Powered By Blogger

Welcome to Villa Speranza.

Welcome to Villa Speranza.

Search This Blog

Translate

Monday, June 10, 2024

Grice e Minucio


ATTI DEL CONGRESSO INTERNAZIONALE DI SCIENZE STORICHE 

(Roma, 1903 ). 

Estratto dal voi. XI. — Sezione VII 
Storia della Filosofìa — Storia delle Religioni. 


L’APOLOGETICO DI TERTULLIANO 

E 

L’OTTA VIO DI MINUCIO 


COMUNICAZIONE 


Prof. FELICE RAMORINO 



ROMA 

TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 
PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 


1904 



Digitized by AjOOQle 


Digitized by LiOOQle 


L’APOLOGETICO DI TERTULLIANO 


E 

L’ OTTAVIO DI MINUCIO 


COMUNICAZIONE 

DEL 

Prof. FELICE RAMORINO 



ROMA 

TIPOGRAFIA DELLA R. ACCADEMIA DEI LINCEI 
PROPRIETÀ DEL CAV. V. SALVIUCCI 

1904 


Digitized by AjOOQle 



7? ' 3 tu 

M i ' 77 p 

Estratto dagli Atti del Congrego internazionale di scienze storiche 
(Roma, 1903). 

Volume XI. — Sezione VII: Storia della Filosofia — Storia delle Religioni» 


/}iaÒ 


Digitized by LiOOQle 



Ancora non è stata risolta in modo definitivo la questione dei rap- 
porti che intercedono tra il discorso di Tertulliano in difesa de’ Cri- 
stiani e il dialogo di Minucio Felice, dove alle accuse formolate in 
un discorso d' ispirazione pagana messo in bocca a Cecilio Natale, op- 
ponesi una eloquente difesa del Cristianesimo per bocca di Ottavio dal 
quale il dialogo prende nome. Ancora non sono state date sufficienti 
ragioni per stabilire se Tertulliano abbia avuto sott’ occhio Minucio, 
o se invece questi abbia tratto da quello come da sua fonte, e quindi 
quale dei due abbia da considerarsi come cronologicamente anteriore. 

La questione ha un vero interesse per la storia del Cristianesimo 
in Occidente perchè trattasi delle prime scritture latine d' ispirazione 
cristiana, e dipende di qui il sapere chi primo abbia divulgato fra le 
genti di parlata latina le ragioni addotte dagli Apostoli del Cristia- 
nesimo, già da più decenni diffuse tra i Greci. 

Tale questione sorge dal fatto che tra le due opere corrono tali 
e tante analogie di pensiero e di frase, da dover senz’altro ritenere 
che l’un dei due abbia avuto sott’occhio l’altro. Si può ben congettu- 
rare anche, e s’ è in fatto congetturato, abbiano entrambi attinto a una 
fonte comune, che per noi sarebbe perduta. Primo propose quest’ ipotesi 
l’ Hartel, poi cercò sostenerla in apposita monografia il Wilhelm (1 887) ; 
più tardi (nel 1891) il De Lagarde pensò a dirittura a un’apologià 
scritta da papa Vittore I da cui Tertulliano e Minucio avrebbero co- 
piato a man salva; infine l’Agahd in una sua ricerca di cose Varro- 
niane (24° voi. supp. dei Jahrbiicher di Fleckeisen), ammettendo anche 
egli un’apologià cristiana latina anteriore a Tertulliano e Minucio, 
ne investigò le fonti in Varrone e in qualche altro libro dell’età ales- 

( 143 ) 


Digitized by LiOOQle 



- 4 — 


sandrina. Ma noi vedremo che i riscontri verbali tra l’Apologetico e 
l’Ottavio sono tanti e tali da escludere l’ipotesi d'una terza fonte co- 
mune, se non forse per uno speciale punto di dottrina derivato dalla 
scuola di Euemero. 

Tra quelli che rinunziando all’ipotesi di una terza fonte comune, 
riducono la questione ai soli Tertulliano e Minucio, gli uni credono 
anteriore Minucio, gli altri Tertulliano, e le due schiere sono egual- 
mente notevoli per numero e autorità di aderenti. I fautori della prio- 
rità di Minucio, come si fan forti di una espressione di Lattanzio, così 
vantano l’adesione di uomini quali 1’ Ebert (1868), il Baehrens (1886), 
Ed. Norden (1897), ecc. Gli altri si rifanno dall’attestazione di S. Gerolamo, 
e hanno compagni uomini di incontestato valore come lo Schultze (1881), 
il Neumann (1890), l’Harnack (1893), nome che vai da solo per molti. 
Ultimamente si schierò da questa parte anche il francese Monceaux (1901) 
che con tanto studio e dottrina s’ è occupato della letteratura affricana. 

Non è qui il luogo di ripetere le ragioni addotte da tutti questi 
studiosi, nè di discuterle. Intendo qui di istituire un confronto, il più 
completo possibile, di luoghi Minuciani e Tertullianei, presentandoli 
in modo che ne riesca chiaro il contenuto e sia facile ai lettori di 
trarne le debite conclusioni. Prendo per base il discorso di Tertulliano, 
seguendone l’argomento come filo conduttore, e additando via via i luoghi 
paralleli di Minucio. 


§ 1. — Dell' odio contro i Cristiani 
e della iniqua procedura con loro usata . 

Nei primi tre capitoli del suo Apologetico, mira Tertulliano a far 
vedere, come fosse iniquo l’odio che si aveva contro i Cristiani. Vol- 
gendo nell’esordio la parola ai reggitori del Romano Impero, dice che, 
se non era loro lecito fare una pubblica inchiesta intorno alla causa 
dei Cristiani, se a questo solo fattispecie o temevano o arrossivano di 
volgere l’attenzione pubblicamente, e se le troppe condanne private 
avevano compromesso la difesa della setta cristiana, doveva pur essere 
lecito a lui cercar di giungere alle loro orecchie per la via letteraria; 
la verità cristiana ben sapere di essere peregrina sulla terra e di trovar 
facilmente nemici tra gli estranei, ma non voler essere condannata 
senza essere conosciuta. Condannarla inascoltata essere una iniquità, e 
far nascere il sospetto che i governanti non vogliano ascoltare ciò che 
non potrebbero più condannare conoscendolo. La scusa dell’ignoranza 

(144) 


Digitized by LiOOQle 



- 5 — 


non essere che apparente, anzi aggravare il carico dell’iniquità; perchè 
qual più trista cosa che l’odiare quel che si ignora, anche se la cosa 
meriti effettivamente odio? Se poi si viene a sapere che la cosa non 
meritava odio, chi era solo colpevole d’ignoranza, cessata questa, cessa 
anche di odiare; come fanno appunto i convertiti al Cristianesimo, i 
quali cominciano a odiare quel che erano e a professare quel che prima 
odiavano. Invece, dice Tertulliano, gli avversari nostri segnalano bensì 
il fatto delle molte conversioni, ma, anziché arguire che ci sia sotto 
qualche gran bene, seguitano a ignorare e a odiare. Si dirà che le molte 
conversioni non vogliono dir nulla, perchè ci si volge anche al male. 
Ma il male, avvertasi, per natura o si teme o se ne ha vergogna; ed 
è perciò che i malvagi voglion rimanere nascosti; sorpresi trepidano, 
accusati negano, anche tormentati non sempre confessano, e condannati 
poi n’han dolore. I Cristiani non si vergognano, non si pentono; si 
gloriano d’ esser notati ; accusati non si difendono ; interrogati confes- 
sano ; anzi confessano spontaneamente, e condannati ringraziano. Non 
è dunque questo un male se non ha le circostanze connaturate al male, 
il timore, il rossore! il pentimento, il rimpianto (cap. I). — Anche la 
procedura che si segue con noi Cristiani, continua Tertulliano, è iniqua. 
Non ci si concede libertà di difesa, e si vuol da noi soltanto la con- 
fessione del nome, senza poi esaminare il crimine. E mentre per un 
omicida, per un incestuoso, per un nemico pubblico si indagano le cir- 
costanze dei fatti, il numero, il luogo, il tempo, i complici dei delitti, 
per noi non si procede così ; anzi un famoso editto di Traiano ha proi- 
bito che si inizino processi contro noi, mentre poi ha disposto che 
data una denunzia, ci si deva punire ; disposizione contradittoria ed 
ingiusta. Si viene così ad applicare per noi un’assurda procedura, quella 
di torturarci, non per farci confessare come gli altri, sì perchè neghiamo, 
mentre se si trattasse di male, noi staremmo sulla negativa, e la tor- 
tura ci si applicherebbe per farci confessare. È evidente che non un 
delitto è in causa nel caso nostro, ma solo il nome. Si arriva al punto 
di biasimare uno che si riconosce come un galantuomo, solo perchè 
è cristiano; si cacciano via dalle case, anche contro ogni interesse, le 
mogli pudiche e i buoni servi, solo perchè cristiani; è tutto in odio 
al nome. Ma che cos’ ha di male questo nome che significa « unti » 
o, se si piglia la forma « Crestiani » usata talvolta per errore, ha a 
connettersi con « buono » ? Odiasi forse ia setta per il nome 

del suo autore ? Ma anche le sette dei filosofi sono denominate dai loro 
autori, e niuno se n’offende. Prima di odiare il nome, conveniva in- 
dagare e riconoscere dalle qualità della setta l’autore o da quelle del- 

( 145 ) 


Digitized by LiOOQle 



— 6 — 


l’autore la setta ; invece non si è fatto e non si fa nulla di questo, e 
si seguita a far ingiusta guerra al nome (cap. II e III). 

Fin qui l’ introduzione dell’Apologetico Tertullianeo. Con le idee 
qui espresse si ha qualche riscontro nei capitoli 27, 28 e 31 dell’Ottavio, 
a metà circa del discorso in difesa della nuova dottrina. Nel cap. 27 
accenna Ottavio all’opera dei cattivi spiriti che insinuano l’odio contro 
i Cristiani anche prima che siano conosciuti. Il capitolo seguente tocca la 
procedura usata coi Cristiani, e Ottavio ricorda che anche egli prima, 
credendo alle solite calunnie, usava le stesse arti diaboliche contro i 
Cristiani. I demonii appunto ispirano quelle dicerie sciocche le quali, 
se mai, hanno un fondo di verità per i pagani non per i Cristiani. La confu- 
tazione di tali calunnie si estende per i capitoli 29 e 30 e una parte 
del 31. Quest’ultimo poi si chiude con l’ affermazione delle virtù cri- 
stiane, la pudicizia, la temperanza, la serietà. L’aumentare del nostro 
numero, dice, non è accusa di errore, ma testimonio di lode, e non è 
meraviglia se noi ci riconosciamo al segno dell’ innocenza e della mo- 
destia, e se ci amiamo a vicenda chiamandoci fratelli. Ecco alcuni ri- 
scontri verbali: 

Min. Oct. 31, 6: « ... nec in angulis 
garruli (sumus) si audire nos publice 
aut erubesciti s aut timetis » (intendi: 
non è vero che noi facciamo pettego- 
lezzi di nascosto, se invece siete voi che 
pubblicamente rifiutate di darci ascolto 
o perchè arrossite o perchè temete di 
farlo). 

c. 27, 8 : « sic occupant animos (im- 
puri spiritus) ... ut ante nos incipiant 
homines odisse quam nosse, ne cognitos, 
aut imitari possint, aut damnare non 
possint ». 

c. 28, 2: Anche noi, prima della 
conversione, credevamo alle calunniose 
voci sparse contro i Cristiani, e non ci 
accorgevamo che eran tutte dicerie sen- 
za fondamento ; « malum autem adeo 
non esse, ut Cliristianus reus nec eru- 
besceret nec timeret , et unum solum- 
modo quod non ante fuerit paeniteret ». 


( 146 ) 


a) Tertull. Apolog. I princ. : « ...si 
ad hanc solam speciem auctoritas vestra 
de iustitiae diligentia in publico aut 
timet aut erubescit inquirere ». 


b) Ibid. : u inauditam si damnent, 
praeter invidiam iniquitatis etiam su- 
spicionem merebuntur alicuius conscien- 
tiae, noleutes audire quod auditum dan- 
nare non possint ». 

c) Ibid.: u Quod vere malum est, ne 
ipsi quidem quos rapit defendere prò 
bono audent. Omne malum aut timore 
aut pudore natura perfudit. Denique 
malefici gestiunt latere, devitant appa- 
rere, trepidant deprehensi, negant accu- 
sati, ne torti quidem facile aut semper 
continentur, certe damnati maerent. Di- 
numerant in semetipsos mentis malae 
impetus, vel fato vel astris imputant, 
nolunt enim suum esse quia malum 
agnoscunt. Christianus vero quid si- 
mile? Neminem pudet , neminem pae - 


Digitized by LiOOQle 



— 7 — 


i 


nitet nisi piane retro non fuisse . Si 
denotata gloriata, si accusata non 
defendit, interrogatns vel ultro confi- 
tetur, damnatus gratias agit. Quid hoc 
mali est quod naturalia mali non habet, 
fimorem, pudorem, tergiversationem, 
paenitentiam, deplorationem? Quid? hoc 
malum est cuius reus gaudet? cuius 
.accusatio votum est et poena felicitas ? » 


Qui si osservi come a un cenno fuggevole di Minucio rispetto al 
non essere un male il cristianesimo, corrisponde in Tertulliano tutta 
una spiegazione psicologica della natura del male e del contegno dei 
malvagi col quale si confronta quello dei Cristiani. 


d) Apolog. c. IL Si critica la pro- 
cedura usata coi Cristiani. Tra l’altro, 
si dice : « Ceteris negantibus tormenta 
udhibetis ad confitendum, solis Chri- 
stianis ad negandum... Quo perversine 
cum praesumatis de sceleribus no stris 
ex nominis confessione, cogitis tormen- 
tis de confessione decedere, ut negan- 
tes nomen pariter utique negemus et 
scelera... Sed, opinor non vultis noe 
perire , quos pessimos creditis... Si non 
ita agitis circa nos nocentes ergo nos 
innocentissimos iudicatis cum quasi in- 
nocentissimos non vultis in ea con- 
fessione perseverare, quam necessitate 
non iustitia damnandam sciatis. Voci- 
ferata homo: Christianus sum. Quod 
est dicit; tu vis audire quod non est. 
Veritatis extorquendae praesides de no- 
bis solis mendacinm elaboratis audire ». 


Oct. 28, 3: Noi prima della conver- 
sione, mentre assumevamo la difesa di 
sacrilegi e incestuosi e anche di parricidi, 
« hos (i Cristiani) nec audiendos in toto 
putabamus, nonnunquam etiam mise- 
rantes eorum crudelius saeviebamus, ut 
torqueremus confitentes ad negandum , 
videlicet ne perir ent , exercentes in his, 
perversam quaesti onem nòn quae verum 
erueret sed quae mendacium cogeret . 
Et si qui infìrmior malo pressus et 
victus Christianum se negasset, fave- 
bamus ei quasi, eierato nomine, iam 
omnia facta sua illa negatione pur- 
gata ». 


§ 2. — Delle calunnie d’ infanticidio e di cene incestuose. 

Dopo avere nei capitoli IV, Y e VI dell’Apologetico confutato il 
pregiudizio che il Cristianesimo non fosse permesso dalle leggi romane, 
facendo vedere come le leggi potessero essere benissimo pattate, e mu- 
tate furono tante volte attraverso ai secoli, Tertulliano passa a con- 
futare le calunnie lanciate contro i Cristiani, d’ infanticidio e di cene 
incestuose. Queste cose si dicono sempre, ma nessuno mai si cura d’ in- 
dagare so sono vere. La verità è odiata, e ha nemici da tutte le parti. 

( 147 ) 


Digitized by 


Google 



— 8 - 


Chi ha mai visto a spargere sangue di bambini, e abbandonarsi, dopa 
il pranzo e dopo fatti spegnere i lumi da cani lenone s tenebrarum, 
a orgie incestuose? Se i nostri ritrovi son segreti, chi può rivelare quel 
che vi si fa? non gli iniziati che hanno interesse a non si tradire; 
non gli estranei, appunto perchè non penetrarono mai. È dunque tutto 
opera' della fama. E qui Tertulliano ha una bella pagina sulla natura 
della fama o « si dice » . È antico il motto : fama malum quo non 
aliud velocius ullum (Virgilio). Perchè è un male la fama? perchè ve- 
loce? o non anzi perchè essa è per lo più menzognera? anche quando 
ha del vero, non è mai senza bugia, togliendo, aggiungendo, mutande 
dal vero. Ed è di tal natura che non persiste a essere se non in 
quanto mentisce, e vive solo fin quando non si arriva alla prova dei 
fatto vero. Quando si ha il fatto, cessa ogni « si dice » , e rimane la 
notizia del fatto. La fama, nomen incerti > non ha più luogo dov’ è 
la certezza. Ora alla fama uom savio non deve credere. Si sa come na- 
scono le dicerie. Hanno principio da qualcuno che è mosso o da ge- 
losia o da dispetto o da mania di dir bugie; e poi passate di bocca 
in orecchio, e via ripetute, nascondono sempre più la verità. Meno male, 
che il tempo poi rivela ogni cosa, per felice disposizione della natura- 
per cui il vero si fa strada. Le accuse sono nient’ altro che dicerie, ma 
non hanno fondamento di verità. Si soggiunge che noi promettiamo la 
vita eterna a chi uccide bambini e commette incesti. Ma anche se tu 
credi a questo, dice Tertulliano, io chiedo se tu stimeresti tanto questa 
eternità da arrivarci con simili infamie. Tu nè vorresti farle queste 
cose, nè potresti ; dunque perchè crederai che vogliano e possano farle 
i Cristiani, che sono uomini come te ? Si dirà che sono iniziati a tali 
cerimonie quando non ne sanno ancor nulla; ma in tal caso, una volta 
conosciute tali infamie, non continuerebbero a parteciparvi, per la stessa 
avversione che avrebbe impedito loro d’ iniziarsi nel caso che ne fos- 
sero informati. 

Tale il contenuto dei capitoli VII e Vili dell’Apologetico. Vi cor- 
rispondono i medesimi capitoli di Minucio già ricordati dal 28 al 31, 
ove con le accuse d’ infanticidio e di cene incestuose si confutano anche 
quelle di adorazione d’una testa d’asino, o dei genitali di sacerdoti, o 
di un uomo crocifisso, o della croce stessa. E siccome di queste accuse- 
si parla anche nel capitolo 9 dove Cecilio Natale le espone facendo 
eco alla voce comune, così è da tener conto anche di questo capo per 
taluni riscontri verbali: 


( 148 ) 


Digitized by LiOOQle 



- 9 - 


» 




c 


a) Apolog. VII in. : « quod everso - 
fes luminum canes, lenones scilicet te- 
nebrarum, libidinum impiarum invere- 
cundiam procurent ». 

Vili fin.: « candelabra et lucernae 
et canes aliqui et offulae quae illos ad 
eversionem luminum extendant». 

b) Id. Vili : « Veni, demerge ferruin 

in infantem, nullius inimicum, nullius 
reum, omnium filium, vel ... tu modo 
adsiste morienti komini antequam vi- 
xit... excipe rudem sanguinem, eo pa- 
nerai tnum satia, vescere libenter 

Nego te velie ; etiamsi volueris, nego te 
posse. Cur ergo alii possint si vos non 
potestis?... qui ista credis de homine 
potes et tacere ». 

c) Id. VII : « Quis talia facinora cum 
invenisset celavit?... Si semper latemus 
quando proditum est quod admittimus ? 
immo a quibus prodi potuit? 

d) lbid. : « Natura famae omnibus 
nota est (v. il riassunto precedente)... 
quae ne tunc quidem cum aliquid veri 

offerti sine mendacii vitio est Tam- 

diu vivit quam diu non probat, siqui- 
dem ubi probavit cessat esse et quasi 
officio nunciandi functa rem tradit et 
exinde res tenetur, res nominatur. Nec 
quisquam dicit verbi gratia: 'hoc Ro- 
mae aiunt factum 1 aut : ‘ fama est il- 
luni provinciam sortitum sed: ‘ sorti- 
tus est ille provinciam ’ , et : * hoc fa- 
ctum est Romae \ Fama, nomen incerti, 
locum non habet ubi certum est ». 


Min. Oct. 9, 6: « canis qui cande- 
labro nexus est, iactu offulae ultra spa- 
tium lineae qua vinctus est, ad impe- 
tum et saltum provocatur. Sic everso 
et exstincto conscio lumine impuden- 
tibus tenebris etc. ». 

Id. 30, 1 : « Illuni velim convenire, 
qui initiari nos dicit aut credit de caede 
infantis et sanguine. Putas posse fieri, 
ut tam molle corpus, tam parvulum 
corpus fata vulnerum capiat? ut quis- 
quam illum rudem sanguinem novelli 
et vixdum hominis caedat f fundat , 
exhauriat? nemo hoc potest credere 
nisi qui possit audere ». 

28, 2: « ... nec tanto tempore ali- 
quem existere qui proderet ». 


28, 6: « nec tamen mirum, cum 
omnium (quoniam, Vahlen) fama quae 
semper insparsis mendaciis alitur, osten- 
sa ventate consumitur ». 


Anche qui si noti che il modo di esprimersi di Minucio intorno alla 
fama non solo è conciso, ma chi legge quell’ostessa ventate consu- 
mitur non lo intende se non quando lo confronta con la pagina di Ter- 
tulliano, la quale può servire assai bene di commento. 


( 149 ) 


Digitized by LiOOQle 



- 10 — 


§3. — Del doversi tali accuse ritorcere contro i Pagani. 


I Cristiani non si contentavano di scagionarsi dalle accuse calun- 
niose mosse loro, ma le ritorcevano contro gli avversari, facendo ve- 
dere come essi, all’ombra della religione, molti infanticidi e incesti 
davvero commettevano. Di ciò tratta il capitolo IX dell’Apologetico, 
da confrontarsi con alcuni passi dei capitoli 30 e 31 dell’Ottavio. 
Ricordano entrambi i sacrifizi di bambini fatti in Africa in onor di 
Saturno, divoratore dei propri figli: 


a) Apolog. IX: « cum propriis filiis 
Saturnus non pepercit, extran eis uti- 
que non parcendo perseverabat, quos 
quidem ipsi parentes sui offerebant et 
libenter respondebant, et infantibus blan - 
diebantur, ne lacrimante s immolaren - 
turi). 


Oct. 30, 3 : u Saturnus fìlios suos 
non exposuit sed voravit ; merito ei in 
nonnullis Africae partibus a parentibus 
infantes immolabantur y blanditile et 
osculo comprimente vagitum, ne flebilis 
hostia immolar etur » . 


Ma Tertulliano ha maggiori informazioni su questi sacrifizi d’infanti 
in Affrica, durati ufficialmente fino al proconsolato di Tiberio, poi vie- 
tati ma seguitati a praticare occultamente : et nunc in occulto per - 
severotur hoc sacrum facinuSj perchè nessuna costumanza delittuosa 
si può sradicare per sempre, nè gli Dei mutano costume. 

Oltre questo poi altri sacrifizi umani vanno imputati alla reli- 
gione antica. Entrambi i nostri scrittori ricordano i sacrifizi umani fatti 
in Gallia in onor di Mercurio, e nella Taurica (Minucio aggiunge anche, 
da Cic. Rep., 3, 15, e da Livio, 22, 57, il ricordo di Busiride Egi- 
ziano e di antichi riti romani), e l’uso ancor vigente di sacrificare con- 
dannati a morte nelle feste di Giove Laziale. E all* infuori della religione, 
rinfacciano entrambi agli avversari l’abitudine di esporre i bambini ap- 
pena nati o ucciderli, o quello più tristo di spegnere la vita appena 
iniziata nell’utero materno. 

b) Apolog . IX: « conceptum utero 
dum adhuc s angui s in hominem deli- 
batur, dissolvere non licet. Homicidii 
festinatio est prohibere nasci ; nec refert 
ratam quis erìpiat animam an nascentem 
disturbet ». 

Quanto poi al bevere uman sangue, Tertulliano ricorda da Ero- 
doto (est apud Herodotum, opinor) alleanze strettesi fra alcuni popoli 
col ferirsi a sangue le braccia e bevere gli uni il sangue degli altri ; 

(ISO) 


Oct. 30, 2 : u snnt quae in ipsis vi- 
sceribus medicaminibus epotis originem 
futuri hominis extinguant et parricidium 
faciant antequam pariant » . 


Digitized by LiOOQle 



- 11 - 


ricorda poi Catilina, e alcune genti Scitiche divoratrici dei proprii morti, 
e il rito dei sacerdoti di Bellona consistente nel ferirsi la coscia, rac- 
cogliere il sangue nel cavo della mano e darlo a bere. Minucio, più con- 
ciso, non menziona che la congiura di Catilina e Bellona con brevi 
cenni. L’uno e V altro poi fanno menzione dell’uso di dare a bere sangue 
umano agli epilettici, ma Tertulliano solo adduce il particolare, che 
ai raccoglieva a tal fine il sangue scorrente dalle ferite dei delinquenti 
.sgozzati nell’arena. 

In tutto ciò è strano il modo come Minucio mette questi ricordi 
in relazione con la menzione fatta avanti delle cerimonie in onor di 
Giove Laziale, dicendo (Cap. 30, 5) : ipsum credo docuisse san - 
guinis foedere coniurare Catilinam et Bellonam sacrum suum J ecc.; 
quasi che proprio Giove Laziale abbia insegnato a Catilina e ai Bel- 
lonari i lor sanguinosi usi ; il che è del tutto fuor di proposito. 

Infine, sempre intorno alle bibite di sangue, entrambi gli apologeti 
ricordano l’avidità con che solevano alcuni acquistare, per cibarsene, la 
carne delle bestie uccise nell’arena, dopo che quéste s’ erano empite le 
viscere di membra umane. Ma Tertulliano è più ricco di particolari, 
come è più immaginoso ed energico nell’espressione. Confrontisi: 

c) Tertull. : « Item illi qui de harena Min. : « non dissimiles ei qui de ha- 

ferinis obsoniis cenant, qui de apro qui rena feras devorant inlitas et infectas 
<ìe cervo petunt ?... Ipsorum ursorum cruore, vel membris hominum et viscere 
alvei appetuntur cruditantes adhuc de saginatas.». 

visceribus humanis... Ructatur proinde 
Ab homine caro pasta de homine ». 

Tertulliano aggiunge un cenno di que’ tristi qui libidine fera hu- 
manis membris inhiani , quia oivos vorant (*); ma poi tutte due op- 
pongono alla perversità pagana l'astinenza cristiana. 

d) Tertull.: « Christiani... ne ani- Min.: « nobis homicidium nec vi- 

malium quidem sanguinem in epulis dere fas nec audire, tantumque ab hu- 
-esculentis habemus, ... propterea suffo- mano sanguine cavemus, ut nec edulium 
-catis quoque et morticinis abstinemus, pecorum in cibis sanguinem noveri- 
ne quo modo sanguine contaminemur mus ». 

vel intra viscera sepulto ». 

Dopo di che, il solo Tertulliano ricorda l’uso di tentare i Cri- 
stiani con dei botuli cruore distenti, o sanguinacci, mostrando l’as- 
surdo di credere aridi di umano sangue costoro che essi sapevano aste- 
nersi anche da quello di animali. 

(*) Un’eco in Minucio, Oct., 28, 10. . qui medios viros lambunt, libidinoso 
ore inguinibus inhaerescunt, homines raalae linguae etiam si tacerent. 

(151) 


Digitized by LiOOQle 



— 12 — 


Venendo all’accusa di incesto con le madri e le sorelle, Tertulliano 
e Minucio, contrapponendo esempi pagani, ricordano entrambi che presso 
i Persiani era lecito il connubio con la madre, e Tertulliano solo no 
adduce l’autorità di Ctesia. Poi divergono ; perchè Minucio accenna ai 
connubi con le sorelle leciti in Egitto e Atene; l’altro racconta dei 
Macedoni che si misero a ridere udendo a recitare la tragedia Edipo, 
al vedere tutto il cruccio del re Tebano per l’incesto con la madre, 
presso loro comunissimo. Di nuovo entrambi rilevano' la facilità con 
cui i pagani si macchiavano d’incesto, per la procreazione di molti 
figliuoli illegittimi e l’usuale abbandono di essi, e anche dei legittimi, 
alla misericordia altrui, sicché di poi l’amore con tali creature poteva 
essere incosciamente incestuoso. 


e) Tortali. : «filios exponitis susci- 
piendos ab aliqua praetereunte miseri- 
cordia exlranea vel adoptandos melio- 
ribns parentibus emancipati. Alienati 
generis nece>se est quandoque memo- 
riara dissipari, et simili error impegerit, 
exinde iam tradux proficiet incesti ser- 
pente genere cum scelere. Tunc deinde 
quocumque in loco, domi, peregre, trans 
freta Comes et libido, cuius ubique sal- 
tus facile possunt alicubi ignaris filios 
pangere vel ex aliqua seminis portione, 
ut ita sparsum genus per commercia 
humana concurrat in memorias suas, 
neque eas caecus incesti sauguinis agno- 
scat » . 


Min.: « etiam nescientes, miseri, po- 
testis in inlicita proruere, dum Vene- 
rem promisce spargitis, dum passim li - 
ber os seritis, dum etiam dorai natos 
alienae misericordiae frequenter expo - 
nitis, necesse est in vestros recurrere t 
in filios inerrare ». 


Nella diversa disposizione dei pensieri, pur si riconosce l’affinità 
dei due scrittori, dei quali Tertulliano è più ricco e compiuto, aggiun- 
gendo qui tra le ragioni di figliuoli dispersi anche l’adozione. 

Alla corruttela pagana poi opponesi la continenza cristiana la quale 
o si contenta di legittimo matrimonio, o aspira anche alla verginità. 

f) Tertull. : « quidam multo secu- Min : « plerique inviolati corporia 

riores totam vim huius erroris virgine virginitate perpetua fruuntur potiua 
continentia depellunt, senes pueri ». quam gloriantur ». 

Dove non isfugga l’esagerazione del plerique minuciano di fronte al- 
l’espressione tertullianea più conforme al vero. 


( 152 ) 


Digitized by Liooole 


— 13 — 


§ 4. — Gli Dei pagani erano in origine uomini . 

Nei due capitoli X e XI dell’ Apologetico, passa Tertulliano a ra- 
gionare di un’altra recriminazione fatta ai Cristiani, quella che non 
venerassero gli Dei e non sacrificassero per gli imperatori ; onde erano 
fatti rei di sacrilegio e di lesa maestà. Ora egli dice che i Cristiani 
cessarono dal prestar culto agli Dei pagani dacché conobbero che tali 
Dei non esistevano ; e non esser giusto il punirli se non quando tale 
esistenza fosse dimostrata. E questa convinzione soggiunge che i Cri- 
stiani ricavavano dalle stesse testimonianze pagane, concordi nel lasciar 
chiaramente vedere che i pretesi Dei non erano altro che uomini di- 
vinizzati. Infatti se ne adducevano i luoghi di nascita, le regioni ove 
avevano vissuto e lasciato tracce dell’opera loro, e si mostravano anche 
i loro sepolcri. Serva d’esempio per tutti Saturno, cui gli scrittori come 
Diodoro e Tallo fra i Greci, Cassio e Nepote fra i Latini attestarono 
essere stato uomo. La qual cosa è comprovata anche da prove di fatto, 
verificatesi sopratutto in Italia, ove egli fu accolto da Giano, ove il 
monte che abitò fu chiamato Saturnio, la città che fondò ebbe pari- 
mente nome Saturnia, e anzi tutta l’Italia dopo il nome di Enotria 
ricevette quello di Saturnia. Da lui l’origine delle legali scritture e del 
conio monetario, onde la sua presidenza dell’erario. Dunque era uomo, 
è nato da uomini, non dal cielo e dalla terra. Ignorandosene la pa- 
rentela, fu detto esser figlio di quelli onde tutti possiamo esser figli, 
chiamandosi per venerazione il Cielo e la Terra padre e madre, e figli 
della terrà denominando il volgo quelli la cui parentela è incerta. Sa- 
turno dunque era uomo; e lo stesso si può dir di Giove e di tutto 
l’altro sciame di divinità pagane. Si dice che furono tutti divinizzati 
dopo morte. Da chi? Bisogna vi fosse un altro Dio più sublime, ca- 
pace di regalare la divinità, giacché da sé questi uomini non si po- 
tevan certo crear Dei. Ma perchè il Dio Magno avrebbe donato la 
divinità ad altri esseri? Forse per esserne aiutato nel grande còmpito 
di dirigere l’universo? Ma che bisogno vi poteva essere di ciò, se il 
mondo o era ab aeterno , come volle Pitagora, o venne fatto da un 
essere ragionevole, come disse Platone? Del resto questi uomini si lo- 
dano per aver trovato le cose utili alla vita, ma non le hanno create, 
perchè già c’erano. Si dirà egli che la divinizzazione fu un premio 
alle loro virtù? Ma, a dir vero, anziché virtuosi, erano costoro pieni 
di vizi e piuttosto da cacciar giù nel Tartaro che accogliere nel Cielo. 
Ma mettiamo anche fossero buoni, o perchè allora non s’ è dato lo 

( 153 ) 


Digitized by LiOOQle 



- 14 — 


stesso premio a uomini lodatissimi come Socrate, Aristide, Temisto- 
cle, ecc.P 

Di tutta questa dimostrazione ragionata a fil di logica, Minucio 
non ha nell’Ottavio che un punto solo, l’affermazione che i pretesi Dei 
erano uomini. E questa si contiene nel cap. 21 del dialogo, il quale fa 
seguito alla parte fisolofica del discorso di Ottavio e alla sentenza che 
le favole mitologiche erano tutte finzioni poetiche, da spiegarsi seconde 
la teoria di Evemero, della quale cita altri rappresentanti antichi come 
Prodico, Perseo, lo stesso Alessandro il Macedone. Connettesi con tale 
ordine di idee il ricordo di Saturno già uomo. E qui diversi riscontri : 


a) Tertull. Apol. X: «Saturnum ita- 
que, si quantum litterae docent, neque 
Diodorus Graecus aut Thallus neque 
Cassius Severus aut Comelius Nepos 
neque ullus commentator eiusmodi anti - 
quitatem aliud quam hominem promul- 
gaverunt... » . 


Min. Oct. 21, 3: « Saturnum enim... 
omnes scriptores vetustatis Graeci Ro- 
manique hominem prodiderunt. Scit hoc 
Nepos et Cassius in historia ; et Thal- 
lus et Diodorus hoc loquuntur». 


È questo il passo che all’Ebert (1868) e a’ suoi seguaci parve e pare 
dimostrativo della priorità di Minucio, per la ragione che il Cassius 
Severus di Tertulliano in luogo del semplice Cassius (ossia Hemina) 
è un errore, e per la presunzione che chi sbaglia copii. Se tale indu- 
zione sia giusta, vedremo in seguito. Per ora notiamo solo che Ter- 
tulliano aveva fatto lo stesso sbaglio in Ad Nationes,lì , 12, scrivendo: 
Legimus apud Cassium Severum , apud Cornelios Nepolem et Ta- 
citurna ecc. 


I) Tertull. ibid. : « ... in qua (Italia) 
Saturnus post multas expeditiones post - 
que Attica hospitia consedit, exceptus 
a Iano vel lane ut Salii volunt. Mons 
quem incoluerat Saturnius dictus, ci - 
vitas quam depalaverat Saturnia usque 
nunc est, tota denique Italia post Oe- 
notriam Saturnia cognominabatur. Ab 
ipso primum tabulae et imagine signa- 
tus nummus et inde aerarlo praesidet ». 

c) « ... Si homo Saturnus utique ex 
homine, et quia ab homine, non utique 
de caelo et terra. Sed cuius parentes 
ignoti erant facile erat eorum fìlium dici 
quorum et omnes possumus videri. Quis 
enim non caelum ac terrai* matrem ac 


Min. : « Saturnus Creta profugus Ita- 
liana metu filii saevientis accesserat et 
Iani susceptus hospitio rudes illos ho- 
mines et agrestes multa docuit ut Grae- 
culus et politus, litteras imprimere, 
nummos signare , instrumenta conficere. 
Itaque latebram suam, quod tuto la- 
tuisset, vocari maluit Latium, et ur.bem 
Saturniam idem de suo nomine ut la- 
niculum Ianus ad memoriam uterque 
posteritatis reliquerunt ». 

«... Homo igitur utique qui fugit, 
homo utique qui latuit, et pater ho- 
minis et natus ex homine. Terrae enim 
vel caeli filius (se. est dictus) quod 
apud Italos esset ignotis parentibus pro- 
ditus, ut in hodiernum inopinato visos 


( 154 ) 


Digitized by LiOOQle 



— 15 — 


patrem venerationis et honoris grati a 
appellet? vel ex consuetudine humana, 
qua ignoti vel ex inopinato adparentes 
de caelo supervenisse dicuntur. Proinde 
Saturno repentino utique caelitem con- 
tigit dici; nam et terrae filios vulgus 
vocat quorum genus incertum est ». 

d) « Etiam Iovera ostendemus tam 
hominem quam ex homine, et deinceps 
totum generis examen tam mortale quam 
seminis sui par. » 

e) «Nunc ego per singulosdecurram? 

. . Otiosum est etiam titulos persequi ». 

f) « totum generis examen ... »• 


caelo missos, ignobiles et ignotos terrae 
filios nominamus». 

... À 


« Eius fìlius Iuppiter Cretae excluso 
parente regnavit, illic obiit, illic filios 
habuit; adhuc antrum Iovis visitur et 
sepulcrum eius ostenditur et ipsis sa- 
cris suis humanitatis arguitur». 

u ...Otiosum est ire per singulos». 

21, 4: u Saturnum principem huius 
generis et examinis ». 


Per la divinizzazione dopo morte, Minucio ha considerazioni di- 
verse dai ragionamenti di Tertulliano. Ricorda Romolo fatto Dio per 
lo spergiuro di Procolo, e il re Giuba per il consenso dei Mauri ; fu- 
rono consacrati Dei come si consacrano gli altri re, non per attestare 
la divinità loro, ma per onorare la potestà che hanno esercitato in terra. 
Queste stesse persone che si divinizzano, dice, non ne vorrebbero sapere, 
e sebbene già vecchi declinano quell’onore. Rileva poi l’assurdo di far 
Dei esseri già morti o nati destinati a morire. E perchè non nascono ora 
più Dei? Porse s’ è fatto vecchio Giove o s’ è esaurita Giunone? 0 non è 
da dire anzi che è cessata questa generazione perchè nessuno ci crede 
più ? E del resto se si creassero nuovi Dei, i quali di poi non potreb- 
bero morire, s’avrebbero più Dei che uomini, da non poter essere più 
contenuti nè in cielo, nè nell’aria, nè sulla terra. 

Tutte queste riflessioni di Minucio sono differenti da quelle che 
fa Tertulliano ; sicché in questo punto non vi possono essere riscontri ( 1 ). 


( l ) Però confronta: 

Ad Nationes 1, XVII fine: « ... qui 
deum Caesarem dicitis et deridetis di- 
cendo quod non est, et maledicitis quia 
non vult esse quod dicitis. Mavult enim 
vivere quam deus fieri. 


Min. 21, 10: « Invitis his hoc nom.en 
adscribitur: optant in homine perseve- 
rare, fieri se deos metuunt, etsi iam 
senes nolunt ». 


(155) 


Digitized by Liooole 



— 16 — 


§5. — Degli idoli , delle irriverenti leggende intorno agli Dei , 
degli scandali pagani . 


Nel capitolo XII Tertulliano passa a considerare che cosa sieno 
effettivamente i supposti Dei pagani. E prima parla dei loro simulacri, 
i quali son fatti di materia identica a quella dei vasi e strumenti co- 
muni, o forse dai vasi medesimi artisticamente elaborati. Son dunque 
Dei foggiati per mezzo di battiture, di raschiature, di arroventature ; 
proprio il trattamento che si fa ai Cristiani, di che questi possono 
avere qualche conforto. Se non che questi Dei non sentono i maltrat- 
tamenti della loro fabbricazione, come non sentono gli ossequi dei 
loro fedeli. Tali statue di morti, cui intendono solo gli uccelli e i 
topi e i ragni, non è egli giusto non adorare ? Come sembrerà che 
offendiamo tali esseri, mentre siam certi che non esistono affatto? 

Riflessioni analoghe fa Minucio nei capitoli 23 e 24. Detto 
delle favole mitologiche irriverenti e corrompitrici, nota che le im- 
magini di tali Dei adora il volgo, più abbagliato dal fulgore dell’oro 
e dell’argento che ispirato da fede vera; e richiama l’attenzione sul 
fatto che tali simulacri sono formati dalla mano d’un artista, e se di 
legno, forse reliquia di un rogo o di una forca; sono sospesi e lavo- 
rati con l’accetta e la pialla, se d’oro o d’argento, magari tolto da 
vaso immondo, sono pesti, liquefatti, contusi tra il martello e l’ incu- 
dine, ecc. 

Ecco riscontri: 


a) Tertull. Apoi. XII: « reprehen- 
do... materias sorores esse vasculorum 
instrumentorumque communium ... vel 
ex isdem vasculis et instrumentis... ». 

b) « ... quasi fatum consecratione 
mutantes ... ». 


Min. 23, 12: ... deus aereus vel ar- 
genteus de immundo vasculo, ut acci - 
cipimus factum Aegyptio regi (Amasi, 
Erodoto, II, 172) conflatur, tunditur 
malleis et incudibus figuratur... ». 

u ..nisi forte nondum deus saxum 
est vel lignum vel argentum. Quando 
igitur hic nascitur? ecce funditur, fa- 
bricatur, sculpitur, nondum deus est; 
ecce plumbatur construitur, erigitur, 
nec adhuc deus est; ecce ornatur con - 
secratur oratur, tunc postremo deus est, 
cum homo illum voluit et dedicavit». 


c) « Piane non sentiunt has iniurias « ... nec sentit (lapideus deus) suae 

et contumelias fabricationis suae dei nativitatis iniuriam ita ut nec postea, 
vestri sicut nec obsequia ». de vestra veneratione culturam ». 

(156) 


\ 


Digitized by LiOOQle 


— 17 — 


d) « Statuas .... milvi et mures et « ... Quam acute de diis vestris atti- 

nane ae intellegunt.... ». malia muta naturali ter iudicant ! mures, 

hirurrdines, milvi non sentire eos sci uni ; 
rodunt inculcant insident, ae, nisi abi- 
gatis, in ipso dei vestii ore nidificant ; 
... araneae vero faciem eius intexunt et 
de ipso capite sua fila suspendunt. Vos 
tergetis mundatis eraditis et illos qoos 
facitis, protegitis et timetis ». 

Si noti qui la maggior quantità di particolari in Minucio, il che 
come deva spiegarsi diremo in seguito. Tertulliano invece è poi solo 
nel notare (cap. XIII) che i pagani stessi prendono a gioco ( illudunt ) 
e offendono le loro divività, non riconoscendo tutti le stesse, e trat- 
tando alcuni Dei come i Lari domestici con compre- vendite, pignora- 
menti, incanti, tal quale s’usa per le case cui sono annessi, altre volte 
tsasformando, poniamo, un Saturno in una pentola e una Minerva in 
un mestolo. 

Di nuovo entrambi ricordano, di passata, le strane cerimonie del 
culto pagano (Tertull. cap. XIV in., Min. cap. 24, 3) e rilevano 
le invereconde leggende dai poeti ripetute intorno agli Dei, auspice 
Omero, e l’aver gli Dei combattuto o pei Greci o pei Troiani, e Venere 
ferita, e Marte incarcerato, e Giove liberato per opera di Briareo, ecc., ecc. 

e) Tertull. : « Quanta inverno ludi- Min. 23, 3 : « hic enim ( Homerus ) 

bria! deos inter se propter Troianos et praécipuus bello Troico deos vestros, 

Achivos ut gladiatorum paria congres - etsi ludos facit, tamen in hominum re- 

sos depugnasse, Venererà humana sa- bus et actibus miscuit, hic eorum pa- 

gitta sauciatam , quod filium suum Ae- ria composuit , sauciavit Venererà , Mar - 

nean paene interfectum ab eodem Dio- . tem vinooit vulneravit fugavit. Iovem 
mede rapere vellet, Martem tredecim narrat Briareo liberatum, ne a diis ce- 

mensiìms in vinculis paene consumptum, teris ligaretur, et Sarpedonem filium, 

Iovem ne eandem vim a ceteris caeli- quoniam morti non poterat eripere, 

tibus experiretur, opera cuiusdam mon- cruentis imbribus flevisse , et loro Ver 

stri liberatum , et nunc flentem Sarpe - neris inlectum flagrantius quam in adul- 

donis casum, nunc foede subantem in teras soleat cum Iunone uxore con- 

sororem sub commemoratione non ita cumbere». 

dilectarum iampridem amicarum ». 

L’esempio d’Omero indusse altri poeti a irriverenti invenzioni: 

f) « Quis non poeta ex auctoritate « ... Alibi Hercules stercora egerit, 

principis sui dedecorator invenitur Dee- et Apollo Admeto pecus pascit. Lao- 

rum ? Hic Apollinem Admeto regi pa- medonti vero muros Neptunus instituit 

scendis pecoribus addicit, ille Neptuni (forse: construit) nec mercedem operis 

structorias operas Laomedonti locat. Est infelix structor accipit. Illic (Vulcanus, 

et ille de lyricis (Pindarum dico) qui aggiunge TUrsinus) Iovis fulmen cum 

(157) 2 


Digitized by Liooole 



— 18 — 


Aesculapium canit avaritiae merito, quia Aeneae armis in ineude fabricatur, cum 
avaritiam nocenter exercebat, fulmine caelum et fulmina et fulgura longe ante 
iudicatum. Malus Iuppiter si fulmen il- fuerint quam Iuppiter in Creta nasce- 
lius est, impius in nepotem, invidus in retur... ». 
artifìcem ». 

Dal contesto di Tertulliano apparirebbe ch’egli attribuisse le leggende 
di Apollo pastore presso Admeto e di Posidone operaio al soldo di 
Laomedonte ad altri poeti che ad Omero, mentre è noto che già in Omero 
vi è un cenno di queste leggende (II. B., 766 e <P 447). Ma forse 
Tertulliano aveva in mente ulteriori elaborazioni di dette leggende forse 
in drammi (ad es., per Apollo pastore, l’Alcestide d’ Euripide), come 
dopo fa espressa menzione di Pindaro. In Minucio invece tutte le ri- 
cordate leggende par si attribuiscano ancora ad Omero, il che viene 
a essere inesatto per il racconto di Ercole che scopa le stalle d’Augia, 
in Omero non menzionato, e per il ricordo delle armi di Enea opera 
di Vulcano, tolto da Virgilio non da Omero f 1 ). 

In connessione col precedente argomento, Tertulliano ricorda an- 
cora le irriverenze contro gli Dei scritte dai filosofi, specie dai cinici 
(tra cui pone Varrone, che chiama « il Cinico Romano * e a cui rim- 
provera l’aver introdotto ter centos foves sive Jupitros sine capitibus), 
e quelle peggiori contenute nei mimi (cap. XV) e nella letteratura 
istrionica, aggravati dalla circostanza che gli istrioni spesso rappre- 
sentano essi stessi la divinità, e, dice: vidimus aliquando castratura 
Attin , Mura Deum ex Pessinunte, et qui vivus ardebat Eerculem in - 
dueraL Di tutto ciò nulla in Minucio. Invece di nuovo vanno di con- 
serva nel rinfacciare al paganesimo i sacerdoti corrotti e corruttori. 

g) Apoi. XV: «...in templis adul - Oct. 25, 10: dopo ricordati i molti 

teria componi , inter aras lenocinia incesti delle Vestali, continua: «ubi 

tractari , in ipsis plerumque aedituo- autem magis a sacerdotibus quam inter 

rum et sacerdotum tabernaculis sub aras et delubra condicuntur stupra, 

isdem vittis et apicibus et purpuris tractantur lenocinia , adulterio medi - 

thure flagrante libidinem expungi... ». tantur? frequentius denique in aedi- 

tuorum cellulis quam in ipsis lupana- 
ribus flagrans libido defungitur ». 

Si avverta nel latino di Minucio il meditantur usato passivamente con 
una ripetizione inutile di concetto dopo il condicuntur stupra ; si noti 

( x ) Salvo se V alibi di Minucio voglia interpretarsi: «presso altri autori». 
Ma tale interpretazione ripugna al contesto, perchè poco di poi, ricordato ancora 
Tadulterio di Marte e Venere, e i rapporti di Giove e Ganimede, soggiunge : quae 
omnia in hoc (scil. Homero) prodita ut vitiis hominum quaedam auctoritas pa - 
raretur. 

(158) 


Digitized by LiOOQle 


- 19 — 


pure l’esagerazione del frequentius quam inipsìs lupanaribus che guasta 
il concetto espresso dal plerumque di Tertulliano ; in terzo luogo si 
avverta l’epiteto flagrans attribuito alla libido , in luogo del thure fla- 
grante così significativo di Tertulliano. Infine quel defmgitur , usato 
assolutamente, e con soggetto di cosa in senso di « si sfoga » o in 
quello passivo di « viene saziata » è tanto poco giustificato da altri 
esempi di scrittori latini (*), che fa pensare a un errore del testo. Forse 
in luogo di defmgitur , va letto: expungitur . 

§ 6. — Dell adorazione d'una testa d f asino e del culto della Croce . 

Tertulliano dopo le cose dette, si dispone a venire alla parte po- 
sitiva della sua Apologia, ma prima confuta ancora (cap. XVI) le dicerie 
sparse sul conto de’ Cristiani, che essi adorassero una testa d’asino e 
avessero in venerazione la Croce. Quanto alla prima, ne attribuisce 
l’origine a Tacito, che avendo narrato nel quinto delle Storie l’esodo 
degli Ebrei dall’Egitto, e la sete patita nel deserto, e il fatto che una 
fontana era stata indicata da alcuni asini selvatici, aveva soggiunto 
che gli Ebrei grati a queste bestie del beneficio ricevuto avevano preso 
a venerarle. Di poi la stessa cosa sarebbe stata attribuita ai Cristiani 
come setta affine ai Giudei. Eppure, dice Tertulliano, lo stesso Tacito 
narra bene che quando Pompeo presa Gerusalemme entrò nel tempio, 
non vi trovò alcun simulacro. Piuttosto ai pagani possono i Cristiani 
rinfacciare che i giumenti e gli asini intieri venerano insieme colla 
dea Epona. Quest’ultimo punto, e solo questo, trovasi anche in Minucio 
al cap. 28, 7, onde può riscontrarsi: 

a) Tertull. Apoi. XVI: «Tostameli Min. 28,7: « ... vos et totos asinos 

non negabitis et iumenta omnia et totos in stabulis curri vestra \jveT} Epona con - 
cantherios curri sua Epona coli a vobis » secratis, et eosdem asinos cum Iside 

(cfr. ad Nationes I, XI: « sane vos totos religiose decoratis ». 

asinos colitis et cum sua Epona et 
omnia iumenta et pecora et bestias quae 
perinde cum suis praesepibus consecra- 
tis »). 

0) Impersonalmente trovasi usato defungor in Tee. Adelph., 507 : utinam 
hic sit modo defunctum , « purché la finisca qui » ; e con soggetto di cosa pub 
ricordarsi il barbiton defunctum bello di Orazio, C. 8, 2tf, 3 « la lira ha finito le sue 
battaglie d’amore ». Abbastanza frequente è il defungor usato assolutamente ma con 
soggetto personale come in Ter. Phorm., 1022: cupio misera in hac re iam de- 
funger e in Ovid. Am., 2, 9, 24: me quoque qui toties merui sub amore puellae, 
defunctum placide vivere tempus erat . Sempre defungi ha senso di « finire la 
parte sua, esaurire il proprio mandato ». 

(159) 


Digitized by LiOOQle 



- 20 - 


Il ricordo degli asini nel culto d’ Iside è solo minuciano, e si 
aggiuuge ancora menzione di altri culti strani, come quello del bue 
Api e di altre bestie venerate dagli Egiziani (forse dal De Nat. Deor. 
di Cicerone 1, 82 e 3, 47). 

Quanto al culto della Croce, osserva Tertulliano che anche i pa- 
gani adorano i loro idoli di legno ; sarà dunque question di linee, ma 
la materia è la stessa, sarà question di forma, ma è sempre il corpo 
del creduto Dio. Del resto, dice, le immagini in forma di semplice palo 
della Pallade Attica e della Cerere Paria, che gran differenza hanno 
dal legno della croce? poiché ogni palo piantato verticalmente è una 
parte della croce. Poi gli statuari, quando fabbricano un Dio, si ser- 
vono d’uno scheletro ligneo a croce, tale in fondo essendo la figura 
del corpo umano ; e un sopporto di legno della stessa foggia usasi pure nei 
trofei e nelle insegne militari. Minucio parla di ciò nel cap. 29, 6-8. 
Ecco alcuni riscontri: 

b) Tertull.: « Qui crucis nos reli- 
giosos putat, consecraneus (= correli- 
gionario) erit noster. Cum lignum ali- 
quod propitiatur, viderit habitus dura 
materiae qualitas cadera sit, viderit for- 
ma dum id ipsum Dei corpus sit... Di- 
ximus originem deorum vestrorum a 
plastis de cruce induci » (allusione a Ad 
Nationes I, 12, dove la fabbricazione 
degli idoli con uno scheletro ligneo a 
forma di croce è ampiamente descritta). 

« Sed et Victorias adoratis cum in tro- 
paeis cruces intestina sint tropaeorum. 

Religio Romanorum tota castrensis si- 
gna veneratur... Omnes illi imaginum 
suggestus in signis monilia crucum 
sunt; sipbara illa vexillorum et canta - 
brorum stolae crucum sunt. Laudo dili- 
gentiam. Noluistis incultas et nudas 
cruces consecrare ». 

c) Ad Nationes I, 12 : « Si statueris 
hominem manibus expansis, imaginem 
crucis feceris ». 

Tertulliano poi parla ancora della venerazione del Sole attribuita 
da alcuni ai Cristiani per l’uso loro di pregare rivolti ad Oriente Ma 
anche questo, dice, non è rimprovero che si possa fare ai Cristiani, 

(160) 


Min.: «Cruces... nec colimus nec 
optamus. Yos sane qui ligneos deos 
consecratis cruces ligneas ut deorum 
vestrorum partes forsitan adoratis ». 


« Nani et signa et cantabra et ve - 
xilla castrorum quid aliunt quam inau- 
ratae cruces sunt et ornatae? tropaea 
vestra victricia non tantum simplicis 
crucis faciem verum et adfixi hominis 
imitantur ». 

« Signum sane crucis naturaliter vi- 
simus in navi cum velis tumentibus 
vehitur, cum expansis palmulis labitur ; 
et, cum erigitur iugum, crucis signum 
est,* et cum homo porrectis manibus 
deum pura mente veneratur ». 


Digitized by Liooole 


— 21 - 


praticando anche i pagani la preghiera al levar del sole. E se i Cri- 
stiani fanno festa il giorno del sole (la domenica), fanno ciò per ben 
altra causa che la religione del sole : pure i pagani nel dì di Saturno 
(il sabato) si davano all’ozio e al mangiare, scimiottando, a sproposito, 
i Giudei. Di ciò nulla in Minucio. 

Infine nell’Apologetico ricordasi la pittura da un miserabile mu- 
lattiere messa in pubblico, a Roma, rappresentante una figura umana 
con orecchie d’asino, e l’un dei due piedi ungulato, vestito di toga e 
con un libro in mano, appostavi la iscrizione: Deus Christianorum 
òvoxoirjtrjQ. Era un Giudeo l’autore di questo indecente scherzo (ad 
Nat . 1, 14); e la gente ci credette e per tutta la città scorreva sulle 
bocche quell’ Onocoetes. Ma di tali mostri, soggiunge, veneransi più 
fra i pagani che tra cristiani; chè essi hanno accolto tra i loro Dei 
esseri con testa di cane e di leone, e corna di capri e d’ariete, e 
coda di serpenti, alati le spalle o i piedi. Un fuggevole ricordo di 
tali mostri è anche in Minucio, che del resto si tace: 

d) Tertull. : « Illi debebant adorare 
statim biforme numen, quia et canino 
et leonino capite commixtos , et de ca- 
pro et de ariete cornutos, et a lumbis 
hircos et a cruribus serpentes et pianta 
vel tergo alites deos receperunt » . 

Solo è invece Minucio a scagionare i Cristiani dell’accusa di ado- 
rare sacerdoti virilia; alla quale occasione ritorce contro gli avver- 
sari la taccia di impudicizia, ricordando le licenze sessuali onde quei 
cinedi si disonoravano. 


Min. 28, 7 : « item bonra capita et 
capita vervecum et immolatis et colitis, 
de capro etiam et de homine mixtos 
Deos et leonum et canum vultn deos 
dedicatis ». 


§ 7. — Del Dio unico e vero. 

Ma venendo ornai alla parte positiva della dottrina, Tertulliano 
nel cap. XVII della sua opera celebra il Dio unico, creatore del cosmo, 
invisibile sebben si veda, incomprensibile sebbene in via di grazia di- 
venga presente, inestimabile sebbene coll’umano sentimento si stimi. 
E in quanto si vede, si comprende, si stima, Egli è minore dei 
nostri occhi, delle nostre mani, dei nostri sensi; ma in quanto im- 
menso, a sè solo è noto. Così la sua stessa grandezza lo rende noto e 
ignoto insieme a noi. Ecco appunto il gran delitto, consistente nel 
non voler riconoscere Dio, mentre non si può ignorare. Non lo atte- 
stano le sue opere? non lo attesta la stessa anima? la quale sebbene 

( 161 ) 


Digitized by LiOOQle 



— 22 - 


incarcerata nel corpo, svigorita dalla concupiscenza, fatta ancella di 
falsi Dei, pure quando rientra in sè e sente la sua sanità naturale, 
esce fuori in esclamazioni, quali: « Dio buono e grande! », e: « ci 
sia propizio Iddio ! », e : « Dio vede », e : « a Dio ti raccomando » e 
simili; e queste cose, esclama, non rivolta al Campidoglio, ma al Cielo, 
sede naturale del Dio vivo. In Minucio la parte positiva del discorso, 
per quel che riguarda la filosofia o teologia razionale, precede la parte 
polemica o negativa. Del Dio unico parla Ottavio in principio del suo 
discorso, e nel cap. 18, 7 trovansi diversi luoghi paralleli a passi di 
Tertulliano. Eccoli: 

a) Tertull. : « ... deus ... totam molem 
istam ... verbo quo iussit, ratione qua 
disposuit, virtute qua potuit de nihilo 
expressit » . 

Per il dispensare in confronto col 
disponere, vedi Cic. Orai. 1, 31 : inventa 
non solum ordine sed edam momento 
quodam atque iudicio dispensare atque 
disponere . 

b) « Invisibilis est ... incomprehensi- 
bilis... inaestimabilis ». 

ò) « ... quod immensum est, soli sibi 
notus est ». 

d) « Anima ... cum sanitatem suam 
patitur, deum nominat... * Deus bonus 
et magnus * et ‘ quod Deus dederit 1 
omnium vox est. Iudicem quoque con- 
testato illum ‘ Deus videt ’ et * Deo 
commendo, et * Deus mihi reddet \ 0 
testimonium animae naturaliter Chri- 
stianae! Denique pronuntians haec non 
ad Capitolium sed ad caelum respicit». 

Su questo tema dell’anima naturalmente cristiana è noto che Ter- 
tulliano scrisse più tardi un opuscoletto a parte intitolato appunto 
De testimonio animae , dove le stesse idee sono esposte con maggiore 
ampiezza ed efficacia. 


Min. : « qui (Deus) universa quae- 
cumque sunt verbo iubet, ratione dis ■ 
pensai , virtute consummat». 


18, 8: « hic non videri potest... nec 
comprendi potest... nec aestimari ». 

u Immensus et soli sibi tantus quan- 
tus est notus ». 

« Audio vulgus; cum ad caelum ma* 
nus tendunt, nihil aliud quam * o Deus ’ 
dicunt et ‘ Deus magnus est ’ et * Deus 
verus est’ et ‘ si Deus dederit’. Yulgi 
iste natoalis sermo est an Christiani 
confidente oratio ? » 


§ 8. — Forili letterarie del Cristianesimo — Cristo Dio e uomo. 

I capitoli XVIII e XIX dell’Apologetico sono importanti per le 
indicazioni delle fonti letterarie della dottrina cristiana. ^Ricordati i 
primi storici ispirati dall’Ebraismo e i profeti e i libri ebraici tradotti 

(162) 


Digitized by Liooole 



— 23 


in greco dai Settandue per suggerimento di Demetrio Falereo al tempo 
<ìi Tolomeo Filadelfo (l a metà del 3° sec. av. C.), ricordata l’antichità 
dei primi scrittori ebraici molto maggiore di qualsiasi memoria greca, 
e fatto anche un cenno di altre fonti storiche greche, egiziane, caldee, 
fenicie fino a Giuseppe Ebreo, notata la concordia e completezza delle 
profezie che pronunziarono gli avvenimenti secondo verità, e hanno 
acquistata autorità sicura anche per le cose ancora da venire (cap. XX), 
Tertulliano espone nel cap. XXI la dottrina di Cristo uomo e Dio. 
La teoria della Trinità divina in unità di sostanza è qui già chiara- 
mente formolata, e confermasi l’idea del Àóyog, o parola o ragion 
divina artefice dell’universo, con testimonianze di antichi filosofi. Poi 
si riassume la storia di Gesù e ricordasi la divulgazione della dot- 
trina di lui fatta dagli Apostoli, fino alla persecuzione neroniana. Ecco 
dunque, conchiude, qual’ è la nostra fede, che noi sosteniamo anche 
fra i tormenti : Deum colimus per Christum . Cristo è uomo ma in 
lui e per lui Dio vuol essere riconosciuto e adorato. 

Di questa, che è la sostanza del Cristianesimo, Minucio tace 
affatto; non nomina neppur Cristo, pur parlando a ogni piè sospinto 
de’ Cristiani. È questo il lato debole dell’ Ottavio. Solo in un punto 
uvvi una non chiara allusione alle dottrine dell’uomo-Dio, cap. 29, 2, 
uve per iscagionare i correligionari dall’accusa di venerare un delin- 
quente dice : « molto siete lungi dal vero, se ritenete si creda da noi 
deum aut meridie ìioxium aut potuisse terrenum , che un Dio o si 
rendesse colpevole da meritar supplizio o potesse come cosa terrena 
subirlo » ; parole non abbastanza chiare nel testo latino, e che diedero 
luogo a ben disparate interpretazioni. Minucio in questo luogo è rimasto 
inferiore a sè stesso, nè s’avvide come questa dottrina fondamentale 
meritava più ampio svolgimento in una difesa del resto eloquente e 
sentita della nuova religione. 


§ 9. — Dell’ esistenza degli spiriti , buoni e cattivi . 

Continuando Tertulliano la esposizione sua, nei capitoli XXII-XXIY 
parla dell’esistenza di sostanze spirituali, esistenza ammessa già dai 
filosofi e poeti antichi come dal volgo; e, ricordata la caduta di al- 
cuni angeli e l’origine dei demoni, parla dell’opera di costoro tutta 
rivolta a dannar l’uomo; son essi che eccitano le più strane passioni 
u pazzi capricci e corruttele dell’anima; son essi che ingenerano la 
fede negli Dei falsi e bugiardi, e, colla loro rapidità di movimenti e 

( 163 ) 


Digitized by LiOOQle 



— 24 — 


parziale notizia del vero anche futuro, ispirano oracoli e vati, e in tutto 
contribuiscono a ingenerare inganni e deviar la mente dal vero Dio. 
I miracoli dei maghi son da loro ; da loro spesso i sogni e ogni specie 
di divinazione. La più bella prova di ciò, dice Tertulliano, è questa 
che se uno invaso da un demone si trovi in faccia a un Cristiano, e 
questi dia ordine al demone di parlare, quegli senz’altro si confesserà, 
quel che è ; e così pure quelli che son creduti invasi da un Dio, in 
presenza d’un cristiano confessano di essere nient’ altro che demoni. Il 
nome di Cristo basta ad atterrire questi esseri ; una prova di più cho 
il nostro è l’unico Dio e vero, e che non esistono gli Dei pagani. Sic- 
ché si vede quanto poca regga l’accusa di lesa religione romana, mentre 
di vera irreligiosità si macchiano gli avversari coll’ adorare i falsi Dei, 
e diversi nelle diverse regioni, e altresì coll’ impedire a noi il culto* 
del vero Dio. 

Tali pensieri trovansi su per giù anche in Minucio. Cominciando* 
dal cap. 26, 7, Ottavio discorre degli spiriti mali, degradati dalla 
loro primiera innocenza e tutti intenti a perdere anche gli altri. Tale 
discorso continua pel rimanente del cap. 26 e per tutto il seguente r 
offrendo vari luoghi paralleli a Tertulliano. 


a) Tertull. Apolog, XXII: « Sciunt 
daeraones philosophi, Socrate ipso ad 
daemonii arbitrium exspectante. Quidni? 
cum et ipsi daemonium a pueritia adhae- 
sisse dicatur, dehortatorium piane a bo- 
no. Omnes sciunt poetaen. 


Min. 26, 9 : « eos spiritus daemones- 
esse poetae sciunt , philosophi disserunt, 
Socrates novit, qui ad nutum et arbi- 
trium adsidentis sibi daemonis vel de- 
eli nabat negotia vel petebat ». 


Il demonio socratico è da Tertulliano giustamente detto debortatorium 
a borio; meno esattamente Minucio gli attribuisce efficacia e positiva 
e negativa contro la nota verità storica. 


b) u Quid ergo de ceteris ingeniis 
vel etiam viribus fallaciae spiritalis e- 
disseram? phantasmata Castorum , et 
aquam cribro gestatara, et navem cin- 
galo promotam f et barbam tactu inru- 
fatam, ut numina lapides crederentur 
et deus verus non quaereretur ? » 


Min. 27, 4: « de ipsis (daemoni- 
bus) etiam illa quae paullo ante tibi 
dieta sunt, ut Iuppiter ludos repeteret 
ex somnio, ut cum equis Castores vi - 
derentur, ut cingulum matronae navi - 
cula sequeretur » (cfr. c. 7, 3). 


Tali esempi di miracoli erano conosciuti volgarmente dai libri relativi 
all’arte divinatoria, e in riassunti dottrinali non fa meraviglia di veder 
citati or gli uni or gli altri. 

(164) 


Digitized by Liooole 



— 25 — 


c) Tertull.: « Iussus aquolibet chri- 
fitiano loqui spiritus ille tam se daeran- 
nem confitebitur de vero quam alibi 
•dominum de falso ». 

d) «Aeque producatur aliquis ex his 
qui de deo pati existiraantur ... Ista 
ipsa Virgo caelestis pluviarum pollici- 
tatrix, ipse iste Aesculapius medicina- 
Tum demonstrator... nisi se daemones 
■confessi fuerint Christiano mentiri non 
audentes etc. ... ». 

e) « ...vobis praesentibus erubescen- 
tes. Credite illis, cura verum de se lo- 
quuntur, qui mentientibus creditis. Ne- 
mo ad suum dedecus mentitur, quin 
potius ad honorem ». 

f) « ... de corporibus nostro imperio 
«xcedunt inviti et dolentes ». 


.... sciunt pleraque pars vestrum ipsos 
daemonas de se met ipsis confiteri , 
quotiens a nobis tormentis verborura 
et oratìonis incendiis de corporibus 
exiguntur ». 

« Ipse Saturnus et Serapis et Iup- 
piter... vieti dolore quod sunt eloquun- 
tur ... ». 


« ... nec utique in turpitudinem sui , 
nonnullis praesertim vestrum adsisten- 
tibus mentiuntur . Ipsis testibiis esse 
eos daemonas credite fassis ». 

« ... adiurati per deum verum et so- 
lum inviti miseri corporibus inhorre- 
scunt et... exsiliunt ». 


Un altro riscontro ancora notasi volgendo rocchio al cap. XXVII di 
Tertulliano ove si riprende il discorso degli angeli e dei demoni. 


g) u Licet subiecta sit nobis tota vis 
■daemonum et eiusmodi spirituum, ut 
nequam tamen servi metu nonnunquam 
■contumaciam miscent, et laedere ge- 
stiunt quos alias verentur. Odium enim 
etiam timor spirat». 


« Inserti mentibus imperitorum o- 
dium nostri serunt occulte per timorem ; 
naturale enim est et odisse quem ti- 
meas et quem oderis infestare si possis». 


In Tertulliano sono i demoni che temendo i Cristiani, appunto per ciò 
qercano di offenderli, perchè il timore partorisce odio. In Minucio si 
fa che i demoni insinuino nei pagani Todio contro i Cristiani per mezzo 
del timore. Ma ciò, si noti, è meno naturale, perchè i pagani non ave- 
vano nessuna ragione di temere i Cristiani. Li odiavano invece senza 
conoscere la loro dottrina ; ma ciò non ha a che fare col timore. Non 
a proposito dunque Minucio fece sua quest’osservazione psicologica del- 
l’odio figlio del timore. 

Infine a riguardo della varietà politeistica, nel cap. XXIV Ter- 
tulliano ricorda le bestie venerate in Egitto ; e qui è da fare un raf- 
fronto con Minucio cap. 28, 8. 


h) Tertull. XXIV : « Aegyptiis per- 
missa est tam vanae superstitionis po- 
testas avibus et bestiis consecrandis et 
capite damnandis qui aliquem huius - 
modi deum occiderint ». 


Min.: « nec eorum (Aegyptiorum) 
sacra damnatis instituta serpentibus, 
crocodilis, belluis ceteris et avibus et 
piscibus, quorum aliquem deum si quis 
occiderit etiam capite punitur ». 


( 165 ) 


Digitized by LiOOQle 



— 26 — 


§ 10. — Se Bontà dovesse proprio la sua grandezza 
alla religione tradizionale . 

Una delle ragioni che i pagani opponevano più frequentemente 
alle censure dei loro Dei fatte dai seguaci del Cristo, era questa che 
a buon conto Roma doveva la sua grandezza alla religiosità tradizio* 
naie e al rispetto degli Dei e delle cerimonie istituite in loro onore. 
Di questa idea appunto si fa interprete Cecilio Natale presso Minucio 
nel suo discorso in difesa del paganesimo, capitoli 6 e 7. I Cristiani 
dovettero ribattere queste ragioni, mostrando che Roma se era grande 
non doveva nulla ai falsi Dei. Tertulliano svolge questo punto nel ca- 
pitolo XXV dell’Apologetico. Con ironia comincia a chiedere se Dei 
quali Stercolo e Mutuno e Larentina hanno potuto promuovere T im- 
perio ; poiché, dice, non è da supporre che Dei forestieri, come la Gran 
Madre, favorissero Roma, a detrimento dei loro fedeli indigeni. Del 
resto, soggiunge, molti Dei romani furono prima re ; da chi ebbero la 
podestà regia? Forse da qualche Stercolo. E il potere di Roma già 
era, molto prima che si costituisse il culto ufficiale, e che di idoli 
greci ed etruschi fosse inondata la città. Ma poi tutta la storia ro- 
mana è prova di irreligiosità piuttostochè di religiosità. Guerre e 
conquiste di città come si fanno senza ingiuria agli Dei, senza distru- 
zione di templi e stragi di cittadini e di sacerdoti, e rapine di ric- 
chezze sacre e profane? E come può essere che gli Dei delle città 
vinte tollerino poi d’essere adorati dai conquistatori ? Non possono dunque 
essersi fatti grandi per merito della religione quelli che crebbero col- 
l’offenderla o crescendo l’offesero. 

Anche Ottavio in Minucio, cap. 25, svolge questi pensieri, ricor- 
dando le scelleratezze compiute da Romolo in poi, e mostrando la im- 
probabilità che i Romani siano stati aiutati dai loro Dei vernacoli come 
Quirino, Pico, Tiberino, Conso, Pilunno, Volunno, Cloacina, il Pavor 
e il Pallor , la Febbre, Acca Laurenzia e Flora; tanto meno li aiuta- 
rono gli Dei forestieri come Marte Tracio, Giove Cretese, Giunone o 
Argiva o Samia o Punica che dir si voglia, Diana Taurica, la madre 
Idea, o le non divinità ma mostruosità egiziane, (ricordi attinti a Ci- 
cerone e Seneca, v. ediz. Waltzing, pag. 185). Ecco qualche riscontra 
con Tertulliano: 

a) Tertull. : « Tot igitur sacrilegia Min. 25, 6 : « totiens ergo Romania 

Romanorum quot tropaea, tot de deis impiatum est quotiens triumphatum, 

quot de gentibus triumphi , tot manu- tot de diis spolia quot de gentibus et 

biae quot manent adhuc simulacra capti- tropaea ». 
vorum Deorum ». 


( 166 ) 


Digitized by Liooole 



- 27 — 


b) « Omne regntim vel imperium 
bellis quaeritur et victoriis propagata. 
Porro bella et victoriae captis et eversis 
plurimum urbibus Constant. Id nego- 
tium sine deorum ini uria non est. Eadem 
strages moenium et templorum pares 
caedes civium et sacerdotum , nec dissi- 
miles rapinae sacrarum divitiarum et 
profanarum ». 

c) Tertull. c. XXVI: « Videte igitur 
ne ille regna dispenset cuius est et orbis 
qui regnata et homo ipse qui regnat... 
Regnaverunt et Babylonii ante ponti - 
fices et Medi ante XVriros et Aegyptii 
ante Salios et Assyrii ante Lupercus, 
et Amazones ante Virgines V est ale s ». 


« ... civitates proximas evertere cum 
templis et altaribus ... disciplina com- 
raunis est Ita quicquid Romani tenent 
colunt possident, audaciae praeda est: 
tempia omnia de manubiis, i . e . de 
ruinis urbium, de spoliis deorum, de 
caedibus sacerdotum. Hoc insultare et 
inludere est.... adorare quae manu ce- 
peris, sacrilegium est consecrare non 
numina ». 

Min. 25, 12: « ante eos (Romanos) 
deo dispensante diu regna tenuerunt 
Assyrii, Medi, Persae, Graeci etiam et 
Aegyptii, cum pontifices et arvales et 
salios et vestales et augures non ha- 
berent nec pullos caveas reclusos quo- 
rum cibo vel fastidio reip. summa re- 
geretur ». 


§ 11. — Bel culto verso gl’ Imperatori. 

Per non volere i Cristiani sacrificare agli idoli, erano tacciati sì 
di irreligiosità, ma non potevano essere processati per questo, essendo 
ciascuno libero di avere, come gli piaccia, favorevoli o sfavorevoli gli 
Dei. Formale accusa invece si moveva loro per non volere sacrificare 
in onore dell’ imperatore divinizzato, e chiamavan questo lesa maestà. 
Di ciò parla Tertulliano nel cap. XXVIII. La cosa si capisce, die egli ; 
voi avete più paura e usate furbescamente più riguardi a Cesare che 
a Giove stesso in Cielo. In fondo avete ragione; perchè un vivo vai 
più dun morto. Ma commettete voi in questo colpa d’irreligiosità, 
dando la preferenza a una dominazione umana; e più presto si sper- 
giura da voi per tutti gli Dei che per il solo genio di Cesare. 

A questo punto è a notare una lieve somiglianza col discorso di 
Ottavio presso Minucio, là dove rimprovera i pagani del prestar culto 
divino ad un uomo, e dell’ invocare un nume che non c’ è ; pure, dice, 
è per loro più sicuro spergiurare per il genio di Giove che per quello 
del re. 

a) Tertull. c. XXVIII: « citius de- Min. 29,5: «et est eis tutine per 

nique apud vos per omnes Deos quam Ioyìs genium peierare quam regis ». 
per unum genium Caesaris peieratur ». 


( 167 ) 


Digitized by LiOOQle 



- 28 — 


§ 12. — Delle preghiere cristiane e dei rapporti fra Cristiani. 

Segue in Tertulliano un gruppo di capitoli bellissimi, dal XXIX 
al XXXIV, in cui con calorosa eloquenza si fa vedere quanto più 
onesti ed efficaci voti facessero i Cristiani pregando per la salute del- 
l’ imperatore il Dio uno e vero, e a cbi solo può dare chiedendo per 
lui lunga vita, securo imperio, casa tranquilla, forte esercito, senato 
fedele, popolo probo, mondo quieto; e ciò non con apparati di culto 
esterno, ma con sincerità d’anima e innocenza di vita (cap. XXX). 
I Cristiani, dice, hanno imparato dal loro Maestro a pregare anche per 
i nemici e i persecutori (cap. XXXI); e nel far voti per la diutur- 
nità dell' impero, sanno di ritardare quel cataclisma che minaccia al- 
l’orbe universo la fine (cap. XXXII). Ma non possono chiamare Dio 
l’ imperatore senza derisione di lui e ingiuria al vero Dio (cap. XXXIII 
e XXXIV). Perchè dunque saranno qualificati come « nemici pubblici » ? 
Forse perchè si astengono dalle licenziose feste pubbliche celebrate a 
solennizzare qualche lieto avvenimento della casa imperiale? A buon 
conto, non dai Cristiani, ma dal novero dei Komani escono e i Cassii 
e i Nigri e gli Albini, cioè i ribelli all’autorità imperiale; i quali 
pure avevan preso manifesta parte alla feste pubbliche e ai pubblici 
voti per la salvezza dell’ imperatore (cap. XXXV). La vera sudditanza 
e fede dovuta all’autorità sta nei buoni costumi e nei rapporti d’onestà 
quali noi Cristiani serbiamo con tutti (oap. XXXVI). Amando noi i 
nostri nemici, chi possiamo ancora odiare ? Inibita a noi la vendetta, 
chi possiamo offendere? Quando mai i Cristiani pensarono a vendi- 
carsi neppure del volgo che li malmenava, non rispettando nemmeno 
i morti? Eppur quanto facimente avrebber potuto preparare le loro 
vendette in segreto, o anche dichiarare aperta guerra, tanto numerosi 
essi già sono in tutte le città, nelle isole, nei municipi, nei campi 
militari, nel senato stesso e a corte ! Potevano anche senz’armi pugnare, 
ritirandosi in qualche angolo remoto del mondo e lasciando dietro sè 
una spaventosa solitudine. Eppure ci avete chiamati « nemici del ge- 
nere umano», anziché « dell’errore umano» ! (eap. XXXVII). Che ra- 
gion vi era di non considerare la nostra setta come una factio licita, 
dal momento che non facciamo nulla che turbi la società, e produca 
divisioni, attriti, violenze? Una repubblica sola noi riconosciamo, il 
mondo. Ai vostri spettacoli rinunziamo, perchè ne conosciamo l’origine 
dalla falsa religione. In che v’offendiamo, se abbiamo altri gusti e 
piaceri? (cap. XXXVIII). L’unità della fede e della speranza ci unisce 

( 168 ) 


Digitized by LiOOQle 



— 29 — 


e ci affratella. Ci aduniamo a pregare e a leggere i libri santi; ivi 
ci esortiamo a far bene, e ci rimproreriamo se manchiamo ai nostri 
doveri. Si contribuisce un tanto al mese per alimentare i poveri e so- 
stenere le spese delle sepolture e dei derelitti. Il nostro mutuo amore 
4, dà noia agli avversari, perchè essi si odiano, noi siamo pronti a mo- 

rire l’un per l’altro, quelli ad uccidersi l’un l’altro. Ci riconosciamo 
fratelli, perchè abbiamo lo stesso padre Iddio,, e come si mescolano le 
nostre anime, così mettiamo in comune le sostanze. Tutto è da noi 
accomunato, salvo le mogli. Le nostre cene sono parche e denominate 
con parola significante « amore », e lì si prega prima di mangiare come 
dopo, e si canta, chi sa farlo, in onor di Dio. Che male c’ è, o a chi 
torna di danno tutto ciò, da parlare di factìo illicita ? (cap. XXXIX). 

A questo punto, il dialogo di Minucio offre qualche possibilità di 
riscontro con l’Apologetico. Giacché, dopo confutata l’accusa di cene 
incestuose, Ottavio nel suo discorso prende subito a celebrare l’ inno- 
cenza dei costumi cristiani, e qua e là il suo pensiero corre parallelo 
a quel di Tertulliano. 

a ) Tertull. c. XXXIX, fin.: « haec Min. 31,6: « ... nec factiosi (così 

coitio Christianorum merito damnanda THerald; il cod. ha: ‘fastidiosi 1 ) su- 

I si quis de ea queritur eo titillo quo de mus, si omnes unum bonura sapimus 

factionibus querela est. In cuius perni- eadem congregati quiete qua singuli...». 
ciem aliquando convenimus? Hoc su- 
mus congregati quod et dispersi, hoc 
universi quod et singuli , neminem lae- 
dentes, neminem contristantes ». 

b) « Sed eiusmodi vel maxime dile- « .... sic mutuo, quod doletis amore 

ctionis operatio notam nobis inurit pe- diligimus, quoniam odisse non novimus, 

nes quosdam. Vide, inquiunt, ut in vicem sic nos, quod invidetis, frati es vocamus, 

se diligant; ipsi enim invicem oderunt; ut unius dei parentis homines, ut con- 

et ut prò alterutro mori sint parati; sortes fidei, ut spei coheredes. Yos enim 

ipsi enim ad occidendum alterutrum pa- nec invicem adgnoscitis, et in mutua 

ratiores erunt. Sed et quod fratres nos odia saevitis, nèc fratres vos nisi sane 

vocamus, non alias opinor, insaniunt ad parricidium recognoscitis ». 

quam quod apud ipsos omne sanguinis 
nomen de affectione simulatum est. Fra- 
y tres autem etiam vestri sumus... at 

quanto dignius fratres et dicuntur et 
habentur qui unum patrem Deum agno- 
verunt, qui unum spiritum biberunt san- 
ctitatis, qui de uno utero ignorantiae 
eiusdem ad unam lucem exspiraverunt 
veritatis ». 

( 169 ) 


Digitized by ooole 



- 30 - 


Altri riscontri parziali: 

c) Tertull. c. XXX : « ei (Deo) offero 
opimam et maiorem hostiam... oratio- 
nem de carne pudica, de anima inno- 
centi, de spiritu sancto profectam ». 

d) Tertull. c. XXXVIII : « Aeque spe- 
ctaculis vestris in tantum renuntiamus 
in quantum originibus eorum, quas sci - 
mus de superstitione conceptas, cupi et 
ipsis rebus de quibus transiguntur prae- 
tersumus. Nihil est nobis dictu, visu, 
auditu cum insania circi, cum impudi- 
citia theatri, cum atrocitate arenae, cum 
xysti vanitate ». 


Min. 32, 3 : « qui innocentiam colit 
Deo supplicat, qui iustitiam Deo libat... 
qui hominem periculo subripit, opimam 
(il cod. ha optimam) vidimavi caedit ». 

Id. 37, 11 : a nos. . merito malis vo- 
luptatibus et pompis et spedaculis ve- 
stris abstinemus, quorum et de sacris 
originem novimus , et noxia blandimenta 
damnamus. Nam in ludis circensibus 
(così leggo io, il cod. ha: currulibus) 
quis non horreat populi in se rixantis 
insaniam ? in gladiatoriis homicidii di- 
sciplinami? in scenicis etiam non minor 
furor et turpitudo prolixior ; nunc enira 
mimus yel exponit adulteria vel mon- 
strat, nunc enervis histrio amorem dum 
fingit infigit ». 


§ 13. — Bei disastri pubblici non imputabili ai Cristiani 
e della loro innocenza di vita . 

I capitoli XL e XLI dell’Apologetico contengono la confutazione 
dell’accusa che delle pubbliche calamità fossero causa i Cristiani, come 
8’ andava già fin d’allora vociferando, e si seguitò a dire per molte ge- 
nerazioni. Tertulliano ricorda molti cataclismi, isole scomparse, terre- 
moti e maremoti, e il diluvio, e l’ incendio di Sodoma e Gomorra, di- 
sastri avvenuti tutti avanti al Cristianesimo. E col distruggersi delle 
città, dice, si distruggevano anche i templi degli Dei; prova che non 
veniva da loro ciò che anche a loro accadeva. Bensì il Dio unico e 
vero non poteva essere propizio a chi ne disconosceva i favori. Del 
resto, i mali ora sono minori di prima, e ciò è dovuto alle preghiere 
dei Cristiani che disarmano l’ira divina. Che se il nostro Dio per- 
mette i disastri anche a danno de' suoi cultori, ciò non ci stupisce nè 
sgomenta, aspirando noi a vita più alta e migliore. Di tutto questo in 
Minucio non v’ è parola. 

Altro titolo d’ ingiurie contro i Cristiani era il ritenerli alieni 
dagli affari e disutili al commercio locale. Tertulliano dedicò a questo 
argomento i capitoli XLII e XL1II, dove fa vedere l' insussistenza di 
questo rimprovero. Vivevano bene i Cristiani come gli altri, serven- 
dosi e dei mercati e delle botteghe e delle officine e dei bagni pub- 

( 170 ) 


Digitized by LiOOQle 


- 31 — 


blici. Che se si astenevano da certi usi, se non si coronavano di fiori 
la testa, se non intervenivano agli spettacoli, se non sovvenivano i 
templi pagani coi loro contributi, avevano bene ragione di farlo. E del 
pari certo quattrini non ricevevano da loro nè i lenoni, nè.i sicari, 
nè i magi, nè gli aruspici, nè altri tali ; ma in compenso i Cristiani 
eran tutte persone innocue da non dar ombra a nessuno. 

Qui, rispetto alluso di portar corone di fiori in capo, si può con- 
frontare : 


a) Tertull. c. XLII: « ...non amo 
capiti coronam. Quid tua interest, em- 
ptÌ8 nihilominus floribus quomodo utar ? 
Puto gratius esse liberis et solutis et 
undique vagis. Sed etsi in coronam 
coactis, nos coronam nariòus novimus, 
viderint qui per capillum odorantur». 


Min. c. 38, 2 : « quis autem ille qui 
dubitat vernis indulgere nos floribus, 
cum capiamus et rosam veris et lilium 
et quicquid aliud in floribus blandi co- 
loris et odoris est? his enim et sparsis 
utimur, mollibus ac solutis, et sertis 
colla complectimur. Sane quod caput 
non coronamus, ignoscite; auram bo- 
nam floris nariòus ducere non occipitio 
capillisve solemus haurire ». 


1 due capitoli che seguono in Tertulliano, il XLIV e il XLY, 
sono rivolti a segnalare l’ innocenza dei Cristiani, proveniente dal se- 
guire essi una legge non umana ma divina, e dal considerarsi come in 
presenza di Dio sempre, di Dio scrutatore, giudice e vindice. 


b) Terlull. c. XLIV : « Tot a vobis 
nocentes variis criminum elogiis recen- 
sentur; quis illic sicarius, quis manti- 
cularius, quis sacrilegus aut corruptor 
aut lavantium praedo, quis ex illis etiam 
Christianus adscribitur? aut cum Chri- 
stiani suo titulo offeruntur, quis ex illis 
etiam talis qttales tot nocentes? De 
vestris semper aestuat career , de vestris 
semper metalla suspirant, de vestris 
semper bestiae saginantur, de vestris 
semper munerarii noxiorum greges pa- 
scunt. Nemo illic Christianus nisi piane 
tantum Christianus , aut si et aliud iam 
non Christianus ». 

c) Id. XLV : « quid perfectius, prò- 
hibere adulterium, an etiam ab o culo- 
rum solitaria concupiscentia arcere ? » 

XLVI: u Christianus uxori suae 
soli masculus nascitur ». 


Min. 35, 6: « ... de vestro numero 
career exaestuat , Christianus ibi nullus 
nisi aut reus suae religionis aut'pro- 
fugus ». 


Id. ibid. : « vos enim adulteria prò - 
hibetis et facitis, nos uxoribus nostris 
solummodo viri nascimur ... ». 


(171) 


Digitized by LiOOQle 



- 32 


§ 14. — Delle dottrine filosofiche antiche 
o diverse dalle cristiane o dai libri santi ispirate . 

Pur vinti da tanta copia di fatti e bontà di ragioni, non si ar- 
rendevano gli avversari de’ Cristiani, e, a corto d’altri argomenti, fini- 
vano con dire che in sostanza le massime cristiane non erano cosa 
nuova, ma erano già state professate e praticate dai filosofi. Di ciò 
Tertulliano nel capitolo XLYI, dove istituisce un eloquente confronto 
tra le massime e la vita pagana da una parte e i precetti e costumi 
cristiani dall’ altra, per dimostrare la superiorità dei secondi. Qui un 
riscontro con Minucio: 

a) Tertull. c. XLVI: a ... licet Plato Min. c. 19, 14: u Platoni... in Ti- 

adfirmet factitatorem universitatis ne- maeo deus est ipso suo nomine mundi 

que inveniri facile et inventum enar- parens, artifex animae, caelestium ter- 
rari in omnes difficile. Cfr. Plat. Tim. renorumque fabricator, quem et inve- 

p. 28 C : « Tòv fxhv noirjrijy xai nire difficile praenimia et incredibili 

naréga tovóe tot) navròg eògeìv re eg- potestate (cfr. 26, 12: * Plato qui inve- 
lo!', xai etigóvia elg ndvrag àóvvarov nire Deum negotium credidit ... *), et 

Xéyeivn. cum inveneris in publicum praedicere 

impossibile praefatur». 

Non può negarsi, riconosce Tertulliano (cap. XLVII), che i filosofi 
antichi hanno espresso molte cose vere, ma queste son derivate dalla 
fonte dei nostri profeti. E queste stesse verità sono involute e com- 
mescolate a ipotesi e opinioni disparatissime, sicché poi questi filosofi 
sono in completo disaccordo gli uni cogli altri. Tale varietà d’opinioni 
pur troppo venne anche introdotta nella setta cristiana, sicché bisognò 
prescrivere ai nostri adulteri, quella essere regola di verità la quale 
venga a noi trasmessa da Cristo per mezzo de’ suoi compagni. Per queste 
adulterazioni della verità, insinuate dagli spiriti dell’errore, certi prin- 
cipii già si trovano tra i pagani, come il giudizio finale delle anime, 
le pene dell’inferno e il soggiorno delizioso degli Elisi, ma tali prin- 
cipii in quanto hanno del vero, sono di origine nostra. 

b) Tertull.: « quis poetarum, quis Min. 34, 5: « animadvertis philoso- 

sophistarum,qui non omnino de prò- pbos eadem disputare quae dicimus, 

pbetarum fonte potaverit?... » non quod nos simus eorum vestigia 

u Unde baec ... nonnisi de nostris sa- subsecuti, sed quod illi de divinis prae- 

cramentis? Si de nostris sacramentis, dictionibus profetarum umbram inter- 

ut de prioribus, ergo fideliora sunt no- polatae veritatis imitati sint ». 
stra magisque credenda, quorum ima- 
gines quoque fìdem inveniunt». 

( 172 ) 


Digitized by Liooole 



— 33 — 


§ 15. — Della resurresione finale e del fuoco eterno. 


Una delle credenze cristiane più combattute e derise dagli av- 
versarli, era quella della resurrezione finale dei corpi e del ritorno delle 
anime in que’ corpi che già avvivarono. A questo dogma dedica Ter- 
tulliano il cap. XLYIII, adducendo la ragione della divina onnipo- 
tenza, che come ha dal nulla creato il mondo, così può far risuscitare 
i corpi morti. Non è quotidianamente sotto gli occhi nostri il segno 
della resurrezione nell’alternativa della luce e delle tenebre, nel tra- 
montare e rinascere delle stelle, nel rifarsi delle stagioni e dei prodotti 
della natura? Se a Dio fosse piaciuta altresì l’alternativa della morte 
e della resurrezione, chi l’avrebbe impedito? Volle invece che alla 
condizione presente di vita passeggera, si contrapponesse un’altra vita 
eterna, e a questa passassero tutti risorgendo coi corpi, per vivere 
un’eternità di premio o di pena secondo i meriti di ciascuno. E il fuoco 
eterno che aspetta i dannati, è di natura ben diversa dal nostro; come 
altro è il fuoco che serve agli usi umani, altro quello che apparisce 
nei fulmini del cielo o nelle eruzioni dei vulcani, perchè questo non 
consuma quello che brucia, e mentre disfa, ripara. Tali principii se 
sono professati da filosofi e da poeti, si tollerano e si lodano; perchè 
noi Cristiani dobbiamo esserne derisi e anche puniti? Infine queste 
credenze sono utili, perchè allontanano dal mal fare colla paura dei 
divini castighi, e, alla peggio, non fan male a nessuno (c. XLIX). 

Anche Minucio mette in bocca al suo Ottavio alcune considera- 
zioni sulla fine del mondo e la risurrezione dei morti, dedicandovi tutto il 
capo 34 e parte del 35. Sulla fine del mondo ricorda le opinioni 
degli Stoici e degli Epicurei e anche di Platone circa la conflagrazione 
finale dell’universo, e giustifica così la credenza cristiana. Per la ri- 
surrezione pure cita Pitagora e Platone, ma solo per dimostrare che i 
saggi pagani in questo vanno in qualche modo d'accordo coi Cristiani. 
Ricorre anch’egli all’argomento dell’onnipotenza divina e alla possibi- 
lità che rinasca dal nulla quello che dal nulla ebbe origine, come 
accenna pure ai segni di risurrezione dati dalla natura, e alle condi- 
zioni del fuoco eterno. Qui alcuni riscontri: 


a) Tertull. c. XLVIII : « sed quo- 
modo, inquis, dissoluta materia exhiberi 
potest? Considera temetipsum, o homo, 
et fidem rei invenies. Kecogita quid 
fueris antequam esses. Utique nihil; 


Min. c. 34, 9 : « quis tam stultus 
aut brutus est, ut audeat repugnare, 
hominem a Deo ut primum potuisse 
fingi, ita posse denuo reformari? Sicut 
de nihilo nasci licuit, ita de nihilo li- 


(173) 


3 


Digitized by LiOOQle 



— 34 - 


meminisses enim si quid fuisses. Qui cere reparari? porro difficilius est id 

ergo nihil fueras priusquam esses, idem quod non sit incipere, quam id quod 

nihil factus cum esse desieris, cur non fuerit iterare. Tu perire et Deo credis 

possis rursus esse de nihilo eiusdem si quid oculis nostris hebetibus sub- 

ipsius auctoris voluntate qui te voluit trahitur ? » 

esse de nihilo ? Quid novi tibi eveniet ? 

Qui non eras factus es; cum iterum non 
eris fies. Et tamen facilius utique fies 
quod fuisti aliquando, quia aeque non 
difficile factus es quod nunquam fuisti 
aliquando » . 

b) Ibid.: « Lux coti die interfecta Min. ib. 11: «in solacium nostri 

resplendet et tenebrae pari vice dece- resurrectionem futuram natura omnis 

dendo succedunt, sidera defuncta vive- meditatur. Sol demergit et nascitur, 

scunt, tempora ubi finiuntur incipiunt, astra labuntur et redeunt , flores occi- 

fructus consummantur et redeunt , certe dunt et revirescunt, post senium ar- 

semina non nisi corrupta et dissoluta busta frondescunt, semina nonnisi cor - 

fecundius surgunt, omnia pereundo ser- rupta revirescunt». 

vantar omnia de interitu reformantur ». 

c) Tertull. ibid.: « Noverunt et phi- Id. c. 35, 11: « Illic sapiens ignis 

losophi diversitatem arcani et publici membra urit et reficit , carpit et nutrit. 

ignis. Ita longe alius est qui usui hu- Sicut ignes fulminum corpora tangunt 

mano, alius qui iudicio Dei apparet, nec absumunt, sicut ignes Aetnaei mon- 

sive de caelo fulmina stringens, sive de tis et Vesuvi montis et ardentium ubi- 

terra per vertices montium eructans: que terranno flagrant nec erogantur, 

non enim absumit quod exurit , sed dum ita poenale illud incendium non damnis 

erogat reparat. Adeo manent montes sem- ardentium pascitur, sed inexesa corpo- 

per ardentes, et qui de caelo tangitur, rum laceratione uutritur ». 

salvus est, ut nullo iam igni decine- 
rescat. Et hoc erit testimonium ignis 
aeterni, hoc exemplum iugis iudicii poe- 
nam nutrientis. Montes uruntur et du- 
rant. Quid nocentes et Dei hostes ? » 


§ 16. — Della resistenza dei Cristiani ai tormenti. 

Eccoci all’ultimo capitolo dell’Apologetica, dove il grande scrit- 
tore africano giustifica l’atteggiamento dei Cristiani, esultanti di essere 
perseguitati e di soffrire anche la morte per la confessione di Cristo. \ 

Tale atteggiamento era oggetto di vive censure; eran considerati i 
Cristiani come gente disperata e perduta. Pure gli antichi avevano ce- 
lebrato invece come eroi gloriosi alcuni uomini che avevano patito, 
senza scomporsi, i più atroci dolori, quali un Mucio Scevola, un Attilio 
Regolo, ecc. Perchè han da stimarsi pazzi i Cristiani che fan lo stesso? 

( 174 ) 


Digitized by LiOOQle 



— 35 — 


Del resto, conchiude Tertulliano, fate pure, o buoni governanti, con- 
tentate la plebe tormentandoci, condannandoci, uccidendoci; codesta 
crudeltà non servirà che ad aumentare il nostro numero; il nostro 
sangue è seme; il nostro esempio e l’ostinazione che ci rinfacciate, fa 
scuola ; perchè chi ci vede e ammira, sente di dover ricercare che cosa 
ci sia sotto, e conosciuto vi si converte, e convertito desidera patire 
alla sua volta per redimere la sua vita anteriore e ottenere Feterno premio. 

Di analogo argomento, della resistenza dei Cristiani al dolore e 
della lotta loro contro le minaccie e i tormenti dei carnefici, discorre 
pure Ottavio in Minucio (capitoli 35, 8-9 e 37, 1-6). Anche per lui 
il soffrire non è castigo, è milizia, e non è vero che Dio abbandoni chi 
soffre, anzi lo assiste e a sè trae. Che bello spettacolo per Dio quando 
il cristiano scende in lizza col dolore e le minacce e le torture, e 
contro re e principi difende a testa alta la libertà della sua fede, non 
cedendo che a Dio, vincitore anche di chi lo condanna e uccide. Glo- 
rioso ritiensi colui che tormenti ha sostenuto con costanza; ma altret- 
tali e peggiori soffrono col sorriso sulle labbra i fanciulli e le don- 
nicciuole cristiane, evidentemente perchè li aiuta Iddio. In manifesta 
affinità di pensieri, non mancheranno riscontri di parole: 


a) Tertull. c. L: « ...Victoria est... 
prò quo certaveris obtinere ». 

b) Ibid.: « Haec desperatio et per- 
ditio penes vos in causa gloriae et fa- 
mae vexillum virtutis extollunt. Mucius 
dexteram suam libens in ara reliquit: 
o sublimitas animi ! Empedocles totum 
sese Catanensium Aetnaeis incendiis do- 
navit : o vigor mentis ! Aliqua Cartagi- 
nis conditrix rogo se secundum matri- 
monium dedit : o praeconium castitatis ! 
Regulus ne unus prò multis hostibus 
viveret, toto corpore cruces patitur: o 
virum fortem et in captivitate victo- 
rem! etc. ». 


Min. 37, 1 : « vicit qui quod con- 
tendi obtinuit » . 

Ibid. 3 : « vos ipsos calamitosos vi- 
ros fertis ad coelum, Mucium Scaevo- 
lam, qui cum errasset in regem peris- 
set in hostibus nisi dexteram perdidisset. 
Et quot ex notfris non dextram solum 
sed totum corpus uri, cremari, sine ullis 
eialatibus,pertulerunt,cum dimitti prae- 
sertim haberent in sua potestate ! Viros 
cum Mucio aut cum Aquilio aut Re- 
gulo Comparo? pueri et mulierculae 
nostrae cruces et tormenta, feras et 
omnes suppliciorum terriculas inspirata 
patientia doloris inludunt». 


§ 17. — Osservazioni e conclusione. 

Messoci sott’occhio ordinatamente e nel modo più compiuto pos- 
sibile il materiale di raffronto fra Tertulliano e Minucio, possiamo 
risolvere il problema, quale dei due abbia avuto sott’occhio l’opera 
dell’altro. 

(175) 


Digitized by LiOOQle 



A questo fine chi ci ha seguito fin qui voglia con noi fare due 
osservazioni. La prima è che in molti luoghi si trova la stessa ma- 
teria trattata con ampiezza e originalità di vedute da Tertulliano, e 
accennata brevemente da Minucio; ad es. al § 1 c, come già s’è os- 
servato, a tutta una teoria tertullianea sulla natura del male morale 
e sull’atteggiamento del malvagio, teoria addotta per mostrare che non 
era un male Tesser cristiano, corrisponde in Minucio un cenno fuggevole 
della stessa sentenza; così al § 2 d, la natura della fama o diceria 
è rilevata con minuziosa analisi da Tertulliano, ed è, in frase inci- 
dente, come per transenna, e con parole per sè sole non chiare, toccata 
da Minucio; lo stesso dicasi al § 6 i, sullo scheletro ligneo a forma 
di croce adoperato nel fabbricare gli idoli; e ‘al § 13 b, sull’essere 
i delinquenti in massima parte pagani e d’altri brani ancora. In tutti 
questi casi si ha egli a pensare che Tertulliano, visto il breve cenno 
minuciano, n’ abbia preso occasione per ampliare e a volte costruire 
una teoria intiera basata sull’osservazione psicologica? o non si pre- 
senta anzi spontanea T ipotesi che Minucio abbia conosciute e fatte sue 
le spiegazioni tertullianee, riassumendole dov’ e’ credeva opportuno? A 
chi non parrà questo secondo processo ben più naturale del primo? 
Non è questo il modo comune di lavorare in opere letterarie, quando 
non si tratta di amplificazioni rettoriche e luoghi comuni? Chi potrà 
credere il rapporto inverso, se tenga conto dell’ ingegno vigoroso, del 
ragionamento serrato e a fil di logica di Tertulliano, in comparazione 
dei discorsi alquanto rettorici da Minucio messi in bocca agli inter- 
locutori del suo dialogo? 

La seconda osservazione che noi vogliamo si faccia, ci conferma 
nell’ ipotesi della priorità di Tertulliano ; e questa riguarda i passi dove 
Minucio presenta lo stesso pensiero e la frase tertullianea, ma o in 
luogo meno opportuno per la concatenazione delle idee, o con aggiunta 
od uso di parole che alterano il concetto esagerandolo. Fin dal prime 
riscontro segnalato al § 1 a, il cenno del non volere i pagani udire 
pubblicamente i Cristiani desiderosi di difendersi, vien fuori poco op- 
portunamente come argomento del non essere essi Cristiani in angulis 
garruli Così al § 3, già s’è notata la stranezza del derivare dalle 
cerimonie di Giove Laziale gli usi sanguinarii di Catilina e di Bellona. 
Nello stesso § 3, il riscontro f ci dà un esempio di esagerata espres- 
sione in quel plerique sostituito al quidam di Tertulliano; come al 
§ 4 g, è fuor di squadra il frequentius . Inesattezze pure riscontrammo 
al § 5 f, dove è attribuita ad Omero una leggenda che non gli ap- 
partiene, e al § 9 a, ove del demonio socratico si parla men corret- 
ene) 


Digitized by LiOOQle 


— 37 — 


tamente che in Tertulliano. Ma il passo più significativo è al § 9 g, 
ove poco a proposito, come già s’ è rilevato, Minucio fece sua l’osser- 
yazione psicologica del timore che partorisce odio. Tali difetti del- 
l’esposizione minuciana sono una evidente conferma della priorità ter- 
tullianea ; è nella natura delle cose che l’ imitatore non afferrando con 
precisione i concetti dello scrittore che gli serve di modello, alteri i 
rapporti delle idee e le renda in modo difettoso ; mentre è ben più 
raro, se non impossibile, che un imitatore, prendendo le mosse da un 
lavoro altrui, ne emendi tutti i difetti, raggiungendo una precisa coe- 
renza e spontaneità, quale spicca in Tertulliano. 

Vi sono però due luoghi che paiono far contro la nostra tesi. Uno 
è al § 5, b e d, ove a una semplice parola o proposizione tertullianea 
{§ 5, 6: consecratione ; d: statuas . . . milvi et mures et araneae in - 
ielligunt) corrisponde in Minucio una descrizione più ampia e ricca 
di particolari. Ma, se ben si guardi, ciò non vuol dir nulla contro la 
tesi che sosteniamo. Già prima si può pensare che Minucio, come per 
altre parti del suo dialogo prese da Cicerone e da Seneca, così per 
questa abbia attinto ad altra fonte oltre l’Apologetico, desumendone 
sia la descrizione dell’ idolo che finché vien lavorato non è Dio e lo 
diventa appena è consacrato dall’uomo, sia quella dei topi, delle ron- 
dini, dei ragni che rodono e fanno il nido e le ragnatele nelle statue 
dei templi. Ma può anche darsi che qui s’abbia a fare con una sem- 
plice amplificazione del pensiero suggerito dall’espressione di Tertul- 
liano, amplificazione non contenente altro che osservazioni semplicissime 
e di dominio comune. Tanto più è probabile che tale lavoro si deva 
attribuire a Minucio, quanto che la caratteristica del suo stile, cioè 
l’uso degli asindeti trimembri con omeoteleuto, si trova qui più volte: 
funditur fabricatur sculpitur; plumbatur conslruilur erigitur; ornatur 
eonsecratur oratur; rodunt inculcant insident; tergetis mundaiis era - 
ditis, ecc. 

L’altro punto che deve qui discutersi riguarda il fatto già segna- 
lato al § 4, a , pel quale 1’ Ebert e molti altri conchiusero senz’altro 
per la priorità di Minucio, vale a dire l’errore commesso da Tertul- 
liano completando in Cassius Severus il nome dello storico Cassius 
così letto da lui nelle sue fonti. Pur riconoscendo che Tertulliano ha 
qui commesso un errore, era proprio necessario di supporre che l’in- 
dicazione di quelle fonti storiche, Diodoro e Tallo Greci, Cassio e Cor- 
nelio Romani, egli l’avesse presa da Minucio? Si noti che il discorso 
si aggira intorno alla spiegazione euemeristica degli Dei pagani, e si 
ricercano le vicende di Saturno e di Giove per conchiuderne che co- 

( 177 ) 


Digitized by LiOOQle 



- 38 — 


storo in origine erano nomini. Ora questa tesi non era solo degli apo- 
logeti cristiani, ma da secoli era di dominio comune in molte scuole 
filosofiche. Può dunque ben darsi che in qualche libro euemeristico del 
primo o del secondo secolo dell’era volgare già si citassero Diodoro 
Siculo e Tallo, Cassio e Cornelio Nipote, e anche Yarrone, a conferma 
della dottrina ; può essere che la citazione di quei nomi fosse diventata 
come un luogo comune; tant’ è vero che un secolo dopo Tertulliano, 
ancor la ripete con poche varianti Lattanzio (*). Questo è l’unico punto 
in cui ritengo vera V ipotesi di una fonte comune anteriore a Tertul- 
liano e Minucio. Il che se si ammette, l’errore di Tertulliano non dice 
più nulla a favore della priorità di Minucio e contro la tesi inversa 
da noi propugnata. Da questa stessa fonte euemeristica potrebbero sup- 
porsi derivati i particolari minuciani che sopra avvertimmo non tro- 
varsi in Tertulliano, come pure ne derivarono le tradizioni simili a quella 
che si legge nel De origine gentis Romanae (1, 2) e nei breviari sto- 
rici concernenti le origini di Eoma ( 2 ). 

Sia dunque lecito di conchiudere che l’ Ottavio di Minucio è po- 
steriore all’Apologetico; di non molto forse, se al tempo della sua 
comparizione era ancora sì viva la memoria dell’oratore Frontone da 
ricordarlo nel modo che fanno i due interlocutori del dialogo (cap. 9 : Gir - 
tensis noster , e cap. 31: Pronto tuus). Non andarono forse errati quelli 
che supposero composto il dialogo nel primo o al più nel secondo de- 
cennio del terzo secolo, come certo l’Apologetico è degli ultimi anni 
del secondo. 


( 1 ) Insù . 1, 13 : omnes ergo non tantum poetae sed historiarum quoque ac 
rerum antiquarum scriptores hominem fuisse consentiunt [ Saturnum ]. Qui res eius 
in Italia gestas prodiderunt , Graeci Diodorus et Thallus t Latini Nepos et Gas - 
sius et Varrò . . . 

( 2 ) V. il Minucio del Waltzing, pag. 204. 


( 178 ) 

No comments:

Post a Comment