Thursday, July 4, 2024

Grice e Ruggiero

 LA FILOSOFIA ITALIANA 

•i3 


(ì.  I»K  huGGiKKO.  La  filosofia  coniemfor>tnea. 


!.. .  . 


I 

DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 

1.  La  fortuna  dei  nostri  filosofi.  —  Con  la  filo- 
soTia  italiana  vogliamo  rifarci  dalle  origini.  Se  c’è 
un  paese  che  può  vantare  uno  svolgimento  origi¬ 
nale  di  pensiero,  dal  Rinascimento  ai  nostri  giorni, 
questo  è  appunto  l’Italia.  E  nel  tempo  stesso,  sem¬ 
bra  che  nessun  paese  possa  deplorare,  con  maggior 
diritto  delTItalia,  il  disconoscimento  più  pieno  della 
sua  vita  mentale. 

Il  nostro  Rinascimento  è  in  generale  conosciuto; 
ma,  dopo,  ci  si  sequestra  dalla  circolazione  del  pen¬ 
siero  europeo:  Vico  è  lettera  morta  fuori  d’Italia;  e 
il  secolo  XIX  offre  questa  stranezza,  che  vengono  ele¬ 
vati  a  fama  europea  scrittori  mediocri  come  l’Hamil- 
ton,  il  Cousin  e  più  tardi  il  Lotze,  mentre  sono  igno¬ 
rati  un  Rosmini,  un  Gioberti,  uno  Spaventa,  tre  pen¬ 
satori  geniali,  che  proseguono  la  tradizione  specula¬ 
tiva  del  pensiero  europeo,  proprio  quando  sembrava 
interrotta,  nella  fine  apparente  dell’idealismo  tedesco. 

Io  non  starò  qui  a  fare  un  ridicolo  processo  agli 
stranieri  per  averci  dimenticati:  noi  per  i  primi 
non  ci  siamo  dimostrati  all’altezza  del  nostro  pas¬ 
sato;  e  le  stesse  condizioni  civili  e  politiche  d’Italia 
nel  secolo  XIX  hanno  purtroppo  contribuito  alla 
sprezzante  dimenticanza  Si,  perché  la  circolazione 


i 


350  LA  FILOSOFIA  IT.ALIANA 

del  pensiero  avviene  in  modo  diverso  nei  tempi  mo¬ 
derni  che  nel  Rinascimento.  Allora  potevamo,  anche 
politicamente  schiavi,  dettar  le  leggi  della  cultura 
agli  stranieri:  allora  infatti  la  vita  del  pensiero  era 
l’universalismo  astratto,  naturalistico,  che  neutra¬ 
lizza  le  diflerenze  della  storia:  la  sua  espressione  è 
il  concetto  della  sostanza  del  Bruno,  l’unità  indiffe¬ 
rente  degli  opposti.  Nel  secolo  XIX,  invece,  s’inizia 
un  movimento  profondo  d’individuazione:  è  il  pe¬ 
riodo  dello  storicismo.  Il  pensiero  non  vive  più 
astratto  dalla  sua  vita  storica,  e,  fuori  deU’indivi- 
duazione  politica,  sociale,  morale  d’un  popolo  è 
nulla,  è  flatus  vocis.  Cosi  si  sono  affermate  la  cultura 
tedesca,  quella  francese,  quella  inglese:  culture  di 
popoli  formati.  La  nostra  no.  Noi  avemmo  due  grandi 
pensatori.  Rosmini  e  Gioberti,  ma  erano  un’antici¬ 
pazione  sulla  nostra  realtà  storica.  Noi  non  h  cele¬ 
brammo  che  quando  volemmo  far  la  nostra  stona: 
il  loro  pensiero  rifulse  di  vivida  luce  nel  1848;  ma 
diventò  cosa  morta  nel  ’49.  E  l’Italia  che  si  forniò 
nel  ’fiO  non  fu  rosminiana  né  giobertiana:  perché? 
Purtroppo  è  nota  la  decadenza  mentale  e  morale  di 
quella  nuova  Italia:  la  sua  voce  non  era  più  la  voce 
generosa  di  Gioberti,  ma  la  molle  cantilena  di  Ma- 
miani  e  l’accento  rauco  di  Ferrari. 

Nel  1861,  in  un  corso  di  filosofia,  che  resterà 
celebre  nella  storia  del  nostro  pensiero,  il  terzo  dei 
grandi  pensatori  italiani,  Bertrando  Spaventa,  rievo¬ 
cava  le  glorie  del  nostro  passato,  e  spiegava  a  una 
folia  d’ignari  lo  svolgimento  originale  del  pensiero 
italiano  nei  suoi  rapporti  col  pensiero  europeo  :  nella 
nuova  luce  da  lui  diffusa  sulla  nostra  filosofia.  Bruno 
e  Campanella  trovavano  il  loro  posto  nella  storia  del 
pensiero  come  precursori  di  Cartesio,  di  Spinoza  e 
di  Locke;  Vico,  come  il  geniale  presentimento  di 


I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 


357 


Kant;  e  infine,  Galluppi,  Rosmini,  e  Gioberti  rappre¬ 
sentavano  la  coscienza  via  via  più  compiuta  del 
kantismo,  come  questo  s’era  svolto  in  Germania  per 
opera  di  Fichte  e  di  Hegel.  Ma  lo  Spaventa  avver¬ 
tiva  che  la  caratteristica  dell’ingegno  italiano  in 
tutti  i  tempi  era  quella  di  es.sere  precursore,  di  avere 
il  presentimento  delle  nuove  verità,  ma  di  non  sa¬ 
perle  svolgere,  e  di  falsificarne  perfino  il  senso  e  la 
portala.  Ma  con  la  rinnovata  coscienza  della  pro¬ 
pria  storia,  lo  Spaventa  sperava  che  ritalia  risorta 
allora  a  unità  politica,  potesse  riprendere,  in  una 
piena  consapevolezza,  il  posto  che  le  spettava  nella 
cultura.  Ed  egli  stesso  ne  additava  la  via,  con  uno 
sforzo  tenace,  che  durò  tutta  la  sua  vita,  per  porsi 
all’altezza  del  movimento  storico,  comprimendo  ogni 
impulso  del  suo  pensiero  originale  per  rivivere  in¬ 
tensamente  il  pensiero  altrui;  facendosi  perpetuo 
scolaro,  per  poter  diventare  il  vero  maestro  degli 
italiani. 

Ma  l’Italia  alla  quale  egli  parlava  non  era  in 
grado  di  capirlo:  ell’era  quella  stessa  Italia  che 
aveva  pervertito  il  giohertismo  in  una  speculazione 
flaccida  e  senza  sangue;  la  filosofia  dei  bramani,  come 
lo  stesso  Spaventa  diceva.  Ond’è  che  il  geniale  hege¬ 
liano  parve  a  taluni  un  mistico,  ad  altri  un  sovverti¬ 
tore  della  scolastica;  a  nessuno  quello  che  in  realtà 
era.  I  falsi  nazionalisti  gli  rimproveravano  il  suo 
hegelismo;  i  falsi  hegeliani  il  suo  nazionalismo:  in 
verità  gli  rimproveravano  gli  uni  gli  errori  degli 
altri:  dalla  doppia  taccia  egli  era  immune:  egli  che 
sentiva,  si,  italianamente  la  filosofìa,  ma  la  pensava 
universalmente. 

Il  primo  insegnamento  dello  Spaventa,  come 
quello  ilei  suo  granile  conterraneo,  il  De  Sanctis, 
fu  dunque  infruttuoso;  a  riceverlo,  le  menti  erano 


358 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


impreparate.  Non  cosi  oggi,  che  nella  rinascente  ita¬ 
lianità.  noi  impariamo  a  vivere  in  comunione  col 
nostro  passato,  consci  che  ogni  sviluppo  della  vita 
speculativa  è  possibile  solo  mediante  una  piu  salda 
continuità  con  la  tradizione  storica.  L’Italia  nostra 
non  s’è  fatta  net  1860  ma  si  va  facendo  ai  nostri 
giorni  '  :  quella  stessa  Italia  che  va  conquistando  una 
posizione  sempre  più  eminente  tra  i  popoli,  afferma 
la  forza  interiore  di  questa  ascensione  col  rinnova¬ 
mento  della  sua  coscienza  speculativa.  In  tale  rin¬ 
novamento.  risorgono  i  nostri  grandi,  Francesco  De 
.Sanctis.  Bertrando  Spaventa;  attraverso  essi,  noi 
ci  colleghiamo  al  nostro  passato.  Io  esporrò  breve¬ 
mente  Tammaestramento  loro  (e  di  quelli  che  pro¬ 
seguendone  l’opera  hanno  contribuito  con  loro  al 
presente  risveglio)  su  questo  passato. 


2.  Il  Rinascimento  e  Machiavelli.  Gli  albori 
del  pensiero  moderno  sono  da  ricercare  nell’uma- 
nismo.  Ivi  la  filologia  già  lascia  intravvedere  il 
principio  e  l’indirizzo  della  nuova  filosofia;  ivi  già 
si  accenna  quel  ritorno  all’antico  che  è  invece 
creazione  del  nuovo.  Sotto  i  colpi  dell’umanismo 
comincia  il  dissolvimento  della  scolastica,  che  pro¬ 
segue  poi,  più  rapido,  nel  rinnovamento  della  vita 
civile  e  politica,  e  della  speculazione  che  l’esprime. 
Qual  è  il  significato  della  scolastica?  Essa  è  un  con¬ 
nubio  del  cristianesimo  con  l’aristotelismo.  Il  Dio 
che  si  era  umanizzato  in  Cristo  si  naturalizza  nella 
logica  aristotelica:  diviene  l’Ente,  l’oggetto,  nei 
quadri  della  sillogistica.  11  monumento  della  scola¬ 
stica  è  la  prova  ontologica  di  Anseimo.  Questo  natu- 


1  Queste  parole  sono 


state  scritte  nel  1911. 


I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 


359 


ralismo  è  già  un  grande  progresso:  non  è  il  na¬ 
turalismo  fisico  dei  presocratici,  non  il  naturalismo 
ideale  dei  platonici,  ma  è  naturalismo  divino.  Per 
mezzo  suo  si  svolge  la  contradizione  del  cristiane¬ 
simo,  con  la  sua  doppia  alTermazione  dell’umanità 
e  della  divinità  di  Dio.  E  il  nuovo  naturalismo  del 
Rinascimento,  che  sorge  come  negazione  di  quello 
scolastico,  contiene  in  realtà  la  doppia  esigenza, 
nella  sua  unica  aflermazione  della  divinità  e  umanità 
della  natura.  Con  esso  s’inizia  l’età  veramente 
umana  della  lìlosofia. 

Quanto  al  suo  procedimento  speculativo,  la  sco¬ 
lastica  si  compendia  nei  princìpi  della  sillogistica; 
la  sua  visione  etica  del  mondo,  poi,  nell  ascetismo 
e  nel  misticismo:  la  speranza  messianica  implica  la 
svalutazione  della  realtà  attuale  e  della  vita.  E  il 
Rinascimento  è  l’antitesi  di  entrambi  gl’indirizzi: 
esso  è  la  sopravvalutazione  della  vita  —  quella  che 
la  libertà  comunale,  gli  attivati  commerci  e  i  rap¬ 
porti  politici  promovevano  e  intensificavano;  e  in 
pari  tempo  esso  è  Patteggiamento  nuovo  del  pensiero 
speculativo,  che  non  ha  una  realtà  fatta  innanzi  a 
sé,  da  sillogizzare,  ma  crea  la  sua  realtà,  osservando, 
provando,  inducendo.  Nascono  cosi  due  scienze,  la 
politica  e  la  fisica,  ambedue  dal  me<ìesimo  indirizzo, 
rivolto  a  umanizzare  i  rapporti  della  vita  civile  e 
delia  realtà  naturale.  Eppure  l’una  non  sa  dell’altra 
e  non  intende  che  concorre  con  l’altra:  da  questa 
reciproca  ignoranza  deriva  quell’ombra  del  trascen¬ 
dente,  residuo  della  scolastica,  che  attenua  la  forza 
della  nuova  speculazione:  è  la  doppia  proiezione 
dell’ignoto,  dall’un  capo  all’altro.  Manca  in  Italia 
la  concezione  della  scienza  universale,  che  ammi¬ 
riamo  in  uno  Spinoza  o  in  un  Leibniz:  Machiavelli 
e  Galileo  non  trovano  la  loro  unità. 


360 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


Perciò  abbiamo  i  politici  da  una  parte,  i  natu¬ 
ralisti  dall'altra:  i  lìlosofì  qui  non  rappresentano 
l’unica  chiarezza  della  doppia  posizione.  La  loro 
visione  è  ancora  torbida;  ancora  il  movimento  non 
è  giunto  alla  maturità  della  rillessione.  La  realta 
nuova  che  si  fa  nella  mente  di  Machiavelli  o  di 
Galileo  non  si  esprime  ancora  con  chiarezza  nella 
speculazione  di  Bruno  o  di  Campanella. 


Il  pensatore  che  meglio  rappresenta  la  formazione 
dello  spirilo  moderno  è  Machiavelli.  In  lui  già  tutta 
la  scolastica  è  virtualmente  superata:  alla  vita  asce¬ 
tica  del  medio  evo  subentra  la  vita  attiva  del  con¬ 
sorzio  politico:  all’arte  sillogistica,  l’osservazione 
della  realtà  umana  nei  nessi  causali  della  stona.  In 
lui  già  si  trovano  come  concentrate  tutte  le  tendenze 
dell’uomo  nuovo.  Come  l’umanista  si  trasferiva  nel 
passato  per  liberarsi  dal  linguaggio  barbaro  de  a 
scolastica;  come  più  tardi  Bruno  si  richiamerà  al  a 
lilosolia  di  Pitagora  e  degli  Kleati  per  vinceie  a 
.stessa  barbarie  nella  filosofia,  cosi  Machiavelli  cerca 
di  attingere  ai  grandi  storici  dell’antichità  i  mezzi 
per  liberare  l’uomo  dalle  contingenze  storiche,  quali 
sono  tutte  le  forme  e  istituzioni  medievali  sorrette 
dall’autorità  di  una  tradizione  irrazionale*.  A  che 
mena  questo  indirizzo?  A  neutralizzare  le  differenze 
della  storia,  a  concepire  l’umanita  come  una  forza 
potente,  retta  da  leggi  fatali  e  inesorabili,  da  una 
logica  interiore  che  annulla  ogni  autonomia  degli 
individui.  Non  è  dunque  l’umanità  come  mentali  a. 
concetto  assai  più  recente,  ma  come  sostanza;  Ma¬ 
chiavelli  anticipa  nella  politica  la  posizione  di  Bruno 
e  di  Spinoza.  Ma  non  ha  egli,  nel  Principe,  dato 


1  G.  Gentile.  B.  Telesio,  Buri,  1911,  p.  30. 


I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 


361 


un’allerniazione  potente  deirindividiialità  umana? 
Si,  allo  stesso  modo  che  Bruno  atTennerà  la  monade 
nel  suo  naturalismo:  non  come  principio  e  presen¬ 
timento  di  vita  spirituale,  quale  sarà  per  Leibniz, 
ma  come  semplice  contrazione  e  concentrazione  della 
sostanza.  Cosi  col  Principe  vagheggiato  da  Machia¬ 
velli,  l’umanità  non  si  eleva  a  una  vita  spirituale  e 
libera,  a  una  vera  individualità,  ma  al  contrario 
vien  consacrato  e  ribadito  il  più  rigido  naturalismo. 

Ma  questo  naturalismo  è  tutto  nuovo,  ed  è  l’an¬ 
titesi  di  quello  scolastico.  Ora  l’antica  trascendenza 
è  negata,  e  l’uomo  è  spiegato  nella  sua  realtà  efTet- 
tuale,  secondo  le  forze  e  le  leggi  della  propria  na¬ 
tura:  è  la  prima  affermazione  deH’autonomia  umana 
e  dcH’immanenza  del  processo  storico:  è  il  pensiero 
moderno  che  acquista  coscienza  di  essere  l’autore 
della  propria  storia.  Ma,  come  naturalismo,  ha  il 
difetto  di  ogni  naturalismo:  quello  di  creare  una 
nuova  trascendenza  nel  seno  stesso  deH’immanenza. 
Il  concetto  della  patria,  nel  Machiavelli,  come  os¬ 
serva  il  De  Sanctls,  rassomiglia  troppo  all’antica 
divinità,  e  assorbe  in  sé  religione,  moralità,  indivi- 
<lualità.  Il  suo  Stato  non  è  contento  di  essere  auto¬ 
nomo  esso,  ma  toglie  l’autonomia  a  tutto  il  rima¬ 
nente.  Ci  sono  i  diritti  dello  Stato:  mancano  i  diritti 
dell’uomo.  Siamo  insomma  con  l’unità  neutra  della 
sostanza. 


3.  Bruno  e  Campanella.  —  Tutta  la  specula¬ 
zione  del  secolo  XVI  e  XVII  non  supera  questo  con¬ 
cetto,  e  non  fa  che  svolgerlo;  anzi,  per  la  maggior 
difficoltà  della  posizione  speculativa,  non  sempre  sa 
mantenersi  a  tale  altezza,  e  ricade  spesso  in  piena 
scolastica.  Telesio,  Bruno,  Campanella,  sono  ì  teorici 


362 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


(lei  nuovo  naturalismo.  Con  essi  s’inizia,  in  piena 
coscienza,  la  dissoluzione  della  filosofia  aristotelica, 
o  di  quella  parte  almeno  di  essa,  che  è  a  fondamento 
della  scolastica.  Il  dualismo  di  materia  e  forma, 
potenza  ed  atto,  su  cui  poggiava  l’intuizione  medie¬ 
vale  del  mondo,  è  attaccato  con  vigore:  già  per 
Telesio  la  natura,  la  materia  non  è  la  mera  priva¬ 
zione,  ma  una  realtà  positiva,  che  non  ha  fuori  di  sé 
le  sue  ragioni,  ma  si  spiega  iurta  propria  principia. 
K  Bruno  satireggia  nei  suoi  dialoghi  il  dualismo, 
col  dire:  se  la  materia  è  la  pura  potenza,  come  mai 
avrà  l’atto?  Quella  pretesa  potenza  è  dunque,  con 
più  verità,  un’impotenza.  Il  nuovo  concetto  hru- 
niano  è  che  la  materia  è  fonte  di  attualità,  e  la  forma 
non  le  è  e.strinseca;  anzi,  quando  si  dà  la  causa  della 
corruzione,  non  si  dice  che  la  forma  fugge  o  lascia 
la  materia,  ma  piuttosto  che  la  materia  rigetta  quella 
forma,  per  prenderne,  un’altra.  Non  si  tratta  cosi 
della  mera  materia  dei  tìsici,  ma  della  materia  che 
ha  consustanziata  la  sua  forma,  cioè  a  dire  del  con¬ 
cetto  speculativo  della  sostanza. 

L’atteggiamento  di  Bruno  è  consono  al  suo  prin¬ 
cipio.  Kgli  dice  di  voler  considerare  profondamente 
coi  rdosofi  naturali  e  lasciare  i  logici  nelle  lor  fan¬ 
tasie.  Questo  disprezzo-  per  la  logica  segna  la  sco¬ 
perta  delta  nuova  logica,  della  mente  e  insieme 
della  natura.  È  una  e  medesima  scala,  per  la  quale 
la  natura  discende  alla  produzione  delle  cose  e  l’in¬ 
telletto  ascende  alla  cognizione  di  quelle;  e  l’una  e 
l’altro  dall’unità  procedono  all’unità,  passando  per 
la  moltitudine  dei  mezzi.  K  la  logica  della  sostanza, 
della  pura  identità  immediata:  non  più  l’identità 
vuota  della  sillogistica,  ma  l’identità  della  scala, 
o  dell’ordine  causale,  come  dirà  più  esplicitamente 
Spinoza. 


I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 


363 


L’unità  della  sostanza  è  afTermata  da  Bruno  con 
un  vigore  e  un  entusiasmo  veramente  grandiosi.  t..a 
profonda  considerazione  dei  filosofi  naturali  gli  mo¬ 
stra  che  tutto  ciò  che  fa  differenza  e  numero  è  puro 
accidente,  pura  Figura,  è  pura  complessione.  <  Ogni 
produzione,  di  qualsivoglia  sorte  che  sia,  è  un’alte¬ 
razione,  rimanendo  la  sostanza  sempre  medesima; 
perché  non  è  che  una:  uno  ente  divino,  immortale.  > 
Essa  è  la  sola  cosa  stabile  ed  eterna:  ogni  volto,  ogni 
faccia,  ogni  altra  cosa  è  vanità,  è  come  nulla;  anzi 
è  nulla  tutto  ciò  che  è  fuor  di  questo  uno.  Spinoza 
non  parlerà  con  maggior  vigore,  ma  a  differenza  di 
Bruno,  egli  non  indietreggerà  d’un  passo  dalla  po¬ 
sizione  conquistata.  Il  filosofo  italiano,  come  già 
Telesio,  e  poi  Campanella,  alterna  il  nuovo  col 
vecchio:  più  veemente  di  Spinoza,  è  assai  meno 
coerente,  e  accanto  al  nuovo  Dio  lascia  sussistere 
l’antico. 

Più  oscillante  ancora  di  Bruno  è  Campanella, 
benché  rappresenti  un’esigenza  nuova  del  pensiero 
.speculativo.  La  difficoltà  del  concetto  di  sostanza  è 
che  il  pensiero,  naturalizzandosi  nell’oggetto,  non 
può  spiegare  sé  stesso.  La  sostanza  è  conosciuta  ma 
non  si  conosce:  come  ciò  è  possibile?  Come  può 
l’uomo,  un  semplice  modo  o  accidente,  conoscere  la 
sostanza,  ed  elevarsi  a  Dio,  se  è  semplice  effetto? 
come  l’effetto  ritorna  alla  causa?  *.  Il  nuovo  pro¬ 
blema  che  il  concetto  della  sostanza  apre  alla  spe¬ 
culazione  è  quello  del  conoscere,  e  ad  esso  si  ap¬ 
punta  il  pensiero  del  frate  di  Stilo. 

Campanella  è  confusamente  il  Cartesio  e  il  Locke 
della  iìlosofla  italiana.  Muove  dal  dubbio  scettico  e 
trova  la  certezza  nella  coscienza  di  sé,  nel  xensus 


B.  Spatonta,  Saggi  di  critica,  Napoli,  I8882,  p.  Iti. 


364 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


abciilus,  ma  d’allra  parte  fonda  la  conoscenza  della 
natura  sul  semplice  sensus  addilux.  Le  due  esigenze 
restano  in  lui  inconciliate:  per  avere  una  concilia¬ 
zione  si  dovrà  giungere  fino  a  Kant.  Ond’è  che  la 
certezza  delle  cose  esteriori  sembra  a  Campanella 
ora  uno  sviluppo,  ora  una  caduta,  ora  un  incre¬ 
mento,  ora  un  limite.  15  l’intonazione  generale  del 
suo  pensiero  è,  nella  metafisica,  il  razionalismo  —  la 
dottrina  delle  primalità  fondata  sul  sensus  abditiis; 
nella  teoria  del  conoscere  l’empirismo —  la  mera 
certezza  sensibile  e  la  concezione  dell’intelletto 
come  semplice  senso  illanguidito. 

Ma  se  per  questo  verso  egli  fa  un  gran  passo  su 
Bruno,  gli  resta  poi  di  gran  lunga  indietro  per  la 
convinzione  e  la  fede  nell’inlinita  presenza  di  Dio 
nell’universo:  Campanella  è  in  qualche  modo,  e  quasi 
inconsciamente,  il  filosofo  della  restaurazione  catto¬ 
lica,  come  fha  definito  lo  Spaventa:  egli,  col  suo  ra¬ 
zionalismo,  non  toglie  i  ceppi  alla  scienza,  se  non 
perché  questa  se  li  rifaccia  da  sé  medesima  e  si  sot¬ 
tometta  liberamente.  Ma  l’entusiasmo  di  Bruno  non 
troverà  il  suo  riscontro  che  nello  sforzo  tenace  di 
Galilei.  Con  questo  la  Scolastica,  solo  virtualmente 
superata  nella  filosofìa  del  Rinascimento,  è  vinta  per 
sempre.  Il  naturalismo  non  è  più  soltanto  celebrato 
come  nuova  tendenza  dello  spirito,  ma  è  la  nuova 
attualità  spirituale:  nella  nuova  scienza  si  umanizza 
la  natura,  che  non  è  più  la  mera  privazione  degli 
scolastici,  né  la  divinità  ancora  trascendente  della 
speculazione,  ma  è  la  scienza  stessa,  l’atrermazione 
deU’umanità  concreta  del  mondo  —  di  quel  mondo 
che  non  ci  è  estraneo  ma  interiore,  e  che  vive  della 
stessa  nostra  vita  di  ricerca  e  di  conquista  incessante. 


I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GlOBEItTI 


3H5 


4.  Vico.  —  Tra  Machiavelli  e  Vico  corrono  due 
secoli,  e  ratteggianieiito  mentale  è  profondamente 
mutato.  All’apparenza  li  direste  vicini,  rivolti  come 
.sono  tutti  e  due  al  passato,  per  attingere  da  esso  la 
loro  forza.  Ma  con  che  occhio  diverso  lo  guardano! 
.Machiavelli  vede  nel  passato  il  mezzo  per  liberare 
il  presente  dalle  accidentalità  storiche  e  per  contem¬ 
plar  l’uomo  nell’intimità  della  sua  natura,  delle  sue 
passioni:  egli  fonda  così  la  politica.  Con  Vico,  il  na¬ 
turalismo  umano  del  Rinascimento  è  già  sorpassato, 
e  l’esperienza  storica  non  suggerisce  più  alcuna  di¬ 
stinzione  tra  sostanza  ed  accidente,  ma  la  conside¬ 
razione  nuova  dello  sviluppo,  dello  spiegamento 
della  mente  umana:  Vico  fonda  la  storia. 

Le  due  mentalità  sono  profondamente  diverse. 
La  tradizione  dei  politici  si  continua  attraverso  il 
(ìuicciardini,  il  Paruta,  il  Sarpi,  ed  ha  un  lontano 
rappresentante,  nel  secolo  XVIll,  nell’abate  Galiani. 
Anche  questi,  come  Vico,  fa  la  critica  del  suo  secolo, 
e  del  giacobinismo  che  quello  prepara;  ma  la  sua 
critica  non  preannunzia  il  secolo  seguente;  essa  è 
quella  del  vecchio  politico,  che,  incapace  d’inten¬ 
dere  le  nuove  aspirazioni  del  giovane,  ha  e.sperienza 
per  avvertire  le  sue  fanciullaggini  e  sorridere  alle 
sue  illusioni  ’. 

La  critica  di  Vico  è  al  contrario  novatrice.  Essa 
investe  tutto  il  pensiero  del  secolo  XVlll,  il  carte¬ 
sianismo  e  il  sensismo.  All’universalità  astratta  del 
primo  che  non  spiega  la  scienza,  perché  vuol  fon¬ 
darla  sulla  rivelazione  immediata  dell’evidenza.  Vico 
contrappone  l’intuizione  genetica  delle  cose,  che  le 


1  P.  un'acuta  osservazione  de!  Croce:  cfr. :  Il  pensiero  del- 
Vabate  Galiani,  in  Critica,  1909,  p.  404. 


366 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


spiega  nel  loro  farsi,  nel  loro  sviluppo:  e  prelude 
cosi  allo  storicismo  del  secolo  XIX.  E  mentre  il 
sensualismo  traeva  dall’esperienza  sensibile  un  mo¬ 
tivo  tutto  materialistico.  Vico  svolge,  da  quella 
stessa  esperienza,  l’universale  fantastico,  la  poesia  e 
il  linguaggio,  nella  loro  originalità  spirituale:  e  cosi 
prelude  al  romanticismo.  Queste  geniali  intuizioni 
sono  comprese  in  un’unità  potente:  è  la  mentalità 
umana  che  nel  suo  sviluppo  si  afferma  come  dispersa 
nel  senso  e  nella  fantasia  e  si  unifica  e  si  riflette  nel 
pensiero.  Vico  perciò  intravvede  una  metafisica  della 
mente,  una  storia  ideale,  eterna,  per  la  quale  cor¬ 
rono  le  storie  delle  singole  nazioni:  nelle  modifica¬ 
zioni  della  mente  sono  per  lui  da  ricercare  i  mo¬ 
menti  dello  sviluppo  storico.  Ecco  la  grande  origi¬ 
nalità  di  Vico:  per  Machiavelli  l’umanità  era  natura, 
sostanza,  e  perciò  fatale  nel  suo  corso,  nella  .sua  lo¬ 
gica  interiore.  Con  Vico  sorge  il  concetto  della  men¬ 
talità,  della  provvidenza  immanente  nello  sviluppo 
delle  nazioni.  In  Machiavelli  c’è  ancora  —  contro 
l’apparenza  — l’intuizione  teologica  del  mondo,  e  la 
tristezza  d’un’attesa  messianica:  l’uomo  è  fatto  tra¬ 
scendente  a  sé  medesimo:  in  Vico  non  più:  nella 
sua  concezione  storica  l’umanità  è  tutta  spiegata. 

Ma  pure  quello  stesso  Vico,  che  scrutando  la  sto¬ 
ria  di  Roma,  attuava  magnificamente  la  sua  nuova 
idea,  lasciava  poi  intatto  il  pregiudizio  dell’elezione 
arbitraria  degli  Ebrei.  Nel  passare  alla  storia  di 
Roma,  egli  aveva  compiuto  il  suo  grande  sforzo,  e 
vi  si  era  esaurito,  senza  aver  più  la  forza  di  ripassare 
alla  storia  degli  Ebrei,  come  osserva  il  Croce  nella 
sua  bella  monografia  sul  Vico.  Fu  viltà,  fu  pregiu¬ 
dizio?  Forse,  con  più  verità,  fu  un  difetto  intrinseco- 
dei  sistema:  Vico  non  seppe  uscire  dal  particolari¬ 
smo  ristretto  delle  unità  nazionali:  mancava  a  lui  il 


I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 


367 


concetto  dell’università  del  particolare,  deiriima- 
nità  della  nazione,  che  sar.à  l’opera  del  secolo  se¬ 
guente.  E  perciò  quel  pas.saggio  dai  Romani  agli 
Ebrei,  che  a  noi  sembra  oggi  cosi  facile,  non  fu  pos¬ 
sibile  al  suo  genio. 

Vico  non  ebbe  mai  il  riconoscimento  che  gli 
spettava,  né  in  Italia  né  fuori,  né  vivente  né  dopo 
morto.  Nel  secolo  nostro  s’impadronirono  della  sua 
dottrina,  come  vedremo,  i  positivisti,  e  falsificarono 
nel  modo  più  barocco  la  sua  celebre  formula  della 
conversione  del  vero  col  fatto.  Rivendicarne  la  me¬ 
moria  e  perseguirne  la  speculazione  è  stata  l’opera 
dello  Spaventa,  del  De  Sanctis,  e  più  ancora,  del 
Croce.  Per  merito  loro  la  profonda  lacuna  della 
nostra  cultura  è  colmata.  Con  Machiavelli  e  con  Vico 
noi  possediamo  gli  esponenti  maggiori  della  storia 
del  nostro  pensiero,  dal  Rinascimento  alle  porte  del 
secolo  XIX. 


5.  Rosmini  e  Gioberti. — Vico  con  la  sua  intui¬ 
zione  di  una  metafìsica  della  mente  umana  è  il  pre¬ 
sentimento  del  criticismo,  che  si  svolge  poi  in  Italia 
nel  secolo  seguente,  per  opera  di  Galluppi,  Rosmini 
e  Gioberti.  La  posizione  storica  di  questi  pensatori 
è  stata  fraintesa  generalmente,  e  da  loro  medesimi 
per  primi,  finché  la  critica  di  Bertrando  Spaventa 
non  ne  ha  liberato  la  dottrina  dall’involucro  contin¬ 
gente  e  svelata  la  stretta  parentela  con  la  filosofia 
tedesca. 

La  spiegazione  del  fraintendimento  ci  è  data 
dalla  considerazione  dell’ambiente  nel  quale  sorsero 
e  si  svilupparono  le  nuove  dottrine.  .\I  principio  del 
secolo  XIX  l’Italia  è  infestata  dal  sensualismo  fran¬ 
cese  del  secolo  precedente,  e  la  stessa  filosofia  kan- 


3R8 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


liunn  non  vi  s’introduce  che  attraverso  reclettismo 
e  la  psicologia  degli  scozzesi  :  il  valore  sommamente 
originale  del  nuovo  concetto  della  soggettività  ne 
vien  completamente  perduto.  Nel  rinnovamento  cat¬ 
tolico,  che  s’inizia  in  questo  stesso  periodo,  il  sen¬ 
sismo  vien  minato  alla  base,  ma  non  già  in  nome  di 
Kant.  11  sensismo  è,  nelle  sue  ultime  conseguenze, 
scettico;  è  un  vano  gioco  di  elementi  soggettivi,  che 
non  fonda  l’oggettività,  il  sapere.  Ma  Kant  — si  sog¬ 
giunge —  non  è  anch’egli  chiuso  nel  soggettivismo 
delle  forme  del  senso  e  dell’intelletto?  e  non  va  a 
finire  del  pari  nello  scetticismo?  Con  questa  critica 
si  pretende  di  disfarsi  di  Kant,  e  si  cre<le  di  battere 
una  via  opposta,  nella  ricerca  di  un  fondamento  og¬ 
gettivo  del  sapere:  in  realtà  non  si  fa  che  attuare  la 
stessa  esigenza  kantiana,  soltanto  però  con  una  men 
chiara  coscienza,  e  col  pericolo  di  più  frequenti  ca¬ 
dute  in  posizioni  di  pensiero  già  oltrepassate.  Que¬ 
sto  è  l’oggetlivismo  di  Kosmini  e  di  Cdoberti  *. 

Ciià  un  sentore  del  criticismo  si  ritrova  nella  filo¬ 
sofia  del  Galluppi,  che  all’apparenza  è  puro  empi¬ 
rismo,  ma,  in  quanto  distingue  la  sensazione  dalla 
coscienza  della  sensazione  e  pone  questa  a  fonda¬ 
mento  di  quella,  è  già  virtualmente  kantismo.  Ma 
(ialluppi  non  intende  il  valore  della  distinzione  e 
non  vi  si  tien  perciò  sempre  fedele;  in  altri  termini, 
egli  non  comprende  che  la  coscienza  della  sensa- 
zionc  non  è  più  a  sua  volta  sensazione  ma  pensiero, 
e  non  giunge  perciò  a  concepire  la  sintesi  a  priori. 
Vi  giunge  invece  il  Rosmini,  col  suo  concetto  della 
percezione  intellettiva.  Questa  è  la  sintesi  del  parti¬ 
colare  del  senso  e  dell’universale  deU’intelIetto,  il 


1  V.  le  acute  osservazioni  del  Gentile  nel  suo  libro:  Ro¬ 
smini  e  Gioberti,  Pisa,  1898, 


1. -DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 


369 


quale  si  compendia  nell’idea  dell’essere.  Questa 
idea,  investendo  il  contenuto  sensibile  contingente 
e  mutevole,  gli  conferisce  l’universalità  e  l’oggetti- 
vità  del  sapere. 

Come  per  Kant,  cosi  per  Rosmini,  pensare  è  giu¬ 
dicare:  nell’atto  originario  e  primitivo  del  giudizio 
si  compie  la  sintesi  del  senso  e  deU’intelletto.  Ma  che 
cosa  è  l’idea  intellettuale  dell’essere  fuori  del  giu¬ 
dizio?  Non  una  realtà  empirica,  sensibile,  perché  og¬ 
gettiva;  non  una  realtà  trascendente,  perché  ideale: 
è  un  concetto  trascendentale.  Questo  il  Rosmini  non 
alTerma,  ma  è  implicito  in  tutta  la  sua  dottrina.  E, 
poiché  tale  è  il  suo  significato,  non  può  apparire 
che  una  amplificazione  inutile  il  complemento  della 
dottrina  rosminiana,  per  cui  l’essere  sarebbe  og¬ 
getto  deH’intuito.  Se  la  realtà  non  è  fuori  ma  nel¬ 
l'atto  del  giudizio,  è  chiaro  che  il  volerne  fare  un 
oggetto  d’intuito  non  esprime  altro  che  la  preoccu¬ 
pazione  ili  volerla  salvare  ad  ogni  costo  dal  mero 
soggettivismo,  senza  capire  che  era  già  salva.  Anzi, 
con  la  dottrina  dell’intuito,  l’oggettività  che  era  si¬ 
cura  in  porto,  viene  risospinta  in  alto  mare. 

Ma  l’ente  rosminiano,  come  la  categoria  kantiana, 
è  il  mero  universale  non  individuato.  È  1  essere 
possibile,  che  fonda  una  semplice  esperienza  pos¬ 
sibile:  la  possibilità  non  è  ancora  assoluta  attualità. 
In  quell’esperienza  possibile  c’è  ancora  in  effetti  il 
residuo  del  dommatismo:  chi  mai  la  trarrà  all’atto? 
L’atto  del  giudizio,  della  percezione  intellettiva  è, 
come  per  Kant,  insufficiente  a  risolvere  tutto  l’og¬ 
getto:  resta  al  di  là  di  esso  la  cosa  in  sé,  il  termine 
incognito  della  sensazione,  il  coefficiente  invisibile 
dell’attualità  del  pensiero.  Perciò  la  categoria  non 
vince  il  presupposto,  e  perciò  non  compenetra  vera¬ 
mente  il  sensibile,  ma  gli  si  adatta  quasi  dall’esterno. 


Ct.  DE  auGGiERO.  La  fìlosofia  contemporanea. 


24 


370 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


Ora  si  deve  risolvere  tutto  l’oggetto,  se  non  si 
vuole  che  il  rosminianismo  degeneri  in  un  mero  psi¬ 
cologismo:  una  dottrina  del  conoscere  che  lasci  in¬ 
tatto  il  presupposto  è  semplice  psicologia.  Bisogna 
insomma  risolvere  il  problema  ontologico  e  non  sol¬ 
tanto  quello  psicologico,  e  concepire  un  psicologismo 
trascendente  che  sia  insieme  il  vero  ontologismo. 
Ecco  il  compito  di  Gioberti,  che  si  può  esprimere 
diversamente  col  dire:  bisogna  individuare  l’univer¬ 
sale  di  Rosmini,  e  unificare  il  che  deU’esperienza 
col  suo  cos’è. 

La  soluzione  è,  per  Gioberti,  il  concetto  della 
creazione,  della  relazione  assoluta,  che  fonda  in  pan 
tempo  l’ente  e  resistente,  l’idea  e  l’essere.  Solo  nella 
creazione,  l’assoluta  virtualità  è  l’assoluta  attualità: 
la  realtà  non  s’individua  se  non  creandola:  creare 
infatti  è  concretare;  è,  direbbe  Vico,  convertire  il 
vero  col  fatto.  Il  concetto  della  creazione  ha  nella 
prima  fase  della  filosofia  giobertiana  un  significato 
ancora  trascendente:  non  è  ancora  affermata  l’asso¬ 
luta  apriorità  della  relazione  creatrice,  e  il  pensiero 
è  semplice  intuito,  visione  del  creare.  Ma  nelle  opere 
postume,  quest’astrattezza  è  superata.  È  criticato 
l’intuito:  la  sua  prospettiva  infatti  non  ha  distanze 
e  intervalli,  come  quella  della  riflessione;  essa  è 
mera  superficie;  ha  lunghezza  e  larghezza,  ma  difetta 
della  terza  dimensione  e  non  ha  profondità.  È  visiva 
e  non  tattile.  L’intuito  vede  l’atto  creativo  e  non  vi 
partecipa. 

E  l'organo  della  filosofia  diviene,  in  questa  nuova 
fase,  la  riflessione,  il  dialettismo.  Solo  nella  rifles¬ 
sione  l’atto  umano  si  adegua  a  quello  di  Dio,  ed  è 
veramente  creatore.  Creare  è  proprio  ed  essenziale 
del  pensiero.  Il  nostro  spirito  crea  continuamente; 
creare  non  è  altro  che  pensare,  e  pensare  che  creare. 


I.  -  DA  MACHIAVELLI  A  GIOBERTI 


371 


Essere  e  pensare  sono  i  due  poli  opposti  della  menta¬ 
lità,  che  si  riuniscono  e  si  neutralizzano  neH’attività 
pura,  cioè  nella  creazione.  Questo  atto  è  la  vera  con¬ 
cretezza  degli  opposti;  è  la  relazione  assoluta,  più  so¬ 
stanziale  dei  suoi  termini;  è  la  radice  del  dialettismo. 
Cosi,  p.  es.,  l’uomo  non  è  anima  e  corpo,  ma  relazione 
deir'una  con  l’altro.  L’uomo  è  quel  punto  indiviso 
in  cui  il  fisico  e  il  morale  si  neutralizzano.  Egli  è 
prima  di  tutto  un’unità;  la  dualità  vien  dopo.  Non 
bisogna  dunque  chiedersi  in  che  modo  l’anima  sia 
in  commercio  col  corpo,  cioè  come  la  dualità  si 
unizzi,  ma  piuttosto  come  l’unità  si  dualizzi. 

Questa  idea  della  creazione  si  svolge  nelle  po¬ 
stume  in  una  vera  esplosione  d’intuizioni  magnifiche 
e  geniali.  In  pochi  pensatori  ci  è  dato  ammirare  tanta 
ricchezza  di  pensiero,  ond’è  che  dell’ingegno  di 
Gioberti  si  può  airermarc  ciò  ch’egli  diceva  dell’in¬ 
gegno  in  genere:  che  somiglia  a  Dio  quando  disse: 
futi  lux.  Ma  nello  stesso  tempo  egli  ci  richiama  alla 
mente  la  critica  che  Quintiliano  fece  di  Ovidio:  se 
aves.se  frenato  il  suo  ingegno  invece  di  abbando¬ 
nargli  le  briglie  1  Gli  scarseggia  il  senso  scientifico 
del  processo  graduale  della  ricerca  :  è,  come  Schel¬ 
ling,  un  temperamento  esplosivo. 

Ma,  iier  mezzo  suo,  la  speculazione  italiana  della 
prima  metà  del  secolo  XIX  si  sforza  di  adeguarsi  a 
quella  tedesca.  Come  ha  osservato  per  primo  lo  Spa¬ 
venta.  in  Gioberti  noi  abbiamo  il  Fichte,  lo  Schelling 
e  l’Hegel  della  nostra  filosofia,  ma  senza  il  passaggio 
graduale  dall’uno  all’altro,  e  perciò  confusamente 
e  quasi  a  salti.  Dopo  di  lui,  il  còmpito  della  filosofia 
era  di  costituire  il  senso  scientifico  che  a  noi  man¬ 
cava,  e  di  darci  la  coscienza  della  nostra  posizione 
storica  di  fronte  al  pensiero  europeo.  Questa  è  stata 
l’opera  di  Bertrando  Spaventa,  il  quale  perciò  si 


372 


L.\  FILOSOFIA  ITALIANA 


connette  al  grande  torinese  e  ne  completa  il  pen¬ 
siero. 

Ma  prima  di  parlare  di  questo  scrittore  ch’è 
stato  per  noi  quel  che  Lachelier  per  i  Francesi, 
Slirling  per  gl’inglesi,  noi  dobbiamo  far  qualche 
cenno  dei  vari  indirizzi  fioriti  nella  seconda  metà 
del  secolo  XIX.  L’opera  dello  Spaventa  si  svolge, 
si,  ad  essi  contemporanea,  ma  la  sua  maggiore  effi¬ 
cienza  comincia  col  secolo  XX,  per  merito  special- 
mente  del  Gentile. 


II 

TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


1.  Lo  SCETTICISMO.- — Oopo  l’iiifelice  fine  della 
guerra  del  '48-49,  e  l’esilio  di  Gioberti,  la  fìlosolìa 
italiana  sembra  presa  da  un’invincibile  sonnolenza, 
(ibi  si  prova  a  scorrere,  per  mera  curiosità,  qualcuno 
dei  molti  volumi  che  si  pubblicarono  dal  1850  al 
1860  non  può  non  restare  impressionato  dall’aria  di 
sonno  che  grava  su  di  essi.  Non  si  riesce  più  a  distin¬ 
guere  un  indirizzo  daH’altro,  né  a  individuare  qual¬ 
che  dottrina:  la  mediocrità,  la  povertà,  le  accomuna 
e  le  neutralizza  tutte.  L’araldo  della  mediocrità  è  Te¬ 
renzio  Mamiani.  Qual’è  la  sua  filosofia?  Non  saprei 
dirlo,  e  credo  che  non  lo  sapesse  neppur  lui.  Com¬ 
battè  Rosmini  ed  ebbe  un’indimenticabile  bastona¬ 
tura  dal  Santo  roveretano,  com’egli  stesso,  con  sim¬ 
patica  bonomia,  riconobbe.  Di  Gioberti  non  comprese 
nulla,  o  quasi:  fu  empirista  tra  gli  empiristi,  fino  ad 
ammettere  l’influsso  fisico  tra  la  coscienza  e  gli 
oggetti;  platonico  tra  i  platonici,  perché,  una  volta 
ammessa  una  realtà  fatta,  fuori  del  pensiero,  la  ve¬ 
rità  gli  diventava  un  ideale  a  cui  il  pensiero  doveva 
cercare  d’adeguarsi;  e  fu  scettico  tra  gli  scettici,  col 
negare  che  la  mente  potesse  conquistare  l’essenza 
ultima  delle  cose.  Fu  lutto  questo,  e  fu  niente;  in 


374 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


realtà,  nella  leziosaggine  del  suo  stile  snervato,  fu 
un  addornientatore  di  coscienze. 

Ma  se  si  pensa  al  favore  quasi  universale  che  egli 
godè  per  un  certo  tempo  in  Italia,  non  bisogna  essere 
troppo  corrivi  a  ritenerlo  causa  della  decadenza  della 
nostra  filosofìa:  fu  causa  e  insieme  effetto:  nel  do¬ 
minio  del  pensiero  vale  universalmente  il  principio 
della  reciprocità.  Egli  divenne  cosi  l’organo  ricono¬ 
sciuto  della  filosofìa  italiana,  e  la  sua  filosofìa  della 
mediocrità  trovò  perfino  uno  storico  in  Luigi  Ferri, 
che  mostrò  come  in  essa  convergesse  la  speculazione 
del  secolo  XIX.  Il  libro  del  Ferri  è  l’unico  documento 
che  gli  stranieri  posseggano  della  nostra  filosofìa. 
In  base  ad  esso  hanno  formato  la  triade:  Rosmini, 
Gioberti,  Mamiani:  e  nella  loro  ignoranza,  hanno 
incluso  i  due  forti  pensatori  nello  stesso  giudizio 
sprezzante  che  hanno  dato  del  terzo. 

Ma  nel  Ferri,  un  po’  meglio  che  nel  Mamiani,  si 
comincia  a  delincare  un  indirizzo:  il  dualismo  del 
pensiero  e  dell’essere,  e  il  tentativo  di  concepire  una 
terza  serie  che  costituisca  l’unità  del  reale.  Terza 
serie  che,  beninteso,  non  esiste,  neppure  neH’imma- 
ginazione  del  Ferri,  e  che  è  semplicemente  postu¬ 
lata,  quasi  ad  attestare  il  vuoto  del  procedimento. 
Il  termine  della  speculazione  non  può  essere,  date 
queste  premesse,  che  l’eclettismo,  la  concezione  della 
verità  come  conformità  del  pensiero  alle  sue  leggi 
proprie  e  a  quelle  dell’essere,  o,  in  altri  termini,  la 
semplice  dissimulazione  del  mistero.  Questo  dualismo 
del  pensiero  e  dell’essere  noi  lo  ritroveremo  ram- 
modernato  e  quasi  ringiovanito  nel  Bonatelli  e 
in  altri  scrittori;  ma  il  suo  difetto  capitale,  quello 
cioè  di  ammettere  una  doppia  logica,  resterà  im¬ 
mutato. 

La  causa  dell’errore  è  la  dimenticanza  degli  am- 


II.  -  TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


375 


maestramenti  della  storia  :  di  quella  storia  che  aveva 
capovolta  l’antica  concezione  dell’essere,  e  dalla 
dottrina  del  pensiero  come  semplice  visione  di  una 
realtà  data,  era  giunta  a  quella  del  pensiero  come 
produzione  e  creazione  della  realtà.  11  Rosmini  e  il 
Gioberti,  con  le  loro  immaginazioni  dell’intuito  ave¬ 
vano  di  nuovo  introdotto,  pur  con  notevoli  modifl- 
cazioni,  il  vecchio  platonismo,  e  se  la  loro  conce¬ 
zione  sostanzialmente  non  ne  veniva  toccata,  perché 
esso  ne  costituiva  il  semplice  involucro  superficiale, 
assai  maggiore  era  invece  il  pericolo  per  ingegni 
meno  agguerriti.  Questo  può  dirsi,  tra  gli  altri,  del¬ 
l’autore  della  c  Filosolia  della  vita  »,  il  Berlini.  Per 
lui  il  pensare  è  semplice  vedere,  scevro  da  ogni 
azione  e  passione  del  veggente;  come  tale,  presup¬ 
pone  l’essere,  la  realtà  già  formata  e  costituita.  Ond’è 
che  la  speculazione,  che  il  Berlini  intraprende  in¬ 
torno  a  quella  realtà,  si  svolge  nel  dominio  della  vec¬ 
chia  metafisica.  Nondimeno  la  sua  filosofia,  per 
quanto  doniniatica,  si  colorisce  di  qualche  tinta  più 
moderna,  d’ispirazione  jacobiana:  quell’intuito  di¬ 
retto,  immediato  della  realtà,  che  attinge,  al  di  là  del 
lìnito,  l’infinito,  Dio,  arieggia  la  concezione  del 
Jacobi;  e  d’altra  parte  la  convinzione  salda  che  ogni 
giudizio  sulla  natura,  sul  pregio  e  sulla  destinazione 
della  vita  implichi  la  soluzione  del  problema  della 
realtà  universale,  dà  al  suo  pensiero  una  certa  into¬ 
nazione  commossa  e  religiosa  ‘. 

Malgrado  questi  pregi,  la  filosofia  di  Berlini,  a 
cosi  poca  distanza  da  quella  di  Rosmini  e  di  Gio¬ 
berti,  denota  già  una  certa  decadenza.  Ma  se  vo¬ 
gliamo  conoscere  l’espressione  più  compiuta  di 


•  S.  M.  Rertini,  Idea  di  una  ftlosofla  della  alla,  Torino, 
1850,  1,  p.  9. 


mm 


37g  LA  FILOSOFIA  ITALIANA 

quella  decadenza,  noi  dobbiamo  ricercarla  in  un 
altro  pensatore,  il  Ferrari. 

La  Filosofia  della  rivoluzione  del  Ferrari  è  la  filo¬ 
sofìa  della  rivoluzione  fallita,  la  filosofìa  di  Novara, 
fi  il  nuovo  scetticismo  confusionario,  che  si  fa  strada 
con  le  sue  strampalate  negazioni  di  Dio,  della  reli¬ 
gione,  del  pensiero,  e  prelude  alla  Babilonia  positivi¬ 
stica.  Il  Ferrari  accavalla  antinomie  su  antinomie, 
ncirordine  più  fantastico  e  coi  più  comici  anacro- 
nismi;  ma  tutto  lo  sfoggio,  ch’egli  fa,  di  sapere  an- 
tinomico,  ha  in  fondo  un  motivo  assai  semplicistico, 
quello  di  mostrare  che  vana  è  la  pretesa  del  pensiero 
di  voler  dominare  la  natura.  La  sojuzione  dei  conflitti 
non  può  invece  venire  che  da  un  inverso  procedi¬ 
mento,  per  cui  il  pensiero  si  subordina  alla  natura, 
e  s’inchina  alla  sua  rivelazione.  Vi  sono,  dice  il  Fer¬ 
rari,  due  critiche:  <  L’una  negativa,  l’altra  positiva; 
la  prima  ci  getta  in  una  continua  irrisoluzione,  la 
seconda  ci  sforza  di  continuo  a  prendere  una  deci¬ 
sione;  colla  prima  non  si  fa  che  distruggere;  la  se¬ 
conda  edifica  nel  tempo  stesso  in  cui  distrugge.  Di¬ 
nanzi  alla  critica  negativa,  la  natura  si  confessa  con- 
tradittoria;  dinanzi  alla  critica  positiva,  la  natura  ci 
accusa  di  contradizione.  Due  cose  vi  sono:  il  dubbio 
e  la  scienza:  la  critica  negativa  e  la  positiva:  la  con¬ 
tradizione  universale  e  la  contradizione  fisica.  Noi 
evitiamo  l’illusione  della  metafisica,  distinguendo  le 
line  specie  di  antinomie,  esaminando  se  la  contradi- 
zione  è  nella  natura  o  nell’intelletto,  se  è  figlia  della 
logica  che  domina  la  natura,  o  figlia  della  natura  che 
domina  la  logica.  L’apparenza  sola  decide,  perché 
ogni  fenomeno  si  spiega  di  sé  »  *.  Dunque,  non  pen- 


I  G.  Febiubi,  Filosofìa  della  rivoluzione,  Londra,  1851,  l, 
pp.  250,  251. 


II.  -  TRA  IL  SF.COLO  XIX  E  IL  XX 


377 


siamo  più,  e  abbandoniamoci  alle  rivelazioni  della 
natura!  Ma  quali  sono  queste  rivelazioni  che  in  nome 
della  natura  ci  ammannisce  il  Ferrari?  Ben  poca 
cosa:  ralTermazione  cieca  del  fenomeno,  la  negazione 
della  metalìsica,  e,  più  ancora,  l’eliminazione  di  Dio. 
La  fede  in  Dio  è  detta  l’errore  più  primitivo  e 
naturale  del  genere  umano:  l’ignoranza  che  crea  la 
religione  è  quella  deiruomo  che  conosce  la  parte 
positiva  dei  fenomeni  senza  sospettarne  la  parte  cri¬ 
tica.  Ma  la  natura  esplorata  dalla  fìsica  non  può  es¬ 
sere  il  teatro  della  rivelazione  cristiana:  ogni  pro¬ 
gresso  è  perciò  una  lotta  contro  il  Dio  cristiano  *. 
H  simili  sciocchezze  da  tribuno  di  comizi. 

(!osi  con  grande  fracasso  si  preannunziava  il  po¬ 
sitivismo  italiano. 

2.  Il  po.sitivismo. — .Ma  a  dire  il  vero,  il  posi¬ 
tivismo  italiano,  sul  suo  .sorgere,  non  è  affatto  ru¬ 
moroso:  anzi  si  mostra  con  la  decorosa  modestia  di 
chi  sa  di  non  aver  grandi  rivelazioni  da  fare.  1  suoi 
primi  seguaci  sono  scienziati,  storici,  economisti; 
gente  insoinma  che  non  guarda  tanto  per  il  sottile, 
e  per  cui  il  positivismo,  più  che  una  concezione  del 
reale,  è  un  programma  di  lavoro.  Questo  lo  rende 
persino  simpatico,  e  gli  conferisce  una  serietà  mag¬ 
giore  di  quella  che  ha  avuto  in  altri  paesi.  In 
fondo,  chi  pensi  in  che  condizione  miserevole  si  era 
ridotta  la  metalìsica  in  Italia,  tra  il  platonismo  an¬ 
nacquato  degli  uni,  l’inconcludenza  semiscettica  de¬ 
gli  altri,  e  qualche  riesumazione  di  tomismo  per 
giunta,  non  preannunziata  in  alcun  mudo  dallo  stato 
precedente  della  cultura  e  voluta  con  qualche  sforzo. 


I  Op.  clt..  Il,  pp.  252,  279. 


378 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


non  può  che  considerare  come  un  progresso  quel 
positivismo,  che  almeno  si  presentava  come  critica 
delle  vane  ideologie  e  richiamava  le  menti  allo  stu¬ 
dio  dei  fatti.  Certo,  quel  richiamo  era  il  più  spesso 
spropositato;  ma  tale  appare  a  noi,  che  viviamo  in 
un  ambiente  di  cultura  assai  più  epurato;  allora  in¬ 
vece  anche  lo  sproposito  era  un’opportuna  reazione 
contro  il  vuoto  mentale. 

Uno  dei  primi  positivisti  è  il  Cattaneo,  un  dili¬ 
gente  studioso  di  scienze  sociali.  Uomo  di  spirito 
veramente  positivo,  egli  combatte  la  metalìsica  come 
una  scienza  vana,  che  non  serve  a  niente.  «  Gio¬ 
vasse  ella  a  dare  un  qualche  sussidio  almeno  postic¬ 
cio  alla  morale!  Ma  la  dottrina  dell’ente  è  sempre 
una  contemplazione  di  mere  possibilità,  e  non 
fonda  alcun  principio  dell’umano  consorzio,  né  al¬ 
cuna  regola  della  famiglia  e  del  costume  »  '.  Fatti 
invece  ci  vogliono;  osservazioni  ed  esperimenti.  «  Il 
nome  di  fenomeno  non  esprime  ancora  tutta  la 
potenza  del  fatto.  Fenomeno  per  gli  antichi  e  per 
i  loro  continuatori  fino  a  Kant,  fino  a  Schelling,  fino 
a  Leroux,  è  l’apparenza  in  quanto  si  oppone  alla 
realtà.  La  realtà  e  la  potenza  sono  per  essi  nell’idea; 
nel  fenomeno  sta  l’apparenza  e  l’inanità.  Ma  per  le 
scienze  attive  e  per  noi,  fenomeno  è  la  forza  che  si 
manifesta;  è- la  forza  in  atto;  è  la  forza  in  quanto 
è  forza  »  L’esigenza  è  giusta;  però  quanti  er¬ 
rori  di  dottrina  e  di  storia  potremmo  far  notare 
in  un  cosi  breve  giro  di  parole!  Ma  tiriamo  innanzi; 
in  che  modo  vuole  il  Cattaneo  fondare  i  suoi  fatti, 
assai  più  solidamente  che  non  Kant  i  suoi  fenomeni? 
Ecco;  il  fenomeno  non  è  illusorio,  ma  reale,  perché 

I  C.  Cattaneo,  Opere  edite  e  inedite,  Firenze,  1892,  VI, 

p.  120. 

T  Ibid.,  p.  218. 


II.  -  TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


379 


noi  sentiamo  l’azione  sua  sulla  nostra  coscienza:  nei 
nostri  propri  sforzi  la  coscienza  sente  e  misura  le 
forze  vive  che  ila  ogni  parte  ci  assediano.  Questo 
saggio  può  bastare;  non  si  tratta  di  altro  che  di 
quel  psicologismo  empirico  che  da  Maine  de  Biran 
.s’era  trasmesso  ai  metafisici  spiritualisti  e  dualisti 
della  scuola  cousiniana;  non  si  tratta  cioè  che  di 
quel  mero  soggettivismo  contro  cui  un  Kant  e  un 
Rosmini  avevano  reagito,  per  la  buona  ragione  che 
esso  non  giova  a  fondare  l’oggeftività  del  sapere. 
Kant  e  Rosmini  erano  dunque  più  positivisti  del 
Cattaneo! 

Questa  è  una  delle  tante  ingenuità  positivistiche, 
che  diverranno  più  frequenti  in  sèguito,  e  saranno 
aggravate  da  una  totale  ignoranza  della  storia  del 
pensiero.  Almeno  il  Cattaneo  ha  ancora  qualche  sen¬ 
tore  di  quella  storia;  il  suo  positivismo  s’impersona 
in  tre  nomi:  Bacone  per  lo  studio  della  natura, 
Locke  per  lo  studio  della  coscienza,  e  Vico  per  lo 
studio  detl’umanità  Per  buona  sorte,  egli  non  tentò 
mai  di  fatto  il  rimpasto  dei  tre  pensatori,  e  si  limitò 
allo  studio  dell’umanità,  sotto  la  guida  del  suo  Vico. 
Ma  da  questo  egli  non  seppe  trarre  altro  che  l’idea 
di  una  psicologia  delle  menti  associate  —  un  che  di 
mezzo  tra  la  psicologia  individuale  e  la  cosi  detta 
ideologia  sociale  —  dove,  per  mancanza  di  ogni  cri¬ 
terio  filosofico,  l’organizzazione  sociale  del  pensiero 
era  intesa  come  un  semplice  ricalco  dell’organizza¬ 
zione  delle  cose  fuori  della  mente. 

Ci  siamo  dilungati  un  po’  a  parlare  del  Cattaneo, 
sia  perché  è  il  più  intelligente  dei  vecchi  positivisti, 
sia  perché  l’esposizione  che  abbiamo  fatto  della  sua 


1  Op.  ci(.,  VII,  p.  262. 


380 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


dottrina  ci  risparmia  la  pena  di  parlar  minutamente 
di  altri  scrittori.  In  fondo  si  rassomigliano  tutti:  il 
Villari,  il  Galielli,  l’Angiulli.  per  citare  i  maggiori. 
Sono  in  genere  specialisti  che  vogliono  allontanare 
lo  spauracchio  della  metalisica,  che  spesso  è  il  fan¬ 
toccio  della  loro  immaginazione.  Il  Villari  ragiona 
cosi  :  «  Se  il  sistema  di  Kant  è  vero,  tutta  la  specu¬ 
lazione  di  Condillac  è  un  monte  di  proposizioni  as¬ 
surde;  se  il  sistema  del  Rosmini  è  vero,  quello  del- 
l'Hegel  è  assurdo  e  viceversa.  Voi  infatti  vedete, 
che  i  filosofi  delle  varie  scuole  non  si  combattono  ^ 
sopra  verità  accessorie;  essi  negano  gli  uni  agli  altri 
sino  il  nome  di  filosofi,  perché  la  loro  divergenza 
versa  sopra  la  natura  e  l’essenza  stessa  delle  loro 
dottrine  più  generali  e  fondamentali  »  *.  Per  com¬ 
penso  egli  si  richiama  allo  studio  dei  fatti,  guardati 
alla  luce  delle  idee:  «Finché  nella  storia  non  avete 
cercato  che  fatti,  e  dallo  spirito  umano  non  avete 
potuto  cavare  altro  che  speculazioni,  aveste  da  un 
lato  un  puro  empirismo,  e  dall’altro  una  filosofia  sco¬ 
lastica.  Ma  ora  che  il  Vico  ha  trovato  che  le  leggi 
del  mondo  delle  nazioni  sono  le  leggi  stesse  dello 
spirito  umano,  il  quale  ha  creato  questo  mondo  so¬ 
ciale,  voi  potete  avere  da  un  lato  la  scienza  storica, 
da  un  altro  lato  la  scienza  provata  e  dimostrata 
deH’uomo.  Infatti,  se  la  storia  vi  dà  come  il  mondo 
esterno,  sul  quale  sperimentare  ed  accertare  le  in- 
«luzioni  della  vostra  psicologia;  questa,  a  sua  volta, 
diviene  una  fiaccola  che  illumina  la  storia.  Le  leggi 
deH'una,  se  son  vere,  debbono  trovare  riscontro  in 
quelle  dell’altra,  e  viceversa  >  *. 

Sono  curiose  queste  citazioni  vichiane  che  s’in- 


1  H.  Arie,  storia  e  fìlosofta,  Firenze,  1884,  p.  *142. 

2  pp.  479-480. 


II.  -  TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


381 


contrailo  presso  i  positivisti;  se  ne  trovano  oltre  che 
nel  Cattaneo  e  nel  Villari,  nel  Cahelli  e  nellWn- 
giiilli.  Vico  diviene  un  precursore  del  positivismo, 
la  sua  formula  della  conversione  del  vero  col  fatto 
(identità  del  pensiero  e  dell’essere,  come  mentalità, 
sviluppo)  viene  dai  più  intesa  nel  senso  che  la  ve¬ 
rità  sta  nel  fatto  e  non  già  nella  mente.  Ma  pure 
queste  reminiscenze  vichiane  trattengono  i  primi  po¬ 
sitivisti  dal  cadere  in  una  metafìsica  materialistica. 
Sono  tutti  assai  prudenti,  anche  perché  non  hanno 
nulla  da  dire:  il  più  arrischiato  forse  è  l’Angiulli, 
che  è  d’ingegno  un  po’  più  filosofico  degli  altri;  ma 
il  suo  programma  positivistico,  pubblicato  nel  1869, 
non  manifesta  alcun  contenuto  nuovo  di  dottrina. 

FI  quando  il  positivismo,  per  la  logica  stessa  del 
suo  movimento,  degenerò  ovunque  nel  materialismo, 
i  nostri  positivisti  furono  pronti  a  sconfessare  la 
conseguenza  da  essi  non  voluta  delle  nuove  dottrine. 
Il  Villari  polemizzò  coi  materialisti  francesi;  il  Ga¬ 
belli  distinse  un  vecchio  ed  un  nuovo  positivismo, 
e  manifestò  la  sua  avversione  per  quest’ultimo.  Certo 
in  questi  pentimenti  c’era  qualcosa  d’ingenuo,  pro¬ 
prio  di  chi  non  sa  valutare  la  portata  di  una  dot¬ 
trina,  mentre  l’accetta;  e  i  materialisti  francesi  erano 
più  conseguenti  dei  positivisti  italiani,  nel  negare 
quelle  idealità  vaghe  che  questi  lasciavano  ancora 
ondeggiare  al  di  sopra  dei  fatti.  Ma  se  in  ciò  i  nostri 
erano  meno  filosofi,  erano  poi  più  di  buon  senso 
nelle  loro  riserve,  perché  dopo  tanti  sforzi  per  libe¬ 
rarsi  da  una  metafìsica  pseudo-idealistica,  non  vole¬ 
vano  trovarsi  impegoiati  in  una  altra  metafìsica,  di 
tendenze  materialistiche. 

La  trivialità  di  questa  metafìsica  non  tardò  a  ma¬ 
nifestarsi.  Essa  sorgeva  dal  connubio  tra  la  filosofìa 


382 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


e  la  biologia;  e  il  suo  nome  era  il  monismo:  un  nome 
che  dice  tutto,  anche  più  del  contenuto  di  dottrina 
con  cui  lo  si  è  voluto  giustilìcare.  I  suoi  fautori  erano 
medici,  naturalisti,  botanici,  fisici,  e  via  discorrendo. 
La  loro  opera  sarebbe  certamente  andata  dispersa  se 
Enrico  Morselli  non  avesse  avuto  la  felice  idea  di 
raccoglierla  e  disciplinarla  in  una  Rivista  di  filo¬ 
sofia  scientifica  durata  pochi  anni,  che  resterà  come 
prezioso  documento  della  mentalità  italiana  sullo 
scorcio  del  secolo  XIX. 

Ma  le  esagerazioni  più  stravaganti  del  positivi¬ 
smo  materialistico  si  videro  nella  scuola  di  antropo¬ 
logia,  fondata  da  Cesare  Lomhroso,  notissimo  autore 
di  libri  in  cui  il  genio  e  la  delinquenza  si  accoppia¬ 
vano  in  una  felice  coincidentia  oppositorum.  Di  que¬ 
ste  dottrine  non  ci  occuperemo,  perché  son  divenute 
di  competenza  forense,  e  funestano  le  squallide  aule 
delle  nostre  Corti  d’Assise.  Accenneremo  soltanto  a 
una  propaggine  del  positivismo  italiano  che  per 
opera  specialmente  di  Enrico  Ferri  s’è  innestata 
nella  dottrina  socialistica.  E  del  Ferri  raccomando 
la  lettura  d’una  prefazione  a  una  sgrammaticata  tra¬ 
duzione  italiana  deWAntidiiliring  di  Engels,  che  è 
un  bel  documento  del  livello  di  cultura  del  nostro 
ex-socialista. 


Ma  con  tutto  ciò,  del  positivismo  italiano  noi  non 
avremmo  che  notizie  scarse  e  frammentarie,  se  esso 
non  fosse  stato  conglobato  e  quasi  condensato  in  una 
dottrina  unica  da  Roberto  Ardigò.  Di  questo  perciò 
vogliamo  occuparci  un  po’  più  estesamente. 

La  filosofìa  dell’Ardigò  ha  quello  stesso  motivo 
naturalistico  che  abbiamo  osservato  nel  positivismo 
inglese;  e.ssa  è  l’indiflerenza  tra  il  sensismo  e  il  ma¬ 
terialismo,  senza  per  altro  il  rigore  logico  del  Mill 


II.  -  TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


383 


e  la  veduta  vasta,  per  quanto  superficiale,  dello 
Spencer.  Mentre  infatti  fenipirismo  inglese  è  vera¬ 
mente  monistico,  nel  senso  che,  ammesso  il  fatto 
naturale  della  sensazione,  ritiene  poi  derivata  e  po¬ 
steriore  la  distinzione  del  soggetto  e  deH’oggetto, 
l’Ardigó  invece  tradisce  fin  dal  principio  la  sua 
preoccupazione  dualistica,  propria  del  realismo  inge¬ 
nuo.  Perciò  ammette  come  fondamentale  la  distin¬ 
zione  del  senso  interno  e  del  senso  esterno,  dell’auto- 
sintesi  e  dell’eterosintesi,  cioè  da  una  parte  fas-socia- 
zione  dei  dati  psichici  stabili  che  costituiscono  il  me, 
dall’altra  l’associazione  degli  stati  psichici  acciden¬ 
tali  che  costituiscono  il  non-me.  Questa  è  prova  dcl- 
l’inferiorità  della  dottrina  in  quistione  rispetto  alle 
altre  forme  di  positivismo,  perché  la  distinzione  non 
fa  che  adombrare  quella  tra  la  materia  e  la  sensa¬ 
zione,  e  giustifica  quell’illusorio  raddoppiamento  del 
mondo  nella  conoscenza,  che  ad  empiristi  come  l’Ave- 
narius  o  il  Mach  parrebbe  una  vera  mostruosità.  Il 
termine  comune  di  materia  psichica,  nei  due  campi, 
del  senso  interno  e  del  senso  esterno,  non  è  in  ef¬ 
fetti  altro  che  un  nome,  che  si  può  trasformare  a 
piacere  in  un  altro  —  l’indistinto — ,  che  l’Ardigò 
pone  a  fondamento  della  realtà. 

Si  vuole  che  r.\rdigò  abbia  fatto  una  critica  dei- 
rinconoscibile  di  Spencer,  e  c’è  veramente  uno 
scritto  suo  su  questo  soggetto;  ma  bisogna  proprio 
dire  che  egli  sia  andato  in  cerca  della  pagliuzza 
nell’occhio  del  fratello,  senza  accorgersi  del  trave 
che  aveva  nel  proprio.  Almeno  il  povero  Spencer  po¬ 
teva  illudersi  di  veder  Dio  in  quel  suo  inconosci¬ 
bile,  mentre  nel  caso  dell’indistinto,  nemmeno  questa 
immaginazione  è  più  possibile.  Con  questo  concetto 
deir.Ardigò  l’epurazione  degl’inconoscibili,  degl’in¬ 
coscienti  e  simili  prodotti  del  facile  eclettismo  con- 


384 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


temporaneo  è  compiuta,  e  non  resta  che  l'innocua 
sodilisrazione  (ti  dire  uno,  quando  le  cose,  a  di¬ 
spetto  del  positivista,  pare  che  vogliano  dire  due. 

L’indistinto  dell’Ardigò  non  contiene  dunque 
più  alcuna  traccia  di  Dio.  L’idea  di  Dio  è  del  tutto 
radiata  dai  quadri  di  questa  filosofia,  e  al  suo  posto 
subentra  il  nuovo  concetto  deH’inlìnito  o  della  vir¬ 
tualità  permanente  dell’esperienza:  un  concetto  che, 
come  quello  inilliano  della  possibilità  delle  sensa¬ 
zioni  dimostra,  si.  la  preoccupazione  immanentistica 
del  positivismo,  ed  è  perciò  da  lodare  nel  movente 
psicologico  della  sua  formazione,  ma  è  nel  fatto  in¬ 
sufficiente,  come  quello  che  si  travaglia  ancora  nel 
vecchio  dualismo  aristotelico,  e  dissimula,  nella  sua 
apparente  facilità,  il  problema  non  risoluto,  e  l’igno¬ 
ranza  dei  potenti  sforzi  che  la  speculazione  di  venti 
secoli  ha  compiuto  per  giungere  al  graduale  supera¬ 
mento  di  esso. 

Questo  cenno  sul  motivo  fondamentale  dell’opera 
dell’Ardigò  può  bastare,  come  un  saggio  del  suo  pen¬ 
siero.  Lo  svolgimento  della  dottrina,  secondo  i  cri¬ 
teri  direttivi  dell’empirismo,  è  dato  dal  tentativo  di 
aggruppare  in  varie  forme  e  in  varie  guise  il  ma¬ 
teriale  plastico  della  sensazione:  un  campo  di  ricer¬ 
che  che  Tempirismo  inglese  aveva  già  da  tempo 
sfruttato,  e  che  con  l’.Ardigò  non  è  in  grado  di  dar 
nuovi  frutti. 


3.  D.\l  dualismo  al  monismo.  —  Nell'imperver- 
sare  delle  dottrine  materialistiche,  molte  voci  mo¬ 
deste  furono  soffocate,  che  forse  in  un  ambiente  più 
propizio  avrebbero  potuto  esercitare  un’efficacia  mag¬ 
giore.  La  loro  influenza  sul  pensiero  italiano  fu  assai 
scarsa,  in  un  tempo  in  cui  il  materialismo  dominava 


II.  -  TR.\  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


385 


la  vita  sociale  nelle  sue  più  cospicue  manifestazioni. 
Esse  nondimeno  riuscirono  a  formarsi  un  teatro  più 
ristretto,  ma  insieme  più  consono  alla  loro  intona¬ 
zione:  la  cattedra.  E  come  già  in  Francia  lo  spiri¬ 
tualismo  eclettico,  svalutato  dai  nuovi  indirizzi,  si 
conservava  nella  cerchia  universitaria,  così  nell’Ita¬ 
lia  positivistica  e  materialistica  si  ebbe,  nella  se¬ 
conda  metà  del  secolo  scorso,  un  insegnamento  uni¬ 
versitario  con  tendenze  spiritualistiche. 

Noi  abbiamo  già  accennato  a  quel  dualismo  pla- 
tonizzante  che  si  delineava  nelle  opere  del  Mamiani, 
del  Ferri  e  del  Berlini:  come  quello  che,  bilanciato 
tra  i  due  domini  estranei  del  pensiero  e  dell’essere, 
naufragava  poi  nello  spiegare  la  mediazione  di  en¬ 
trambi,  il  conoscere,  esso  non  poteva  riuscir  vinci¬ 
tore  di  quel  positivismo  che  viveva  nella  medesima 
dillìcoltà,  e  solo  cercava  di  dissimularla  con  le  sue 
pòco  fondate  asserzioni.  Né  il  dualismo,  nella  nuova 
forma  datagli  dal  Bonatelli  o  dal  Cantoni,  per  quanto 
più  corretto  e  rammodernato,  aveva  migliori  proba¬ 
bilità  di  successo;  in  fondo  la  difficoltà  restava  iden¬ 
tica,  e  al  più  veniva  spostata  in  più  remote  regioni. 

Nella  sua  vita  infaticabile  di  studio  e  di  ricerca, 
il  Bonatelli  non  riuscì  mai  a  migliorare  la  posizione 
iniziale  del  suo  pensiero,  che  noi  conosciamo  dal  sag¬ 
gio:  Pensiero  e  conoscenza  del  1864.  Là  egli,  ispi¬ 
randosi  a  Lotze,  muove  dal  soggettivismo  empirico 
della  coscienza  e  invano  si  tortura  per  conseguire 
l’oggettività  del  conoscere.  Il  pensiero  è  da  lui  ridotto 
al  semplice  pensato,  alla  mera  forma  indifferente  a 
ogni  contenuto,  qual’è  quella  della  logica  aristote¬ 
lica,  e  cosi  fin  dal  principio  gli  è  preclusa  la  via  a 
concepire  la  relazione  tra  il  pensiero  e  l’essere.  Egli 
afferma,  si,  che  pensare  è  giudicare,  ma  non  intende 
il  valore  e  la  portata  di  questa  grande  verità  della 


G.  DB  Ruggiero,  La  filosofìa  contemporanea. 


25 


386 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


lilo.solia  kantiana,  che  è  neutralizzata  dall’intuizione 
fondamentalmente  platonica  della  sua  dottrina. 

Di  qui,  se  il  pensiero  è  il  semplice  pensiero,  la 
certezza  del  reale  non  è  che  un’inferenza,  un’ana¬ 
logia,  per  cui  noi  interpretiamo  le  cose  esterne  a  noi 
nei  termini  della  nostra  esperienza  soggettiva.  Ma¬ 
cho  cos’è  la  realtà  in  sé  stessa?  Ora  è  qualcosa  di 
simile  ai  reali  di  Lotze,  ora  è  lo  stesso  pensiero  inteso 
come  norma  ideale  a  cui  tentano  di  adeguarsi  le 
singole  conoscenze  '.  Soluzioni  deboli,  come  si  vede, 
perché  col  principio  di  analogia  crediamo  di  muo¬ 
vere,  ma  in  realtà  non  moviamo  un  passo  fuori  della 
mera  soggettività;  e  la  norma  ideale,  d’altra  parte, 
posta  fuori  del  pensiero  attuale,  è  la  mera  oggetti¬ 
vità,  a  cui  manca  il  ponte  di  passaggio  verso  il  sog¬ 
getto.  Oggettività  pura  e  semplice,  e  soggettività  pura 
e  semplice,  dunque:  qui  la  soluzione,  in  fondo,  non 
fa  che  ridarci  tal  quale  il  problema. 

Il  platonismo  del  primo  saggio  si  trova  immutato 
negli  altri;  al  più  si  epura.  Nell’opuscolo  Perce¬ 
zione  e  penniero  è  detto  che  l’oggetto  opera  sul  sog¬ 
getto,  imprimendo  in  questo  Tinimagine  di  sé  stesso; 
immagine  che  non  è  per  nulla  sfigurata  e  deformata 
dalla  passione  del  conoscente,  perché  il  mutamento 
subito  da  questo  consiste  soltanto  in  ciò,  che  egli 
conosce  ciò  che  prima  non  conosceva *  *.  La  cono¬ 
scenza  viene  così  sempre  più  alleggerita  di  quel 
còmpito  copernicano  che  Kant  aveva  voluto  imporle 
e  quindi  ridotta  a  una  mera  duplicazione  inesplica¬ 
bile  di  una  realtà  in  sé  bell’e  fatta.  Il  termine  della 
speculazione  del  Bonatelli  è,  per  questa  via,  il  capo- 


»  F.  Bonatkixi,  Pensiero  e  conoscenza^  Bologna.  1864,  p.  5, 
29,  34,  35. 

*  F,  Bonatelli;  Percezione  e  Pensiero  (Atti  del  R.  Istituto 
Veneto  di  scienze,  lettere  ed  arti,  t.  Ili,  serie  VII,  1892),  p.  536. 


II.  -  TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


387 


volgimento  completo  della  tesi  kantiana:  la  forma 
non  è  più  del  soggetto  ma  appartiene  all’oggetto  in 
sé,  e  al  soggetto  non  viene  attribuito  che  la  semplice 
modilicazione  sensibile,  o,  in  altri  termini,  la  ma¬ 
teria  11  che  significa,  se  non  mi  sbaglio,  volere 
ricondurre  la  tesi  dualistica  all’assurdo. 

Un  altro  dualista  orientato  verso  la  filosofia  di 
Lotze  è  il  Cantoni,  pur  con  la  sua  vasta,  ma  poco 
profonda,  cultura  kantiana.  Nel  suo  lodevole  tenta¬ 
tivo  di  acclimatare  la  filosofìa  di  Kant  in  Italia,  egli 
introdusse  quel  famoso  problema  sull’origine  psico¬ 
logica  dell’apriori  che  ebbe  grande  fortuna  in  Ger¬ 
mania  nello  scorso  secolo,  e  che  costituì  per  lungo 
tempo  il  Capo  dei  Naufragi  di  molti  neo-kantiani. 
Nell’intento  del  Cantoni,  quel  problema  doveva  sal¬ 
vare  la  critica  dal  mero  soggettivismo  in  cui  pareva 
l’avesse  chiusa  Kant:  il  riconoscimento  della  forma¬ 
zione  psicologica  dell’apriori  doveva  infatti  segnare 
il  punto  di  convergenza  della  doppia  azione  del  pen¬ 
siero  e  della  realtà.  Ma  per  quella  legge  dell’etero- 
genia  dei  fini,  la  cui  fecondità  è  sorprendente,  la  ri¬ 
cerca  del  Cantoni  era  viziata  precisamente  da  quello 
stesso  soggettivismo  contro  il  quale  egli  credeva  di 
combattere.  Come  infatti  si  può  parlare  di  forma¬ 
zione  psicologica  dell’apriori,  tranne  che  questo  non 
venga  inteso  che  come  il  semplice  apriori  della  co¬ 
scienza  empirica,  e  non  della  coscienza  e  insieme 
della  realtà?  Esso  dunque  presuppone  qua  una  co¬ 
scienza,  là  una  realtà  bell’e  fatta,  e  dice:  questa  co¬ 
scienza  nell’appropriarsi  quella  realtà  procede  per 
gradi;  è  prima  un  mero  aposteriori,  e  si  apriorizza  a 
poco  a  poco  con  lo  spogliarsi  del  contenuto  sensibile 
e  col  concepire  la  forma  astratta  delle  cose  che  il 


‘  Op.  di.,  p.  IBOS. 


388 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


pensiero  può  padroneggiare  (concepire  universal¬ 
mente,  necessariamente)  appunto  perché  è  vuota  di 
contenuto  Ma  questo,  è  il  falso  apriori  analitico  da 
cui  Kant  s’era  liberato  nella  sua  critica,  e  che  poi 
Lotze,  con  un  vero  anacronismo,  aveva  voluto  ripri¬ 
stinare.  Esso  non  regge  se  non  in  quanto  si  pone  il 
pensiero  da  una  parte  e  il  reale  dall’altra,  e  si  fa  gio¬ 
care  il  pensiero  con  sé  stesso,  nella  sua  vuota  interio¬ 
rità.  E  questo  fa  appunto  il  Cantoni,  il  quale,  una 
volta  fuori  della  buona  via,  parla  di  applicazione 
delle  categorie  al  reale,  di  una  corrispondenza 
Ira  quelle  e  questo  con  un  completo  capovolgimento 
di  tutti  i  principi  fondamentali  del  kantismo. 

Uno  scrittore  raccolto  e  con  una  simpatica  into¬ 
nazione  mistica  è  Francesco  Acri,  personalità  assai 
caratteristica  della  filosofìa  italiana  contemporanea. 
In  un  periodo  di  grande  rozzezza  spirituale,  quando 
il  materialismo  regnava  incontrastato,  l’Acri  osava 
scuotere  il  giogo  della  dittatura  e  affrontare  diretta- 
niente  il  nemico.  Rivolgendosi  ai  naturalisti,  egli  di¬ 
ceva:  voi  con  la  vostra  cellula  credete  di  spiegar 
tutta  la  vita  della  coscienza,  e  in  realtà  non  spiegate 
niente;  nella  cellula  nulla  c’è  che  chiarisca  la  me¬ 
desimezza  della  coscienza,  e  l’unità  sua,  e  la  sua  fa¬ 
coltà  formativa,  e  quella  speculativa,  e  quella  voli¬ 
tiva,  e  nulla  c’è  che  chiarisca  la  più  umile  delle 
operazioni  sue  E  ricorreva,  per  mostrare  l’im¬ 
possibilità  di  comporre  l’uno  coi  più,  al  grazioso 
esempio  deH'aquila  dantesca  che  sembrava  un  unico 
essere,  ed  era  un’accolta  di  esseri;  e  dava  da  lon- 


I  C.  Cantoni.  E.  Kant,  Milano,  1879,  I,  pp.  209,  21.1,  219. 
»  /birf..  pp.  330,  334. 

3  F.  Acri.  Videmua  in  aenìgmate,  Bologna,  1907,  p. 


1 


II.  -  TRA  IL  SECOLO  XI.K  E  IL  XX 


389 


tano  l’illusione  di  dire;  «io,  io»,  nienlre  in  realtà, 
a  sentirla  da  vicino,  diceva  «  noi,  noi  ». 

Ma  il  platonismo  di  Acri  riproduce,  in  più 
sublime  sfera,  la  stessa  dilTicoltà,  e,  in  fondo,  la 
stessa  illusione  dell’aquila  dantesca.  Poste  le  idee, 
non  si  spiega  più  il  pensiero;  e  posta  l’intuizione 
immediata  della  verità  ideale,  riesce  inesplicabile 
la  rillessione  dell’autocoscienza.  Quindi  invano  cer¬ 
cherà  l’Acri  di  adombrare  con  immagini  poetiche  il 
principio  della  riflessione,  che  in  realtà  manca  nella 
sua  filosofìa.  Egli  ricorre  all’esempio  dello  scintillio 
della  luce  stellare;  ma  questo  esempio  appunto  tra¬ 
disce  la  difficoltà  del  platonismo;  lo  scintillare  della 
stella  è  la  mera  apparenza  della  riflessione  ilella 
luce,  è  l’illusione  soggettiva  della  nostra  visione.  La 
dottrina  della  coscienza  è  così  la  nota  fuori  posto 
nella  concezione  dell’Acri;  questi  abbracciamenti 
tra  Platone  e  Kant,  a  tanti  secoli  di  distanza,  hanno 
sempre  qualcosa  di  fittizio. 

Nei  nomi  di  Bonatelli,  di  Cantoni  e  di  Acri  si 
compendia  l’indirizzo  dualistico  della  filosofia  ita¬ 
liana  della  seconda  metà  del  secolo  XIX.  Più  recente¬ 
mente  esso  ha  avuto  un  altro  prosecutore  nel  De 
Sarlo,  fondatore  della  rivista  la  Cultura  filosofica. 
Questa,  sorta  in  antitesi  col  positivismo  e  con  l’agno¬ 
sticismo,  e  riprendendo  alcuni  motivi  lotziani,  cerca 
di  svolgere  c  ravvivare  l’antico  dualismo,  col  porlo 
in  contatto  con  la  filosofia  europea  contemporanea, 
e  particolarmente  con  le  nuove  dottrine  gnoseolo¬ 
giche  e  con  le  ricerche  di  psicologia  sperimentale. 

E  torna  infine  opportuno  parlare  a  questo  punto 
di  un  pensatore,  che  neH’ultimo  decennio  ha  com¬ 
piuto  uno  sforzo  notevole  per  conquistare  una  ve¬ 
duta  idealistica  della  realtà:  intendiamo  dire  del 
Varisco.  Nel  libro  Scienza  e  opinioni  del  1901,  egli  si 


390 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


muove  ancora  nel  campo  della  metafisica  dommatica. 

Il  mondo  è  da  lui  inteso  come  «  un  insieme  di  ele¬ 
menti  originari  o  monadi  che  operano  gli  uni  sugli 
altri.  Le  azioni  reciproche  tra  le  monadi  sono  in  ef¬ 
fetti  di  due  specie.  Determinano  cioè;  1)  una  varia¬ 
zione  in  ciascuna  monade;  2)  una  variazione  tra  le 
monadi,  ossia  ne  modificano  raggruppamento  (la  di¬ 
stribuzione  spaziale).  I  fatti  della  prima  specie  sono 
psichici,  quelli  della  seconda,  fisici  »  '.  Questo  è  il 
dualismo  della  metafisica  dommatica,  e  consiste  nel 
considerare  le  relazioni  del  mondo  fisico  come  af¬ 
fatto  fuori  della  monade  —  mentre  ripugna  alla 
monadologia  ammettere  azioni  inframonadiche  (le 
monadi  non  hanno  finestre);  e  una  volta  ammesse, 
risulta  inconcepibile  la  conoscenza  di  quelle  rela¬ 
zioni,  perché  non  si  comprende  dove  mai  esse  ca¬ 
dano,  se  son  fuori  della  monade. 

Ma  con  l’approfondire  il  concetto  della  monado¬ 
logia,  il  Varisco  ha  superato  il  dualismo  della  meta¬ 
fisica  dommatica.  Nel  volume:  /  massimi  problemi 
il  dualismo  tra  fisi  e  psiche  ha  un  significato  gnoseo¬ 
logico,  nel  senso  che  quella  distinzione  non  è  più 
tra  due  realtà  estranee  l’una  all  altra,  ma  si  costi¬ 
tuisce  nel  dominio  stesso  della  conoscenza.  La  realtà 
fisica  di  Scienza  e  opinione  diviene  una  psichicità, 
un  complesso  di  sensibili:  il  soggetto  (la  psichicità 
dell’antica  posizione),  diviene  l’unità  del  molteplice 
sensibile.  Su  questa  dualità  originaria,  il  Varisco 
eleva  la  sua  costruzione.  Da  una  parte  la  realtà 
dei  sensibili  si  costituisce  secondo  le  sue  leggi;  dal¬ 
l’altra  la  realtà  del  soggetto,  secondo  il  principio 
dell’unità  di  coscienza.  In  tal  modo  il  dualismo  non 

>  B.  V*Bisco,  l  massimi  problemi,  Milano,  1910,  p.  252, 
dove  è  riassunta  l’antica  dottrina.  Cfr.  ancora  Sciema  e  opi¬ 
nioni,  Homa,  1901,  pp.  247,  256,  261,  307,  321. 


II.  -  TRA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


391 


è  risoluto;  e  questo  perché  il  Varisco  non  ha  svolto 
il  concetto  dell’unità  della  coscienza  in  tutla  la  sua 
portata,  eliminando  quel  residuo  di  aristotelismo 
che  sta  nel  porre,  di  fronte  alla  coscienza,  dei  sensi¬ 
bili  non  sentiti,  delle  potenze  che  aspettano  di  porsi 
in  atto.  Insoinma  l’ombra  del  dommatismo,  «Iella  pre¬ 
cedenza  di  quei  sensibili  di  fronte  all’atto  dell’auto¬ 
coscienza  permane  sempre,  e  in  veste  psicologica  si 
ripresenta  quella  realtà  fìsica  di  Scienza  ed  opinioni, 
che  il  Varisco  non  ha  mai  veramente  risoluta. 

Per  superare  il  dualismo,  egli  fa  ricorso  a  un  con¬ 
cetto  della  filosofia  rosminiana,  quello  dell’essere  in 
universale;  ma  ne  muta  profondamente  il  significato, 
che  non  è  più  per  lui  trascendentale,  ma  empirico, 
ed  esprime  soltanto  l’identità  del  pensato,  l’indifTe- 
renza  di  soggetto  e  oggetto;  in  altri  termini,  quella 
psichicità  primaria  su  cui  deve  fondarsi  la  dualità 
di  fisi  e  psiche.  11  Varisco  compie  un  notevole  sforzo 
per  mostrare  come  questo  indifferenziato,  per  un’in¬ 
tima  esigenza,  .si  differenzi:  e  ciò  mostra  che  egli 
è  bene  addentro  nella  difficoltà  dell’idealismo;  ma 
non  mi  pare  che  risolva  il  suo  problema,  perché  non 
veggo  il  principio  della  differenziazione,  il  soggetto. 
Quel  differenziarsi  è  perciò  ancora  da  lui  inteso  nel 
senso  della  metafisica  dell’essere  e  non  del  cono¬ 
scere,  vale  cioè  a  fondare  una  monadologia  e  non 
una  fenomenologia.  Per  giungere  a  questa  è  neces¬ 
sario  spogliarsi  del  tutto  della  preoccupazione  di  una 
realtà  fatta,  sia  come  natura,  sia  come  potenza  del 
pensiero,  e  guardarsi  dall’anticipare  in  qualunque 
modo  il  mondo  sull’atto  concreto  del  pensare. 

Già  nella  dottrina  che  il  Varisco  ha  accennato 
della  personalità,  s’intravvede  il  principio  di  un  ap¬ 
profondimento  dell’idea  del  soggetto.  Riporterò  le 
seguenti  sue  parole:  «Quando  ciò  di  cui  giudico 


392 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


sono  io  stesso,  il  mio  fare  non  è  più  soltanto  rico¬ 
struttivo;  è  veramente  costruttivo.  L’io  nel  senso 
vero  della  parola,  ossia  l’iinità  dell’autocoscienza 

_ ben  diversa  dalla  pura  unità  della  coscienza,  dal 

soggetto  animale  —  non  esiste  che  in  quanto  afferma 
sé  stesso  Bene,  ma  una  volta  inteso  che  ripro¬ 
durre  è  in  verità,  nel  mondo  della  coscienza,  della 
realtà  in  fieri,  un  produrre,  bisogna  andare  avanti, 
approfondire  il  concetto  della  riflessione  creatrice, 
che  è  il  cardine  della  filosofìa  moderna,  svelare  tutti 
i  tesori  che  esso  racchiude:  allora  solo  si  vedrà, 
nella  trasparenza  della  coscienza,  tutta  la  realtà 
nella  sua  pienezza.  Il  Varisco  invece  si  ferma  a 
metà:  egli  infravvede,  ma  non  svolge,  il  motivo  fe¬ 
condo  dell’iilealismo. 


4.1  NEO-KANTIANI.— Il  neo-kantisiiio  ifaliano  è 
per  molli  rispetfi  benemerito  della  nostra  cultura, 
per  avere  alacremente  pronio.sso  gli  studi  storici,  che 
fra  noi  facevano  difetto.  Si  pensi  che  perfino  i  due 
più  profondi  pensatori  italiani  del  secolo  XIX,  Ro¬ 
smini  e  Gioberti,  spropositarono  talvolta  nel  modo 
più  deplorevole  la  storia  del  pensiero,  si  da  falsare 
la  loro  stessa  posizione  storica  di  fronte  alla  specu¬ 
lazione  moderna.  E  nel  campo  della  storia  della  filo¬ 
sofia  si  sono  specialmeiile  distinti  il  Fiorentino,  il 
Tocco,  il  Masci,  il  Tarantino,  il  Chiappelli.  ed  altri 
ancora.  Ma,  quanto  aU’atteggiamento  dottrinale,  il 
neo-kantLsmo  ha  uno  stretto  rapporta  con  l’indirizzo 
di  cui  abbiamo  testé  parlato. 

La  sua  dottrina  si  svolge  infatti  più  specialmente 
nei  confini  segnati  dall’analitica  trascendentale  di 


i  Varisco,  /  massimi  problemi,  cit.,  p.  129. 


II.  -  TRA  IL  .SECOLO  XIX  E  IL  XX 


393 


Kant.  Di  qui.  il  limite  della  sua  forza  speculativa 
c  dato  dalle  antinomie;  limite  che  si  vuol  poi  supe¬ 
rare  con  la  dimostrazione  della  vanità  di  ogni  me¬ 
tafisica.  Ma  con  la  metafisica  il  neo-kantismo  è  co¬ 
stretto,  suo  malgrado,  a  fare  i  conti,  quando  vuole 
spiegarsi  quell’apriori  che  esso  accetta  da  Kant.  Non 
appena  esce  dalla  semplice  distinzione  tra  il  pro¬ 
blema  della  formazione  empirica  delle  conoscenze  e 
quello  della  loro  validità,  e  vuol  cercare  di  spiegarsi 
il  come  e  il  perché  di  quest’ultima,  eccolo  già  alle 
prese  con  la  metafisica.  Il  valore,  come  abbiamo  già 
notato,  è  un  concetto  neutro,  bilanciato  tra  il  pen¬ 
siero  e  l’essere;  la  spiegazione  del  valore  è  dunque 
il  problema  metafisico  del  rapporto  tra  il  pensiero 
e  l’essere.  In  che  modo  risolverlo?  Il  neo-kantismo, 
non  sapendo  vedere  nelle  categorie  altra  cosa  che 
quel  semplice  fatto  del  valore,  ha  esaurito  già  la  sua 
provvista,  e  non  può  chiedere  perciò  al  suo  Kant 
quella  spiegazione  ulteriore;  esso  allora  la  persegui¬ 
terà  attraverso  la  psicologia,  la  biologia,  e  finirà  col 
ritrovarsi  in  una  posizione  che  aveva  già  oltrepas¬ 
sata  con  la  sua  premessa. 

Questa  dilTicoltà  del  neo-kantismo  si  rivela  nel 
modo  più  caratteristico  nella  parabola  descritta  dal 
suo  primo  rappresentante  in  Italia,  il  Fiorentino, 
che  non  riuscì  a  mantenersi  nella  sua  posizione  ini¬ 
ziale,  ma,  cedendo  all’urto  delle  nuove  ricerche  bio¬ 
logiche,  contro  cui  s’era  già  abbattuto  il  neo-kan¬ 
tismo  tedesco,  fini  col  fraintendere  del  tutto  il  si¬ 
gnificato  dell’apriori  kantiano,  contaminandolo  di 
naturalismo  evoluzionistico. 

Più  fedele  allo  spirito  del  neo-kantismo  è  il  Masci, 
che  se  ne  può  considerare  oggi  come  il  maggiore 
rappresentante.  Le  sue  istanze  negative  contro  i 
fraintendimenti  dei  principi  fondamentali  della 


394 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


filosofia  kantiana  sono  solide,  ma  la  fondazione  posi¬ 
tiva  di  quegli  stessi  principi  dà  luogo  alla  ditTicoltà 
già  notata  a  proposito  del  neo  kantismo  in  genere. 
Giu-stameute  il  Masci  difende  l’apriorità  dello  spazio 
e  del  tempo,  come  funzioni  spirituali,  dal  psicolo¬ 
gismo,  che  con  la  semplice  costruzione  delle  rappre¬ 
sentazioni  'di  spazio  e  tempo  s’illude  di  aver  soddi¬ 
sfatto  all’esigenza  dell’estetica  trascendentale;  col 
suo  mosaico  delle  sensazioni  esso  crede  di  costruir 
la  forma,  invece  la  presuppone  a  ogni  passo.  Né 
migliori  surrogati  della  deduzione  kantiana  offrono 
le  ricerche  biologiche  sull’apriori,  che  non  riescono 
addirittura  a  rendersi  conto  del  problema  di  cui  si 
tratta. 

Un  altro  errore  che  si  suol  commettere  nell’inter¬ 
pretazione  di  Kant,  è  quello  di  ridurre  la  realtà  alla 
mera  rappresentazione;  cosi,  osserva  il  Masci,  si  fa 
svaporare  il  reale,  mentre,  secondo  i  principi  del 
kantismo,  la  serie  psichica  non  ha  maggiori  diritti 
al  riconoscimento  della  serie  fisica.  Ma  esistono  fisi 
e  psiche  come  due  realtà  per  sé?  Qui  sta  il  problema. 
K  pare  che  il  Masci  a  un  certo  punto  sia  sulla  via 
di  risolverlo  secondo  il  criterio  dell’idealismo  asso¬ 
luto,  col  riconoscere  l’inanità  della  riflessione  che 
vuol  risalire  a  una  realtà  oltre  l’atto  dell’autoco¬ 
scienza  *.  Però  non  riesce  a  rendersi  conto  che  al 
di  là  di  queU’atto  non  c’è  una  realtà  che  sia  a  noi 
preclusa  per  la  scarsezza  delle  nostre  facoltà  men¬ 
tali,  ma  che  non  c’è^ proprio  nulla,  fuori  che  la 
■proiezione  della  nostra  ombra.  E  una  volta  perduto 
.il  criterio  dell’unità  concreta,  fisi  e  psiche  gli  restano 
innanzi  come  due  fatti  distinti,  che  egli  pur  sente 


*  F.  Masci,  Il  materialismo  psicofisico,  Napoli,  1901,  II, 
p.  93. 


II.  -  TR.\  TL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


395 


il  bisogno  ili  unificare.  E  concepisce  cosi  il  suo  mo¬ 
nismo:  «Non  si  tratta  di  sapere  né  come  la  ma¬ 
teria  genera  il  pensiero,  né  come  questo  genera 
le  azioni  materiali.  Porre  cosi  il  problema  è  ren¬ 
derlo  insolubile,  perché  le  idee  di  materia  e  spirito 
sono  generalizzazioni  unilaterali,  astrazioni  nostre, 
operate  in  direzioni  opposte,  di  un  processo  che  in 
realtà  è  unico»'.  E  per  conseguenza  cerca  di  tra¬ 
sferire  quell’unità  in  un  passato  in  cui  psiche  e  tisi 
erano  indill'erenziate.  <  Riportata  la  psichicità  a 
quello  che  si  può  pensare  che  sia  prima  che  esista 
un  sistema  nervoso  diflerenziato,  anzi  prima  che  esi¬ 
stano  strutture  nervose  negli  animali  unicellulari 
e  nel  protoplasma  amorfo,  la  difficoltà  di  concepire 
l’unità  di  natura  e  spirito  si  trova  ridotta  a  un  mi¬ 
nimum;  perché  resistenza  psichica  si  può  ricondurre 
al  dinamismo  intimo  della  realtà,  ai  principi  quali¬ 
ficativi  determinanti  e  direttivi  che  non  si  possono 
negare  senza  rendere  inintelligibile  lo  stesso  feno¬ 
meno  meccanico.  L’unità  apparisce  meglio  al  prin¬ 
cipio  che  alla  line,  meglio  nel  germe  che  nel  frutto, 
meglio  nell’inizio  dello  sviluppo,  che  nei  prodotti 
ultimi  della  differenziazione  progressiva  in  cui  esso 
consiste.  Similmente,  procedemlo  in  quella  direzione, 
la  riduzione  diventa  gradatamente  più  intelligibile, 
finché  gli  opposti  quasi  si  toccano  e  si  compenetrano 
nei  concetti  dell’atomo  e  della  monade,  che  tendono 
a  identificarsi  »  L’unità  del  reale  viene  cosi  trasfe¬ 
rita  in  un  oscuro  passato;  non  è  più  quella  che 
si  dà  nella  trasparenza  luminosa  della  coscienza,  se¬ 
condo  la  nuova  metafìsica  del  conoscere  fondata  da 
Kant,  ma  quella  che  si  dava  tra  le  due  realtà  etero¬ 
genee  dell’antica  metafisica  dell’essere. 


*  Op.  cit.,  IH,  pp.  18-19.  >  Ibld.,  IH,  pp.  35-36. 


396 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


La  monadologia  da  una  parte  e  il  principio  nuovo 
dell’autocoscienza  dall’altra  :  questa  a  me  pare  la 
doppia  esigenza  inconciliata  in  cui  si  travaglia  il 
pensiero  del  Masci.  E  nella  stessa  ditlicoltà  s’imbatte 
un  altro  filosofo,  il  Martinetti,  che  vi  resta  impi¬ 
gliato,  benché  faccia  un  grande  sforzo  per  liberar¬ 
sene,  cercando  di  fondere  la  metafìsica  dell’essere 
con  la  luelalìsica  del  conoscere.  Come  già  il  Bnirac, 
egli  concepisce  il  reale  come  una  pluralità  di  mo¬ 
nadi,  o  (per  togliere  la  possibilità  di  un  fraintendi¬ 
mento  storico)  di  centri  coscienti  o  unità  sintetiche 
di  soggetto  oggetto  Ma  questa  pluralità,  realistica¬ 
mente  intesa,  è  incompatibile  con  la  monadologia. 
Posta  la  monade,  o  comunque  il  rapporto  soggetto- 
oggelto,  è  con  ciò  tolta  la  realtà  (nel  significato 
realistico)  delle  altre  monadi,  la  cui  esistenza  è  pos¬ 
sibile  solo  come  iilealilà  nella  monade.  Lo  svolgi¬ 
mento  deH’idealismo  è  consistito  nell’approfondire 
questo  concetto  nuovo  dell’idealità,  in  cui  s’è  rico¬ 
nosciuta  la  realtà  vera  e  concreta:  così  è  stato  ab¬ 
battuto  il  vecchio  concetto  del  mondo  come  totalità 
naturale,  e  s’è  costituito  il  nuovo  concetto  del  mondo 
come  esperienza  assoluta.  Il  Martinetti  invece  tien 
fermo  ancora  all’idea  del  mondo  come  un  tutto 
naturale  e  dissemina  lungo  di  esso  i  suoi  centri  co¬ 
scienti,  .senza  intendere  che  questo  è  incompatibile 
col  concetto  nuovo  dell’idealità  che  egli  mostra  di 
accettare.  Ond’è  che,  malgrado  tutti  gli  sforzi,  egli 
resta  un  realista,  e,  come  tale,  si  mostra  impigliato 
in  una  difficoltà  insolubile  allorché  vuol  superare  il 
disgregamento  dei  principi  coscienti  in  una  unità 
superiore.  Una  volta  posta  dommaticamente  la  plu- 


>  P.  Mabtinetti.  hitroiiuzlone  alla  melathica,  Torino,  1904, 
pp.  110,  413. 


II. -TUA  IL  SECOLO  XIX  E  IL  XX 


397 


ralità  delle  coscienze,  l’unitù  o  sarà  un  nome,  o  un 
principio  trascendente,  perché  lo  ripeto,  la  plura¬ 
lità,  come  tale,  è  fuori  dell’atto  di  coscienza. 

Dato  questo  residuo  di  dommatismo,  un  vero  su¬ 
peramento  della  metafisica  dell’essere  non  è  più 
possibile  al  Martinetti,  il  quale  non  riesce  che  a  una 
conciliazione  apparente  tra  quella  metafisica  e  la 
nuova  metafisica  del  conoscere,  col  mostrare  che  la 
stessa  instabilità  dei  centri  coscienti,  per  cui  essi  si 
sviluppano  e  si  potenziano  in  sintesi  sempre  più  alte, 
si  dà  nel  campo  del  conoscere  come  processo  delle 
conoscenze  dalle  forme  più  semplici  e  imlilTerenziate 
del  senso  alle  sintesi  più  alte  dcH’iiitellelto  e  della 
ragione.  Qui  non  fa  che  ripro<lursi  quello  stesso  di¬ 
sgregamento  che  noi  abbiamo  già  prima  osservato: 
come  l’unità  dei  reali  cadeva  fuori  di  essi,  cosi  il 
principio  di  organizzazione  delle  conoscenze  è  fuori 
d’ogni  singola  forma,  e  il  pas.saggio  dall’una  all’altra 
è  la  semplice  dialettica  herbartiana,  cioè  il  principio 
di  contraddizione,  applicato  all’organizzazione  pro¬ 
gressiva  del  dato  sensibile.  Certo  non  mancano  nel¬ 
l’opera  del  Martinetti  degli  accenni  a  un  dialettismo 
assai  più  profondo,  ma  il  motivo  fondamentale  dello 
svolgimento  dialettico  è  empirico,  e  non  dà  che  una 
genesi  empirica  delle  conoscenze,  incapace  perciò  di 
risolvere  quel  che  v’è  di  dato  nel  dato  sensibile. 
11  vizio  della  dottrina  è  l’afTermazione  immediata 
dell’unità  puntuale  di  coscienza,  che  si  riproduce, 
nella  gnoseologia,  neH’afrermazione  del  pari  imme¬ 
diata  della  realtà  sensibile:  ogni  ulteriore  svolgi¬ 
mento  del  pensiero  non  potrà  essere  che  una  sem¬ 
plice  elaborazione,  una  purificazione  del  dato,  e  non 
riuscirà  mai  a  spiegare  il  suo  prodursi.  11  presup¬ 
posto  realistico  della  metafisica  si  riverbera  nella 
dottrina  del  conoscere;  posta  la  scala  delle  monadi, 


398 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


ne  vengono  con  ciò  posti  i  gradi  della  conoscenza, 
realisticamente  e  non  trascendentalmente,  come  per 
Hegel.  E,  chi  bene  osserva,  riconoscerà  che  una  tale 
dottrina  dei  gradi  del  sapere  non  può  reggere  se 
non  si  presuppone  una  realtà  già  costituita,  a  cui 
la  conoscenza  cerchi  di  adeguarsi.  Sicché  il  tenta¬ 
tivo  del  Martinetti  di  fondere  te  due  metafìsiche, 
quella  dell’essere  e  quella  del  conoscere,  a  me  non 
sembra  riuscito,  perché  col  lasciare  impregiudicata 
la  posizione  del  dato,  sia  pure  come  dato  spirituale 
e  non  già  naturale,  è  tolta  la  possibilità  di  risol¬ 
vere  l’essere  nel  conoscere;  e,  al  tirar  le  somme, 
quel  dato  finirà  sempre  con  l’accennare  a  qualcosa 
di  là  dal  sapere,  o  in  altri  termini  a  un  essere,  sia 
pure  spirituale,  com’è  nella  concezione  del  Marti¬ 
netti.  Questa  però,  malgrado  la  diflìcoltà  accennata, 
a  me  pare  uno  degli  sforzi  più  notevoli  che  abbia 
compiuto  il  pensiero  italiano  negli  ultimi  anni. 


in 

L’IDEALISMO  ASSOLUTO 


1.  Vera  e  Spaventa. Nel  primo  capitolo  noi  ab¬ 
biamo  accennato  che  con  Vincenzo  Gioberti  la  spe¬ 
culazione  italiana  del  secolo  XIX  cerca  di  adeguarsi 
a  quella  tedesca.  Ma  Gioberti  fraintese  la  sua  po¬ 
sizione  storica,  e  solo  nel  tardi  si  rese  un  po’  conto 
«legli  elementi  fìchtiani  ed  hegeliani  del  suo  sistema; 
e,  ciò  malgrado,  continuò  a  criticare  il  preteso  pan¬ 
teismo  tedesco,  e  a  credere  che  la  sua  dialettica 
fosse  platonica,  nel  mentre  che  era  la  dialettica  della 
mentalità  assoluta,  cioè  dello  spirito. 

In  Bertrando  Spaventa  il  pensiero  italiano  ac¬ 
quista  chiara  coscienza  di  sé  medesimo;  e  le  felici 
intuizioni  giobertiane  sono  sviluppate  in  un  sistema 
scientifico. 

Spaventa  insegnò  per  molti  anni  nell’università 
di  Napoli  ed  ebbe  per  collega  un  hegeliano  di  fama 
europea.  Augusto  Vera.  Ma  l’uno  non  avverti  nem¬ 
meno  la  vicinanza  dell’altro;  erano  mentalità  troppo 
diverse:  da  una  parte  il  giovane  hegeliano  che  vi¬ 
vificava  con  la  sua  vita  nuova  e  ardente  il  pensiero 
di  Hegel:  dall’altra  il  vecchio  hegeliano,  avanzo  di 
un  passato  glorioso,  tutto  pieno  di  mistica  adora- 


400  LA  FILOSOFIA  ITALIANA 

zione  per  il  suo  Hegel,  da  lui  chiamalo  il  Cristo 
della  filosofia,  e  per  cui  la  vita  d’un  intero  secolo  è 
un  niente,  o  una  serie  di  errori  da  cui  bisogna  libe¬ 
rarsi.  Qui  siamo  ancora  con  gli  epigoni,  e  là  co¬ 
mincia  una  nuova  filosofia. 

È  un  tipo  curioso  quello  del  vecchio  hegeliano, 
che  non  sa  muoversi  senza  pestarsi  i  piedi,  e  che, 
tutto  assorto  nelle  nuvole,  non  vede  il  fossato  innanzi 
a  sé.  Noi  lo  vediamo  impacciato  fin  nel  suo  primo 
entrare  nel  santuario  della  filosofia,  e  perdersi  in  un 
dedalo  di  ragionamenti  per  escogitare  il  modo  mi¬ 
gliore  d’entrarvi.  «  Com’è  possibile,  egli  si  chiede, 
insegnare  filosofia  hegeliana?  >.  Purtroppo  egli  sa  per 
esperienza  che  la  gente  a  cui  osa  parlare  di  Hegel 
è  solita  di  prendersi  segretamente  gioco  di  lui,  e 
allora  conclude:  «che  l’hegelismo  non  si  può  di¬ 
mostrare  che  ad  un  hegeliano  >  *.  E  allora  insorge 
più  grave  un  nuovo  problema:  «Come  si  fa  a  di¬ 
ventare  hegeliani?  ».  Qui  le  cose  si  complicano,  una 
volta  che  non  si  può  diventare  hegeliani  se  già  non 
si  è  tali.  Ecco  l’antinomia  da  risolvere;  e  l’unica 
via  possibile  è  di  ammettere  che  hegeliani  si  è  in 
quanto  si  nasce.  Questa  è  per  lui  una  vera  rivela¬ 
zione:  egli  finirà  per  convincersi  di  essere  hegeliano 
per  diritto  divino,  e  dall’alto  di  questa  convin¬ 
zione  potrà  lanciare  uno  sguardo  di  commiserazione 
ai  non  eletti,  rassegnarsi  alle  defezioni  dei  suoi 
scolari,  e  abbandonarsi,  senza  nessuna  preoccupa¬ 
zione  di  essere  inteso  o  compreso,  alle  sue  contem¬ 
plazioni. 

La  filosofia  di  Vera  è  appunto  la  contemplazione 
del  sacerdote  di  Brahma.  Il  termine  a  cui  s’appunta 


»  A.  Vera,  Inlroduclion  à  la  philosophie  de  Hegel,  Paris, 
18042,  p.  XVI. 


in.  -  l’ideali.smo  assoluto 


401 


è  l’idea  nella  sua  vuota  universalità,  .senza  più  nes¬ 
sun  contatto  col  mondo  della  vita.  Per  toccarla  bi¬ 
sogna  porsi  al  di  sopra  della  sfera  del  sentimento, 
abdicare  alla  propria  coscienza  individuale,  e  puri- 
licarsi  di  tutta  la  propria  contingenza  umana.  Che 
cosa  credesse  il  Vera  di  conquistare  in  un  tal  modo, 
è  difiìcile  dire;  non  certo  Puniversale  concreto  di 
Hegel.  Ed  è  davvero  impressionante  vedere  come  le 
pagine  piene  di  vita  della  Fenomenologia  o  della 
Logica,  dove  tutto  il  mondo  della  storia  si  fonde  in 
una  grandiosa  epopea,  diano  luogo,  per  opera  del 
sonnolento  hegeliano,  a  un  annacquato  platonismo 
che  prende  le  idee  per  entità  e  per  mere  rappresen¬ 
tazioni  di  cose,  e  le  dialettizza  in  un  nebuloso  em¬ 
pireo.  Qui  si  compiva  quel  pervertimento  dell’hege- 
lismo  in  una  nuova  metafisica  dell’essere,  assai  peg¬ 
giore  dell’antica,  perché  cristallizzava  l’idea  nelle 
cose,  e  deduceva  i  cavalli  dagli  asini,  commisurando 
la  deduzione  al  grado  progressivo  di  perfezione  delle 
relative  idee.  Di  fronte  a  una  tale  metafisica  era  la 
benvenuta  la  reazione  dello  Schopenhauer,  contro 
cui  pur  sentiva  bisogno  il  Vera  di  protestare. 

Con  ben  altra  mente  concepiva  l’hegelismo  Ber¬ 
trando  Spaventa.  Gioberti  aveva  detto,  non  diver¬ 
samente  da  Hegel  :  pensare  è  creare.  L’idea  del 
pensiero  come  creazione  è  l’idea  nuova  della  Qlosofla 
kantiana,  mentre  Cartesio  e  Spinoza  non  erano  giunti 
che  al  concelto  del  pensare  come  causare.  Ma  Gio¬ 
berti  s’era  elevato  al  nuovo  principio  tutto  d’un 
colpo,  per  una  subitanea  esplosione:  egli  aveva 
intuito  ma  non  provato  la  creazione;  questa  per 
lui  era  un  fatto,  indeducibile  e  indimostrabile. 
Eppure  egli  stesso,  in  un  passo  importantissimo  ^ 
delle  Postume,  aveva  integrato  la  formula  del 


G.  DE  Ruggiero.  La  filosofia  contemporanea. 


26 


402 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


pensare  =  creare,  con  l’altra  :  provare  è  creare  *.  Il 
pensiero  prova  l’atto  creativ*o  col  riprodurlo  e  ri¬ 
crearlo  dentro  di  sé;  ma  riprodurre  è  produrre,  e  ri¬ 
creare  è  creare.  Ecco  il  nuovo  grande  concetto  della 
mentalità,  la  quale  non  si  svolge  per  accrescimento  e 
riproduzione  del  suo  prodotto,  ma  per  creazione  del 
nuovo:  il  prodotto  stesso  non  esiste  che  in  que¬ 
sto  nuovo  produrre;  l’atto  creativo,  che  in  questo 
atto  che  lo  ricrea.  A  tale  conclusione  non  era  giunto 
il  Gioberti,  il  quale,  anzi,  dall’idea  che  provare  è 
creare  aveva  voluto  inferire  che  la  creazione  è  indi¬ 
mostrabile.  Ma.  poiché  il  carattere  essenziale  della 
mentalità  è  appunto  il  provare  (in  ciò  la  mente 
si  distingue  dalla  sostanza  che  si  definisce  soltanto), 
il  problema  che  la  filosofia  di  Gioberti  apriva  ai  suc¬ 
cessori  era  :  provare  la  creazione.  Ed  è  questo  ap¬ 
punto  il  problema  di  Spaventa:  «Gioberti  dice:  es¬ 
sere  è  creare,  pensare  è  creare,  creare  è  pensare.  — 
Questa  identità  bisogna  provare  ». 

«Creare  è  l’Ente  concreto,  soggiunge  lo  Spa¬ 
venta,  è  fare,  realizzare,  individuare,  sostanziare, 
entare,  far  esistere;  è  la  realtà,  l’assoluta  realtà. 
È  assoluta  realtà,  perché,  per  Gioberti,  Dio  stesso  è 
creare,  creare  sé  stesso.  Toglieteci  creare  e  avrete 
il  niente.  —  Eppure  non  si  ha  mai  il  niente;  giacché 
togliere  qui  è  pensare;  il  pensare  rimane,  e  ci  è 
sempre.  Ciò  vuol  dire:  il  creare,  tolto,  rimane;  per¬ 
ché  il  togliere  stesso  è  creare:  cioè  come  semplice 
togliere  —  negare  —  è  momento  del  creare.  Ora  come 
si  prova  la  realtà,  il  creare?  » 

«Il  Pensare  è;  non  può  non  essere.  Il  Pensare 
prova  sé  stesso:  negare  il  Pensare  è  Pensare.  11  Pen- 


,  IV.  Gioberti,  Nuova  ProtoloQla,  6<t.  Gentile,  Bari,  1912,  II, 

p.  211. 


in.  -  l’idealismo  assoluto 


403 


sare  è  Certo,  assoluto  Certo.  Il  Pensare  è  atto  dialet¬ 
tico,  un  mondo,  totalità,  sistema.  Pensando,  sem¬ 
plicemente  pensando,  io  —  come  semplice  pensare  — 
fo,  costruisco,  creo  questo  mondo,  questo  mio  mon¬ 
do,  che  è  lo  stesso  Pensare.  Questo  mondo,  creato 
dal  Pensare,  è  assolutamente  certo  come  il  Pen¬ 
sare,  è  lo  stesso  Pensare.  (Il  puro  mondo  del  Pen¬ 
sare  è  appunto  la  logica)  »  *. 

Come  si  vede,  il  problema  di  Spaventa  è  lo  stesso 
problema  cartesiano,  svolto  in  tutta  la  sua  potenza. 
Cartesio  muove  dairatlermazione  dommatica  e  la 
nega  col  suo  dubbio;  ma  questo  dubitare  è  esso 
stesso  un  pensare,  e  l’essere  che  si  annulla  nel  dub¬ 
bio  risorge  come  il  nuovo  essere,  l’essere  del  pensare; 
non  più  l’antico  essere,  la  mera  posizione  arbitraria, 
ma  il  nuovo  essere,  come  dialettismo,  come  l’essere 
che  si  annulla  per  risorgere  in  quanto  si  annulla, 
e  cioè  come  sapere,  come  assoluto  processo,  in  sé 
mediato,  che  è  affermazione  in  quanto  è  negazione, 
certezza  in  quanto  vittoria  sul  dubbio,  verità  in 
quanto  superamento  dell’errore,  creazione  in  quanto 
è  tutto  ciò  in  una  volta;  originalità  di  pensiero  che 
non  sta  al  dato,  ma  lo  riconosce  in  quanto  lo  as¬ 
simila;  produttività  di  pensiero,  che  risorge  perpe¬ 
tuamente  dalle  sue  ceneri;  creatività  di  pensiero 
che  risorge  unicamente  da  sé  medesimo,  in  quanto 
la  vita  e  la  morte,  l’affermazione  e  la  negazione,  la 
fede  e  il  dubbio,  sono  del  pari  opera  sua. 

Ecco  i  tesori  del  Cogito  cartesiano,  quel  Cogito  di 
cui  lo  stesso  Cartesio  non  comprese  il  valore,  e  che 
rimase  come  un  troncone  morto  nelle  sue  mani. 
Avere  svolto  questo  concetto  nuovo  in  tutta  la  sua 

>  B.  Spaventa,  La  filosofìa  Italiana  nelle  sue  relazioni  con 
la  filosofia  europea,  Bari,  1909  (Appendice:  Schizzo  d’una  storia 
della  logica»  p.  254). 


404 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


inesauribile  ricchezza  è  il  grande  pregio  della  Lo¬ 
gica  hegeliana.  Essa  spiega  il  processo  originale, 
creativo,  per  cui  il  pensiero  creando  le  proprie  de¬ 
terminazioni  crea  sé  medesimo;  è  la  storia  ideale, 
eterna  del  pensiero,  prospettata  nel  sistema  della 
scienza.  Sta  qui  il  significato  dell’afTermazione  dello 
Spaventa,  che  la  spiegazione  del  creare  è  la  logica. 

Questa  logica,  di  cui  lo  Spaventa  toglie  ad  Hegel, 
dirò  cosi,  lo  scheletro,  è  da  lui  svolta  nel  suo  ca¬ 
rattere  più  profondo,  perché  concepita  nel  suo  mo¬ 
tivo  storico  (cartesiano).  L’interpretazione  delle  tre 
prime  categorie,  l’essere,  il  non  essere,  il  divenire, 
costituisce  di  per  sé  sola  il  documento  maggiore 
della  originalità  dello  Spaventa.  L’essere  è  da  lui  in¬ 
teso  come  la  posizione  immediata  del  pensiero,  come 
il  semplice  pensato.  Esso  è  l’assoluto  astratto,  è  il 
pensiero  che  s’estingue  neH’cssere.  Ma  io  penso  l’es¬ 
sere,  c  in  quanto  lo  penso,  l’essere  non  è  più  il  sem¬ 
plice  astratto,  ma  il  mio  astrarre,  il  mio  pensare. 
Dunque,  per  virtù  stessa  del  pensiero,  l’estinguersi 
del  pensiero  nell’essere  è  in  verità  un  distinguersi. 

Per  la  grande  importanza  dell’argomento,  ripe¬ 
terò  testualmente  il  nostro  autore.  «  Fissando  l’essere 
—  egli  dice  —  io  non  mi  distinguo  come  pensiero 
dall’essere;  io  mi  estinguo  come  pensiero  nell’es¬ 
sere;  io  sono  l’essere.  —  Ora  questo  estinguersi 
del  pensare  nell’essere  è  la  contradizione  dell’essere. 
E  questa  contradizione  è  la  prima  scintilla  della 
dialettica.  —  L’essere  si  contradice,  perché  questo 
estinguersi  del  pensare  nell’essere,  —  e  solo  cosi  è 
possibile  l’essere,  —  è  un  non  estinguersi:  è  distin¬ 
guersi,  è  vivere.  Pensare  di  non  pensare,  fare  astra¬ 
zione  dal  pensare,  cioè  fissare  l’essere,  è  pensare;  è 
astrazione,  cioè  pensare.  »  Questa  contradizione  del 
pensiero  che  si  estingue  nell’essere,  e  in  quanto  si 


HI.  -  l’idealismo  assoluto 


405 


estingue,  pensa,  e  cioè  si  distingue  e  risorge,  è  il 
divenire  —  inteso  come  pensare. 

«  Essere  e  non  Essere,  in  quanto  inverati  nel  Di¬ 
venire,  non  sono  più  quel  che  erano  prima  di  essere 
inverati;  ma  sono  ciascuno  quella  stessa  unità  nella 
differenza  che  è  il  divenire;  e  in  quanto  tale  unità, 
sono  davvero,  cioè  attualmente,  distinti.  In 
quanto  veramente  uno  e  distinti,  si  dicono  appunto 
inverati;  cioè  momenti  del  divenire». 

<  L’essere  come  momento  è  l’essere  che  di¬ 
viene  :  il  cominciare,  il  nascere  (il  distinguersi); 
il  non  essere  come  momento  è  il  non  essere  che 
diviene:  il  cessare,  il  perire  (l’estinguersi).» 

*  Cosi  il  divenire  stesso  è  il  cominciare  che  cessa, 
e  il  cessare  che  comincia;  il  nascere  che  perisce,  e 
il  perire  che  nasce  (il  distinguersi  che  si  estingue, 
e  l’estinguersi  che  si  distingue).  Eterno  perire, 
eterno  nascere.  Questo  eterno  perire  che  è  eterno 
nascere,  questo  eterno  nascere  che  è  eterno  perire, 
è  il  Pensare.  Penso,  cioè  nasco  come  pensare;  ma 
non  posso  afferrar  me  stesso  come  pensare,  ma 
solo  come  pensato,  e  perciò  perisco  come  pensare. 
Perendo  come  pensare,  penso,  e  perciò  nasco 
come  pensare.  E  cosi  sempre  »  L 

Ho  riportato  questo  lungo  brano,  perché  è  una 
veduta  profondissima  nella  Logica  di  Hegel,  e  nello 
stesso  tempo  la  confutazione  completa  del  sistema 
deWEnciclopedia.  Nella  dialettica  dell’essere  e  del 
non  essere  interviene  un  fattore  che  Hegel,  fedele 
alle  partizioni  sistematiche  della  sua  dottrina,  po¬ 
neva  un  po’  all’ombra:  è  il  Cogito  di  Cartesio,  l’/o 
penso  di  Kant.  Il  che  non  esprime  altro  se  non  que- 


*  B.  Span’enta,  Le  prime  categorie  della  logica  di  Hegel 
(in  Scritti  fllosofìcit  ed.  Gentile,  Napoli,  1901,  pp.  196-200Ì. 


406 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


sto,  che  il  dialettismo  della  logica  di  Hegel  non  è 
concepibile  come  semplice  sistema  della  scienza, 
come  puro  sviluppo  del  Logo  in  sé,  ma  come  attività 
immanente  della  coscienza.  La  conversione  del  pen¬ 
siero  con  l’essere,  la  risoluzione  dell’essere  nel  pen¬ 
siero,  è  il  processo  che  si  compie  nella  luce  della 
mia  coscienza,  ed  è  psicologico  nello  stesso  tempo 
che  logico  e  storico.  Qui  la  fllogenesi  non  è  già  che 
ripeta  l’ontogenesi,  ma  è  essa  stessa  l’ontogenesi;  il 
pensiero  non  si  produce  come  semplice  psiche  che 
ha  di  fronte  a  sé  un  mondo,  della  natura  o  della 
scienza,  ma  c  esso  stesso  la  realtà  di  quel  mondo;  e 
non  riproduce  nella  sua  genesi  psicologica  la  genesi 
storica,  ma  è  esso  stesso  questa  genesi  storica.  Si 
dice  che  noi  esistiamo  in  virtù  del  passato;  si  può 
aggiungere  che  il  passato  esiste  in  virtù  nostra,  del 
nostro  pensiero:  il  vero  senso  di  questa  reciprocità 
è  l’eternità  del  pensiero,  la  divina  eternità  dell’atto 
in  cui  presente  e  passato  sono  tutt’uno  e  per  cui 
non  si  distinguono  il  riprodurre  dal  produrre. 

Ciò  implica  piena  fusione  della  fenomenologia, 
della  logica,  della  filosofia  della  natura  e  della  filo¬ 
sofia  dello  spirito,  in  una  scienza  sola,  psicologia  o 
fenomenologia  che  dir  si  voglia,  che  sia  in  pari 
tempo  una  storia  ideale  eterna  dello  spirito  nel  suo 
sviluppo.  Questo  assoluto  psicologismo  o  assoluto 
empirismo  a  noi  pare  la  conseguenza  logica  di  tutta 
la  filosofia  post-kantiana. 

Ma  lo  Spaventa  non  trasse  neppur  una  conse¬ 
guenza  dalla  sua  premessa,  e  continuò  a  distinguere 
una  fenomenologia  da  una  logica,  ed  ambedue  dalla 
filosofia  della  natura  e  dello  spirito.  Quindi  si  trovò 
impigliato  nella  difficoltà  di  dover  distinguere  due 
coininciamenti,  uno  della  coscienza,  un  altro  della 
scienza  (della  logica).  Di  qui  il  problema:  qual  è  il 


HI.  -  l’idealismo  assoluto 


407 


Primo  della  scienza?  E  la  conseguente  antinomia: 
<  Primo  provato  è  una  contradizione;  giacché  se 
è  provato,  non  è  Primo.  Dunque,  si  conchiude,  non 
può  essere  provato.  Ma  d’altra  parte,  non  può  essere 
ammesso  cosi  ad  arbitrio,  ammesso  perché  ammesso, 
cioè  dev’essere  provato;  altrimenti  sarebbe  un  Pri¬ 
mo.  ma  non  il  Primo  della  scienza  »  *.  E  cercava 
di  risolvere  l’antinomia  col  riallacciare  la  logica  alla 
fenomenologia,  nel  senso  che  quest’ultima,  con  l’epu¬ 
rare  il  pensiero  dall’empiria,  doveva  preparare  quel 
pensiero  puro,  quell’essere,  che  forma  il  principio 
della  logica.  Ma  il  problema,  in  cui  tanto  si  travagliò 

10  Spaventa,  era  un  vero  assurdo.  Esso  riassomigliava 
un  po’  alla  pretesa  di  voler  derivare  il  pensiero  da 
qualcos’altro,  nel  mentre  che  nessuno  forse  meglio 
dello  Spaventa  ha  riconosciuto  che  il  pensiero  non 
può  derivare  che  da  sé  medesimo.  Il  pensiero  si  de¬ 
duce  da  sé;  il  suo  dedursi  è  un  prodursi;  provare 

11  Primo  del  pensiero  è  ancora  un  pensare.  Qui  il 
regresso  non  è  che  apparente;  in  realtà  è  un  pro¬ 
gresso;  quindi  è  falsa  la  pretesa  di  voler  riportare 
la  prova  a  un  grado  antecedente  del  pensiero,  ed  è 
falsa  ancora  l’idea  di  voler  ricercare  un  Primo  della 
scienza:  il  carattere  del  pensiero  è  questo  suo  farsi 
primo  in  ogni  atto,  questo  suo  farsi  centro  in  ogni 
momento;  e  perciò  la  ricerca  di  un  primo  determi¬ 
nato  non  ha  senso,  perché  dove  tutto  è  primo  non 
c’è  nessun  Primo;  e  l’assoluto  primo  è  appunto  il 
pensare  concreto. 

Ma  una  volta  per  questa  via.  Io  Spaventa  era 
condotto  insensibilmente  ad  aggravar  l’errore;  posta 
la  distinzione  tra  una  fenomenologia  e  una  logica, 
tra  una  propedeutica  e  una  scienza,  ne  veniva  di 


>  B.  Spaventa,  La  fllos.  Hai.  clt.,  p.  258. 


408 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


conseguenza  un’altra  distinzione:  quella  della  verità 
in  sé  e  della  verità  per  noi,  di  una  metessi  e  di  una 
mimesi,  nel  linguaggio  giobertiano.  «  Questa  pro¬ 
pedeutica,  egli  diceva  alludendo  alla  fenomenologia, 
che  è  scienza,  e  prova  il  primo  della  scienza,  ci  è 
solo  in  quanto  ci  siamo  noi,  coscienza  o  spirito  fi¬ 
nito:  noi  dobbiamo  elevarci  alla  scienza,  non  siamo 
immediatamente  scienza.  La  vera  scienza,  invece, 
ci  è  in  sé  assolutamente;  è  non  solo  umana,  ma  di¬ 
vina;  quando  l’altra  è  solo  umana,  e  non  divina.  È  di¬ 
vina  come  momento  della  vera  scienza,  non  come 
propedeutica;  Dio  non  ha  bisogno  di  propedeu¬ 
tica  »  *.  Quanti  c.avilli  per  dissimulare  un  passo 
falso!  In  fondo  qui  Spaventa  è  un  dommatico  della 
più  bell’acqua,  un  platonico  che  distingue  una  verità 
in  sé  e  una  verità  per  noi,  mentre  ciò  ripugna  nel 
modo  più  completo  al  nuovo  idealismo.  La  ragione 
dell’errore  è  che  allo  Spaventa  manca  del  tutto  una 
fenomenologia  dell’errore;  quindi  egli  non  riesce 
a  svolgere  il  concetto  nuovo  della  verità  come  svi¬ 
luppo,  come  processo,  che  pure  è  nello  spirito  della 
sua  lìlosotìa;  ma  Unisce  inconsciamente  coll’oggetti- 
varla  in  un  che  di  fatto  e  di  compiuto,  in  una 
realtà  in  sé.  Qui  c’è  ancora  un  residuo  della  men¬ 
talità  del  vecchio  hegeliano,  che  mentre  ammette 
il  progresso,  il  movimento,  e  simili,  è  condotto  poi, 
per  la  sua  soverchia  fedeltà  alla  lettera,  a  negare 
tutte  queste  cose,  allorché  è  giunto  al  culmine  della 
speculazione. 

Ma  non  è  qui  che  bisogna  vedere  nella  sua 
più  grande  vivezza  il  pensiero  di  Spaventa.  Quello 
stesso  Spaventa  che  affermava  il  carattere  astratta- 


»  Op.  cU.t  p.  265. 


III.  -  l'idealismo  assoluto 


409 


mente  divino  della  scienza,  diceva  poi,  con  quanta 
maggior  verità!,  che  l’apriori  è  la  stessa  potenza 
nuova  della  natura,  la  potenza  umana,  la  quale  ri¬ 
sulta  e  si  concentra  e  s’individua  da  tutta  la  sparsa 
attualità  antecedente:  e  perciò  è  insieme  un  assoluto 
aposteriori'.  Qui  s’intravvede  il  vero  Spaventa,  il 
pensatore  che  meglio  di  ogni  altro  ha  compreso  la 
vera  umanità  dell'assoluto,  di  quell’assoluto  che  non 
è  lontano  da  noi,  ma  ci  è  intimo,  e  non  è  fuori  della 
nostra  contingenza,  ma  è  questa  stessa  contingenza, 
sub  specie  aeterni.  Egli  dice:  «  Tutti  coloro  che  fanno 
ad  Hegel  due  accuse  opposte,  di  relativismo  e  di  as¬ 
solutismo,  sono  il  trastullo  di  una  illusione  ottica, 
propria  della  posizione  in  cui  si  mettono;  ciascuna 
parte  prende  di  mira  nell’assoluto  hegeliano  qiiel- 
l’elemento  che  a  lei  fa  male  agli  occhi:  i  semi-sog¬ 
gettivisti,  l’esperienza  (il  fenomeno,  la  manifesta¬ 
zione,  il  divenire);  gli  oggettivisti,  il  pensiero;  nes¬ 
suna  ha  l’animo  e  la  potenza  di  aflìssarlo  come  quello 
che  è  veramente,  vale  a  dire  come  ragione  asso¬ 
luta,  al  di  là  della  quale,  oltre  e  fuori,  non  vi  ha 
nulla,  e  il  relativo  e  il  cosi  detto  assoluto  non  sono 
che  enti  astratti,  e  come  membri  scissi  dall’unità 
organica  e  viva:  da  un  lato  viene  scambiata  la  re¬ 
lazione  col  relativo  (come  opposto  all’assoluto),  e 
daH’altro  l’assolutezza  coll’assoluto  (come  opposto  al 
relativo).  Ai  primi  io  dico:  il  processo  dal  primo 
pensabile  (dal  puro  essere)  al  pensabile  assoluto  (al¬ 
l'assoluta  soggettività  del  mondo,  come  unità  di  co¬ 
noscere  e  volere,  di  verità  e  bontà),  e  da  questo 
come  prima  esistenza,  esteriorità  omogenea  e  indif¬ 
ferente  o  spazio,  all’intimità  o  soggetto  corporeo, 


*  Scritti  flios.  eli.,  p.  313  (Paolotlismo,  positivismo,  razio- 
nalismo). 


410 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


all’animale,  al  senso,  come  senso  umano  o  spirituale, 
allo  spirito  o  soggetto  assoluto,  questo  processo  non 
è  un  gioco  vano  del  pensiero  con  sé  stesso,  sola¬ 
mente  nel  mio  intendimento,  o  un  pallido  riflesso 
di  un  lontano  ed  invisibile  oggetto;  ma,  come  atto 
infinito,  come  il  pensiero  che  si  determina  in  sé 
medesimo  e  si  raccoglie  nelle  sue  determinazioni  e 
si  condensa  e  concentra  e  si  compie  e  pone  come 
assoluto  pensiero,  è  l’atto  dell’assoluto,  il  suo  intendi¬ 
mento,  la  presenza  sua,  lui  stesso.  Ai  secondi  dico: 
questo  processo,  appunto  come  produzione,  osserva¬ 
zione  critica  che  il  pensiero  fa  di  sé  stesso,  e  in 
quanto  il  pensiero,  e  non  altro  che  lui,  principia 
originalmente  e  investe  sempre  e  conchiude  quella 
che  si  chiama  comunemente  esperienza,  e  non  si 
esercita  fuori  e  senza  di  questa  come  in  vuoto  aere; 
questo  processo  è  non  solo  empiria,  ma  la  vera  e 
assoluta  empiria;  e  ha  sempre  più  valore  d’ogni 
frammento  e  articolo  sconnesso  a  cui  si  dà  tal 
nome  »  *. 

Qui,  pur  con  qualche  reminiscenza  dell’antico 
schematismo  hegeliano,  c’è  il  pensiero  nuovo,  che 
concentra  tutta  la  vita  dell’hegelismo.  Di  fronte  al 
concetto  della  relazione  assoluta,  che  è  quello  stesso 
del  fenomenizzarsi  della  realtà  nel  pensiero  umano, 
scompare  ogni  dualità  del  pensiero  in  sé  e  del  pen¬ 
siero  per  noi,  di  un  processo  della  coscienza  e  di  un 
processo  della  scienza;  e  in  quanto  la  realtà  non  è 
il  mero  contingente  né  il  mero  assoluto,  ma  il  pro¬ 
cesso  assoluto  del  contingente,  essa  non  è  soltanto 
una  soluzione  o  una  cosa  bell’e  fatta  e  anticipata 
senza  problema,  né  qualcosa  che  si  perseguita  sem¬ 
pre  e  a  cui  non  si  arriva  mai,  un  eterno  problema 


1  B.  Spaventa.  Principii  di  etica,  Napoli,  1904,  pp.  22-23. 


III.  -  l’idealismo  assoluto 


411 


che  non  è  mai  soluzione,  ma  è  l’eterno  problema 
che  è  l’eterna  soluzione,  l’assoluta  possibilità  che 
è  l’assoluta  attualità.  Svolgere  questo  concetto  è  sod¬ 
disfare  all’esigenza  millenaria  posta  <ia  Aristotele, 
dell’unità  di  potenza  ed  atto,  che  può  trovarsi  solo 
nell'assoluta  convertibilità  dell’una  e  dell’altro.  Pa¬ 
scal  diceva  profondamente:  noi  non  cercheremmo 
se  non  avessimo  già  trovato;  noi  possiamo  ripe¬ 
tere  il  motto  del  pari  profondo  dello  Spaventa, 
che  lo  spirilo  è  eterno  problema  che  è  eterna  so¬ 
luzione,  e  farne  l’insegna  della  nostra  vita  specu¬ 
lativa. 


2.  La  storia  della  letteratura  di  F.  De  San- 
CTis.  — ■  L’insegnamento  dello  Spaventa  non  ebbe  da 
principio  una  notevole  efficacia.  Pochi  e  fedeli  sco¬ 
lari,  tra  i  quali  bisogna  ricordare  il  De  Meis,  il  Jaia, 
il  Maturi,  raccolsero  e  custodirono  gelosamente  il 
pensiero  del  maestro;  ma  come  questi  non  aveva 
saputo  trarre  il  frutto  delle  sue  geniali  intuizioni  e 
differenziarsi  da  Hegel,  cosi  neppure  gli  scolari  eb¬ 
bero  sentore  della  radicale  trasformazione  dell’hege- 
lismo  che  si  andava  preparando  sotto  i  loro  occhi, 
anzi  accentuarono  sempre  più  il  momento  platonico, 
contemplativo  di  quella  dottrina,  che  divenne  per 
essi  una  vera  religione,  un  simbolo  da  conservare 
gelosamente  nella  sua  integrità.  Perciò  non  senti¬ 
rono  l’urto  dei  tempi  nuovi  e  dei  bisogni  nuovi  che 
sorgevano:  temperamenti  mistici  e  religiosi,  essi 
convertirono  il  valore  speculativo  della  dottrina  nel 
valore  mistico  di  una  fede,  e  finirono  cosi  con  l’im- 
mobilizzare  la  vita  del  pensiero.  Non  cosi  aveva 
fatto  lo  Spaventa,  il  cui  pensiero  s’era  continua- 
mente  ringiovanito  nell’urto  delle  nuove  dottrine. 


412 


L\  FILOSOFIA  ITALIANA 


e  che  aveva  cosi  creato  ciò  che  nelThegelismo  non 
aveva  trovato  ancora  il  suo  giusto  riconoscimento . 
il  senso  della  positività,  della  concretezza  assoluta 
del  pensiero.  In  ciò  si  rivelava  il  valore  negativo, 
dialettico  del  positivismo. 

Per  via  diversa,  lo  stesso  processo  di  dissoluzione 
deH’hegelismo  che  si  compiva  inconsapevolmente 
nel  pensiero  dello  Spaventa,  avveniva  per  opera  del 
suo  grande  conterraneo,  Francesco  De  Sanctis.  La 
sua  storia  della  letteratura,  monumento  unico  nella 
cultura  europea,  ci  dà  lo  svolgimento  dello  spirito 
italiano  dai  suoi  primi  albori,  via  via  attraverso  i 
secoli,  alla  formazione  della  mentalità  moderna. 

L’arte  è  per  il  De  Sanctis  appunto  la  vita  dello 
spirito  in  quanto  individuata  nel  senso,  e  resa  tra¬ 
sparente  a  sé  medesima;  è  il  contenuto  della  vita  in 
quanto  è  giunto  alla  chiarezza  della  forma.  La  storia 
dell'arle  è  perciò  il  processo  d’individuazione  della 
mentalità,  è  l’unità  di  pensiero  e  di  senso  come  svi¬ 
luppo.  Togliete  all’opera  d’arte  il  suo  carattere  indi¬ 
viduale,  e  avrete  la  scienza  astratta  che  vale  per  una 
vuota  eternità,  ma  che  perciò  non  è  più  nulla  di  con¬ 
creto,  perché  lo  spirito  è  vita,  è  varietà  di  atteggia¬ 
menti  e  di  forme;  togliete  la  trasparenza  dell’idea, 
dell’universale  nel  .senso,  e  il  senso  stesso  vi  si  adom¬ 
bra,  non  è  più  la  luminosità  della  fantasia,  ma  l’opa¬ 
cità  della  semplice  immaginazione,  vano  gioco  del 
meccanismo  psicologico.  In  questa  reciprocanza  di 
universale  e  individuale  sta  il  segreto  dell  arte,  che 
non  è  arbitrio  dell’individuo,  né  il  mero  rispec¬ 
chiarsi  della  vita  nella  fantasia,  ma  è  la  vita  stessa 
che  nel  suo  svolgimento  giunge  alla  propria  chia¬ 
rezza  intuitiva.  Sta  qui,  se  non  mi  sbaglio,  il  signifi¬ 
cato  di  quella  corrispondenza  che  il  De  Sanctis  in- 


HI.  -  l’idealismo  assoluto 


413 


daga  in  tutta  la  sua  opera,  tra  l’arte  e  il  contenuto 
della  vita  da  cui  si  forma;  corrispondenza  che  non 
è  quella  della  pura  rappresentazione  al  rappresentato 

—  perché  l’arte  allora  non  sarebbe  che  copia  della 
realtà  —  ina,  sarei  per  dire,  quella  della  realtà  a  sé 
medesima,  ed  esprime  cioè  l’equilibrio,  o  lo  squili¬ 
brio  dei  vari  momenti  della  formazione  spirituale. 

Ciò  posto,  il  rapporto  del  contenuto  della  vita 

—  religione,  morale,  scienza,  ecc.  —  all’arte,  non  è  il 
mero  rapporto  del  contenuto  e  della  forma,  ma  è  lo 
sles.so  processo  d’individuazione  storica  del  conte¬ 
nuto,  che  raggiunge  la  chiarezza  della  forma.  Ciò 
che  falsifica  l’arte  è  la  costrizione  arbitraria  di  un 
contenuto  inerte  in  una  forma  posticcia;  è  il  preten¬ 
dere  che  Machiavelli  indossi  la  cotta  o  Ariosto  cinga 
la  spada.  Ma  quelle  determinazioni  etiche  che  in  un 
Machiavelli  sarebbero  una  stonatura,  perché  la  chia¬ 
rezza  del  mondo  storico  della  Rinascenza  è  appunto 
il  naturalismo  umano,  senza  alcun  sentore  di  vita 
spirituale,  raggiungono  invece  la  concretezza  del¬ 
l’arte  in  un  Manzoni,  quando  cioè  nel  ciclo  storico 
s’è  sviluppata  in  tutta  la  sua  potenza  la  nuova  idea 
umana.  Cosi  ancora  quella  scienza  che  nella  lette¬ 
ratura  che  va  fino  a  Dante  non  giunge  alla  sua 
espressione  artistica,  perché  il  suo  contenuto  è  fatto 
trascendente  ed  estraneo  allo  spirito,  trova  la  sua 
consacrazione  in  un  Bruno  o  in  un  Galilei,  perché 
col  riconoscimento  dell’umanità  del  sapere,  ogni  dis¬ 
sidio  è  colmato. 

Né  si  creda  che  cosi  l’arte  venga  commisurata  a 
un  criterio  estrinseco,  o  sottoposta  alla  contingenza 
del  tempo;  ma  la  sua  eternità  è  questa  stessa  con¬ 
tingenza,  in  quanto  concentra  e  individua  l’univer¬ 
salità  dello  spirito.  Dante,  Machiavelli,  Manzoni  sono 
fuori  della  storia  appunto  perché  —  sembra  un  para- 


414 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


dosso _ sono  cosi  profondamente  radicati  nella  sto¬ 

ria.  Qui.  come  da  per  tutto,  l’assoluto  non  è  fuori 
del  contingente,  ma  ne  è  la  vita  stessa  interiore. 

Con  pochi  nomi  che  segnano  i  momenti  culmi¬ 
nanti  dello  sviluppo  spirituale,  e  con  molte  sfuma¬ 
ture  e  passaggi  intermedi,  il  De  Sanctis  costruisce 
la  sua  storia  della  letteratura.  L’idea  centrale  di 
essa  è  quella  della  formazione  del  mondo  dantesco 
come  espressione  più  compiuta  del  medio  evo,  e  la 
sua  dissoluzione  nei  secoli  seguenti,  fino  alla  nega¬ 
zione  più  completa  nello  .scetticismo  presago  dei  tempi 
moderni,  e  alla  nuova  formazione  d’un  mondo  tutto 
umano,  in  piena  antitesi  con  l’antica  trascendenza. 

«  L’uomo  e  la  natura,  egli  dice,  hanno  nel  medio  evo 
la  loro  base  fuori  di  sé,  nell’altra  vita;  le  loro  forze 
motrici  .sono  personificate  sotto  nome  di  universali 
ed  hanno  un’esistenza  separata.  Questo  concetU)  della 
vita  genera  la  Divìtict  Cotnmedio.  La  macchina  della 
storia  è  fuori  della  storia  ed  è  detta  la  Provvidenza. 
Questa  macchina  è  nel  mondo  boccaccesco  il  caso, 
la  fortuna.  Non  ci  è  più  la  Provvidenza,  e  non  ci  è 
ancora  la  scienza.  Il  meraviglioso  non  è  più  detto 
miracolo,  anzi  del  miracolo  si  fanno  beffe,  ma  e 
detto  intrigo,  nodo,  accidente  straordinario.  Le  pas¬ 
sioni,  i  caratteri,  le  idee,  non  sono  forze  che  regolano 
il  mondo,  sopraffatte  da  questo  nuovo  fato,  la  vo¬ 
lubile  e  capricciosa  fortuna.  Il  Machiavelli  insorge 
e  contro  la  fortuna  e  contro  la  Provvidenza,  e  cerca 
nell’uomo  stesso  le  forze  e  le  leggi  che  lo  conducono. 
11  suo  concetto  è  che  il  mondo  è  quale  lo  facciamo 
noi,  e  che  ciascuno  è  a  sé  stesso  la  sua  provvidenza 
e  la  sua  fortuna.  Questo  concetto  doveva  profon¬ 
damente  trasformare  l’arte.  »  Con  la  nuova  scienza 
sorge  la  nuova  letteratura.  L’antica  trascendenza  è 
negata  e  l’uomo  acquista  coscienza  della  propria 


m.  -  l’idealismo  assoluto 


415 


soggettività.  La  nuova  poesia  è  come  la  nuova 
scienza,  umana;  essa  si  preannunzia  nella  malattia 
del  Tasso;  la  malattia  dell’uomo  moderno.  E  il  carat¬ 
tere  umano  di  quest’arte  si  può  esprimere  con  un 
termine:  quello  di  lirismo.  Il  De  Sanctis  non  mise 
forse  in  un  giusto  rilievo  questo  momento  della  liri¬ 
cità  dell’arte;  svolgere  questo  concetto  è  stata  opera 
del  Croce.  Secondo  noi,  è  da  darne  un’interpreta¬ 
zione  più  orientata  verso  la  storia;  ma  la  determi¬ 
nazione  puramente  ideale  del  concetto  rientra  nel 
quadro  generale  della  illosofia  del  Croce  che  impa¬ 
reremo  a  conoscere  tra  breve. 

Il  gran  merito  del  De  Sanctis  sta  nell’avere  at¬ 
tuata  nella  sua  maggior  concretezza  l’idea  hegeliana 
dello  spirilo  come  sviluppo,  e  di  aver  concepita 
l’arte  nel  dinamismo  stesso  della  vita,  spogliando 
il  nuovo  concetto  da  ogni  schematismo  arbitrario. 
L’opera  sua,  come  quella  dello  Spaventa,  non  fu 
compresa  in  Italia,  e  non  trovò  seguaci.  I  meri  eru¬ 
diti  le  negarono  il  nome  di  storia,  e  i  più  benevoli 
si  piacquero  di  considerarla  come  un  insieme  di 
monografie.  Tanta  cecità  oggi  ci  stupisce,  ma  lo  stu¬ 
pore  cessa  quando  si  pensi  alla  dilllcoltà  che  incon¬ 
tra  nel  concepire  il  movimento  chi  non  si  muove. 


•’l.  Il  marxismo.  —  Una  propaggine  dell’inse¬ 
gnamento  di  Bertrando  Spaventa  innestata  sul 
tronco  del  positivismo  è  la  storia  del  materialismo 
storico  di  .\ntonio  Labriola.  Scrittore  vivace,  acuto, 
pur  senza  grande  profondità  e  vero  ingegno  specu¬ 
lativo,  il  Labriola  seppe  dare  tutta  un’intonazione 
propria  al  marxismo.  E  mentre  questo  degenerava 
in  Germania  in  una  vuota  ideologia  dualistica,  egli 
ne  fece  una  dottrina  della  storia  d’intonazione 


416 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


Strettamente  monistica.  «  La  storia,  egli  dice  non 
poggia  sulla  differenza  di  vero  e  di  falso,  o  di  giusto 
e  d’ingiusto,  e  molto  meno  sulla  più  astratta  antitesi 
di  possibile  e  di  reale;  come  se  le  cose  stessero  da  un 
canto  ed  avessero  dall’altro  canto  le  proprie  ombre 
e  fantasmi  nelle  idee.  Essa  è  sempre  tutta  d’un 
pezzo,  e  poggia  tutta  sul  processo  di  formazione  e  di 
trasformazione  della  società;  il  che  è  da  intendere  in 
senso  affatto  oggettivo,  e  indipendentemente  da  ogni 
nostro  gradimento  o  sgradimento.»  Ma  questo  ogget¬ 
tivismo  nel  Labriola,  che  è  memore  dell’insegna¬ 
mento  di  Vico  e  di  Engels,  non  è  disconoscimento 
del  valore  umano  della  storia,  ma  solo  del  mero  arbi¬ 
trio  umano.  Onde  può  dire  che  <  producendo  succes¬ 
sivamente  i  vari  ambienti  sociali,  ossia  i  successivi 
terreni  artiliciali,  ruomo  ha  prodotto  sé  stesso;  e  in 
ciò  consiste  il  nocciolo  serio,  la  ragione  concreta,  il 
fondamento  positivo  di  ciò  che  per  varie  combina¬ 
zioni  fantastiche  e  con  varia  architettura  logica, 
dà  luogo  presso  gl’ideologi  alla  nozione  del  pro¬ 
gresso  dello  spirito  umano  »  Questo  è  idealismo 
schietto;  e  appunto  perciò  il  Labriola  doveva  esser 
meno  che  mai  propenso  a  insistere  sulla  distinzione 
tra  la  struttura  economica  e  la  soprastruttura  poli¬ 
tica  e  sociale  della  società,  come  si  rileva  ancora 
dall’acuta  critica  che  egli  fa  della  dottrina  dei  fat¬ 
tori  della  storia.  Ond’è  che  la  parte  più  strettamente 
socialistica  della  dottrina  di  Marx  sta  un  po’  a  pi¬ 
gione  nella  sua  filosofia  della  storia,  e  riesce  spesso 
a  un  travestimento  puro  e  semplice  di  concetti  he- 


I  A.  Lahriola,  Saotji  intorno  alla  concezione  materialietica 
della  storia,  I:  In  memoria  del  manifesto  dei  comunisti,  Roma, 
18952,  p.  15. 

»  A.  Labhiola.  Saggi  ecc..  Ili;  Discorrendo  di  socialismo  e 
filosofia,  Roma,  I90Z2,  pp.  80,  104. 


ni.  -  l’ideausmo  assoluto 


417 


geliani.  Cosi  egli  asserisce  che  per  il  materialismo 
storico  il  divenire,  ossia  l’evoluzione,  è  reale,  anzi  la 
realtà  stessa,  come  è  reale  il  lavoro,  che  è  il  prodursi 
deU’uomo  che  ascende  dalla  immediatezza  del  vivere 
animale  alla  libertà  perfetta  (che  è  il  comuniSmo).  E 
ancora,  non  c’è  un  inconoscibile,  o  comunque,  un 
limite  alla  conoscibilità,  perché  neH’indefinito  pro¬ 
cesso  del  lavoro,  che  è  esperienza,  gli  uomini  cono¬ 
scono  tutto  ciò  che  fa  bisogno  e  che  è  utile  di  cono¬ 
scere.  Qui  il  travestimento,  ancorché  operato  da  un 
uomo  d’ingegno,  non  è  meno  un  travestimento,  e 
arieggia  assai  da  vicino  quelli  del  prammatismo. 

Ma,  fuori  di  queste  reminiscenze,  la  sostanza  del¬ 
l’opera  del  Labriola  sta  appunto  in  ciò  che,  con  l’ap¬ 
profondire  il  concetto  della  storia,  essa  contiene  la 
confutazione  implicita  del  materialismo  storico.  Una 
volta  negato  ogni  dualismo,  ogni  teoria  dei  fattori 
della  storia  e  ogni  interpretazione  semplicistica  dello 
sviluppo  umano,  vien  meno  ogni  ragione  di  distin¬ 
guere  nella  storia  l’economia  dalle  soprastrutture 
sociali  e  di  porre  quella  a  fondamento  di  queste. 
Preso  nella  sua  maggiore  concretezza,  e  senza  più 
quel  connubio  di  storia  e  di  naturalismo  che  gli  dava 
un  significato  caratteristico  nelle  opere  del  Marx  e 
dell’Engels,  il  materialismo  storico  non  ha  più  ra¬ 
gion  d’essere  come  lllosofia  della  storia. 

E  in  una  recensione  dell’opera  del  Labriola,  il 
Croce  accennò  appunto  a  questo  fatto,  della  liquida¬ 
zione  del  materialismo  storico,  inteso  come  filosofia. 
Per  il  Croce  esso  restava  come  un  semplice  canone 
della  storiografia,  o  meglio,  come  «  una  somma  di 
nuovi  dati,  di  nuove  esperienze,  che  entra  nella  co¬ 
scienza  dello  storico  ».  Ma  la  critica  a  parer  mio  più 
conclusiva  della  dottrina  è  stata  data  dallo  stesso 
Croce  in  un  articolo  su  La  fine  del  socialismo,  e  non 


G.  DE  Ruggiero,  La  filosofia  contemporanea. 


27 


418 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


con  un’astratta  analisi  dottrinale,  ma  con  un  esame 
storico  sull’origine  e  lo  sviluppo  del  marxismo.  Di 
qui  risulta  in  modo  chiaro  il  valore  meramente  con¬ 
tingente  e  transitorio  del  materialismo  storico,  la  cui 
utopia  comunista  è  stata  la  generalizzazione  affretta¬ 
ta,  e  poi  smentita  dai  fatti,  delle  esperienze  che  la  sto¬ 
ria  ha  accumulato  sulla  formazione  del  capitalismo. 

Cosi  il  materialismo  storico  che  in  Germania  e 
in  Francia  si  avviava  per  vie  diverse  al  regno  di 
Utopia,  ha  finito  invece  in  Italia  col  trovare  il  suo 
elogio  funebre;  e,  negandosi  come  filosofìa  della  sto¬ 
ria,  è  stato  in  pari  tempo  d’impulso  fecondo  nella 
formazione  delle  nostre  dottrine  della  storiografia. 


4.  La  FILOSOFIA  DELLO  SPIRITO  DI  B.  CrOCE. - 

Nella  filosofia  del  Croce  i  vari  motivi  della  specu¬ 
lazione  antecedente  si  concentrano  e  s’individuano 
in  un  foco  unico  di  grande  chiarezza.  La  concezione 
vichiana  dell'arte  e  della  storia,  insieme  alle  larghe 
vedute  del  De  Sanctis  sulla  critica  letteraria,  hanno 
dato  l’orientamento  e  l’intonazione  fondamentale  al 
pensiero  del  Croce,  che  s'è  svolto  fin  da  principio 
secondo  i  due  indirizzi,  della  storiografia  e  dell’este¬ 
tica.  L’interesse  più  strettamente  speculativo  della 
dottrina  non  è  sorto  che  tardi,  quando  questa  era 
già  quasi  formata,  e  non  ha  cagionato  nell’interno 
di  essa  nessuno  squilibrio  o  mutamento  notevole,  ma 
solo  un  coordinamento  più  intrinseco  delle  sue  parti. 
Questo  spiega  come  mai  il  Croce  abbia  potuto  de¬ 
terminare  cosi  nettamente  la  propria  posizione  di 
fronte  ad  Hegel,  e  distinguere  —  ciò  che  prima  non 
era  stato  mai  tentato  —  le  parti  vive  del  sistema 
hegeliano  da  quelle  morte,  mentre  tutti  i  seguaci  di 
Hegel  si  sono  trovati  impigliati,  più  o  meno  irrime- 


III.  -  l’ide.\lismo  assoluto 


419 


(liabilmenle,  nelle  maglie  di  quella  dottrina.  La  ra¬ 
gione  è  che  Croce  non  è  stato  mai  un  hegeliano 
nello  stretto  senso  della  parola;  e  anche  quando  più 
intensamente  studiava  il  lìlosofo  di  Stoccarda,  era 
già  tutto  lui.  Di  Hegel  l’attraeva  specialmente  quel 
senso  vivo  dei  problemi,  quel  temperamento  ostile 
ad  ogni  vago  sentimentalismo  e  morboso  misticismo, 
e  lìnalmente  quella  coscienza  seria  e  rigida  della 
vita,  fatta  di  lavoro  tenace  e  non  di  facili  rivelazioni 
dell’intuito  e  del  sentimento:  caratteri  che  erano 
anche  i  propri. 

Ma  di  fronte  a  questo  momento  hegeliano  del 
carattere  del  Croce,  e  in  antitesi  con  esso,  ve  n’è  un 
altro,  che,  per  restare  nella  storia,  chiamerei  herbar- 
tiano.  Infatti,  come  in  Herbart  ci  è  dato  osservare 
una  forza  speculativa  di  prira’ordine,  che  si  svolge 
con  una  potenza  che  ha  il  suo  riscontro  solo  in  Hegel, 

—  ma  poi  a  un  certo  punto  un  arresto  brusco  per  cui 
la  dialettica  viene  strozzata  e  l’unità  del  reale  fran¬ 
tumata;  cosi,  anche  nel  Croce,  si  può  notare  nell’ap¬ 
parente  uniformità  del  pensiero,  un  hiatus  profondo, 
una  contradizione  insoluta,  tra  una  cultura  impron¬ 
tata  al  dinamismo  più  ricco  di  vita,  e  un  gusto  delle 
distinzioni  e  classificazioni,  che  raffredda  quella  vita 
o  è  incapace  di  contenerla.  Chi  legga  le  belle  pagine 
del  Croce  sulla  dialettica  degli  opposti  nel  libro  su 
Hegel,  e  molte  ancora  nella  Filosofìa  della  Pratica 

—  che  segna  il  punto  culminante  del  suo  pensiero  — 
si  convincerà  facilmente  che  là  dentro  non  c’è  al¬ 
cuna  reminiscenza  di  Hegel,  o  di  altri,  ma  c’è  una 
mentalità  nuova,  originale,  che  si  svolge  tutta  com¬ 
presa  dell’attualità  dei  problemi  tra  cui  si  muove.  Ma 
poi,  dalla  rete  delle  distinzioni,  una  parte  di  quella 
vita  ^fugge  e  lo  slancio  speculativo  si  disperde;  onde 
avviene  che  l’intimità  più  profonda  del  reale  e  il 


420 


LjV  filosofia  italiana 


senso  vivo  della  storia  cadano  in  certo  modo  fuori 
del  sistema,  nella  personalità  del  filosofo  che  lo 
domina.  Nel  Croce  a  me  pare  che  siano  ancora  in 
conflitto  due  culture:  da  una  parte  la  critica  insi¬ 
stente  e  decisiva  del  naturalismo  in  tutte  le  sue 
forme,  nella  letteratura,  nella  logica,  nella  pratica, 
ha  lasciato  nel  suo  pensiero  delle  tracce  di  quello 
stesso  naturalismo,  determinando,  in  antitesi  con  la 
Babilonia  filosofica  degli  ultimi  cinquant’anni,  una 
tendenza  a  segnare  dovunque  dei  confini  netti  e 
precisi,  che  spesso,  come  vedremo,  rompono  l’unità 
dello  spirito;  ma  d’altra  parte,  dalla  considerazione 
viva  e  attuale  dei  problemi  filosofici,  che  in  lui  non 
ha  niente  della  reminiscenza  o  dello  sforzo,  ma 
muove  dalla  vita  per  tornare  ad  essa,  sorgono  mo¬ 
tivi  profondi  di  pensiero,  anzi  tutta  una  mentalità 
nuova,  per  cui  l'immanentismo  non  è  parola,  ma 
atto,  e  che  conferisce  ai  problemi  quell’interesse  di 
cui  solo  i  veri  pensatori  conoscono  il  segreto.  Perciò 
il  Croce  è  stato  un  grande  suscitatore  e  agitatore 
di  problemi,  in  un  tempo  in  cui  questi  erano  sopiti; 
e  quali  che  siano  le  soluzioni  che  ha  tentato  di 
darne,  le  si  accetti  o  le  si  respinga,  resta  sempre  a 
lui  il  merito  di  aver  rinnovata  la  cultura  italiana. 

Il  progresso  del  Croce  sulla  speculazione  del  se¬ 
colo  XIX  è  consistito  in  ciò,  che  egli  ha  iniziato  quel 
movimento  di  dissoluzione  del  sistema  hegeliano, 
che,  nella  pesantezza  ingombrante  della  sua  mole,  sof¬ 
focava  gli  stessi  problemi  vivi  che  s’erano  agitati  nel 
pensiero  di  Hegel.  Se  la  dialettica  è  pensiero  in  fieri, 
è  negazione  del  fatto  e  conversione  di  esso  nel  pen¬ 
siero,  il  lavoro  di  dissoluzione  della  grande  mole  del 
sistema  hegeliano  è  nello  spirito  stesso  dell’hegeli- 
smo.  I  due  punti  nei  quali  più  si  dimostra  efficace  la 
critica  del  Croce  sono  la  recisa  negazione  di  ogni 


III.  -  l’idealismo  assoluto 


421 


lìlosolìa  della  natura  e  di  ogni  distinzione  tra  una 
fenomenologia  e  un  sistema  filosofico.  Questa  parti¬ 
zione  aveva  nella  doltrina  di  Hegel  un  valore  tutto 
storico,  perché  rispondeva  ai  vari  momenti  della 
formazione  del  suo  pensiero,  ma  non  può  avere  un 
valore  logico  in  una  filosofia  idealistica  per  cui  non 
v’è  una  realtà  fatta  a  cui  il  pensiero  debba  ade¬ 
guarsi,  ma  per  cui  la  realtà  è  lo  stesso  pensiero,  cioè 
il  suo  stesso  processo  nella  conquista  della  verità.  E, 
quanto  all’idea  di  un’elaborazione  speculativa  del 
concetto  di  natura,  essa  è  un  non-senso,  perché  con¬ 
siste  precisamente  nel  conferire  una  realtà  in  sé  a 
una  costruzione  arbitraria  del  pensiero;  è  insomma, 
diremmo  noi,  un  residuo  della  vecchia  metafisica 
dell’essere.  Pensar  la  natura  come  natura  è  un  as¬ 
surdo;  in  quanto  la  si  pensa,  la  natura  è  già  spi¬ 
rito;  quindi  non  v’è  altra  filosofia  possibile  che  la 
filosofia  dello  spirito. 

La  liquidazione  degli  errori  di  Hegel  rende  pos¬ 
sibile  un  più  giusto  apprezzamento  delle  sue  verità. 
E  la  verità  fondamentale  della  filosofia  hegeliana  è 
la  scoperta  del  concetto  concreto, 'della  sintesi  degli 
opposti.  Il  pensiero  non  è  vuota  identità,  né  mera 
opposizione,  ma  l’unità  profonda  nell’opposizione, 
c  Gli  opposti  non  sono  illusione,  e  non  è  illusione 
l’unità.  Gli  opposti  sono  opposti  tra  loro,  ma  non 
sono  opposti  verso  l’unità:  giacché  l’unità  vera  e 
concreta  non  è  altro  che  unità,  o  sintesi,  di  opposti: 
non  è  immobilità,  è  movimento;  non  è  stazionarietà, 
è  svolgimento.  Il  concetto  filosofico  è  universale 
concreto;  e  perciò  è  pensamento  della  realtà  come, 
tutt’insieme,  unita  e  divisa.  »  Senza  dialettismo,  non 
c’è  sviluppo.  Chi  dice  pura  identità  del  pensiero  con 
sé,  dice  verità  che  non  sia  superamento  di  errore; 
bene,  che  non  sia  trionfo  sul  male;  bello,  che  non 


422 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


sia  vittoria  sul  brutto;  e  perciò  lungi  dal  concepire 
la  realtà  spirituale  nella  sua  concretezza,  ne  prende 

10  schema  vuoto  e  astratto. 

Il  motivo  dialettico  deU’hegelismo  si  compendia 
per  il  Croce  tutto  nella  prima  triade  della  Logica: 
essere,  nulla,  divenire,  c  Che  cosa  è  l’essere  senza 

11  nulla?  l’essere  puro,  indeterminato,  inqualificabile, 
ineffabile;  l’essere,  beninteso,  in  universale,  non  que¬ 
sto  o  quell’essere  in  particolare?  in  che  modo  si  di¬ 
stingue  dal  nulla?  E  che  cosa,  d’altra  parte,  è  il 
nulla  senza  l’essere,  il  nulla  concepito  in  sé,  senza 
determinazione  e  qualifica  alcuna,  il  nulla  in  gene¬ 
rale,  non  il  nulla  di  questa  o  quella  cosa  in  partico¬ 
lare,  in  che  modo  si  distingue  da  quell’essere?  Chi 
prende  l’un  solo  dei  due  termini,  gli  è  come  se  pren¬ 
desse  solo  l’altro;  giacché  l’uno  ha  significato  solo 
nell’altro  e  per  l'altro.  Cosi  chi  prende  il  vero  senza 
il  falso,  il  bene  senza  il  male,  fa  del  vero  qualcosa 
di  non  pensato,  —  perché  il  pensiero  è  lotta  contro 
il  falso,  —  e  quindi  qualcosa  di  non  vero;  del  bene 
qualcosa  di  non  voluto,  —  perché  volere  il  bene  è 
negare  il  male, — -’e  quindi  qualcosa  di  non  buono. 
Fuori  della  sintesi,  i  due  termini  astrattamente  presi 
si  confondono  tra  loro  e  scambiano  le  loro  parti:  la 
verità  é  soltanto  nel  terzo;  e  cioè,  per  la  prima 
triade,  nel  divenire,  che  perciò,  come  Hegel  dice,  è 
il  primo  concetto  concreto  »  ‘. 

Nella  scoperta  della  dialettica  degli  opposti  con¬ 
siste,  dunque,  per  Croce,  il  merito  permanente  di 
Hegel.  11  suo  torto  invece  sta  nell’avere  abusato  di 
questo  concetto,  ed  esteso  indebitamente  la  dialettica 
dagli  opposti  ai  distinti,  cioè  alle  forme  spirituali. 


»  B.  Croce,  Ciò  che  é  viuo  e  ciò  che  è  morto  della  filosofia 
di  Hegel,  Bari,  1907,  p.  22. 


IH.  -  l’idealismo  assoluto 


423 


Vero  e  falso,  bene  e  male  sono  realmente  opposti  tra 
loro,  e  vale  quindi  per  essi  il  principio  hegeliano, 
che  il  termine  positivo  non  ha  vita  se  non  trionfando 
del  negativo.  Ma  lo  stesso  non  può  dirsi  dei  concetti 
di  bello  e  di  vero,  di  vero  e  di  bene;  queste  seconde 
coppie  presentano,  rispetto  alle  prime,  la  peculiarità 
che  ciascun  termine  non  annulla  l’altro,  ma  può 
armonizzarsi  con  esso.  «Il  vero  non  sta  al  falso 
nel  rapporto  stesso  in  cui  sta  al  buono;  il  bello 
non  sta  al  brutto  nel  rapporto  stesso  in  cui  sta 
alla  verità  filosofica.  Vita  senza  morte  e  morte  senza 
vita  sono  due  falsità  opposte,  la  cui  verità  è  la  vita, 
che  è  nesso  di  vita  e  di  morte,  di  sé  e  del  suo  op¬ 
posto.  Ma  verità  senza  bontà  e  bontà  senza  verità 
non  sono  due  falsità,  che  si  annullino  in  un  terzo 
termine:  sono  false  concezioni,  che  si  risolvono  in 
un  nesso  di  gradi,  pel  quale  verità  e  bontà  sono  di¬ 
stinte  e  insieme  unite»  ^ 

Questa  unità-distinzione  è  la  dialettica  dei  di¬ 
stinti,  o  meglio  la  dottrina  dei  gradi  dello  spirito. 
Se  il  bello  e  il  vero  non  sono  dialettizzabili  come  il 
vero  e  il  falso,  e  d’altronde  non  possono  venir  consi¬ 
derati  ecletticamente  come  le  specie  d’un  genere,  la 
soluzione  del  problema  del  loro  rapporto  non  può 
stare,  secondo  il  Croce,  che  nel  concepirli  come  due 
momenti  dell’attività  conoscitiva  dello  spirito:  un 
primo  grado,  fantastico,  e  un  secondo,  logico;  il 
primo,  logicamente  concepibile  senza  il  secondo,  ma 
non  viceversa.  L’attività  fantastica,  intuitiva,  non 
presuppone  l’attività  logica,  ed  è  la  forma  primaria, 
ingenua  dello  spirito;  mentre  invece  il  logo,  il 
concetto,  non  vive  se  non  in  quanto  è  intuito  ed 
espresso,  ed  implica  perciò  il  primo  grado  dell’atti- 


1  0/7.  ci7,,  pp.  89-90. 


424 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


vita  spirituale.  Alla  ilottrina  empirica  della  classilì- 
cazione  delle  forme  spirituali  subentra  così  quella 
lilosolica  deirimplicazione  delle  varie  forme,  che 
non  annulla  l’universalita  di  ciascuna,  ma  le  confe¬ 
risce  il  suo  pieno  riconoscimento,  e  insieme  deter¬ 
mina  l’ordine  ideale  di  tutte,  inteso  come  un  po¬ 
tenziamento  progressivo  della  realtà  spirituale. 

Per  questa  via  il  Croce  distingue  due  forme  fon¬ 
damentali  dello  spirito,  la  teoretica  e  la  pratica,  e, 
neH’interno  di  ciascuna  di  esse,  due  forme  subor¬ 
dinate;  intuizione  e  concetto  nella  prima,  a  cui 
rispondono,  neH’altra,  Teconomia  e  l’etica,  concepite 
nello  stesso  rapporto  d’impticazione.  Il  passaggio 
dall’una  all’altra  costituisce  la  vita  spirituale;  esso 
però  non  determina,  come  nella  dialettica  degli  op¬ 
posti,  un  annullamento  delle  forme  oltrepassate, 
lierché  la  circolarità  del  processo  spirituale  rende 
possibile  l’eterno  ritorno  di  ciascuna.  E  d’altra 
parte,  quel  passaggio  non  si  fa  per  contradizioni  in¬ 
trinseche  a  ciascuna  forma,  ma  per  la  contradizione 
stessa  intrinseca  al  reale,  che  è  divenire;  altrimenti 
sarebbe  reso  impossibile  ogni  ritorno,  o  impliche¬ 
rebbe  un  inconcepibile  regresso. 

Questa,  nelle  sue  linee  essenziali,  è  la  dottrina 
proposta  dal  Croce,  dei  gradi  spirituali,  e  della  dia¬ 
lettica  dei  distinti.  In  seguito  noi  vedremo  con 
quanto  vigore  egli  abbia  cercato  di  conciliarla  con 
la  dialettica  degli  opposti;  ma  l’assunto  a  noi  sem¬ 
bra  insostenibile,  perché  le  due  dialettiche,  non 
che  coesistere  l’una  con  l’altra,  si  annullano  reci¬ 
procamente. 

Da  un  punto  di  vista  storico,  l’originalità  di  He¬ 
gel  di  fronte  a  Kant  consiste  tutta  nell’aver  con¬ 
vertito  la  sintesi  a  priori,  che  per  Kant  era  una 
sintesi  di  distinti,  in  una  sintesi  di  opposti.  Solo  cosi 


in.  -  l’idealismo  assoluto 


425 


la  sintesi  a  priori  che  era  in  Kanf  un  principio 
ancora  inerte,  ha  potuto  svolgere  tutta  la  ricchezza 
del  suo  contenuto:  suU’opposizione  fondamentale 
del  senso  e  deH’intelletlo,  che  porta  inevitabilmente 
alle  antinomie,  si  eleva  l’attività  mediatrice  della  ra¬ 
gione  che  risolve  le  antinomie  via  via  che  son  poste, 
e  vien  così  concepita  in  un  ritmo  eterno  di  sviluppo. 
Ma  per  il  Croce,  l’unità  di  senso  e  di  intelletto  non  è 
unità  di  opposti,  bensì  di  distinti;  quindi  non  può 
esservi  tra  i  due  termini  conversione  reciproca,  con- 
fradizione,  antinomia;  per  conseguenza  la  sìntesi  a 
priori  —  sintesi  di  distinti —  contiene  la  semplice 
unità  sfatica  di  quelle  determinazioni,  mentre  le 
sfugge  appunto  lo  sviluppo  spirituale:  la  vita  dello 
spirito  cade  in  un  certo  modo  fuori  dello  spirito.  Il 
Croce  all'erma,  si,  che  le  conlradizioni,  le  antitesi, 
(che  sono  il  lievito  dello  sviluppo)  son  poste  dalla 
vita,  senza  esistere  pertanto  tra  le  varie  forme  spiri¬ 
tuali,  ma  non  si  accorge  che  cosi  la  vita  finisce  col 
cader  tutta  fuori  di  quelle  forme,  che  pur  dovrebbero 
compendiarla  in  sé,  senza  residui.  Gli  è  che  vi  sono 
in  lui  due  esigenze  opposte,  inconciliate,  di  pensiero: 
da  una  parte,  in  quanto  afferma  lo  sviluppo,  egli 
nega  implicitamente  le  determinazioni  statiche  delle 
forme  spirituali;  dall’altra,  in  quanto  afferma  que¬ 
ste  ultime,  nega  lo  sviluppo.  Noi  vedremo  come  il 
conllitto  di  questi  due  interessi  finisca  col  paralizzare 
ed  annullare  alcune  delle  sue  più  acute  concezioni. 

La  prima  forma  dello  spirito  teoretico  è  l’arte,  la 
conoscenza  intuitiva.  In  questo  campo,  avere  iden¬ 
tificato  l’intuizione  con  l’espressione;  avere  inteso  il 
carattere  non  meramente  rappresentativo,  ma  sog¬ 
gettivo,  lirico  e  sentimentale  dell’arte;  fondato 
scientificamente  la  critica  letteraria;  unificato  l’este¬ 
tica  e  la  linguistica;  compiuto  una  critica  decisiva 


426 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


della  dottrina  dei  generi  letterari  e  di  tutto  il  vec¬ 
chiume  retorico  che  toglieva  la  possibilità  di  inten¬ 
dere  il  valore  intrinseco  e  genuino  dell’opera  d’arte, 
—  io  qui  per  necessità  sono  costretto  ad  accennare 
soltanto  — ;  son  questi  dei  grandi  e  indiscutibili  me¬ 
riti  dell’opera  del  Croce,  che  si  connette  a  quella 
del  De  Sanctis,  e  la  svolge  in  un  sistema  scientifico 
jen  coordinato. 

Secondo  questi  principi  l’opera  d’arte  viene  pie¬ 
namente  individuata  e  colpita  nella  sua  intimità. 
Ma,  quanto  alla  determinazione  del  suo  rapporto 
con  lo  svolgimento  della  vita  in  generale,  il  Croce 
alTerma,  si,  che  il  variare  degli  atteggiamenti  dello 
spirito  nella  storia  implica  un  mutamento  anche 
nell’arte,  e  perciò,  in  un  certo  senso,  la  sua  storicità; 
però  il  carattere  troppo  monadistico  che  egli  attri¬ 
buisce  all’opera  d’arte  è  di  ostacolo  per  una  compe¬ 
netrazione  intima  dei  due  elementi,  e  fa  si  che  l’idea 
dello  svolgimento,  di  cui  egli  pur  sente  l’esigenza, 
sia  transeunte  piuttosto  che  immanente  al  poncetto 
dell’attività  artistica.  Ma  questa  difficoltà  della  con¬ 
cezione  crociana,  che  nel  campo  dell’estetica  è  meno 
palese,  perché  il  Croce  stesso  la  risolve  nella  pratica 
della  critica  letteraria,  dove  il  suo  senso  vivo  della 
realtà  spirituale  prende  il  sopravvento,  diviene  più 
chiara  nella  trattazione  dei  problemi  della  logica. 

Dal  primo  momento  ideale  dello  spirito  teoretico, 
che  è  l’arte,  la  conoscenza  intuitiva,  si  passa,  nel 
sistema  del  Croce,  al  secondo  momento,  che  è  costi¬ 
tuito  dal  pensiero  logico,  dal  concetto.  Come  l’arte  è 
conoscenza  dell’Individuale,  così  il  concetto  è  pen¬ 
samento  dell’universale,  cioè  riflessione  autoco¬ 
sciente  del  pensiero;  e,  per  il  principio  dell’impli¬ 
cazione  o  dei  distinti,  il  pensiero  logico  è  l’unità  dei 
due  momenti,  universale  e  individuale,  concetto  e  in- 


III.  -  l’idealismo  assoluto 


427 


tuizioiie.  Come  tale  esso  è  il  giudizio,  che  in  quanto 
predica  le  categorie  del  soggetto  individuale,  intui¬ 
tivo,  è  giudizio  sintetico  a  priori,  e,  in  quanto  è,  per 
questo  suo  carattere,  creatore  di  realtà,  è  giudizio 
storico,  e  si  distingue  nettamente  dal  giudizio  clas¬ 
sificatorio,  che  è  la  semplice  formula  abbreviativa  e 
schematica  di  una  realtà  già  presupposta. 

Ma  sul  modo  con  cui  il  Croce  intende  il  giudizio 
sintetico  a  priori,  noi  dobbiamo  muovere  quella  dif¬ 
ficoltà  che  abbiamo  già  fatta,  parlando  della  dialet¬ 
tica  dei  distinti  in  genere.  Come  unità  di  determi¬ 
nazioni  distinte  e  non  opposte,  esso  non  è  veramente 
la  conversione  dei  suoi  termini  l’uno  nell’altro,  e 
perciò  non  attività  giudicante  (identità  come  svi¬ 
luppo),  ma  unità  puntuale  dei  suoi  momenti:  unità 
posta  di  determinazioni  poste.  Ciò  che  gli  manca, 
è  il  motivo  dialettico.  Di  quest’ultimo  se  ne  trova, 
nella  logica  del  Croce,  un  accenno  profondo,  ma 
è  in  qualche  modo  soffocato  dalla  dottrina  dei  di¬ 
stinti.  Noi  intendiamo  riferirci  alla  fenomenologia 
dell’errore. 

Alla  teoria  dell’errore,  in  una  logica  idealistica, 
spetta  un  posto  centrale,  perché,  col  venir  negata 
ogni  realtà  fatta  fuori  del  pensiero,  la  verità  non 
può  esser  mai  un  risultato  bell’e  compiuto,  commi¬ 
surato  alla  norma  estrinseca  del  modello,  ma  dev’es¬ 
sere  intesa  al  contrario  come  sforzo,  ricerca,  pro¬ 
cesso,  e  quindi  come  criterio  intrinseco  per  il  supe¬ 
ramento  dell’errore.  Spetta  al  Croce  il  merito  di  aver 
portato  la  discussione  su  questo  importante  problema, 
trascuralo  in  genere  dalla  filosofia  contemporanea, 
che  vive  ancora  in  gran  parte  nel  pregiudizio  che  la 
verità  sia  neH’oggetto,  come  tutto  fisico  o  ideale,  e  fa 
perciò  dell’errore  il  semplice  distinto  dal  vero.  Ma 
il  pensiero  —  è  una  cosa  ovvia!  —  non  può  pensare 


428 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


indifliTentemente  il  vero  e  il  falso;  un  pensiero  che 
pensi  il  falso  è  un  assurdo,  un  non  senso.  Ora  il 
tnerilo  del  Croce  sta  nell’aver  mostrato  che  il  falso 
non  è  già  il  distinto,  ma  l’opposto  del  vero,  e,  come 
tale,  il  non  essere,  la  semplice  negazione  dialettica: 
il  pensiero  è  pensiero  della  verità,  è  superamento 
continuo  dell’errore,  e  come  tale,  è  dialettismo,  svi¬ 
luppo.  Ma  ecco  che  il  Croce  perde,  nel  miglior  punto, 
il  frutto  della  sua  scoperta:  se  l’errore  è  il  semplice 
non  essere,  egli  si  chiede,  come  si  spiega  l’apparente 
suo  carattere  positivo?  com’è  possibile,  per  esempio, 
che  noi  attribuiamo  agli  altri  l’errore?  Qui  inter¬ 
viene  la  dialettica  dei  distinti:  ciò  che  a  noi  sembra 
positivo  nell’errore  non  è  in  realtà  errore,  perché 
non  è  atto  di  pensiero;  ma  è  un  fatto  pratico,  econo¬ 
mico,  un  fatto  volitivo.  Chi  erra  non  pensa  —  perché 
se  pensasse  davvero  supererebbe  l’errore — ma  vuole: 
vuole  raggiungere  un  suo  fine,  vuole  affrettare  una 
conclusione,  vuole  mistificare  il  prossimo.  Donde  il 
carattere  pratico  del  cosi  detto  errore  teoretico. 

Ecco  alle  prese  le  due  dialettiche,  quella  degli 
opposti  e  quella  dei  distinti.  Noi  c’ingegneremo  di 
mostrare  che  l’una  non  è  conciliabile  con  l’altra, 
ma  l’annutla  inesorabilmente.  E  in  realtà,  posto  il 
principio  dei  distinti,  posto  cioè  che  il  falso  coesista 
col  vero  come  un  fatto  pratico,  non  si  capisce  più 
che  ragion  d’essere  abbia  il  principio  degli  opposti, 
una  volta  che,  mutati  i  termini,  noi  ci  troviamo  di 
fronte  il  falso  come  falso  da  una  parte,  e  il  vero 
come  vero  dall’altra.  La  verità  cresce  cosi  unica¬ 
mente  su  sé  stessa,  e  il  falso  pure;  e  poiché  la  verità 
è  quel  che  era  fin  dal  principio,  essa  potrà  si  accre¬ 
scersi,  ma  non  veramente  svolgersi.  D’altra  parte, 
se  si  accetta  la  dialettica  degli  opposti,  viene  con  ciò 
negato  che  il  vero  e  il  falso  siano  determinazioni 


III.  -  l’idealismo  assoluto 


429 


statiche  di  pensiero,  ed  entrambi  vengono  compresi 
in  un  processo  unico  spirituale,  che  è  fenomenolo¬ 
gico  nel  tempo  stesso  che  storico,  e  per  cui  l’errore 
è  veramente  il  lievito  dello  sviluppo.  Insomma,  i  due 
principi  sono  concepiti  in  una  mutua  esclusione. 

Ma,  una  volta  ammessi  come  coesistenti,*  già  nella 
logica  v’è  un  accenno  alla  pratica;  nella  conoscenza, 
aH’azione,  che  integri  l’unità  spirituale.  Lo  stesso 
accenno  è  dato  dalla  dottrina  crociana  delle  scienze 
empiriche  che,  in  quanto  si  fondano  sul  giudizio 
classificatorio,  non  sono  conoscenze,  ma  schemi  pra¬ 
tici.  L’ispirazione  di  questa  teoria  è  data  dalle 
filosofie  empirio-critiche,  che  considerano  la  scienza 
come  economia  di  pensiero;  ma  non  si  tratta  che 
della  semplice  ispirazione,  perché,  compreso  nel 
principio  speculativo  dei  distinti,  il  prammatismo 
scientifico  riceve  un  significato  affatto  diverso.  Per 
il  Croce,  la  scienza  naturale  non  è  il  mero  astratto, 
ciò  che  in  una  filosofia  idealistica  sarebbe  il  nulla, 
ma,  in  quanto  è  un  momento  spirituale,  è  concre¬ 
tezza:  è  astratta  se  le  si  conferisce  una  valutazione 
teoretica  che  essa  non  comporta,  ma  è  concreta  come 
attività  pratica  spirituale.  Qual  è  allora  il  suo  rap¬ 
porto  verso  la  storia,  che  è  la  concretezza  della  vita 
teoretica?  Qui,  come  in  tutto  il  sistema,  il  principio 
dello  svolgimento  della  scienza  cade  fuori  della 
scienza.  Ma  basta  considerare  che  il  momento  dello 
schematismo,  della  legge,  in  cui  per  il  Croce  si  com¬ 
pendia  l’arbitrarietà  della  scienza  di  fronte  al  pen¬ 
siero,  è  esso  stesso  un  momento  astratto  del  proce¬ 
dimento  scientifico,  che  la  scienza  risolve  in  quanto 
si  svolge,  perché  la  scienza  empirica  venga  elevata 
all’altezza  della  storia  e  della  filosofia,  non  come 
conoscenza  di  una  pretesa  realtà  naturale,  ma  come 
una  realtà  essa  stessa,  storica,  attuale. 


430 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


La  stessa  antitesi  tra  le  due  esigenze  opposte  di 
pensiero,  che  abbiamo  fin  qui  considerato,  si  osserva 
nella  Filosofia  della  pratica:  il  libro,  del  resto,  più 
ricco  di  vita,  e  profondo  di  pathos,  che  sia  uscito 
dalla  penna  del  Croce.  Qui  il  tema  più  decisamente 
speculativo  è  costituito  dalla  dottrina  del  giudizio 
pratico  e  della  dialettica  del  bene  e  del  male.  Spetta 
al  Croce  il  merito  di  una  critica,  a  parer  mio,  com¬ 
piuta,  dei  giudizi  di  valore,  la  più  grossa  pietra 
d’inciampo  che  Tintellettualismo  avesse  frapposto 
al  libero  svolgimento  dell’attività  spirituale.  Ma,  una 
volta  negata  ogni  anticipazione  della  valutazione 
dell’attività  sull’attività  stessa,  e  con  ciò  rotta  quella 
rete  di  schemi  con  cui  il  pensiero  astratto  preten- 
<leva  di  preordinare  il  cammino  dello  spirito  e  ri¬ 
durlo  cosi  a  un  mero  meccanismo,  il  concetto  della 
libertà  creatrice  balza  fuori  nella  sua  maggior  con¬ 
cretezza.  ed  è  aperta  la  via  a  concepire  il  dinami¬ 
smo  dialettico  dello  spirito.  Nella  dialettica  del  bene 
e  del  male  questo  nuovo  motivo  è  potentemente 
svolto.  Il  male  diviene  il  non-ente,  non  più  platonico, 
ma  hegeliano,  e  cioè  il  lievito  perenne  della  vita 
spirituale,  che  è  una  lotta  e  un  trionfo  sul  male,  una 
conquista  progressiva  del  bene.  In  questa  concezione 
della  vita  come  lotta  e  sforzo  tenace,  non  come  facile 
e  vano  vagheggiamento  d’idealità  e  di  utopie,  in 
questa  necessità  dell’urto  del  male,  delle  passioni, 
perché  si  crei  il  bene,  è  tutta  la  visione  seria  e  mo¬ 
derna  della  vita  :  vita  che  è  aliena  da  ogni  misti¬ 
cismo,  ascetismo  e  verginità  di  sentimenti  morali,  e 
non  teme  di  contaminare  i  suoi  ideali  nel  contatto 
con  le  turpitudini  del  mondo.  Qui,  in  questo  dialet¬ 
tismo,  si  attua  quel  trasferimento  che  vagheggiava  il 
Vico,  della  repubblica  di  Platone  nella  feccia  di 
Romolo.  .Ma  anche  qui  il  dialettismo  è  soflocato  dal 


IH.  -  l’idealismo  assoluto 


431 


principio  ilei  •distinti,  che  per  spiegare  l’apparente 
positività  del  male  crea  dpe  forme,  economica  ed 
etica,  c  fa  del  bene  qualcosa  di  fatto  dall’eternità,  e, 
mutali  i  nomi,  finisce  col  far  del  male  un  semplice 
distinto  dal  bene.  Qui  insomma  si  riproduce  quello 
stesso  fenomeno  che  abbiamo  osservato  parlando 
della  dialettica  del  vero  e  del  falso. 

Una  ulteriore  discussione  dell’opera  del  Croce 
esorbita  dai  limiti  di  questo  quadro  storico.  Conclu¬ 
dendo,  a  noi  sembra  che  l’opera  del  Croce  sia  lo 
sforzo  più  potente  che  il  pensiero  italiano  abbia  com¬ 
piuto  negli  ultimi  anni,  e  per  cui  esso  si  adegua  al 
pensiero  europeo.  Dopo  il  Croce  —  o  per  meglio  dire, 
dopo  la  Filosofìa  dello  spirito  —  perché  il  Croce  pen¬ 
satore,  nello  svolgimento  del  suo  pensiero  infatica¬ 
bile,  potrà  sorpassare  quella  posizione,  il  còmpito 
della  filosofia,  è,  secondo  noi,  di  fondere  di  nuovo 
nell’unità  le  distinzioni  del  sistema  crociano,  in 
modo  tuttavia  da  includere  le  giuste  esigenze  poste 
da  quelle  distinzioni.  E  bisogna  prima  di  tutto  ap¬ 
profondire  il  concetto  che  realtà  è  attività  spirituale, 
cioè  concretezza,  o  per  dirla  con  una  espressione  del 
(ienlile,  che  la  realtà  è  filosofia.  Quindi  l’arte  è 
lilosofia,  non  nel  senso  che  escogiti  filosofemi  o  si 
risolva  In  una  forma  più  elevata  di  conoscenza,  ma 
in  quanto  è  realtà  spirituale,  cioè  sviluppo  storico. 
Cosi  la  contradizione  dell’arte  —  monade  immobile, 
librata  sul  movimento  delle  cose  —  è  risoluta  dal¬ 
l’arte  stessa,  in  quanto  è  concepita  nello  stesso  svol¬ 
gimento  della  realtà.  Quindi  la  scienza  è  filosofia, 
non  come  conoscenza  di  una  realtà  esterna  al  pen¬ 
siero,  ma  come  la  stessa  realtà  spirituale  che  pone 
e  risolve  l’elernità  vuota  e  immobile  della  legge.  E 
nello  stesso  processo  storico  d’individuazione,  che 
è  lo  spirito,  è  concepita  l’attività  pratica,  che  in 


432 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


quanto  non  è  mera  prassi,  ma  attività  in  sé  riflessa 
e  auto  cosciente,  è  attività  spirituale,  pensiero  puro. 
In  questa  profonda  identità  spirituale,  che  non  an¬ 
nulla.  ma  riconosce  e  invera  la  differenze  delle  at¬ 
tività  dello  spirito,  la  filosofia  esce  dal  particola¬ 
rismo  ristretto  delle  scuole,  ed  è  la  stessa  realtà 
storica,  nella  pienezza  delle  sue  esplicazioni;  è  la 
coscienza  riflessa  della  realtà  umana  del  mondo;  il 
Dio  invisibile  che  'si  esplica  nel  mondo  visibile. 
Questa  è  la  nuova  concezione  del  reale,  che  esce 
dal  seno  stesso  della  tilosofia  del  Croce,  svolgendo 
quanto  v’è  in  essa  di  dinamico  e  di  vitale. 


5.  L’idealismo  assoluto  di  G.  Gentile.  —  Per 
questa  via,  attraverso  molti  pentimenti  e  rielabora¬ 
zioni  del  suo  pensiero,  s’è  posto  il  Gentile,  e  si  parva 
licei  componere  mugnis,  chi  scrive  queste  pagine  ’■ 
Il  Gentile,  già  nel  suo  saggio  sui  rapporti  tra  la 
storia  della  filosofia  e  la  filosofìa,  si  mostra  compreso 
della  necessità  di  concepire  il  reale  nella  sua  unità 
più  profonda.  Egli  svolge  una  tesi  originale  sulla 
identità  della  filoiSofia  e  della  sua  storia,  intesa  non 
come  identità  statica,  immobile,  ma  come  sviluppo, 
nel  senso  che  la  filosofia  creando  la  sua  storia  crea  sé 
medesima.  Quindi,  un’assoluta  immanenza  della  ve¬ 
rità  filosofica  nel  processo  storico,  che  è  in  pari 
tempo  il  processo  fenomenologico  dello  spirito.  E  se¬ 
condo  questa  premessa,  la  ricerca  della  verità  è  an¬ 
cora  una  storia  ideale  dell’errore;  dove  l’errore  è  lo 
stesso  momento  dialettico,  negativo  dello  spirito,  il 
coefficiente  necessario  deiio  sviluppo. 


I  A  qucsfordlne  d’idee  è  Ispirato  il  mio  saggio.  La  scienza 
come  esperienza  assoiuta,  Bari,  1913. 


IH.  -  l’idealismo  assoluto 


433 


Questa  tesi  deH’identità,  preparata  da  Hegel  e  da 
"paventa,  ma  non  sviluppata  da  essi,  anzi  soffocata 
nella  struttura  esteriore  dei  loro  sistemi,  è  la  chiara 
coscienza  che  il  pensiero  moderno  acquista  di  sé  e 
della  propria  opera.  La  filosofia  moderna  è  nega¬ 
zione  della  realtà  come  oggetto,  come  dato,  e  l’afTer- 
raazione  di  essa  come  soggetto,  come  farsi,  come 
storia;  ora  la  riconosciuta  storicità  della  filosofia  è 
l’unità  del  nuovo  essere  e  della  coscienza  del  nuovo 
essere,  della  realtà  e  della  riflessione  sulla  realtà: 
ciò  che  porta,  come  tra  breve  vedremo,  a  una  tra¬ 
sformazione  del  concetto  di  filosofia. 

Nella  dottrina  delle  forme  assolute  dello  Spirito, 
il  Gentile  muove  dal  concetto  dell’autocoscienza 
come  sintesi  di  soggetto  e  oggetto,  e  quindi  deter¬ 
mina  tre  forme  spirituali,  secondo  i  momenti  essen¬ 
ziali  dell’autocoscienza:  posizione  del  soggetto,  po¬ 
sizione  dell’oggetto,  e  posizione  della  loro  sintesi. 
Questi  momenti  sono  soltanto  logicamente  distingui¬ 
bili,  perché  la  sintesi  è  originaria,  a  priori,  e  perciò 
non  è  possibile  trascenderla  in  re;  ma  si  possono 
chiamare,  nel  linguaggio  kantiano,  trascendentali  '. 
.\1  di  fuori  di  essi,  che  compendiano  tutta  la  realtà 
spirituale,  non  c’è  nulla,  tranne  la  proiezione  im¬ 
maginaria  dello  stesso  contenuto  di  coscienza. 

Ai  tre  momenti  corrispondono  tre  forme  assolute 
dello  spirito,  che  sono  l’arte,  la  religione,  la  filosofia: 
«  distinte  fra  loro  e  legate  dagli  stessi  rapporti  dei 
detti  momenti.  L’arte  è  la  coscienza  del  soggetto,  la 
religione  la  coscienza  dell’oggetto  e  la  filosofia  la 
coscienza  della  sintesi  del  soggetto  e  dell’oggetto. 
Donde  il  corollario:  che  l’arte  è  in  sé  contradittoria 


I  G.  Gentile.  Le  forme  assolute  dello  spirito,  in  Modera 
nismo^  Bari,  1909,  pp.  232-233. 


G.  DE  Rucgiebo,  La  filosofìa  contemporanea. 


28 


434 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


e  ha  bisogno  di  essere  integrata  nella  religione: 
questa  per  sé  è  contradittoria  e  ha  bisogno  di  essere 
integrata  nell’arte:  integrazione  che  viene  ad  essere 
integrazione  simultanea  dell’una  e  dell’altra,  nella 
filosofia.  Sì  che  la  filosofia  è  la  forma  finale,  in  cui 
si  risolvono  le  altre:  e  rappresenta  la  verità,  l’attua¬ 
lità  piena  dello  spirito  »  *. 

La  critica  di  questo  concetto  si  attua  nello  svol¬ 
gimento  stesso  del  pensiero  del  Gentile.  In  quanto 
la  vera  concretezza  è  la  sintesi  di  soggetto  e  oggetto, 
cioè  la  filosofia,  questo  vuol  dire  che  l’arte,  in  quanto 
è  concreta,  è  filosofia,  e  similmente  la  religione. 
Perciò  il  processo  della  soggettività-oggettività  non 
è  qualcosa  che  s’iiiizia  nell’arte  e  si  compie  altrove, 
ciò  che  implicherebbe  una  trascendenza,  ma  si  com¬ 
pie  nell’arte  stessa  in  quanto  il  momento  di  soggetti¬ 
vità  è  il  semplice  astratto  di  fronte  al  concetto  con¬ 
creto  dell’arte:  quindi  l’arte  non  si  risolve  già  nella 
filosofia,  ma  è  essa  stessa  filosofìa,  in  quanto  è  realtà 
e  concretezza.  Similmente  fare  della  religione  il  sem¬ 
plice  momento  dell’oggettività  significa  fermarsi  in 
un’astrazione,  riporre  l’essenza  della  religiosità  nel 
misticismo,  che  ha  invece  un  valore  soltanto  nega¬ 
tivo,  come  lievito  dello  sviluppo  religioso,  e  che  si 
pone  perciò  e  si  risolve  nella  stessa  esperienza  reli¬ 
giosa.  Ond’è  che  la  religione  è  filosofia,  non  come 
un’elaborazione  di  concetti  filosofici  e  di  vedute 
sulla  realtà  ultima  delle  cose,  nel  qual  senso  sarebbe 
una  falsa  filosofia,  ma  nel  senso  che  è  concretezza 
di  esperienza  religiosa,  sviluppo  spirituale,  e,  come 
tale,  risoluzione  continua  del  trascendente,  che,  per 
intrinseca  necessità,  essa  pone. 

Da  questo  punto  di  vista  il  concetto  della  filosofia 


Op.  cit.t  p.  235. 


III.  -  l’idealismo  assoluto 


435 


riceve  tutto  un  nuovo  significato:  non  esprime  più 
una  forma  particolare  dello  spirito,  ma  la  stessa  pie¬ 
nezza  della  vita  dello  spirito  in  tutte  le  sue  forme; 
è  la  coscienza  della  libertà  creatrice  dello  spirito 
nella  sua  storia. 

Verso  questa  meta,  se  non  erro,  a  me  pare  -che 
muova  il  Gentile.  Il  suo  ultimo  saggio:  L’atto  del 
pensare  come  atto  puro  contiene,  per  questo  ri¬ 
spetto,  un  intero  programma.  Qui  il  residuo  del¬ 
l’astrattismo  vien  risoluto  e  implicitamente  negata 
la  dottrina  dell’arte  e  della  religione  come  tesi  e 
antitesi  di  una  sintesi  filosofica.  <  Bisogna,  egli  dice, 
entrare  nel  concreto,  nell’eterno  processo  del  pen¬ 
siero.  E  qui  l’essere  si  muove  circolarmente  tor¬ 
nando  su  sé  stesso,  e  però  annientando  sé  stesso 
come  essere.  Qui  è  la  sua  vita,  il  suo  divenire:  il  pen¬ 
siero.  L’essere  (tesi)  nella  sua  astrattezza  è  nulla; 
ossia  nulla  di  pensiero  (che  è  il  vero  essere).  Ma 
questo  pensiero  che  è  eterno,  non  è  mai  preceduto 
dal  proprio  nulla.  Anzi  questo  nulla  da  esso  è  posto, 
ed  è,  perché  nulla  del  pensiero,  pensiero  del  nulla: 
ossia  pensiero,  cioè  tutto.  Non  la  tesi  rende  possibile 
la  sintesi,  ma  al  contrario,  la  sintesi  rende  possibile 
la  tesi,  creandola  con  l’antitesi  sua,  ossia  creando 
sé  stessa.  E  però  l’atto  puro  è  autoctisi  >  *. 

Qui,  come  si  vede,  il  Gentile  riprende  e  svolge  il 
concetto  della  dialettica,  accennato  dallo  Spaventa 
nel  suo  scritto  sulle  prime  categorie  della  logica  di 
Hegel:  è  la  dialettica  dell’essere  e  del  pensiero,  che, 
sola,  a  noi  sembra  feconda  e  rispóndente  allo  spi¬ 
rito  dell’idealismo  post-hegeliano.  L’assoluta  aprio¬ 
rità  della  sintesi,  in  questo  dialettismo,  è  l’assoluta 


I  R.  Gentile.  L’atto  del  pensare  come  atto  paro  (voi.  I  dcl- 
l’Annuario  della  biblioteca  fllosoOca  di  Palcnno),  1912,  p.  41. 


436 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


immanenza  del  pensiero,  come  atto  puro  o  pensiero 
concreto.  Come  tale  esso  è  pensiero  nostro;  fuori  di 
questa  attualità  non  v’è  il  pensiero,  ma  il  pensato, 
che  è  natura,  materia.  E  il  ritmo  dialettico  del  pen¬ 
sare  è  appunto  il  convertirsi  del  pensiero  in  pen¬ 
sato,  dell’alto  in  fatto,  per  risorgere  poi  eternamente 
da  sé  medesimo. 

Questa  dottrina  dell’assoluta  immanenza,  per  cui 
la  vera  concretezza  è  il  pensiero  attuale,  e  che  perciò 
nega  esplicitamente  ogni  anticipazione  della  realtà 
come  potenza  sull’atto  del  pensare,  ed  è  la  più  re¬ 
cisa  negazione  del  vecchio  concetto  del  mondo  come 
il  tutto  dell’immaginazione,  è  stata  appena  abboz¬ 
zata  in  poche  pagine  dal  Gentile.  Ogni  ulteriore 
discussione  intorno  ad  essa  è  prematura;  bisognerà 
prima  conoscerla  nel  suo  pieno  svolgimento. 


6.  Conclusione.  —  Nelle  pagine  precedenti  ab¬ 
biamo  seguito  lo  sviluppo  del  pensiero  italiano  mo¬ 
derno  dalle  sue  origini  fino  ai  tempi  nostri.  Questo 
sviluppo  non  ha  subito  nessuna  brusca  interruzione 
come  falsamente  si  è  creduto.  Il  naturalismo  del 
Rinascimento  precede  e  preannunzia  il  movimento 
cartesiano,  e  similmente  la  dissoluzione  del  natu¬ 
ralismo,  che  avverrà  in  Germania  per  opera  di 
Kant  e  dei  suoi  successori,  s’inizia  già  in  Italia 
col  Vico,  e  prosegue  poi,  a  un  secolo  di  distanza,  col 
Rosmini  e  col  Gioberti,  che  inconsapevolmente  at¬ 
tuano  l’esigenza  posta  dalla  nuova  metafisica  della 
mentalità. 

Sul  cadere  del  primo  cinquantennio  del  XIX  se¬ 
colo,  il  pensiero  speculativo  italiano,  non  altrimenti 
da  quello  europeo,  entra  in  un  periodo  di  deca¬ 
denza:  le  ultime  apparizioni  della  metafisica  sono 


III.  -  l’idealismo  assoluto 


437 


tenui  c  senza  consistenza,  come  le  ombre  della  ca¬ 
verna  platonica.  Il  positivismo,  in  Italia  come  al¬ 
trove,  sorge  con  la  giusta  esigenza  di  una  dottrina 
che  non  vuole  anticipare  col  pensiero  sulla  realtà, 
ma  finisce  ben  presto  col  falsare  la  sua  premessa  in 
un  miscuglio  ibrido  di  dottrine  e  in  una  mal  dissi¬ 
mulata  simpatia  per  il  materialismo.  I  suoi  primi  ac¬ 
cenni  sono  opera  di  specialisti,  come  il  Cattaneo,  il 
Cabelli,  il  Villari  ed  altri  ancora:  privi  di  vera  ori¬ 
ginalità  filosofica,  ma  corretti  nella  loro  povertà;  le 
sue  ulteriori  esplicazioni  sono  orientate  verso  la 
scienza  naturale  e  particolarmente  biologica.  Il  rap¬ 
presentante  maggiore  di  questo  indirizzo  è  Roberto 
.\rdigò  che,  per  il  suo  sforzo  serio  e  tenace  di  pen¬ 
siero,  pur  senza  dire  quasi  niente  di  nuovo,  eleva 
il  positivismo  italiano  quasi  all’altezza  di  tutti  i  po¬ 
sitivismi  del  mondo. 

La  rinascita  del  pensiero  speculativo  è  segnata 
da  un  approfondimento  del  dualismo  tra  il  pensiero 
e  l’essere,  che  già  si  accennava  nelle  opere  del  Ma- 
miani  e  del  Ferri,  e  per  cui  si  passa  dal  dualismo 
dommatico  del  Bonatelli,  al  dualismo  gnoseologico 
del  Varisco.  Il  neo-kantismo,  come  quello  che  non 
svolge  la  nuova  potenza  dell’apriori,  si  travaglia 
nello  stesso  problema,  e  non  riuscendo  a  superare 
la  posizione  della  metafisica  dell’essere,  finisce  col 
ricadérvi,  annullando  cosi  il  concetto  nuovo  dello 
spirito,  che  esso  attinge  originariamente  alla  filo¬ 
sofia  kantiana.  F  infine,  librato  sulle  due  metafi¬ 
siche,  in  una  posizione  incerta,  ma  pure  interessante 
ed  originale,  il  Martinetti  segna  il  punto  in  cui  la 
mentalità  del  neo-criticismo  si  volge  verso  l’idea¬ 
lismo  assoluto. 

.Ma  la  linea  classica  della  metafìsica  italiana  è 
ripresa  dallo  Spaventa,  che  promuove  l’indirizzo 


438 


LA  FILOSOFIA  ITALIANA 


della  filosolia  giobertiana,  con  quella  più  chiara  co¬ 
scienza  della  sua  vera  natura,  chft  poteva  esser  data 
dalla  nuova  cultura  hegeliana.  Con  lui  comincia  im¬ 
plicitamente  il  processo  dissolutivo  della  filosofìa  di 
Hegel,  che  è  in  pari  tempo  costitutivo  di  una  nuova 
metafisica,  che  mira  a  svolgere  nella  sua  pienezza 
la  potenza  umana  della  realtà,  l’apriori  kantiano, 
negando  nel  modo  più  reciso  ogni  trascendenza.  Le 
tappe  di  questo  cammino  sono  segnate  dal  Croce  e 
dal  Gentile:  con  essi,  gli  sforzi  della  filosofìa  ita¬ 
liana  convergono  alla  stessa  meta  di  quelli  della 
lìlosolìa  europea,  verso  una  dottrina  dell’assoluta 
immanenza,  che,  come  assoluto  idealismo,  sarebbe 
anche  in  pari  tempo  il  vero  e  assoluto  positivismo. 


(’ONSIDERAZIONI  FINALI 


Abbiamo  seguito,  nelle  esplicazioni  originali 
della  sua  vita,  lo  sviluppo  del  pensiero  contempo¬ 
raneo.  Nelle  diflerenze  degli  indirizzi  e  delle  cor¬ 
renti,  il  lettore  avrà  già  potuto  osservare  quell’iden- 
titù  spirituale  profonda,  che  vince  l’apparente 
atomismo  delle  dottrine,  e  per  cui  quel  pensiero  è 
l’unico  pensiero  contemporaneo,  nei  vari  momenti 
del  suo  corso  vitale. 

E  sorgono  ora  le  domande:  a  che  mai  esso  tende? 
È  una  vita  che  si  dissipa  in  un  gioco  senza  scopo, 
in  una  ridda  di  teorie  di  cui  l’una  vive  della  morte 
dell’altra,  in  una  rassegnata  attesa  che  suoni  la  pro¬ 
pria  ora?  O  è  un  momento  di  vita  questa  morte;  e 
allora  a  che  vive  quella  vita?  Qui  la  facile  sapienza 
agnostica  si  accontenterebbe  di  rinunziare  a  com¬ 
prendere  l’intimità  più  profonda  del  pensiero,  col 
chiamar  vana  la  pretesa  per  cui  noi,  atomi  sperduti 
neU’immensità  del  pensiero,  vogliamo  erigerci  a  giu¬ 
dici  del  pensiero:  come  può  un  elemento  trascura¬ 
bile  adeguarsi  al  tutto?  Ma  a  noi  ripugna  questa 
dotta  ignoranza.  Noi  abbiamo  la  ferma  coscienza  che 
il  pensiero  non  è  la  vuota  immensità  che  ci  opprime, 
perché  al  di  sopra  di  noi,  ma  è  pensiero  nostro,  è 
l’intimità  di  noi  a  noi  stessi.  La  vastità  non  deve 
opprimerci,  perché  non  ci  sta  di  fronte  distesa,  ma 
è  dentro  di  noi  raccolta,  nello  stesso  processo  con- 


442 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


tinuo  della  ricerca,  per  cui  progrediamo  da  una  po¬ 
sizione  all’altra.  La  storia  del  pensiero  del  mondo 
non  è  che  la  semplice  storia  psicologica  di  ciascuno 
di  noi,  che  vive  in  sé  i  momenti  di  quel  pensiero 
universale. 

Questa  convinzione  ci  è  di  grande  conforto.  Nella 
nostra  storia  intima  noi  ricordiamo  mille  sconfitte 
e  mille  vittorie,  ricordiamo  la  ridda  delle  teorie,  che 
sembrano  nascere  soltanto  per  perire;  e  nondimeno 
questo  non  ci  suggerisce  alcuna  considerazione  pes¬ 
simistica,  perché  la  salda  coscienza  del  nostro  pen¬ 
siero  attuale  è  coscienza  di  forza,  di  vita  e  non 
già  di  morte;  e  noi  inneggiamo  perfino  alla  morte 
perché  sentiamo  che  del  trionfo  su  di  essa  è  mate¬ 
riata  la  nostra  vita.  Cosi  è  di  tutta  la  storia. 

Noi  qui  abbiamo  scritto  l’epigrafe  di  molte  dot¬ 
trine:  è  la  stessa  epigrafe  che  abbiamo  scritta  sui 
momenti  oltrepassati  della  nostra  vita;  con  la  stessa 
fiducia  noi  possiamo  renderci  interpreti  della  vita 
nuova  che  si  concentra  e  s’individua  dalle  varie 
correnti  del  pensiero  moderno,  perché  sentiamo  che 
è  la  vita  stessa  che  si  agita  in  noi  e  che  ci  dà  forza 
di  dominare  i  momenti  di  vita  oltrepassata. 

La  storia  non  è  fonte  di  pessimismo,  e  neppure 
di  facile  ottimismo,  ma  di  forza,  di  tenacia,  di  la¬ 
voro.  Ormai  il  positivismo  è  finito,  il  kantismo  dà 
gli  ultimi  aneliti,  e  le  improvvisazioni  filosofiche,  che 
un  tempo  son  parse  le  prime  espressioni  di  una 
nuova  filosofia,  ci  fanno  appena  sorridere;  erano 
forse  dei  vagiti;  come  riconoscere  in  essi  le  nostre 
voci?  A  taluno  parrà  che  noi  parliamo  qui  con 
troppa  sicurezza.  Ci  si  dirà:  siete  voi  ben  sicuri  di 
non  essere  dei  tardi  epigoni  di  un  lontano  movi¬ 
mento  di  pensiero?  ombre  e  non  corpi  vivi?  È  questo 
il  problema  che  la  storia  deve  risolvere;  e  allora 


CONSIDEB.\ZIONI  FINALI 


443 


si  vedrà  se  noi  —  parlo,  s’intende,  in  nome  del 
nuovo  idealismo,  non  pure  italiano,  ma  europeo  — 
se  noi,  che  diamo  principio  a  rinnovar  l’antica  tìlo- 
solìa,  siamo  nella  mattina  per  dar  fine  alla  notte,  o 
pur  nella  sera  per  dar  fine  al  giorno,  come  diceva 
il  nostro  Bruno. 

Nella  filosofia  contemporanea  si  compie  la  critica 
del  movimento  kantiano,  che  culminò  in  Hegel.  Ma 
questa  critica,  lungi  dall’essere  dissolutrice  come  i 
suoi  inconsapevoli  ministri  hanno  creduto,  è  la  vera 
critica  integratrice,  che  comincia  a  colmare  l’abisso 
tra  Kant  ed  Hegel  e  a  svolgere  i  motivi  nuovi 
delle  loro  dottrine.  La  filosofia  kantiana,  col  suo 
concetto  della  cosa  in  sé,  apriva  largo  adito  alla 
trascendenza  nelle  sue  varie  forme,  che  si  possono 
compendiare  tutte  nel  dualismo,  non  risoluto,  del¬ 
l’essere  e  del  pensiero.  Hegel,  negando  questo  dua¬ 
lismo,  e  unificando  la  logica  dell’essere  e  quella 
del  conoscere,  sopprimeva  virtualmente  l’idea  della 
trascendenza,  ma  nel  fatto  poi  la  ripristinava  nel 
seno  stesso  della  nuova  immanenza  da  lui  scoperta: 
scienza  e  coscienza,  logo  e  natura,  natura  e  spirito; 
ecco  in  una  veste  nuova  le  antiche  forme  del  dua¬ 
lismo. 

Nella  decadenza  e  nel  discredito  della  filosofia 
idealistica  che  comincia  dopo  Hegel,  pare  che  siano 
naufragate  tutte  le  sue  più  geniali  intuizioni:  il 
naturalismo  e  il  positivismo  dichiarano  bancarotta 
della  metafisica,  ed  esaltano  i  fatti,  l’esperienza.  Ep¬ 
pure,  nel  loro  linguaggio  infantile  e  confuso,  essi 
sono  gli  esponenti  di  quella  stessa  esigenza  nuova, 
che  aveva  posto  l’hegelismo:  la  negazione  del  tra¬ 
scendente,  l’immanentismo  assoluto.  Nella  storia 
della  filosofia  ricorre  spesso  questo  tema  immanen- 


444 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


tistico:  con  Aristotele,  di  fronte  alla  dottrina  delle 
idee,  con  Bruno  e  Spinoza,  di  fronte  alla  scolastica. 
Ma  questo  continuo  ricorrere  è  un  continuo  progre¬ 
dire;  cosi  Tultima  sua  apparizione  nel  secolo  XIX 
non  è  più  quella  di  un’immanenza  puramente  ideale, 
né  divina,  ma  schiettamente  umana. 

Ma  se  sotto  questo  aspetto,  come  espressioni  di 
esigenze  nuove,  il  naturalismo  e  il  positivismo  hanno 
per  la  storia  un  grande  valore,  lo  stesso  non  può 
dirsi  del  modo  con  cui  hanno  cercato  di  attuare  il 
proprio  tema.  Noi  perciò  nel  corso  della  nostra  espo¬ 
sizione,  mentre  abbiamo  accentuato  l’importanza 
ideale  di  queste  dottrine,  ci  siamo  guardati  con  cura 
dal  farne  un’ampia  esposizione,  perché  l’ignoranza 
dei  loro  autori  è  tale,  che  non  sanno  essi  stessi  dove 
risegga  l’originalità  della  loro  posizione,  e  Uniscono 
col  dare  un  ricalco  di  temi  oltrepassati,  confusi  in¬ 
sieme  neiribridismo  più  strano.  Ma  il  significato 
ideale  del  naturalismo,  che  sorge  dalle  scienze  biolo¬ 
giche,  è  questo:  che  vana  è  la  pretesa  di  voler  far 
del  pensiero  un’entità  vaga  e  nebulosa,  venuta  su  chi 
sa  come,  a  illuminare  il  mondo  della  materia,  mentre 
bisogna  indagare  la  genesi  del  pensiero,  se  si  vuol 
dare  una  spiegazione  vera  e  propria  di  esso.,  E  il 
significato  del  positivismo  sta  nella  negazione  di 
ogni  vuota  ideologia,  che  pretenda  fare  a  meno  dei 
fatti  e  anticipare  in  qualunque  modo  su  di  essi  col 
pensiero.  Si  tratta  insomma  di  quell’eterno  motivo 
immanentistico  con  cui  la  cultura  del  secolo  XIX 
ha  compiuto  la  critica  del  secolo  precedente. 

Ma  il  significato  ideale  del  naturalismo  e  del  po¬ 
sitivismo  sta  soltanto  nei  nuovi  problemi  e  non  già 
nelle  soluzioni  loro;  perché  il  naturalismo,  nel  suo 
tentativo  d’indagare  la  genesi  biologica  del  pensiero 
retrocedeva  al  periodo  pre-cartesiano  della  storia. 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


445 


cioè  alla  dottrina  degrinflussi  fìsici  tra  l’anima  e  il 
corpo;  e  d’altra  parte  il  positivismo,  col  richiamarsi 
al  fatto  come  a  realtà  assoluta,  ricadeva  in  quella 
trascendenza,  che  esso  aveva  già  implicitamente  ne¬ 
gata.  Il  fatto  porta  con  sé  una  duplice  afTermazione 
di  trascendenza:  da  un  lato,  nella  fissità  delle  sue  li¬ 
nee,  esso  è  posto  come  trascendente  di  fronte  al  pen¬ 
siero;  dall’altro,  in  quanto  è  un  complesso  di  determi¬ 
nazioni  finite,  è  trasceso  in  quanto  pensato.  Quindi, 
una  duplice  incongruità,  della  realtà  naturale  di 
fronte  al  pensiero  e  viceversa,  e  una  duplice  inespli¬ 
cabilità  dell’una  per  l’altro.  Come  espressioni  di 
problemi,  il  naturalismo  e  il  positivismo  conservano 
un  valore  attuale;  come  soluzioni,  il  primo  va  a 
finire  nella  deificazione  di  sé  stesso  (ciò  che  se  era 
grandioso  in  un  Bruno' è  ridicolo  in  un  contempo¬ 
raneo);  e  il  secondo  ha  per  suo  termine  l’agnostici¬ 
smo,  cioè  la  propria  sterilità  ed  impotenza. 

La  contradizione  del  positivismo  sta  nel  dissidio 
tra  ciò  che  esso  dice  di  fare  e  ciò  che  realmente  fa: 
sorge  in  nome  dell’immanenza  e  intanto  vive  nella 
trascendenza,  ora  agnostica,  ora  materialistica.  Que¬ 
sta  è  la  sua  contradizione;  ed  ecco  che  a  risolverla 
sorgono  le  nuove  filosofìe,  che  tutte  vogliono  porsi 
come  continuatrici  dell’opera  del  positivismo.  È  no¬ 
tevole  questo  fatto,  che  ogni  pensatore,  il  quale  sia 
giunto  a  una  visione  concreta  e  immanente  dei  pro¬ 
blemi  filosofici,  ha  seniito  il  bisogno  di  battezzare  la 
sua  filosofia  come  il  vero  positivismo;  ciò  dimostra 
che  quanto  v’è  di  più  vitale  nell’esigenza  del  positi¬ 
vismo  non  è  quello  che  si  disperde  e  si  annulla  nelle 
scuole  positivistiche,  ma  è  piuttosto  quel  momento 
del  nostro  sviluppo  spirituale  che  ci  è  di  sprone  a 
conquistare  una  visione  immanentistica  della  vita. 

Ma  l'immanentismo  che  da  principio  sorge  come 


446 


CONSIDEKAZIONl  FINALI 


esplicazione  di  quello  spirito  positivo  che  è  in  tutti 
i  pensatori  della  seconda  metà  del  secolo  XIX,  è  la 
più  povera  forma  d’immanentismo:  quella  del  senso, 
della  coscienza  immediata.  Ed  è  il  tema  più  frequente 
che  ricorre  in  quel  periodo,  e  che  vale  a  caratteriz¬ 
zarlo  tutto.  Tanto  nella  forma  di  un  empirismo,  come 
in  un  Mill,  in  un  Mach,  o  in  uno  Schuppe;  o  di  un 
fenomenismo,  come  in  tutte  le  scuole  neo-kantiane; 
o  di  un  intuizionismo  come  nella  filosofia  del  Bergson 
e  in  altre  ancora,  è  sempre  l’identico  motivo  fonda- 
mentale,  che  si  ripete  su  scale  diverse.  Noi  abbiamo 
osservato  come  il  principio  dell’esperienza  imme¬ 
diata  si  annulli  da  sé  medesimo,  e  lungi  dal  fondare 
un’assoluta  immanenza,  è  fatalmente  spinto  verso  il 
trascendente.  E  il  trascendente,  di  fronte  ad  esso,  è 
tutto  il  pensiero,  in  quanto  costituisce  un  suo  <  al  di 
là  »,  invano  negato,  invano  torturato  in  mille  guise.  E 
questo  trascendente  risorge  dalla  filosofia  dell’espe¬ 
rienza  immediata  in  forme  varie:  o  come  naturalismo, 
perché  il  pensiero  scientifico  inesplorato  si  solidifica 
in  una  natura  opaca  al  di  là  del  conoscere,  o  come  un 
misticismo  religioso,  o  come  una  visione  immediata, 
romantica,  dei  problemi  ultimi  che  la  sua  logica  è 
impotente  a  risolvere,  o  come  una  consacrazione  degli 
ideali  sociali  fuori  del  processo  storico.  Son  queste 
altrettante  confutazioni  di  quel  principio,  nel  tempo 
stesso  che  ne  costituiscono  l’immancabile  meta. 

Né  si  creda  che  si  tratti  di  un  dissidio  superficiale 
di  teorie;  a  noi  sembra  che  questo  sia  il  dissidio 
di  tutta  la  vita  moderna.  L’intuizionismo  esplosivo 
delle  teorie  è  il  sensualismo  della  vita.  E  come  nelle 
teorie  dell’esperienza  immediata  a  noi  sembra  in  un 
primo  momento  di  trovare  una  grande  esuberanza  di 
energie,  tale  che  il  secco  schematismo  del  pensiero 
non  può  contenerla,  cosi  ancora  la  vita  moderna  si 


CONSIOERAZIONI  FINALI, 


447 


mostra  all’apparenza  in  una  ricchezza  smagliante  di 
atteggiamenti,  di  forme,  di  tendenze,  per  cui  sembra 
impotente  ogni  freno.  Ma  nelle  teorie,  l’èmpito  della 
vita  è  solo  apparente;  la  ricchezza  del  senso  è  una 
ricchezza  illusoria,  tutta  esteriore,  che  cela  e  dissi¬ 
mula  la  più  grande  povertà  interiore.  La  pretesa 
forza  è  in  realtà  debolezza,  malattia.  E  chi  cerchi 
d’indagare  fino  in  fondo  quel  carattere  del  falso 
immanentismo,  per  cui  esso  sembra  concepito  in  uno 
sforzo  potente  d’espansione,  che  rompe  tutte  le  bar¬ 
riere  che  gli  si  frappongono,  vedrà  che  quello  sforzo 
è  senza  intimità,  e  che  quella  vita  che  appare  rac¬ 
colta,  concentrata,  pronta  a  esplodere,  è  al  contrario 
una  vita  già  dispersa.  Questo  senso  di  vuoto  in  mezzo 
alla  più  smagliante  ricchezza  ci  è  dato  specialmente 
dalla  fllosofia  di  Bergson. 

E  similmente  la  vita  moderna  dissimula  con  la 
sua  apparente  esuberanza  una  profonda  sterilità. 
Sembra  che  essa  non  abbia  più  limiti  alla  sua  espan¬ 
sione,  sembra  che  l’uomo  del  nostro  secolo  viva  in 
una  attività  vertiginosa,  che  cerchi  sempre  nuovi 
campi  d’applicazione,  ma  è  la  vertigine  del  vuoto; 
sono  forze  che  si  disperdono:  tensioni  spasmodiche, 
perché  tendono  a  vuoto.  È  debolezza,  non  forza,  è 
anemia,  non  esuberanza;  è  insomma  il  sensualismo 
della  vita,  nella  sua  più  completa  assenza  d’intimità 
spirituale.  E,  come  il  sensualismo  della  teoria  si  com¬ 
pendia  tutto  nella  riuscita  del  concetto,  una  spe¬ 
cie  di  arrivismo  logico,  per  cui  il  pensiero,  di  fronte 
a  una  realtà  che  esso  non  possiede,  non  fa  che  gio¬ 
care  una  sua  carta,  cosi  il  sensualismo  della  vita  si 
compendia  in  un  simile  arrivismo,  per  cui,  innanzi 
alla  realtà  non  posseduta  degli  eventi,  lo  spirito  si 
abbandona  e  si  lascia  vivere.  In  questo  abbandono, 
s’illude  l’individuo  di  vivere  in  un  consenso  pieno 


448 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


col  tutto,  di  riassumere  in  sé  le  esigenze  dell’uni¬ 
verso,  e  di  essere  veramente  dominatore,  mentre  in 
realtà  questo  dilettantismo  della  vita  è  la  più  com¬ 
pleta  dissipazione  delle  forze  spirituali,  è  l’abdica¬ 
zione  che  l’individuo  fa  di  sé  stesso  al  gioco  degli 
eventi,  è  un  essere  posseduto,  non  già  un  possedere. 

Questo  arrivismo  della  vita  inquina  l’arte,  la 
scienza,  la  religione.  Noi  abbiamo  un’arte  torbida  di 
sensualismo,  un’arte  isterica,  tutta  musicalità  vuota, 
che  coi  raffinati  contorcimenti  del  senso  cerca  di 
crearsi  un’intimità  spirituale  posticcia,  e  vive  di 
questa  sua  stessa  malattia.  Noi  abbiamo  un  arrivi¬ 
smo  scientifico  anche  peggiore,  perché  non  lavato 
nelle  acque  pure  dell’arte:  la  mentalità  dello  scien¬ 
ziato  moderno  è  quanto  di  più  gretto  si  possa  imma¬ 
ginare;  ivi,  al  più  meschino  specialismo  s’accoppia 
l’empirismo  più  grossolano,  che  nega  tutto  ciò  che 
non  rientra  nei  suoi  strettissimi  quadri.  K  final¬ 
mente  manca  ogni  vero  spirito  di  religiosità;  ma 
v’è  una  religione  apparente,  fatta  di  falsa  intimità 
sensuale  e  di  rivelazioni  soggettive,  che  non  è  cele¬ 
brazione  di  umillà,  ma  di  orgoglio,  e  quand’anche  è 
ammonita  dalla  storia  della  necessità  dell’obbe¬ 
dienza  come  elemento  costitutivo  della  religione, 
pure  è  per  sua  natura  ribelle. 

Questa  è  la  cultura  che  sta  per  finire.  Ma  noi  sen¬ 
tiamo  di  venir  su  da  essa,  per  quanto  in  antitesi  con 
essa,  e  sentiamo  che  la  sua  infecondità  non  è  decre¬ 
pitezza  ed  esaurimento,  ma  piuttosto  immaturità;  è 
la  gestazione  travagliata  di  una  nuova  cultura.  Sotto 
questo  punto  di  vista  quella  stessa  dispersione  di 
forze,  quel  sensualismo  della  vita,  esprime  qualcosa 
che  anche  per  noi  è  importante:  quasi  un  agitarsi 
per  creare  un  contenuto  nuovo  di  vita  che  ancora 
manca,  un  tendere  a  qualcosa  che  non  riesce  a  de- 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


449 


nnirsi,  e  che  perciò  provoca  lo  spasimo  deH’irapo- 
tenza.  Al  di  sopra  degli  arrivisti  volgari  della  cultura 
che  sono  le  scorie  che  ogni  corrente  trascina  con  sé, 
vi  sono  degli  spiriti  seri  in  cui  il  dissidio  tra  ciò  che 
è  possesso  e  ciò  che  è  aspirazione  diviene  una  crisi 
profonda.  Noi  abbiamo  imparato  a  conoscere  nel  corso 
della  nostra  esposizione  qualcosa  di  questi  tempera- 
nienti  :  in  essi  si  dimostra  come  in  una  sfera  elevata 
il  fermento  dei  prodotti  più  alti  della  nostra  cultura. 

(>osi  avviene  che  dalla  cultura  falsamente  sogget¬ 
tivistica  e  individualistica,  per  cui  il  pensare  è  il 
riuscire  del  concetto,  e  la  vita  è  un  semplice  rischio, 
si  passa,  in  base  all’esigenza  di  un’intimità  più 
profonda,  a  una  celebrazione  del  trascendente,  al 
misticismo,,  che  assume  in  certi  pensatori  un’into¬ 
nazione  veramente  elevata.  Ma  il  misticismo  non 
migliora  la  posizione  logica  dei  problemi,  e  deter¬ 
mina  invece  il  momento  in  cui  le  esigenze  stesse  del 
pensiero,  che  si  è  svolto  nei  limiti  di  determinate 
premesse,  rendono  quelle  premesse  insuflicienti,  ed 
esprimono  un  bisogno  di  rinnovamento. 

Cosi  avviene  che  quell’immanentismo  della  vita 
che  era  nelle  convinzioni  del  pensiero  del  secolo  XIX 
e  che  non  aveva  potuto  trovare  nel  positivismo  la 
sua  formulazione  adeguata,  non  riesce  neppure  ad 
esprimersi  in  questa  litosotìa  dell’esperienza  imme¬ 
diata,  che  anch’essa  sconfina  nella  trascendenza. 

L'esperienza  storica  dei  secoli  ha  mostrato  che 
l’attuazione  del  principio  immanentistico  si  compen¬ 
dia  nella  risoluzione  di  due  problemi,  che  in  fondo 
si  riducono  ad  un  solo:  quello  dell’umanità  della 
storia  e  quello  del  valore  umano  della  realtà  fisica 
esteriore.  La  filosofia  che  ora  abbiamo  considerata 
era  insufficiente  a  risolvere  l’uno  e  l’altro  problema. 


G.  DE  Ruggiero.  La  fllosofla  contemporanea. 


29 


450 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


Il  positivismo  aveva  meccanizzato  lo  sviluppo 
della  storia,  creando  un  naturalismo,  e  cioè  una  tra¬ 
scendenza,  nel  seno  stesso  deH’umanità,  col  suo  con¬ 
cetto  della  massa  cieca  e  brutale;  e  la  stessa  nuova 
lìlosofìa  intuizionistica  ed  empiristica  era  incapace 
di  comprendere  il  valore  della  storia;  la  coscienza, 
della  storicità  del  reale  è  in  aperta  antitesi  con  una 
concezione  immediata  della  vita. 

E  d’altra  parte  il  riconoscimento  dell’umanità 
del  cosi  detto  mondo  fìsico  non  poteva  esser  dato 
da  nessuna  delle  due  dottrine:  né  dal  positivismo,  che 
non  aveva  neppure  coscienza  del  problema,  né  dalla 
filosofìa  deirimmediato,  che  si  mostrava,  già  nella 
sua  premessa,  come  dualistica,  e  per  cui  la  realtà 
esteriore,  sia  come  mondo  fìsico,  sia  come  scienza 
naturale,  costituiva  alcunché  di  trascendente.  Tutta¬ 
via  già'  in  questo  campo  si  preparavano  i  germi  di 
un  rinnovamento.  Con  la  critica  delle  scienze  co¬ 
mincia  infatti,  nel  seno  stesso  della  filosofìa  empi¬ 
ristica,  un  rapido  processo  di  dissoluzione  di  quel 
naturalismo,  che  aveva  solidificato  i  concetti  delle 
scienze  empiriche,  rendendoli  quasi  materia  opaca 
di  fronte  al  pensiero,  mentre  sono  pur  opera  sua. 
Noi  abbiamo  confutato  questo  indirizzo,  mostrando 
che  esso  idealmente  non  rappresenta  alcunché  di 
nuovo  di  fronte  alla  soluzione  kantiana  del  problema 
della  scienza,  e  che  anzi  è  soltanto  a  mezza  via  tra 
il  puro  dommatisino  e  Kant,  ciò  che  rende  equivoca 
la  sua  posizione  e  paradossali  taluni  dei  suoi  assunti, 
che  invece,  svolti  lino  alla  line,  conterrebbero  dei 
motivi  profondi  di  verità.  Ma  il  valore  storico  di 
questa  critica  delle  scienze  è  assai  grande,  quando 
si  pensi  che  essa  aveva  di  fronte  da  combattere,  non 
già  Kant,  bensì  quel  naturalismo  e  positivismo  che 
avevano  reso  la  scienza  impenetrabile  al  pensiero. 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


451 


Così,  avere  riscoperta  l’azione  immanente  dello  spi¬ 
rito  in  quel  campo  che  gli  si  era  reso  del  tutto  estra¬ 
neo.  e  mostrato  che  il  mondo  della  scienza  —  che  è  il 
mondo  stesso  della  natura  —  rientra  nella  sfera  del- 
Tarbitrio  umano;  e  avere  perciò  annullata  quella 
concezione  rigidamente  meccanica  del  mondo  che 
non  solo  i  positivisti,  ma  (pare  incredibile!)  perfino 
i  kantiani  avevano  instaurata:  tutti  questi  sono  me¬ 
riti  veramente  grandi  di  quel  vasto  movimento  di 
critica  delle  scienze,  che  si  svolse  sullo  scorcio  del 
secolo  passato  e  sul  principio  del  nostro. 

Oosi  s’è  andato  via  via  dissolvendo  quel  concetto 
del  mondo  come  una  realtà  solidificata  di  fronte  al 
pensiero,  e  s'è  compreso  sempre  meglio  il  valore  im¬ 
manente  dell'esperienza,  che  non  è  meramente  ripro¬ 
duttiva  di  una  cosa  in  sé,  ma  produttiva  di  realtà  e 
<li  valori  umani.  Ma  il  complemento  più  efficace  della 
critica  è  stata  la  storia  delle  scienze:  questa,  assai 
meglio  del  prammatismo  semplicistico  delle  teorie, 
è  riuscita  a  sfatare  quel  fantoccio  deirinlellettua- 
lismo,  di  una  realtà  fatta  ab  aeterno  nelle  leggi  im¬ 
mobili  della  natura.  La  storia  delle  scienze  difatti 
insegna  che  il  vero  centro  della  realtà  naturale  non 
è  già  la  legge,  ma  il  pensiero  umano  che  nel  suo 
svolgimento  la  pone  e  la  nega:  cosi  l’esigenza  più 
profonda  del  kantismo  risorge  da  quelle  stesse  dot¬ 
trine  che  all’apparenza  sembrano  negarla. 

Nell’urto  dei  concetti  nuovi,  anche  la  cultura  kan¬ 
tiana  si  rinnova;  e  quel  Kant  che  per  lungo  tempo 
era  sembrato  non  volesse  fare  altro  che  ribadire  il 
naturalismo  puro  e  semplice,  rivela  ora  un  aspetto 
nuovo  del  suo  pensiero,  e  con  la  sua  sintesi  a  priori, 
che  appena  s’incomincia  a  riscoprire,  sposta  il  centro 
dei  problemi  della  scienza,  includendoli  nel  dina¬ 
mismo  stesso  dello  spirito.  Lachelier,  Weber,  Royce, 


452 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


Baillie  ed  altri  ancora,  forti  della  loro  cultura  kan¬ 
tiana.  prospettano  in  un  modo  nuovo  la  lilosolla  delle 
scienze:  essi  vogliono  evitare  ogni  trascendenza, 
com’è  quella  che  può  darsi  con  l’anticipare  la  realtà 
fìsica  sul  pensiero,  e,  nell’assoluta  attualità  della  ri¬ 
cerca  scientifica,  trovare  l’unità  del  soggetto  e  del¬ 
l’oggetto.  È  un  tema  che  potrà  dimostrarsi  fecondo: 
si  tratta  di  vincere  due  astrattezze;  da  un  lato,  quella 
del  puro  empirismo  della  critica  della  scienza  che 
non  conosce  che  il  semplice  arbitrio  dello  scienziato, 
e  per  cui  la  scienza  è  un  problema  senza  soluzione; 
e  dall’altro,  quella  del  naturalismo  per  cui  la  realtà 
naturale  è  fatta  ab  aeterno  nella  legge,  e  per  cui  la 
scienza  è  una  soluzione  senza  problema.  Bisogna 
concepire  l’unità  di  entrambe  nel  concetto  dell’atti¬ 
vità  mentale  come  eterno  problema  die  è  eterna  so¬ 
luzione,  ed  eterna  soluzione  che  è  eterno  problema. 

Il  principio  fecondo  dei  nuovi  studi  è  la  sintesi 
a  [iriori,  l’iinmortale  scoperta  di  Kant. 

Ma  lo  svolgimento  di  essa  nella  sua  più  grande 
pienezza,  non  è  'dato  da  Kant,  bensì  da  Hegel,  che 
spiega  qual’è  la  vera  vita  di  quella  sintesi,  da  Kant 
non  compresa  nel  suo  motivo  più  profondo.  E  ri¬ 
torna  così  Hegel,  il  proscritto,  ed  occupa  il  posto 
d’onore  nella  giovane  filosofìa.  In  Francia,  in  Inghil¬ 
terra,  in  Italia,  la  cultura  neo-hegeliana  rappresenta 
l’esponente  più  alto  della  cultura  nazionale.  Noi  ab¬ 
biamo  visto  in  che  consiste  l’attualità  del  problema 
hegeliano:  è  riiumanenza,  la  negazione  di  ogni  dua¬ 
lismo,  la  visione  concreta  del  reale.  Per  il  Lachelier 
si  tratta  d'includere  nel  processo  autogenetico  del 
pensiero  la  genesi  del  tutto;  per  il  Weber  di  concre¬ 
tizzare  la  scienza  in  un  positivismo  assoluto;  per  il 
Blondel  di  risolvere  il  problema  della  vita  con  la 
dialettica  stessa  della  vita;  per  il  Royce  di  superare 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


453 


l’astraltezza  kantiana  della  «  esperienza  possibile  » 
e  d'individuare  la  realtà  del  pensiero  attuale;  per  il 
Baillie,  di  unificare  forma  e  contenuto  dell’espe¬ 
rienza;  per  il  Croce  di  negare  la  doppia  astrattezza 
di  un  processo  aH’infinito  e  di  un  processo  finito 
della  realtà  e  di  dare  una  concezione  della  storia  in 
cui  entrambe  le  esigenze  siano  inverate;  per  il  Gen¬ 
tile,  di  dare  il  colpo  di  grazia  al  dualismo  aristotelico 
della  potenza  e  dell’atto,  risolvendo  tutta  la  potenza 
nell’atto  del  pensiero,  inteso  come  «  pensiero  nostro  ». 
In  (pieste  dottrine  si  va  lentamente  attuando  l’esi¬ 
genza  della  cultura  contemporanea  di  un  immanen¬ 
tismo  assoluto,  che  neghi  la  vuota  cosa  in  sé,  che  si 
guardi  dall'anticipare  il  pensiero  sul  mondo  e  il 
mondo  sul  pensiero — l’ideologia  e  il  naturalismo  — 
e  che  non  chiuda  la  realtà  in  una  cappa  di  piombo 
col  negare  nelle  soluzioni  la  necessità  dei  problemi, 
ma  al  contrario  dimostri  che  in  tutte  le  forme  del¬ 
l’attività  umana  dalle  soluzioni  germinano  i  nuovi 
problemi,  e  che  questo  movimento  dalle  ime  agli  altri 
non  è  un  gioco  vano,  ma  uno  sviluppo  spirituale. 

Cosi  quell’Hegcl  che  oggi  torna  in  onore  non  è 
l’Hegel  degli  antichi  hegeliani,  che  aveva  detto  l’ul- 
lima  parola  in  filosofìa,  ma  semplicemente  colui  che, 
col  dare  un  significato  nuovo  alla  sintesi  a  priori 
kantiana,  aveva  aperto  un  orizzonte  nuovo  alle  menti, 
e  nondimeno,  per  l’oscura  coscienza  della  sua  sco¬ 
perta.  aveva  chiuso  quell’orizzonte  proprio  sul  suo 
stesso  capo.  Con  la  rinascita  dell’hegelismo  —  o  per 
meglio  dire,  deU’idealisrao  che  ha  sentito  cosciente¬ 
mente  o  no  l’esigenza  del  problema  hegeliano  —  s’in¬ 
staura  veramente  il  concetto  copernicano  del  mondo, 
che  in  Kant  era  ancora  contaminato  dal  tolemaico. 
Nella  teoria  si  lotta  contro  la  cosa  in  sé,  e  nella 
pratica  contro  l’eteronomia  del  «dover  essere»  e  di 


454 


CONSIDEBAZIONI  FINALI 


tutte  le  astratte  idealità.  Il  mondo  del  pensiero  è  at¬ 
tualità,  è  concretezza,  è  ricerca  e  conquista,  tendenza 
e  possesso;  questo  concetto  nuovo  dei  mondo  che  è 
il  mondo  della  nostra  opera,  del  nostro  lavoro,  deve 
soppiantare  il  vecchio  concetto  del  mondo  come  un 
tutto  naturale,  fantoccio  dcH’immaginazione,  sorto 
dai  sedimenti  di  esperienze  passate  e  dall’attesa  di 
e.sperienze  nuove.  Ma  passato  e  futuro,  raccolti  in¬ 
sieme  in  questa  massa  inerte  e  stupida,  sono  un 
niente,  un  doppio  vuoto,  e  non  ricevono  un  senso 
vero  e  iirofondo  se  non  in  questo  mondo  nuovo  del 
pensiero,  dove  il  passato  è  l’esperienza  che  fu  nostra 
e  che  vive  per  noi,  nella  nostra  esperienza  attuale;  e 
il  futuro  non  è  il  vuoto  sconfinato  innanzi  a  noi,  ma 
è  lo  stesso  problema  nuovo  che  sorge  dall'attualità 
del  nostro  pensiero.  Quest’attualità  che  si  prospetta 
nel  nuovo  problema  è  la  scienza,  come  creazione 
di  esperienze  nuove,  di  nuova  vita;  quel  passato 
che  si  concentra  in  questa  medesima  attualità  è  la 
storia,  come  creazione  di  noi  per  noi,  come  crea¬ 
zione  di  una  umanità  che  è  da  una  umanità  che  fu, 
e  come  nuova  creazione  di  una  umanità  che  fu  da 
una  umanità  che  è.  Questo  è  il  senso  dell’eterno  che 
è  nella  storia. 

E  nella  nuova  cultura  viene  in  onore  la  storia, 
che  ne  forma  tutta  la  sostanza.  Il  naturalismo  aveva 
fatto  della  storia  un  vano  gioco  di  masse  incoscienti: 
noi  eravamo  posseduti  «falla  storia,  non  la  possede¬ 
vamo.  Ma  neH’idealismo  essa  assume  tutto  un  nuovo 
significato;  noi  incominciamo  a  comprendere  il  vero 
senso  della  continuità  umana  nel  corso  della  storia, 
e  possedendo  il  nostro  passato,  impariamo  a  posseder 
noi  medesimi.  È  questo  un  movimento  di  cultura 
che  appena  ricomincia:  già  dalle  stesse  scuole  neo¬ 
kantiane  sorgono  degli  accenni  di  storicismo,  per  cui 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


4S5 


la  mentalità  neo-kantiana  supera  sé  stessa.  Ma,  come 
abbiamo  visto,  manca  a  queste  scuole  l’idea  dello 
sviluppo,  della  sintesi  a  priori.  Ci  danno  le  metodo¬ 
logie  della  storia,  non  ancora  la  dottrina  della  scienza. 
Ma  la  cultura  hegeliana  comincia  a  dare  in  questo 
campo  dei  risultati  di  gran  lunga  migliori.  Già  la 
convinzione  dell’identità  profonda  della  filosofia  e 
della  sua  storia  determina  un’intensificazione  degli 
studi  sulle  grandi  filosofie  del  passato:  si  esce  a  poco 
a  poco  da  quel  confusionismo  del  secolo  XIX  per 
cui  si  univano  in  un  ibrido  miscuglio  i  più  disparati 
concetti,  e  si  equivocava  Kant  con  Aristotele,  Hegel 
con  Platone.  Ormai  l’idea  dello  sviluppo  del  pen¬ 
siero  filosofico  comincia  a  entrare  nelle  menti,  e  si 
determinano  con  più  rigore  le  posizioni  di  quelle 
pietre  angolari  della  filosofia  che  portano  incisi  i 
nomi  di  Aristotele,  Spinoza,  Kant,  Hegel,  vere  cate¬ 
gorie  del  pensiero  filosofico. 

Ma  la  .storiografia  civile  e  politica  è  ancora  nei 
voti.  Ci  siamo  liberati  dalle  grossolane  sociologie; 
tuttavia  non  riusciamo  ad  elevarci  alla  storia.  È 
un’esigenza  vitale  per  noi,  perché  solo  con  una  forte 
cultura  storica  possiamo  dare  un  orientamento  de¬ 
ciso  alla  nostra  vita  e  al  nostro  pensiero  :  nella  vita 
sociale,  superare  l’astrattismo  dominante,  che  ritarda 
di  più  d’un  secolo  sulla  cultura  d’oggi,  ed  è  tutto 
impastoiato  nei  concetti  della  rivoluzione  francese; 
nel  pensiero  speculativo,  concepire  l’unità  più  pro¬ 
fonda  del  reale,  che  è  un’unità  umana,  spirituale  e 
dinamica.  La  storia  della  mentalità  umana  deve  ri¬ 
velarci  la  storia  del  tutto,  una  volta  che  col  concetto 
nuovo  dello  spirito,  anche  la  realtà  naturale,  fisica, 
è  inclusa  nel  processo  spirituale,  perché  non  è  qual¬ 
cosa  di  estraneo  a  noi,  ma  è  la  stessa  nostra  scienza; 
è  la  nostra  ricerca  e  la  nostra  conquista.  Vico  e  Kant 


456 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


debbono  trovare  ancora  la  loro  unità;  e  questa  sarà 
il  coronamento  della  nuova  cultura  storica. 

Questa  coscienza  della  storia  ci  dà  un  duplice  im¬ 
pulso  al  lavoro;  prima,  perché  la  storia  del  passato 
si  conquista  faticosamente,  e  non  per  subitanee  rive¬ 
lazioni,  e  poi  perché  la  storia  c’insegna  che  con  l’in¬ 
staurarsi  del  concetto  della  realtà  umana  del  mondo, 
ogni  ragione  di  pigrizia,  di  fatalismo,  di  comodo 
ailidamento  a  una  benevola  provvidenza  vien  meno, 
e  noi  dobbiamo  attingere  da  noi  soli  la  nostra  forza, 
perché  noi  siamo  quel  che  ci  facciamo,  e  la  realtà 
nostra  è  lo  stesso  nostro  lavoro.  In  questa  coscienza, 
quella  storia  medesima  che  ci  toglie  la  speranza  in 
un  provvido  sussidio  di  potenze  estranee,  ci  è  fonte 
di  conforto  e  di  nuove  energie:  essa  ci  dice  che  noi 
non  siamo  soli,  sperduti  nel  mondo,  ma  che  in  noi 
si  concentra  e  s’individua  lutto  il  nostro  passato,  e 
quel  che  noi  crediamo  di  fare  come  singoli  facciamo 
invece  come  ministri  del  tutto;  la  contingenza  del 
nostro  fare  non  è  fuori  dell’eterno,  ma  è  l’alto  stesso 
dell’eterno. 

Questa  considerazione  ci  dà  il  senso  della  nostra 
elevatezza  morale,  e  nello  stesso  tempo  la  coscienza 
della  nostra  libertà.  Infatti  quel  passato  che  in  noi 
si  concentra  e  s’individua  non  agisce  su  di  noi  come 
per  una  forza  fatale,  per  un  impulso  meccanico,  si 
che  noi  siamo  lo  strumento  incosciente  di  un  potere 
che  ci  trascende;  esso  non  è  insomma  soltanto  una 
paternità  non  voluta,  ma  è  anche  nello  stesso  tempo 
la  no.stra  tìliàzione,  in  quanto  vive  in  noi  nel  grado 
in  cui  lo  facciamo  vivere,  e  perciò,  lungi  dal  meno¬ 
mare  la  nostra  libertà,  la  potenzia,  perché  la  libertà 
con  cui  vogliamo  il  nostro  sviluppo  spirituale  è 
quella  stessa  che  fa  vivere  in  noi  il  passato  e  deter¬ 
mina  la  continuità  spirituale  della  vita  storica. 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


457 


L’uo  dei  campi  più  fecondi  della  cultura  storica  è 
quello  delle  scienze  particolari.  Spetterà  forse  allo 
storicismo  di  vincere  l’apparente  disgregamento  del¬ 
l’empiria  scientifica,  e  di  costruire  una  più  salda 
unità  del  tutto.  Il  problema  delle  scienze  è  un  pro¬ 
blema  sorto  nel  secolo  XIX.  Nella  filosofìa  hegeliana 
non  esistono  le  scienze,  ma  la  scienza;  donde  una 
tecnofagia  del  pensiero  filosofico,  che  tutto  vuol  dis¬ 
solvere  e  includere  in  sé.  Il  progresso  del  secolo  XIX 
sta  in  ciò  che  l’attività  scientilìca  quivi  si  divide  in 
mille  rami,  e  sorgono  le  scienze  speciali,  e  si  svol¬ 
gono  ciascuna  indipendentemente  dall’altra.  Donde 
il  nuovo  problema  che  si  è  imposto  al  pensiero  filo¬ 
sofico  di  tentare  una  coordinazione  del  sapere  di¬ 
sperso  nell’unità  dello  spirito.  Il  positivismo  ha  dato 
i  primi  abbozzi  di  una  rozza  classificazione  delle 
scienze,  inquinata  di  formalismo,  perché  anticipa  il 
metodo  sulla  ricerca  scientifica  e  dispone  le  scienze 
lungo  la  scala  delle  generalizzazioni.  Quasi  che  fosse 
possibile  che  le  astrazioni  esistessero  come  funghi, 
via  via  più  grossi  e  più  insipidi!  Ma  per  giungere 
al  problema  filosofico  delle  scienze  bisogna  liberarsi 
del  tutto  dal  formalismo:  convincersi  di  una  verità 
elementare  della  filosofia:  che  l’astratto,  come  tale, 
non  esiste,  cosa  che  del  resto  la  stessa  esperienza 
scientifica  suggerisce,  perché,  come  attualità  di  pro¬ 
cedimento,  essa  è  sempre  concreta,  anche  quando  par 
che  si  muova  tra  le  più  vuote  astrazioni.  L’astratto 
come  tale  è  un  posterius  di  fronte  al  procedimento 
del  pensiero,  è  il  mero  pensato,  che  per  un’illusione 
ottica  si  anticipa  sul  pensare;  ond’è  che  la  scienza, 
nell’attualità  del  suo  vivere  e  del  suo  fare,  lo  nega 
continuamente. 

Questa  considerazi'^ne  della  concretezza  del  sa¬ 
pere  scientifico  è  la  piena  confutazione  di  quei  vuoti 


458 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


sistemi  positivistici,  che  pretendono  di  integrare  le 
astrazioni  delle  scienze  nelle  astrazioni  della  tìlosolìa, 
perdendo  di  vista  ciò  che  è  attualità  della  ricerca; 
perdendo  la  scienza,  e  non  conquistando  la  lìlosofìa. 
In  questa  sua  pretesa  il  positivismo  era  per  altro 
assai  più  vicino  che  non  si  creda,  almeno  quanto  al 
suo  punto  di  partenza,  alla  filosofia  di  Hegel,  per  cui 
l’unico  sapere  autonomo  era  il  sapere  filosofico,  in 
cui  dovevano  perciò  risolversi  i  gradi  più  bassi,  come 
l’arte  e  la  religione.  Ma  l’esperienza  del  secolo  XIX 
Ila  dimostrato  che  le  scienze  hanno  tutto  il  loro 
buon  diritto  a  rivendicare  una  completa  autonomia. 
È  ancora  un  preconcetto  naturalistico  quello  della 
divisione  del  lavoro  tra  le  scienze,  meccanicamente 
intesa,  quasi  che  esistesse  una  realtà  bell’e  fatta, 
al  di  sopra  del  pensiero  scientifico,  da  dividere  in 
pezzi,  e  da  ricomporre,  poi,  cucendo  le  scienze  l’una 
all’altra.  Ma  ogni  scienza,  in  quanto  è  attualità  di 
pensiero,  concentra  in  sé  tutto  il  reale,  che  non  è 
già  qualcosa  fuori  di  essa,  ma  è  la  sua  stessa  vita 
interiore.  In  questo  campo,  l’esperienza  storica  potrà 
darci  dei  fecondi  insegnamenti. 

E  sembra  che  in  conformità  delle  nuove  esigenze 
immanentistiche  del  pensiero,  il  còmpito  della  filoso¬ 
fia  di  fronte  alla  scienza  debba  essere  profondamente 
trasformato:  debba  consacrare  la  loro  libertà  e  auto¬ 
nomia,  e  non  già  tendere  al  loro  assorbimento.  Cosi 
le  scienze,  lungi  dall’essere  ostili  al  pensiero  filoso¬ 
fico,  si  dimostrano  esse  medesime  come  filosofia,  nel 
senso  che  la  loro  vita  è  attualità,  è  concretezza  di 
pensiero;  è,  in  altri  termini,  assoluta  immanenza. 

Cosi  dal  seno  stesso  della  cultura  hegeliana,  di 
quella  cultura  che  parve  un  tempo  la  più  lontana 
dalla  vita,  sorgono,  per  vie  diverse,  accenni  nuovi  e 


CONSIDERAZIONI  FINALI 


459 


profondi,  per  cui  la  filosolia  ritorna  alla  vita  e  s’im- 
inedesinia  con  essa.  Il  concetto  dell’immanenza  as¬ 
soluta  del  pensiero,  in  cui  culmina  questa  nuova 
nietalisica,  è  in  fondo  l’espressione  purificata  di 
ogni  trascendenza,  dell’intimità  e  concretezza  della 
vita.  Ma  per  giungere  a  questo  culmine,  la  filosofia 
ha  dovuto  e  deve  compiere  un  lungo  giro  nel  do¬ 
minio  della  trascendenza,  di  ciò  che  spregiativa¬ 
mente  si  chiama  metafisica  :  questo  giro  è  neces¬ 
sario,  perché  solo  attraverso  di  esso  il  concetto  della 
realtà  viva  e  attuale  dello  spirito  si  purifica  di  ogni 
astrattismo  e  si  agguerrisce  contro  tutti  gli  assalti  dei 
problemi,  che  nelle  posizioni  insufficienti  restano 
insoluti,  e  urgono  con  la  loro  stessa  pretesa  insod- 
disfalta.  Vano  è  l’assunto  di  quelli  che  vogliono  fer¬ 
marsi  a  metà  di  questo  lungo  giro;  la  dialettica 
stessa  del  pensiero  li  annulla. 


APPENDICE 


A  otto  anni  di  distanzi^  dalla  1‘  edizione  ho  cre¬ 
duto  di  poter  ristampare  integralmente  questa  storia, 
poiché  m’è  parso  che,  nei  suoi  particolari  giudizi  e 
nella  linea  generale  dei  suo  svolgimento,  risponda 
ancora  alle  presenti  esigenze  dei  nostri  studi. 

Nel  propormi  di  metterla,  come  suol  dirsi,  al 
corrente,  accrescendola  di  notizie  sul  più  recente 
movimento  lilosolìco,  ho  dovuto  .senz’altro  escludere 
ogni  esame  sulla  produzione  lilosolìca  straniera; 
troppo  scarse  e  incomplete  sono  le  informazioni 
che  ancora  si  possono  raccogliere*. 

V’é  motivo  tuttavia  di  ritenere  che  il  contributo 
mentale  degli  ulliini  anni  sia  stato  molto  esiguo  e  che 
esso  non  sposti  le  conclusioni  del  mio  saggio  storico. 

U’altra  parte,  non  intendo,  anche  di  proposito, 
parlare  della  cosi  detta  lilosolìa  della  guerra:  troppo 
facile  sarebbe  l’iinpresa  di  sbrigarsene  leggermente 
con  un  sommario  esame  di  opuscoli  e  di  raccolte, 
come,  p.  es,.  lo  scritto  del  Wundt,  Die  Nalionen 
limi  ilire  Philosophit  (Leipzig,  19L5),  del  Bergson, 
La  significntion  de  la  guerre  (Paris,  Btoud,  1916)  del 
De  Wulf,  Guerre  et  philosophìe  (ivi,  1916),  del  Del- 
bos,  L’espril  plìilosophique  de  l’Allemagne  (ivi,  1915), 


^  Questa  appendice  ò  stata  scritta  nel  1920. 

3  Questa  ulteriore  ricerca  è  stata  da  me  compiuta  più 
turili,  nel  volume:  FUosoli  dei  Soitecento.  Bari.  Laterza. 


464 


APPENDICE 


del  Croce,  Pagine  sparse  (Serie  2%  Napoli,  Ricciardi, 
1919),  del  Gentile,  Guerra  e  fede  (ivi,  1919),  e  di 
molti  altri  ancora.  Ma  la  lìlosotìa  della  guerra  non 
è  in  questi  scritti  sporadici  e  occasionali,  bensì  in 
tutto  il  complesso  del  pensiero  fllosollco  contempo¬ 
raneo,  dove  il  conllitto  delle  idee  s’individua  assai 
meglio  che  non  dalle  affrettate  polemiche  o  dai  con¬ 
citati  ammonimenti  che  la  gravità  dell’ora  suggeriva. 

Ho  circoscritto  pertanto  il  mio  compito  a  dare 
un’integrazione  del  quadro  storico  sullo  svolgimento 
del  pensiero  italiano,  parlando,  a)  della  Neo-scola¬ 
stica,  che  negli  ultimi  anni  ha  rivelato  una  fisonomia 
ideale  propria,  degna  di  esame;  b)  degli  studi  sto¬ 
rici  e  sociali,  strettamente  connessi  al  movimento 
della  mentalità  lìlosofica;  c)  di  alcune  più  impor¬ 
tanti  manifestazioni  del  nostro  pensiero  speculativo, 
(iosi,  il  piano  di  questa  appendice  è  tracciato. 


1.  La  Neo-scolastica.  —  Nella  1‘  edizione  non 
feci  alcun  cenno  di  questa  scuola,  non  già  per  superbo 
disdegno,  come  mi  fu  rimproverato,  ma  perché  man¬ 
cava  affatto  un  materiale  suscettibile  di  esame.  La 
Neo-scolastica  italiana  tentava  appena  i  suoi  primi 
passi,  e  la  scuola  di  Lovanio,  da  cui  essa  comin¬ 
ciava  lentamente  a  distaccarsi,  aveva  al  suo  attivo 
numerosi  e  pregevoli  studi  storici,  come  quelli  del 
De  Wulf,  del  Mercier,  del  Deploige,  del  Thicry,  del 
Uefourni,  del  Noci,  del  Michette,  e  di  altri  ancora; 
ma  era  priva  di  una  fìlosolìa  propria,  con  caratteri 
storici  ben  definiti.  Il  L'orso  del  Mercier  *,  del  quale 
si  faceva  gran  caso  negli  ambienti  neo-scolastici, 

I  Divìso  in  6  parti;  1)  logica;  2)  metafisica;  3)  psicologia; 
4)  criteriologia  generale;  5)  storia  della  filosofia  (scritta  dal 
De  Wulf;  6)  cosmologia  (scritta  dal  Nys). 


APPENDICE 


465 


mi  sembrava  tutt’al  più  buono  a  servir  di  testo  in 
qualche  seminario  di  provincia. 

Da  quel  tempo,  non  ho  mutato  opinione;  ma  lo 
sviluppo  sempre  maggiore  assunto  dalla  Neo-sco¬ 
lastica  italiana,  l’importanza  del  suo  sforzo  per 
liberarsi  dalla  fiacca  ideologia  merceriana,  che  al 
principio  mostrava  di  accogliere  integralmente,  at¬ 
traggono  nell'orbita  della  storia  non  solo  il  nuovo 
movimento,  ma,  per  ragione  di  contrari,  anche 
l’antico,  come  per  misurare  il  distacco  dell’uno  dal¬ 
l’altro. 

L’origine  della  scuola  di  Lovanio  ‘  risale  al  prin¬ 
cipio  del  pontilicalo  di  Leone  Xlll.  L’enciclica 
Aeterni  Palris,  che  idealmente  la  costituiva,  era  stata 
suggerita  al  papa  dalla  diretta  conoscenza  degli  am¬ 
bienti  intellettuali  e  cattolici  del  Belgio,  acquistata 
durante  la  sua  permanenza  in  quella  regione,  nella 
qualità  ili  nunzio  apostolico. 

La  Aeterni  Patris  è  la  magna  charta  degl’intel¬ 
lettuali  cattolici,  come  la  Hertirn  ^ovarum  quella  dei 
politici.  L’una  e  l’altra  son  concepite  in  un  identico 
spirito:  promuovere  direttamente  la  formazione  di 
una  mentalità  cattolica  o  di  una  politica  cattolica, 
senza  tuttavia  legare  stabilmente  ad  esse  il  pensiero 
o  l’azione  «Iella  Santa  Sede,  in  modo  che  questa 
possa  in  qualunque  momento  ripudiarle,  come  espres¬ 
sioni  monche  ed  imperfette  della  sua  trascendente  e 
infallibile  mentalità. 

Sono  frutti  di  un’abile  politica,  che  riduce  a  zero 
tutti  i  rischi,  dando  alla  Chiesa  tutto  da  guadagnare 
e  nulla  da  perdere  nella  partecipazione  alle  lotte 
della  vita  moderna,  e  ponendola  nella  privilegiata 
condizione  di  giudice  insieme  e  di  parte. 


I  L.  \o^L.  Louvain,  Oxford,  1916. 


G.  DE  Ruggiero,  La  filosofia  contemporanea. 


30 


466 


APPENDICE 


L'università  di  Lovanio  sorse,  come  centro  di 
studi  puramente  cattolici,  fuori  di  ogni  ingerenza 
dello  stato,  direttamente  sottoposta  ai  vescovi  del 
Belgio,  Nel  1894,  essa  ebbe  per  organo  e  interprete 
la  Heinie  Sèo-scolastiqne,  modello  di  rivista  erudita, 
che  ha  raccolto  scritti  storici  di  gran  pregio  e  si  è 
resa  particolarmente  benemerita  degli  studi  con  la¬ 
vori  bibliografici  accuratissimi.  Costretta  a  interrom¬ 
pere  le  sue  pubblicazioni,  durante  l’invasione  tede¬ 
sca.  le  ha  riprese  poco  dopo  l’armistizio  :  grave 
ammonimento  ai  pigri,  che  hanno  tratto  dalla  guerra 
soltanto  il  pretesto  per  dare  un  benservito  agli  studi. 
E,  sotto  gli  auspici  della  Rivista  e  la  direzione  del 
De  Wulf,  è  sorta  un’importante  collezione  storica 
Les  philosophes  belges,  che  si  propone  di  ristam¬ 
pare  in  edizioni  critiche,  corredate  di  ampi  com¬ 
menti,  gli  scritti  dei  principali  filosofi  belgi  del 
Medio  Evo.  Ad  essa  appartiene  il  Siger  de  Hruhunl, 
di  Pietro  Mandonnet  *,  la  più  profonda  indagine  e 
ricostruzione  storica  della  scuola,  in  tema  di  filo¬ 
sofia  medievale. 

La  scuola  di  Lovanio  sarebbe  già,  da  questi  suoi 
lavori,  abbastanza  ben  caratterizzata  ed  avrebbe  il 
suo  posto  nella  filosofia  contemporanea,  come  note¬ 
vole  esponente  di  quelle  tendenze  storiche,  che  si 
fanno  sempre  più  largamente  strada  e  individuano 
la  fisonomia  mentale  dell’età  presente,  in  contrasto 
con  la  mentalità  antistorica  del  naturalismo  che  l’ha 
preceduta.  Ma  Lovanio  ha  voluto  avere  una  filosofia 
propria,  in  conformità  dell’indirizzo  in  certo  modo 
imposto  dall’enciclica  Aeterni  Patris,  una  filosofia 
dommatica  e  antiquata,  che  profondamente  ripugna 

>  Louvain,  1911  (in  2  voli.,  l’uno  contenente  i  testi,  l’altro 
una  ricostruzione  storica  delle  lotte  tra  tomisti  e  averroisti  nel 
sec.  Xlll). 


appendice 


4U7 


con  le  sue  esigenze  storiografiche,  e  assai  spesso  le 
falsilica  e  le  perverte.  Non  contenta  di  promuo¬ 
vere  la  conoscenza  dei  lìlosofi  medievali,  essa  ha 
voluto  copiarli,  reintegrando  una  pretesa  sintesi  sco¬ 
lastica,  creata  dalfimmaginazione  pseudo-storica  di 
uno  storico  di  valore,  uscito  dalle  sue  file,  Maurizio 
de  Wulf. 

Di  fronte  al  preesistente  neo-tomismo,  la  neo- 
scolastica  ha  voluto  assumersi  il  compito  più  ampio 
di  ricalcare  non  solamente  le  orme  di  san  Tommaso, 
ma  anche  quelle  di  altri  dottori,  agostiniani  e  sen¬ 
tisti,  che,  un  tempo  nemici  deH’.’^ngelico,  vengono 
ora  dal  De  Wulf  scoperti  come  suoi  collaboratori, 
nell’opera  (da  veri  certosini!)  di  comporre  uno  smi¬ 
surato  mo.saico  scolastico,  al  quale  è  dato  l’impro¬ 
prio  nome  di  sintesi. 

Collaboratori  sono  in  certo  c  profondo  signillcato 
tutti  i  filosofi,  quale  che  sia  la  loro  divisa;  ma  la 
collaborazione  de  wulfìana  tende  a  sopprimere  1  in¬ 
dividualità  d’ogni  singolo  pensatore  e  d’inserirne  le 
dottrine,  come  materiale  amorfo,  in  una  costruzione 
anonima,  avulsa  dalla  storia,  perché  non  più  parte¬ 
cipe  della  mobilità  del  divenire,  ma  statica  e  inerte, 
atta  soltanto  ad  accrescersi  per  successive  sovrappo¬ 
sizioni.  antiche  o  nuove  che  siano.  Scolastica  sarebbe 
quindi  non  più  una  tisonomia  storica  che  si  trasfor¬ 
ma,  ma  un  masso  immobile  di  pietra,  che  il  De  Wulf 
si  dà  cura  di  sottrarre  ad  ogni  movimento,  anche 
esterno,  col  separare  nettamente  la  scolastica  dal- 
l’anti  scolastica,  cioè  col  sostantivare,  in  un’altra 
unità  separata  e  rigida,  tutti  quei  moti  divergenti  e 
disgregatori,  che  pur  appartengono  allo  stesso  pen¬ 
siero  medievale  e  che,  inclusi  con  sano  criterio  sto¬ 
rico  nella  scolastica,  le  conferirebbero  quella  mobi¬ 
lità  viva  che  appartiene  a  un  vero  organismo. 


468 


APPENDICE 


Questo  pregiudizio  più  che  scolastico  falsifica  la 
Storia  della  filosofia  medievale  del  De  Wulf,  opera 
immeritainente  celebrata,  perché  non  può  non  susci¬ 
tare,  nei  critici  meglio  disposti  ad  apprezzare  il  la¬ 
voro  altrui,  che  un  senso  di  dispetto  o  di  deplora¬ 
zione,  al  constatare  come  una  cosi  vasta  e  profonda 
conoscenza  del  pensiero  medievale  si  falsifichi  e  si 
annulli,  per  colpa  di  un  testardo  proposito  di  voler 
trattare  la  storia  con  un  criterio  decisamente  anti¬ 
storico. 

Pereant  historiae,  purché  sia  salva  la  neo-scola¬ 
stica:  par  che  il  De  Wulf  ragioni  cosi.  E  in  effetti, 
separando  scolastica  e  anti-scolastica,  papa  e  anti¬ 
papa,  nel  cuore  stesso  della  storia  medievale,  dove 
la  separazione  degli  elementi  organici  è  più  aspra 
e,  diciamo  pure,  ripugnante,  è  tanto  più  facile  per¬ 
petuare  la  separazione  in  seguito,  quando  Tanti-sco¬ 
lastica  diviene  a  sua  volta  un’età  storica,  e  accre¬ 
scere  la  scolastica  dei  magri  doni  dello  Spirito,  che 
le  piovono  addosso  di  tanto  in  tanto.  È  sorta  cosi 
la  neo-scolastica,  quella  scuola  che,  pur  avendo  di 
fronte  al  neo-tomismo  l’incontestabile  vantaggio  di 
spaziare  in  un  cielo  storico  incomparabilmente  più 
vasto  e  di  non  accontentarsi  di  un  san  Tommaso 
ischeletrito,  mutilo,  custodito  nella  solitudine  e  quasi 
nel  deserto  dei  secoli,  ha  poi  sùbito  voluto  rinun¬ 
ziare  ai  suoi  privilegi  storici,  facendo  della  storia 
una  pesante  cappa  di  piombo. 

Confesso  che  la  lettura  del  corso  del  Mercier  m’è 
costata  assai  più  fatica  che  non  quella  delle  Somme 
di  Alessandro  o  di  Tommaso  o  dell’Opus  Oxoniense 
di  Duns.  La  ragione  è  che  si  trattava  di  una  fatica 
senza  premio,  che  inaridiva  progressivamente  e  senza 
recupero  le  proprie  fonti  e  l’energia  della  resistenza. 
In  fondo,  non  c’è  che  la  struttura  esterna  massic- 


APPENDICK 


469 


eia,  pesante,  del  tomismo,  senza  lo  spirito  di  Tom¬ 
maso,  tormentato  dal  problema  insolubile  di  costrin¬ 
gere  nelle  forme  aristoteliche  una  materia  ribelle. 
Il  Mercier  ha  raccattato  nella  storia  quel  poco  che 
era  compatibile  con  le  sue  premesse  dommatiche: 
il  criterio  cartesiano  dell’evidenza,  il  problema  della 
criteriologia,  inteso  come  un’attenuazione  della  cri¬ 
tica  gnoseologica,  il  pseudo-empirismo  dei  positi¬ 
visti,  e  sopra  tutto  il  formalismo  della  vecchia  e 
nuova  logica  analitica.  I..a  criteriologia  forma  il  se¬ 
greto  della  composizione  di  tutto  il  mosaico:  essa  ri- 
pristina  (dopo  Kant)  il  dubbio  cartesiano,  limitato 
ai  soli  oggetti  della  conoscenza,  dichiarando  illegit¬ 
timo  il  problema  del  valore  delle  facoltà  conoscitive: 
un  valore  che  viene  dommaticamente  presupposto. 
E  del  primo  dubbio  si  sbriga  facilmente  col  rico¬ 
noscere  l’evidenza  immediata  di  alcuni  principi 
d’ordine  ideale,  ai  quali  si  dà  cura  di  negare  ogni 
carattere  sintetico  e  attribuisce  invece  un  valore 
meramente  analitico,  che  avvalora  la  loro  intatta  og¬ 
gettività.  Ma  tra  i  princìpi  in  questo  modo  sottratti 
al  dubbio,  v’è  il  principio  di  causa,  il  cui  valore 
oggettivo  consente  di  passare,  senza  salti,  dalla  sfera 
dei  giudizi  ideali  a  quella  dei  giudizi  empirici;  il 
mondo  della  natura  e  della  scienza  viene  agevolmente 
rimorchiato  dal  principio  d’identità.  L’ontologia  e 
la  cosmologia  del  corso  merceriano  procedono  di 
pari  passo  dalle  premesse  criteriologiche  testé  enun¬ 
ciate;  idealismo  e  positivismo  sono  insieme  saldati 
dal  concetto  di  causa,  che  vanta  titoli  eguali  presso 
l’uno  e  presso  l’altro.  E  l’idealismo  salva  la  trascen¬ 
denza  di  Dio,  l’immortalità  deU’aninia,  la  rivela¬ 
zione,  con  tutto  il  pesante  bagaglio  della  domma- 
tica  cristiana;  il  positivismo  consente  alla  neo-scola¬ 
stica  di  modernizzarsi,  di  koketlieren  (direbbero  i 


470 


APPENDICE 


tedeschi)  con  le  scienze  della  natura  e  'l’indulgere 
il  più  ch’è  possibile  al  gusto  dei  tempi. 

Una  tale  filosofìa  è  criticata  in  quanto  è  esposta; 
non  si  saprebbe  se  più  deplorare  l’ignoranza  che  vi 
si  dispiega  di  tutta  la  storia  del  pensiero  moderno 
o  l’ingenuità  di  certi  passaggi  me'ntali,  quello  p.  es., 
mediato  dal  principio  di  causa.  Io  rispetto  assai  più 
il  dommatismo  puro,  lo  schietto  tomismo,  che  nega 
la  storia  del  pensiero  e  si  chiude  nelle  vecchie  e  ve¬ 
nerande  formule;  ma  almeno  non  si  lascia  cosi  fa¬ 
cilmente  misurare  dalla  mentalità  moderna  come 
questa  filo.sofia  che  le  si  accosta  troppo  da  presso, 
e  si  trastulla  ingenuamente  coi  suoi  problemi.  Il 
neo,  anteposto  al  suo  nome,  vale  a  designare  nul- 
l’altro  che  l’infantilità. 

Il  movimento  neo-scolastico  italiano  sorge  come 
una  copia  fedele  della  scuola  di  Lovanio.  Nel  1909 
il  Gemelli  e  il  Canella  fondano  una  Rivista  di  filo¬ 
sofia  neo-scolastica  sul  modello  della  rivista  belga  ed 
accettano,  nel  programma,  l’ideologia  merceriana: 
<  In  generale,  l’errore  fondamentale  della  critica  mo¬ 
derna  sta  nel  confondere  il  carattere  di  relatività 
della  conoscenza  considerata  come  uno  stato  psico¬ 
logico  con  la  relatività  della  conoscenza  in  sé  stessa 
errore  che  si  deve  principalmente  al  fatto  di  essersi 
i  moderni  pensatori  abbattuti  nella  muraglia  insor¬ 
montabile  della  prova  del  valore  dei  nostri  mezzi 
conoscitivi,  considerata  come  base  prima  e  neces¬ 
saria  di  ogni  ricerca  sul  valore  oggettivo  della  cono¬ 
scenza.  La  neo-scolastica  invece,  mettendo  in  seconda 
linea  il  problema  del  valore  dei  mezzi  conoscitivi, 
affronta  la  ricerca  del  criterio  primo  della  certezza, 
e  questo  criterio  non  riconosce  legittimo  se  non 
quando  trova  che  per  suo  mezzo  la  necessità  e  funi- 


APPENDICE 


471 


versalità  <Ielle  nostre  conoscenze  può  avere  una  ori¬ 
gine  sperimentale.  In  tal  modo  l’oggettività  dei  prin- 
cipii  d’ordine  ideale  viene  a  imporsi  come  un  fatto 
d’evidenza,  e  su  questi  solidissimi  fondamenti  si 
può  costruire  l’edilìzio  delle  scienze  e  legittimare  il 
valore  stesso  delta  ragione  » 

Nella  divisione  del  lavoro  tra  i  due  direttori,  il 
Gemelli  assumeva  la  parte  scientifica,  il  Canella  la 
parte  criteriologica  e  metafisica,  conforme  alla  di¬ 
stinzione  ideale  del  Mercier,  pronti  a  darsi  la  mano 
sul  ponte  del  principio  di  causalità.  Le  prime  annate 
della  rivista  furono  un  po’  grame,  almeno  per  ciò 
che  riguarda  le  costruzioni  originali,  atte  a  legitti¬ 
mare  il  titolo  di  neo-scolastica:  mentre  la  parte  reda¬ 
zionale  era  condotta  non  senza  maestria  e  rivelava 
un  interessamento  vivo  ed  inquieto  verso  il  pensiero 
tilosolico  contemporaneo. 

Il  suo  pensiero  era  però  ondeggiante.  Il  semi- 
dommatismo  (o  semi- criticismo)  merceriano,  come 
generalmente  tutte  le  posizioni  fiaccamente  ecletti¬ 
che,  non  poteva  essere  un  punto  di  sosta,  ma  spin¬ 
geva  gli  spiriti  più  conseguenti  ad  avanzare  o  ad 
indietreggiare,  ad  affiatarsi  col  movimento  del  pen¬ 
siero  contemporaneo,  oppure  a  chiudersi  nel  puro 
dommatismo. 

Già  nel  1909  abbiamo  le  prime  battute  d’aspetto 
contro  il  Mercier:  deboli  battute,  del  resto,  svolte 
neH’àmbìto  stesso  della  mentalità  semi-dommatica, 
semi- critica,  dal  Masnovo,  che  ripudiava  il  cosi  detto 
subordinatismo  idealista  merceriano,  per  abbracciare 
una  forma  di  mitigato  empirismo,  che  muove  dal¬ 
l’esperienza  e  subordina  ad  essa  i  principi  ideali, 
in  luogo  di  muovere  da  questi  per  farne  dipendere 


1  Rivista  di  fìlos.  neo-scoL^  I,  pp.  10-11. 


472 


APPENDICE 


quelli  *.  Il  Canella,  invece,  il  Tredici  e  altri  sostene¬ 
vano  il  Mercier  e  promovevano  iliscussioni  gnoseo¬ 
logiche  scarsamente  conclusive. 

Ma  il  problema  era  più  arduo  e  complesso  di  quel 
che  vedessero  i  contendenti.  Si  trattava  non  tanto 
di  discutere  singole  dottrine  del  Mercier,  quanto 
di  valutare  tutta  intera  la  sua  posizione  mentale. 
È  lecita  la  ricerca  gnoseologica?  E  allora  la  crite¬ 
riologia  merceriana  è  insuflìciente,  perché  non  riesce 
a  confutare  Kant  e  tanto  meno  Hegel.  Non  è  lecita? 
E  allora  bisogna  tornare  al  puro  realismo  scolastico, 
negando  anche  l’aborto  criteriologico.  Dommatismo 
puro  o  superamento  dell’idealismo:  padre  Mattiussi 
o  un  X  da  creare.  Questo  vedeva  chiaramente,  fin 
dal  1912,  Francesco  Olgiati,  una  delle  personalità 
più  aperte  e  simpatiche  della  neo-scolastica  italiana; 
temperamento  meno  filosofico  del  Chiocchetti,  ma, 
perché  nel  tempo  stesso  meno  vincolato  da  pregiu¬ 
diziali  dommatiche  e  da  esigenze  sistematiche,  più 
libero  e  disinvolto  nel  muoversi  tra  i  sistemi  con¬ 
temporanei,  più  pronto  ed  entusiasta  nell’accoglierne 
le  esigenze,  anche  se  contrastanti  col  tomismo.  Nel 
formulare  il  suo  dilemma  egli  aveva  due  punti 
di  riferimento  non  egualmente  stabili  :  il  dommati- 
srao  del  Mattiussi  e  l’appena  incipiente  tentativo 
fatto  dal  Chiocchetti  per  giungere,  attraverso  la  cri¬ 
tica  della  filosofìa  crociana,  a  una  concezione  scola¬ 
stica  molto  modernizzata.  E,  pur  simpatizzando  con 
quest’ultimo,  egli  temeva  di  arrischiarsi  per  una  via 
irta  di  pericoli  e  d’incognite;  onde  tornava  poco 
dopo  alla  vecchia  tesi  che  <  per  opporsi  a  Kant, 


<  Amato  M.asnovo.  l.’na  questione  di  Ontoìogiu  nella  scuola 
di  Lovanto,  I,  p.  2.S3  sgg. 

“  Rtv.  di  fìlos.  neo-scol.,  IV,  3-4:  \ote  sul  problema  della 


conoscenza. 


APPENDICE 


473 


bisogna  presupporre  e  non  già  porre  in  discussione 
il  valore  della  ragione  > 

11  Mattiussi  lo  spaventava  col  suo  libro:  Il  veleno 
kantiano  (1914  “),  dove  gli  lasciava  intravvedere  il 
rischio  di  rinnovare  la  miseria  di  Abelardo,  non  più 
per  amore  di  una  bella  Eloisa,  ma...  della  filosofia 
kantiana:  «Noi  pretendiamo,  diceva  l’apocalittico 
Mattiussi,  che  nell’opera  del  filosofo  di  Koenigsberg 
dal  principio  alla  fine  ogni  cosa  è  impossibile  e  il 
disegno  n’è  contradittorio,  che  tutto  è  rovina  e  che 
qualunque  asserzione  si  ammetta  di  quello  ( sic)  che 
egli  da  sé  nuovamente  disse,  ne  rimane  tronco  alla 
radice  dell'essere  conoscitivo  (??);  ed  è  veleno,  del 
quale  basta  una  goccia  per  dare  la  morte  alla  scienza 
e  all’intelletto  (!!)>.  E  in  un  altro  suo  scritto.  Il 
Problema  della  conoscenza,  il  Mattiussi  mostrava  di 
porre  allo  stesso  livello  la  critica  kantiana  della 
ragione  e  il  dubbio  merceriano  sull’oggettività  della 
conoscenza  additando,  nel  dommatismo  puro,  la 
via  della  salvezza  dell’anima  e  del  corpo. 

Questa  recrudescenza  di  animosità  da  parte  dei 
dommatici  derivava  in  gran  parte  dalla  scandalosa 
impressione  che  sul  loro  animo  aveva  fatto  il  tenta¬ 
tivo  del  padre  Chiocchetti,  animoso  e  ardente  pensa¬ 
tore  trentino,  il  quale  s’era  proposto  di  acclimatare 
negli  ambienti  scolastici  il  sistema  del  Croce.  Tra 
il  1912  e  il  1914  egli  aveva  infatti  pubblicato  una 
serie  di  articoli  su  quella  filosofìa,  nella  Rivista  del 
Gemelli,  facendo  precedere  all’esame  del  pensiero 
crociano  un  lungo  excursus  storico  sulla  specula¬ 
zione  tedesca  che  ne  costituiva  il  fondamento. 

Il  piano  storico  del  lavoro  era  sbagliato,  in  quanto 


I  Op.  eli.,  VI,  p.  317. 
>  Ibid.,  VII,  p.  29. 


474 


APPENDICE 


che  la  genesi  del  pensiero  del  Croce  si  spiega  rimon¬ 
tando  non  la  corrente  centrale,  metafisica  (il  Croce 
direbbe  teologica)  Kant-Fichte-Schelling-Hegel-Spa- 
venta;  ma  una  corrente  laterale  che  ha  per  suoi 
estremi  Vico  e  De  Sanctis.  L’interessamento  del 
Croce  per  le  grandi  filosofìe  tedesche  interviene  in 
un  secondo  momento,  come  per  meglio  intonare, 
storicamente,  un  pensiero  già  in  gran  parte  formato 
per  via  diversa.  A  ogni  modo,  lo  sforzo  di  volere 
attribuire  un  interesse  centrale  a  una  filosofia  che 
ripudia  ogni  centro  fisso  dell’interesse  speculativo, 
costituiva  pel  Chiocchetti  una  propizia  opportunità 
per  poter  superare,  insieme  col  Croce,  tutta  la  spe¬ 
culazione  classica,  e  per  liberarsi,  cosi,  del  pesante 
fardello  della  storia. 

Alla  filosofia  crociana  egli  faceva  larghe  e  impor¬ 
tanti  concessioni:  la  teoria  dell’arte,  dell’ateoreticità 
dell’errore,  e  principalmente  quella  del  concetto  con¬ 
creto,  che  culmina  nella  circolarità  creatrice  dello 
spirito.  Faceva  naturalmente  le  sue  riserve:  «Am¬ 
mettiamo  anche  noi  un  divenire,  un  progresso,  ma 
non  possiamo  concepirlo  senza  ricorrere  a  un  prin¬ 
cipio  che  non  sia  principiato,  perché  personale  nel 
senso  più  alto  della  parola  ;  un  principio  fine  a  sé 
stesso  e  fine  del  tutto,  un  (ictus  parus  personale,  dal 
quale  e  per  il  quale  il  progresso  esiste,  un  centro 
di  riferimento  di  tutta  l’attività  ».  Moveva  alcune 
critiche  in  parte  calzanti:  «Il  concetto  di  persona, 
il  valore  della  persona:  ecco  quello  che  manca,  so¬ 
prattutto  nella  dottrina  del  Croce,  e  rende  vano  e 
senza  significato  il  divenire  della  realtà  attraverso 
le  forme...  Anche  il  concetto  dello  spirito  come  cir¬ 
colo  o  come  ininterrotto  e  ordinato  arricchimento  di 
attività,  per  avere  un  senso,  dev’essere  concetto  e 
deve  inchiudere  in  sé  come  elemento  essenziale  il 


appendice 


475 


fine  deU’attività  progressiva,  la  persona;  se  no  ab¬ 
biamo  l’assurdo  del  progresso  in  infìnitum,  checché 
opponga  il  Croce  »  *. 

Ma  il  vizio  più  grave  che  svaluta  le  adesioni  non 
meno  delle  critiche,  sta  in  un  fraintendimento,  che 
non  saprei  spiegarmi  con  motivi  puramente  mentali 
(ateoreticità  dell’errore,  padre  Chiocchetti!)  :  quello 
del  concetto  puro  del  Croce  con  Vunìversale  in  re  di 
san  Tommaso.  In  fondo,  accettando  l’universale  con¬ 
creto  della  filosofia  moderna,  il  Chiocchetti  non  vi 
riconosce  che  il  progenitore  scolastico,  dimenticando, 
0  mostrando  di  dimenticare,  che  in  esso  c’è  l’apper¬ 
cezione  pura  di  Kant,  la  risoluzione  dell’oggettività 
naturale,  in  una  parola,  lo  Spirito.  Affermare  che 
<  il  vero  reale  è  l’individuale  penetrato  di  raziona¬ 
lità,  di  concetto  »,  non  significa  che  si  sia  compreso 
il  razionalismo  moderno,  perché  l’affermazione  è  co¬ 
mune  anche  ad  .Aristotele  e  a  Tommaso.  Ma  svolgere, 
poi,  questo  concetto  col  solito  dualismo  del  soggetto 
e  deH’oggello  nella  conoscenza,  del  soggetto  cono¬ 
scente  finito  e  del  soggetto  creante  infinito,  nel  rap¬ 
porto  dell’essere,  significa,  non  che  superare  il  kan¬ 
tismo,  battere  una  ritirata  precipitosa  tra  le  trincee 
del  dommatismo  scolastico.  11  Chiocchetti  è  in  fondo 
un  dommatico  non  meno  del  Matliussi.  Egli  dice, 
p.  es. :  «che  il  nostro  spirito,  conoscendo,  crei  il 
reale,  cioè  il  razionale  oggettivo,  con  quella  porten¬ 
tosa  sintesi  a  priori  dell’idealismo  post-kantiano  le 
perché  non  di  Kant?],  è  contraddetto  dalla  coscienza 
umana,  che  è  atteggiata,  naturalmente,  di  fronte  alla 
realtà,  come  spettatrice  di  oggetto  che  deve  conqui¬ 
stare  faticosamente,  comprendendone  la  razionalità 
al  lume  della  propria  ragione  ».  A  che  prò,  mi  chiedo. 


i  Op.  cit.,  V,  p.  62. 


476 


APPENDICE 


paludarsi,  e  quasi,  infarinarsi  di  terminologia  mo¬ 
derna,  quando  resta,  nel  fondo,  l’antico  uomo? 

Ma  se  il  risultato  del  tentativo  del  Chiocchetti  è 
nullo,  non  è  tuttavia  negativo  il  valore  del  suo 
sforzo.  Il  fatto  stesso  del  cimentarsi  col  pensiero 
moderno,  del  seguirne  lo  sviluppo  con  interesse  e 
spesso  con  penetrazione  è  nuovo  negli  ambienti  cat¬ 
tolici.  Sotto  questo  aspetto  tra  un  Mattiqssi  e  un 
Chiocchetti  corre  un  abisso  profondo.  Anche  il  tomi¬ 
smo,  che  è  comune  all’uno  e  all’altro,  ha  in  essi  una 
diversa  presenza:  nel  Chiocchetti,  esso  è  rinfrescato 
e  come  ringiovanito,  al  contatto  di  una  mentalità 
nuova,  ansiosa  di  riadattarlo  all’ambiente  storico. 
Si  legga  lo  scritto  :  Il  Pensiero  *.  Ivi  la  mentalità 
dell’autore  si  muove  tra  i  limiti  della  massima  to¬ 
mista  :  cognitum  est  in  cognoscente  ad  modum  co- 
gnoscentis;  ma  qui,  dove  un  vecchio  dommatico  si 
darebbe  pena  di  mostrare  che  Vobiectum  in  sé  non  è 
allatto  messo  in  pericolo,  il  Chiocchetti  invece  accen¬ 
tua  il  valore  di  queU’innoyafio,  di  quella  trasforma¬ 
zione  profonda  che  l’oggetto  riceve  dal  soggetto,  e 
che,  se  non  è  un  vero  creare,  è,  almeno,  un  «  ricreare 
trasformando  ».  Ma  dov’è  che  preesiste  l’oggetto  se 
il  soggetto  presente  non  lo  crea?  In  una  qualche 
nostra  attività  che  non  sia  pensiero,  mà  che  sia  spi¬ 
rituale:  nell'intuizione.  Qui  veramente  mi  par  d’in- 
Iravvedere  un  Chiocchetti  molto  diverso  dal  prece¬ 
dente;  ma  lo  spunto  mentale  è  troppo  tenue  perché 
si  possa  fondare  su  di  esso  alcuna  conclusione. 

L’unica  conclusione  plausibile  è  che  il  pensiero 
del  Chiocchetti,  nella  preoccupazione  di  voler  trac¬ 
ciare  precisamente  i  suoi  confini  nell’àmhito  del 
dommatismo,  rivela  facilmente  di  averli  superati. 


i  Op.  cit.,  VII,  p.  47  sgg. 


appendice 


477 


Ma  volendo  stare  ai  dati,  come  storici,  dobbiamo  a 
nostra  volta  limitarci  a  constatare  che  il  supera¬ 
mento  (mi  si  permetta  una  volta  l’ormai  odiosa  e 
antiquata  espressione)  sta  più  neH’atteggiamento, 
nello  sforzo,  verso  un'intuizione  penetrala  di  pen¬ 
siero  medievale  e  motlerno,  anziché  nel  sicuro  pos¬ 
sesso  della  vagheggiata  dottrina. 

Il  tentativo  del  Chiocchctti  sollevò  non  poche 
opposizioni  negli  ambienti  scolastici  e  neo-scolastici. 
Più  che  una  vera  e  propria  apostasia  dal  tomismo 
(sotto  il  quale  riguardo  era  impeccabile),  la  nuova 
teoria  del  «  concetto  concreto  »  appariva  una  peri¬ 
colosa  antitesi  del  metodo  astrattivo  seguito  dagli 
scolastici,  e  perciò  capace  di  turbare  la  continuità 
della  tradizione.  Ma,  pur  non  accettato  generalmente 
(neppure  dall’Olgiati).  il  pensiero  del  Chiocchetti 
non  poteva  non  esercitare  un’influenza  sull’anda¬ 
mento  delle  solite  discussioni  della  scuola  e  non  dare 
alle  vecchie  dispute  un  insolito  sapore  di  modernità. 
Noi  osserviamo  infatti,  fin  dal  1914,  un  più  deciso 
atteggiamento  dei  neo-scolastici  verso  la  filosofia 
del  Mercier  e  una  maggior  libertà  e  spregiudica¬ 
tezza  nelle  critiche:  indizi  di  più  larga  prepara¬ 
zione  e  di  crescente  consenso  per  la  mentalità  mo¬ 
derna.  In  Una  discussione  intorno  alla  criterio¬ 
logia  di  Lovanio  la  debole  difesa  che  il  Tredici 
faceva  della  dottrina  del  Mercier  era  efiìcacemente 
oppugnata  dall’Olgiati.  che  dimostrava  contradit- 
toria  la  posizione  di  Lovanio,  «in  quanto,  combat¬ 
tendo  a  parole  il  dogmatismo  assoluto,  non  viene 
a  conclusioni  oggettivistiche,  se  non  pre.supponendo 
sempre'  la  legittimità  del  procedimento  proprio  al 
dogmatismo  assoluto  stesso  ».  Anche  ammesso,  egli 


«  Op.  CI/.,  VI,  p.  335  5gg. 


478 


APPENDICE 


soggiungeva,  che  l’evidenza  ci  dica  che  il  predicato 
conviene  al  soggetto;  tale  evidenza  chi  la  scorge? 
La  ragione!  Guai  perciò  se  il  Mercier  non  presup¬ 
pone  che  la  ragione  ragioni  bene.  E  anche  quando 
egli  parla  di  giudizi  di  ordine  reale,  in  tanto  arriva 
aU’airermazione  del  mondo  esterno,  in  quanto  lo 
presuppone  dommaticamente;  perché  chi  altro,  fuori 
del  dommalico,  è  sicuro  deH’oggettività  del  princi¬ 
pio  di  causa,  nel  mediare  il  passaggio  dall’ordine 
ideale  a  quello  reale?  E  concludeva,  dichiarando 
espressamente  che  la  criteriologia  del  Mercier  do¬ 
vesse  essere  abbandonala. 

Il  male  era  (e  gli  stessi  neo-scolastici  lealmente 
riconoscevano)  che  mancava  il  modo  di  sostituire  il 
Mercier;  né,  fino  ad  oggi  il  vuoto  è  stato  ancora  col¬ 
mato.  Donde  un  procedere  alquanto  sbandato  e  a 
tentoni,  senza  un  preciso  indirizzo,  e  perciò  confon¬ 
dendo  insieme  intuizioni  vecchie  e  nuove,  predicozzi 
e  teorie  originali.  Queste  ultime  appaiono  scisse  da 
ogni  concezione  organica  ed  esprimono  piuttosto 
adesioni  simpatiche  alle  conquiste  del  pensiero  mo¬ 
derno  che  frutti  di  una  conquista  propria.  Cosi, 
quando  l’Olgiati  scrive  nel  suo  libro  su  La  filosofìa 
di  H.  Bergson  (Torino,  1914)  che  scienza  e  fìlosolìa 
marciano  in  due  direzioni  ben  diverse;  questa  verso 
la  storicità  della  vita  e  della  coscienza;  quella  verso 
Tanti-storicità  degli  elementi  della  psicofisica  e  della 
psicofisiologia;  Tuna  verso  il  movimento  composto 
d’immobilità  e  di  simultaneità,  l’altra  verso  il  mo¬ 
vimento  reale:  —  o  quando  egli  critica  acutamente 
la  filosofia  dei  valori,  mostrando  falsa  e  artificiosa 
la  separazione  del  fatto  dal  valore;  —  le  categorie 
del  suo  giudizio  non  sono  più  offerte  dalla  scola¬ 
stica,  ma  dalla  logica  immanente  del  pensiero  mo¬ 
derno.  La  neo-scolastica,  in  altri  termini,  si  lascia 


APPENDICE 


479 


inconsapevolmente  rimorchiare  dalla  (ilosolia  con¬ 
temporanea.  alla  quale  appartiene,  malgrado  le  pre¬ 
messe  scolastiche  e  non  in  virtù  di  esse. 

Si  spiegano  quindi  le  perplessità  che  suscita  nei 
più  rigidi  conservatori  la  tendenza  dei  giovani  filo¬ 
sofi  a  modernizzarsi  :  privi  di  un  definito  indirizzo 
proprio,  corrono  il  pericolo  di  venire  facilmente  as¬ 
sorbiti.  Essi  sono  pronti  a  fare  le  più  ampie  conces¬ 
sioni  al  pensiero  moderno  e  non  chiedono  che  un 
posticino  per  il  trascendente  e  per  l’immortalità 
dell’anima.  Ma  questi  concetti  non  formano  che  il 
residuo  delle  nostre  filosofie;  un  residuo  magari  non 
risoluto,  ma  che  tuttavia  non  può  mai  essere  assunto 
come  centro  della  ricerca.  Nello  spirito  della  filosofia 
moderna,  trascendenza  vuol  dire  —  soggettivamen¬ 
te —  pigrizia,  stanchezza,  insoddisfazione:  momenti 
spirituali  che  tutti  attraversiamo  continuamente,  ma 
con  l’ansia  di  liberarcene,  e  che  ad  ogni  modo  non 
oseremmo  elevare  a  simbolo  della  nostra  operosità. 
Il  distacco  tra  gli  scolastici  e  noi  sta  quindi  non 
tanto  nell’affermazione  e  nella  negazione  (che  potreb¬ 
bero  anche  essere  equivalenti)  di  un  dato  oggetto, 
quanto  nell'indirizzo,  nel  significato  del  rispettivo 
lavoro.  Ma,  preso  appunto  in  questo  senso,  l’imma¬ 
nentismo  è  invincibile,  perché  assume  come  propria 
forza  la  forza  stessa  dell’uomo,  e  non  indulge  alla 
sua  miseria  e  alla  sua  pigrizia,  o  almeno  le  considera 
come  pause  necessarie  e  transitorie,  nello  spiega¬ 
mento  della  personalità  umana.  La  neo-scolastica, 
pretendendo  di  rimontare  questa  corrente,  finirà  con 
Tesserne  travolta. 

L’operosità  della  Rivista  di  filosofia  neo-scola¬ 
stica  si  è  svolta  ininterrottamente  durante  la  guerra 
con  quella  serietà  e  con  quel  decoro  che  era  lecito 
attendersi  da  studiosi  severi.  Recensioni  accurate. 


480 


APPENDICE 


ampie  discussioni,  aperte  al  pubblico  con  spirito 
veramente  liberale,  e  che,  anche  quando  si  svolgono 
sopra  temi  oltrepassati,  rivelano  sempre  un  amore 
sincero  della  verità;  utili  informazioni  sul  movimento 
generale  della  cultura,  formano  il  pregio,  mai  smen¬ 
tito,  della  rivista.  Ultimamente  essa  ha  voluto  anche 
cimentarsi  con  la  fdosofìa  del  Gentile;  ma  il  La  Rosa 
e  il  Borrello  che  hanno  assunto  un  tal  compito  erano 
meno  agguerriti  del  Chiocchetti  ed  hanno  appena 
sfiorato  il  tema  senza  imprimervi  nessuna  nota  perso¬ 
nale.  La  lizza  è  tutt’ora  aperta;  e  non  può  sottrarsi 
al  rischio  qualche  spirito  battagliero,  perché  la  filo¬ 
sofìa  del  Gentile  rivela,  assai  più  di  quella  del  Croce, 
un’ispirazione  teologica,  e  quindi  più  direttamente 
è  alle  prese  con  l’intuizione  scolastica  del  mondo. 

Segno  molto  notevole  dell’orientamento  della 
neo  scolastica  verso  i  problemi  dell’idealismo  con¬ 
temporaneo,  è  il  programma  con  cui  il  Gemelli  ha 
aperto  l’annata  del  1919.  Quivi  si  dividono  netta¬ 
mente  due  periodi  :  «  Quando  la  neo-scolastica  si  è 
alfermata  a  Lovanio,  nel  periodo  d’oro  dell’attività 
del  card.  Mercier,  essa  si  trovò  di  fronte  ad  un  com¬ 
pito  ben  differente  dal  compito  che  attende  noi.  Era 
quello  il  periodo  del  trionfo  del  monismo  materia- 
lista,  positivista;  i  progressi  della  scienza  avevano 
fatto  nascere  lo  scientismo;  la  fdosofìa  negava  tutto 
ciò  che  non  era  fatto,  per  ridurre  tutto  alla  materia 
o  all’energia.  E  la  neo-scolastica  ebbe  il  merito  di 
aver  combattuto  efficacemente  il  positivismo,  rivendi¬ 
cando  la  discontinuità  del  reale  e  la  concezione  dua¬ 
listica  del  mondo...  Ma  le  esigenze  dei  nuovi  tempi 
hanno  creato  nuovi  problemi.  Non  è  più  il  monismo 
positivista  che  impera,  bensì  l’idealismo;  non  sono  i 
problemi  della  scienza  che  preoccupano,  bensì  quelli 
dello  spirito.  Non  si  tratta  più  di  discutere  l’origine 


APPENDICE 


481 


del  mondo,  deH’uomo,  della  natura  dell’uomo,  ecc., 
bensì  di  rivendicare  alla  mente  umana  la  capacità  di 
conoscere  ia  realtà,  di  ricercare  e  determinare  l’orga¬ 
nicità  del  reale  in  un  tutto  e  di  illustrare  come  la 
mente  umana  lo  conosce;  si  tratta  di  rivendicare  la 
capacità  della  mente  umana  a  risalire  a  Dio,  ecc.  ecc.; 
in  una  parola,  si  tratta  di  difendere  il  nostro  duali¬ 
smo  contro  il  monismo  idealista  ». 

E  nel  numero  seguente  della  rivista,  l’Olgiati  in¬ 
tegra  il  programma  del  Gemelli,  spiegando  che  il 
compito  nuovo  della  scuola  sta  non  soltanto  nel  com¬ 
battere  l’idealismo  contemporaneo,  in  quel  che  con¬ 
trasta  alle  aspirazioni  della  vita  retigiosa,  ma  anche 
di  accoglierne  quanto  è  possibile  lo  spirito,  comple¬ 
tando  il  vecchio  metodo  dell’astrazione  con  un  pro- 
ce.sso  sintetico,  aderente  all’organicità  del  reale.  In 
una  parola,  a  differenza  di  altri  paesi,  la  neo-scola¬ 
stica  italiana  afferma  vivo  e  profondo  il  senso  della 
storicità. 

Siamo  dunque  all’inizio  di  un  rinnovamento  che 
già  si  preannunzia  movimentato  e  pieno  di  contrasti. 
Pur  non  nutrendo  liducia  in  una  innovazione  della 
scolastica  come  tale,  abbiamo  fiducia  negli  uomini 
e  nella  forza  rinnovatrice  del  pensiero. 


2.  Gli  studi  stoiuci  e  soci.ali.  —  La  storia  della 
storiografìa  in  Itaiia  nei  secolo  XIX,  che  il  Croce  va 
pubblicando  nella  Critica  dal  1915,  offre  allo  sto¬ 
rico  della  filosofia  contemporanea  un  nuovo  e  ricco 
materiale  d’indagine.  Quell’identità  di  filosofia  e 
di  storia,  che  l’idealismo  afferma  come  la  sua  più 
alta  conquista  mentale  (o  che  almeno  è  la  sua  più 
intensa  aspirazione)  si  traduce  in  pratica  in  una 
concezione  dello  sviluppo  della  storiografia  che  coin- 


G.  DE  Rugoiebo,  La  filosofia  contemporanea. 


31 


482 


APPENDICE 


cide  perfettamente  con  quello  della  filosofia,  ed  anzi 
si  svela  un  momento  inseparabile  di  essa.  All’opera 
del  Croce  io  attingerò,  dunque,  i  pochi  dati  neces¬ 
sari  per  integrare  il  mio  sommario  storico  *. 

L’avvento  del  positivismo  in  Italia,  nella  seconda 
metà  del  secolo  XIX,  significò  uno  strano  miscuglio 
di  storia  e  d’antistoria,  di  esaltazione  dei  fatti  e  di 
passiva  accettazione  di  residui  teologici.  L’ultima 
storiografia  idealistica —■  la  scuola  neo-guelfa  —  si 
era  spenta,  coinvolta  nella  generale  catastrofe  del 
pensiero  nazionale  del  ’48;  ma  la  consuetudine  stessa 
dei  suoi  problemi  e  delle  sue  idealità  si  tramandava 
agli  araldi  dei  nuovi  indirizzi.  Il  Ferrari,  che  sotto 
molti  aspetti  è  un  precursore  del  positivismo  storico, 
o  almeno  un  anello  di  congiunzione  tra  il  guelflsmo  e 
il  positivismo,  nella  Histoire  des  révolutions  d’Italie, 
svolgeva,  sul  piano  stesso  della  mentalità  cattolica,  le 
sue  negazioni  e  le  sue  antitesi.  Al  concetto  della 
Provvidenza  come  forza  dinamica  della  storia,  egli 
sostituiva  il  concetto  della  fatalità  e  si  raffigurava 
il  corso  degli  avvenimenti  umani  come  sospinto  da 
<  fatali  antipatie  »,  naturali  e  invincibili  come  tutte 
le  diadi  dei  sistemi  teologici.  Ma  la  divinità  era  as¬ 
sente,  all’inizio  e  alla  fine  del  processo,  il  quale  si 
svolgeva,  cosi,  come  una  deduzione  senza  significato 
e  senza  meta  di  due  sistemi  politici,  il  guelfo  e  il 
ghibellino,  nelle  loro  innumerevoli  sottoforme,  che 
si  rincorrevano  e  s’incalzavano  perennemente  lungo 
la  storia  d'Italia.  E  al  guelflsmo  egli  toglieva  l’idea 
federalistica  per  contrapporvi  l’idea  unitaria  e  fon¬ 
derle  insieme  in  un  dialettismo  che  aveva  come  pre- 


1  Per  cortese  concessione  del  C..  ho  potuto  leggere  in  ma¬ 
noscritto  le  puntate  ancora  inedite  della  sua  Storia,  che  sono 
le  più  importanti,  perché  da  esse  sUndividuano  Tintero  piano 
deli’opera  e  la  linea  di  sviluppo  della  storiografia  italiana. 


APPENDICE 


483 


gio  maggiore  l’attualità  dell’ispirazione,  in  un  tempo 
(1857)  io  cui  il  pensiero  storico-politico  gravita\a 

tutto  intorno  a  quelle  idee. 

Compiutasi  l’unità  italiana  e  spentasi  la  passione 
politica,  la  storia  si  andò  gradatamente  distaccando 
anch’essa  dalla  vita,  per  divenire  una  scienza  nel 
significato  cattedratico  e  impersonale  della  parola. 
I/età  del  positivismo  è  caratterizzata,  negli  studi 
storici  come  generalmente  in  quelli  lìlosofici,  da  due 
tendenze  oppo.ste,  e  tuttavia  identiche  nella  stessa 
opposizione.  Da  una  parte  si  volle  iniziare  l’esame 
particolareggiato,  minuto,  dei  nudi  fatti,  ripudiando 
ogni  soccorso  delle  idee  ed  ogni  contatto  degl’inte¬ 
ressi  immediati  della  politica;  dall’altra  il  pensiero, 
invano  mortilicato  e  disconosciuto,  si  sbizzarrì  in  co¬ 
struzioni  fantastiche,  creando  la  teologia  e  l’idolatria 
dei  fatti,  e  scambiando  con  questi  le  più  vuote  e 
astratte  chimere.  Il  Marselli,  nella  sua  Scienza  della 
storia  (1873),  ricalcava  le  orme  comtiane  distin¬ 
guendo  una  fase  teologica,  una  fase  metafisica  e  una 
ultima  fase  scientifica  della  storia,  e,  armato  di  que¬ 
sta  triade,  a  .sua  volta  poco  scientifica  e  positiva, 
costruiva  a  priori  le  varie  fasi  della  storiografia.  Altri 
scrittori,  invece,  pure  rifuggendo  da  siflatti  assunti 
troppo  palesemente  teologici,  insinuavano  timida¬ 
mente  la  loro  rillessioiie  tra  gli  avvenimenti,  e  per 
incapacità  di  compenetrarla  in  essi,  astrattamente 
giudicavano,  condannavano  o  assolvevano,  in  nome 
di  principi  umanitari,  morali  e  cattolici,  sventolati 
a  guisa  di  bandiera  sulla  grigia  trama  delle  loro 
nude  narrazioni. 

I  temi  storici  che  nell’età  precedente  della  passio¬ 
nalità  politica,  neoguelfa  o  neoghibellina,  unitaria  o 
federalista,  erano  nettamente  scelti  e  circoscritti  nel- 
l'àmbito  degl’interessi  immediati,  furono  qui  invece 


484 


APPENDICE 


i  i)iù  disparati  e  caotici.  Null’altro  infatti  spingeva  i 
nuovi  ricercatori  alle  loro  indagini,  fuori  della  cu¬ 
riosità  letteraria  ed  inedita,  del  gusto  di  sperimen¬ 
tare  e  di  mettere  in  mostra  le  abitudini  e  le  virtuo¬ 
sità  fdologiche,  elevate  a  criterio  e  a  misura  della 
valutazione  mentale.  Dissodare  quanti  più  campi 
fosse  possibile,  a  preferenza  i  più  incolti,  anche  se 
promettenti  un  rendimento  assai  scarso,  era  l’ideale 
di  quei  manovali  del  pensiero.  Eppure,  malgrado  le 
molte  aberrazioni  ed  inconcludenze,  cui  dava  luogo 
il  puro  fllologismo,  una  esigenza  ben  solida  era  pre¬ 
sente  al  lavoro  della  nuova  generazione  di  storici; 
quella  stessa  che  faceva  del  positivismo  filosofico, 
malgrado  la  sua  patente  inferiorità  di  cultura  e  di 
preparazione  rispetto  ad  altri  indirizzi  contempo¬ 
ranei,  qualcosa  di  nuovo  ed  originale,  un  elemento 
di  rinnovazione  e  di  progresso  degli  studi  fìlosolìci. 
E  cioè  l’esigenza  immanentistica  del  pensiero,  la 
tendenza  a  non  trascendere  il  dato,  ma  a  spiegarlo 
coi  suoi  .stessi  mezzi;  un’esigenza  e  una  tendenza, 
che,  liberate  dalla  grossolana  scorie  positivistica,  get¬ 
tavano  all’avvenire  il  germe  di  una  più  alta  filosotia, 
e  che  ad  ogni  modo,  pur  con  quella  veste,  rappre¬ 
sentavano  già  una  decisiva  istanza  contro  l’astrat¬ 
tismo  e  l’arbitrio  delle  costruzioni  metafìsiche  del 
tempo.  Come  bene  osserva  il  Croce,  le  minute  re¬ 
gole  della  filologia,  i  divieti  di  accostarsi  a  un  tema 
storico  senza  conoscere  la  «  letteratura  dell’argo¬ 
mento  »,  nient’altro  erano  che  «  la  traduzione  in  ca¬ 
none  empirico  della  storicità  del  pensiero  e  di  ogni 
forma  di  attività,  che,  tanto  più  è  veramente  origi¬ 
nale,  libera  ed  individuale,  quanto  più  si  congiunge 
con  l’opera  altrui  e  con  l’opera  del  passato  ». 

I  fautori  del  fllologismo,  i  cosi  detti  «  puri  storici  » 
vengono  dal  Croce  distinti  in  due  generazioni,  con 


appendice 


486 


un  criterio  non  solamente  cronologico,  ma  anche 
ideale.  La  prima  generazione  è  quella  dei  convertiti 
al  metodo  filologico:  scrittori  cioè  che  avevano  già 
militato  sotto  altre  bandiere  e  che  importavano, 
spesso  loro  malgrado,  nella  nuova  scuola  il  senso 
dei  grandi  problemi  sorti  dall’educazione  filosofica 
precedente. 

Cosi  il  Villari,  il  Malfatti,  il  De  Leva,  il  Compa- 
retti.  riuscivano  a  mitigare  l’aridità  del  puro  positi¬ 
vismo  storico,  agguerriti  com’erano  di  una  cultura 
più  ricca  e  complessa,  alla  quale  il  professato  reali¬ 
smo  filologico  dava  un  senso  nuovo  di  concretezza 
e  di  attualità.  Ma  la  seconda  generazione  dei  puri 
storici  nasce  in  un  ambiente  diverso,  e  precisamente 
in  quello  delle  scuole  filologiche  fondate  dalla  gene¬ 
razione  precedente.  Più  epurata  di  ogni  estraneo  in¬ 
flusso,  essa  è  anche  più  arida  e  incolore  e  svela  nella 
sua  grama  nudità  i  vizi  del  mero  fìlologismo  isolato 
da  ogni  concezione  organica  della  vita.  Cosi  dal 
De  Leva  al  suo  scolaro  Cipolla,  dal  Comparetti  al 
Graf,  dal  Malfatti  al  Crivellucci,  si  discende  per  una 
china  sempre  più  precipitosa;  e,  spogliandosi  la  sto¬ 
ria  di  ogni  criterio  immanente  di  valutazione,  ven¬ 
gono  a  disporsi  da  un  lato  i  nudi  fatti,  dall’altro, 
sovrapposti  e  quasi  incollati,  i  comenti.  Il  grigio 
moralismo  e  cattolicismo  del  Cipolla,  l’atteggiamento 
letterario  e  accademico  del  Crivellucci  e  del  Graf,  la 
riduzione  della  storia  a  sterili  negazioni  del  Pais, 
messi  in  rapporto  con  la  dotta  e  minuta  preparazione 
filologica  di  quegli  autori,  rappresentano  i  distaccati 
e  sparsi  elementi  di  una  morta  analisi  che  lavora  in 
senso  inverso  al  procedimento  sintetico  del  vero 
storicismo. 

Una  reazione  viva,  animosa,  contro  l’incolore  fl- 
lologismo  è  costituita,  negli  ultimi  decenni  del  secolo 


486 


APPENDICE 


scorso,  dall’opera  di  Alfredo  Oriani.  Questi,  nel 
campo  delle  scienze  storiche,  e  generalmente  morali  e 
politiche,  assume  un  atteggiamento  che  ha  qualche  af¬ 
finità  (fatta  la  debita  proporzione  degl’ingegni  e  della 
preparazione  scientifica)  con  quello  di  Bertrando 
Spaventa  in  filosofia,  di  fronte  aH’imperante  positi¬ 
vismo,  e  di  Francesco  De  Sanctis  nell’estetica  e  nella 
critica  letteraria,  al  cospetto  dello  stesso  nemico.  E, 
come  i  due  grandi  meridionali,  anche  lo  scrittore  ro¬ 
magnolo  è  passato  quasi  inosservato  alla  sua  genera¬ 
zione  mal  <lisposta  a  comprenderlo;  con  danno  non 
solamente  della  sua  fama,  ma  dello  stesso  sviluppo 
organico  del  suo  pensiero,  sul  quale  l’estraneità  e 
rindilTerenza  deH’ambiente  hanno  gravato  come  un 
peso  morto,  soll'ocante.  Di  qui  quella  continua  involu¬ 
zione,  quella  diseguaglianza,  quel  procedere  ansante 
ed  enfatico,  che  generalmente  si  osservano  nei  precur¬ 
sori,  in  tutti  coloro  cioè,  che  non  potendo  trovare  in 
uno  scambio  simpatico  e  intelligente  col  proprio  am¬ 
biente  il  loro  interno  equilibrio,  sono  costretti  a  un 
logorante  lavoro  di  auto-critica  e  a  un  eccessivo  di¬ 
spendio  di  energie  mentali  per  uno  scopo  negativo 
di  resistenza. 

11  pensiero  di  Oriani,  sparso  in  molti  romanzi  e 
in  libri  di  varia  letteratura,  tutti  di  forte  accentua¬ 
zione  filosofica,  è  particolarmente  sviluppato  in  due 
opere  di  maggior  lena:  La  lotta  politica  in  Italia  e  La 
rivolta  ideale.  La  prima,  contrariamente  al  titolo,  non 
è  una  descrizione  della  lotta  politica  contemporanea, 
ma  una  larga  introduzione  storica,  troppo  larga, 
forse,  come  semplice  introduzione,  poiché  s’inizia 
dalle  origini  medievali  dell’Italia  moderna.  Ma,  poi¬ 
ché  l’esame,  promesso  dall’Oriani,  della  lotta  vera  e 
propria  non  venne  mai  alla  luce,  l’introduzione  è  ri¬ 
masta  come  un  tutto  a  sé,  come  una  storia  d’Italia.  Il 


APPENDICE 


487 


lavoro  è  nettamente  distinto  in  due  parti,  molto  di¬ 
verse  per  originalità  di  vedute  e  per  solidità  di  prepa¬ 
razione.  La  prima,  che  va  dal  medio  evo  al  principio 
del  secolo  XJX,  è  allrettata  e,  in  gran  parte,  foggiata 
sullo  stampo  di  modelli  precedenti,  in  particolar  modo 
sulla  Storia  delle  rivoluzioni  d’Italia  del  Ferrari,  che 
le  fornisce  le  categorie  dell’unità  e  del  federalismo, 
sulle  quali  tutta  la  narrazione  è  arbitrariamente  tra¬ 
mata.  Si  sente  che  l’Oriani  si  muove  a  disagio  tra  quei 
temi  non  bene  assimilati,  la  cui  trattazione  gli  viene 
tuttavia  imi^osta  dal  pregiudizio  naturalistico  che  le 
origini  di  gn  movimento  storico  debbano  affondare 
nella  preistoria  e  che  quindi  una  storia  d’Italia  non 
sia  possibile  se  non  attraversando  il  medio  evo,  Roma, 
e  forse  anche  la  remotissima  età  preromana,  tanto  fa¬ 
voleggiata  dagli  scrittori  del  Settecento.  Ma  non  ap¬ 
pena  passa  dalla  preistoria  alla  vera  storia  d’Italia, 
che  s’inizia  coi  primi  fermenti  rivoluzionari  suscitati 
dai  giacobini  di  Francia,  l’Oriani  acquista  maggiore 
padronanza  del  suo  tema,  e  in  due  volumi,  ci  dà  un 
quadro  abbastanza  vasto  del  nostro  Risorgimento.  Qui 
le  idee  direttive  dell’unità  e  del  federalismo  appaiono 
meglio  appropriate  al  materiale  storico  da  esaminare, 
mentre  nella  narrazione  precedente,  applicate  ester¬ 
namente  a  una  materia  ribelle,  si  rincorrevano  con 
un  gioco  monotono  e  meccanico  di  antitesi. 

Le  esperienze  storiografiche  della  Lolla  politica 
sono  dall’Oriani  raccolte  e  tipizzate  nella  Rivolta 
ideale,  libro  dell’età  più  matura,  che  di  fronte  al 
precedente  spazia  in  un  orizzonte  più  vasto;  ma, 
non  tramato  sopra  un  racconto  storico  particolareg¬ 
giato,  riesce  più  astratto  e  monotono.  Quivi  la  storia 
è  afl'ermata  come  la  biografia  dell’umanità,  ancora 
giovane  dopo  tanti  millenni,  ma  non  ancora  arrivata 
alla  pienezza  di  una  coscienza  mondiale.  Il  primo 


488 


APPENDICE 


Si-colo  che  più  si  avvicina  a  questa  meta  è  il  XIX,  che 
«  fu  il  secolo  dcH’indiviiiualità  e  diventò  quindi  il 
più  mondiale  di  tutti,  quello  che  doveva  davvero 
ini^^iare  la  grande  epoca  della  storia  universale  >  *. 
Individualismo  e  universalismo  fanno  centro  in  Eu¬ 
ropa,  donde  s’irradia  la  nuova  storia  del  mondo; 
tutte  le  conquiste  della  civiltà  estraeuropea  sono  in¬ 
fatti  europee  nello  spirito  e  nell’impulso;  l’Africa 
particolarmente  è  il  supremo  sforzo  e  il  massimo 
rispltato  della  storia  europea  nel  secolo  XIX.  Questo 
non  porterà  nome  di  uomo  o  di  popolo,  perché  le 
massime  creazioni  sono  anonime:  «  il  genio  può  rias¬ 
sumere  l’incoscienza  di  un  popolo,  non  dare  la  pro¬ 
pria  fisonomia  alla  sua  coscienza  ». 

Il  suo  carattere  ideale  è  chiuso  tra  due  fdosofle, 
che  rappresentano  il  suo  trionfo  e  la  sua  degrada¬ 
zione:  «Dopo  Tenorrae  abbacinante  filosofia  di  He¬ 
gel,  che  riassunse  tutta  l’antichità  e  aperse  l’era  mo¬ 
derna,  la  degradazione  fu  precipitosa;  Hegel  aveva 
sollevato  il  mondo  nelle  idee,  i  positivisti  distrus¬ 
sero  le  idee  nei  fatti;  la  loro  filosofia  era  la  sola  con¬ 
veniente  a  una  fase  industriale,  che  isolava  gl’indi¬ 
vidui  livellandoli  invece  di  unificarli;  l’inconoscibile, 
del  quale  l’interpretazione  istintiva  è  ideale  e  pregio 
della  vita,  venne  dichiarato  inutile,  la  storia  cessò 
di  chiedere  le  rivelazioni  del  passato  ai  grandi  pen¬ 
sieri  per  impararle  dalla  parzialità  dei  piccoli  docu¬ 
menti,  le  leggi  non  furono  che  disposizioni  nelle 
apparenze  fenomeniche,  la  morale  un  mutare  di  co¬ 
stumi,  le  idee  una  metamorfosi  delle  sensazioni.  La 
superlicialità  rese  tutto  facile,  e  la  volgarità  parve 
la  sicurezza  del  reale.  L’uomo,  senza  lo  spasimo  del¬ 
l’infinito  nel  cuore  e  la  luce  divina  nel  pensiero. 


I  La  Hiuolta  ideale^  ed.  Laterza,  p.  19. 


appendice 


489 


ritliscese  neiranimalità,  ultimogenito  di  una  serie, 
anziché  primogenito  della  creazione  >  ‘ 

Contro  questa  degradazione  positivistica  o  indu¬ 
striale,  che  annulla  le  grandi  conquiste  ideali  dello 
spirito,  e  si  riassume  nell’individualità  nuda  e  ato¬ 
mistica  e  neH'umanità  identica  e  vuota,  e  abbassa  la 
coscienza  all’inconscio,  la  responsabilità  all’eredità 
del  passato,  la  creazione  all’associazione,  l’Oriani, 
echeggiando  alcuni  concetti  dell’idealismo,  si  affer- 
ina  fautore  di  un  superiore  individualismo,  in  cui  fa 
consistere  l’originalità  del  pensiero  nio-derno.  Ed 
enuncia  il  principio  che  l’individuo  non  è  tale  che 
nell’unità  delle  proprie  antitesi:  sopprimete  in  lui 
il  temperamento  della  razza,  il  carattere  della  nazio¬ 
ne,  la  lìsonomia  della  famiglia,  e  la  sua  originalità 
si  annebbia.  Ma  l’individualità  vera  non  è  quella 
che  si  allerma  nell’isolamento  ;  la  grandezza  del- 
rindivi'duo  si  misura  dalla  quantità  delle  anime  che 
può  assorbire  e  significare:  nessun  individuo  ha 
niente  da  dire  finché  parla  di  sé  stesso.  E  l’inclu¬ 
sione,  in  esso,  di  un  più  vasto  mondo,  crea  la  sua 
responsabilità  storica,  momento  negativo  essenziale 
di  quella  liberazione  e  sublimazione  del  mondo,  che 
si  compie  nell’alTermazione  piena  di  sé  stesso.  L’in¬ 
dividuo  è  la  storicità  vivente:  «bisogna  affermare, 
esclama  l’Oriani,  che  tutto  quanto  forma  il  nostro 
spirito  è  un  legato  della  storia  per  le  generazioni 
future,  quindi  il  nostro  interesse  nel  presente  sol¬ 
tanto  un’eco  del  passato,  che  ridiventerà  voce  ncl- 
l’avvenire.  Ogni  cooperazione  umana  aumenta  di  re¬ 
sponsabilità  crescendo  d’importanza,  giacché  la  su¬ 
periorità  non  è  che  il  diritto  di  soffrire  più  in  alto, 
pensando  per  quelli  che  non  pensano,  amando  per 


>  Op.  cit.,  p.  59. 


490 


APPENDICE 


quelli  che  non  amano,  lavorando  per  quelli  che  non 
possono»  E  questa  sublimazione  deH’uinanità  nel- 
rindividuo,  forma  la  sua  libertà  concreta,  libera¬ 
trice,  che  non  discorda  dalla  necessità,  ma  ne  è  la 
coscienza  immanente. 

L’affermazione  di  essa  si  compie  attraverso  i  gradi 
necessari  della  progressiva  complicazione  della  vita 
umana;  la  famiglia,  la  nazione,  lo  stato,  l’umanità; 
cioè  attraverso  le  successive  negazioni  della  sogget¬ 
tività,  che  si  riconquista,  integra,  solo  al  termine 
del  laborioso  pellegrinaggio.  Quindi  nella  famiglia 
gli  sposi  debbono  sparire  nei  genitori  sacrificandosi 
alla  devozione  dei  figli;  quindi  nella  società  gl’inte- 
re.ssi  individuali  saranno  sempre  subordinati  a  quelli 
<li  gruppo:  il  progresso  spirituale  si  affermerà  ac¬ 
cettando  tale  necessità  invece  di  subirla.  Giova  tut¬ 
tavia  sperare  che  le  scienze  possano  mutare  i  modi 
ilell’industrialismo,  rendendo  la  personalità  all’ope¬ 
raio  nel  lavoro:  fino  a  quel  giorno  l’irreggimenta- 
zione  dovrà  durare,  e  la  coscienza  della  libertà  sof¬ 
frire  in  tale  contradizione.  E  di  fronte  allo  Stato, 
la  libertà  dovrà  assumere  l’autorità  come  sua  legge;  » 

e  di  fronte  al  governo,  le  moltitudini,  emancipate  ^ 

prima  di  essere  libere,  hanno  bisogno  di  vedere  in 
un’aristocrazia  morale  ed  intellettuale  la  figurazione 
della  propria  vita  per  intenderla:  non  più  certa¬ 
mente  nelle  vecchie  aristocrazie  di  casta,  per  sempre 
tramontate,  ma  in  quelle  che  traggono  vita  dall’ec-  a 

cedenza  degl'individui.  Solamente  in  queste  nega-  % 

zioni,  l'individualità,  vaga  al  principio,  acquista 
una  fìsonomia  distinta  e  si  libera  trasfigurando  nella 
.spontaneità  della  coscienza  la  necessità  delle  leggi 
che  regolano  la  vita  umana. 


1  Op.  cil.,  p.  86. 


APPENDICE 


491 


Questo  criterio  filosofico  guida  l’Oriani  nel  suo 
lungo  ercursiis  aitraverso  le  forine  e  le  figurazioni 
principali  della  realtà  storica  contemporanea;  spesso 
egli  trova  accenti  profondi  e  propri,  chiedendo 
alla  rivelazione  della  poesia  quei  che  la  sua  ondeg¬ 
giante  filosofia  non  sa  spiegargli;  ma  talvolta,  pur¬ 
troppo,  dove  la  poesia  non  lo  soccorre,  egli  sup¬ 
plisce  con  l’enfasi  oratoria,  che  guasta  molte,  troppe 
pagine  dei  suoi  libri.  .\  suscitare  una  crisi  nella 
mentalità  positivistica  della  storiografia  del  suo 
tempo,  le  forze  dell’Oriani  erano  inadeguate;  e  del 
resto  bisognava  che  la  crisi  del  positivismo  comin¬ 
ciasse  a  maturare  da  sé. 

Nell’esaminare  il  pensiero  contemporaneo  ab¬ 
biamo  già  mostrato  che  i  nuovi  spunti  idealistici 
procedono  dalle  prime  discussioni  critiche  sui  dati 
immediati  della  coscienza,  cioè  dal  positivismo  stesso 
in  quanto  si  converte  gradualmente  in  una  forma 
ipercritica  di  empirismo.  Solo  attraverso  questa  im¬ 
manente  e  spontanea  esigenza  spirituale  ha  potuto 
innestarsi  la  nuova  speculazione  idealistica.  Un 
identico  processo  noi  osserviamo  nel  campo  delle 
scienze  storiche.  Anche  qui  una  coscienza  veramente 
filosofica  non  poteva  maturare  che  nella  crisi  del 
niologismo  vuoto  di  pensiero  e  del  positivismo  so¬ 
ciologico,  dalla  rivendicazione  spirituale  dei  dati 
immediati  dell’esperienza  storica:  i  fattori  econo¬ 
mici.  La  cosi  detta  scuola  del  materialismo  storico, 
assumendo  l’economia  come  criterio  immanente  della 
interpretazione  dei  fatti,  ha  esercitato  una  funzione 
affine  a  quella  delle  scuole  empiristiche  e  intuizio¬ 
nistiche,  rinnovatrici  della  nostra  cultura  filosofica. 
L’economia  non  è  stata  per  essa  una  bruta  mate¬ 
rialità  negatrice  di  ogni  autonomia  spirituale,  ma 
le  si  è  svelata  come  una  forma  elementare  e  primaria 


492 


APPENDICE 


di  vita  psichica,  capace  d’imprimere  il  proprio  ca¬ 
rattere  in  tutte  le  altre  forme.  Noi  già  abbiamo  os¬ 
servato,  nell’esame  del  marxismo,  il  potente  ac¬ 
cento  d’idealità  con  cui  esso  eleva  il  significato 
della  lotta  sociale;  lo  stesso  marxismo,  come  canone 
storiografico,  vivifica  la  storiografia  mo<lerna.  sot¬ 
traendola  alle  influenze  della  letteratura  e  chiaman¬ 
dola  all’attualità  degl’interessi  più  vitali  della  so¬ 
cietà  contemporanea. 

Tutti  i  fautori  del  materialismo  storico,  dal  La¬ 
briola  che  e  il  teorico  <lella  scuola,  al  Ciccotti,  al 
Salvemini,  ul  Volpe,  hanno  un  accento  reali.stico,  un 
senso  della  concretezza  dell’intuizione  storica,  che 
molto  contrastano  con  l’astrattismo  dei  sociologi  e 
con  la  minuta  e  vuota  pedanteria  dei  filologi;  gli  ul¬ 
timi  scrittori  citati  sono  i  rappresentanti  migliori  di 
una  più  moderna  scuola  che  col  nome  di  economico- 
giuridica  si  distacca  alquanto  dal  materialismo  sto¬ 
rico  in  cerca  di  una  visione  .storica  più  comprensiva. 

Il  campo  dove  più  particolarmente  convergono  le 
indagini  <lel  nuovo  indirizzo  è  la  vita  dei  comuni, 
còlta  alle  sue  origini.  Ma.  come  osserva  il  Volpe, 
l’interesse  della  ricerca  è  molto  diverso  da  quello 
che  moveva  i  ricercatori  del  secolo  XJX,  che  nel  mu¬ 
nicipio  antico  vedevano  la  prima  pietra  del  comune 
italiano:  teorie  che  però  hanno  valore  per  la  storia 
di  quel  secolo,  costituendo  documenti  preziosi  di 
quelle  borghesie  nazionali,  che  allora  lottavano  per 
rivendicare  a  sé  stesse  il  proprio  passato,  per  crearsi 
una  patria  e  animarla  col  soffio  delle  memorie  *. 
Oggi  invece  nel  comune  si  guarda  il  primo  fermento 
di  una  vita  economica  che  si  rinnova  e  che  già  pre¬ 
para  il  rinascimento  e  il  mondo  moderno;  e  nelle 

»  G.  Volpe,  Questioni  fondnmeniaii  sulVorigine  e  svolgi- 
mento  dei  comuni  italiani,  Pisa,  1904,  p.  13. 


APPENDICE 


493 


lolle  Ira  guelfi  e  ghibellini  si  rifugge  ‘  dal  ricono¬ 
scere  un  episodio  slereolipo  del  secolare  duello  Ira 
l’iiiipero  e  il  papalo,  cercandosi  invece  d’individuare 
i  veri  inleressi  in  conllillo.  Per  il  Volpe,  la  sloria 
dei  comuni  è  sloria  del  progressivo  dilferenziamenlo 
del  primilivo  embrione  comunale;  differenziamento 
che  è  insieme  coordinazione  e  allacciamento  delle 
singole  unità  ^  In  contrasto  con  l’individualismo 
feudale,  l’età  del  Comune,  età  del  progresso  sociale, 
deH’organaraento  serrato,  delle  alleanze  continue  tra 
città  e  città,  comincia  a  darci  l’c  uomo  »,  che  ha 
valore  in  sé  e  per  sé,  nella  teoria  filbsofica  e  nella 
pratica,  l’c  uomo  »,  come  coscienza  e  come  artefice 
di  storia,  quello  che  è  soggetto  e  oggetto  della  cul¬ 
tura  del  Rinascimento,  nell’Umanesimo 

Questi  son  primi  tentativi  di  un  ripensamento 
della  storia  secondo  categorie  mentali,  in  contrasto 
con  le  collezioni  di  fatti  ed  arguzie  erudite  di  cui  si 
appagava  la  generazione  precedente.  Certo,  ad  elTet- 
tuare  un  rinnovamento  profondo  degli  studi  storici, 
la  preparazione  filosofica  dei  nostri  storiografi  è  an¬ 
cora  inadeguata;  ma  sopravviene  opportuno,  in  loro 
soccorso,  l’odierno  indirizzo  storicistico  della  filoso¬ 
fia  italiana  e  l’esempio  vivo  della  più  recente  operosità 
del  Croce.  Cosi  comincia  a  entrare  nello  spirito  del¬ 
l’educazione  moderna  il  convincimento  che  una  seria 
cultura  storica  non  è  dissociabile  da  una  seria  pre¬ 
parazione  filosofica  e  che  gli  elementi  della  sintesi 
vichiana  di  filosofia  e  filologia  non  possono,  senza 
reciproco  sterilimento,  vivere  isolali.  Gli  storici, 
memori  delle  loro  più  alte  tradizioni,  sono  naturai- 

1  Salvemini.  Magnati  e  popolani  in  Firenze,  ecc.,  Firenze. 
1899. 

3  G.  Volpe.  Studi  sulle  istituzioni  comunali  a  Pisa,  Pisa, 
1902,  p.  423. 

*  G.  Volpe,  Questioni,  ecc.,  p.  35. 


494 


APPENDICE 


mente  i  primi  a  riconoscere  la  necessità  di  formare 
filosoficamente  la  propria  mentalità;  ma  questa  esi¬ 
genza  non  tocca  essi  Esclusivamente,  bensì  vale,  in 
genere,  per  i  cultori  di  tutte  le  discipline,  ciascuna 
delle  quali  lavora  sopra  un  contenuto  profondamente 
storicizzato,  ed  è  in  contatto  coi  fatti,  solo  in  quanto 
è  in  contatto  con  la  mentalità  storica  che  li  possiede 
e  li  realizza.  L’educazione  filosofica  che  oggi  si  ri¬ 
chiede  in  ogni  studioso,  non  è  più  quella  che,  se¬ 
condo  il  costume  positivistico,  doveva  amalgamare  i 
risultati  ultimi  delle  diverse  scienze,  ma  quella  che 
invece  si  atlua,  in  profondità,  anche  neH’àmbito  di 
ciascuna  scienza  particolare,  compenetrando  di  pen¬ 
siero  l’oggetto  della  ricerca  e  vincendone  la  resi¬ 
stenza  e  la  passività  nella  luce  della  coscienza. 

Noi  osserveremo  tra  breve  come  questa  esigenza 
si  vada  gradualmente  appagando  nelle  singole  disci¬ 
pline;  ma  v’è  un’opposta  tendenza  che  vi  contrasta, 
e  che  fa  capo  all’indirizzo  sociologico  ancora  rigo- 
glio.so.  Le  scienze  sociali,  quelle  che  meglio  di  tutte 
si  presterebbero  ad  una  elaborazione  storico-filoso¬ 
fica  — -  se  non  altro  perché  ad  esse,  prima  che  alle 
scienze  ilella  natura,  il  pensiero  ha  applicato  la 
grande  massima  che  l’uomo  conosce  ciò  ch’è  opera 
sua — ^  sono  ancora  alla  loro  fase  astrattamente  socio¬ 
logica  e  positivistica.  Senza  fermarmi  alla  pleiade 
degli  scrittori  minori,  io  mi  limito  a  richiamare  l’at- 
lenzione  suH’esempio  più  cospicuo  e  recente  di  un 
uomo  che  generalmente  si  apprezza  in  Italia  come 
un  grande  maestro,  voglio  dire  di  Vilfredo  Pareto, 
lo  ho  letto  il  suo  Trattalo  di  Socioloffia  generale  ‘ 
con  un  senso  di  grande  mestizia,  osservando  come 
uno  scrittore  di  cosi  grande  erudizione  storica,  di- 


»  Due  volumi  in  4o,  di  quasi  1700  pagine  (Firenze,  1916). 


APPENDICE 


495 


cosi  acuto  senso  politico  e  <Ii  cosi  simpatica  austerità 
scientilica,  sia  riuscito  a  vanificare  le  sue  eminenti 
qualità  in  un'opera  astrattamente  e  meccanicamente 
congegnata.  La  fobia  filosofica  che  traspare  in  ogni 
linea  (e  diventa  quasi  una  mania  di  persecuzione),  il 
pregiudizio  che  le  azioni  umane  possano  tagliarsi  a 
fette  e  catalogarsi  come  qualunque  merce,  la  cieca 
(iducia  nella  capacità  delle  matematiche  alle  più  ete¬ 
rogenee  applicazioni,  hanno  prodotto  la  Sociologia 
del  Pareto. 

L’atteggiamento  dell’autore  è  multo  analogo  a 
quello  dei  critici  ilella  scienza  (Poincaré,  Mach,  ecc.), 
aborrenti  da  ogni  ricerca  delle  essenze  e  usi  a  con¬ 
siderare  il  procedimento  scientifico  come  un  com¬ 
plesso  di  finzioni  utili.  Egli  va  anche  più  oltre: 
«  Ricerchiamo,  dice,  le  uniformità  che  presentano  i 
fatti,  alle  quali  uniformità  diamo  altresì  il  nome 
di  leggi;  ma  i  fatti  non  sono  sottomessi  alle  leggi, 
bensì  le  leggi  ai  fatti  >  '.  £  il  solito  pregiudizio  lo¬ 
gico-formale,  che  svaluta  il  pensiero  nell’atto  stesso 
in  cui  intraprende  la  sua  ricerca,  abbassando  le  leggi 
al  di  sotto  della  massa  caotica  dei  fatti.  E  il  Pareto, 
non  certamente  a  sua  lode,  ci  dà  un’applicazione 
esatta  del  suo  principio,  con  l’addensare  prodigiose 
masse  di  esempi  e  con  lo  svuotarle  in  pretese  leggi 
ed  insignificanti  uniformità,  che  rappresentano  il 
residuo  di  una  morta  astrazione.  Egli  vuole  classifi¬ 
care  le  azioni  umane  secondo  i  principi  della  clas¬ 
sificazione  detta  naturale  in  botanica  e  in  zoologia; 
anzi,  neppure  le  azioni  concrete  formano  oggetto 
della  sua  elaborazione,  ma  gli  elementi  di  quelle 
azioni;  «Del  pari  (sic)  il  chimico  classifica  i  corpi 
semplici  e  le  loro  combinazioni,  e  in  natura  si  tro- 


>  Op.  et'/.,  p.  64. 


496 


APPENDICE 


« 


vano  mescolanze  di  tali  combinazioni.  Le  azioni 
concrete  sono  sintetiche;  esse  hanno  origine  da  me¬ 
scolanze  (!),  in  proporzioni  variabili  (!!),  <legli  ele¬ 
menti  che  dobbiamo  classiTicare  »  Ecco  la  mode¬ 
stia  del  botanico  sociologico:  prima  ci  afferma  che 
le  sue  scomposizioni  sono  artificiali  e  fittizie,  poi  a 
forza  di  operarle,  finisce  per  convincersi  che  real¬ 
mente  le  azioni  umane  sono  complessi  atomistici  dei 
suoi  ingredienti  da  laboratorio.  Grattate  un  po’  il 
suo  pomposo  criticismo,  e  vi  troverete  sotto  il  più 
ingenuo  e  fanciullesco  materialismo! 

Continuando,  egli  ci  presenta  la  prima  partizione 
generale  delle  azioni,  in  azioni  logiche,  «  che  uni¬ 
scono  logicamente  le  azioni  al  fine,  non  solo  rispetto 
al  soggetto  che  compie  le  azioni,  ma  anche  rispetto 
a  coloro  che  hanno  cognizioni  più  estese»,  e  in 
azioni  non  logiche,  nelle  quali  il  nesso  è  soltanto 
immaginato  ma  è  privo  di  valore  aggettivo.  E  giù, 
in  base  a  una  distinzione  tanto  impalpabile,  quadri 
sinottici,  grallci,  complicazioni  di  sottoclassi  e  sotto¬ 
specie;  giù  caterve  di  esempi,  per  centinaia  di  pa¬ 
gine  filate.  Una  ulteriore  classificazione  che  s’intrec¬ 
cia  con  la  precedente  è  quella  che  distingue,  al 
seguito  delle  azioni,  le  teorie  e  le  opinioni  in  residui, 
che  compendiano  sentimenti  e  istinti  meno  soggetti 
a  variazioni,  e  in  derivazioni,  che  rappresentano  le 
elaborazioni  logiche,  le  spiegazioni  e  deduzioni  degli 
elementi  primordiali  Noi  non  c’indugeremo  a 
lungo  su  quest’arte  tulliana;  ci  basti  dire  che  il 
costrutto  che  il  Pareto  vuol  ricavare  da  questo  ar¬ 
meggio  di  formule  è  una  teoria  generale  deH’equili- 
brio  sociale  in  base  alle  proprietà  dei  residm  e  delle 


'  Pabeto,  Trattato  di  sociologia  generale.  I,  p,  27. 
2  Ibid.,  p.  416. 


APPENDICE 


497 


(ierivazioni.  E  il  risultato  ultimo,  conseguibile  anche 
senza  il  mastodontico  apparato  matematico-bota¬ 
nico-zoologico,  è  il  principio  ■della  circolazione  delle 
«  èlites  »,  deiravvicendamento  storico  delle  aristo¬ 
crazie 

Io  non  voglio  dire  che  tutta  l’opera  del  Pareto 
sia  un  insieme  di  siffatte  vuotaggini;  non  sarebbero 
bastate  anche  all’autore  le  forze  per  una  cosi  lunga 
fatica.  L’opera  è  ricchissima  di  riferimenti  storici 
che  conferiscono  interesse  a  dispetto  delle  astrazioni 
e  delle  formule;  ma  è  un  interesse  slegato,  frammen¬ 
tario,  come  quello  che  può  suscitare  una  rivista  eb- 
«lomadaria  o  un  dizionario  tipo  Larousse.  Un’erudi¬ 
zione  storica  che  non  sia  penetrata  da  un  pensiero 
centrale  animatore,  che  non  abbia  una  prospettiva 
veramente  storica,  ma  che  avvicini  i  fatti  nel  più 
ibrido  miscuglio,  non  può  certamente  avere  pregio 
scientifico.  Ma  è  caratteristico  notare  nel  Pareto 
l’esempio  tipico  di  una  indiff erentia  oppositorum, 
per  cui  egli  passa  naturalmente  dal  più  astratto  sche¬ 
matismo  matematico  al  più  minuto  particolarismo 
storico:  l’uno  e  l’altro  traenti  origine  dalla  stessa 
incapacità  di  assumere  una  posizione  centrale  e  di 
possedere  concretamente  i  fatti  nel  pensièro. 

Mentre  nelle  scienze  sociali  si  è  formato  un  «  pa¬ 
retaio  »,  secondo  l’immagine  di  un  arguto  econo¬ 
mista,  altrove  invece  si  possono  notare  segni  di  un 
grande  raccoglimento  spirituale,  di  una  compren¬ 
sione  filosofica  approfondita  dei  problemi  delle  varie 
scienze.  La  storia  della  filosofìa,  per  evidente  affinità, 
è  la  disciplina  che  prima  di  tutte  s’è  illuminata  alla 
luce  della  rinnovata  coscienza  filosofica:  un  tempo 


^  Op.  cit.f  voIm  n,  p.  476  Hgg. 


G.  DE  Ruggiero.  La  filosofìa  contemporanea. 


32 


I 


498  APPENDICE 

matcrin  di  aride  ricerche  erudite,  diviene  oggi  un 
quadro  sempre  più  vivo  della  mentalità  umana  nel 
suo  sviluppo.  L’esempio  del  Croce  e  del  Gentile  co¬ 
mincia  a  portare  i  suoi  frutti;  un  numero  sempre 
crescente  di  studiosi  lavora  a  tradurre,  a  illustrare, 
a  ricostruire  i  sistemi  classici  della  filosofìa  antica 
e  moderna  e  a  tracciare  la  storia  dei  grandi  periodi 
della  speculazione  tilosofica.  Le  scienze  pedagogiche 
anch’esse  si  rinnovano:  il  concetto  dell’educazione 
del  Gentile,  espresso  dall’unificazione  e  compenetra¬ 
zione  tra  maestro  e  scolaro  nella  soggettività  supe¬ 
riore  dell’identico  spirito  che  dovendo  discit  e  di¬ 
scendo  dovei,  anima  il  lavoro  del  Lombardo  Radice  e 
di  altri,  e  prepara  quel  risveglio  della  scuola  e  quella 
fusione  di  e.ssa  con  la  vita  che  formano  una  viva  esi¬ 
genza  del  nostro  tempo.  Anche  la  critica  letteraria  e 
artistica  si  rinnova,  iniziatore  il  Croce,  e,  moventisi 
nell’orbita  dei  suoi  problemi,  con  animo  di  prosecu¬ 
tori  o  di  oppositori,  il  Uorgese,  il  Cecchi,  il  Gar- 
giulo,  il  Momigliano,  il  Rus.so,  il  Flora  ed  altri  an¬ 
cora  (la  guerra  ha  portato  via  alcuni  dei  meglio 
dotati,  il  Serra,  il  Petraccone).  La  storia  delle  reli¬ 
gioni,  dopo  una  lunga  sonnolenza  che  aveva  tagliato 
l’Italia  fuori-  del  grande  movimento  storiografico 
europeo,  comincia  a  risvegliarsi,  compresa  del  nuovo 
spirito  filosofico,  col  Bonaiuti,  col  Salvatorelli,  con 
rOmodeo.  Ricorderò  di  quest’ultimo  il  libro  su  Gesù 
e  le  origini  del  Cristianesimo,  primo  anello  di  una 
serie  in  cui  l’autore  si  propone  di  ricostituire  il 
lungo  e  laborioso  periodo  delle  origini  cristiane,  da 
un  punto  di  vista  filosofico  e  filologico  insieme,  cioè 
schiettamente  storico.  Conforme  al  principio  critico 
della  reciproca  conversione  tra  le  res  gesl'ae  e  Vhisto- 
ria  rerum,  egli  considera  le  fonti  insieme  come  testi¬ 
monianze  e  come  materiale  di  storia,  integrando  le 


APPENDICE 


499 


negazioni  critiche  sulla  loro  attendibilità  col  valore 
positivo  die  ad  esse  compete  come  res  gestite.  L’iper¬ 
critica  negativa  del  puro  lìlologismo  viene  cosi  sor¬ 
passala  coi  suoi  stessi  mezzi  e  la  storia  assume 
(luella  positività  che  costituisce  il  suo  intrinseco  si¬ 
gnificalo. 

Accennerò  solo  di  sfuggita  a  due  scrittori  molto 
caratteristici  dell’Italia  contemporanea:  il  Papini  e 
il  Prezzolini,  non  legati  a  nessun  interesse  scienti¬ 
fico  particolare,  ma  che  tuttavia  hanno  il  loro  posto 
in  un’età  di  grande  fermento  spirituale.  Il  primo 
esordi  giovanissimo  con  un  curioso  libro  dal  titolo 
H  crepuscolo  dei  filosofi,  in  cui  pretendeva  di  am¬ 
mazzare,  filosoficamente,  tutte  le  filosofie:  libro  molto 
liiseguale  e  ingenuo  per  la  foga  con  cui  sfondava 
usci  aperti  o  colpiva  muri  scambiandoli  per  usci. 
Attorniatosi  degli  ingegni  giovanili  più  rivoluzio¬ 
nari,  il  Papini  fondò  nel  1903  una  battagliera  rivista, 
il  Ijeonardo,  che  più  d’una  buona  campagna  so.stenne 
contro  il  costume  accademico  degli  studi  e  la  pigrizia 
mentale  della  terza  Italia;  e,  se  non  seppe  imprimere 
un  indirizzo  proprio  alla  cultura,  pure  riuscì  a  vivi¬ 
ficarla,  ponendola  a  contatto  della  letteratura  e  della 
filosofìa  straniera.  Il  pragmatismo  e  l’intuizionismo, 
che  tanta  inlluenza  hanno  esercitato  sul  pensiero  ita¬ 
liano,  si  sono  acclimatati  tra  noi  particolarmente 
per  merito  del  Papini  e  del  suo  circolo.  Finito  il 
Leonardo  per  la  dispersione  degl’impazienti  redat¬ 
tori,  e  fallito  il  tentativo  d’intraprendere,  in  colla¬ 
borazione  con  l’Amendola,  un  lavoro  più  stretta- 
mente  fìlosolìco  (nella  rivista  L’.\nima,  che  durò 
poco),  il  Papini  ha  seguitato  da  solo  la  sua  rapsodica 
via.  Scrittore  fecondissimo  e  letterariamente  eflicace, 
è  passato  attraverso  lutti  i  sistemi  filosofici,  come 
sospinto  da  un  demone  anti-filosofico,  che  gl’ispirava 


500 


APPENDICE 


la  più  mordace  ironia  verso  ogni  sistema  irrigidito 
di  pensiero.  E  tuttavia  egli  non  è  uno  scettico,  ma  la 
sua  recente  conversione  al  cattolicismo,  nelle  appa- 
renze  più  ortodosse  ed  edilicanti,  ha  rivelato,  in 
fondo  alle  sue  insofferenze  ed  agitazioni,  il  bisogno,  a 
lungo  inespresso  e  deviato,  di  un  ijuietum  servitium. 

Il  suo  amico  Giuseppe  Prezzolini,  compagno  di 
lavoro  del  Leonardo,  crociano  più  per  entusiasmo  di 
adesione  giovanile  a  un  grande  movimento  fdosofico 
che  per  affinità  mentale,  ha  fondato  e  diretto  per 
vari  anni  un  giornale  fìlosofico-letterario  La  Voce, 
che  ha  degnamente  proseguito  la  tradizione  leonar¬ 
desca.  Egli  si  è  assunto  per  un  certo  tempo  il  com¬ 
pito  <Ii  spirituale  informatore  del  pensiero  italiano 
e  l’ha  adempito  con  scritti  propagandistici  sulla  fdo- 
sofia  del  Croce,  sul  modernismo,  sul  pragmatismo, 
sul  sindacalismo,  ecc. 


3.  OniENTAMENTi  FILOSOFICI.  —  E  torniamo  ora 
alla  tìlosolia  propriamente  detta.  Quella  tendenza 
testé  notata,  secondo  la  quale  il  pensiero  filosofico 
mira  a  esorbitare  dagli  angusti  quadri  assegnatigli 
dalla  tradizione,  e  ad  informare  di  sé  le  scienze  par¬ 
ticolari,  o  più  geneialmente  ad  erigersi  in  categoria 
immanente  della  pensabilità  e  quindi  della  realtà  di 
tutte  le  cose,  quella  stessa  tendenza  si  esercita  an¬ 
che  neH’àmbito  delle  scuole  tìlosoflche  e  spezza  le 
rigide  linee  dei  loro  sistemi.  Col  farsi  più  aderente 
alla  realta,  la  filosofia  necessariamente  abbandona  il 
fantastico  compito  di  fissare  e  d’isolare  tutto  in 
una  volta  il  proprio  mondo  dei  concetti,  e,  come  la 
vita  stessa,  parziale  sempre  e  insieme  totale  nel  suo 
procedere  per  continue  determinazioni,  continua- 
mente  trascese  dalla  forza  interna  che  le  pone,  cosi 


APPENDICE 


501 


anche  la  filosofia  tende  a  svolgersi  nel  ritmo  dei  suoi 
problemi  particolari,  elevando  a  un  valore  univer¬ 
sale,  cioè  spirituale,  le  parziali  sistemazioni  che 
l’esperienza  della  vita  esige.  Se  il  mondo  non  è  dato 
in  una  volta  nell’esperienza  degli  uomini,  ma  si  dà 
in  essa  gradualmente  con  l’originalità  di  una  crea¬ 
zione  a  cui  null’altro  preesiste  se  non  il  vuoto  delle 
forme  mentali  (testimonianza  di  un’apriorità  che  si 
dimostra  anche  nella  desolazione  dell’isolamento  e 
del  silenzio),  la  fdosolla  non  può  a  sua  volta  esser 
data  come  un  tutto  statico,  come  un  sistema,  ma  si 
dà  come  un  graduale  possedersi  nel  pensiero  di  quel 
che  gradualmente  si  fa  nell’esperienza.  vecchie 
Somme  tramontano  e  sono  sostituite  dal  Saggio; 
vale,  lilo.soficamente,  l’autocoscienza  del  lavoro  uma¬ 
no,  l’atto  cioè  con  cui  il  pensiero  rivendica  a  sé 
un’opera  propria  naturata  nelle  cose,  e  cosi  la  svolge, 
svolgendo  insieme  sé  stesso.  Non  altro  che  questo  è 
la  lilosofia:  cosa  altrettanto  facile  ad  enunciarsi, 
quanto  diflicile  a  praticarsi. 

Ecco  perché  noi,  oggi,  possiamo  segnalare  nuovi 
ingegni,  nuovi  temperamenti  filosofici  (alcuni  ne  ab¬ 
biamo  citati  nelle  pagine  precedenti),  più  che  nuove 
filosofie  nel  significato  classico  della  parola;  quelle 
stesse,  anzi,  che  (nella  IV  parte  di  questa  opera)  ab¬ 
biamo  veduto  formarsi  negli  ultimi  anni,  tendono  a 
spogliarsi  della  loro  struttura  sistematica.  Per  parlar 
di  queste  ultime,  nelle  fasi  più  recenti  del  loro  svi¬ 
luppo,  siani  costretti  a  fermarci  su  pochissimi  nomi: 
il  Ooce,  il  Gentile,  e,  come  sintomo  di  una  tendenza 
mentale  che  mira  a  costituire  una  opposizione  al¬ 
l’idealismo,  ma  non  ha  ancora  la  pienezza  di  unél 
fisonomia  ben  fissata,  aggiungeremo  il  nome  del 
Varisco. 

Di  quest’ultimo  abbiamo  già  esaminato  i  Massimi 


502 


APPENDICE 


l'rohlemi,  l'opera  che  segna  il  passaggio  da  una 
concezione  positivislica,  professata  per  l’addietro,  a 
una  forma  di  mitigato  realismo  idealistico.  Ad  essa 
ha  tenuto  dietro  un’altra  opera  dal  titolo  Conosci  te 
stesso  (.Milano,  li)l‘2),  che  meglio  precisa  alcuni  punti 
della  nuova  Tdosotìa  del  Varisco,  e  che  perciò  vo¬ 
gliamo  brevemente  analizzare.  L’autore  insiste  sul 
carattere  policentrico  della  realtà,  che  forma  la  nota 
differenziale  del  suo  sistema  rispetto  all’idealismo 
che  pone  l’unità  «lei  soggetto  assoluto.  Il  Varisco, 
invece,  mentre  accetta  il  principio  idealistico  che, 
senza  il  soggetto,  l’universo  fenomenico  è  non  sol¬ 
tanto  inintelligibile,  ma  totalmente  nullo,  ritiene, 
poi,  che  ci  sia  una  pluralità  di  soggetti  in  atto,  a 
guisa  di  monadi,  ciascuno  dei  quali  <  unifìca  e  in¬ 
centra  »  dal  suo  punto  di  vista  il  mondo  dei  feno¬ 
meni.  La  giustificazione  di  questo  pluralismo  è  data 
da  un’inferenza  sensibile:  le  resistenze,  che  ogni 
processo  soggettivo  incontra  alla  propria  esplica¬ 
zione,  si  organizzano  e  si  fondono  in  un  altro  centro, 
che  l’analogia  lascia  supporre  simile  al  precedente. 
Ciò  vale  anche  per  i  cosi  detti  oggetti  esterni  :  «  La 
ragione  delle  ragioni,  egli  dice,  per  cui  non  credo 
svanito  lo  specchio,  quando  io  me  ne  vado,  sta  nella 
testimonianza  dell’altro  soggetto,  il  quale  mentre  io 
sono  assente  lo  vede  » 

Questo  processo  inframonadico,  considerato  da 
un  punto  di  vista  superiore,  può  essere  raiipresentato 
come  un  complesso  d'interferenze  tra  i  vari  soggetti, 
in  modo  che  Tesserci  di  ciascuno  di  essi  ha  per 
sua  condizione  Tesserci  degli  altri,  e  che,  in  ultima 
istanza,  la  molteplicità  dei  soggetti  è  riducibile  al¬ 
l’unità.  In  altri  termini,  ciascun  soggetto,  csplican- 


Varisco.  Conosci  te  stesso.  1912,  introd.,  p.  xvii. 


APPENDICE 


503 


dosi,  implica  tutti  gli  altri,  per  il  fatto  che  «  il 
suo  esplicarsi,  vincendo  le  resistenze  opposte  del- 
l’esplicarsi  di  altri  soggetti,  è  appunto  un  impli¬ 
care  gli  altri  soggetti  ».  Questa  implicazione-espli¬ 
cazione  forma  l’unità  più  alta,  il  sistema  dei  centri 
soggettivi. 

Il  Varisco  tenta  cosi  di  costituire  un  realismo 
che,  accogliendo  alcune  esigenze  innegabili  dell’idea- 
lismo,  si  sottragga  poi  alle  diilicoltà  contro  le  quali 
urta  il  soggetto  unico:  impenetrabilità  delle  monadi, 
solipsismo,  ecc.  Ma  a  parte  il  fatto  che  queste  dillì- 
coltà  sono  immaginarie,  e  derivanti  in  gran  parte 
dall’inadeguata  cognizione  di  quel  che  sia  il  .soggetto 
asso’uto  deirkiealismo,  la  tesi  realistica  è  incapace 
di  legittimare  la  propria  posizione,  cioè  quel  punto 
di  vista  superiore,  dal  quale  soltanto  è  possibile  scor¬ 
gere  la  compresenza  e  la  coimplicazione  dei  soggetti. 
Per  fare  ciò,  essa  deve  necessariamente  trascendere 
la  sfera  soggettiva — ^mentre  ha  riconosciuto  che  al 
di  là  del  soggetto  non  v’è  nulla:  difTicoltà  di  non 
poco  momento  per  una  filosofia  della  conoscenza, 
perché  pone  in  quistione  non  soltanto  l’unità  ultima 
del  reale,  ma  l’unificazione  stessa  dei  reali,  che  co¬ 
stituisce  il  conoscere.  L’unità  dei  soggetti,  della  co¬ 
scienza  o  dell’appercezione  che  dir  si  voglia,  non  si 
può  relegare,  come  fa  il  'Varisco,  tra  le  ipotesi  ul¬ 
time  e  più  vaghe,  ma  è  la  condizione  a  priori  della 
conoscenza  empirica;  ora,  se  la  si  pone  come  una 
esigenza  che  trascende  i  soggetti  singolarmente 
presi,  e  dati  come  coesistenti,  il  conoscere  è  reso 
impossibile. 

A  che  si  riduce  infatti  quella  unità,  secondo  il 
Varisco?  Giunto  alla  fine  del  suo  libro,  egli  dice: 
«  L’accadere,  se  implica  le  molte  spontaneità  [i  sog¬ 
getti],  implica  insieme  la  loro  unità.  Se  no,  non  ci 


504 


APPENDICE 


sarebbe  neanche  l’interferire,  cioè  l’accadere,  non 
ci  sarebbero  neanche  le  singole  spontaneità.  E  que¬ 
sto  comune  a  tutti  è  l’essere  indeterminatissimo, 
queU’essere  che  un  soggetto  non  può  non  pensare, 
senza  cessar  di  esserci,  e  del  quale  ogni  soggetto  e 
ogni  fatto  è  una  determinazione  >.  E  lascia  impre¬ 
giudicato  l’ulteriore  problema  se  siffatto  essere  sia 
impersonale  (panteismo)  o  personale  (teismo).  Trop¬ 
po  a  buon  mercato!  Il  compito  di  una  metalisica 
del  conoscere  comincia  proprio  qui,  dove  il  Varisco 
si  arresta  perplesso:  ma  egli  è  arrivato  esaurito, 
con  un  «  essere  indeterminatissimo  »,  proprio  dove 
l’idealismo  concentra  la  massima  concretezza  dello 
spirito.  Il  suo  errore  è  comune  a  tutta  la  «metafisica 
dell’essere  »,  che  vuota  progressivamente,  lungo  la 
scala  degli  esseri,  i  suoi  concetti,  e  cerca  infine  <ii 
battezzare  con  numi  altisonanti  i  magri  residui  e  di 
legittimare  per  mezzo  di  essi  le  sue  costruzioni  pre¬ 
cedenti.  Cosi  facendo,  non  conquista  Dio  e  non 
fonda  la  conoscenza,  cioè  non  legittima  sé  stesso:  il 
suo  pluralismo  degli  esseri  resta  una  realtà  campata 
tra  cielo  e  terra,  perché  non  si  giustifica  né  di  fronte 
a  Dio,  né  di  fronte  alla  conoscenza  umana;  resta 
—  per  dirla  benevolmente  —  nella  regione  angelica, 
tra  eteree  figure  senza  sesso. 

Tutto  sommato,  questi  ultimi  decenni  di  attività 
filosofica  italiana  si  compendiano,  ancora,  quasi  to¬ 
talmente  nell’opera  del  Croce  e  del  Gentile,  che  ha 
creato  le  tesi  e  le  antitesi  della  nuova  filosofia.  Ab¬ 
biamo  infatti  osservato  che  i  tentativi,  ancora  deboli 
del  resto,  di  creare  un’opposizione,  si  svolgono  dalle 
stesse  premesse  filosofiche  di  quei  pensatori. 

Nella  1'  edizione  di  questa  Storia,  io  ponevo  il 
Croce  e  il  Gentile  in  un  ordine  di  successione  ideale. 


APPENDICE 


505 


considerando  l’opera  del  secondo  come  la  prosecu¬ 
zione  e  la  critica  di  quella  del  primo.  Era  un  errore 
di  prospettiva,  perché  le  due  mentalità,  malgrado 
i  notevoli  punti  di  contatto,  si  svolgono  indipen¬ 
dentemente  runa  dall’altra,  ciascuna  riassumendo 
una  particolare  tradizione  di  pensiero.  Nel  piccolo 
libro  che  ha  per  titolo:  Contributo  alla  critica  di  me 
stesso  ‘,  il  Croce  fa  alcune  preziose  confessioni  in¬ 
torno  alla  sua  genesi  mentale,  mostrandoci  com’egli 
si  sia  filosoficamente  formato  attraverso  l’herbarti- 
smo  del  Labriola  e  l’estetica  desanctisiana,  indipen¬ 
dentemente  da  Hegel  e  da  Spaventa.  Hegeliano,  egli 
ci  dice  che  non  è  mai  stato;  il  suo  ell'ettivo  interes¬ 
samento  per  Hegel  è  sopraggiunto  in  una  fase  già 
matura  dello  sviluppo  intellettuale  (1905);  in  modo 
che  egli,  pur  attingendo  copiosamente  alle  dottrine 
particolari  del  filosofo  tedesco,  ha  potuto  in  breve 
prender  posizione  di  fronte  a  quel  sistema  nel  suo 
complesso,  senza  le  tormentate  crisi  dello  Spaventa 
e  del  dentile.  Quanto  ai  rapporti  con  lo  Spaventa, 
poi,  il  Croce  afferma  che  sono  stati  assai  scarsi,  per 
la  profonda  diversità  d’indole  che  da  lui  lo  divi¬ 
deva  :  <  Perché  lo  Spaventa  proveniva  dalla  chiesa 
e  dalla  teologia;  e  problema  sommo  e  quasi  unico 
fu  sempre  per  lui  quello  del  rapporto  tra  l’Essere  e 
il  Conoscere,  il  problema  della  trascendenza  e  della 
immanenza,  il  problema  più  specialmente  teologico- 
filosofico;  laddove  io,  vinte  le  angosce  sentimentali 
del  distacco  dalla  religione,  mi  acquietai  presto  in 
una  sorta  d’inconsapevole  immanentismo,  non  inte¬ 
ressandomi  ad  altro  mondo  che  a  quello  in  cui  effet¬ 
tivamente  vivevo,  e  non  sentendo  direttamente  e  in 


•  Opuscolo  fuori  commercio,  scritto  nel  1915  e  pubblicato 
a  Napoli,  1918,  tradotto  poi  nella  Keuue  ile  Mèlaiihiisìque  et 
de  Morale  del  gennaio  1919. 


506 


APPENDICE 


primo  luogo  il  problema  della  trascendenza,  e  per¬ 
ciò  non  incontrando  dilRcoltà  nel  concepire  la  re¬ 
lazione  tra  pensiero  ed  essere,  perché,  se  mai,  la 
difficoltà  sarebbe  stata  per  me  il  contrario:  conce¬ 
pire  un  essere  staccato  dal  pensiero  o  un  pensiero 
staccalo  dall’essere  > 

Cosicché,  mentre  il  Gentile  è  venuto  fuori  dalla 
tradizione  propriamente  hegeliana,  che  ha  avuto 
nello  Spaventa  uno  dei  suoi  esponenti  maggiori,  il 
Croce  ha  subito  solo  rinilusso  indiretto  <li  essa, 
essendosi  più  direttamente  formato  sul  Vico  e  sul 
De  Sanctis.  La  posizione  reciproca  dei  due  pensatori 
contemporanei  è  molto  analoga  perciò  a  quella  dei 
due  grandi  predecessori.  Spaventa  e  De  Sanctis,  che 
essi  sorpassano  però  di  gran  lunga  per  ampiezza  di 
preparazione  lilosolica  e  sviluppo  di  pensiero  spe¬ 
culativo. 

Questa  diversa  genesi  vale  a  spiegarci  come,  ne¬ 
gli  ultimi  anni,  l’opera  dei  due  pensatori  si  sia  an¬ 
data  svolgendo  per  vie  affatto  divergenti;  il  Croce 
tendendo  a  sorpassare  la  fase  costruttiva  e  sistema¬ 
tica  del  suo  pensiero  speculativo,  per  risolvere  la 
filosofìa  nella  storia;  il  Gentile  invece  tendendo  ad 
organizzare  e  ad  accentrare  gli  elementi  della  sua 
filosofìa,  che  prima  erano  sparsi  e  diffusi  nei  suoi 
scritti  di  storia  della  filosofìa. 

Inoperosità  <iel  Croce,  notevolissima  anche  in 
questi  ultimi  anni,  si  è  principalmente  manifestata 
nella  metodologia  storica  e  nella  filosofia  dell’arte. 
In  quest’ultima,  egli  non  ha  mutato  il  piano  gene¬ 
rale  della  sua  Estetica,  ma  ha  approfondito  e  meglio 
determinato,  secondo  le  esigenze  che  gli  suggeriva 
la  pratica  della  critica  letteraria,  molti  problemi 


'  Oli.  di.,  pp.  fi2-63. 


•\PPEND1CE 


507 


particolari,  che  nei  precedenti  lavori  rivelavano  qual¬ 
che  incertezza.  Cosi,  ne  La  riforma  della  storia  lette¬ 
raria  e  artistica  [Critica,  1918),  è  giunto  alla  conclu¬ 
sione  che  «  la  vera  forma  logica  della  storiografia 
letterario-artistica  è  la  caratteristica  del  singolo  ar¬ 
tista  e  dell’opera  sua,  e  la  corri.spondente  forma  di¬ 
dascalica,  il  saggio  e  la  monografia  ».  In  questo  modo 
egli  ha  nettamente  differenziato  la  sua  posizione  da 
quella  del  De  .Sanctis,  che,  sotto  Tinflusso  hegeliano, 
ammetteva  la  possibilità  di  concepire  una  storia 
della  letteratura  come  progresso  immanente  alla 
forma  artistica  in  quanto  tale.  In  un  altro  saggio:  Il 
carattere  di  totalità  dell'espressione  artistica  {Cri¬ 
tica,  1918),  il  Croce  ha  svolto  la  tesi  che:  «dare 
al  contenuto  sentimentale  la  forma  artistica  è  dar¬ 
gli  insieme  l’impronta  della  totalità,  l’afllatto  co¬ 
smico;  e  in  questo  senso,  universalità  e  forma  arti¬ 
stica  sono  tutt’uno  »  — ,  integrando  cosi  la  tesi  già 
da  lui  affermata  dell’individualità  dell’espressione. 
Finalmente,  in  un  terzo  saggio:  L’arte  come  crea¬ 
zione  e  la  creazione  come  fare  (Aiti  dell’Acc.  Pon- 
taniana,  1918),  egli  ha  mostrato  entro  quali  limiti 
e  con  qual  significato  può  aderire,  dal  suo  punto  di 
vista,  alle  recenti  concezioni  dell’idealismo  del  Gen¬ 
tile  *. 

Il  carattere  di  questi  saggi  teoretici  s’illumina 
più  vivamente  nella  pratica  esplicazione  che  il  Croce 
ne  dà  nella  sua  critica  letteraria,  la  quale  negli  ul¬ 
timi  anni  va  assumendo  un’importanza  maggiore 
che  nei  precedenti,  avendo  ogni  nuova  monografia 
il  compito  di  chiarificare  e  di  svolgere  una  tesi  spe¬ 
culativa.  Cosi,  per  esempio,  il  saggio  sull’Ariosto 


1  Questi  ed  altri  scritti  sono  raccolti  nel  voi.  ora  pubbli¬ 
cato  di  Snooi  saggi  di  esieiica  (Bari,  1920). 


508 


appendice 


forma  il  necessario  complemento  della  enunciata  ri¬ 
forma  della  storia  letteraria  e  artistica,  in  quanto 
che  il  Croce,  dimostrando,  contro  il  De  Sanctis,  che 
l’arte  dell’Ariosto  non  è  nella  forma  indifferente  al 
suo  contenuto,  ed  anzi  è  aderente,  come  un  velame 
di  sentimento,  a  quel  contenuto,  tende  cosi  a  spezzare 
la  costruzione  della  storia  letteraria  desanctisiana  e 
a  risolverla  nei  suoi  elementi  monogralìci.  CjOsi  an¬ 
che  il  saggio  sullo  Shakespeare  —  che  è  finora  il 
maggior  cimento  critico  del  Croce  ribadisce  1  al¬ 
tra  tesi  su)  carattere  di  totalità  dell’espressione  arti¬ 
stica,  mostrando  immanenti  all’arte,  come  pura  arte, 
quei  molteplici  interessi  etico-psicologici  della  vita 
umana  che  altri  vorrebbe  insinuare  in  essa  dal¬ 
l’esterno,  e  realizzando,  nella  sfera  Stessa  della  pura 
liricità,  una  genesi  ideale  <lello  spirilo  che  nulla 
lascia  fuori  di  sé  e  annulla  i  vani  problemi  che  la 
curiosità  cronologica  avrebbe  posti  alla  storia. 

D’interesse  anche  maggiore  sono  le  indagini  che 
il  Croce  ha  dedicato  alla  metodologia  storica:  la  sua 
opera:  Teoria  e  storia  della  storiografìa  (Bari.  11)17), 
che  forma  il  4’  volume  della  Filosofìa  dello  Spirito, 
nelfappareiiza  di  compiere  con  una  conclusione  le 
tre  parti  precedenti,  costituisce  invece  la  correzione 
di  esse,  almeno  nella  loro  struttura  sistematica. 
Quivi  il  Croce,  non  appagato  dal  formalismo  che 
presiedeva  aH’unilìcazione  da  lui  precedentemente 
tentata  della  lilosolia  e  della  .storia  nel  giudizio  lo¬ 
gico,  lavora  per  una  unificazione  meno  simbolica  e 
pili  concreta.  Egli  intende  la  storia,  antica  o  recente 
che  sia,  in  rapporto  all’oggetto,  sempre  come  .storia 
contemporanea,  relativamente  al  soggetto  presente 
che  la  suscita  e  la  crea,  dando  a  questa  presenza  un 
valore  decisivo,  che  sovrasta  e  condiziona  l’empirico 
presente  e  l’empirico  pa.ssato  temporale. 


appendice 


509 


Dalla  teoria  della  storia  come  storia  contempo¬ 
ranea— nella  quale  bisogna  riconoscere  grinllussi  di 
altre  correnti  lilosolìche  italiane,  che  tuttavia  non  di¬ 
minuiscono  la  sua  originalità ‘-il  Croce  trae  gran 
copia  d’importanti  corollari,  dei  quali  possiamo 
far  cenno  solo  in  iscorcio.  Così,  il  rapporto  tra 
storia  e  cronaca  è  inteso  nel  senso  che  quella  come 
sintesi  viva  del  sapere,  precede  la  morta  analisi  in 
cui  la  seconda  si  compendia -;  cosi,  la  concezione 
della  storia  come  procedente  dall’universalità  del 
soggetto,  dello  spirito,  annulla  la  pretesa  di  una 
storia  universale  (che  trae  origine  dal  pregiudizio 
fìsico  della  cosa  in  sé)  e  della  filosofia  della  s  ona 
intesa  come  un  corpo  di  dottrine.  Ancora,  contro  il 
mero  progresso  all’inlinito  o  al  finito,  e  «nccnmh' 
la  finalità  interna  del  processo  storico,  che  fa  tut- 
t’uno  con  esso,  corapenetrante  di  sé  gli  opposti  ter¬ 
mini  Ed  è  mostrata  fumanità  della  stona,  nel  piu 
largo  senso,  inclusivo  anche  della  storia  della  cosi 
.letta  natura:  come  deiruomo  si  può  fare  una  s  orm 
naturale,  cosi  della  natura  si  può  fare  una  stona 
umana,  cioè  spirituale,  «  sebbene  a  noi  che  1  abbiamo 
così  gran  tratto  distanziata,  sembra,  a  riguardarla 
sommariamente  e  dairesterno  e  con  occhio  quasi  di 
stranieri,  mummificata  e  meccanica  » 

Intesa  la  storia  come  realtà  piena  dello  spinto, 
che  quindi  appaga  l’esigenza  del  pensiero  filosofico 
di  possedere  il  reale  nella  sua  concretezza,  la  filoso  la 
stessa,  come  figurazione  spirituale  distinta  ed  auto¬ 
noma,  non  ha  più  ragione  d’essere;  essa  diviene  un 
semplice  momento  trascendentale  della  conoscenza 


.  SI  veda,  del  resto.  l'addentellato  di  essa 
del  capitolo  sulla  storia,  nella  Logica  (1909).  parte  11,  c.  , 

J^rcoria  e  storia  della  storiografia  cit..  p.  119- 


510  APPENDICE 

storica,  alla  quale  appresta  le  categorie  della  pensa- 
bililà  del  reale.  (),  come  il  Croce  si  esprime:  «La 
filosofìa  non  può  essere  altro  che  il  momento  meto¬ 
dologico  della  storiografìa,  dilucidazione  delle  cate¬ 
gorie  costitutive  dei  giudizi  storici...  E  poiché  la 
storiografìa  ha  per  contenuto  la  vita  concreta  dello 
spirito,  e  questa  vita  è  vita  di  fantasia  e  di  pensiero, 
di  azione  e  di  moralità  (o  di  altro,  se  altro  si  riesce 
a  escogitare)  e  in  questa  varietà  delle  sue  forme  è 
pur  una,  la  dilucidazione  si  muove  nelle  distinzioni 
dell’Estetica  e  della  Logica,  dell’Economia  e  del¬ 
l’Etica,  e  tutte  le  congiunge  nella  Filosofia  dello 
Spirito  »  *. 

In  questa  concezione,  per  chi  ben  guardi,  v’è 
più  che  l’antica  identità  alferinata  dal  Croce  tra  la 
filosofìa  e  la  storia;  la  prima  infatti,  considerata 
come  un  momento  ideale,  come  categoria  della  storia, 
trova  in  quest’ultima  il  suo  inveramento  e  la  sua 
sanzione.  Come  pura  filosofìa,  essa  rappresenta  qual¬ 
cosa  di  più  semplice,  che  sta  al  di  qua  del  processo 
storico.  Quindi,  via  via  che  si  afTerma,  nel  pensiero 
del  Croce,  sempre  più  viva  l’esigenza  storiografica,  y 

egli  si  viene  atteggiando  a  liquidatore  della  filosofìa  1 

come  per  sé  stante.  «Annullare  l’idea  della  filosofia  > 

‘generale’  —  egli  dice  nella  prefazione  alla  .3'  edi¬ 
zione  della  Logica  (Ifllfi)  —  è  insieme  annullare  il  ^ 

concetto  '  statico  ’  del  sistema  fìlosolìco,  surrogan- 
dolo  col  concetto  dinamico  delle  semplici  ‘  sistema-  'J 

zioni’  storiche  dei  gruppi  «li  problemi,  delle  quali 
ciò  che  persiste  e  sopravvive  sono  i  singoli  problemi  T 

e  le  loro  soluzioni  e  non  già  l’aggregato  e  l’ordina-  1 

mento  esterno,  che  ubbidisce  ai  bisogni  dei  tempi  e 
degli  autori  e  passa  con  questi,  o  si  serba  e  si  am- 


1  O/ì.  cit.,  p.  136. 


APPENDICE 


511 


mira  solo  per  ragioni  estetiche,  quando  pur  abbia 
tal  pregio  >. 

In  questa  più  recente  fase,  il  Croce  ha  finito  col 
capovolgere  la  posizione  iniziale  del  suo  pensiero  di 
fronte  al  problema  storico:  passando  via  via  dalia 
considerazione  della  storia  come  arte,  a  quella  che 
ne  fa  una  forma  di  realtà  autonoma,  inferiore  alla 
filosofìa,  a  quella  deH’identità  e  reciprocità  piena 
con  la  filosofia,  finalmente  a  quella  della  sopravva¬ 
lutazione  della  storia  rispetto  alla  pura  filosofìa,  il 
Croce  ha,  come  si  vede,  descritto  un  ciclo,  nel  quale 
dobbiamo  riconoscere  che  il  suo  pensiero  si  è  molto 
arricchito  ed  ha  sempre  meglio  appagato  quell  esi¬ 
genza  verso  la  concretezza,  che  lo  spronava.  Nella 
sua  citata  autobiografia  mentale  egli  ci  dice  cl^e  la 
esigenza  immanentistica  è  ormai  cosi  viva  in  lui, 
che  gli  fa  immaginare  «non  senza  diletto  >  che 
abbandonerà  un  giorno  la  filosofìa  nel  significato 
comune,  per  narrare  la  «  storia  pensata  ».  Ormai  egli 
ha  là  preparazione  necessaria  per  il  nuovo  cimento: 
la  Storia  della  storiografia  italiana  nel  secolo  deci- 
inonono,  che  egli  va  pubblicando  a  puntate  nella 
2'  serie  della  Critica  può  significare  già  un  avvia¬ 
mento  a  questo  indirizzo  *. 

Ma  per  un  filosofo  l’abbandono  della  filosofia  non 
può  avere  che  un  significato,  a  sua  volta,  filosofico 
o  dialettico;  non  certamente  quello  di  un  mero  pas¬ 
saggio  da  una  sfera  di  attività  ad  un  altra.  E  per 
ora,  quell’abbandono  ci  viene  spiegato  nel  suo  più 
vero  senso  dall’ultima  monografìa  filosofica  che  il 
Croce  ha  pubblicato  da  qualche  mese  :  Sulla  filosofia 


»  Per  la  blbllografla  e  le  discussioni  intorno  al  pensiero 
del  Croce,  rimando  al  voi.  G.  Casteli.aso,  Introduzione  allo 
studio  dette  opere  di  B.  Croce,  note  bibllograDche  e  critiche. 
Bari,  1920. 


512 


APPENDICE 


teologizzante  e  le  sue  sopravvivenze  (Napoli,  1919), 
(love  i  lilosofì  stessi  vengono  incitati  ad  abbandonare 
una  folla  di  problemi  insolubili,  eufemisticamente 
chiamati  problemi  massimi  ed  eterni.  Per  il  Croce, 
conforme  al  suo  coerente  immanentismo,  vale  il 
principio  deirunità  del  problema  con  la  soluzione, 
secondo  il  quale  un  problema  acquista  carattere  di 
problema  solo  nel  punto  in  cui  viene  risoluto.  Quindi 

1  pretesi  problemi  insolubili,  che  formano  il  tor¬ 
mento  di  tutte  le  filosofie,  sono  in  realtà  non-pro- 
blemi,  ma  miscugli  ibridi  di  rappresentazioni  e  di 
concetti,  adeguati  piuttosto  ad  alcune  forme  di  espe¬ 
rienza  religiosa  anziché  alle  esigenze  razionali  dello 
spirito.  Tra  questi  primeggia  il  problema  della  co¬ 
noscibilità  del  reale,  del  rapporto  tra  il  pensiero  e 
l’essere,  in  cui  il  Croce  ci  mostra  la  presenza  di  un 
interesse  meramente  teologico,  e  cioè  compatibile 
soltanto  con  una  intuizione  dualistica  del  reale. 

La  lilosofia  del  Gentile  ha  seguito,  in  quest’ulti¬ 
mo  periodo,  un  inverso  processo  di  sistemazione  e 
di  accentramento.  Nel  1912,  quando  io  chiudevo, 
con  una  sommaria  esposizione  dei  suoi  capisaldi,  la 
r  edizione  della  presente  Storia,  il  pensiero  di  que¬ 
sto  filosofo  era  in  gran  parte  disseminato  nei  suoi 
lavori  storici;  e  soltanto  una  breve  monografìa. 
L’alto  del  pensiero  come  atto  puro,  lasciava  presen¬ 
tire  la  peculiarità  di  un  atteggiamento  mentale  del 
tutto  nuovo.  Da  quel  tempo  in  poi,  il  Gentile  ha 
lavorato  a  sviluppare  la  sua  dottrina  dell’idealismo 
attuale,  le  cui  tappe  più  importanti  sono  costituite 
dal  Sommario  di  pedagogia  come  scienza  filosofica 

2  v(}ll.,  Laterza,  1913);  La  riforma  della  dialettica 
hegeliana  (Messina,  1913);  Teoria  generale  dello  spi¬ 
rilo  come  alto  puro  (Pisa,  1916);  Sistema  di  logica 
come  teoria  del  conoscere  (Parte  I,  Pisa,  1917). 


appendice 


513 


Per  ragioni  di  spazio,  sono  costretto  a  sorvolare 
sulla  fase  preparatoria  e  formativa  di  questa  fìlo- 
solìa,  che  ha  le  sue  tappe  nettamente  segnate  dalla 
informa  della  dialettica  e  dal  Sommario  di  peda¬ 
gogia.  Il  primo  libro  ci  spiega  in  che  modo  il  Gen¬ 
tile  sia  riuscito  —  affatto  indipendentemente  dal 
Croce  —  a  rompere  lo  schematismo  hegeliano,  utiliz¬ 
zando  le  importanti  indagini  dello  Spaventa  sulle 
tre  prime  categorie  della  Logica  di  Hegel.  Una  volta 
inteso  l’essere,  il  non-essere  e  il  divenire,  non  più 
come  posizioni  logiche  oggettive  del  reale,  ma  come 
momenti  della  coscienza,  dove  il  divenire,  sintesi  dei 
termini  precedenti,  esprime  il  processo  stesso  del 
sapere,  che  vince  nella  sua  concretezza  i  momenti 
astratti  e  rig  di  in  cui  l’analisi  lo  decompone  ',  tutta 
la  sopra-struttura  della  logica  hegeliana  viene  ine¬ 
vitabilmente  sconvolta. 

Il  Sommario  di  Pedagogia,  nella  sua  introduzione, 
compie,  in  rapporto  alla  Fenomenologia,  la  stessa 
istanza  critica  che  la  Riforma  della  dialettica  compie 
in  rapporto  alla  Logica  di  Hegel.  Il  pensiero  puro, 
come  non  ha  bisogno  di  percorrere  i  gradi  catego¬ 
rici  dell’essere  (del  conosciuto,  secondo  gli  schemi 
della  logica  formale)  per  giungere  alla  piena  co¬ 
scienza  di  sé,  perché  si  afferma  a  priori  come  pen¬ 
siero  consapevole  e  attuale;  così  non  ha  neppur 
bisogno  di  attraversare  i  gradi  psicologici  della  co¬ 
noscenza,  cioè  la  sensazione,  l’intuizione,  ecc.,  perché 

1«  1,’csscre  che  Hegel  dovrebbe  mostrare  identico  ai  non- 
essere  nei  divenire  che  solo  è  reuie,  non  è  i  essere  che  egli 
definisce  come  l’assoluto  indeterminato  (TassoUito  indetermi¬ 
nato  non  può  essere  che  l’assoluto  indeterminato!);  ma  l’essere 
del  pensiero  che  deHniscc  e,  in  generale,  pensa:  ed  è,  come 
vide  Cartesio,  in  quanto  pensa,  ossia  non  essendo  (perché, 
se  fosse,  ii  pensiero  non  sarchile  iiueiio  che  è,  ossia  un  atto), 
e  perciò  ponendosi,  divenendo»  [Teoria  generale  della  spirito 
come  atto  puro,  sez.  VII,  p.  53). 


G.  DE  Huggieho.  T.a  tllosotla  contemporanea. 


33 


514 


APPENDICE 


non  può  mutuare  da  altri  che  da  sé,  non  solamente 
la  sua  forma,  ma  anche  il  suo  contenuto.  Cosi  il 
Gentile  ha  portato  al  suo  estremo  l’idea  implicita 
in  ogni  fllosoiìa  idealistica,  che  il  pensiero  non  può 
originarsi  che  da  sé,  mostrando  che  qualunque  dato  o 
presupjpostc  che  si  voglia  anticipare  alla  sua  attività- 
ha  il  valore  di  cosa  posta  da  quella  stessa  attività.  Di 
fronte  *al  comune  psicologismo,  tale  istanza  critica 
culmina  con  l’identificazione  del  pensiero  e  della 
sensazione,  nel  senso  che  qualunque  esigenza  ideale 
si  attribuisca  alla  sensazione  —  fuori  di  ciò  che  ne 
costituisce  un  dato  irriducibile,  dove  si  rivela  una 
falsa  posizione  fdosofica  —  è  un’esigenza  mentale, 
inclusa  cioè  nell’attualità  del  pensiero. 

Con  l’efl'ettuata  identificazione,  vien  negata  una 
fenomenologia  dello  spirito  nel  significato  hegeliano, 
cioè  come  una  progressiva  deduzione  ed  implicazione 
di  gradi  spirituali;  ma  viene  nel  tempo  stesso  affer¬ 
mata  una  nuova  fenomenologia  del  sapere  e  della 
realtà  come  consapevolezza,  che  coincide  con  la  sto¬ 
ria  stessa,  nella  concretezza  del  suo  divenire.  L’asso¬ 
luto  psicologismo  ha  il  valore  di  un  assoluto  stori¬ 
cismo.  Posto  infatti  che  il  pensiero  non  deriva  che 
da  sé  la  realtà  propria,  e  che  questa  derivazione  è  la 
sua  efl'ettiva  e  pratica  esplicazione,  il  corso  ideale 
del  pensiero  non  è  che  la  storia  reale  del  peìisiero 
stesso  e  quindi  del  mondo. 

Qui  l’idealismo  gentiliano  si  pone  come  la  nega¬ 
zione  recisa  di  ogni  realtà  che  si  opponga  al  pensiero 
come  suo  presupposto  e  del  pensiero  stesso  concepito 
come  realtà  già  costituita  fuori  del  suo  svolgimento, 
come  sostanza  indipendente  dalla  sua  reale  manife¬ 
stazione.  La  realtà  dello  spirito  o  delle  cose,  posta 
fuori  della  soggettività  pensante,  forma  la  così  detta 
natura,  distinta  dal  pensiero  non  come  oggetto  da 


APPENDICE 


515 


Oggetto,  ma  come  oggetto  da  soggetto,  ossia  inclusa 
e  risoluta  nel  pensiero,  nell’atto  stesso  in  cui  questo 
la  riconosce  distinta  da  sé,  e  cioè,  pensandola,  la 
pone,  e  ponendola  la  nega  come  già  posta  o  presup¬ 
posta.  La  natura  si  svela  cosi  una  realtà  pensata,  un 
processo  logico  esaurito  e  pietrificato,  capace  tutta¬ 
via  di  risollevarsi  all’attualità  spirituale,  in  quanto 

10  spirito  lo  pensa  e  l’include  nel  suo  processo,  che 
ha  un  cominciaraento  spontaneo,  assoluto,  in  quel 
pensare. 

Nulla  dunque  è  fuori  dello  spirito,  «  se  Tesser 
fuori  è  un  riconoscimento,  cioè  un  porre  fuori  me¬ 
diante  l’attività  del  pensiero.  Né  vale  appellarsi  al¬ 
l’ignoranza,  come  documento  delTirriducihile  este¬ 
riorità  di  taluni  fatti  alla  coscienza;  perché  la  stessa 
ignoranza  non  è  un  fatto  senza  essere  insieme  una 
cognizione:  cioè  ignoranti  siamo  solo  in  quanto  o 
noi  stessi  ci  accorgiamo  di  non  sapere,  o  se  n’accor¬ 
gono  altri;  sicché  l’ignoranza  è  un  fatto,  a  cui 
l’esperienza  può  appellarsi  solo  poiché  è  conosciuto  » 
(p.  28).  La  coscienza  si  pone  pertanto  come  una  sfera 

11  cui  raggio  è  infinito:  come  centro  assoluto  e  im¬ 
moltiplicabile  nella  cui  unità  converge  la  moltepli¬ 
cità  degli  oggetti,  che  esiste  solo  in  virtù  del  suo 
riconoscimento.  L’unità  della  coscienza,  del  sog¬ 
getto,  è  la  pietra  angolare  di  questa  filosofia  :  essa 
include  non  soltanto  i  cosi  detti  fatti  dell’espe¬ 
rienza  esterna,  incomprensibili  nella  loro  struttura 
fuori  della  sintesi  mentale;  ma  anche  gli  atti  del¬ 
l’esperienza  interna  e  dei  soggetti  empirici  umani  o 
sub-umani,  la  cui  pluralità  è  del  tutto  identica  a 
quella  degli  oggetti  naturali  e  si  risolve  quindi  nel¬ 
l’unità  dello  spirito  che  attualmente  la  pensa.  Un 
mondo  ideale  policentrico,  monadistico,  rappresenta 
per  il  Gentile  un  residuo  di  naturalismo  ingiustifica- 


516 


APPENDICE 


bile,  poiché  non  c’è  esperienza  umana  che  coltra  il 
mutuo  trascendersi  delle  monadi  e  raccolga  la  loro 
sparsa  idealità  in  un  principio  unico,  il  quale  ver¬ 
rebbe  perciò  spostato  all’infinito.  Mentre  invece, 
l’esperienza  nella  sua  concretezza  esige  l’assoluta 
immanenza  di  quel  principio,  fuori  del  quale  anche 
la  pluralità  svanisce.  Il  rapporto  tra  me  e  un  altro 
soggetto  empirico  non  può  esistere  fuori  della  mia 
coscienza  che  lo  pone;  se  mai  trascendesse  la  sfera 
della  coscienza,  ogni  mutua  intelligenza  sarebbe  pre¬ 
clusa;  ma,  appunto  perciò  l’atto  di  coscienza  che 
include  l’altro  in  me  e  nel  tempo  stesso  lo  distingue 
da  me,  costituisce  la  soggettività  più  profonda  in 
cui  si  risolvono  le  soggettività  empiriche  (l’io  e 
l’altro)  e  che  forma  la  comune  radice  di  esse.  Quel¬ 
l’atto  dunque  non  è  mio,  perché  tale  appartenenza 
significherebbe  già  la  sua  riduzione  al  soggetto  em¬ 
pirico,  ma  è  l’Io,  è  ratTermarsi  concreto  di  un 
rapporto  nella  forma  della  soggettività  mentale. 
Gentile  dà  a  questo  Io  il  nome  di  soggetto  asso¬ 
luto  o  trascendentale;  ad  esso,  a  differenza  dal¬ 
l’io  empirico,  attribuisce  l’identità  universale  e 
immoltiplicabile,  che  vince  la  sparsa  attualità  del 
monadismo. 

Con  questo  concetto,  egli  è  in  grado  di  risolvere 
le  varie  antinomie  che  hanno  travagliato  il  pensiero 
di  molti  filosofi,  come  quelle  del  realismo  e  del  nomi¬ 
nalismo,  dell’universale  e  dell’individuale,  ecc.  fino 
alla  recente  vexata  quaestio  della  distinzione  tra 
l’attività  teoretica  e  l’attività  pratica  e  del  primato 
dell’una  o  dell’altra.  Nell’attualità  dell’Io  assoluto 
v’è  la  ragione  unitaria  di  ciò  che  nelle  antinomie  si 
polarizza,  e  insieme  la  spiegazione  del  modo  con 
cui  la  polarizzazione  avviene,  quando  lo  spirito, 
affiorando  alla  superficie,  perde  l’intimo  contatto 


APPENDICE 


517 


con  sé  stessa  e  converte  in  determinazioni  statiche 
e  rigide  gli  astratti  momenti  della  sua  sintesi  ori¬ 
ginaria.  Cosi  il  rapporto  del  teoretico  e  del  pratico 
è  dal  Gentile  compreso  nell’unità  a  priori  dello  spi¬ 
rito,  che  è  atto  intelligente  o  riflessione  attiva,  cioè 
unità  dinamica  di  teoria  e  prassi;  mentre  la  difTe- 
renza  nasce  nella  sfera  superficiale  della  coscienza, 
dove  i  'due  momenti  si  solidificano  in  entità  distinte. 
Tale  unificazione  spirituale,  per  il  Gentile,  non  vuol 
essere  assorbimento  del  molteplice  nell’uno  ed  esta¬ 
tica  contemplazione  dell’uno,  ma  realizzazione  e 
comprensione  dell’uno  nel  molteplice,  e  insieme  dif¬ 
ferenziamento  e  moltiplicazione  dell’uno;  insomma 
quello  spiegamento  dello  spirito,  che  riconduce  a  sé, 
alla  propria  identità,  gli  atti  della  sua  reale  esplica¬ 
zione.  In  questo  principio  è  riposto  il  criterio  dello 
storicismo  del  Gentile.  Vi  sono  due  modi  di  conce¬ 
pire  la  storia:  <  uno  è  quello  dei  relativisti,  stori¬ 
cisti,  scettici,  che  non  vedono  altro  che  il  fatto  sto¬ 
rico,  nella  sua  molteplicità;  e  ci  dà  la  storia  in  cui 
lo  spirito  non  può  cadere  senza  degradarsi  e  natura¬ 
lizzarsi.  E  l’altro  è  il  nostro,  il  quale  pone  il  fatto 
come  atto,  e  quindi,  ponendosi  nel  tempo,  non  lascia 
mai  efl'ettivamente  nulla  dietro  a  sé.  La  storia  dello 
storicista  è  la  storia  ipostatizzata  e  privata  della 
sua  dialettica;  perché  la  dialetticità  consiste  per  l’ap¬ 
punto  nell’attualità  della  molteplicità  come  unità,  e 
soltanto  come  unità,  che  si  trascende,  trascendendo 
l’attualità  >  (p.  196).  In  questa  posizione  si  risolve 
l’antinomia  storica,  secondo  la  quale  lo  spirito  è 
affermato  come  storia,  perché  è  svolgimento  dialet¬ 
tico,  ed  è  negato  come  storia,  perché  è  atto  eterno 
fuori  del  tempo.  E  si  risolve  nel  concetto  del  pro¬ 
cesso  che  è  unità,  la  quale  si  moltiplica  restando 
una;  di  una  storia,  perciò,  hleale  ed  eterna,  che 


518 


appendice 


non  è  (la  confondere  con  quella  del  Vico,  che  ne 
lascia  fuori  di  sé  una  che  si  svolge  nel  tempo;  lad¬ 
dove  reterno,  nella  concezione  del  Gentile,  è  lo  stesso 
tempo  considerato  nella  sua  attualità. 

Ma  di  fronte  a  questa  molteplicità  vera  e  attuale 
che  si  esplica  nella  storia,  e  la  cui  concretezza  sta 
nel  suo  svolgersi  dall’unità  e  nell’unità  dello  spirito, 
v’è  un’altra  e  diversa  molteplicità,  astrattamente 
fissata  nell’oggetto  del  pensiero  ed  esistente  indi¬ 
pendentemente  dall’atto  mentale  *.  Mentre  la  pri¬ 
ma  appartiene  alla  logica  del  pensiero  puro,  1  altra 
rientra  nella  logica  astratta  del  pensato.  La  diffe¬ 
renza  nasce  dalla  dialettica  stessa  del  pensiero;  che, 
in  quanto  è  atto,  è  dillerenziamento  ed  esplicazione 
di  sé;  ma  l’atto,  una  volta  compiuto  e  isolato  dalla 
soggettività  creatrice,  si  converte  in  un  fatto,  cioè 
si  naturalizza  e  diviene  una  realtà  intelligibile  e 
non  più  intelligente.  A  questo  pensato  si  appro¬ 
priano  non  le  categorie  della  dialettica,  che  concer¬ 
nono  il  pensiero  in  fieri,  ma  quelle  della  logica  for¬ 
male,  le  quali  determinano  la  struttura  dell’oggetto 

mentale  come  puro  oggetto. 

Tuttavia  la  peculiarità  del  processo  spirituale 
sta  in  ciò  che  in  esso  l’astrattezza  di  quella  posi¬ 
zione  oggettivistica  è  non  solo  negata,  ma  anche 
allcrmata.  11  pensiero  concreto,  nell’atto  in  cui  nega 
il  pensato  come  tale,  lo  afferma  come  momento  in¬ 
separabile  del  suo  sviluppo.  La  dialettica  viva  dello 
spirito  sta  in  questo  continuo  naturalizzarsi  e  stra¬ 
niarsi  del  pensiero,  del  soggetto,  nell’oggetto;  e  in 
questo  riaff  ermarsi  di  sé,  attraverso  la  stessa  ogget¬ 
tivazione,  che  è  risoluzione  dell’oggetto  come  tale  e 
sua  inclusione  nel  proprio  ciclo. 

I  Gentii.e,  Sistema  di  logica  come  teoria  dei  conoscere, 
Pisa,  1917,  p.  129. 


appendice 


519 


Conforme  a  queste  premesse,  il  Gentile  ammette 
due  logiche,  runa  che  è  grado  all’altra  ;  «Se  dialet¬ 
tica  diciamo  la  logica  del  concreto,  ossia  del  jjuro 
conoscere,  che  è  riinità  del  soggetto  e  dell’oggetto, 
oltre  la  dialettica  bisogna  pure  ammettere,  come 
grado  alla  stessa  dialettica,  una  logica  dell  astratto, 
ossia  del  pensiero  in  quanto  oggetto,  nel  momento 
dell’opposizione,  senza  di  cui  non  è  attuabile  l’unità 
in  cui  il  concreto  risiede  »  *.  Nel  Sistema  di  logica 
come  teoria  del  conoscere  (Parte  I)  il  Gentile  finora 
ci  ha  dato  una  logica  del  pensato;  ad  essa  terrà 
dietro  la  Dialettica,  cioè  il  sistema  detl’attività  pen¬ 
sante,  di  cui  non  possediamo  che  i  capisaldi,  già 
esposti  nelle  pagine  precedenti. 

La  diflerenza  del  pensiero  e  del  pensato  e  della 
molteplicità  immanente  all’uno  e  all’altro  vale  anche 
a  determinare  il  rapporto  tra  le  forme  assolute  <lello 
spirito,  cioè  quella  monatriade  in  cui,  hegeliana¬ 
mente,  il  Gentile  fa  culminare  la  sua  dialettica  e 
che  rappresenta  l’istanza  teologica  del  suo  pensiero 
lìlosofìco.  «C’è  una  distinzione,  egli  dice,  che  ci  dà 
il  molteplice,  il  numero,  in  cui  l’unità  vien  meno, 
perché,  secondo  che  s’è  già  osservato,  quell  elemento 
stesso  che  si  ripete  nella  molteplicità,  è  qualitati¬ 
vamente  molteplice.  E  c’è  un’altra  distinzione  che 
ci  dà  appunto  l’unità  nel  suo  interno  svolgimento, 
i  cui  momenti  son  tre,  se  astrattamente  presi  (ma 
non  più  di  tre);  e  se  intesi  nella  loro  concretezza, 
non  sono  né  tre,  né  due,  ma  costituiscono  una  mo¬ 
natriade  »  Cioè  a  dire,  poiché  le  posizioni  dialet¬ 
tiche  dell’attività  spirituale  sono  quelle  del  sog¬ 
getto,  dell’oggetto  e  della  loro  sintesi  soggettiva, 
non  tre  numericamente,  ma  unità  trina,  le  forme 


1  Op.  cit.f  p.  148. 


*  Op.  CI/.,  p.  131. 


520 


APPENDICE 


assolute  del  sapere  debbono  corrispondersi  piintual- 
uiente.  Cosi  l’arte  rappresenta  la  soggettività,  la 
liricità  dello  spirito;  la  religione,  l’oggettività,  cioè 
l’esaltazione  dell’oggetto,  come  trascendente  e  di¬ 
vino;  ma  runa  e  l’altra,  prese  per  sé,  sono  momenti 
astratti,  statici,  insuscettivi  di  uno  sviluppo  storico, 
e  si  risolvono  nella  concretezza  della  tìlosolìa,  dove 

10  spirito  supera  il  momento  dell’arte  e  quello  della 
religiosità.  Una  posizione  peculiare  è  quella  della 
scienza  della  natura,  che  in  un  suo  scritto  prece¬ 
dente  il  Gentile  identificava  con  l’arte,  accentuando 

11  momento  soggettivo  della  costruzione  scientifica; 
ora  invece  (nella  Teoria  Generale  dello  Spirito)  è 
portato  ad  assimilare  alla  religione,  accentuando  il 
momento  oggettivo,  naturalistico  delle  leggi.  È  una 
oscillazione  che  ci  rende  dubbiosi  della  solidità  di 
tutto  il  sopramondo  della  concezione  gentiliana, 
dove  sembra  che  i  momenti  spirituali  vengano  ipo- 
statizzatj  entro  forme  già  rigide  e  la  dialettica  si 
esplichi  tra  concetti  fatti. 

A  ogni  modo  non  è  qui  il  caso  di  sbrigarsi  leg¬ 
germente  e  con  pochi  cenni  critici  <li  questa  filo¬ 
sofìa.  Abbiamo  esposto,  con  la  maggiore  fedeltà  che 
ci  era  consentita  in  una  breve  analisi,  le  dottrine 
del  Croce  e  del  Gentile,  come  per  additare  i  più  ma¬ 
turi  frutti  della  mentalità  contemporanea.  11  nuovo 
lavoro  speculativo  s'inizia  di  qui;  ed  è  ragionevole 
pertanto  che  qui  la  narrazione  storica  sia  sospesa; 
non  già  troncata,  ma  aperta  a  quella  integrazione 
che  ciascun  lettore  è  preparato  a  compiere  nel  suo 
pensiero,  dove  la  storia  dell’ieri  e  la  vita  dell’oggi 
si  fondono  indissolubilmente. 


NOTA 


Non  è  inopportuno  che,  dopo  di  avere  in  questo  lilìro 
criticato  tauti  sistemi  filosofici,  io  chiuda  la  mia  rassegna 
con  qualche  cenno  autocritico.  Nelle  Considerazioni  fina¬ 
li  è  abbozzata  una  specie  di  pan-filosofismo,  che  pre¬ 
tende  di  ridurre  tutte  le  attività  dello  spirito,  arte,  reli- 
zione,  scienza,  storia  ecc.,  all*attività  del  pensiero  puro, 
quindi  della  filosofia  che  n’è  l’interprete.  Ciò  che  mi 
rendeva  plausibile  questa  dottrina  quando  la  meditavo, 
intorno  al  1911,  era  innanzi  tutto  l’esigenza  di  affermare 
il  valore  mentale  e  autocoscientc  delle  attività  dello  spi¬ 
rito.  contro  quelle  filosofie  che,  in  nome  della  volontà 
o  dell’intuizione,  cancellavano  o  attenuavano,  a  mio  av¬ 
viso,  siffatto  valore.  La  differenza  della  mia  posizione 
mentale  da  quella  che  si  andò  poi  delincando  sotto  il 
nome  di  idealismo  attuale  od  attualismo,  stava  in  ciò, 
che  io  mi  rifiutavo  di  ammettere  rassorbiniento  delle  sin¬ 
gole  forme,  e  di  fatto,  il  loro  annullamento,  nella  filoso¬ 
fia;  e  volevo  piuttosto  intrinsecare  e  rendere  immanente 
a  ciascuna  di  esse  l’esigenza  filosofica.  Cosi,  p.  es.,  mentre 
il  Gentile  identifica  la  scienza  naturale  col  momento 
astratto  dcU'oggettività,  della  natura,  che  si  risolve  nel¬ 
l’attualità  della  conoscenza  filosofica,  io  pensavo  che  la 
scienza,  come  attività  spirituale  autonoma  e  sufficiente 
a  sé  stessa,  realizza  nel  suo  medesimo  procedimento  quel¬ 
l’istanza  superiore:  essa  infatti  non  è  natura,  ma  espe¬ 
rienza  della  natura;  non  pensiero  astratto,  ma  pensiero 
astraente;  quindi  attività  mentale  che  si  svolge,  e  nel 
suo  sviluppo  risolve  continuamente  il  momento  del¬ 
l’astratta  oggettività. 

.Analoghe  considerazioni  io  facevo  per  la  religione  e 
per  l’arte.  E  per  questa  via  giungevo  alla  conseguenza 
che  la  filosofia  non  dovesse  più  considerarsi  come  una 
forma  distinta  e  differenziata  di  esperienza,  ma  come  lo 


522 


NOTA 


spirilo  iuiiinalore  di  tutte  le  esperienze:  il  che  non  con- 
Irusta  col  «  pan-filusorismo  »  testé  accennato,  perché,  dove 
tutto  è  filosofìa,  nulla  è  più  filosofìa  in  un  senso  proprio 
e  particolare. 

Cosi  facendo,  io  non  iniKlioravo  gran  che  la  mia  po¬ 
sizione  in  confronto  della  filosofìa  attualistica  :  se  questa 
cade  in  una  specie  di  nirvanico  acosmico,  io,  per  sal¬ 
varmi,  cadevo  nell’errore  opposto,  di  ammettere  una 
pluralità  disgregata  di  esperienze,  solo  apparentemente 
unificata  dalla  presenza  di  un  comune  spirito  filosofico 
circolante  in  tutte.  Che.  se  l’arte,  la  scienza,  la  religione, 
sono  filosofia,  in  quanto  attività  concrete  dello  spirilo, 
unità  sintetiche  di  soggetto  e  oggetto,  in  che  cosa  poi 
si  distingue  (|ucll.i  concretezza  che  chiamiamo  arte,  da 
quella  che  chiamiamo  scienza,  ecc.? 

L’errore  in  fondo  era  identico  nei  due  casi,  benché 
in  apparenza  opposti;  e  stava  nel  ridurre  tutta  la  vita 
dello  spirito  a  un  astratto  schema  logico  (soggetto,  og¬ 
getto,  sintesi)  elevato  a  principio  metafìsico,  e  nel  cre¬ 
dere  che  col  risolvere  ogni  contenuto  di  pensiero  nell’atlo 
che  lo  pensa,  si  spiritualizzi  tutta  la  realtà,  mentre  in¬ 
vece  non  si  fa  che  affermare  una  mistica  indifferenza 
dell’atto  di  fronte  a  quel  contenuto.  Col  tempo,  seguendo 
rapparente  sviluppo,  che  però  in  sostanza  è  una  pro¬ 
gressiva  involuzione,  deiridealismo  attuale,  mi  sono  an¬ 
dato  convincendo  di  molte  cose:  che  rimmediata  tradu¬ 
zione  dei  termini  della  critica  kantiana  da  un  significato 
gnoseologico  a  un  significato  metafìsico  lascia  intatta  la 
€  cosa  in  sé  »  e  la  «  filosofìa  della  natura  »,  almeno  come 
espressioni  dì  problemi  non  risolti;  che  !’«  oggetto  »  della 
conoscenza  s’identifica  con  l’atto  conoscitivo  solo  a  con¬ 
dizione  che  lo  si  spogli  di  ogni  contenuto,  in  modo  che 
la  dottrina  dell’atto  puro  si  rende  tanto  più  rigorosa  e 
coerente  quanto  più  vuota,  fino  al  punto-limite  in  cui 
il  contenuto  mentale  coincide  con  la  pura  formula  mono¬ 
triadica;  che  il  processo  per  cui  l’esperienza  mentale  si 
organizza  non  può  senz’altro  confondersi  con  quello  in 
virtù  del  quale  la  realtà  stessa  si  costituisce  >,  e  che 


>  Donde  la  necessità  di  porre  su  due  plani  ben  distinti  le 
relazioni  interne  del  pensato  e  le  relazioni  nelt’atto  del  cono¬ 
scere,  la  relatività  delle  determinazioni  del  reale  e  quella  del 
momenti  del  processo  conoscitivo,  l’/o  penso  della  logica  kan¬ 
tiana  e  il  soggetto  assoluto  della  metalisica. 


NOTA 


523 


quindi  una  metafisica  della  mente  deve  seguire  una  via 
multo  più  indiretta  e  faticosa  per  fondare  la  spiritualità 
del  reale.  Dalla  Critica  del  Giudizio  di  Kant,  alla  filosofia 
della  natura  di  Schelling  e  di  Hegel,  via  via  fino  al  con¬ 
tingentismo  del  Boutroux,  all’evoluzione  creatrice  del 
Bergson,  al  realismo  dcH’Alexander,  al  neo-hegelismo  del- 
rHamelin.  è  tutta  una  serie  di  sforzi  per  questa  via  più 
ardua;  essi  valgono  almeno  a  segnalare  la  presenza  di 
un  problema  di  cui  l'attualismo  s’é  sbrigato  troppo  a 
cuor  leggero.  Tutto  ciò  che  formava  oggetto  della  me¬ 
tafisica  dell’essere  non  s’illumina  in  un  fiat  col  porre 
l’equazione  tra  l’essere  e  Tesser  conosciuto;  cosi  non 
si  fa  che  porlo  semplicemente  a  foco;  ma  si  tratta  poi 
di  conoscerlo  clTettivainentc;  se  no,  si  trasferisce  il  mi¬ 
stero  da  una  posizione  all’altra,  senza  accrescere  di  un 
sul  iota  la  nostra  conoscenza  della  realtà.  Pretendere  di 
aggiogare  il  mondo  all’atto  del  pensiero,  senza  che  questo 
si  faccia  concretamente  coscienza,  autorivelazione,  atto 
del  mondo,  è  un  faticare  per  trascinarsi  dietro  la  propria 
ombra:  agendo  nihil  agere. 

Questi  cenni  critici  preludono  a  un  esame  particola¬ 
reggiato  della  filosofia  del  Gentile,  che  io  mi  propongo 
di  pubblicare  nell’appendice  al  presente  libro,  e  ad  una 
revisione  della  mia  posizione  idealistica,  di  cui  ho  co¬ 
minciato  a  dare  qualche  sporadico  saggio  negli  scritti 
pubblicati  in  questi  ultimi  anni. 


Dicembre  1928. 


NOTA  BIHLIOGRAFICA 


In  questa  nota  si  fa  cenno  unicamente  dei  libri  che 
hanno  attinenza  col  testo.  Per  una  bibliografia  più  estesa, 
cfr.  F.  rKBKBWEG.  Gniiulriss  der  Gescliichle  der  Pliito- 
xoiìhie  (IV :  die  Pliil.  seit  lieginn  des  neiinzehnten  Jahr- 
hitiiderls);  10'»  ediz.  ed.  da  M.  Heinze.  Berlino,  litoti. 


INTRODUZIONE.  —  Sulla  filosofia  contemporanea  in 
generale,  ampi  ragguagli  si  trovano  nelle  riviste,  come 
La  critica,  la  Riuista  di  lilosofia,  la  Cultura  filosofica,  la 
Zeitschrift  fiir  Phitosophie  und  phitosophische  Kritik,  la 
lievue  de  Métaphysique  et  de  Morale,  il  Mind.  Ufr.  inol¬ 
tre  W.  Wi.NDELBANU,  Lehrbuch  der  Geschichte  der  Philo- 
sophie,  Strassburg,  1889  (1910*.  Tùbingenl;  H.  Hoffdino. 
Moderne  Philosophen,  Leipz.,  1905;  P.  Mabtinetti,  Introdu¬ 
zione  alla  metafisica,  Torino,  1904;  F.  de  Sablo,  Studi  sulla 
filosofia  contemporanea,  Roma,  1900;  G.  V'illa.  La  psico¬ 
logia  contemporanea,  Torino,  1899;  L’idealismo  moderno, 
Torino,  1905;  A.  Aliotta,  La  reazione  idealistica  contro  la 
scienza,  Palermo,  1912;  su  di  essa,  v.  la  mia  recensione 
in  Critica  (X,  1912,  fase.  1). 

Il  concetto  della  nazionalità  della  filosofia,  da  cui 
prende  le  mosse  la  nostra  Introduzione,  si  trova  svilup¬ 
pato  nelle  opere  di  B.  Spaventa.  Cfr.  specialmente:  La 
filosofia  italiana  nei  suoi  rapporti  con  la  filosofia  europea, 
Bari,  1909. 


Pabte  I.  LA  FILOSOFIA  TEDESCA.  —  O.  KOlfe.  Die 
Philosophie  der  Gegenwart  in  Deutschland,  Leipzig,  1911  *. 


526 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


Cahitolo  I:  intorno  alla  tlissoluzioni-  tlclPhi-gelismo, 
J.  H.  Erdmaxn,  Gniiulriss  der  Gesrhichle  der  l‘hilosophie, 
i-(l.  da  B.  Erdinann,  Berlin,  189(1*.  Per  la  scuola  di  Tu- 
binga:  F.  G.  Baur,  Die  Tiibinger  Schiile  vnd  ihre  Stelliiny 
zur  Geyenioart,  Tiibingen,  1859;  E.  Zkller,  C.  tiaur  et 
fècole  de  Tiibitmue.  Ir.  fr.,  Paris,  189.1;  K.  Strauss,  Dos 
l.ebeit  Jesii.  Tùb.,  1898’;  Der  alte  iind  tiene  GItinbe,  Leip¬ 
zig.,  1903“.  Un  parallelo  tra  lo  .Strauss  e  il  Renan  si 
trova  nei  Vorlrdge  und  Abhnndiungeii  geschichtlichen 
Inhalts  dello  Zeller.  —  Sul  materialismo  storico:  K. 
Marx.  Dos  Kapital,  Krilìb  der  itolitischeii  Oekoiwmie,  ed. 
dalVEngels  (Hamburg.  1883-85);  ifisère  de  la  pbilosopltie, 
Paris.  1896;  F.  Encels,  llerrn  Kngen  Dùhrings  Gmaitilzang 
der  Wisiseiischnft,  Stuttgart,  1894.  In  proposito  A.  I.abriula, 
Saggi  intorno  ulta  concezione  mnlerialislictt  della,,  storia 
(3  v(dunii.  Roma,  1895-1902);  (!.  Gentile.  La  /i/osoflo  di 
Murjc,  Pisa,  1899;  B.  Croce.  Materialismo  storico  ed  eco¬ 
nomia  marxista,  Bari.  1919*.  —  Sulla  psicologia  dei  po- 
pedi:  Xeilschrift  far  Vólkerpsgcliologie  and  Spracliaa's- 
senschaft,  ed.  da  .\1  Lazahls  e  H.  Steinthal  dal  1860  al 
1890.  —  Sul  naturalismo:  L.  BCchneh,  KrafI  and  Staff, 
Frankfurt  a  M..  1855.  (1904*');  E.  nu  Bois  Reymond,  Die 
sieben  Weltrdihsel,  la:ipzig,  1882  (1903*):  sono  le  opere 
più  significative.  Inoltre:  E.  Duhkixg,  Cursus  der  PliUoso- 
phie,  1875  e  1894  e  sgg.;  Logik  und  ÌVissenscbaftsIheorie, 
Leipz.,  1878;  Th.  Fechne;h.  Zend-Aiiesta,  Leipzig,  1851;  E. 
Hartmann,  Philosophie  des  Vnbeaaissten,  Berlin.  1869 
(1904");  Kalegorienlehre,  Leipzig,  1897;  A.  Drews,  Das  Ich 
als  Grand-problem  der  Metaphgsik,  Freiburg,  1897.  Sul  na¬ 
turalismo  in  genere,  cfr.  .4.  Lance,  Histoire  da  matèria- 
lisme,  tr.  fr.,  Paris,  1877,  2“  voli. —  Di  Ermanno  Lotze: 
Mikrokosmos,  Leipzig,  1858-1864,  in  tre  vedi.  (1896*);  Lo¬ 
gik,  Leipzig,  1874  (1881*);  Metaphgsik,  Leipz.,  1879.  Sul 
Lotze:  O.  Caspari,  //.  L.  in  seiner  Slellang  za  der  durch 
Kant  begriindeten  neaesten  geschichte  der  Pbilosophie 
Breslau,  1883;  H.  Schoen,  La  métaphgsigue  de  H.  L., 
Paris,  1902;  W.  Wallace,  Lectures  and  Essags,  Oxford, 
1898,  (vi  si  parla  del  Lotze  in  appendice,  pp.  841-510); 
G.  de  Ruggiero,  La  filosofia  dei  valori  in  Germania, 
Trani,  1911  (estr.  dalla  Critica). 

Capitolo  11.  —  E.  Laas,  Idealismas  und  Positivismus, 
Berlin,  in  3  voli.:  1,  1879;  11,  1882;  HI,  1884.  W.  Schlppe, 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


5:27 


Erlienntnistheoretische  iMyik,  Bonn,  1878;  (inindriss  der 
Erkenntnistheorie  iiiid  l-f>iiik,  Berlin.  J.  Rehmke, 

l.ehrhiich  der  itUgemeinen  Psiirbolofiie,  Hainlniri!.  18!U 
(190.5’,  Leipzig);  Pliilosopbie  ah  Griindiuhseiisfbafl,  Leip¬ 
zig.  1910:  organo  della  cosi  della  illosolia  del  dalo  è  la 
Xeitschrift  fiir  immanente  Philoxophie,  fondala  nel  189.5. 
Sulla  teoria  degli  oggelti.  efr.  gli  art.  di  A.  Meinono  nella 
Xeitschrift  fiir  Phil.  tt.  pliit.  Kritik;  in  particolare:  Veber 
die  Stellung  der  Geuenstandtheorie  im  Stistem  der  IVi.s- 
senschaften  (1906-07).  Cfr.  inoltre  le  Vntersuchaniien  zar 
Gegenstandtheorie  iind  Psr/chologie,  ed.  dallo  stesso  Mei- 
nong.  Circa  roricnlanienlo  generale  della  dottrina,  v.  la 
relazione  delTHoFLER  al  Congresso  inlernazionale  di 
Psicologia,  Roma.  1905:  Sind  wir  Psiicholoìiisten?. —  Per 
l’empirio-criticismo:  R.  .Ave.narius,  l’hitosuphie  ids  Den- 
ken  der  Welt  gerndss  dem  Prinzip  der  kleinsten  Kraft- 
masse.  Prolegomenu  zìi  einer  Kritik  der  reinen  Erfahriing. 
Leipzig,  1876  (1903’,  Berlin);  Kritik  der  reinen  Erfahriing, 
2  voli.,  Berlin,  1888-1890;  Der  menschiirhe  Wetthegriff, 
Leipzig.  1891  (1905’).  SiiirAvenarius  v.  il  saggio  del 

Wundt  in  Philosophische  Stiidien  (13)  1896;  un  articolo 
assai  limpido  è  quello  del  Delacroix.  A.,  in  Renne  de 
métaph.  et  de  mor.,  1897  (pp.  764-779),  1898  (pp.  61-102); 
,1.  Petzoi.dt,  Einfiihrnng  in  die  Philosaphie  der  reinen 
Erfahriing,  2  voli.,  Leipzig,  1900-1904;  E.  .Mach.  Die  Prin- 
zipien  der  Mechanik  in  ihrer  Entinickeliing  hislorisch- 
kritisch  dargestellt,  Leipzig,  1904“;  Die  Prinzipien  der 
Wàrnilehre  historisch-kritisch  entinickelt,  Leipzig,  1900’; 
Die  Anaigse  der  Empfìndiingen,  Jena,  1906“;  Erkenntniss 
nnd  Irrtnm,  Leipzig.  1905;»  II.  Cornelius,  Einleiinng  in 
die  Philosophie,  Leipzig,  1903.  Di  tendenze  alOni,  olire 
l'Helinoltz  e  il  Kirchoff,  è  IL  Hertz:  v.  l’interessante 
introduzione  ai  suoi  Prinzipien  der  .Mechanik,  Leipzig, 
1894.  —  Sulla  fìlosolia  dell’illusione:  .A.  Spir,  Pensée  et 
realité,  tr.  fr..  Lille,  1896;  Esqiiisses  de  philosophie  cri- 
tiqiie,  Paris,  1887.  Recentemente  H.  Vaihinokr,  Die  Phi¬ 
losophie  des  Als  Oh,  Berlin,  1911. 

Capitolo  IH.  —  F.  .Alb.  Lance,  Geschichle  des  Mnte- 
rialismiis  nnd  Kritik  seiner  Bedeiitnng  in  der  Gegenwart, 
Iserlohn,  1866  (1902’,  Leipzig);  O.  Liebmann,  Kant  nnd  die 
Epigonen,  Stuttgart,  1865;  Znr  Analysis  der  Wirklichkeil, 
Strassburg,  1879  (1900“);  A.  Riehl,  Der  philosophische 


528 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


Kriticismiis  und  seine  liedeutung  fiir  die  positive  Wis- 
senschdft,  3  voli..  Leipzig,  187(>-1887  (1°  voi.  1908^).  Sul 
k.TnIismo  inatemalico-platonizzunte,  H.  Cohen,  Knnts 
Theorie  der  Erfahrung,  Berlin,  1871  (1883*);  System  der 
Phiiosophie:  1  parie:  Logik  der  reineii  Erkennlniss.  Ber¬ 
lin.  1902;  11  parte:  EtUik  des  reinen  Willens,  Berlin, 
1904;  recentemente,  Aesthetik  des  reinen  Gefùhls,  Ber¬ 
lin,  1912.  Sul  Cohen  v.  il  recente  fase,  dei  Kantstudien, 
1912.  P.  Natorp,  Platos  Ideenlehre,  Leipzig,  1903;  Die 
logischen  Grundlayen  der  exakten  Natunvissenschoften, 
Leipzig,  1910.  E.  Cassirer,  SuhslanzbegriU  und  Funktions- 
hegritf,  Berlin,  1910.  —  Sulla  lllosofla  dei  valori,  oltre  le 
opere  del  Lotze  cit.:  C.  Siuwart,  l.ogik,  Tiibingen,  1873- 
1878;  K.  Bergmann,  Reine  Logik,  Berlin,  1879.  W.  Win- 
DEi.BANn,  Reitrdge  zur  Lehre  vom  negntiven  Vrteil  (Slniss- 
hiirger  Abhundliinyen  zur  Philopophie  E.  Zellers  70  Ge- 
burtstag,  Kreib.  i.  Br.,  1884);  Prdiudien,  Aufsatze 
und  Heden  zur  Einleituny  in  die  Phiiosophie,  Frei¬ 
burg  i-Br.,  1884  (1911-*);  Vgm  System  der  Kategorien 
(Phitos,  Abhandl.  C.  Siywurt  zu  seinem  70  Gehurtstuge 
gewidmet,  Tiibingen,  1900);  Veber  Willensfreiheit,  Tii- 
bingen,  190.5;  7,um  Regriff  des  Gesetzes  (Rerirht  iiber 
den  III  Intern.  Congress  fiir  Phit.,  Heidelberg,  1908). 
H.  Rickert,  Der  Gegenslund  der  Erkennlniss,  ein  Hei- 
triig  zum  Problem  der  philos.  Transsrendenz,  Freiburg, 
1894  (1904*,  Tiibingen);  Zwei  Wege  der  Erkenninistheorie, 
1910.  In  proposito,  v.  il  cit.  mio  scritto:  L(t  filos.  dei  va¬ 
lori  in  Gemi,  —  Sullo  storicismo,  oltre  i  saggi  del  Win- 
delbaiid:  \\'.  Dilthey,  Einleitung  in  die  Geistesuiissen- 
srhaflen,  Leipzig,  1883;  P.  Barth,  Die  Phiiosophie  der 
Geschichte  als  Sociologie,  Leipzig,  1897;  G.  Simmel,  Die 
Probleme  der  Geschichtsphilosophie,  Leipzig,  190.5*;  IL 
Rickert,  Die  Grenzen  der  naturwissenschaftlichen  Be- 
griffsbildung.  Eine  logische  Einleitung  in  die  hislori- 
schen  Wissenschaften,  Freiburg  i-Br.,  1896-1902;  S.  Hbs- 
SEN,  Individuelle  Kausalitàt,  Berlin,  1909.  —  Sulle  scienze 
sociali:  C.  Bolglé,  Les  Sciences  sociales  en  Allemagne, 
Paris,  1896;  G.  Simmel,  Einleitung  in  die  Moralwissen- 
schaften,  2  voli.,  Berlin,  1892-93;  Phiiosophie  des  Geldes, 
1900;  R.  Stammleh,  WirtschafI  und  Rechi  nach  der  ma- 
terialistischen  Geschichtsau/fassung,  Halle,  1896  (1906*, 
Leipzig);  Die  Lehre  von  dem  richtigen  Rechte,  Berlin,- 
1902.  —  Sul  movimento  teologico:  \.  Ritschl,  Die  christ- 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


529 


liche  Lehre  oon  der  Rechfifertigung  und  Versdhnung, 
3  voli.,  Bonn,  1870-74  (1895^);  W.  Hermann,  Die  Religion 
In  Verhàltnis  zum  Welferkennen  und  zur  Sitllichkeit, 
Halle,  1879;  sul  Ritschl  e  il  ritschlìanisnio,  v.  le  impor¬ 
tanti  osservazioni  del  Boutroux,  Science  et  religion, 
Paris,  1908.  A.  Harnack,  L’essenza  del  Cristianesimo,  tr. 
it.,  Torino,  1903.  —  Sul  neo-kantismo  in  genere,  v.  la  ri¬ 
vista  Kantstudien,  che  si  va  pubblicando  dal  1896  sotto 
la  direzione  del  Vaihinger  e  ora  anche  del  Bauch. 

Capitolo  IV.  —  Sulla  psicofisica,  cfr.  Th.  Ribot,  La 
psgchologie  allemande  conlemporaine,  Paris,  1879.  Sul 
psicologismo  cfr.;  Husserl,  Logische  l'ntersucliungen,  2 
voli.,  Halle,  1900-1901;  F.  Brentano,  Psgchologie  vcm 
empirischen  Standpunkte,  I,  Leipz.,  1874  (il  secondo  volu¬ 
me,  preannunziato  dal  1874  non  è  stato  poi  pubblicato).  Th 
Lipps,  Grundtatsacben  des  Seelenlehens,  Bonn,  1889; 
Leitfaden  der  Psgchologie,  Leipzig,  1903;  A.  Meinong, 
Psgchologisch-elhische  Untersuchungen,  Graz,  1894;  Ch. 
Ehrenfels,  Sgstem  der  Wertlheorie,  I:  Allgemeine  Wert- 
Iheorie.  Psgchologie  des  Begehrens;  II:  Grttndzilge  einer 
Ethik,  Leipzig,  1897.  Intorno  a  questa  dottrina,  cfr.  Ore- 
stano,  Valori  umani,  Torino,  1907. 

Capitolo  V.  —  W.  Wundt,  Sgstem  der  Phitosophie, 
Leipzig,  1889  (1897»);  Einleitung  in  die  Phitosophie,  Leip¬ 
zig,  1901  (1904»);  F.  Paulsen,  Einleitung  in  die  Philo- 
sophie,  Berlin,  1892  (1905*»);  Sgstem  der  Ethik,  Berlin, 
1889  (1903*);  J.  Bergmann,  .Sgstem  des  objectioen  Idea- 
lismus,  Marburg,  1903.  —  Sul  naturalismo:  E.  Haeckel, 
A'aturliche  .Schopfungsgeschichte,  Berlin,  1868  (1902"*); 
Die  Weltràthsel,  Bonn,  1899  (1901');  VV.  Ostwald,  Vorle- 
sungen  ilber  Naturphilosophie,  Leipzig,  1901,  (1905»),  L. 
Busse.  Geist  und  Kórper,  Seele  und  Leib,  Leipzig,  1903. — 
F.  Nietzsche,  Die  Geburt  der  Tragodie  aus  dem  Geiste 
der  Mgstik,  Leipzig.  1872;  Als  sprach  Zarathustra,  Chem- 
nitz,  1883-1884,  Leipz.,  1891;  Jenseits  uon  Gut  und  Róse, 
Leipzig,  1886.  Sul  Nietzsche  cfr.  il  saggio  del  Berthelot, 
pubblicato  nel  volume:  Éuolutionnisme  et  Platonisme, 
Paris,  1908.  —  Sulla  metafisica  del  Irasccndentc:  R. 
Eucken,  Geschichte  und  Kritik  der  Grundbegri/fe  der  Ge- 
genwart,  Leipzig,  1878,  pubblicato  per  la  terza  volta  uel 
1904  col  nuovo  titolo:  Geistige  Stromungen  der  Geyen- 


G.  DE  Ruggiero.  La  filosofia  contemporanea. 


34 


530 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


wart,  Leipzig;  Der  Kampf  um  einen  geisligen  Lebensinhalt, 
Leipz.,  1896;  Ln  visione  della  vita  nei  grandi  pensatori. 
Ir.  il.,  Torino,  1909;  J.  Volkelt,  Erfahrung  and  DenUen, 
Hamburg  iind  l.eipzig,  1886;  Th,  Lippe,  Naturphilosophie 
(in;  Die  Philosophie  in  Beginn  des  zwanzigsten  Jahrhun- 
dert.  ed.  dal  Windelband,  Heidelberg,  1907* :  manca  nella 
1*  ediz.);  J.  Cohn,  Allgemeine  Aesthetik,  Leipzig,  1901;  Vo- 
raussetzungen  and  Ziele  des  Erkennens,  Leipzig,  1908, 
H.  MCnsterbero,  Philosophie  der  Werle,  Leipzig,  1908. 


Parte  IL  LA  FILOSOFIA  FRANCESE.—  Ph.  Damiroji, 
Essai  sur  la  philosophie  en  France  au  A/X'  siècle,  Paris, 
1834*;  H.  Taine,  Les  philosophes  frangais  da  XIX’  siicle, 
Paris'  1856  (1895*):  F-  Ravaisson,  La  philosophie  en 
France  aa  XIX’  siècle,  Paris,  1868  (1904*);  E.  Boutroux 
La  philosophie  en  France  depuis  1867  (3°  Congresso  in- 
ternaz.  di  flios.,  Heidelberg).  Cfr.  inoltre  VAnnée  philo- 
sophique.  ed.  dal  Pillon,  e  la  Revue  de  métaphsique 
et  de  morale,  ed.  dal  Léon. 

Capitolo  L—  Sull’eclettismo:  V.  CousiN,  Fragments 
philosophiques,  Paris,  1826  (18660:  del  Joifproy  il  la¬ 
voro  più  importante  e  significativo  è  la  Préface  à  la  tra- 
duction  des  esqttisses  de  phil.  morale  de  Dugald  Stewart, 
Paris,  1826;  Ad.  Garnier,  Traité  des  facultés  de  Vàme, 
3  voli.,  Paris,  1852;  Ch.  de  Rémusat,  Essai  de  philosophie 
2  voli.!  Paris,  1842.  Sulle  dottrine  biologiche  della  scuola 
eclettica  c’è  un’ampia  rassegna  del  Saisset,  L  àme  et  le 
corps  (in  Revue  des  deux  Mondes  del  15  agosto  1862).  Cfr. 
intorno  all’eclettismo  in  generale  il  mio  scrilterello: 
L’eclettismo  francese  {Rivista  di  filosofia,  1910,  fase.  II). 

—  Sul  positivismo:  A.  Coiute,  Cours  de  philosophie.  po¬ 
sitive,  6  voli.,  Paris,  1830-1840;  E.  LittrA.  A.  Comte  et 
SI.  Miti,  Paris,  1866;  La  Science  au  point  de  ime  phiio- 
sophique,  Paris,  1873;  A.  Cournot,  Essai  sur  les  fonde- 
menls  jfe  nos  connaissances,  2  voli.,  Paris,  1851;  I  raité 
de  i’enchainement  des  idées  fondamentales  dans  les 
Sciences  et  dans  l’histoire,  nuova  ediz.  a  cura  di  L. 
Lévy-Bruhl,  Paris,  1911;  H.  Taire,  De  V Intelligence, 
Paris  1878*.  Sulla  metafisica  positiveggiante.  E.  Vache- 
ROT,  La  métaphysique  et  la  Science,  2  voli.,  Paris,  1858. 

—  Sui  nuovo  spiritualismo:  F.  Ravaisson,  La  phil.  en 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


531 


Frutice  oìt.;  P.  .Ianet,  l.es  cuiises  fìnales,  Paris.  1876; 
Princiiies  de  métaphysiqtie  et  de  psycologie,  in  2  voli., 
Paris.  1897:  c  una  raccolta  di  lezioni  universitarie,  inte¬ 
ressante  per  valutare  la  mentalità  di  questo  indirizzo. 
E.  Vacherot,  Le  nouveau  spiritiialisnie,  Paris.  1888.  Cfr 
in  proposito  il  mio  articolo;  Il  nuovo  spiritualismo  fran¬ 
cese  iliivista  di  filosofìa,  1910.  fase.  111).  Per  la  filosofia 
della  libertà:  Ch.  SéCBETAX.  La  philosophie  de  la  liberlé, 
in  2  voli..  Paris.  1809.  L’articolo  di  P.  Janct  sul  Sé- 
cretan,  a  cui  si  allude  nel  testo,  fu  pubblicato  nella 
Renile  des  deux  Mondes  del  15  aprile  1877  e  ristampato, 
con  una  risposta  del  Séeretan,  nel  voi.  cit.  del  J.:  Psych. 
et  inétaph. 

Capitolo  IL  —  Sul  fenomenismo:  Cn.  Renoi'VIEH.  Es- 
sais  de  crilique  générale:  1.  Logiqiie,  Paris.  1854  (2*  ediz., 
in  3  voli.,  1875);  li.  Psgchotogie  rationelle,  Paris,  1859 
(2»  ediz.,  in  3  voli.,  1875);  IH.  Princ.ipes  de  la  nature, 
Paris,  1864  (1875*);  IV.  Inlroduclion  à  la  philosophie  ana- 
lytique  de  l'histoire,  Paris,  1864  (1896*);  La  nouvelle  mo¬ 
nadologie  (in  collaboraz.  con  L.  Prat),  Paris,  1899;  Le 
personalisme,  Paris,  1912.  Cfr.  inoltre  VAnnée  philoso- 
phiqiie,  ed.  dal  Pillon.  dove  sono  raccolti  molti  articoli 
del  Renouvier  e  dei  suoi  seguaci.- — J.  .1.  (ìolrd.  Le  phé- 
nomène,  Paris,  1888;  Les  trois  dialectiques  IReniie  de  mét. 
et  de  mor.,  1897,  pp.  1-34,  129-161,  285-319);  Philosophie 
de  la  religion,  Paris,  1911.  E.  Boirac,  L'idée  dii  phénoméne, 
Paris,  1894. 

Capitolo  HI.  —  J.  Lachelieb,  Dii  fondement  de  l'in- 
diiclion.  Illùse  de  doctorat,  Paris.  1871;  Psychologie  et 
métaphysique,  in  Rev.  pliilos.,  1885:  questo  saggio  è 
stato  poi  ristampato  in  appendice  alla  2“  ediz.  del  Fon- 
deni.  de  l'induct.,  (1902<).  Sul  Lachelier  cfr.  l’articolo  del 
Noel,  La  phil.  de  L.,  in  Rev.  de  métaph.  et  de  mor.,  1898. 
Per  gli  studi  hegeliani:  (J.  Noel,  La  logique  de  Hegel, 
Paris,  1897  (già  pubblicato  in  varie  puntate  nella  Rev. 
de  métaph.);  R.  Bebthelot,  Évolutiqnnisme  et  plalonisme 
cit.  (dove  è  riportata  una  conferenza  su  Hegel  e  una 
interessante  discussione  a  cui  questa  diede  luogo).  Dei 
kantiani:  L.  Liabd,  La  Science  positive  et  la  méliiphysi- 
qiie,  Paris,  1879;  F.  Evellin,  La  raison  pure  et  les  an- 
tinomies,  Paris,  1907;  (dell’Evellin  è  molto  noto  anche  il 


532 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


libro:  Infini  et  quantité,  Paris,  1880):  L.  Bbunschvicg, 
Spinoza,  Paris.  Alcan.  1906^;  La  nwdalité  da  juuemeni, 
Paris,  1897.  L.  VVbbeb,  Vers  le  positivisme  absolu  par 
l'idéalisme,  Paris,  1903. 

Capitolo  IV.  —  Sulla  filosofia  della  contingenza:  E. 
UotiTBOux.  De  la  contingence  des  loie  de  la  nature,  Paris, 
1874  (ristampalo,  poi,  più  volte,  immutato);  De  Vìdee  de 
la  loi  naturelle,  Paris,  1895;  G.  Milhaud,  Essai  sur  les 
condilions  et  les  limites  de  la  certitude  logique,  Paris, 
1898»;  Le  rationnel,  Paris,  1898;  A.  Mannequin.  Essai  cri- 
tique  sur  Vhgpothèse  des  atomes,  Paris,  1899»;  J.  Payot, 
La  crogance,  Paris,  1896;  H.  Poincaré,  La  Science  et 
l'hgpothèse,  Paris;  La  naleur  de  la  Science,  Paris,  1909; 
P.  Duhem,  La  théorie  phpsique,  Paris,  1906.  —  H.  Beboson, 
Essai  sur  les  données  immédiates  de  la  canscience,  Paris, 
1889  (1911'»);  Matière  et  mémoire,  Paris,  1896  (1911*); 
l,e  rire.  Essai  sur  la  signification  du  comique,  Paris, 
1900;  Introduclion  (i  la  métaphysique  (in  liev.  de  métaph. 
et  de  mor.,  1903);  L’éuolution  créatrice,  Paris,  1906  (1911*). 
Sul  Bergson,  cfr.  il  mio  saggio:  Lo  svolgimento  della  filo¬ 
sofia  di  H.  Bergson,  in  Cultura  (15  febbraio  1912).  Le  Boy, 
Science  et  philosophie  (Bev.  de  métaph.,  1899,  pp.  375- 
425,  .503-562.  708-731;  1900,  pp.  37-72);  Un  nouveau  positi¬ 
visme  (Hev.  de  métaph.,  1901);  Rémacle.  La  valeur  posi¬ 
tive  de  la  psgchologie  (Rev.  de  métaph.,  1894). 

Capitolo  V.  —  Sulle  scienze  sociali:  A.  Espinas,  Les 
societés  animales,  Paris,  1878»;  G.  Tarde,  Les  lois  de 
l’imitation,  Paris,  1890  (1904*);  E.  Durkeim,  direttore 
dellMnnée  sociologique:  La  division  du  travati  social, 
Paris,  1893  (1901»);  Les  règles  de  la  mélhode  sociologique, 
Paris,  1895  (1904»),  —  Sulla  storia:  P.  Lacombe.  De  l'hi- 
sloire  considerée  comme  Science,  Paris,  1894;  .\.  D.  Xéno- 
POL,  Les  principes  fondamentaux  de  l'histoire,  Paris  1899, 
ristampato,  con  notevoli  ampliamenti,  Paris,  1908,  col  ti¬ 
tolo:  La  théorie  de  l’histoire.  —  Sul  positivismo  plato- 
nizzanle;  A.  Fouillée.  L'auenir  de  la  métuphgsique  fon- 
dée  sur  l'experience,  Paris,  1889  (1895»);  La  psgchologie 
des  idées  forces,  2  voli.,  Paris,  1893  (1896»);  Le  mouve- 
menl  idéaliste  et  la  réaction  cantre  la  Science  positive, 
Paris,  1896  (1904»);  R.  Bebthelot,  Évolutionn.  et  Plato- 
nisme  cit.;  Ch,  Dunan,  Les  deux  idéalismes,  Paris.  1911. 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


633 


Sniretica  del  platonismo:  A.  Fouillée,  Critique  des  s;/- 
sfèmes  de  morale  contemporaine,  'Paris,  1883  (1894*); 
J.  M.  Guyau,  Ésquisse  d'une  morale  sane  obligation  ni 
sanction,  Paris.  1885  (1903’);  Irreligion  de  iavenir,  Pa¬ 
ris,  1887  (1904'). 

Capitolo  VI.  —  L’opera  del  Gratry  a  cui  si  fa  allu¬ 
sione  nel  lesto  è:  De  la  connaissance  de  l’dme,  in  2  voli., 
Paris,  1898’;  L.  Ollé-Laprune,  De  la  certitude  morale, 
Paris,  1881;  Le  prix  de  la  aie,  Paris.  1895’;  La  raison  et 
te  rationalisme  (postuma),  Paris,  1906;  V.  Brochard.  De 
t'erreiir,  Paris,  1897;  M.  Blondel,  l/aetion.  Essai  d’une 
critique  de  la  vie  et  d’une  Science  de  la  pratique,  Paris, 
1893.  Cfr.  ancora  l’importante  relazione  del  Blondel  al  II 
Congresso  internazionale  di  filosofia,  tenutosi  a  Parigi: 
La  logique  de  Vaction;  e  gli  articoli  che  egli  va  pubbli¬ 
cando  sotto  lo  pseudonimo  di  Testis  negli  Annales  de 
Philosophie  chrétienne.  —  Sul  modernismo:  L.  Labert- 
HONNIÈRE,  Le  réalisme  chrétien  et  ridéalisme  grec,  Paris, 
1904’;  Essnis  de  philosophie  religieuse,  Paris,  1903’;  Le 
Boy,  Dogme  et  critique,  Paris,  1907;  A.  Loisy,  L’Éuangile 
et  l'Église,  Paris,  1902;  Autour  d’un  petit  livre,  Paris, 
1903;  G.  Fonseorive,  Morale  et  societé,  Paris,  1907;  E. 
Botthoux,  Science  et  philosophie,  Paris,  1908.  Sul  mo¬ 
dernismo  è  fondamentale  l’opera  del  Gentile:  Il  mo¬ 
dernismo  e  i  rapporti  tra  religione  e  filosofia,  Bari,  1909. 
Una  ricca  bibliografia  è  data  dal  Prezzolini,  nel  vo¬ 
lume:  Il  cattolicismo  rosso,  Napoli,  1908.  —  Del  Sohel 
cfr.  Les  illusions  du  progrès,  Paris,  1908;  Réflexions  sur 
la  oiolence,  Paris,  1908. 

Parte  III.  LA  FILOSOFIA  A.NGLO-AMERICANA. — 
Ch.  Renouvier,  De  l’esprit  de  la  philosophie  anglaise  con¬ 
temporaine  (in  La  critique  philosophique,  1872);  F.  Bren¬ 
tano,  Les  sophistes  grecs  et  les  sophistes  contemporains, 
Paris,  1879. 

Capitolo  L  —  Sulla  filosofia  degli  scozzesi:  H.  Sid- 
wiCK,  The  philosophg  of  Common  ,Sense.  (,Mind.  N.  S., 
voi.  IV,  1895);  W.  Hamilton,  Lectures  on  Metaphgsiks 
and  Logic  edited  bg  Mansel  and  Weitch,  4  voli.,  London, 
1859-1860;  A.  L.  Mansel,  The  limits  of  Religious  Thought, 
Bumpton  Lectures;  London,  1858  (1867’);  J.  Stuart  Mill, 


534 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


An  Kxaminatìon  of  Sir  n'illiam  Hnmilton's  Philosopni/, 
Lond.,  1865.  —  Sulla  logica:  J.  S.  Mill,  A  Sgstem  of  Logik, 
Raliocinatioe  and  Inductiae.  beino  a  conneried  Vieni  of 
thè  Principles  and  thè  Methods  of  Scienlific  Investiga- 
tions,  London,  2  voli.,  1843  (1875>);  Kssngs  on  some  un- 
settled  Questions  of  Politicai  Economo,  Lond.,  1844  (1874’): 
importante  il  saggio  V,  dove  si  parla  della  dottrina  della 
definizione.  F.  H.  Brabley,  The  Principles  of  Logik,  Lond., 
1883;  B.  Bosanquet,  Logik  or  thè  Morphologg  of  Know- 
ledge,  2  voli.,  Oxford,  1888;  J.  M.  Baldwtn,  Thought  and 
Things.  (A  stiidg  of  thè  deiielopment  and  meaning  of 
thought  or  Genetic  Logik),  London,  e  New-York,  2  voli.; 

I,  1906;  11,  1908.  —  Sulla  psicologia  delFempirismo:  Tu. 
Ribot.  La  psgchologie  anglaise  contemporaine.  Paris,  1881. 

_  SuU’etica:  J.  St.  Mill.  Utilitarianism,  Lond.,  1863  (dal 

Frasers  Magazine  del  1861);  H.  Spencer,  Data  of  Ethics, 
1879.  Cfr.  G.  M.  Guyau,  La  morate  anglaise  contemporaine, 
Paris,  1885’.  —  H.  Spencer,  First  Principles,  Lond.,  1862. 
Sullo  Spencer  cfr.  O.  Gaupp,  Herbert  Spencer,  Stuttgart. 
1897.  Sulla  dottrina  della  scienza:  .1.0.  Maxwell,  Discourse 
on  moleculs  (in  Scientiflc  Papers,  ed.,  dal  Niven,  1890): 
Matter  and  motion,  London,  1872;  \V.  K.  Clifforb,  Lectu- 
res  and  Essags,  2  voli.,  London,  1902.  —  Sul  pramina- 
tismo:  0.  S.  Peyrcb,  How  lo  moke  our  ideas  clear  (thè 
Popular  Science  Monthly,  gennaio  1878);  W.  James,  Prin¬ 
ciples  of  Psychologu,  2  voli.,  Boston,  1890;  Will  lo  be- 
lieue,  New-York,  1897;  The  narieties  of  Religious  Expe¬ 
ri  enee,  New-ork  and  London,  1902;  Pragmatismi  A  new 
nome  for  some  old  ways  of  thinking,  New-York,  1907; 

J.  Dewey,  Studies  in  logicai  Theory,  Chicago,  1909.  Per 
la  letteratura  sul  prammatismo,  cfr.  il  Journal  of  Phi- 
losophy,  Psycology  and  Scientiflc  Methods,  ed.  da  F.  J.  E. 
Woodbridge.  —  Per  l’umanismo,  cfr.  F.  C.  S.  Schiller, 
Études  sur  l  humanisme,  trad.  fr.,  Paris,  1909.  —  Sulla 
logistica:  B.  Russell,  The  principles  of  mathematics, 
Cambridge,  1903;  L.  Couturat,  Les  principes  des  mafhé- 
matiques,  Paris,  1905.  —  S.  H.  Hodgson,  Time  and  Space, 
Lond.,  1865;  The  Methaphysic  of  Experience,  4  volumi, 
Lond.-New-York,  1898.  (Quest’opera  non  è  a  nostra  cono¬ 
scenza  diretta,  ma  ne  abbiamo  avuto  notizia  da  due  arti¬ 
coli,  l’uno  di  F.  de  Sarlo,  La  metafìsica  dell'esperienza 
delTHodgson,  in  Riuista  fllosoflca,  1900;  l’altro  di  L. 
Dauriac,  in  L’année  philosophique,  1901). 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


535 


Capitolo  II.  —  SulThegelismo  inglese:  .1.  H.  Stirling, 
The  secret  of  Hegel,  2  voli.,  Lond.,  1865  (1898=,  Edinburgh); 
W.  Wallace,  Introduction  to  thè  sludy  of  Hegel's  Hhiloso- 
phy  Oxford,  1894»;  E.  Caibd,  Hegel  (Blackwood’s  Phil.  Clas- 
sic,)  Edinb.-Lond.,  1888;  J.  B.  Baillie.  The  oriyin  and 
significance  of  Hegel’s  Logik,  London,  1901;  J.  Mac 
Taooart,  Studies  in  thè  hegelian  dialfclic,  Cambridge, 
1896;  Studies  in  hegelian  cosmology,  Cambridge,  1904. 
Di  J.  H.  Green,  cfr.  Introduction  to  Hume's  Treatise 
on  Human  Nature  (nell’ediz.  delle  opere  di  Hume.  a 
cura  del  Green  e  del  Grose,  Lond.,  1874-75);  Prolegomena 
to  ethics,  ed.  dal  Bradley,  Oxford,  1883  (1884»).  Sul 
Green,  D.  Parodi:  Vidéalisme  de  J.  H.  G.,  in  lìev.  de 
métaph.  et  de  mor.,  1896.  —  F.  H.  Bradley,  Appearance  and 
Realily.  d  Methaphysical  Essay,  London,  1893  (1902»), — 
Intorno  alla  fìlosofla  della  religione  cfr.  .1.  H.  .Newman, 
Ari  essay  in  nid  of  a  Grommar  of  assent,  Lond.,  1870;  l.e 
dèueloppement  du  dogme  chrétien  (par  H.  Breinond),  Pa¬ 
ris,  1905.  L’autobiografla  del  N.  è  stata  tradotta  in  ita¬ 
liano  col  titolo:  Il  cardinale  Newman,  Piacenza,  1909; 
G.  Tyrrel,  La  religion  exterieure,  tr.  fr.,  Paris,  1902.  E. 
Cairo,  The  euolution  of  Religion,  in  2  voli.  (Gifford  Lec- 
tures  degli  anni  1891-92,  Glasgow,  1899»;  W.  Wallace, 
'  Lectures  and  Essays  on  Naturai  Theology  and  Ethics 
edito  postumo  dal  Caird,  con  una  biografia),  Oxford, 
1898. — J.  B.  Baillie,  An  outline  of  thè  idealistic  con- 
struction  of  Experience,  London,  1906.  ,1.  Wabd,  Natura- 
lism  and  agnosticism,  2  voli.,  London,  1899  (1903»);  The 
renlm  of  ends,  or  Pluralism  and  Theism,  Cambridge, 
1911.  —  J.  Rovce,  The  spirit  of  Modem  Philosophy,  Bo¬ 
ston.  1892;  The  world  and  thè  indinidual,  New-York, 
1901,  in  2  voli. 


Parte  IV.  LA  FILOSOFIA  ITALIANA.  — B.  Spaventa, 
La  filosofia  italiana  nelle  sue  relazioni  con  la  filosofia 
europea,  Bari,  1909;  F.  Fiorentino,  La  filosofia  contem¬ 
poranea  in  Italia,  Napoli,  1876;  G.  Gentile,  La  filosofia 
in  Italia  dopo  il  1850  (pubblicata  uella  l»  serie  della 
Critica).  Un  ricco  materiale  di  recensioni,  varietà,  do¬ 
cumenti  si  trova  ne  La  Critica,  Rivista  di  Letteratura, 
Storia  e  Filosofia,  diretta  da  B.  Croce  (si  pubblica  dal 
1903). 


536 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


Capitolo  I.  —  Sul  Rinascimento:  B.  Spaventa,  Saqgi 
di  crilica,  Napoli,  1886’  G.  Gentile,  B.  Telesio,  Bari, 
1912,  e  Storia  della  filosofia  italiana  (in  corso  di  pubbl, 
presso  il  Vallardi  di  Milano);  V.  Fazio  Allmaybh,  Galileo 
Galilei  (nella  collezione  del  Sandron:  /  grandi  Pensa¬ 
tori),  Palermo,  1912.  —  Sulla  posizione  storica  di  Machia¬ 
velli  non  è  stata  aggiunta  ancora  una  sola  linea  a  quanto 
ha  detto  il  De  Sanctis  nella  sua  Storia  della  letteratura 
italfana.  —  Del  Bruno  v.  la  recente  edizione  dei  Dialoghi 
italiani  a  cura  del  Gentile:  I.  Dialoghi  metafisici,  Bari, 
1907;  11.  Dialoghi  morali,  Bari,  1908  (nella  Collana  di 
Classici  della  filosofia  moderna,  a  cura  di  B.  Croce  e 
G.  Gentile).  Sul  Bruno,  v.  B.  Spaventa,  Saggi  di 
critica,  cit.;  inoltre  La  fìlos.  ital.  nelle  sue  relaz.  ecc.,  e 
G.  Gentile,  G.  fì.  nella  storia  della  cultura,  Palermo, 
1907.  —  Intorno  al  Campanella,  v.  le  due  opere  testé  ci¬ 
tale  dello  Spaventa.  Fondamentale  è  il  libro  dell’.A  ma- 
bile,  La  congiura,  il  processo  e  la  follia  di  T.  Campa¬ 
nella  (Napoli,  Morano,  1883)  e  Campanella  nei  castelli 
di  Napoli,  in  Roma  e  in  Parigi  (ivi,  1887).  —  Sul  Galileo, 
cfr.  il  volume  cit.  del  Fazio. — ^  Di  G.  B.  Vico  si  va  cu¬ 
rando  una  nuova  edizione  completa  delle  opere  nella 
collezione  del  Laterza  Scrittori  d'Italia.  Nei  Classici 
della  Filosofia  moderna  è  stata  testé  pubblicata,  a  cura 
di  F.  Nicolini,  una  edizione  della  Scienza  Nuova,  con 
ampie  annotazioni  e  un’importante  prefazione.  Sul  Vico 
cfr.  B.  Spaventa,  La  filos.  ital.  cit.;  F.  De  Sanctis, 
St.  della  letter.  it.]  recentemente,  B.  Croce,  La  filosofia 
di  G.  lì.  Vico,  Bari,  1912  e  G.  Gentile,  La  prima  fase 
della  filosofia  di  Vico  (nella  Miscellanea  di  studi  in  onore 
di  F.  Torraca),  Napoli,  1912.  —  Del  Galluppi,  cfr.:  Saggio 
filosofico  sulla  critiou  della  conoscenza,  Napoli,  1819-32. 
Vari  accenni  al  Galluppi  si  trovano  nelle  opere  di  B. 
Spaventa;  v.  inoltre:  G.  Gentile,  Dal  Genovesi  al  Gal¬ 
luppi,  Napoli,  1903. —  A.  Rosmini-Sbrbati,  Nuovo  Saggio 
suH'origine  delle  idee,  Roma,  1830.  Intorno  a  R.:  V.  Gio¬ 
berti,  Degli  errori  filosofici  di  .Antonio  Rosmini,  3  voli., 
Bruxelles,  1841-44;  B.  Spaventa,  Scritti  filosofici,  ed. 
dal  Gentile,  Napoli,  1900;  G.  Gentile,  Rosmini  e  Gio¬ 
berti,  Pisa,  1898.  —  Del  Gioberti  si  può  vedere  La  Nuova 
Protologia,  curata  dal  Gentile,  in  2  voli.,  Bari,  1912  (nella 
Collana  di  Classici  della  filos.,  ecc.).  Cfr.  inoltre:  B.  Spa¬ 
venta,  Im  filosofia  di  Gioberti,  Napoli,  1863;  La  filos. 
ital.  ecc.;  inoltre  il  saggio  cit.  del  Gentile,  R.  e  G. 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


537 


Capitolo  II.  —  T.  Mamiani,  Del  Rinnovamento  della  fi¬ 
losofia  in  Italia,  Parigi,  1834;  Confessioni  di  un  metafisico, 
ip  2  voli.,  Firenze,  1865.  L.  Ferri,  Essai  sur  l'histoire  de 
la  philosophie  en  Italie  au  X/X«  siècie,  in  2  tomi,  Paris, 
1869;  Il  fenomeno  sensibile  e  la  percezione  esteriore,  ossia 
i  fondamenti  del  realismo  (Acc.  dei  Lincei,  1887-88).  G. 
M.  Bf.htini,  Idea  di  una  filosofia  della  vita,  in  2  voli.,  To¬ 
rino,  1850.  F.  Ferrari,  La  filosofia  della  rivoluzione,  Lon¬ 
dra,  1851  (in  2  volumi).  —  Sul  positivismo:  C.  Cattaneo, 
Opere  edite  e  inedite,  Firenze,  1892;  P.  Villari,  Arte, 
Storia,  Filosofia,  Firenze,  1884;  A.  Gabelli,  L’uomo  e  le 
scienze  morali,  Milano,  1869;  A.  Angiulli,  La  filosofia  e 
la  ricerca  positiva,  Napoli,  1868;  La  filosofia  e  la  scuola, 
Napoli.  1888;  R.  Ardigò,  Opere  filosofiche  (sono  stali 
pubblicati  finora  XI  voli.).  —  SuIl’A.  cfr.:  G.  Marche¬ 
sini,  La  vita  e  il  pensiero  di  R.  Ardigò,  Milano,  1907. 
Organo  del  positivismo,  dal  1881  al  1891  è  stata  la  Ri¬ 
vista  di  filosofia  scientifica,  edita  da  E.  Morselli.  Cfr. 
inoltre  la  Rivista  di  filosofia  e  scienze  affini,  editV  da 
uno  scolaro  dell’Ardigò,  il  Marchesini.  (Questa  rivista 
s’è  fusa  dal  1909  con  la  Rivista  filosofica  del  Cantoni  in 
una  Rivista  di  Filosofia  ed  ha  assunto  un  indirizzo  eclet¬ 
tico). — -Intorno  alla  filosofia  dualistica:  F.  Bonatelli, 
Fensiero  e  conoscenza,  Bologna,  1864;  Percezione  e  Pen¬ 
siero  (.Atti  del  R.  Istituto  veneto  di  scienze,  lettere  ed 
arti,  tomo  III,  serie  VII,  1892).  C.  Cantoni.  E.  Kant,  voi.  I.: 
La  filosofia  teoretica-,  voi.  II:  La  filosofìa  pratica;  voi.  Ili: 
La  filosofia  religiosa,  la  critica  del  giudizio  e  le  dottrine 
minori,  .Milano,  1879-1884.  F.  Acri,  Videmus  in  aenig- 
mate,  Bologna,  1907.  F.  de  Sarlo,  Studi  sulla  filosofia 
contemporanea,  Roma,  1901;  /  dati  dell’esperienza  psi¬ 
chica,  Firenze,  1903;  inoltre  vari  articoli  pubblicati  nella 
Cultura  filosofica  da  lui  diretta.  B.  Vahisco,  Scienza  e 
opinioni,  Roma,  1901;  /  massimi  problemi,  Milano,  1910. 
Recentemente  il  V'arisco  ha  pubblicato  un  al-tro  volume: 
Conosci  te  stesso,  Milano,  1912,  di  cui  abbiamo  parlato 
neH’Appendice.  —  Sul  neo-kantismo:  F.  Fiorentino,  Ele¬ 
menti  di  Filosofia  (ad  uso  dei  licei)  ed.  dal  Gentile, 
Napoli,  1907;  F.  Masci,  Una  polemica  su  Kant,  l’Estetica 
trascendentale,  e  le  Antinomie,  Napoli,  1872;  Le  forme 
dell’intuizione,  Chieti,  1881;  Il  materialismo  psicofisico 
e  la  dottrina  del  parallelismo  in  psicologia,  Napoli,  1901; 
P.  .Martinetti,  Introduzione  alla  metafisica,  Torino,  1904. 


538 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


Capitolo  111.  —  Suirhegelismo:  A.  Vera.  Iniroduction 
à  la  philosophie  de  Hegel.  Paris,  1855  (1864=);  La  logique 
de  Hegel,  Paris,  1859.  B.  Spaventa,  La  filosofia  di  Gio¬ 
berti.  Napoli,  1863:  Saggi  di  critica  filosofica,  politica,  re¬ 
ligiosa,  voi.  I,  Napoli,  1867  (1883=);  Esperienza  e  meta¬ 
fisica.  opera  postuma  a  cura  di  D.  Jaia,  Torino-Roma, 
1888;  Scritti  filosofici,  con  note  e  un  discorso  sulla  vita 
e  sulle  opere  dell’Autore,  a  cura  di  G.  Gentile,  Napoli, 
1900;  Principi  di  etica,  a  cura  di  G.  Gentile,  Napoli, 
1904;  Da  Socrate  a  Hegel,  nuovi  saggi,  a  cura  di  G.  Gen¬ 
tile,  Bari,  1905;  La  filosofia  italiana  nelle  sue  relazioni 
con  la  filosofia  europea,  a  cura  di  G.  Gentile,  Bari, 
1908;  Logica  e  metafisica,  a  cura  di  G.  Gentile,  Bari, 

1911. _ Della  Storia  della  letteratura  italiana  di  K.  de 

Sanctis  è  stata  fatta  testé  una  nuova  edizione  a  cura  di  B. 
Croce  (nella  Collana  Scrittori  d'Italia).  — Sul  marxismo: 
A.  Labriola,  Saggi  intorno  alla  concezione  materialistica 
della  storia.  1:  In  memoria  del  manifesto  dei  comunisti, 
Roma,  1895  (1902=);  li:  Del  materialismo  storico.  Dilu¬ 
cidazione  preliminare,  Roma,  1896;  III:  Discorrendo  di 
socialismo  e  di  filosofia.  Roma,  1902=;  B.  Croce.  .Materia¬ 
lismo  storico  ed  economia  marxistica,  Palermo,  1900 

(19072). _ Di  B.  Croce  cfr.:  La  filosofia  dello  Spirito.  1: 

Estetica,  come  scienza  dell’espressione  e  linguistica  ge¬ 
nerale,  Palermo,  1902  (1912‘,  Bari);  li:  Logica  come 
scienza  del  concetto  puro,  Bari,  1908=;  111;  l'ilosofia  della 
Pratica.  Economica  ed  etica,  Bari,  1908;  Saggi  filosofici. 
1:  Problemi  di  estetica  e  contributi  alla  storia  dell’este¬ 
tica  italiana,  Bari,  1911;  II:  La  filosofia  di  G.  B.  Vico, 
Bari,  1912;  v.  inoltre  la  Critica,  cit.  Intorno  a  questa  ri¬ 
vista  sono  sorte  due  collane  di  testi:  Classici  della  filo¬ 
sofia  moderna,  e  Scrittori  d’Italia,  per  l’editore  G.  La- 
terza  di  Bari.  —  Di  G.  Gentile,  oltre  gli  articoli  che  va 
pubblicando  in  Critica,  cfr.:  Rosmini  e  Gioberti,  Pisa, 
1898;  Il  concetto  scientifico  della  pedagogia,  Roma,  1900; 
Dal  Genovesi  al  Galluppi,  Napoli,  1903;  Il  concetto  della 
Storia  della  filosofia,  Pavia,  1908  (dalla  Rivista  filosofica); 
Il  modernismo  e  i  rapporti  tra  religione  e  filosofia,  Bari, 
1909;  L’atto  del  pensare  come  atto  puro,  Palermo,  1912 
{.Annuario  della  biblioteca  filosofica,  voi.  1). 

Rimando  all’Appendice  per  la  rassegna  bibliografica 
degli  scritti  pubblicati  posteriormente  al  1912. 


NOTA  BIBLIOGRAFICA 


539 


Avvertenza.  —  Nel  testo  abbiamo  generalmente  ri¬ 
spettato  la  cronologia:  ma  evidentemente,  dove  si  parla 
di  scrittori  contemporanei,  è  il  criterio  dell’esigenza  di 
pensiero  che  essi  rappresentano  quello  che  decide  del 
posto  che  spetta  a  ciascuno.  Lo  stesso  criterio  vale  per 
ciò  che  concerne  i  vari  periodi  dell’attività  fllosoflca  di 
uno  stesso  pensatore. 


No comments:

Post a Comment