
fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, & elegante,però tutte le propofitoni
de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne
la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora
DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di
ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij
di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre
artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi.
DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello
ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la
ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che
con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo
alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa
di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo non ha dello
elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando
diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte
nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė,
che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to
peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler
dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe,
cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della
miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in
Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più
difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei più
diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste
fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state
le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento
della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello
autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,comeilprimoartife
cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso
auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle
predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia
cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad
alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di
una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare
cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza
altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? A R.Queſta éuna
propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi
è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione
Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A R. Ben che
tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza
quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle
Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In
queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo
auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di
riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio
della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi
dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati. DIN. Ma
hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro
riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio
quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto
fin qui,con che arte la eleganza leuarmare ciaſcheduna delle dette maniere,
accion che io ueda il fine della deſiderata catena dell'anima delle coſe, e del
parlare. DE Ï Ï Á parlare. A R. Bendi. Dei dunque ſapere che comenell'Anima,al.
tra parte è quella che apprende la ragione,alfra quella, che é da gli effetti
commoſſi, come dicemmo, o nellaNatura altre ſono le coſe allo inſegnare altreal
muouere appartenenti, cosi alcune formedels la orationeſaranno, le quali
conuerranno alle coſe dello intelletto,als cune alle coſe della uoglia, odello
appetito, o quando queſto non fuſſe, né uia, nė ragione alcunaſarebbe di poter
acconciamente indurs re opinione è affettione con la forza della fuuella. Però
auuertiſci, che nel trattamento delle forme da te ſtesſo potrai intendere qual
forma à qual coſaſi confaccia. DIN. Ricorditi difarmi ogni coſa chiara con
glieſſempi, eio mi obligo di leggerli ſecondola occaſio ne,in qualunque libro
di queſti,che tu uorrai. Ma prima deſidero ſa per alcuna coſa d'intornoal Numero,
o numeroſo componimento. ART. Laſciati à me guidare cheil tutto ſaperai ſecondo
il biſogno. Sappi adunque, è Dinardo, chequalhora alcuno ſi rivolga à conſi=
derare il modo, es la ragione del medicare, che ritrouando alcus na bella coſa
nella medicina, uoglia giudicioſamente applicarla all’are te del dire, non è
dubbio, che egli non ſia per uedere tra la medicina, o l'arte di che
ſiragiona,grandiſsima ſimiglianza. Ecco la medicina cerca di indurre ſanità,
oue ella non ė, ò di conſeruarla doue ella fi truoua.Ilſimile fa queſt'arte,d'intorno
alla buonaopinione, perche conogni ſtudio s'affitica di metterla,ò di
mantenerla oue ſia biſogno. La medicina conoſce qual parte del corpo con
qualrimedio eſſer debs bia riſanata, o preferuata,cosi queſt'arte opracon
l'anima, e con le partiſue con le formedel parlare.La medicina quantopiù può
fugge la noia chepotrebbe alcuno medicamento recar'atl'infermo,con mele ò con
zucchero, ò con altra coperta mitigando il peßimoſapore, ego l'odore delle
medicine, ne da queſta gentilezza ſi parte la mia figlis uola, cercandodinon
offendere quelſentimento,che prende iſuoi ris medij,il qualſentimento é negli
orrecchi ripoſto,per le qualiſotto la ſoauità delſuono fa trapaſſar’inſino
all'anima la opinione, quantun que ſia di coſa dalla Natura aborrita.
Etfinalmente la medicina nelle ſue compoſitioni alcune coſe ui mette, non tanto
gioueuoli alle parti offeſe, quanto preſte apportatrici delle uirtù dell'altre
coſe al luogo infermo, il chequãtoſi conuenga all'artificiofa fauella,non ti
posſo in poca hora dichiarare, perche troppo grande é la forza delſuo nus
meroſo componimento; il quale portando ſeco ageuolißimamente il ualor delle
parole, o delle ſentenze,paſa,e penetra per ogni parte dell'anima,deſ leroſa di
queſta foauicà, e benche gli orecchi del uolgo neſentano aſſai, non è però da
dimandare alcuno Idiota,onde ella proceda, ò come ſi faccia, perche queſto
giudicio è più proprio dell'intelletto, che delſentimento umano. Giudicando
adunque, o conſiderando lo intendente huomo quale ſia la cagione, che le parole
più ad un modo, che ad un'altro diſposte fieno diletteuolio numeroſe, ritrüoua
iltutto eſſere alla Natura, quanto alſuo principio, conueniente, ma quanto alla
perfettione non cosi; però che io ne ho grandißima parte.Et perche tuſappia
quello che la Nde tura, a quello che io ti poßiamo prestare,dico,che la Natura
ha posto alls cor nelle orecchie ilſuo piacere & diletto, vuole chequelle
affaticate fi folleuino con la ſoauità, a dolcezza del dire; al che fare niuna
coſa è più potente nel uostro ragionare, che'l numero, ola fosnità delle
parole. Il qual numero biſogna, che di ſua uoglia uegna nella oratione, si
perchefa oratione, e non muſica,si perfuggir la fofpitione dello artificio, la
quae le con luſingheuole inganno pare, che uoglia abbagliar l’animo de gli
aſcol tanti, operò leua loro ogni perſuaſione, o fede. Ma quando con ine certo,
& non conoſciuto numero,dolce però, e foaue,ſi compone il parld. -mento,
oſi lega inſieme il faſcio della ſentenza, & dell’intendimento, fena za
dubbio il tutto con credenza, o diletto ſi riceue. Fuggafi dunque il ucrſo, «
ogni regola continouata del uerſo; continouata dico, peroche lo ſteſſo numero
più volte replicato facilmente ſiriconoſce, o fache gli os recchi aſpettanti
l'ordinato, « conſueto ritorno, più alſuono,che alſentia mentoſi diano,coſa
aſſai chiara, oatteſa ne i uerſi,il numero de' quali ufae to,e conoſciuto,più
dall'arte,che dalla Natura procedente. Ma percheſenza legge di numero alcuno, o
ſciolta del tutto non dee restare l'oratione, che oſcura, cu piaccuole ne
rimarrebbe,però numeroſa o compoſta ella fi dis fidera grandemente. Ora da che
naſca, o per qual cagione diuerſamente offer conuenga numeroſa l'oratione,
quanto à me s'appartiene dirò bries uemente,dichiarando prima,che coſa ſia
NVMERO, ò numeroſo come ponimento. DIN. Queſto ordine à meſommamente
diletta,però di cuore ti prie go,che più diſtintamente che puoi,me lo dimostri.
A R. La neceßità uuole, che le parole ſieno pari alla ſentenza,perche à queſto
fine ſi ragiona,comeſi è detto,accioche quanto habbiamo di dene troſi dimoſtri
di fuori,doue mancando o accreſcendo parole, o il concetto interno non
ſarebbeeſpreſſo, come nella mente dimora, ò il parlar ſarebbe ociofo,ò
mancheuole.Maperche la ſentenza nell'anima è finita Otermina ta,però
debbon’eſſerfinite,os terminate in quantità le parole, che la sentenza dimostrano.
Laqual quantità inſieme ragunata, Giro, o circuito nos mineremo ilquale altro
non ſarà,chepieno operfetto abbracciamento del la ſentenza. Questo
abbracciamento di pari accompagnando la uirtù di ef la ſentenza,puòhauere una ò
piu parti, o maggiori, o minori, ſecondo le parti della ſentenza;@ ciaſcuna
parte é composta di parole, oſi chiama Membro, ó Nodo; osi come ogni parte del
corpo ha il ſuo principio, il ſuofine, e il ſuo mezo, o il corpomedeſimo e
terminato, & finitocosi, le parti dello abbracciamento, welfo
abbracciamento ſarà finito, otermina to. In tutto queſto ſpatio adunque,che è
tra il principio,il fine di ciaſcu na parte, e tra il cominciamento, es la
chiuſa,che s'è detto chiamarſigia ro,ė forza,che la lingua alcuna uolta
s'adagi,o ſi ripoſi ſecondo il biſoa gno,oſi muoua più ueloce,ò piu tarda
ſecondo laqualità del concetto. Et questo ripoſo, oqueſto mouimento,miſurato
col tempo del proferire, para toriſce ilnumero, del qual ragioniamo,uero
figliuolo della compoſitione, o de i termini del parlare, omoltopiu nel
fine,chenel cominciamento e più apparente ne gli eſtremi chenel mezo.Etperche
di eſſo Numero gli orecchi fanno giudicio in quanto al ſentimento del piacere,
o del diſpiaa cere,per eſſer naturale à ciaſcuno la dilettatione de' ſenſi,
ol'intellettofos lo come ti dißi,ne cerca la cagione però, hauendoſifin'ora in
parte dimoſtra to quello cheall'intelletto s'appartiene,in parte dico,perciò
che l'intelletto in questo caſo molto alle orecchie deferiſce, odiuerſe maniere
hanno dia uerfo numero.Però cominciando a trattare delle forme del dire daremo
a ciaſcheduno il ſuo numeroſo componimento,o con effempi ancora ritroue remo
quello che con ragioneſfarà dimostrato. DIN. Molto bene auif di farmicapace di
questa magnifica oillus ſtre compoſitione; però ſegui,che con maggior
deſiderio, cheprima,fono apparecchiato di aſcoltarti,perche mi pare,che ora tu
facci di me pruoua marauiglioſa. AR: La primaformae nominata Chiarezza,laqual
naſce da purità, og da eleganza,come s'è detto. Pero eſſendo ella quaſi un
tutto, acciò che meglio ſi manifeſti,ſidirà delle parti fue,&prima della
mondezza opile rità,poidella ſcelta, o eleganza. Deefl dunque dare allapurità
del dire quelle ſentenze, le qualiſono di piana intelligenza, & non hanno
biſogno di piu conſideratione,come per lo pia fono,o effer deono le narrationi
delle co fe,come qui. Leggi. DIN. Tancredi, Principe di Salerno, fu Signore
affai umano, di benigno aſpetto. A R. Eccoti, che ſenza alcuna fatica di
diſcorſo ogni mediocre in. gigno gegropuò capire ilſentimento della ſentenzagià
letta, come ancora in questi uerfi.Leggi. DIN. Io ſon Manfredi, Nipote di
Coſtanza Imperatrice. ART. Et molti eſſempi ſono della purità nelle nouelle, la
ſentenza delle quali per la maggior parte è molto alla
uolgar’intelligenzafottopo sta,pur che partitamenteſa ciaſcheduna inſe
conſiderata, percio che pua re nonſarebbono, quando adalcun fineſi riguardaſſe,
oueroaltro attendes fero per fornir'il ſentimento loro, comeſe in questa guifa
ſi diceſſe. Eſſendo Tancredi principe di Salerno Signore aſſai umano, per che
queſta ſentenza non ſarebbe terminata,o finita,douendo attendere a quel io, che
ſegue, o però più preſto oſcura ſarebbe chemonda enetta. Non aſpetti adunque
altro intendimento,chi uuoleſſer puro nella ſentenza, las quale stando
nell'anima,dee cljer con tal'artificio leuata, che ſolaſi tirifuo riga come di
dentro dimostra il concetto,cosi di fuori fa fatto paleſe,ſen. za alcun
accidente che quella accompagni,o conſegua. Et però daquesta formaſia bandita
ogni circoſtanza di tempo diluogo, di perſona,o di mo. do,ò d'altro
auenimento.Vedi questa parte quanto, é pura nella ſentenza: DIN. La quale
percioche egli,sicomei mercatanti fanno, andava molto in tornoapoco con lei
dimoraua,s'inamoród’uno giouane chiama to Roberto. AR. Non laſcia eſſer pura
cotestaſentenza,quel trammezamento,che dice,percioche egli,si come i mercatanti
fanno,andaua molto intorno, o questo adiuiene,perche ſospeſoſi tiene l'animo,
di chi ode. Fuggi adunque ogni raccoglimento ſe uuoi eſſere nel tuo dir mondo,
&neto; &narra le co Se partitamente come ſtanno,ma de i raccoglimenti
quãti,o quali ſieno, dirà poi.Delle parole ueramente con le quali ſi dee
uestire 'la purità breue ammaeſtramento ſi daràperche, tutte le
parole,piane,facili,ufitate, bricui, O communi ſonoall'anima della purità molto
proportionate, onde le trae portate,le ſtraniere,le lunghe, & quelle, che
la lingua pena à proferire, o l'intelletto a capirefono dalla purità lontane,però
purisſime ſono queste. DIN. Cheà me pareuaeßer’in una bella, diletteuole ſelua,&
in quella andar cacciando ehauer preſo una cauriola, parcami, che ella fuſſepiu
che la neue bianca,or in brieueſpatio diucniſſe si mia domeſtica, che punto da
me nonſi partiua,tutta uia à meparcua hauerla, si cara, cbe accio che da me non
partiſſe,le mi pareua nella gola hauer meſſo un cola no d'oro,e quella con una
catena d'oro tener con le mani. F 2 AR ARTE Non è poco hauer giudicio di
ritrouar le parole adognima niera conformii,mamolto più ſi deue auuertir' nel
diſporle, o colorirle,on de ne naſce il deſiderato aſpetto.Et però ſappi che la
figura delle parole,al la puritàſottopoſte,é il dritto,ecco. DIN. Nicolò
Cornacchini fu nostro cittadino,o ricco huomo. ARTE Et quiancora DIN. Aſolo
adunqueuago, « piaceuole caſtello poſto ne gli eſtremi gioghi delle nostre
Alpiſopra il Triuigiano ecfi come ogn’uno deeſapere) Arneſe della reina di
Cipri. ARTE Non cosipuro ſarebbe ſe da gli obliqui caſi haueſſe comine ciato,
Dicendo,DiAſolo,uago &piaceuole caſtello poſſeditrice fu la Reie na di
Cipri. Ma puro e per la figura del dritto, auegna che ſecondo quella: parola
puro non ſia, doue ſi dice Arneſe,uoce straniera, ancora nello are. tificio non
é puro per quello tramezamento, che dice (si come ogn’uno dee ſapere) o per
quelle circoſtanze del caſtello uago, piaceuole, pera che ritarda il
ſentimentode gli aſcoltanti, oui mette le circonſtanze del luogo. DI N. Dunque
erra chi uolendo cßer puro uſa parole non pure, artificio,ò figura d'altra
maniera,della oratione? ÁR: Errerebbe ſe egli credeſſe,otentaſſe d'eſſere in
ogni parte puro, &netto, & non uſaſſe quello che ſi conuiene,ma non
erra uolendo alla pu rità del dire porgere «grandezza o dignità.Ma ancora
uoglio che ogni maniera ſia in ſe ſteſſa conſiderata, e però lapurità del dire
haurà le. parti ſue distinte,os ſeparate dalle altre;nė ſolamente il dritto è
figura, di questaforma, o maniera,ma anche ogni altro colore, che ſia contrario
als la comprenſione della quale ſi dirà poi,ora trattiamo delſito, odellacom
poſitione delle parole, Dico nella purità,cs mondezza del dire douerſi met:
tere le parole inſieme con quel modo,che piu uicino ſia al fauellare, uſitae
coſenza molta cura,caffettatione ſemplicemente quantoſi può. Et si cos me in
ciaſcheduna parola di queſta forma biſognaua leuar'ogni durczza, Cogni
difficultà di lettere,o di ſillabe,accioche la uoce di ſuono e quale, temperato,
« non impedito ufciſſe fuori,cosi nella compoſitione biſos gna guardare di
acconciare talmente, che pine tosto nate, che fabricate appariſcano,come nello
eſempio già letto del ſogno ſi conoſceud. Conſided ra tu poi la forza, &
lofpirito di ciaſcuna lettera, e di ciaſcuna fillaba, come la natura in tutte
ha posto la ſuapiaceuolezza, durezza, & tifa rai queſto giudice del ſuono
delleparole, della loro diſpoſitione,ucdi che la A ſi forma nella più profonda
parte del petto,o eſce poifuori con alta voce,riſonante,onde lo ſpirito di essa
grande,oſonoroffente,odi laſe guente, ch'é,B. LA B é puraſnella,deſpedita,come
è afpra'la C.quando è fine della fillaba,ISA C, órauca quando è posta inanzi la
A à la V come per lo contrario e di dolce,ſpeſſo, o pieno ſuono,precedendo alla
I. @alla E.co. me qui.Salabetto mio dolce iomi ti raccomado o cosicome la mia
perſona è al piacer tuo, cosi é ciò che ciė, o cio che per me ſi può fare al
comando tuo. Conſidera poi da te ſteſſo il restante delle lettere, in che
maniera eſſa natura diſua propria qualità ha ciaſcuna dotata, & uederai
onde nde ſce più questa,chequella compoſitione.Le parti, &le membra, della
purie. rità effer deono breui,& ciaſcuna dee terminar'ilſuo ſentimento,non
ritar: dando con lunghezza de' giri, o di raccoglimenti la intelligenza del poe
polo,come qui, D. Suol’eſſere a' nauiganti caro,qualhora da oſcuro o
fortuneuole nembofofpinti errano,otrauagliano la lor uia,colſegnodella indiana
pie tra,ritrouare la trammontana, in modo che qual uentoſoffi conoſcendo,non
Ria lor tolto il potere, & uela,ogouerno,là doue eßi di giugner procaca
ciano,ò almeno doue più la loro ſaluezza ueggiono, indirizzare. Bifox gna
parimente in minoreſpatio raccogliere il ſentimento di ciaſcuna para te,oueſt
uuole eſſer puro, ofare in questo modo,benche le parolefieno ale quanto
dure.Leggi. DIN. Chino di Tacco piglia l'Abbatedi Clugni,a medicalo del ma le
di ſtomaco, « poi il laſcia,L'abbate ritorna, in corte di Roma,o il rico cilia
con Bonifatio Papa,o fallofriere dell'oſpedale. A R. Etnel uerſo ancora eſſer
dee la predetta norma oſſeruata,come, qui. Leggi. DIN. Pace non trouo,e non ho
da farguerra, E temo, eſpero, & ardo, e for’un ghiaccio. Ilche non quiene
in queſta altra parte. DIN. Voi, ch'aſcoltate in rimeſparſe il ſuono. Perciò
che ilſenſo è troppo ritardato,o con lunghißime parti rattenuto. Haſi dunque
della purità quello chebiſogna d'intorno alle ſentenze, allo artificio, aile
parole, alla figura, alla compoſitione, & alle parti di cſa. Reſta,che ſi
tratti del numero, & del finimento,cioè della chiuſa,odel ter mine della
ſentenza,o delle parti ſue.Dico adunque, che nello andare, ego nello ſpatio di
queſta forma non ſi dee eſſere néueloce,ne tardo, mateme perato, & ne i
ripoſi,one i mouimenti, operche il numero naſce dalla compoſitione,co dal
fine,peròſapendo quale eßer dee la compoſitione delelc le parole, quale il
fineztutto quello,cheſotto di queſte partiſ contiene darà ad intender
quellocheſi è detto, perche quantoſi ricerca alla com pofitione ſi é dichiarito
reſta che ſidica del finimento.ogniſentenza, ogni giro puòfinire,ò in
alcunaparola tronca,oin parola piena,ſienoque ſte parole,ò di due,ò di tre,ò di
piu ſilabe,o ancora di una. Le parolepie ne,e compiute ò ſonoſdrucciolofe,
& uolubili,o ſalde,oferme, opers che non ſoloRidce conſiderar l'eſtrema
parola di tutta la chiuſa, ma anco la uicina, o proſima,però partitamente ſi
dirà di ciaſcun finimento al luo go ſuo.Comeadunque uoglia la purità terminare
le chiuſeſue, aſſai chiaro ofer dee.Perciò cheaßimigliandoſi elle al dire
cotidiano,fuggirà il fine del le parole tronche, comeſono quelle
andò,corfuftarà,o C.perche le mede. fime dee nella diſpoſitione fuggire,come
ramarico, o render florido. Et A contenterà di quelfine,cheper lo più la Natura
a’uolgari dimostra,ma io non uoglio, che con tanta religioneſifiniſca in parole
piene, &perfete te,fuggendo le tronche,ole fdruccioloſe,che alcuna uolta
nonſimetta fie nealtrimenti alſuo parlare,perche quello cheſi dice, ſi dice per
la mage gior parte de ifinimenti,e delle chiuſe della purità. Da questi adunque
odalla diſpoſitione riſorge quella miſura,che noi numero addimandiamo. Eſſendo
adunque lachiuſa ſimile alla diſpoſitione, «la diſpoſitione non
isforzeuole,matemperata,& naturale,fcguita che il numero dell'uno, o,
dell'altro figliuoloſarà, à quelle fomigliante. Ben'è vero,che laforza di cia
fcuna manierà,e ripoſta piu toſto nelle altre parti,che nel numero, eccetto,
che nella bellezza,douc l'ornamento,e il numero grandementeſ cerca, as molto
piùè ne i uerfi, nella poeſia,che altroue, o questo dico, acciò che fu non
metta piu ſtudio,doue nonbiſogna riportandoti a gli orecchi,il giu. dicio delle
quali da eſſa natura é ſommamente aiutato. Ecco adunque, è Dinardo,quanto
giouala mondezza, opurità del dire alla chiarezza; ma perche questa
ſempliceforma non può daſefola si chiaramente parlae re che non uiſiaqualche
impedimento,però biſogna ouunque le ſia di aiua. to mestieri,con la eleganza
aiutarla, come con maniera chepiù un modo, che un'altro,piu questo ordineche
quello ſecondo il biſogno adoprando eleg ge et fouegna alla ſemplicepurità del
dire,ilqual'aiuto èpiù presto nell'ar. tificio, che nelle ſentenze ripoſto.
Però che ella ſi sforzafar ogni ſentenza chiara &aperta,non che le pure già
dichiarite di ſopra. Parliamo adune que della cleganza,o prima dello
artificio,colquale ella lcuar fuole ogni ſentenza nella mente riposta. AR. La
cleganza e maniera,cheportachiarezza à tutte le maniere della oratione, operò
non tanto alla purità, douc ella manca foccorre, quanto à ciaſcaduna forma opra
intelligenza, o facilità,daqueſto nafce, che la eleganza dalla purità del dire
in alcuna coſa é differente.Perciò che la purità da ſe ſteſſa è chiara,oaperta,ma
la eleganza nella grandezza, e magnificenza del dire ecomeun ſole, che ogni
oſcurità, che per quella poteſſe uenire, leua,o diſgombra,o però in
ogniſentenza ella può molto, si con l'artificio fuo, si co i colori,«le
figure.L'artificio adunque di les uare ogniſentenza dallo intelletto,acciò che
ella ſia inteſa, cogni auuerti. mento innanzi fatto di quello che ft ha da
ragionare. Leggi. DIN. Canterò com’io uißi in libertade Mentre Amor nel mio
albergo à ſdegno s'hebbe Poi seguirò si come à luim'increbbe Troppo altamente:
AR. ilſimigliante R fa nella proſa,comequi. DIN. Mipiace à condiſcendere à
conſigli d'huomini, de' quai dicena do mi conuerràfar due coſe molto a' miei
costumi contrarie,l'una fia alqua to me comendare, &l'altra il biaſimare
alquanto altrui, maprioche dal uc ro nė dall'una,ne dall'altra non intendo
partirmi ilpurfarò. AR. Vedi quanto gentilmente | sbriga lo intelletto dello
aſcoltare con tali auuertimenti,Appreſſo i quali aſſai bello artificio,
s'intende quela to,che per chiarezza dialcune coſe altre ne narra fenza le
quali non ſi in tenderebbe ageuolmente il reſtante.Leggi. DIN. Maper trattar
del ben,ch'io ui trouai, Diró de l'altre coſe,ch'io ui ho ſcorte. AR. Se il
poeta qui non doueſſe dimostrare le pene de dannati e i tormenti di quegli,che
ſono in diſgratia di Dio, non haurebbepotuto dare ad intendere facilmente il
beneche ne riuſci poi,per hauer lo inferno cers Cato.Ecco qui dalla medeſima
neceßità costretto quest'altro deſcriue la pee ſtifera mortalità peruenuta
nella egregia Città di Firenze,auuertendo pri ma chi legge,in queſto modo. DIN.
Mapercioche qualefuße la cagione,perche le coſe che appref fo
Rileggeranno,aueniſſeno,non ſi poteua ſenza queſta rammemoratione dimoſtrare,quafi
dineceßità coſtretto à ſcriuerla miconduco. A R. Ecco qui ancora un'altra bella
preparatione di coſe,fatta per le uare ogni impedimento,chepoteſſe
offendereilrimanente. DIN. Ma io mi ti uoglio unpoco ſcuſare,che di que' tempi,
che tu te n'andaſti alcuneuolte ci uoleſti uenire, e non poteſti,alcune ci
uenisti, onon fosti cosi lietamente veduto,comefoleui,& oltre à questo di
ciòche io al termine promeſſo,non ti rendei gli tuoi danari, AR. AR. In fine
ogni precedente auifo, & ogni ordine di coſe, e ſecondo, che elte ſon
fatte,narrandole,ė artificio ſcelto, & elegante,però tutte le propofitoni
de' poeti ſono elegantißime. Leggi. DIN. Veramente quant’io del regno fanto Ne
la mia mente poteifar teſoro Sarà ora materia del mio canto, AR. E qui ancora
DIN. Et canterò di quel ſecondo regno, Que l'umanoſpirito ſi purga E di
ſalir’alCiel diuenta degno. ART. il fimigliante modo è oſſeruato ne i principij
di ogni nouelld, come da tefteſſo uedrai.Suole ancora la Eleganza porre
artificioſamente le oppoſitioni con le riſpoſte partitamentecome qui. Leggi.
DIN. Saranno per auentura alcuni di uoi, che diranno,ch'io habbia nello
ſcriuere queste nouelle troppolicenza uſata. ART. Eccola dimanda ſeguita la
ſolutione. DIN. La qual coſa io niego,percioche niuna coſa esi difoneſta, che
con oneſte parole dicendola ſi diſdica ad alcuno. ART. Et cosi di paripaſſo
alle obiettioni riſponde, benche altre fide te inſiemepostohabbia ogni accuſa
di ſefatta, opoi s'habbiafcufato, ma quelmodo non ha dello
elegante,comeilpredetto poſe prima le oppoſitioni tutte inſieme allora quando
diſſe, Leggi. DIN. Sono adunque, diſcrete Donne, stati alcuni, che queſte
nouelle leggendo hanno detto cheuoi mipiacete troppo, eche oneſta coſa nonė,
che io tanto diletto prenda di piacerui e di confolarui.Et alcuni han dete to
peggio,di coinmendarui,come io fo.Altri più maturamente moſtrando di uoler
dire,hannodetto, che alla mia età non stà bene l'andar'omai dietro queſte coſe,
cice à ragionare di Donne,o à compiacer loro.Et molti molto te neri della
miafamamoſirandoſi dicono,ch'io farei più ſauiamente,àſtarmi con le Mufe in
Parnaſo,che con queſte ciance meſcolarmi tra uoi.Etſon di quegli ancora,che più
difpettoſamente,che ſauiamente parlando,hannodete to,cl’io farei più
diſcrettamente à penſare,donde io poteßi hauer del pae ne, che dietro a queste
fraſche andarmi paſcendo di uento. Et certi altri,in altra guiſa eſſere state
le coſe da me raccontateui,che come io le ui porgo s'ingegnano in detrimento
della mia fatica di dimostrare. AR. In queſto luogo molte accuſe contra dello
autoreſi mettono, pri ma che ad alcunaſi riſponda, ilche non è cosi elegante,comeilprimoartife
cio,ben che in tanta confuſione egli ſtudiaſſe di eſſer chiaro, cinteſo, eso
auiſaſje quiſaſſe auanti lo aſcoltante,come fa doue dice,roppo alquanto dalle
predet te oppoſitioni,perche non di ſubito riſponde, ilche ancora é dalia
cleganza lontano. Ma leggi. DIN. Ma quanti, ch'io uegna à far la riſpoſta ad
alcuno,mipiace in fauore di me raccontare, non una nouella intera,ma parte di
una. A R. Et ne poeti ancora fi oſferua,ſecondoche meglio lor ben uiene di fare
cosifatti partimenti.Vedi. DIN. Tu argomenti,ſe'lbuon uoler dura, La uiolenza
altrui,per qual cagione Di meritar mi ſcema la miſura? AR. Queſta éuna
propoſta,alla quale ſecondo l'arte della eleganzaſ doueá prinia riſponderemaſi
è poſta ancora la ſeconda, doueſeguita. DIN. Ancor di dubitar ti dà cagione
Parer tornarſi l'anima àleſtelle Secondo la ſententia di Platone. A R. Ben che
tu ueda qui le propoſte effer'inſieme collocate, non è per ròſenza cleganza
quella parte,per quello cheſegue. DIN. Queſteſon le question,che nel tuo uelle
Pontano egualemente, e però pria Tratterò quella chepiù ba di felle. ART. In
queſto luogo non tanto la eleganza dimoſtra lo artificio fuo per lo
auuertimentofatto di quelloche ſi dee dire, quanto per la elettione di
riſpondere prima ad una domanda,che ad un'altra.Euui ancora un'altro artificio
della ſceltezza,ilqualeè quando ſi ripiglia quello,che ſi è detto, et ſi
dimostra,di che poi ſi ba da dire,come in queſti luoghiſegnati. DIN. Ma
hauereinſino à qui detto della preſente nouella, uoglio che mi basti,o à coloro
riuolgermi,a' quali ho la nouella raccontata. Ilqual luogo acciò chemeglio
quelloche è detto,equellocheſegue, co me stefje ui moſtrerò. AR. Aſaiſi èdetto
fin qui,con che arte la eleganza leuadato per ſostegno la grandezza o
magnificenza del dire,cosi nella grandezza è pericolo di uſcire in forma che
non habbis ornamento, proportione,o peròſe le darà per miſura, o bellezzafua
unaforma diligente,accurata,o ben composta, laquale in termini conuc. nienti
richiudendo l'ampiezza della oratione,o ſangue, o colore amabi le en gratioſo
le donerà,ondeil tutto miſurato, & temperato marauigliofan mente ſipotrà
uedere.Questa forma nėſentenze, ne artificio ſeparato dal l'altreforme ritiene,ma
ogniſuaforza nelle parole,nelſito di oſſe, ne i luo mi,onelle altre parti e
ripoſta.Seperò dare non le uogliamo quellefenten ze, che acuti fono,o diſottile
intendimentodelle qualiſi dirà poi. Le paro le adunque di queſtaforma ſono le
foaui,leggiadre,bricui, difacile intelli. genza,iſchiette,o con gran
circoſpettione traportate. Perciò che le trasla tioni in queſtaforma eſſer
deono rarißime, o lefigure di questa miſurata Oben compoſta manieraſono le
repetitioni. Leggi, Per meſ ua ne la Città dolente, Per me ſi ua ne l'eterno
dolore, Per mefi ua tra la perduta gente. AR. E molto bella eornata queſta
figura, os tanto più ha di ornde mento,quantoquello che ſi replica,augumenta,o
creſce. Come qui. Amor, che à cor gentil ratto s'apprende, Preſe costui de la
bella perſona Che mifu tolta,e'l modo ancor m'offende. Amor che a nullo amato
amarperdona, Mipreſe del coſtui piacer si forte Che, come uedi ancornon
m'abbandona. amor conduſſe noi ad una morte. A R. Se alla repetitione
aggiugnerai la interrogatione, ſenza dubbio tu entrerai nella maniera forte
ucemente comequi. Qual'amore,qual ricchezza,qualparentado baurebbe le lagrime,
o i K sospiri pospiri di Tito con tanta efficaciafatti à Gilppo nelcuorfentire,
che egli perciò la bellaſpoſa,gentile,&amata da lui haueße fatta diuenir di
Tito, fe non coſtei? Quai leggi.Quaimi nacce?oc. AR. Tu da te stesſo poi quanto
ornata ſa ducemente queſta parte conſiderando uedrai; tanto più ſeappreſo le
dettefigure ancora ui porrai la conuerſione della quale di ſopra s'è detto.Nėti
marauigliarefe(una me defimafiguraſia da altrefigure ornata willustrata.Pero
che la lingua di queſtiornamenti é capacißima. Laſcia che à fuo modo altri
ragioni, tu neſarai giudice,ola coſa iſteſſa te lo dimostra. La conversione
adunque è figura di queſta idea, a Rſuol fare quando in quella ſteſſa parola
pià membri ſ laſciano terminare,come nello eſempio ora letto. Bella è ancora la
ritornatacheſi fa quando la parola cheſegue, comincia da quella in che la
precedente finiſce,come qui. Leggi, Di me medeſmo meco miuergogno. Et qui, Et
confoauepaſſo a campi difcefa,per l'ampia pianura sùper le rua giadoſe erbe in
fine à tanto che, & c. AR. O uero in questo modo. Infiammò contramegli
animi tutti, Egli infiammati infiammar si Auguſto, che lieti onor tornaro in
tristi lutti. AR. Et ancora il Bifquizzo come nell'uno Poeta ſi dicra Ch'io
fuiper ritornar più uolte uolto, Et l'altro. Il fiorir queſte innanzi tempo
tempio. Da poi la predetta ui ſono anco altre ornatisſimefigure, come è illoro
aſcendimento,ala tradottione o altre. Lo ascendimento R fa quando le parti che
ſeguono,cominciano dalle parole medeſime,nelle quali uan tere minando le parti
precedenti,con questa conditione che ſi mutino, le cadenze di esse parole. Come
qui, Nel dir l'andar,ne l'andar lui più lento. AR. Ouero in queſt'altromodo.
Luſca, io non poſſo credereche queſte parole uengano dalla mia donnd, eperciò
guarda quello che tu di.Et ſe pure da lei ueniſfono,non credo che con l'animo
fermo dire le tifaccia.Etſe pure con l'animo le diceſſe, il mio Rignore mi fa
più onorecheio non merito: A R. La tradottione ė figura,che replicando la
steſſa parola,nonfolde mente dimoſtra la intentione di chi parla,ma
mirabil'ornamento accreſce oue ella ſtruoud.come qui, Laurd, che'l uerde
lauro,e l'aureo crine. AR. Molto diligente as accurata figura e quella cheſifa
quädo due, • più partifraſecongiunteſi ſogliono proferire.Leggi, Et utile
conſiglio potrannopigliare, & conoſcere quello che fa dáfug gire,o che ſia
fimilmente da ſeguitare. AR. Et qui, A cui grandi ey rade,o à cui minute pelje.
AR. Forza ė,che onunque in una bella,& adornata figura s'abbatta un bel
giuditio, egli conoſca es ſenta dentro difealcuna dolcezza; com meſe uno udirà
in questo modo ragionare. Riſpoſemi non huomo,huomo giàfui, E li parentimiei
furon Lombardi, Mantovani per patriambedui, Nacqui ſub Iulio ancor che foſſe tardi,
E uißi à Romaſotto il buon ’Auguſto, Al tempo de gli dei falſie bugiardi
Poetafui,e cantaidi quel giusto Figliuol d'Anchife,che uenne da Troia, Poi
che'lſuperbo Ilion fu combuſto. AR. Non ſentirai tu per queſta diſgiuntione,per
la quale ogni parte ſotto ilſuo uerbo è rinchiuſa,una diligenza gentile del
Pocta:si comelà,do we dice, Io ſon Beatrice,che ti faccio andare, Vegno dal
loco, oue tornar diſſo, Amor mi molle, che mifa parlare. Et molto piùſe nella
proſa detto ritrouaſi A que' tempi che i noſtri maggiorihaueano l'occhio al
gouerno di que ſta Republica,eta riconoſciuta la uirtù de'buoni, dauanſ i
compenſi dei danni riceuuti per la patria,chi robaua il publico,era castigato;
fioriua dia na giouentù dedita alla mercantia, oucro alle lettere, laſciauaſi
il facerdos: tio, la militia da' noſtri queſta,per che i cittadini non
pigliaſſero l'arme contrafe ſtoßi,quello,acciochefuſſero più finceri i parenti
afar giudicio delle coſe importanti. ART. Vedi,che narrando partitamente,
oſenza congiugnimene to alcuno, il parlareè ſpedito, la figura ornata,
odiletteuole ſopramo do il ſuono di eßa oratione. Al cui ornamento il traportar
delle parti di oßa gioua mirabilmente, come quando ſi dice, Al costei foco,alcolei
grido. K 2 Giouin Giouinettopoß'io nel coſtui regno. Et qui. Vſate le colei
bellezze. In queſto caſo nonf dee di tanto leuar dall'ordine loro le parole,
che la ſentenza oſcura deuenti,come diſſe, Che i belli,onde miſtruggo,occhi mi
co la, di che èquaſ piena quella canzone. Verdi panni,ſanguigni,oſcuri,operſ.
Bello alquanto èquel tranſportamento chedice. Or non odio per lei, per
mepietade Cerco, che quel non uo,questo non poſſo. Concedeſ però a '
Poetimaggior licenza per riſpetto della neceßità del uerfo,nel quale ancora più
ampio luogo fanno gli ornamenti che nella profa.pure non èche del bello
nonhabbiano aſſai quelle figure, che per le negationi affermano,come s'egliſi
diceffe, io nol niego, cioè io il confefe fo.Et quella,non è alcuno,che nol
creda,cioè ogn’uno il crede.Poi non taca que,cioè parlò, e diſſe. Suole ancora
chi fcriue amaggior bellezza circoſcriuendo le coſe, con più parole,quello che
conuna può eſprimere come qui, Era giàl'hora,che uolge il deſio, A'nauiganti,e
inteneriſceil core, Il di,che han detto à i dolci amici,A Dio, AR. Et cosiA
chiama il Sole Pianeta,che distingué l'hore, e diceft. laprudenza di Mario,la
fapienzadi Catonein luogo di dire Mario prila dente, o Catone faggio,&éappreßo
bella figurala innouatione i com me qui, Parte preſ in battaglia,e parte
ucciſt. Et quia Taciti ſolieſenza compagnia, N'andauan l'un dinanzi e l'altro
dopo. AR. Ecco come la bellezza ogni formaabbelifce,ne per tanto auenga che
ella moltefigure, molti lumidimoſtre,di quelle ſolamenteſt contene ta,ma
ſtudioſa del diletto sforza di ragionare uariamente. Là onde per fuggir la
fatietà con mirabile artificio è uſata di uariare la oratione. Et questo
ſuolfare primieramente doppo molte uoci di piene «ſonore lettere
ponendonealcune dibaſſe U rimeſſe.Dapoifuggendo la continuatagiacia tura de gli
accentiſopra una medeſimafillaba,ora nelle ultime,ora in quet le,che uanno
innanzi adeffe gliſopramette,o di più in mezo delle lunghe le corte parole
framettendo gratia &adornamento le giunge. Bella coſa ė si come tra
cittadini vedere gli ſtranieri, cosi tra le nostre parole alcuna adirai che
alicna fa,o meſcolare le ifquifite con alcuna detle popolari, le BMOWE huone
con le uſate, finalmente la elettiöne in queſta parte può aſai, la quale
ritrouandofi in ſaldo w ſottilgiudicio, dimoſtra in un'eſſere tutto quello che
col conſiglio di molti eletto a ricolto effer potrebbe però non degnale
uili,ſcaccia le brutte,fugge le aſpre, abbracciale eleganti ſceglie
leſignificanti, o con copia marauigliofa uaria la difpofitione, i të pi,ilnumeroje
i finimenti;nė di pari lunghezza formeràle parti delparlaa re,nėripiglierà
una'steßa figura,un tempo medeſimo,un modo Amile, una perfona pari,ma quaſi
un'adorno pratola oratione di molta varietà fora mando, diletto, o
gioia,recherà ſempremai.Leggiprima qui, comeil Poce ta i medeſimi nomi non
ridice in uno steßo luogo. Io credo checi credette,ch'io credeßi, Che tante
uoci uſciße da quei bronchi, Da genti cheper noiſi naſcondeffc., Però diſſe il
maeſtro,ſe tu tronchi Qualchefrafchetta d'una deste piante, Penſter c'hai
ffaran tutti monchi. Allor porfi la mano un poco duante, E colfi un ramufcel da
un gran pruno, E'l tronco fuo gridò perche miſchiante. Da chefattofupoi
diſanguebruno, Rincominciò à gridar,per che mi ſterpiš Non hai tu ſpirto di
pietade alcuno? Huominifummo, oorfemfatti sterpi, Ben douerebbe la tua man più
pia, seſtatefoßim'anime di ferpi? Comed'un ſtizzo uerde,che arfo Ria, Dal'un de
lati cheda l'altro geme, Bi cigolaper uento che ua uia. Cosi di quella ſcheggia
ufciua inſteme, Parole,e ſangue,ond'io laſciai la cima Cadere,e dette come
l'huom che teme. A R. Tu puoiuederein quanti modiilPoeta ha uoluto variar
leparon ko con quanta felicità egli lo habbia ottenuto. Il che in molti luoghi
può in elo uedere.si come là,doue parlando del lago gelato, lo chiamaora
ghiaccio,era uetro, ora gelozora groſſo,o duro uello,ora ghiaccio, ora geld ti
guazzi, ora eterno uzzo,oragelata,ora cristallo orafaſcia gelata, ora fredda
crostázora lagrime inuetriate, &fimili altre parole ufa variando il poema.
Il fimigliante hannofatto,fono perfare tutti gliſcrittori di non D B 1 L me.
Leggerai mirabili eſſempi della narietà in tanti principij di giornar Odi
nouelle cheſono in quell'autore, o leggerai anco l'ultima parte del ſecondo
libro di quest'altro che comincia. Che andiamo noipure tutta uia di molti
amanti et diletti ragionando. Maė tempo di ritornar’omai alle altre parti della
formapredetta,ope ró d'intorno alle membra dei ſapere chela lunghezza di eſſe
in queſtafor. ma èpix deſiderata,chela breuità ocortezza,non però uoglio, che
si lo ftremo ti fermi,macon più disteſe parti che nella eleganza uorrei,che
leſue ſentenze liportaſjero,che le parole di effe in tal guiſa ſi
collocaſſero,et ſ terminajſe queüa oratione,che uariate alſopradetto modoil
faſtidio o la satietà ſi fuggiſſe, oin grado ogni sprezzata coſa ci ueniſſe. Il
numero al uerfo uicino in questaforma ci uuole,il qual numero primaſarà di quel
la maniera,che di ſopra ti ho detto, cioè ripoſo o mouimento, ouero tempo di
proferire,ò da poi di un'altra,che ora io ti dimoſtrerò. Perciò chemolto bene
all'oratione può dar formanumeroſa et bella, la qualeſia nata da ue na certa
neceßità delle coſe ben composte, o conſiderate, come il contra. porre i
contrarij, o le coſe diſcordi l'una all'altra con miſura corriſpone
denti,ritrouare i ſimiliipari, o altre coſe ſomiglianti à queste,delle quali
partitamente e con eßempio ne dirò, Sono alcune membra,ò nodi della
oratione,iquali hanno le lor ſentenze oppofte,ma con una corriſpondenza tra
loro mirabile temperate. Ilprimo cfſempioſarà di quello che ſi chiama Pare,il
qualeſi fa quando le parti che Äihanno à corriſpondere ſono quaſi di pare
numero di ſilabe, odi tempi, quafi dico,però che queſta parità di ſillabe, o di
tempi con ſaldo intendie mento o giuditiodeue eſſereſtimata, et nõ del tutto
pari.L'eßempio di que ſta forma e questo. Dou’elladifonestamente amica ti fu,
ch'ella oneſtamente tua moglie diuenga. ART. Nel predetto effempio in duemodi
ſiuede effer fatta numero, ſa la oratione primaper la parità delle ſillabe,la
quale nelle parti ſi uede poi per la contrarietà corriſpɔndenteperche amica
omoglie, ſono contra rij, oneftamente o difonestamente fo:10 contrarij,
oppoſti,ſolodi pari ud queſto. Leggi, Quiui à niunoſi cerca inganno,a niunoſifa
ingiuria. ART. I contrarij adunque fanno la oratione offer numeroſa,come an
cora qui, Et di gran lunga é da eleggerpiù toſto il poco oſaporito, che il mola
to o infipido. ART. tornare. 2 ! TAR. Ne i ſimili ancora cade il numeroſo
concento in modochequando in fimil ſuono la chiuſa finiſce,ne rinſulta il
numero. Quel roſſore, che in altri ha creduto gittare,ſopra di ſe l'ha ſentito
A R. Speſſo auiene,che per fuggire il ſoſpetto di cotesto artificio, la simiglianza
de ifinimenti delle parole in mezo delle parti ſi ponga, com me qui, Poi
ueggendo,che questoſuo, conſumamento,più tosto che emendamento della cattiuità
del marito potrebbe eſſere. Et qui. Che più dispettosamente,che
fauiamente,parlando. Molti eſempi ritrouerai da teſteſſo di queste numeroſe
maniere, nate dalla corriſpondenza delle parti.Ora vorrei, che bene aucrtißi di
non re. plicare piùuolte cotesti adornamenti,di non affettar tanto la conſonana
za delle parti,che cadeßi in fastidio,ouero infospetto de gli aſcoltanti. Et
per queſta reggerai medeſimamente il uerfo,nel quale caduto in più luoghi Ruede
l'autore delle nouelle,il quale à mepare che di ciò molto curato nõ
habbia.Beneuero,che con mirabile perfettione riempie le parti ele měs bra della
ſua fauella quando diuide i nodi de' ſuoi giri in tre parti, come qui Percioche
niun'altro diletto,niun'altro diporto, niun'altra confolatione laſciata ti ha
la tua eſtremafortuna.Etqui, Et ſe qualunque di quelle fuſſe in Salomone,ò in
Aristotile,ò in Seneca, 'haurebbe forzadi guastar'ogni lorſenno,ogni lor uirtů,
ogni lor ſantità. Et qui. Maquantoſenfante, quanto poderoſe,di quantoben cagion
le fore ze d'Amore,& c. Conſidera la distintione de' membri in quella
nouella, doue introduce to ſcolare,la uedoua,perche cosirichiedeua la dotta
perſona dello ſcolare. AR. E degno di conſideratione il numero delle fillabe,
chenelle parti, che hanno à riſpondere l'una all'altra,ſ mette. Perciò che
quando una pare te di troppo l'altra auanzaſſe,non ne ſeguiterebbe alcuna
numeroſa compo Rtione,però buone onumeroſe appaiono eſſer queſte. Accioche come
per nobiltà d'animo dall'altre diuiſe fiete, cosi ancora per eccelentia di
coſtumiſpartite dall'altre ui dimostriate. ART. Maqui appare alquanto lunghetta
la riſpondenza, &la die fagguaglianza demembri.Leggi. Quanto piùſ parla de'
fattidellafortuna,tantopiù à chi uuole lefue co fe ben riguardare,ne reſta da
poter dire, ÄR. ART. Può eſfer’ancora,che non ſi gusti il numeroper la
lunghezza delleſueparti,benche fieno quaſi paricomequi, Egli auieneſpeſſo, che
sicomela fortunafotto uili artialcuna uolta grandi teſori di uirtù
naſconde,cosi ancoraſotto turpißime forme d'huo. miniſtruowa marauiglioſ
ingegni dalla natura eſſere stati ripoſti. AR. S'io ti uoleßi ogni coſa
moſtrare d'intorno alla bellezza del dire, troppo ritarderei gli ſtudij che hai
afare,o pocoti laſcerei da eſercia tarti d'intorno allaeloquéza umana.Peròp trapaſſare
alle altre forme,par lerò della ueloce e pronta maniera della oratione; la
forza della quale è nello artificio,più tosto,onelleſeguenti parti,che nelle
ſentenze riposta. L'artificio adunque della prestezza eà brieui dimande
brieuementeria fpondere.Leggi. S'amor non èche èdunque quel ch'ioſento?:: Ma s'egliè
amor,per Dio che coſa è quale? Se buona,ond'ċ l'effetto afpro e mortale? Se
ria,ondési dolce ogni tormento? ART. Ouero il fare molte dimande, con forze di
ſpirito obrer uits: Non era egli nobile giouane? Non era egli tra gli altri
ſuoi cittadini bello? Non eraegli valorofo in quelle coſe che d' giouani
s'appartengono? Non amato? Non bauuto caro?Non uolentieri ueduto da ogni huomo?
AR. Le membra,quaſ parole eſſerdeono bricui «uolubili, oche pa ia che in eſſe
fail monimento del parlar noſtro, oltre alla ſignificatione delle parole nelle
quali ėripoſta la forza dela efpreßione di ogni forma. Leggi. Soli bastano,
accompagnati creſcono, und mille nefå, odelle mille in brieue tempo mille ne
naſcono,per ciaſcuna ſono aſpettate giocondißime,no aſpettate uenturoſe, ſono
cari ageuoli,ma diſageuolivia più care inquanto le uittoric acquiſtate con
alcuna fatica fanno il trionfo maggiore, donare, rubbare, guadagnare, guiderdonare,
ragionare,ſoſpirare, lagrimare, rotte, reintegrate,prime ſeconde,falje,o
uere,lunghe bricui, tutte fonodiletteuo li tutte ſono gratiofe. AR. Vedi che
mouimento apporti ſeco questo parlamento, il quale quando l'huomo è riſcaldato
s'aſcolta con marauiglia delle genti. Confia Ate anco nellaforzadelleparole, o
nelſuono, onella compoſitione. com mequi. E già uenia sì per le torbid onde, Vn
fracaſſo d'un ſuon pien difpauento, Per cui tremauan' amendue le ſponde, Non
altramente fatti,che d'un uento: Impetuofo per gli auuerſardori, Chefier la
ſeluaſenza alcun rattento Gli ramiſchianta,abbatte, e porta i fiori
Dinanzipolucroſo uaſuperbo Etfafuggir lefiere e gli pastori. ART. Tanto uoglio
che tu ſappia della preſtezza del dire. Perciò che date medeſimopuoi
comprendere quanto « ilconcorſo delle uocali,ore forezza delle fillabe pa
lontana da questa forma,esfapere che ogni ina dugio di proferire, ogni
raccoglimento,ogni giro, impediſce il mouimento fuo. Reſta adunque a dire della
formaaccostumata,o delle fueparti, la. quale e, cheſi conuiene alle cocoalle
perſone in tal modo chequello che ſi chiama Decoro, molJa chiaramente ſi ueda Et
però la detta forma ſota to di ſe quattro maniere principaliſ uede contenere.
La primaė la unilta ubaſſezza. L'altra é la piaceuolezza o il diletto. La terza
e l'acutezza Uprontezza. Et l'ultima la moderatezza della oration. Delle quai
fore menecessariamente in queſta forma si ragiona, perche cosi porta la natua
rade gli huomini,i quali sono ó uili, o riputati, è piaceuoli, o moderati. La
bajezze dangue e forma infima, e dimessa del dire, alle roze, o idiote persone
convenicnte, à femine, fanciulli non diſdiceuole: da Comici, rie chieſta ouſata
pia toſto che da Oratori, o eloquenti buomini,o piu tom Ho nelle cauſe de
priuati, che ne i communiconſigli ricercata,quando uor rai attribuire il parlar
a quella perſona, cui non ſidifdice la baffizza. Cá dono in queſta ſimplicita
di dire i paſtori, aquelli che le coſe.boſcarecce Man deſcriuendo,o però le
ſentenze di queſtaformaſonopiu baſſe Qumi li, opiùfacili che quelle della
purità oſcioltezza del dire. Là onde ala cuni giuramenti ſciocchi à
qneſtamaniera ſi confanno. O Calandrino mio dolce, culor del corpo mio, quanto
tempo t'ho defide Tatob’dauerti edi poterti tenere a mio fenno.Tu m'hai con le
piaccuoa lezza tuațratto il filo delacamicia, tu m'hai aggrattigliato il cuore
con la tua ribecca. Può egli eſſer che io titenga? Leggeraila tutta, otutto che
in questa formauiſabaſſezza, non è però ela ſenza artificio, percioche per
dimoſlrarla pulefe,fi fuole alcuna fista minutamente ogni coſa deſcriuere,u
ogni particolarità chia rire, introdurre alcune ſcioccheriſpoſte, ò ſemplici
contentioni di coſe, che non rileuano con detti, le ſentenze de quali ſono
grandi, ma le parole ſciocche, at rozze. Leggi. L Cominciò à dire ch'egli era
gentilhuomo per procuratore, roy. Begli bauea diſcudi più di milantanouefenza
quellich'egli hauea àdarealtri che erano anzi piùche meno e che egliſapeus tale
coſe fare; ct dire che domine pure unquanche. ART.. A tuo agio nie leggerai
ilrestante,mauedi la contentione: Guatatala un poco in cagneſco per
amoreuolezza la riniorchiaua '; ege ella cotale ſaluatichetta, facédo uiſtadi
non auederſene andaua pure oltra in contengo. Seguita che tutta ëbaſſa per li
giuramenti, per le beffe, con per alcuni rabbuffi, come qui. Vedi bestial buomo
che ardiſce, là doue io Pid, parlar prima di me, laſcia dir à me, Et alla reina
riuolta diſſe,Madonna, costui mi uuol far. conoſcer la moglie di Sicofanta,ne
più ne meno come scio con lei ufata nor, fußi, che mi uuol dar' à uedere chela
notte prima che Sicofanta giacque con lei meſſer Mazza entraffe in monte nero
per forza,e con ſpargie mento di fangue oio vi dicoche non é ucro,anzi u’entró
pacificamente: La deſcrittione del fante di fracipolld;& della
fante,ėbaſſa,er propria di queſta formaa alcuni lameti cô parole ufitate &
popolari. Leggi. Dime,oimė Giãnel mio io fon morta,ecco ilmarito mio,chetri fto
il faccia Dio,che ſi tornò, « non ſo che queſto ſi uoglia dire. ART. Et alcuni
prouerbiemodiſono dimeßi. Leggi.: Et cosi al mododeluillan matto doppo il danno
fece il patto, muoia. foldo, oniua amore, e tutta la brigata. ART. Dalle
fentenze di queſta forma ſipuò far congettura quai parole, ochenumero,
oquaichiuſe ad effali conuengonc, Però cheari tificioſamente da ogni artificio
lontana offer deue ogni ſua parte, & imie tare la ſemplicità, ogroſſezza
delle perſone. Io non uorrci queſtaforma in unpocma grande, o genoroſo; o
dubito che per questa ragione da ale cuni ripreſo noſia uno de i
piùcarifigliuoli ch'io habbia,ilqualefpeſo per dire ognicoſaminutamente cade in
parole baßißime,come quando dife. Vn’amme non faria potuto dirſt, Quero.
Etmentre che la giù con l'occhio cerco, o quello che ſegue Trale gambe pendeuan
le minuggia La corata parea, e il tristo ſacco. Et il reſto. E non uidi già mai
menare ſtregghia A ragazzo aſpettato daſignorfo, Et la doue diſſe che Tencuan
bor done alle ſue rime. Md ora al diletto paſſando, dirò, che per diletto de
gli aſcoltanti ale cuna uolta l'oratione ad una forma s'inchina la quale tutta
e riposta nellä, bautentione delpoeta,però gioconda
diletteuolemanieras'addimanda ĝrellache la ſemplice edimeſſa alquanto più
rileua ealla fauola, ó fala uoloſa narratione ſi uolge. Là onde leſentenze di
questa formafaranno contrarie alla forma della dignità del dire; &però
diletteuoli o gior conde ſono quelle, doue ragionano inſieme la Diſcordia, o Gioue,
o in quel dialogo d'Amore, oue R dimostra in che guiſa difcendeſſe fra more tali
Amore.Sonoanco grate,ga dolci quelle ſentenze chehanno quelle coſe ntinutamente
deſcritte, lequali per natura loro hanno onde piacere difense timenti umani, es
però la deſcrittione dell'amenißima valle delle Donne a molto grata ad udire.
Conſidererai di quanta dolcezzaſia ſtato amaeſtro Simone il ragionaméto di
Bruno, quando egli deſcriſſe la brigata, che giudi in corſo,og de i loro
follazzi, opiaceri,e delle altre coſe diletteuoli che egli uedeus in udiua. Ma
è bene che tu ſappia, come di quelle coſe, che a ſenſi ſono ſottoposte, alcune
fono oneste, alcune diſoneste. Le diſor Heiste ſe paleſamentesi ſcuoprono co
iloroproprij uocaboli, offender for gliono le caſte orecchie;benche non
offendano quelliche nė di dirle, ne di farle R logliono tergognare,maſe con
diſcretomodoleggiadramente cura prono la bruttezza loro,non pure non perdono il
diletto quando ſono inteſe, ma molto più di ſoauird ſeco recano à gli
aſcoltanti: Narra lo amore di due cognatiilpoetaDante,o uolendo il finedieſſo
quantopiù poteua onestan mente ſcoprir diffe. Quel giorno pia non ui legemmo
auante, cioé attena demmo ad altro che à legger quello, che fu cagione del
nostro amore, o cosi quá lo l'altro poeta diſſe, Con lei fuß'io da cheparte il
ſole. E non ci Medeß'altri che le ſtelle.Ocosi in mille modi ó per le coſe
antecedenti, per quelle cheſeguono,eſſendo meno diſoneste,le
difoneſtißimèappalefar ft poſſono ne è pocalode dichi ſcriuezin tale occaſione
abbattědofi,ſenza offen fione anzi con diletto delle oneſte perſone deſcriuer
le coſe meno che oneſte. Intělaſi adunque la coſa, ofuggaſi la bruttezza delle
parole,o in queſto modo ſarà foaue, &diletteuole il parlar uoſtro. Alquale
gli amori,le bele lezze de i luoghi,igiardinizi prati,i fiori le fontane,la
prima uera, le pite ture, o altre coſe piaceuoli aggiungendoſi,ſenzadubbio ſi
dimoſtrerà la predetta forma,della quale anco di ſopras é detto aſſai, quando
del diletto, della gioia tiragionxi,che naturalinēte inuouc ogni coſa creata.
Et cosi ſecondo l'affettione di ciaſcuno ſi porge ſolazzo opiacere col
ragionare. L'artificio,et le parole della giocõdità tolteſono dalla
primaformadel dire chiamata purità, onettezza. Voglio bene in queſto paſſo,che
co più licen zoufigliaggiunti,ſegno e che i pocti loſtudio de' quali è proprio
il dilet? tare, allora più dilettano quando più belli;eacconiodatiaggiunti-
fono? wfati di porre ne' verſi loro, ecco Leggi. L & Giace nella fommità di
Partenio,non'umile monte della pastorale Arct. dia,un diletteuolepiano di
ampiezza non molto patioſo,peròche'l ſito del luogo nol conſente ma,di minuta,
o uerdisſima, crbetta si ripieno, cbe fe: le lafciue pecorelle congli auidi
morſi non uipafceffero,ui ſi potrebbe dom gni tempo ritrouar merdura. ART.
Tutti i principii delle giornateſono à proua fatti per dileta tarc, eperò inshi
13 ziunti uiſono meſcolati come tu potrai uedere. Egli lliſuole anchora
interporre de i ucrſi per. dilettare, ma con destro modo, Perciò che non
mipareche bence ſtia, che la compoſitionc babbia del uer fo come qui. Cofi
detto, et riſposto,e contentato, doppo, un brieue.filentio di ciaſcuno. ART.
Ecco che nella proſa ui è il uerlo,ſenza quel propoſito che: io ti diceua,però,
biſogna rompere i ucrſi con alcuna parola,eccoti uer: foc, Postbaueafine alſuo
ragionamento, madicendo. Pofthauca fine Lau, retta.al ſuo.ragionamento non è
più verſo, benche queſto.autore altrowe: non foſſeſchifatodal uerfo,come quando
diſſe. Poſcia che molto commendata l'hebbe, Disleale, o spregiuro, e traditore,
Etpoi con un ſospir aſſai penſoſo, Luogo moltoſolingo, ofuor. dimano.. Et
questi uerſi quanto ſono migliori,tanto più ſono da.cſfer fuggiti nel fic lo
della oratione, fenon quando,o per eſſempio, o per autoritade, o per di: letto
ſono tolti da poeti. Ora delle figure di questa faperai,che alla giocondaforma,
oltra le fi gure che alla purità,Q umiltà. conuengono quelle ancora non
disd.cono, che alla bellezza ſi danno,o peròle membra pari di ſimili cadimenti
le rime, i biſguizzi, itramutamenti; i circoli, le uoci.ſimiglianti, il
fingeri: de i nomi ſonofigure di questaforma. Leggi i ſimili cadimenti.
Tranquilla lite de'giudicanti ristora.le fettche gucrreggianti, in quel le con
le ſeuereleggi de gli huomini, la pisceuolezza della natura,meſcoa. lando a
queſti nel mezo de gli nocentisſimi guerreggiantipure, ø inno.. centisfime paci
recando. Nellefſempio letto ui troucrai anco la bellezza di contrari, la parità
de'membri, perche niente ci uicta,che una ſtela figura da molti lumi ancora
illuminata, fi poffa fare illuſtre e luminoſa. Laura, che il ucrde lauro,c
l'aurco crine.. Eſcherzo di upci ſimiglianti. Il mormorar dett'onde,bisbiglio,
ſpruzza.. reribombo,gracidare, fonoparolefinte,cha con diletto cfprimeno il
fatto, ecco quando colui diffe,Filli,
Filli,fonando tutti i calami, parue ueram mente che i calami fuſſono tocchi col
fiato di dettopaftore, o quello ſem zafar motto alcuno. Rimafu quella di coſtui
che diſſe. Tanto d'intorno à quel più bello, quanto pià de Thumido fenting di
quello, Et perpiù adornamento et diletto, diſſe anco. L'acqua laquale alla ſua
capacità ſoprabondaua. Et comei falli meritano punitione, Cosi i beneficii
meritano guidero: done. Nella rima è pofta. la dolcezza de' Poeti di questa
lingua, dallaqual.rima chi ardiſſe ò tentaſje per alcun mododidipartirf, toſto
ſi pentirebbe. Le rimepiùuicine fono più dolci: Qucta licenzadel
rimaremoderatamente Bplglia de proſatori, purche di affettata dilettatione:
disoneſto ſegno non porga. Voglio bene la compoſitione di questa forma,numeroſa
epiù al uerſo uicina che l'altre, ma il uerfo per ogni modo le tolgo. Guarda
con chefacilità ſipotrebbe coteſta proſa alla dolcezza deluerfo ridurre.Leg.
Vna fede medeſimatraloro per le menti unafermezza, unoamore in agni faſo, in:ogni
tronco,inognirina,,uede l'amante la faccia dolce delld. fua.belladonna,o ella
quella del ſuoſignore. Ma.ora non: voglio che tantoti piaccia la forma predetta
che tralaſcian do la dignità,o grandezzadeldire, procuri.con ogni ſtudio il
diletto piacere cheda quella fola procede, Perciò che io non uorrei che alcuna.
parte del tuo ragionamento ſenza piacer s udiſſe, di.che l'aſcolta,ilqual pia
cere naſce ancora. dalla Idea dell'altreforme, o dalle orecchie allo animo,
trapaſſando ogni parte di eſſo fparge di diletto marauiglioſo, perche moe.
uendo diletta, o dilettando li mouc, inſegnando ſimilmente fi.moue,,
odiletta.in quanto che lo inſegnare il mouere,o il dilettare, ſono opera. tioni
non distinte l'una dall'altra. Mi. laſciamo queſta quiſtione. ad altro, tempo,
o ancora nonstiamo troppo in.questa forma tutta.di altra confla deratione, come
quella.cbe al Posta.grandemente conuenga, alquale pocta. i giuochi, po le coſe
ridicole ſi confanno, operò di. cße ora non te ne dia 60, e tanto piu adietro
di buon cuore ti laſcerà queſta matcria ', quanto di: ſacopioſamente damoltine
è ſtato ſcritto,etragionato. Larifponfione: ad ogni parte è anco figura di
diletto. Leggi. Laquale ciiba fattinc i corpi.delicate,o morbide, negli animi.
timide opaurofe,ne le menti benignc, opietoſe, obacci dute le corporalifora ze
leggieri, le uoci piacsuoli, o imouimenti de imembrifoaui.. Ms or a pasfiamo
all'acutezza del.dire, forma inucro egregia. &. piùalto penfamentoche altra
meriteuple. Peroche ella contiene le ſentenza fic,deltuttocontrarioalla umiltà,
«baffezza della oratione, ej in uero altro dicendo,altro intende.Percioche è
dicoſeche hanno in ſeforza,et uds Forela onde lo artificiaė proferire le
alteodifficili intentioni pianaměte, o con facilità, e le umili &abictte
che paianoalte,o degne: onde i primo modo é,quandofi piglia una parola in altra
ſignificatione che nella ufata confueta maniera,ne pcro e meno conuencuole et
propriafe gli wiguardaalla forza della uoce,che la uſala, « conſucta, come qui.
Non creda donna Berta oſer Martino * -Prueden un furar altro offerine. 9.
Wedergli dentro al conſiglio diuino. Che quel puo furger,oquel può cadere. C:
il secondo modo e quello cheſi fa non
mettendo la parola, doueela berie Starebbe, ilche abufione s'addimanda; come ė
à dire allegrezza inſanabile, in luogo di dire allegrezza grandißima. Seguita
il terzo modo di porre. una þarola pia uolte'., ma che ſempre ſia ad un modo
istefjo pigliata, come dicendo,ſecglimuore, morirà tutto, perche uiuendo non
uiue.Vſaſi ancora biquestaforma un altro artificio aljai degno di
conſideratione ilquale ft fa quando il parlare ſi fa pieno ditraslationi,o per
la moltitudine di quelle lifa ogn'horpiùmanifesto. Leggi. Eeleggi fon,ma
chiponmanoad eſſe Nullo, percheil paſtor, che precede i Ruminar può,manon ha
l'ugne. foffe, Perche la gente che ſua guida uede ** Pur à quel bel ferir on
fella é ghiotta Di quelfi paſce, opiù oltre non chiede. ART. Et in queſto altro
loco ancora Nel mezo del camin di noſtra uita Mi ritrouai in unaſelua oſcura
Che la diritta uia craſinarita. ART. Acuti ſono ancora quei rimedij,che uanno
quafi medicando le dile rezte delle Tralationi con alcune altre piu chiare,
ecco dire il fiato della morte é duratralatione. Ma dire della morte, e ſpigne
col ſuo fiato il noe ſtro lume,e acutamente raddolcita la aſprezza fua. O
qui.Con altezza di: animo propoſe di calcar la miſeria della fori una.Voglio
ancora,che acuto fa ilporre inanzi yliocchi le coſe con bella colligatione di
ſignificantißia me parole,Vuoi tu ucdere la celerità del tempo. Leggi. a
Delaurco albergo con l'aurora istanzi E to 1vs K $ *** siratto ufciua it ſol
cinto di raggi, Che detto baureſt',.' Apur corcò dianzi. Jo uidi il ghiaccio, e
li preſſo la rofa, Quaſi in un tempo il granfreddo, e ilgran caldo. Che pure
udendo par mirabil cofa Veggo la fuga del miouiuerpresta. Anzi di tutti, et nel
fuggir delſole, La ruina del mondo manifesta Voi tu uedere dipinta la oſcurità.
Leggi. Buio d'inferno, o di notte priuata D'ogni pianeta ſotto pouer ciclo
Quant'eſſer puo di nuuol tenebrata: ART.No ſolaměte leparolefanno l'effetto,ma
te fllabe, et le lettere steffe Vedi quáte fiate uie replicata la quinta
lettera come lēte baſſa,co oſcura. Sotto queſtaforma i beidetti ſi coprendono,
et quei mottiurbani,che co dimeſe parole dicono altißime coſe.Là onde alcune
ſentēze, la ragione delle quali in effe ſi conticnejacute ſono, o di ſuegliato
ingegno ſegnimanifesti. come à dire, le minacce fon arme del minacciato. sēdotu
huomo penſa alle coſe humane o offendo mortale nõ hauerl'odio immortale, o
quello.Rade volte è ſenza effetto quello che uuole ciaſcuna delle parti. Queſte
ſono le parti principali dellaforma ſublime; & acuta,nellealtre haida
ſeguitare la purità o eleganza del dire. Ma della Modestia,o Circonfpettione
del parlarenelquale conſiſte quanta gratia tuti puoi con gli aſcoltanti acqui
Atare,dirò,pregandoti caraméte,che tu uoglia questaſopra tutte l'altre ele
gere,abbracciare,et fauorire in ogni tuo ragionamēto. Modesta è adunque quella
forma del dire che le proprie coſe abbaſſando innalza le altrui, o quaſi cede e
toglierſi laſcia del ſuo, il che opinione acquista di grābone tade appreſſo chi
ode.Le ſentezedi quellafono quelle che dimostrano l'ani mo di chi parla alieno
dalle contētioni, il deſiderio di fuggire, o terminar le coteſe,ildiſpiacere
d'accufar altrui, il poter dimoſtrar maggiorpeccati dell'auuerfario,«nõfarlo,et
quello che ſi fafarlo sforzatamēté,ė astretto dalla uerità,o p no laſciar
opprimere gl'innocēti,uerfo de'quali,chi dice, A deue dimostrare cõ queſta
formaofficiofo,et benigne,comefece coſtui. Leggi. Mi piace condiſcendere a'
conſigli de gli huomini,de quai die cendo mi conuerrà far due coſe molto a'
miei coſtumi contrarie;luna fia al quanto me commendare o l'altra il biaſmar
alquanto altrui,o auilire. ART. Molti huomini eccellenti nelle lodi, che date
hanno a i loro cittadini uſati ſono di dire, uoi faceſte, uoi uinceste,mánel
dimoſtrare alcana coſa meno che oneſta de' fatti loro,hanno detto per
modeftia.Noi perdesſimo, noi malefi portasſimo, noialquanto imprudentemente to
gließimo la guerra. A questeſentenzeſi aggiugne l'artificio, ilquale con Rate
nel dire di fero delle proprie coſe modeſtamente, con dubitatione
facendolegrditamente minori di quello cheſono; eſcuſando per lo contras rio gli
auuerfarii,oucro con ragione, conalquanto di timore accufando li,permettendoli
alcuna coſa a fuomodoin loro diffeſa pronuntiare,acció sonſi dia ſoſpetto al
giudice dioffer contentiofo,& amicodelle liti, in que ſto caſo voglio,che
tu uſ parole baſſe, et pure, oquelle che hanno manco forza nelle tue lodijonel
biaſimo de gli auuerfari, però quelle figure a questaformaſono accomodate,nellequali
con deliberato conſiglio alcuna coſaſ pretermette,quiſando però l'aſcoltante di
tale deliberationc.Inbrie ue ti dico, cbe la disſimulatione, che ironia
s'addimanda, quenga, che ale cuna volta morda cu pungasėperò artificio,o figura
di queſta materia,nel laqual alcuni Greci riuſcirono mirabilmente.
Lacorrettione, oil giudi cio con timore ſonocolori di questa idea. Come quando
ſi dice, S'io nca sn'inganno,s’io non erro, cosi mipare,ofimiglianti modi, i
quali quanto più banno del leggiadro, tanto più dilettano,o fanno l'effetto,
che ſi ricer 14. La correttione e in quel luogo. Si come prima cagione di
queſto peccato, fe peccato é, perciò che io t'accerto. ART. Et la
disſimulatione iui. Godi Fiorenza, poi che ſei si grande. ART. Belmodo e
modešto é quando o il biaſimo, o la lote ſi fa dar da una terza perſona, perche
meno ha d'innidia il teſtimonio altrui, che'l noftro, operò in queſto Poeta nel
dire la origine fua, uedrai modestia ma rauiglioft, Leggi ancora qui.
Nobilisfime giouuni, à confolatione delle quai io mi ſono meſſo à cosi lunga
fatica io mi creda aiutandomi la diuina gratis ſi come io auiſo, per gli uostri
pictofi preghi non gia per i mei mcriti quello compiutamente ha Herfornito, che
io nel principio della preſente opera promiſi di douer far. ART. Etil principio
della quarta giornata i ripieno di queſti modi. Ma tempo è di ucnire all'ultima
forma di queſto ordine, ma prima in die gnità o perfettione,comequella, ſenza
laquale niuna delle altre può nel l'animo entrare de gli aſcoltanti,dico della
uerità, a laquale benche la moc desta e dimeſſaforma piu che l'altre
s'auicinano,nientedimeno non è da di Te,che ella debbia dall'altre offer
abbandonata, imperoche non è opinione, òaffetto,che ſenza eſſa indurre ſi
poſſa, queſta fa credere che cofiſia,come Adice,questa moſtra l'animo di
chiragions, queſta èfrutto diquella uir ta che tùche noi chiamiamo
imaginatione,cosi potente nel porre le coſe dinanzid gli occhi,et cosi efficace
ad ottenere ogni nostra intenţione.Dimoftrafl adia que l'aniino di chi parla in
questo modo,cioèſenzamezo alcuno rompendo in uno effetto,perche la natura in
queſta guiſa ui diſpone chequandoſiete iņuno affetto ſenza altra ragione in
quello entrando le dimoſtrate, cosi l'a ra,lo ſdegno, il diſo, il dolore,o
ogniaccidente ſi fa paleſe. In ſommaſe je fidate,o diffidate, c teneteſperanza
d'alcuna coſa ſe allegrezza uimuoue 'ò noia alcuna,ueracißimi pareranno gli
affetti uoftri,ſe da quello che defe derateſenza porui tempo di mezo
cominciante. Leggi. Fiamma del ciel si le tue trecce pioua Equi doue il Poeta
dimanda aiuto Quando uidi costui nel gran diferto. Miferere di me cridai à lui.
A R. Come qui è uitiofo, doue un nụncio corre al palazzo à dan nog ua alla
Regina della preſa della città, es ardere etſaccheggiare ogni coſa, o
incomincia con lunga narratione,dicendo, id ui dirò diffuſamente il tutto. Ma
ritorniamo, hauendo il Porta di mandato aiuto à Virgiliopiù bricue che può gli
da notitia diſco perche l'affetto lo pronaua à chiedergli pohc cagione egli ſi
trouaſje in quel luo. soſeluaggio,dice. Ma tu perche ritorni à tanta noia? Etfa
maggiore il ſuo affetto replia çando, perche non fali il dilettoſo monte. Là
onde poiil Poeta pien di mara uiglia di ueder Virgilio, non gli riſponde, ma dà
loco allo affetto,et dicca Leggi. orſe tu quel Virgilio, equella fonte, Che
parge di parlar si largo fiume, Ripoſi lui con uergognofa fronte, Et piu
ritornando all'effetto di primajo de gli altri poeti onor',e tume. AR. Vedi
comele Discordia con Giove adirata in tal modo comincia. Parti Giove,che io, la
qualeprodußi, et conſeruo il mondo,degna fia di doc uer’eßer biaſmata da
ciaſcaduno. AR. Serbati in questo caſo à dimostrare che inte più uaglia la
natur ra,che l'arte, o otterrai la credenza del uero che tu uuoi. Dire con
uolubi li parolc é ſegno di uerità, l'infigner d'hauerſi ſcordato, il
dimostrare die ſere dall'artificio lontario, o lo ejer dulla ucrità commoſſo,il
correggerſ daſeſteſſo,lo cſclamare in alcune parti quafi rapito dal uero, o
finalmene, te una diligente traſcuragine, & una traſcurata diligentia può
far’apparenza diuero.Ecco quanto bene appare,ola modeftia, ola verità ufar la
Discordia,doue dice, Etſel mio eſſere pien di miſeria mi ci rende in diſpetto
l'effer Dea (coa me tuſei ) onata al gentilißimo modo delfangue two pieghi il
tuo anis mo ad aſcoltarmi benignamente. oRati' stato ilmio minacciare più tos
fto fegno di diſperatione, che cagion d'odio è di ſdegno che tu mi debbi
portare. AR. Et poco dipoi. Io parlerò Gioueaffine di farti pietoſo alla mia
miſeria,non con animo d'effer lodatacome eloquente;muoue il dolor la mia
lingua,parte,et diſpone a fuo modo le mie parole, o quale id'l ſento nel core
tale,à te uegnia allos recchie,cheſenza offer altramente artificioſa,Oornata,affai
ti perſuaderà l'oration mia à dolerti di me,la qualedi tanto nonſon
conformeallo affan nocleoue quello continuamente m’afflige,queſta toſto fi
finirà, o ad ogni richiesta tua s'interromperà,però che qualunque uolta cofa
dirò, che mena zogna ti paia ſon contenta di dichiararla,accioche picciolo
error nel prin cipio nonſi faccia grande alla fine: AR. Vedi quanto efficaci
ſtenote eſclamationi. O‘Amor quanti, o quali ſono le tue forze: AR. Et là doue
dice, o felici anime,alle quali in unmedeſimo di auer re il feruente amore o la
mortal uita terminare,o piú felicife inſieme ad uno medeſimoluogo n'antaſte, o
felicissimi fe nell'altra uitaſi ama.com toi vi amate; come di qua faceste.
Questa eſclamationefa parere la cofa uera, ilfalimento bella, la ſentent za
degna,o grande,le parole aſpra, o acerba, oil numero fplendida,o generoſa.Al
predetto artificio s'aggiungono le parole conuenienti alle cos feale appre
nell'ira, le pure, o le fimplici nella comuniſeratione. Leggi. Ahi dolcißimo
albergo di tutti imiei piaceri,maledetta fia la crudeltà di colui checon gli
occhi della fronte or mi tifa uedcre. Affai m'ora con quelli dellu
mēteriguardarti à ciaſcun’hora.Tu hai il tuo corſo finito, et di tale,come la
fortuna tel concedette tiſe ſpacciato.Venuto ſe alla fine,alla quale ciaſcun
corre,laſciate hai le miſerie del mondo, o le fatiche. AR. Conſidera le
parti,le parole, o le figure di questa forma nella effempio ora letto, ote
ſimili uſorai nelle occaſioni che ti ucrranno, et uce derai uſcirne opora
maraniglioſa. Vodi che cömiferatione ſi truoua in que fe parole. Caro mio
signore, fe la tua anima oralcmiclagrimc uede, oniuno i conoſcimentoóſentimento
doppo la partita di quella rimane a corpi,rice. dei benignemoute l'ultimo dono
di colei, laquale tu uiuendo cotato amasti. Vedi ancora qui la ſomiglianzadel
ucro grandemente adopraſi in rio fpondere alle coſe,che potriano eſſer
dimandate. Andreuccio,io ſuno molto certa, che tu ti marauigli, & delle
carezze,le qualiiori.fo.a delle mie lagrime;si come colui chenon miconoſci,oper
quentura mai ricordar nonm'udisti,matu udirai toſto coſa, la quale più tifarà
forſe marauigliare, si come è ch'io ſia tua ſorella. AR. Eccoti,che con una
coſa più incredibile fa parere il falſo eſer aero. Vſafi questo modo nel
raccontare,nello amplificar le lodi, ouero i uituperii delle genti,ouero in
narrare le coſe fuori dell'ordine naturali,e rare.Con una antiucduta
eſcuſatio::e,come qui, Carißime Donne à me ſipara dinanzi a doucrmifi far
raccontare una uerità,che ba troppopiù di quello che ella fu, dimenzognaſembianza.
AR. Vera in ſoiamaè quella formadel dire, nella quale confiderata la natura
delle coſe la uarietà de gli affetri,la uſanza del uiucre, con prue
denza,riguardo dimostra le coſe fuggendo il coſpetto dello artificio, &
però molto leggiadramente fidce procedere nell'accurata, obella forme del dire
nella quale più vale il numero etl'artificio, che nell'altre.Sicno dun que gli
ſpirtidi questa forma partiper tutto il corpo,accompagnati dal Sanguedella
bellezza,odal mouimento della celerità del dire,che facila menteſi otterrà il
deſiderato fine.Ne gl'affetti grandi,bricui ficno le mem bra,uiusci le parole,nel
resto il giudi.io di chi parla habbia luogo.Et qui Na ilfine delleformc o
maniere del direin quanto che di ciaſcuna partie samente ſi può dirc. Ma non sarà
il finedi esse in quanto bisogna sapere il modo di usarle, ed accomodarle nella
civile oratione. Perciò che colui ne oratore, ne erudito parcrebbe il quale
come nouel cfſercitaßcle predette maniere daſe steſſe ignude, o inconipote, onde
l'artefuafi manifestaffs, oegli di abomincus defatietà, ct fastidio ricmpicſſe
le orecchie, o gli animi de gli aſcoltanti, Bella coſa é adunque il meſcolare
inſieme le predette forme, o farne una ortima miſtura,dalla quale n'uſcirà
l'ottima,o uniuerſale idea della oratio nc; appreſſo la qualeſarà quellà, che
mancherà alquanto da quella ottima meſcolanza,cosi di grado in gradofcemundo
ilterzo,il quarto, o l'ul timo luogo occuperà l'oratore. Della prima operfetta
compofitione dela leformeio non ti trouerei per ls uerità chi in questa lingua
potefje, pere che gli ſcrittori di efla hanno hauutaaltra intētione, cheformarela
città M dincica dineſca minicra,ben che per quello ch'io ſtimo,non anderà
molto, che alcu noci naſcerà atto a questa grandezza,alla quale più tosto manca
la fatie ča,che il modo.Ora in quale forma debbia abondarc la eloquenzafaperaiz
per che la chiarezza,la ucrità, quella cheaccoſtumata ſi chiama, fono le
formeprincipali di tutta la manicra ciuile.Dapoi appreſſo io amerei la celerità
del dire con quelle forme poi,che alla grandezzafi danno, tra le quali io
eleggerei la comprenſione.Le altre ueramenteſecondo il tempo; er la occafione
reggendomi abbraccerei con quella ſcelta, con quella di fcretione che
uolentieri,ut non isforzate păreſſero ucnire riel parlar mio Ben'è uero, che
molte ſono le intentioni de gli huomini, equelle con dilia genza offer dcono
confiderate. Chi uuole de i ſecretidi natura parlare, bo delle coſe morali dee
abondar'in grandezza senza alcuno volubile movimeto. Chi ueramente cerca
narrare ifatti de mortali,comeſi fa nella iſtoria, elleggerà la
ſchiettezza,ocleganza,nella quale è ripoſto l'ordine delle co fe,cu dei tempi,a
riguarderà primai conſigli,ale deliberationi, poi le attioni, o ifatti,o
finalmente gli auenimentio fucceßi. Neiconſigli di moſtrerà quelloche deue
cffer lodato,o quello che merita biaſimo nelle at tioni,i fatti,ole
parole,ilmodo, il fine. Et ne ifucceßi dimostrerà ció the alla uirtù,o ciò che
alla fortunafi deve attribuire.Chi ne ifenati uud l'esprimere la forza dell’eloquenza,perche
il peſo delle coſe ſară poſto fore. pra lepalle di chiragiona, biſogna abondare
in grandezza,o dignità, di mostrar cura openſamento,il che non uale ne i
giudicij, ſe non ſono di coi. Le graui,aimportanti,perche in eſſe più
fimplicità,baſſezzaſi ricerca, eſſendo quegli per lo più di coſe edi
buominipriuati. Nel difendere, ale fai uale la forma accoſtumata, obalfa,ſe non
quando arditamente il fatto Rinega. Poco ancora ui ſi vedrà di uolubile,o
presto mouimento. Ma non. cosi nello accuſare,douc oajpro, uecmente,o uiuo cſer
dee l'accuſato re. Chi lola. fi dee dare alla bellezza,o al diletto, o
apprezzare lo fplene dore fenza ucсmenza, o celerità. Et in brieuc,biſogna
aprir gli occhi; eje nello imitare i dotti,o eccclenti huomini.ſi richiede
conſiderare; di che for ma eßt ſieno più abondanti,o di che meno;accioche
ſapendoper qual caz glorie eß istatilicno tali,ancora non ſia tolto il potere à
gli studioſi di ace coſtarſi loro, o aguagliarli,o le poßibilc é,che pureé
paßibile al modo già detto di ſuperargli. Et chi.pure non uoleſſe la
fatica,poteße almeno giudicare i loro fecreti. Molti, o minuti ſono i precetti
d'intorno a questo offercitio,maio non uoglio più affaticarmi,effendo quegli in
molti,o gran di uolumi ordinatamente ripoſti, oltra che ilnostro diſcorſo à
niunopuò på rere terc imperfitto,quando egli uoglia la noſtra intentione
riguardare,laqua le è stata di fare i fondamenti della eloquenza, auuertire di
quanta co gnitione elſer debbia chi à quella ſi dona; sopra i quali fondamenti
ſono for date l'articelle de' maeſtri, o gli esercitij de' giovanetti. Baſtiti,
ô Dinare do, che tu ſia giunto là, doue di giugnere deſideraui, o che tu habbi
ueduto un circolo della tanto deſiderata cognitione. Però che dalle parti
dell'anie ma incominciaſti,o in eſſe ſei ritornato,hauendo il corſo tuo ſopra
di natů ra, ci sopradi me fornito, come sopra due rote di quel carro,cheper lo
apet to cielo ti condurrà uittorioſo, o trionfante. Daniele Matteo Alvise
Barbaro. Daniele Barbaro. Keywords: archittetura, palladio, prospettiva,
retorica, ordine cronologico: Ermolao Barbaro il vecchio – Ermolao Barbaro il
giovane – Daniele Barbaro – Temisto, index nominorum, interpretazione e
commentario di Barbaro sul commentario di Tesmisto sull’analitica posteriora –
manoscritto, Bologna. Manoscritto delle ‘Adnotationes ad analyticos priores’ –
commentario diretto su Aristoele e no via Temisto – Villa Barbaro – lezione
privati di Barbaro sull’organon di Aristotele – analytica priora e analytica
posteriora, non al studio GENERALE, ma alla sua propria villa!. Refs.: Luigi
Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Barbaro – il
vecchio – filosofia italiana – filosofia veneziana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo
italiano. Umanista --. Grice: “As much
as Speranza LOVES Daniele Barbaro, I prefer Ermolao Barbaro; after all, he was
his uncle – I mean, Ermolao was Daniele’s uncle – and therefore HE taught HIM;
I mean, Ermolao, as a good philosophical uncle, taught the ‘minor’ (literally,
since he was his junior) Barbaro.” "Some like Barbaro,
but Barbaro's MY man." Ermolao Barbaro detto il Vecchio. Umanista
e vescovo cattolico italiano. Sendo stato uomo degnissimo, m'è paruto
farne alcuna menzione nel numero di tanti singulari uomini, acciocché la fama
di sì degno uomo non perisca (Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri
del secolo XV). Ancora bambino comincia a studiare lettere conVeronese, e il
successo di quest'accoppiata allievo-maestro fu tale che tradusse in latino le
favole d’Esopo. Fece poi i suoi studi universitari a Padova dove si laurea.
Successivamente si trasfee a Roma dove entrò al servizio della cancelleria
papale. La sua carriera nella curia romana fu così fulminea che Eugenio IV lo
nomina protonotario apostolico e gli concesse la diocesi di Treviso. Il
rapporto con il pontefice, però, si interruppe bruscamente quando, dopo che gli
era stata promessa la nomina a vescovo di Bergamo, il papa assegna il posto a
Foscari. Lascia Roma e viaggiò per l'Italia ma, dopo una serie di
peregrinazioni, tornò a lavorare in curia. Si trasfere poi a Verona dove
Niccolò V lo designa vescovo e dove si sistemò in pianta stabile, tranne una
breve parentesi a Perugia come governatore. Messer Ermolao Barbaro, gentiluomo
viniziano, fu fatto vescovo di Verona da papa Eugenio, per le sue virtù. Ebbe
notizia di ragione canonica e civile, ed ebbe universale perizia di teologia, e
di questi istudi d'umanità; ed ebbe nello scrivere ottimo stile. Fu di
buonissimi costumi, e nel tempo di papa Eugenio si ritornò a Verona al suo
vescovado, e attese con ogni diligenza alla cura, e vi accrebbe assai e onorò e
multiplicò il culto divino. Era umanissimo con ognuno. Ridusse nel suo tempo il
vescovado in buonissimo ordine, così nello spirituale come nel temporale. Aveva
in casa sua alcuni dotti uomini, in modo che sempre vi si disputava o ragionava
di lettere; ed era la sua casa governata, come si richiede una casa d'uno degno
prelato. S'egli compose (che credo di sì) non ho notizia alcuna. Compose. Nulla
se ne ha alle stampe trattane qualche lettera, ma più opuscoli manoscritti se
ne hanno in alcune biblioteche, e fra essi la traduzione della Vita di S.
Anastasio scritta da Eusebio di Cesarea. Note
Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed.
Barbera-Bianchi, Firenze. Girolamo Tiraboschi, Storia della letteratura
italiana, ed. Firenze, Vol. VI, pag. 808
Società storica lombarda, Archivio storico lombardo, ser.4:v.7, L'Umanesimo
umbro: Atti del IX Convegno di studi umbri. Gubbio, 22-23 settembre, 1974,
Perugia, Vespasiano da Bisticci, cit. pag. 195
Girolamo Tiraboschi, cit. pag. 808 Opere (alcune moderne edizioni
italiane) Ermolao Barbaro il Vecchio. Orationes contra poetas. Epistolae.
Edizione critica a cura di Giorgio Ronconi.Firenze: Sansoni, Facolta di
Magistero dell'Universita di Padova Ermolao Barbaro il Vecchio. Aesopi Fabulae.
A cura di Cristina Cocco. Genova: D.AR.FI.CL.ET., Trad. italiana a fronte
Hermolao Barbaro seniore interprete. Aesopi fabulae. A cura di Cristina Cocco,
Firenze: Sismel-Edizioni del Galluzzo, 2007. Il ritorno dei classici
nell'umanesimo. Edizione nazionale delle traduzioni dei testi greci in eta
umanistica e rinascimentale. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, ed.
Firenze, Vespasiano da Bisticci, Vite di uomini illustri del secolo XV, ed.
Barbera-Bianchi, Firenze, 1859. Pio Paschini, Tre illustri prelati del
Rinascimento: Ermolao Barbaro, Adriano Castellesi, Giovanni Grimani, Roma,
Facultas Theologica Pontificii Athenaei Lateranensis, 1957. Emilio Bigi,
Ermolao Barbaro, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. URL consultato il 6 luglio 2018. Voci correlate
Ermolao Barbaro il Giovane Collegamenti esterniDavid M. Cheney, Ermolao Barbaro
il Vecchio, in Catholic Hierarchy. Predecessore Vescovo di Treviso Successore Bishop
CoA PioM.svg Lodovico Barbo Marino ContariniPredecessoreVescovo di VeronaSuccessoreBishopCoA
PioM.svg Francesco CondulmerGiovanni Michiel · Biografie Portale Biografie
Cattolicesimo Portale Cattolicesimo Treviso Portale Treviso Venezia Portale
Venezia Categorie: Umanisti italianiVescovi cattolici italiani Nati a Venezia Morti
a Venezia BarbaroVescovi di TrevisoVescovi di VeronaTraduttori dal greco al
latino. Ermolao Barbaro, il vecchio. Keywords. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Barbaro” – The Swimming-Pool Library.
Grice e Barbaro – il
giovane – filosofia veneziana – filosofia italiana – Luigi Speranza (Venezia). Filosofo
italiano. Grice; “Very good.”, ermolao – the younger – il giovane, non il
vecchio -- "Speranza likes Ermolao Barbaro the Younger, but
Ermolao Barbaro The Elder is MY man." -- H.G. Ermolao Barbaro il Giovane. Avea profondamente
meditato sopra i doveri che impone il carattere di legato a chi lo sostiene e
sopra le avvertenze che devono servirgli di norma nella pratica degli affari,
ónde servir con vantaggio il proprio governo e riportare onore anche da quello
presso di cui risiede. Ei ne ha indicate le tracce in un pregevolissimo opuscolo
in cui la prudenza apparisce compagna
della onestà del candore, ed è venuto a delineare in certa guisa il suo
ritratto. Ma lo stesso suo merito fu a lui cagione di grave calamità. Cardinale
di Santa Romana Chiesa Hermolaus Barbarus Ritratto di Ermolao Barbaro, opera di
Theodor de Bry. Patriarca di Aquileia. Ordinato presbitero. Nominato patriarca da
papa Alessandro VI. Consacrato patriarca. Creato cardinal da papa Innocenzo
VIII. Ermolao Barbaro detto "Il giovane" -- è stato un umanista, patriarca
cattolico e diplomatico italiano, al servizio della Repubblica di
Venezia. Comincia l'educazione elementare con il padre Zaccaria Barbaro,
politico e diplomatico veneziano, poi in tenerissima età e mandato a Verona dal
pro-zio Ermolao Barbaro, vescovo della città e umanista di fama, per studiare
lettere latine con Bosso. Per perfezionarsi passa a Roma dove ha come
insegnanti prima Leto e poi Gaza. Un cursus studiorum concluso con successo. E laureato
poeta, a Verona, da Federico III. Segue a Napoli il padre, titolare
dell'ambasciata veneziana, e proprio nella città partenopea scrive la sua prima
opera ovvero il “De Caelibatu”. Traduce
tutto Temistio, pubblicato poi, in parafrasi. Tornato in Veneto consegue a Padova
il dottorato in arti e quello in diritto civile e canonico. Subito dopo fu
nominato titolare della cattedra di etica. Come professore insegna soprattutto
sulla Nicomachea di Aristotele, mettendo in guardia i suoi studenti dalle
traduzioni in latino di Aristotele e predicando il ritorno alla traduzione
diretta dal greco, proprio come face lui. Sono infatti di quegli anni i
commentari all'Etica e alla Politica e la traduzione della Retorica. Abbandonato
l'insegnamento accompagna nuovamente il
padre in missione diplomatica a Roma. E promosso senatore della Repubblica di
Venezia e ma stavolta in veste ufficiale, si reca a Milano con il padre per una
nuova ambasceria. Il primo incarico diplomatico arriva quando, insieme a
Trevisano, rappresenta a Bruges la Serenissima in occasione dei festeggiamenti
per l'incoronazione a ‘re dei romani’ di Massimiliano d'Asburgo e nell'occasione
fu investito cavaliere. Dopo un'esperienza come savio di terraferma, e finalmente
nominato ambasciatore residente a Milano dove si accredita e rimane in carica.
Venne creato cardinale in pectore d’Innocenzo VIII nel concistoro, ma non venne
mai pubblicato. L'ottima gestione della legazione veneziana a Milano, in tempi
davvero turbolenti come quelli della reggenza di Ludovico il Moro, gli vale un
anno dopo la nomina ad ambasciatore a Roma alla corte d’Innocenzo VIII. Ed e qui
che avvenne la catastrofe. Il giorno dopo la morte del patriarca di Aquileia
Marco Barbo, Ermolao erasi recato all'udienza del papa, per fare istanza
acciocché fosse differita la nomina del patriarca successore, finché il senato
non gli e ne avesse presentato, secondo il consueto, la nomina. Ma il papa,
senza punto badare a cotesta istanza, nomina lui appunto in patriarca di
Aquileja; aggiungendogli, essere questa grazia una giusta ricompensa al suo
sapere ed alla sua virtù. Il Barbaro in sulle prime si rifiutò dall'accettare
la dignità, che il pontefice conferivagli; ma quando Innocenzo gli e lo comandò
in virtù di santa ubbidienza, si vide costretto a sottomettervisi ed obbedire.
Allora il papa sull'istante lo vestì del rocchetto, di cui, per darglielo, si
spogliò uno dei cardinali colà presenti; e poscia in pieno concistoro fu
preconizzato patriarca di questa Chiesa. La procedura era rigorosamente
contraria alle leggi della repubblica che vietavano ai propri ambasciatori,
senza la previa autorizzazione del senato, di ricevere incarichi o nomine dai
principi presso i quali erano accreditati. Allora, per giustificare la
violazione procedurale, il Papa scrisse una lettera al Doge chiedendogli di
confermare la nomina, ma il Consiglio dei Dieci, competente in materia,
delibera comunque che Barbaro deve rinunciare al patriarcato. Cosa che, dopo un
po' di tira e molla, prontamente fa. Scelse, per farla più solenne, la
circostanza del giovedì santo alla presenza del papa e di tutto il sacro
collegio. Ma il papa non la volle accettare. Né l'obbedienza sua agli ordini
del senato basta per anco a giustificarlo. Poco avveduto, non pensa di spedirne
a Venezia la stessa sua dimissione al senato, ad onta dell'opposizione del
pontefice; mostrandosi dal canto suo per tal guisa fedele ed obbediente alle
leggi del suo governo. Più avrebbe inoltre dovuto lasciar Roma e ritornare a
Venezia. Ov'egli si fosse regolato così, l'affare avrebbe cangiato di aspetto,
e sarebbesi ridotta ad una semplice controversia di giurisdizione tra la corte
di Roma e la Repubblica di Venezia. Ma essendo rimasto in quella capitale, ad
onta della fatta rinunzia, né avendone dato avviso al senato, egli fu riputato
veramente colpevole in faccia alla legge, e perciò costrinse il senato ad usare
verso di lui ogni misura di rigore. Come risultato di questo pasticcio fu
bandito perennemente dalla repubblica e interdetto da qualsiasi ufficio
pubblico e privato. Quanto al patriarcato di Aquileia, tecnicamente, ne rimase
titolare ma il senato oltre ad avergli impedito, con l'esilio, di recarvisi
fisicamente, ne congelò le rendite patriarcali e nomina Donato in suo vece,
anche se la nomina non fu ratificata dal papa. Ne deriva una situazione di
stallo, durante la quale la diocesi patriarcale fu amministrata da Valaresso
(anche Valleresso), vescovo di Capodistria, con il titolo di Governatore generale. Barbaro
rimase a Roma dove decise di dedicarsi a tempo pieno ai suoi studi. Pparticolarmente
importanti, oltre alla composizione di Orationes et Carmina in latino e alla
pubblicazione delle “Castigationes Plinianae,” disputazioni scientifiche sulle
imprecisioni e sulle invenzioni della Naturalis historia di Plinio, sono l’epistolario filosofico che si scambiò
con Poliziano e Pico, che, insieme, costituirono un vero e proprio
«triumvirato, a que' giorni potente e celebratissimo nelle scienze e nelle
lettere. E sventuratamente colto dalla pestilenza che serpeggia nell'agro
romano. Giunta a Firenze la nuova del suo pericolo trafisse altamente il cuore
dei due suoi celebri amici Poliziano e Pico. Si lagnavano essi che la sua
perdita seco involge il destino delle buone lettere, sembrando loro che in un
sol uomo pericolasse l'onere delle cose romane. Pico anzi volle tentar di
soccorrerlo, inviandogli col mezzo di suo corriere un antidoto ch'ei medesimo
componeva e che credeva atto a domare il morbo pestilenziale. Ma quando arriva
a Roma l'espresso, era di già passato tra gli estinti. Note De Legato, recuperato dal cardinal Quirini da
un codice della Vaticana e stampato per la prima volta nelle annotazioni alla
Deca II della sua Thiara et purpura veneta
Giovanni Battista Corniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli
della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, Torino, Contemporaries of
Erasmus, op. cit.91 Bruno Figliuolo, Il
Diplomatico E Il Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della Serenissima,
Napoli, Guida Editori, Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj, nelle
arti, e ne' costumi dopo il mille, Bassano, Bettinelli, cit.219 Antonino Poppi, Ricerche sulla teologia e la
scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbertino, Branca, La
sapienza civile: Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988,67 Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori
veneti al Senato, Firenze, Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro origine
sino ai nostri giorni, Venezia, Cappelletti, Bernardi, Ermolao Barbaro o la
scienza del pensiero dal secolo decimoquinto a noi, Venezia, 1851,12 I secoli della letteratura italiana,
Bettinelli, Risorgimento d'Italia negli studj, nelle arti, e ne' costumi dopo
il mille, Bassano, Eugenio Albèri, Relazioni degli ambasciatori veneti al
Senato, Firenze, 1846 Giuseppe Cappelletti, Le chiese d'Italia della loro
origine sino ai nostri giorni, Vol. VIII, Venezia, 1851 Jacopo Bernardi,
Ermolao Barbaro o la scienza del pensiero dal secolo decimoquinto a noi,
Venezia, Giovanni Battista Corniani, Camillo Ugoni, Stefano Ticozzi, I secoli
della letteratura italiana dopo il suo risorgimento, Torino, 1855 Vittore
Branca, La sapienza civile: Studi Sull'umanesimo a Venezia, Firenze, 1988 Bruno
Figliuolo, Il Diplomatico E Il Trattatista: Ermolao Barbaro Ambasciatore Della
Serenissima, Napoli, Guida Editori, 1999 Antonino Poppi, Ricerche sulla
teologia e la scienza nella scuola padovana del Cinque e Seicento, Rubbertino,
2001Thomas Brian Deutscher, Contemporaries of Erasmus: A Biographical Register
of the Renaissance and Reformation, University of Toronto Press, 2003 Altri
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della retorica, commentario all’etica nicomachea, comentario alla politica. Refs.:
Luigi Speranza, “Grice e Barbaro” – The Swimming-Pool Library.
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