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Friday, June 7, 2024

Grice e Orioli

 

PATRIZIO VITERBESE; CONSIGLIERE ORDINARIO DI STATO DI 3. S. P. DI M. MEMBRO DEL COLL 
F1LOSOF. DELLA UNI V. DI ROMA, PROF. DI STOR. ANT. ED ARCHEOLOG. NELLA STESSA UNIY 
fclA* PROF. DI FISICA NELLA UNIV. DI BOLOGNA CC. CC. MEMBRO CORRISPOND. DELL* A. 

SC. MOR. E POL. DELL’lSTIT. DI FRANCIA, ACCAD. BENED. DELL’ ISTIT. DI BOLOGNA , 
UNO DE'TRE SOCI ATTIVI DELLA CL.DI LETT. DELLA REALE AC. DI SC. E LETT. DI PALERMO . 
SOC. ONOR. DELLA IMP. E R. AC. DI SC. E LETT. DI PADOVA. SOC. CORRISP. 

E R. IST. LOMBARDO DELLE SC. DI MILANO E DELL* IMF. E R. IST. DI VENEZIA , DELLA 
AC. DELLE SC. E LETT. DI TOAINO...E DI MOLTISSIME ALTRE ACC. DI FRANCIA , GRECIA, 
E ISOLE IONIE , NAPOLI E REGNO , ROMA E STATI PONTIF. , FIRENZE E TOSCANA , 
LOMBARDIA CC. CC. CC. 


: M l' ì(? 0 

POLITICI 


FRANCESCO ORIOLI 



j\r rro vjl 


Con giunte dell' A. 






NAPOLI 

STAMPERIA DEL KIBRENO 

18 51 


« Faites , mon garcon, faites, ré{K>nd lo vìeux radicai, et dites-leur aussi à ces hotnwes qui 
ont cbassé et. ..et tous ceni qui ont osé ex printer un mot de se ns commun et d'humanité, 
qui lapident Ics prophètes et éteignent l’esprit de Dieu, qui aiment le mensonge , qui 
pensent ameoer le rógne de l’atnour et de la fraternité aree des piques , des bouteilles de 
vilriol , aree le meurtre et le blaspbéme , dites-leur à eui et à tous ceux qui pensent 
comme eux qu’un vieillard...dont les ebeveux ont bianchi au Service de la cause du peu- 
ple..., qui contempla lecraquement des nalions en g'3 et qui entcndit les premieri cria 
d’tm monde au berccau, qui, lorsqu’il était encore un enfant , vit venir de loin la liberté 
et qui se réjouit en la voyant comme devant une fiancée, et qui pendant soixante péni- 
bles années , l’a suivie à travers les soliludes ; - diles - leur que cet homme leur eovoie 
le deraier message qu’il envcrra sur cetle terre; dites-leur qu’ils soni les esclaves de leurs 
convoitises et de leurs passioni, les esclaves du premier coquin venu à la laogue reten- 
tissante , du premier charlalan veuu qui dorlote leur opinion pcrsonnclle ; dites-leur que 
Dieu les frapperà, Ics fera renlrer dans le néant et les dispenserà jusqu’à ce qu’ils se soi- 
ent repentis , qu’ ils se soieot fait des coeurs purs et de nobles ames , et qu'ils aieut re- 
lenu les lecons qu’il s’ efforce de leur donner depuis quelque soixante ans ; dites-leur 
que la carne du pcuple est la cause de celui qui créa le peuple, et que le malhcur toin- 
bera sur ceux qui prennent les armes du diablc pour accomplir l’ceuvre de Dieu ? » 

Sandy Mackate nel Romano Alton locke di Kingsley 
Revue des deux Monde* i, Mai i85i p»g. 447 


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DUE PAROLE A CHI È PER LEGGERE 


Stampo ancora una volta , cedendo alle lusinghevoli 
istanze di parecchi amici miei, questi Opuscoli , a' quali 
m’è altresì parulo bene d' aggiungere qualche annotazione 
nuova dove V argomento s embravami o richiederlo , o me- 
ritarlo. 

Certo, che, s'io pongo mente, non alla benigna acco- 
glienza soltanto , la quale a essi Opuscoli fecero que' che 
m' onorano da lungo tempo della loro pregiata amicizia , 
e le mie povere cose hanno abito di giudicare con molta 
indulgenza , ma sì a quel che altri , a me per lo addietro 
ignoti, o ,per fermo, non congiunti d' alcun vincolo di an- 
tecedente amistà, ne scrissero ne' giornali , o con priva- 
te lettere me ne significarono , io debbo tenermi come ba- 
stantemente ricompensato della quale che siasi fatica dura- 
ta nel comporre le pagine che qui appresso seguitano. 

Tra coloro che più contribuirono alla buona fortuna della 
mia impresa ho debito di noverare principali i dotti e bene- 
meriti scrittori del Giornale che ha titolo — Civiltà Catto- 
lica — E so la mina degli sdegni a’ quali questo atto di 
franca gratitudine è per metter fuoco nel campo nemico , 
poiché campo nemico non manca. Ciò non mi sarà impe- 
dimento al fare lealmente il mio dovere di render loro pub- 
bliche grazie. 

. 


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— 4 — 

II Giornale — la Civiltà Cattolica — è a troppi , e in 
troppe sue parli un osso non poco duro da rodere. Nel di- 
fetto d' argomenti logici , si può a libito dirigere contro 
al valoroso drappello de' dieci o dodici campioni che vi 
brandiscono cotidianamenle la penna, batterie, da ogni 
lato , di que’ pessimi argomenti rettorici, che si chiamano, 
in arte , argomenti ad odium , e ad invidiam : resisterà 
però illeso ed invulnerabile agli strali spuntati de' loro sar- 
casmi , come le legioni romane restavano salde ed immote 
agli urli co' quali i barbari , nella loro impotenza , ten- 
tavano spaventarle. Quando si sarà detto e ridetto , fa- 
cendo l’ alto dello scherno e del vilipendio — È opera dei 
rugiadosi — che si sarà provato con ciò ? Si sarà lascia- 
ta una prova di più della misera e svergognata dialettica 
del nostro secolo, rotto a tutte le perversità, ed avvezzato- 
si a dare alle villanie valore di ragioni. 

Tornando al mio proprio libro , censure fino ad ora , 
le quali valgano la pena d’ una speciale risposta, non le 
ho vedute , nè udite. 

Sunt quibus in dictis videar nimis acer, et ultra 
Legem... 

e , rileggendo a mente fredda , conosco l' acrimonia di 
certe espressioni , la qual forse sarebbe stato meglio tem - 
perare un po' più. Tuttavia , ben ponderata ogni cosa , 
ho creduto dover lasciare tutto come stava ; e ciò , in pri- 
mo luogo, perchè questa in somma è una ristampa , la qual 
non dee mentir al suo titolo ; in secondo luogo , perchè , 
al postutto , muri può dire che , contro ad alcuno sin- 
golarmente, abbia combattuto e combatta con armi ripas- 
sate alla còte samia. Il mio proposito fu ed è, non di fa- 
re duelli, ma battaglie. Le persone io le ho sempre rispet- 


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— 5 — 


tate e le rispetto , perciocché ho voluto , e voglio , esser 
libero ( ed esco ornai dalla metafora ) di trattare /’ errore 
pervicace e spavaldo con tutta quella severità ed austeri- 
tà di forme eh' et merita , e che un uomo , , il quale ha 
sentimento di sua dignità , rifugge dall’ adoperar contro 
all’errante. L’errante è, quanto alla carne ed allo spi- 
rito , consanguineo e fratello nostro. Niun può sapere s'e i 
non sia più presto un fanatico ed un illuso , che un perver- 
so , od almeno un gran perverso. Ha sempre diritto al fare 
in sé rispettare la santa emanazione del soffio divino ri- 
cevuto , od ereditato , nella fronte. È sempre la creatura 
celeste, che, se cadde , può rialzarsi , e che, quand’an- 
che , per propria colpa, è in terra , e più al basso che in 
terra , esser dee per noi , più ancora subbietto di compas- 
sione , che obbietto di collera. Ma V errore staccato dalla 
persona , l' errore lasciato in tutta la sua schifosa nudità, 
non ha diritto ad alcun riguardo , e vuol essere trattato 
senza discrezione , senza misericordia. Quanto a colui che 
avendolo in sé incorporato, sé da quello non distingue, ed 
a sé stima dette le ingiuriose parole, che quello solo feri- 
scono , tal sia di lui. 

Più di cosi non aggiungo. E forse non era nè manco 
necessario dir così : tanto più , che , nell’ antica prefazio- 
ne , ciò stesso, comechè più brevemente , aveva significato. 
1 discreti perdonino. Gl'indiscreti riconoscano che queste 
ciance premesse per lo meno non hanno il torto della pro- 
lissità. 


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PARERE D’ UN AMICO 

INTORNO 11 MIO LIBRO 


Ho Ietto attentamente la prefazione , e le due dissertazioni 
vostre. Io credo che abbiate ragione. Avete però del pari 
prudenza? - II mondo è oggi troppo malato. Certe verità 
dette con durezza qua e là soverchia fanno l’effetto del dito 
stropicciato sulla piaga viva. Il meglio che vi possa accade- 
re è di non esser letto. Se leggeranno , le grida saranno al- 
te .... terribili. Perchè stuzzicare il vespaio? Ciò non è de- 
gno della vostra vecchia esperienza. Il passato non vi ba- 
sta? Pensateci. 

RISPOSTA 

Ho pensato .... e stampo la prefazione, e le dissertazio- 
ni. Le considerazioni che mi schierate innanzi hanno molta 
verità, ma non mi rimuovono dal mio proposito. 


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La prudenza ! - Sta ottimamente. La prudenza è però 
spesso il soprabito della vigliaccheria ; e in questo caso non 
è niente altro che un belletto dell’egoismo. 

Per non incorrere nel male proprio .... per non turbare 
la propria pace .... per non tirarsi addosso disturbi o peg- 
gio .... per non guastar, come suol dirsi, i fatti suoi, s’ban 
da lasciare, senza darsene per intesi, le menti umane sem- 
pre più travolgersi , le opinioni sempre più corrompersi , 
certa gente accrescer la pervicacia nell’errore, e propagar- 
lo a tutto potere. 

Sentendosi bollire in corpo la verità utile, ed affacciarlasi 
alla bocca , s’ha da ringhiottirla , o sputarla ( scusate la pa- 
rola ) nel fazzoletto e poi rimettersela in tasca, quand’an- 
che s'è persuasi, che a gittarla là alla palese sarebbe bene ; 
che questa verità messa in pubblico sgannerebbe alcuni r 
eh’ essa suonerebbe alto all' orecchio d’altri, e servirebbe a 
svegliarne il coraggio addormentato , o gioverebbe almeno 
a restare come testimonio a’ futuri che v’è, pur tra noi, 
qualcuno , il quale ricusa le complicità , protesta virilmente 
contro alle cattive e rovinose dottrine, se ne sdegna com’è 
il suo debito, ed è disposto a mostrare, che chi sproposita 
e minaccia scompigli e rovine, invano si confida d’avere il 
monopolio della franca ed ardita parola. 

Io vi ringrazio, caro amico: ma voi m’amate troppo. 
Non pensando , che al mio privato materiale vantaggio, ave- 
te dimenticato a mio prò il resto del mondo. Io sento d’ a- 
marmi men di quel che voi mi amate. 

Intendo benissimo , che scrivere com’ io scrivo , è pre- 
pararsi disgusti .... e forse peggio. Ma considero ch’io son 



— 9 — 

vecchio, e nell’ ordine naturale poco ancora mi resta a vi- 
vere. La mia povera e caduca persona non è ornai di tal 
prezzo che siavi interesse per me a risparmiarla. È lungo 
tempo da che ho perduto il sapor delia vita , e che le sue 
dolcezze non mi fanno gran gola , nè le amarezze grave of- 
fesa al palato. La lode è un amo che non mi passa la pelle. 
Il biasimo ( dove creda non meritarlo ) è un’ortica che non 
mi punge. La minaccia è contro a sì poco che a tenerne con- 
to è una miseria. Di me sarà quel che piace alla Provviden- 
za. Nella minuzia di tempo che a vivere mi rimane , vorrei 
pur fare il bene nella maggior misura che posso, a qualun- 
que mio costo. E poiché il pubblicare queste mie carte mi 
sembra, che o in una guisa o nell’altra qualche bene possa 
recarlo, perciò le pubblico. Al mio male quale che siasi, 
dunque, non ci badate, com’io non ci bado. Fate conto 
ch’io sia soldato. Sarebbe pur bella che al soldato si consi- 
gliasse di pensare alle ferite, alle quali battagliando s’es- 
pone ! 

Per altra parte, a me tocca ricomperare il tempo perdu- 
to, ed affrettarmi a farlo. Troppo mi dorrebbe il lasciare di 
me tal memoria in questo mondo che dia giusto diritto a 
suppormi quale certe antecedenti particolarità della mia vi- 
ta possono aver fatto credere ch’io mi sia. 

Non nego, e sarebbe ridicolo il negarlo, d’avere avuto 
anch’io le mie politiche illusioni ( certo però non quelle di 
gran lunga , le quali oggi corrono il mondo , e sono in gran 
favore presso tanti ). Sento il dovere di far conoscere a 
qualunque prezzo ch’io non sono mai stato da confondere 
col più de’ cosi detti liberali d’ oggidì, e che istruito ornai 


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— io- 
ti all’ esperienza, non sono nemmen da confondere con quel- 
l’io che già fui, e molte mutazioni ho in me fatto. Costi 
ciò tutto che s’abbia da costare al mio amor proprio, vo- 
glio che Io si sappia. Gli altri posson tacere ; io non lo pos- 
so, nè Io debbo. 

E so che dirassi da taluni ch’io adulo que’che regnano. 
Veramente crederei che tutta la mia vita passata m’avesse 
da essere scudo contro alla bassezza di questa accusa ; tanto 
più che quegli stessi i quali la daranno (dove tuttavia que- 
sto ardiscano ) , dovrebbero ricordare , se quando essi re- 
gnavano pur testé , io li adulava. Sarebbe avere aspettalo 
un po’ troppo tardi a mutar natura. . . . 

Ma voi dite eziandio , che il mondo è troppo malato , e 
che le sue piaghe non vogliono esser toccate com’ io qua e 
là le tocco , senza molta discrezione. Caro amico ! la vostra 
seconda proposizione distrugge la prima. Se accordate che 
la malattia del mondo è grave , pretendete voi di curarla 
coll’acqua di gramigna? Eh si: vi son medici che non curano 
le malattie, ma si contentano di guardarle. Se morte soprav- 
viene, tanto peggio pel malato. Il medico se ne lava le mani. 
Io non sono di questa scuola. Vi sono piaghe che han fatto il 
callo, evoltano tutta la malignità aldidentro;ed allora l’arte 
insegna di trattarle col caustico. Si fan cerimonie, e si ri- 
sparmia la sensibilità quando il male é leggiero; e questo , 
per vostra confessione , non è il nostro caso. 

Da ultimo io vi prego a considerare ch’io mi guardo scru- 

* 

pelosamente dall’attaccare le persone. Il mio dogma é - 
Parme personis , dicere de viliis. Contea il male non mai 
congiunto al nome di tale o (ale altro, credo mio diritto, e 


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— li — 

mio debito scagliarmi con tanta più veemenza quanta mi 
sforza ad usarne l’animo grandemente commosso. Delle per- 
sone io non sono, non voglio, e non debbo essere il giudi- 
ce; nè v’è il prezzo dell'opera ad esserne il pubblico accu- 
satore. Per altra parte il pubblico non perde nulla per ca- 
gione delle mie reticenze. Le persone s’accusan da sè. La 
loro moda è di non dissimulare quel che pensano , quel 
che vogliono, quel che van facendo. 


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PREFAZIONE 


Per chi’ scrivo? Pei popolo? Il popolo non legge. Tra 
que’ che leggono , gli uni non han bisogno di leggere ciò 
ch’io scrivo , perchè ciò eh’ io scrivo è quello che essi me- 
desimi scriverebbero se avessero a scrivere. . . quello che 
sanno già , e di che sono persuasi tanto quanl’ io lo sono. 
Gli altri , nel maggiore lor numero , son oggimai venuti a 
tale, che, quand’anche io fossi aitr’ uomo da quel che so- 
no , cioè, quand’anche fossi più eloquente oratore di De- 
mostene e di Cicerone, e più stringente ragionatore di Zeno- 
ne, e d’ Aristotele , non si lascerebbero smuovere dalle opi- 
nioni loro, delle quali han fatto carne e sangue. . . una 
(falsa) religione... un culto... una necessità... una parte prin- 
cipalissima , e la più soave, delia lor vita interiore ed ester- 
na. Ove fosse pur possibile che consentisser d’aprire gli 
occhi dell’ intelletto alla luce de’ ragionamenti , e si lascias- 
sero illuminare nella cecità alla quale son venuti di deli- 
berato e volontario proposito, e vedessero, perciò vinti, il 
bisogno d’ abbiurare la politica fede in che Guor vissero e 
giurarono di morire , non oserebbero farlo, vincolati, co- 


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— 14 — 


me sono (impavidamente diciamolo), alle sette che li tiran- 
neggiano e ne tengono in catena ogni libertà. Cosi , solo a 
pochissimi , posso io rivolgere la parola con qualche spe- 
ranza che sia per tornare non inutile; e son que’ pochissi- 
mi, i quali non tanto innamorarono del creder nuovo, che 
di questo credere abbiano a sè fatto una passione , e non 
un legittimo atto della facoltà intellettiva, al quale sian 
giunti per lavoro di ragionamento , soggetto , come tutti i 
legittimi atti di ragione , alla necessità di sottostare alle 
leggi che governano la potestà raziocinante , e che debbono 
dominarla. 

Io m’inganno però anche rispetto a essi ultimi. Noi vi- 
viamo in un secolo , nel quale la ragione stessa è come mor- 
ta dell’abuso che se n’è fatto esagerandone i diritti , e fal- 
sificandoli. 

Due già erano , dal tetto in giù ( e voglio dire nelle que- 
stioni dove rivelazione non ha luogo ) gli elementi neces- 
sari — coessenziali.... tendenti a rafforzamento reciproco, 
per dare fermezza alla morale governatrice delle volontà e 
delle azioni umane, ragione (d’individuo) , ed autorità (col- 
lettiva dei più savi , la cui ragione siasi guadagnata , per 
ogni correr di secoli , maggior fede presso l’universale, che 
le spicciolate ragioni di tale o tal altro o di stuoli compara- 
tivamente piccoli, e d’un opinar dissonante ). Il qual se- 
condo elemento ( l’ autorità ) è dunque ( a ben considerarlo 
nella sua vera e giusta natura c quiddità ) ragione aneli’ es- 
so, ma una ragione preponderante e superiore , come quel- 
la che non è il giudicare soltanto d’ alcuni separatamente 
presi , e ristrettisi nella lor propria e privata impotenza , 
fallibilità e pochezza, ma è la quinta essenza delle ragioni 
dei più ( chè questa sola, dai tetto in giù, pur sempre , in 
certe questioni di senso comune , è l’ autorità vera o legit- 
timamente sovrana ). £ dico dei più , o sia che si contino 
nel numero, -o che si pesino nel valor loro intellettuale: i 
quali perciò , quanto son maggiore stuolo nel lor consenso 


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prestato a equipollenti sentenze .... quanto rappfesentan 
meglio, colla lor somma , tempi e scuole e popoli diversi... 
quanto hanno maggiore e più costante comunion di pareri, 
non ostante la diversità di sangue, di luogo, d’educazione, 
e di tutte le secondarie influenze, tanto fan più sicuramen- 
te una forza morale, clic è forza di natura, non d’arte , e 
che è qualche cosa più potente e più salda che la tanto og- 
gi predicata sovranità del popolo; poiché èia sovranità, 
non d’un popolo, ma la sovranità della specie umana tutta 
intera , esprimente il suo voto colla più legittima e la più 
autorevole delle maggioranze possibili ad ottenersi. 

Or noi, uomini del secolo XIX, de’ due soprannominali 
elementi, uno e il più gagliardo, ripudiammo... Y autorità-, 
ed abbiamo chiamato sovrana unica la ragione (d’individuo), 
cioè V anarchia! 

Noi , tutti o quasi tutti (dico noi ragionatori nel popolo , 
e consenzienti a ragionamento ) abbiamo stabilito in cuore 
questo primo articolo del nostro atto di fede politica. Io 
non crederò mai che quello che persuade il mio proprio in- 
telletto; e quel che pèrsuade il mio proprio intelletto io io 
crederò conira ogni persuasione degli altri , contra ogni dot- 
trina di sapienti o di popoli , contra ogni sperienza di pre- 
senti, di passati , o di futuri, contra ogni domma di reli- 
gione, contra ogni legge di governi... E stabilita una volta 
questa democrazia delle fedi... decretato anzi , che, in ar- 
gomento di fedi d’ogni genere , non è governo alcuno pos- 
sibile, ma gli uomini han tutti naturale e iualienabile di- 
ritto d’indipendenza reciproca ed assoluta . . . dove ornai 
vassi , ed a che? posto che le fedi , cioè le persuasioni del- 
l’ intelletto , sono il perno, sul quale s’appoggiano per muo- 
versi le volontà umane. C’è più possibilità di leggi? C’è 
più speranza d’obbedienze, altre che tirate colla forza ma- 
teriale? C’è più virtù di logica? C’è più società ? (1) 

(li ISullius addiclus jtirare in rerba mtigtstri 
ama ogni giovane dire di sè slesso uscito ap|»ena dalle scnole di quella filoso- 


— 16 — 

Persuadetemi , noi diciamo , e mi piegherò ad obbedire , 
senza combattere il vostro comando con ogni mio mezzo. 
Persuadetemi che quel che m’insegnate è vero, e quel che 

lia , che oggi , sotto Dome d’ eclettica, invade un grandissimo numero di scuo- 
le , e quel eh’ è il peggio , anche colla innocente approvazione , e sotto il pa- 
tronato , di maestri ottimi , i quali mostrano di non aver ben compreso a 
quale indirizzo con ciò guidano gl' illusi discepoli. Se l'avesser compreso , si 
sarebbero accorti , che professare eclettismo è professare la negazione d’ogni 
vera certezza, riducendo quella maniera di certezza , che pur si concede, ad 
un fenomeno d’individuo senz’alcun valore per gli altri individui liberissimi 
di preferire ciascuno la stia propria certezza alle opposte altrui , comechè 
d’un numero quanto sì vuol grande, c consenzienti in una medesima oppo- 
sta sentenza. 

L'eclettismo non è una filosofia, ma una negazione della filosofia quale 
scienza altra che opinativa. Essa è anzi peggio che ciò , perchè mentre nega 
una certezza intrinsecaad ogni filosofia d'individuoo d’individui (per numerosi 
eh’ essi siano nel consentimento ad una stessa filosofìa) , e mentre non s’ av- 
vede , che con ciò viene a negare, per conseguenza, ogni autorevolezza in- 
trinseca a tutte le certezze individuali, confessandole tutte intrinsecamente 
incerte , accorda non pertanto a ciascuno il diritto di fidare nella propria 
certezza , e , quel eh' è il più, il diritto di regolare le proprie azioni a detta- 
to di questa incerta certitudine : ciocché viene a dire , che , nel tempo stes- 
so nel quale afferma la fallibilità di tutte le certiludini individuali, afferma 
nondimeno f infallibilità loro nell’ applicazione all' individuo , dando a esse 
il diritto d’ingannarlo , e all’individuo il diritto di seguitare unicamente que- 
sta guida fallace, quando , a proprio esame , non gli paia tale. E cosi , in luo- 
go d’ una morale , viene a stabilire e farne legittime tante quante piu vuoisi 
o non vuoisi. 

L'eclettismo non è nè manco un metodo, come alcuni spropositando dis- 
sero , perchè non indica- una speciale strada da seguire nella ricerca del ve- 
ro. Esso è niente più che una professione di libertà e d' indipendenza nell’opi- 
nare ; è un assoggettamento a niente altro , che alla ragion propria. 

Filosofia eclettica è parola che non ispiega nulla quanto alla natura delle 
dottrine. Dice solo che il libro , il quale reca in fronte questa parola , è scrìt- 
to seguitando il dettame della ragione dello scrittore , fattosi giudice supre- 
mo d’ ogni ragionamento ed opìuamento altrui. Cosi , tutte le filosofie , per 
diverse che siano , c 1’ una all' altra contraddicenti , possono intitolarsi , del 
pari, eclettiche, e tanto più eclettiche, quaulo più professanti indipen- 
denza. 

Messo taluno alte strette , crede d'aver salvato a bastauza la mala parola 
si fecouda d’errore, rispondendo che il filosofo eclettico, quando accorda 
alla ragion propria l' autorità che pur le accorda secondo il canone fonda- 


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17 — 


che nii comandale è giusto . ... Ma siam noi tutti atti ad es- 
sere persuasi? Gl’ingegni nostri son tutti di quella virtù, di •* 
quell’addestramento, di quella purità e serenità, che li fa 
esser buoni a intendere un raziocinio , a non lasciarsi illu- 


men late dell’ eclettismo , parla della retta ragione, cioè convenientemente 
usata e normale; e non s’ accorge, che , colla sua risposta o rinega la scuo- 
la eclettica e la disdice , o ne lascia interi tutti gl’ inconvenienti ed i difetti. 

Che cosa è la retta ragione, e la ragione convenientemente usata, e nor- 
male ? Ad esclusione de' notoriamente pazzi ed universalmente tenuti per 
tali , e perciò per non uomini , o per non più uomini ; e de’ rozzi ed incolti , 
che riscuotono risaie da tulli, e son tenuti universalmente per incompetenti, 
ossia per non ancor uomini (i quali ultimi tuttavia del ticchio dell’ eclettismo 
non vanno immuni , nè si di leggieri della loro autocrazia e indipendenza si 
lasciano spodestare ; e il fatto odierno di tutte le filosofìe di piazza più che 
troppo lo prova ) , ognuno di noi , che abbiamo il mesticr d’ occuparci di 
studi e di stampa, crediam d’ usare la ragion retta, e convenientemente usar- 
la con ogni normalità, e troviam facilmente, con poco impiego di senno ed 
industria, un coro grande o piccolo di lodanti, il qual basta per darci persua- 
sione, che la ragion nostra è per lo meno tanto retta e normale quanto quel- 
la di chicchessia. Peggio è che vi son uomini , di ragione , per fermo , squi- 
sitissima , e universalmente riconosciuta come tale, de’ quali, per conseguen- 
za , mal si potrebbe dir che non hanno la ragion retta ed a ottima norma , e 
non sanno usarla ; e pur mostrano , col fatto , che le loro ragioni li conduco- 
no a dottrine opposte.... 

0 vuoisi dire che la ragion retta e normale si riconosce a certi criterii 
suoi , che non sono della ragione d’ individuo , ma sono d’ una universale 
ragione, a' quali criterii debbono le ragioni individuali commensurarsi, accet- 
tandoli per una norma estrinseca alla quale debbano affarsi ? Ma ecco dunque 
rinegata allora e disdetta veramente la scuola eclettica , e confessato il biso- 
gno d’un dommatismo,' al quale debba soggiacere ogni opinar privato, per- 
duta la libertà della ribellione c l' indipendenza.... 

Facciasi tutto che vuoisi , ci è appunto nella filosofia necessità d’ un dom- 
malismo dominante i capricci e le contraddizioni degl' ingegni in certe fon- 
damentali questioni costitutive del viver morale e civile. L 'eclettismo potrà 
permettersi all’ amor proprio d’ognuno nelle altre questioni , come una con- 
cessione di poco o niun nocumento. E nondimeno , anche in quelle , il giu- 
dizio dell’ individuo dee sottostare al senato degli uomini che si chiaman 
competenti . . .. 

Ma questo non è un argomento per una nota, per la quale il poco che se 
n’ è detto 6 troppo , mentre ciò che ad una nota è troppo , ad una trattazione 
conveniente è men che poco . 

2 


•o 


M 


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— 18 — 


dere da un sofisma , da un paralogismo , a por nell’ esame 
* delle questioni la necessaria preparazione di scienza, a spo- 
gliarsi di tulle le prevenzioni dell' intelletto , dell' affetto , 
dell’interesse? Siam tutti veramente uomini ed uomini ma- 
turi; o molti di noi non sono, e non restano, fanciulli sem- 
pre , e non sono , e non restano , bruti , o quasi-bruti ? 

A tutto questo nessun pensa a rispondere. Il primo arti- 
colo del simbolo de’ nuovi pseudo-apostoli sta pur fermo. 
Io non crederò , se non mi persuadete; e non farò di buon 
accordo , e senza resistenza , che quello che sarà conforme 
al mio credere ! 

Dirassi eh’ io esagero gli errori del tempo presente. J)i- 
rassi , che non tutto alla sovranità del proprio intendi- 
mento è dato , ma non è , nel fatto , chi non fortifichi , an- 
cor oggi , le suggestioni del proprio intendimento coll’ au- 
torità di numerosi stuoli d’ amici e d’ uomini del proprio 
partito , ovunque sparsi , e in più d’un paese predominan 
ti. Aggiungerassi , che la fede nou è atto di libertà , ma di 
coazione morale , alla quale l’ intelletto-, che nou è po- 
tenza libera , non può resistere : ma faci! cosa è dare ri- 
sposta. 

Si , per fermo. Contro alle necessità imposte da natura 
non cosi di leggieri vassi. O vogliasi , o non si voglia, non 
si può restar soli del proprio parere , se nou s’ è monoma- 
niaci , che è dire malati di cervello. L’istinto stesso ci spin- 
ge a metterci all' unisono con altri , verso i quali ci attrag- 
gono simpatie naturali o artificiali, e a’ quali si crede, per- 
chè si crede a noi medesimi : e v’ è in noi tendenza al for- 
marci un mondo di que’ che ci accostano , e che accostiam 
noi , magnificando ed esagerando il valore e il numero lo- 
ro. Cosi, quando il mondo che ci siaui fatto pensa e crede 
come noi , e noi crediamo e pensiamo come quello , ci pal- 
elle qiiesta universalità parziale e locale valga la vera uni- 
versalità potente a vincere tutte le contraddizioni. Ma può 
ella esser questa l'autorità destinata a fare spalla alla ragion 


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— 19 — 

privala di chicchessia, o ad essere uno de’ due puntelli del 
I' uomo , postigli da due lati per impedirgli il cadere ? La 
specie umana è forse un partito, ed è una ragion di partito 
la ragione umana? I partili forse non s’ingannano , e non 
ingannano? Non hanno passioni che velano il giudizio? Non 
hanno interessi che muovono le passioni? O nou v’é obbli- 
go , nelle grandi questioni umanitarie , non di misurare il 
proprio deliberare e credere col deliberare e credere di ((ud- 
ii , o pochi o molli, a’ quali ci stringono i nostri interessi e 
i nostri affetti, ma di misurarlo con quel che delibera e cre- 
de la sola legale maggioranza del genere umano, cioè quella 
che si raccoglie in una somma, comprendendo nel computo 
i popoli di tutte le età, di tutte le stirpi, di tutte le regioni, e 
dando particolar valore a que’ che si reputaron sempre i più 
savi, i più probi; e riguardando un po'nella verificazione delle 
dottrine ( in virtù di quell’argomentazione che i dialettici 
chiamano ab absurdo) ai grandi ed ultimi conseguenti loro, i 
quali , se contrari alla perfezione della specie intera, signi- 
ficano , con ciò stesso, efficacemente, la falsità d e’ principii, 
donde que’ conseguenti discendono? E istituita questa misu- 
ra e questa comparazione , non bassi egli obbligo, per una 
generale norma , di dar sempre più valore all’espressione 
ultima di quel sentimento della vera maggioranza degli uo- 
mini, che al sentimento suo proprio, e de’ suoi colleglli ed 
amici, per numerosi che paiano e siano? o siani venuti a 
tanto stravolgimento di logica , che ornai l’ autorità di ciò 
che si chiama il senso comune , ed è appunto il da noi de- 
scritto in ultimo luogo , è distrutta ed annullata ? 

Dopo di che, qual forza ha più l’altra obbiezione dedotta 
dal supposto, che l’inlelletto non soffra violenza, e che, ri- 
spetto al credere, non si è liberi di credere quel che si vuole, 
ma si è costretti a regolare la propria fede secondo la luce in- 
teriore, d’onde essa fede ha unico procedimento? Ammetto 
il fallo: sebbene, anche in ciò, molto dipende dalle prepara- 
zioni estrinseche della monte, e dalle disposizioni del cuore. 


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Pur liberalmente lo ammetto. Ma, dal fatto cosi ammesso, qual 
diritto scaturisce ? Forse che regolar dobbiamo le nostre a- 
zioni interne cd esterne, secondo la suprema norma di quel 
che all’ intelletto nostro pare unicamente vero? Non già. 
L’obbligo è d' umiliarci , e di riconoscere , una volta per 
sempre , l’inferiorità del nostro intelletto, quando ci accor- 
giamo che i privati opinamenli nostri son contraddetti dalla 
grande universalità degli opinamenti dell’umana famiglia , 
considerata nella totalità sua presente e passata; e di lasciare 
allora da parte il falso lume del proprio intendimento per 
diriger noi e le cose nostre coll’altro lume tanto più si- 
curo , eh’ è il lume a cui demmo il nome di cornuti senso. 

Ed intendiamoci bene , a evitar tutte le ambiguità. Qui 
non parliamo delle questioni , intorno alle quali il cornuti 
senso non ha luogo, ne competenza, nè autorità... di quelle 
questioni , che non son fatte per esser trattate da tutti , e 
che non bisognano a tutti per la -loro normale esistenza e 
sussistenza... Qui si tratta di quelle questioni, le quali pos- 
sono e debbono chiamarsi le grandi questioni del genere 
umano: le grandi questioni teoriche, fondamento sommo 
<]£Ìla vita sociale pratica... le grandi e capitali questioni, ri- 
spetto alle quali la possibilità di una soluzione per maggio- 
ranza non può non essere stata data alla specie intera , 
come concessione della quale aveva bisogno per progredire 
in modo conducente al fine ultimo della sua terrena esi- 
stenza. 

O vuoisi ancora seguitare sofisticando , e far sonare alto 
certi paroioni, che per alcuni hanno una potenza di magia, 
come dire: progresso de lumi; fase nuova dell’ umanità ; neces- 
sità di divorzio col mondo antico, e colle sue vecchie opinioni e 
speriepze ; Insogno d' una rivista nuova delle, leggi governatrici 
della specie umana ... e siuiiglianli altre affermazioni scom- 
pagnate di prove , che s’ accettano senza discussione come 
domini? Dunque facciamo questa rivista, e disputiamo. Ma 
disputiamo , non dommatizziamo. Noi niente domandiamo 


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— 21 — 

di meglio , che una disputa istituita con buona fede. Dispu- 
tiamo colle ragioni , non colle violenze. Conquistiamo le 
opinioni di lutti , non le sforziamo. E asteniamoci dalle in- 
giurie , dagli argomenti ad ódium e ad invidiarti, che se sono 
argomenti rettorici , non sono argomenti logici. Cerchiamo 
la verità come filosofi ; non urliamo , innanzi ad ogni dili- 
gente ricerca, d’averla già ritrovata; e non ne proponiamo 
l’ idolo , che ci siam fatti , alla venerazione altrui , col col- 
tello alla mano, e coll’urlo de’ seguaci di Maometto. 

Disputiamo ! Ricadremo però allora nella sconfortante cer- 
tezza, di che io parlava in principio. Disputeremo, ma quan- 
ti saranno che potran cavare profitto dalla disputa ? Oimè ! 
pochi, pochissimi, io dico di nuovo. Pochi, pochissimi, avu- 
to riguardo al numero di que’che non sanno leggere, di quei 
che , leggendo , non intendono , e non sono atti ad inten- 
dere; di quei che hanno la volontà guasta, e il proposito de- 
liberato di non voler intendere; di quei che, volendo anche 
intendere , sono impediti dal confessare quel che hanno in- 
teso , perchè incontrano impedimento di tutti i confederati 
alla loro setta ... E, allora , non vai meglio posar la pen- 
na , e mettere in riposo per sempre la lingua ?... 

No, che non vai meglio. Facciamo il dover nostro ; e sia 
del resto quel che al ciel piace. Disputiamo ! certi anche 
d’ incontrare la innumerabile turba di coloro , che non co- 
noscono e non usano , messi alle strette , altra logica , se 
non quella eh’ io chiamo della fantesca colta in fallo. — Tu 
la sorprendi in flagranti crimine. Mostri , con mano , pre- 
sente il corpo del delitto , e imperterritamente nega il fatto 
visibile e palpabile. Tu le opponi un argomento , a cui non 
può , né sa rispondere : e ti salta di palo in frasca. Tu la 
convinci colle stesse sue parole , e disdice, senza un pudore 
al mondo , il già detto, dicendo di non averlo detto. Tu le 
ragioni freddamente, placidamente, e caritatevolmente, e va 
in furia e t’insulta. Tu cerchi di farle un discorso ordinato 
e concludente, e te lo disordina ad ogni tratto e te Io scom- 


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_ 22 — 


piglia. Tu pensi aver fallo qualche cammino, e ti trovi sem- 
pre nel punto medesimo dal quale partisti. Non puoi spera- 
re che t’ascolti, e ti lasci svolgere le tue prove. Ti taglia la 
parola in bocca. Mentisce sfrontatamente guardandoti in vi- 
so , e ti costringe ad abbassar gli occhi , come se il reo fossi 
tu e non essa. Non si vergogna. Non ha scrupoli. Ti sover- 
chia colla voce e col gesto. Ti costringe coll’impudenza al 
silenzio ; e va gridando che gli fai violenza, che l’ assassi- 
ni .. . che t’ ha vinto. Hai guadagnato molto, se, comin- 
ciando come accusatore, non finisci, presso lo stuolo di tut- 
te le comari di piazza , colla parte d’ accusato e di condan- 
nato . . . 

E questa e non altra è, e sarà pur troppo, per lungo tem- 
po ancora , la dialettica de’ più tra i politicanti , co’ quali 
bisognerà disputare! Il crimen flagrans, intanto, è la rovina 
della patria, quasi già distrutta dalla lega de’poeti, degli ar- 
rabbiati , degl’ imbroglioni pescauli nel torbido , degli am- 
biziosi, degli utopisti, e de’ ristucchi , a’ quali lo scompiglio 
universale è divertimento , è speranza , è mezzo, è solleti- 
co, è sfogo. Quando gli uomini metteranno giudizio? Quan- 
do la ragione avrà ragione ? 

Quando sarà per piacere a Dio. Amen. 


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OPUSCOLO I. 

DE’ FEDECOM MESSI E DELL’ ARISTOCRAZIA 

Quattro Lettere 

DEL PROF. FRANCESCO ORIOLI 

al sig. avv 

( Ristampa con emendazioni ) 





DDE PAROLE AL LETTORE 


Queste lettere già erano scritte sin da quando io scriveva 
articoli nel giornale intitolato la Bilancia : ma i tempi cam- 
minavano smisuratamente avversi alle dottrine ch’io vi di- 
fendo .... Oggi stampo ciò che allora non si giudicò pru- 
denza stampare.... 

Ne sulor uln a crepidam ? Ma chi è a’ tempi nostri , che non 
sia , o non si creda , sulor legum ? Sia lecito a me quel che 
a tutti. 

Ed è voce nuovamente di riforme Ira noi che si prepara- 
no in tutta la legislazione. Sarà bene che gli spiriti sian 
tratti a meditare un'ultima volta sull'argomento ch’io qui 
discorro. 

Forse dico notissime cose. Forse ne lascio molte che con 
vantaggio potrebbero aggiungersi. Forse in alcune vado er- 
rato. Fungar vice cotis. Certo è che al tempo il qual corre, 
ciò non è portar nottole in Alene. 


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-27 — 


■<etti<:k.% prima 


RISPETTABILE AMICO ! 

Sopra udo scabroso punto m’invitate a porre il dito : la 
questione intorno i fedecommessi. Nè ignoro che il trivio , 
da lungo tempo , l’ ha per decisa, ei che fedecommessi non 
vuol più , c comanda a camere alte o basse (dov’clle sono) 
di abrogarli solennemente con leggi. Resta il vedere , se , 
cosi volendo , vuole il suo meglio. Direte, caró amico , vox 
populi vox Dei. Ma questo Dio-popolo ( questo idolo d’ un 
cattivo proverbio ) io non lo conosco. So eh’ei s’inganna 
spesso come ogni povero mortale .... e, quel ch’è peggio, 
paga poi caro gl’inganni suoi, c fa pagarli non men caro 
a’non compartecipi dell’inganno ....Favelliamone co’meto- 
di dc’filosofi, non come volgo; forse andando errati nel giu- 
dicare, ma, per lo meno, procedendo al giudizio, in diver- 
so modo che altri, per la via del ragionamento (1). 

Una osservazione giova premettere: l’istituzione , in ge- 
nerale , che è tema -a questa lettera , non soltanto s’incon- 
tra nella legislazione nostra, e dentro il circolo delia no- 
stra vecchia civiltà e delle sue passate numerose derivazio- 
ni. Sotto svariate forme leggo che I’ ebbero i secoli più re- 
moti, e certe genti le più barbare, ed altre le più discoste 

(1) D'autorità non lo uso. Ha oggi qualche valore l' automa d’ uomini 
in ogni passato tempo giudicali sapientissimi ? Giova egli torse citare pubbli- 
cisti , legislatori , giurisprudcnli , filosofi ... esempi nuovi od antichi? — Di 
ciò fu già parlato nella prelazione. Viviamo in un’ età , in cui gl’ incendi del- 
le biblioteche farebber sorridere i più ira i riformatori del civilissimo mondo 
moderno ! 


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— 28 — 


dalle nostrali consuetudini, siccome non manco molte ch’eb- 
ber fama di gran sapienza. Or , quando, nelle cose di ci- 
vile ordinamento , io trovo un uso , in che buon numero 
consente di popoli, o selvaggi, o venuti a coltura squisita 
d’intelletto , senza che si possa dire tramandato quest’ uso, 
dagli uni agli altri , per comunicazione reciproca d’ una pri- 
mitiva inconsiderata costumanza , io son costretto a pensa- 
re , che l’uso ha necessariamente radice, più o men ferma, 
in qualche parte della natura umana , e nel senso comune 
delle nazioni , eh’ è in sé cosa ancor più salda , e men falli- 
bile d’ogni altra elaborata ragione. Ed è possibile allora , 
che, ciò non ostante, esso uso, recato innanzi al tribunale 
di tale o tale altra scuola di politiche sottigliezze più cre- 
sciuta in fama , e di tale o tale altra setta d’ opinanti , sia 
sentenziato degno di condanna e di riforma da chi si tiene 
più saggio di lutti i passati , e con ciò riscuote I’ applauso 
degli amatori del nuovo , assai numerosi in certe età , nu- 
merosissimi oltra ogni credere nella nostra. Ma, per lo me- 
no , il venire a sì fatta sentenza , ed il fermarvisi , non può 
essere consentito se non a chi rechi innanzi, come frutto di 
più lunghi e più accurati esami, la dimostrazion manifesta, 
che, risalendo alla fonte stessa dell’errore tanto ampiamente 
diffuso, e regnante per si luugo tempo, se n’ è veracemente 
saputa mettere a nudo l’origine e la fallacia. 

Nel caso nostro , gli accurati esami , di che io dico, non 
tutti que’che oggidì franchi dan condanna, paiono averli fatti. 
E li avran forse fatti ; ma non lo mostrano: poiché, tra le 
ragioni che, per condannare, van ripetendo, non odo guari 
sonarmi all’ orecchio le molte, che, d’altra parte, valer do- 
vrebbero per assolvere. Delle quali alcune pur si presentano 
al mio corto intendere come degne di particolare pondera- 
zione, e perciò utili ad essere messe in computo. Non ch’io 
m’ arroghi il diritto d’ affermare, in modo assoluto, eh’ esse 
fanno preponderanza : ma voglio dire che bisogna contarle 
per quel che pesano, e non trascurare di metterle a bilancia 


-Dioilìzfid bv - Gocw le 


— ‘29 — 

colle lor contrarie. Il perché ho deliberato di porre in carta 
quelle, che, a mio discernere, hanno sembianza di gravità 
maggiore. Nel resto I’ autorità competente del giudicarle io 
la lascio a voi che avete senno per conoscere la verità , c a 
que’ eli’ essendo a voi simili , governano il giudizio loro , 
non con affezioni di volgo , ma con norme di filosofia e di 
giustizia. 

Per prime si presentano le considerazioni tratte da un 
più sottile esame de’veri interessi di tutta quella che si chia- 
ma la famiglia, e di ciascuna delle persone che la compon- 
gono, o la comporranno, in ogni sua futura durata: consi- 
derazioni , che , nella opinione dei più , abituati , come li 
sappiamo essere , a non guari spingere il guardo al di là 
della prima scorza delle cose , paiono appunto dar motivo 
giusto e principalissimo alla universale riprovazione de’fe- 
decommissari vincoli, mentre me conducono a opposto con- 
seguente. Supponiamo infatti una famiglia cospicuamente 
ricca , o venuta a splendore di non comune fortuna (che già 
fedecommessi non in altre veramente può giovare che s'isti- 
tuiscano : perchè nelle piccole non io voglio ostinarmi a di- 
fenderli ; e non difendo le sostituzioni ad infinito , che i 
retaggi fan viaggiare di cognome in cognome, e d'affinità in 
affinità, per ogni prolungamento d’età avvenire: ne quid ru- 
mi* ): certo, in essa, il pkì naturale desiderio ed istinto di 
chi se ne vede capo , desiderio , per altro Iato , nel quale 
niente è, come presto mostreremo , di contrario a filosofia 
ed a giustizia , è perennare , quanto più a lungo e meglio 
puossi, la potenza e l’agiatezza a che pervenne co’ modi che 
gli concedono le leggi : cosicché , dovendola , per morte , 
esso capo lasciare , almen la conservi, in ogni tempo avve- 
nire , la stirpe che da lui discende , e sia questa conserva- 
zione , per quanto egli è possibile , benefìzio di tutte le sue 
propagini ; e , se questo non è possibile, passi per lo manco 
a un principale suo tralcio , che , con legge , se ciò esser 
può , e per quanto lo può, d'immortalità , duri ( non senza 


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— 30 — 


indiretto vantaggio de’tralci collaterali ) simile al suo comin- 
ciamento, od anche cresca indesinentemenle in vigore ed in 
rigoglio (1). Si fatto amore di perennità ci è come dir con- 
naturato ; e da esso germina, sotto forma d’ una morale ne- 
cessità , profondamente sentita nell’ animo , l’ amor che ab 
origine ci fu infuso per quella ch’è una continuazione di noi 
medesimi , la prosapia. S* ei non fosse ragione , è ( ripeto ) 
natura: ma, da che è natura, è ragione; e ragione, appunto 
per ciò , validissima , quando un’altra ragione non si trovi, 
fondata aneli’ essa sopra natura, ma d’un ordine superiore, 
che , contraddicendo a quella prima, ed elidendola, costrin- 
ga a porla in disparte : ciocché dissi , e proverò, non essere 
il nostro caso. Parendoci rivivere ne’ figli, e ne’ figli dei no- 
stri figli, noi non siam padroni di non bramare trasmessa in 
loro la nostra prosperità. Siam costretti a volere che quel che 
fu uostro bene divenga lor bene. La nostra mente si ricusa 
al credere ragionevole che ci sia disdetto il cooperare al con- 
servarlo per essi , a tutto potere , nella maggior misura che 
sia dato conseguire: laonde in quella società civile siam tratti 
a crederci mcn felici, dove quesl’ultima soddisfazione del cuo- 
re e questa speranza ci è contrastata; dove ci si ricusa la pote- 
stà di provvedere in futuro al massimo splendore della stirpe; 
dove, scemate le probabilità della durevolezza più o men pe- 
renne di si fatto splendore, ci vien meno la fiducia d’ essere 
spesso ricordati, ne’ secoli che succederanno, come beneme- 
riti principali autori della potenza e ricchezza de’ più lontaui 
nipoti nostri; dove, per ultimo, ci è vietato di risguardare, 
come grandissima e naturalissima parte di progresso , quella 
che, dopo la immortalità concessa solo a pochi, la qual s’ot- 
tiene colla memoria lasciata dietro di noi di famose opere ed 
imprese , nella mancanza di essa , ci procura un’ altra im- 
mortalità men difficile a guadagnarsi , l’ immortalità delle 


(I) Vignasi aiuola quel die intorno a ciò sarà dispulalo un poco dopo al- 
quante pagine. 


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— 31 — 

fortune portanti il nostro nome , e scendenti intatte a chi 
nelle vene è per avere il nostro sangue. 

Ora può egli altrimenti dirsi di quella ci vii società, nella 
quale è imposta per legge l' obbligazione di sempre dividere 
l’asse ereditario fra i coeredi necessari, secondo le più sem- 
plici regole della comune giustizia distributiva , salvato ap- 
pena a’ testanti il diritto di soddisfare , dentro un’ assai ri- 
stretta misura , a certi Jor motivi di predilezione? Il senso 
comune sembra rispondere che no , e sembra avere le sue 
buone ragioni per cosi rispondere. 

Un generale assioma è — Ogni eredità, che si divide e sud- 
divide senza intermissione , inevitabilmente, tra breve, si meno- 
ma e si distrugge. — Un secondo è corollario di quel primo, 
e dice: — Ogni famiglia, in cui V eredità va soggetta a divisio- 
ni indesinenti e necessarie , diviene inevitabilmente povera, e lo 
diviene dentro un tempo tanto men lungo, quanto maggiore e più 
sollecita è la sua moltiplicazione . — Un terzo, che non è me- 
no evidente del primo e del secondo, è : — Ogni asse eredi- 
tario che , trasmettendosi, anche tutto intero quanto egli è, non 
è salvalo con ispeciali leggi e convenzioni dalle imprevidenze , 
dalla incuria, dalle inconsiderate prodigalità , dai vizi smisura - 
„ lamento costosi , dee alla lunga è impossibile di non incontrare 
in più d’ uno de’ successivi eredi , a damo manifesto di lutti i 
futuri, finisce coll'andare piti o meno presto dissipato e distrutto. 
—Dunque, per lo meno, nella divisione e suddivisione per- 
petua dell’ eredità non v’è l’interesse della famiglia tutta in- 
tera , considerata nella sua lunghezza, che pure, come testé 
dicevamo , per naturale istinto d’ immortalità , desideriamo 
tutti conservata in vigore, almeno in un priucipal suo tronco, . 
per quel maggiore spazio di tempo il qua! si può, ed occu- 
pante nello stato , senza scadimento , quella onorata sede a 
che una prima volta potè ascendere. 

Ma v’é forse l’interesse, per Io manco, degl’individui se- - 
paratamente considerati , se non quello del casato colletti- 
vamente preso? Facilmente si giunge a comprendere , che 


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ancora questo manca, non ostante ogni contrario pensare di 
non bene avvisati opinanti. Imperciocché vero è che qua- 
lunque frettolosamente esamini dirà di leggieri l’opposto di 
ciò, perchè, a spinger poco lontano la vista , si scorge , a 
un’occhiata di miope, che ,• nel sistema de’ fedecommessi , 
uno è il privilegiato e il favorito nella fortuna, mentre tutti 
gli altri son condannati ad una meschinità d’avere, maggio- 
re , più o meno , di quella a che porterebbe la giusta divi- 
sione dell’ asse voluta dalla naturale valutazione dei diritti 
coeguali. Cosi, per quell’uno che più gode ed è vantaggiato 
siccome gallinae filius dbae , sono molti che si trovano ab- 
bassali e si pregiudicano. Ma l’argomento è di que’ che pos- 
sono essere facilmente ritorti. 

Infatti si trova , che può , anche con più ragione , dirsi : 
— Nel sistema della divisione dell’asse i pochi individui, che 
sono quest’oggi nella famiglia, fruiscono, egli è vero, d’un 
tal qual favore e privilegio ; i molti però , anzi i presunti- 
vamente moltissimi, che saranno dimani, posdimani, ed in 
tutta la durata più o men lunga della linea, patiscono inne- 
gabile detrimento. Così, per alcuni pochissimi trattati con 
predilezione, un numero grandemente maggiore è danneg- 
giato. Il presente è ingiusto ed egoista contro tutto il futu- 
ro. L’ingiuria ed il sopruso resta tal qual era ; solo si tras- 
porta contro altre persone , e contro un più gran numero 
di esse. La supposta imparzialità usata cogli uni è non men 
parzialità massima a grave pregiudizio d’altri mollissimi. Non 
vi son meno eredi privilegiati, e turba grandissima di diredati 
d'ogni avere. Nel presente niuno è beneficato con legge di 
preferenza, e tutti partecipano al funebre banchetto del padre 
di famiglia con equa proporzione ; ma, in ogni conseguente 
età , que’ cbe son per venire son condannati al digiuno, alla 
fame, all’abbiezione, alla mendicità: poiché i mezzi, per essi, 
di ritornare alla ricchezza, o di evitare la miseria, coll’indu- 
stria, e per altre vie, qui sono fuori della questione pura e 
semplice, la qual ci siamo proposta. E (per finire dicendo con 




piu precisione ancora , o con piu particolarità} messo a con- 
fronto numero contro a numero, si trova, che, nella ipotesi 
della eredità fidecommissaria, paragonata coH'ipotcsi dell’ere- 
dità divisa: — 1 . quc che godono son molli più , e i danneggiali 
molli meno: — 2. t primi, nell'una ipotesi . godono molto più , che 
i primi nell’altra:- 3. t secondi in quella soffrono molto men danno 
che in questa. -Imperciocché, considerando sempre la famiglia 
tutta intera, c per tutta la sua perennità, come un corpo di 
cointeressali, nel quale, a’ diritti e agl’interessi de’ singoli, è 
consigliato da ragione l’avere il massimo possibile riguardo, 
chiaro è — 1. che, in generale, tutta la serie dei successivi chia- 
mati al beneficio del fedecommesso nella sequela de’ tempi , vin- 
cerà, d’ordinario , d'assai , nel numero, la serie contrapposta 
de’ chiamali al beneficio sempre decrescente della divisione e sud- 
divisione dell’asse ereditario , finché un tal asse può , in sì 
fatto caso , sussistere : — 2. che in questo maggior numero di 
beneficali, o privilegiati eredi, conservanti per sé l’asse quasi in- 
tero, è ciascuno individualmente a miglior condizione , che cia- 
scuno individualmente de’ chiamati al beneficio della comparteci- 
pazione al primo sparlimento: — 3. finalmente che gli esclusi, 
come cadetti, dal beneficio suddetto, ridotti per ogni futuro tem- 
po ad una porzione aliquota , quanto si voglia menomala e pic- 
cola, per due titoli staranno meglio de’ sempre suddividenti tra 
loro V avito patrimonio; e cioè, in 1. luogo , perchè tra questi 
ultimi, copie notammo, rapidamente si sminuzza esso, e va, con 
ciò , al nulla: e cosi la partecipazione presto si riduce a zero, ed 
in tutti allora, senza più eccezione, è l’ eguaglianza della mise- 
ria; mentre all’opposto , per gli esclusi dal beneficio, nel caso del- 
l' eredità fedecommissaria, siccome il retaggio si conserva ricco e 
dovizioso, cosi il piatto ( come lo chiamano) sempre pe’ cadetti 
si mantiene di ragionevole cospicuità e sufficienza : — in 2. luo- 
go , perchè i suddividenti con perpetua legge fino ad annulla- 
mento dell’asse , presto ridotti perciò ad annullamento di parte- .. 
cipazione, perdono tutti, a poco a poco, e spesso con estrema ra- 
pidità , ogni considerazione nel pubblico, e difficilmente trovano 

3 . • ' 


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ripieghi per migliorare la condizione loro provvedendo a sé con 
altre vie; mentre gli appartenenti ad una linea , conservanlesi 
una per virtù di fedecommesso , quantunque sian di coloro , che 
la ragione del fedecommissario vincolo ha ridotto al solo piatto , 
indipendentemente da questo , godono de’ vantaggi , che la con- 
nessione immediata, od anche mediata, con una famiglia potente 
per fortuna , e lungamente confermata in questa potenza , in 
qualunque forma di governo , di necessità si trae dietro e largisce. 
Perciò è loro aperto, con assai maggior frequenza , più d’ un 
adito a proiezione , a promozione, a cariche lucrative, o simile, 
onde la dovizia, che non c'è , sopravviene, e si riguadagna . — 
Dunque , allorché prendiamo ad argomento delle nostre 
considerazioni , siccome nell’esame di questo primo punto 
s’è voluto fare, il puro interesse, o delle famiglie, o de- 
gl’individui, certo è, che meglio si concilia esso col siste- 
ma de’ fedecommessi : massime quando non si coarti l’esa- 
me all’interesse d’uno o d’un altro individuo singolarmen- 
te scelto nel primo de’due sistemi che qui prendemmo a 
confrontare; ma, invece di opporre l’utile, ponghiamo , 
di Tizio con quel di Caio, cioè di due determinali , esingo- 
li A e B, si prenda a considerare comparativamente quello 
di tutti (1). 


(I)E non s'avrà egli ila tener conto ancora di quel genere di vantaggio 
che i soli fedecommessi posseggono , quello dico del far essere nelle famiglie 
un patrimonio si saldamente assicurato nella sostanziale sua parte contro 
a certi colpi di fortuna , alle male amministrazioni , alle dissipazioni, alle im- 
provvide vendite, e da passare con certezza in ogni tempo a* naturali eredi 
suoi 1 V’ha egli nella legge comune questa salutare ed utilissima immortalità 
del retaggio a prolìtlo della intera linea ? V" ha egli questa sicurezza a' futuri 
d’ereditario intemerato , od almeno in gran parte mantenuto illeso? 

E qualcuno trarrà invece da ciò stesso motivi di querela e d'accusa a prò 
de’ periodici creditori dell’ asse , ossia nel maggiore loro numero , degli usu- 
rai : ma di ciò noi favelleremo altrove. 


uigitizea by vJotJgle 


— 35 — 




1KTTI0RI SECONDA 


RISPETTABILE AMICO ! 

Avete potuto intendere dalla passata mia lettera la difesa 
de’fedecommessi, considerati , nel generale , quanto all’in- 
teresse delle famiglie , dove si riguardino queste , come lo 
si dee , non già nella persona , separatamente , di tale o ta- 
le altro loro individuo , ma in quella di tutti gl’individui 
raccolti in una somma ; e non i soli compresi nel breve 
spazio di tempo , il quale è immediatamente prossimo alla 
morte dell'istitutore dell’eredità quando viensi a spartirla , 
ma i generati altresì in qualunque più o men lontano avve- 
nire , finché dura l’ albero genealogico direttamente proce- 
duto dalla sua prima radice. Ma voi sarete forse di colo- 
ro, i quali s’avvisano che gli ordinamenti civili debbano in 
guisa stabilirsi da tener conto esclusivo de’conlemporanei e 
de’ prossimi , messi in non cale i futuri e remoti ; e direte, 
per avventura, come molti - le società umane essere istituite , 
quanto al principale lor fine , acciocché quelli che le compongono 
nel presente , o seguiteranno a comporle in un avvenire al tut- 
to prossimo a noi, e per conseguenza più strettamente connesso 
co’ nostri interessi ed affetti, stiano il meglio eh’ esser può , cioè 
partecipino al bene in quella più larga e coeguale misura , e in 
quel maggior numero di coegualmente compartecipi , che è dato 
sperare , senza punto attendere agli altri. - Secondo la qual 
norma , coloro che già vivono , o prossimamente vivran- 
no , han dunque il dritto di dire all’autore della famiglia 
Noi soli siam oggi , e a noi si pensi e si provveda. I futuri so- 
no una ipotesi. Saranno o non saranno. E, se saranno , i bi- 
sogni loro futuri ed ipotetici di gran lunga non sono equipa- 


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rubili in valore ai nostri divenuti una realtà , e certi , ed 
odierni. Mal si avvisa però chi pensa che , d’un ragiona- 
mento di tal natura , un’adeguata confutazione non possa 
farsi. 

Errata è primieramente la proposizion principale scelta 
per cardine di lutto il discorso. E parrà forse una digressio- 
ne alquanto remota quella , in che son costretto ad entra- 
re , ma pur v’entrerò. Misero quel paese , dove le leggi si 
coartano il più che puossi ai bisogni e agl'interessi del pre- 
sente , o del più vicino avvenire ! La buona e provvida le- 
gislazione è quella , che , senza troppo mancar di riguardo 
a’giusli e veri (non agli esagerati ed egoisti) interessi e biso- 
gni dell’oggi e del domani , estende però le sue previden- 
ze , per quanto è dato all’antiveggenza umana di farlo, tan- 
to piu lungi , quant’ella sa e può meglio , alle età che non 
sono ancora. Quelle nazioni han più lungamente durato in 
prosperità e forza , e l’hanno , da’ loro cominciamenti , ac- 
cresciuta successivamente (la cosa è nota) , che , negli or- 
dinamenti loro civili e politici , ebbero , per buon abito , 
anche più a cuore il tempo il quale è per essere nella esten- 
sione del futuro , che quello in cui li andavano promulgan- 
do. La vita d’uno stato , come quella d’un uomo , per es- 
ser sana e vegeta , e soprattutto tenace , ha bisogno , che 
chi ha obbligo di custodirla presti principale attenzione , 
non a quel che oggi par bene facendolo o permettendose- 
lo , ma a quel che partorirà più lardi di bene o di male , 
come probabile , ancorché lontana , conseguenza. Beato il 
popolo , che si contenta di goder meno alla giornata per 
preparare un più esteso e più solido godimento a’suoi futu- 
ri ! Gli stali sono come una campagna da coltivare. V’è il 
fittaiuolo che , coltivandola , non pensa se non a cavarne il 
maggior guadagno possibile per sé , finché dura il fitto , e 
l’abbandona esinanita a chi l’avrà dopo di lui. V’è il prov- 
vido padre di famiglia , il quale si contenta di guadagnar 
meno per assicurar meglio una fecondità del fondo che sia 



— 37 — 

per conservarsi , e cresca a’ futuri la ricchezza , la qual ri- 
donda , non a vantaggio di soli essi , ma a quello non me- 
no della intera comunità , nel tempo che è per seguire. Con 
simigliante lodevole fine l'uomo dell’ oggidì logora nna par- 
te del suo capitale per piantar alberi lenti al crescere , 
de’ quali sa che il frutto non sarà da lui colto , ma si matu- 
rerà soltanto pe’ tardi nipoti. Con questo fine egli fabbrica, 
a grande perdita di danaro , il palagio che sfidi i secoli , e 
che a lui servirà un sol giorno , sdegnata la miserabile pra- 
tica di quei moderni , che fan casipole di stecchi e gesso , 
per non so quale calcolo d’economia mercantile ; casipole 
da bastare a essi unicamente , e da lasciare a cielo scoper- 
to i loro eredi. E sì fatto , e non altro , è il vero liberali- 
smo , e il vero senno politico. 

Dunque, riformatori del mondo nel nostro secolo, impa- 
rate. Insubieela materia , l’interesse d’ una nazione è , che , 
delle famiglie, possa essere quello che delle città, e delle città 
quello che dello stato intero : cioè , che s’avvii verso il me- 
glio , ciascuna secondo i shoì mezzi , e che le già pervenu- 
te a un apice di splendore e di ricchezza conservino l’uno 
e l’altra , e possibilmente in ciò crescano pel maggior uti- 
le , non de’lor posteri solo , ma sì dell’universale. Perchè , 
mantenuta dentro certi ragionevoli confini questa civile 
ineguaglianza , che a tanti spiace e sembra insignemente 
iniqua ed ingiusta , e questa lunga sussistenza in una stessa 
stirpe d’una continuata, e quasi inestinguibile , splendidez- 
za e dovizia , nè può chiamarsi una parzialità contro a giu- 
stizia , essendovi motivi giusti di volerla e mezzi di render- 
la innocua ; nè agli altri men privilegiati , per chi ben 
guardi , allorché s’ha rispetto al comun bene , è ingiuria o 
danno che meritin si fatto nome. In questa vece , a tutto il 
paese è grandissimo vantaggio , se ciò convenientemente 
s’ordini e si governi. Di che altrove darem categorica di- 
mostrazione. Qui basti dire in compendio : che , con que- 
st’ un temperamento , le città posson prendere aspetto e for- 


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— 38 — 


ma e sostanza d’ una soda e non fuggevole grandezza ; con- 
tar molti che lascio opere destinate a un lontano avvenire ; 
non andar soggette a quelle .triste e rapide oscillazioni di 
fortune e di ricchezze , che sono proprie delle genti unica- 
mente date a mercatura ; prendere infine quella stabilità che 
bisogna acciocché facilmente si superino le difficoltà de’tem- 
pi ; acciocché s’abbia credilo permanente, arti costante- 
mente incoraggiate , lusso il qual non tema tutte le labilità 
e gl’ improvvisi rovesci del commercio e dell' industria , 
esperienza ed intelligenza ereditarla delle pubbliche faccen- 
de ... . Imperciocché di poca logica s’ha bisogno per com- 
prendere quanta esser dee calamità di facili rivolgimenti e 
sconvolgimenti in una gente , presso la quale sempre siano 
soltanto uomini nuovi , nell’antico senso dell’ epiteto ... Do- 
v’è un perpetuo alzarsi ed abbassarsi di casati.... Dove cer- 
te tradizioni d’onore, di beneficenza , di pratiche governa- - 
tive e politiche , religiosamente custodite come bene di fa- 
miglia , sono impossibili a stabilirsi... Dove que'che fanno 
la principal forza , in ogni succeder di tempi , sono come 
stranieri gli uni agli altri. Un tal paese grandemente somi- 
glia ad un paese dato a balia di forestieri , che sempre cac- 
ciano i predecessori loro , e finiscono coll’essere la loro 
volta cacciati , poco meno che come i re nemorensi dell’an- 
tichità. Un tal paese ha una felicità senza radici , quando 
pur la consegue ; una dovizia fallace e soggetta a mancargli 
quando che sia. E ornai basti di ciò. Ma é poi vero , da un 
altro fato , che , dato ancora che , nell’ obbligo del legisla- 
tore , fosse il preferire , di gran lunga , i dritti de’ presenti 
a que’ de’ futuri , violi questa regola quel legislatore, il 
quale incoraggia o permette i fedecommessi ? Facile è mo- 
strare che no. Risponderei col sì , dove i pretesi diritti dei 
presenti contro ai futuri , nell’argomento che trattiamo , 
avesser salda base : ma questo è ciò eh’ io debbo negare ; e 
le ragioni del negarlo sono molte e poderose. 

1 diritti de’ figli contro ai genitori , e contro all’asse che 


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— 39 — 

questi ultimi colle loro fatiche , colla loro particolare indu- 
stria , o, infine , per qualunque altra via consentita dalle 
leggi , seppero e poterono accumulare 1 (1) Udirei volen- 
tieri su che buona ragione s’appoggiano in quanto diritti , 
se per diritto bassi ad intendere quel che tutti intendono. 

Che parte i Agli ebbero all'acquisto, o che merito? È diritto 
che procede da natura , e che dalla nascita recaron seco , 
senza bisogno d’altra opera loro ? Che fondamento la natu- 
ra dunque gli diede? Quello solo dell’affetto che il padre 
non può e non dee, se non è disumanato, non sentire 
pe’generati da lui ? Sta bene. Ciò vuol dire ch’egli è obbli- 
gato , o almen quasi-obbligato , dal suo connaturale amore 
(quando noi fosse da piu altri riguardi ancora) a provvede- 
re a tutti i bisogni della prole , durante la vita (de’quali i 
limiti sono disputabili) , e, fino ad un certo segno , anche 
a’suoi comodi in modo conforme alla condizione della ca- 
sa ; e che , morendo , è tenuto , o quasi-tenuto , secondo 
la latitudine dell’avere , a lasciare essa prole ugualmente 
provveduta , cosicché non passi ad una condizione più me- ’ 
schina, l’eredità permettendolo. Ed allorchès’usa il vocabo- 
lo tenuto , o quasi-tenuto, s’intende bene moralmentc-lenuto , 
cioè tenuto per un quasi obbligo , eh’ io son però disposto a 
conceder volentieri come equivalente ad ogni altra obbliga- 
zione di nome e d’effetto più vero. Ma , se l’eredità è stra- 
ordinariamente pingue ; se , oltre a quel che il padre, trat- 
tando bene e da suo pari i figliuoli , suole dar loro , è nel 


(1)E si noli bene, ebe i qui supposti dirilti sarebbero al più de' soli tigli 
poi-nati di colui che istituì il l'edecommesso.Gli altri fratelli minori del primo- 
genito favorito , in ogni successivo tempo , con che ragione possono chiedere 
a questo la divisione dell'eredità? L'asse non era libera possidenza del padre. 
Se il vincolo con che fu posseduto bassi a spezzare , sarà ben forza che rina- 
scano i dirilti a compartecipazione di tutti i discendenti del primo autore , se- 
condo una scala graduatoria da determinarsi , e l'eredità intera anderà in pol- 
vere in un giorno. E agli ultimi pretendenti che resterà? Essi perderanno e 
quel che domandano , e quel che avevano prima del domandare. 


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I 


— 40 — . 

è 

patrimonio una ridondanza , della quale , finché vive , nes- 
sun mai gli contrasta il pieno e libero dominio , e la facol- 
tà di disporne a suo grado e libito ; perchè , morendo , 
perderà egli questo diritto , nell’esercizio della sua potestà 
di testare ; e chi asserisce che lo perde ? Que’cbe ogni po- 
testà di testare vogliono abolita come ingiusta ? Co’ comuni- 
sti non disputo. I poveretti han bisogno di navigare ad An- 
darci , quando non son di coloro che han bisogno d’ esser 
fatti navigare a Giaro. Gli altri accordan tutti (ed anche , 
per quel ch’io mi sappia , gl’ impugnatori delle fidecommis- 
sarie istituzioni: contraddizione inesplicabile !) che, delibas- 
se , eziandio non pingue , più poi del pingue e pinguissi- 
mo , una porzione più o men cospicua possa , senza ingiu- 
stizia , dal genitore morente , essere staccata per farne te- 
stamentario dono a chi vuole.... al primo estraneo che sia- 
gli a grado di beneficare. Ciò si chiama il diritto d’istituire 
legati- Or qui , invece , non si tratta di permettere al pa- 
dre di regalare una parte del retaggio , come legato, a uno 
estraneo : si tratta di permettergli il riservarla a uno de’ fi- 
gli. E non si dice di regalargliela puramente e semplice- 
mente , ma si dice di riservargliela col vincolo di molte 
condizioni onerose , come deposito , piuttosto che come 
dono. E non s’intende di lasciargli far ciò per un motivo di 
predilezione più o men lesiva degli altri , per soddisfare ad 
un capriccio , per cedere ad una seduzione astutamente 
condotta , ma s’intende per procurare il lustro futuro e 
permanente della casa , al quale tutti sono , e debbono sen- 
tirsi interessati. Dov’ è dunque la violazione del diritto , o 
quasi-dirilto ? Dov’ è l'ingiustizia ? Dov’è l’ingiuria? Per- 
chè , proponiamo bene il caso a quel modo che si dee pro- 
porlo. Esso, nella buona legislazione , è cosi , o dev’ esser 
cosi. - 

Non si vuole una illimitata libertà d’ istituzione di fede- 
commessi. Volentieri s’accorda, che i piccoli assi non han- 
no da esserne giudicati suscettivi : perchè non si nega che , 


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< 

— 41 — 

se a questi si concedesse di essere attemperali a fidecommis- 
sario legame, i cadetti necessariamente avrebber condanna, * 
con ciò , ad una indecorosa ed iniqua strettezza. Quel solo 
che si vuole è che , nelle grandissime eredità , l’ istituire si 
Tatto legame non sia disdetto : posta la quale limitazione , 
già realmente nessuna crudeltà, o violazione dell’equità na- 
turale può dirsi ammessa dalla legge e protetta. Certo ella 
concederà un erede favorito, il quale sarà insignemente ric- 
co, e al quale un altro erede favorito succederà collo stesso 
vantaggio , ripetendosi la condizione medesima in ogni fu- 
turo tempo, finché dura la maschile discendenza: ma i non 
favoriti non saranno perciò poveri , e non potranno chia- 
marsi diredati. Godranno d’un piallo conveniente. Avranno, 
oltre al vantaggio del piatto, gli altri necessari vantaggi del- 
1’ esser tralci d’ una potente stirpe. Le facilità per avanzar 
cammino abbonderanno intorno a loro. Che se, la lor volta, 
vorranno creare, eglino medesimi, una famiglia nuova e lor 
propria , io aspetto che voglia provarmisi che non appar- 
tenga alla loro individuale solerzia ed industria il pensare ad 
aggiungere, con arti degne d’un gentiluomo, capitali nuovi 
al peculio delle grasse loro pensioni. Aspetto che voglia pro- 
varmisi che a ciò stesso non sia per essere un poderoso aiuto 
la condizione di cadetto d’un gran casato. Aspetto che voglia 
provarmisi , che questo carico imposto alla personale attività 
del bramoso di fondare una casa nuova non sia più morale 
disposizione di legge , dell’ altra che tanto favorisce la sua 
inerzia : e voglio dire di quella , per cui pretende egli d’at- 
tingere nel paterno retaggio il più che può trarne al fine di 
restarsi il più che può colle mani in mano. Ma io lodo in- 
vece la sapienza degli antichi , i quali appunto per conside- 
razioni dei genere di quest’ ultima stabilirono , che il vero 
diritto de’ figli non andasse al di là della rata legittima, e che 
quello , invece , del testatore fosse di disporre liberamente 
del resto come gli aggrada, appunto per dir quasi agli eredi 
naturali del padre : « Se tu vuoi di più , o se di più ti biso 


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— 42 — 

gna, sappi eh* è tuo dovere il procacciarlo con usare de’ tuoi 
propri mezzi , lo stato non amando, e non volendo favorire 
i poltroni: » e per dire al testante: « Se tu possiedi, è giusto 
che ti resti il conforto, morendo , dopo aver provveduto in 
un’ equa misura a tutti i tìgli , di gratificare un amico , od 
uno col quale hai debito di riconoscenza, d’usare una libe- 
ralità, di contentare un onesto tuo desiderio , di premiare , 
tra gli stessi tuoi figli , o congiunti, quei che più degli altri 

10 han meritato... e di provvedere soprattutto , non a’ figli 
soltanto , ma a tutti quelli che saranno in futuro della tua 
stirpe , ordinando in modo il retaggio , che , per quanto è 
possibile, riesca quello profittevole a essa stirpe , fioch’ella 
sia per durare ». 

A tutte le quali ragioni che si può opporre ? S’ ostinerà 
egli taluno a far sonar alto l’ infamia della parzialità usata ; 
l’opportunità somministrata alle fraterne invidie di destarsi ; 

11 disamore e Io sconlentamento promosso tra fratelli ; e la 
provocata disaffezione alla paterna memoria? Dopo le cose 
fin qui dette , non parrebbe che si fatte difficoltà avessero a 
rinascere. 

L’ obbiezione della parzialità abbiamo già veduto che non 
può essere opposta sul serio , di questa parzialità non v’es- 
sendo nemmen l’idea. Perchè il fine manifesto della qui 
esaminala istituzione , per fermo , non è favorire l’uno col 
proponimento di fare onta o pregiudizio agli altri ; e non è 
sceglierlo per predilezione che si voglia mostrargli , come 
se gli altri s’amasser meno. È soddisfare al bisogno , utile e 
decoroso per tutta la stirpe , e per conseguente anche a co- 
loro i quali paiono gravati , di mantenere in perpetuo la 
grandezza e il lustro della casa : ciocché ridonda in più 
vantaggio di tutti i futuri. E dare a essa casa, per ogni tem- 
po che sarà per succedere , un capo , intorno al quale tutti 
si riducano , come quando il suo fondatore viveva , col fi- 
ne morale che il legame comune fra parenti duri più indis- 
solubile , e la famiglia non si sparpagli e disperda , ma 


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serbi vivaci e inestinguibili , ne’ petti , fé affezioni recipro- 
che, anche astrettavi dall’interesse. È mantenere quindi 
l’unità e la centralità , base della forza e della potenza 
ciocché si è naturale , che lo veggiamo , in qualche modo, 
senza bisogno di legge , operarsi di per sé , perfino in con- 
tado , pacificamente , e col tacito accordo di tutti : avve- 
gnaché quivi , morto il padre , è per solito , stando ad an- 
tiche tradizioni , il più anziano de’ fratelli ii vice-padre suc- 
cedente nell’azienda , o sia nella gestione degl’interessi co- 
muni , con autorità pressoché di dittatore , più assunta se- 
condo consuetudine , che per effettiva convenzione interve- 
nuta fra tutti. Ciò tanto è antico , che riceve il nome di 
sistema patriarcale , avvegnaché i primi esempi se ne in- 
contrano ne’ santi libri tra i patriarchi. E sempre , come ap- 
punto ne’maggiorati nostri , a viemeglio allontanare ogni 
sospetto di preconcetta parzialità, l’ordine di successione al 
beneficio e al carico principale , non lo determina la libera 
scelta del morente , ma la casuale qualità di primogenito : 
con questo di più , che il dolce in ciò dei privilegio è poi 
bilanciato dall’amaro del vincolo. Poiché , infine , l’erede 
fidecommissario non resta padrone assoluto dell’asse , ma 

10 ha , siccome di sopra osservammo , in deposito da tras- 
mettere intemerato di padre in figlio fino alia estremità 
della linea , sempre cogli stessi pesi verso i collaterali. L'as- 
se è di nessuno e di tutti. L’amministrazione è d’un solo. 

- 

11 frutto è comune. Un’antiparte di esso è deli’amministra- 
tor principale ; e non senza un perchè : a lui toccando es- 
ser gravato dell’obbligo di far gli onori della casa ; dell’ave- 
re più spese che tutti ; del sopportare le noie dell’azienda , 
di tanti altri o fastidi o dispendi che ognun sa od immagi- 
na , Il rimanente si divide in rate uguali , e ciascuno ha la 
sua. L’eredità è dunque , e resta , nel fatto, alla famiglia 
intera , e non a tale o tale altro. E vi resta distribuita nel 
più saggio modo possibile , acciocché le partecipazioni si 
perennino e sian sempre decentemente grandi. E vi resta 



— 44 — 


preservata dai capricci , dalle imprudenze , dalle prodigali- 
tà , dalle dissipazioni , inevitabili nella lunghezza de’tem- 
pi , che un improvvido depositario potrebbe operarvi col 
danno de’ presenti , e di tutti que’che verranno appresso. In 
che , se , quanto alla persona del depositario , o vogliasi 
dire dell’ usufruttuario principale ed amministratore, la 
consuetudine d’ogni paese e d’ogni tempo ha voluto piutto- 
sto accordare la prelazione alla fortuita circostanza dell’ es- 
ser nato prima , che a qualunque altra intrinseca , tratta 
da individuale merito , in ciò è stato più sapienza che co- 
munemente Don si crede ; avvegnaché questo era il metodo 
migliore , appunto per impedire , dentro i limiti del possi- 
bile , i malumori verso il padre e verso il preferito : malu- 
mori che sarebbero stati naturalmente assai più grandi , ed 
avrebbero avuto piu pretesto al nascere , dove un atto di 
volontà speciale , in ogni caso di trasmissione , e non un 
preordinamento da lungo tempo stabilito , avesse avuto da 
determinare le scelte. Donde poi sarebbe conseguitato , che 
ne’ posposti in ogni nuovo caso , per qualunque giudizio 
d’un testante , sarebbe di leggieri sorta l’accusa , o la que- 
rela , d’ingiusto apprezzamento delle qualità personali, o 
di gravame recato a’ più degni. Mentre, per altra parte, 
volendo pure fissare una prima volta , per ogni tempo av- 
venire , quale de’ figli sarebbe preferito , niente era sì con- 
sentaneo a ragione , in regola generale , che dare questo di- 
ritto al primo in ordine di nascita. Perchè il privilegio del- 
l’età reca seco alrnen la presunzione d’una maggior matu- 
rità d’ esperienza e di senno , e la certezza poscia , ancor 
più ragionevole , che , nel momento in cui la successione 
verrà ad aprirsi , troverassi con maggior probabilità , in chi 
gode questo privilegio , quell’età maggiorenne , o prossima 
alla maggiorenne, e quella maggior cognizione degli affari , 
che si richiede per salvare l’asse dal bisogno d’una curate- 
la , e d'una amministrazione di più o meno estranei , tan- 
to , per solito , dannosa ai pingui patrimoni , o per fare al- 


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— 45 — 


meno ch’ella duri il piu breve tempo possibile. Dovè, se 
ancora quella prima presunzione vada fallita , e se il caso 
faccia che il favore della prelazione cada sul raen degno e 
il men capace , il male è tuttavia non si grande ed inlolle- 
rando quanto a primo aspetto pare. Imperciocché , primie- 
ramente , ove rimbecillita e l' inettitudine , o le altre catti- 
ve qualità sian somme , v’è sempre il rimedio della interdi- 
zione. Inoltre , in un retaggio si vincolato , come ogni re- 
taggio fidecommissario , rado è che i detrimenti possano 
essere grandissimi e irreparabili. Finalmente avverrà in ciò 
quel che in tutte le cose umane e di tutti gli umani prov- 
vedimenti , i quali van soggetti spesso a inconvenienti di 
più maniere , cosicché il provvedimento umano che non ne 
abbia , non si trova. Dalla quale calamità si trae poi la con- 
seguenza , che lo scoprire alcuno di questi in un dato siste- 
ma d’istituzioni civili o politiche non è buona ragione per 
subito repudiarlo. Sempre , o quasi sempre , in fatto di ta- 
li istituzioni , non si tratta di andare in cerca dell’ ottimo 
assoluto , ma del men cattivo... 

E so che vi saranno di coloro , i quali , non ostante tutte 
queste non certo frivole ragioni , espugnali sul terreno delle 
parzialità , passeranno su quello delle disaffezioni e delle 
invidie , e vi si trincercran sopra , gridando , che almeno a 
queste si va incontro,, senza fallo nel detestabile sistema da 
noi difeso. A che io potrei rispondere quel che rispondeva 
poco fa : ma io non risponderò questo solo. Cangiatemi , ri- 
sponderò ancora , il cuore umano , se vi basta a tanto la 
forza ; e impedite , in qualunque sistema , che invidie na- 
scano. Alla legge dee bastare , ch’elle non siano ragionevo- 
li. Del resto , se irragionevolmente elle nascono , tanto peg- 
gio per gl’ invidiosi. Avranno la pena nella colpa : perchè, 
siccome dice il poeta , 


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L'invidia, pgliuol mio, sé slessa macera. 

E la difficoltà prova troppo; percbè, a volerle dar valore , 
bisognerebbe dunque non solo abolire il diritto di stabilire 
nelle pinguissime eredità i fedecom messi , ma quello al- 
tresi di spartire il patrimonio, in caso di morte, in qua- 
lunque altro modo che in parti eguali tra i coeredi neces- 
sari. Sebbene ciò stesso non basterebbe: perchè , non po- 
tendovi esser mai perfetta equivalenza nelle parti , e il giu- 
dizio individuale , o il capriccio de’ singoli, facendo, che, 
non presso tutti , l’ apprezzamento sia lo stesso , le invidie 
nascerebber poi tanto e tanto ; conciossiachè non manche- 
rebbe mai chi l’eguaglianza riputerebbe disuguaglianza, e 
ia parte propria terrebbe a vile in comparazione colla par- 
te del coerede. Ma , in una famiglia bene ordinata , queste 
invidie non ci han da essere ; ed , alzato il discorso a più 
elevato segno , noi dobbiamo, una volta per sempre , dare 
un gran colpo alla mala radice di questo gran tronco del- 
l’egoismo eh’ è divenuto la base di tutta la politica moder- 
na, e il veleno corrosivo di tutto le legislazioni passate. 
Perchè, ritorno all’analisi di quel pessimo discorso di tan- 
ti contemporanei nostri , che , spogliato di tutti i suoi cin- 
cinni , si riduce a quest’ ultime schifose frasi : — La società 
i falla per me, non io son fatto per la società. Niente io debbo 
cedere del mio, a fare star meglio gli altri; nemmen quando que- 
sti altri hanno da star meglio di me per un fine buono ed onore- 
vole anche a me. - Perisca una volta questa pessima dottrina 
con una migliore educazione da dare a’ nostri tigli : dottri- 
na donde germinarono tutte le esagerazioni odierne delle 
idee di libertà , d’eguaglianza , di gelosie reciproche. . . So- 
lamente allora il mondo avrà pace , e gli stati potranno 
prendere andamento di vero progresso. 

Nel caso nostro, che concetto volete ch’io prenda d’ una 
famiglia, e delle sue condizioni morali, s’ella avidamente 



— 47 — 

considera I eredità paterna come una preda da doversi spar- 
tire a bilancia, e preda della qusifi ciastDn^ ds' coinponeiili 
lia solo in mente la parte che gli tocca j preda sulla quale 
tien egli teso l’artiglio, preparato ad afferrarla, contenendola 
e vendicandola contro a nemico del pari e ad amico, a estra- 
neo ed a parente, a presente od a futuro ; preda la quale ' 
rispetto ad esso, non è un beneficio ed un dono del pa- 
dre, ma è un debito? Quanto è distante dal desiderare la 
sollecita morte dell’autore del retaggio, chi, con questa in- 
gordigia ed ingratitudine, si tien pronto a rivendicare co- 
me un diritto esso retaggio, o la parte precisa che crede 
doverglisi? Qui è la vera riforma, e la più necessaria di 
tutte, di cui v’è bisogno nel mondo. Qui è la riforma di 
tutte le riforme. Insegniamo quel che veramente è da desi- 
derare. Preoccupiamoci, innanzi ad ogni altra cosa,. d’e- 
ducare la gioventù futura a preferir sempre il bene collet- 
tivo al bene individuale: ad amare, non a odiare: a veder 
volentieri ii godimento altrui, non ad esserne gelosi. Edu- 
chiamola nel rispetto e nella venerazione delle volontà pa- 
terne, nello scambievole amore de’ fratelli e de'congiunti^ 
nell’abnegazione di sè stessa, in tutte le virtù sociali”* do- 
mestiche ; diamo ragione alla virtù in generale * e non al 
vizio ; ed ordiniamo lo stato nelle intenzioni di quella , e 
non secondo le pretensioni di questo. E se vogliamo lamen- 
tarci delle malattie numerose che affliggono il mondo mo- 
derno , accusiamo ancor meno l’improvvidità di certe leg- 
gi , che certe esorbitanze e irragionevolezze nostre fomen- 
tate dalla pessima educazione. Una famiglia, in cui possono 
allignare le invidie delle quali abbiam sin qui favellato, già 
con questo stesso dimostra di non esser degna di godere 
l’utilità della istituzione che difendiamo. L’onore del pa- 
triziato non è per lei. * k . 


IiUTTEI! .4 TERZ A 


• K1SPBTTAB1LE AMICO 

Io penso d’aver , presso a poco , esauste le difficoltà prin- 
cipali che soglio» muoversi sul proposito che è tema a que- 
ste mie lettere. Hannovene alcune accessorie , che non ta- 
sterò di trattare , perchè non resti dietro di me , s’ egli è 
possibile, alcuna parte dimenticata. 

Udii dirmi : — La istituzione che voi difendete favorisce 
il celibato laicale , e quindi i vizi ed i mali , che questo trae 
seco. — Essa tende a sottrarre una gran massa di beni pa- 
trimoniali alle speculazioni operose ed utili de’ cittadini me- 
no agiati , o desiderosi , come porta la natura umana, d’u- 
scire dalla condizione d’inferiorità, per alzarsi , col prezzo 
della loro industria e dell’onesta fatica loro, alla dignità di 
possidenti. — Per essa , finalmente l’agricoltura, principale 
strumento di ricchezza, in luogo d’ esser vantaggiata, è in 
generale , a poco a poco, ridotta in nulla. Conciossiachè , 
quando la possidenza è troppa, l’esperienza fa conoscere , 
che , di necessità , la buona coltivazione si trascura, e per- 
chè manca il bisoguo che stimoli, e perchè v’è la pigrizia 
naturale che intorpidisce ( pigrizia tanto maggiore , quanto 
la vita è più lauta, quanto l’educazione è più delicata, 
quanto i piaceri e le altre frivolezze della vita signorile oc- 
cupan più tempo } ; e perchè, alla tanta estensione delle 
terre , l’attività e la solerzia d’un solo non basta; nè, quan- 
do il padrone, da sè stesso , non può pensarvi, è sperabile 
che prezzolati agenti convenientemente suppliranno al di- 
fetto delle compre lor cure. Ma queste ancora son le diffi- 
coltà che non si può avere gran pena a spazzar via. 


— 49 — 

Il celibato laicale, e i vizi e i mali del celibato, una del- 
le colpe de’ fedecom messi! Bello è che s’ode opporre que- 
sta colpa da certa gente, la qual nessuno, senza averlo a- 
scoltato colle proprie orecchie, avrebbe sospettato si tenera 
del buon costume e del santo vincolo matrimoniale. 

Ma i fedecommessi non dicono ad alcuno , nella lor mu- 
ta favella: — Non t’ammogliare : — Non invitano alcuno 
a non far ciò : — Non impediscono ad alcuno il farlo. — Io 
giungo, per opposto, Ano a dire, che , a guardarvi bene , 
sono anzi più favorevoli a’ matrimoni , che contrari. — 

E , per vero, mettiamo dall’ una parte un asse patrimo- 
niale vincolato da fedecommesso , e dall’altra l’asse mede- 
simo sciolto d’ogni legame. — Nel primo, per ogni futuro 
tempo, vi sarà sempre uno almeno della famiglia, presso 
a poco obbligato a prender donna: ed ecco per tutte le ge- 
nerazioni successive, assicurato nella stirpe, almeno un 
matrimonio a ogni generazione nuova; o sia, supposti, un 
per 1’ altro , nelle famiglie patrizie ( men , per solito, pro- 
lifiche delle plebee) tre figliuoli per generazione , arrivanti 
all’ età adulta , ecco un terzo della discendenza , certamen- 
te , o quasi certamente, maritato ad ogni rinnovarsi di quel- 
la. — Ma le discendenze non si compongono di soli ma- 
schi. Sono in esse anche le femmine. Anzi gli studiosi di 
statistica insegnano che il numero di queste è, d’ordinario, 
maggiore di quel de’maschi. Nondimenocontentiamocid’am- 
meltere una sola donna in tre. Nessuno vorrà negare pur fli 
questa. Ch’ella, nata in tal grado, colla influenza della fa- 
miglia potente , coll’allettamento d’una dote sempre compa- 
rativamente ricca , e con tutte l’ altre agevolezze che di leg- 
gieri s’intendono, assai radamente mancherà di partiti, e, 
per poco che il voglia, finirà quasi sempre coll’andare a ma- 
rito. Ecco dunque ad un altro terzo della stirpe assicurato 
il vincolo maritale, se siagli a grado , e tolta ogni probabilità 
di condanna ad un celibato a vita : ossia , facendo la som- 
ma , ecco due terzi della famiglia, rispetto a’ quali la presun- 

4 


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— 50 — 


ta coazione alla vita celibe è sì poco vera, che è vero invece 
l'effetto contrario. — Non resta, dopo di ciò, nella ragione- 
vole ipotesi la quale abbiadi fatta, che un solo terzo, intor- 
no al quale può disputarsi : e la disputa sarà sulla condizio- 
ne, nel nostro proposito , del maschio cadetto, a cui l’esse- 
re niente altro che un pensionato, sinché vive, qualunque 
sia l’importanza della sua pensione, potrebbe credersi l’e- 
quivalente d’un ostacolo al pensiero e al desiderio di legare 
stabilmente una compagna alla propria e precaria sorte , e 
di creare con essa figliuoli , a’ quali la pensione paterna non 
passerebbe. Ma , se sia per avvenire, che ciò, a volta a vol- 
ta , in realtà operi come ostacolo sopra tale o tale altro ca- 
detto , primieramente non ha per necessaria conseguenza , 
che quegli , il quale per si fatta riflessione s'astiene dal pren- 
der donna , debba risolversi, a compensazione e supplemen- 
to , d’ esser discolo e scostumato. Imperciocché qual diver- 
rebbe il mondo, se non si potesse restarvi celibe senza darsi 
subito ad amori di contrabbando o di postribolo? La faccen- 
da però, non per fermo , va cosi ( e m’interdico gli argo- 
menti di religione ). A molti questa maniera d'astinenza , 
imposta come un obbligo, o liberamente scelta, non è nem- 
meno un sacrifizio. Un ci si avvezza, come ad altro. E spet- 
ta alla buona educazione, e ad una conveniente istituzione 
morale, il non esagerare, in tal proposito, i bisogni, e l’in- 
segnare a non farli nascere (1). In secondo luogo , se osta- 


ti) È ridicolo, e contro al vero volo di natura , il pretendere che tutti 
prendano donna. Nella natura evidentemente sono in guisa ordinale le cose , 
che l'aflo della moltiplicazione della specie negli organizzali debba sempre ri- 
manere immensamente al di qua della /intensa e dell' impulso. Debbo io qui 
ripetere i calcoli dello sterminato numero d'esseri «fogni categoria che po- 
trebbero esser generatori , e nondimeno , condotti a questa maturità , non lo 
saranno , perché la natura stessa frappone a ciò inuuinerabili ed invincibili 
impedimenti? E quante agamie la natura medesima non favorisce , e non 
sembra aver predisposte? V’è il celibato delle piante. V’èil celibato degli 
animali. E \’é l'equivalente del celibato uella distruzione d’un immenso nu- 


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51 _ 


colo pur v’è, esso non è che volontario, e assai lieve, e fa- 
cilmente viucibile. Perchè, in somma, a chi, non ostante 
la sua qualità di cadetto, sopravvenga desiderio indomito di 
nozze , e odio della solitudine , e spavento , ad un tempo , 
della insufficienza di fortuna a sostenerne il peso nobilmen- 
te, come richiede l’onore del casato e il proprio decoro, for- 
sechè mancano mezzi per salvare, come suol dirsi, la capra 
ed i cavoli? Non vi possono essere che i poltroni , e gli acce- 
cati da una passione improvvida, a’quali non riesca il trovarli, 
e non basti 1’ animo a metterli in uso ; nè le leggi son fatte 
per favorire gl' infingardi , e coloro che al fuoco delle pas- 
sioni dissennate non vogliono e non sanno resistere. Il savio 
ed operoso cadetto preordina risparmi , usa , come altrove ' 
toccavamo , le sue facoltà fisiche e morali per prepararsi un 
proprio peculio colla sua personale attività, come già è da 
presumere che facesse l’ autor primo della grandezza della 
casa. Procura a sè , tra col proprio merito , e colla potenza 
della famiglia chiamata a soccorso, impiego grandemente lu- 
crativo. Cerca una dote considerevole ... e cosi si libera 
dalla paura, e soddisfa il desiderio. Ecco , dunque , che in 
esso ancora, niun con ragione può dire, che il fedecomrnes- 
so gli sia condanna ineluttabile, odalmen probabile, ad aga- 
mia , o a veneri furtive e riprovate. 

Prendiamo adesso ad esaminare per contrapposto il patri- 
monio libero d’ogni vincolo, e gli effetti quanto ad agevo- 
lamento de’ legami connubiali, o ad impedimento su que’che 
lo erediteranno. Vedrassi , che la proposizione, colla quale 
incominciai, chiarissima emerge dal confronto : e ciò è pre- 
sto dimostrato. — In un tal patrimonio, pe’primi che lodi- 
vidon tra loro, supposta l’eguaglianza delle parti , qualcun 

mero d’ organizzati che la natura fa servire ad altro che a prolificazione. Nel- 
l’uomo è chiaro che la civiltà ha per effetto , inevitabile , e sto per dir neces- 
sario, e perciò non cattivo , il diminuire il numero de’ matrimoni! , perchè 
esso accresce i bisogni della vita , mentre è impossibile che accresca in tutti 
con egual proporzione i modi del soddisfarli. 


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dirà : Ecco subito la maggior facilità ch’esser possa, non ad 
uno c ad un altro , ma a tutti ; non a condizione di doversi 
stillar la fronte in fontana di sudore, ma per solo fatto del- 
lo spartimenlo del retaggio ; non coll’ avara ricerca di fan- 
ciulle riccamente dotate, e sian pur prive d’ ogni altro pre- 
gio, ma colla piena libertà della scelta secondo che il cuore 
invita : ecco , ripeto , la più gran facilità al soddisfare legal- 
mente il santo voto di natura, tutti appaiandosi per poco che 
n’abbian brama. — Insidiosa facilità ! ( io però rispondo ). 
Facilità condannala a divenir presto difficoltà, impedimento 
e rovina. 

Infatti , suppongo , che , cedendo all'invito di questa faci- 
lità , tutti in realtà s’accasino , e sian così tre , come ne’ casi 
che precedentemente studiavamo, o piuttosto due, per la- 
sciar qui da parte le femmine , a ognuno de’ quali due l’ asse 
intero siasi però ridotto ad un terzo , come il nostro compu- 
to indicava. Già le due nuove famiglie , sorte da una , e pos- 
sedenti ciascuna niente più che un terzo dell’asse primitivo, 
se procederanno colla stessa progressione (e debbon cosi pro- 
cedere se ha da esser vero, che con questo altro metodo , il 
celibato viene ad escludersi) diverranno quattro alla seconda 
generazione, indi otto alla terza ; e, con ciò, che cosa av- 
verrà nel finire del primo secolo d’esistenza? Uno di que- 
sti tre fatti. O, in tanta moltiplicazione di stirpi, per sovve- 
nire alle moltiplicazioni future, e a’bisogni che fanno na- 
scere , tutti dovranno volgersi a quelle arti , alle quali , nel- 
l’ipotesi dei fedecommessi , un terzo solo delle famiglie mo- 
strammo che dee ricorrere; cioè al metodo dell’ ingegnar- 
si , coll’attività propria, per sovvenire alla insufficienza del- 
I’ asse ogni volta minorato : con questo però, che le agevo- 
lezze del farlo utilmente saranno ad esse tanto più piccole , 
quanto f esiguità di stalo, in che successivamente caddero o 
cadranno, sarà fatta maggiore. 0, non volendo rinunziare 
alla natia pigrizia , e, nel tempo stesso, volendo obbedire al 
cieco bisogno di prender donna a capriccio , con niuna , o 


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— 53 — 


con sottil dote, si finirà col crear case di miserabili , nelle 
quali le probabilità di matrimoni futuri per le femmine , e le 
propensioni a uscire di celibato per gli uomini , lascio che 
altri mi dica quanto saranno fatte maggiori di ciò che son per 
essere , in ogni futura età , nella famiglia che ha eredità fide- 
commissaria. O, finalmente , sarà pur forza , che si venga a 
quello, che si pretendeva infallibilmente evitato col metodo 
dèli’ eredità sempre suddivisa ; cioè , sarà pur forza, che si 
risolvano a morir tutti celibi , per forti che siano gl’inviti in 
contrario del temperamento , condotto il casato intero ad e- 
stinguersi per sempre. L’ultima conclusione del qual discor- 
so ognun vede qual’è. — Nel confronto, dunque, di sistema 
con sistema, anche per questa parte, il sistema invisoalla cor- 
rente moda di filosofanti, non è quello , nemmeno in ciò , il 
qual perde alla gara (1). 

Cosi per la prima difficoltà. Ma vuoisi parlare altresi di 
beni rustici sottratti alle speculazioni di compra e vendita , 
che avrebbero a rendere possibile e facile ai non possidenti 
il cominciare a possedere, e che , per la sottrazione mento- 
vata, la impediscono, o la minorano! Osservo però, che que- 
sta difficoltà bisognerebbe andare a farla , per esempio , in 
Inghilterra , dove , passata la cosa in abuso , la terra è , 


(1) Ma ci è altro ancora a rispondere. Si teme il celibato! Non è egli più 
temibile per le famiglie , e per tutta la civile congrega , la facilità improvvida 
del matrimonio? Si diceche quello (pur solo come semplice eccezione ad una 
legge troppo generale) è sempre contro a natura ! Il matrimonio, al contra- 
rio , come legge che si voglia generalissima , non s’ oppone forse anche più 
alla natura ed alle sue leggi? NeU'economia del mondo organico (lo vedeva- 
mo poco fa) i celibati sono incomparabilmente più numerosi de'matrimoni. E 
così dover? essere per la sussistenza della specie degl' individui , perchè , sen- 
za ciò , presto gl'individui mancherebbero d'alimento e di spazio. La moltipli- 
cazione soverchia d'una specie impedirebbe l'altra: con che, in luogo di 
provvedere alla perennità, si procederebbe rapidamente all'annullamento. Al 
genere umano è prescritta , con più ragione ancora , la stessa regola. Di qui 
è che gl'istinti di procreazione giova temperarli , non promuoverli, tanto 
più ch’è l’artitiziato moderno vivere quello il quale si li fa pungenti ; e ciò in 
alcuni , non di gran lunga in tutti. 


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— 54 — 


presso ;t poco, impegnata tutta ed in perpetuo a 'grandi possi- 
denti dei patriziato , e tolta quasi da ogni circolazione. Tra 
noi , nou ho ancora udito dire , die , a chi desidera possi- 
denza rustica, manchi materia quanta più vuole alla coim- 
pera, e per cosi dire, terreno sotto i piedi. Tra noi non si 
tratta di terra confiscata tutta dall' aristocrazia ( che oggi , 
nell'antico senso della parola , quasi non c’ è più, o va mo- 
rendo). Appena una piccola porzione di suolo spetta a’ fe- 
decommessi. Cosi, almeno per noi, la querela manca di punto 
d'appoggio. L’abbia però ancora , ciò a nulla monta. Savie 
leggi possono prevenire il danno , e ridurlo ai minimi suoi 
termini ; come possono elle ancora venire incontro all’altra 
difficoltà dell’agricoltura , quasi sempre trascurata ne’ lati- 
fondi , o nelle troppe possidenze , e troppo sparpagliate e 
sparse. Moderate il numero delle eredità sottoposte a vincolo 
non permettendo, come già spesso dicemmo, clic i soli fe- 
decommessi grandissimi, proporzionatamente alle città dove 
sono. Stabilite per legge , che si sarà obbligati o a coltivare 
a propria cura i fondi rustici che si posseggono, o a fondar- 
vi sopra colonie agricole; a spezzarli in possessioni suddivi- 
se da cedere in affitto ; a concederli in enfiteusi , o simile. 
Introducete infine , per virtù d’ un’ educazione migliore, in 
ogni contrada, le buone costumanze de’ grandi possessori di 
terra nella Inghilterra, che testé citavamo, i quali sanno ad 
un tempo posseder molto e coltivar molto , rendendo , per 
parte loro , impossibile, nel generale, l’accusa di peggiorata 
o negletta coltura. 

E qui potrei già dire d’aver finito; è però utile , innanzi 
d’ abbandonar quest’ ultimo tema, il ricordare a coloro, che 
si falla ohbiczionc fanno sonar tant' alto, di non mostrare, a 
un mo’ di dire , la medaglia da solo un lato. Parlano degli 
svantaggi sovente connessi colle possidenze troppo vaste, e 
passali sotto silenzio i vantaggi , i quali son più grandi an- 
cora. Imperciocché negheranno essi forse , che soltanto coi 
vastissimi possedimenti rendonsi possibili le grandi imprese 


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— 55 — 


agricole ? come dire , quanto a pastorizia , lo stabilimento 
delle razze perfezionate di cavalli , di pecore merino, di ca- 
pre tibetane od altre, e delle grandi cascine, e delle grandi 
bigattiere e filande, e delle peschiere, e delle bandite per fa- 
giani , per cervi , o simiglianti ; e , quanto ad agricoltura 
propriamente detta , l’estese piantagioni di boschi destinati 
alla utilità delle generazioni future, le frequenti opere di bo- 
nificazione, di colmata, di prosciugamento, le perforazioni 
di pozzi artesiani , certi importantissimi lavori preparatorii, 
certe dispendiose culture, e certe iniziative nelle medesime 
piene di risico e di spese colla promessa di guadagni solo per 
un più lontano tempo? Arroge l’erezione d’opportune fatto- 
rie , e degli edilìzi rustici che son tanto avviamento al trar 
buon frutto dalle terre , l’ acquisto di strumenti ed attrezzi 
costosi, la formazione di quegli opificii sussidiari d’estension 
conveniente , che indirizzano e servono ai miglioramenti 
della vinificazione, dell’oleificio, di tutte le fabbricazioni pro- 
prie delle ville, le quali son destinate a dar più valore ai pro- 
dotti ; e , per comprendere ogni cosa con una generale es- 
pressione , l'impiego di quanto capitai morto e circolante è 
condizione essenziale a molte opere, le quali, senza questo, 
non si fanno ; impiego possibile solo , massime in un paese 
come il nostro, la cui ricchezza è quasi tutta agraria, se non 
a chi fortuna largì un’ enorme possidenza. 

Diranno, che, ne’ sistemi loro di sminuzzamento de’ beni 
rustici, e di distruzione delle ricchezze accumulate, quel che 
i piccoli possidenti non polran fare lo farà lo stato, e lo fa- 
ranno, per conto di tutti, le comunità: ciò che vienea-fiire, 
che, a render possibili le imprese agrarie di che parlavamo, 
que’ latifondi, che si ricusano a’ privati si voglion dare a quel 
corpo morale , il qual si chiama il Pubblico ; e che il Pub- 
blico diverrà con ciò capitalista coltivatore , e manifattore , 
ed edificatore , ed amministratore, ed iusomma industriali- 
sta , o simile. Come se i maestri economisti non avesser da 
lungo tempo dimostrato qual insigne e deplorabilissimo er- 


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— 56 — 

rore sia questo del convertire lo stato o il municipio ( qual 
già in tempi che da un’ altra parte più s' ama screditare , e 
spesso non ingiustamente , appunto per le molte improvvi- 
de consuetudini di simigliante genere) in possessori di terre, 
in coloni, in agronomi, in fattori di campagna, in impresari 
d’industrie quali che siano; e quanto, in ogni caso, conven- 
ga meglio all’ universale che queste faccende sian tutte la- 
sciate a’ cittadini operanti per proprio conto, con quello ze- 
lo, con quella capacità , con quel successo, che da servitori 
del Pubblico non possono aspettarsi. 

E questo bastar dovrebbe sopra un argomento, che al pos- 
tutto non meritava tante parole. Se non che un’ ultima con- 
siderazione mi piace aggiungere, non precisamente su quella 
parte della questione che testé io trattava, ma in generale su 
tutta la presente difficoltà relativa ai latifondi; ed è che quel 
che se ne dice in proposito de’fedecommessi, e contro ai me- 
desimi, può chiamarsi una di quelle difficoltà le quali provan 
troppo, c per conseguenza non provan nulla (è questa la se- 
conda volta che in si fatta questione accade di dover dirlo). 
Infatti ad accoglierla per buona e valida, sarebbe d’uopo con- 
chiudere, che, non le sole gravate di vincolo fidecommissa- 
rio, ma le troppo vaste possessioni d’ogni altra provenienza 
avrebbero ad interdirsi : ciocché verrebbe a significare, che 
non si dovrebbero, in una perfetta comunità, tollerare i rin- 
vestiinenti di danaro su fondi rustici al di là di certe somme; 
e quindi che avrebbesi a ritornare alla perfezione di quelle 
antiche leggi limitalrici del riparto delle terre a un certo nu- 
mero di iugeri, per aspettarsi allora le bellezze di Roma ne- 
gli incunaboli suoi, e la perfezione del secol d’oro, mirabile 
nelle descrizioni de’ poeti ; cioè il prato , e la vigna, e l’oli- 
veto, e il campicciuolo, e la casipola, e Cincinnato coll’ ara- 
tro, e lo spartano col brodo nero, e Nausicaa regina che lava 
i panni col seguilo delle fantesche , e Penelope che mena le 
calcele al telaio nel pianterreno della reggia. Dove se ciò 
chiamano alcuni progresso del secolo sapiente , io mi per- 


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— 57 — 

metto chiamarlo regresso all’ infanzia del mondo , e ritorno 
alla barbarie, od almeno alla grettezza primitiva, delia quale, 
alla lunga, i primi lamenti che s’udrebbero sonerebbero pro- 
babilmente nelle bocche de’ suoi stessi panegiristi. Povero 
tempo nostro ! quanto ha bisogno di essere rimandato alla 
piccola scuola! 

E con ciò potrei dire d’avere risposto a tutto. Mi sovviene 
d’una difficoltà ch’io dimenticava. Gridano alcuni, parlando di 
fedecommessi, contro al defraudare non raro, il qual per essi 
è fatto, con sanzione di legge, a pregiudizio de’creditori del- 
l’ asse , rispetto ad ogni lor credito il più santo, come dire 
somministrazione di merci, prezzi di lavori, ed altro. Incon- 
veniente certo grave, ma imputabile in gran parte a que’me- 
desimi che lo patiscono. Imperciocché l’impassibilità dell’as- 
se non era un segreto. Pertanto a tutto suo risico , e risico 
il qual doveva essere preveduto, per proprio debitore l’utente 
dell’ eredità è accettato da chi anticipatamente non cura co- 
noscere fino a qual misura questo debitore è solvibile. Tanto 
peggio per l’accettante se non fu provvido. Èridicola cosa che 
facesse fondamento di solvibilità sopra un’ ipoteca, la quale 
in fatto non poteva guarentirlo. Egli è un giocatore all’az- 
zardo: e appunto perchè sente d’esser tale giocatore, per so- 
lito ha già messo in conto la possibilità di perdere la sua par- 
tita, posto che, s’ egli è , per esempio, un artefice, i prezzi 
eh’ egli fa al gran signore non sono di gran lunga i prezzi 
fatti al comunal cittadino. Sa che talvolta non sarà pagato, e 
si compensa colle volte, nelle quali è pagato. Così, se perde 
a quando a quando nel particolare, non perde nel totale, an- 
zi sa molto bene eh’ ei vi guadagna. Certamente il conto va 
talora fallito, ma è come in ogni altra maniera di negoziato 
umano. Tutte non son probabilità di lucro; e tutti non cal- 
colano bene queste probabilità. Quantunque i fallimenti nei 
maggiorati son d’ un patriziato degenere. Il vero patriziato 
non deve averli. E del vero patriziato dirò a suo luogo quel 
eh’ è da dire. 

Claudio jam rivos, puoi, sai prata biberunt. 


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— 58 — 


I.KMTCKA QUART A 


R1SPETTABILB AMICO ! 

Una lettera ancora per Anale complemento del lungo mio 
dissertare conira un’ opinione oggi radicata in troppi , ed 
alla quale fa perciò d’uopo troncare, s’egli è possibile, ogni 
radice... 

Siceìides musae, pattilo maiora canamus. 

Perchè, An qui trattammo il nostro argomento quasi unica- 
mente risguardandolo dal lato del privato interesse , o del- 
l’ interesse puramente civile delle famiglie , e di ciascuno di 
coloro che le compongono. Ma ora è tempo d’allargare il no- 
stro orizzonte, e di sollevarci alla sfera delle considerazioni 
di alta politica, cercando Ano a qual segno importi, per ciò 
che può concernere il pubblico interèsse, l’esistenza di mag- 
giorali d’una certa cospicuità, c dentro una certa misura, sparsi 
per lo stato. 

Ciò è addentare Analmente , ed ex professo , la questione 
delle aristocrazie, questione vulnerata ( bene il so ) da pre- 
concette opinioni di popolo, che queste astruse materie non 
potendo intendere da per sé , le giudica secondo le sugge- 
stioni de’suoi maestri di cafTè , di conversazione, di piazza, 
di gazzette, i quali gli dispensano a piccol prezzo ogni gior- 
no pan logliato. Nondimeno ella è tal questione che merite- 
rebbe, per lo manco, d’esser categoricamente discussa, pri- 
ma di confermare la sentenza di condanna, che, a’ di nostri, 
le è stata pronunziata contro , quasi dire in contumacia ed 
inaudita parte. Intendo pertanto presentarmene avvocato un 
tratto, e chiedo che s’ascoltino le mie ragioni, pesandole alle 
bilance d’Astrea con imparzialità e con senno. 


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— 59 — 


Comincio dicendo, che suppongo non controversa la pro- 
posizione , che , distrutti i fedecommessi , è distrutto il pa- 
triziato. Se avrò dunque ben difeso la causa di questo , po- 
trò affermare d’aver con ciò vinto la causa di quelli. Spaz- 
ziamo però , innanzi tratto , il terreno , prima d’entrare a 
dirittura in materia , e mettiamo in aperto una miserabile 
fraude degl’impugnatori della nobiltà : per la qual fraudesi 
riuscirono a screditare il nome di patrizio , e a renderlo uni- 
versalmente odioso ed abborrito , che oggi a voler favellar- 
ne a difesa Io dicono anacronismo. 

Il metodo è tuli’ altro che nuovo. Si sono andati sceglien- 
do con maligna diligenza tutti gli esempi , veri o falsi , 
esagerati o sinceri , de’ pessimi nobili , che della lor poten- 
za abusarono ed abusano per fare , in grande ed in piccio- 
lo , il male a fronte coperta o scoperta. Si sono dissimula- 
ti , taciuti , negati , attenuati , falsificati , a contrapposto , i 
benefìzi privati o pubblici de’ buoni patrizi , e la grandissi- 
ma e principale influenza , che , assai spesso , esercitarono 
essi nel procurare l’utile dell’universale , nell’ornare lo sta- 
to , nel dargli forza , nel sostenerlo , in una lor guisa , e 
con una efficacia che nessun altro avrebbe potuto adeguare 
o pur solo sperar di conseguire. Cosi del male s’è fatto re- 
gola ; del bene s’è dato ad intendere che non v’era , o che 
ve n’era una particella da non meritare che se ne tenesse 
buon conto. E , fatto il processo a questa maniera , non è 
maraviglia se il popolo ingannalo ed illuso ha credulo di 
dover condannare cunclis tabellis. 

Io non negherò i vizi ed i difetti troppo famigliari alla 
nobiltà , e i danni che quindi soventi volle provennero. 
Non negherò il guasto e la degenerazione , che , in mezzo 
ad essa , il nostro secolo ampiamente recò e diffuse , da un 
lato rovinandola , dall’altro depravandola c pervertendola. 
Ma dirò che questi difetti e questi vizi possono correggersi 
e prevenirsi con un migliore ordinamento e con una edu- 
cazione migliore , perché non ne sono una parte necessa- 


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— Go- 


lia , ma solo un’accessoria corruttela , di’ è possibile medi- 
care, impedire , e rendere innocua. Dirò che questi difetti 
e questi vizi , frequenti compagni della ricchezza dovunque 
si trova , più ancor che della nobiltà , se v’è speranza di 
mitigarli e di attutarli, questa speranza è maggiore nella 
nobiltà accompagnata dalla ricchezza , che nella ricchezza 
scompagnata dalla nobiltà, e dalle condizioni che porta ella 
seco. Dirò infine , che purgata la istituzione del patriziato , 
da ciò che ha di veramente condannabile , e restituita alle 
sue buone ed ingenite prerogative , è cosa della quale un 
paese ha bisogno , più che di molte altre , per assicurare 
alle pubbliche faccende l’andamento il più regolare , il più 
fermo , il più prospero che l’umana imperfezione permetta. 
Sforziamoci di dimostrarlo. 

Le razze umane hanno (nella parte loro fisica , la quale 
tutti sanno quanto grandemente operi anche sulla parte mo- 
rale) più d’una similitudine con quelle degli armenti. Or 
negare che una razza (e sia qualunque l’ordine suo d’ani- 
malità) , circondala di speciali e favorevoli cure per lungo 
seguilo di generazioni possa nel fisico grandemente miglio- i 
rarsi, è negare una legge zoologica e fisiologica, ogni di vie 
meglio confermata dall’ esperienza per tutte le specie porta- 
te a domesticità, e per alcune persino delle originariamente 
selvagge. 

L’arte consiste , in generale, nel fare per una eletta d’in- 
dividui quel che sarebbe impossibile di fare per tutti. Si 
tratta sempre di certe delicatezze , di certe particolari lau- 
tezze ed attenzioni , di certa segregazione speciale dalle in- 
fluenze comuni , che gl’individui destinali a miglioramen- 
to cangiano in individui privilegiati, i quali costano all’edu- 
catore cento volte più che gl’individui dozzinali come li of- 
fre natura , e caso od arte grossolana li educa. Di qui caval- 
li nobili , e nobili cani , e nobili pecore , e nobili capre e 
simili.... E la legge (chi lo ignora ?) s’estende anche al re- 
gno vegelabile , come dire a certe piante di giardino o di 
stufa. 


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— 61 — 


Le qualità , che , in virtù di queste speciali arti , si ren- 
dono in fine ereditarie , invano altri le aspetterebbe prodot- 
te , con una certa costanza o frequenza , a ventura , o da 
laboriosa individuale educazione , cosi abbondantemente 
moltiplicate , così facilmente generate , e dirò comuni , nel- 
l’ora del bisogno , e cosi messe a lor luogo. 

Or , per applicare queste dottrine al caso nostro , risalia- 
mo al tempo di certe vere ed antiche aristocrazie cavallere- 
sche , del modo come in alcuni luoghi e secoli furono , 
sinché regolari si mantennero , e non risguardiamo a quel 
che divennero , qua e là , spesso , fatte pessime per corru- 
zione dell’ottimo. Cangiata l’educazione in peggio , o, a dir 
meglio , al tutto o quasi al tutto mutate le condizioni atte 
ad operare i buoni effetti di che noi favellavamo , e che so- 
li costituiscono la normalità dell’aristocratica essenza nella 
sua parte buona , ed introdotte altre che vizian questi , e li 
riducono a diversissimi da quel che dovevano essere , chia- 
ro è che quanto può trarsi > da fatti appartenenti ad un tem- 
po di tralignamento , a svantaggio e discredito delle aristo- 
crazie , non può in nulla percuotere le dottrine che qui si 
professano. La questione allora sarà al più , se i ceti aristo- 
cratici possano mai realmente preservarsi dalle mutazioni 
che li fan perniciosi più presto che utili , e ridursi a tale di 
conservare piena conformità col tipo migliore , o di rigua- 
dagnarla ; ciocché per me non è nemmeno una questione , 
e non può esserlo per alcuno , il quale tutta la potenza del- 
le buone arti educatrici conosca. 

Risaliamo dunque , ripeto , al tempo di certe vere ed an- 
tiche aristocrazie cavalleresche , normalmente condotte a 
quella natura , che aver denno per essere dell’utile specie 
da noi voluta , e spesso stata e vedutasi nel mondo. In esse 
voi troverete familiari alcune virtù sommamente utili al 
popolo , e diffìcilmente reperibili altrove nel numero e col- 
l’abbondanza che più sono desiderabili. 

Chi noi sa ? Nelle prosapie aristocratiche , principalmen- 


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te , se non unicamente , può sperarsi- di trovare , ad ogni 
necessità , i veri patres palriae , preparati a tutti i bisogni ; 
cioè quegli uomini autorevoli , potenti , coraggiosi , avvez- 
zi a mettersi fuori si dignus vindice nodus , godenti già il pri- 
vilegio d’essere ascoltati con riverenza , con effetto , assen- 
nati , sperimentati , periti , probi , pe’quali è fatto naturai 
dono, ancor più che artificiale , tutto che è generoso , no- 
bile , magnanimo , eminentemente civile ed utile a civiltà ; 
e prima la lealtà oggi si rara , il eaudore , la fede , la in- 
corruttibilità , la fermezza , il disinteresse , la franca ed in- 
violata parola , quella che proverbialmente pereiò si dice 
parola di cavaliere ; il mantenere a qualunque costo i patti e 
le promesse ; il non mai mentire ; il religioso astenersi da 
ogni cosa vile o brutta... 

Non è la santità de'perfelti in religione , nobil dono di 
Dio , e privilegio sommo di grazia , sdegnoso per solito di 
queste cose terrene e caduche ; è la virtù antica e civile , 
una cosa illibata , ingenita , uscita dai paterni lombi , ed 
avuta da natura , più ancora che da innestato ammaestra- 
mento ; che perciò non costa fatica, nè sacrificio, ma è ab 
ovo e per traducem, fin dal primo impasto dell’uomo e della 
razza. — Con questo, è l’abitudine dell’ anteporre l’interesse 
pubblico ed altrui al proprio e privato... è la naturale ge- 
nerosità e larghezza... è il preferire quasi istintivo del retto 
all’ utile... è la disposizione avita di tutte le cosi fatte stirpi 
a eminenza di cittadine virtù ed attezze... il primeggiare 
nel ci vii senno e consiglio... il gittarsi innanzi, come il ’ 
prode destriero al romore delle battaglie , anche non chia- 
mati , nè pregati , né desiderati , in tutti i grandi e solenni 
bisogni della cosa pubblica , senza risparmio di sè e delle 
sue fortune... il trovarsi pronti e preparali a soccorso , a 
protezione , a sosteguo , a sovvenzione , a incoraggiamen- 
to , a guida , a ufficio di capitani e di porta-bandiera. E 
I’ esser sempre caporioni agli altri nel bene , e caporioni 
efficaci , ascoltati , sentiti , rispettali , obbediti... l’aver co- 


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— 63 


raggio civile o militare secondo clie fa d'uopo... il guarda- 
re dall'alto al basso il puro e vile materiale interesse , e il 
cercar sempre nelle questioni il lato della moralità e della 
giustizia... 

Non mi state a dire che queste qualità preziose son rare 
come le mosche bianche. Rare forse oggi , vi ripeto : ma 
non rare in ogni tempo ; non rare quando gli uomini s’e- 
ducavano a modo antico. E se si riusciva ad ottenerle , 
quando a quella forma s’ educavano essi , io non veggo , 
perchè richiamando le stesse cagioni , non s’abbiano ad ot- 
tenere , e non si possauo , gii stessi effetti. 

Non mi venite a soggiungere , che altrettanto e meglio , 
per forza di conveniente educazione, puossi ottenere fuori 
delle privilegiate caste. L’educazione è cosa sempre troppo 
artificiale , e troppo perciò difficile a condursi a buon ter- 
mine , se natura non agevola , e condizioni intrinseche non 
favoriscono ; e l’una e l’ altre non favoriscono , se fin dai 
primi istanti non concorrono ; e dai primi istanti non con- 
corrono che assai di rado , e solo con qualche frequenza , 
quando certe disposizioni son fatte dono abituale per lunga 
serie di generosi avi , e quando ogni cosa che è intorno le 
seconda. Imperciocché indipendentemente da quel che allo- 
ra è dato per una felice armonia del fisico col morale im- 
prontata per concepimento , v’è lo spontaneo innesto che 
nou può mancare a chi è uato in mezzo alle morali qualità 
che si voglion generate ; a chi le ha trovale in casa , e n’è 
stato cinto da ogni parte fin dalla prima infanzia -, infine a 
chi non ha incontrato , anche uscendo" di casa, che quelle , 
come cosa propria della casta in mezzo a cui vive. Le quali 
cose tutte non sono , per fermo , allo stesso modo , in uno 
stato dove non è che democrazia, pe'figliuoli degl’ingenliliti 
da un giorno , e degli arricchiti. Perchè in questi per solito 
le ricchezze e l’innalzamento è dall’industria mercantile o 
quasi-mercantile ; e l’industria delle mercature e de’com- 


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— fu- 


merei, pur troppo , a esser promossa, e tanto da generare 
tesoro , ha bisogno d’accompagnarsi con amor di guadagno , 
e d’ esserne preceduta come da suo naturale stimolante : 
amor di guadagno , che è passione per sè , non dirò vile , 
ma certo un po’ bassa , e non troppo generativa di virtù po- 
litiche. Ed ha radice d’egoismo e d’interesse materiale e per- 
sonale , due interessi che non poco penano a subordinarsi 
all’interesse morale , tanto da contentarsi sempre delle se- 
conde parti. Donde poi viene , che nelle case di si fatti (non 
ch’io neghi molte onorevoli eccezioni) gli esempi non soglio- 
no esser quali in quelle della vera e buona aristocrazia ; e 
colla rarità di questi esempi va proporzionata la difficoltà 
della fruttuosa educazione di che favellavamo. 

Che se, pe’fin qui discorsi argomenti , s’ è dunque cercalo 
di provare, che utile pertanto è l’aristocrazia, rispetto al crea- 
re , con un buono e conveniente indirizzo , una schiera di 
cittadini egregi, quali con arte di speciale istituzione appli- 
cata a’ primi che presenta il caso , o la fortuna , è difficile ot- 
tenerli; già possiamo a un altro argomento venire, e sarà l’ar- 
gomento di un secondo e ancor più elevato interesse politi- 
co, il qual consiglia a mantenere, quantunque dentro giusti 
contini, un ceto aristocratico nello stato; c questo è l’inte- 
resse cornai at or e. Il quale interesse, naturale antagonista del- 
V interesse riformatore , molti non vogliono conoscere utile , 
perchè non vi pongon mente : e , non avvertendolo , non se 
ne fanno una chiara idea. Ma non perciò non esiste; e non è 
rilevantissimo, e tanto anzi più importante, quanto le forme 
del governo son più liberali, e tengono delle repubblicane, 
o delle rappresentative e democratiche, e quanto v’è più 
grande l’autorità delle turbe popolari. 

Perchè il proprio delle democrazie, come in generale dei 
popoli e de’tempi tendenti a democrazia , è, in politica, il 
moto perpetuo. Un paese dato o soggetto alla dominazione, 
od alle forti influenze de’ capricci , di quello che fu e sarà 


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sempre varium et mutabile vuigus , è come dire un terreno in 
man d’una compagnia d’ agricoltori , ognun dei quali vuol 
coltivare a suo modo ; e dove , secondo che uno riesce a 
prevalere sull’ altro nella lotta delle volontà, e nella perti- 
nacia e nella validità de’ contrasti, distrugge l’opera de’com- 
pagni, e rilavora, e risemina a suo modo. Il qual terreno la- 
scio decidere a chicchessia se può mai prosperare , e dare un 
frutto che valga le spese, e le fatiche periodicamente aborti- 
ve. Un tal paese è sempre sul disordinarsi, e riordinarsi per 
disordinarsi di nuovo, e tornare ad ordinarsi: come ciò ac- 
cade del mobile campo del mare a ogni nuova aura che spi- 
ri , non importa da qual parte. Le leggi non vi durano. L’e- 
spcrienze lunghe non vi si maturan mai. Le fortune vi sono 
instabili , come le dignità , come le influenze , come le ric- 
chezze, come le risoluzioni. Ora un tal paese, per avere una 
qualche speranza di requie, e di rallentamento negl’impeti 
inconsiderati del moto, ; per non lasciarsi perpetuamente al- 
lucinare da false apparenze di mali, da false apparenze di be- 
ni, giudicate secondo la prima impressione, e guidanti a fatti 
spesso inconsiderati e rovinosi, ha bisogno che sia , nel po- 
polo, un certo numero di cittadini saldamente potenti (cioc- 
ché non vuol dir prepotenti), i quali mettano nella bilancia 
disposizioni opposte ; cioè appunto quelle disposizioni che 
si chiatnan conservatrici , com’é il proprio delle aristocra- 
zie, alle quali tutto fa invito a temere i troppo rapidi mu- 
tamenti , e a temperarli , facendo per propria essenza l’offi- 
cio del regolatore nell’ orologio , e della scarpa nel carro, 
non per arrestare l’ andamento, o per voltarlo io contrario, 
ma per fare necessario contrasto alle accelerazioni dissenna 
te, e per impedirne le aberrazioni pericolose. Né voglio, a 
provarlo , altra dimostrazione che quella delle prove stori- 
che, dalle quali risulta che nessun paese prosperò mai lun- 
gamente, dove un robusto ceto aristocratico non si ponesse 
in mezzo tra le facili velleità delle plebi e de' municipii, tra 
i piccoli e gretti interessi del terzo stato ... tra le tenden- 

5 


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zeagli abusi del potere in più alto luogo; c non concorres- 
se con ciò validamente e in modo principalissimo alla costru- 
zione diffìcile del buon governo. 

Finirò enumerando i beni accessorii , che a lutti i prece- 
denti van connessi. Unicamente coll'aristocrazia, che si tie- 
ne ancorala sopra una ricchezza immancabile ( non fluttuan- 
te , non fortuita , non nata oggi o ieri , c non destinata a 
perire domani), e sopra tradizioni antiche di potenza, e so- 
pra le aderenze numerose e gagliarde che la corroborano , 
e la fan per cosi dire immortale , sono possibili, od almen 
frequentissimi , tanti abbellimenti delie città ; que’ palagi , 
de’quali parlavain sopra, che sffdano i secoli, e che son co- 
me reggie; i musei, le ville, i parchi, le splendide ed ere- 
ditarie proiezioni alle belle arti di lusso , alle lettere , alle 
scienze; i costumi gcutili, il secolo di Leon X, la conside- 
razione al di dentro, e al di fuori, la dignità c il decorodelle 
nazioni. Solamente coll'esistenza di famiglie, la cui podero- 
sa influenza sugli uomini e sulle cose abbia grande ed anti- 
co ed esteso fondamento , è lecito sperare ad ogni privato 
facili appoggi e saldi nelle solenni necessità d’ogui genere , 
ferma resistenza contra ogni nemico interno od esterno che 
minacci lo stato e la città , c perfino la miglior guarentigia 
possibile contra gli abusi d'autorità, procedenti da ogni alto 
luogo. Questi abusi , possibilissimi anzi dove non sono che 
governo e popolo più o meno minuto, e qua c là ricchi sen- 
za consistenza e senz’ altra fede che nella loro pecunia, non 
possono esistere o sussistere gran fatto dove quel terzo ele- 
mento dello stato è fortemente costituito su basi ben radi- 
cate che non tremano ; le combinazioni ternarie , in queste 
faccende, piu essendo valide ad impedire le abusive preva- 
lenze da qualunque parte , c quindi le prepotenze di qualun- 
que origine. Ivi i facili rivolgimenti c sconvolgimenti trova- 
no remora gagliarda e principalissima, distrutta la quale i Ire- 
muoti politici si succedono a ogni piè sospinto ; e dura prò- 


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va più d’un paese n’ha falla in questi nostri lagrime volissi- 
ini tempi. Di qui è che la sapienza antica , per voce di Plato- 
ne c di Cicerone, cosi appunto sentenziava ne’ libri De repu- 
blica. Si ama favellare soltanto delle soperehierie de’ nobili , 
di certe violenze che alcuni di loro si permettono, di certi 
mali ch’essi han prodotto. Bisogna, com’ io diceva, pesar più 
giusto, e mettere su la bilancia nell’ altro piatto i vantaggi. 
Quando avrete distrutta la nobiltà , e avrete solo tollerato 
quella ineguaglianza di fortune , che non siete padroni di di- 
struggere, e che resisterà ad ogni vostro tentativo livellato- 
re , avrete tanto e tanto le stesse violenze e le stesse soper- 
chierie da que’che avranno la prevalenza di fortuna, ma le 
avrete senza il correttivo ed il freno che per sua natura è 
chiamalo a mettervi il buon patriziato per una dicevole edu- 
cazione e tradizione. Servio Tullio, fin dai tempi regii di 
Roma , non annullò questo ; ne moderò i poteri ; e provvi- 
de con ciò alla fuUira grandezza di quella ch’era destinata 
ad essere la capitale del mondo. La elevazione di Roma re- 
pubblicana è dovuta principalmente al suo senato di patrizi. 
Le successive invasioni della plebe alzaron molli di quesla 
sino a quello, cd era giusto ; non abbassarono quello fino 
a sè, che sarebbe stato follia. . . distruzione di Roma. I Ce- 
sari lolser di mezzo, o snaturarono l’organo politico, pel 
quale Roma dominò la terra ; eslcrminarono le grandi fami- 
glie, fecer perire l’ antiche tradizioni , tolsero ogni impedi- 
mento , ogni potestà tra sè e il popolo , e con quale effetto 
non ho bisogno di ricordarlo ad alcuno. Venezia ed Inghil- 
terra. . . la Venezia de’ passati secoli , l’Inghilterra d’oggi- 
di, son altra prova storica e splendida della mia tesi. I so- 
prusi e gli abusi di potere si possono correggere, impedire, 
medicare; il male della mancanza della nobiltà è immedica 
bile nel materiale e nel morale. . . 

E la nobiltà è zero senza ricchezza ; e la ricchezza è labi- 
le senza fedecommessi. Dunque i fedecommessi, oltre al non 


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essere ingiusti , oltre all'essere senza detrimento al paese che 
li ammette, gli sono necessari (1). 


(1) Di qui è , che, a mio senso guardando alla ragion politica , possono nel- 
r eredita fidecommissaria difendersi anche certe sostituzioni , e certi passaggi 
di famiglia a famiglia come mezzo di perpetuare i gran nomi , la memoria 
de’ grandi servigi , e gli obblighi che queste memorie traggon seco. L'argo- 
mento è degno per lo meno di nuovi esami. Non è il mio Bne l’intraprenderli. 

N- B. Dopo stampale , una prima ed una seconda volta , queste lettere , un 
vicino paese fu , nel quale i maggiorati s’ abolirono , disputatone prima , co- 
me e quanto lo si poteva aspettare , nella camera dei suoi deputati , e nel se- 
nato de’sapienti del luogo. Nè negherò , che , vista la coedizione de'tempì e 
delle opinioni , il conservarli sarebbe quivi stato un’ anomalia ; certo una dis- 
armonia con tutto il resto. Nel fallo , si guardi meno alla quistione assolu- 
ta , che alla relativa ; e meno la relativa al piti o manco di vantaggio del po- 
polo, e in generale dello stato, ebe ia relativa all' andamento politico in cui 
lo stato s'è colà messo, ed alle necessità che ciò s'è tratte dietro. La questio- 
ne giudicata oggi cosi sta donque forse bene. Bisognerà vedere se ugualmen- 
te starà bene domani. 


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■■' -1 


OPUSCOLO II 


DELLA LIBERTA’ E DELL’EGUAGLIANZA CIVILE. -DEL GOVERNO 
E DELLA SOVRANITÀ’ IN GENERALE. - DELLA COSI DETTA 
SOVRANITÀ’ DEL POPOLO E DELLA DEMOCRAZIA. -DEL VOTO 
UNIVERSALE. - DELLE RIVOLUZIONI E DELLE RIFORME NBI 
GOVERNI EC. 


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Al REPUBBLICA*! RICOVERATI IH IHGBlLTERRA 
E ALTROVE 

Il ne faut pas vous le dissiniuler. Le peuple, ainsi que 
la bourgeoisie n’a nulle confianee en vous. Le 
peuple rii de vos pasquinades politiqueset socia- 
les: il vous a connus à l’oeuvre : il a jugé la puis- 
sance de vos moyens et la fécondité de vos res- 
sources; il a vu poindre , sous volre iniiiative , 
celle réaction que vous condamne/. aujourd'bui, 
mais dont le principe est loujours vivant dans 

vos vues et pour rien au monde il ne se sou- 

cie de riimeltre nne seconde fois ses destinées 
eulre vos mains. 

Tranquillisez-vous donc , et quoi qu’ il arrive , ne 
vous excilez pas le cerveau , ne vous écbaufl'ez 
l.oint la bile. Acceptez en tonte résiguation le 
repos que vous fait l’cxil , et metlez-vous bien 
dans la téle qu’à rnoins d'unc transformation com- 
plète de volre esprit, de volre caraclèrc, de votre 
intelligence , volre ròte est lini.... 

Teuez, voulez-vous queje vous dise louie ma pen- 
sée? Je ne connais qu’un mot qui caractérise vo- 
tre passò, et je saisis celie occasion de le Taire 
passer de l’argot populairc dans la langue polili- 
que. Avec vos grands mols de guerre aux rois , 
et de l'ralernité des peuples ; avee vos parades re- 
volulionnaires , et toutee lintamarre de démago- 
gues, vous n’avez été jusqu’à préscnt , que des 
blagucurs. 


Journ. le Peuple ile l»bO 
Articolo di P. /. Prudhon- 


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ARTICOLO 1. 


Della libertà nel civile consorzio, e dei limiti che necessariamente 
debbc avere. 


Che cosa volete , signori maestri del mondo, che si rin- 
nova? - « Libertà ed eguaglianza nel consorzio civile, nco- 
« nosciute e difese; e , come frutto della libertà e dell’egua- 
« glianza , la parte di sovranità nel popolo , che a ognuno 
« coegualmente spelta per quel che concerne gl’interessi 
« sqoi, e gl’interessi dell’universale in correlazione co’suoi. 
« Perchè , se gli uomini sono uguali per natura ( e certo lo 
« sono}, è una iniquità il farli disuguali per arte; è una slo- 
« Udita il lasciarsi far tali , ed ammettere maggiori di sé so- 
ci pra sè quando piace , e quando non piace. E se gli uomini 
« sono liberi per natura, è una iniquità il farli più o meno 
a schiavi per arte, e stolidità il lasciarsi far tali, ed ammet- 
« tere padroni di sè sopra sè , quando piace, e quando non 
« piace. » - Ma qui vale la risposta celebre degli spartani a 
Filippo re - (1). « SE ». 

La libertà! Innanzi tratto, parliamo un po’ sul serio: rac- 
cordate voi veramente all’ uomo , voi che pugnate tanto per- 
chè vi si lasci interissima , e quasi o senza quasi priva di vin- 
coli ? - Ma molti di voi , che chiamano l’uomo una macchi- 
na fisica , so che il libero arbitrio, cioè questa tanto richiesta 
libertà, dicono non esistere ; poiché tutto che facciamo , lo 
facciamo, secondo essi, per coazione prodotta in noi da im- 
pellenti motivi, interiori od esterni , che prepotentemente, 


(I) Plutarch. fìe g.imililale. Edil. Rnisk Voi Vili, 32. 


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benché occultamente , ci spingono a fare o non fare , ed a 
fare una cosa piuttosto che un' altra. Dunque , almen per 
tutti cotesti negatori del libero arbitrio, le dimande d’ esser 
liberi hanno assurdità manifesta , e mancan di senso , es- 
sendo in contraddizione perfetta colla loro intima e confes- 
sata persuasione di non poter esser soddisfatti nelle loro di- 
mande , nè essi , nè chicchessia (1). Essi sanno , o preten- 
don sapere , che chiedono quel che non è possibile dar loro ; 
poiché quel che chiedono , a lor detto , è un nulla , un 
non-ente; e niun può dare ad altrui, se non illudendolo, un 
non ente, un nulla, una cosa, che nè ha egli, nè alcun altro 
possiede, o può possedere. Dunque la libertà non possono 
chiederla, che coloro i quali la credon possibile all’uomo , 
e che non risguardano il mondo morale, ossia il mondo 
delle volontà, come un conflitto di forze, ognuna delle quali 
non può non esercitarsi , che nel modo col quale nel fatto 
s’esercita, senza che alcuno possa iutervenirvi per azioni 
diverse da quelle con che ogni volta in realtà v’interviene. 
La libertà , in altri termini , non posson chiederla , che gli 
spiritualisti ; e già in ciò v’è molto di guadagnato: perchè 
cogli spiritualisti , se sono veramenle quel che dicono di es- 
sere, si può disputare con ferma speranza di giungere pre- 
sto o tardi a spogliarli di certe idee, per così dire, superfetate 
ed aggiunte, contro a naturatile loro persuasioni di spiritua- 
listi: idee non compatibili con quelle persuasioni, e tali, che 
nonèdifficile alla lunga di farle apparir loro quali realmente 
sono, riducendole al giusto loro valore. . . (2). 

(1) È argomento ad hominem — Ex ore vestro voi judico. 

Que’ cbe negano la libertà non solo non posson chiedere questa , ma non 
possono , sul serio e da senno , chiedere o pretendere nulla , nè accusar nul- 
la, nè lagnarsi o adirarsi di nulla, nè trovare a ridire su nulla. Nella loro ipo- 
tesi lutto quel che è o sarà, tatto quel che si la o si farà , non dipende dall'ar- 
bitrio 'di chicchessia. È o sarà, à fa o si farà , perchè non puh essere nè farsi 
diversamente. Dimande, lagnanze, accuse, saranno, per vero, esse pure atto 
necessario, ma un alto senza significato, o d’ un signitìcato che non può stare. 

(2) La proposizione non lo che accennarla. Il trattarla ex profitto non è di 
questo luogo. 



— 73 — 

E che cosa è questa libertà ? - « La facoltà ( rispondono } 
« d’usare delle proprie forze , fisiche o morali, nel modo 
« che più aggrada, la quale ( dicono que’che vi credono ) 
« è una facoltà primitiva e naturale, e tale perciò che non si 
« ha diritto di toglierla. » Intanto , essi che l’ ammettono, 
si vergognerebbero di non ammettere però , che alcuni di 
si fatti usi della libertà propria son buoni , altri cattivi , e 
che i buoni usi ognuno è tenuto a praticarli , e i cattivi ad 
evitarli. Dunque coloro che ammettono la libertà, .e che per- 
ciò ne chiedono alla congrega civile la maggiore possibile in- 
dipendenza e franchigia, concedono almeno una legge inte- 
riore, e naturale, e non abrogabile , data al loro intelletto , 
che comanda , consiglia , o proibisce; legge obbligatoria per 
ognuno. Dunque concedono, che la libertà, per sua natu- 
ra , non è poi cosi sfrenata come lo si suppone , nemmen 
nell’uom solitario e sottratto perciò ad ogni coazione estrin- 
seca de’simili suoi, da che è limitata e vincolata da una legge 
interna, che notabilmente ne restringe pur sempre i poteri. 

Anzi, poiché, conceduto il bene ed il male nelle azioni 
libere o volontarie, vengono con ciò necessariamente a con- 
cedere la distinzione tra l’uomo da bene e perfetto, e l’uo- 
mo imperfetto e cattivo, conseguita da questo, che per essi 
il migliore ed il più perfetto degli uomini è quegli che più 
limita le proprie libertà , e che , per conseguenza , nel fat- 
to, è o si fa men libero; e viceversa , che l’ uom peggiore e 
più imperfetto è quegli il quale più ai vincoli della libertà si 
sottrae, godendo, nel fatto, d’un più illimitato uso della li- 
bertà propria (1). 


(1) Qual è l'uomo il più libero ? — Il ciallroue , che , senza un riguardo per 
sè o per gli altri , va e fa e dice, e si veste o sveste , e s'accompagna o scom- 
pagna , e si satolla negli appetiti suoi più disordinati e più bestiali ed immon- 
di a tutto suo grado, gitlandosi panciolle o rotolandosi in istrada, ubriacan- 
dosi nella taverna, appaiandosi colle sgualdrine, gridando e urlando per via , 
spargendo motti , dileggiamenti , bestemmie , ingiurie a questo ed a quello... 


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— 74 — 


Or, se la civil convivenza è ordinata a rendere gli uomi- 
ni, non più imperfetti e cattivi, ma sempre migliori e piu 
perfetti (ed aspetto che qualcuno voglia con moderna impu- 
denza negarmelo), è chiaro, che quello è il consorzio umano 
più conforme alle leggi di natura, in che il male è più difficile 
a farsi, ed il bene piu facile. Laonde , se un modello di ot- 
timo civile ordinamento è a proporsi come un tipo al quale 
si debbano conformare, quanto meglio ciò è dato, le uma- 
ne congreghe , converrà dire l’ideal naturale ( come lo chia- 
mano ) dell’ ottima e perfetta civil convivenza esser quello 
dove alle volontà del male è recato il massimo impedimento, 
alle volontà del bene il massimo eccitamento e favore, alle 
volontà indifferenti quanto a bene ed a male la massima indi- 
pendenza : quello dunque dove la libertà ha vincoli molto 
maggiori de’ vincoli che le nostre leggi, anche le più rigo- 
rose impongono. 

Tuttavia confesso, che chi cosi ragionasse andrebbe trop- 
po in là col ragionamento, massime ove difendesse l’opinio- 
ne, che questo ideale sia immediatamente riducibile ad atto 
nella odierna condizione delle aggregazioni umane che si no- 
man popoli. Confesso, che, conosciuto il mondo cosi com’è, 
e considerato quanto immensamente son gli uomini ancor 
lontani, nella lor molta corruttela , dal tollerare universal- 
mente d’ esser costretti a farsi ottimi, e ad incontrare osta- 
coli ad ogni azion loro men che retta ed a bene rivolta; ve- 
duto quindi che la legge troppo rigorosa incontrerebbe in- 
numerabili ribelli, i quali sarebbe presso a poco impossibile 
frenare, e colla forza ridurre ad obbedienza, o pur solo pu- 
nire; infine, richiamalo alla memoria, che Iddio stesso, nella 
formazione dell’ uomo , mentre si è contentato di dare ad 

— Lo 5cln 'rauo clic corre armalo le campagne taccinlo silo tulio che trova , 
spogliando i viandanti , accoltellandoli.... — E qual uomo onesto , nel senso 
che questa parola ottiene in ogni vocabolario di popolo civile, vorrebbe es- 
sere cialtrone o scherano ? o eie' specie li ci' il consorzio è possibile ne' cial- 
troni , e fra gli scherani? 


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— 75 — 


ognuno le norme del bene e del male , ba però voluto la- 
sciare, a tutto risico di chi devia da queste norme, la libertà 
di si fatta deviazione ; di qui è che , per men danno , e per 
men difficoltà , i savi , che dell’ ordinamento degli stati han 
fatto particolare studio, avvisarono la necessità di abbando- 
nare al proprio libito di ciascuno il più di quegli abusi di li 
bertà recanti a tristo o sconveniente (ine, ma che non nuo- 
cono altrui, riserbato il vincolare con leggi quegli abusi die 
agli altri recauo un più o men grave ed ingiusto nocumento, 
od una indebita e non lieve molestia : ciocché accordandosi 
a riconoscere e concedere ( e vi riflettati bene i capitani e 
i campioni delle nuove dottrine) non credon già di aver, per 
si fatti divisamenti, proposto quel che veramente sarebbe il 
meglio; ma, proponendolo, o, a dir piu vero, confessando 
d’ essere stati costretti a concederlo , compiangono di non 
aver potuto proporre c consigliare che un men male. E tut- 
tavia questo men male non lo propongono, e non lo accet- 
tano, che in modo , per cosi dire , precario , e finché , con 
un migliore indirizzo della educazione privala e pubblica , 
sia lecito assai più recidere di questa libertà del non buono, 
senza troppa resistenza , e per successivi sempre maggiori 
troncamenti giungere alfine a quel minimo di libertà lasciata 
al mal fare , che costituirebbe de’ civili ordinamenti la vera 
normalità. 

Ed ecco ricacciate in gola, io spero, a certi insipienti ban- 
ditori del sacro diritto (coni’ essi soglion chiamarlo) d’ esser 
padroni delle azioni loro, tante balorde cicalcric di pocosen 
so , che vanno eglino ripetendo , e che, se dimostran qual 
che cosa, dimoslrau solo quanto è grande la ignoranza di gri- 
datori si fatti in lutto che risguarda la vera filosofia delle leg; 
gi e la vera natura dell’ uomo. — 

Io so però con qual mutamento di linguaggio si sforze- 
ranno essi di riguadagnare terreno, se non di fronte, almen 
per fianco. Senza osar troppo di negare, presi cosi alle strette, 
che quegli usi della libertà , dai quali un altro , e con piu 


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— 76 — 

forte ragione più altri, o la comunità intera, possono essere 
più o men notabilmente ed ingiustamente pregiudicati, deb- 
bono dalla legge frenarsi , diranno però, ed in effetto dico- 
no ( abbassato molto il tuono della voce e della superbia ) , 
che la forfattura de’ legislatori a cui si chiede emendamento 
è appunto nel giudizio del male , operato o da operarsi , il 
qual conviene, o prevenire perchè si tema, o punire perchè 
si risguardi come fatto, e delle condizioni che si stima utile 
all’ universale di lasciare in potestà de’governanti lo impor- 
re a’ singoli , quale un debito comune di violenze fatte o da 
farsi alia libertà d’ ognuno pel bene di tutti. Rispetto a che 
ricusano il più delle norme stabilite dalla sapienza antica , 
senza un riguardo eh’ ella sia stata sempre una e costante , 
sempre simile a sè fin dalle prime manifestazioni sue, giun- 
gendo da gente a gente al nostro tempo ; e trinceratisi so- 
pra questo terreno , vogliono , coni’ oggi dicesi , guarentite 
almeno certe principali libertà, o salvati certi privilegi di li- 
bertà, di che fanno enumerazione, secondochè, per un detto 
di detto, impararono (1). E qui non discenderò io a dispu- 
tar loro ciascun palmo del nuovo terreno in che s’accampa- 
no, questo non essendo per ora il mio proposito. Non ch’io 
non voglia, a miglior tempo, a un per uno , espugnare cia- 
scun de'baluardi ove atlendon battaglia, impotenti, come si 
sentono, a tener la campagna aperta. Ben, fermandomi qui 
sulle generali, poche cose dirò, che importa stabilire, come 
opportune premesse a tutte l'altre, quasi circonvallandoli in- 
torno d’un regolare assedio, per toglier loro qualunque spe- 


(1) È degno d’esser notato che si schiamazza e si pugna per si fatte liber- 
tà, e per questi privilegi sempre ne’ tempi in cui più si vuole abusarne , e da 
que’che di abusarne hanno il proposito deliberato. Que’ che non han bisogno 
dell’abuso , e che non lo hanno nell’animo e nel desiderio , è chiaro che sa- 
rebbe ridicolo se ciò curassero. Ed altrettanto è a dire de’ secoli in cui raris- 
simi sono, o nessuni, gli abusa tori di fatto o d'intenzione. Queste grida allora 
non si sa che siano. Si chiede il permesso di quel che si vuol fare, e si muo- 
vono lagnanze di quel che , volendo farlo, non sì pub ; non di quello mai, che 
non occupa la mente, e che non ispiace di non poterlo operare a suo grado. 


— 77 — 

ranza di esteriore sussidio, e di futuro scampo. Dove, se per 
avventura, io paia a taluno usare, a dispetto, un troppo su- 
perbo linguaggio , valgami a scusa la salda fede che ho nel- 
l’animo, non veramente del prevalere per senno, ma sì certo 
dello scendere a combattimento con tale una soprabbondan- 
za di forze, che il far fronte, negli avversari, più mi sembra 
presunzione ed insania , che coraggio e bravura. 

E prima , prendo , come suol dirsi , atto del concesso , e 
dell’ ornai da essi perduto per non poterlo difendere : cioè , 
che tutte le declamazioni, le quali fannosi, a destra e a sini- 
stra , suonare sul sacro diritto della libertà umana , cosi in 
generale sfrenata , e della intangibilità di questo diritto ( le 
quali declamazioni tanto si vanno ripetendo a illusione e per- 
vertimento degli sciocchi, e col plauso del codazzo lungo an- 
zichenò de’tristi, i quali approvano e fan coro, perchè l’ap- 
provazione è come indiretta difesa di molte ribalderie loro); 
tutte queste declamazioni , dico , bisogna ringhiottirsele , o 
riservarle a’ crocchi degl’ imburiassali a lor forma, e già non 
più ragionanti, nè disputanti, ma credenti, e disposti a con- 
tendere solo co’pugnali e colle contumelie. Per tutti gli altri 
un punto è vinto, ed una verità è conquistata: la libertà, per 
sé medesima, dev’ esser vincolala in tutti. Questo non ammette 
più disputa. 

Or, ciò premesso, io dico poi , che, nelle azioni le quali 
necessariamente han , per cosi dire , contatto cogli altri , e 
sono usi di libertà che agli altri possono riuscire o molesti o 
pregiudice voli, a rendere, non pur possibile, ma solo reci- 
procamente tollerabile la consociazione degli uomini, è chia- 
ro che l’interesse comune richiede il provvedere a tanto, che 
i conflitti delle coeguali libertà siano evitati il meglio che es- 
ser può, e siano del pari scansate le cagioni, quant’elle sono, 
onde , per fatto delle libertà male-usate, si renda sgradevole 
ed intolleranda ad altri, pochi o molti, la convivenza. E poi- 
ché nessuno è giusto che sia giudice in causa propria, quando 
specialmente la causa propria è in contrasto colla causa de- 


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— 78 — 

gli altri, perchè niuno, negl’ innumerabili e colidiani casi di 
si fatti contrasti, vorrebbe aver fede nella giustizia e nella di- 
screzione d’un che ha interesse a favorire sè stesso (massime 
considerando , che il momento medesimo del conflitto , al- 
lorché più le passioni sono in presenza , in accensione, ed in 
tumulto , dovrebbe esser quello del giudizio ) , perciò è ne- 
cessario, che ognuno anticipatamente sappia (da terzi ed im 
parziali, e parlanti con autorità in guisa da comandare obbe- 
dienza ed ottenerla) quel che può e deve, e quel che non può, 
nè dee. Di che poi si conclude, che, innanzi al fatto, egli è 
della più grande evidenza , bisognare alcune regole presta- 
bilite, ossiano leggi, per le quali si determini efficacemente 
il lecito e l'illecito. Resterà dunque solamente a cercare, da 
quali, secondo ragion naturale, debbano queste leggi emet- 
tersi , ed in che misura. 

E la -questione giunta a questo termine, s’allarga. Perchè, 
venuto il discorso alle leggi che stabilir denno i confini e la 
misura della libertà civile, l’argomento facilmente trapassa 
alla non meno astrusa ed importante trattazione del primitivo 
stabilimento di tutte l’altre leggi obbligatorie per l’universale, 
e si di quelle che fermano, o fermar debbono le originarie con- 
dizioni della civile congrega, nelle parti onde si compone od 
hassi a comporre l’intera macchina governativa, qual si ha, o 
qual si desidera averla, si di quell’altrc, che, a volta a volta, 
si van facendo, o si vorrebbero fatte, per nuovi bisogni che 
si stimano sopravvenuti, o per correzione d’antichi e nuovi 
errori , de’ quali credesi avere accorgimento. Intorno a che 
una opinione oggi , e da molli anni, a memoria di noi vec-r 
chi , cerca di signoreggiare il mondo , secondo la quale , la 
volontà egualmente ed il senno di lutti avrebbe in ciò a con- 
sultarsi, e a deliberare, per quella dottrina che troppi pon- 
gono a di nostri in cima a ogni altra, e che chiamano il dom- 
ala della sovranità del popolo , da cui , come da vecchia sua 
radice , sorse già e prese forza l’altro domina del cosi detto 
patto , o contratto sociale ; due domini a’ quali dassi appunto 


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per fondamento , come la libertà originaria e naturale del- 
l’uomo, cosi l ’ eguaglianza primitiva d’uomo con uomo. Or 
poiché, rispetto alla prima già vedemmo, quantunque som- 
mariamente , quel che bassi a pensarne , favelliamo adesso 
della seconda. 



— 80 


ARTICOLO* II. 


Della eguaglianza in generale, e quanto poco esista 
essa nella specie utnana. 

Si pretende, che gli uomini, per naturale diritto, sian tutti 
uguali , e , al solito , insegnando al popolo questa supposta 
fondamentale verità, que’ che la insegnano si guardan bene 
dal dichiararla con più esplicite parole , e dallo spiegare in 
che senso , a lor senno , questa eguaglianza può affermarsi, 
in che senso non lo si può. E il popolo fa di questa propo- 
sizione quel medesimo, che dell’altra, la qual die e-Gli uomi- 
ni son lutti liberi - Ambedue le accetta così come gli si dan- 
no, senza limitazione, e se le stampa bene in mente al modo 
che suonano, per poi trarne le conseguenze dirette ed estre- i 
me, che oggi pur troppo ne trae... conseguenze che la pace 
del mondo da sessanta anni disturbano ed impediscono. Io 
spesso ho domandato a que’ difensori di si fatte stolte teori- 
che, co'quali è pur possibile tentare un po’ di ragionamento, 
qual fondamento dessero ( parlando dell’egualità ) al domma 
che stabiliscono ; e i più di loro m’hanno risposto con gran 
franchezza , che l’eguaglianza è da legge di natura, perchè la 
natura ci ha fatti tutti della stessa specie, e della stessa car- 
ne; tutti, gli uni agli altri, fratelli. Ma, quando li ho incal- 
zati, chiedendo, se la natura facendoci uguali quanto a spe- 
cie e carne , e con questo dandoci una comune fraternità , 
abbia poi col fatto mostrato di averci voluto ad un tempo da- 
re anche le altre eguaglianze qualitative e quantitative , ossia 
di modo, e di grado, che bisognano per costituire l’assoluta 
eguaglianza naturale, la quale intende il popolo, non ra’han 


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— 81 — 

potuto più rispondere cosa che valga. Almeno avessero po- 
tuto dimostrarmi che queste ultime sono una conseguenza 
necessaria di quelle prime! Bisogna compatirli. Essi non po- 
tevan fare l’ impossibile. 

La natura, certo, non ha voluto farci diversi da quelli che 
ci ha fatto. Ora è chiaro, ch’essa ci ha fatto in ogni cosa dis- 
uguali. ( E si noti , eh’ io qui uso il linguaggio de’ moderni 
filosofanti. Metto da parte la fede, il peccato d’origine, e le 
sue conseguenze. Parlo , come oggi usano tanti , della na- 
tura acefala , e separala dalle sue cagioni , come se non le 
avesse ). 

Infatti che vogliamo ricercare? Il fisico, o il morale? Ma, 
nel fisico , nessuno, per fermo , avrà l’ ardire d’ affermare , 
che la natura, fabbricandoci tutti della stessa carne, e collo- 
candoci nella stessa specie, abbia voluto altro farci che dis- 
ugualissimi. Non forse ogni giorno ci schiera essa innanzi 
i belli ed i brutti , i dritti ed i bistorti , i contraffatti a ogni 
forma ed i ben composti della persona.... i sani e gl’ infer- 
micci, i gagliardi ed i frolli , gli svegliati ed i pigri o buo- 
ni-da-nulla? Non forse tra milioni di visi nessun ce ne pre- 
senta ben simile... ben uguale ad un altro « imprimendo ad 
ognuno una fisonomia sua, che è la sua e non d’altrui? Non 
forse disuguali dà le complessioni , la fazion generale della 
persona, le idiosincrasie ? Pur la carne è una in tulli , e la 
stessa : la specie è una e comune. 

Più però l’originaria e naturale disuguaglianza fassi palese, 
ove al morale riguardiamo, e si a questo nella parte intel- 
lettiva e discorsiva, si nella memorativa, si nella immagina- 
tiva, nell’ affettiva , nella volitiva, e in quante altre le sotti- 
gliezze de’ filosofi distinguono... Ho io bisogno di dire, che 
hannovi nati stupidi , e nati con ogni buona disposizione di 
memoria, di giudizio, d’ acume... ? Ho io bisogno di ricor- 
dare le portentose varietà d’ altezze , di capacità, d’umori , 
di tendenze, infinitamente tra loro disparate e distanti ? Ho 
io bisogno di avvertire , che Galileo , Newton, Eulero, La- 

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— 82 — 


grangia non nacquero per esser umili ragionieri di lor per- 
sona sopra un povero banco di libri tenuti a scrittura-dop- 
pia ; Cesare, Carlo Magno, Napoleone, non erano modellati 
alta stampa d'un piccolo caporale di milizie ; i Law non fu- 
rono mai del legno di che si formano i Colbert , i Turgot ; 
Omero non doveva essere Clierilo, nè Virgilio Bavio... , e 
tutta la larghezza d’ un oceano doveva separare Marco Tul- 
lio Cicerone da Marco figliuolo, Marco Aurelio Antonino da 
Commoilo, Tito da Domiziano... Vaucanson da un costrut- 
tore d’organucci di Barberia... Giovanna d’ Arco dalla mia 
donna di faccende ? 

Non favello delle disposizioni di cuore... delle disposizio- 
ni di volontà... del più o meno di mercurio, di zolfo, di sali, 
che, fino dal primo impasto, è infuso nelle nostre crete; e del 
diverso rombo di vento a che si volge l’ago delle nostre tra- 
montane. Nel vostro stesso campo , signori maestri del no- 
vello mondo, consultate Gali , Spurzheim , Fossati, Combe. 
Crederanno leggervi sul cranio, scritto e significato a grandi 
rilievi, se siete della pasta dei Tersiti, de’Paridi, degli Ulissi, 
de’ Palamedi, o degli Achilli.... 

E non solo differenti s’esce di prima stampa dall’utero ma- 
terno. Altre cagioni soggiungono, da natura pur sempre, e 
dal conflitto perpetuo delle sue forze , per le quali alle ine- 
gualità fisiche e morali, cominciate fin dai primordi nostri, 
se ne vanno altre aggiungendo finché dura la vita, ed alcune 
per effetto della stessa vita. Imperciocché a questo lavorano 
giornalmente le infermità, e centinaia di fortuiti accidenti che 
sopravvengono... le differenze di climi e del tenor di vita... 
i nostri spropositi volontari ed involontari... : senza di che 
molle cose al vecchio toglie P età , e al fanciullo non le dà 
ancora... 

E l’arte , eh’ essa medesima è da natura , opera forse , e 
conduce, a diverso fine? -L’arte è l’educazione, secondo che 
ce la danno, secondo che ce la diamo. Or l’educazione, fac- 
ciasi quel che si vuole, è per l'uomo una nuova grandissima 



— 83 — 

cagione d’ inegualità , la quale niun potrà mai governare in 
modo da impedirle il produrre questo ultimo effetto. 

E , primo , è una potente cagione d'inegualità dalla parte 
degli educatori. Perché come poterli applicare a uno stesso 
modo, a una stessa misura, in tutti i luoghi ed a tutti? nelle 
città e ne’ villaggi ? nelle campagne e ne’ boschi ? a que’ che 
vivono raccolti insieme, e a que’che in solitudine, o grande- 
mente spicciolati e divisi ? Come trovarli, da per tutto, uguali 
in eccellenza, per dottrina, per zelo, per altezza, per l’allre 
molte qualità che aver denno , o dovrebbero ; o come non 
piuttosto contentarsi assai spesso di non trovarne, di non a- 
verne, o di averne de’mediocri, degl'insufficienti, o decessi- 
mi? Come, da per tutto, avere o procacciarsi le stesse faci- 
lità secondarie , gli stessi ausiliarii mezzi , senza di che la 
bontà degli educatori o fallisce, o men vale? Come non avere 
riverberate sugli educati le diversità che provengono dalla 
diversa natura de’ maestri, de’ metodi, degli aiuti estrinseci? 
E, per tutti questi motivi, come non giungere all’effetto ul- 
timo, che, se le differenze predisposte da natura erano già 
grandi, più grandi ancora saranno esse fatte, dopoché di ne- 
cessità in diversissimo grado e modo l'arti educatrici saran- 
nosi adoperate? 

Secondo , è un’altra cagione d’ineguaglianze , dalla parte 
di coloro che debbono educarsi. Imperciocché le inegualità 
già preordinate in ciascuno nell’esser coucetli, come potran- 
no non avere accrescimento e moltiplicazione, aggiuntevi le 
inegualità avventizie, prodotte dall’azion di coloro, che, più 
o men bene, o più o men malamente, educheranno? Dove, 
tra inegualità ed inegualità , sarà pur talvolta che accadano 
compensazioni: ma sarà più spesso ancora, che le inegualità 
si sommino, e s’alzino a maggior valuta... 

Terzo, son molte più, accidentali, cagioni, che necessaria- 
mente faranno anche maggiore essa differenza : come dire , 
il più o men bene, o male affetto stato di salute, o di vigo- 
re , il più o meno di fortuiti ostacoli , o di fortunate agevo- 


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lezze sopraggiuugenti : la nebbia delle passioni viziose che 
alcuni offuscalo la loro forza che molti distrae; lo stimolo 
delle passioni generose che ad altri é incitamento... cento al- 
tri e mille incidenti della vita, che or turbano, or secondano, 
e fan mentire in bene o in male ogni anticipato presagio da 
natura tratto... 

Ma v’ è una piu generai considerazione , che vie meglio 
conferma la verità del mio detto. Essa ci è somministrala 
dalla ricerca del fine stesso per cui la natura ci diede delle 
arti educatrici il bisogno, l’istinto, ed il seme. Questo fine 
evidentemente, e per sua essenza, è, sempre, e ogni giorno 
più, disuguagliare, anziché uguagliare. Imperciocché la per- 
fettibilità umana esse arti han persubbietto sul quale lavo- 
rano ; e la perfettibilità è cosa sterminata. L'arte, cioè l’edu- 
cazione, perfeziona, che è dire s’ aggiunge alla natura, ac- 
ciocché quello che in essa è germe, tallisca, cresca in pian- 
ta, e fruttifichi. Ora il germe è d’ineguaglianze: dunque ine- 
guaglianze raccoglierannosi dall’ educare, tanto maggiori, 
quanto l’ educare sarà più perseverante, e condotto a mag- 
giore eccellenza. In ciò sta il progresso, che è pure un altro 
degl’ idoli del nostro tempo : in ciò la civiltà, effetto princi- 
pale del progresso , che tanto oggi i nuovi dottori dicono di 
voler promuovere, non s’accorgendo , che il suo vero fine 
è aumentare le differenze tra gli uomini, non già scemarle. 
Gara infatti essa è per essenza , e specie di palestra aperta a 
tutti, dove arte aiuta natura a far si che ciascuno co’ vantag- 
gi che può e sa, si gitti innanzi quanto più può e sa meglio, 
lasciando iudietro il compagno o i compagni di quanto piu 
intervallo è possibile , nelle diversità di direzione che tutti 
prendono. Cosi arte e natura a un medesimo scopo conven- 
gono. Quella accresce 1’ effetto di questa. La disuguaglianza 
é data all’uomo per legge; il disuguagliarsi per istinto, e per 
bisogno. Voi piu facilmente fabbrichereste gli uomini della 
favola di Luciano, usciti dalla granata magica , con metodo 
di successive dicotomie, che gli uguali i quali sognale... 


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— 85 — 


Arroge, die questa è una legge non esclusivamente pro- 
pria della nostra specie. Chi ben considera, trova ch’è legge 
data all’intero universo, come norma del suo modo d’esse- 
re. Tutto in esso è varietà e diversità. Tutto è gerarchia. La 
materia è una nella sua sostanza , pur l’oro non è argento, 
nè T argento rame, nè il rame piombo , nè il piombo arse- 
nico , nè l’arsenico azoto od ossigeno. Vi son dunque caste 
nella materia , come nella specie umana ; come nelle specie 
degli animali domestici (cavalli , pecore, capre)... V’ è una 
gerarchia delle stelle tra le stelle, delle comete tra le comete. 
V’é il grande ed il piccolo, il luminoso e l’oscuro, quel che 
domina e quel eh’ è dominato. Un carbone è cristallizzato ; 
è brillante; è la coli-i noor, la montagna della luce, che brillerà 
sulla fronte di Vittoria regina d’ Inghilterra ; un altro car- 
bone non è buono che a scaldare la pentola della massaia. 
Lo stesso grano, dice il più santo de’libri, è trasportato dalla 
piena del torrente nel mare , e vi perisce ; dal vento tra le 
sabbie , e non vi nasce ; dall’agricoltore nel campo , e , se- 
condo le condizioni diverse del terreno e de’ succhi , v’ in- 
tristisce c non viene a spiga , traligna ed è ucciso dalla gol- 
pe... prolifica ed è ricchezza della messe e del granaio. Evi- 
dentemente queste diversità di sorte furono, sin dalla prima 
origine, ne’ disegni del Creatore, nelle necessità imposte al 
creato... 

Quanto agli uomini, ciò non è solo un fatto cieco ed im- 
provvido : è una manifestazione splendente della sapienza 
del divino architetto. La vita normale della civil congrega 
ha bisoguo di simiglianti radicali disuguaglianze. È forza che 
v’ abbia chi non si sdegni d’ esser destinalo ad metalla , alla 
coltivazione laboriosa delle terre, alle meccaniche fatiche del- 
l’incudine, della sega, della pialla... Come è forza che v’ab- 
biano altri ad altro buoni, ed a meglio, secondo tutta la va- 
rietà degli uffici e de’ servigi che se ne aspettano. Fede c fi- 
losofia s’ accordan poscia a proporci , affinchè nissuno si la- 
gni , il sistema delle compensazioni in una seconda vita — 


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Or, se tanto è innegabilmente vero, come s’ osa insegna- 
re al popolo l’opposto di queste dottrine? Come s’abusa della 
sua irriflessione naturale e della sua ignoranza per falsificar- 
gli sino a questo segno il giudizio? Come s’ardisce predi- 
cargli ogni giorno il domina supposto delVeguaglianza, o non 
fiancheggiandolo con ragioni, o rendendolo credibile con mi- 
serabili ragioni di fratellanza universale, d’identità d’origine, 
o simile? (1)-E v’ha chi chiama perfino a complicità dell’in- 
ganno la religione , come se vi credesse! V’ha chi usa come 
argomento: Siamo lutti figli d’Adamo; lutti ugualmente re- 
denti sulla croce; tutti ugualmente fratelli in Cristo! - Fra- 
telli si certo ; c figliuoli lutti della prima umana coppia , e 
della seconda per Noè il diluviano; ed ugualmente ricompe- 
rati col prezzo di sangue sul Golgota: ma non perciò uguali; 
come uguali non erano, ancorché fratelli, più ancora stretti 
tra toro che non un uomo a un altr’ uomo, Caino e Abele ; 
come uguali non erano tra loro, ancorché fratelli, Isacco ed 
Ismaele, Giacobbe ed Esaù, Giuseppe e Beniamino, e gli altri 
figliuoli di Giacobbe... Fratelli, e perciò tenuti a reciproca- 
mente amarci, ad assisterci, a giovarci; ma non a modellarci 
ognuno sull’altro , ma non a metterci tutti a uno stesso li- 
vello , ma non a interdirci ogDuno i vantaggi delle nostre 
individualità , o a pretender di divider cogli altri gli svan- 
taggi. L’ autorità della religione , della quale s’ abusa , non 
ha mai consacrato queste massime , o , per dir meglio , ha 
consacrato sempre le massime contrarie. Io dimentico però, 
che hannovi, a di nostri, cristiani a’ quali par bello servirsi 
del vangelo per falsificarlo, e spurii cattolici, i quali s’argo- 
mentano d’ insegnare caltolicliesimo alla Chiesa , e teologia 
alla teologia! 


(1) É facile intendere, se non il come, almeno il perchè. Si cercano nel vol- 
go, e nel minuto popolo complici, ed uomini di braccio per l'opera di di- 
struzione ebe si medita; e l’adescarli con si fatti miserabili e detestabili ingan- 
ni par utile , se non bello. 


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— 87 — 

Se non che intendo bene quel che vorrassi rispondermi. 
Sorgeranno d’ ogni parte di coloro , che vorranno dirmi , 
nissuno esser si stupido da pretender di negare il fatto visi- 
bile e palpabile delle ineguaglianze di natura e d’arte, che son 
tra gli uomini, troppe delle quali non possono non essere in un 
grado maggiore o minore, si nel morale, che nel fìsico. Solo 
chiedersi oggi quell' eguaglianza , che spetta agli uomini , in 
quanto congregati in società; e questa esser Veguaglianza che 
chiamasi civile, cioè de’ fondamentali diritti della vita di citta- 
dino; e pretendersi essa come dovuta per legge eterna di na- 
turale giustizia. E avvegnaché, ristretta la proposizione en- 
tro si fatti più precisi e più angusti termini , non è poi si 
chiaro il comando della legge di giustizia la qual si cita , e 
resta sempre a superarsi la difficoltà del concepire come e 
perché abbia a credersi di misurar giustamente, applicando 
a tanti fra loro disuguali una misura uguale per tutti , fan 
prova d’ avviluppare sé e gli altri in un tessuto di ragiona- 
menti , che è pregio dell’ opera l’ esaminare- Esaminiamoli 
dunque, c cerchiamo di far conoscere quanto essi hanno po- 
co del solido, e quanto facilmente s’abbattono, e si riduco- 
no a nulla. 


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— 88 — 


ARTICOLO III. 


Dell' eguaglianza nel civile consorzio e su quali falsi fondameli 
ti si pretenda stabilirla. 


Si vuole l ' Eguaglianza civile , cioè l’eguaglianza ne’ fonda- 
mentali diritti della vita di cittadino! E per che buona ra- 
gione ?-Rispondono i pili barbassori: « non veramente per - 
« che siavi tra gli uomini l’eguaglianza primitiva di natura , 
« o perché possa l’arte giungere a distrugger mai le diffe- 
« renze che natura ha in noi largamente seminate nel tisico 
« e nel morale j ma perchè , tra tante che mancano , un’e- 
« guaglianza primordiale è pur veramente in tutti, ed è 
« T eguaglianza di condizione primitiva , quando la vita civile 
« ha per noi , secondo ragione , normale coininciamento. » 
E , a meglio spiegare il concetto loro , cosi ragionano , 
tornando un tratto a considerazioni relative alla libertà - 
« Sia quel che si voglia de’ limiti che la legge eterna ha se- 
« gnato al libero arbitrio d’ogn'uno , e della natura obbli- 
« gatoria de’ precetti ch’essa legge dà a tutti ; se potente- 
« mente c’invila essa ad unirci in civil convivenza , non , 
« per fermo , l’invito è coattivo (posto che niuu pretende 
« esserci disdetto il segregarci per vivere in solitudine , 
« quando ciò ne piaccia) ; e molto meno è obbligatorio a un 
« dato modo d’associazione (posto che niun pretende esser- 
« ci da ragione naturale vietato il torci all’ associazione , in 
« che , per esempio , ci troviamo inclusi dal nascere , per 
« entrare , a nostro libito, in un'altra la quale consenta 
« di riceverci). Dunque l’entrare , o il restare , in una data 
« civil congrega, è , per sé, atto di libertà, rispetto al qua 


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— 89 — • 


« le noi conserviamo intero l’arbitrio. Ma lo stesso ragio— 
« namento può ugualmente applicarsi ad ogni uomo. Dun- 
« que tutti gli uomini , debbono , in ciò , riguardarsi d* li- 
ft guai condizione : lutti almeno coloro , a togliere qui ogni 
« soGstcria , che hanno sufficiente normalità coni’ uomini , 
« quanto alle facoltà naturali (salvo il diverso grado in che 
« le posseggono) , per non dare evidente motivo d’ esser te- 
« nuli come non liberi. Ma concessa l’esistenza d’almen 
« questa eguaglianza , non v’è poi ragione perche da detta 
« eguaglianza non si derivi un’altra eguaglianza , e vuoisi 
« dir quella per che , ne’ rapporti generali di cittadino a cil- 
« ladino , e da cittadino a tutta la congrega , pesi c benefi- 
« zi , cioè doveri e diritti sian parificati. Dunque sì fatta pa- 
li rificazione , che è l’eguaglianza la quale aveva a dimo- 
« strarsi essere di diritto naturale , lo è realmente. » Dal 
qual tenore di discorso è poscia uscita , nel passato secolo , 
tutta la dottrina del palio sociale, c (connessa con quella) 
l’altra dottrina , secondo la quale il popolo , cioè la somma 
di tutti i concorrenti a civil consorzio, nell’atto del concor- 
rervi , c dopo esservi concorsi , ha in sè la vera sovranità 
e supremazia, per tal guisa , che ognuno ne possiede la sua 
coeguale parte: ciocché costituisce poi quella che si chiama 
la sovranità popolare , o la democrazia risguardata come il 
solo governo naturale e legittimo. Donde molte conseguen- 
ze scaturiscono , c principalmente questa « Che gli entrati , 
« od i liberamente restati in una civil convivenza, se dispn- 
ee nendo di sè , come sovrani che ne sono , tutti con egual 
« volontà e potestà si spogliano o si spogliarono pacifica- 
le mente d’una parte della sovranità di sè stessi , per forma- 
le re di queste parti riunite l’altra sovranità posta fuori , e 
ee depositata in mani terze , alla quale , in essa convivenza , 
ee liberamente si sottoposero, non però a questa seconda so- 
« vranità non si serban sempre superiori. Nè , in quanto è 
« artificiale , e procedente dal loro libero arbitrio , da cui 
« trae tutto il suo valore su ciascuno , può questa sovra- 


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— 00 — 

a nità fattizia distruggere la supremazia delle volontà da 
« cui supponsi derivala. E perciò , quantunque soprastante 
« per patto , essa è nondimeno in realtà soggetta , e dalla 
« stessa volontà onde procede può quindi essere rivocata e 
« distrutta ». Le quali teoriche con tanto animo i nuovi 
maestri le difendono , che , non potendo non accorgersi , 
ciò , nel fatto , non esser mai , perchè , storicamente par- 
lando , l’asserito patto sociale , mai , o quasi mai , non in 
terviene , ancorché per diritto dovrebbe , a lor sentenza , 
intervenire « ciò dicono provar solo la spuria origine delle 
« civili congreghe in che , per tal guisa , si è inclusi. Don- 
« de è poi , che il pacifico e precario restarvi , il qual fac- 
« damo , non può , a lor detto , chiamarsi nemmeno un 
« tacito consentimento. Imperciocché secondo il proverbio, 
« chi non parla non dice niente. Ed , essendo che ogni go- 
« verno é intanto una forza di fatto alla quale difficilmente 
« si può resistere , cosi il non dir niente esso medesimo è , 
« conchiudon essi , una necessità imposta , piuttosto che 
« volontaria. Il perchè , ora massimamente che i popoli co- 
« minciarono a parlare , il diritto, il quale non poteva es- 
« sere abrogato , o soppresso, risorge , dicon essi , con tanto 
« più vigore , e legittimamente pronunzia illegittimi quc’ci- 
« vili consorzi , e sentenzia rivendicata e ripigliata da tutti 
« quella sovranità di sé , che natura diè loro , per esercitar- 
« la congiuntamente , dove ciò aggradi , nella formazione 
« di consorzi nuovi e di nuovi governi , a tal forma , e con 
« tali leggi , che il libero ed effettivo consentimento prece- 
« da consorzio e governi , e li accompagni , o , cessando , 
« cessi l’autorità di questi , c sia come se non fosse. Donde 
« tornan di nuovo alla tesi , che la democmzia è nel diritto 
x di natura , in quanto almeno poter supremo, cioè alto ed 
« indeclinabile potere , che sovrasta ad ogni maniera di go- 
« verno , la quale il libero consenso degli uomini abbia sta- 
« bilito , o sia per istabilire ; e che tutte le altre maniere di 
« governo, anche consentite , sono artificiali e transitorie , 


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— 9t — 

« mentre quell’ una , o esista o no in alto , è permanente ed 
« imprescrittibile... » 

Cosi presso a poco ragionano , quanto a tutto cotesto 
domma dell'eguaglianza , e a’ corollarii che ne traggono , i 
più logici tra costoro, e nondimeno ragionano pessimamente 
e con una molto povera logica. Perchè , in tutta l’esposta 
tela di raziocinii , s’afferma , più che si provi , quella sup- 
posta egualità di condizion primordiale , che , o realmente , 

0 per una finzione giuridica , precede , o debbe precedere, 
l’ingresso consentito d’ognuno nella civil convivenza , e 
che è data come fondamento di tutta l’eguaglianza civile in- 
torno alla quale si disputa. In questa vece facilissimo è 
dimostrare che il fondamento , assunto per postulato non 
ha sussistenza alcuna. Imperciocché sia pur dato e non con- 
cesso a’cosi ragionanti d'assumer l’uomo nel momento d’en- 
trare con perfetta libertà di sè in una associazione nuova , 

1 cui patti abbiano allora allora da stringersi , e, come mol- 
ti oggi dicono , da formularsi (ciocché , nel fatto , non è 
mai) ; certo , anche in questa immaginaria ipotesi , di che 
direm poi quel che è a dirne , falsissima cosa è , che , nella 
turba de’ concorrenti a costituire la nuova congrega , cia- 
scuna arrechi , non una quale che siasi equipollenza , od 
eguaglianza di requisiti , ma quella equipollenza od egua- 
glianza che sarebbe necessaria per venire alla conclusione 
a cui vuol venirsi. L’equipoHenza o l’eguaglianza che v’è , 
è quella delle individuali libertà degli ancora sciolti, ossia è 
l’eguaglianza nella autocrazia, o nella signoria di sè , che 
ciascuno , per ipotesi , conserva ancora , e in virtù delia 
quale , come padrone della propria individualità , concorre 
e consente per la sua parte alla formazione d’ un sociale con- 

- sorzio (1). Ma da che si viene all’inventario ed alla ricogni- 
ti) E tuttavia del rigore di questa stessa speciale uguaglianza potrebbe di- 
sputarsi , cercando deulro quali termini, e sotto quali condizioni ogni uomo 
è sui juris nel fatto. Ma il cercarlo sarebbe un'iucidentu questione, la quale 
ci porterebbe troppo lungi. 


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— 92 — 

zione de’ capitali e de’ requisiti che ciascuno con sè reca ad 
associazione, l’equipollenza o l’eguaglianza subito cessa , e 
cominciano le disuguaglianze... tutte quelle disuguaglianze, 
che noveravamo nel precedente articolo , e che non posso- 
no non essere messe in conto rispetto al reciproco interes- 
se degli stipolanti , c a quanto esso comanda. 

Imperciocché sia pure un contratto quel che trattasi di 
formare , e sia pure in libertà d’ognuno il preordinarne gli 
articoli a suo proprio grado , o il ricusare la stipolazione. 
Ma si abbia in memoria , che qui si domanda al postutto , 
a stipolazione da farsi , non quello che ognuno , con un 
pensiero egoista di superbia , d’invidia , e di gelosia , non 
volendo esser da meno degli altri , pretende a perfetta pari- 
tà cogli altri , per prezzo d’adesione , o sia o no interesse 
degli altri il concederlo ; ma quello che gli eterni principii 
di ragione c di giustizia in questo proposito consigliano ed 
ordinano. Perchè , insomma , bisogna ricordare quel che 
dicevamo nel nostro primo articolo. Non è il libero arbitrio 
puro e semplice la norma direttrice degli atti umani , e non 
esso è l’autocrate, oil sovrano legittimo; nè alcuno ci ven- 
ga a dire , secondo filosofìa , stai prò ralione voluntas. Il ve- 
ro e legittimo sovrano è il Xòyos", e il Xòyos , cioè la ragio- 
ne , non di tale o tale altro individuo , ma si l’universale ; 
quello che è la espressione del senno raccolto dalle ragioni 
più squisite di tutte l’età e di tutti i luoghi. Rispetto a’ cui 
precetti non si può nemmen dire che nel caso nostro siavi 
oscurità , o incertezza , chiari essendo e non contrastati 
i principii generali regolatori de’ contratti di società , non 
secondo tale o bile altra legge scritta , ma secondo il natu- 
rale diritto. Insegna esso , che se un individuo contribuisce 
al bene della società men clic altri , non può pretendere 
d’essere accettato alla stessa dose di beneficii che gli altri., 
i quali contribuiscon più. Nè se , quanto aU’amministrazio- 
ne della società intera , sono in essa e capaci ed incapaci , 
è giusto che gl’ incapaci pretendano il diritto dell'avere al- 


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— 93 — 

Ira parte che indirettissima nella direzione e nel governo 
degl’interessi sociali. Di che l’applicazione al caso nostro 
non ha bisoguo d’altre parole. E tuttavia l’ altre parole, che 
qualcun chiede a maggiore schiarimento saran dette a suo 
luogo. Qui basti per ora t’avere indicato in che giace la fal- 
sità del ragionamento su cui la pretensione all’eguaglianza 
civile si vuol fondata ; e- basti chiudere il discorso facendo 
riflettere , che , dopo le cose dette , resta almeno a tutto ca- 
rico ornai de’difensori di cotesta domandata eguaglianza il 
provare , che realmente , nell’ ipotesi del libero convenire 
degli uomini a costituire una nuova civil convivenza , tutti 
arrechino in contributo , non una parziale ed apparente , 
ma una totale e conveniente egualità di condizione primor- 
diale , e nè più , nè meno di quella che il caso nostro ri- 
chiederebbe a rigore di legge. 

Ma è una seconda parte , che non vuol esser passata sot- 
to silenzio. Questa è l’esame di quel che si vuol dare per 
conchiuso ed accettalo ; cioè che gli umani consorzi , come 
sono fin qui stali c sono , abbian da considerarsi tutti ap- 
punto per illegittimi , e spurii, perchè non consentiti nor- 
malmente da ciascuno nel popolo , ed anomali , e non for- 
mali secondo quelle che sole si giudicano essere le regole 
veramente razionali , destinate da natura a presiedere al 
nuovo patto sociale , e a servire a stabilirlo. Intorno a che 
veggiamo un po’ quanto , ugualmente, e con quanto perico- 
lo , vanno errati coloro i quali cosi predicano , e cosi s’osti- 
nano a pervertire il piceol senno delle turbe. 

• Sta bene mettersi in capo di sovvertire tutto ciò che è 
stato , ed è, in fatto di civili convivenze , e volere sconvol- 
gere da cima a fondo lutti gli stati , perchè vi sono alcuni 
(e sian pur molti ) , che gridano che , negli stati , cosi come 
sono , la distribuzione de’diritti civili non è esatta ! Sta 
meglio che questi medesimi , i quali cosi propongonsi di tur- 
bare violentemente la pace del mondo , giurino di non vo- 
ler cessare la guerra da essi intimata , e già flagrante dal la- 


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— 94 — 

to loro , contro alle congreghe umane oggi esistenti , e di 
non posare le armi , e di non finire le cospirazioni , finché 
non solo a una riforma in ciò siasi giunti , ma quel , che è 
più , finché uon siasi pervenuti alla maniera di riforma , la 
quale , a lor senno , è la sola giusta ! Peccato che vi siano 
certe difficoltà teoriche e pratiche , le quali combattono 
questo bene e questo meglio... £ so che delle difficoltà oggi 
non s’usa occuparsi dai proseliti delle nuove scuole. Chia- 
mali vigliaccheria, strettezza di spirilo l'occuparsene. Chia- 
mano oscurantismo il proporle. Chiamano forfattura il dir- 
le al popolo. Noi , che non siamo proseliti di quelle scuo- 
le, diciamone alcuna cosa. Non saremo da essi ascoltati. Non 
mancheranno tuttavia gli ascoltatori in tempi piu tranquil- 
li , se non oggi. Questa è almeno la nostra fiducia. 


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ARTICOLO IV. 


Considerazioni contro al preteso diritto di rinnovare le società 
umane per accomodarle alle proprie idee preconcette , e contro 
alle tentale riduzioni ad allo di questo diritto. 


« Il mondo'( vuoisi dirci ) ha bisogno di riforma , e di 
« quella riforma che noi da lungo tempo andiamo indican- 
« do : e , poiché n’ha bisogno, non resteremo colle mani in 
« mano. - Giovandoci d’ogni mezzo, tanto faremo , finché 
« avrem pur conseguito quel che ci siamo proposto. » - 
Quante proposizioni incluse nelle precedenti parole, ognuna 
delle quali proposizioni, in argomento si grave , richiede- 
rebbe un libro a parte per trattarla come si conviene, e per 
porre ben in chiaro quel che debba pensarsene! - 

« Il mondo ha bisogno di riforma. - La riforma che bisogna 
è quella che le scuole democratiche oggi insegnano, e non altra. - 
Questa maniera di riforma si ha diritto di cercare immediata- 
mente il tradurla ad atto , senza lasciarsi trattenere da quale si 
voglia opposta secondaria ragione. - Tutti i mezzi son buoni e 
leciti , se a sì fatto fine paian conducenti. » - Ecco quel che 
vale il discorso con che abbiamo incominciato questo arti- 
colo! - 

Non tutte , per vero , le dette proposizioni s’ osa dirle da 
tutti : ma tutte son professate con cieca ed ostinata fede. Pro- 
fessarle, in questo caso, è metterle in pratica, perchè la lo- 
ro natura c tendenza è pratica più ancora che teorica. Due 
fini si hanno. Uno è terribile. Da maniaci e per maniaci ; 
impossibile, grazie al cielo , a conseguirsi interamente, ma 
purtroppo tale, che il camminare verso esso è impresa fe- 


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— 96 — ■ 

conda de’ piu gran mali che melile umana possa immaginare. 
L’altro è un castello in aria verso il quale non è pallon vo- 
lante che possa condurre, perchè tutti i palloni son condan- 
nali a precipitare prima di giungervi: castello senza base , 
altra che di nuvole; castello posto nella regione de’ turbini, 
e del fulmine; dove niuno durerebbe tranquillo, e senza pe- 
rirvi alla lunga, corps el biens. Il primo è mettere a soqqua- 
dro ogni cosa : città , terre, castelli , e ville, per distruggervi 
gli ordini stabiliti , e, se bisogna, tutti che s’oppongono alla 
distruzione. Il secondo è dare alla specie umana un altro or- 
dinamento: ordinamento repubblicano; ordinamento di pura 
democrazia, interpretata e stabilita nel senso il più largo. Se 
ne spera per gli uomini d’un altro secolo (certo, non pe’vi- 
venli oggidi, e, men che per tutti, pèr quegli stessi che ciò 
tentano ) quasi l’inaugurazione d’un’ era nuova tra gli uo- 
mini , era di felicità , di ragione, e di giustizia! Cerchiam di 
mostrare quanto questa speranza è vana, temeraria, fallace, 
e quanto questa impresa è colpevole, sottoponendo ad una 
ad una, ma brevemente, ciascuna delle proposizioni a cri- 
tico esame. - 

1. Il mondo ( morale ) ha bisogno di riforma ? - Eh si. Ma 
la perfezione, in ogni cosa umana, è un punto di mira piut- 
tosto che una meta. Vi si guarda, ma non si pretende ar- 
rivarvi. Vi si guarda per prendere la direzione, e per ac- 
corgersi se si sbaglia nell'andare, come si guarda alla stella 
cinosura dal navigante, non che il guardarvi significhi spe- 
ranza di raggiungerla. 

E bello è accorgersi di quel che merita riforma. Per gran 
disgrazia - judicium difficile , experitnenlum periculosum - Si 
prendono spesso de’ be’ granchi a secco, in questo mare, 
piu che in altro, e con più danno. 

E conosciuto il bisogno vero di riforma , bello è spesso il 
tentare di operarla. Spesso, ma non sempre. Perchè vi sono 
in medicina certe malattie, che a volerle curare si fa peg- 
gio ; e ciò nel morale, come nel fisico. Perciò un medico 


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— 97 — 


savio , prima cerca di ben conoscere la malattia , e di non 
ingannarsi nel giudicarla ( cosa, come testé notavamo, non 
facile ). Poi cerca se si pnò medicare. Se si può intrapren- 
derne la cura subito. Se non giova invece differire il rime- 
dio, e far vero il dinotando restiluit rem. Od ancora se a tut- 
to non è preferibile il rassegnarsi per non isdegnare il mafe 
ed intristirlo. E il medico savio al cito preferisce il tufo; e , 
salvo pochi casi estremi , e disperati, che scusano le più 
grandi temerità, non mai dimentica lo jucunde d’Asclepiade. 

Gli stati sono grandi corpi , ne’ quali un'intera sanità è 
impossibile. E guai se tutti pretendono di tastar loro il pol- 
so, e di trattarli alla risoluta con ferro e con fuoco, alla 
Browniana , od alla Rasoriana , dandosi patente di dottori 
senza diploma. Turba medicorum occidit Caesarem , e Cesari, 
in subiecta materia siamo tutti. Figuriamoci poi quel che de- 
v’essere, quando i medici non sono che empirici. . ! Quel 
che è peggio, nel caso nostro que’ che si gittano innanzi a 
tastare il polso, non sono nemmeno empirici; perchè empiri- 
ci sono quelli che se non han teorica, almeno han pratica : 
e che pratica possono avere di cose amministrative e poli- 
tiche tutti cotesti innanzi tempo usciti, o piuttosto scappati, 
di scuola , a’ quali l’età troppo giovanile e il non essere mai 
stati in faccende nega ogni esperienza. . . ? 

2. La riforma che bisogna è quella che le scuole democratiche 
oggi insegnano , e non altra? Stimo la franchezza colla quale 
in piazza questo è spaccialo come assioma , che non importa 
dimostrare. V'ha egli in ciò buonafede? Quando lutti colo- 
ro ette studiano a queste cose fossero d’ un medesimo avvi- 
so, potrebbe ben dirsi a chi non lo sa : Ecco la verità in po- 
che parole. Le prove sono inutili. Si tratta di quel che è con- 
sentito generalmente. Ma qui la dottrina che si va spargen- 
do è contro a ciò che i più grandi Statisti e Politici sempre 
ed uniformemente insegnarono. Trova oggi stesso una forte 
opposizione nelle scuole e fuori delle scuole , presso il più 
gran numero di coloro che a queste materie han volto Fa- 

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— 98 — 

nimo preparato da forti studi. Noi medesimistiam per pro- 
vare, che è dottrina palpabilmente falsa; e lo proveremo, 
se al eie! piace.E si tratta d’ana dottrina che minaccia gran- 
di interessi stabiliti , dottrina gravida di sconvolgimenti e di 
rovine .... forse e senza forse di stragi : e affermo anzi 
senza forse, perché quei che la professano , stragi senza re- 
ticenza minacciano a ogni terza lor parola. Con che corag- 
gio dunque persi fatto modo s’inganna il povero popolo in- 
vasandolo a questa guisa di supposte certezze, che non sono 
che grossolani e pericolosissimi errori , atti a scaldare le sue 
passioni le più accensibili, le più feraci di mali quando sono 
accese ; o che , per Io meno, son dottrine in nessun modo 
dimostrate? 

3 La riforma, la cui necessità si v# predicando con parole, 
si ha diritto di cercar di tradurla immediatamente ad atto senza 
lasciarsi trattenere da qualunque ostacolo d’opposta ragione? Ciò 
è ben qualche cosa di peggio. Tal diritto in una proposizio- 
ne incerta , combattuta , negata da troppi ed autorevolissi- 
mi I Bella legislazione iu materia di diritti ! Ciò è il diritto in 
causa grandemente controversa ( e non tornerò ad aggiun- 
gere , nella quale non è difficile dimostrare che si ha torto 
marcio ) di sentenziare, non solo , in proprio favore, som- 
mando in sé le parti di contendente e di giudice; ma ezian- 
dio quello d'eseguir subito la sentenza che si è pronunziata 
dando a sé ragione ! S’ardisce dire : « Se gli altri negano la 
« certezza della opinione nostra, noi ne siam persuasi, e 
« non possiamo permetterci di dubitarne, ed operiamo co- 
« me persuasi e non dubitanti ». - Ma gli altri che nega- 
no, negano perchè, con più persuasione ancora , od almanco 
con pari fermezza di persuasione, hanno una certezza in sen- 
so contrario. V’è dunque, per lo meno, lotta teorica e coe- 
guale di certezze contro a certezze, delle quali nessuna , 
cosi di leggieri, cede alla sua contraria (1). Or perchè, e 

(1) Io indebolisco l' argomento . e mi lo torlo. Gli altri che uegano hanno 


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— 99 


per qual ragione, la certezza vostra dee prevalere alla no- 
stra, e non la nostra alla vostra? Per la ragion della forza, 
o per la forza della ragione ? Se per la forza «Iella ragione ; 
dunque ragionate, e vincete ragionando, cioè persuadendo, 
ciocché solo è vincere in fatto di ragionamenti. Ma > finché 
ragionando non avrete vinto, e non avrete guadagnato quella 
generai convinzione degli intelletti, nella quale sola può con- 
sistere la vittoria , confessate almeno ch’ei v'é la sola cer- 
tezza del non v’ esser certezza, e ciò colla solenne forinola, 
Nonliquei; e lasciate le cose, nel generale, come stanno , 
finché alla certezza clic si cerca non siasi veramente giunti. 
Se poi la certezza vostra volete che alla nostra prevalga per 
Tunica ragione della forza, abbiate almeno il pudore di non 
parlar più di ragione. . . abbiate almeno il pudore di non 
parlar più d'eguaglianza civile de’ difilli- Voi rinegate quest'ul- 
tima col vostro fatto medesimo, mentre la difendete col det- 
to, e mentre pugnate ( solete dice) per conquistarla ad uni- 
versale vantaggio. Voi la rinegate, perchè vi fate superiori, 
e prevalenti , per forza , a lutti coloro che credono e vo- 
gliono il contrario di quel che voi credete e volete. Voi la 
rinegate, perchè, prima di contar quanti siete, senza legit- 
timamente poter sapere ancora se siete la pluralità , o il mi- 
nor numero, vi tenete padroni di venire ai fatti, e di com- 
battere contro ai dissenzienti da voi, pochi o molti che sia- 
no , sforzandovi di tirarli a voi men colle ragioni , che ado 
perandovi le cospirazioni , e a vostro libilo le armi , cioè la 


una certezza ben altrimenti salila die la vostra. La vostra è ertezza di parti- 
lo, o di setta : quella degli altri è certezza fondata sul senso colmine, cioè sul 
credere presso a poco universale degli uomini di lutti i luoghi , e di tutti i 
tempi; di quelli che si son sempre giudicati i più sapienti, ed i migliori ; de- 
gl’ interi popoli , i quali tra gli altri ebbero la riputazione di più savi, e che me- 
glio prosperarono finché a questa certezza furono fedeli nella direzione della 
loro azienda politica. Si può egli dunque istituir confronto giusto fra la vostra 
certezza , e la certezza degli altri ? Chi non ha il senno velato da passione ri- 
sponda e giudichi. 



— 100 — 

frode eia violenza. Voi rinegate, perché non vi vergognale 
di dire, clic, se anche una maggiorità evidente e contata , 
dissentisse in modo esplicito da voi, voi minorità non più 
dubbia , pur seguitereste la guerra per vincere, cioè per fare 
che il numero minore soperchiasse il maggiore, e per con- 
seguente acciocché voi che costituireste il primo dei due 
numeri aveste a valere ciascuno più che ciascuno degli altri, 
costituenti il secondo numero. Voi finalmente la rinegate , 
perchè, divenuti ancora maggiorità manifesta , nel voler 
tradurre ad alto la opinion vostra, se voleste esser ben d’ac- 
cordo colla dottrina vostra d’ universale eguaglianza ne’di- 
ritli civili, dovreste concedere che il vostro solo diritto non 
potrebbe esser che quello di formare un consorzio civile del 
modo che a voi piace con coloro che con voi concordano , 
lasciando a’ discordi di formare un altro consorzio a lor gu- 
sto , ma non di sforzare le volontà de’ discordi a soggiacer- 
vi ; non di comandare ad essi , e di disporre delle lor cose : 
ciocché è misconoscere il loro diritto, individualmente pari 
a quello di ciUscun di voi . . . ciocché è dare alla forza il 
diritto supremo d’annullare l’eguaglianza. . . ciocché é con- 
fiscare in ognuno de’dissidenti I’ autocrazia di sé e delle sue 
cose , e ciò a profitto d' una sovranità vostra su voi e sugli 
altri . . . 

E so che risponderete : — « I dissidenti , che riescon mi— 
« nori di forza e di numero, sgombrino il suolo, e se ne va- 
« dano altrove; o se voglion rimaner tra noi, s’assoggettino 
« colle persone e colle cose loro. » — Ma qual è il principio 
di ragione , col quale giustificate questa vostra massima di 
governo ? Un patto reciproco di cosi fare , tra maggiorità e 
minorità ? No : perché questa massima non può esser parie 
d’ un patto, che non é fatto né consentito ancora, e per con- 
seguenza che non esiste altrove che nel paese delle vostre spe- 
ranze e de’ vostri desiderii ; donde poi si deduce, che non è 
obbligatoria per que’ che ai patto da voi proposto non si son 
fatti spontaneamente ligi , e che , come uguali a voi , sono 


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perfettamente indipendenti da voi. O volete insegnarci, che 
così dev’ essere per un diritto realmente superiore ed ante- 
riore a quello dell’ eguaglianza... per un diritto antecedente 
ad ogni patto... diritto naturale... diritto che attinge la virtù 
efficace e la sanzione dal fatto, in quanto è fatto; e dal fatto, 
in virtù di clic i più numerosi , i più forti, i più destri est in 
fatis, che faccian sempre la legge alle minorità di numero, di 
destrezza, di forza? Guardatevi dall’insegnarlo. Quei che sa- 
ran per avventura disposti a concederlo, potran per virtù di 
logica dedurne ben altro da quello che voi ne deducete. Sic- 
come numero maggiore, violenza, destrezza non sono lo stes- 
so che ragione ; siccome sovranità di numero, di violenza, di 
destrezza non è lo stesso che sovranità di ragione ; siccome , 
secondo la ipotesi assunta, numero maggiore, violenza, de- 
strezza non han bisogno di consentimenti e di patti per co- 
mandare ; siccome l’essenza di questa virtù di comando è di 
misconoscere il principio dell'autocrazia nell'uomo, e quanti» 
a sè, e quanto alle sue cose, e d’assoggettarlo, per cosi dire 
a posteriori, ad una forza che gli viene dal di fuori , trasfor- 
mando il fatto in diritto ( c sia poi, nella pratica, questa for- 
za , quella d’una maggiorità, d’una minorità scaltra, o d’un 
solo ) : cosi, ammessa una volta si fatta dottrina, s’accorge- 
ranno ch’ella assorbe ed annichila tutte le altre. S’accorge- 
ranno, che non vi sono più , con essa , nè uguaglianze , uè 
autocrazie di persona, nè patti che tengano. Sentenzieranno 
che la forza, razionale od irrazionale, è l’unica padrona... 
la tiranna degli uomini : la forza che ha la ragione di sè in 
sè, o piuttosto in nessun luogo, ma che non ne ha bisogno. 
E sarà con ciò giustificato non solo il vostro fatto, ma quello 
d’ogni despota felice, d’ogni governo forte, qualunque sia- 
ne la natura, l’origine, e la forma ; o sarà dispensato almeno 
dalla necessità di giustificarsi, perchè sarà annullata la giu- 
stizia. E voi che avrete messa in onore questa terribile mas- 
sima , n’ avrete guadagnato al postutto di metter in onore 
un principio, che potrà esservi ritorto contro da ogni for - 



— 102 — 


tunato avversario; e ridurrà tutto il diritto pubblico al dirit- 
to d’una guerra perpetua tra gli uodiìdì ; senza mai speran- 
za di concordia o di pace. 

Nè ho qui toccato l’altro punto della proposizione la quale 
esamino , contenuto nella seconda parte di essa proposizio- 
ne , dove si dice dai nuovi riformatori del mondo , eh’ essi 
non son disposti a lasciar di cominciare o di seguitare l’ opera 
per qualunque ostacolo d' opposta secondaria cagione: ciocché, 
mi si perdoni d’ esser costretto a risponderlo , è favellar da 
mentecatti. Imperocché i soli insensati dancominciamentoalle 
imprese , e s’ostinano a continuarle, senza punto attendere 
alle circostanze, alle opportunità, agl’ impedimenti. Povera 
gente! Questo lo chiamano bravura! la bravura di Storlida- 
no nella Gerusalemme liberata. È un amor idolatra della 
propria opinione , la quale ha toccato i termini della infa- 
tuazione e della mania. Per essi è vero Audaces fortuna ju- 
vat; non è vero — La fine de’ temerari e degl’improvvidi è fiac- 
carsi il collo. Come tra tutti gl’ innamorati, le difficoltà non 
servono ad essi ebe a far crescere in loro le furie cieche del- 
1’ amore. Caloandri fedeli , andranno per montagne e per 
valli, colla lancia sempre in resta, contro a rupi e burroni, 
se non basti contro ad uomini , e contro a giganti. La pre- 
videnza la chiamano codardia, tiepidità, sacrilegio. Sacrile- 
gio, perchè questo amore è per loro una religione ( perdo- 
nino la parola le orecchie pie). Son sacerdoti dell’ idea, della 
quale si son fatti un idolo interiore ; e purché l’ idolo so- 
pravvinca, muoiano tutti, e la patria stessa perisca. E sorga 
un'altra patria, se lo può, e sia rifatto il mondo a pieno lor 
grado... o sia disfatto!!! — Aspetto, intanto, che mi si pro- 
vi, gl’innamorati ed i fanatici esser mai stati , o poter essere 
uomini atti ad amministrare le cose umane, private o pub- 
bliche. Governali essi male sé medesimi : può immaginarsi 
come governerebbero gli altri ! — Gran miseria de’ nostri 
giorni, il dover perdere il tempo a confutare monomanie si 
mostruose! Il meglio che si possa fare sul loro proposito è 
non dirne altro. 


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— 103 — 


4. Ed ultimo — Qualunque mezzo dee tenersi per buono e 
lecito, se al fine conduca della universale Riforma che vuol ten~ 
(arsir — Egregiamente , come il resto! L’assassinio... per- 
chè no? Questo s’ usa. Questo non radamente è necessario. 
Ha spesso una efficacia molto sbrigativa ed unica. Dunque è 
bene. E se è bene I’ assassinio... un pugnale dietro le spal- 
le... un assalto a tradimento... un’aggressione di quindici 
armati cantra uno disarmato, perché non il veleno? perchè 
non l’ incendio ? perchè non la calunnia ? perchè non » li- 
belli infa manti? perchè non le falsificazioni di carattere? per- 
chè non il furto, o la rapina? #alum ad bonum ■ ErgobonumH! 
E ciò sarà chiamato riformare in meglio il mondo !... 

Togliete a! popolo ogni sentimento religioso. La religione, 
eh’ esso ha, favorisce i tiranni. Toltagli questa religione , il 
volgo sarà materialista ed ateo... M’inganno. Alzerà altari 
Deo ignoto , come già in Atene ; ma ad un Dio , che non ha 
fulmini per punire, non ha che indulgenze per chiuder gli 
occhi sui male che fanuo gli uomini ; e gli uomini faranno 
il male allegramente, e con piena sicurtà di sé. Ma per (sra- 
dicare nel popolo la fede nel Dio de’ Cristiani , nel Dio che 
lo ajutò ad esser buono colle sue speranze, co’ suoi spaven- 
ti , volete adoperar le scaltrezze d’una filosofia sofistica e 
trascendente? Esso non la capirebbe, non la gusterebbe. Me- 
glio vale creargli il bisogno di non crederla. Si renda vizio- 
so , e tanto che disperi del perdono, e trovi più comodo il 
negare le pene d' un’ altra vita, che il paventarle. Si seduca- 
no perciò le donne, e s’infiammino d’illeciti amori. Si cor- 
rompa la gioventù... Debbo io seguitare questo tristo inven- 
tario di pratiche atte a pervertire? O non qui scrivo un pic- 
colo brano della prima pagina delia storia contemporanea ? 
Cosi, non è tanto una proposizione astratta, quella che qui 
discorro , quanto un’ opera avviata a compimento e coti- 
diana. Già non c’ è più bisogno di prediche. Le prediche son 
fatte, ed han fruttificato. È in pien corso il nuovo insegna- 
mento. Aspettando la universale Riforma, a chi minacciata 


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— 104 — 

* 

sotto forma d'una ghigliottina, (o d’una delle tante eleganze 
inventate 60 anni fa in Francia, coggi pronte a risuscitare: 
u«e fournée, une noyade, una passeggiata di colonna inferna- 
le) , a chi presentata nell’ abito verde della speranza come 
un secol d’oro che si prepara a nascere per condurre in ter- 
ra la perfezione fin qui ignota a’mortali; noi poveri contem- 
poranei vivemmo, invecchiamo e morremo tra le delizie d’un 
presente tutto pieno di perturbazioni. Ora i benefizi che si 
promettono agli eletti son per lo meno nella schiera de’ fu- 
turi assai contingenti. Il male che s’ opera , e che si soffre 
purtroppo, è da lungo tempo una funesta realtà. Per torna- 
re all’ argomento nostro , gli scrupoli si van togliendo. La 
bella morale del fine che giustifica i mezzi corre il mondo , 
c lo conquista. Noi siam cattivi abbastanza. I nostri figli, se 
Iddio nella sua misericordia uon ci provvede, saran peggio- 
ri di noi. Qual riforma della umana convivenza possa dive- 
nir possibile con si fatta educazione degli uomini , altri mcl 
dica. Io non so indovinarlo. Il mio stomaco si solleva dalla 
nausea veggendo i costumi nuovi, le abitudini nuove, uden- 
do le bestemmie nuove. L’istoria ha sempre insegnato, che 
tutte le volte nelle quali un popolo è stato condotto a que- 
sti estremi, esso ha rapidamente degenerato, e finalmente è 
perito. Cosi fu spenta la gloria di Grecia e di Roma antica. 
Cosi la gloria più antica ancora delle Monarchie de’ Babilo- 
nesi, de’ Medi, de’ Persiani, degli Egizi. Le stesse cause hau 
sempre prodotto nel mondo gli stessi effetti ... e sempre li 
produrranno ! 

E qui fo punto. Fo punto; ma poche altre parole mi per- 
metto d’aggiungere su tutto l’argomento di questo articolo. 
Si vuol distruggere gli antichi ordinamenti del mondo caule 
que conte, facendo sempre la vista di partire dai due princi- 
pii, della libertà e della eguaglianza. E vedemmo quanto l’una 
e l’altra si rispettino in tulli gli sforzi che si fanno per fas et 
nefas a fin d’ affrettare l’ ora della riforma. V’ é però ancor 
peggio di quel che ho detto, sebbene ho detto molto. Ripi- 


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— 105 — 


gliando da un’ altra parte il principio de\Y eguaglianza , dopo 
averlo calpestato c manomesso, e ripigliandolo a scapito del 
principio della libertà, si parla d’abolire lutti i diritti acqui- 
stali anche per vie le più oneste. Gli uguali ban da essere 
uguali, perdendo tutto quello per che con arti anche degne, 
e coll’ industria, e co’meriti, e colle fatiche, s’eran fatti mag- 
giori , e non han da esser nè uguali nè liberi quanto al di- 
ritto di contrapporre il loro no all’allrui si. Gli uguali s’tian 
da potere non solo spogliare dagli altri uguali, ma da questi 
si ban da potere anche sterminare ed uccidere , se voglion 
conservare intatta tutta la loro autocrazia , se non voglion 
piegarsi a dar mano a queste spogliatrici dottrine... -Un con- 
tratto sociale tra eguali ha da esser fondamento della società 
nuova per libero consentimento di tutti; ma il patto, o con- 
tratto sociale non dee poter aver forza , e il libero consenti- 
mento non ha da esser libero di non consentire ai patti che 
vogliono i preparatori della nuova libertà ed eguaglianza. E 
queste contraddizioni palpabili e nauseose si dissimulano da- 
gli uni ; e dette agli altri non li commuovono, ed è come se 
non fosscr dette, tanto è fermo il proposito di non ragiona- 
re, c d’ostinarsi. Ecco a qual grado d’ accecamento e di de- 
pravazione s’è giunti.... ! Con che torna vero quel che già 
notavamo, chiudendo il 3. articolo. Cercar di confutare co- 
storo è spendere parole ed inchiostro a pura perdita. — Scri- 
viamo a preservazione dei non corrotti ancora, o ad emen- 
dazione di chi sta tra due nè ben sano, nè tutto guasto. Gli 
altri Iddio li illumini. E ripigliamo dal suo principio il dis- 
corso delle ricostruzioni , delle costruzioni , o delle ripara- 
zioni dell’ edilizio sociale. 


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106 — 


ARTICOLO V. 


Altre considerazioni sulle riforme nel reggimento delle conviven- 
ze umane in generale , e sul diritto e il modo di tentarle. 

Quantunque d’un argomento si importante oggi tutti par- 
lino in tuon di dottori , e quasi anche i fanciulli , qui «on- 
dimi aere lavanlur , pur non è men vero , che il dire intor- 
no ad esso quel che veramente la ragione insegni è cosa 
grandemente difficile per tutti , ed anche pei più periti nel- 
le scienze dello Statista. 

Due sono i casi. O alcuni inclusi in una convivenza civile 
già stabilita , e soggetti alle sue leggi, se ne stancano , vi si 
trovan male, vogliono sottrarsene, e ciò non collo staccarsi e 
irsenealtrove in cerca d’un’associazion nuova, ma coi riformar 
l’associazion vecchia e spiacente, resistendo a questo gli altri 
che pur vi sono ; o i venuti a desiderio di rinnovazione del 
politico ordinamento, nella civile congrega alla quale s’appar- 
tiene , non sono alcuni , ma presso a poco tutti , cosicché 
nessun degl’interessati in ciò resista , e faccia notabile osta- 
colo. Nel secondo caso, difficoltà gravi , quanto all’iniziare 
le riforme , di che si crede aver bisogno , non possono es- 
servi (1) , perchè si suppone non esservi lotta ; ed aversi , 

(t) Noq saranno le difficoltà quanto al consenso nelle riforme , ed alla loro 
attuazione. Resterà peri) a vedere pur sempre, se le riforme in che consentirono , 
avranno quel sommo genere di legittimità che sola puh dar la giustizia e ra- 
gionevolezza loro , o se uon l'avranno. E resterà a cercar se , non avendola , 
siano ciò non ostante obbligatorie , ed in che senso , e fino a qual grado , o 
dentro quai limiti lo siano : questioni difficilissime a trattarsi , ma che non e 
questo il lungo di trattare . 


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— 107 — 

presso a poco , universalità di consenso. (Le difficoltà co- 
minceranuo , quando si tratterà del modo , se vogliasi che 
questo modo sia il più ragionevole , ed il più profittevole 
a tutti). Ma , nel primo caso , non si può dire altrettanto. 

Quando un governo è stabilito, e un ordine quale che sia- 
si già esiste... quando in tutto il numero dei componenti la 
civile congrega i sufficientemente contenti sono di gran lun- 
ga i più , e i veramente gravati , e giustamente malcontenti 
sono di gran lunga i men numerosi , il vero diritto non è 
quello di turbare tutto lo stato tentando novità , e con ciò 
disturbare tutti i contenti e tranquilli , rimescolando e rin- 
novando ogni cosa , e scomponendo e disordinando ogni 
privato interesse , per fare ragione ai pochi che si lagnano 
perchè stan male ; ma è il diritto di cercare , senza punto 
incomodar gli altri , o comunque gravarli nelle persone e 
negli averi , che sia fatta ragione ai pochi che lo dimanda- 
no , e che lo meritano. £ questo può esser difficile ; può 
essere anche talvolta impossibile senza rovesciare intera - 
mente la costituzione dello Stato. Tuttavia ci vuole un bel 
coraggio per mettere innanzi la proposizione , che , dove 
ciò accada , la giustizia negata a’ comparativamente pochi , 
debba essere ad essi buono e legittimo motivo di spinger la 
reazione immensamente più in là di quel che porta il loro 
diritto ; cioè , affinché questa sopravvinca , di scomporre e 
distruggere tutta la macchina costitutiva della civil congre- 
ga , della quale i più si trovan paghi , mentre ogni turba- 
mento un po’ generale dell’ordine stabilito tutti inquieta , 
molesta , e danneggia (1). Maggiore però fa d’uòpo che sia 
questo coraggio , se quei che si fatta proposizione mettono 

(1) Può bene io questa ipotesi ater luogo il principio (ed il più spesso lo de- 
\e)-Expedit unum hominem mori prò cunctopopulo.-l pochi gravati, opera- 
to per ottener giustizia tutto quello che non pub operarsi senza manifesto e 
mollo maggiore danno deli' universale , se ascoltano la voce della coscienza, 
il meglio che possan fare è rassegnarsi, come è forza rassegnarsi alle malattie, 
alle disgrazie fortuite , ai tanti altri mali della vita. 


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— 108 — 

innanzi , nessuna ingiuria , nessun (orlo ricevettero , e so- 
no unicamente duellanti , per cosi dirlo , di malcontento , i 
quali non si lagnano per proprio conto , ma si lagnano per 
conto di quelli che a loro spiace di non udire lagnarsi , e 
eh’ essi vogliono che si lagnino per forza ; o di quegli altri 
che , pur lagnandosi a buon diritto , nondimeno par loro 
che non si lagnino abbastanza , e non sian disposti a spin- 
ger le querele fino agli estremi che a lor piacerebbero. Ven- 
gan di nuovo que’ehe cosi vogliono e fanno , a parlarci d’e- 
guaglianza , e di tutte l’ altre loro frottole di libertà , di giu- 
stizia , di ragione ! La loro eguaglianza diventa , come al- 
trove riflettevamo, superiorità de’ pochi su i molti. La loro 
libertà diventa licenza di nuocere agli altri per giovare a sé, 
o per soddisfare la propria passione. La loro giustizia è non 
tener conto del diritto altrui , per non aver occhio che a 
quello che si crede essere il diritto proprio , od il proprio 
talento. La loro ragione è la ragione del più forte ; una ra- 
gione egoista , ostinata , feroce , senza pietà , senza discre- 
zione , senza riguardi... una ragione che ricusa di ragiona- 
re, e che vuol esser tiranna delle ragioni altrui... 1 

Si difenderanno con dire , che , ncll’operare quel che ten- 
tano , il fine loro non è contentare sé stessi , pregiudicando 
indebitamente gli altri , c dando loro motivo legittimo di 
querelarsi ; ma è proporsi cosa in sé buona : cioè , consi- 
derato che gli stali son oggi , dove più , dove meno , in tal 
mala guisa ordinali da render possibili per tutti , e inevita- 
bili per molti , una gran quantità d’ ingiustizie , d’avanie , 
d’oppressioni cotidiane , senza facile riparo , e sovente sen- 
za alcun riparo ; considerato per conseguente , che il mal- 
contento il quale per gli uni è attuale , per gli altri è virtua- 
le , e che il danno da tale o tale sofferto oggi , può percuo- 
ter domani , o doman l’altro , a volta a volta , quelli anco- 
ra che or sono contenti ; considerato perciò , finalmente , 
che , a distruggere il vizioso edificio delle odierne macchine 
politiche per sosliluirvene un altro migliore , è meno anco- 


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— 109 — 


ra contentare sé , che rendere servizio all’universale , e a 
quei medesimi che ora per poca previdenza , per indolen- 
za , per egoismo rifuggono dalle riforme e che ciò è poi 
promuovere la causa sempre bella ed onesta della giustizia : 
per tutte queste ragioni far essi cosa degna d’ approvazione , 
anziché di biasimo , perseverando nella impresa alla quale 
si danno. Ma l’apologià nulla vale. 

Primo : hanno eglino ben pensato , cotesti temerari scon- 
volgitori delle civili convivenze, la massima gravitò del fatto 
a cui s’adoperano? Uno stato è una somma immensa d’in- 
teressi distribuiti e collegati tra tanti quanti sono in esso 
gl’individui che sono, e que’che prossimamente , o più tar- 
di , saranno. Ogni interesse si risolve esso medesimo in in- 
numerabili subalterni interessi di cose e di persone , ed ha 
sempre due parti : una che risguarda i privati , l’altra che 
risguarda il pubblico , ossia 1’ universale. Quanto più una 
umana congrega è matura a civiltà , ed in essa progredisce, 
tanto più questi interessi crescon di numero e d’importan- 
za. La prosperità privata e pubblica è tutta principalmente 
fondata sul rispetto , sulla protezione , sui favore che otten- 
gono si fatti interessi. È pur troppo certo (colpa delle im- 
perfezioni umane !) , che non v’ha umana congrega , non 
v’ha stato, dove gl’interessi qui mentovati riscuotano tut- 
to il favore , tutta la protezione , tutto il rispetto che aver 
dovrebbero, acciocché la prosperità fosse massima. Per con- 
seguenza è purtroppo certo , che tutte le umane congreghe , 
tutti gli stati han sempre bisogno di qualche riforma , e di 
molte riforme , e questo è bisogno che mai non cessa , per- 
chè mai non cessano di rivelarsi e di generarsi i difetti di 
rispetto , di favore , e di proiezione di che parlo. Qualche 
umana congrega , o qualche stato , tanto alle volte soprab- 
bonda di difetti di si fatto genere , che il riformarli si fa un 
bisogno generalmente , e fortissimamente sentito. Ma , do- 
po lutto ciò , può egli dirsi che sia cosa lecita e convenien- 
te (per lo sdegno delle riforme che non si fanno da que’che 


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— llO- 

lo dovrebbero , polendole fare) l’opera cbe , con privala au- 
torità , vogliono alcuni collocare in promuovere tali con- 
vulsioni politiche , dalle quali , secondo le maggiori proba- 
bilità umane , queste immediate conseguenze sian per di- 
scendere , che tutta, o quasi tutta la massa degl’interessi 
privati e pubblici sia improvvisamente e grandemente tur- 
bata-che moltissimi di essi patiscano enorme ed irreparabi- 
le offesa , od anche intera rovina-e cbe , per un tempo più 
o meno lungo , e sovente lunghissimo , nata , e durando , 
la lotta tra que’cbe si difendono, e que’ctie offendono , in- 
nanzi alla vittoria decisiva , la quale di soprappiù non si può 
mai prevedere per chi sarà , non s’abbia altro spettacolo 
cbe di fortune ile a soqquadro , di famiglie desolate , di uo- 
mini esterroinati , di civili battaglie e guerre... del commer- 
cio rovinato , dell’industria spenta , degli studi intermessi , 
d’ abitudini d’ozio , di turbolenza , e di licenza introdotte , 
e di lutti gli altri mali di cui gli annali contemporanei trop- 
pi esempi da più cbe mezzo secolo ci somministrano ? Per 
poterlo dire , sarebbe almen necessario aver fatto un bilan- 
cio: il bilancio de’ danni a’quali vuoisi portare riparo , e di 
quegli altri, che , col fine d'arrivare a questo riparo, certa- 
mente si genereranno. Ma questo bilancio , che , ne’ singo- 
li casi , i temerari sconvolgitori odierni delle civili convi- 
venze non fanno , e non han fatto , l’ba già fatta per tutti 
la storia , e lo ha pubblicato. Essa da lungo tempo ha inse- 
gnato agli uomini , che , di tutte le calamità , le quali pos- 
sono cadere sopra un popolo , nessuna calamità pareggia 
quella di ciò cbe si chiama una rivoluzione , massime dei 
modo di quelle che oggi si macchinano , e si hanno in pen- 
siero , od apertamente si minacciano. I cattivi governi... le 
tirannidi d’ogni nome offendono gravemente alcuni , od an- 
che molti ; ma , salvo certi casi rari come le mosche bian- 
che , lascian sufficientemente tranquilli i più , e , nel loro 
proprio interesse (voglio dire nell’interesse de’ governanti) 
risparmiano il massimo numero : di guisa che le angherie , 


- -Pigifoedb y Goo gle 


— lil- 
le ingiustizie , sodo enormi iu pregiudizio d' alcuni; per 
molti sono grandi , ma pur tollerabili e pazientemente tol- 
lerate , per non pochi nessune. Al contrario , le rivoluzio- 
ni , a quel modo che oggi s’ intendono , se pur non siano , 
come suol dirsi , colpi di mano , a coi per miracolo succeda 
un immediafo e tranquillo riordinamento, per poco che du- 
rino (e durano spesso una o più generazioni d'uomini) , of- 
fendono tutti... anche que’che le han fatte , i quali , d’or- 
dinario , finiscono col perirvi , essi e i loro. Finché si pu- 
gna , è strage dalle due parti... la strage delle guerre civili ; 
strage accompagnata di crudeltà mostruose e ferine , d’ec- 
cessi contro a natura. Sono incendi , saccheggi , brutalità 
d’ogni nome, e senza nome. Que’che non combattono , so- 
no vittime spesso delle due parti combattenti. E chi può 
prevedere quanto durerà il combattimento , quanto sarà 
esteso , quante volte ripullulerà , or dall’un lato , or dall’al- 
tro ? Chi può dire a priori , se vincerà Bruto, o Tarquinio... 
se interverrà Porsenna.... se si troverà sempre un Muzio 
Scevola , un Orazio , una Clelia... o se piuttosto Roma non 
finirà per servire al re di Chiusi , come pur troppo la storia 
rettificata oggi dice? Habenl sua sidera lites.-E intanto le fe- 
licità dell’anarchia per que’che non pugnano ! Le felicità 
delle dittature militari nel campo , o ne’ campi di battaglia , 
o dovunque armati stanno o passano ! Le terre le coltiverà 
chi può, ossia non le coltiverà più alcuno 1 mercatanti po- 
tran chiudere i loro fondachi , se tuttavia lo potranno , e 
se non li vedranno messi a ruba ed a rapina prima del chiu- 
derli. I ricchi fuggiranno , se lor torna fatto , ma fuggiran- 
no in farsetto , se nou perdano la testa per via. Palagi , mo- 
numenti , sa il cielo come saranno malmenati. Il danaro 
rubato si dissiperà , come si dissipa sempre il danaro del 
furto. L’altro sarà nascosto, o mandato all’estero. Poi la 
penuria , la carestia , la fame , e seguace della fame la pe- 
ste o l’epidemia. De’ costumi non parlo, né della gioventù 
falciata innanzi tempo , o perduta ad Ogni buono impiego 


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— 112 — 

per l’avvenire... Succederà , quando Iddio vuole , la villo- 
ria ultima a chi Iddio vorrà darla (spesso nè agli uni , nè 
agli altri , ma a' terzi venuti di fuori... ai Porsenna : secon- 
do il proverbio , che tra due litiganti il terzo gode ; con che 
sarà perduta l’autonomia , e da popolo che obbedisce a sé 
stesso ed a’suoi , si sarà trasformati in popolo conquista- 
to , in popolo assoggettato , in popolo profeto, in popolo-co- 
lonia , in popolo vaceg-da -mungere ) , e colla vittoria ultima 
sarà una specie di pace. Che pace però? La pace accompa- 
gnata qualche volta da amnistie per tutti , se può sperarsi , 
che , come è disposto a dimenticanza vera il Vincitore , co- 
si sia disposto il vinto : ma , se a questa seconda dimenti- 
canza non si crede da esso vincitore , mancherà d’ordinario 
la prima , e mancherà , alle volte , indipendentemente da 
ciò , s’cgli creda che bisognin giustizie ed esempi , e se le 
collere non calmate cosi consiglino , o le circostanze paia- 
no cosi comandare. Ed allora s’avrà un altro tempo , più o 
meno lungo , che sarà di terrori più o meno grandi , e di 
severi gastighi , od anche aspri , che i gastigali chiameran- 
no reazioni e persecuzioni , i gastiganti chiameranno neces- 
sità , e opere di prudenza ; e chi oserà dire , in massima 
generale , da qual parte sia la ragione ? — E questa vittoria , 
e questa pace , e i migliori lor frulli , per chi poi saranno? 

10 l’ho già detto. Per chi vorrà Iddio : cosicché è possibile 
(si torni bene a pensarvi sopra) , mollo frequentemente è 
probabile , e facile a prevedere , se non si è ciechi , che non 
sarà dalla parte di chi tentò la rivoltura : ma , o di quelli 
contro a’quali fu tentata , o d’altri e d’altri, diversi , e non 
aspettati , c non voluti , e non utili. Nel qual caso agli altri 
mali s’aggiungerà quello che non s’avrà nemmeno il con- 
tento d’aver guadagnato ciò che si cercava ; e s’avrà invece 

11 dolore e la pena di avere aggravato il male che voleva al- 
lontanarsi, o d’ esser caduti, come s’usa dire , dalla gradella 
nelle brace. - Anzi non basterà a’rivoltuosi nemmeno l’aver 
essi per sè guadagnata la vittoria : perchè aver vinto è po- 


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— 113 — 

co. Ciò significa essere riusciti a distruggere , non significa 
avere edificato , e poterlo e saperlo fare. L'opera della rie- 
dificazione resterà ad intraprendersi : opera più difficile sem- 
pre che non quella della distruzione : opera , che , ne' pae- 
si , ove gli ordini antichi , colla violenza , si spiantarono , 
richiede , per solito , anni moltissimi , e talvolta secoli , in- 
nanzi all’ esser condotta a qualche buon termine : opera , 
in questo mezzo , tutta di prove e di errori , tutta d’esita- 
zioni , tutta di conti sbagliati e da rifarsi ; vera tela di Pe- 
nelope da far disperare del compierla ; e che quando pur si 
compie si trova ben altra da quel che s’era immaginato , fi- 
nita da altre mani , sotto l’impero d’altre circostanze , so- 
vente di altre idee , tale insomma che , per ultima conclu- 
sione si riconosce essere un imperfetto sostituito a un altro 
imperfetto , dove ciò solo di sicuro che emerge è la certez- 
za del male immenso che si è fatto a pura ed inutile perdi- 
ta.... (1). 

Secondo: e fin qui ho supposto che si parta almeno da un 
motivo più o meno evidentemente giusto dell’ operare le ro- 
vine che vogliono operarsi, col fine huono , sebbene con 


(1) Non si crede vero? — Un’occhiata allo Stato d’Europa ila sopra a 60 an- 
ni in qua. Veggasi piti che altro la Francia. Vcggansi poscia le tante repubbli- 
che succedute alle mutazioni americane. E mi si opporrà, per avventura, il 
solilo modello della repubblica degli Stati Uniti d’America ; cioè un esempio 
sufficientemente favorevole contro a molti contrari. Questo è la pruova del 
terno vinto , che è la rovina di tutti i dilettanti di giuoco. La repubblica de- 
gli Stati Uniti d’America ha incontrato quattro fortune piuttosto uniche che 
rare. 1. La fortuna d’ essersi imbattuta in un Washington. 2. Quella d’essere 
stata , quando cominciava l'affrancamento un paese nuovo , e d'una popola- 
zione assai sparsa In mezzo alla quale le fermentazioni e i conflitti delle idee 
meno eran facili. 3. Quella d’averne avuto a progenitori , uomini già educati 
a libertà , ed a reggimento presso a poco repubblicano. 4. Quella d’aver do- 
vuto lottare contra un potere lontano.... troppo lontauo , e con validi esteri 
aiuti. E ancora , prima di giudicare il bene o il male del reggimento che si è 
conseguito di stabilire, bisogna la sanzione d’ almeno un paio di secoli. Io non 
lo credo fondato su base ferma. 

8 


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— 1 ld — 


gravo pericolo , e spesso quasi colla sicurezza di successo 
non buono, o non proporzionatamente buono. Ma questa 
giustizia del motivo v’è ella sempre? Chi la giudica d'ordi- 
nario? e quanti sono que’che la giudicano? Uomini d’espe- 
rienza? Uomini i più sapienti nel popolo? Uomini che co- 
noscou bene lo stato vero delle cose? Uomini, che non si 
lasciano illudere dalla passione? Uomini capaci di pondera- 
re , non solo se il motivo è vero in qualche grado, ma se 
è vero fino a tal grado da richiedere un pronto rimedio, da 
non averiosi che per una rivoluzione? e da lasciare sperare 
con qualche buon fondamento che per una rivoluzione di 
leggieri s’avrà? Diamo un’occhiata al passato, ed al presente 
prima di rispondere, e ricaviamo la risposta da quel che s’è 
veduto, e si vede. - Ragazzi , e giovinastri, od uomini già 
noti per natura torbida, e per naturale inclinazione a no- 
vità. Gente impetuosa, violenta, a cui natura toglie il giu- 
dizio freddo ed imparziale dei fatti. Persone di mano, e non 
di testa, facili a prestar fede al male che si dice di que’che 
odiano, e ad esagerarlo, ed a misconoscere il bene: tali che 
.a reggimento ed a governo mai non dieder mano, e che 
parlano di quel che non sanno, per un dicium de dieta. . . 
tali che delle ponderate risoluzioni non hanno nè la scien- 
za , nè 1’ abito, nè la capacità ; e il cui maggiore studio non 
è curare, se quel che vogliono sta bene o male a volerlo , 
ma cercare come possano cominciare a ridurlo ad atto. E 
cotesti formano il fiore dello stuolo. Gli altri son quali pos- 
sono accompagnarsi a cosi fatti gonfalonieri , come subalter- 
ni. Volgo proletario, che è facile sedurre con immaginarie 
speranze, e mettere in fermento con fanatiche predicazioni. 
Disperati e perduti per debiti. Piccoli ambiziosi, che consa- 
pevoli della loro nullità e turgidi di luciferesca superbia , 
non altro mezzo veggono per sorgere, che il gittarsi a corpo 
perduto tra i motori di cose nuove. Giovani entusiasti, po- 
veri di mente e di cuore , in cui l’immaginazione prevale 
al giudizio, il bisogno d’agitarsi e di fare al bisogno di starsi 


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— 115 — 


con uu libro innanzi o Ira le pacifiche occupazioni d’ una 
vita di sedentari negozi. Altri che seduce il mistero delle 
sette, nati per essere schiavi in nome della libertà , e bruti 
in nome della ragione. I seguaci di Calilina , quali ce li de- 
scrivono Cicerone e Sallustio.... gli scherani di Clodio ... i 
guerriglieri di Spartaco. Ora il senno di questi può con giu- 
stizia decidere il tremendo problema delle rivoluzioni , e 
della necessità del farle...? Poveri popoli condannati a pa- 
tire la costoro malefica influenza! I disordini d’uu governo 
cotesti son più atti ad accrescerli che a conoscerli , e a ri- 
pararli. ,E il lor costume è di dire che il desiderio loro è il 
desiderio di tutti, o almcn de’ più, perchè più di tutti essi 
gridano , e s’ agitano , e accendon fuoco da ogni parte! Gli 
altri che tacciono, e che col silenzio mostrano che non si 
malesi trovano da dover gridare, non li contano. Son essi 
il popolo vero; il popolo solo. Gli altri, che coraggiosa- 
mente s’oppongono e gridan contro, non li apprezzano. 
Chi sta in casa e bada agli affari suoi non fa numero. Chi 
s’oppone è zero ! ! ! 

Tanto basti avere avvertito per giunta ali’altre cose dette 
nell’antecedente articolo, e nel principio di questo. Si op- 
porrà — Stando al precedente discorso, le rivoluzioni non si 
potrebber mai fare ( vedi calamità !) , e i gravi disordini de- 
gli stali non mai correggere. E Bruto primo ( po'ni esem- 
pio ), e Bruto secondo sarebbero stati o due pazzi, o due 
furfanti. E Roma avrebbe dovuto tollerarsi in pace quella 
grande iniquità del regno, e quella maggiore di Tarquinio 
secondo e di Giulio Cesare. E i popoli dovrebber soflferir 
sempre, eie tirannidi sempre trionfare, lo rispondo. — In- 
nanzi tratto non si abusi delle autorità. Sappiamo oggi tutti 
la verità intorno ai due Bruti, non quale ce l'han trasmessa 
menzognere storie, ma quale una bene illuminata critica 
cereò di porla in chiaro in mezzo alle tenebre addensate su- 
gli antichi fatti. Del primo Bruto poco può dirsi. Esso è mito 
più che personaggio certo. Stando a quel che se ne narra. 


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— 116 — 


bene addimostrò s’egli amava la libertà o la schiavitù diRo' 
ma, nella famosa storia del bacio dato alla terra. Oggi si sa, 
e ben sa, che Roma, innanzi alla distruzione dei Galli, non 
fu mai si florida come sotto i re etruschi. La rivoluzione di 
Giunio Bruto contra il Superbo , se risguardiamo agli effetti, 
distrusse per lunghi anni la prosperità della futura capitale 
del mondo, e non è sicuro che la preparasse. A essa dovette 
Roma i mali d’ una lunga e disgraziata guerra , che condus- 
se , come testé notavamo, all’assoggettamento a Porsenna, 
il quale altro ferro non lasciò a’ vinti romani se non quello 
che agli usi dell’ agricoltura sovvenisse. La città regina deve 
la sua rivendicazione in libertà ai fatti della guerra infelice 
del re chiusino contro ad Aricia e contro a’Cumani.E senza 
Bruto , la tirannide del Superbo finiva al finir di lui : nè le 
due catastroG, che successero , pel tentato repubblicano mu- 
tamento sarebbero state. Se dal male venne poi bene alla 
luoga,ciò non è il merito dell’ autore del male. I provviden- 
ziali destini di Roma dovevansi compiere ad ogni modo. — 
Quanto al secondo Bruto, si conosce nou meno a che buon 
fine usci il cavalleresco, e sufficientemente odioso fatto del- 
l’ingrato bastardo del Dittatore. Il fanatico non conobbe nè 
i suoi contemporanei , nè i veri bisogni del suo paese. Fu 
un povero politico, siccome un povero guerriero. Nè com- 
batteva per la riforma, ma a chi ben riflette, contro ad es- 
sa , voglioso di richiamare a una vita impossibile la degene- 
rata e morta repubblica , la quale Cesare per ben di Roma 
aveva distrutta. E il mondo che vi guadagnò? L’aver per- 
duto un grand’ uomo qual senza dubbio era il vincitore delle 
Gallie e di Pompeo, per fargli succedere un minore di lui, 
nè manco despota di quello. — Nondimeno, io non voglio 
abusare di questa maniera d’argomentazione. Certe rivolu- 
zioni, che , dopo i primi mali prodotti, alla fine son riuscite 
ad utilità ( una ogni mille ) io non voglio negarle. Voglio 
negare che il massimo numero delle volte siano state atti 
considerati e degni di lode, anche quando una utilità se ne 


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— 117 — 


trasse. Voglio osservare ch’elle sono giuocate di lotto , dove 
il vincere è un caso assai raro, il perdere è la sorte comu- 
ne; con questo di peggio, che il perdere non è mai di poca 
cosa, nè d’uno o di due, ma di tutto un popolo , di tutta 
una nazione, perchè la posta ( 1 ’enjeu ) è la fortuna di esso 
popolo, di essa nazione, nel suo presente, forse nell’avve- 
nire; sono le vite, gli averi, gli onori , ogni cosa più cara 
che gli uomini s’abbiano. Voglio per conseguenza dire , 
ch'esse possono esser atto di disperazione o d’audacia, non 
atto mai, o quasi mai di senno; e che sono un mezzo, e 
qualche rarissima volta il solo ( della cui natura lecita od 
illecita quanto a coscienza di buon cristiano è questione che 
lascio decidere a’casuisti ) per liberare l’universale da mali, 
più o men reali, e più o meno intollerandi , son però un 
pessimo mezzo; uno di que’ rischia-tutto , che chi sente d’an- 
dare a irreparabile ed imminente rovina, tenta qualche vol- 
ta, come un’ultima speranza, quia melius est anceps, quarti 
nullum experiri remedium , ma che aggiunge un biasimo di 
più a chi , andando a rovina , per questa via l’ affretta , e la 
rende più grave, più inevitabile. 

Or, data, contro alle rivoluzioni in generale, questa sen- 
tenza di condanna , qual rimedio dunque avranno i tiran- 
neggiati , gl’insoffribilmente angariati , i giustamente e gran-: 
demente malcontenti de’ mali ordini politici sotto i quali 
gemono ? Vuoisi eh’ io tratti la questione storicamente , o 
teoricamente? Se storicamente, dirò, con franchezza, spesso 
nessuno. Perciò gli annali del mondo son pieni delle storie 
di popoli non solo lungamente malgovernati , e barbara- 
mente oppressi , ma sterminati senza rimedio , e cancellali 
tutti interi dal libro della vita. Coraggio o viltà ; resistenza 
e difesa sino agli estremi, od abbandono di sè, non ci fanno 
nulla: chè spesso il tentar di liberarsi e di riscuotersi è sta- 
to col proprio peggio , rendendo più tormentosa 1’ agonia , 
più terribile I’ eslerminio. In questa guerra , come in ogni 
altra, è quale nel duello. Non vince sempre chi ha ragione. 


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Cosi le disgrazie dei mali ordinamenti , e le pressure , son 
come le pestilenze , come le fami, come gli altri flagelli che 
cadono a volta a volta sulla nostra povera specie, a ventu- 
ra , come un decreto di calamità e di morte , al quale ci è 
forza soggiacere. Se parliamo poi teoricamente , dirò , che 
in cielo non è scritto , che la giustizia in terra sempre vin- 
ca. È nell’ economia del mondo, che il male non rade volte 
domini il bene , e che la specie nostra riceva , a quando a 
quando , dure lezioni per imparare umiltà e rassegnazione; 
per accorgersi che non è qui il tribunale supremo dove si 
giudicano le cause degli uomini in ultima istanza; per Ope- 
rare o per temere una giustizia futura ; per credere un’ al- 
tra vita. Noi tratteremo altrove questo argomento più alla 
distesa. 

Il rassegnarci sarà dunque lo scoraggiante unico dover 
nostro? nè Iddio nella sua pietà e bontà infinita ci avrà dato 
modo per ajutare la giustizia , se non a vincere, almeno a 
generosamente difendere le proprie ragioni , a virilmente 
protestare contro alla iniquità e al sopruso? Questo io non 
pretendo, e nessuno lo pretende. Quel ch’io pretendo, e ciò t 
che i savi pretendono , richiede un più lungo discorso. 

A chi , senza passione, studia i casi dei popoli quasi sem- 
pre appar chiaro, che si fatta specie di mali assai radamente 
sono senza manifesta colpa o cooperazione di chi vi soggia- 
ce. Si soffre perchè s’è meritalo di soffrire. I figli pagano la 
pena degli errori de’ padri. E tuttavia, se par non esservi 
rimedio, è che manca le più volte piuttosto la sapienza e 
la virtù per emendare il danno, di quello che la possibilità 
d’emendarlo. Un popolo che soffre ( giova ridirlo ) , soffre 
ordinariamente, perchè è degno di soffrire; ed allora il sof- 
frire è una pena meritata, e il non saper liberarsi di questa 
pena, e il seguitare di essa è ugualmente sua colpa. Dove i 
probi , ed i sapienti, e i fervidi amatori del pubblico bene 
abbondano, l'amor del giusto e del vero necessariamente si 
prepondera, che l’ingiusto ed il falso non possono alligna- 


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re , od allignando non possono guadagnare rigoglio, e non 
finire col diseccarsi fino alla radice , e col perire. Perchè dal 
retto apprezzamento , nel maggior numero , di quel che è 
buono e cattivo, e dall’avversione per questo, e dal biso- 
gno di quello , si genera di necessità ciò che si chiama la 
forza della opinion dominante , che è tanta parte della forza 
delle cose , la quale, allorché ha saldo fondamento di veri- 
tà , dura, e non domina da burla. I cattivi , se vi sono, al- 
lora han più vergogna , e a lor malgrado , si nascondono , 
e non osano, o, se ardiscono , sono presto repressi , senza 
strepito d’armi, dalla generale riprovazione, la quale, in 
innumerabili , prende la forma di coraggio civile , che dice 
animosamente, ma pacificamente, e con tulli i modi legali, 
il vero : ciocché è possibile, ed alle volte è probabile, che 
nuoca a chi lo dice , ma non è possibile , nè probabile, che 
non Gnisca col giovare all’universale, secondo che gli esem- 
pi di sì fatto coraggio fruttifichino , si moltiplichino , e si 
rinnovino. In altri prende la forma di pubblica e franca dis- 
approvazione , tanto più efficace, quanto men turbolenta, 
quanto meno esagerata. In tutti prende ogni legittima for- 
ma , per la quale sia possibile arrivare , senza eccessi mai , 
nè disordini, all’emendazione del malfatto. E il malfatto bat- 
tutto da tante parti, ed in modo si misurato, si degno, sì ani- 
moso^ nel tempo stesso si prudente, potrà bene sbizzarrirsi 
ancora qualche tempo, ma non vincerà la pazienza e la viri- 
le e nobile resistenza di quei che giustamente si querelano , 
si bene sarà vinto con assai più prontezza che altri non im- 
magini. 

Ma dove cittadini della forte e virtuosa tempra ch’io dissi, 
o difettano al lutto , o sono in minimo numero, e gli altri 
non sono che turba ignobile , impastata d’ egoismo e di vi- 
zio , primo (torno a dirlo perchè bisogna) , la perseveranza 
e l’ immedicabilità del male a torlo è querelata. Essa è un 
effetto le cui cagioni principali sono in chi si querela, come 
dianzi affermavamo: secondo, è allora solamente che in mez- 


— 120 — 

zo a popolo depravato si giltan fuori falsi medici ; cioè quelli 
che han fuoco soprabbondante di passioni per isdegnarsi di 
ciò che materialmente si soffre, e per accender lo sdegno al 
di là d’ ogni equa proporzione col suo fomite ; ma non han- 
no , nè senno per conoscere e pesare quel che conviene e 
quel che no , nè virtù per saper soffrire quel che non può 
evitarsi , nè altro di ciò che bisogna a dar buono indirizzo 
al pensiero riformatore. E son eglino che non contenti di 
sbagliar essi la strada, traggon fuori di via gli altri, già pur- 
troppo , per ipotesi , poco alti a fare saper quel eh’ è il de- 
bito. Eglino che screditano la moderazione, i mezzi legali e 
pacifici, e tutto che non sia l’impeto loro sconsigliato e paz- 
zo. Eglino da cui nasce e prende piede la falsa opinione del- 
l’ impossibilità del bene o del meglio senza ricorrere a’ loro 
forsennati e pericolosi divisamenti. 

E già troppo di questo argomento s’ è favellato. Ma fin qui 
noi, per cosi dire, non abbiamo che girato attorno al mas- 
siccio delle questioni nostre. Ciò è la trattazione del governo 
in sè , che si vuole ostinarsi a considerare come una ema- 
nazione pur sempre di quella sovranità del popolo, di che ab- 
biamo già detto parecchie indirette parole, ma non le dirette 
che si richiedono. Direttamente dunque ornai favelliamone, 
e cerchiamo che il discorso abbia l’ estensione che l’impor- 
tanza del soggetto richiede. 


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ARTICOLO VI. 


De’ governi, e delle sovranità in generale. 


Si : nessun assioma più oggi è fitto nella mente degli uo- 
mini, che quest’ uno , tenuto come principale — La sovra- 
nità risiede , per sua essenza , nel popolo — Chiedete intanto 
a que’ che cosi pronunziano, qual cosa , in si fatto assioma 
delle piazze e delle conversazioni, significa per essi sovrani- 
tà , che cosa popolo : chiedete l’ analisi e la sintesi teorica e 
pratica dell’ idea che innestano a questi due vocaboli : chie- 
dete la spiegazione delle dottrine , che da esso assioma vo- 
glion dedotte, od almeno de’suni più immediati conseguenti; 
e vi accorgerete esser quello , al maggior numero di loro , 
niente altro che una frase oscura e d’ indeterminata signifi- 
cazione, la quale permette interpretazioni le più diverse, e, 
purtroppo, lascia sovente libero il luogo alle più strane e le 
più assurde. 

Come intendete voi , brav’ uomo , questo che oggi tutti 
dicono — Il popolo è sovrano ? — dimandava io, son or po- 
chi giorni, a un mercenario, il quale, per prezzo, prestava 
alla mia casa non so che faticoso servigio — Rispose — L’in- 
tendo , che tutti dobbiamo comandare — Io ripresi — Ma , 
se tutti comanderanno, chi dunque obbedirà? — Senza per- 
dersi d’animo, egli soggiunse — Que’ che han comandato fi- 
nora. I nobili ed i preti. I ricchi e gli usurai. Quei che pos- 
seggono e possono, mentre noi non abbiamo fin qui posse- 
duto , e potuto nulla — Ed io — Ma non sono essi ancora 
popolo , e del popolo , e perciò , almen almeno , cosi legit- 



' — 122 — 

(imamente padroni della lor parte del comandare , quanto 
I’ han da essere gli altri? — Ed egli — La parte loro di pa- 
dronanza l’hanno esercitata e goduta anche troppo, giacché 
l’hanno adoperata soli e sempre. Una volta per uno. Adesso 
tocca a noi. Essi non eran popolo, nè del popolo , quando 
comandavano , e lasciarono esser popolo, e del popolo, so- 
lamente a noi poveretti. Dunque , giacché s’ erano separati 
dagli altri, ne patiscano la pena... — Ecco come il volgo in- 
terpreta la sua sovrana potestà ! Un abuso sostituito ad un 
altro abuso : una tirannide ad un’ altra tirannide ( conces- 
sogli anche, senza esame, nè disputa, che ogni poter sovra- 
no dell’ antico modo sia stato, sia, e non possa non essere, 
che abuso e tirannide ; concessione , la quale dicano i di- 
screti se possa farsi. Certo , in coscienza , io non posso far- 
la. ) — Ritorniamovi sopra. 

11 secolo interroga — Di chi è per naturai diritto la so- 
vranità ? — E son io questa volta , che voglio rispondere. 

Nè tratterò prima la quislione , che chiamano pregiudi- 
ciale : se quel che lilosolìcamente parlando , sembri a talu- 
no , od a molti , od anche a lutti , di naturai diritto assolu- < 
to , sia diritto sempre perseguibile , e sia diritto , che convenga 
perseguire nella difficile pratica della vita. Perchè , tra le ca- 
pitali norme di si fatta pratica , quest’ una , lino al giorno 
d'oggi è stata da tutti considerala come regola di somma 
importanza: che norf bisogna mai cercar d’attuare quel che 
in astratto par giusto e conveniente , anche all’ universale , 
quando non v’è probabilità bastevole che l’attuazione pos- 
sa farsi ; quando a tentarla , mentre le maggiori probabilità 
sono contrarie alla riuscita , v’è certezza di grandissimi dan- 
ni ; e quando le condizioni del tempo sono tali da rendere 
manifesta l’inopportunità , e necessario a fuggire il peggio , 
l’astenersi... Ma ciò , detto qui per una considerazione in- 
cidente , importa meno rispetto al priucipal punto. Tornia- 
mo a questo. 

Io non tratterò la quislione prcgiudiciale , ripeto. Trat— 


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— 123 — 

terò la quistione diretta... la questione senza giravolte, 
prendendo ad esaminarla nel suo intrinseco. E nondimeno, 
appunto per poter entrare nell’intimo della materia , ho bi- 
sogno di stabilire alcune preliminari dottrine. — 

Iddio creò noi per vivere in compagnia dei nostri simili, 
dandoci,, in ciò , tendenza analoga a quella dell’ape , della 
formica , del castoro. Egli ci ha formato socievoli per natu- 
ra : il perché ci ha infuso della socievolezza l'istinto , e ciba 
dato della società il bisogno. Questa è verità la cui parte so- 
stanziale non sarà negata nemmen dall’ateo. Solamente , 
nella sua insipienza , l’ateo sostituirà alla origine divina del 
fatto una non so quale origine tutta fisica , o si veramente 
concederà esso il fatto , e si contenterà d’ammetterlo senza 
cercarne le cagioni ultime , allegando l’inutilità della ricer- 
ca , e l’impossibilità della cognizione. 

Ma v se non può non confessarsi , che noi , per legge na- 
turale, soggiacciamo alla necessità di accompagnarci ai simi- 
li nostri , corollario di questa proposizione , ugualmente 
non impugnato , è , che , considerati cosi come siamo , non 
possiam noi sussistere in società senza un governo . 

Dico sussistere , ed intendo sussistere in modo congruo , 
cioè confacevole (il meglio eh’ esser può) al nostro ben es- 
sere compatibilmente col bene altrui , e congiunto col sen- 
timento di questo ben-essere. E dico , senza un governo, in- 
tendendo per governo un'autorità dirigente e moderatrice , 
accompagnata di potenza (senza di che non sarebbe autori- 
tà) , di cui gli offici sostanziali siano : difender possihilmen 
te ciascuno da ogni , almen notabile , sopruso e danno che 
altri ingiustamente voglia recargli , ed ajutarld , per quanto 
* è possibile , ad averne riparazione : viceversa impedire al 
cosi difeso di pregiudicare altrui , nel modo medesimo che 
agli altri si vieta il pregiudicarlo ; e costringerlo alle ripa- 
razioni verso essi , alle quali sono essi costretti verso di lui - 
Salvare perciò ad ognuno i suoi diritti , e sforzarlo ad os- 
servare i suoi doveri. Proteggere in generale , ed auamini- 


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— 124 — 

strare gl’interessi universali , ossia della comunità intera ; 
promuovere il pubblico bene , prevenire , a tutto potere , 
il male , e cercar di rimediarvi. Fare , a questi svariati e 
principali effetti , ordinamenti e leggi , ed invigilare perchè 
non si trasgrediscano. Esercitare la giustizia civile e pena- 
le. Usare la forza legale a tutti i sopraddetti fini. Imporre , 
per poter bastare a essi fini , o servigi da rendere colla per- 
sona , o gravezze da sopportare , o tasse e balzelli ed oneri 
nel danaro , o nella roba ; e questo , ed altro simile , con- 
conducente alla prosperità dell’ universale , operarlo e po- 
terlo operare , dentro limiti , e secondo preordinamenti , la 
cui determinazione dipende , per una parte dalle circostan- 
ze , per l’altra dalle regole eterne di ragione , e , per con- 
seguente , di naturale equità e giustizia. 

Tale almeno è il governo qual dovrebbe essere , o ciò 
che chiameremmo governo normale (ciocché , come bene in- 
tende ogni savio , non è la cosa stessa che governo legittimo : 
argomento che non è di questo luogo) ; perchè vi sono an- 
che governi innormali , e pur legittimi , che han qualità piu 
o meno aberranti dalle dette di sopra : intorno a che non 
son per ora da dire altre parole. Ma qui subito intraviene 
una considerazione da farsi. Mentre la società de’ simili no- 
stri è veramente , per noi , siccome notavamo , un biso- 
gno , già dalla prima origine, ingenito , ed inserito alia no- 
stra natura di uomini nel suo primo impasto , e perciò bi- 
sogno essenziale e naturale, e primitivo, e invariabile , non è 
però lo stesso del governo : perchè questo secondo è mani- 
festo essere una accidentale , sopraggiunta , e secondaria ne- 
cessità , proveniente dall’ esser noi , nel presente nostro sta- 
to , creature tutte imperfette , e tali in diversissimo grado 
e modo , cosicché le condizioni variano in mille guise da 
gente a gente , e da tempo a tempo. 

E , per vero , io non voglio , intorno a ciò , interrogare 
il dogma religioso e cristiano , secondo la fede che profes- 
siamo tutti, deliberato, come sono, a favellare co’razionalisti 


— 125 — 


da razionalista. Se lo interrogassi, ognun di noi sa quelloche 
risponderebbe. Risponderebbe che la vera ed originaria nor- 
malità nostra era nell’Edenno, donde ove non fossimo stati 
sbanditi, niuna necessità di poteri governativi sarebbe stata, 
ciascuno avendo allora convenientemente illustrata l’intelli- 
genza , e le passioni sottomesse : il perchè nessuno abuse- 
rebbe, ad altrui detrimento , delle facoltà sue fisiche e mo- 
rali , nè leggi preventive , o repressive , bisognerebbero , 
nè uomini scelti ad attuarle , nè altre potestà tutrici quali 
che, siano ; ma tutti , e sempre , saremmo veramente fratel- 
li , e fraternamente ci abiteremmo , affaticando alla comune 
utilità. Laonde altro sistema d’aggregazioni umane non s’a- 
vrebbe , che il sistema patriarcale , e ciò più per affezione 
spontanea , che per bisogno. Ma , dopo il bando da quello 
che i santi nostri libri nomarono paradiso terrestre , divenu- 
ti altri dal primo esser nostro , ed infuso in noi miseri il 
germe di corruttela , per la cui mala virtù , in chi più in 
chi meno , prolificarono vizi e brutture , che formarono e 
formeranno, da indi in là, l'inevitabile patrimonio della 
terrena vita ; e fatti noi cosi , non più le creature uscite in- 
nocenti ed illibate dal cenno del sommo facitore , ma una 
specie degenerata e guasta ; e più o meno abbarbagliate ed 
offuscate le ragioni , e più o meno sbrigliati , e sopravvin- 
centi gli affetti d’ogni mala guisa , derivò sol di qui , che il 
senno e la potenza di ciò che ha nome governo divenne un 
secondario ed aggiunto bisogno , secondo che appunto affer- 
mavamo, come medicina , e ripiego , e quasi pena , di cui 
variabili purtroppo denno essere i modi , le dosi , e le pro- 
porzioni , al variare de’ luoghi , de’ tempi , delle persone , 
de’ popoli , e insufficienti sono spesso , e non bene adope- 
rate le potestà , o mal collocate , assai diversamente da ciò , 
che , per fermo , avrebbe ad essere , se si trattasse d’un es- 
senziale fatto , e primigenio. Dopo di che , ben è vero , 
che , a natura alterala , il governo è ornai pur sempre una 
necessità della presente natura , ma non è men vero però , 


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— 126 — 


eh’ è una specie di necessità avventizia , la quale , in quanto 
non procede dal primo ed essenziale impasto , ma nasce da 
multiforme deteriorazione in esso impasto introdotta, e sog- 
getta a variazioni innumerabili e indesinenti , non ha d’im- 
mutabile altro che il bisogno in genere d’esistere come au- 
torità saggiamente e giustamente protettrice e moderatrice , 
a comun preservazione e vantaggio , essendo , in tutto il 
resto , suscettiva di mutamento in ogni suo particolare e 
cosa , non naturale , o s’abbia a dire nativa , ma fattizia e 
fallibile , per nostra calamità e punizione , senza speranza , 
quel eh 'è il peggio, che a perfetta normalità mai pervenga... 

Ma io , ripeto, non voglio interrogare qui la religione, e 
de’ documenti della sola ragione mi contento, comunque le 
indicazioni sue (quand’ella s’alza, e s’avventura a speculazio- 
ni si fatte) siano insudicienti e fallaci. La qual ragione chia- 
mata a consulta, pure a conclusioni analoghe conduce, seb- 
bene per altra via. Perchè , ignara ( nella ristretta , e pura- 
mente umana, sua scienza ) delle nostre vere origini , e dei 
nostri primi fati, tre stati distingue essa nell’ uomo. — Uno 
(il primitivo e natio) è quello col quale usciamo dal ventre 
materno , poco dissimili dai bruti , senza linguaggio, prin- 
cipale organo della razionalità, e perciò senza l’uso di questa 
ultima , e senza la facoltà d’arrivare ad esso e ad essa per le 
proprie forze , ma solo con certe disposizioni , comechè as- 
sai disuguali, da persona a persona, a lasciare in noi germo- 
gliare, faticosamente, semi di perfettibilità, per virtù d’arte 
( la natura non vi mettendo che le mentovate disposizioni 
prime ) , secondochè ognuno è consegnato , nel nascere , a 
una preesistente società, che lo educa, e lo aiuta a trasfor- 
marsi in quel che sarà per tutta la vita. Dove la legge è, che, 
se la società educatrice, o manca, od havvi , ma non fazzo- 
nata ella stessa, per antecedenti altrui cure , a quell’ artifi- 
ciale dirozzamento, maggiore o minore, che nomiamo civil- 
tà, allor si resta còlla ragione poco più che di bambini quali 
si nacque , cioè quasi brutali ed irragionevoli in atto , più 


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— 127 — 


guidati da istinti che da discórso interiore di modo umano, 
tratti da quelli ad accozzarci iq branco a uso ferino, e di leg- 
gieri spartiti in più famiglie congiunte di sangue, e crescenti 
a poco a poco in tribù , col solo vincolo di naturali affezio- 
ni , e di comuni bisogni e d’ un ordine inferiore, poco me- 
glio, o poco talvolta ancor peggio, di ciò che avviene in certe 
animalesche congreghe ; per fermo però senza vero gover- 
no, e senza suscettività di esso, o di cosa che, non abusiva- 
mente, meriti questo nome, senza patria, senza leggi, senza 
magistrati , senza autorità: orde e non popoli. 

Un secondo stato è Io stato di normalità; ed è quello che 
certi coraggiosi ingegni osano promettere all' uomo in un 
tempo avvenire , per non so quali riforme loro nell’ arte di 
educare; che è dire lo stato di perfezione , o a perfezion vi- 
cinissimo ( appunto quello stato di perfezione, o quasi, che, 
in questa vece, la fede religiosa assegna al primo comincia- 
mento nostro , ed afferma non più conseguibile in terra : 
punto ornai di mira, e non di meta). Ed esso è da essi chia- 
mato naturale dell’ uomo, se non nel senso di tale a che o- 
gnuno possa giungere di per sé colle sole forze di sua natu- 
ra , o con facili aiuti da prestarglisi, almen come fine a che 
la natura l’ indirizza, c un’arte non impossibile, sebbene, in 
fatto , non trovata , può a lor senso condurlo. Se non che , 
ammesso anche il conseguimento di esso stato, egualmente 
a vero governo non sarebbe laogo : poiché d’ una società 
giunta a questo apice di perfezionamento sarebbe quel che 
d’ una società degli uomini dell’ Edenno affermammo. Uno 
spontaneo sistema patriarcale basterebbe. Leggi, magistrati, 
e governi sarebbero una superfluità di niun uso, una inuti- 
lità assurda. 

Il terzo stato è finalmente l’odierno nostro, e d’ogni pas- 
sato tempo , nella miseria d’ imperfezione, in che la specie 
umana s’è trovata sempre, a memoria d’uomini, e si trova, 
dal primo entrare nelle vie , che diciamo d’ incivilimento , 
come le storie de'popoli ce le han descritte, e ce le van de- 


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— 128 — 

scrivendo, fino all' ultimo spingersi innanzi , che i luoghi e 
i tempi e le circostanze han consentito; stato però non uno, 
ma comprendente , nel volgere de’ secoli , e nel variare dei 
luoghi e delle genti , tutta la varietà di stati pe’ quali passò 
e passa essa specie, più o meno incamminata, od incammi- 
nantesi , ad una immatura civiltà , qual sin qui laboriosa- 
mente, ed a vario grado, s’è generata ed abbozzata, con tutte 
le sue mende, con tutte le sue contraddizioni , con tutte le 
ineguaglianze, con tutte le irragionevolezze, con tutti i vizi, 
con tutte le colpe : condizione che comincia al primo uscire 
dall’associazione selvaggia , fortuita , sgovernata , barbara , 
non degna ancora del nome d'umana società, c che dovreb- 
be finire, a promessa dc'barbassori testé mentovati, nel pro- 
digio dell’ umanità già toccante l’ ideale tipo dell’ ottimo , al 
quale aspira ; pervenuta a lucidità di ragione sempre sovra- 
na, a regolarità piena ed intera d’ affetti sempre sudditi; di- 
venuta presso a poco impeccabile , restituita ad innocenza , 
o poco manco , e perciò non bisognosa , come si disse , di 
preordinamenti governativi , ma maturata a godere l’ in- 
frenato uso di tutte le libertà individuali , ognun trovando 
freno in sé stesso , ed ognuno avendo , nella propria cari- 
tà , la legge che gli prescrive l’affaticare pel ben comune. 
Ma questa condizione , già lo notammo ( e dico la condi- 
zione intermedia tra i due mentovati estremi , quello con 
che si comincia, e quello al quale si vorrebbe condurci), non 
è uno stato unico e persistente. È un caos , una fantasma- 
goria di stati , ciascuno d’una fisonomia particolare , ciascu- 
no co’ suoi bisogni , colle sue suscettività. È un caos , una 
fantasmagoria di stati, tutti precarii , tutti destinati a modi- 
ficarsi per mille guise , per mille cagioni , secondo leggi di 
necessità imperiose che sopravvengono. È un caos di stati 
artefatti , e più o men malamente artefatti , che si trasfor- 
mano, o posso» trasformarsi, ogni giorno, gli uni negli al- 
tri . E ciò fa , che in questo transitorio periodo , durante il 
quale non s’è, nè della natura con che si nasce, nè di quella 


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129 — 


a che si tende o si vuol tendere , ma s’è tutti fattura d’arte 
più o meno errata ed imperita , per molto che adoperiamo 
a fin di non errarla, e di mettervi più perizia, ciò che chia- 
miam governi, sono arte essi pure ; necessarii , siccome al- 
trove dichiaravamo , ma con regole necessariamente varia- 
bili, secondo le circostanze locali , personali, nazionali, in- 
trinseche, estrinseche, morali, fìsiche ; secondo le facilità e 
gl'impedimenti, oscillando nell’uso della ragione più o man- 
co guasta, più o manco rischiarata, cosi com’é, o come può 
essere: di che poi la conseguenza finale si risolve in ciò, che 
il governo, nel durar di questi stali, cioè tra gli uomini quali 
oggi sono e sin qui furono , è veramente al modo già più 
volte ricordato , un secondario , ed aggiunto bisogno , dove 
niente è di primitivo, e, a propriamente dir, naturale, e nem- 
meno l’istituzione stessa, e voglio dire il suo modo di co- 
minciamento , e di formazione ; tutto è posticcio ; niente è 
ne’ particolari suoi, che non debba dall’arte attingersi, e sot- 
tostare alle mutazioni che le varietà de’ casi comandano ; 
niente è, o può essere, immutabile (1). 

E so quel che vorrà rispondermisi. Concessami la so- 
stanza, la quale non può negarsi, di queste proposizioni di- 
mostrate a priori, si vorrà però salvare a sè una riserva. Si 
affermerà , che , ancora nel terzo stato , o nella terza cate- 
goria di stati, in che or ci troviamo, qualche cosa v’è d’in- 
variabile, ed è una somma norma di universale ragione, co- 
stituente un gius comune costante , dal quale scendano al- 
meno alcune invariabili regole, a cui debbano sempre le ori- 
gini e le formazioni de’governi sottomettersi, acciocché sod- 
disfacenti a’principii sempiterni di giustizia e di utilità pos- 
sano esser detti e riconosciuti. Tanto, dico, s’ affermerà: 


(i) Non si perda di visla che uoi seguiliam qui ad argomentare ad homi- 
nem, cioè da razionalisti co’ razionalisti , assumendo i soli dati della ragion 
pura. Certe eccezioni che la rivelazione introduce in queste dottrine debbono 
esser trattale in altro luogo. 

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— 130 — 


ma, quando questo, che nel generale, sotto certi riguardi . 
può asserirsi, vorremo applicarlo a tale, o tale altra, parti- 
colare disposizione politica, già diviene patentemente falso. 
Perchè troppo è manifesto, che la parte veramente naturale, 
dal lato della ragione , e perciò persistente e perpetua , di 
questo affermato comun diritto ( naturale, s’intende, senza 
pregiudizio dell’ essere secondaria ella pure, e non primiti- 
va, e scaturita dalla natura qual divenne, non dalla natura 
qual già fu , o qual vorremmo che tornasse ad essere ) , si 
riduce a un solo principio (i) a un sentimento gene- 

rico , e molto indeterminato , della convenienza di confor- 
mare pur sempre gli ordinamenti politici, e d’eseguirli, nel 
miglior modo che le più squisite ragioni consigliano, secon- 
do le diversità de’bisogni rettamente apprezzati ; tenuto pe- 
rò conto di queste diversità : le quali ragioni nondimeno , 
dopo che sonosi messe all’ opera , s’ accorgono sempre , o 
tosto o tardi, della insufficienza loro, quanto al predetermi- 
nare quel che , non solo paia ragionevole quando lo si pre- 
determina, ma si trovi e risulti tale alla prova decisiva del- 
l’ esperienza.... 

Or tanto basta a gittar le basi salde di tutto il discorso a 
che mi provoca la propostami ricerca. Imperciocebè segui- 
tiamo pure la nostra analisi. — L’amministrazione delle po- 
testà governative , quale la indicammo, o la riduzione delle 
medesime ad atto, chiaro è non esser possibile, che perso- 
nificando esse potestà in alcuni e scelti , tra i quali sian divisi 
gli uffizi più o meno importanti, con più o manco d’autori- 
tà, attenendosi a norme prestabilite d’una certa ben colle- 
gata gerarchia, dove la parte principale, e la più eminente, 
è quella che si chiama la sommità , e che risguarda : — il 


(1) Non bo bisogno di dire , che qui si parla solo del principio regolatore 
degl' interessi puramente temporali e terreni , salvo sempre ciò cbe riguarda 
gl' interessi morali e spirituali , che sono spezie di bisogno , sommo e per- 
petuo , destinato a prender É mauo su tutti gli altri. 


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preordinare i termini, e le parti , e la distribuzione dei po- 
tere; — il rendere questo effettivo nel conferire esse parti , 
quali immediatamente, e quali per intermedio, a coloro che 
debbono esserne, sotto certe condizioni, i depositari! , du- 
rante un tempo più o men lungo, e gli adoperatori ; e ( per 
comprendere tutto in poche parole) il rappresentare, e l’ave- 
re in sè , la sorgente somma ed ultima d’ ogni autorità , 
l’emanarla da sè, direttamente , o per indiretto e per dele- 
gazione, e il modificarla secondo che paia esser d’ uopo, at- 
temperandola a’ bisogni contemporanei, o più, o men pros- 
simi, si quanto alte cose, e si quanto alle persone. Ora, cosi 
essendo, niuno , io mi confido, vorrà negare, per un poco 
di meditazione la qual vi faccia, che , come quanto a gover- 
no in generale secondo che osservammo , cosi quanto a so- 
vranità , in genere, ed in ispecie, e nelle cose, e nelle per- 
sone , alcun diritto naturale , primitivo , immutabile non ha 
luogo. V’è di essa , come del governo, men che il diritto , il 
bisogno, o ( si direbbe ) la pena imposta all’ umane famiglie 
di soggiacere ad un potere sovrano , e di soltomettervisi ; 
bisogno e dovere, tanto più imperiosi, e pena tanto più me- 
ritata, quanto quelle associazioni d’uomini, che si dicon po- 
poli, più si sono avviate all’ artificiale condizione di ciò che 
si chiama la civiltà, e quanto i vizi (specie di tralignamento, 
o d’ erpete , a che la civiltà va soggetta ) più moltiplicano ; 
bisogno e dovere , da’ quali , se cosi vuoisi , scaturisce una 
specie di diritto correlativo ( purché Io si conceda seconda- 
rio ancor esso, e conseguente , non alla vera, ma alla pre- 
sente ed artifiziata natura dell’ uomo ); il diritto d’avere a 
tutela, utilità e freno una potestà governativa soprastante, ed 
una sovranità, e d’adoperare ad averla, dove pur mancasse; 
e il diritto, concederò pure, di cercarne con modi ragione- 
voli la riduzione a normale, dov’ essa fosse fuori di norma, 
ma diritto , come di sopra si disse , indeterminatissimo , è 
diffìcilissimo a determinarsi , quanto a’ modi, a’ limiti , alla 
distribuzione , alle personificazioni , al giudizio delle nor- 


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malità e innormalità , delle legittimità ed illegittimità , dei 
rimedi, e simili: particolarità tutte, che, secondo le diver- 
sità delle circostanze, si variano, ed intorno alle quali , se 
qualche cosa v’è di mirabile, mirabilissima è la franchezza 
con che si trinciano sentenze dai Pubblicisti di strada, e si 
piantano assiomi , e si parla , a sproposito , di natura , di 
leggi primitive, d’ essenza e d’essenzialità , di popolo e di 
sistemi i più acconci a far conoscere quel che il popolo dee 
potere come popolo , quel eh’ è il voler suo; quel che co- 
manda, e deve o può comandare: come se, in cosa tanto 
proteiforme quanto sono le condizioni delle aggregazioni 
umane, alcun che vi fosse di stabile e d’identico da dar so- 
do fondamento a regole applicabili a tutti i casi ! come se , 
anche in ogni special caso, fosse facile il sì bene analizzarlo, 
da poter, senza pericolo d'inganno, stabilire quel che me- 
glio conviene! come se, giuntosi ancora a ben ciò saper fa- 
re , non possano esservi, e non vi siano spesso, circostanze 
straordinarie , limitatrici delle convenienze astratte ! come 
se l’assoluto e il perfetto, in ogni caso, non fossero impos- 
sibili ad ottenersi , perchè negati all’ uomo , e gli ostacoli , 
assai sovente, impossibili a vincersi, e ad evitarsi, od elu- 
dersi ! come se , non di rado , l’ animo de’ veramente savi 
non abbia a subire il supplizio della perplessità , nel com- 
prendere il moltissimo che , per solito, manca ad una buo- 
na ed adeguata precognizione di quel che sarebbe necessa- 
rio a ben sapersi per poter pronunziare un ponderato e giu- 
sto giudizio ! come se finalmente l’ esperienza e il ragiona- 
mento non avessero fatto accorti ornai gli uomini usi a pro- 
cedere col debito esame , che , nella qui discorsa materia , 
non si può andare più in là del cercare , più o meno a ten- 
toni, temperamenti , ipotesi, verisimiglkmze, mezzi da mettere in 
esperienza, ed accorgimenti che si credono t migliori , ma che 
talvolta, e non radamente, si trovan fallire alla opinion pre- 
concetta, ed essere men che buoni. E già un preliminar ve- 
ro di qui si raccoglie , ed è che dunque non altro sono che 


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cerretani politici di pessima specie tutti cotesti franchi dot- 
tori della scienza dello stato, maravigliosamente petulanti 
nella insipienza loro , i quali , dandosi aria di supremo ed 
infallibile magistero, in un genere di problemi di tal natu- 
ra , che soluzione universale e sicura non ammettono ; che 
spesso più soluzioni posson ricevere ugualmente dubbiose, 
ugualmente plausibili, quale ad alcune ragioni, quale ad al- 
cune altre, qual sotto uno, qual sotto un altro aspetto; ar- 
discono di presentare una soluzione loro, somma, ed ultima 
e comune , la quale , a udirli, non ammette più disputa , e 
bisogna accettarla sotto pena di ferro e di fuoco. Dove il men 
tollerabile è poi questo, che, mentre parte sostanziale di si 
fatta soluzione loro è il diritto d’ universale voto , conse- 
guenza diretta dell’affermata da loro sovranità del popolo, ri- 
negan poi con palpabile e schifosa contraddizione questo af- 
fermato diritto, e lo annullano, se l’universale voto s’avvi- 
sasse mai di volere altro da quel eh’ essi vogliono, di repu- 
diare le loro teoriche di governo, di ricusarne l’applicazio- 
ne a qualunque costo. Perchè allora, e solamente allora, non 
è più vero , che la formola governativa, in ogni sua parte , 
è sottoposta al supremo diritto , ed alla suprema volontà di 
tutto il corpo sociale a cui vuoisi applicarla. Allora, e so- 
lamente allora, s’impara, che v’è qualche formola gover- 
nativa , specie di diritto naturale e divino , che è superiore 
a tutte le volontà umane, e che perciò è comandato , e non 
volontario. Allora, e solamente allora il popolo cessa d’ es- 
ser sovrano, e diventa schiavo; e schiavo poi di chi? schia- 
vo d’un certo numero d’idee preconcette, che s’han da cre- 
dere e chiamare verità primitive ed eterne , per la sola ra- 
gione eh’ essi le credono , e cosi le chiamano : intorno alle 
quali si guarderebber bene dal consentire a una discussione 
seria: e sulle quali l’esperienza, il senso comune, la filoso- 
fia da lungo tempo pronunziarono sentenza di riprovazione 
e di condanna. Intanto non s’accorgono, o non vogliono ac- 
corgersi, che, dal momento in cui fanno essi della loro ipo- 


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— 134 — 

tesi un diritto eterno ed anteriore, del quale ciascun popolo 
e ciascuno individuo, nel suo particolare, è obbligato a con- 
cedere l’ autorità , dee per lo meno esser necessario provar 
la certezza di questo diritto, nei termini stessi ne’quali vuoisi 
stabilirlo. Or poiché è un fatto , che i termini son contro- 
versi e disputati tra gli uomini, e troppi sono, e furon sem- 
pre , coloro, che , ne’ termini posti oggi alla moda , lo ne- 
gano: dunque si fallo supposto diritto manca dell’universa- 
lità di certezza, o, a meglio dire, non è certezza che per gli 
uomini del partito moderno, i quali di gran lunga non sono 
il numero maggiore e il prevalente , anche non tolti i cial- 
troni, e gli scapestrati, e i facinorosi di che specialmente s’in- 
grossa : donde quel che legittimamente si deduce non lo 
dirò , perchè I’ ho già detto nell’ art. 4. 

Ma insomma (dirassi) , poiché governo e sovranità son 
cosa fatta per gli uomini , e , secondo il disputato sin qui , 
cosa contingente e mutabile , gli uomini dunque son coloro 
a chi spetta lo stabilir ciò col loro arbitrio, consultata (con- 
cediamo ) la ragione in genere non solo , ma la ragione dei 
più savi. E la ragione de’ più savi che altro può decidere , » 

se non che coloro a cui spetta lo stabilir ciò col loro arbi- 
trio , è , a ben guardarvi , molto più utile che sian tutti , di 
quello che alcuni? Per lo meno considerazioni non manca- 
no, e gravissime, a sostegno di cosi fatta proposizione. Nè , 
se il mondo moderno con tanto ardore l’ ha abbracciata , è 
ciò piccol segno della forza degli argomenti che la corrobo- 
rano. — S’ascoltino dunque questi argomenti , e si ponde- 
rino colla debita diligenza. 


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— 135 


ARTICOLO VII. 


Della sovranità del popolo, consistente nella democrazia pura , 
e rappresentata dal voto universale. 


Ecco a un di presso come argomentano i piu logici tra 
gli scrittori democratici. — 

« Ragionando sugli ordinamenti politici d’ uno stato, che 
« cosa dice ad ognuno il naturale buon senso ? Dice che , 
« concessa liberalmente la verità della natura immensa- 
« mente e necessariamente mutabile degli ordinamenti po- 
« litici opportuni ai popoli secondo la varietà delle condi - 
« zioni loro , una necessità però domina tutte le altre ; ed 
« è la necessità inevitabile d’ un tribunale supremo, innanzi 
« al quale, le convenienze, o sconvenienze delle mutazioni 
« e degli adattamenti si discutano , e si stabiliscano, e dal 
« quale acquistino atto, autorità, e forza esecutiva: nè ciò 
« solamente una prima volta, ma tutte le volte che sia di 
« bisogno per la pubblica salvezza, e pel comune interesse; 
« nè ciò unicamente, quanto alle leggi, ma eziandio quan- 
« to a’ custodi delle leggi, agli autori delle medesime, e ai 
« soprastanti a tutta la macchina governativa, comunque 
« costrutta. Or sì fatto ufficio ( ed è quello appunto che la 
« supremazia della sovranità costituisce) , come potrebbe 
« ragionevolmente impugnarsi, che appartener deve, nessu- 
« no escluso , alla somma di coloro , a’ quali direttamente 
« importa ? Imperciocché , essendo pur necessario , che la 
a delegazione pratica della potestà imperante diasi da com- 
« petente autorità a chi da indi innanzi diverrà maggior de- 
ce gli altri, quale tra tanti possederà questa supremazia d'au- 


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— 136 — 

« torità di somma e principale importanza , a cui tutti , li- 
te beri come pur sono di fatto , consentano di sottomettersi? 
« E dovendo stabilirsi certi vincoli alle naturali libertà d’o- 
« gnuno, acciocché il governo sia possibile, chi s’arrogbe- 
« rà il diritto di stabilirli gittatosi innanzi , e tenuti gli altri 
« indietro, e chi de’ tenuti indietro , se non s'usi una bru- 
te tale violenza contra ogni diritto , vorrà pazientemente ta- 
te cere e soggiacere ? E , a civile congrega già costituita , e a 
<e leggi formate, e a soprastanti già investiti della potestà di 
ee che han bisogno , non potendo però sperarsi , in tanta im- 
« perfezione della creta umana, che nell’esercizio di essa 
ce potestà, la giustizia e la normalità sempre si serbino ; ed 
« essendo anzi grave il pericolo , che , a volta a volta , ed 
e< anche con vizio divenuto abitudine , aberri il governo da 
et essa normalità , per modo , nelle cose , e nelle persone , 
« che più o meno intollerabilmente degeneri in tirannico: e 
et facendosi perciò necessario il vegliar sempre per avvedersi 
<c quando ciò accade , affinchè il male non inciprignisca , e 
ce non si confermi; e questa vigilanza non essendo maitrop- 
« pa, ed aggirandosi in cosa, che grandemente rileva aisin- 
cc goli , e rispetto alla quale , come di tutti è l’ interesse , 
« cosi di tutti ha da essere il diritto d’ esercitarla*, e questa 
« grave faccenda , non potendosi avere maggior sicurezza 
« che non sarà trascurata , se non adoperandovi ognuno 
a da sé stesso , giusta il volgare proverbio , che chi fa da sé 
e< fa per tre : per tutte le esposte ragioni, si è costretti a vie- 
te più confermarsi nella sentenza, che il miglior partito, anzi 
t< l'uuico ragionevole nel caso nostro, sia il dare a tutto 
te quanto il popolo la somma ultima delle potestà, di guisa 
te che due principali sianole autorità sue ingenite ed intrinse- 
« che, una di stabilir esso il suo proprio statuto, cioè quello 
te che costituirà la sovranità effettiva, la qual gli bisogna , e 
« d’investirnele persone ch’ei vorrà, nel modo, e co’ patti che 
« vorrà; l’altra di giudicar esso, in qualunque tempo gli piac- 
a eia, quando, ed in che, le cose non vadano a pien suo grado, 


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- 137 - 

<t ed escano dalle buone norme, e d’apprestarvi, a suo pro- 
« prio senno, il rimedio. E tanto più par ciò giusto, e con- 
« veniente , perciò , insomma , la sovranità è istituita per 
« esso popolo , a fine di farlo contento , in quanto forma 
« civile congrega e convivenza, e quindi per farlo esser fe- 
« lice , di quella felicità , ben s’ intende, cbe in terra è sola 
« conseguibile, e che appunto consiste in un sufficiente con- 
« tentamento dell’universale , del qual contentamento , che 
« è fatto interno, niun miglior giudice può esservi, che l’u- 
« niversalità stessa degli uomini i quali bisogna contentare. 
« E si dice l’ universalità , inteso ciò , non in un senso ri- 
« goroso , ma nel senso del massimo numero, perchè s’ è 
« d’accordo nel credere nel fatto dolorosamente innegabi- 
le le, che tutti non possono mai contentarsi e felicitarsi: e, 
« ciò non si potendo, è però giusto che le probabilità dell’es- 
« ser del numero de’ contentati per fatto del governo siano 
« possibilmente coeguali tra i compartecipi della convivenza 
« civile; e che perciò tutti siano coegualmente ascoltati , e 
« presso a poco equiponderanti nella bilancia della giusti- 
« zia, e condividenti la possessione de’mezzi principali adatti 
«ad ottenerne il conseguimento. » — Cosi, fondandosi 
su certe apparenze di giustizia, ragionano i meglio addot- 
trinati tra gli apologisti della democrazia. Ma , se tanto a 
primo aspetto lor sembra , non lo dee sembrar più quando 
consentano a spingere un po’ più addentro 1* esame. 

Infatti, nella universalità degli uomini, che è dire in 
quello che si chiama il popolo ( e qui si torna per forza, ma 
con più spiegazione, al grande argomento delle disuguaglianze 
umane ) , sono tutti; i buoni ed i cattivi; i galantuomini , 
ed i cavalieri d’industria; i filantropi e gli egoisti; gli amici 
dell’ordine e quei del disordine; coloro che cercano il loro 
solo interesse, e quegli altri che danno opera più o men vo- 
lonterosa e fervente all’interesse pubblico. In questa uni- 
versalità, è un brulicame, un caos, un misto, un conflitto, 
di vizi e di virtù, di passioni , altre vili per 1’ obbietto loro, 


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— 138 — 


altre nobili , d’intelligenze, altre svegliate, squisite, ed edu- 
cate agli studi ed agli affari , altre torpide, e grossolane , e 
falsate dalla barbarie, dalla mala scuola <je’ troppi maestri 
d’errore: donde una lotta perpetua di sentimenti e di disegni 
o divisamenti dove non è sperabile, nè possibile armonia, od 
uniformità, nè soprattutto equiponderanza di pareri. E in 
mezzo a costoro, e di costoro cosi misti , sarà il tribunale 
cercato? E v’ha egli supremazia di sovranità possibile di 
tutto un cosi fatto pandaetnonium? È assai facile il dirlo. Ma 
in luogo d’ una sovranità , io ve ne trovo migliaia, perchè , 
in luogo d’una volontà, io ve ne trovo migliaia. 

È del popolo, che fu detto con antico proverbio - tot ca- 
pita , tot sententiae - Quale di tutte queste sentenze, tra loro 
pugnanti al più spesso, ed opposte, e contraddittorie, sarà 
la sentenza sovrana? Quale di tutte queste velleità disso- 
nanti, sarà la velleità prevalente e signora? Quella delle 
maggiorità cosi dette ? Almeno a questa forma odo rispon- 
dere da destra e da sinistra. Analizziamo il valore di si fatta 
risposta. — 

Che cosa rappresentano le maggiorità? Il lato certo, o il « 

più probabile, dal quale stanno giustizia e ragione, criteri! 
sommi di normalità della potestà sovrana secondo il diritto 
assoluto; o il lato dal quale sta la sola forza del numero , 
unicamente atta a costituire una sovranità di fatto ? Per fer- 
mo , non la prima delle due cose. Non dico , che la giusti- 
zia e la ragione non si trovino qualche volta, non si trovi- 
no anche spesso , nell’ opinare e nel volere de’ più; ma di- 
co , che malamente spera chi 6pera che vi si trovino il più 
spesso. Purtroppo il maggior numero è quello degli igno- 
ranti. Dunque di coloro, che non sono atti, nel più delle 
questioni, sovente intralciatissime, sulle cose di ammini- 
strazione pubblica e di stato , a ben giudicare della giusti- 
zia e della ragione ; di coloro che son facili ad allucinarsi, 
e ad esser tratti in inganno intorno all’ una ed all’altra; di 
coloro sul cui giudizio i savi fideranno , come han fidato 


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— 139 — 


sempre, assai poco. Essi potranno imbattersi nella giustizia 
e nella ragione, come un cieco può imbattersi nella buona 
via , giungendovi , o a caso , o a tentoni , o indirizzato da 
un altro ; ma veramente niun vorrà dire , che son quelli , 
che, con più sicurezza... con sufficiente sicurezza , da sè 
stessi, vi perverranno , e che son quelli da chiamar tra le 
guide per insegnare agli altri l'andar bene. — Il maggior 
numero è il numero, non dirò de’ cattivi, ma si dirò de'me- 
diocremente, e mediocrissimamente buoni , pe’ quali il ben 
pubblico ha un valore poco apprezzato, poco sentito , po- 
chissimo conosciuto, e d’un ordine al tutto secondario , e 
subordinato sempre al ben proprio. Dunque il maggior nu- 
mero è il numero di coloro , i quali si può scommettere, 
che chiameranno il più spesso ragionevole e giusto quel che 
è conducente a’ privati lor Ani e comodi , ancorché poco 
utile, od anche dannoso all’ universale , anziché quello che 
alla utilità dei pubblico grandemente conduce, ma vi con- 
duce con sacrifizi e noie, e danni parziali d’individui. — 11 
maggior numero è di que’che più sentono l’ influenza del- 
l’ affetto , de) patronato di tali o tali altri , del broglio, del» 
l’ intrigo , della prepotenza , della subornazione , o simili 
altre notissime miserie , per cagione di che si lascian facil- 
mente piegare a dono, a vendita , ad estorsione, a promes- 
sa, a licitazione, ad accaparramento del voto loro, il quale 
divien cosi voto di un altro, anziché libera, ed indipenden- 
te, e reale espressione del voto proprio. Dunque il mag- 
gior numero è dei dominati dalla volontà d’alcuni.che sono, 
per solito, i più tristi, ed i più disposti a inganno ; e , per 
conseguenza , forma esso una maggiorità il più sovente si- 
mulala , che usurpa il luogo delia vera ; una maggiorità fro- 
dolenta , che ottiene questo nome, e si poco lo merita. — Il 
maggior numero è de’ pigri, degl’indolenti, de’ frivoli, de- 
gli improvidi, che, per mal abito, nelle cose anche pro- 
prie , più poi nelle altrui , non son tali da voler prestare at- 
tenzion seria, e studio conveniente, a ciò che cade sotto 


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— 140 — 

esame , e non se ne curano , e si contentano di giudicare 
cosi alla leggiera , secondo che la prima idea suggerisce , o 
dimandano al vicino il suo giudizio , per dispensarsi dalla 
fatica del doverne formare una essi; o tanto sono impazienti 
ed impetuosi, che non san deliberare in altro modo, che a 
primo slancio di fantasia , senza mai ponderazione. Dunque 
il maggior numero è di tali il cui voto manca d’una Princi- 
pal condizione , per la quale possa considerarsi come degno 
d’ esser messo in registro, e contato cogli altri a crescer la 
somma , per poter formare una cifra il cui valore non men- 
tisca. — Il maggior numero è finalmente di que’, che per 
la già detta pigrizia , e per disamore agli affari , e per non 
curanza, e per altre occupazioni preferite, e alcuni ancora 
per sentimento della propria incapacità, per pusillanimità, 
per modestia , fan peggio di quel che testé dicevamo , e s’a- 
stengono affatto, c rinunziano al diritto, o tu vogli al de- 
bito, d’aver voce nella cosa pubblica, e di spenderla. Dun- 
que il maggior numero è degli innumerabili , che non fan 
numero, perchè non vogliono entrare in numero, e restan- 
do fuori , son cagione che il vero popolo mai non può ra- 
dunarsi in intero , nè consultarlo in guisa da ottenerne ri- 
sposta , alla quale tutti abbiano concorso, e nella quale quel- 
le che noi chiamiamo le maggioranze , e le minorità , altro 
esprimano se non una pretta menzogna. 

Tal è il vero significato , la reale natura del maggior nu- 
mero, cosi da noi detto, e del voto che se ne cava , e può 
ricavarsene ! voto, per conseguente, incompleto, e d’una pic- 
cola parte di popolo soltanto, non di gran lunga dell’ uni- 
versale; volo, d’ordinario, cieco, indeliberato, circonve- 
nuto, usurpato , interessalo, improvvido; voto, oltre a ciò, 
il quale, anche allorquando è il più puro, si risente sempre 
delle influenze di certi erronei giudizi sposati dalle molti- 
tudini intorno alle cose ed alle persone, e messi in ono- 
re a insegnamento di certe scuole che si son fatta una 
riputazione , a vantaggio di certi demagoghi , a capriccio di 


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— 141 — 


certe predilezioni malcollocate. Se dunque la volontà di 
questo maggior numero è la sovranità di diritto come la si 
vuole intendere , e come non ispiace accettarla , essa è per 
fermo una spregevole sovranità , le mille miglia lontana da 
quella sovranità normale che tal è secondo il vero diritto 
astratto e filosofico. Essa è una mera sovranità di fatto, alla 
quale s’obbedisce come s' obbedisce al più forte, non per- 
chè quel che ordina ed avvisa è ciò , che, secondo le mag- 
giori probabilità, si può e si dee credere il più abitualmente 
conforme al debito, all’ utilità generale, alla giustizia, alla 
ragione, ma perchè quel che ordina ed avvisa è quel che 
piacque a chi aveva più voce o più voci parlanti, e dietro 
la voce, o le voci, più braccia operanti, o disposte ad ope- 
rare. Essa è la tirannide del numero che appar maggiore , 
sul numero che si trovò più piccolo , nella quale il criterio 
e la regola dell’ autorità non si trae dai principii del gius 
naturale e delle genti , o dalla considerazione di quel che 
licei. Non dalle considerazioni di quel che prodest. Ma si trae 
dall'antica ragione, quia sum leo; qualche volta dalla ragio- 
ne, quia sumvulpes ; qualche volta infine dalla ragione, che 
la stolidità degli uni non radamente è agli altri forza, o ac- 
crescimento di forza. 

Veramente alcuni diranno questo essere ammissibile fino 
ad un certo segno soltanto. Diranno , che, insomma, l’ulti- 
ma ratio è poi sempre , e non può non essere , nelle con- 
greghe umane le quali si chiamano nazioni , il fare il più 
gran numero possibile di contenti , come notavamo di so- 
pra , in che si risolve , da ultimo , quella che noi chiamia- 
mo la felicità generale , la quale non può essere generale , 
che in questo senso. — Cosi diranno , e sarà , per più mo- 
tivi , malamente dire. 

Cominciamo col ricordare una cosa, la quale il senso co- 
mune dovrebbe aver suggerito a tutti , e lasciato dimentica- 
re a nessuno , se il senso comune non fosse , come altri 
spesso ban detto , un senso rarissimo. — Quando , in si 


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142 — 


fatte materie , si tratta di massimo contentamento , certo 
bisogna risguardare principalmente al tempo che segui- 
terà , cioè a quel eh’ è per venire appresso , di bene o di 
male, in accordo, o in disaccordo, con quel che pre- 
cedette. L’esperienza di tutti i secoli avrebbe dovuto un 
po’ meglio far comprendere, anche agl’ imbecilli, e rammen- 
tare a tutti , che , assai sovente quel che contentò nel primo 
momento si scuopre più o men presto , nel tempo susse- 
guente , essersi trasformato in uno scontentamento molto 
generale , e molto più grave , e tale non di rado , a cui non 
si può portare pronto ed efficace rimedio disvolendo il già 
voluto , e disfacendo il già fatto , perchè vale allora il pro- 
verbio italianissimo — Cosa falla capo ha — Di qui è che con- 
tentare il massimo numero , non può significare qui , con- 
tentarlo oggi e domani... contentarlo per adesso e per ades- 
so adesso... ma dee significare , in politica , operarne il con- 
tentamento , meno ancora al fine della soddisfazione transi- 
toria del momento presente , o immediatamente prossimo , 
che al fiue di una soddisfazione lungamente duratura , pos- 
sibilmente stabile, probabilmente non feconda di conseguen- 
ti , i quali non siano per isconlentare , a più o men corto 
intervallo , i più di coloro che prima furono contentati , o 
fecer mostra di contentarsi. Or ciò viene a dire , che, a ri- 
solvere il problema del contentamento massimo , quando 
esso problema è proposto in giusti termini , non basta già 
chiedere ad ognuno del popolo — Che cosa ti piace oggi ? — 
Bisogna chiedergli. — Che cosa li piace oggi sì ragionevol- 
mente e si provvidamente , che , fatto il piacer tuo d’oggi , 
seguiterà con probabilità massima a farti piacere il più a 
lungo eh’ esser può , e a preferenza d’ogni altra cosa la qual 
si statuisse ; e farà piacere oggi , e lunghissimameute , non 
a te solo , ma al massimo numero degli altri , nè partorirà 
effetti , che sian per essere , essi almeno , grandemente , ed 
in molto numero , dispiacenti a te e agli altri. E mutata a 
questa guisa la dimanda del suo voto a ognuno del popolo, 


V 


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— 143 — 


mi si confessi con buoua fede , è egli lecito credere , che i 
piu sapran rispondere categoricamente , rettamente , ade- 
guatamente , in cose tanto diffìcili per lo più a prevedersi., 
a risolversi negli elementi svariati di che si compongono... 
a determinarsi...? nell’atto massimo , e il più importante di 
tutti , che risguarda la costituzion prima del corpo sociale e 
dello stato, il conferimento primo dell'autorità , delia sua 
distribuzione , de’suoi patti , delle sue personificazioni ? in 
tutto l'altro esercizio delle potestà che le nuove scuole pe- 
rennemente voglion godute ed esercitate da tutti...? con 
deliberazioni tumultuarie, fatte all’ improvviso-..? nel calor 
delle passioni , e delle preoccupazioni dominanti ?-È dun- 
que chiaro , che le maggioranze non son competenti a eser- 
citare la sovranità , nemmen pel massimo contentamento di 
que’ medesimi, costituenti esse maggioranza , che , votando 
a nn voluto lor modo , credono di farlo per essere, almeno 
essi medesimi , più contenti. 

E qui ho supposto , contro a verità , e contro al notato 
poco indietro , che , ogni votante in realtà , per lo meno 
secondo il proprio intelletto e la capacità eh’ è in lui , siasi 
proposto votando , questa universale contentezza. E che sa- 
rà poi , quando ricordi chi legge ciò che , purtroppo , in si- 
mili casi intraviene , e ponga mente alle condizioni abituali 
delle turbe chiamate a votare , secondo che già toccammo 
di fuga ? Non è forse vero , quel ch’io diceva pur testé dei 
motivi , per solito , determinanti esse turbe a pronunziare 
ciò che debbe essere accettato come il genuino voler loro ? 
Non è forse vero , che i più , già persuasi d’essere invitati 
a trattare faccende sopra le quali pensano d’avere un inte- 
resse assai remoto , già sententisi costretti a votare , non 
colla propria volontà , ma colla volontà di qualche altro , e 
ottusamente percipienti la gravità del loro incarico, l’alta 
entità del loro diritto , e T obbligo loro d’ esercitarlo con 
coscienza ed intelligenza , in realtà intervengono in tutte 
queste cose alla sbadata e svogliatamente , ed anzi come 


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144 — 


strumenti passivi da esser dati a muovere a qualcuno , che 
com’ uomini liberi e usanti normalmente la porzion loro di 
politica autorità ? Non è forse vero , che pretendere eh’ essi 
pensino , quando così la fan da sovrani , agli effetti pur 
solo quali che siano di piacere o dispiacere pubblico o pri- 
vato, è una vana pretensione? o non è forse vero che vota- 
no (que’che pur consentono a votare) , perchè sono spinti 
a farlo ; votano perchè s’è suggerito loro di farlo ; votano 
quel che loro è stato detto di votare ; votano per chi li ha 
pagali , per chi li ha pregali , per chi li arrollò , per chi 
amano r per chi temono ; e non sanno , nè curan altro ? Se 
va bene , è bene ; se è male , zara a chi tocca. E venite poi 
a dirmi , che il popolo sovrano , dove è pur sovrano , in- 
tende le cose del principato con men gagliofferia di que’gran 
bricconi (come oggi si dicono) de’ principi assoluti ! 

Ma poniamo ancora che tutte le sopraddette cose non sian 
vere, nè valide. Quando ci si favella di maggiorità , che maggio- 
rità poi sono in causa, presso i nostri odierni dottori in giure 
costituzionale ? Questa è questione di matematica , stata già 
trattata cum grano salis da uomini esperti in si difficile com- 
puto, llsistema, non dirò delle pluralità relative, ma dell’asso- 
lute,nonè forse dimostrato erroneo, siccome quello che, arit- 
meticamente considerato , non vale in realtà ciò che lo si 
fa valere per un’ affettata ignoranza? Stabilitemi, politiconi 
del nuovo diritto , le vere equazioni (non le illusorie , o 
quelle da vender per buone all’orecchiuto giumento che si 
chiama il popolo) de’ reali valori di ciò che voi nominate 
maggiorità e minorità. Determinatemi bene le cifre della 
differenza , in virtù di che l’ une voglionsi obbligate a cedere 
all' altre. Verificate bene tutte l’unità che si ammettono nel 
conto , e il segno positivo o negativo con che nella pratica 
s’accompagnano. Soprattutto , non mi lasciate da parte le 
unità perdute, quelle intendo che, in fatto , non vi sono , e 
v’avrebber da essere , di coloro che trascurarono d’usare , 
o per una ragione , o per un’altra , il loro diritto , e fanno 


. Qigili?eri.ny-GoQgl 


A 


— 145 — 

colla lor somma una quantità anomala , che manca àll'equa* 
zion vostra , e v’impedisce , colla sua mancanza , di contar 
giusto , perché v’ impedisce di contar tulio. Io so che voi 
non lo potete. Dunque so , che le maggiorità vostre , cosi 
come vi contentate di stabilirle , non vi rappresentano nem- 
meno quella maggiorità aritmetica , la qual voi pretendete 
sostituire alla maggiorità assoluta e normale della ragione e 
della giustizia , come un suo più o men sicuro equivalente. 

Ora , se tutto questo è , fuori d’ogni possibile controver- 
sia , e se intanto è perù necessario alla vita regolare della 
civile congrega l’ ammettere in sé , e sopra di sé una sovra- 
na potestà , cbe risieda in qualche luogo , su persona o per- 
sone , ed emani da qualche luogo , ed esista , e seguiti ad 
esistere con tutto ciò che le bisogna a costituirla e legitti- 
marla ; s’ ella dee possedere , per sua principal condizione , 
abituale consentaneità alla ragione ed alla giustizia , il più 
almeno che in cosa umana possa aversi , rispetto a tutto che 
va operando ; e s’ella dee contenere in sé (non potendo per 
sua labile natura spogliare la fallibilità terrena che le ù con- 
genita) mezzi , a ogni vero bisogno che se ne manifesti , i 
più semplici , i più facili , i piu spediti , di rettificazione e 
d’emendamento , scompagnati , quanto è possibile , da per- 
turbazioni politiche , le quali son sempre ancora più gravi 
malattie delle umane consociazioni , che non il più delle 
anomalie d’esercizio nel potere sovrano ; e se non è prov- 
vedere a tutto ciò nel miglior modo che si converrebbe , e 
se non è quindi secondo legge di naturai diritto il fare , per 
tutto ciò , cbe sovrano primo e sommo sia il popolo , cosi 
chiamando una sua , per lo più fittizia , maggiorità , a cer- 
to modo interpretata e contata ; se finalmente , in forza di 
tutte le fin qui esposte considerazioni , è un solenne errore 
politico quello che si fatta sovranità popolare stabilisce , nè 
ciò come uno de’ temperamenti immaginati a sciogliere la 
più grande , e la men solubile , delle difficoltà relativa a go- 
verno (temperamento , per fermo , dei più infelici) , ma co- 
lf) 


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— 146 - 

me un dogma posto al di sopra d’ogni dubitazione di scuo- 
la o di piazza... dove sarà dunque (a superare meglio tutte 
le difficoltà nelle congreghe umane) la persona morale della 
normale sovranità , e quale incorporazione fisica dovrà pren- 
dere ? — Cerchiamolo. 


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— 147 — 


ARTICOLO Vili. 


Continuazione dell' articolo antecedente. —La democrazia de mo- 
derai non può convenire ad alcun popolo. 


io debbo ripetere, che non vi sono cerretani di politica, 
f quali possano , intorno a ciò , rispondere in modo assòlu- 
to , senza darsi briga di metter a bilancia quelle che i latini 
chiamarono rerum adiuncta, e che noi diremmo le circostan- 
ze delle nazioni , rispetto alle quali si voglia immaginato un 
buono ordinamento del sovrano potere, e di tutti i suoi con- 
seguenti. Perchè quel ch’è opportuno in un paese , in un 
tempo , e in certi casi , non è opportuno nell’altro , o ne- 
gli altri. 

Per un popolo al tutto selvaggio , la dose di sovranità , 
che tu vorresti distribuita su ciascun di coloro che lo com- 
pongono , é un’assurdità il solo proporgliela. Questa sovra- 
nità, che ognuno , per la sua parte, esercita su tutti , a con- 
dizione di soggiacervi egli stesso , ei la ricuserà come un 
principio di schiavitù. Egli ha bisogno, ed abito , od istinto 
della massima possibile indipendenza , è non si cura della 
dipendenza altrui , e non se la propone , e non la spera , 
perchè sa di vivere in mezzo ad uomini compartecipi de’suoi 
stessi sentimenti. La tua perfetta democrazia è già il coman- 
do e il dominio di tutti , o d’uno o più delegali di tutti , 
sull’individuo , ed egli presso a poco rifugge da ogni servi- 
tù d’individuo. Egli obbedirà alla forza nel momento in coi 
s’esercita su lui , rendutagli impossibile la resistenza , ma 
non consentirà a riconoscere per patto l’ obbligo di sotto- 
starvi. 


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— K«8 — 

Per un picciolo popolo di pastori , o d'agricoltori , tutti 
tra loro vicini (ma non troppo, a evitare la facilità delle col- 
lisioni , e a favorire nel tempo stesso quella degli aiuti re- 
ciproci) ; tutti egualmente poveri (non però sino al grado 
di non poter vivere senza altrui soccorso) ; tutti egualmen- 
te ignoranti , o pochissimo colti ; tutti egualmente di costu- 
mi semplici , tra’ quali per conseguenza la vera eguaglianza 
pratica , è nel generale (dentro i limiti ne’quali può pur es- 
sere) un fatto della natura e dell’arte ; il tuo reggimento a 
repubblica democratica sarà quello , che , a prima fronte , 
più conviene , perchè , nel fatto , ili un tal popolo , non è 
possibile secondo ragione che una tal quale democrazia (se 
non v’è il vivere a feudo soggetti a un terzo ed assente , in 
istato di vassalli). E nondimeno la forinola democratica , la 
quale guidato da naturale buon senso egli sceglierà , non 
sarà la tua. Tu vorresti il voto universale ; ed esso si guar- 
derà bene dal colerlo , e vorrà il solo voto de’ capi di fami- 
glia come quelli che soli hanno uso delle cose onde si reg- 
gono la casa e la comunità. Tu vorresti una costituzione , 
ed esso si contenterà delle sue consuetudini da interpreta- 
re , da modificare , se il bisogno se ne presenta , senza stre- 
pito , senza timore di rendersi reo del gran sacrilegio di 
violazione della carta (ma lentamente sempre , e con quel 
buon giudizio pratico , il quale mai non manca , nemmeno 
a’grossolani , quando non sono corrotti dalla peste d'una 
falsificata civiltà). Tu vorresti, per la deliberazione degli affari 
colidiani , un’assemblea d’eletti a consulta e a scelta di tut- 
ti , e tali eletti che non abbiano altra condizione d’elegi- 
biiità , se non il beneplacito di que’che li scelgono ; e tali 
eletti che siano obbligati a far professione anticipata di fede 
de’loro principii politici, e a regolarsi secondo le ispirazio- 
ni e le suggestioni delie maggiorità che li scelse ; e tali elet- 
ti la cui delegazione duri il men possibile ; ed esso , nel 
consiglio generale dei capi di famiglia , darà si fatto incarico 
ad alcuni suoi vecchi di piu conosciuta probità , di piu ap- 


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— (49 — 

prezzata esperienza , e li lascerà liberi di prendere ogni ri- 
soluzione che lor paia la migliore , e nel generale li man- 
terrà in posto finché vivono , stabilito che il torli di posto 
sia piuttosto l’irrogazione d’una pena, che la conseguen- 
za dell’ aver oltrepassato un periodo fisso. Tu pretenderesti 
la libertà dei clubs , o delle riunioni politiche po’ malconten- 
ti , pochi o molti che siano , o sian per essere ; il potere 
scendere in piazza per cercar di turbare , con discorsi , con 
predicazioni, con vociferazioni pubbliche, con inviti al po- 
polo , quello che è, a fin di far essere quel che non è. Tu 
proporresti impedito il prevenire, tolto al reprimere ogni se- 
verità di gasligo, ogni efficacia di pene ; ed esso vorrà con- 
servato l’ordine antico, proibite le iniziative , anche lonta- 
ne , di. disordine ; penserà che la tranquillità dell’ univer- 
sale non è mai pagata abbastanza con sacrifizi d’un po’ di li- 
bertà individuale ; dirà a sé stesso , che il sacrifizio di que- 
ste libertà non è che un sacrifizio per gl’imbroglioni e 
pe’cattivi, giacché i buoni queste libertà non le han mai cer- 
cate nè volute ; sarà senza pietà conira i nemici della pace 
interna , e non avrà alcuna difficoltà d'aggravar la mano su 
loro , a fin di renderli incapaci di nuocere , e di togliere al- 
trui la volontà d’ imitarli Cosi la democrazia d'un tal po- 

polo , a rigor di termine , non sarà una democrazia.... una 
sovranità di lutti: sarà una gerontocrazia... un governo pa- 
triarcale ; il qual tuttavia procederà bastantemente bene , 
finché le condizioni di esso popolo dureranno simili a quel- 
le che supponevamo... 

Per un popolo , finalmente , piu o meno inoltrato nel 
cammino di ciò che diciamo la civiltà , e più o meno allon- 
tanato da quel che sono i popoli nomadi , o pastori , e poco 
ancora discosti dalla rozzezza primitiva , l’applicazione ad 
esso della sovranità come tu l’intendi , è ancora più contro 
a natura , e più spropositalo : perchè , se da una parte , 
l'incivilimento che comincia, che progredisce, che muta 
faccia col mutare de’tempi , genera tra gli uomini bisogno 


— 150 — 


di modi d'associazione e di governo, adatti sempre alle tras 
formazioni successive , che , inevitabilmente , subiscono , 
da un altro lato , la virtù di quello è tale , che quanto più 
rende una gente dissimile da sé e discosta dalla natia bar- 
barie ed ignoranza , tanto meno la fa passibile de’ modi de- 
mocratici di reggimento. 

E, per vero, l’essenza della civiltà in qualunque suo 
stadio, è promuovere le disuguaglianze, come l’essenza 
della barbarie è distruggerle quanto più può , e ridurle al 
loro minimo valore , siccome altrove ci sforzammo di pro- 
vare. Civiltà è perfezionamento delle facoltà fìsiche e morali 
dell’uomo ; le quali essendo , per natura e nascita , e per 
gli estrinseci che le circondano , e il più spesso le domina- 
no, assai diverse, ed in assai diverso grado daH’uno all’al- 
tro , più crescono le diversità di specie e di grado , secon- 
dochè le arti incivilitrici più divengono squisite. Mille ra- 
gioni in un popolo , a misura che meglio perfeziona la sua 
civiltà, fanno che, tutti cercando di perfezionarsi , inegua- 
lissimamente riescono a questo lor nobile fine. Gli uni di- 
fettano dal lato della disposizione naturale ; gli altri dal lato 
dell’attività; i terzi dal lato de’ mezzi opportuni , de’ luoghi , 
da’ tempi , o simili. Così gli uni restano poco migliori che 
i bruti, e necessariamente volgo, l’inevitabile inferiorità 
de’quali può essere attenuata , ma non abolita. E sta bene 
cosi , perchè senza ciò , chi lavorerebbe la terra? Chi si da- 
rebbe a certe opere di pena e di dura fatica , necessarie o 
sommamente utili all’universale , le quali richiedono il non 
uscire dell’uomo da quello stato in che fa officio quasi di 
macchina , o di poco meglio che cosi , se non in quanto ha 
per molla, più o meno efficace, il libero arbitrio? Chi si da- 
rebbe all’ opere che vogliono la condensazione di tutto il po- 
tere nerveo su i muscoli, distoltolo in gran parte dal servigio 
delle facoltà superiori? (Ciò è argomento del pari che abbiam 
già trattalo). — Gli altri pigliano del campo; si gittano smisu- 
ratamente innanzi per diverse direzioni , e fan come in una 


— 151 — 

corsa di barberi. Vi son quelli che si slanciano al primo po- 
sto , contra ogni ostacolo ; di quelli che tengono dietro , a 
piccolo intervallo ; di quelli che , per molto punger di spro- 
ne , e flagellar di fianchi , e avvacciarsi , restano a distan- 
za , e. si pcrdou per via. Ciò dico qui , non riguardo ai po- 
sti , agl’impieghi , alle dignità , ma riguardo alle capacità.. 
E tutto questo è la maggior prerogativa della nostra specie , 
quella per la quale più si differenzia dagli animali irragio- 
nevoli ; quella che forma l’essenza della sua perfettibilità ; 
la più gran bellezza ed eccellenza della sua natura ; l’onor 
delle nazioni ; il segno che ti lascia distinguere le più dalle 
men pregiate, e che regola le superiorità relative ; la cagion 
discretiva per cui tu poni l'inglese , il francese , il tedesco 
odierno , l’italiano a mille cubiti al di sopra deU'aflricano , 
dell’arabo ; per cui tanto onori il greco e il romano antico , 
e tanto spregi il boschimano , l’ ottentotto. E il mondo ha 
troppe volte fatto esperimento di quel che costa t'impedirlo 
ed il toglierlo. Ciò ha fruttato all’Europa la trasformazione 
del secolo di Cicerone e di Virgilio nel medio evo , e nelle 
sue troppe miserie... tutte le decadenze de’ popoli... la ridu- 
zione de’ Babilonesi , de’Caldei , de’Persi , degli Egizi , dei 
Fenici , a quel che oggi sono i lor discendenti : di che (qua- 
lunque siano state le cagioni) i lacrimevoli effetti del pre- 
sente travolgimento in uomini bestiali , ignoranti , poveri , 
senza industria , senza belle arti , senz’agi ed ornamenti 
della vita, senza la forza principalissima che dà la squisitez- 
za dei senno, tutti ii veggono. Or per tornare al proposito 
nostro , che raccoglieremo da ciò? Per fermo , quest’ una e 
massima conseguenza, che, i diritti dovendo essere , secon- 
do gli eterni principii della giustizia distributiva, in rappor- 
to possibilmente esatto colle capacità , supponendole ; ed 
essendo assurdo evidentemente il pretendere , che debbano 
essi essere uguali ne’disuguaii per capacità della stessa ca- 
tegoria ; e l’assurdità essendo tanto maggiore, quanto ('ine- 
guaglianza delle capai ita nel generale , e la loro sproporzio- 


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— 152 — 

ne , è più grande ; e ciò essendo tanto più innegabile , quan- 
do si tratta di diritti , che direttamente s’^bbian da eserci- 
tare colla persona , cioè colla volontà propria... volontà 
umana e muoventesi a modo normale d’umana , cioè go- 
vernata da intelletto più o men culto , e da coscienza più o 
men delicata e proba : dunque assurdissima è la dottrina , 
che vuol coegualmente distribuito il diritto della sovranità 
secondo le moderne teoriche di democrazia , chiamandone 
tutti (capaci ed incapaci , e capaci in diversissimo grado} 
compartecipi a un modo , o con poca differenza r ne’ popoli 
di che qui si tratta ; e vie più assurdo , secondo che nella 
carriera del viver civile più sono iti > o più sono per anda- 
re , innanzi , avvegnaché in si fatti popoli , le sempre cre- 
scenti disuguaglianze stabiliscono , per legge di ragione , 
una necessità di gerarchie , per le quali vuole giustizia , che 
gli uni siano maggiori degli altri a vario grado , e la sovra- 
nità s’ attemperi all’ordine gerarchico, il quale natura ed 
arte hanno stabilito , o son per istabilire. 

Ma essenza della civiltà non è meno un immenso campo 
aperto alle passioni ed ai vizi i più detestabili, come alle vir- 
tù più nobili. Da una parte avarizia, invidia, rivalità, egoi- 
smo , ambizione , tradimento, perfìdia, frode, broglio, se- 
duzione, baratteria, truffa, usura, ladroneccio, mariuoleria, 
stupro, adulterio, dissolutezza, maltolto, accattoneria , ac- 
coltellamento, assassinio , e cento altre mila simili , o peg- 
giori, depravazioni e miserie d’una civiltà volta a contrario 
fine : dall’ altra filantropia vera , generosità , carità , longa- 
nimità , sacrifizio abituale di sè , e delle cose sue , date a 
pubblico e privato vantaggio, assistenza a chi è in bisogno, 
disinteresse , rettitudine eminente, desiderio intenso del be- 
ne, orrore del male , coraggio militare e civile , infaticabi- 
lità , zelo, larghezza di consigli, d’indirizzi, d'aiuti... virtù 
cristiane. . . virtù civili. Or ciò fa una seconda categoria di 
disuguaglianze , maggiori ancora di quelle che precedente- 
mente consideravamo in più special modo ; disuguaglianze 


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— 153 — 


che hanno un gràdo intermedio de'non buoni e non cattivi 
abitualmente, ma degli andanti a orza. Donde la convenienza 
di tener gli uni come peste del popolo, e come non popolo; 
di diffidare grandemente degli altri , c di non aver fede , a 
pubblica e comune utilità , che de’ già provati ottimi , nei 
quali le altre condizioni pur concorrano. E di qui una nuo- 
va ragione perché la democrazia pura a’ popoli civili tanto 
men s’ attemperi quanto son più civili , e contenenti perciò 
nel loro seno , al fianco di molti ottimi , molti (tessimi , e 
molti che stanno tra l’ ottimo e il pessimo. Il perchè , se, a 
priori , e secondo le suggestioni astratte dal senso comune , 
in essi popoli avesse a crearsi una sovranità, certo ogni sua 
parte sarebbe agli uni negata assolutamente , agli altri non 
concessa in ogni cosa, e ridotta , nel generale , a più o men 
ristrette proporzioni ; e riservata o interamente, o nella mas- 
sima sua dose, a’ soli degni di questo privilegio. In che può 
ben essere una difficoltà grande d’esecuzione; ma ciò non 
toglierebbe che in teorica ciò avrebbe a giudicarsi il meglio 
da ogni savio. 

Per ultimo l’essenza della civiltà è il creare innumerabili 
maniere d 'interessi , de’ quali non è vestigio nella vita delle 
selve , o delle capanne : interessi principalmente materiali , 
odiali e screditati da quei che vorrebbero ricondurre gli uo- 
mini alla vita della selva e della capanna ( o lo confessino , 
o no, perchè chi vuole il mezzo vuole il fine ); ma interessi 
tanto connaturati a ogni società civile, che il turbarli a qua- 
lunque grado è fare a un popolo uno dei maggior mali che 
possano farglisi. Tali sono gl’ interessi di possidenza, gl’ inte- 
ressi d’industria promossi da qùe’ primi , gV interessi di fami- 
glia, gl’interessi di condizione , ed altri che non accade speci- 
ficare più a minuto. I quali da due parti si possono riguar- 
dare: dalla parte di coloro a chi spettano; e dalla parte del- 
I’ universale , in mezzo a cui sorgono, e si moltiplicano. E, 
dal primo lato, giova dire, che hanno essi una origine, della 
quale , se sono artificiali i modi , è da natura la principale 


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— 154 — 


radice. Perché è natura l'amare noi stessi , e i nostri con- 
giunti , e il nostro e il loro bene ed agio ; natura l’ istinto 
della proprietà, o del possesso di quél ciré ci troviamo avere, 
e di quel che andiamo procacciando man mano ; natura il 
cercar di crescere questo capitale nostro, che non siam pa- 
droni di non considerare come facente colla nostra persona 
un sol tutto , per tal guisa , che , quanto fa esso maggior 
somma , tanto fa più grande la nostra importanza , il nostro 
ben essere terreno, il sentimento d’ esser meglio che altri 
riusciti a soddisfare il bisogno ingenito d’alzarci con ogni 
nostro onesto sforzo , non per soperchiare chicchessia , ma 
per obbedire, anche in questo, alla legge di perfettibilità e 
di progresso ; natura quindi ( ciò che istintivamente a un 
modo medesimo ammise presso a poco ogni popolo ) , il 
chiamare ed il credere legittimamente nostro l’ ereditato , 
il donatoci , il comperato , l’ottenuto , si nel peculio , e si 
nella superiorità della condizion relativa a che s’ è giunti , 
o in che s’ è nati... il guadagnato e l’avuto dal lavoro, o da 
traffichi di buona lega; (ìnalmerite natura il riguardare l'in- 
teresse proprio d’ ogni forma come non si esclusivamente 
proprio della persona , che non s’abbia a riguardarlo quale 
un interesse, ad un tempo , dell’ intera famiglia alla quale 
apparteniamo, finché sarà essa per durare e per estendersi. 
E di qui categorie di ricchezza più o meq considerabile, in 
opposizione colla povertà ; di patriziato più o meno emi- 
nente , in opposizione col terzo stato e col volgo. Di qui 
tutta la scala delle fortune, per che uno è Grasso, o Luculio; 
un secondo è un accattone di strada; un terzo è un che vi- 
ve del suo, masotlilmente, con quel che basta, e con nulla 
che avanzi — Da un altro lato, se gli effetti di ciò, nell’uni- 
versale de’ cittadini, si considerino, quantunque a dì nostri 
molta sia la proclività de’ novatori al gridare , questo esse- 
re, non pur soltanto ingiustizia degli uni contro degli altri, 
ma ( quel ch’è peggio) gravissimo danno, gl’imparziali e 
giudiziosi però non cosi vorranno affermare quando ben vi 


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— 155 — 

riflettano, e quando massimamente volgan l’occhio alle con- 
seguenze ultime. 

Per chi ben guardaci! mondo è fatto in modo, cosi aven- 
do il creatore disposto , che non può uscire di questo di - 
lemma ; o dell’esser composto di lutti poverissimi , costret- 
ti , per sussistere, alla vita selvaggia , e nomade , e di cac- 
ciatori ; senza nemmen pastorizia , non che agricoltura ; o 
dell’ esserlo d’ uomini, i quali, cominciato a gustare le ma- 
teriali e miste dolcezze .d’ un viver più confortevole , più 
agiato , meglio congiunto con que’che s’amano, e co’quali 
s’ ha strettezza di sangue , più che le gustano , più ne di- 
vengono avidi, e più speronano la propria attività per pro- 
cacciarsele , ognuno, nella maggior misura possibile , senza 
essere impedito o disturbato , e più se ne creano quel che 
si chiama un loro interesse individuale, a cui tengon tanto 
quanto alla propria vita : ed allora, secondo che un s’ in- 
dustria più , un altro meno, uno piu è destro, un altro ha 
manco attezza , ecco a poco a poco ricchi e poveri , possi- 
denti e proletari , banchieri , mercatanti in ogni ragion di 
mercatura e di commerci, agricoltori , fabbricatori, merce- 
nari, patrizi, e plebei... uomini accasati e vagabondi , capi 
di bottega e garzoni , e manovali , padri di famiglia e sca- 
poli ricusanti la briglia delle nozze per amore dell' allegra 
e libera vita, quegli che ha la casa e la vigna, e quegli che 
non ha nè la casa, nè la vigna... E l’amore di ciò crescendo, 
cresceranno le distanze tra gli estremi , o le differenze. — 
Or quello è barbarie , questo è quel che sempre s’è chiama- 
to la civiltà , il progresso , o della civiltà , e del progresso, . 
effetto, ad un tempo , c causa e criterio e simbolo il più 
visibile. Volete voi una civiltà , invece , ed un progresso , 
senza questi effetti? Voi vi fate illusione. Avrete un ricadere 
infallibile nello stato barbaro. 

Imperciocché , si pubblichi , a cagiou d’ esempio , una 
legge domani, non dirò che abolisce ogni proprietà, ma dirò 
che abolisce, pur solo , la libertà de’ cumuli, e degli accre- 


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— 156 — 

scimenti , nella possidenza così detta , e che con una nuova 
divisione di tutte le terre distribuisce per teste il suolo, as- 
segnando a ognuno tanti iugeri, e non più. Aggiungansi al- 
tre leggi , che quanto è danaro faccian colare spartito coe- 
gualmente , o più o men coegualmente , su tutti. Chi non 
vede la conseguenza forzala? — Tu che non puoi coltivare 
colle tue braccia , con quali braccia coltiverai? Con quelle 
d’ un operaio preso a mercede? Ma l’operaio è possidente ai 
par di te , ed ha i suoi propri iugeri da coltivare. Se ad- 
doppiando la fatica , pur si darà braccia anche per te , si 
contenterà più egli di coltivare il tuo con quello stesso sa- 
lario con che te lo coltiva oggi? Vorrà raddoppiarlo, o aste- 
nersi , perchè non ha bisogno ; e tu dove troverai questo 
doppio danaro che t’ è necessario, se vuoi che i tuoi pochi 
iugeri ti faccian mangiare? Dove lo troverai , se sei di co- 
loro, i quali s’avvezzarono a vivere col solo frutto della loro 
possidenza , e non saprebbero far altro? (Oltre di che, se Io 
trovi, c glie lo dai, egli diverrà comparativamente il ricco, 
e tu diverrai , viceversa, il povero , ristabilita cosi a rove- 
scio , comechè dentro piu ristretti limiti , la differenza di 
fortuna , e ripristinato , per contrario verso , un nuovo bi- 
sogno di livellazione ). 

Ma, educato come sei, non ti basta, pe’ pochi iugeri che 
ti son dati , o che ti restano dopo lo spoglio, il trovare col- 
tivatori. Ei ti bisogna trovare un che dell’ amministrazione 
s’intenda, più di quel che tu ne intendi, tu che, probabil- 
mente , non vi pensasti mai , volto ad altro il pensiero , e 
solito a farti servire in tutto ; e questi ancora non vorrà 
spartire il suo tempo tra l'azienda della propria coltivazione 
e della tua, senza esserne ben pagalo egli stesso. Ecco dun- 
que per te una nuova necessità di pecunia , che non saprai 
donde trarre. Ecco, se tu arrivassi a trovarla su i risparmi 
eccessivi che t’ imporresti , una cagione per esso di sopra- 
stare a te nell’ avere, e di turbare il livello, quanto almeno 
il misero sistema che analizziamocomporta (colla conseguen- 


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— 157 — 


za poi del bisogno di sconvolgere nn’ altra volta la società, 
per novamente livellarla, quando il ricco sarà diventato po- 
vero, e il povero ricco). Ed ecco, se, non ostante ciò, non 
potrai trovarne quanta te ne bisogna, ecco dunque, ripeto, 
cbe i tuoi pochi iugeri non ti serviranno a nulla , e re- 
steranno incolti , con danno anche pubblico , e tu morrai 
di fame. — 

« Muori pure, tu fuco nell’alveare della nazione , tu il 
« quale non meriti vivere» dirà la legge nuova, che, senza 
scrupolo, e senza badare a numero, vuole uccidere una 
eletta parte della popolazione a profitto del nuovo mondo, 
il quale s’avvisa di fabbricare. « Muori tu, con tutti i tuoi. 
« Resteranno , con maggiore utilità, cittadini più laboriosi, 
« tra’ quali que’cbe prestan le braccia e la direzione per 
« coltivare, saran pagati con quel cbe lucreranno i non col- 
« tivanti con altre occupazioni retribuite. » — Ma che oc- 
cupazioni potranno esser queste? Arti, per esempio, di 
lusso? Tu burli. Queste no : perchè il lusso è una superfluità 
per que’gran birboni de’ ricchi, cbe necessariamente costa 
cara, essendo cara la materia prima, care le operazioni de- 
stinate a trasformarla , e le spese di manifattura ; ciocché 
fa , che il prezzo loro è necessariamente alto ed altissimo , 
e perciò irreperibile in un popolo dove ricchi più non sono. 
Dunque non più carrozze, non più arredi preziosi , non più 
drappi sfoggiati , non più cristalli e porcellane di Sevres , 
non più ori e gemme ed argenti , e per analoghe ragioni , 
non più statue , non più pitture, non più palagi , non 
più parchi , giardini di piacere , cavalli di pompa , vil- 
le... cose tutte riservate a’ paesi infelici dove duri la servi- 
tù degli uomini... Quali pertanto , nella beata tua Sparta, 
saranno le arti, a che que’chenon vogliono, o non sanno, o 
non possono, coltivar la terra, o fare al più vita di pastori, 
potranno darsi , per isperare sostentamento, e possibilità di 
coltura alle poche terre, che la legge agraria avrà voluto as- 
segnare alla loro incapacità? Siccome la consumazione è quel- 


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— 158 — 


la che regola sempre la produzioiìe , saranno > salvo poche 
eccezioni , le arti che si chiamano di prima necessità , ed 
elle stesse ridotte alla loro pili grossolana e più rozza e men 
costosa espressione.... E questo non si chiamerà rendere la 
spezie umana retrograda , e distruggere la civiltà ! ! ! Que- 
sto sarà il secol d’oro ( senza l’oro , e ricacciato nel fan- 
go dei consorzi umani che sono in sul cominciare, e 
che tengono ancor molto della primitiva creta senza ver- 
nice ). 

E io qui non parafraso l’argomento, e non lo-scorroper 
ogni suo punto, piacendomi a descrivere tutti gli altri con- 
seguenti: gli studi scaduti, le occupazioni geniali vegnenti 
meno , lo slaucio, il potere degl’ intelletti inceppato ... a 
dir breve, la condizione di tutto il popolo condotta solleci- 
tamente a quella forma, che oggi, per trovarla, dohhiam 
salire le montagne più selvagge, insinuarci ne’ villaggi i più 
rozzi.... 

Pur so qùel che si risponde dai gros bonnels delle nuove 
filosofìe politiche. Non son essi cosi bestie da non vedere 
tutto ciò , per poco che vi riflettano, cosi limpidamente come 
noi lo veggiamo... Ma essi han due lingue in bocca. Una 
colla quale parlano al volgo; un’altra colla quale parlano a 
noi. La prima delle due lingue favella alla faccia del popo- 
lo. — Divisione de’ beni — Distruzione de' ricchi — Abolizione 
dell’ odierno ordine di cose col ferro e col fuoco — Sovranità 
della moltitudine proletaria.... senza comento , senza restri- 
zione. E la feccia del popolo accetta con alacrità questo sim- 
bolo della sua fede politica nel senso il più letterale , il più 
largo ; e vi crede ; e se ne infatua ogni giorno più ; e affretta 
co’desiderii l’ istante , in che la legge agraria sarà promul- 
gata; e odia intanto, e minaccia que’ che hanno, consi- 
derandoli , come usurpatori del dovuto (!) a que’ che non 
hanno ( e che non hanno fatto niente per avere ). Come 
potrebbe essere diversamente? — La lingua, in questa 
vece, che parla con noi, rinega, o piuttosto maschera 


— 159 — 


sì fatte enormità. Va per giravolte. Sostituisce alle idee trop- 
po urtanti, ch’esse enormità rappresentano, altre idee che 
mostran meno quel che è celato sotto. Propone tempera- 
menti e sistemi , che creeranno una civiltà nuova, capace 
d’ evitare, o d’attenuare Uno ad una proporzione innocua 
i precedenti sconci. Utopie. Le Icarie d’ un Cabet ( da an- 
dare a cercare in America , lontano lontano dagli occhi di 
coloro, che potrebbero screditarne gl’ incunaboli , e rife- 
rirne le miserie). I ComuniSmi sotto certe forme. I socialismi 
de’Fourieristi e di Considerane diLouisBlanc, e di Prudhon: 
sistemi confutati ogni giorno lecento volte da uomini sommi.. . 
da uomini i più grandi, i più competenti della Francia, e del- 
l’ altre nazioni d’Europa, e pur messi sempre innanzi colla 
stessa impavida sfrontatezza , colla stessa subdola destrezza , 
fingendo, che confutazioni nou vi siano. ..che le dispute ab- 
biano cessato , o non meritino la pena ’d’ essere intraprese 
e siano state vinte ... che il giudizio dell’ universale ( non 
quello delle proprie sette soltanto ) sia già intervenuto , e 
sia stato favorevole : sistemi , uno de’quali è la confutazione 
dell’altro: sistemi, non pertanto, ciascuno de’quali , cosi 
ancor controverso, cosi ancor contrastato tra le file stesse 
degli odierni rinnovatori del mondo , non si è già contenti 
dell'ofirirlo solo all’esame ed alla disputa de’ ginnasi, com’io 
pur altrove considerava, ina, prima d’averne posto fuor 
d’ogni controversia la certa utilità presso almeno il maggior 
numero degl’invitati a subirlo, si vuol pervicacemente tra- 
durlo ad alto ; si vuole imporlo a tutti colla forza , e gua- 
dagnargli la prevalenza del numero, colla seduzione, e con 
arti di cospiratori ! 

Nè io, deviando troppo dall'argomento principale e diretto 
di questo articolo , debbo qui imprendere d’ aggiungere una 
confutazione di più alle tante che corrono il mondo, e che 
si rimangono senza adeguata risposta. A me, per l’oggetto, 
che mi son proposto , basterà fare una dimanda (lasciato da 
parte il trattare, se quello di si fatti sistemi, che ciascuno 


.ole 


— 160 — 

de’ parliti nuovi preferisce, e che, ad ogni costo, vorrebbe 
sostituito, senza dilazione, al presente ordine di cose, bada 
esser liberamente consentito, o si vuol che sia una confisca 
violenta delle libertà di troppi a profitto d’ una futura rior- 
dinazione degli uomini secondo la prestabilita formola d'al- 
cuni, che non si vuol disputata , né sottomessa ad arbitrio 
di rifiuto , ma si vuol accettata da chi non la crede buona 
ed utile , come da chi la crede , ancorché chi non la crede 
s’ostini invece a riputarla un esperimento eminentemente 
dannoso ed assurdo, o per lo meno grandemente rischioso, 
e pieno di pericolosa incertitudine). — Io farò la dimanda, 
che sola qui m’ imporla. — 1 nuovi sistemi di congrega ci- 
vile ( si risponda con franchezza ) manterranno si o no , la 
diversità , più o meno , di specie e di grado negl’interessi , 
anche materiali, de’ singoli, come in generale, l'ordine 
della civiltà mostrammo, per sua natura leudere a produr- 
re? — Se no: dunque ( levata pure ogni maschera ) tutti , 
ne’ materiali profitti , avranno lo stesso ; tutti spereranno 
lo stesso, o presso a poco lo stesso. Sparirà , o tenderà a 
sparire , la libertà del mio e del tuo, almeno quanto alla 
misura. L’attività, la solerzia, per ciò che spetta al ben es- 
sere fisico d'ognuno, non recheranno alcun maggiore van- 
taggio, che l’infiugardia, l’inerzia. La perizia più grande 
nello stesso genere sarà materialmente trattata come la mi- 
nore. Nella comunità nessuno avrà alcuno di quegli stimoli 
stali sempre, che più energicamente e più universalmente 
ed infallibilmente son motori al fare, non che al ben fare. 
— Vi sarà ( vorrà dircisi ) il premio della maggiore stima 
che si godrà da chi la merita, oltre alla soddisfaziou gene- 
rosa dell’ animo proprio. Vi sarà il piacere di sentirsi loda- 
to j di vedersi onorato, consultalo sopra gli altri. Ma que- 
sto é dimenticare, che si fatto premio già c’é nell’ordine 
odierno, e pur non basta senza quegli altri che oggi vi sono, 
anzi non basta nemmen con quegli altri. Questo é dimenti- 
care che noi siam composti d’anima e di corpo, 1' uno e 


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— 161 — 


l’altra co’ suoi speciali bisogni , e perciò cogl'interessi , e 
co’ diritti suoi ( purtroppo i secondi essendo , di più , me- 
glio sentiti che i primi ). Questo è il togliere de’ due ordini 
di molle, che natura ci ha dato per impulso al progredire , 
uno de’ più efficaci; il più efficace de’due; il solo efficace 
pel maggior numero de’viventi : i quali, se anche colla giun- 
ta della potente azione di si fatta specie di molle, si spesso, 
tra color pure che son meglio educati e disciplinati, si ri- 
stanno , c non progrediscono , o vanno all’ indietro, può ben 
prevedersi quanto più si ristaranno dal progredire , od an- 
dranno all’ indietro dopo la sottrazione che lor si minaccia. 

Ma qui non si fermeranno gl’inconvenienti, poiché biso- 
gnerà bene esser preparati al subire molti altresi di quelli 
che già di sopra toccavamo , od analoghi a quelli. Tradotto 
a pratica, uno od un altro di cotesti sistemi* per ipotesi , 
livellatori , senza bisogno di speciali leggi suntuarie, il na- 
turale loro effetto sarà che diverranno per tutti ugualmente 
interdetti certi innocenti , ma vivi, piaceri della vita, a che 
pur ci ha preparato natura , e non ci è a disgrado che ci 
educhi l’ arte ; cioè il magnifico vestire , la buona tavola 
con una corona d’ amici del cuore, servita di costosi mani- 
caretti , e di squisiti vini , e le altre , o simili cose ch’io di- 
ceva ; come dire argenterie , oreficerie , tappeti, arazzi, bei 
quadri , le sontuosità de’ palagi , le scuderie popolate da bei 
palafreni , o da generosi corsieri .... cocchi , cacce , viag- 
gi , villeggiature , libero ed ampio sfogo a’ propri generosi 
impulsi , e ad altri , che, per essere men nobili, non ci son 
però men cari, nè men sono innocenti.. ; il poter direasè 
stesso. — Y’è qualche cosa... v’è molto , di cui son io pa- 
drone... di che posso disporre a mio pien beneplacito, e di 
che posso , con oneste arti, a me accrescere il godimento , 
quanto a farlo mi basti la volontà e l’ ingegno, chiamandolo 
mio senza che altri me ne turbi, o me ne coarti ad una data 
invidiosa misura, l’uso ed il possedimento. Questa è la vera 
libertà del progresso. Questo è il progresso della libertà. 

1 1 


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— 16-2 — 


Libertà dell’ industria. Libertà piena «senza limitazioni. Li- 
bertà , non della sola persona , ma di quello , che , com’ io 
notava altrove, noi consideriamo qual parte , e connaturale 
contorno e complemento della nostra persona terrestre, nel 
senso che già esponemmo. Or si ponga ben mente alla con- 
traddizione. Si dice, che, ne’ sistemi presenti di reggimento 
de’ popoli le libertà son troppo vincolate , e non hanno il 
loro legittimo slancio, tiranneggiandole soverchiamente tutti 
più o meno i governi. Si dice, che il diritto al progresso è 
inceppato ; che è giunto finalmente il tempo d’ affrancar 
l’uomo dalle infami antiche catene; ed intanto i nuovi siste- 
matici preparano al mondo forme di schiavitù inaudite , e 
che non sono mai state. — La vita comune è d’ alcuni con- 
venti, e si sa quanta abnegazione del proprio volere ed istin- 
to costa, e quanto pesa , e quanta virtù esige perchè si giun- 
ga a patirla senza lamento. Altrettanto è dello stare a parte 
in mano , e del vivere a misura quale che siasi , ed a spil- 
luzzico in ogni cosa , secondo che altri assegni o conceda. 
Quel dover più o manco, giusta la diversità de’ sistemi, la- 
mentare tra sè e sè con queste voci : « La famiglia me la 
« usurpa in gran parte lo stato. La rendita me la limita lo 
« stato. La nobiltà me l’abolisce lo stato. La eredità me la 
« sequestra e me la impedisce lo stato » ( parlo qui special- 
mente nella supposizione sempre dalla quale son partito , 
cioè in quella de’ livellamenti , qualunque siane il metodo 
e la forma), non è egli un costringere ad esclamare chi cosi 
considera « Io non son più meijuris ! — Io mi son fatto servo 
« dell’ associazione d’ uomini nella quale sono entrato ! — 
« Questo è ben altro che società sinaliagmatica di buona fe- 
« de 1 — Questa è una società leonina , o una società da 
« volpe ( ripeteranno ) , dove il più poltrone , il più ga- 
« glioffo , il più stupido , il più disadatto, iLpiù vivente a 
« peso degli altri è il più favorito o il più furbo, ed ha sti- 
« polato in suo favore il monopolio del massimo vantaggio; 
« mentre il più attivo , il più industrioso, il più ingegnoso, 


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— 163 — 


« il meglio animato a fatica, quegli che del suo piu contri- 
« buisce , è quegli eh’ è sopraffatto , eh’ è derubato , eh’ è 
« vittima ! — Questo è il mondo alla rovescia ! — ? — Cosi 
combinisi ogni cosa come lo si voglia, diasi d’ oro alla pil- 
lola meglio che si sappia , cuoprasi con tutti i nastri che si 
voglia la trappola , mal s'ha fiducia del riuscire a ingannare 
altri che i più sciocchi. Da che l’ effetto ultimo sai che ha 
da essere l’averti tirato dentro ad una società a capitale mor- 
to, dove, nella liquidazione de’frutti , a te principale azioni- 
sta , o dei principali , dee toccare un dividendo pari al divi- 
dendo di chi non ha messo nulla, per poco che abbi saviez- 
za, non si sarai gonzo da lasciarviti accalappiare. Dopo tutte 
le quali considerazioni , per ultimo risultato , e per giunta 
alla derrata , a si fatta conclusione non si sfugge , che l’al- 
zarsi al postutto degl’ infimi , e di essi stessi fino a un limite 
poco lontano e di piccola elevazione , gioverà ben poco alla 
causa della civiltà e del progresso, e rabbassarsi a precipi- 
zio, de’ nati per esser sommi, gioverà a questo ancor meno; 
e perciò , che , contata ogni cosa , la conclusione finale sarà 
il regresso sollecito degli uomini verso quella che sempre 
s’è chiamata barbarie, non certo un’accelerazione di passo 
nel verso opposto. 

Se poi.ne’nuovi ordinamenti politici, che si ci si vantano, 
per salvar la legge di progresso, e di civiltà, e della naturale 
libertà di sé e delle cose sue, che alla civiltà ed al progresso 
è tanto incitamento , vogliansi conservate le diversità negli 
interessi di vario nome, si quanto a specie, sì quanto a gra- 
do (ch’era la seconda parte del mio dilemma), dunque co- 
stituirà ciò una terza categoria di disuguaglianze , crescenti 
col grado del progresso e della civiltà ; e ammessa la realtà 
di queste nuove disuguaglianze, come non dovranno gene- 
rare elle ancora una disuguaglianza ne'diritti in ragione delle 
disuguaglianze suddette ? Perchè , io non sarò di coloro , i 
quali esclusivamente le convivenze umane risguardano sotto 
l’aspetto di quelle società A’azionisli eh’ io poco là mentova- 


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— 164 — 


va , dove i soli valori de’ puri interessi materiali d’ognuno , 
tradotti nell’ idea del proprio tornaconto , rappresentino le 
azioni messe in comune, e quindi le correspettività de’ diritti 
politici da godersi. Certo v’è altro eziandio, a che gli eterni 
principii della giustizia distributiva comandano che s’ abbia 
riguardo , e spesso un maggior riguardo; e alcune delle cose 
dette di sopra mostrano in ciò la mia persuasione in questo 
senso. Ma non son io nemmen di quegli altri, i quali la som- 
ma e l’importanza disi fatti interessi non considerano affatto 
nella ripartizione de’ poteri e de’ diritti a’ poteri ; e per que- 
sto lato, tanta voce vorrebber data al mascalzone, il quale non 
ha interessi di possidenza, non d' industria... non di famiglia 
(od ha interessi tutti negativi , cioè tutti in opposizione co- 
gl’ interessi di coloro, i quali nell’ alveare sociale sono Tapi 
operaie e produttive ; tutti interessi di far guerra alla pro- 
duzione, alla possidenza, all'industria... alla famiglia... ; tutti 
interessi di disordine per pescare nel torbido) , quanta agli 
altri pe’ quali la società va prosperando, cresce in affluenza 
di beni, ed è corpo , regolare, utile , e conducente al fine , 
per cui principalmente le convivenze umane sono stabilite. 


< 


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— 165 — 


ARTICOLO IX. 


Continuazione dello stesso argomento. Trattazione 
d’ alcune obbiezioni alle quali si cerca rispondere. 


Ma io ascolto i lamenti che suonano alti. « 11 povero po- 
polo diredato! » si va ripetendo , inteso per popolo , meno 
ancora gli onesti e laboriosi , e solo infelici indipendente- 
mente da loro volontà o colpa ( che sono , è giusto dirlo, i 
più rassegnati, e per sovvenire a’ cui mali aspetto ancora chi 
mi dimostri le democrazie moderne essere il solo , od , al- 
meno, il più efficace rimedio ), ma tutto il codazzo de’ dis- 
graziati per propria colpa , e degni delle loro disgrazie , al 
cui riparo, ben potendolo il più spesso, e non volendo ado- 
perarsi eglino stessi , vorrebbero , in questa vece , imposto 
agli altri il peso e l'obbligo di sovvenire. « Il povero popolo, 
« si ripete , tiranneggiato, oppresso, angariato in ogni mo- 
« do, spogliato! » \ e lascia ingrossar la voce agli oratori, od 
agli scrittori demagoghi per aizzare contra il resto della so- 
ciale congrega le ire de’ purtroppo disposti a prender fuoco). 
« Bisogna che Spartaco spezzi le sue catene. Bisogna che il 
« proletario conosca la sua forza , e si faccia giustizia da sé 
« della ingiustizia de’ suoi tiranni. Bisogna che rivendichi il 
« diritto, non pure d’alzare il grido in ogni luogo e tempo, 
« sino a’reggitori della società per fare ascoltare le sue giuste 
« (od ingiuste) lagnanze, co’ modi determinati ( o indeter- 
« minati) da legge, ma bisogna , che concorra alla scelta di 
« essi Reggitori ; e non basta. Bisogna , che concorra alla 
«< scelta de’ suoi Rappresentanti , i quali faccian valere i bi-> 


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— 166 — 

< t sogni suoi, le sue querele, i suoi desideri ; formino le leg- 
« gì, veglino alla loro custodia , seggano più alto che il cosi 
« detto potere esecutivo, armati contro ogni suo sopruso od 
« abuso; e non basta. Bisogna eh’ esso medesimo, tenendo 
« gli occhi costantemente aperti e fissi , e su i Reggitori , e 
« su i Rappresentanti, domini gli uni e gli altri -, in questo 
« sentimento , che , a suo pien grado e libito , possa pub- 
« blicamenle rampognarli, screditarli, infamarli tutte le volte 
« che contro di essi crede avere motivo di lamento con un 
« color di giustizia ; e non basta. Bisogna , che col fin di- 
re chiarato di punirli , di degradarli, di deporli possa scen- 
« ’dere in istrada , radunarsi in casa od in piazza cercando 
« compagni per far valere le proprie intenzioni , cospirare , 
e< e preparare, privatamente e pubblicamente, i mezzi di riu- 
« scita senza esser turbato; e non basta. Bisogna che possa, 
« cosi, cercare nello stato la maggiorità, guadagnando pro- 
re seliti a sé , e con ciò forza , la qual finalmente prevalga ; 
re e non basta. Bisogna , che , rimanendo contra ogni suo 
re sforzo in minorità , pur non debba esser costretto a di- 
re chiararsi vinto, e a cedere in altro modo, che con uua ces- 
rr sione di fatto, ma non di diritto ; e non basta. Bisogna li- 
te nalmente, che possa egli stesso giudicare in ultima giu- 
re risdizione , se il suo diritto è violato; se la intera macchi- 
re na politica debba esser polverizzata ; se un nuovo ordi- 
« namento , nelle cose o nelle persone, debba esser fatto ; 
« e giudicatolo , bisogna che possa prender l’armi, e comin- 
ee ciare la ribellione , la rivolta , la guerra civile ... ! » — E 
questa é la perfezione del nuovo gius pubblico! » — O tem- 
pi ! o costumi ! 

Se non che tornali qui opportune molte delle considera- 
zioni altrove da noi proposte, aggiuntevenc alcune altre. In 
fatto di lagnanze contro a’governi, havvene mai penuria tra 
gli uomini ? Son sempre discrete ? O piuttosto , gli uomini 
son mai contenti o possono esserlo mai? Cessan mai di cre- 
der gii altri ingiusti verso di sé, verso gli amici, verso i co- 


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— 167 — 


noscenti? Trovati mai cbe chi comanda abbia ragione, quan- 
do ciò che comanda entra comunque negl’ interessi loro , o 
d’ altri che ottengano le lor simpatie facendo mostra di pre- 
giudicarli? Non accade egli, che, quando chi comanda ri- 
compensa, giudicato al tribunale dell’amor proprio e del pro- 
prio interesse , si trova quasi sempre che ricompensa trop- 
po poco e troppo male ? Quando è costretto a punire , si 
trova che punisce contro a giustizia? Quando ripartisce gra- 
vami è improvvido , è disorbitante, è tiranno? Quando è co- 
stretto a negare un desiderio, a non soddisfare a una diman- 
da, è iniquo, è inumano, è cattivo? E questi giudizi di cen- 
sura son forse abituali nelle sole cose che ci toccano ? o non 
cadono sopra ogni atto per bisogno di mal dire, di mostrarsi 
sapiente , di secondare la moda che corre , d’ uccidere il 
tempo finché il tempo uccida noi ? 

Il governo fa una legge ? È certo che , a giudizio della 
moltitudine , esso la sbaglia. Prende una disposizione ? La 
sbaglia. Non la prende? La sbaglia... E tutti i mali proce- 
dono dal governo , dalla sua imperizia , dalla malvagità di 
que’ che seggono al timone dello stato. Il governo fa essere 
fame, fa esser guerra, fa esser peste, fa esser miseria. Chi è 
in carica ha tutti i vizi e nessuna virtù. La calunnia lo va 
a trovare dovunque segga. Se non lo accusano gli uni , lo 
accusano gli altri, le accuse che lo riguardano non ban bi- 
sogno d’ esser provate. E tra queste accuse, e tra questi giu- 
dizi , vi fosse almeno uniformità ! I governanti saprebbero 
chi ascoltare. Ma è la torre di Babele. Uno censura in un 
senso , un altro in un altro opposto. È la favola del padre , 
del figliuolo , e dell’ asinelio... 

Questo, per verità, è stato sempre. I gobe-mouches d’ogni * 
paese, e d’ogni secolo ban sempre fatto e detto cosi. Ma nei 
tempi ordinari , e negli stati tranquilli , ciò era mestiere di 
sfaccendati, e di perdigiornata, esercitato, si può dire, sen- 
za gran malizia, o senza intenzione, in generale, né poten- 
za , d’ andar più in là , che di pascere la conversazione , ed 


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— 168 — 

uccidere il tempo. Passate certe ore, e fuori di certi luoghi, 
quegli stessi, che in questa mala occupazione logoravano una 
parte del giorno, tornavano alle lor faccende, e non vi pen- 
savan più. Gli altri non vi pensavan mai , o vi pensavano 
assai di rado. Il popolo minuto, nel generale , gridava , se 
aveva fame, o qualche grave sofferenza , se no, badava ai 
fatti suoi. Se avveniva che gridasse; jactu puìveris era facile 
contentarlo, od almen farlo tacere.... Ogni governante ave- 
va imparato lo specifico di Giovenale. Panemel Circemes . — 
A di nostri , molto diversamente va la bisogna. Chi non sa 
gli occulti e i palesi disegni? E una congiura in tutta Euro- 
pa, non celata, ma, con nuovo esempio, palese, confessata 
ad alta voce, ricoverata in luoghi donde liberamente tuona, 
e pubblica colla stampa una parte delle sue trame, e minac- 
ce ; e che non perciò s’ astiene dall’ usare , ad un tempo , 
con molla e deplorabile perizia, il periglioso e terribile stru- 
mento delle segrete leghe, e dei conciliaboli. Agitatori scor- 
rono, in nome di lei, le file del popolo, e non fanno sosta; 
né è ceto di persone, che non cerchino guadagnare alla causa 
loro. Più che altri, stuzzicano la plebe, e non isdegnano la 
canaglia, scegliendo le cerne, e le sentinelle morte, ovun- 
que sperano trovarle. E che scuola danno al minuto popolo? 
Lo educano a malcontento. Gli empion le orecchie d'accuse 
giornaliere e di calunnie contro a chi regge. Il vero lo esa- 
gerano. Inventano il falso. Fan si bene il mestier loro, che 
tutto quello che dicevamo , poco indietro, essere uno spar- 
lare ed un pensare di pochi e sfaccendati, e ordinariamente 
non volgo, ora divenne il parlare anche delle femminelle di 
mercato, anche de’mercenari, anche degli scioperati di piaz- 
za, anche de’ contadini alla taverna. 

V’è peggio di cosi.I gobe-mouches del tempo passato ado- 
peravano a questa forma per passatempo e non andavano 
(siccome dicemmo) più in là colla mormorazione. Nel resto 
eran buona gente, che si sottometteva e lasciava fare , solo 
brontolando, e mettendoci mal garbo. La faccenda oggi , 


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— 169 — 

oltre all’ esser divenuta un male molto più esteso, e già in- 
vadente il ceto più numeroso , meno istruito , men capace 
di ragionamento, più corrivo a venire alle mani, è divenuta 
una molla potente di perturbazioni popolari , che si predi- 
cano necessarie, che si preordinano, che si danno ad inten- 
dere d’effetto infallibile. I sedotti e guadagnati a queste abi- 
tudini, massime gli uomini di braccia, si arrolano, si di- 
stribuiscono in compagnie, si sottopongono a capifila , si 
pascono di prossime speranze, s’armano, o si dispongono 
ad essere armati , c ad usare delle armi loro a un primo se- 
gnale. E si grida contro alla tirannide de’ governi, se, spa- 
ventati da tanta audacia , cercano prevenire il danno ; se si 
difendono ; se rendon guerra per guerra... nè tuttavia trat- 
tano, di gran lunga, la parte nemica e cospirante a quel 
modo, che questa dice, ad alta voce, che tratterebbe essi , 
ove vincesse. I savi ed onesti deplorano intanto da una parte 
i popoli ingannali , ed eccitati ad eccessi ; dall’altra parte i 
governi condannati , o a perire disarmati e veggenti, o piut- 
tosto non veggenti , o ad usare contro alla imminenza di 
mali straordinari , rimedi non meno straordinari.... 

Ma questo non è del mio presente proposito. Per l'argo- 
mento che ho tra mani, basta fermare l’attenzione sui conse- 
guenti necessari di esse nuove abitudini insegnate al basso 
popolo, e a tutti, dove gli agitatori conducessero ai fine spe- 
rato la intrapresa loro , e di queste -abitudini , fatte univer- 
sali, creassero diritto permanente all’universale. 

Quanto si è più grossolani ed ignoranti, tanto si è più fa- 
cili a immaginare torti od aggravi recati dai maggiori di noi, 
de’quali ci si è insegnato a diffidare ; c tanto siarn men ca- 
paci di giudicare intorno a ciò rettamente, senza metterci 
passione , pervicacia, o allucinazione, ed errore; tanto si è 
più disposti a prestare orecchio a voci che circolano , senza 
esame, e senza capacità d’esame, e a far coro agli altri: tanto 
s’è più turbolenti , impetuosi, irriflessivi, disordinati , ca- 
pricciosi , mobili , ringhiosi , rissosi , e se si lascia fare , ca- 


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— 170 - 

paci ogni giorno , per lievi motivi , d’ un tumulto , d'una se- 
dizione, d’un correre a stormo, che prenderà, o non pren- 
derà , le proporzioni d'una rivoluzione , secondo che le ca- 
gioni moventi , guadagneranno a sé pochi , o molti, o un sì 
gran numero a che la resistenza sia inefficace. 

E, lo si noti bene , la realtà del torto o del diritto , in 
tutto ciò non entra per nulla. S’ha egli a fidare in querele 
sorgenti sopra si labile fondamento ? E sian giuste alcune 
volte. Per lo meno non si negherà che è gran discrezione 
dalla mia parte , s’io mi contento di dire che non lo saran 
sempre. E intanto la moltitudine venuta a questa massima 
di gius pubblico, o di gius costituzionale , eh’ essa ha diritto 
di giudicar da sè si fatte controversie, riunendo in sè le tre 
parti di querelante ed aggravalo , di giudice , e d'eseculor 
di giustizia , avrà posto a soqquadro il paese , che avrà per 
lo manco messo in commovimento più o meno grave, anche 
senza motivo legittimo. E concessa la facoltà di far questo 
ad ogni suo libito; e datale !’ educazione di star sempre in 
ascolto, e di andare a caccia ogni giorno di temuti soprusi; 
e , in si fatto genere , tanto essendo facile il creder di ve- 
derli dove sono, e dove non sono, e perciò di trovarne 
ogni giorno da ogni parte ; e colla ripetizione giornaliera 
di si falli trovamenti, veri o immaginarli, non essendo pos- 
sibile, che il concetto non si crei di mala amministrazione, 
di prevaricazione, d’incapacità, e non metta radice; che 
l’occhio non si falsifichi e non s’ avvezzi a trasformare in 
travi le paglie, in paglie e travi l’ ombre, cominciata e 
rafforzala la passione che fa odiare : come le intenzioni di 
rivoltura, e il tentar di venire a’ fatti non saran cosa fre- 
quente in intollerabil modo, siuo a fare impossibile ogni 
stabilità d’ordini politici quanto a cose, e quanto a persone? 

Aggiungiamovi adesso le altre ragioni atte a crescere le- 
gna al fuoco. La potente efficacia del diritto di riunione nelle 
case e nelle piazze non si vuol che basti a preparar alle tur- 
be il pan cotidiano del catalogo delle querele da diffondere 


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— 171 — 

per mutuo insegnamento , delle predicazioni demagogiche 
da riportare a casa, delle declamazioni contra i magistrati, 
contra le leggi che sono , e a favore delle leggi che non sono 
ancora e che si vuole che abbian da essere.... contra le ri- 
soluzioni governative e i governanti. Si chiede l’altro pa- 
scolo pur cotidiano de' giornali liberi , diffusi per istampa 
a migliaia d’esemplari : catechismo il quale infervori i tie- 
pidi, faccia scaldare i freddi, faccia bollire gl’ infervorati , 
rinforzi gli odi , serva di testo ai conienti d’ ogni giornata , 
presti una mano amica alla propaganda ; dia unità , e per- 
ciò consistenza e gagliardezza al partito, prepari con ogni 
arte il successo degli sforzi perturbatori e sovversivi. Si 
chiede la licenza de’ banchetti politici, dove l’aiuto dell’eb- 
brezza, l’eccitamento fattizio de’ vini, il delirio della goz- 
zoviglia, meglio renda accessibili le orecchie ai parlari furi- 
bondi, a’ brindisi sediziosi, meglio ecclissi le ragioni , ac- 
cenda le fantasie , muova tutti a prorompere. Si chiede la 
libertà delle canzoni popolari , con che Tirtei di strada fac- 
cian risuonare città , castella , ville , campagne, d'inni a 
dispregio deH'autorità imperante e delle sue personificazio- 
ni, e della legge, cuoprendo ogni cosa d’un fango d’infa 
mia, rendendo ridicole e spregiate le cose e le persone le 
più sacre e le più bisognose di rispetto. Si chiede il diritto 
degli affissi... Si disarma da ogni parte la giustizia, il go- 
verno. La forza soldata non si vuole. Il cittadino vuoisi che 
possa deliberare armato. Le sue schiere, adunatesi all’aper- 
to, hanno ogni diritto di combattere la potestà stabilita. 
L’ armata che tien pel governo , ed è da lui , non ha diritto 
alcuno di voltare le offese contra la sedizione che imperver- 
sa. E con questi , ed altrettali preordinamenti, trovatemi il 
modo, se potete, d’avere una congrega umana, nella quale 
lo stato ordinario non sia la guerra civile.., non sia l’im- 
possibilità d’ogni direzione regolare, d’ogni autorità dure- 
vole ! 

Né ho detto ancor tutto. Costituito a questa guisa il dirit- 


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— 172 — 

to universale d’ ogni cittadino a si fatto perpetuo , non pur 
sindacare , ma combattere l’ordine stabilito , e i depositarli 
del potere , e creatone l’abito e il bisogno , che ne verrà ? 
Gli uomini non essendo mai d’accordo tra loro , avrassi , 
non un partito , ma cento partiti , che lacereranno il paese , 
e ne logoreranno le forze. Per legge naturale di reazione , 
a far fronte a’ nemici , si leveranno incontro gli amici. E tra 
i nemici stessi , se vi sarà di leggieri accordo nell’ unirsi a 
rovesciare persone o cose che spiacciano, cesserà l’ accordo 
quando si disputerà intorno alle persone o alle cose da so- 
stituire nel luogo restato vuoto. Chiaro è che qui non si 
tratterà più di ragione di foro , perchè , in ipotesi , la que- 
stione non è questione di foro, ma d’armi. Avremo la vit- 
toria de’ più forti sinché sono i più forti ; i quali , da che 
vinsero , e preser possesso del potere , disarmati ornai dalla 
legge , quanto li armava prima , o privati almeno d’ogni ar- 
me veramente efficace , saran condannati ad aspettare la lor 
volta , quando che sia , fine uguale a quello de’ predecesso- 
ri. Ed aspettando il termine facile a prevedersi d’ognuna di 
queste dispute eterne , e continuamente ripullulanti , s’a- 
vranno intanto i soliti accompagnamenti d’un si fatto ordi- 
ne di cose. Gli uomini resteranno in trepidazione e in un’a- 
gitazione perpetua. La disputa principale si suddividerà in 
un’infinità di dispute subalterne: o per dir meglio, si dispu- 
terà di tutto , e si guerreggerà su tutto. Per una schiera di 
turbolenti e rivoltuosi, avrannosi cento schiere. Sarà il cam- 
po d'Agramante, quando vi fu entrata la Discordia colle 
sue vipere. E intanto non impedirà ciò il fiorir pacifico de- 
gli studi e delle arti ? il commercio ? l’ industria ? le ricchez- 
ze e la prosperità pubblica ? il tanto famigerato progresso ? 
Un paese esposto a questi flutti non rassomiglierà a un ma- 
re , dove la calma è un accidente passeggierò , il cozzare 
alterno de’ marosi è lo stato ordinario , l’imperversar della 
tempesta lo stato non infrequente? Quando il gravissimo 
affare del riunirsi in civile congrega debba riuscire al com- 


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— 173 — 


porre una cosi irrequieta aggregazione; quando la massima , 
dalla quale si parte, è che non ci abbia da esser mai fiducia 
reciproca , e che , a qualunque termine , si possa sempre 
turbare a libito di chicchessia tutta la macchina dell’associa- 
zione , o tale e tal altra sua parte ; quando il primo patto è 
che niuno , all’ amor della pace e della concordia , cederà 
mai nulla delle proprie pretensioni, del proprio desiderio di 
mutare i patti ogni volta che in capo ed in seno gli nasca ; 
ma cercherà , per ogui via , di seguitare il suo capriccio , e 
di tirar quanti più può ad aiutarlo in questo... allora vai 
dunque meglio non unirsi. Per fortuna , una tal condizione 
ha un principio in sè di morte , nè può avere lunga durata. 
Perchè , se alla pratica si traduca , va necessariamente a fi- 
nire in una di queste tre uscite. O stanchi tutti d’una tanta 
intollerabilità di cose , abbandonano il paese e la lega , e 
van dispersi , chi qua, chi là, cercando in altra aggregazio- 
ne la calma che han perduto , e che disperano di riacquista- 
re. O , arrivato il male ad un termine estremo , è una rivol- 
ta generale contra le rivolte ed i loro principali fomentato- 
ri , che s’esterminano col ferro e col fuoco , siccome una 
mala cuscuta introdotta nel campo sociale. O , se questo non 
fa il popolo , o la pluralità sua levata a romore , ben lo fa 
un destro , e valoroso , o pochi destri e valorosi lo fanno, 
conquistata una dittatura , o stabilita una oligarchia , sulle 
rovine della debellata licenza , che alla ragione riduce colla 
forza chi disimparò di sottostare alla forza colla ragione. 

E questa ultima è la fine la più frequente. Voglionsi pro- 
ve? Oh ! non è Cicerone , quegli , che , sin dal suo tempo, 
scriveva , o piuttosto profetizzava , ne’ libri della repubblica 
— « Quando... un popolo... della libertà , a che pur giun- 
« se , non temperatamente bee , ma a piena gola , e tutta 
« puia la tracanna, persegue esso allora , e rimprovera , ed 
« accusa i magistrati , ed i principi suoi , se al tutto beni- 
« gni e maneggevoli non siano , e largamente non lo lasci- 
« no libero ; e soperchiatoci li chiama e tiranni. Donde poi 


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— 174 


« questo seguita : che gli obbedienti a si fatti principi , e i 
« contentantisi di loro, proverbia, e chiama volontario ser- 
« vidorame ; levando, in questa vece , a cielo que’magistra- 
« ti che nell'esercizio dell’autorità fan come se l'autorità 
« non avessero , e caricando di lodi quei privati , che tra- 
« passato il confine del privato vivere , usano delia potestà 
« come se legittimamente l’avessero. Con che , in una città 
c< a questa ragion governala , tutto di libertà ribocca , e le 
« case stesse de’ cittadini a pari sbrigliato interno reggi men 
« to s’avvezzano... di guisa che i padri v’han soggezione 
« de’figtiuoli , i figliuoli si ridono de’ genitori , non é più 
«riguardo e rispetto dell’uno all’ altro , da cittadino ad 
« estero , da maestro a discepolo , da giovane a vecchio. I 
« discepoli si fan maestri , e certi vecchi son costretti a far- 
« la da giovani per non essere in dispetto. E di qui accade, 

« che i servi escono essi pure di freno e di obbedienza. Le 
« mogli vogliono parità di diritti co’ mariti... Finché da que- 
ll sta infinita licenza a tale si viene, che a eccesso d'intol- 
« leranza e di fastidio si temprano le menti di tutti , co’qua- 
« li se comando s’usa , o forza anche lieve , imbizzarrisco- 
« no essi , e ad ira s’accendono , e noi comportano. Il per- 
« chè , incominciano a sprezzare le leggi , e a non osservar- 
« le , e ad ogni padronanza negano di soggiacere. 

« Ma da questa licenza soverchia , che sola chiamano i 
« miseri libertà , nasce indi la tirannide ; perchè , come 
« dalla troppo sbrigliata potenza d’alcuni principi , vien la 
« morte del principato , così dalla troppo libertà de’ popoli 
« viene la servitù... Imperciocché , in mezzo a questo po- 
« polo indomito , o piuttosto disfrenato , qualcuno final- 
« mente sorge , fatto capitano dagli altri contro a quelli che 
« sono oppressori , già gravati dell’ira pubblica , e vacillanti 
« sulle lor sedie , impronto uomo , ed ardito , e rotto a te- 
li merità , che i buoni tien bassi e rimuove , e a que’passa 
« innanzi , fattosi grato alla moltitudine co’ doni del suo , e 
« dell’altrui. Al quale , perchè privato ed oscuro , volentie- 


» 


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— 175 — 

« ri si danno le cariche e si continuano , accordandogli il 
« fiancheggiarsi della forza amata , come ciò fu di Pisistrato 
« in Atene. E poi si scuopre quel ch’egli è , fattosi tiranno 
« di quegli stessi , dai quali fu messo in sella....» E cosi 
finis coronai opus! La regola , a dettato dell’Oratore d’Arpi- 
no, che da Platone ciò trasse, è generale. Dunque la tiran- 
nide , o per usare una parola di meno invisa significazio- 
ne . e più vera , la monarchia assoluta , che comanda senza 
render mai ragione di sé ad alcunode’ cittadini, è ultimo effet- 
to dello sbrigliato potere, il quale dà il popolo a sè stesso... 

A’nostri giorni medesimi , se principe assoluto fu mai , 
certo fu Napoleone ; e Napoleone chi lo generò ? Egli fu un 
termine necessario a che dovevano uscire le antecedenti dis- 
orbilanze repubblicane di Francia. 

E qui altri esempi stimo superfluo l'addurli. Certo non 
mancano. Ma gli stessi banditori- odierni de’nuovi diritti ne 
sono persuasi : essi che ( ben vedendo essere impossibile go- 
vernare , se i governali non si obbligano a lealtà d’obbe- 
dienza ) mentre promettono il futuro godimento di essi di- 
ritti , fan però le loro riserve per tutto il tempo in che toc- 
cherà a loro la direzione della guerra occulta e manifesta 
per conquistarli. Imperciocché insegnano , che allora (ed al- 
lora solamente) le moltitudini delle quali si son fatti diret- 
tori potranno quel che vorranno. Intanto essi direttori co- 
mandano e vogliono obbedienza cieca , obbedienza di setta , 
obbedienza senza resistenza , senza replica , senza esame ; 
obbedienza sotto pene terribili , pene inflitte senza processo 
(tanto sentono eglino stessi che comandare senza certezza 
d’essere obbediti non è comandare ; che governare senza 
virtù di costringere e di por freno a’ ricalcitranti non è go- 
vernare ; che gli assolutismi , v’ ha pur caso nel quale sono 
necessari! ). E cosi la libertà e la franchigia è nelle promes- 
se : la servitù ... una servitù più intera e più inesorabile an- 
cora delle supposte servitù contro alle quali si è provocati 
a ribellarsi , è nel fatto storico. 


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Rispetto a che , sì han fede anch’essi , nel qui da noi det- 
to , i capi propugnatori delle teoriche le quali combattiamo , 
che , a quattr’ occhi , e fuori del cospetto del popolo , non 
lo negano : poiché ognun di noi li ha spesso uditi risponde- 
re , allorquando di si fatte considerazioni si schieran loro 
innanzi le principali ; eh’ essi veramente applicano il diritto 
di tutta la immensità di lor licenza or da noi combattuta a 
questo tempo di guerra a morte la qual son deliberati di fa- 
re a’ vecchi sistemi di governo che tiranneggiano il mondo 
(ritenuto però sempre , che tuttavia la licenza ha da essere 
relativamente a’ governi , mentre relativamente alle sette ha 
da essere pur sempre la servitù pocanzi ricordata , per far 
possibile e sicura la direzione); ma più tardi, come di sopra 
si è detto , un po’ d’ordine s’ha da stabilire ; certi freni ci 
han da essere ; all’uso della libertà debbono essere prescrit- 
te certe regole. Se non che , per non Smascherarsi , quau- 
do si è in sul chiedere quali han da esser si fatti freni , e 
quali si fatte regole , si guardan bene dal dare una risposta 
precisa ; e se ne schermiscono i più astuti dicendo , che 
queste le son cose , le quali nessuno ha l’autorità di stabi- 
lire , ma dipenderanno a guerra vinta dalle deliberazioni 
de’ popoli , educati intanto a vivere scapestrato , e ad impa- 
zienza d’ogni legame in tutta la porzion loro la più nume- 
rosa , la più pronta a’ fatti , la più difficile per natura ad 
imparar disciplina ; e ignoro poi con che arti si confidino di 
poter questa disawezzare da ciò che per lunghi anni fu il 
suo latte e il suo pane cotidiano , per avvezzarla a privazio- 
ni e restrizioni , di che nè ha il gusto nè l’abito... 

Resta dunque pur sempre vero , che , se il povero popo- 
lo non ha da essere diredato; l’eredità legittima dalla quale 
non può nè dee spogliarsi , non è certo quella della parteci- 
pazione alla sovranità nel senso moderno della parola. Re- 
sta pur sempre vero che la causa della democrazia è una 
causa , la qual trascinala innanzi al tribunale della ragione , 
non può essere difesa. 


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— «77 


ARTICOLO X. 

Di nuovo delle ragioni , per le quali la formazione a priori d’un 
ottimo governo, e lo stabilimento il più ragionevole della so- 
vranità in un popolo , non ha regole generali , e costituisce 
un problema di difficilissima , e quasi impossibile soluzione , 
massime quando la soluzione al popolo s’ abbandoni. 

Ma, se la democrazia (quella soprattutto che vagheggiano 
i moderni) non è specie di governo , il quale ragionevol- 
mente convenir possa ad uu popolo, e se le consultazioni , 
intorno a ciò , del voto universale non valgono a nulla , 
quali dunque saranno le dottrine le più sicure , e le più ve- 
re , per la formazione (seguitando le migliori norme) d’un 
governo , e della sovranità , che ne è parte principalissima? 
— lo non posso, riguardo a ciò, altrimenti rispondere, 
che ripetendo quel che sentenziava fin da principio. Regole 
generali , cioè applicabili a tutti i casi , non ve ne sono. E, 
dato un particolar caso, è difficile indovinare quel che debba 
farsi di più opportuno al caso che si ha per mano. Questo è 
uno di que’ problemi , che è quasi impossibile di bene e si- 
curamente sciogliere a priori. Le soluzioni son tutte , non 
pur difficili, ma incerte ne’loro effetti , ed ingannevoli. Non 
vi sono teoriche le quali valgono , perchè le ragioni , che 
spesso inevitabilmente le fan fallire , non si possono , il più 
delle volte, nè pesare , nè prevedere. Si lavora sopra dati, 
che nè tutti si possono conoscere e contare , nè conosciuti e 
contati si possono apprezzare come e quanto si converreb- 
be. Così , in una materia si fatta , la prudenza umana , ben 
può e dee tentare di far quello che pare il meglio : aver pie* 

1*2 


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— 178 — 

na fiducia d' indovinarlo noi può , nè il deve. La prudenza 
umana però , nella pratica della vita , ha ella , quando si 
fatti affari si trattano , voce in capitolo , per servirmi d'una 
volgare espressione? Risponderei di si , se potessi, ma trop- 
pe ragioni mi costringono a risponder no. 

V’è una prudenza umana ne’libri , la quale è il frutto 
delle cure congiunte d'uomini dotti , saggi , pieni di pratica 
perizia , che posero in carta ciò che sempre ai migliori par- 
ve meglio : ma questa prudenza umana , la quale si può 
chiamare una prudenza astratta , è troppo generica , e fa 
poco al caso. Essa non sa dare , che regole generali , e di 
piccol numero , soggette a molte eccezioni , a molte limita- 
zioni , a molte riserve , a molte variazioni , che il libro non 
può dire... che si diversificano al diversificare de’ casi.... e 
che cadono sotto la giurisdizione d’ un’ altra prudenza uma- 
na , assai più labile di quella prima , la quale (dico la secon- 
da) non è una prudeuza scritta , o da cercarsi e trovarsi 
nel libro , ma bisogna dimandarla ad alcuni uomini nel con- 
sorzio in cui si tratta stabilire sovranità e governo. 

Or 1°, questi uomini ne’ quali abita la qui richiesta pru- 
denza (specialmente nel genere di che qui si tratta) , pur- 
troppo , alle volte , in tutto un popolo non vi sono , o ve 
n’ è un si piccolo numero , che è come se non vi fossero. E 
sarà ciò una disgrazia, di che è lecito lamentarsi , maravi- 
gliarsi , indispettire... ma ciò non farà che al non esservi si 
trovi rimedio. Ed allora la quislione è finita. Certo quei 
che uon vi sono , o che sono in un numero comparativa- 
mente minimo , e di poca voce , non hanno voce in capito- 
lo , o non hanno voce che basti a farsi udire in capitolo- 

2. Questi uomini , dove anche sono , e dove formano un 
sufficiente numero, è difficile che arrivino a farsi ascoltare, 
ed a prevalere in mezzo alla maggior turba di que’ che non 
son prudenti, e che pretendon d’esserlo, o non si curan di 
esserlo, perchè imece hanno più a cuore di far prevalere i 
loro interessi , il loro capriccio, le loro passioni: laonde , 


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— 179 — 

quanto all’ effetto dell' aver voce in capitolo , è come se non 
fossero. 

3. Questi uomini, dove anche fossevi generale disposizio- 
ne ad ascoltarli, é diffìcilissimo il conoscerli : perchè , dal- 
l’ un Iato , tra essi , che , per supposto non manchino , ed 
anche siano in bastevol numero, si mescolano ad atte sem- 
pre altri in veste di prudenti, benché in fatto cerretani po- 
litici, i quali si dan più moto de’prudcnti veri, e si mettono 
innanzi , e cercano di compensare coll’ intrigo e col ciarla- 
tanismo a quel che loro manca in vera capacità. Dall’ altro 
iato l’ignoranza delle moltitudini è sèmpre si grande , che 
facilmente si lascian vendere loglio per gran legittimo , e 
scambiano i capaci cogl' incapaci e viceversa; e cosi a quelli 
tolgono in capitolo la voce che legittimamente spetterebbe 
loro. 

4. Quest’ uomini , dov’ anche sono, e dove, per un mi- 
racolo, sono riconosciuti per quel che sono , purtroppo egli 
avviene (tale e tanta è la imbecillità delle menti umane), che, 
in argomento sempre incertissimo , e diffìcilissimo , qual è 
quello di che parliamo, si dividon di parere, e melton fuori 
sentenze tanto discordi, che una è distruttiva dell’altra, fra 
le quali è caso assai contingente, che il parer migliore pre- 
valga in capitolo si sul resto delle moltitudini , e si tra gli 
stessi prudenti. 

5. Per ultimo a tutti gl’impedimenti esposti s’aggiunge 
l’impedimento degl’interessi e delle passioni ne' prudenti 
medesimi, onde accade, eh’ essi, non mcn delle moltitudini 
ignoranti, pongono, non di rado, in disparte la prudenza e 
la capacità, per operare non nel senso del ben pubblico, ma 
come se fossero imprudenti ed incapaci , e così accrescono 
l’incompetenza e l’improvvidità del capitolo. — Donde, qual 
tinaie conclusione , si giunge a tanto, che, se si parte dal- 
l' ipotesi che il popolo abbia da esser quello, il quale scelga 
i probi e capaci , c che, coll’ aiuto di questi stabilisca quel 
ch’è il suo meglio , ciò è supposi/ione e speranza da collo- 


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— 180 — 

care presso a poco nel numero de' sogni i quali fannosi ad 
occhi aperti , e de’ castelli in aria senza solidità , e senza 
base. 

E ancora tutto questo è, quando una congrega d’uomini 
sia venuta a tale di potersi liberamente dare un governo ed 
una sovranità, di per sè, rimosso qualunque ostacolo, con- 
venendo in quello che si chiama un palio sociale. Ma non 
s’èegli, da lungo tempo, fatto osservare, che ciò in pratica 
non è mai , o quasi mai? — Perchè tutti nasciamo , se non 
siamo selvaggi, in seno a qualche governo bello e formato; 
c, se siamo selvaggi, tanto e tanto nasciamo in mezzo ad una 
specie di società, della quale non ci è lecito, nè domandato, 
nè di leggieri possibile, cangiare e rimpastare le forme a no- 
stro grado, per molto che lo desideriamo e lo vogliamo. In 
fatti , non è niai caso, che tutti concorrano in questo desi- 
derio e bisogno. Vi sono gl’interessati a conservare l’ordine 
stabilito, buono o cattivo eh' esso sia, perchè vi trovano il 
loro privato vantaggio e piacere. Vi sono gl’ indifferenti , i 
quali il male non lo apprendono , e niente tanto temono , 
quanto le mutazioni radicali, che turbano pur sempre la se- 
rena Ior pace, e perciò vi resistono (dico alle mutazioni), per 
lo meno colla inerzia , e colla mala volontà. Vi sono, in una 
parola , i conservatori, che mai non mancano , e che tanto più 
abbondano, quanto una società è più civile , e, per conse- 
guenza , quanti ha più interessi in giuoco , i quali pericolino 
ne’subiti cangiamenti degli stati. Dunque le congreghe uma- 
ne, già costituite a più o men perfetta convivenza , quanto 
più sono civili , tanto è men facile il disfarle per rifarle , a 
legge di patto sociale , altrimenti che passando per una rivo- 
luzione violenta , che pochi ed arditi fanno contra i molti 
sperandoli mal preparati a resistenza. Della quale rivoluzio- 
ne quali siano i frutti, e quanto amari, e quale perciò ('ingiu- 
stizia , e quali le difficoltà, per lo più insormontabili, che in- 
contrano, lo abbiamo altrove ragionato. Ma si suppongano 
anche fatte a qualunque costo , e siano riuscite per modo che 


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— 181 — 


abbiano ornai vinto. Una nuova difficoltà sorgerà allora , e 
sarà , che certo non i prudenti , e i savi , ed i probi saranno 
stati quelli che la rivoluzione avran fatto , e a cui profitto la 
vittoria si sarà ottenuta , nè quelli perciò a’ quali la palla del 
governo sarà balzata e restata in mano, perchè i savi, e pro- 
bi, e prudenti non fanno le rivoluzioni, e non vi prendon 
parte, o se sforzati ve la prendono, non son quelli che vi ot- 
tengono il baston del comando. E qual è invece il fatto pres- 
so a poco inevitabile? È che i veri vincitori , i quali saranno 
necessariamente i più giovani, i più bollenti e i più spavaldi, 
non per niente vorranno aver combattuto e vinto. Cresciuti 
in superbia crederanno di saperne più di tutti, e non si cu- 
reranno gran fatto di cercar prudenza e sapienza fuori del 
loro cerchio. E il resto è inutile dirlo. Come impetuosa , e 
turbolenta fu l’opera di distruzione, cosi non meno impe- 
tuosa, e non meno turbolenta sarà l’opera di riedificazione. 
Il famoso palio sociale , sarà il patto di chi porta la spada con 
chi non la porta. Le toghe cederanno allearmi, e sarà quel 
che sarà... quel che avrà disposto la Provvidenza , piuttosto 
che il miserabile senno umano. 


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— 182 — 


ARTICOLO XI. 


Del perchè e del come il problema del governo e della sovranità 

è presso a poco insolubile a priori per l’umana sapienza . 

A ine par d’udire che i più tra i leggitori diranno.— «OU 
« che specie dunque di problema è cotesto, della cui solu- 
« zìodc Iddio sembra aver creato una necessità agli uomini 
« senza dar loro un facile e buon mezzo di presto e bene 
« scioglierlo? e come ciò colla sapienza , e colla boulà del 
« Creatore può conciliarsi? » — E io potrei rispondere — 
Che vale ciò? So il fatto è così come io dico, le ragioni del 
fatto possono ben essere di quelle innumerabili , delle quali 
l’autor delle cose ha riserbato a sé il segreto , senza che il 
non esserci stato esso detto , servir possa a fare che quello 
che è non sia, o diaci diritto a lagnarci di non conoscere 
perchè sia. Nondimeno altra più diretta risposta può darsi. 

Lasciamo stare quel che la Fede insegna , cioè , che non 
è insomma Iddio, da cui ci è venuta la necessità dello scio- 
gliere questo problema, posto, che, a credere di noi cri- 
stiani, l’uomo è , che s’è creato il bisogno del proporselo , 
o che , a meglio dire , se l’è tiralo addosso come pena d’un 
primitivo fallo. Ma resti il discorrere si fatto punto a’ teo- 
logi, che soli hanno competenza di trattarlo. Noi filosofi , 
per poco che maturamente vogliamo pensarvi , siam presto 
condotti , per pure considerazioni di ragione , a cosi favel- 
lare. 

L’uomo è composto di due principii tra loro distinti : 
anima e corpo insieme congiunti a condizione non pari. Il 
corpo è destinalo a perire; l’anima è immortale. Le due 


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— 183 — 

cose congiunte hanno una prima vita ; la vita terrena , i cui 
giorni sono contati e pochi. L’anima disgiunta è destinata 
ad una seconda vita , rispetto alla quale la prima vita non 
è che ona misera minuzia. Chiaro è dunque che questa pri- 
ma vita è data a preparazione, a profitto , in correspettivi- 
tà, della seconda, e non la seconda per la prima. 

Riflettendo anche meglio, evn po’ più accuratamente, 
un s’accorge presto, che la prima è una cosa incompleta , 
e necessariamente imperfetta , ed accennante a quell’ altra; 
ed è appunto come dire la posizione d’un gran numero di 
problemi, la cui soluzione in essa prima vita non dee rice- 
versi , perchè non possono in quella riceverla , e sono ri- 
servati alla seconda. 

I problemi , a’quaii alludo, nascono dalla esistenza uni- 
versale d’un gran numero di primitivi e ineluttabili senti- 
menti , che si manifestano in noi di per sé , come cosa di 
nostra natura, e primigenia , e che noi non siam padroni 
d’impedire o di reprimere , e sono sentimenti di desiderio 
violento , il quale , non soddisfatto , genera dolore , e per- 
ciò si chiama bisogno : cosicché molti vengono ad essere tali 
desiderii congeniti, e perciò tali bisogni. 

La misura di lutti è l’infinito ( insaziabilità naturale, istin- 
tiva , propria di ciascuno de’ bisogni e desiderii de’ quali 
parliamo, e , rispetto a cui , c’ è necessaria una continua 
lotta di noi contro a noi per cacciarla indietro ). 

La forma è nelle principali sue specie — Bisogno di vita — 
Ripugnanza alla morte ( Sete d’ immortalità ). — 

Bisogno di felicità. Ripugnanza a tutto che ci molesti Appe- 
tenza di tutto che ci piacciacele d’una soddisfazione interna 
e stabile dell’ animo , e d’ un godimento il massimo possibi- 
le , a cui niente ponga, o pur solo minacci, fine od inter- 
rompimeato ). — 

Bisogno di cognizione e di verità (Sete del sapet e ogni co- 
sa ; del saperla completamente, del saperla con certezza , 
del saperla senza che niente di men che vero, o di dub- 
bioso vi si mescoli ) ... — 


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É di questo andare , l’ enumerazione potrebbe procedere 
assai lontano. Donde poi s’è costretti a domandarsi : 

Perchè, in un vivere finito, e d’una capacità finita, ci sono 
stati infusi bisogni e desiderii in una progressione di grado 
cosi infinita ? — 

Perchè , essendo noi tutti condannati a morire, tanto in- 
vincibilmente desideriamo di non morir mai ( giacché non 
v’è il prezzo dell’opera a qui risolvere la vieta, e cento 
volte confutata difficoltà, la quale potrcbber trarre alcuni 
dalla eccezione che sembrano offerire i disperati ed i sui- 
cidi ) ? — 

Perchè la perpetua nostra tendenza essendo il divenire 
felici nel massimo possibile grado, noi tanto sentiamo tutti, 
e per teorica e per pratica , di non poter esserlo finché la 
vita ci dura? — 

Perchè il conoscere ogni scibile, e l’ignorar nulla, e il 
cessare ogni dubbio , e il non errar mai , formando una 
delle cime de’ nostri desiderii più vivi, tanta e si dolorosa 
certezza ci è toccato d'avere in sorte, che , nella nostra ter- 
rena esistenza, tutto ciò ne sarà sempre disdetto...? — 

E facile ne sarebbe il seguitare così di perchè in perchè, 
con una filatessa che occuperebbe ancora la lunghezza di 
molle pagine, le quali dimande costituiscono appunto i pro- 
blemi di che io favellava nel cominciare la enumerazione. 

Or, per fermo, ponendovi ben mente, è forza dire, come 
già poco indietro indicava , il perchè cercato e comune es- 
ser questo, che la prima vita è il principio e non la fine, e 
che , se il bisogno delle soddisfazioni manifestasi in essa 
prima vita, la soddisfazione o la possibilità della soddisfa- 
zione però è riservala solamente al tempo della seconda. 

Ma discorriamo ciò meglio. — Da che nell’uomo, gene- 
ralmente, si trovano i desiderii , ed i bisogni che numera- 
vamo, e gli altri, che omettevamo d’enumerare, ben ciò 
appalesa , che non si può ad essi dare altro ragionevole si- 
gnificalo, se non di lini proposti dal Creatore stesso alla spe 


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— 185 — 

eie umana, e possibili per conseguente ad ottenersi. Ora 
è un fatto , che, nella durata del vivere in terra , questi fini 
non si conseguiscono , anzi il più spesso , od assai spesso 
( in quegli stessi il cui conseguimento non c’ è al tutto ne- 
gato ), ottiensi il loro opposto (anche allorquando noi non 
abbiam fatto nulla per meritarci questo tristo effetto ; an- 
che allorquando abbiam fatto ogni onesto sforzo a noi pos- 
sibile per conseguirli ). Dunque altro rifugio non rimane 
che dire quel che dicevamo, cioè che la possibilità del con- 
seguimento di essi fini ci è riservata dopo la morte del corpo. 

L’analisi filosofica di noi medesimi ci rivela però qualche 
cosa di più. Essa ci rivela il motivo, pel quale qui è il prin- 
cipio, ed altrove è la possibilità della fine. — Insomma , tra 
gii altri sentimenti in noi congeniti, vi sono anche i senti- 
menti di vizio e di virtù , di merito e di demerito , di bene 
e di male , di libero arbitrio e d’uso o d’abuso del mede- 
simo , di giustizia punitrice e premiatrice. Le nostre pro- 
prie azioni , innanzi al tribunale della sinderesi , altre ci ap- 
paion buone , altre cattive. Noi stessi, ai nostri occhi mo- 
rali , nel correr di questa vita , or ci sentiamo meritanti , 
or demeritanti , or degni di ricompensa , ora di gastigo. In 
terra la piena giustizia sopra noi , verso noi , riconosciamo 
tutti clic non può dirsi fatta, nè fattibile. E poiché l’ intel- 
letto dice, che dev’ esser fatta: dunque dev’esser fatta nel- 
l’altra vita. Questa è filosofia , se non fosse anche fede re- 
ligiosa, ma è l’una e l’altra. Or che resta dunque d’inespli- 
cabile ( per tornare finalmente alla principale nostra que- 
stione , donde questa digressione da prima partiva) nel fatto 
del bisogno d’un buon governo e d’una normale sovranità, 
e della difficoltà d’avere governo e sovranità tanto ottimi , 
quanto ci è forza desiderarli? Ciò rientra nella legge uni- 
versale di tutti gli altri bisogni mal soddisfatti in terra, per 
la ragione, che questo non è il luogo del soddisfarli. In al- 
tri termini , le imperfezioni delle sovranità e de’ governi , 
come tutte I’ altre imperfezioni , sono nel line del Creatore 


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— <86 — 


un male che ha il suo lato buono; un male ch'egli ha per- 
messo per un fine ultimo di ben maggiore. Servono a meri- 
tare .... Servono a far conoscere sempre più a noi la nostra 
propria imperfezione, il nostro proprio scadimento (1). 

Il discorso , dirassi, ha troppo dell’ascetico? — Eh toso. 
Viviamo in un’ età , in cui gli ascetismi sogliono aversi in 
orrore , ed in dileggiamento. Questo però a che monta ? 
Distrugge forse il valor loro filosofico e religioso ? — 

Ma questo , si rimbeccherà , è approvare i malgoverni , 
e lasciar loro i gomiti al tutto liberi. È consigliare un quie- 
tismo indecoroso avanti a Dio , e contrario al fine della per- 
fettibilità in terra pur data alla nostra specie ... — Questo io 
rispondo , non è nè l’una cosa , nè l'altra. Imperciocché 
Iddio non ha vietato all’ uomo di cercare , anche nella vita 
terrena , l’uscir dalle angosce di que’ bisogni che l’accom- 
pagnano , usando mezzi che la ragione approva , e che la 
coscienza non condanna. In quella vece , gli ha insinuato 
il contrario , |*oichè gli ha dato l’istinto dell’attività , e la 
luce quale che siasi della intelligenza , per cercare il me- 
glio , e per contrastare al male , morale e fisico , anche nel 
circolo della sublunare esistenza , e del viver terrestre. So- 
lamente bisogna aggiungere che , nel tempo stesso , ha or 
disposto , or tollerato , che , nella soluzion tentata del pro- 
blema qui specialmente discorso , come di tulli gli altri si- 
ti) M’ è sialo detto -JVon situi facienda mala ut feniani bona.- M’ è stala 
messa innanzi la bestemmia , che dunque fan bene i settari volendo certi mali 
giustificati dal lino buono , cioè dal bone (presunto) che si propongono , il 
quale è In rigenerazione della specie umana. M’ è sialo soggiunto , che dun- 
que , non volendo , io vengo a dar toro un'arme in mano , ed a conceder lo- 
ro eh' essi imitano Iddio, lo rispondo. Non è Iddio , che, nel da me esposto 
sistema , la il male. È la libertà dell' uomo malamente impiegala che lo Fa. E 
Iddio lo permette si poco , che lo punisco , tosto o tardi , in questa , o nell’al- 
tra vita , o in tulle c due , in ehi l' opera. E intanto ha si bene ordinalo le co 
se mondiali , che , mentre il mal Fatto da alcuni resta per male sempre quanto 
ad essi , nondimeno gli altri possono ri trame un bene innocente , cioè scevro 
da colpa , giacché al male non hanno e>si dato mano , e solamente lo patiro- 
no , di che il bene susseguente è poida ricompensa. 


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— 187 — 


mili , esso uomo abbia or buono avviamento od indirizzo 
alla riuscita , or non l’abbia , e ciò , alle volte per colpa 
propria , o rispettivamente per proprio merito , altre volte 
senza ciò, e contro a ciò: cosicché l’impiego de’ mezzi 
aberra più o meno dal fine , e radamente vi conduce ; e , 
quando vi conduce , lascia sempre molto e moltissimo di 
desideralo e non conseguito. Dove le volte , che più o men 
si riesce , servono a mantenere l’attività nostra , e la spe- 
ranza, e il coraggio, e a preservarci dal precipitare nell’i- 
nerzia ; le volte che non si riesce , servono a ricordarci , 
che un potere superiore al nostro è dietro la tela , il quale 
regge le coso umane , e con occulta sapienza, or ci dà i be- 
ni della terra , or ce li leva , o ce li nega , acciocché pen- 
siamo che non son questi il fin proprio e sommo a noi pro- 
posto. 

Ma poiché insonuna , concedo io pure , che al mal go- 
verno l’ opporsi con onesti sforzi , invece di esser colpa , è 
anzi spesso dovere , o quasi dovere (l’acquiescenza pura e 
semplice , e la rassegnazione , quando fosse di tutti , poten- 
do in alcuni casi divenire condannabile , rispetto almeno 
ad alcuni: perocché è alto , non di sola virtù , ma di debi- 
to , per quelli che han di ciò competenza : 1. l'illuminare, 
a il cercar d’ illuminare , i depositari del potere, in quel 
che veramente abbiano errato , od errino , massime quan- 
di l’errore sia grave ed abituale : 2. l’adoperarsi a promuo- 
vere la medicina de’ vizi radicali con indefessi , opportuni , 
e convenienti mezzi) , come dee procedersi iu questa dilli - 
cile e delicata faccenda? — 'fiuti is thè qmstion — Ciò sia ma- 
teria d’un 


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— 188 — 


ARTICOLO XII. 


Di quello che al popolo non ispelta , e spelta , in fatto di go- 
verno e di sovranità , e del modo e della misura in che gli 
spetta. 


L’argomento io l’ho toccato qua e là più volle , forse con 
un po’ di disordine , ma esprimendo con forza ogni volta 
l’opinione della quale sono persuaso. Giova nondimeno 
tornarvi sopra in quest’articolo , e dir con più grande asse- 
veranza ancora , che in ogni altro luogo — la principal fon- 
te degli errori , i quali sul proposito nostro si spacciano , 
e corrono oggi il mondo , stare appunto in questo atto d’u- 
niversale superbia , per che , in cosa , la quale tanto è le- 
gata a fatti providcnziali che si burlano, per cosi favellare , 
di tutte le previdenze umane ; la quale tanto poco dipende 
dalla volontà de’singoli ; la quale tanto è superiore alla in- 
telligenza delle turbe ; tanto è diffìcile ad essere trattata co- 
me lo si addice ; tanto è poco alla a condursi per sole deli- 
berazioni d’uomini quali che siano , a grado delle passioni 
loro , e nel conflitto de’loro interessi perpetuamente fra lo- 
ro lottanti : s’argomentano di credere tra tutti distribuita , 
ed a tulli appartenente la competenza del trattarla per Io 
meglio loro. Don^c è poscia l’opinione si da noi combattu- 
ta , che la sovranità , in radice , è di tutto il popolo , inalie- 
nabile da esso , reversibile in esso , e rivendicabile per es- 
so , tutte le volte che lo vuole ; esercitarle da ciascuno , 
individuatamente , ed individualmente , nella porzione più 
o men coeguale che gli spetta ; residente di fatto , come po- 
tere attuale ed accidentale nella maggiorità ( più o meno 


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— 189 — 

istabile di sua natura) de’cittadini , che sendosi data la pe- 
na di concorrere ad esercitarla , convennero in un mede- 
simo voto ; ma non ispettante di diritto normale ad essa ; 
perchè la parte non può equivalere al tutto ; perchè chi 
non ha parlato , non ha detto niente , e non s’è interdetto 
di poter parlare quando che sia ; perchè il diritto delle mi- 
norità , tanto piccolo quanto più si voglia , può essere op- 
presso , ma non annullato , nè distrutto ; perchè , infine , 
non può non esser lecito a queste il cercar di farsi maggio- 
rità la loro volta , acciocché il fatto della sovranità ad essi 
o passi , o ritorni. 

E , per vero , i fautori stessi delle anzidette sentenze , 
non osapo analizzarle , od almen confessare , i naturali con- 
seguenti loro , de’quali conseguenti il principale è , che , 
cosi insegnando essi , vengono a dire, insomma , che la so- 
vranità, comunque affidata come potere esecutivo, legisla- 
tivo , giudiziario , o quale altro potere che siasi o che si 
chiami , obbliga in diritto i soli consenzienti. : quanto agli 
altri , li violenta , ma non può obbligarli ; o , ciò che vale 
lo stesso , vengono a dire , che la sovranità è obbligatoria 
di diritto per nessuno , giacché que’che le obbediscono , in 
quanto sono consenzienti , evidentemente obbediscono a sè 
e non a quella , cioè obbediscono alla propria volontà di 
obbedire, nou alla forza imperante della sovranità, attinta, 
in massima parte, dagli eterni principii della ragione e della 
giustizia ; ed obbediscono perchè son contenti di farlo , non 
perchè si credano obbligati a farlo ; ed , in que’che obbedi- 
scono , in quanto , a lor malgrado , vi sono costretti , non 
dall’autoriLà , ma dalla forza materiale , in essi ancora l’ob- 
bedienza è un fatto sofferto , e non un dovere adempito ; e 
un’ obbligazione estrinseca , e non un obbligo di vero nome ; 
o , a dir meglio , è violazione di diritto , e non diritto , con- 
tro alla qual violazione si ba invece il diritto di mettersi in 
istato d’ostilità , di cospirare, di muover guerra flagrante , 
in detto ed in alto. Il che dire è negare la sovranità , e enn- 


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— 190 — 

siderarla come ud fallo pur sempre , non come un diritto ; 
Tatto di alcuni che soperchiano tutti , non diritto di tutti 
contro a ciascuno ; tirannide , e non sovranità , pe’ dissen- 
zienti ; cosa inutile , superflua , ed illusoria , o simulacro 
di cosa pe' danti libero consentimento : ciocché bene inter- 
pretalo , significa poi , che la sovranità , in quanto è pote- 
re , pe’soli dissenzienti esiste ; ma esiste per essi soli come 
una iniquità ed una ingiustizia , non come cosa mai legit- 
tima e normale : verità si vera , che lo spirito logico d’ uno 
de’ più sinceri , e de’ più espliciti tra gli antesignani del nuo- 
vo liberalismo (Prudhon) non ha dubitato di confessarla e 
dichiararla ad alta voce , e per istampa. 

In si fatto sistema , pertanto , gli attualmente investiti 
della sovrana potestà , e d’ogni sua grande o piccola parte, 
quali e quanti pur siano , non sono che semplici incaricati 
d’affari , privi di plenipotenza , e quasi direbbesi ad referen- 
dum , o piuttosto godenti d’una plenipotenza frodolenta di 
l'alto a tutto loro risico , e sotto la loro perpetua responsa- 
bilità , come i generali di Cartagine ; sempre revocabili , 
sempre soggetti al sindacato di tutti e di ciascuno ; posti in 
una siugolar condizione innanzi al popolo : perchè , ne’pae- 
si dove tutto il popolo non è stalo chiamato , e non è con- 
corso a farli (messo dietro le spalle ogni diritto di prescri- 
zione e d’usucapione) sono come se non fossero; usurpatori 
posti fuori della legge ; nemici pubblici , e niente meno di 
ciò : ma , ne’ paesi stessi , dove il popolo è quegli che li 
elesse negli universali suoi comizi , non hanno , per le ra- 
gioni esposte di sopra , solidità e realtà alcuna di potere ; 
burattini da filo quanto a tutti , e tali burattini , il cui filo 
dev’essere spezzato il più presto , o quando il destro uc vie- 
ne , quanto a’dissidenti. 

Che se tutto ciò è rispetto alle persone, poco diversamen- 
te dee dirsi rispetto agli atti loro , il cui valore intrinseco è 
subordinato sempre all’apprezzamento libero e capriccioso 
d’ognuno. Ed altrettanto è ancora delle leggi ; o sian pure 


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— 191 — 


quelle che si chiamano Costituzioni , Carle , Statuti , o simi- 
le... E cosi dislruggesi allatto , e si demolisce l’idea di go- 
verno , e si sperperano le convivenze civili , rimettendo 
ogni umana congrega nelle condizioni primordiali del viver 
selvaggio , ricondotto a’suoi naturali e radicali elementi 
d’indipendenza degl’individui , e di forza brutale del più 
potente , o del numero maggiore , centra il più debole , o 
contra il numero più piccolo. 

Io invece , per finirla , riduco a queste non molte propo- 
sizioni i dettati della ragion pura in si fatta perplessa mate- 
ria, sottoposti nondimeno alcuni di essi, nell’applicazion lo- 
ro, al prudente apprezzamento delle circostanze. — 

1. Iddio , a farci appunto conoscere, nella presente im- 
perfezione ed ignoranza nostra , eh’ egli è il padrone ( domi - 
tius dominanlium ) , e che noi , per molto che immaginiamo 
di esserlo , non lo siamo punto , o lo siamo assai poco , c 
sotto sempre la legge della sua supremazia , dispose , c di- 
spone, colla sua direzione occulta del mondo morale, come 
del tìsico , le cose in modo , che lo stabilimento de’ gover- 
ni , nel materiale , e nel personale , è (storicamente parlan- 
do , cioè nella pratica , cosi come dalla storia universale e 
particolare de’ popoli ci è dichiarata) un mero previdenziale 
fatto , dato o coadiuvalo , sempre , o quasi sempre , da for- 
za di circostanze , indipendenti il più spesso da ogni preor- 
dinala volontà delle turbe ; per le quali circostanze , o con- 
trastato , o no che sia ne'suoi cominciamenti , esso , da 
una esistenza precaria , e spesso irregolare , passa , a poco 
a poco , ad un'altra esistenza tacitamente consentita dall’uni- 
versale , e pacifica , e con ciò legittimata ; rispetto alla qua- 
le , l’azione indesinente de’ due principali fattori di quest’or- 
dine di fatti ( e voglio dire , 1. il reggimento divino delle 
cose umane , 2. quella dose di politico senno , che giunge 
per solito , da ultimo , a scaturire da qualche parte) , più o 
meri laboriosamente , viene a galla , a traverso d’ogni diffi- 
coltà , in mezzo ai popoli , come una manifestazione inevi- 


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— 192 — 

tabile alla lunga , dell’idea insita in tutti , ed eterna , tutto- 
ché più o meno oscurata , di giustizia, di verità, di dovere; 
ed allora quest’azione , or lenta , or sollecita , opera in gui- 
sa , che l’intollerabile alla fine si fa tollerabile e tollerato , 
l’ingiusto si fa giusto, o meno ingiusto , l’improvvido o 
provvido , o meno improvvido ; e nascono sistemi e vie di 
compensazione , lenitivi , palliativi , rimedi ; e il male che 
c’è , o che resta , non può superare una certa misura (tran- 
ne quando un decreto terribile di Provvidenza vuol che le 
nazioni periscano , o si consumino , e decadano umiliate e 
contrite) , nè può non avere un contrapposto di beni : co- 
sicché di questo misto si componga quella dose d’ infelicità 
terrena , più o meno temperata , che è necessariamente com- 
pagna di questa vita , punizione meritala agli uni ; scuola 
di virtù , e mezzo di merito agli altri. 

2. A vie meglio mostrarci la verità di questa dottrina , 
la Divinità ha in tal forma ordinato il mondo morale , che 
in que’ secoli di contumace superbia , o tra quelle superbe 
nazioni , in cui la verità c la presunzione della propria sa- 
pienza più prevale tra gli uomini , e li spinge a voler tutti 
fare e non lasciar fare , ognuno mettendosi innanzi , e cer- 
cando d’esser primo, o de’ primi , ognuno volendo esser 
dio a sé stesso , e governo , e governante ; ivi , ed allora, 
è l’infelicità massima , il disordine massimo , lo sgoverna- 
melo massimo , la guerra civile imminente o flagrante , 
l’anarchia , lo stato convulsivo , od epilettico , delle umane 
congreghe : disordine , sgovernamenlo , guerra , anarchia , 
convulsione , epilessia , che seguitano finché questo perio- 
do di presunzione non passa, e finché principii migliori , e 
più giusti , non tornano a prevalere la loro volta. 

3. Intanto perù è giusto confessare , che , se da un lato, 
il Creator delle cose , per le ragioni che più volte adducem- 
mo , non ha concesso agli uomini la perfezione in nulla , e 
nè manco ne’governi , ed ha voluto tollerare , e permette- 
re , a volta a volta, l’imperfezione, anche condotta , in 


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— 193 — 

essi governi , fino all'abituale imperizia , imprevidenza , 
inettitudine , ingiustizia , e tirannide ; da un altro lato , ei 
non ba voluto , in generale , abbandonare si fattamente la 
specie umana all’ impero del male , anche sulla terra , che 
non abbiale concesso , nella sua benignità , mezzi normali 
di riparo , di resistenza , di rimedio (renduti, egli è vero, 
per suoi segreti disegni , ora più , or meno efficaci) , e non 
abbia perciò inserito nelle ragioni , le meglio addottrinate , 
de’ saggi in mezzo ai popoli il lume più o manco opportuno 
a conoscere in ogni caso quel che è lecito , e conveniente , 
e necessario di fare per tentar diuscire di pena , d’ingiusti- 
zia , e d’oppressione. Questa è almeno la regola generale , 
sebbene , purtroppo , convien dire , che talvolta , nel se- 
greto della sua sapienza , esso Creatore , permette e tollera, 
come altrove notammo, che sì fatto lume in pochissimi splen- 
da , e quasi in nessuno : di che poi la conseguenza è , che 
il male del malgoverho , o dura , o quel che è peggio, per 
gli sforzi inconsiderati di que’che non vogiion patirlo s’ag- 
grava , o sia che conservi , o non conservi le prime sue 
forme. 

4. Or quando a si fatto ultimo flagello non si è condan- 
nati (pena , per solito , del lungo tralignare d’una civil con- 
vivenza , confermata nel vizio, e nella cecità d’intelletto) 
allora il rimedio , e il riparo , c’è , sol che tutti facciano il 
dover loro ; e c’è senza le maledette rivoluzioni , senza le 
illecite cospirazioni e sette. C’è per la forza pacifica ed in- 
fallibile delle persone , e delle cose. Del quale riparo e ri- 
medio le massime io le ho sostanzialmente , qui indietro 
dette , nell’articolo 5. 

5. E non è , che , in si fatto ufficio non abbia ognuno la 
sua parte legittima. Solo bisogna confessare, che la parte 
non può nè dev’ essere in tutti uguale, e la stessa. La pri- 
ma e principal condizione è il coraggio civile (giova ripeter- 
lo : il militare guasterebbe tutto, infondendovi dentro le 
sue furie), coraggio prudente , ponderato , modesto , man- 

13 


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— 194 — 

tenuto sempre rigorosamente dentro i limiti del permesso 
dalla legge, ma perseverante, istancabile, non in alcuni , 
ma nel maggior numero. Le leggi in nessun luogo son cosi 
cattive , che non aprano più di un adito a raddrizzare i 
torti, e a far fare giustizia. Bisogna non perdersi d’animo. 
I forti debbono aiutare i deboli , dirigerli , farsene avvoca- 
ti (1). 1 savi debbon dar mente agl’ insipienti. Questi debbon 
ricorrere a coloro che la fama universale indica in ogni luo- 
go come sapienti ed uomini da bene , per cercar lume , e co- 
noscere se veramente ban ragione e diritto di lagnarsi , e 
dentro che misura. Gli uomini da bene e sapienti non deb- 
bono negarsi agl’inferiori.Tutti insistendo nelle vie consen- 
tite da ragione e da legge , e facendo concerto perpetuo di 
sforzi , ciò, senza essere una cospirazione illecita, e di set- 
ta , e d' armati , è impossibile che non produca il suo frutto. 
Ma non bisogna che i primi , a’ quali questo coraggio sia di 
qualche danno personale , faccia» perciò meno il debito lo- 
ro, o che l’esempio del loro danno distolga gli altri dali’i- 
mitarli. Ciò ha da essere, come nella guerra. 1 feriti, non 
perchè feriti, finché possono, lasciano il combattimento, se 
aspirano al titolo di bravi : e i non feriti non fuggono per- 
ché altri al loro fianco son feriti od uccisi. Solamente biso- 
gna ben guardarsi dall’ uscir dalle vie rigorose della legali- 
tà , e del rispetto che è interesse di tutti il non dimenticare; 
e dall’ immaginare , o pretender gravami e torti, dove non 
sono. Cosi adoperando, colla metà della ostinazione che gli 
odierni settarii pongono nelle loro inconsiderate e criminose 
mene , certo non è abuso di potestà , il quale non debba con 


( I) Ecco mio de' vantaggi innegabili dell' aristocrazia. Dov’ella è in forza , 
e bene e convenientemente stabilita , è 3i grande l' autorità sua , si connatura 
to il coraggio civile , si spontaneo f intervento a tutela de deboli , che diffici- 
lissimo riesce l'abuso del potere in cbi lo ha in mano , almeno condotto sino 
a vizio abituale , ed a quell’eccesso ch'è tirannide intolieranda , od insipienza 
equivalente a tirannide. V. pag. 66 , 67. 


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— 195 — 

più certezza essere corretto , die tentando pazze congiure 
a moderna usanza. 

6. Nè nego, perfino , che quando i’ abusare nasca da im- 
perfezione di legge , o di leggi, di questa o queste non pos- 
sa legittimamente chiedersi il mutamento, e il raggiustamen- 
to a più equa forma. Quando veramente costi, per consenso di 
tutti tsavi, che le leggi sono cattive , o talmente imperfette da ren- 
dere necessario un cangiamento, niun può trovare men che giu- 
sto il desiderarne e il chiederne la rettificazione. Il male non 
istà nel desiderare , e nel chieder ciò , ma nel desiderarlo e 
nel chiederlo in modo illecito, arrogante, e perturbatore. Sta 
nel volere a forza cattivo, quel che non lo è manifestamen- 
te. Sta nel non andare a rilento in si fatti giudizi , e nei non 
ben verificare ogni cosa a norma della sapienza scritta di 
tutti i tempi , prima d'avventurarsi a pretendere che la cosa 
è come la si pensa. Sta nel non aver occhio alle circostan- 
ze, agli effetti probabili , agli scompigli possibili. Sta nel 
mancar infine di buone bilance per non trascender mai la 
giusta misura in nessuna sua parte : condizione più essen- 
ziale ancora, acciocché niuno possa imputare di sedizione, 
di ribellione, di fellonia ciò che nel qui discorso senso e 
modo va operandosi (1). 

7. Da tutte le quali cose vede ognuno che non discende, 
nè l’obbligo assoluto di rassegnarsi al male , che evidente- 
mente è male, nè l’assoluta assenza di mezzi per medicarlo. 
Ma non discende nemmeno la pazza politica massima degli 
odierni , che per ultima panacea propongono date forme di 

v 

(1) Queste sono le teoriche. Ma torno a dire , se i savi mancano, se mancan 
d’ accordo , se v’ è funesto li svolgimento negl’ intelletti di que’ che so» cre- 
duti tali ; se certi desiderii poco ragionati, e poco ragionevoli, si confondo- 
no co’bisogni, solo perchè sono alia moda, e perché sono intensissimi; se 
certe lagnanze son di minimi che si giudican massimi , e che fatte suonar 
alto più disturbano che non giovino; se...? Allora come non tremare ncl- 
P avventurarsi alla pratica? Iddio liberi i popoli dall’ esser condotti agli estre- 
mi qui sopra ricordati; e dia loro la sapienza vera che li aiuti a scegliere il 
miglior partito. 


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— 196 — ‘ 

governo applicabili a tutti i casi , come uua calza a maglia. 

Delle democrazie pure già dicemmo quanto basta a provare 
la loro imperfezione essenziale. L’antica sapienza rappresen- 
tata da Cicerone stava per le Monarchie temperate, dove i 
veri ottimati , cioè dove le capacità e gl’ interessi han voce 
preponderante, e tra gl’interessi , meno ancora i fluttuanti 
e transitorii ( sebbene questi eziandio ) , che i permanenti e 
più tenaci, d’un buono e lodevole patriziato. S’ è perciò 
giustamente levata a cielo la timocrazia di Servio Tullio — 
la sapienza del Senato romano e dell’ aristocrazia inglese , 
corroborata dalle tradizioni di più secoli. Ma non tutti gli 
ordinamenti ( ridiciamolo ) convengono a tutti i popoli e a 
tutti i tempi: e chi non ne fosse persuaso, più d’un esempio 
recente potrebbe addurne , fatto per iscoraggiare assai del 
supposto valor pratico di certe teoriche, le quali poi, 
quando si traducono in iscena, si risolvono in bliteri, e in 
peggio che ciò, vale a dire in danno evidentissimo de’ popoli. 
Grandissimo ( a miglior prova di ciò ) è il male che s’è 
detto , massime nel tempo nostro, de’ governi assoluti ; e i 
governi assoluti eglino stessi han poi per loro essenza e na- « 

tura il grande ed intrinseco male, che con tanta generalità 
oggi s’afferma? ( L’argomento loabbiam già toccato alcune 
pagine indietro : pure importa tornarvi sopra un’ultima vol- 
ta ). Messi a bilancia con tutte le altre forme di governo , 

e contati , e imparzialmente pesati, i vantaggi egli svantag- 
gi , traendoli dalla verità storica d’ogni età e d’ogni con- 
trada, e non dalle menzogne sistematiche di tale o tale al- 
tro declamatore odierno, io non so se un uomo di delicata 
coscienza oserebbe giurare, che la parte degli svantaggi pre- 
ponderi, sempre totale contro a totale, cioè somma intera 
di fatti contro a somma di fatti , dal Iato delle monarchie 
pure, a quel modo che s’ama asserirlo. Per Io meno questo 
conto, o vogliasi dirlo bilancio, non è mai stato instituito 
colla debita accuratezza, e varrebbe la pena dell' instituirlo: 
impresa tuttavia molto più difficile di quel che non si pen- 


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— 197 — 


sa, e da più dotti , che non sono di gran lunga i giudici di 
strada. Donde poi deduco, che , assai più alla leggiera di 
quel che si dovrebbe , si pronunzia la sentenza assoluta di 
condanna , la qual suona nelle bocche di tauti , più per mo- 
da, che in forza d’ una dimostrazion rigorosa. Le ingiusti- 
zie, le improvidità , le tirannidi s’incontrano in tutte le for- 
me d’ ordinamenti politici ( cosi insegna la storia ) , e le 
forme le più liberali n'ebbero , e possono averne all’ avve- 
nire , di non minori che i più tristi degli assoluti governi. 
— Quidleges sine moribusvanae profitiunt — (ridirò col poeta)? 
Uno o molti che siano gl’ investiti dell’ atto della potestà , 
possono del pari abusarne ; e , se gli abusatori son molti , 
sarà il danno più grave assai , che con un abusatore unico, 
tranne se alcun si piaccia del paradosso che più tiranni deb- 
bono men nuocere d’un tiranno solo. Le responsabilità mi- 
nisteriali , o d'altri ( nome vano ) si dovrebbe ornai sapere 
da tutti quel che valgono. Le supposte guarentigie sono 
sempre un preservativo, o un rimedio, più illusorio , che 
vero. Cb’ buoni sono inutili, co’ cattivi sono insufficienti , 
per grandi eh’ elle sembrino. Dove furono concesse Ano ad 
ogni richiesta misura, gl’incontentabili odierni se ne con- 
tentarono forse? Le probabilità del maggior senno, che par- 
rebber più facili ad incontrarsi nel consiglio di molti , di 
quello che in una mente unica , non sono assai spesso , in 
tempi di civiltà corrotta, e d’ambizioni flagranti, che un 
vantaggio presunto , più che bilanciato, ed annullato dal- 
l’ altre probabilità delle discordie intestine tra senno e sen- 
no, e delle lotte che quindi nascono. E sovente è più biso- 
gno di guarentirai da que’che sono scelti à guarentire, che 
ragionevolezza di speranze le quali in questi ultimi si ri- 
pongano. 

Hannovi poi circostanze ( è giusto il ricordarlo ) , nelle 
quali solo le pure monarchie valgono ad operare il bene 
delle nazioni; e sonovi beni che soltanto dalle pure monar- 
chie possono aspettarsi. Ad esse principalmente, se non 


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— 198 — 

unicamente, parche abbia riservato la Provvidenza l'inca- 
rico de' grandi mutamenti da operarsi ne’ popoli colla de- 
bita rapidità, rovesciando i maggiori ostacoli : perchè il mo- 
dificare ampiamente , e radicalmente, con forza, prontezza 
e conveniente efficacia , le sorti d’un popoloso dimoiti 
popoli a uu tempo, è parte quasi esclusivamente concessa 
agli assolutismi de’ Sesostri , degli Alessandri , de’ Cesari , 
degli Augusti, de’ Carli Magni, de’ Federicbi, de’ Napoleoni, 
certo non alle disordinate e burascose discussioni de’ sena- 
ti, de’ parlamen li, de’tribunali, delle moltitudini deliberan- 
ti. Sono sempre, o quasi sempre, gli assolutismi, che ta- 
gliano ultimi il capo alle rivoluzioni , e creano ultimi la 
stabilità delle paci. Sono essi una necessità pe’ popoli che 
vanno in bizzarrie pericolose e distruttive. Sono essi a volta 
a volta, grandissimi benefattori della umanità, piuttosto- 
cfaè i suoi principali flagelli. £ di questa particolare virtù 
de’ governi assoluti, quanto a prevalenza d' efficacia e di 
rapidità , tanto hanno persuasione , perfino i moderni per- 
turbatori, ( torniamo a dirlo sebbene altrove l’abbiamo già 
detto ), clic solamente perciò hanno istituito, essi medesi- 
mi, la obbedienza passiva delle sette, e l’assoggettamento 
senza discussione, e sotto pene terribili, a’ capi di esse. 

Tuttavia non voglio io qui farmi l’apologista esagerato 
dc’governi di si fatto genere, e dissimulare gl’inconvenienti 
a’quali vanno per solito espósti. Non voglio dare il piacere 
a’ miei avversari, di poter dire ch’io sono un assolutista si- 
stematico , perchè abbia con ciò bella occasione la rettorica 
di certa gente del gittarmi alla faccia questo rimprovero se- 
guitato da una mezza dozzina di punti ammirativi. Ho vo- 
luto solamente dire che ancora essi governi possono avere 
ed hanno il loro tempo, e la loro opportunità; ed in subiecla 
materia esaminino (dirò di nuovo) i capi-setta sé stessi prima 
di rispondere se è vero o falso. Mi basta avere indicato l’ir— 
ragionevolezza della troppo universale condanna la qual di 
essi governi è fatta, come di cosa assolutamente contro a 


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— 199 — 

natura , e necessariamente riprovevole. Mi basta aver dato 
a conoscere, die vale, anche rispetto ad essi, la regola gene- 
rale, che non vi può essere una regola generale di proscri- 
zione. Le circostanze, anche a loro riguardo , entrano per 
molto nel giudizio, come in ogni altra maniera di governo. 
D’ altra parte , i governi veramente assoluti dove più sono? 
Tutti il tempo li modifica. Addolcisce i più severi. Modera 
i più dispotici, e viene più o meno accostandoli alle forme 
di temperata monarchia. Siamo giusti. Dove son più i Bu- 
siridi, i Falaridi, i Tarquini Superbi, i liberi , i Neroni ? 
Se si voglia trovar tiranni, nell'antica significazione del vo- 
cabolo , bisogna andar a cercare nel campo repubblicano 
ultraliberale i Marat , i Robespierre. I voti del vero popolo, 
di giorno in giorno, son più ascoltati di quel che vuol con- 
fessarsi; e , se si é di buona fede, non può esser negato , 
che le concessioni cominciate qua e là a farglisi , per tutta 
Europa , nell’anno di grazia 1850 son bastantemente grandi 
per far dire che nelle altissime regioni non si è tanto sordi, 
quanto da alcuni si va spacciando. 1 bisogni reali finiscono 
sempre coll’essere ascoltati, non per forza , ma per ragio- 
ne. Gli esagerati e falsi può colla violenza costringersi a sod- 
disfarli per un momento, ma vale allora il proverbio — Nil 
wolentum durabile. — 


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— 200 — 


ARTICOLO XIII ED ULTIMO. 


Conclusione ed epilogo. 

Per chiudere a quel modo che meglio per me si può l’ar- 
dua discussione nella quale sono entrato, io Unirò dunque 
cosi dicendo a chi tanto si preoccupa del male dei governi 
più o meno imperfetti (come se per necessità non dovessero 
a, diverso grado tutti esserlo), e a chi perciò, venendo a 
conseguenze estreme, niente ha più a cuore ed in mente , 
che farsi autore e cooperatore di riforme radicali , da otte- 
ner subito , quasi a tamburo battente, ed a qualunque gran 
costo , giuste ch’elle sianolo non siano, purché tali paiano 
a quei che le dimandano , avuto a sdegno , e messo in non 
cale il più prudente desiderio e consiglio de’ miglioramenti 
graduati , bene studiali , ben maturati , e solo predisposti e 
promossi ne' legittimi e tranquilli modi che rispettan la pub- 
blica pace, e servono ad assodarla, anziché a turbarla. — 
Se veramente ami tu il bene del tuo paese , fa senno , e pen- 
sa che qui non si tratta d’un trastullo da gioventù , e d’un 
balocco da capi sventati, per darsi dell’ aria e dell’importan- 
za, ma della somma delle cose pel presente e per l’avveni- 
re, od almeno per lunga successione d’anni. Fa senno , e 
dà prova d’averlo fatto, giudicando per anticipazione testes- 
so , prima d’assumere il terribile incarico di giudicare gl’im- 
peri ed i regni. 

Discendi , Gracco, nel tuo interno, e chiedi, con buona 
fede, a te medesimo se t’è lecito di crederti tale da ben sa- 
pere quel che è mestieri sapersi nell’astrusissimo argomento 
de’ governi, per islendervi sopra una man temeraria; e se 


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— 201 — 


ti puoi , senza farti rosso nel viso, chiamare uomo di stato, 
ose , in questa vece, non senti, nel tuo segreto, d’essere 
niente altro che un misero pappagallo , il quale ripeti su 
ciò, senza bene intenderlo, quel che t’ha insegnato la piaz- 
za, o la setta. Non ti lasciare illudere dall'orgoglio, nè dal- 
l’assenso lusinghiero de’ niente maggiori e migliori di le, 
ma metti l’amor proprio da parte, e dà sentenza su te, co- 
me la daresti sopra un altro. Tastati addosso, e cerca im- 
parzialmente se trovi sotto il dito l’economista, il dotto nella 
filosofia delle leggi , l’intendente ne’ misteri dell’ammini- 
strazione e della finanza, il fino conoscitore della storia 
umana, l’uomo freddo, ponderato, esperto, che nel giudi- 
care questioni si diffìcili , si recondite , si gravi , si feconde 
di beni e di mali, come sono tutte queste delle quali stiam 
parlando, sa, innanzi tratto, esaminare, prima del giudi- 
zio , gl’innumerabili particolari; che concorrer debbono ad 
illuminare la mente; a spogliarsi d’ogni passione e d’ogni 
opinione preconcetta; e, senza dar peso a insinuazioni d’a- 
mici, o di confederati e compagni, discernere, e ben dis- 
cernere quel che il luogo, il tempo, le circostanze, gli uo- 
mini, gli antecedenti, i comitanti, i conseguenti, oltre ai 
principii eterni di ragione e di giustizia, suggeriscono e ri- 
chiedono. Va intorno, e parla pettoruto alle genti in questo 
linguaggio. — Miratemi , e sentenziate voi. Son io vera- 
mente l’uomo da rifare il mondo, e da insegnare agli altri 
il come? Son io lo Zaleuco, il Caronda, il Numa, il Licur- 
go , il Solone del secolo illustre ; o sono almeno l’uomo da 
saper discernere, senza ingannarmi, que’ eh’ io possa e deb- 
ba seguitar come capitani in faccenda di si gran momento ? 
— O piuttosto la risposta non l’odi aver già preceduto la 
dimanda? Povera mosca del carro (tu dei sapere la favola), 
va a scuola , e fatti vecchia prima di toccar solo col pensiero 
problemi di tanta astrusità. Solamente allora saprai ridurre 
al genuino valor loro tanti spropositi di moderne teoriche 
assolute , che, messe in prova da già dodici lustri, non ban 


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— 202 — 


saputo partorire ovunque che continuati scompigli , e ine- 
narrabili guai sempre ripullulanti a doppio cornei capi tagliati 
dell’idra! Povera mosca, solo buona ad esser tafano atto ad 
inquietare i cavalli che tirano il carro dello stato, finché un 
colpo di frusta ti schiacci. Riguarda ( se non hai le cataratte 
agli occhi ) nella Francia , prima maestra di sì fatte novità, 
e spettacolo e scuoia delle lor conseguenze a ogni gente... 
nella Francia già più volte rovinata, e data per queste a scom- 
piglio, e le più volte, non da mani forestiere , ma dalie pro- 
prie. Riguarda a’ be’frutti delle agitazioni tedesche. Riguar- 
da a’ bei fruiti delle agitazioni di questa misera Italia, qual 
ella è or fatta per colpa di simili tuoi ! Gusta il Progresso 
che han generato i tuoi pari , la ricchezza e la prosperità 
eh’ è opera loro...! Basta ornai. Basta. La terra ha bisogno 
di tranquillità , e , a tuo dispetto , saprà come darsela. 

Cosi ti risponderà , e ti risponde il mondo : non quello 
veramente nel quale tu vivi , ma quello in mezzo al quale 
dovresti imparare a vivere , per tua istruzione , ed emen- 
dazione , e per l’altrui pace. 

Ma ti risponderà , e ti risponde anche altro. Ti dirà, e ti 
dice. O tu , che ti proponi niente meno che di metterti il 
grembiule di Prometeo, cioè di rifare la gran famiglia uma- 
na in quella parte che rende a lei possibile il viver socievo- 
le , cioè negli ordinamenti de’ suoi governi , comincia col 
rifare te stesso. Volendo insegnare a’ tuoi contemporanei 
l'arte del comando , insegna a te medesimo l’ arte dell’ ob- 
bedienza , che non sai , o non vuoi sapere. Con uomini 
quale tu sei nessun arte di comando , e per conseguente di 
governo, è possibile , e l’ esperimento s’è visto. È forse 
giovato in più d’ un luogo darti costituzioni , e rinnovarle? 
É forse giovato accordarti assemblee deliberanti , libertà di 
stampa, libertà d’associazione ...tutte le libertà? È biso- 
gnato finir col frenarle dal momento che i pari tuoi v’ han 
voluto metter mano. 

E cosi doveva essere ; perchè ogni governo , anche lar- 


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— 203 — 

gbissimo e mitissimo , è legge e dominazione ; e cbe legge, 
oche dominazione può esservi per tali come tu sei? Tu 
( quel tu eh’ io m’ intendo ) di Dio non accetti che H nome. 
Tu sei di quegli uomini, quorum Deus venler est ( riconosci- 
ti ). . ; degli uomini turbolenti, sfrenati , ricalcitranti ... 
che chiamano ben pubblico il dar di naso abitualmente ad 
ogni autorità , sotto colore di far la guerra agli abusi suoi , 
colla presunzione di giudicarli in ultimo appello secondo il 
privato tuo senno. . ; degli uomini che ban distratto ogni 
riverenza , ogni fede al senno antico , ai documenti de’ se- 
coli passati , alla sapienza accumulata per gli studi comuni 
de’ migliori cbe in ogni età vissero. . ; degli uomini che ner 
gano ogni efficacia d’ antica esperienza , e che queste massi- 
me non si contentano di professarle per sè , ma le promul- 
gano giornalmente d’ ogni intorno....! Or con te, e con tali 
quale tu sei, qual maggiore pubblico bisogno v’è, del biso- 
gno di mettersi in guardia , e tirare a sè le briglie ? É egli 
tempo d’allargar la mano alle redini , quando il cavallo dà 
continuo cenno di rubarla, e di mettersi alla scappata ver- 
so precipizi!? Pur troppo quando un paese ha la disgrazia 
d'avere a ridondanza gente del tuo taglio, facilmente arriva 
a quella condizione di tempi che o scusano , o rendono ine 
vitabili gli assolutismi i più stretti e i più vessatori. 

Perchè , non accade dissimularlo. Ecco la massima mise- 
ria della condizion nostra. È peggio che al tempo de’ guelfi 
e de’ ghibellini. L’ira tien luogo di ragione. Vendicarsi , ed 
esterminare sono ornai la parola di guerra. — Sangue! San- 
gue! — Ammazza ammazza ! — Quel che non s’ osa fare 
aucora, si dice pubblicamente che sarà fatto alla prima op- 
portunità. Designane adcaedem unumquemque nostrum... Po- 
veretti! S’uccidono gl’individui, non s’uccide la verità e 
la giustizia.... 

Ma anche a’Principi d’Europa rivolgerò finalmente la ri- 
spettosa mia voce. Purtroppo hanno essi bisogno d’una ri- 
vista severa del passato, e d'una ponderazione accurata del 


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— 204 — 


presente a previsione del futuro. Quel che è stato ed é ma- 
le, fa d’uopo mutarlo. Quel che è giusto e doveroso in 
tanto mare di desiderii , di querele , di mescolate richieste, 
bisogna farlo. Mai non ci fu maggior necessità, per chi sie- 
de ne’ sommi scanni, d’esaminare gli antichi ordinamenti , 
e di recarvi miglioramenti reali e legittimi. Mai non richie- 
sero i secoli che sono scorsi maggior senno in chi regge i 
popoli, e per conseguenza più grande opportunità di circon- 
darsi di buoni , e probi , e saggi aiutatori, e subalterni. Ri- 
forma ! è la parola favorita del nostro tempo. Riforma non 
è in sé medesima parola d’errore. Le riforme bisognano 
sempre alle congreghe umane , come agl’ individui. Rifor- 
ma dunque anch’ essi dicano i re ma non ogni riforma 

dimandata.... le riforme che la vera sapienza politica consi- 
glia , e vuole. Eruditami qui iudicalis terram. Imparino le 
genti col fatto , che amate di cuore il ben pubblico , odiate 
il male, e vi studiate per quanto è da voi d’affaticare alla 
pubblica felicità correggendo intorno a voi, per aver più di- 
ritto , e più facilità a correggere intorno a quei che vi deb- 
bono obbedire. 


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INDICE 


Due parole a chi è per leggere. .... , pag. 3 

Parere d’ un Amico intorno a questo libro 7 

Risposta 

Prefazione 

Opuscolo I. De’ Fedecommessi e dell’ Aristocrazia . . . 

Due parole al Lettore . 

Lettera I. I Fedecommessi sono una istituzione apparte- 
nente a più luoghi c a più genti e tempi , che non si 

crede. Conseguenza di ciò 27 

Essi hanno una principale e giusta difesa nell’interesse con- 

venientemente inteso di famiglia 23 

Non sono applicabili ai piccoli patrimoni, ma solo ai gran- 
dissimi ivi 

Perennando lo splendore di tutta una linea principale po - 
tentemente soddisfatto a uno de’ sentimenti connaturali 

all’ uomo 3 Q 

Senza i Fedecommessi , le grandi fortune, di necessità , tra 
breve, sminuzzandosi , periscono per V intera fami- 
glia , e con ciò essa è condannata a rapido scadimen- 
to .... . ai 

1 Fedecommessi salvano , per quanto esser può , il patri- 
monio dalle imprevidenze, dall'incuria, e da’ vizi dei 
temporanei suoi possessori, e lo conservano a que’che 
debbono in avvenire possederlo ivi 


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— 206 — 

Discussione delle ragioni de’ cadetti. E maggiore il numero 
de'beneficali nel sistema che qui si contempla di quello 

che nel sistema opposto pag. ivi 

Infatti quei che nel i° sistema godono ( al contrario di ciò 

che succede nel 2°) sonpiù numerosi de’ danneggiati. 32 

I vantaggi d’ognuno de' favoriti sono più grandi, che i 

vantaggi d’ognuno de’ favoriti nell' altro sistema. . ivi 
Gli svantaggi de’ danneggiati nel secondo sistema sono più 

grandi che quei de’ danneggiali nel primo. ... ivi 

Lettera 11. Soluzione d’ alcune difficoltà 35 

Si risponde a chi oppone che il testatore dee riguardare al 
bene massimo de’ prossimi ed esistenti , e non , collo 
scapito di questi , a quello de’ remoti , e non esistenti 
ancora, o forse non destinati ad esistere giammai . 3fì 
Si prova che, oltre al vero interesse delle famiglie , nel si- 
stema de fedecommessi , meglio che nel sistema con- 
trario , è provveduto anche all’interesse dello stato . ivi 
Risposta alla obbiezione de’ supposti diritti degli altri figli, 

che si dicon violali nel sistema da noi difeso . . . 38 

Si torna a distinguere tra i fedecommessi utili, e i danno- 
si , e si prova come ne’ primi i cadetti non sono pre- 
giudicali in modo indebito 19 

Risposta a chi oppone l’ accusa di parzialità , e d’ eccita- 
mento alle invidie , a’ disamori, alle discordie tra pa - 
dre e figli e tra fratelli. — Esposizione de’ rapporti 

tra V erede preferito cogli altri posposti 12 

Convenienza del preferire il primogenito ai nati poi . . M 

Di nuovo sull’ accusa del supposto fomite somministrato 


alle invidie reciproche 45 

Indirizzo da dare all’ educazione perchè queste temute in - 
vidie non nascano . ? . . ? ; r • • . 13 

Lettera III. Seguita la soluzione delle difficoltà. ... 18 

Non è vero che i fedecommessi , favorendo il celibato lai- 
cale , favoriscano i vizi che vi vanno connessi. . . 19 

1 matrimoni son più incoraggiati nel sistema qtrì difeso , 


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— 207 — 


che in quello della divisione dell’ eredità per capita, p. 49 
È insussistente il nocumento che la sottrazione di molti be- 

ni rustici , in virtù, de’ vincoli fidecommissarii , alle 
speculazioni di compra e vendila minaccia di recare 
al pubblico ....... - ... . 53 

Un certo numero di latifondi legati a fedecommesso , lungi 
dall’ essere un impedimento alla buona agricoltura , 
ed alla pubblica prosperità , sono utili e necessari al- 

l'unae all’ altra , » . . . , . , . . 54 

Risposta alla difficoltà tratta dai creditori dell’eredità de- 
fraudali talvolta , quando essa ha il genere di vincolo 

del quale qui si tratta. . . . 53 

Lettera IV . Difesa dell’Aristocrazia 58 

Proposizione premessa , che, distrutti i fedecommessi , è di- 
strutto il patriziato . . . . 59 

I vizi de’ nobili che sono da degenerata istituzione non vo- 
gliono esser contati soli , ma messi a confronto delle 

utilità , e delle virtù ivi 

Essi vizi possono emendarsi , e le utilità e le virtù accre- 
scersi : utilità e virtù le quali difficilmente possono 

trovarsi fuori del ceto patrizio ivi 

È nella natura stessa della Nobiltà un seme di migliora- 
mento nella specie umana , che ne innalza la dignità 

e la perfezione 69 

Caratteri propri del genuino patriziato 61 

La grandezza degli averi in famiglie non patrizie non può 
dare i vantaggi eh’ essa dà o può dare nelle famiglie 

patrizie .... . . . 63 

Necessità politica in uno stalo dell’ esistenza del ceto nobi- 
le , e particolari servigi , che ad esso esclusivamente 
sono riservati ed appartengono. Conclusione . . 64 

Opuscolo II. — Della libertà e dell’eguaglianza civile. — 

Del governo e della sovranità in generale. — Della 
così della sovranità del popolo , e della democra- 
zia. — Del voto universale. — Delle rivoluzioni e 


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— 208 — 


delle riforme de governi ec paff. G9 

Art. I. Della libertà nel civile consorzio , e decimiti , che 

necessariamente debbe avere. . 71 

I più di qne’ che la dimandano oggi, da ette negano nella 
loro filosofia il libero arbitrio, e sono materialisti , 
fanno una dimanda assurda , cioè chiedono quel che 

credono non potere esse r loro concesso ivi 

Per chiedere la libertà civile , bisogna essere spiritualista , 
e cogli spiritualisti non è difficile giungere ad inten- 
dersi in tutte le altre questioni da noi trattate. . . 72 

Que’ che chiedono la libertà, quale e quanta la dà natura, 
debbon concedere gli usi buoni ed i cattivi della mede- 
sima , ed una legge interna che comanda i primi , e 
vieta i secondi , e con ciò debbon concedere di fatto e 
di diritto che la libertà è limitata per natura ... 73 

La convivenza civile essendo ordinata a perfezionare l’uo- 
mo , e non a deteriorarlo , la miglior convivenza ci- 
vile necessariamente dee dirsi una convivenza ove la 
libertà naturale incontra nella legge vincoli grandis- 
simi e maggiori di que’ che ordinariamente le si pre- 
scrivono 74 

È solo la difficoltà soverchia opposta dalla corruttela uma- 
na allo stabilimento d’ una piena normalità nelle ci- 
vili convivenze , quella che impedisce il comandare 
oggi tulli i vincoli che bisognerebbero: ciocché non to- 
glie però che il vero progresso è quello il qual favori- 
sce essi vincoli , e li promuove, anzi che produrre ef- 
fetto opposto ivi 

È per effetto di questa difficoltà che le umane congreghe si 
ristringono per solilo quasi al solo governo di quelle 
libertà , gli usi o abusi delle quali risguardano i rap- 
porti reciproci de’ cittadini co’ cittadini , non che il 
loro scopo remolo non debba esser quello d’ordinare 
a poco a poco le leggi a una sempre migliore siste- 
mazione , e per conseguenza a una sempre maggior 


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— 209 — 

limitazione, di tutte le altre libertà col fine d’ acco- 
star f turno alla perfezione quanto più puossi. pag. H i 
Prime parole sulle leggi che legar debbono le libertà , e su ' 
coloro che debbono stabilirle; c sulla genesi dell’ odier- 
no domma della sovranità del popolo , e del patto 

sociale . . ... . 16 

Art. II. Dèli’ eguaglianza in generale , e quanto poco esi- 
sta essa nella specie umana 80 

Falsità della massima che al volgo suole oggi insinuarsi 
che gli uomini sono lutti uguali per natura. ... ivi 
Naturale ineguaglianza fisica tra uomo ed uomo . . . 81 

Naturale ineguaglianza morale . ivi 

Altre cagioni artificiali ed accidentali d’ inegualità; e prima 

per parte degli educatori 82 

Degli educandi. . , gj 

D’altre accidentali cagioni ivi 

E pel fine stesso che l’arli educatrici si propongono , e pos- 
sono non proporsi Si 

Per ultimo V ineguaglianza è la legge generale della natu- 
ra, in tutto il creato So 

Una delle principali ragioni, per le quali il Creatore volle 

questa disuguaglianza ivi 

Vergognoso abuso che si fa della religione per cercar di 

persuadere la contraria dottrina Sfi 

Passaggio al provare che inutilmente si limitano alcuni ed 
difendere soltanto V eguaglianza ne’ fondamentali di- 
ritti della vita di cittadino ........ si 

Art. III. Dell’ eguaglianza nel civile consorzio , e su giudi 
falsi fondamenti si pretenda stabilirla. . , . . 88 
Paralogismi con che, dato un quale che siasi appoggio alla 
qui combattuta dottrina , cercasi di ricavarne la dot- 
trina del palio sociale, della sovranità popolare e 
della democrazia ; e conseguenze che se ne deducono, ivi 
È falsa l'equipollenza di condizioni pel cui supposto gli 
uomini liberamente entrando in una civil convivenza, 

i4 


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— 210 — 

acquistati pari diritto di fermarmi palli . . pag. 01 

Nè lo stabilimento di questi patti è puro atto di libertà, ma 
dee conformarsi a certe massime generali di ragione 
e di giustizia che impediscono appunto l’affermata 

egualità di diritti 92 

È non men falso , che gli umani consorzi quali sono e 
furono debbano considerarsi come illegittimi e spurii 
perchè non individualmente consentiti da tutti e da 
ciascuno. Passaggio al provare l'assurdità e i peri- 
coli della dottrina che quindi si suol trarre per voler 
sovvertire il passato e il presente a vantaggio d' un 

futuro ipotetico . ■ . 93 

Art. IV. Considerazioni contro al preteso diritto di rinno- 
vare le società umane per accomodarle alle proprie 
idee preconcette , e contro alle tentale riduzioni ad 

atto di questo diritto 95 

Confutazione di quattro proposizioni, che corron oggi per 
le bocche di molli , e prima , risposta alla i a proposi- 
zione , che il mondo ha bisogno di riforma . . . 96 

Alla 2. Che la riforma la qual bisogna è quella che le scuo - 
le democratiche oggi insegnano , e non altra. . . 93 

Alla 3. Che la riforma la cui necessità si va predicando 
con parole si ha diritto di condurla immediatamente 
ad atto; e che non è da lasciarsi trattenere da qua- 
lunque ostacolo d’opposta ragione 98 

Alla 4. Che qualunque mezzo dee tenersi per buono e leci- 
to, se al fine conduce della universale riforma che vuol 


tentarsi. . , s = , , = , . ! . . . 103 

Art. V. Altre considerazioni sulle riforme nel reggimento 
delle convivenze umane in generale, e sul diritto ed il 

modo di tentarle . 106 

Due casi che rispetto a ciò possono darsi. E prima, del 

caso, in cui tutti consentano ivi 

Secondo , del caso in cui siano divisi i pareri , e sia lotta 

de' medesimi. Solo e vero diritto che allora si ha ■ ■ 1Q7 


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— 211 — 


Grave torlo dei dilettanti di malcontento , e parole seve- 


re ad essi dirette quando tentano le rivoluzioni, pag. 108 

Risposta a certi loro sofismi 109 

Danni delle rivolture politiche , quanto a interessi di ogni 

genere 110 

Incertezza de’ loro successi Ili 

Difficoltà del ben giudicare i molivi che spingono a rivolte, 
e poca fiducia da aversi in coloro che per solito le 

tentano . 114 

Vanità della querela che alcuni fanno , come se tolta la li- 
bertà delle rivoluzioni, il migliore strumento fosse tol - 
to del ritorno a giustizia. Esame d’ alcuni esempi so- 

lili ad addursi. . . . , s . s , . . . 115 

Rimedi più veri e più ragionevoli contro alle ingiustizie an- 
che abituali de' gox'emi 117 

Certi mali sono conseguenza d’imperfezione della natura 

nostra , o decreti di Provvidenza . . . . . .118 


Essi sono il più spesso, generalmente parlando , ineritali, ivi 
Doveri e diritti de’ cittadini sottoposti a cattivo reggimento. 119 
Art. VI. De’ governi, e delle sovranità in generale. . . 121 
Ignoranza del popolo quanto alle idee di ciò che è sovra- 
nità , e di ciò che è popolo. Esempio ivi 

Se un diritto , il quale anche realmente si abbia , sia sem- 


pre perseguibile , e da perseguire 122 

Idee preliminari sulla socievolezza , come una delle con- 
dizioni di natura date all’ uomo 1 2.1 

Il bisogno d" un governo è uno de’ conseguenti della neces- 
sità d’ associarsi. Definizione del governo . . . . ivi 

Distinzione fra governo normale, e governo legittimo in- 
dicata 124 

Mentre il vivere in società è una necessità ingenita, la for- 
mazione d’un governo è un bisogno accidentale, so- 
praggiunto , e secondario 125 

Dottrina intorno a ciò che discende dalla Fede ivi 

Distinzionedi tre stati nell’uomo, cosi come oggi lo cono- 


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— 212 


sciamo per sola ragione. E prima dell’ uomo ine- 
ducato e selvaggio e delle conseguenze di questa con - 
dizione quanto a governo pag. 126 

Secondo, del? uomo ipoteticamente perfetto, e di nuovo 

del governo del quale è suscettivo 127 

Terzo , dell’ uomo nè selvaggio , nè perfetto , cosi come 
suol essere , c delle innumerabili varietà delle sue 
condizioni , donde si trae che il governo il quale gli 
conviene non ha nè può avere generali regole , tran- 
ne il principio generico che dee possibilmente esser giu- 
sto e ragionevole ivi 

Questo principio generico non insegna però,nuUa d’assoluto 
guanto a necessità di determinale forme nell’ applicar 
zione, e negli altri particolari a cui si suole applicarlo. 129 
Niente dunque v’ha di primitivamente fermo e comandalo 
intorno alle costituzioni primitive de’ governi da ap - 

■ plicarsi alle diverse genti 131 

Art. VII. Della sovranità del popolo, consistente nella de - 
mocrazia pura , e rappresentata dal voto universale. 135 
Ragionamenti che si fanno per provarla universalmente 

fondata sopra giustizia e ragione ivi 

foro insussistenza. V’è egli un popolo uno ? Tutto ragio- 
nevole? Tulio illuminalo ? Tutto probo ? Tutto una - 
nime ? Conseguenze che discendono dalla risposta ne- 

galiva a si fatti quesiti. 137 

Esame della famosa dottrina circa le maggiorità , e circa 

il voto universale 138 

Che cosa è il maggior numero ; come si compone , e che cosa 
conseguila dai difetti della sua composizione. ■ _ ■ ■ 139 
Se sia vero che col volo universale si può almeno ottenere 

il massimo contentamento del Corpo Sociale . . .141 

Fino a qual segno le maggiorità siano maggiorità reali- . 1 44 
Ari. Vili. Continuazione deli articolo antecedente . — La 
democrazia de’ moderni non può convenire ad alcun 
popolo 147 


, * 


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— 213 — 

Essa twn conviene a un popolo selvaggio. . . . pag. 

143 

Non a un piccolo popolo di pastori e d’ agricoltori. . . 

118 

Non a un popolo piti o meno provetto in civiltà. . . . 

U9 

per cagione delle disuguaglianze , che la civiltà tende sem- 


pre ad accrescere , e delle loro conseguenze . . . 

150 

per cagione della lotta delle virtù co’ vizi — delle altre ine- 


guaglianze che da ciò derivano — e delle necessità 


che ciò crea . 

152 

per cagione di ciò che costringono a mettere a calcolo nella 


formazione delle società le diversità enormi d’ inleres- 


si tra cittadini e cittadini 

153 

Conseguenze funeste ed assurde del sistema tanto da deu- 


ni idolatrato della divisione de’ beni secondo le leggi 


della livellazione universale 

155 

Differenza sleale di linguaggio che usano i propagatori del- 


le dottrine nuove quando parlano col volgo , e quan- 


do colle persone educale a ragionamenti «_ 

JL58 

Dilemma ad essi proposto. Vogliono essi o non vogliono ri- 


spettata la differenza di grado negl’interessi, e tenu- 


lane ragione? Se no , conseguenze necessarie e lui- 


(uose della neqativa 

160 

Se si , dire conseguenze di ciò diametralmente opìwsle a 


quel che pretendono e vanno spacciando ..... 

163 

Art. IX. Continuazione dello stesso argomento. Traltazio- 


ne d’ deune obbiezioni die quali si cerca rispondere. 

165 

Risposta die lagnanze di que’ che lamentano il vilipendio e 


l’ oppressione del povero popolo , e agli eccitamenti 


che gli danno a redimersi a ogni patto 

166 


Leggierezza , e spesso insussistenza de’ giudizi che su que- 
sto proposito s avventurano ivi 


Mate usanze introdotte rispetto a ciò , e perniciosi effetti 

di esse 167 

Diritti esorbitanti che si vorrebber dati alle turbe a fine di 
prevenire gli abusi dell’ autorità imperarne , c di' farli 
efficacemente cessare , ed estirpare radicalmente. . 1 1Q 


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— 214 — 

Catastrofi inevitabili alle quali non potrebbe non condur - 
re la riduzione a pratica di tutto questo ordine (Videe. 172 
Parere intorno a ciò di Cicerone e di Platone ed esempi 

moderni pag. 173 

Contraddizione con sè stessi de’ difensori delle dottrine fin 
qui impugnate , i quali mentre affermano di combat - 
tere per la libertà, impongono servitù inlolleranda ai 
loro proseliti, e cosi mostrano che colla libertà da 
essi predicata il governare comunque le volontà uma- 
ne è impossibile anche a lor giudizio 175 

Le stesse ragioni colle quali lentan essi di scusare questa 

contraddizione provano contro di loro 176 

Art. X. Di nuovo delle ragioni, per le quali la formazio- 
ne a priori d' un ottimo governo , e lo stabilimento il 
più ragionevole della sovranità non ha regole gene - 
rali , e costituisce un problema di difficilissima e qua- 
si impossibile soluzione , massime quando la soluzio- 

ne al popolo s’abbandoni 177 

Pochissimo , e quasi titilla , rispetto a ciò, può attinger- 
si, ne’ particolari casi , dalla sapienza generale , e 
quasi lutto esige in essi le deliberazioni ad hoc d’uo- 
mini i più saggi ivi 

Or 1. Alcune volte quest’ uomini non sono presso il po- 


polo del quale si tratta • ♦ 178 

2. Spesso non in sono in sufficiente numero, e tale da es- 

sere facilmente trovati ed utilmente ascoltali . . . ivi 

3. Diffìcilissimo è distinguerli dai cerretani che simulati 

sapienza ed esperienza , e tendono con male arti a 
mettersi inmnzi e prevalere 179 

4. Non dirado, anche cotisultati, rendono intralciatissima 

la deliberazione, non essendo tra loro accordo di pa- 
reri ivi 

5. Spesso ancora accresce la difficoltà il tnescolar che 

' essi fanno all’ interesse della causa pubblica , quello 
delle private loro cause, delle loro passioni e simili, ivi 


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1 


E tuttociò vale, quando , a società non costituita an- 
cora in alcun modo, trattasi di costituirla. Peggio è 
che il più spesso le società umane sono già costituite, 
e v’ è la question preliminare , se sia giusto , con- 
veniente , e possibile il disfarle per rifarle . pag. 180 
Lotte per solito che in tal caso nascono tra conserva- 
tori , e riformatori, e discussione de diritti degli uni e 
degli altri e delle contitigenti conseguenze di esse lolle, ivi 
Art. XI. Del perchè e del come il problema del governo 
e della sovranità è presso a poco insolubile a priori 


por V umana sapienza 1 82 

Cardine della questione. Doppia natura dell'uomo. . . ivi 

Bisogni ed istinti numerosi della vita terrena, che non son 
fatti per ottenere la soddisfazione loro durante essa 

vita 183 

Motivo e fine occulto , e non troppo occulto , di ciò. . 181 
Applicazione di questa dottrina anche al particolare pro - 
blema qui discorso .183 


E nondimeno non può dirsi che un qualche rimedio alla 
frequente imperfezione degli ordinamenti civili non 
sia dato in terra all’ umana specie. Ritorno , rispetto 
a ciò , a una quislione già altrove trattata. . . 186 

Art. XII. Di quello che’ al popolo non ispella , e spel- 
ta , in fatto di governo e di sovranità, e del modo 


e della misura in che gli spetta 1 88 

Principal fonte delle false opinioni che intorno a ciò cor- 
rono tra’ moderni ivi 

Si torna all’esame della presunta distribuzione tra lutti 
del diritto competente a trattare e risolvere sì falle 

questioni ivi 

Una conseguenza ultima ed inevitabile di si falla dottrina 
è che la sovranità non obbligherebbe dunque che t ~ 
soli consenzienti , o piuttosto non obbligherebbe alcu - 
no , e cesserebbe d’ esistere in altro modo , che come 
una cosa da giuoco ed assurda 1 89 


r. 


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216 - 


li altrettanto sarebbe di tutte le leggi .... pag. t90 
Teoremi più veri eh’ io credo doversi sostituire alle opi- 
nioni dominanti delle turbe male istrutte. Proposi- 


zione i , 2 , 3, 4, S » 6 ,7. , ' 191 

Due parole su i governi assoluti 197 

Protesta 198 

Art. XIII. ed ultimo. — Conclusione ed Epilogo. . . 200 

Esortazione ai predicatori di rivoluzioni e di novità poli- 
tiche ivi 

Poche parole a’ Principi 203 

Indice ragionato ,. 206 


P3K. 

Lin. 

ERBATA 

CORRIGE 

21 

6 

Urliamo 

Gridiamo 

22 

8 

fili 

le 

23 

6 

ristampa con emendazioni edizione 3.* 

2U 

0 

di lilosolia 

di buona tilosofia 

30 

1 

collaterali ) 

collaterali almeno prossimi ) 

IVI 

40 

in quella società 

in quel consorzio 

ivi 

27 

nipoti nostri 

nipoti nostri , e, se non di tulli alme- 
no di (pianti più ci è lecito 

31 

3 

civil società 

civil congrega 

33 

28 

all'opposto, per 

all' opposto (almen quanto alla linea 
privilegiala), tra 
pe’ fratelli poi-nati 

lTl 

30 

pe" cadetti 

34 

24 

quello dico . 

quello dico , pur mentovalo , conte- 
chè alla breve , 

35 

ir 

società 

consociazioni 

48 

28 

son le difficoltà 

son difficoltà 

53 

3 

le propensioni 

le agevolezze 

IVI 

IVI 

pii uomini 

gli uomini senza rovinarsi 

Kit 

24 

de' Babilonesi 

degli Assiri 

117 

10 

c clic 

e che se 


CONSIGLIO GENERALE DELLA PUBBLICA ISTRUZIONE 

Napoli 4. Luglio iH5i 

Vista la dimanda del Tipografo Raffaele Marotta con che ha chiesto ri- 
stampare il primo volume dell’opera intitolata = Opuscoli politici del 
Professore Francesco Orioli. = Visto il parere del Regio Revisore Signor 
D. Giulio Capone. Si permetta che la suddetta opera si ristampi, però 
non si pubblichi senza un secondo permesso che non si darà se prima lo 
stesso Regio Revisore non avrà attestato di aver riconosciuto nel confronto 
essere 1* impressione uniforme all’ originale approvato. 

il Presidente interino: Francesco S averio j4 puzzo, 
ìl Segretario interino : Giuseppe Piktrocola . 


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