LA FILOSOFIA ITALIANA
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(ì. I»K huGGiKKO. La filosofia coniemfor>tnea.
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I
DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
1. La fortuna dei nostri filosofi. — Con la filo-
soTia italiana vogliamo rifarci dalle origini. Se c’è
un paese che può vantare uno svolgimento origi¬
nale di pensiero, dal Rinascimento ai nostri giorni,
questo è appunto l’Italia. E nel tempo stesso, sem¬
bra che nessun paese possa deplorare, con maggior
diritto delTItalia, il disconoscimento più pieno della
sua vita mentale.
Il nostro Rinascimento è in generale conosciuto;
ma, dopo, ci si sequestra dalla circolazione del pen¬
siero europeo: Vico è lettera morta fuori d’Italia; e
il secolo XIX offre questa stranezza, che vengono ele¬
vati a fama europea scrittori mediocri come l’Hamil-
ton, il Cousin e più tardi il Lotze, mentre sono igno¬
rati un Rosmini, un Gioberti, uno Spaventa, tre pen¬
satori geniali, che proseguono la tradizione specula¬
tiva del pensiero europeo, proprio quando sembrava
interrotta, nella fine apparente dell’idealismo tedesco.
Io non starò qui a fare un ridicolo processo agli
stranieri per averci dimenticati: noi per i primi
non ci siamo dimostrati all’altezza del nostro pas¬
sato; e le stesse condizioni civili e politiche d’Italia
nel secolo XIX hanno purtroppo contribuito alla
sprezzante dimenticanza Si, perché la circolazione
i
350 LA FILOSOFIA IT.ALIANA
del pensiero avviene in modo diverso nei tempi mo¬
derni che nel Rinascimento. Allora potevamo, anche
politicamente schiavi, dettar le leggi della cultura
agli stranieri: allora infatti la vita del pensiero era
l’universalismo astratto, naturalistico, che neutra¬
lizza le diflerenze della storia: la sua espressione è
il concetto della sostanza del Bruno, l’unità indiffe¬
rente degli opposti. Nel secolo XIX, invece, s’inizia
un movimento profondo d’individuazione: è il pe¬
riodo dello storicismo. Il pensiero non vive più
astratto dalla sua vita storica, e, fuori deU’indivi-
duazione politica, sociale, morale d’un popolo è
nulla, è flatus vocis. Cosi si sono affermate la cultura
tedesca, quella francese, quella inglese: culture di
popoli formati. La nostra no. Noi avemmo due grandi
pensatori. Rosmini e Gioberti, ma erano un’antici¬
pazione sulla nostra realtà storica. Noi non h cele¬
brammo che quando volemmo far la nostra stona:
il loro pensiero rifulse di vivida luce nel 1848; ma
diventò cosa morta nel ’49. E l’Italia che si forniò
nel ’fiO non fu rosminiana né giobertiana: perché?
Purtroppo è nota la decadenza mentale e morale di
quella nuova Italia: la sua voce non era più la voce
generosa di Gioberti, ma la molle cantilena di Ma-
miani e l’accento rauco di Ferrari.
Nel 1861, in un corso di filosofia, che resterà
celebre nella storia del nostro pensiero, il terzo dei
grandi pensatori italiani, Bertrando Spaventa, rievo¬
cava le glorie del nostro passato, e spiegava a una
folia d’ignari lo svolgimento originale del pensiero
italiano nei suoi rapporti col pensiero europeo : nella
nuova luce da lui diffusa sulla nostra filosofia. Bruno
e Campanella trovavano il loro posto nella storia del
pensiero come precursori di Cartesio, di Spinoza e
di Locke; Vico, come il geniale presentimento di
I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
357
Kant; e infine, Galluppi, Rosmini, e Gioberti rappre¬
sentavano la coscienza via via più compiuta del
kantismo, come questo s’era svolto in Germania per
opera di Fichte e di Hegel. Ma lo Spaventa avver¬
tiva che la caratteristica dell’ingegno italiano in
tutti i tempi era quella di es.sere precursore, di avere
il presentimento delle nuove verità, ma di non sa¬
perle svolgere, e di falsificarne perfino il senso e la
portala. Ma con la rinnovata coscienza della pro¬
pria storia, lo Spaventa sperava che ritalia risorta
allora a unità politica, potesse riprendere, in una
piena consapevolezza, il posto che le spettava nella
cultura. Ed egli stesso ne additava la via, con uno
sforzo tenace, che durò tutta la sua vita, per porsi
all’altezza del movimento storico, comprimendo ogni
impulso del suo pensiero originale per rivivere in¬
tensamente il pensiero altrui; facendosi perpetuo
scolaro, per poter diventare il vero maestro degli
italiani.
Ma l’Italia alla quale egli parlava non era in
grado di capirlo: ell’era quella stessa Italia che
aveva pervertito il giohertismo in una speculazione
flaccida e senza sangue; la filosofia dei bramani, come
lo stesso Spaventa diceva. Ond’è che il geniale hege¬
liano parve a taluni un mistico, ad altri un sovverti¬
tore della scolastica; a nessuno quello che in realtà
era. I falsi nazionalisti gli rimproveravano il suo
hegelismo; i falsi hegeliani il suo nazionalismo: in
verità gli rimproveravano gli uni gli errori degli
altri: dalla doppia taccia egli era immune: egli che
sentiva, si, italianamente la filosofìa, ma la pensava
universalmente.
Il primo insegnamento dello Spaventa, come
quello ilei suo granile conterraneo, il De Sanctis,
fu dunque infruttuoso; a riceverlo, le menti erano
358
LA FILOSOFIA ITALIANA
impreparate. Non cosi oggi, che nella rinascente ita¬
lianità. noi impariamo a vivere in comunione col
nostro passato, consci che ogni sviluppo della vita
speculativa è possibile solo mediante una piu salda
continuità con la tradizione storica. L’Italia nostra
non s’è fatta net 1860 ma si va facendo ai nostri
giorni ' : quella stessa Italia che va conquistando una
posizione sempre più eminente tra i popoli, afferma
la forza interiore di questa ascensione col rinnova¬
mento della sua coscienza speculativa. In tale rin¬
novamento. risorgono i nostri grandi, Francesco De
.Sanctis. Bertrando Spaventa; attraverso essi, noi
ci colleghiamo al nostro passato. Io esporrò breve¬
mente Tammaestramento loro (e di quelli che pro¬
seguendone l’opera hanno contribuito con loro al
presente risveglio) su questo passato.
2. Il Rinascimento e Machiavelli. Gli albori
del pensiero moderno sono da ricercare nell’uma-
nismo. Ivi la filologia già lascia intravvedere il
principio e l’indirizzo della nuova filosofia; ivi già
si accenna quel ritorno all’antico che è invece
creazione del nuovo. Sotto i colpi dell’umanismo
comincia il dissolvimento della scolastica, che pro¬
segue poi, più rapido, nel rinnovamento della vita
civile e politica, e della speculazione che l’esprime.
Qual è il significato della scolastica? Essa è un con¬
nubio del cristianesimo con l’aristotelismo. Il Dio
che si era umanizzato in Cristo si naturalizza nella
logica aristotelica: diviene l’Ente, l’oggetto, nei
quadri della sillogistica. 11 monumento della scola¬
stica è la prova ontologica di Anseimo. Questo natu-
1 Queste parole sono
state scritte nel 1911.
I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
359
ralismo è già un grande progresso: non è il na¬
turalismo fisico dei presocratici, non il naturalismo
ideale dei platonici, ma è naturalismo divino. Per
mezzo suo si svolge la contradizione del cristiane¬
simo, con la sua doppia alTermazione dell’umanità
e della divinità di Dio. E il nuovo naturalismo del
Rinascimento, che sorge come negazione di quello
scolastico, contiene in realtà la doppia esigenza,
nella sua unica aflermazione della divinità e umanità
della natura. Con esso s’inizia l’età veramente
umana della lìlosofia.
Quanto al suo procedimento speculativo, la sco¬
lastica si compendia nei princìpi della sillogistica;
la sua visione etica del mondo, poi, nell ascetismo
e nel misticismo: la speranza messianica implica la
svalutazione della realtà attuale e della vita. E il
Rinascimento è l’antitesi di entrambi gl’indirizzi:
esso è la sopravvalutazione della vita — quella che
la libertà comunale, gli attivati commerci e i rap¬
porti politici promovevano e intensificavano; e in
pari tempo esso è Patteggiamento nuovo del pensiero
speculativo, che non ha una realtà fatta innanzi a
sé, da sillogizzare, ma crea la sua realtà, osservando,
provando, inducendo. Nascono cosi due scienze, la
politica e la fisica, ambedue dal me<ìesimo indirizzo,
rivolto a umanizzare i rapporti della vita civile e
delia realtà naturale. Eppure l’una non sa dell’altra
e non intende che concorre con l’altra: da questa
reciproca ignoranza deriva quell’ombra del trascen¬
dente, residuo della scolastica, che attenua la forza
della nuova speculazione: è la doppia proiezione
dell’ignoto, dall’un capo all’altro. Manca in Italia
la concezione della scienza universale, che ammi¬
riamo in uno Spinoza o in un Leibniz: Machiavelli
e Galileo non trovano la loro unità.
360
LA FILOSOFIA ITALIANA
Perciò abbiamo i politici da una parte, i natu¬
ralisti dall'altra: i lìlosofì qui non rappresentano
l’unica chiarezza della doppia posizione. La loro
visione è ancora torbida; ancora il movimento non
è giunto alla maturità della rillessione. La realta
nuova che si fa nella mente di Machiavelli o di
Galileo non si esprime ancora con chiarezza nella
speculazione di Bruno o di Campanella.
Il pensatore che meglio rappresenta la formazione
dello spirilo moderno è Machiavelli. In lui già tutta
la scolastica è virtualmente superata: alla vita asce¬
tica del medio evo subentra la vita attiva del con¬
sorzio politico: all’arte sillogistica, l’osservazione
della realtà umana nei nessi causali della stona. In
lui già si trovano come concentrate tutte le tendenze
dell’uomo nuovo. Come l’umanista si trasferiva nel
passato per liberarsi dal linguaggio barbaro de a
scolastica; come più tardi Bruno si richiamerà al a
lilosolia di Pitagora e degli Kleati per vinceie a
.stessa barbarie nella filosofia, cosi Machiavelli cerca
di attingere ai grandi storici dell’antichità i mezzi
per liberare l’uomo dalle contingenze storiche, quali
sono tutte le forme e istituzioni medievali sorrette
dall’autorità di una tradizione irrazionale*. A che
mena questo indirizzo? A neutralizzare le differenze
della storia, a concepire l’umanita come una forza
potente, retta da leggi fatali e inesorabili, da una
logica interiore che annulla ogni autonomia degli
individui. Non è dunque l’umanità come mentali a.
concetto assai più recente, ma come sostanza; Ma¬
chiavelli anticipa nella politica la posizione di Bruno
e di Spinoza. Ma non ha egli, nel Principe, dato
1 G. Gentile. B. Telesio, Buri, 1911, p. 30.
I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
361
un’allerniazione potente deirindividiialità umana?
Si, allo stesso modo che Bruno atTennerà la monade
nel suo naturalismo: non come principio e presen¬
timento di vita spirituale, quale sarà per Leibniz,
ma come semplice contrazione e concentrazione della
sostanza. Cosi col Principe vagheggiato da Machia¬
velli, l’umanità non si eleva a una vita spirituale e
libera, a una vera individualità, ma al contrario
vien consacrato e ribadito il più rigido naturalismo.
Ma questo naturalismo è tutto nuovo, ed è l’an¬
titesi di quello scolastico. Ora l’antica trascendenza
è negata, e l’uomo è spiegato nella sua realtà efTet-
tuale, secondo le forze e le leggi della propria na¬
tura: è la prima affermazione deH’autonomia umana
e dcH’immanenza del processo storico: è il pensiero
moderno che acquista coscienza di essere l’autore
della propria storia. Ma, come naturalismo, ha il
difetto di ogni naturalismo: quello di creare una
nuova trascendenza nel seno stesso deH’immanenza.
Il concetto della patria, nel Machiavelli, come os¬
serva il De Sanctls, rassomiglia troppo all’antica
divinità, e assorbe in sé religione, moralità, indivi-
<lualità. Il suo Stato non è contento di essere auto¬
nomo esso, ma toglie l’autonomia a tutto il rima¬
nente. Ci sono i diritti dello Stato: mancano i diritti
dell’uomo. Siamo insomma con l’unità neutra della
sostanza.
3. Bruno e Campanella. — Tutta la specula¬
zione del secolo XVI e XVII non supera questo con¬
cetto, e non fa che svolgerlo; anzi, per la maggior
difficoltà della posizione speculativa, non sempre sa
mantenersi a tale altezza, e ricade spesso in piena
scolastica. Telesio, Bruno, Campanella, sono ì teorici
362
LA FILOSOFIA ITALIANA
(lei nuovo naturalismo. Con essi s’inizia, in piena
coscienza, la dissoluzione della filosofia aristotelica,
o di quella parte almeno di essa, che è a fondamento
della scolastica. Il dualismo di materia e forma,
potenza ed atto, su cui poggiava l’intuizione medie¬
vale del mondo, è attaccato con vigore: già per
Telesio la natura, la materia non è la mera priva¬
zione, ma una realtà positiva, che non ha fuori di sé
le sue ragioni, ma si spiega iurta propria principia.
K Bruno satireggia nei suoi dialoghi il dualismo,
col dire: se la materia è la pura potenza, come mai
avrà l’atto? Quella pretesa potenza è dunque, con
più verità, un’impotenza. Il nuovo concetto hru-
niano è che la materia è fonte di attualità, e la forma
non le è e.strinseca; anzi, quando si dà la causa della
corruzione, non si dice che la forma fugge o lascia
la materia, ma piuttosto che la materia rigetta quella
forma, per prenderne, un’altra. Non si tratta cosi
della mera materia dei tìsici, ma della materia che
ha consustanziata la sua forma, cioè a dire del con¬
cetto speculativo della sostanza.
L’atteggiamento di Bruno è consono al suo prin¬
cipio. Kgli dice di voler considerare profondamente
coi rdosofi naturali e lasciare i logici nelle lor fan¬
tasie. Questo disprezzo- per la logica segna la sco¬
perta delta nuova logica, della mente e insieme
della natura. È una e medesima scala, per la quale
la natura discende alla produzione delle cose e l’in¬
telletto ascende alla cognizione di quelle; e l’una e
l’altro dall’unità procedono all’unità, passando per
la moltitudine dei mezzi. K la logica della sostanza,
della pura identità immediata: non più l’identità
vuota della sillogistica, ma l’identità della scala,
o dell’ordine causale, come dirà più esplicitamente
Spinoza.
I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
363
L’unità della sostanza è afTermata da Bruno con
un vigore e un entusiasmo veramente grandiosi. t..a
profonda considerazione dei filosofi naturali gli mo¬
stra che tutto ciò che fa differenza e numero è puro
accidente, pura Figura, è pura complessione. < Ogni
produzione, di qualsivoglia sorte che sia, è un’alte¬
razione, rimanendo la sostanza sempre medesima;
perché non è che una: uno ente divino, immortale. >
Essa è la sola cosa stabile ed eterna: ogni volto, ogni
faccia, ogni altra cosa è vanità, è come nulla; anzi
è nulla tutto ciò che è fuor di questo uno. Spinoza
non parlerà con maggior vigore, ma a differenza di
Bruno, egli non indietreggerà d’un passo dalla po¬
sizione conquistata. Il filosofo italiano, come già
Telesio, e poi Campanella, alterna il nuovo col
vecchio: più veemente di Spinoza, è assai meno
coerente, e accanto al nuovo Dio lascia sussistere
l’antico.
Più oscillante ancora di Bruno è Campanella,
benché rappresenti un’esigenza nuova del pensiero
.speculativo. La difficoltà del concetto di sostanza è
che il pensiero, naturalizzandosi nell’oggetto, non
può spiegare sé stesso. La sostanza è conosciuta ma
non si conosce: come ciò è possibile? Come può
l’uomo, un semplice modo o accidente, conoscere la
sostanza, ed elevarsi a Dio, se è semplice effetto?
come l’effetto ritorna alla causa? *. Il nuovo pro¬
blema che il concetto della sostanza apre alla spe¬
culazione è quello del conoscere, e ad esso si ap¬
punta il pensiero del frate di Stilo.
Campanella è confusamente il Cartesio e il Locke
della iìlosofla italiana. Muove dal dubbio scettico e
trova la certezza nella coscienza di sé, nel xensus
B. Spatonta, Saggi di critica, Napoli, I8882, p. Iti.
364
LA FILOSOFIA ITALIANA
abciilus, ma d’allra parte fonda la conoscenza della
natura sul semplice sensus addilux. Le due esigenze
restano in lui inconciliate: per avere una concilia¬
zione si dovrà giungere fino a Kant. Ond’è che la
certezza delle cose esteriori sembra a Campanella
ora uno sviluppo, ora una caduta, ora un incre¬
mento, ora un limite. 15 l’intonazione generale del
suo pensiero è, nella metafisica, il razionalismo — la
dottrina delle primalità fondata sul sensus abditiis;
nella teoria del conoscere l’empirismo — la mera
certezza sensibile e la concezione dell’intelletto
come semplice senso illanguidito.
Ma se per questo verso egli fa un gran passo su
Bruno, gli resta poi di gran lunga indietro per la
convinzione e la fede nell’inlinita presenza di Dio
nell’universo: Campanella è in qualche modo, e quasi
inconsciamente, il filosofo della restaurazione catto¬
lica, come fha definito lo Spaventa: egli, col suo ra¬
zionalismo, non toglie i ceppi alla scienza, se non
perché questa se li rifaccia da sé medesima e si sot¬
tometta liberamente. Ma l’entusiasmo di Bruno non
troverà il suo riscontro che nello sforzo tenace di
Galilei. Con questo la Scolastica, solo virtualmente
superata nella filosofìa del Rinascimento, è vinta per
sempre. Il naturalismo non è più soltanto celebrato
come nuova tendenza dello spirito, ma è la nuova
attualità spirituale: nella nuova scienza si umanizza
la natura, che non è più la mera privazione degli
scolastici, né la divinità ancora trascendente della
speculazione, ma è la scienza stessa, l’atrermazione
deU’umanità concreta del mondo — di quel mondo
che non ci è estraneo ma interiore, e che vive della
stessa nostra vita di ricerca e di conquista incessante.
I. - DA MACHIAVELLI A GlOBEItTI
3H5
4. Vico. — Tra Machiavelli e Vico corrono due
secoli, e ratteggianieiito mentale è profondamente
mutato. All’apparenza li direste vicini, rivolti come
.sono tutti e due al passato, per attingere da esso la
loro forza. Ma con che occhio diverso lo guardano!
.Machiavelli vede nel passato il mezzo per liberare
il presente dalle accidentalità storiche e per contem¬
plar l’uomo nell’intimità della sua natura, delle sue
passioni: egli fonda così la politica. Con Vico, il na¬
turalismo umano del Rinascimento è già sorpassato,
e l’esperienza storica non suggerisce più alcuna di¬
stinzione tra sostanza ed accidente, ma la conside¬
razione nuova dello sviluppo, dello spiegamento
della mente umana: Vico fonda la storia.
Le due mentalità sono profondamente diverse.
La tradizione dei politici si continua attraverso il
(ìuicciardini, il Paruta, il Sarpi, ed ha un lontano
rappresentante, nel secolo XVIll, nell’abate Galiani.
Anche questi, come Vico, fa la critica del suo secolo,
e del giacobinismo che quello prepara; ma la sua
critica non preannunzia il secolo seguente; essa è
quella del vecchio politico, che, incapace d’inten¬
dere le nuove aspirazioni del giovane, ha e.sperienza
per avvertire le sue fanciullaggini e sorridere alle
sue illusioni ’.
La critica di Vico è al contrario novatrice. Essa
investe tutto il pensiero del secolo XVlll, il carte¬
sianismo e il sensismo. All’universalità astratta del
primo che non spiega la scienza, perché vuol fon¬
darla sulla rivelazione immediata dell’evidenza. Vico
contrappone l’intuizione genetica delle cose, che le
1 P. un'acuta osservazione de! Croce: cfr. : Il pensiero del-
Vabate Galiani, in Critica, 1909, p. 404.
366
LA FILOSOFIA ITALIANA
spiega nel loro farsi, nel loro sviluppo: e prelude
cosi allo storicismo del secolo XIX. E mentre il
sensualismo traeva dall’esperienza sensibile un mo¬
tivo tutto materialistico. Vico svolge, da quella
stessa esperienza, l’universale fantastico, la poesia e
il linguaggio, nella loro originalità spirituale: e cosi
prelude al romanticismo. Queste geniali intuizioni
sono comprese in un’unità potente: è la mentalità
umana che nel suo sviluppo si afferma come dispersa
nel senso e nella fantasia e si unifica e si riflette nel
pensiero. Vico perciò intravvede una metafisica della
mente, una storia ideale, eterna, per la quale cor¬
rono le storie delle singole nazioni: nelle modifica¬
zioni della mente sono per lui da ricercare i mo¬
menti dello sviluppo storico. Ecco la grande origi¬
nalità di Vico: per Machiavelli l’umanità era natura,
sostanza, e perciò fatale nel suo corso, nella .sua lo¬
gica interiore. Con Vico sorge il concetto della men¬
talità, della provvidenza immanente nello sviluppo
delle nazioni. In Machiavelli c’è ancora — contro
l’apparenza — l’intuizione teologica del mondo, e la
tristezza d’un’attesa messianica: l’uomo è fatto tra¬
scendente a sé medesimo: in Vico non più: nella
sua concezione storica l’umanità è tutta spiegata.
Ma pure quello stesso Vico, che scrutando la sto¬
ria di Roma, attuava magnificamente la sua nuova
idea, lasciava poi intatto il pregiudizio dell’elezione
arbitraria degli Ebrei. Nel passare alla storia di
Roma, egli aveva compiuto il suo grande sforzo, e
vi si era esaurito, senza aver più la forza di ripassare
alla storia degli Ebrei, come osserva il Croce nella
sua bella monografia sul Vico. Fu viltà, fu pregiu¬
dizio? Forse, con più verità, fu un difetto intrinseco-
dei sistema: Vico non seppe uscire dal particolari¬
smo ristretto delle unità nazionali: mancava a lui il
I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
367
concetto dell’università del particolare, deiriima-
nità della nazione, che sar.à l’opera del secolo se¬
guente. E perciò quel pas.saggio dai Romani agli
Ebrei, che a noi sembra oggi cosi facile, non fu pos¬
sibile al suo genio.
Vico non ebbe mai il riconoscimento che gli
spettava, né in Italia né fuori, né vivente né dopo
morto. Nel secolo nostro s’impadronirono della sua
dottrina, come vedremo, i positivisti, e falsificarono
nel modo più barocco la sua celebre formula della
conversione del vero col fatto. Rivendicarne la me¬
moria e perseguirne la speculazione è stata l’opera
dello Spaventa, del De Sanctis, e più ancora, del
Croce. Per merito loro la profonda lacuna della
nostra cultura è colmata. Con Machiavelli e con Vico
noi possediamo gli esponenti maggiori della storia
del nostro pensiero, dal Rinascimento alle porte del
secolo XIX.
5. Rosmini e Gioberti. — Vico con la sua intui¬
zione di una metafìsica della mente umana è il pre¬
sentimento del criticismo, che si svolge poi in Italia
nel secolo seguente, per opera di Galluppi, Rosmini
e Gioberti. La posizione storica di questi pensatori
è stata fraintesa generalmente, e da loro medesimi
per primi, finché la critica di Bertrando Spaventa
non ne ha liberato la dottrina dall’involucro contin¬
gente e svelata la stretta parentela con la filosofia
tedesca.
La spiegazione del fraintendimento ci è data
dalla considerazione dell’ambiente nel quale sorsero
e si svilupparono le nuove dottrine. .\I principio del
secolo XIX l’Italia è infestata dal sensualismo fran¬
cese del secolo precedente, e la stessa filosofia kan-
3R8
LA FILOSOFIA ITALIANA
liunn non vi s’introduce che attraverso reclettismo
e la psicologia degli scozzesi : il valore sommamente
originale del nuovo concetto della soggettività ne
vien completamente perduto. Nel rinnovamento cat¬
tolico, che s’inizia in questo stesso periodo, il sen¬
sismo vien minato alla base, ma non già in nome di
Kant. 11 sensismo è, nelle sue ultime conseguenze,
scettico; è un vano gioco di elementi soggettivi, che
non fonda l’oggettività, il sapere. Ma Kant — si sog¬
giunge — non è anch’egli chiuso nel soggettivismo
delle forme del senso e dell’intelletto? e non va a
finire del pari nello scetticismo? Con questa critica
si pretende di disfarsi di Kant, e si cre<le di battere
una via opposta, nella ricerca di un fondamento og¬
gettivo del sapere: in realtà non si fa che attuare la
stessa esigenza kantiana, soltanto però con una men
chiara coscienza, e col pericolo di più frequenti ca¬
dute in posizioni di pensiero già oltrepassate. Que¬
sto è l’oggetlivismo di Kosmini e di Cdoberti *.
Ciià un sentore del criticismo si ritrova nella filo¬
sofia del Galluppi, che all’apparenza è puro empi¬
rismo, ma, in quanto distingue la sensazione dalla
coscienza della sensazione e pone questa a fonda¬
mento di quella, è già virtualmente kantismo. Ma
(ialluppi non intende il valore della distinzione e
non vi si tien perciò sempre fedele; in altri termini,
egli non comprende che la coscienza della sensa-
zionc non è più a sua volta sensazione ma pensiero,
e non giunge perciò a concepire la sintesi a priori.
Vi giunge invece il Rosmini, col suo concetto della
percezione intellettiva. Questa è la sintesi del parti¬
colare del senso e dell’universale deU’intelIetto, il
1 V. le acute osservazioni del Gentile nel suo libro: Ro¬
smini e Gioberti, Pisa, 1898,
1. -DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
369
quale si compendia nell’idea dell’essere. Questa
idea, investendo il contenuto sensibile contingente
e mutevole, gli conferisce l’universalità e l’oggetti-
vità del sapere.
Come per Kant, cosi per Rosmini, pensare è giu¬
dicare: nell’atto originario e primitivo del giudizio
si compie la sintesi del senso e deU’intelletto. Ma che
cosa è l’idea intellettuale dell’essere fuori del giu¬
dizio? Non una realtà empirica, sensibile, perché og¬
gettiva; non una realtà trascendente, perché ideale:
è un concetto trascendentale. Questo il Rosmini non
alTerma, ma è implicito in tutta la sua dottrina. E,
poiché tale è il suo significato, non può apparire
che una amplificazione inutile il complemento della
dottrina rosminiana, per cui l’essere sarebbe og¬
getto deH’intuito. Se la realtà non è fuori ma nel¬
l'atto del giudizio, è chiaro che il volerne fare un
oggetto d’intuito non esprime altro che la preoccu¬
pazione ili volerla salvare ad ogni costo dal mero
soggettivismo, senza capire che era già salva. Anzi,
con la dottrina dell’intuito, l’oggettività che era si¬
cura in porto, viene risospinta in alto mare.
Ma l’ente rosminiano, come la categoria kantiana,
è il mero universale non individuato. È 1 essere
possibile, che fonda una semplice esperienza pos¬
sibile: la possibilità non è ancora assoluta attualità.
In quell’esperienza possibile c’è ancora in effetti il
residuo del dommatismo: chi mai la trarrà all’atto?
L’atto del giudizio, della percezione intellettiva è,
come per Kant, insufficiente a risolvere tutto l’og¬
getto: resta al di là di esso la cosa in sé, il termine
incognito della sensazione, il coefficiente invisibile
dell’attualità del pensiero. Perciò la categoria non
vince il presupposto, e perciò non compenetra vera¬
mente il sensibile, ma gli si adatta quasi dall’esterno.
Ct. DE auGGiERO. La fìlosofia contemporanea.
24
370
LA FILOSOFIA ITALIANA
Ora si deve risolvere tutto l’oggetto, se non si
vuole che il rosminianismo degeneri in un mero psi¬
cologismo: una dottrina del conoscere che lasci in¬
tatto il presupposto è semplice psicologia. Bisogna
insomma risolvere il problema ontologico e non sol¬
tanto quello psicologico, e concepire un psicologismo
trascendente che sia insieme il vero ontologismo.
Ecco il compito di Gioberti, che si può esprimere
diversamente col dire: bisogna individuare l’univer¬
sale di Rosmini, e unificare il che deU’esperienza
col suo cos’è.
La soluzione è, per Gioberti, il concetto della
creazione, della relazione assoluta, che fonda in pan
tempo l’ente e resistente, l’idea e l’essere. Solo nella
creazione, l’assoluta virtualità è l’assoluta attualità:
la realtà non s’individua se non creandola: creare
infatti è concretare; è, direbbe Vico, convertire il
vero col fatto. Il concetto della creazione ha nella
prima fase della filosofia giobertiana un significato
ancora trascendente: non è ancora affermata l’asso¬
luta apriorità della relazione creatrice, e il pensiero
è semplice intuito, visione del creare. Ma nelle opere
postume, quest’astrattezza è superata. È criticato
l’intuito: la sua prospettiva infatti non ha distanze
e intervalli, come quella della riflessione; essa è
mera superficie; ha lunghezza e larghezza, ma difetta
della terza dimensione e non ha profondità. È visiva
e non tattile. L’intuito vede l’atto creativo e non vi
partecipa.
E l'organo della filosofia diviene, in questa nuova
fase, la riflessione, il dialettismo. Solo nella rifles¬
sione l’atto umano si adegua a quello di Dio, ed è
veramente creatore. Creare è proprio ed essenziale
del pensiero. Il nostro spirito crea continuamente;
creare non è altro che pensare, e pensare che creare.
I. - DA MACHIAVELLI A GIOBERTI
371
Essere e pensare sono i due poli opposti della menta¬
lità, che si riuniscono e si neutralizzano neH’attività
pura, cioè nella creazione. Questo atto è la vera con¬
cretezza degli opposti; è la relazione assoluta, più so¬
stanziale dei suoi termini; è la radice del dialettismo.
Cosi, p. es., l’uomo non è anima e corpo, ma relazione
deir'una con l’altro. L’uomo è quel punto indiviso
in cui il fisico e il morale si neutralizzano. Egli è
prima di tutto un’unità; la dualità vien dopo. Non
bisogna dunque chiedersi in che modo l’anima sia
in commercio col corpo, cioè come la dualità si
unizzi, ma piuttosto come l’unità si dualizzi.
Questa idea della creazione si svolge nelle po¬
stume in una vera esplosione d’intuizioni magnifiche
e geniali. In pochi pensatori ci è dato ammirare tanta
ricchezza di pensiero, ond’è che dell’ingegno di
Gioberti si può airermarc ciò ch’egli diceva dell’in¬
gegno in genere: che somiglia a Dio quando disse:
futi lux. Ma nello stesso tempo egli ci richiama alla
mente la critica che Quintiliano fece di Ovidio: se
aves.se frenato il suo ingegno invece di abbando¬
nargli le briglie 1 Gli scarseggia il senso scientifico
del processo graduale della ricerca : è, come Schel¬
ling, un temperamento esplosivo.
Ma, iier mezzo suo, la speculazione italiana della
prima metà del secolo XIX si sforza di adeguarsi a
quella tedesca. Come ha osservato per primo lo Spa¬
venta. in Gioberti noi abbiamo il Fichte, lo Schelling
e l’Hegel della nostra filosofia, ma senza il passaggio
graduale dall’uno all’altro, e perciò confusamente
e quasi a salti. Dopo di lui, il còmpito della filosofia
era di costituire il senso scientifico che a noi man¬
cava, e di darci la coscienza della nostra posizione
storica di fronte al pensiero europeo. Questa è stata
l’opera di Bertrando Spaventa, il quale perciò si
372
L.\ FILOSOFIA ITALIANA
connette al grande torinese e ne completa il pen¬
siero.
Ma prima di parlare di questo scrittore ch’è
stato per noi quel che Lachelier per i Francesi,
Slirling per gl’inglesi, noi dobbiamo far qualche
cenno dei vari indirizzi fioriti nella seconda metà
del secolo XIX. L’opera dello Spaventa si svolge,
si, ad essi contemporanea, ma la sua maggiore effi¬
cienza comincia col secolo XX, per merito special-
mente del Gentile.
II
TRA IL SECOLO XIX E IL XX
1. Lo SCETTICISMO.- — Oopo l’iiifelice fine della
guerra del '48-49, e l’esilio di Gioberti, la fìlosolìa
italiana sembra presa da un’invincibile sonnolenza,
(ibi si prova a scorrere, per mera curiosità, qualcuno
dei molti volumi che si pubblicarono dal 1850 al
1860 non può non restare impressionato dall’aria di
sonno che grava su di essi. Non si riesce più a distin¬
guere un indirizzo daH’altro, né a individuare qual¬
che dottrina: la mediocrità, la povertà, le accomuna
e le neutralizza tutte. L’araldo della mediocrità è Te¬
renzio Mamiani. Qual’è la sua filosofia? Non saprei
dirlo, e credo che non lo sapesse neppur lui. Com¬
battè Rosmini ed ebbe un’indimenticabile bastona¬
tura dal Santo roveretano, com’egli stesso, con sim¬
patica bonomia, riconobbe. Di Gioberti non comprese
nulla, o quasi: fu empirista tra gli empiristi, fino ad
ammettere l’influsso fisico tra la coscienza e gli
oggetti; platonico tra i platonici, perché, una volta
ammessa una realtà fatta, fuori del pensiero, la ve¬
rità gli diventava un ideale a cui il pensiero doveva
cercare d’adeguarsi; e fu scettico tra gli scettici, col
negare che la mente potesse conquistare l’essenza
ultima delle cose. Fu lutto questo, e fu niente; in
374
LA FILOSOFIA ITALIANA
realtà, nella leziosaggine del suo stile snervato, fu
un addornientatore di coscienze.
Ma se si pensa al favore quasi universale che egli
godè per un certo tempo in Italia, non bisogna essere
troppo corrivi a ritenerlo causa della decadenza della
nostra filosofìa: fu causa e insieme effetto: nel do¬
minio del pensiero vale universalmente il principio
della reciprocità. Egli divenne cosi l’organo ricono¬
sciuto della filosofìa italiana, e la sua filosofìa della
mediocrità trovò perfino uno storico in Luigi Ferri,
che mostrò come in essa convergesse la speculazione
del secolo XIX. Il libro del Ferri è l’unico documento
che gli stranieri posseggano della nostra filosofìa.
In base ad esso hanno formato la triade: Rosmini,
Gioberti, Mamiani: e nella loro ignoranza, hanno
incluso i due forti pensatori nello stesso giudizio
sprezzante che hanno dato del terzo.
Ma nel Ferri, un po’ meglio che nel Mamiani, si
comincia a delincare un indirizzo: il dualismo del
pensiero e dell’essere, e il tentativo di concepire una
terza serie che costituisca l’unità del reale. Terza
serie che, beninteso, non esiste, neppure neH’imma-
ginazione del Ferri, e che è semplicemente postu¬
lata, quasi ad attestare il vuoto del procedimento.
Il termine della speculazione non può essere, date
queste premesse, che l’eclettismo, la concezione della
verità come conformità del pensiero alle sue leggi
proprie e a quelle dell’essere, o, in altri termini, la
semplice dissimulazione del mistero. Questo dualismo
del pensiero e dell’essere noi lo ritroveremo ram-
modernato e quasi ringiovanito nel Bonatelli e
in altri scrittori; ma il suo difetto capitale, quello
cioè di ammettere una doppia logica, resterà im¬
mutato.
La causa dell’errore è la dimenticanza degli am-
II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX
375
maestramenti della storia : di quella storia che aveva
capovolta l’antica concezione dell’essere, e dalla
dottrina del pensiero come semplice visione di una
realtà data, era giunta a quella del pensiero come
produzione e creazione della realtà. 11 Rosmini e il
Gioberti, con le loro immaginazioni dell’intuito ave¬
vano di nuovo introdotto, pur con notevoli modifl-
cazioni, il vecchio platonismo, e se la loro conce¬
zione sostanzialmente non ne veniva toccata, perché
esso ne costituiva il semplice involucro superficiale,
assai maggiore era invece il pericolo per ingegni
meno agguerriti. Questo può dirsi, tra gli altri, del¬
l’autore della c Filosolia della vita », il Berlini. Per
lui il pensare è semplice vedere, scevro da ogni
azione e passione del veggente; come tale, presup¬
pone l’essere, la realtà già formata e costituita. Ond’è
che la speculazione, che il Berlini intraprende in¬
torno a quella realtà, si svolge nel dominio della vec¬
chia metafisica. Nondimeno la sua filosofia, per
quanto doniniatica, si colorisce di qualche tinta più
moderna, d’ispirazione jacobiana: quell’intuito di¬
retto, immediato della realtà, che attinge, al di là del
lìnito, l’infinito, Dio, arieggia la concezione del
Jacobi; e d’altra parte la convinzione salda che ogni
giudizio sulla natura, sul pregio e sulla destinazione
della vita implichi la soluzione del problema della
realtà universale, dà al suo pensiero una certa into¬
nazione commossa e religiosa ‘.
Malgrado questi pregi, la filosofia di Berlini, a
cosi poca distanza da quella di Rosmini e di Gio¬
berti, denota già una certa decadenza. Ma se vo¬
gliamo conoscere l’espressione più compiuta di
• S. M. Rertini, Idea di una ftlosofla della alla, Torino,
1850, 1, p. 9.
mm
37g LA FILOSOFIA ITALIANA
quella decadenza, noi dobbiamo ricercarla in un
altro pensatore, il Ferrari.
La Filosofia della rivoluzione del Ferrari è la filo¬
sofìa della rivoluzione fallita, la filosofìa di Novara,
fi il nuovo scetticismo confusionario, che si fa strada
con le sue strampalate negazioni di Dio, della reli¬
gione, del pensiero, e prelude alla Babilonia positivi¬
stica. Il Ferrari accavalla antinomie su antinomie,
ncirordine più fantastico e coi più comici anacro-
nismi; ma tutto lo sfoggio, ch’egli fa, di sapere an-
tinomico, ha in fondo un motivo assai semplicistico,
quello di mostrare che vana è la pretesa del pensiero
di voler dominare la natura. La sojuzione dei conflitti
non può invece venire che da un inverso procedi¬
mento, per cui il pensiero si subordina alla natura,
e s’inchina alla sua rivelazione. Vi sono, dice il Fer¬
rari, due critiche: < L’una negativa, l’altra positiva;
la prima ci getta in una continua irrisoluzione, la
seconda ci sforza di continuo a prendere una deci¬
sione; colla prima non si fa che distruggere; la se¬
conda edifica nel tempo stesso in cui distrugge. Di¬
nanzi alla critica negativa, la natura si confessa con-
tradittoria; dinanzi alla critica positiva, la natura ci
accusa di contradizione. Due cose vi sono: il dubbio
e la scienza: la critica negativa e la positiva: la con¬
tradizione universale e la contradizione fisica. Noi
evitiamo l’illusione della metafisica, distinguendo le
line specie di antinomie, esaminando se la contradi-
zione è nella natura o nell’intelletto, se è figlia della
logica che domina la natura, o figlia della natura che
domina la logica. L’apparenza sola decide, perché
ogni fenomeno si spiega di sé » *. Dunque, non pen-
I G. Febiubi, Filosofìa della rivoluzione, Londra, 1851, l,
pp. 250, 251.
II. - TRA IL SF.COLO XIX E IL XX
377
siamo più, e abbandoniamoci alle rivelazioni della
natura! Ma quali sono queste rivelazioni che in nome
della natura ci ammannisce il Ferrari? Ben poca
cosa: ralTermazione cieca del fenomeno, la negazione
della metalìsica, e, più ancora, l’eliminazione di Dio.
La fede in Dio è detta l’errore più primitivo e
naturale del genere umano: l’ignoranza che crea la
religione è quella deiruomo che conosce la parte
positiva dei fenomeni senza sospettarne la parte cri¬
tica. Ma la natura esplorata dalla fìsica non può es¬
sere il teatro della rivelazione cristiana: ogni pro¬
gresso è perciò una lotta contro il Dio cristiano *.
H simili sciocchezze da tribuno di comizi.
(!osi con grande fracasso si preannunziava il po¬
sitivismo italiano.
2. Il po.sitivismo. — .Ma a dire il vero, il posi¬
tivismo italiano, sul suo .sorgere, non è affatto ru¬
moroso: anzi si mostra con la decorosa modestia di
chi sa di non aver grandi rivelazioni da fare. 1 suoi
primi seguaci sono scienziati, storici, economisti;
gente insoinma che non guarda tanto per il sottile,
e per cui il positivismo, più che una concezione del
reale, è un programma di lavoro. Questo lo rende
persino simpatico, e gli conferisce una serietà mag¬
giore di quella che ha avuto in altri paesi. In
fondo, chi pensi in che condizione miserevole si era
ridotta la metalìsica in Italia, tra il platonismo an¬
nacquato degli uni, l’inconcludenza semiscettica de¬
gli altri, e qualche riesumazione di tomismo per
giunta, non preannunziata in alcun mudo dallo stato
precedente della cultura e voluta con qualche sforzo.
I Op. clt.. Il, pp. 252, 279.
378
LA FILOSOFIA ITALIANA
non può che considerare come un progresso quel
positivismo, che almeno si presentava come critica
delle vane ideologie e richiamava le menti allo stu¬
dio dei fatti. Certo, quel richiamo era il più spesso
spropositato; ma tale appare a noi, che viviamo in
un ambiente di cultura assai più epurato; allora in¬
vece anche lo sproposito era un’opportuna reazione
contro il vuoto mentale.
Uno dei primi positivisti è il Cattaneo, un dili¬
gente studioso di scienze sociali. Uomo di spirito
veramente positivo, egli combatte la metalìsica come
una scienza vana, che non serve a niente. « Gio¬
vasse ella a dare un qualche sussidio almeno postic¬
cio alla morale! Ma la dottrina dell’ente è sempre
una contemplazione di mere possibilità, e non
fonda alcun principio dell’umano consorzio, né al¬
cuna regola della famiglia e del costume » '. Fatti
invece ci vogliono; osservazioni ed esperimenti. « Il
nome di fenomeno non esprime ancora tutta la
potenza del fatto. Fenomeno per gli antichi e per
i loro continuatori fino a Kant, fino a Schelling, fino
a Leroux, è l’apparenza in quanto si oppone alla
realtà. La realtà e la potenza sono per essi nell’idea;
nel fenomeno sta l’apparenza e l’inanità. Ma per le
scienze attive e per noi, fenomeno è la forza che si
manifesta; è- la forza in atto; è la forza in quanto
è forza » L’esigenza è giusta; però quanti er¬
rori di dottrina e di storia potremmo far notare
in un cosi breve giro di parole! Ma tiriamo innanzi;
in che modo vuole il Cattaneo fondare i suoi fatti,
assai più solidamente che non Kant i suoi fenomeni?
Ecco; il fenomeno non è illusorio, ma reale, perché
I C. Cattaneo, Opere edite e inedite, Firenze, 1892, VI,
p. 120.
T Ibid., p. 218.
II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX
379
noi sentiamo l’azione sua sulla nostra coscienza: nei
nostri propri sforzi la coscienza sente e misura le
forze vive che ila ogni parte ci assediano. Questo
saggio può bastare; non si tratta di altro che di
quel psicologismo empirico che da Maine de Biran
.s’era trasmesso ai metafisici spiritualisti e dualisti
della scuola cousiniana; non si tratta cioè che di
quel mero soggettivismo contro cui un Kant e un
Rosmini avevano reagito, per la buona ragione che
esso non giova a fondare l’oggeftività del sapere.
Kant e Rosmini erano dunque più positivisti del
Cattaneo!
Questa è una delle tante ingenuità positivistiche,
che diverranno più frequenti in sèguito, e saranno
aggravate da una totale ignoranza della storia del
pensiero. Almeno il Cattaneo ha ancora qualche sen¬
tore di quella storia; il suo positivismo s’impersona
in tre nomi: Bacone per lo studio della natura,
Locke per lo studio della coscienza, e Vico per lo
studio detl’umanità Per buona sorte, egli non tentò
mai di fatto il rimpasto dei tre pensatori, e si limitò
allo studio dell’umanità, sotto la guida del suo Vico.
Ma da questo egli non seppe trarre altro che l’idea
di una psicologia delle menti associate — un che di
mezzo tra la psicologia individuale e la cosi detta
ideologia sociale — dove, per mancanza di ogni cri¬
terio filosofico, l’organizzazione sociale del pensiero
era intesa come un semplice ricalco dell’organizza¬
zione delle cose fuori della mente.
Ci siamo dilungati un po’ a parlare del Cattaneo,
sia perché è il più intelligente dei vecchi positivisti,
sia perché l’esposizione che abbiamo fatto della sua
1 Op. ci(., VII, p. 262.
380
LA FILOSOFIA ITALIANA
dottrina ci risparmia la pena di parlar minutamente
di altri scrittori. In fondo si rassomigliano tutti: il
Villari, il Galielli, l’Angiulli. per citare i maggiori.
Sono in genere specialisti che vogliono allontanare
lo spauracchio della metalisica, che spesso è il fan¬
toccio della loro immaginazione. Il Villari ragiona
cosi : « Se il sistema di Kant è vero, tutta la specu¬
lazione di Condillac è un monte di proposizioni as¬
surde; se il sistema del Rosmini è vero, quello del-
l'Hegel è assurdo e viceversa. Voi infatti vedete,
che i filosofi delle varie scuole non si combattono ^
sopra verità accessorie; essi negano gli uni agli altri
sino il nome di filosofi, perché la loro divergenza
versa sopra la natura e l’essenza stessa delle loro
dottrine più generali e fondamentali » *. Per com¬
penso egli si richiama allo studio dei fatti, guardati
alla luce delle idee: «Finché nella storia non avete
cercato che fatti, e dallo spirito umano non avete
potuto cavare altro che speculazioni, aveste da un
lato un puro empirismo, e dall’altro una filosofia sco¬
lastica. Ma ora che il Vico ha trovato che le leggi
del mondo delle nazioni sono le leggi stesse dello
spirito umano, il quale ha creato questo mondo so¬
ciale, voi potete avere da un lato la scienza storica,
da un altro lato la scienza provata e dimostrata
deH’uomo. Infatti, se la storia vi dà come il mondo
esterno, sul quale sperimentare ed accertare le in-
«luzioni della vostra psicologia; questa, a sua volta,
diviene una fiaccola che illumina la storia. Le leggi
deH'una, se son vere, debbono trovare riscontro in
quelle dell’altra, e viceversa > *.
Sono curiose queste citazioni vichiane che s’in-
1 H. Arie, storia e fìlosofta, Firenze, 1884, p. *142.
2 pp. 479-480.
II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX
381
contrailo presso i positivisti; se ne trovano oltre che
nel Cattaneo e nel Villari, nel Cahelli e nellWn-
giiilli. Vico diviene un precursore del positivismo,
la sua formula della conversione del vero col fatto
(identità del pensiero e dell’essere, come mentalità,
sviluppo) viene dai più intesa nel senso che la ve¬
rità sta nel fatto e non già nella mente. Ma pure
queste reminiscenze vichiane trattengono i primi po¬
sitivisti dal cadere in una metafìsica materialistica.
Sono tutti assai prudenti, anche perché non hanno
nulla da dire: il più arrischiato forse è l’Angiulli,
che è d’ingegno un po’ più filosofico degli altri; ma
il suo programma positivistico, pubblicato nel 1869,
non manifesta alcun contenuto nuovo di dottrina.
FI quando il positivismo, per la logica stessa del
suo movimento, degenerò ovunque nel materialismo,
i nostri positivisti furono pronti a sconfessare la
conseguenza da essi non voluta delle nuove dottrine.
Il Villari polemizzò coi materialisti francesi; il Ga¬
belli distinse un vecchio ed un nuovo positivismo,
e manifestò la sua avversione per quest’ultimo. Certo
in questi pentimenti c’era qualcosa d’ingenuo, pro¬
prio di chi non sa valutare la portata di una dot¬
trina, mentre l’accetta; e i materialisti francesi erano
più conseguenti dei positivisti italiani, nel negare
quelle idealità vaghe che questi lasciavano ancora
ondeggiare al di sopra dei fatti. Ma se in ciò i nostri
erano meno filosofi, erano poi più di buon senso
nelle loro riserve, perché dopo tanti sforzi per libe¬
rarsi da una metafìsica pseudo-idealistica, non vole¬
vano trovarsi impegoiati in una altra metafìsica, di
tendenze materialistiche.
La trivialità di questa metafìsica non tardò a ma¬
nifestarsi. Essa sorgeva dal connubio tra la filosofìa
382
LA FILOSOFIA ITALIANA
e la biologia; e il suo nome era il monismo: un nome
che dice tutto, anche più del contenuto di dottrina
con cui lo si è voluto giustilìcare. I suoi fautori erano
medici, naturalisti, botanici, fisici, e via discorrendo.
La loro opera sarebbe certamente andata dispersa se
Enrico Morselli non avesse avuto la felice idea di
raccoglierla e disciplinarla in una Rivista di filo¬
sofia scientifica durata pochi anni, che resterà come
prezioso documento della mentalità italiana sullo
scorcio del secolo XIX.
Ma le esagerazioni più stravaganti del positivi¬
smo materialistico si videro nella scuola di antropo¬
logia, fondata da Cesare Lomhroso, notissimo autore
di libri in cui il genio e la delinquenza si accoppia¬
vano in una felice coincidentia oppositorum. Di que¬
ste dottrine non ci occuperemo, perché son divenute
di competenza forense, e funestano le squallide aule
delle nostre Corti d’Assise. Accenneremo soltanto a
una propaggine del positivismo italiano che per
opera specialmente di Enrico Ferri s’è innestata
nella dottrina socialistica. E del Ferri raccomando
la lettura d’una prefazione a una sgrammaticata tra¬
duzione italiana deWAntidiiliring di Engels, che è
un bel documento del livello di cultura del nostro
ex-socialista.
Ma con tutto ciò, del positivismo italiano noi non
avremmo che notizie scarse e frammentarie, se esso
non fosse stato conglobato e quasi condensato in una
dottrina unica da Roberto Ardigò. Di questo perciò
vogliamo occuparci un po’ più estesamente.
La filosofìa dell’Ardigò ha quello stesso motivo
naturalistico che abbiamo osservato nel positivismo
inglese; e.ssa è l’indiflerenza tra il sensismo e il ma¬
terialismo, senza per altro il rigore logico del Mill
II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX
383
e la veduta vasta, per quanto superficiale, dello
Spencer. Mentre infatti fenipirismo inglese è vera¬
mente monistico, nel senso che, ammesso il fatto
naturale della sensazione, ritiene poi derivata e po¬
steriore la distinzione del soggetto e deH’oggetto,
l’Ardigó invece tradisce fin dal principio la sua
preoccupazione dualistica, propria del realismo inge¬
nuo. Perciò ammette come fondamentale la distin¬
zione del senso interno e del senso esterno, dell’auto-
sintesi e dell’eterosintesi, cioè da una parte fas-socia-
zione dei dati psichici stabili che costituiscono il me,
dall’altra l’associazione degli stati psichici acciden¬
tali che costituiscono il non-me. Questa è prova dcl-
l’inferiorità della dottrina in quistione rispetto alle
altre forme di positivismo, perché la distinzione non
fa che adombrare quella tra la materia e la sensa¬
zione, e giustifica quell’illusorio raddoppiamento del
mondo nella conoscenza, che ad empiristi come l’Ave-
narius o il Mach parrebbe una vera mostruosità. Il
termine comune di materia psichica, nei due campi,
del senso interno e del senso esterno, non è in ef¬
fetti altro che un nome, che si può trasformare a
piacere in un altro — l’indistinto — , che l’Ardigò
pone a fondamento della realtà.
Si vuole che r.\rdigò abbia fatto una critica dei-
rinconoscibile di Spencer, e c’è veramente uno
scritto suo su questo soggetto; ma bisogna proprio
dire che egli sia andato in cerca della pagliuzza
nell’occhio del fratello, senza accorgersi del trave
che aveva nel proprio. Almeno il povero Spencer po¬
teva illudersi di veder Dio in quel suo inconosci¬
bile, mentre nel caso dell’indistinto, nemmeno questa
immaginazione è più possibile. Con questo concetto
deir.Ardigò l’epurazione degl’inconoscibili, degl’in¬
coscienti e simili prodotti del facile eclettismo con-
384
LA FILOSOFIA ITALIANA
temporaneo è compiuta, e non resta che l'innocua
sodilisrazione (ti dire uno, quando le cose, a di¬
spetto del positivista, pare che vogliano dire due.
L’indistinto dell’Ardigò non contiene dunque
più alcuna traccia di Dio. L’idea di Dio è del tutto
radiata dai quadri di questa filosofia, e al suo posto
subentra il nuovo concetto deH’inlìnito o della vir¬
tualità permanente dell’esperienza: un concetto che,
come quello inilliano della possibilità delle sensa¬
zioni dimostra, si. la preoccupazione immanentistica
del positivismo, ed è perciò da lodare nel movente
psicologico della sua formazione, ma è nel fatto in¬
sufficiente, come quello che si travaglia ancora nel
vecchio dualismo aristotelico, e dissimula, nella sua
apparente facilità, il problema non risoluto, e l’igno¬
ranza dei potenti sforzi che la speculazione di venti
secoli ha compiuto per giungere al graduale supera¬
mento di esso.
Questo cenno sul motivo fondamentale dell’opera
dell’Ardigò può bastare, come un saggio del suo pen¬
siero. Lo svolgimento della dottrina, secondo i cri¬
teri direttivi dell’empirismo, è dato dal tentativo di
aggruppare in varie forme e in varie guise il ma¬
teriale plastico della sensazione: un campo di ricer¬
che che Tempirismo inglese aveva già da tempo
sfruttato, e che con l’.Ardigò non è in grado di dar
nuovi frutti.
3. D.\l dualismo al monismo. — Nell'imperver-
sare delle dottrine materialistiche, molte voci mo¬
deste furono soffocate, che forse in un ambiente più
propizio avrebbero potuto esercitare un’efficacia mag¬
giore. La loro influenza sul pensiero italiano fu assai
scarsa, in un tempo in cui il materialismo dominava
II. - TR.\ IL SECOLO XIX E IL XX
385
la vita sociale nelle sue più cospicue manifestazioni.
Esse nondimeno riuscirono a formarsi un teatro più
ristretto, ma insieme più consono alla loro intona¬
zione: la cattedra. E come già in Francia lo spiri¬
tualismo eclettico, svalutato dai nuovi indirizzi, si
conservava nella cerchia universitaria, così nell’Ita¬
lia positivistica e materialistica si ebbe, nella se¬
conda metà del secolo scorso, un insegnamento uni¬
versitario con tendenze spiritualistiche.
Noi abbiamo già accennato a quel dualismo pla-
tonizzante che si delineava nelle opere del Mamiani,
del Ferri e del Berlini: come quello che, bilanciato
tra i due domini estranei del pensiero e dell’essere,
naufragava poi nello spiegare la mediazione di en¬
trambi, il conoscere, esso non poteva riuscir vinci¬
tore di quel positivismo che viveva nella medesima
dillìcoltà, e solo cercava di dissimularla con le sue
pòco fondate asserzioni. Né il dualismo, nella nuova
forma datagli dal Bonatelli o dal Cantoni, per quanto
più corretto e rammodernato, aveva migliori proba¬
bilità di successo; in fondo la difficoltà restava iden¬
tica, e al più veniva spostata in più remote regioni.
Nella sua vita infaticabile di studio e di ricerca,
il Bonatelli non riuscì mai a migliorare la posizione
iniziale del suo pensiero, che noi conosciamo dal sag¬
gio: Pensiero e conoscenza del 1864. Là egli, ispi¬
randosi a Lotze, muove dal soggettivismo empirico
della coscienza e invano si tortura per conseguire
l’oggettività del conoscere. Il pensiero è da lui ridotto
al semplice pensato, alla mera forma indifferente a
ogni contenuto, qual’è quella della logica aristote¬
lica, e cosi fin dal principio gli è preclusa la via a
concepire la relazione tra il pensiero e l’essere. Egli
afferma, si, che pensare è giudicare, ma non intende
il valore e la portata di questa grande verità della
G. DB Ruggiero, La filosofìa contemporanea.
25
386
LA FILOSOFIA ITALIANA
lilo.solia kantiana, che è neutralizzata dall’intuizione
fondamentalmente platonica della sua dottrina.
Di qui, se il pensiero è il semplice pensiero, la
certezza del reale non è che un’inferenza, un’ana¬
logia, per cui noi interpretiamo le cose esterne a noi
nei termini della nostra esperienza soggettiva. Ma¬
cho cos’è la realtà in sé stessa? Ora è qualcosa di
simile ai reali di Lotze, ora è lo stesso pensiero inteso
come norma ideale a cui tentano di adeguarsi le
singole conoscenze '. Soluzioni deboli, come si vede,
perché col principio di analogia crediamo di muo¬
vere, ma in realtà non moviamo un passo fuori della
mera soggettività; e la norma ideale, d’altra parte,
posta fuori del pensiero attuale, è la mera oggetti¬
vità, a cui manca il ponte di passaggio verso il sog¬
getto. Oggettività pura e semplice, e soggettività pura
e semplice, dunque: qui la soluzione, in fondo, non
fa che ridarci tal quale il problema.
Il platonismo del primo saggio si trova immutato
negli altri; al più si epura. Nell’opuscolo Perce¬
zione e penniero è detto che l’oggetto opera sul sog¬
getto, imprimendo in questo Tinimagine di sé stesso;
immagine che non è per nulla sfigurata e deformata
dalla passione del conoscente, perché il mutamento
subito da questo consiste soltanto in ciò, che egli
conosce ciò che prima non conosceva * *. La cono¬
scenza viene così sempre più alleggerita di quel
còmpito copernicano che Kant aveva voluto imporle
e quindi ridotta a una mera duplicazione inesplica¬
bile di una realtà in sé bell’e fatta. Il termine della
speculazione del Bonatelli è, per questa via, il capo-
» F. Bonatkixi, Pensiero e conoscenza^ Bologna. 1864, p. 5,
29, 34, 35.
* F, Bonatelli; Percezione e Pensiero (Atti del R. Istituto
Veneto di scienze, lettere ed arti, t. Ili, serie VII, 1892), p. 536.
II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX
387
volgimento completo della tesi kantiana: la forma
non è più del soggetto ma appartiene all’oggetto in
sé, e al soggetto non viene attribuito che la semplice
modilicazione sensibile, o, in altri termini, la ma¬
teria 11 che significa, se non mi sbaglio, volere
ricondurre la tesi dualistica all’assurdo.
Un altro dualista orientato verso la filosofia di
Lotze è il Cantoni, pur con la sua vasta, ma poco
profonda, cultura kantiana. Nel suo lodevole tenta¬
tivo di acclimatare la filosofìa di Kant in Italia, egli
introdusse quel famoso problema sull’origine psico¬
logica dell’apriori che ebbe grande fortuna in Ger¬
mania nello scorso secolo, e che costituì per lungo
tempo il Capo dei Naufragi di molti neo-kantiani.
Nell’intento del Cantoni, quel problema doveva sal¬
vare la critica dal mero soggettivismo in cui pareva
l’avesse chiusa Kant: il riconoscimento della forma¬
zione psicologica dell’apriori doveva infatti segnare
il punto di convergenza della doppia azione del pen¬
siero e della realtà. Ma per quella legge dell’etero-
genia dei fini, la cui fecondità è sorprendente, la ri¬
cerca del Cantoni era viziata precisamente da quello
stesso soggettivismo contro il quale egli credeva di
combattere. Come infatti si può parlare di forma¬
zione psicologica dell’apriori, tranne che questo non
venga inteso che come il semplice apriori della co¬
scienza empirica, e non della coscienza e insieme
della realtà? Esso dunque presuppone qua una co¬
scienza, là una realtà bell’e fatta, e dice: questa co¬
scienza nell’appropriarsi quella realtà procede per
gradi; è prima un mero aposteriori, e si apriorizza a
poco a poco con lo spogliarsi del contenuto sensibile
e col concepire la forma astratta delle cose che il
‘ Op. di., p. IBOS.
388
LA FILOSOFIA ITALIANA
pensiero può padroneggiare (concepire universal¬
mente, necessariamente) appunto perché è vuota di
contenuto Ma questo, è il falso apriori analitico da
cui Kant s’era liberato nella sua critica, e che poi
Lotze, con un vero anacronismo, aveva voluto ripri¬
stinare. Esso non regge se non in quanto si pone il
pensiero da una parte e il reale dall’altra, e si fa gio¬
care il pensiero con sé stesso, nella sua vuota interio¬
rità. E questo fa appunto il Cantoni, il quale, una
volta fuori della buona via, parla di applicazione
delle categorie al reale, di una corrispondenza
Ira quelle e questo con un completo capovolgimento
di tutti i principi fondamentali del kantismo.
Uno scrittore raccolto e con una simpatica into¬
nazione mistica è Francesco Acri, personalità assai
caratteristica della filosofìa italiana contemporanea.
In un periodo di grande rozzezza spirituale, quando
il materialismo regnava incontrastato, l’Acri osava
scuotere il giogo della dittatura e affrontare diretta-
niente il nemico. Rivolgendosi ai naturalisti, egli di¬
ceva: voi con la vostra cellula credete di spiegar
tutta la vita della coscienza, e in realtà non spiegate
niente; nella cellula nulla c’è che chiarisca la me¬
desimezza della coscienza, e l’unità sua, e la sua fa¬
coltà formativa, e quella speculativa, e quella voli¬
tiva, e nulla c’è che chiarisca la più umile delle
operazioni sue E ricorreva, per mostrare l’im¬
possibilità di comporre l’uno coi più, al grazioso
esempio deH'aquila dantesca che sembrava un unico
essere, ed era un’accolta di esseri; e dava da lon-
I C. Cantoni. E. Kant, Milano, 1879, I, pp. 209, 21.1, 219.
» /birf.. pp. 330, 334.
3 F. Acri. Videmua in aenìgmate, Bologna, 1907, p.
1
II. - TRA IL SECOLO XI.K E IL XX
389
tano l’illusione di dire; «io, io», nienlre in realtà,
a sentirla da vicino, diceva « noi, noi ».
Ma il platonismo di Acri riproduce, in più
sublime sfera, la stessa dilTicoltà, e, in fondo, la
stessa illusione dell’aquila dantesca. Poste le idee,
non si spiega più il pensiero; e posta l’intuizione
immediata della verità ideale, riesce inesplicabile
la rillessione dell’autocoscienza. Quindi invano cer¬
cherà l’Acri di adombrare con immagini poetiche il
principio della riflessione, che in realtà manca nella
sua filosofìa. Egli ricorre all’esempio dello scintillio
della luce stellare; ma questo esempio appunto tra¬
disce la difficoltà del platonismo; lo scintillare della
stella è la mera apparenza della riflessione ilella
luce, è l’illusione soggettiva della nostra visione. La
dottrina della coscienza è così la nota fuori posto
nella concezione dell’Acri; questi abbracciamenti
tra Platone e Kant, a tanti secoli di distanza, hanno
sempre qualcosa di fittizio.
Nei nomi di Bonatelli, di Cantoni e di Acri si
compendia l’indirizzo dualistico della filosofia ita¬
liana della seconda metà del secolo XIX. Più recente¬
mente esso ha avuto un altro prosecutore nel De
Sarlo, fondatore della rivista la Cultura filosofica.
Questa, sorta in antitesi col positivismo e con l’agno¬
sticismo, e riprendendo alcuni motivi lotziani, cerca
di svolgere c ravvivare l’antico dualismo, col porlo
in contatto con la filosofia europea contemporanea,
e particolarmente con le nuove dottrine gnoseolo¬
giche e con le ricerche di psicologia sperimentale.
E torna infine opportuno parlare a questo punto
di un pensatore, che neH’ultimo decennio ha com¬
piuto uno sforzo notevole per conquistare una ve¬
duta idealistica della realtà: intendiamo dire del
Varisco. Nel libro Scienza e opinioni del 1901, egli si
390
LA FILOSOFIA ITALIANA
muove ancora nel campo della metafisica dommatica.
Il mondo è da lui inteso come « un insieme di ele¬
menti originari o monadi che operano gli uni sugli
altri. Le azioni reciproche tra le monadi sono in ef¬
fetti di due specie. Determinano cioè; 1) una varia¬
zione in ciascuna monade; 2) una variazione tra le
monadi, ossia ne modificano raggruppamento (la di¬
stribuzione spaziale). I fatti della prima specie sono
psichici, quelli della seconda, fisici » '. Questo è il
dualismo della metafisica dommatica, e consiste nel
considerare le relazioni del mondo fisico come af¬
fatto fuori della monade — mentre ripugna alla
monadologia ammettere azioni inframonadiche (le
monadi non hanno finestre); e una volta ammesse,
risulta inconcepibile la conoscenza di quelle rela¬
zioni, perché non si comprende dove mai esse ca¬
dano, se son fuori della monade.
Ma con l’approfondire il concetto della monado¬
logia, il Varisco ha superato il dualismo della meta¬
fisica dommatica. Nel volume: / massimi problemi
il dualismo tra fisi e psiche ha un significato gnoseo¬
logico, nel senso che quella distinzione non è più
tra due realtà estranee l’una all altra, ma si costi¬
tuisce nel dominio stesso della conoscenza. La realtà
fisica di Scienza e opinione diviene una psichicità,
un complesso di sensibili: il soggetto (la psichicità
dell’antica posizione), diviene l’unità del molteplice
sensibile. Su questa dualità originaria, il Varisco
eleva la sua costruzione. Da una parte la realtà
dei sensibili si costituisce secondo le sue leggi; dal¬
l’altra la realtà del soggetto, secondo il principio
dell’unità di coscienza. In tal modo il dualismo non
> B. V*Bisco, l massimi problemi, Milano, 1910, p. 252,
dove è riassunta l’antica dottrina. Cfr. ancora Sciema e opi¬
nioni, Homa, 1901, pp. 247, 256, 261, 307, 321.
II. - TRA IL SECOLO XIX E IL XX
391
è risoluto; e questo perché il Varisco non ha svolto
il concetto dell’unità della coscienza in tutla la sua
portata, eliminando quel residuo di aristotelismo
che sta nel porre, di fronte alla coscienza, dei sensi¬
bili non sentiti, delle potenze che aspettano di porsi
in atto. Insoinma l’ombra del dommatismo, «Iella pre¬
cedenza di quei sensibili di fronte all’atto dell’auto¬
coscienza permane sempre, e in veste psicologica si
ripresenta quella realtà fìsica di Scienza ed opinioni,
che il Varisco non ha mai veramente risoluta.
Per superare il dualismo, egli fa ricorso a un con¬
cetto della filosofia rosminiana, quello dell’essere in
universale; ma ne muta profondamente il significato,
che non è più per lui trascendentale, ma empirico,
ed esprime soltanto l’identità del pensato, l’indifTe-
renza di soggetto e oggetto; in altri termini, quella
psichicità primaria su cui deve fondarsi la dualità
di fisi e psiche. 11 Varisco compie un notevole sforzo
per mostrare come questo indifferenziato, per un’in¬
tima esigenza, .si differenzi: e ciò mostra che egli
è bene addentro nella difficoltà dell’idealismo; ma
non mi pare che risolva il suo problema, perché non
veggo il principio della differenziazione, il soggetto.
Quel differenziarsi è perciò ancora da lui inteso nel
senso della metafisica dell’essere e non del cono¬
scere, vale cioè a fondare una monadologia e non
una fenomenologia. Per giungere a questa è neces¬
sario spogliarsi del tutto della preoccupazione di una
realtà fatta, sia come natura, sia come potenza del
pensiero, e guardarsi dall’anticipare in qualunque
modo il mondo sull’atto concreto del pensare.
Già nella dottrina che il Varisco ha accennato
della personalità, s’intravvede il principio di un ap¬
profondimento dell’idea del soggetto. Riporterò le
seguenti sue parole: «Quando ciò di cui giudico
392
LA FILOSOFIA ITALIANA
sono io stesso, il mio fare non è più soltanto rico¬
struttivo; è veramente costruttivo. L’io nel senso
vero della parola, ossia l’iinità dell’autocoscienza
_ ben diversa dalla pura unità della coscienza, dal
soggetto animale — non esiste che in quanto afferma
sé stesso Bene, ma una volta inteso che ripro¬
durre è in verità, nel mondo della coscienza, della
realtà in fieri, un produrre, bisogna andare avanti,
approfondire il concetto della riflessione creatrice,
che è il cardine della filosofìa moderna, svelare tutti
i tesori che esso racchiude: allora solo si vedrà,
nella trasparenza della coscienza, tutta la realtà
nella sua pienezza. Il Varisco invece si ferma a
metà: egli infravvede, ma non svolge, il motivo fe¬
condo dell’iilealismo.
4.1 NEO-KANTIANI.— Il neo-kantisiiio ifaliano è
per molli rispetfi benemerito della nostra cultura,
per avere alacremente pronio.sso gli studi storici, che
fra noi facevano difetto. Si pensi che perfino i due
più profondi pensatori italiani del secolo XIX, Ro¬
smini e Gioberti, spropositarono talvolta nel modo
più deplorevole la storia del pensiero, si da falsare
la loro stessa posizione storica di fronte alla specu¬
lazione moderna. E nel campo della storia della filo¬
sofia si sono specialmeiile distinti il Fiorentino, il
Tocco, il Masci, il Tarantino, il Chiappelli. ed altri
ancora. Ma, quanto aU’atteggiamento dottrinale, il
neo-kantLsmo ha uno stretto rapporta con l’indirizzo
di cui abbiamo testé parlato.
La sua dottrina si svolge infatti più specialmente
nei confini segnati dall’analitica trascendentale di
i Varisco, / massimi problemi, cit., p. 129.
II. - TRA IL .SECOLO XIX E IL XX
393
Kant. Di qui. il limite della sua forza speculativa
c dato dalle antinomie; limite che si vuol poi supe¬
rare con la dimostrazione della vanità di ogni me¬
tafisica. Ma con la metafisica il neo-kantismo è co¬
stretto, suo malgrado, a fare i conti, quando vuole
spiegarsi quell’apriori che esso accetta da Kant. Non
appena esce dalla semplice distinzione tra il pro¬
blema della formazione empirica delle conoscenze e
quello della loro validità, e vuol cercare di spiegarsi
il come e il perché di quest’ultima, eccolo già alle
prese con la metafisica. Il valore, come abbiamo già
notato, è un concetto neutro, bilanciato tra il pen¬
siero e l’essere; la spiegazione del valore è dunque
il problema metafisico del rapporto tra il pensiero
e l’essere. In che modo risolverlo? Il neo-kantismo,
non sapendo vedere nelle categorie altra cosa che
quel semplice fatto del valore, ha esaurito già la sua
provvista, e non può chiedere perciò al suo Kant
quella spiegazione ulteriore; esso allora la persegui¬
terà attraverso la psicologia, la biologia, e finirà col
ritrovarsi in una posizione che aveva già oltrepas¬
sata con la sua premessa.
Questa dilTicoltà del neo-kantismo si rivela nel
modo più caratteristico nella parabola descritta dal
suo primo rappresentante in Italia, il Fiorentino,
che non riuscì a mantenersi nella sua posizione ini¬
ziale, ma, cedendo all’urto delle nuove ricerche bio¬
logiche, contro cui s’era già abbattuto il neo-kan¬
tismo tedesco, fini col fraintendere del tutto il si¬
gnificato dell’apriori kantiano, contaminandolo di
naturalismo evoluzionistico.
Più fedele allo spirito del neo-kantismo è il Masci,
che se ne può considerare oggi come il maggiore
rappresentante. Le sue istanze negative contro i
fraintendimenti dei principi fondamentali della
394
LA FILOSOFIA ITALIANA
filosofia kantiana sono solide, ma la fondazione posi¬
tiva di quegli stessi principi dà luogo alla ditTicoltà
già notata a proposito del neo kantismo in genere.
Giu-stameute il Masci difende l’apriorità dello spazio
e del tempo, come funzioni spirituali, dal psicolo¬
gismo, che con la semplice costruzione delle rappre¬
sentazioni 'di spazio e tempo s’illude di aver soddi¬
sfatto all’esigenza dell’estetica trascendentale; col
suo mosaico delle sensazioni esso crede di costruir
la forma, invece la presuppone a ogni passo. Né
migliori surrogati della deduzione kantiana offrono
le ricerche biologiche sull’apriori, che non riescono
addirittura a rendersi conto del problema di cui si
tratta.
Un altro errore che si suol commettere nell’inter¬
pretazione di Kant, è quello di ridurre la realtà alla
mera rappresentazione; cosi, osserva il Masci, si fa
svaporare il reale, mentre, secondo i principi del
kantismo, la serie psichica non ha maggiori diritti
al riconoscimento della serie fisica. Ma esistono fisi
e psiche come due realtà per sé? Qui sta il problema.
K pare che il Masci a un certo punto sia sulla via
di risolverlo secondo il criterio dell’idealismo asso¬
luto, col riconoscere l’inanità della riflessione che
vuol risalire a una realtà oltre l’atto dell’autoco¬
scienza *. Però non riesce a rendersi conto che al
di là di queU’atto non c’è una realtà che sia a noi
preclusa per la scarsezza delle nostre facoltà men¬
tali, ma che non c’è^ proprio nulla, fuori che la
■proiezione della nostra ombra. E una volta perduto
.il criterio dell’unità concreta, fisi e psiche gli restano
innanzi come due fatti distinti, che egli pur sente
* F. Masci, Il materialismo psicofisico, Napoli, 1901, II,
p. 93.
II. - TR.\ TL SECOLO XIX E IL XX
395
il bisogno ili unificare. E concepisce cosi il suo mo¬
nismo: «Non si tratta di sapere né come la ma¬
teria genera il pensiero, né come questo genera
le azioni materiali. Porre cosi il problema è ren¬
derlo insolubile, perché le idee di materia e spirito
sono generalizzazioni unilaterali, astrazioni nostre,
operate in direzioni opposte, di un processo che in
realtà è unico»'. E per conseguenza cerca di tra¬
sferire quell’unità in un passato in cui psiche e tisi
erano indill'erenziate. < Riportata la psichicità a
quello che si può pensare che sia prima che esista
un sistema nervoso diflerenziato, anzi prima che esi¬
stano strutture nervose negli animali unicellulari
e nel protoplasma amorfo, la difficoltà di concepire
l’unità di natura e spirito si trova ridotta a un mi¬
nimum; perché resistenza psichica si può ricondurre
al dinamismo intimo della realtà, ai principi quali¬
ficativi determinanti e direttivi che non si possono
negare senza rendere inintelligibile lo stesso feno¬
meno meccanico. L’unità apparisce meglio al prin¬
cipio che alla line, meglio nel germe che nel frutto,
meglio nell’inizio dello sviluppo, che nei prodotti
ultimi della differenziazione progressiva in cui esso
consiste. Similmente, procedemlo in quella direzione,
la riduzione diventa gradatamente più intelligibile,
finché gli opposti quasi si toccano e si compenetrano
nei concetti dell’atomo e della monade, che tendono
a identificarsi » L’unità del reale viene cosi trasfe¬
rita in un oscuro passato; non è più quella che
si dà nella trasparenza luminosa della coscienza, se¬
condo la nuova metafìsica del conoscere fondata da
Kant, ma quella che si dava tra le due realtà etero¬
genee dell’antica metafisica dell’essere.
* Op. cit., IH, pp. 18-19. > Ibld., IH, pp. 35-36.
396
LA FILOSOFIA ITALIANA
La monadologia da una parte e il principio nuovo
dell’autocoscienza dall’altra : questa a me pare la
doppia esigenza inconciliata in cui si travaglia il
pensiero del Masci. E nella stessa ditlicoltà s’imbatte
un altro filosofo, il Martinetti, che vi resta impi¬
gliato, benché faccia un grande sforzo per liberar¬
sene, cercando di fondere la metafìsica dell’essere
con la luelalìsica del conoscere. Come già il Bnirac,
egli concepisce il reale come una pluralità di mo¬
nadi, o (per togliere la possibilità di un fraintendi¬
mento storico) di centri coscienti o unità sintetiche
di soggetto oggetto Ma questa pluralità, realistica¬
mente intesa, è incompatibile con la monadologia.
Posta la monade, o comunque il rapporto soggetto-
oggelto, è con ciò tolta la realtà (nel significato
realistico) delle altre monadi, la cui esistenza è pos¬
sibile solo come iilealilà nella monade. Lo svolgi¬
mento deH’idealismo è consistito nell’approfondire
questo concetto nuovo dell’idealità, in cui s’è rico¬
nosciuta la realtà vera e concreta: così è stato ab¬
battuto il vecchio concetto del mondo come totalità
naturale, e s’è costituito il nuovo concetto del mondo
come esperienza assoluta. Il Martinetti invece tien
fermo ancora all’idea del mondo come un tutto
naturale e dissemina lungo di esso i suoi centri co¬
scienti, .senza intendere che questo è incompatibile
col concetto nuovo dell’idealità che egli mostra di
accettare. Ond’è che, malgrado tutti gli sforzi, egli
resta un realista, e, come tale, si mostra impigliato
in una difficoltà insolubile allorché vuol superare il
disgregamento dei principi coscienti in una unità
superiore. Una volta posta dommaticamente la plu-
> P. Mabtinetti. hitroiiuzlone alla melathica, Torino, 1904,
pp. 110, 413.
II. -TUA IL SECOLO XIX E IL XX
397
ralità delle coscienze, l’unitù o sarà un nome, o un
principio trascendente, perché lo ripeto, la plura¬
lità, come tale, è fuori dell’atto di coscienza.
Dato questo residuo di dommatismo, un vero su¬
peramento della metafisica dell’essere non è più
possibile al Martinetti, il quale non riesce che a una
conciliazione apparente tra quella metafisica e la
nuova metafisica del conoscere, col mostrare che la
stessa instabilità dei centri coscienti, per cui essi si
sviluppano e si potenziano in sintesi sempre più alte,
si dà nel campo del conoscere come processo delle
conoscenze dalle forme più semplici e imlilTerenziate
del senso alle sintesi più alte dcH’iiitellelto e della
ragione. Qui non fa che ripro<lursi quello stesso di¬
sgregamento che noi abbiamo già prima osservato:
come l’unità dei reali cadeva fuori di essi, cosi il
principio di organizzazione delle conoscenze è fuori
d’ogni singola forma, e il pas.saggio dall’una all’altra
è la semplice dialettica herbartiana, cioè il principio
di contraddizione, applicato all’organizzazione pro¬
gressiva del dato sensibile. Certo non mancano nel¬
l’opera del Martinetti degli accenni a un dialettismo
assai più profondo, ma il motivo fondamentale dello
svolgimento dialettico è empirico, e non dà che una
genesi empirica delle conoscenze, incapace perciò di
risolvere quel che v’è di dato nel dato sensibile.
11 vizio della dottrina è l’afTermazione immediata
dell’unità puntuale di coscienza, che si riproduce,
nella gnoseologia, neH’afrermazione del pari imme¬
diata della realtà sensibile: ogni ulteriore svolgi¬
mento del pensiero non potrà essere che una sem¬
plice elaborazione, una purificazione del dato, e non
riuscirà mai a spiegare il suo prodursi. 11 presup¬
posto realistico della metafisica si riverbera nella
dottrina del conoscere; posta la scala delle monadi,
398
LA FILOSOFIA ITALIANA
ne vengono con ciò posti i gradi della conoscenza,
realisticamente e non trascendentalmente, come per
Hegel. E, chi bene osserva, riconoscerà che una tale
dottrina dei gradi del sapere non può reggere se
non si presuppone una realtà già costituita, a cui
la conoscenza cerchi di adeguarsi. Sicché il tenta¬
tivo del Martinetti di fondere te due metafìsiche,
quella dell’essere e quella del conoscere, a me non
sembra riuscito, perché col lasciare impregiudicata
la posizione del dato, sia pure come dato spirituale
e non già naturale, è tolta la possibilità di risol¬
vere l’essere nel conoscere; e, al tirar le somme,
quel dato finirà sempre con l’accennare a qualcosa
di là dal sapere, o in altri termini a un essere, sia
pure spirituale, com’è nella concezione del Marti¬
netti. Questa però, malgrado la diflìcoltà accennata,
a me pare uno degli sforzi più notevoli che abbia
compiuto il pensiero italiano negli ultimi anni.
in
L’IDEALISMO ASSOLUTO
1. Vera e Spaventa. Nel primo capitolo noi ab¬
biamo accennato che con Vincenzo Gioberti la spe¬
culazione italiana del secolo XIX cerca di adeguarsi
a quella tedesca. Ma Gioberti fraintese la sua po¬
sizione storica, e solo nel tardi si rese un po’ conto
«legli elementi fìchtiani ed hegeliani del suo sistema;
e, ciò malgrado, continuò a criticare il preteso pan¬
teismo tedesco, e a credere che la sua dialettica
fosse platonica, nel mentre che era la dialettica della
mentalità assoluta, cioè dello spirito.
In Bertrando Spaventa il pensiero italiano ac¬
quista chiara coscienza di sé medesimo; e le felici
intuizioni giobertiane sono sviluppate in un sistema
scientifico.
Spaventa insegnò per molti anni nell’università
di Napoli ed ebbe per collega un hegeliano di fama
europea. Augusto Vera. Ma l’uno non avverti nem¬
meno la vicinanza dell’altro; erano mentalità troppo
diverse: da una parte il giovane hegeliano che vi¬
vificava con la sua vita nuova e ardente il pensiero
di Hegel: dall’altra il vecchio hegeliano, avanzo di
un passato glorioso, tutto pieno di mistica adora-
400 LA FILOSOFIA ITALIANA
zione per il suo Hegel, da lui chiamalo il Cristo
della filosofia, e per cui la vita d’un intero secolo è
un niente, o una serie di errori da cui bisogna libe¬
rarsi. Qui siamo ancora con gli epigoni, e là co¬
mincia una nuova filosofia.
È un tipo curioso quello del vecchio hegeliano,
che non sa muoversi senza pestarsi i piedi, e che,
tutto assorto nelle nuvole, non vede il fossato innanzi
a sé. Noi lo vediamo impacciato fin nel suo primo
entrare nel santuario della filosofia, e perdersi in un
dedalo di ragionamenti per escogitare il modo mi¬
gliore d’entrarvi. « Com’è possibile, egli si chiede,
insegnare filosofia hegeliana? >. Purtroppo egli sa per
esperienza che la gente a cui osa parlare di Hegel
è solita di prendersi segretamente gioco di lui, e
allora conclude: «che l’hegelismo non si può di¬
mostrare che ad un hegeliano > *. E allora insorge
più grave un nuovo problema: «Come si fa a di¬
ventare hegeliani? ». Qui le cose si complicano, una
volta che non si può diventare hegeliani se già non
si è tali. Ecco l’antinomia da risolvere; e l’unica
via possibile è di ammettere che hegeliani si è in
quanto si nasce. Questa è per lui una vera rivela¬
zione: egli finirà per convincersi di essere hegeliano
per diritto divino, e dall’alto di questa convin¬
zione potrà lanciare uno sguardo di commiserazione
ai non eletti, rassegnarsi alle defezioni dei suoi
scolari, e abbandonarsi, senza nessuna preoccupa¬
zione di essere inteso o compreso, alle sue contem¬
plazioni.
La filosofia di Vera è appunto la contemplazione
del sacerdote di Brahma. Il termine a cui s’appunta
» A. Vera, Inlroduclion à la philosophie de Hegel, Paris,
18042, p. XVI.
in. - l’ideali.smo assoluto
401
è l’idea nella sua vuota universalità, .senza più nes¬
sun contatto col mondo della vita. Per toccarla bi¬
sogna porsi al di sopra della sfera del sentimento,
abdicare alla propria coscienza individuale, e puri-
licarsi di tutta la propria contingenza umana. Che
cosa credesse il Vera di conquistare in un tal modo,
è difiìcile dire; non certo Puniversale concreto di
Hegel. Ed è davvero impressionante vedere come le
pagine piene di vita della Fenomenologia o della
Logica, dove tutto il mondo della storia si fonde in
una grandiosa epopea, diano luogo, per opera del
sonnolento hegeliano, a un annacquato platonismo
che prende le idee per entità e per mere rappresen¬
tazioni di cose, e le dialettizza in un nebuloso em¬
pireo. Qui si compiva quel pervertimento dell’hege-
lismo in una nuova metafisica dell’essere, assai peg¬
giore dell’antica, perché cristallizzava l’idea nelle
cose, e deduceva i cavalli dagli asini, commisurando
la deduzione al grado progressivo di perfezione delle
relative idee. Di fronte a una tale metafisica era la
benvenuta la reazione dello Schopenhauer, contro
cui pur sentiva bisogno il Vera di protestare.
Con ben altra mente concepiva l’hegelismo Ber¬
trando Spaventa. Gioberti aveva detto, non diver¬
samente da Hegel : pensare è creare. L’idea del
pensiero come creazione è l’idea nuova della Qlosofla
kantiana, mentre Cartesio e Spinoza non erano giunti
che al concelto del pensare come causare. Ma Gio¬
berti s’era elevato al nuovo principio tutto d’un
colpo, per una subitanea esplosione: egli aveva
intuito ma non provato la creazione; questa per
lui era un fatto, indeducibile e indimostrabile.
Eppure egli stesso, in un passo importantissimo ^
delle Postume, aveva integrato la formula del
G. DE Ruggiero. La filosofia contemporanea.
26
402
LA FILOSOFIA ITALIANA
pensare = creare, con l’altra : provare è creare *. Il
pensiero prova l’atto creativ*o col riprodurlo e ri¬
crearlo dentro di sé; ma riprodurre è produrre, e ri¬
creare è creare. Ecco il nuovo grande concetto della
mentalità, la quale non si svolge per accrescimento e
riproduzione del suo prodotto, ma per creazione del
nuovo: il prodotto stesso non esiste che in que¬
sto nuovo produrre; l’atto creativo, che in questo
atto che lo ricrea. A tale conclusione non era giunto
il Gioberti, il quale, anzi, dall’idea che provare è
creare aveva voluto inferire che la creazione è indi¬
mostrabile. Ma. poiché il carattere essenziale della
mentalità è appunto il provare (in ciò la mente
si distingue dalla sostanza che si definisce soltanto),
il problema che la filosofia di Gioberti apriva ai suc¬
cessori era : provare la creazione. Ed è questo ap¬
punto il problema di Spaventa: «Gioberti dice: es¬
sere è creare, pensare è creare, creare è pensare. —
Questa identità bisogna provare ».
«Creare è l’Ente concreto, soggiunge lo Spa¬
venta, è fare, realizzare, individuare, sostanziare,
entare, far esistere; è la realtà, l’assoluta realtà.
È assoluta realtà, perché, per Gioberti, Dio stesso è
creare, creare sé stesso. Toglieteci creare e avrete
il niente. — Eppure non si ha mai il niente; giacché
togliere qui è pensare; il pensare rimane, e ci è
sempre. Ciò vuol dire: il creare, tolto, rimane; per¬
ché il togliere stesso è creare: cioè come semplice
togliere — negare — è momento del creare. Ora come
si prova la realtà, il creare? »
«Il Pensare è; non può non essere. Il Pensare
prova sé stesso: negare il Pensare è Pensare. 11 Pen-
, IV. Gioberti, Nuova ProtoloQla, 6<t. Gentile, Bari, 1912, II,
p. 211.
in. - l’idealismo assoluto
403
sare è Certo, assoluto Certo. Il Pensare è atto dialet¬
tico, un mondo, totalità, sistema. Pensando, sem¬
plicemente pensando, io — come semplice pensare —
fo, costruisco, creo questo mondo, questo mio mon¬
do, che è lo stesso Pensare. Questo mondo, creato
dal Pensare, è assolutamente certo come il Pen¬
sare, è lo stesso Pensare. (Il puro mondo del Pen¬
sare è appunto la logica) » *.
Come si vede, il problema di Spaventa è lo stesso
problema cartesiano, svolto in tutta la sua potenza.
Cartesio muove dairatlermazione dommatica e la
nega col suo dubbio; ma questo dubitare è esso
stesso un pensare, e l’essere che si annulla nel dub¬
bio risorge come il nuovo essere, l’essere del pensare;
non più l’antico essere, la mera posizione arbitraria,
ma il nuovo essere, come dialettismo, come l’essere
che si annulla per risorgere in quanto si annulla,
e cioè come sapere, come assoluto processo, in sé
mediato, che è affermazione in quanto è negazione,
certezza in quanto vittoria sul dubbio, verità in
quanto superamento dell’errore, creazione in quanto
è tutto ciò in una volta; originalità di pensiero che
non sta al dato, ma lo riconosce in quanto lo as¬
simila; produttività di pensiero, che risorge perpe¬
tuamente dalle sue ceneri; creatività di pensiero
che risorge unicamente da sé medesimo, in quanto
la vita e la morte, l’affermazione e la negazione, la
fede e il dubbio, sono del pari opera sua.
Ecco i tesori del Cogito cartesiano, quel Cogito di
cui lo stesso Cartesio non comprese il valore, e che
rimase come un troncone morto nelle sue mani.
Avere svolto questo concetto nuovo in tutta la sua
> B. Spaventa, La filosofìa Italiana nelle sue relazioni con
la filosofia europea, Bari, 1909 (Appendice: Schizzo d’una storia
della logica» p. 254).
404
LA FILOSOFIA ITALIANA
inesauribile ricchezza è il grande pregio della Lo¬
gica hegeliana. Essa spiega il processo originale,
creativo, per cui il pensiero creando le proprie de¬
terminazioni crea sé medesimo; è la storia ideale,
eterna del pensiero, prospettata nel sistema della
scienza. Sta qui il significato dell’afTermazione dello
Spaventa, che la spiegazione del creare è la logica.
Questa logica, di cui lo Spaventa toglie ad Hegel,
dirò cosi, lo scheletro, è da lui svolta nel suo ca¬
rattere più profondo, perché concepita nel suo mo¬
tivo storico (cartesiano). L’interpretazione delle tre
prime categorie, l’essere, il non essere, il divenire,
costituisce di per sé sola il documento maggiore
della originalità dello Spaventa. L’essere è da lui in¬
teso come la posizione immediata del pensiero, come
il semplice pensato. Esso è l’assoluto astratto, è il
pensiero che s’estingue neH’cssere. Ma io penso l’es¬
sere, c in quanto lo penso, l’essere non è più il sem¬
plice astratto, ma il mio astrarre, il mio pensare.
Dunque, per virtù stessa del pensiero, l’estinguersi
del pensiero nell’essere è in verità un distinguersi.
Per la grande importanza dell’argomento, ripe¬
terò testualmente il nostro autore. « Fissando l’essere
— egli dice — io non mi distinguo come pensiero
dall’essere; io mi estinguo come pensiero nell’es¬
sere; io sono l’essere. — Ora questo estinguersi
del pensare nell’essere è la contradizione dell’essere.
E questa contradizione è la prima scintilla della
dialettica. — L’essere si contradice, perché questo
estinguersi del pensare nell’essere, — e solo cosi è
possibile l’essere, — è un non estinguersi: è distin¬
guersi, è vivere. Pensare di non pensare, fare astra¬
zione dal pensare, cioè fissare l’essere, è pensare; è
astrazione, cioè pensare. » Questa contradizione del
pensiero che si estingue nell’essere, e in quanto si
HI. - l’idealismo assoluto
405
estingue, pensa, e cioè si distingue e risorge, è il
divenire — inteso come pensare.
« Essere e non Essere, in quanto inverati nel Di¬
venire, non sono più quel che erano prima di essere
inverati; ma sono ciascuno quella stessa unità nella
differenza che è il divenire; e in quanto tale unità,
sono davvero, cioè attualmente, distinti. In
quanto veramente uno e distinti, si dicono appunto
inverati; cioè momenti del divenire».
< L’essere come momento è l’essere che di¬
viene : il cominciare, il nascere (il distinguersi);
il non essere come momento è il non essere che
diviene: il cessare, il perire (l’estinguersi).»
* Cosi il divenire stesso è il cominciare che cessa,
e il cessare che comincia; il nascere che perisce, e
il perire che nasce (il distinguersi che si estingue,
e l’estinguersi che si distingue). Eterno perire,
eterno nascere. Questo eterno perire che è eterno
nascere, questo eterno nascere che è eterno perire,
è il Pensare. Penso, cioè nasco come pensare; ma
non posso afferrar me stesso come pensare, ma
solo come pensato, e perciò perisco come pensare.
Perendo come pensare, penso, e perciò nasco
come pensare. E cosi sempre » L
Ho riportato questo lungo brano, perché è una
veduta profondissima nella Logica di Hegel, e nello
stesso tempo la confutazione completa del sistema
deWEnciclopedia. Nella dialettica dell’essere e del
non essere interviene un fattore che Hegel, fedele
alle partizioni sistematiche della sua dottrina, po¬
neva un po’ all’ombra: è il Cogito di Cartesio, l’/o
penso di Kant. Il che non esprime altro se non que-
* B. Span’enta, Le prime categorie della logica di Hegel
(in Scritti fllosofìcit ed. Gentile, Napoli, 1901, pp. 196-200Ì.
406
LA FILOSOFIA ITALIANA
sto, che il dialettismo della logica di Hegel non è
concepibile come semplice sistema della scienza,
come puro sviluppo del Logo in sé, ma come attività
immanente della coscienza. La conversione del pen¬
siero con l’essere, la risoluzione dell’essere nel pen¬
siero, è il processo che si compie nella luce della
mia coscienza, ed è psicologico nello stesso tempo
che logico e storico. Qui la fllogenesi non è già che
ripeta l’ontogenesi, ma è essa stessa l’ontogenesi; il
pensiero non si produce come semplice psiche che
ha di fronte a sé un mondo, della natura o della
scienza, ma c esso stesso la realtà di quel mondo; e
non riproduce nella sua genesi psicologica la genesi
storica, ma è esso stesso questa genesi storica. Si
dice che noi esistiamo in virtù del passato; si può
aggiungere che il passato esiste in virtù nostra, del
nostro pensiero: il vero senso di questa reciprocità
è l’eternità del pensiero, la divina eternità dell’atto
in cui presente e passato sono tutt’uno e per cui
non si distinguono il riprodurre dal produrre.
Ciò implica piena fusione della fenomenologia,
della logica, della filosofia della natura e della filo¬
sofia dello spirito, in una scienza sola, psicologia o
fenomenologia che dir si voglia, che sia in pari
tempo una storia ideale eterna dello spirito nel suo
sviluppo. Questo assoluto psicologismo o assoluto
empirismo a noi pare la conseguenza logica di tutta
la filosofia post-kantiana.
Ma lo Spaventa non trasse neppur una conse¬
guenza dalla sua premessa, e continuò a distinguere
una fenomenologia da una logica, ed ambedue dalla
filosofia della natura e dello spirito. Quindi si trovò
impigliato nella difficoltà di dover distinguere due
coininciamenti, uno della coscienza, un altro della
scienza (della logica). Di qui il problema: qual è il
HI. - l’idealismo assoluto
407
Primo della scienza? E la conseguente antinomia:
< Primo provato è una contradizione; giacché se
è provato, non è Primo. Dunque, si conchiude, non
può essere provato. Ma d’altra parte, non può essere
ammesso cosi ad arbitrio, ammesso perché ammesso,
cioè dev’essere provato; altrimenti sarebbe un Pri¬
mo. ma non il Primo della scienza » *. E cercava
di risolvere l’antinomia col riallacciare la logica alla
fenomenologia, nel senso che quest’ultima, con l’epu¬
rare il pensiero dall’empiria, doveva preparare quel
pensiero puro, quell’essere, che forma il principio
della logica. Ma il problema, in cui tanto si travagliò
10 Spaventa, era un vero assurdo. Esso riassomigliava
un po’ alla pretesa di voler derivare il pensiero da
qualcos’altro, nel mentre che nessuno forse meglio
dello Spaventa ha riconosciuto che il pensiero non
può derivare che da sé medesimo. Il pensiero si de¬
duce da sé; il suo dedursi è un prodursi; provare
11 Primo del pensiero è ancora un pensare. Qui il
regresso non è che apparente; in realtà è un pro¬
gresso; quindi è falsa la pretesa di voler riportare
la prova a un grado antecedente del pensiero, ed è
falsa ancora l’idea di voler ricercare un Primo della
scienza: il carattere del pensiero è questo suo farsi
primo in ogni atto, questo suo farsi centro in ogni
momento; e perciò la ricerca di un primo determi¬
nato non ha senso, perché dove tutto è primo non
c’è nessun Primo; e l’assoluto primo è appunto il
pensare concreto.
Ma una volta per questa via. Io Spaventa era
condotto insensibilmente ad aggravar l’errore; posta
la distinzione tra una fenomenologia e una logica,
tra una propedeutica e una scienza, ne veniva di
> B. Spaventa, La fllos. Hai. clt., p. 258.
408
LA FILOSOFIA ITALIANA
conseguenza un’altra distinzione: quella della verità
in sé e della verità per noi, di una metessi e di una
mimesi, nel linguaggio giobertiano. « Questa pro¬
pedeutica, egli diceva alludendo alla fenomenologia,
che è scienza, e prova il primo della scienza, ci è
solo in quanto ci siamo noi, coscienza o spirito fi¬
nito: noi dobbiamo elevarci alla scienza, non siamo
immediatamente scienza. La vera scienza, invece,
ci è in sé assolutamente; è non solo umana, ma di¬
vina; quando l’altra è solo umana, e non divina. È di¬
vina come momento della vera scienza, non come
propedeutica; Dio non ha bisogno di propedeu¬
tica » *. Quanti c.avilli per dissimulare un passo
falso! In fondo qui Spaventa è un dommatico della
più bell’acqua, un platonico che distingue una verità
in sé e una verità per noi, mentre ciò ripugna nel
modo più completo al nuovo idealismo. La ragione
dell’errore è che allo Spaventa manca del tutto una
fenomenologia dell’errore; quindi egli non riesce
a svolgere il concetto nuovo della verità come svi¬
luppo, come processo, che pure è nello spirito della
sua lìlosotìa; ma Unisce inconsciamente coll’oggetti-
varla in un che di fatto e di compiuto, in una
realtà in sé. Qui c’è ancora un residuo della men¬
talità del vecchio hegeliano, che mentre ammette
il progresso, il movimento, e simili, è condotto poi,
per la sua soverchia fedeltà alla lettera, a negare
tutte queste cose, allorché è giunto al culmine della
speculazione.
Ma non è qui che bisogna vedere nella sua
più grande vivezza il pensiero di Spaventa. Quello
stesso Spaventa che affermava il carattere astratta-
» Op. cU.t p. 265.
III. - l'idealismo assoluto
409
mente divino della scienza, diceva poi, con quanta
maggior verità!, che l’apriori è la stessa potenza
nuova della natura, la potenza umana, la quale ri¬
sulta e si concentra e s’individua da tutta la sparsa
attualità antecedente: e perciò è insieme un assoluto
aposteriori'. Qui s’intravvede il vero Spaventa, il
pensatore che meglio di ogni altro ha compreso la
vera umanità dell'assoluto, di quell’assoluto che non
è lontano da noi, ma ci è intimo, e non è fuori della
nostra contingenza, ma è questa stessa contingenza,
sub specie aeterni. Egli dice: « Tutti coloro che fanno
ad Hegel due accuse opposte, di relativismo e di as¬
solutismo, sono il trastullo di una illusione ottica,
propria della posizione in cui si mettono; ciascuna
parte prende di mira nell’assoluto hegeliano qiiel-
l’elemento che a lei fa male agli occhi: i semi-sog¬
gettivisti, l’esperienza (il fenomeno, la manifesta¬
zione, il divenire); gli oggettivisti, il pensiero; nes¬
suna ha l’animo e la potenza di aflìssarlo come quello
che è veramente, vale a dire come ragione asso¬
luta, al di là della quale, oltre e fuori, non vi ha
nulla, e il relativo e il cosi detto assoluto non sono
che enti astratti, e come membri scissi dall’unità
organica e viva: da un lato viene scambiata la re¬
lazione col relativo (come opposto all’assoluto), e
daH’altro l’assolutezza coll’assoluto (come opposto al
relativo). Ai primi io dico: il processo dal primo
pensabile (dal puro essere) al pensabile assoluto (al¬
l'assoluta soggettività del mondo, come unità di co¬
noscere e volere, di verità e bontà), e da questo
come prima esistenza, esteriorità omogenea e indif¬
ferente o spazio, all’intimità o soggetto corporeo,
* Scritti flios. eli., p. 313 (Paolotlismo, positivismo, razio-
nalismo).
410
LA FILOSOFIA ITALIANA
all’animale, al senso, come senso umano o spirituale,
allo spirito o soggetto assoluto, questo processo non
è un gioco vano del pensiero con sé stesso, sola¬
mente nel mio intendimento, o un pallido riflesso
di un lontano ed invisibile oggetto; ma, come atto
infinito, come il pensiero che si determina in sé
medesimo e si raccoglie nelle sue determinazioni e
si condensa e concentra e si compie e pone come
assoluto pensiero, è l’atto dell’assoluto, il suo intendi¬
mento, la presenza sua, lui stesso. Ai secondi dico:
questo processo, appunto come produzione, osserva¬
zione critica che il pensiero fa di sé stesso, e in
quanto il pensiero, e non altro che lui, principia
originalmente e investe sempre e conchiude quella
che si chiama comunemente esperienza, e non si
esercita fuori e senza di questa come in vuoto aere;
questo processo è non solo empiria, ma la vera e
assoluta empiria; e ha sempre più valore d’ogni
frammento e articolo sconnesso a cui si dà tal
nome » *.
Qui, pur con qualche reminiscenza dell’antico
schematismo hegeliano, c’è il pensiero nuovo, che
concentra tutta la vita dell’hegelismo. Di fronte al
concetto della relazione assoluta, che è quello stesso
del fenomenizzarsi della realtà nel pensiero umano,
scompare ogni dualità del pensiero in sé e del pen¬
siero per noi, di un processo della coscienza e di un
processo della scienza; e in quanto la realtà non è
il mero contingente né il mero assoluto, ma il pro¬
cesso assoluto del contingente, essa non è soltanto
una soluzione o una cosa bell’e fatta e anticipata
senza problema, né qualcosa che si perseguita sem¬
pre e a cui non si arriva mai, un eterno problema
1 B. Spaventa. Principii di etica, Napoli, 1904, pp. 22-23.
III. - l’idealismo assoluto
411
che non è mai soluzione, ma è l’eterno problema
che è l’eterna soluzione, l’assoluta possibilità che
è l’assoluta attualità. Svolgere questo concetto è sod¬
disfare all’esigenza millenaria posta <ia Aristotele,
dell’unità di potenza ed atto, che può trovarsi solo
nell'assoluta convertibilità dell’una e dell’altro. Pa¬
scal diceva profondamente: noi non cercheremmo
se non avessimo già trovato; noi possiamo ripe¬
tere il motto del pari profondo dello Spaventa,
che lo spirilo è eterno problema che è eterna so¬
luzione, e farne l’insegna della nostra vita specu¬
lativa.
2. La storia della letteratura di F. De San-
CTis. — ■ L’insegnamento dello Spaventa non ebbe da
principio una notevole efficacia. Pochi e fedeli sco¬
lari, tra i quali bisogna ricordare il De Meis, il Jaia,
il Maturi, raccolsero e custodirono gelosamente il
pensiero del maestro; ma come questi non aveva
saputo trarre il frutto delle sue geniali intuizioni e
differenziarsi da Hegel, cosi neppure gli scolari eb¬
bero sentore della radicale trasformazione dell’hege-
lismo che si andava preparando sotto i loro occhi,
anzi accentuarono sempre più il momento platonico,
contemplativo di quella dottrina, che divenne per
essi una vera religione, un simbolo da conservare
gelosamente nella sua integrità. Perciò non senti¬
rono l’urto dei tempi nuovi e dei bisogni nuovi che
sorgevano: temperamenti mistici e religiosi, essi
convertirono il valore speculativo della dottrina nel
valore mistico di una fede, e finirono cosi con l’im-
mobilizzare la vita del pensiero. Non cosi aveva
fatto lo Spaventa, il cui pensiero s’era continua-
mente ringiovanito nell’urto delle nuove dottrine.
412
L\ FILOSOFIA ITALIANA
e che aveva cosi creato ciò che nelThegelismo non
aveva trovato ancora il suo giusto riconoscimento .
il senso della positività, della concretezza assoluta
del pensiero. In ciò si rivelava il valore negativo,
dialettico del positivismo.
Per via diversa, lo stesso processo di dissoluzione
deH’hegelismo che si compiva inconsapevolmente
nel pensiero dello Spaventa, avveniva per opera del
suo grande conterraneo, Francesco De Sanctis. La
sua storia della letteratura, monumento unico nella
cultura europea, ci dà lo svolgimento dello spirito
italiano dai suoi primi albori, via via attraverso i
secoli, alla formazione della mentalità moderna.
L’arte è per il De Sanctis appunto la vita dello
spirito in quanto individuata nel senso, e resa tra¬
sparente a sé medesima; è il contenuto della vita in
quanto è giunto alla chiarezza della forma. La storia
dell'arle è perciò il processo d’individuazione della
mentalità, è l’unità di pensiero e di senso come svi¬
luppo. Togliete all’opera d’arte il suo carattere indi¬
viduale, e avrete la scienza astratta che vale per una
vuota eternità, ma che perciò non è più nulla di con¬
creto, perché lo spirito è vita, è varietà di atteggia¬
menti e di forme; togliete la trasparenza dell’idea,
dell’universale nel .senso, e il senso stesso vi si adom¬
bra, non è più la luminosità della fantasia, ma l’opa¬
cità della semplice immaginazione, vano gioco del
meccanismo psicologico. In questa reciprocanza di
universale e individuale sta il segreto dell arte, che
non è arbitrio dell’individuo, né il mero rispec¬
chiarsi della vita nella fantasia, ma è la vita stessa
che nel suo svolgimento giunge alla propria chia¬
rezza intuitiva. Sta qui, se non mi sbaglio, il signifi¬
cato di quella corrispondenza che il De Sanctis in-
HI. - l’idealismo assoluto
413
daga in tutta la sua opera, tra l’arte e il contenuto
della vita da cui si forma; corrispondenza che non
è quella della pura rappresentazione al rappresentato
— perché l’arte allora non sarebbe che copia della
realtà — ina, sarei per dire, quella della realtà a sé
medesima, ed esprime cioè l’equilibrio, o lo squili¬
brio dei vari momenti della formazione spirituale.
Ciò posto, il rapporto del contenuto della vita
— religione, morale, scienza, ecc. — all’arte, non è il
mero rapporto del contenuto e della forma, ma è lo
sles.so processo d’individuazione storica del conte¬
nuto, che raggiunge la chiarezza della forma. Ciò
che falsifica l’arte è la costrizione arbitraria di un
contenuto inerte in una forma posticcia; è il preten¬
dere che Machiavelli indossi la cotta o Ariosto cinga
la spada. Ma quelle determinazioni etiche che in un
Machiavelli sarebbero una stonatura, perché la chia¬
rezza del mondo storico della Rinascenza è appunto
il naturalismo umano, senza alcun sentore di vita
spirituale, raggiungono invece la concretezza del¬
l’arte in un Manzoni, quando cioè nel ciclo storico
s’è sviluppata in tutta la sua potenza la nuova idea
umana. Cosi ancora quella scienza che nella lette¬
ratura che va fino a Dante non giunge alla sua
espressione artistica, perché il suo contenuto è fatto
trascendente ed estraneo allo spirito, trova la sua
consacrazione in un Bruno o in un Galilei, perché
col riconoscimento dell’umanità del sapere, ogni dis¬
sidio è colmato.
Né si creda che cosi l’arte venga commisurata a
un criterio estrinseco, o sottoposta alla contingenza
del tempo; ma la sua eternità è questa stessa con¬
tingenza, in quanto concentra e individua l’univer¬
salità dello spirito. Dante, Machiavelli, Manzoni sono
fuori della storia appunto perché — sembra un para-
414
LA FILOSOFIA ITALIANA
dosso _ sono cosi profondamente radicati nella sto¬
ria. Qui. come da per tutto, l’assoluto non è fuori
del contingente, ma ne è la vita stessa interiore.
Con pochi nomi che segnano i momenti culmi¬
nanti dello sviluppo spirituale, e con molte sfuma¬
ture e passaggi intermedi, il De Sanctis costruisce
la sua storia della letteratura. L’idea centrale di
essa è quella della formazione del mondo dantesco
come espressione più compiuta del medio evo, e la
sua dissoluzione nei secoli seguenti, fino alla nega¬
zione più completa nello .scetticismo presago dei tempi
moderni, e alla nuova formazione d’un mondo tutto
umano, in piena antitesi con l’antica trascendenza.
« L’uomo e la natura, egli dice, hanno nel medio evo
la loro base fuori di sé, nell’altra vita; le loro forze
motrici .sono personificate sotto nome di universali
ed hanno un’esistenza separata. Questo concetU) della
vita genera la Divìtict Cotnmedio. La macchina della
storia è fuori della storia ed è detta la Provvidenza.
Questa macchina è nel mondo boccaccesco il caso,
la fortuna. Non ci è più la Provvidenza, e non ci è
ancora la scienza. Il meraviglioso non è più detto
miracolo, anzi del miracolo si fanno beffe, ma e
detto intrigo, nodo, accidente straordinario. Le pas¬
sioni, i caratteri, le idee, non sono forze che regolano
il mondo, sopraffatte da questo nuovo fato, la vo¬
lubile e capricciosa fortuna. Il Machiavelli insorge
e contro la fortuna e contro la Provvidenza, e cerca
nell’uomo stesso le forze e le leggi che lo conducono.
11 suo concetto è che il mondo è quale lo facciamo
noi, e che ciascuno è a sé stesso la sua provvidenza
e la sua fortuna. Questo concetto doveva profon¬
damente trasformare l’arte. » Con la nuova scienza
sorge la nuova letteratura. L’antica trascendenza è
negata e l’uomo acquista coscienza della propria
m. - l’idealismo assoluto
415
soggettività. La nuova poesia è come la nuova
scienza, umana; essa si preannunzia nella malattia
del Tasso; la malattia dell’uomo moderno. E il carat¬
tere umano di quest’arte si può esprimere con un
termine: quello di lirismo. Il De Sanctis non mise
forse in un giusto rilievo questo momento della liri¬
cità dell’arte; svolgere questo concetto è stata opera
del Croce. Secondo noi, è da darne un’interpreta¬
zione più orientata verso la storia; ma la determi¬
nazione puramente ideale del concetto rientra nel
quadro generale della illosofia del Croce che impa¬
reremo a conoscere tra breve.
Il gran merito del De Sanctis sta nell’avere at¬
tuata nella sua maggior concretezza l’idea hegeliana
dello spirilo come sviluppo, e di aver concepita
l’arte nel dinamismo stesso della vita, spogliando
il nuovo concetto da ogni schematismo arbitrario.
L’opera sua, come quella dello Spaventa, non fu
compresa in Italia, e non trovò seguaci. I meri eru¬
diti le negarono il nome di storia, e i più benevoli
si piacquero di considerarla come un insieme di
monografie. Tanta cecità oggi ci stupisce, ma lo stu¬
pore cessa quando si pensi alla dilllcoltà che incon¬
tra nel concepire il movimento chi non si muove.
•’l. Il marxismo. — Una propaggine dell’inse¬
gnamento di Bertrando Spaventa innestata sul
tronco del positivismo è la storia del materialismo
storico di .\ntonio Labriola. Scrittore vivace, acuto,
pur senza grande profondità e vero ingegno specu¬
lativo, il Labriola seppe dare tutta un’intonazione
propria al marxismo. E mentre questo degenerava
in Germania in una vuota ideologia dualistica, egli
ne fece una dottrina della storia d’intonazione
416
LA FILOSOFIA ITALIANA
Strettamente monistica. « La storia, egli dice non
poggia sulla differenza di vero e di falso, o di giusto
e d’ingiusto, e molto meno sulla più astratta antitesi
di possibile e di reale; come se le cose stessero da un
canto ed avessero dall’altro canto le proprie ombre
e fantasmi nelle idee. Essa è sempre tutta d’un
pezzo, e poggia tutta sul processo di formazione e di
trasformazione della società; il che è da intendere in
senso affatto oggettivo, e indipendentemente da ogni
nostro gradimento o sgradimento.» Ma questo ogget¬
tivismo nel Labriola, che è memore dell’insegna¬
mento di Vico e di Engels, non è disconoscimento
del valore umano della storia, ma solo del mero arbi¬
trio umano. Onde può dire che < producendo succes¬
sivamente i vari ambienti sociali, ossia i successivi
terreni artiliciali, ruomo ha prodotto sé stesso; e in
ciò consiste il nocciolo serio, la ragione concreta, il
fondamento positivo di ciò che per varie combina¬
zioni fantastiche e con varia architettura logica,
dà luogo presso gl’ideologi alla nozione del pro¬
gresso dello spirito umano » Questo è idealismo
schietto; e appunto perciò il Labriola doveva esser
meno che mai propenso a insistere sulla distinzione
tra la struttura economica e la soprastruttura poli¬
tica e sociale della società, come si rileva ancora
dall’acuta critica che egli fa della dottrina dei fat¬
tori della storia. Ond’è che la parte più strettamente
socialistica della dottrina di Marx sta un po’ a pi¬
gione nella sua filosofia della storia, e riesce spesso
a un travestimento puro e semplice di concetti he-
I A. Lahriola, Saotji intorno alla concezione materialietica
della storia, I: In memoria del manifesto dei comunisti, Roma,
18952, p. 15.
» A. Labhiola. Saggi ecc.. Ili; Discorrendo di socialismo e
filosofia, Roma, I90Z2, pp. 80, 104.
ni. - l’ideausmo assoluto
417
geliani. Cosi egli asserisce che per il materialismo
storico il divenire, ossia l’evoluzione, è reale, anzi la
realtà stessa, come è reale il lavoro, che è il prodursi
deU’uomo che ascende dalla immediatezza del vivere
animale alla libertà perfetta (che è il comuniSmo). E
ancora, non c’è un inconoscibile, o comunque, un
limite alla conoscibilità, perché neH’indefinito pro¬
cesso del lavoro, che è esperienza, gli uomini cono¬
scono tutto ciò che fa bisogno e che è utile di cono¬
scere. Qui il travestimento, ancorché operato da un
uomo d’ingegno, non è meno un travestimento, e
arieggia assai da vicino quelli del prammatismo.
Ma, fuori di queste reminiscenze, la sostanza del¬
l’opera del Labriola sta appunto in ciò che, con l’ap¬
profondire il concetto della storia, essa contiene la
confutazione implicita del materialismo storico. Una
volta negato ogni dualismo, ogni teoria dei fattori
della storia e ogni interpretazione semplicistica dello
sviluppo umano, vien meno ogni ragione di distin¬
guere nella storia l’economia dalle soprastrutture
sociali e di porre quella a fondamento di queste.
Preso nella sua maggiore concretezza, e senza più
quel connubio di storia e di naturalismo che gli dava
un significato caratteristico nelle opere del Marx e
dell’Engels, il materialismo storico non ha più ra¬
gion d’essere come lllosofia della storia.
E in una recensione dell’opera del Labriola, il
Croce accennò appunto a questo fatto, della liquida¬
zione del materialismo storico, inteso come filosofia.
Per il Croce esso restava come un semplice canone
della storiografia, o meglio, come « una somma di
nuovi dati, di nuove esperienze, che entra nella co¬
scienza dello storico ». Ma la critica a parer mio più
conclusiva della dottrina è stata data dallo stesso
Croce in un articolo su La fine del socialismo, e non
G. DE Ruggiero, La filosofia contemporanea.
27
418
LA FILOSOFIA ITALIANA
con un’astratta analisi dottrinale, ma con un esame
storico sull’origine e lo sviluppo del marxismo. Di
qui risulta in modo chiaro il valore meramente con¬
tingente e transitorio del materialismo storico, la cui
utopia comunista è stata la generalizzazione affretta¬
ta, e poi smentita dai fatti, delle esperienze che la sto¬
ria ha accumulato sulla formazione del capitalismo.
Cosi il materialismo storico che in Germania e
in Francia si avviava per vie diverse al regno di
Utopia, ha finito invece in Italia col trovare il suo
elogio funebre; e, negandosi come filosofìa della sto¬
ria, è stato in pari tempo d’impulso fecondo nella
formazione delle nostre dottrine della storiografia.
4. La FILOSOFIA DELLO SPIRITO DI B. CrOCE. -
Nella filosofia del Croce i vari motivi della specu¬
lazione antecedente si concentrano e s’individuano
in un foco unico di grande chiarezza. La concezione
vichiana dell'arte e della storia, insieme alle larghe
vedute del De Sanctis sulla critica letteraria, hanno
dato l’orientamento e l’intonazione fondamentale al
pensiero del Croce, che s'è svolto fin da principio
secondo i due indirizzi, della storiografia e dell’este¬
tica. L’interesse più strettamente speculativo della
dottrina non è sorto che tardi, quando questa era
già quasi formata, e non ha cagionato nell’interno
di essa nessuno squilibrio o mutamento notevole, ma
solo un coordinamento più intrinseco delle sue parti.
Questo spiega come mai il Croce abbia potuto de¬
terminare cosi nettamente la propria posizione di
fronte ad Hegel, e distinguere — ciò che prima non
era stato mai tentato — le parti vive del sistema
hegeliano da quelle morte, mentre tutti i seguaci di
Hegel si sono trovati impigliati, più o meno irrime-
III. - l’ide.\lismo assoluto
419
(liabilmenle, nelle maglie di quella dottrina. La ra¬
gione è che Croce non è stato mai un hegeliano
nello stretto senso della parola; e anche quando più
intensamente studiava il lìlosofo di Stoccarda, era
già tutto lui. Di Hegel l’attraeva specialmente quel
senso vivo dei problemi, quel temperamento ostile
ad ogni vago sentimentalismo e morboso misticismo,
e lìnalmente quella coscienza seria e rigida della
vita, fatta di lavoro tenace e non di facili rivelazioni
dell’intuito e del sentimento: caratteri che erano
anche i propri.
Ma di fronte a questo momento hegeliano del
carattere del Croce, e in antitesi con esso, ve n’è un
altro, che, per restare nella storia, chiamerei herbar-
tiano. Infatti, come in Herbart ci è dato osservare
una forza speculativa di prira’ordine, che si svolge
con una potenza che ha il suo riscontro solo in Hegel,
— ma poi a un certo punto un arresto brusco per cui
la dialettica viene strozzata e l’unità del reale fran¬
tumata; cosi, anche nel Croce, si può notare nell’ap¬
parente uniformità del pensiero, un hiatus profondo,
una contradizione insoluta, tra una cultura impron¬
tata al dinamismo più ricco di vita, e un gusto delle
distinzioni e classificazioni, che raffredda quella vita
o è incapace di contenerla. Chi legga le belle pagine
del Croce sulla dialettica degli opposti nel libro su
Hegel, e molte ancora nella Filosofìa della Pratica
— che segna il punto culminante del suo pensiero —
si convincerà facilmente che là dentro non c’è al¬
cuna reminiscenza di Hegel, o di altri, ma c’è una
mentalità nuova, originale, che si svolge tutta com¬
presa dell’attualità dei problemi tra cui si muove. Ma
poi, dalla rete delle distinzioni, una parte di quella
vita ^fugge e lo slancio speculativo si disperde; onde
avviene che l’intimità più profonda del reale e il
420
LjV filosofia italiana
senso vivo della storia cadano in certo modo fuori
del sistema, nella personalità del filosofo che lo
domina. Nel Croce a me pare che siano ancora in
conflitto due culture: da una parte la critica insi¬
stente e decisiva del naturalismo in tutte le sue
forme, nella letteratura, nella logica, nella pratica,
ha lasciato nel suo pensiero delle tracce di quello
stesso naturalismo, determinando, in antitesi con la
Babilonia filosofica degli ultimi cinquant’anni, una
tendenza a segnare dovunque dei confini netti e
precisi, che spesso, come vedremo, rompono l’unità
dello spirito; ma d’altra parte, dalla considerazione
viva e attuale dei problemi filosofici, che in lui non
ha niente della reminiscenza o dello sforzo, ma
muove dalla vita per tornare ad essa, sorgono mo¬
tivi profondi di pensiero, anzi tutta una mentalità
nuova, per cui l'immanentismo non è parola, ma
atto, e che conferisce ai problemi quell’interesse di
cui solo i veri pensatori conoscono il segreto. Perciò
il Croce è stato un grande suscitatore e agitatore
di problemi, in un tempo in cui questi erano sopiti;
e quali che siano le soluzioni che ha tentato di
darne, le si accetti o le si respinga, resta sempre a
lui il merito di aver rinnovata la cultura italiana.
Il progresso del Croce sulla speculazione del se¬
colo XIX è consistito in ciò, che egli ha iniziato quel
movimento di dissoluzione del sistema hegeliano,
che, nella pesantezza ingombrante della sua mole, sof¬
focava gli stessi problemi vivi che s’erano agitati nel
pensiero di Hegel. Se la dialettica è pensiero in fieri,
è negazione del fatto e conversione di esso nel pen¬
siero, il lavoro di dissoluzione della grande mole del
sistema hegeliano è nello spirito stesso dell’hegeli-
smo. I due punti nei quali più si dimostra efficace la
critica del Croce sono la recisa negazione di ogni
III. - l’idealismo assoluto
421
lìlosolìa della natura e di ogni distinzione tra una
fenomenologia e un sistema filosofico. Questa parti¬
zione aveva nella doltrina di Hegel un valore tutto
storico, perché rispondeva ai vari momenti della
formazione del suo pensiero, ma non può avere un
valore logico in una filosofia idealistica per cui non
v’è una realtà fatta a cui il pensiero debba ade¬
guarsi, ma per cui la realtà è lo stesso pensiero, cioè
il suo stesso processo nella conquista della verità. E,
quanto all’idea di un’elaborazione speculativa del
concetto di natura, essa è un non-senso, perché con¬
siste precisamente nel conferire una realtà in sé a
una costruzione arbitraria del pensiero; è insomma,
diremmo noi, un residuo della vecchia metafisica
dell’essere. Pensar la natura come natura è un as¬
surdo; in quanto la si pensa, la natura è già spi¬
rito; quindi non v’è altra filosofia possibile che la
filosofia dello spirito.
La liquidazione degli errori di Hegel rende pos¬
sibile un più giusto apprezzamento delle sue verità.
E la verità fondamentale della filosofia hegeliana è
la scoperta del concetto concreto, 'della sintesi degli
opposti. Il pensiero non è vuota identità, né mera
opposizione, ma l’unità profonda nell’opposizione,
c Gli opposti non sono illusione, e non è illusione
l’unità. Gli opposti sono opposti tra loro, ma non
sono opposti verso l’unità: giacché l’unità vera e
concreta non è altro che unità, o sintesi, di opposti:
non è immobilità, è movimento; non è stazionarietà,
è svolgimento. Il concetto filosofico è universale
concreto; e perciò è pensamento della realtà come,
tutt’insieme, unita e divisa. » Senza dialettismo, non
c’è sviluppo. Chi dice pura identità del pensiero con
sé, dice verità che non sia superamento di errore;
bene, che non sia trionfo sul male; bello, che non
422
LA FILOSOFIA ITALIANA
sia vittoria sul brutto; e perciò lungi dal concepire
la realtà spirituale nella sua concretezza, ne prende
10 schema vuoto e astratto.
Il motivo dialettico deU’hegelismo si compendia
per il Croce tutto nella prima triade della Logica:
essere, nulla, divenire, c Che cosa è l’essere senza
11 nulla? l’essere puro, indeterminato, inqualificabile,
ineffabile; l’essere, beninteso, in universale, non que¬
sto o quell’essere in particolare? in che modo si di¬
stingue dal nulla? E che cosa, d’altra parte, è il
nulla senza l’essere, il nulla concepito in sé, senza
determinazione e qualifica alcuna, il nulla in gene¬
rale, non il nulla di questa o quella cosa in partico¬
lare, in che modo si distingue da quell’essere? Chi
prende l’un solo dei due termini, gli è come se pren¬
desse solo l’altro; giacché l’uno ha significato solo
nell’altro e per l'altro. Cosi chi prende il vero senza
il falso, il bene senza il male, fa del vero qualcosa
di non pensato, — perché il pensiero è lotta contro
il falso, — e quindi qualcosa di non vero; del bene
qualcosa di non voluto, — perché volere il bene è
negare il male, — -’e quindi qualcosa di non buono.
Fuori della sintesi, i due termini astrattamente presi
si confondono tra loro e scambiano le loro parti: la
verità é soltanto nel terzo; e cioè, per la prima
triade, nel divenire, che perciò, come Hegel dice, è
il primo concetto concreto » ‘.
Nella scoperta della dialettica degli opposti con¬
siste, dunque, per Croce, il merito permanente di
Hegel. 11 suo torto invece sta nell’avere abusato di
questo concetto, ed esteso indebitamente la dialettica
dagli opposti ai distinti, cioè alle forme spirituali.
» B. Croce, Ciò che é viuo e ciò che è morto della filosofia
di Hegel, Bari, 1907, p. 22.
IH. - l’idealismo assoluto
423
Vero e falso, bene e male sono realmente opposti tra
loro, e vale quindi per essi il principio hegeliano,
che il termine positivo non ha vita se non trionfando
del negativo. Ma lo stesso non può dirsi dei concetti
di bello e di vero, di vero e di bene; queste seconde
coppie presentano, rispetto alle prime, la peculiarità
che ciascun termine non annulla l’altro, ma può
armonizzarsi con esso. «Il vero non sta al falso
nel rapporto stesso in cui sta al buono; il bello
non sta al brutto nel rapporto stesso in cui sta
alla verità filosofica. Vita senza morte e morte senza
vita sono due falsità opposte, la cui verità è la vita,
che è nesso di vita e di morte, di sé e del suo op¬
posto. Ma verità senza bontà e bontà senza verità
non sono due falsità, che si annullino in un terzo
termine: sono false concezioni, che si risolvono in
un nesso di gradi, pel quale verità e bontà sono di¬
stinte e insieme unite» ^
Questa unità-distinzione è la dialettica dei di¬
stinti, o meglio la dottrina dei gradi dello spirito.
Se il bello e il vero non sono dialettizzabili come il
vero e il falso, e d’altronde non possono venir consi¬
derati ecletticamente come le specie d’un genere, la
soluzione del problema del loro rapporto non può
stare, secondo il Croce, che nel concepirli come due
momenti dell’attività conoscitiva dello spirito: un
primo grado, fantastico, e un secondo, logico; il
primo, logicamente concepibile senza il secondo, ma
non viceversa. L’attività fantastica, intuitiva, non
presuppone l’attività logica, ed è la forma primaria,
ingenua dello spirito; mentre invece il logo, il
concetto, non vive se non in quanto è intuito ed
espresso, ed implica perciò il primo grado dell’atti-
1 0/7. ci7,, pp. 89-90.
424
LA FILOSOFIA ITALIANA
vita spirituale. Alla ilottrina empirica della classilì-
cazione delle forme spirituali subentra così quella
lilosolica deirimplicazione delle varie forme, che
non annulla l’universalita di ciascuna, ma le confe¬
risce il suo pieno riconoscimento, e insieme deter¬
mina l’ordine ideale di tutte, inteso come un po¬
tenziamento progressivo della realtà spirituale.
Per questa via il Croce distingue due forme fon¬
damentali dello spirito, la teoretica e la pratica, e,
neH’interno di ciascuna di esse, due forme subor¬
dinate; intuizione e concetto nella prima, a cui
rispondono, neH’altra, Teconomia e l’etica, concepite
nello stesso rapporto d’impticazione. Il passaggio
dall’una all’altra costituisce la vita spirituale; esso
però non determina, come nella dialettica degli op¬
posti, un annullamento delle forme oltrepassate,
lierché la circolarità del processo spirituale rende
possibile l’eterno ritorno di ciascuna. E d’altra
parte, quel passaggio non si fa per contradizioni in¬
trinseche a ciascuna forma, ma per la contradizione
stessa intrinseca al reale, che è divenire; altrimenti
sarebbe reso impossibile ogni ritorno, o impliche¬
rebbe un inconcepibile regresso.
Questa, nelle sue linee essenziali, è la dottrina
proposta dal Croce, dei gradi spirituali, e della dia¬
lettica dei distinti. In seguito noi vedremo con
quanto vigore egli abbia cercato di conciliarla con
la dialettica degli opposti; ma l’assunto a noi sem¬
bra insostenibile, perché le due dialettiche, non
che coesistere l’una con l’altra, si annullano reci¬
procamente.
Da un punto di vista storico, l’originalità di He¬
gel di fronte a Kant consiste tutta nell’aver con¬
vertito la sintesi a priori, che per Kant era una
sintesi di distinti, in una sintesi di opposti. Solo cosi
in. - l’idealismo assoluto
425
la sintesi a priori che era in Kanf un principio
ancora inerte, ha potuto svolgere tutta la ricchezza
del suo contenuto: suU’opposizione fondamentale
del senso e deH’intelletlo, che porta inevitabilmente
alle antinomie, si eleva l’attività mediatrice della ra¬
gione che risolve le antinomie via via che son poste,
e vien così concepita in un ritmo eterno di sviluppo.
Ma per il Croce, l’unità di senso e di intelletto non è
unità di opposti, bensì di distinti; quindi non può
esservi tra i due termini conversione reciproca, con-
fradizione, antinomia; per conseguenza la sìntesi a
priori — sintesi di distinti — contiene la semplice
unità sfatica di quelle determinazioni, mentre le
sfugge appunto lo sviluppo spirituale: la vita dello
spirito cade in un certo modo fuori dello spirito. Il
Croce all'erma, si, che le conlradizioni, le antitesi,
(che sono il lievito dello sviluppo) son poste dalla
vita, senza esistere pertanto tra le varie forme spiri¬
tuali, ma non si accorge che cosi la vita finisce col
cader tutta fuori di quelle forme, che pur dovrebbero
compendiarla in sé, senza residui. Gli è che vi sono
in lui due esigenze opposte, inconciliate, di pensiero:
da una parte, in quanto afferma lo sviluppo, egli
nega implicitamente le determinazioni statiche delle
forme spirituali; dall’altra, in quanto afferma que¬
ste ultime, nega lo sviluppo. Noi vedremo come il
conllitto di questi due interessi finisca col paralizzare
ed annullare alcune delle sue più acute concezioni.
La prima forma dello spirito teoretico è l’arte, la
conoscenza intuitiva. In questo campo, avere iden¬
tificato l’intuizione con l’espressione; avere inteso il
carattere non meramente rappresentativo, ma sog¬
gettivo, lirico e sentimentale dell’arte; fondato
scientificamente la critica letteraria; unificato l’este¬
tica e la linguistica; compiuto una critica decisiva
426
LA FILOSOFIA ITALIANA
della dottrina dei generi letterari e di tutto il vec¬
chiume retorico che toglieva la possibilità di inten¬
dere il valore intrinseco e genuino dell’opera d’arte,
— io qui per necessità sono costretto ad accennare
soltanto — ; son questi dei grandi e indiscutibili me¬
riti dell’opera del Croce, che si connette a quella
del De Sanctis, e la svolge in un sistema scientifico
jen coordinato.
Secondo questi principi l’opera d’arte viene pie¬
namente individuata e colpita nella sua intimità.
Ma, quanto alla determinazione del suo rapporto
con lo svolgimento della vita in generale, il Croce
alTerma, si, che il variare degli atteggiamenti dello
spirito nella storia implica un mutamento anche
nell’arte, e perciò, in un certo senso, la sua storicità;
però il carattere troppo monadistico che egli attri¬
buisce all’opera d’arte è di ostacolo per una compe¬
netrazione intima dei due elementi, e fa si che l’idea
dello svolgimento, di cui egli pur sente l’esigenza,
sia transeunte piuttosto che immanente al poncetto
dell’attività artistica. Ma questa difficoltà della con¬
cezione crociana, che nel campo dell’estetica è meno
palese, perché il Croce stesso la risolve nella pratica
della critica letteraria, dove il suo senso vivo della
realtà spirituale prende il sopravvento, diviene più
chiara nella trattazione dei problemi della logica.
Dal primo momento ideale dello spirito teoretico,
che è l’arte, la conoscenza intuitiva, si passa, nel
sistema del Croce, al secondo momento, che è costi¬
tuito dal pensiero logico, dal concetto. Come l’arte è
conoscenza dell’Individuale, così il concetto è pen¬
samento dell’universale, cioè riflessione autoco¬
sciente del pensiero; e, per il principio dell’impli¬
cazione o dei distinti, il pensiero logico è l’unità dei
due momenti, universale e individuale, concetto e in-
III. - l’idealismo assoluto
427
tuizioiie. Come tale esso è il giudizio, che in quanto
predica le categorie del soggetto individuale, intui¬
tivo, è giudizio sintetico a priori, e, in quanto è, per
questo suo carattere, creatore di realtà, è giudizio
storico, e si distingue nettamente dal giudizio clas¬
sificatorio, che è la semplice formula abbreviativa e
schematica di una realtà già presupposta.
Ma sul modo con cui il Croce intende il giudizio
sintetico a priori, noi dobbiamo muovere quella dif¬
ficoltà che abbiamo già fatta, parlando della dialet¬
tica dei distinti in genere. Come unità di determi¬
nazioni distinte e non opposte, esso non è veramente
la conversione dei suoi termini l’uno nell’altro, e
perciò non attività giudicante (identità come svi¬
luppo), ma unità puntuale dei suoi momenti: unità
posta di determinazioni poste. Ciò che gli manca,
è il motivo dialettico. Di quest’ultimo se ne trova,
nella logica del Croce, un accenno profondo, ma
è in qualche modo soffocato dalla dottrina dei di¬
stinti. Noi intendiamo riferirci alla fenomenologia
dell’errore.
Alla teoria dell’errore, in una logica idealistica,
spetta un posto centrale, perché, col venir negata
ogni realtà fatta fuori del pensiero, la verità non
può esser mai un risultato bell’e compiuto, commi¬
surato alla norma estrinseca del modello, ma dev’es¬
sere intesa al contrario come sforzo, ricerca, pro¬
cesso, e quindi come criterio intrinseco per il supe¬
ramento dell’errore. Spetta al Croce il merito di aver
portato la discussione su questo importante problema,
trascuralo in genere dalla filosofia contemporanea,
che vive ancora in gran parte nel pregiudizio che la
verità sia neH’oggetto, come tutto fisico o ideale, e fa
perciò dell’errore il semplice distinto dal vero. Ma
il pensiero — è una cosa ovvia! — non può pensare
428
LA FILOSOFIA ITALIANA
indifliTentemente il vero e il falso; un pensiero che
pensi il falso è un assurdo, un non senso. Ora il
tnerilo del Croce sta nell’aver mostrato che il falso
non è già il distinto, ma l’opposto del vero, e, come
tale, il non essere, la semplice negazione dialettica:
il pensiero è pensiero della verità, è superamento
continuo dell’errore, e come tale, è dialettismo, svi¬
luppo. Ma ecco che il Croce perde, nel miglior punto,
il frutto della sua scoperta: se l’errore è il semplice
non essere, egli si chiede, come si spiega l’apparente
suo carattere positivo? com’è possibile, per esempio,
che noi attribuiamo agli altri l’errore? Qui inter¬
viene la dialettica dei distinti: ciò che a noi sembra
positivo nell’errore non è in realtà errore, perché
non è atto di pensiero; ma è un fatto pratico, econo¬
mico, un fatto volitivo. Chi erra non pensa — perché
se pensasse davvero supererebbe l’errore — ma vuole:
vuole raggiungere un suo fine, vuole affrettare una
conclusione, vuole mistificare il prossimo. Donde il
carattere pratico del cosi detto errore teoretico.
Ecco alle prese le due dialettiche, quella degli
opposti e quella dei distinti. Noi c’ingegneremo di
mostrare che l’una non è conciliabile con l’altra,
ma l’annutla inesorabilmente. E in realtà, posto il
principio dei distinti, posto cioè che il falso coesista
col vero come un fatto pratico, non si capisce più
che ragion d’essere abbia il principio degli opposti,
una volta che, mutati i termini, noi ci troviamo di
fronte il falso come falso da una parte, e il vero
come vero dall’altra. La verità cresce cosi unica¬
mente su sé stessa, e il falso pure; e poiché la verità
è quel che era fin dal principio, essa potrà si accre¬
scersi, ma non veramente svolgersi. D’altra parte,
se si accetta la dialettica degli opposti, viene con ciò
negato che il vero e il falso siano determinazioni
III. - l’idealismo assoluto
429
statiche di pensiero, ed entrambi vengono compresi
in un processo unico spirituale, che è fenomenolo¬
gico nel tempo stesso che storico, e per cui l’errore
è veramente il lievito dello sviluppo. Insomma, i due
principi sono concepiti in una mutua esclusione.
Ma, una volta ammessi come coesistenti,* già nella
logica v’è un accenno alla pratica; nella conoscenza,
aH’azione, che integri l’unità spirituale. Lo stesso
accenno è dato dalla dottrina crociana delle scienze
empiriche che, in quanto si fondano sul giudizio
classificatorio, non sono conoscenze, ma schemi pra¬
tici. L’ispirazione di questa teoria è data dalle
filosofie empirio-critiche, che considerano la scienza
come economia di pensiero; ma non si tratta che
della semplice ispirazione, perché, compreso nel
principio speculativo dei distinti, il prammatismo
scientifico riceve un significato affatto diverso. Per
il Croce, la scienza naturale non è il mero astratto,
ciò che in una filosofia idealistica sarebbe il nulla,
ma, in quanto è un momento spirituale, è concre¬
tezza: è astratta se le si conferisce una valutazione
teoretica che essa non comporta, ma è concreta come
attività pratica spirituale. Qual è allora il suo rap¬
porto verso la storia, che è la concretezza della vita
teoretica? Qui, come in tutto il sistema, il principio
dello svolgimento della scienza cade fuori della
scienza. Ma basta considerare che il momento dello
schematismo, della legge, in cui per il Croce si com¬
pendia l’arbitrarietà della scienza di fronte al pen¬
siero, è esso stesso un momento astratto del proce¬
dimento scientifico, che la scienza risolve in quanto
si svolge, perché la scienza empirica venga elevata
all’altezza della storia e della filosofia, non come
conoscenza di una pretesa realtà naturale, ma come
una realtà essa stessa, storica, attuale.
430
LA FILOSOFIA ITALIANA
La stessa antitesi tra le due esigenze opposte di
pensiero, che abbiamo fin qui considerato, si osserva
nella Filosofia della pratica: il libro, del resto, più
ricco di vita, e profondo di pathos, che sia uscito
dalla penna del Croce. Qui il tema più decisamente
speculativo è costituito dalla dottrina del giudizio
pratico e della dialettica del bene e del male. Spetta
al Croce il merito di una critica, a parer mio, com¬
piuta, dei giudizi di valore, la più grossa pietra
d’inciampo che Tintellettualismo avesse frapposto
al libero svolgimento dell’attività spirituale. Ma, una
volta negata ogni anticipazione della valutazione
dell’attività sull’attività stessa, e con ciò rotta quella
rete di schemi con cui il pensiero astratto preten-
<leva di preordinare il cammino dello spirito e ri¬
durlo cosi a un mero meccanismo, il concetto della
libertà creatrice balza fuori nella sua maggior con¬
cretezza. ed è aperta la via a concepire il dinami¬
smo dialettico dello spirito. Nella dialettica del bene
e del male questo nuovo motivo è potentemente
svolto. Il male diviene il non-ente, non più platonico,
ma hegeliano, e cioè il lievito perenne della vita
spirituale, che è una lotta e un trionfo sul male, una
conquista progressiva del bene. In questa concezione
della vita come lotta e sforzo tenace, non come facile
e vano vagheggiamento d’idealità e di utopie, in
questa necessità dell’urto del male, delle passioni,
perché si crei il bene, è tutta la visione seria e mo¬
derna della vita : vita che è aliena da ogni misti¬
cismo, ascetismo e verginità di sentimenti morali, e
non teme di contaminare i suoi ideali nel contatto
con le turpitudini del mondo. Qui, in questo dialet¬
tismo, si attua quel trasferimento che vagheggiava il
Vico, della repubblica di Platone nella feccia di
Romolo. .Ma anche qui il dialettismo è soflocato dal
IH. - l’idealismo assoluto
431
principio ilei •distinti, che per spiegare l’apparente
positività del male crea dpe forme, economica ed
etica, c fa del bene qualcosa di fatto dall’eternità, e,
mutali i nomi, finisce col far del male un semplice
distinto dal bene. Qui insomma si riproduce quello
stesso fenomeno che abbiamo osservato parlando
della dialettica del vero e del falso.
Una ulteriore discussione dell’opera del Croce
esorbita dai limiti di questo quadro storico. Conclu¬
dendo, a noi sembra che l’opera del Croce sia lo
sforzo più potente che il pensiero italiano abbia com¬
piuto negli ultimi anni, e per cui esso si adegua al
pensiero europeo. Dopo il Croce — o per meglio dire,
dopo la Filosofìa dello spirito — perché il Croce pen¬
satore, nello svolgimento del suo pensiero infatica¬
bile, potrà sorpassare quella posizione, il còmpito
della filosofia, è, secondo noi, di fondere di nuovo
nell’unità le distinzioni del sistema crociano, in
modo tuttavia da includere le giuste esigenze poste
da quelle distinzioni. E bisogna prima di tutto ap¬
profondire il concetto che realtà è attività spirituale,
cioè concretezza, o per dirla con una espressione del
(ienlile, che la realtà è filosofia. Quindi l’arte è
lilosofia, non nel senso che escogiti filosofemi o si
risolva In una forma più elevata di conoscenza, ma
in quanto è realtà spirituale, cioè sviluppo storico.
Cosi la contradizione dell’arte — monade immobile,
librata sul movimento delle cose — è risoluta dal¬
l’arte stessa, in quanto è concepita nello stesso svol¬
gimento della realtà. Quindi la scienza è filosofia,
non come conoscenza di una realtà esterna al pen¬
siero, ma come la stessa realtà spirituale che pone
e risolve l’elernità vuota e immobile della legge. E
nello stesso processo storico d’individuazione, che
è lo spirito, è concepita l’attività pratica, che in
432
LA FILOSOFIA ITALIANA
quanto non è mera prassi, ma attività in sé riflessa
e auto cosciente, è attività spirituale, pensiero puro.
In questa profonda identità spirituale, che non an¬
nulla. ma riconosce e invera la differenze delle at¬
tività dello spirito, la filosofia esce dal particola¬
rismo ristretto delle scuole, ed è la stessa realtà
storica, nella pienezza delle sue esplicazioni; è la
coscienza riflessa della realtà umana del mondo; il
Dio invisibile che 'si esplica nel mondo visibile.
Questa è la nuova concezione del reale, che esce
dal seno stesso della tilosofia del Croce, svolgendo
quanto v’è in essa di dinamico e di vitale.
5. L’idealismo assoluto di G. Gentile. — Per
questa via, attraverso molti pentimenti e rielabora¬
zioni del suo pensiero, s’è posto il Gentile, e si parva
licei componere mugnis, chi scrive queste pagine ’■
Il Gentile, già nel suo saggio sui rapporti tra la
storia della filosofia e la filosofìa, si mostra compreso
della necessità di concepire il reale nella sua unità
più profonda. Egli svolge una tesi originale sulla
identità della filoiSofia e della sua storia, intesa non
come identità statica, immobile, ma come sviluppo,
nel senso che la filosofia creando la sua storia crea sé
medesima. Quindi, un’assoluta immanenza della ve¬
rità filosofica nel processo storico, che è in pari
tempo il processo fenomenologico dello spirito. E se¬
condo questa premessa, la ricerca della verità è an¬
cora una storia ideale dell’errore; dove l’errore è lo
stesso momento dialettico, negativo dello spirito, il
coefficiente necessario deiio sviluppo.
I A qucsfordlne d’idee è Ispirato il mio saggio. La scienza
come esperienza assoiuta, Bari, 1913.
IH. - l’idealismo assoluto
433
Questa tesi deH’identità, preparata da Hegel e da
"paventa, ma non sviluppata da essi, anzi soffocata
nella struttura esteriore dei loro sistemi, è la chiara
coscienza che il pensiero moderno acquista di sé e
della propria opera. La filosofia moderna è nega¬
zione della realtà come oggetto, come dato, e l’afTer-
raazione di essa come soggetto, come farsi, come
storia; ora la riconosciuta storicità della filosofia è
l’unità del nuovo essere e della coscienza del nuovo
essere, della realtà e della riflessione sulla realtà:
ciò che porta, come tra breve vedremo, a una tra¬
sformazione del concetto di filosofia.
Nella dottrina delle forme assolute dello Spirito,
il Gentile muove dal concetto dell’autocoscienza
come sintesi di soggetto e oggetto, e quindi deter¬
mina tre forme spirituali, secondo i momenti essen¬
ziali dell’autocoscienza: posizione del soggetto, po¬
sizione dell’oggetto, e posizione della loro sintesi.
Questi momenti sono soltanto logicamente distingui¬
bili, perché la sintesi è originaria, a priori, e perciò
non è possibile trascenderla in re; ma si possono
chiamare, nel linguaggio kantiano, trascendentali '.
.\1 di fuori di essi, che compendiano tutta la realtà
spirituale, non c’è nulla, tranne la proiezione im¬
maginaria dello stesso contenuto di coscienza.
Ai tre momenti corrispondono tre forme assolute
dello spirito, che sono l’arte, la religione, la filosofia:
« distinte fra loro e legate dagli stessi rapporti dei
detti momenti. L’arte è la coscienza del soggetto, la
religione la coscienza dell’oggetto e la filosofia la
coscienza della sintesi del soggetto e dell’oggetto.
Donde il corollario: che l’arte è in sé contradittoria
I G. Gentile. Le forme assolute dello spirito, in Modera
nismo^ Bari, 1909, pp. 232-233.
G. DE Rucgiebo, La filosofìa contemporanea.
28
434
LA FILOSOFIA ITALIANA
e ha bisogno di essere integrata nella religione:
questa per sé è contradittoria e ha bisogno di essere
integrata nell’arte: integrazione che viene ad essere
integrazione simultanea dell’una e dell’altra, nella
filosofia. Sì che la filosofia è la forma finale, in cui
si risolvono le altre: e rappresenta la verità, l’attua¬
lità piena dello spirito » *.
La critica di questo concetto si attua nello svol¬
gimento stesso del pensiero del Gentile. In quanto
la vera concretezza è la sintesi di soggetto e oggetto,
cioè la filosofia, questo vuol dire che l’arte, in quanto
è concreta, è filosofia, e similmente la religione.
Perciò il processo della soggettività-oggettività non
è qualcosa che s’iiiizia nell’arte e si compie altrove,
ciò che implicherebbe una trascendenza, ma si com¬
pie nell’arte stessa in quanto il momento di soggetti¬
vità è il semplice astratto di fronte al concetto con¬
creto dell’arte: quindi l’arte non si risolve già nella
filosofia, ma è essa stessa filosofìa, in quanto è realtà
e concretezza. Similmente fare della religione il sem¬
plice momento dell’oggettività significa fermarsi in
un’astrazione, riporre l’essenza della religiosità nel
misticismo, che ha invece un valore soltanto nega¬
tivo, come lievito dello sviluppo religioso, e che si
pone perciò e si risolve nella stessa esperienza reli¬
giosa. Ond’è che la religione è filosofia, non come
un’elaborazione di concetti filosofici e di vedute
sulla realtà ultima delle cose, nel qual senso sarebbe
una falsa filosofia, ma nel senso che è concretezza
di esperienza religiosa, sviluppo spirituale, e, come
tale, risoluzione continua del trascendente, che, per
intrinseca necessità, essa pone.
Da questo punto di vista il concetto della filosofia
Op. cit.t p. 235.
III. - l’idealismo assoluto
435
riceve tutto un nuovo significato: non esprime più
una forma particolare dello spirito, ma la stessa pie¬
nezza della vita dello spirito in tutte le sue forme;
è la coscienza della libertà creatrice dello spirito
nella sua storia.
Verso questa meta, se non erro, a me pare -che
muova il Gentile. Il suo ultimo saggio: L’atto del
pensare come atto puro contiene, per questo ri¬
spetto, un intero programma. Qui il residuo del¬
l’astrattismo vien risoluto e implicitamente negata
la dottrina dell’arte e della religione come tesi e
antitesi di una sintesi filosofica. < Bisogna, egli dice,
entrare nel concreto, nell’eterno processo del pen¬
siero. E qui l’essere si muove circolarmente tor¬
nando su sé stesso, e però annientando sé stesso
come essere. Qui è la sua vita, il suo divenire: il pen¬
siero. L’essere (tesi) nella sua astrattezza è nulla;
ossia nulla di pensiero (che è il vero essere). Ma
questo pensiero che è eterno, non è mai preceduto
dal proprio nulla. Anzi questo nulla da esso è posto,
ed è, perché nulla del pensiero, pensiero del nulla:
ossia pensiero, cioè tutto. Non la tesi rende possibile
la sintesi, ma al contrario, la sintesi rende possibile
la tesi, creandola con l’antitesi sua, ossia creando
sé stessa. E però l’atto puro è autoctisi > *.
Qui, come si vede, il Gentile riprende e svolge il
concetto della dialettica, accennato dallo Spaventa
nel suo scritto sulle prime categorie della logica di
Hegel: è la dialettica dell’essere e del pensiero, che,
sola, a noi sembra feconda e rispóndente allo spi¬
rito dell’idealismo post-hegeliano. L’assoluta aprio¬
rità della sintesi, in questo dialettismo, è l’assoluta
I R. Gentile. L’atto del pensare come atto paro (voi. I dcl-
l’Annuario della biblioteca fllosoOca di Palcnno), 1912, p. 41.
436
LA FILOSOFIA ITALIANA
immanenza del pensiero, come atto puro o pensiero
concreto. Come tale esso è pensiero nostro; fuori di
questa attualità non v’è il pensiero, ma il pensato,
che è natura, materia. E il ritmo dialettico del pen¬
sare è appunto il convertirsi del pensiero in pen¬
sato, dell’alto in fatto, per risorgere poi eternamente
da sé medesimo.
Questa dottrina dell’assoluta immanenza, per cui
la vera concretezza è il pensiero attuale, e che perciò
nega esplicitamente ogni anticipazione della realtà
come potenza sull’atto del pensare, ed è la più re¬
cisa negazione del vecchio concetto del mondo come
il tutto dell’immaginazione, è stata appena abboz¬
zata in poche pagine dal Gentile. Ogni ulteriore
discussione intorno ad essa è prematura; bisognerà
prima conoscerla nel suo pieno svolgimento.
6. Conclusione. — Nelle pagine precedenti ab¬
biamo seguito lo sviluppo del pensiero italiano mo¬
derno dalle sue origini fino ai tempi nostri. Questo
sviluppo non ha subito nessuna brusca interruzione
come falsamente si è creduto. Il naturalismo del
Rinascimento precede e preannunzia il movimento
cartesiano, e similmente la dissoluzione del natu¬
ralismo, che avverrà in Germania per opera di
Kant e dei suoi successori, s’inizia già in Italia
col Vico, e prosegue poi, a un secolo di distanza, col
Rosmini e col Gioberti, che inconsapevolmente at¬
tuano l’esigenza posta dalla nuova metafisica della
mentalità.
Sul cadere del primo cinquantennio del XIX se¬
colo, il pensiero speculativo italiano, non altrimenti
da quello europeo, entra in un periodo di deca¬
denza: le ultime apparizioni della metafisica sono
III. - l’idealismo assoluto
437
tenui c senza consistenza, come le ombre della ca¬
verna platonica. Il positivismo, in Italia come al¬
trove, sorge con la giusta esigenza di una dottrina
che non vuole anticipare col pensiero sulla realtà,
ma finisce ben presto col falsare la sua premessa in
un miscuglio ibrido di dottrine e in una mal dissi¬
mulata simpatia per il materialismo. I suoi primi ac¬
cenni sono opera di specialisti, come il Cattaneo, il
Cabelli, il Villari ed altri ancora: privi di vera ori¬
ginalità filosofica, ma corretti nella loro povertà; le
sue ulteriori esplicazioni sono orientate verso la
scienza naturale e particolarmente biologica. Il rap¬
presentante maggiore di questo indirizzo è Roberto
.\rdigò che, per il suo sforzo serio e tenace di pen¬
siero, pur senza dire quasi niente di nuovo, eleva
il positivismo italiano quasi all’altezza di tutti i po¬
sitivismi del mondo.
La rinascita del pensiero speculativo è segnata
da un approfondimento del dualismo tra il pensiero
e l’essere, che già si accennava nelle opere del Ma-
miani e del Ferri, e per cui si passa dal dualismo
dommatico del Bonatelli, al dualismo gnoseologico
del Varisco. Il neo-kantismo, come quello che non
svolge la nuova potenza dell’apriori, si travaglia
nello stesso problema, e non riuscendo a superare
la posizione della metafisica dell’essere, finisce col
ricadérvi, annullando cosi il concetto nuovo dello
spirito, che esso attinge originariamente alla filo¬
sofia kantiana. F infine, librato sulle due metafi¬
siche, in una posizione incerta, ma pure interessante
ed originale, il Martinetti segna il punto in cui la
mentalità del neo-criticismo si volge verso l’idea¬
lismo assoluto.
.Ma la linea classica della metafìsica italiana è
ripresa dallo Spaventa, che promuove l’indirizzo
438
LA FILOSOFIA ITALIANA
della filosolia giobertiana, con quella più chiara co¬
scienza della sua vera natura, chft poteva esser data
dalla nuova cultura hegeliana. Con lui comincia im¬
plicitamente il processo dissolutivo della filosofìa di
Hegel, che è in pari tempo costitutivo di una nuova
metafisica, che mira a svolgere nella sua pienezza
la potenza umana della realtà, l’apriori kantiano,
negando nel modo più reciso ogni trascendenza. Le
tappe di questo cammino sono segnate dal Croce e
dal Gentile: con essi, gli sforzi della filosofìa ita¬
liana convergono alla stessa meta di quelli della
lìlosolìa europea, verso una dottrina dell’assoluta
immanenza, che, come assoluto idealismo, sarebbe
anche in pari tempo il vero e assoluto positivismo.
(’ONSIDERAZIONI FINALI
Abbiamo seguito, nelle esplicazioni originali
della sua vita, lo sviluppo del pensiero contempo¬
raneo. Nelle diflerenze degli indirizzi e delle cor¬
renti, il lettore avrà già potuto osservare quell’iden-
titù spirituale profonda, che vince l’apparente
atomismo delle dottrine, e per cui quel pensiero è
l’unico pensiero contemporaneo, nei vari momenti
del suo corso vitale.
E sorgono ora le domande: a che mai esso tende?
È una vita che si dissipa in un gioco senza scopo,
in una ridda di teorie di cui l’una vive della morte
dell’altra, in una rassegnata attesa che suoni la pro¬
pria ora? O è un momento di vita questa morte; e
allora a che vive quella vita? Qui la facile sapienza
agnostica si accontenterebbe di rinunziare a com¬
prendere l’intimità più profonda del pensiero, col
chiamar vana la pretesa per cui noi, atomi sperduti
neU’immensità del pensiero, vogliamo erigerci a giu¬
dici del pensiero: come può un elemento trascura¬
bile adeguarsi al tutto? Ma a noi ripugna questa
dotta ignoranza. Noi abbiamo la ferma coscienza che
il pensiero non è la vuota immensità che ci opprime,
perché al di sopra di noi, ma è pensiero nostro, è
l’intimità di noi a noi stessi. La vastità non deve
opprimerci, perché non ci sta di fronte distesa, ma
è dentro di noi raccolta, nello stesso processo con-
442
CONSIDERAZIONI FINALI
tinuo della ricerca, per cui progrediamo da una po¬
sizione all’altra. La storia del pensiero del mondo
non è che la semplice storia psicologica di ciascuno
di noi, che vive in sé i momenti di quel pensiero
universale.
Questa convinzione ci è di grande conforto. Nella
nostra storia intima noi ricordiamo mille sconfitte
e mille vittorie, ricordiamo la ridda delle teorie, che
sembrano nascere soltanto per perire; e nondimeno
questo non ci suggerisce alcuna considerazione pes¬
simistica, perché la salda coscienza del nostro pen¬
siero attuale è coscienza di forza, di vita e non
già di morte; e noi inneggiamo perfino alla morte
perché sentiamo che del trionfo su di essa è mate¬
riata la nostra vita. Cosi è di tutta la storia.
Noi qui abbiamo scritto l’epigrafe di molte dot¬
trine: è la stessa epigrafe che abbiamo scritta sui
momenti oltrepassati della nostra vita; con la stessa
fiducia noi possiamo renderci interpreti della vita
nuova che si concentra e s’individua dalle varie
correnti del pensiero moderno, perché sentiamo che
è la vita stessa che si agita in noi e che ci dà forza
di dominare i momenti di vita oltrepassata.
La storia non è fonte di pessimismo, e neppure
di facile ottimismo, ma di forza, di tenacia, di la¬
voro. Ormai il positivismo è finito, il kantismo dà
gli ultimi aneliti, e le improvvisazioni filosofiche, che
un tempo son parse le prime espressioni di una
nuova filosofia, ci fanno appena sorridere; erano
forse dei vagiti; come riconoscere in essi le nostre
voci? A taluno parrà che noi parliamo qui con
troppa sicurezza. Ci si dirà: siete voi ben sicuri di
non essere dei tardi epigoni di un lontano movi¬
mento di pensiero? ombre e non corpi vivi? È questo
il problema che la storia deve risolvere; e allora
CONSIDEB.\ZIONI FINALI
443
si vedrà se noi — parlo, s’intende, in nome del
nuovo idealismo, non pure italiano, ma europeo —
se noi, che diamo principio a rinnovar l’antica tìlo-
solìa, siamo nella mattina per dar fine alla notte, o
pur nella sera per dar fine al giorno, come diceva
il nostro Bruno.
Nella filosofia contemporanea si compie la critica
del movimento kantiano, che culminò in Hegel. Ma
questa critica, lungi dall’essere dissolutrice come i
suoi inconsapevoli ministri hanno creduto, è la vera
critica integratrice, che comincia a colmare l’abisso
tra Kant ed Hegel e a svolgere i motivi nuovi
delle loro dottrine. La filosofia kantiana, col suo
concetto della cosa in sé, apriva largo adito alla
trascendenza nelle sue varie forme, che si possono
compendiare tutte nel dualismo, non risoluto, del¬
l’essere e del pensiero. Hegel, negando questo dua¬
lismo, e unificando la logica dell’essere e quella
del conoscere, sopprimeva virtualmente l’idea della
trascendenza, ma nel fatto poi la ripristinava nel
seno stesso della nuova immanenza da lui scoperta:
scienza e coscienza, logo e natura, natura e spirito;
ecco in una veste nuova le antiche forme del dua¬
lismo.
Nella decadenza e nel discredito della filosofia
idealistica che comincia dopo Hegel, pare che siano
naufragate tutte le sue più geniali intuizioni: il
naturalismo e il positivismo dichiarano bancarotta
della metafisica, ed esaltano i fatti, l’esperienza. Ep¬
pure, nel loro linguaggio infantile e confuso, essi
sono gli esponenti di quella stessa esigenza nuova,
che aveva posto l’hegelismo: la negazione del tra¬
scendente, l’immanentismo assoluto. Nella storia
della filosofia ricorre spesso questo tema immanen-
444
CONSIDERAZIONI FINALI
tistico: con Aristotele, di fronte alla dottrina delle
idee, con Bruno e Spinoza, di fronte alla scolastica.
Ma questo continuo ricorrere è un continuo progre¬
dire; cosi Tultima sua apparizione nel secolo XIX
non è più quella di un’immanenza puramente ideale,
né divina, ma schiettamente umana.
Ma se sotto questo aspetto, come espressioni di
esigenze nuove, il naturalismo e il positivismo hanno
per la storia un grande valore, lo stesso non può
dirsi del modo con cui hanno cercato di attuare il
proprio tema. Noi perciò nel corso della nostra espo¬
sizione, mentre abbiamo accentuato l’importanza
ideale di queste dottrine, ci siamo guardati con cura
dal farne un’ampia esposizione, perché l’ignoranza
dei loro autori è tale, che non sanno essi stessi dove
risegga l’originalità della loro posizione, e Uniscono
col dare un ricalco di temi oltrepassati, confusi in¬
sieme neiribridismo più strano. Ma il significato
ideale del naturalismo, che sorge dalle scienze biolo¬
giche, è questo: che vana è la pretesa di voler far
del pensiero un’entità vaga e nebulosa, venuta su chi
sa come, a illuminare il mondo della materia, mentre
bisogna indagare la genesi del pensiero, se si vuol
dare una spiegazione vera e propria di esso., E il
significato del positivismo sta nella negazione di
ogni vuota ideologia, che pretenda fare a meno dei
fatti e anticipare in qualunque modo su di essi col
pensiero. Si tratta insomma di quell’eterno motivo
immanentistico con cui la cultura del secolo XIX
ha compiuto la critica del secolo precedente.
Ma il significato ideale del naturalismo e del po¬
sitivismo sta soltanto nei nuovi problemi e non già
nelle soluzioni loro; perché il naturalismo, nel suo
tentativo d’indagare la genesi biologica del pensiero
retrocedeva al periodo pre-cartesiano della storia.
CONSIDERAZIONI FINALI
445
cioè alla dottrina degrinflussi fìsici tra l’anima e il
corpo; e d’altra parte il positivismo, col richiamarsi
al fatto come a realtà assoluta, ricadeva in quella
trascendenza, che esso aveva già implicitamente ne¬
gata. Il fatto porta con sé una duplice afTermazione
di trascendenza: da un lato, nella fissità delle sue li¬
nee, esso è posto come trascendente di fronte al pen¬
siero; dall’altro, in quanto è un complesso di determi¬
nazioni finite, è trasceso in quanto pensato. Quindi,
una duplice incongruità, della realtà naturale di
fronte al pensiero e viceversa, e una duplice inespli¬
cabilità dell’una per l’altro. Come espressioni di
problemi, il naturalismo e il positivismo conservano
un valore attuale; come soluzioni, il primo va a
finire nella deificazione di sé stesso (ciò che se era
grandioso in un Bruno' è ridicolo in un contempo¬
raneo); e il secondo ha per suo termine l’agnostici¬
smo, cioè la propria sterilità ed impotenza.
La contradizione del positivismo sta nel dissidio
tra ciò che esso dice di fare e ciò che realmente fa:
sorge in nome dell’immanenza e intanto vive nella
trascendenza, ora agnostica, ora materialistica. Que¬
sta è la sua contradizione; ed ecco che a risolverla
sorgono le nuove filosofìe, che tutte vogliono porsi
come continuatrici dell’opera del positivismo. È no¬
tevole questo fatto, che ogni pensatore, il quale sia
giunto a una visione concreta e immanente dei pro¬
blemi filosofici, ha seniito il bisogno di battezzare la
sua filosofia come il vero positivismo; ciò dimostra
che quanto v’è di più vitale nell’esigenza del positi¬
vismo non è quello che si disperde e si annulla nelle
scuole positivistiche, ma è piuttosto quel momento
del nostro sviluppo spirituale che ci è di sprone a
conquistare una visione immanentistica della vita.
Ma l'immanentismo che da principio sorge come
446
CONSIDEKAZIONl FINALI
esplicazione di quello spirito positivo che è in tutti
i pensatori della seconda metà del secolo XIX, è la
più povera forma d’immanentismo: quella del senso,
della coscienza immediata. Ed è il tema più frequente
che ricorre in quel periodo, e che vale a caratteriz¬
zarlo tutto. Tanto nella forma di un empirismo, come
in un Mill, in un Mach, o in uno Schuppe; o di un
fenomenismo, come in tutte le scuole neo-kantiane;
o di un intuizionismo come nella filosofia del Bergson
e in altre ancora, è sempre l’identico motivo fonda-
mentale, che si ripete su scale diverse. Noi abbiamo
osservato come il principio dell’esperienza imme¬
diata si annulli da sé medesimo, e lungi dal fondare
un’assoluta immanenza, è fatalmente spinto verso il
trascendente. E il trascendente, di fronte ad esso, è
tutto il pensiero, in quanto costituisce un suo < al di
là », invano negato, invano torturato in mille guise. E
questo trascendente risorge dalla filosofia dell’espe¬
rienza immediata in forme varie: o come naturalismo,
perché il pensiero scientifico inesplorato si solidifica
in una natura opaca al di là del conoscere, o come un
misticismo religioso, o come una visione immediata,
romantica, dei problemi ultimi che la sua logica è
impotente a risolvere, o come una consacrazione degli
ideali sociali fuori del processo storico. Son queste
altrettante confutazioni di quel principio, nel tempo
stesso che ne costituiscono l’immancabile meta.
Né si creda che si tratti di un dissidio superficiale
di teorie; a noi sembra che questo sia il dissidio
di tutta la vita moderna. L’intuizionismo esplosivo
delle teorie è il sensualismo della vita. E come nelle
teorie dell’esperienza immediata a noi sembra in un
primo momento di trovare una grande esuberanza di
energie, tale che il secco schematismo del pensiero
non può contenerla, cosi ancora la vita moderna si
CONSIOERAZIONI FINALI,
447
mostra all’apparenza in una ricchezza smagliante di
atteggiamenti, di forme, di tendenze, per cui sembra
impotente ogni freno. Ma nelle teorie, l’èmpito della
vita è solo apparente; la ricchezza del senso è una
ricchezza illusoria, tutta esteriore, che cela e dissi¬
mula la più grande povertà interiore. La pretesa
forza è in realtà debolezza, malattia. E chi cerchi
d’indagare fino in fondo quel carattere del falso
immanentismo, per cui esso sembra concepito in uno
sforzo potente d’espansione, che rompe tutte le bar¬
riere che gli si frappongono, vedrà che quello sforzo
è senza intimità, e che quella vita che appare rac¬
colta, concentrata, pronta a esplodere, è al contrario
una vita già dispersa. Questo senso di vuoto in mezzo
alla più smagliante ricchezza ci è dato specialmente
dalla fllosofia di Bergson.
E similmente la vita moderna dissimula con la
sua apparente esuberanza una profonda sterilità.
Sembra che essa non abbia più limiti alla sua espan¬
sione, sembra che l’uomo del nostro secolo viva in
una attività vertiginosa, che cerchi sempre nuovi
campi d’applicazione, ma è la vertigine del vuoto;
sono forze che si disperdono: tensioni spasmodiche,
perché tendono a vuoto. È debolezza, non forza, è
anemia, non esuberanza; è insomma il sensualismo
della vita, nella sua più completa assenza d’intimità
spirituale. E, come il sensualismo della teoria si com¬
pendia tutto nella riuscita del concetto, una spe¬
cie di arrivismo logico, per cui il pensiero, di fronte
a una realtà che esso non possiede, non fa che gio¬
care una sua carta, cosi il sensualismo della vita si
compendia in un simile arrivismo, per cui, innanzi
alla realtà non posseduta degli eventi, lo spirito si
abbandona e si lascia vivere. In questo abbandono,
s’illude l’individuo di vivere in un consenso pieno
448
CONSIDERAZIONI FINALI
col tutto, di riassumere in sé le esigenze dell’uni¬
verso, e di essere veramente dominatore, mentre in
realtà questo dilettantismo della vita è la più com¬
pleta dissipazione delle forze spirituali, è l’abdica¬
zione che l’individuo fa di sé stesso al gioco degli
eventi, è un essere posseduto, non già un possedere.
Questo arrivismo della vita inquina l’arte, la
scienza, la religione. Noi abbiamo un’arte torbida di
sensualismo, un’arte isterica, tutta musicalità vuota,
che coi raffinati contorcimenti del senso cerca di
crearsi un’intimità spirituale posticcia, e vive di
questa sua stessa malattia. Noi abbiamo un arrivi¬
smo scientifico anche peggiore, perché non lavato
nelle acque pure dell’arte: la mentalità dello scien¬
ziato moderno è quanto di più gretto si possa imma¬
ginare; ivi, al più meschino specialismo s’accoppia
l’empirismo più grossolano, che nega tutto ciò che
non rientra nei suoi strettissimi quadri. K final¬
mente manca ogni vero spirito di religiosità; ma
v’è una religione apparente, fatta di falsa intimità
sensuale e di rivelazioni soggettive, che non è cele¬
brazione di umillà, ma di orgoglio, e quand’anche è
ammonita dalla storia della necessità dell’obbe¬
dienza come elemento costitutivo della religione,
pure è per sua natura ribelle.
Questa è la cultura che sta per finire. Ma noi sen¬
tiamo di venir su da essa, per quanto in antitesi con
essa, e sentiamo che la sua infecondità non è decre¬
pitezza ed esaurimento, ma piuttosto immaturità; è
la gestazione travagliata di una nuova cultura. Sotto
questo punto di vista quella stessa dispersione di
forze, quel sensualismo della vita, esprime qualcosa
che anche per noi è importante: quasi un agitarsi
per creare un contenuto nuovo di vita che ancora
manca, un tendere a qualcosa che non riesce a de-
CONSIDERAZIONI FINALI
449
nnirsi, e che perciò provoca lo spasimo deH’irapo-
tenza. Al di sopra degli arrivisti volgari della cultura
che sono le scorie che ogni corrente trascina con sé,
vi sono degli spiriti seri in cui il dissidio tra ciò che
è possesso e ciò che è aspirazione diviene una crisi
profonda. Noi abbiamo imparato a conoscere nel corso
della nostra esposizione qualcosa di questi tempera-
nienti : in essi si dimostra come in una sfera elevata
il fermento dei prodotti più alti della nostra cultura.
(>osi avviene che dalla cultura falsamente sogget¬
tivistica e individualistica, per cui il pensare è il
riuscire del concetto, e la vita è un semplice rischio,
si passa, in base all’esigenza di un’intimità più
profonda, a una celebrazione del trascendente, al
misticismo,, che assume in certi pensatori un’into¬
nazione veramente elevata. Ma il misticismo non
migliora la posizione logica dei problemi, e deter¬
mina invece il momento in cui le esigenze stesse del
pensiero, che si è svolto nei limiti di determinate
premesse, rendono quelle premesse insuflicienti, ed
esprimono un bisogno di rinnovamento.
Cosi avviene che quell’immanentismo della vita
che era nelle convinzioni del pensiero del secolo XIX
e che non aveva potuto trovare nel positivismo la
sua formulazione adeguata, non riesce neppure ad
esprimersi in questa litosotìa dell’esperienza imme¬
diata, che anch’essa sconfina nella trascendenza.
L'esperienza storica dei secoli ha mostrato che
l’attuazione del principio immanentistico si compen¬
dia nella risoluzione di due problemi, che in fondo
si riducono ad un solo: quello dell’umanità della
storia e quello del valore umano della realtà fisica
esteriore. La filosofia che ora abbiamo considerata
era insufficiente a risolvere l’uno e l’altro problema.
G. DE Ruggiero. La fllosofla contemporanea.
29
450
CONSIDERAZIONI FINALI
Il positivismo aveva meccanizzato lo sviluppo
della storia, creando un naturalismo, e cioè una tra¬
scendenza, nel seno stesso deH’umanità, col suo con¬
cetto della massa cieca e brutale; e la stessa nuova
lìlosofìa intuizionistica ed empiristica era incapace
di comprendere il valore della storia; la coscienza,
della storicità del reale è in aperta antitesi con una
concezione immediata della vita.
E d’altra parte il riconoscimento dell’umanità
del cosi detto mondo fìsico non poteva esser dato
da nessuna delle due dottrine: né dal positivismo, che
non aveva neppure coscienza del problema, né dalla
filosofìa deirimmediato, che si mostrava, già nella
sua premessa, come dualistica, e per cui la realtà
esteriore, sia come mondo fìsico, sia come scienza
naturale, costituiva alcunché di trascendente. Tutta¬
via già' in questo campo si preparavano i germi di
un rinnovamento. Con la critica delle scienze co¬
mincia infatti, nel seno stesso della filosofìa empi¬
ristica, un rapido processo di dissoluzione di quel
naturalismo, che aveva solidificato i concetti delle
scienze empiriche, rendendoli quasi materia opaca
di fronte al pensiero, mentre sono pur opera sua.
Noi abbiamo confutato questo indirizzo, mostrando
che esso idealmente non rappresenta alcunché di
nuovo di fronte alla soluzione kantiana del problema
della scienza, e che anzi è soltanto a mezza via tra
il puro dommatisino e Kant, ciò che rende equivoca
la sua posizione e paradossali taluni dei suoi assunti,
che invece, svolti lino alla line, conterrebbero dei
motivi profondi di verità. Ma il valore storico di
questa critica delle scienze è assai grande, quando
si pensi che essa aveva di fronte da combattere, non
già Kant, bensì quel naturalismo e positivismo che
avevano reso la scienza impenetrabile al pensiero.
CONSIDERAZIONI FINALI
451
Così, avere riscoperta l’azione immanente dello spi¬
rito in quel campo che gli si era reso del tutto estra¬
neo. e mostrato che il mondo della scienza — che è il
mondo stesso della natura — rientra nella sfera del-
Tarbitrio umano; e avere perciò annullata quella
concezione rigidamente meccanica del mondo che
non solo i positivisti, ma (pare incredibile!) perfino
i kantiani avevano instaurata: tutti questi sono me¬
riti veramente grandi di quel vasto movimento di
critica delle scienze, che si svolse sullo scorcio del
secolo passato e sul principio del nostro.
Oosi s’è andato via via dissolvendo quel concetto
del mondo come una realtà solidificata di fronte al
pensiero, e s'è compreso sempre meglio il valore im¬
manente dell'esperienza, che non è meramente ripro¬
duttiva di una cosa in sé, ma produttiva di realtà e
<li valori umani. Ma il complemento più efficace della
critica è stata la storia delle scienze: questa, assai
meglio del prammatismo semplicistico delle teorie,
è riuscita a sfatare quel fantoccio deirinlellettua-
lismo, di una realtà fatta ab aeterno nelle leggi im¬
mobili della natura. La storia delle scienze difatti
insegna che il vero centro della realtà naturale non
è già la legge, ma il pensiero umano che nel suo
svolgimento la pone e la nega: cosi l’esigenza più
profonda del kantismo risorge da quelle stesse dot¬
trine che all’apparenza sembrano negarla.
Nell’urto dei concetti nuovi, anche la cultura kan¬
tiana si rinnova; e quel Kant che per lungo tempo
era sembrato non volesse fare altro che ribadire il
naturalismo puro e semplice, rivela ora un aspetto
nuovo del suo pensiero, e con la sua sintesi a priori,
che appena s’incomincia a riscoprire, sposta il centro
dei problemi della scienza, includendoli nel dina¬
mismo stesso dello spirito. Lachelier, Weber, Royce,
452
CONSIDERAZIONI FINALI
Baillie ed altri ancora, forti della loro cultura kan¬
tiana. prospettano in un modo nuovo la lilosolla delle
scienze: essi vogliono evitare ogni trascendenza,
com’è quella che può darsi con l’anticipare la realtà
fìsica sul pensiero, e, nell’assoluta attualità della ri¬
cerca scientifica, trovare l’unità del soggetto e del¬
l’oggetto. È un tema che potrà dimostrarsi fecondo:
si tratta di vincere due astrattezze; da un lato, quella
del puro empirismo della critica della scienza che
non conosce che il semplice arbitrio dello scienziato,
e per cui la scienza è un problema senza soluzione;
e dall’altro, quella del naturalismo per cui la realtà
naturale è fatta ab aeterno nella legge, e per cui la
scienza è una soluzione senza problema. Bisogna
concepire l’unità di entrambe nel concetto dell’atti¬
vità mentale come eterno problema die è eterna so¬
luzione, ed eterna soluzione che è eterno problema.
Il principio fecondo dei nuovi studi è la sintesi
a [iriori, l’iinmortale scoperta di Kant.
Ma lo svolgimento di essa nella sua più grande
pienezza, non è 'dato da Kant, bensì da Hegel, che
spiega qual’è la vera vita di quella sintesi, da Kant
non compresa nel suo motivo più profondo. E ri¬
torna così Hegel, il proscritto, ed occupa il posto
d’onore nella giovane filosofìa. In Francia, in Inghil¬
terra, in Italia, la cultura neo-hegeliana rappresenta
l’esponente più alto della cultura nazionale. Noi ab¬
biamo visto in che consiste l’attualità del problema
hegeliano: è riiumanenza, la negazione di ogni dua¬
lismo, la visione concreta del reale. Per il Lachelier
si tratta d'includere nel processo autogenetico del
pensiero la genesi del tutto; per il Weber di concre¬
tizzare la scienza in un positivismo assoluto; per il
Blondel di risolvere il problema della vita con la
dialettica stessa della vita; per il Royce di superare
CONSIDERAZIONI FINALI
453
l’astraltezza kantiana della « esperienza possibile »
e d'individuare la realtà del pensiero attuale; per il
Baillie, di unificare forma e contenuto dell’espe¬
rienza; per il Croce di negare la doppia astrattezza
di un processo aH’infinito e di un processo finito
della realtà e di dare una concezione della storia in
cui entrambe le esigenze siano inverate; per il Gen¬
tile, di dare il colpo di grazia al dualismo aristotelico
della potenza e dell’atto, risolvendo tutta la potenza
nell’atto del pensiero, inteso come « pensiero nostro ».
In (pieste dottrine si va lentamente attuando l’esi¬
genza della cultura contemporanea di un immanen¬
tismo assoluto, che neghi la vuota cosa in sé, che si
guardi dall'anticipare il pensiero sul mondo e il
mondo sul pensiero — l’ideologia e il naturalismo —
e che non chiuda la realtà in una cappa di piombo
col negare nelle soluzioni la necessità dei problemi,
ma al contrario dimostri che in tutte le forme del¬
l’attività umana dalle soluzioni germinano i nuovi
problemi, e che questo movimento dalle ime agli altri
non è un gioco vano, ma uno sviluppo spirituale.
Cosi quell’Hegcl che oggi torna in onore non è
l’Hegel degli antichi hegeliani, che aveva detto l’ul-
lima parola in filosofìa, ma semplicemente colui che,
col dare un significato nuovo alla sintesi a priori
kantiana, aveva aperto un orizzonte nuovo alle menti,
e nondimeno, per l’oscura coscienza della sua sco¬
perta. aveva chiuso quell’orizzonte proprio sul suo
stesso capo. Con la rinascita dell’hegelismo — o per
meglio dire, deU’idealisrao che ha sentito cosciente¬
mente o no l’esigenza del problema hegeliano — s’in¬
staura veramente il concetto copernicano del mondo,
che in Kant era ancora contaminato dal tolemaico.
Nella teoria si lotta contro la cosa in sé, e nella
pratica contro l’eteronomia del «dover essere» e di
454
CONSIDEBAZIONI FINALI
tutte le astratte idealità. Il mondo del pensiero è at¬
tualità, è concretezza, è ricerca e conquista, tendenza
e possesso; questo concetto nuovo dei mondo che è
il mondo della nostra opera, del nostro lavoro, deve
soppiantare il vecchio concetto del mondo come un
tutto naturale, fantoccio dcH’immaginazione, sorto
dai sedimenti di esperienze passate e dall’attesa di
e.sperienze nuove. Ma passato e futuro, raccolti in¬
sieme in questa massa inerte e stupida, sono un
niente, un doppio vuoto, e non ricevono un senso
vero e iirofondo se non in questo mondo nuovo del
pensiero, dove il passato è l’esperienza che fu nostra
e che vive per noi, nella nostra esperienza attuale; e
il futuro non è il vuoto sconfinato innanzi a noi, ma
è lo stesso problema nuovo che sorge dall'attualità
del nostro pensiero. Quest’attualità che si prospetta
nel nuovo problema è la scienza, come creazione
di esperienze nuove, di nuova vita; quel passato
che si concentra in questa medesima attualità è la
storia, come creazione di noi per noi, come crea¬
zione di una umanità che è da una umanità che fu,
e come nuova creazione di una umanità che fu da
una umanità che è. Questo è il senso dell’eterno che
è nella storia.
E nella nuova cultura viene in onore la storia,
che ne forma tutta la sostanza. Il naturalismo aveva
fatto della storia un vano gioco di masse incoscienti:
noi eravamo posseduti «falla storia, non la possede¬
vamo. Ma neH’idealismo essa assume tutto un nuovo
significato; noi incominciamo a comprendere il vero
senso della continuità umana nel corso della storia,
e possedendo il nostro passato, impariamo a posseder
noi medesimi. È questo un movimento di cultura
che appena ricomincia: già dalle stesse scuole neo¬
kantiane sorgono degli accenni di storicismo, per cui
CONSIDERAZIONI FINALI
4S5
la mentalità neo-kantiana supera sé stessa. Ma, come
abbiamo visto, manca a queste scuole l’idea dello
sviluppo, della sintesi a priori. Ci danno le metodo¬
logie della storia, non ancora la dottrina della scienza.
Ma la cultura hegeliana comincia a dare in questo
campo dei risultati di gran lunga migliori. Già la
convinzione dell’identità profonda della filosofia e
della sua storia determina un’intensificazione degli
studi sulle grandi filosofie del passato: si esce a poco
a poco da quel confusionismo del secolo XIX per
cui si univano in un ibrido miscuglio i più disparati
concetti, e si equivocava Kant con Aristotele, Hegel
con Platone. Ormai l’idea dello sviluppo del pen¬
siero filosofico comincia a entrare nelle menti, e si
determinano con più rigore le posizioni di quelle
pietre angolari della filosofia che portano incisi i
nomi di Aristotele, Spinoza, Kant, Hegel, vere cate¬
gorie del pensiero filosofico.
Ma la .storiografia civile e politica è ancora nei
voti. Ci siamo liberati dalle grossolane sociologie;
tuttavia non riusciamo ad elevarci alla storia. È
un’esigenza vitale per noi, perché solo con una forte
cultura storica possiamo dare un orientamento de¬
ciso alla nostra vita e al nostro pensiero : nella vita
sociale, superare l’astrattismo dominante, che ritarda
di più d’un secolo sulla cultura d’oggi, ed è tutto
impastoiato nei concetti della rivoluzione francese;
nel pensiero speculativo, concepire l’unità più pro¬
fonda del reale, che è un’unità umana, spirituale e
dinamica. La storia della mentalità umana deve ri¬
velarci la storia del tutto, una volta che col concetto
nuovo dello spirito, anche la realtà naturale, fisica,
è inclusa nel processo spirituale, perché non è qual¬
cosa di estraneo a noi, ma è la stessa nostra scienza;
è la nostra ricerca e la nostra conquista. Vico e Kant
456
CONSIDERAZIONI FINALI
debbono trovare ancora la loro unità; e questa sarà
il coronamento della nuova cultura storica.
Questa coscienza della storia ci dà un duplice im¬
pulso al lavoro; prima, perché la storia del passato
si conquista faticosamente, e non per subitanee rive¬
lazioni, e poi perché la storia c’insegna che con l’in¬
staurarsi del concetto della realtà umana del mondo,
ogni ragione di pigrizia, di fatalismo, di comodo
ailidamento a una benevola provvidenza vien meno,
e noi dobbiamo attingere da noi soli la nostra forza,
perché noi siamo quel che ci facciamo, e la realtà
nostra è lo stesso nostro lavoro. In questa coscienza,
quella storia medesima che ci toglie la speranza in
un provvido sussidio di potenze estranee, ci è fonte
di conforto e di nuove energie: essa ci dice che noi
non siamo soli, sperduti nel mondo, ma che in noi
si concentra e s’individua lutto il nostro passato, e
quel che noi crediamo di fare come singoli facciamo
invece come ministri del tutto; la contingenza del
nostro fare non è fuori dell’eterno, ma è l’alto stesso
dell’eterno.
Questa considerazione ci dà il senso della nostra
elevatezza morale, e nello stesso tempo la coscienza
della nostra libertà. Infatti quel passato che in noi
si concentra e s’individua non agisce su di noi come
per una forza fatale, per un impulso meccanico, si
che noi siamo lo strumento incosciente di un potere
che ci trascende; esso non è insomma soltanto una
paternità non voluta, ma è anche nello stesso tempo
la no.stra tìliàzione, in quanto vive in noi nel grado
in cui lo facciamo vivere, e perciò, lungi dal meno¬
mare la nostra libertà, la potenzia, perché la libertà
con cui vogliamo il nostro sviluppo spirituale è
quella stessa che fa vivere in noi il passato e deter¬
mina la continuità spirituale della vita storica.
CONSIDERAZIONI FINALI
457
L’uo dei campi più fecondi della cultura storica è
quello delle scienze particolari. Spetterà forse allo
storicismo di vincere l’apparente disgregamento del¬
l’empiria scientifica, e di costruire una più salda
unità del tutto. Il problema delle scienze è un pro¬
blema sorto nel secolo XIX. Nella filosofìa hegeliana
non esistono le scienze, ma la scienza; donde una
tecnofagia del pensiero filosofico, che tutto vuol dis¬
solvere e includere in sé. Il progresso del secolo XIX
sta in ciò che l’attività scientilìca quivi si divide in
mille rami, e sorgono le scienze speciali, e si svol¬
gono ciascuna indipendentemente dall’altra. Donde
il nuovo problema che si è imposto al pensiero filo¬
sofico di tentare una coordinazione del sapere di¬
sperso nell’unità dello spirito. Il positivismo ha dato
i primi abbozzi di una rozza classificazione delle
scienze, inquinata di formalismo, perché anticipa il
metodo sulla ricerca scientifica e dispone le scienze
lungo la scala delle generalizzazioni. Quasi che fosse
possibile che le astrazioni esistessero come funghi,
via via più grossi e più insipidi! Ma per giungere
al problema filosofico delle scienze bisogna liberarsi
del tutto dal formalismo: convincersi di una verità
elementare della filosofia: che l’astratto, come tale,
non esiste, cosa che del resto la stessa esperienza
scientifica suggerisce, perché, come attualità di pro¬
cedimento, essa è sempre concreta, anche quando par
che si muova tra le più vuote astrazioni. L’astratto
come tale è un posterius di fronte al procedimento
del pensiero, è il mero pensato, che per un’illusione
ottica si anticipa sul pensare; ond’è che la scienza,
nell’attualità del suo vivere e del suo fare, lo nega
continuamente.
Questa considerazi'^ne della concretezza del sa¬
pere scientifico è la piena confutazione di quei vuoti
458
CONSIDERAZIONI FINALI
sistemi positivistici, che pretendono di integrare le
astrazioni delle scienze nelle astrazioni della tìlosolìa,
perdendo di vista ciò che è attualità della ricerca;
perdendo la scienza, e non conquistando la lìlosofìa.
In questa sua pretesa il positivismo era per altro
assai più vicino che non si creda, almeno quanto al
suo punto di partenza, alla filosofia di Hegel, per cui
l’unico sapere autonomo era il sapere filosofico, in
cui dovevano perciò risolversi i gradi più bassi, come
l’arte e la religione. Ma l’esperienza del secolo XIX
Ila dimostrato che le scienze hanno tutto il loro
buon diritto a rivendicare una completa autonomia.
È ancora un preconcetto naturalistico quello della
divisione del lavoro tra le scienze, meccanicamente
intesa, quasi che esistesse una realtà bell’e fatta,
al di sopra del pensiero scientifico, da dividere in
pezzi, e da ricomporre, poi, cucendo le scienze l’una
all’altra. Ma ogni scienza, in quanto è attualità di
pensiero, concentra in sé tutto il reale, che non è
già qualcosa fuori di essa, ma è la sua stessa vita
interiore. In questo campo, l’esperienza storica potrà
darci dei fecondi insegnamenti.
E sembra che in conformità delle nuove esigenze
immanentistiche del pensiero, il còmpito della filoso¬
fia di fronte alla scienza debba essere profondamente
trasformato: debba consacrare la loro libertà e auto¬
nomia, e non già tendere al loro assorbimento. Cosi
le scienze, lungi dall’essere ostili al pensiero filoso¬
fico, si dimostrano esse medesime come filosofia, nel
senso che la loro vita è attualità, è concretezza di
pensiero; è, in altri termini, assoluta immanenza.
Cosi dal seno stesso della cultura hegeliana, di
quella cultura che parve un tempo la più lontana
dalla vita, sorgono, per vie diverse, accenni nuovi e
CONSIDERAZIONI FINALI
459
profondi, per cui la filosolia ritorna alla vita e s’im-
inedesinia con essa. Il concetto dell’immanenza as¬
soluta del pensiero, in cui culmina questa nuova
nietalisica, è in fondo l’espressione purificata di
ogni trascendenza, dell’intimità e concretezza della
vita. Ma per giungere a questo culmine, la filosofia
ha dovuto e deve compiere un lungo giro nel do¬
minio della trascendenza, di ciò che spregiativa¬
mente si chiama metafisica : questo giro è neces¬
sario, perché solo attraverso di esso il concetto della
realtà viva e attuale dello spirito si purifica di ogni
astrattismo e si agguerrisce contro tutti gli assalti dei
problemi, che nelle posizioni insufficienti restano
insoluti, e urgono con la loro stessa pretesa insod-
disfalta. Vano è l’assunto di quelli che vogliono fer¬
marsi a metà di questo lungo giro; la dialettica
stessa del pensiero li annulla.
APPENDICE
A otto anni di distanzi^ dalla 1‘ edizione ho cre¬
duto di poter ristampare integralmente questa storia,
poiché m’è parso che, nei suoi particolari giudizi e
nella linea generale dei suo svolgimento, risponda
ancora alle presenti esigenze dei nostri studi.
Nel propormi di metterla, come suol dirsi, al
corrente, accrescendola di notizie sul più recente
movimento lilosolìco, ho dovuto .senz’altro escludere
ogni esame sulla produzione lilosolìca straniera;
troppo scarse e incomplete sono le informazioni
che ancora si possono raccogliere*.
V’é motivo tuttavia di ritenere che il contributo
mentale degli ulliini anni sia stato molto esiguo e che
esso non sposti le conclusioni del mio saggio storico.
U’altra parte, non intendo, anche di proposito,
parlare della cosi detta lilosolìa della guerra: troppo
facile sarebbe l’iinpresa di sbrigarsene leggermente
con un sommario esame di opuscoli e di raccolte,
come, p. es,. lo scritto del Wundt, Die Nalionen
limi ilire Philosophit (Leipzig, 19L5), del Bergson,
La significntion de la guerre (Paris, Btoud, 1916) del
De Wulf, Guerre et philosophìe (ivi, 1916), del Del-
bos, L’espril plìilosophique de l’Allemagne (ivi, 1915),
^ Questa appendice ò stata scritta nel 1920.
3 Questa ulteriore ricerca è stata da me compiuta più
turili, nel volume: FUosoli dei Soitecento. Bari. Laterza.
464
APPENDICE
del Croce, Pagine sparse (Serie 2% Napoli, Ricciardi,
1919), del Gentile, Guerra e fede (ivi, 1919), e di
molti altri ancora. Ma la lìlosotìa della guerra non
è in questi scritti sporadici e occasionali, bensì in
tutto il complesso del pensiero fllosollco contempo¬
raneo, dove il conllitto delle idee s’individua assai
meglio che non dalle affrettate polemiche o dai con¬
citati ammonimenti che la gravità dell’ora suggeriva.
Ho circoscritto pertanto il mio compito a dare
un’integrazione del quadro storico sullo svolgimento
del pensiero italiano, parlando, a) della Neo-scola¬
stica, che negli ultimi anni ha rivelato una fisonomia
ideale propria, degna di esame; b) degli studi sto¬
rici e sociali, strettamente connessi al movimento
della mentalità lìlosofica; c) di alcune più impor¬
tanti manifestazioni del nostro pensiero speculativo,
(iosi, il piano di questa appendice è tracciato.
1. La Neo-scolastica. — Nella 1‘ edizione non
feci alcun cenno di questa scuola, non già per superbo
disdegno, come mi fu rimproverato, ma perché man¬
cava affatto un materiale suscettibile di esame. La
Neo-scolastica italiana tentava appena i suoi primi
passi, e la scuola di Lovanio, da cui essa comin¬
ciava lentamente a distaccarsi, aveva al suo attivo
numerosi e pregevoli studi storici, come quelli del
De Wulf, del Mercier, del Deploige, del Thicry, del
Uefourni, del Noci, del Michette, e di altri ancora;
ma era priva di una fìlosolìa propria, con caratteri
storici ben definiti. Il L'orso del Mercier *, del quale
si faceva gran caso negli ambienti neo-scolastici,
I Divìso in 6 parti; 1) logica; 2) metafisica; 3) psicologia;
4) criteriologia generale; 5) storia della filosofia (scritta dal
De Wulf; 6) cosmologia (scritta dal Nys).
APPENDICE
465
mi sembrava tutt’al più buono a servir di testo in
qualche seminario di provincia.
Da quel tempo, non ho mutato opinione; ma lo
sviluppo sempre maggiore assunto dalla Neo-sco¬
lastica italiana, l’importanza del suo sforzo per
liberarsi dalla fiacca ideologia merceriana, che al
principio mostrava di accogliere integralmente, at¬
traggono nell'orbita della storia non solo il nuovo
movimento, ma, per ragione di contrari, anche
l’antico, come per misurare il distacco dell’uno dal¬
l’altro.
L’origine della scuola di Lovanio ‘ risale al prin¬
cipio del pontilicalo di Leone Xlll. L’enciclica
Aeterni Palris, che idealmente la costituiva, era stata
suggerita al papa dalla diretta conoscenza degli am¬
bienti intellettuali e cattolici del Belgio, acquistata
durante la sua permanenza in quella regione, nella
qualità ili nunzio apostolico.
La Aeterni Patris è la magna charta degl’intel¬
lettuali cattolici, come la Hertirn ^ovarum quella dei
politici. L’una e l’altra son concepite in un identico
spirito: promuovere direttamente la formazione di
una mentalità cattolica o di una politica cattolica,
senza tuttavia legare stabilmente ad esse il pensiero
o l’azione «Iella Santa Sede, in modo che questa
possa in qualunque momento ripudiarle, come espres¬
sioni monche ed imperfette della sua trascendente e
infallibile mentalità.
Sono frutti di un’abile politica, che riduce a zero
tutti i rischi, dando alla Chiesa tutto da guadagnare
e nulla da perdere nella partecipazione alle lotte
della vita moderna, e ponendola nella privilegiata
condizione di giudice insieme e di parte.
I L. \o^L. Louvain, Oxford, 1916.
G. DE Ruggiero, La filosofia contemporanea.
30
466
APPENDICE
L'università di Lovanio sorse, come centro di
studi puramente cattolici, fuori di ogni ingerenza
dello stato, direttamente sottoposta ai vescovi del
Belgio, Nel 1894, essa ebbe per organo e interprete
la Heinie Sèo-scolastiqne, modello di rivista erudita,
che ha raccolto scritti storici di gran pregio e si è
resa particolarmente benemerita degli studi con la¬
vori bibliografici accuratissimi. Costretta a interrom¬
pere le sue pubblicazioni, durante l’invasione tede¬
sca. le ha riprese poco dopo l’armistizio : grave
ammonimento ai pigri, che hanno tratto dalla guerra
soltanto il pretesto per dare un benservito agli studi.
E, sotto gli auspici della Rivista e la direzione del
De Wulf, è sorta un’importante collezione storica
Les philosophes belges, che si propone di ristam¬
pare in edizioni critiche, corredate di ampi com¬
menti, gli scritti dei principali filosofi belgi del
Medio Evo. Ad essa appartiene il Siger de Hruhunl,
di Pietro Mandonnet *, la più profonda indagine e
ricostruzione storica della scuola, in tema di filo¬
sofia medievale.
La scuola di Lovanio sarebbe già, da questi suoi
lavori, abbastanza ben caratterizzata ed avrebbe il
suo posto nella filosofia contemporanea, come note¬
vole esponente di quelle tendenze storiche, che si
fanno sempre più largamente strada e individuano
la fisonomia mentale dell’età presente, in contrasto
con la mentalità antistorica del naturalismo che l’ha
preceduta. Ma Lovanio ha voluto avere una filosofia
propria, in conformità dell’indirizzo in certo modo
imposto dall’enciclica Aeterni Patris, una filosofia
dommatica e antiquata, che profondamente ripugna
> Louvain, 1911 (in 2 voli., l’uno contenente i testi, l’altro
una ricostruzione storica delle lotte tra tomisti e averroisti nel
sec. Xlll).
appendice
4U7
con le sue esigenze storiografiche, e assai spesso le
falsilica e le perverte. Non contenta di promuo¬
vere la conoscenza dei lìlosofi medievali, essa ha
voluto copiarli, reintegrando una pretesa sintesi sco¬
lastica, creata dalfimmaginazione pseudo-storica di
uno storico di valore, uscito dalle sue file, Maurizio
de Wulf.
Di fronte al preesistente neo-tomismo, la neo-
scolastica ha voluto assumersi il compito più ampio
di ricalcare non solamente le orme di san Tommaso,
ma anche quelle di altri dottori, agostiniani e sen¬
tisti, che, un tempo nemici deH’.’^ngelico, vengono
ora dal De Wulf scoperti come suoi collaboratori,
nell’opera (da veri certosini!) di comporre uno smi¬
surato mo.saico scolastico, al quale è dato l’impro¬
prio nome di sintesi.
Collaboratori sono in certo c profondo signillcato
tutti i filosofi, quale che sia la loro divisa; ma la
collaborazione de wulfìana tende a sopprimere 1 in¬
dividualità d’ogni singolo pensatore e d’inserirne le
dottrine, come materiale amorfo, in una costruzione
anonima, avulsa dalla storia, perché non più parte¬
cipe della mobilità del divenire, ma statica e inerte,
atta soltanto ad accrescersi per successive sovrappo¬
sizioni. antiche o nuove che siano. Scolastica sarebbe
quindi non più una tisonomia storica che si trasfor¬
ma, ma un masso immobile di pietra, che il De Wulf
si dà cura di sottrarre ad ogni movimento, anche
esterno, col separare nettamente la scolastica dal-
l’anti scolastica, cioè col sostantivare, in un’altra
unità separata e rigida, tutti quei moti divergenti e
disgregatori, che pur appartengono allo stesso pen¬
siero medievale e che, inclusi con sano criterio sto¬
rico nella scolastica, le conferirebbero quella mobi¬
lità viva che appartiene a un vero organismo.
468
APPENDICE
Questo pregiudizio più che scolastico falsifica la
Storia della filosofia medievale del De Wulf, opera
immeritainente celebrata, perché non può non susci¬
tare, nei critici meglio disposti ad apprezzare il la¬
voro altrui, che un senso di dispetto o di deplora¬
zione, al constatare come una cosi vasta e profonda
conoscenza del pensiero medievale si falsifichi e si
annulli, per colpa di un testardo proposito di voler
trattare la storia con un criterio decisamente anti¬
storico.
Pereant historiae, purché sia salva la neo-scola¬
stica: par che il De Wulf ragioni cosi. E in effetti,
separando scolastica e anti-scolastica, papa e anti¬
papa, nel cuore stesso della storia medievale, dove
la separazione degli elementi organici è più aspra
e, diciamo pure, ripugnante, è tanto più facile per¬
petuare la separazione in seguito, quando Tanti-sco¬
lastica diviene a sua volta un’età storica, e accre¬
scere la scolastica dei magri doni dello Spirito, che
le piovono addosso di tanto in tanto. È sorta cosi
la neo-scolastica, quella scuola che, pur avendo di
fronte al neo-tomismo l’incontestabile vantaggio di
spaziare in un cielo storico incomparabilmente più
vasto e di non accontentarsi di un san Tommaso
ischeletrito, mutilo, custodito nella solitudine e quasi
nel deserto dei secoli, ha poi sùbito voluto rinun¬
ziare ai suoi privilegi storici, facendo della storia
una pesante cappa di piombo.
Confesso che la lettura del corso del Mercier m’è
costata assai più fatica che non quella delle Somme
di Alessandro o di Tommaso o dell’Opus Oxoniense
di Duns. La ragione è che si trattava di una fatica
senza premio, che inaridiva progressivamente e senza
recupero le proprie fonti e l’energia della resistenza.
In fondo, non c’è che la struttura esterna massic-
APPENDICK
469
eia, pesante, del tomismo, senza lo spirito di Tom¬
maso, tormentato dal problema insolubile di costrin¬
gere nelle forme aristoteliche una materia ribelle.
Il Mercier ha raccattato nella storia quel poco che
era compatibile con le sue premesse dommatiche:
il criterio cartesiano dell’evidenza, il problema della
criteriologia, inteso come un’attenuazione della cri¬
tica gnoseologica, il pseudo-empirismo dei positi¬
visti, e sopra tutto il formalismo della vecchia e
nuova logica analitica. I..a criteriologia forma il se¬
greto della composizione di tutto il mosaico: essa ri-
pristina (dopo Kant) il dubbio cartesiano, limitato
ai soli oggetti della conoscenza, dichiarando illegit¬
timo il problema del valore delle facoltà conoscitive:
un valore che viene dommaticamente presupposto.
E del primo dubbio si sbriga facilmente col rico¬
noscere l’evidenza immediata di alcuni principi
d’ordine ideale, ai quali si dà cura di negare ogni
carattere sintetico e attribuisce invece un valore
meramente analitico, che avvalora la loro intatta og¬
gettività. Ma tra i princìpi in questo modo sottratti
al dubbio, v’è il principio di causa, il cui valore
oggettivo consente di passare, senza salti, dalla sfera
dei giudizi ideali a quella dei giudizi empirici; il
mondo della natura e della scienza viene agevolmente
rimorchiato dal principio d’identità. L’ontologia e
la cosmologia del corso merceriano procedono di
pari passo dalle premesse criteriologiche testé enun¬
ciate; idealismo e positivismo sono insieme saldati
dal concetto di causa, che vanta titoli eguali presso
l’uno e presso l’altro. E l’idealismo salva la trascen¬
denza di Dio, l’immortalità deU’aninia, la rivela¬
zione, con tutto il pesante bagaglio della domma-
tica cristiana; il positivismo consente alla neo-scola¬
stica di modernizzarsi, di koketlieren (direbbero i
470
APPENDICE
tedeschi) con le scienze della natura e 'l’indulgere
il più ch’è possibile al gusto dei tempi.
Una tale filosofìa è criticata in quanto è esposta;
non si saprebbe se più deplorare l’ignoranza che vi
si dispiega di tutta la storia del pensiero moderno
o l’ingenuità di certi passaggi me'ntali, quello p. es.,
mediato dal principio di causa. Io rispetto assai più
il dommatismo puro, lo schietto tomismo, che nega
la storia del pensiero e si chiude nelle vecchie e ve¬
nerande formule; ma almeno non si lascia cosi fa¬
cilmente misurare dalla mentalità moderna come
questa filo.sofia che le si accosta troppo da presso,
e si trastulla ingenuamente coi suoi problemi. Il
neo, anteposto al suo nome, vale a designare nul-
l’altro che l’infantilità.
Il movimento neo-scolastico italiano sorge come
una copia fedele della scuola di Lovanio. Nel 1909
il Gemelli e il Canella fondano una Rivista di filo¬
sofia neo-scolastica sul modello della rivista belga ed
accettano, nel programma, l’ideologia merceriana:
< In generale, l’errore fondamentale della critica mo¬
derna sta nel confondere il carattere di relatività
della conoscenza considerata come uno stato psico¬
logico con la relatività della conoscenza in sé stessa
errore che si deve principalmente al fatto di essersi
i moderni pensatori abbattuti nella muraglia insor¬
montabile della prova del valore dei nostri mezzi
conoscitivi, considerata come base prima e neces¬
saria di ogni ricerca sul valore oggettivo della cono¬
scenza. La neo-scolastica invece, mettendo in seconda
linea il problema del valore dei mezzi conoscitivi,
affronta la ricerca del criterio primo della certezza,
e questo criterio non riconosce legittimo se non
quando trova che per suo mezzo la necessità e funi-
APPENDICE
471
versalità <Ielle nostre conoscenze può avere una ori¬
gine sperimentale. In tal modo l’oggettività dei prin-
cipii d’ordine ideale viene a imporsi come un fatto
d’evidenza, e su questi solidissimi fondamenti si
può costruire l’edilìzio delle scienze e legittimare il
valore stesso delta ragione »
Nella divisione del lavoro tra i due direttori, il
Gemelli assumeva la parte scientifica, il Canella la
parte criteriologica e metafisica, conforme alla di¬
stinzione ideale del Mercier, pronti a darsi la mano
sul ponte del principio di causalità. Le prime annate
della rivista furono un po’ grame, almeno per ciò
che riguarda le costruzioni originali, atte a legitti¬
mare il titolo di neo-scolastica: mentre la parte reda¬
zionale era condotta non senza maestria e rivelava
un interessamento vivo ed inquieto verso il pensiero
tilosolico contemporaneo.
Il suo pensiero era però ondeggiante. Il semi-
dommatismo (o semi- criticismo) merceriano, come
generalmente tutte le posizioni fiaccamente ecletti¬
che, non poteva essere un punto di sosta, ma spin¬
geva gli spiriti più conseguenti ad avanzare o ad
indietreggiare, ad affiatarsi col movimento del pen¬
siero contemporaneo, oppure a chiudersi nel puro
dommatismo.
Già nel 1909 abbiamo le prime battute d’aspetto
contro il Mercier: deboli battute, del resto, svolte
neH’àmbìto stesso della mentalità semi-dommatica,
semi- critica, dal Masnovo, che ripudiava il cosi detto
subordinatismo idealista merceriano, per abbracciare
una forma di mitigato empirismo, che muove dal¬
l’esperienza e subordina ad essa i principi ideali,
in luogo di muovere da questi per farne dipendere
1 Rivista di fìlos. neo-scoL^ I, pp. 10-11.
472
APPENDICE
quelli *. Il Canella, invece, il Tredici e altri sostene¬
vano il Mercier e promovevano iliscussioni gnoseo¬
logiche scarsamente conclusive.
Ma il problema era più arduo e complesso di quel
che vedessero i contendenti. Si trattava non tanto
di discutere singole dottrine del Mercier, quanto
di valutare tutta intera la sua posizione mentale.
È lecita la ricerca gnoseologica? E allora la crite¬
riologia merceriana è insuflìciente, perché non riesce
a confutare Kant e tanto meno Hegel. Non è lecita?
E allora bisogna tornare al puro realismo scolastico,
negando anche l’aborto criteriologico. Dommatismo
puro o superamento dell’idealismo: padre Mattiussi
o un X da creare. Questo vedeva chiaramente, fin
dal 1912, Francesco Olgiati, una delle personalità
più aperte e simpatiche della neo-scolastica italiana;
temperamento meno filosofico del Chiocchetti, ma,
perché nel tempo stesso meno vincolato da pregiu¬
diziali dommatiche e da esigenze sistematiche, più
libero e disinvolto nel muoversi tra i sistemi con¬
temporanei, più pronto ed entusiasta nell’accoglierne
le esigenze, anche se contrastanti col tomismo. Nel
formulare il suo dilemma egli aveva due punti
di riferimento non egualmente stabili : il dommati-
srao del Mattiussi e l’appena incipiente tentativo
fatto dal Chiocchetti per giungere, attraverso la cri¬
tica della filosofìa crociana, a una concezione scola¬
stica molto modernizzata. E, pur simpatizzando con
quest’ultimo, egli temeva di arrischiarsi per una via
irta di pericoli e d’incognite; onde tornava poco
dopo alla vecchia tesi che < per opporsi a Kant,
< Amato M.asnovo. l.’na questione di Ontoìogiu nella scuola
di Lovanto, I, p. 2.S3 sgg.
“ Rtv. di fìlos. neo-scol., IV, 3-4: \ote sul problema della
conoscenza.
APPENDICE
473
bisogna presupporre e non già porre in discussione
il valore della ragione >
11 Mattiussi lo spaventava col suo libro: Il veleno
kantiano (1914 “), dove gli lasciava intravvedere il
rischio di rinnovare la miseria di Abelardo, non più
per amore di una bella Eloisa, ma... della filosofia
kantiana: «Noi pretendiamo, diceva l’apocalittico
Mattiussi, che nell’opera del filosofo di Koenigsberg
dal principio alla fine ogni cosa è impossibile e il
disegno n’è contradittorio, che tutto è rovina e che
qualunque asserzione si ammetta di quello ( sic) che
egli da sé nuovamente disse, ne rimane tronco alla
radice dell'essere conoscitivo (??); ed è veleno, del
quale basta una goccia per dare la morte alla scienza
e all’intelletto (!!)>. E in un altro suo scritto. Il
Problema della conoscenza, il Mattiussi mostrava di
porre allo stesso livello la critica kantiana della
ragione e il dubbio merceriano sull’oggettività della
conoscenza additando, nel dommatismo puro, la
via della salvezza dell’anima e del corpo.
Questa recrudescenza di animosità da parte dei
dommatici derivava in gran parte dalla scandalosa
impressione che sul loro animo aveva fatto il tenta¬
tivo del padre Chiocchetti, animoso e ardente pensa¬
tore trentino, il quale s’era proposto di acclimatare
negli ambienti scolastici il sistema del Croce. Tra
il 1912 e il 1914 egli aveva infatti pubblicato una
serie di articoli su quella filosofìa, nella Rivista del
Gemelli, facendo precedere all’esame del pensiero
crociano un lungo excursus storico sulla specula¬
zione tedesca che ne costituiva il fondamento.
Il piano storico del lavoro era sbagliato, in quanto
I Op. eli., VI, p. 317.
> Ibid., VII, p. 29.
474
APPENDICE
che la genesi del pensiero del Croce si spiega rimon¬
tando non la corrente centrale, metafisica (il Croce
direbbe teologica) Kant-Fichte-Schelling-Hegel-Spa-
venta; ma una corrente laterale che ha per suoi
estremi Vico e De Sanctis. L’interessamento del
Croce per le grandi filosofìe tedesche interviene in
un secondo momento, come per meglio intonare,
storicamente, un pensiero già in gran parte formato
per via diversa. A ogni modo, lo sforzo di volere
attribuire un interesse centrale a una filosofia che
ripudia ogni centro fisso dell’interesse speculativo,
costituiva pel Chiocchetti una propizia opportunità
per poter superare, insieme col Croce, tutta la spe¬
culazione classica, e per liberarsi, cosi, del pesante
fardello della storia.
Alla filosofia crociana egli faceva larghe e impor¬
tanti concessioni: la teoria dell’arte, dell’ateoreticità
dell’errore, e principalmente quella del concetto con¬
creto, che culmina nella circolarità creatrice dello
spirito. Faceva naturalmente le sue riserve: «Am¬
mettiamo anche noi un divenire, un progresso, ma
non possiamo concepirlo senza ricorrere a un prin¬
cipio che non sia principiato, perché personale nel
senso più alto della parola ; un principio fine a sé
stesso e fine del tutto, un (ictus parus personale, dal
quale e per il quale il progresso esiste, un centro
di riferimento di tutta l’attività ». Moveva alcune
critiche in parte calzanti: «Il concetto di persona,
il valore della persona: ecco quello che manca, so¬
prattutto nella dottrina del Croce, e rende vano e
senza significato il divenire della realtà attraverso
le forme... Anche il concetto dello spirito come cir¬
colo o come ininterrotto e ordinato arricchimento di
attività, per avere un senso, dev’essere concetto e
deve inchiudere in sé come elemento essenziale il
appendice
475
fine deU’attività progressiva, la persona; se no ab¬
biamo l’assurdo del progresso in infìnitum, checché
opponga il Croce » *.
Ma il vizio più grave che svaluta le adesioni non
meno delle critiche, sta in un fraintendimento, che
non saprei spiegarmi con motivi puramente mentali
(ateoreticità dell’errore, padre Chiocchetti!) : quello
del concetto puro del Croce con Vunìversale in re di
san Tommaso. In fondo, accettando l’universale con¬
creto della filosofia moderna, il Chiocchetti non vi
riconosce che il progenitore scolastico, dimenticando,
0 mostrando di dimenticare, che in esso c’è l’apper¬
cezione pura di Kant, la risoluzione dell’oggettività
naturale, in una parola, lo Spirito. Affermare che
< il vero reale è l’individuale penetrato di raziona¬
lità, di concetto », non significa che si sia compreso
il razionalismo moderno, perché l’affermazione è co¬
mune anche ad .Aristotele e a Tommaso. Ma svolgere,
poi, questo concetto col solito dualismo del soggetto
e deH’oggello nella conoscenza, del soggetto cono¬
scente finito e del soggetto creante infinito, nel rap¬
porto dell’essere, significa, non che superare il kan¬
tismo, battere una ritirata precipitosa tra le trincee
del dommatismo scolastico. 11 Chiocchetti è in fondo
un dommatico non meno del Matliussi. Egli dice,
p. es. : «che il nostro spirito, conoscendo, crei il
reale, cioè il razionale oggettivo, con quella porten¬
tosa sintesi a priori dell’idealismo post-kantiano le
perché non di Kant?], è contraddetto dalla coscienza
umana, che è atteggiata, naturalmente, di fronte alla
realtà, come spettatrice di oggetto che deve conqui¬
stare faticosamente, comprendendone la razionalità
al lume della propria ragione ». A che prò, mi chiedo.
i Op. cit., V, p. 62.
476
APPENDICE
paludarsi, e quasi, infarinarsi di terminologia mo¬
derna, quando resta, nel fondo, l’antico uomo?
Ma se il risultato del tentativo del Chiocchetti è
nullo, non è tuttavia negativo il valore del suo
sforzo. Il fatto stesso del cimentarsi col pensiero
moderno, del seguirne lo sviluppo con interesse e
spesso con penetrazione è nuovo negli ambienti cat¬
tolici. Sotto questo aspetto tra un Mattiqssi e un
Chiocchetti corre un abisso profondo. Anche il tomi¬
smo, che è comune all’uno e all’altro, ha in essi una
diversa presenza: nel Chiocchetti, esso è rinfrescato
e come ringiovanito, al contatto di una mentalità
nuova, ansiosa di riadattarlo all’ambiente storico.
Si legga lo scritto : Il Pensiero *. Ivi la mentalità
dell’autore si muove tra i limiti della massima to¬
mista : cognitum est in cognoscente ad modum co-
gnoscentis; ma qui, dove un vecchio dommatico si
darebbe pena di mostrare che Vobiectum in sé non è
allatto messo in pericolo, il Chiocchetti invece accen¬
tua il valore di queU’innoyafio, di quella trasforma¬
zione profonda che l’oggetto riceve dal soggetto, e
che, se non è un vero creare, è, almeno, un « ricreare
trasformando ». Ma dov’è che preesiste l’oggetto se
il soggetto presente non lo crea? In una qualche
nostra attività che non sia pensiero, mà che sia spi¬
rituale: nell'intuizione. Qui veramente mi par d’in-
Iravvedere un Chiocchetti molto diverso dal prece¬
dente; ma lo spunto mentale è troppo tenue perché
si possa fondare su di esso alcuna conclusione.
L’unica conclusione plausibile è che il pensiero
del Chiocchetti, nella preoccupazione di voler trac¬
ciare precisamente i suoi confini nell’àmhito del
dommatismo, rivela facilmente di averli superati.
i Op. cit., VII, p. 47 sgg.
appendice
477
Ma volendo stare ai dati, come storici, dobbiamo a
nostra volta limitarci a constatare che il supera¬
mento (mi si permetta una volta l’ormai odiosa e
antiquata espressione) sta più neH’atteggiamento,
nello sforzo, verso un'intuizione penetrala di pen¬
siero medievale e motlerno, anziché nel sicuro pos¬
sesso della vagheggiata dottrina.
Il tentativo del Chiocchctti sollevò non poche
opposizioni negli ambienti scolastici e neo-scolastici.
Più che una vera e propria apostasia dal tomismo
(sotto il quale riguardo era impeccabile), la nuova
teoria del « concetto concreto » appariva una peri¬
colosa antitesi del metodo astrattivo seguito dagli
scolastici, e perciò capace di turbare la continuità
della tradizione. Ma, pur non accettato generalmente
(neppure dall’Olgiati). il pensiero del Chiocchetti
non poteva non esercitare un’influenza sull’anda¬
mento delle solite discussioni della scuola e non dare
alle vecchie dispute un insolito sapore di modernità.
Noi osserviamo infatti, fin dal 1914, un più deciso
atteggiamento dei neo-scolastici verso la filosofia
del Mercier e una maggior libertà e spregiudica¬
tezza nelle critiche: indizi di più larga prepara¬
zione e di crescente consenso per la mentalità mo¬
derna. In Una discussione intorno alla criterio¬
logia di Lovanio la debole difesa che il Tredici
faceva della dottrina del Mercier era efiìcacemente
oppugnata dall’Olgiati. che dimostrava contradit-
toria la posizione di Lovanio, «in quanto, combat¬
tendo a parole il dogmatismo assoluto, non viene
a conclusioni oggettivistiche, se non pre.supponendo
sempre' la legittimità del procedimento proprio al
dogmatismo assoluto stesso ». Anche ammesso, egli
« Op. CI/., VI, p. 335 5gg.
478
APPENDICE
soggiungeva, che l’evidenza ci dica che il predicato
conviene al soggetto; tale evidenza chi la scorge?
La ragione! Guai perciò se il Mercier non presup¬
pone che la ragione ragioni bene. E anche quando
egli parla di giudizi di ordine reale, in tanto arriva
aU’airermazione del mondo esterno, in quanto lo
presuppone dommaticamente; perché chi altro, fuori
del dommalico, è sicuro deH’oggettività del princi¬
pio di causa, nel mediare il passaggio dall’ordine
ideale a quello reale? E concludeva, dichiarando
espressamente che la criteriologia del Mercier do¬
vesse essere abbandonala.
Il male era (e gli stessi neo-scolastici lealmente
riconoscevano) che mancava il modo di sostituire il
Mercier; né, fino ad oggi il vuoto è stato ancora col¬
mato. Donde un procedere alquanto sbandato e a
tentoni, senza un preciso indirizzo, e perciò confon¬
dendo insieme intuizioni vecchie e nuove, predicozzi
e teorie originali. Queste ultime appaiono scisse da
ogni concezione organica ed esprimono piuttosto
adesioni simpatiche alle conquiste del pensiero mo¬
derno che frutti di una conquista propria. Cosi,
quando l’Olgiati scrive nel suo libro su La filosofìa
di H. Bergson (Torino, 1914) che scienza e fìlosolìa
marciano in due direzioni ben diverse; questa verso
la storicità della vita e della coscienza; quella verso
Tanti-storicità degli elementi della psicofisica e della
psicofisiologia; Tuna verso il movimento composto
d’immobilità e di simultaneità, l’altra verso il mo¬
vimento reale: — o quando egli critica acutamente
la filosofia dei valori, mostrando falsa e artificiosa
la separazione del fatto dal valore; — le categorie
del suo giudizio non sono più offerte dalla scola¬
stica, ma dalla logica immanente del pensiero mo¬
derno. La neo-scolastica, in altri termini, si lascia
APPENDICE
479
inconsapevolmente rimorchiare dalla (ilosolia con¬
temporanea. alla quale appartiene, malgrado le pre¬
messe scolastiche e non in virtù di esse.
Si spiegano quindi le perplessità che suscita nei
più rigidi conservatori la tendenza dei giovani filo¬
sofi a modernizzarsi : privi di un definito indirizzo
proprio, corrono il pericolo di venire facilmente as¬
sorbiti. Essi sono pronti a fare le più ampie conces¬
sioni al pensiero moderno e non chiedono che un
posticino per il trascendente e per l’immortalità
dell’anima. Ma questi concetti non formano che il
residuo delle nostre filosofie; un residuo magari non
risoluto, ma che tuttavia non può mai essere assunto
come centro della ricerca. Nello spirito della filosofia
moderna, trascendenza vuol dire — soggettivamen¬
te — pigrizia, stanchezza, insoddisfazione: momenti
spirituali che tutti attraversiamo continuamente, ma
con l’ansia di liberarcene, e che ad ogni modo non
oseremmo elevare a simbolo della nostra operosità.
Il distacco tra gli scolastici e noi sta quindi non
tanto nell’affermazione e nella negazione (che potreb¬
bero anche essere equivalenti) di un dato oggetto,
quanto nell'indirizzo, nel significato del rispettivo
lavoro. Ma, preso appunto in questo senso, l’imma¬
nentismo è invincibile, perché assume come propria
forza la forza stessa dell’uomo, e non indulge alla
sua miseria e alla sua pigrizia, o almeno le considera
come pause necessarie e transitorie, nello spiega¬
mento della personalità umana. La neo-scolastica,
pretendendo di rimontare questa corrente, finirà con
Tesserne travolta.
L’operosità della Rivista di filosofia neo-scola¬
stica si è svolta ininterrottamente durante la guerra
con quella serietà e con quel decoro che era lecito
attendersi da studiosi severi. Recensioni accurate.
480
APPENDICE
ampie discussioni, aperte al pubblico con spirito
veramente liberale, e che, anche quando si svolgono
sopra temi oltrepassati, rivelano sempre un amore
sincero della verità; utili informazioni sul movimento
generale della cultura, formano il pregio, mai smen¬
tito, della rivista. Ultimamente essa ha voluto anche
cimentarsi con la fdosofìa del Gentile; ma il La Rosa
e il Borrello che hanno assunto un tal compito erano
meno agguerriti del Chiocchetti ed hanno appena
sfiorato il tema senza imprimervi nessuna nota perso¬
nale. La lizza è tutt’ora aperta; e non può sottrarsi
al rischio qualche spirito battagliero, perché la filo¬
sofìa del Gentile rivela, assai più di quella del Croce,
un’ispirazione teologica, e quindi più direttamente
è alle prese con l’intuizione scolastica del mondo.
Segno molto notevole dell’orientamento della
neo scolastica verso i problemi dell’idealismo con¬
temporaneo, è il programma con cui il Gemelli ha
aperto l’annata del 1919. Quivi si dividono netta¬
mente due periodi : « Quando la neo-scolastica si è
alfermata a Lovanio, nel periodo d’oro dell’attività
del card. Mercier, essa si trovò di fronte ad un com¬
pito ben differente dal compito che attende noi. Era
quello il periodo del trionfo del monismo materia-
lista, positivista; i progressi della scienza avevano
fatto nascere lo scientismo; la fdosofìa negava tutto
ciò che non era fatto, per ridurre tutto alla materia
o all’energia. E la neo-scolastica ebbe il merito di
aver combattuto efficacemente il positivismo, rivendi¬
cando la discontinuità del reale e la concezione dua¬
listica del mondo... Ma le esigenze dei nuovi tempi
hanno creato nuovi problemi. Non è più il monismo
positivista che impera, bensì l’idealismo; non sono i
problemi della scienza che preoccupano, bensì quelli
dello spirito. Non si tratta più di discutere l’origine
APPENDICE
481
del mondo, deH’uomo, della natura dell’uomo, ecc.,
bensì di rivendicare alla mente umana la capacità di
conoscere ia realtà, di ricercare e determinare l’orga¬
nicità del reale in un tutto e di illustrare come la
mente umana lo conosce; si tratta di rivendicare la
capacità della mente umana a risalire a Dio, ecc. ecc.;
in una parola, si tratta di difendere il nostro duali¬
smo contro il monismo idealista ».
E nel numero seguente della rivista, l’Olgiati in¬
tegra il programma del Gemelli, spiegando che il
compito nuovo della scuola sta non soltanto nel com¬
battere l’idealismo contemporaneo, in quel che con¬
trasta alle aspirazioni della vita retigiosa, ma anche
di accoglierne quanto è possibile lo spirito, comple¬
tando il vecchio metodo dell’astrazione con un pro-
ce.sso sintetico, aderente all’organicità del reale. In
una parola, a differenza di altri paesi, la neo-scola¬
stica italiana afferma vivo e profondo il senso della
storicità.
Siamo dunque all’inizio di un rinnovamento che
già si preannunzia movimentato e pieno di contrasti.
Pur non nutrendo liducia in una innovazione della
scolastica come tale, abbiamo fiducia negli uomini
e nella forza rinnovatrice del pensiero.
2. Gli studi stoiuci e soci.ali. — La storia della
storiografìa in Itaiia nei secolo XIX, che il Croce va
pubblicando nella Critica dal 1915, offre allo sto¬
rico della filosofia contemporanea un nuovo e ricco
materiale d’indagine. Quell’identità di filosofia e
di storia, che l’idealismo afferma come la sua più
alta conquista mentale (o che almeno è la sua più
intensa aspirazione) si traduce in pratica in una
concezione dello sviluppo della storiografia che coin-
G. DE Rugoiebo, La filosofia contemporanea.
31
482
APPENDICE
cide perfettamente con quello della filosofia, ed anzi
si svela un momento inseparabile di essa. All’opera
del Croce io attingerò, dunque, i pochi dati neces¬
sari per integrare il mio sommario storico *.
L’avvento del positivismo in Italia, nella seconda
metà del secolo XIX, significò uno strano miscuglio
di storia e d’antistoria, di esaltazione dei fatti e di
passiva accettazione di residui teologici. L’ultima
storiografia idealistica —■ la scuola neo-guelfa — si
era spenta, coinvolta nella generale catastrofe del
pensiero nazionale del ’48; ma la consuetudine stessa
dei suoi problemi e delle sue idealità si tramandava
agli araldi dei nuovi indirizzi. Il Ferrari, che sotto
molti aspetti è un precursore del positivismo storico,
o almeno un anello di congiunzione tra il guelflsmo e
il positivismo, nella Histoire des révolutions d’Italie,
svolgeva, sul piano stesso della mentalità cattolica, le
sue negazioni e le sue antitesi. Al concetto della
Provvidenza come forza dinamica della storia, egli
sostituiva il concetto della fatalità e si raffigurava
il corso degli avvenimenti umani come sospinto da
< fatali antipatie », naturali e invincibili come tutte
le diadi dei sistemi teologici. Ma la divinità era as¬
sente, all’inizio e alla fine del processo, il quale si
svolgeva, cosi, come una deduzione senza significato
e senza meta di due sistemi politici, il guelfo e il
ghibellino, nelle loro innumerevoli sottoforme, che
si rincorrevano e s’incalzavano perennemente lungo
la storia d'Italia. E al guelflsmo egli toglieva l’idea
federalistica per contrapporvi l’idea unitaria e fon¬
derle insieme in un dialettismo che aveva come pre-
1 Per cortese concessione del C.. ho potuto leggere in ma¬
noscritto le puntate ancora inedite della sua Storia, che sono
le più importanti, perché da esse sUndividuano Tintero piano
deli’opera e la linea di sviluppo della storiografia italiana.
APPENDICE
483
gio maggiore l’attualità dell’ispirazione, in un tempo
(1857) io cui il pensiero storico-politico gravita\a
tutto intorno a quelle idee.
Compiutasi l’unità italiana e spentasi la passione
politica, la storia si andò gradatamente distaccando
anch’essa dalla vita, per divenire una scienza nel
significato cattedratico e impersonale della parola.
I/età del positivismo è caratterizzata, negli studi
storici come generalmente in quelli lìlosofici, da due
tendenze oppo.ste, e tuttavia identiche nella stessa
opposizione. Da una parte si volle iniziare l’esame
particolareggiato, minuto, dei nudi fatti, ripudiando
ogni soccorso delle idee ed ogni contatto degl’inte¬
ressi immediati della politica; dall’altra il pensiero,
invano mortilicato e disconosciuto, si sbizzarrì in co¬
struzioni fantastiche, creando la teologia e l’idolatria
dei fatti, e scambiando con questi le più vuote e
astratte chimere. Il Marselli, nella sua Scienza della
storia (1873), ricalcava le orme comtiane distin¬
guendo una fase teologica, una fase metafisica e una
ultima fase scientifica della storia, e, armato di que¬
sta triade, a .sua volta poco scientifica e positiva,
costruiva a priori le varie fasi della storiografia. Altri
scrittori, invece, pure rifuggendo da siflatti assunti
troppo palesemente teologici, insinuavano timida¬
mente la loro rillessioiie tra gli avvenimenti, e per
incapacità di compenetrarla in essi, astrattamente
giudicavano, condannavano o assolvevano, in nome
di principi umanitari, morali e cattolici, sventolati
a guisa di bandiera sulla grigia trama delle loro
nude narrazioni.
I temi storici che nell’età precedente della passio¬
nalità politica, neoguelfa o neoghibellina, unitaria o
federalista, erano nettamente scelti e circoscritti nel-
l'àmbito degl’interessi immediati, furono qui invece
484
APPENDICE
i i)iù disparati e caotici. Null’altro infatti spingeva i
nuovi ricercatori alle loro indagini, fuori della cu¬
riosità letteraria ed inedita, del gusto di sperimen¬
tare e di mettere in mostra le abitudini e le virtuo¬
sità fdologiche, elevate a criterio e a misura della
valutazione mentale. Dissodare quanti più campi
fosse possibile, a preferenza i più incolti, anche se
promettenti un rendimento assai scarso, era l’ideale
di quei manovali del pensiero. Eppure, malgrado le
molte aberrazioni ed inconcludenze, cui dava luogo
il puro fllologismo, una esigenza ben solida era pre¬
sente al lavoro della nuova generazione di storici;
quella stessa che faceva del positivismo filosofico,
malgrado la sua patente inferiorità di cultura e di
preparazione rispetto ad altri indirizzi contempo¬
ranei, qualcosa di nuovo ed originale, un elemento
di rinnovazione e di progresso degli studi fìlosolìci.
E cioè l’esigenza immanentistica del pensiero, la
tendenza a non trascendere il dato, ma a spiegarlo
coi suoi .stessi mezzi; un’esigenza e una tendenza,
che, liberate dalla grossolana scorie positivistica, get¬
tavano all’avvenire il germe di una più alta filosotia,
e che ad ogni modo, pur con quella veste, rappre¬
sentavano già una decisiva istanza contro l’astrat¬
tismo e l’arbitrio delle costruzioni metafìsiche del
tempo. Come bene osserva il Croce, le minute re¬
gole della filologia, i divieti di accostarsi a un tema
storico senza conoscere la « letteratura dell’argo¬
mento », nient’altro erano che « la traduzione in ca¬
none empirico della storicità del pensiero e di ogni
forma di attività, che, tanto più è veramente origi¬
nale, libera ed individuale, quanto più si congiunge
con l’opera altrui e con l’opera del passato ».
I fautori del fllologismo, i cosi detti « puri storici »
vengono dal Croce distinti in due generazioni, con
appendice
486
un criterio non solamente cronologico, ma anche
ideale. La prima generazione è quella dei convertiti
al metodo filologico: scrittori cioè che avevano già
militato sotto altre bandiere e che importavano,
spesso loro malgrado, nella nuova scuola il senso
dei grandi problemi sorti dall’educazione filosofica
precedente.
Cosi il Villari, il Malfatti, il De Leva, il Compa-
retti. riuscivano a mitigare l’aridità del puro positi¬
vismo storico, agguerriti com’erano di una cultura
più ricca e complessa, alla quale il professato reali¬
smo filologico dava un senso nuovo di concretezza
e di attualità. Ma la seconda generazione dei puri
storici nasce in un ambiente diverso, e precisamente
in quello delle scuole filologiche fondate dalla gene¬
razione precedente. Più epurata di ogni estraneo in¬
flusso, essa è anche più arida e incolore e svela nella
sua grama nudità i vizi del mero fìlologismo isolato
da ogni concezione organica della vita. Cosi dal
De Leva al suo scolaro Cipolla, dal Comparetti al
Graf, dal Malfatti al Crivellucci, si discende per una
china sempre più precipitosa; e, spogliandosi la sto¬
ria di ogni criterio immanente di valutazione, ven¬
gono a disporsi da un lato i nudi fatti, dall’altro,
sovrapposti e quasi incollati, i comenti. Il grigio
moralismo e cattolicismo del Cipolla, l’atteggiamento
letterario e accademico del Crivellucci e del Graf, la
riduzione della storia a sterili negazioni del Pais,
messi in rapporto con la dotta e minuta preparazione
filologica di quegli autori, rappresentano i distaccati
e sparsi elementi di una morta analisi che lavora in
senso inverso al procedimento sintetico del vero
storicismo.
Una reazione viva, animosa, contro l’incolore fl-
lologismo è costituita, negli ultimi decenni del secolo
486
APPENDICE
scorso, dall’opera di Alfredo Oriani. Questi, nel
campo delle scienze storiche, e generalmente morali e
politiche, assume un atteggiamento che ha qualche af¬
finità (fatta la debita proporzione degl’ingegni e della
preparazione scientifica) con quello di Bertrando
Spaventa in filosofia, di fronte aH’imperante positi¬
vismo, e di Francesco De Sanctis nell’estetica e nella
critica letteraria, al cospetto dello stesso nemico. E,
come i due grandi meridionali, anche lo scrittore ro¬
magnolo è passato quasi inosservato alla sua genera¬
zione mal <lisposta a comprenderlo; con danno non
solamente della sua fama, ma dello stesso sviluppo
organico del suo pensiero, sul quale l’estraneità e
rindilTerenza deH’ambiente hanno gravato come un
peso morto, soll'ocante. Di qui quella continua involu¬
zione, quella diseguaglianza, quel procedere ansante
ed enfatico, che generalmente si osservano nei precur¬
sori, in tutti coloro cioè, che non potendo trovare in
uno scambio simpatico e intelligente col proprio am¬
biente il loro interno equilibrio, sono costretti a un
logorante lavoro di auto-critica e a un eccessivo di¬
spendio di energie mentali per uno scopo negativo
di resistenza.
11 pensiero di Oriani, sparso in molti romanzi e
in libri di varia letteratura, tutti di forte accentua¬
zione filosofica, è particolarmente sviluppato in due
opere di maggior lena: La lotta politica in Italia e La
rivolta ideale. La prima, contrariamente al titolo, non
è una descrizione della lotta politica contemporanea,
ma una larga introduzione storica, troppo larga,
forse, come semplice introduzione, poiché s’inizia
dalle origini medievali dell’Italia moderna. Ma, poi¬
ché l’esame, promesso dall’Oriani, della lotta vera e
propria non venne mai alla luce, l’introduzione è ri¬
masta come un tutto a sé, come una storia d’Italia. Il
APPENDICE
487
lavoro è nettamente distinto in due parti, molto di¬
verse per originalità di vedute e per solidità di prepa¬
razione. La prima, che va dal medio evo al principio
del secolo XJX, è allrettata e, in gran parte, foggiata
sullo stampo di modelli precedenti, in particolar modo
sulla Storia delle rivoluzioni d’Italia del Ferrari, che
le fornisce le categorie dell’unità e del federalismo,
sulle quali tutta la narrazione è arbitrariamente tra¬
mata. Si sente che l’Oriani si muove a disagio tra quei
temi non bene assimilati, la cui trattazione gli viene
tuttavia imi^osta dal pregiudizio naturalistico che le
origini di gn movimento storico debbano affondare
nella preistoria e che quindi una storia d’Italia non
sia possibile se non attraversando il medio evo, Roma,
e forse anche la remotissima età preromana, tanto fa¬
voleggiata dagli scrittori del Settecento. Ma non ap¬
pena passa dalla preistoria alla vera storia d’Italia,
che s’inizia coi primi fermenti rivoluzionari suscitati
dai giacobini di Francia, l’Oriani acquista maggiore
padronanza del suo tema, e in due volumi, ci dà un
quadro abbastanza vasto del nostro Risorgimento. Qui
le idee direttive dell’unità e del federalismo appaiono
meglio appropriate al materiale storico da esaminare,
mentre nella narrazione precedente, applicate ester¬
namente a una materia ribelle, si rincorrevano con
un gioco monotono e meccanico di antitesi.
Le esperienze storiografiche della Lolla politica
sono dall’Oriani raccolte e tipizzate nella Rivolta
ideale, libro dell’età più matura, che di fronte al
precedente spazia in un orizzonte più vasto; ma,
non tramato sopra un racconto storico particolareg¬
giato, riesce più astratto e monotono. Quivi la storia
è afl'ermata come la biografia dell’umanità, ancora
giovane dopo tanti millenni, ma non ancora arrivata
alla pienezza di una coscienza mondiale. Il primo
488
APPENDICE
Si-colo che più si avvicina a questa meta è il XIX, che
« fu il secolo dcH’indiviiiualità e diventò quindi il
più mondiale di tutti, quello che doveva davvero
ini^^iare la grande epoca della storia universale > *.
Individualismo e universalismo fanno centro in Eu¬
ropa, donde s’irradia la nuova storia del mondo;
tutte le conquiste della civiltà estraeuropea sono in¬
fatti europee nello spirito e nell’impulso; l’Africa
particolarmente è il supremo sforzo e il massimo
rispltato della storia europea nel secolo XIX. Questo
non porterà nome di uomo o di popolo, perché le
massime creazioni sono anonime: « il genio può rias¬
sumere l’incoscienza di un popolo, non dare la pro¬
pria fisonomia alla sua coscienza ».
Il suo carattere ideale è chiuso tra due fdosofle,
che rappresentano il suo trionfo e la sua degrada¬
zione: «Dopo Tenorrae abbacinante filosofia di He¬
gel, che riassunse tutta l’antichità e aperse l’era mo¬
derna, la degradazione fu precipitosa; Hegel aveva
sollevato il mondo nelle idee, i positivisti distrus¬
sero le idee nei fatti; la loro filosofia era la sola con¬
veniente a una fase industriale, che isolava gl’indi¬
vidui livellandoli invece di unificarli; l’inconoscibile,
del quale l’interpretazione istintiva è ideale e pregio
della vita, venne dichiarato inutile, la storia cessò
di chiedere le rivelazioni del passato ai grandi pen¬
sieri per impararle dalla parzialità dei piccoli docu¬
menti, le leggi non furono che disposizioni nelle
apparenze fenomeniche, la morale un mutare di co¬
stumi, le idee una metamorfosi delle sensazioni. La
superlicialità rese tutto facile, e la volgarità parve
la sicurezza del reale. L’uomo, senza lo spasimo del¬
l’infinito nel cuore e la luce divina nel pensiero.
I La Hiuolta ideale^ ed. Laterza, p. 19.
appendice
489
ritliscese neiranimalità, ultimogenito di una serie,
anziché primogenito della creazione > ‘
Contro questa degradazione positivistica o indu¬
striale, che annulla le grandi conquiste ideali dello
spirito, e si riassume nell’individualità nuda e ato¬
mistica e neH'umanità identica e vuota, e abbassa la
coscienza all’inconscio, la responsabilità all’eredità
del passato, la creazione all’associazione, l’Oriani,
echeggiando alcuni concetti dell’idealismo, si affer-
ina fautore di un superiore individualismo, in cui fa
consistere l’originalità del pensiero nio-derno. Ed
enuncia il principio che l’individuo non è tale che
nell’unità delle proprie antitesi: sopprimete in lui
il temperamento della razza, il carattere della nazio¬
ne, la lìsonomia della famiglia, e la sua originalità
si annebbia. Ma l’individualità vera non è quella
che si allerma nell’isolamento ; la grandezza del-
rindivi'duo si misura dalla quantità delle anime che
può assorbire e significare: nessun individuo ha
niente da dire finché parla di sé stesso. E l’inclu¬
sione, in esso, di un più vasto mondo, crea la sua
responsabilità storica, momento negativo essenziale
di quella liberazione e sublimazione del mondo, che
si compie nell’alTermazione piena di sé stesso. L’in¬
dividuo è la storicità vivente: «bisogna affermare,
esclama l’Oriani, che tutto quanto forma il nostro
spirito è un legato della storia per le generazioni
future, quindi il nostro interesse nel presente sol¬
tanto un’eco del passato, che ridiventerà voce ncl-
l’avvenire. Ogni cooperazione umana aumenta di re¬
sponsabilità crescendo d’importanza, giacché la su¬
periorità non è che il diritto di soffrire più in alto,
pensando per quelli che non pensano, amando per
> Op. cit., p. 59.
490
APPENDICE
quelli che non amano, lavorando per quelli che non
possono» E questa sublimazione deH’uinanità nel-
rindividuo, forma la sua libertà concreta, libera¬
trice, che non discorda dalla necessità, ma ne è la
coscienza immanente.
L’affermazione di essa si compie attraverso i gradi
necessari della progressiva complicazione della vita
umana; la famiglia, la nazione, lo stato, l’umanità;
cioè attraverso le successive negazioni della sogget¬
tività, che si riconquista, integra, solo al termine
del laborioso pellegrinaggio. Quindi nella famiglia
gli sposi debbono sparire nei genitori sacrificandosi
alla devozione dei figli; quindi nella società gl’inte-
re.ssi individuali saranno sempre subordinati a quelli
<li gruppo: il progresso spirituale si affermerà ac¬
cettando tale necessità invece di subirla. Giova tut¬
tavia sperare che le scienze possano mutare i modi
ilell’industrialismo, rendendo la personalità all’ope¬
raio nel lavoro: fino a quel giorno l’irreggimenta-
zione dovrà durare, e la coscienza della libertà sof¬
frire in tale contradizione. E di fronte allo Stato,
la libertà dovrà assumere l’autorità come sua legge; »
e di fronte al governo, le moltitudini, emancipate ^
prima di essere libere, hanno bisogno di vedere in
un’aristocrazia morale ed intellettuale la figurazione
della propria vita per intenderla: non più certa¬
mente nelle vecchie aristocrazie di casta, per sempre
tramontate, ma in quelle che traggono vita dall’ec- a
cedenza degl'individui. Solamente in queste nega- %
zioni, l'individualità, vaga al principio, acquista
una fìsonomia distinta e si libera trasfigurando nella
.spontaneità della coscienza la necessità delle leggi
che regolano la vita umana.
1 Op. cil., p. 86.
APPENDICE
491
Questo criterio filosofico guida l’Oriani nel suo
lungo ercursiis aitraverso le forine e le figurazioni
principali della realtà storica contemporanea; spesso
egli trova accenti profondi e propri, chiedendo
alla rivelazione della poesia quei che la sua ondeg¬
giante filosofia non sa spiegargli; ma talvolta, pur¬
troppo, dove la poesia non lo soccorre, egli sup¬
plisce con l’enfasi oratoria, che guasta molte, troppe
pagine dei suoi libri. .\ suscitare una crisi nella
mentalità positivistica della storiografia del suo
tempo, le forze dell’Oriani erano inadeguate; e del
resto bisognava che la crisi del positivismo comin¬
ciasse a maturare da sé.
Nell’esaminare il pensiero contemporaneo ab¬
biamo già mostrato che i nuovi spunti idealistici
procedono dalle prime discussioni critiche sui dati
immediati della coscienza, cioè dal positivismo stesso
in quanto si converte gradualmente in una forma
ipercritica di empirismo. Solo attraverso questa im¬
manente e spontanea esigenza spirituale ha potuto
innestarsi la nuova speculazione idealistica. Un
identico processo noi osserviamo nel campo delle
scienze storiche. Anche qui una coscienza veramente
filosofica non poteva maturare che nella crisi del
niologismo vuoto di pensiero e del positivismo so¬
ciologico, dalla rivendicazione spirituale dei dati
immediati dell’esperienza storica: i fattori econo¬
mici. La cosi detta scuola del materialismo storico,
assumendo l’economia come criterio immanente della
interpretazione dei fatti, ha esercitato una funzione
affine a quella delle scuole empiristiche e intuizio¬
nistiche, rinnovatrici della nostra cultura filosofica.
L’economia non è stata per essa una bruta mate¬
rialità negatrice di ogni autonomia spirituale, ma
le si è svelata come una forma elementare e primaria
492
APPENDICE
di vita psichica, capace d’imprimere il proprio ca¬
rattere in tutte le altre forme. Noi già abbiamo os¬
servato, nell’esame del marxismo, il potente ac¬
cento d’idealità con cui esso eleva il significato
della lotta sociale; lo stesso marxismo, come canone
storiografico, vivifica la storiografia mo<lerna. sot¬
traendola alle influenze della letteratura e chiaman¬
dola all’attualità degl’interessi più vitali della so¬
cietà contemporanea.
Tutti i fautori del materialismo storico, dal La¬
briola che e il teorico <lella scuola, al Ciccotti, al
Salvemini, ul Volpe, hanno un accento reali.stico, un
senso della concretezza dell’intuizione storica, che
molto contrastano con l’astrattismo dei sociologi e
con la minuta e vuota pedanteria dei filologi; gli ul¬
timi scrittori citati sono i rappresentanti migliori di
una più moderna scuola che col nome di economico-
giuridica si distacca alquanto dal materialismo sto¬
rico in cerca di una visione .storica più comprensiva.
Il campo dove più particolarmente convergono le
indagini <lel nuovo indirizzo è la vita dei comuni,
còlta alle sue origini. Ma. come osserva il Volpe,
l’interesse della ricerca è molto diverso da quello
che moveva i ricercatori del secolo XJX, che nel mu¬
nicipio antico vedevano la prima pietra del comune
italiano: teorie che però hanno valore per la storia
di quel secolo, costituendo documenti preziosi di
quelle borghesie nazionali, che allora lottavano per
rivendicare a sé stesse il proprio passato, per crearsi
una patria e animarla col soffio delle memorie *.
Oggi invece nel comune si guarda il primo fermento
di una vita economica che si rinnova e che già pre¬
para il rinascimento e il mondo moderno; e nelle
» G. Volpe, Questioni fondnmeniaii sulVorigine e svolgi-
mento dei comuni italiani, Pisa, 1904, p. 13.
APPENDICE
493
lolle Ira guelfi e ghibellini si rifugge ‘ dal ricono¬
scere un episodio slereolipo del secolare duello Ira
l’iiiipero e il papalo, cercandosi invece d’individuare
i veri inleressi in conllillo. Per il Volpe, la sloria
dei comuni è sloria del progressivo dilferenziamenlo
del primilivo embrione comunale; differenziamento
che è insieme coordinazione e allacciamento delle
singole unità ^ In contrasto con l’individualismo
feudale, l’età del Comune, età del progresso sociale,
deH’organaraento serrato, delle alleanze continue tra
città e città, comincia a darci l’c uomo », che ha
valore in sé e per sé, nella teoria filbsofica e nella
pratica, l’c uomo », come coscienza e come artefice
di storia, quello che è soggetto e oggetto della cul¬
tura del Rinascimento, nell’Umanesimo
Questi son primi tentativi di un ripensamento
della storia secondo categorie mentali, in contrasto
con le collezioni di fatti ed arguzie erudite di cui si
appagava la generazione precedente. Certo, ad elTet-
tuare un rinnovamento profondo degli studi storici,
la preparazione filosofica dei nostri storiografi è an¬
cora inadeguata; ma sopravviene opportuno, in loro
soccorso, l’odierno indirizzo storicistico della filoso¬
fia italiana e l’esempio vivo della più recente operosità
del Croce. Cosi comincia a entrare nello spirito del¬
l’educazione moderna il convincimento che una seria
cultura storica non è dissociabile da una seria pre¬
parazione filosofica e che gli elementi della sintesi
vichiana di filosofia e filologia non possono, senza
reciproco sterilimento, vivere isolali. Gli storici,
memori delle loro più alte tradizioni, sono naturai-
1 Salvemini. Magnati e popolani in Firenze, ecc., Firenze.
1899.
3 G. Volpe. Studi sulle istituzioni comunali a Pisa, Pisa,
1902, p. 423.
* G. Volpe, Questioni, ecc., p. 35.
494
APPENDICE
mente i primi a riconoscere la necessità di formare
filosoficamente la propria mentalità; ma questa esi¬
genza non tocca essi Esclusivamente, bensì vale, in
genere, per i cultori di tutte le discipline, ciascuna
delle quali lavora sopra un contenuto profondamente
storicizzato, ed è in contatto coi fatti, solo in quanto
è in contatto con la mentalità storica che li possiede
e li realizza. L’educazione filosofica che oggi si ri¬
chiede in ogni studioso, non è più quella che, se¬
condo il costume positivistico, doveva amalgamare i
risultati ultimi delle diverse scienze, ma quella che
invece si atlua, in profondità, anche neH’àmbito di
ciascuna scienza particolare, compenetrando di pen¬
siero l’oggetto della ricerca e vincendone la resi¬
stenza e la passività nella luce della coscienza.
Noi osserveremo tra breve come questa esigenza
si vada gradualmente appagando nelle singole disci¬
pline; ma v’è un’opposta tendenza che vi contrasta,
e che fa capo all’indirizzo sociologico ancora rigo-
glio.so. Le scienze sociali, quelle che meglio di tutte
si presterebbero ad una elaborazione storico-filoso¬
fica — - se non altro perché ad esse, prima che alle
scienze ilella natura, il pensiero ha applicato la
grande massima che l’uomo conosce ciò ch’è opera
sua — ^ sono ancora alla loro fase astrattamente socio¬
logica e positivistica. Senza fermarmi alla pleiade
degli scrittori minori, io mi limito a richiamare l’at-
lenzione suH’esempio più cospicuo e recente di un
uomo che generalmente si apprezza in Italia come
un grande maestro, voglio dire di Vilfredo Pareto,
lo ho letto il suo Trattalo di Socioloffia generale ‘
con un senso di grande mestizia, osservando come
uno scrittore di cosi grande erudizione storica, di-
» Due volumi in 4o, di quasi 1700 pagine (Firenze, 1916).
APPENDICE
495
cosi acuto senso politico e <Ii cosi simpatica austerità
scientilica, sia riuscito a vanificare le sue eminenti
qualità in un'opera astrattamente e meccanicamente
congegnata. La fobia filosofica che traspare in ogni
linea (e diventa quasi una mania di persecuzione), il
pregiudizio che le azioni umane possano tagliarsi a
fette e catalogarsi come qualunque merce, la cieca
(iducia nella capacità delle matematiche alle più ete¬
rogenee applicazioni, hanno prodotto la Sociologia
del Pareto.
L’atteggiamento dell’autore è multo analogo a
quello dei critici ilella scienza (Poincaré, Mach, ecc.),
aborrenti da ogni ricerca delle essenze e usi a con¬
siderare il procedimento scientifico come un com¬
plesso di finzioni utili. Egli va anche più oltre:
« Ricerchiamo, dice, le uniformità che presentano i
fatti, alle quali uniformità diamo altresì il nome
di leggi; ma i fatti non sono sottomessi alle leggi,
bensì le leggi ai fatti > '. £ il solito pregiudizio lo¬
gico-formale, che svaluta il pensiero nell’atto stesso
in cui intraprende la sua ricerca, abbassando le leggi
al di sotto della massa caotica dei fatti. E il Pareto,
non certamente a sua lode, ci dà un’applicazione
esatta del suo principio, con l’addensare prodigiose
masse di esempi e con lo svuotarle in pretese leggi
ed insignificanti uniformità, che rappresentano il
residuo di una morta astrazione. Egli vuole classifi¬
care le azioni umane secondo i principi della clas¬
sificazione detta naturale in botanica e in zoologia;
anzi, neppure le azioni concrete formano oggetto
della sua elaborazione, ma gli elementi di quelle
azioni; «Del pari (sic) il chimico classifica i corpi
semplici e le loro combinazioni, e in natura si tro-
> Op. et'/., p. 64.
496
APPENDICE
«
vano mescolanze di tali combinazioni. Le azioni
concrete sono sintetiche; esse hanno origine da me¬
scolanze (!), in proporzioni variabili (!!), <legli ele¬
menti che dobbiamo classiTicare » Ecco la mode¬
stia del botanico sociologico: prima ci afferma che
le sue scomposizioni sono artificiali e fittizie, poi a
forza di operarle, finisce per convincersi che real¬
mente le azioni umane sono complessi atomistici dei
suoi ingredienti da laboratorio. Grattate un po’ il
suo pomposo criticismo, e vi troverete sotto il più
ingenuo e fanciullesco materialismo!
Continuando, egli ci presenta la prima partizione
generale delle azioni, in azioni logiche, « che uni¬
scono logicamente le azioni al fine, non solo rispetto
al soggetto che compie le azioni, ma anche rispetto
a coloro che hanno cognizioni più estese», e in
azioni non logiche, nelle quali il nesso è soltanto
immaginato ma è privo di valore aggettivo. E giù,
in base a una distinzione tanto impalpabile, quadri
sinottici, grallci, complicazioni di sottoclassi e sotto¬
specie; giù caterve di esempi, per centinaia di pa¬
gine filate. Una ulteriore classificazione che s’intrec¬
cia con la precedente è quella che distingue, al
seguito delle azioni, le teorie e le opinioni in residui,
che compendiano sentimenti e istinti meno soggetti
a variazioni, e in derivazioni, che rappresentano le
elaborazioni logiche, le spiegazioni e deduzioni degli
elementi primordiali Noi non c’indugeremo a
lungo su quest’arte tulliana; ci basti dire che il
costrutto che il Pareto vuol ricavare da questo ar¬
meggio di formule è una teoria generale deH’equili-
brio sociale in base alle proprietà dei residm e delle
' Pabeto, Trattato di sociologia generale. I, p, 27.
2 Ibid., p. 416.
APPENDICE
497
(ierivazioni. E il risultato ultimo, conseguibile anche
senza il mastodontico apparato matematico-bota¬
nico-zoologico, è il principio ■della circolazione delle
« èlites », deiravvicendamento storico delle aristo¬
crazie
Io non voglio dire che tutta l’opera del Pareto
sia un insieme di siffatte vuotaggini; non sarebbero
bastate anche all’autore le forze per una cosi lunga
fatica. L’opera è ricchissima di riferimenti storici
che conferiscono interesse a dispetto delle astrazioni
e delle formule; ma è un interesse slegato, frammen¬
tario, come quello che può suscitare una rivista eb-
«lomadaria o un dizionario tipo Larousse. Un’erudi¬
zione storica che non sia penetrata da un pensiero
centrale animatore, che non abbia una prospettiva
veramente storica, ma che avvicini i fatti nel più
ibrido miscuglio, non può certamente avere pregio
scientifico. Ma è caratteristico notare nel Pareto
l’esempio tipico di una indiff erentia oppositorum,
per cui egli passa naturalmente dal più astratto sche¬
matismo matematico al più minuto particolarismo
storico: l’uno e l’altro traenti origine dalla stessa
incapacità di assumere una posizione centrale e di
possedere concretamente i fatti nel pensièro.
Mentre nelle scienze sociali si è formato un « pa¬
retaio », secondo l’immagine di un arguto econo¬
mista, altrove invece si possono notare segni di un
grande raccoglimento spirituale, di una compren¬
sione filosofica approfondita dei problemi delle varie
scienze. La storia della filosofìa, per evidente affinità,
è la disciplina che prima di tutte s’è illuminata alla
luce della rinnovata coscienza filosofica: un tempo
^ Op. cit.f voIm n, p. 476 Hgg.
G. DE Ruggiero. La filosofìa contemporanea.
32
I
498 APPENDICE
matcrin di aride ricerche erudite, diviene oggi un
quadro sempre più vivo della mentalità umana nel
suo sviluppo. L’esempio del Croce e del Gentile co¬
mincia a portare i suoi frutti; un numero sempre
crescente di studiosi lavora a tradurre, a illustrare,
a ricostruire i sistemi classici della filosofìa antica
e moderna e a tracciare la storia dei grandi periodi
della speculazione tilosofica. Le scienze pedagogiche
anch’esse si rinnovano: il concetto dell’educazione
del Gentile, espresso dall’unificazione e compenetra¬
zione tra maestro e scolaro nella soggettività supe¬
riore dell’identico spirito che dovendo discit e di¬
scendo dovei, anima il lavoro del Lombardo Radice e
di altri, e prepara quel risveglio della scuola e quella
fusione di e.ssa con la vita che formano una viva esi¬
genza del nostro tempo. Anche la critica letteraria e
artistica si rinnova, iniziatore il Croce, e, moventisi
nell’orbita dei suoi problemi, con animo di prosecu¬
tori o di oppositori, il Uorgese, il Cecchi, il Gar-
giulo, il Momigliano, il Rus.so, il Flora ed altri an¬
cora (la guerra ha portato via alcuni dei meglio
dotati, il Serra, il Petraccone). La storia delle reli¬
gioni, dopo una lunga sonnolenza che aveva tagliato
l’Italia fuori- del grande movimento storiografico
europeo, comincia a risvegliarsi, compresa del nuovo
spirito filosofico, col Bonaiuti, col Salvatorelli, con
rOmodeo. Ricorderò di quest’ultimo il libro su Gesù
e le origini del Cristianesimo, primo anello di una
serie in cui l’autore si propone di ricostituire il
lungo e laborioso periodo delle origini cristiane, da
un punto di vista filosofico e filologico insieme, cioè
schiettamente storico. Conforme al principio critico
della reciproca conversione tra le res gesl'ae e Vhisto-
ria rerum, egli considera le fonti insieme come testi¬
monianze e come materiale di storia, integrando le
APPENDICE
499
negazioni critiche sulla loro attendibilità col valore
positivo die ad esse compete come res gestite. L’iper¬
critica negativa del puro lìlologismo viene cosi sor¬
passala coi suoi stessi mezzi e la storia assume
(luella positività che costituisce il suo intrinseco si¬
gnificalo.
Accennerò solo di sfuggita a due scrittori molto
caratteristici dell’Italia contemporanea: il Papini e
il Prezzolini, non legati a nessun interesse scienti¬
fico particolare, ma che tuttavia hanno il loro posto
in un’età di grande fermento spirituale. Il primo
esordi giovanissimo con un curioso libro dal titolo
H crepuscolo dei filosofi, in cui pretendeva di am¬
mazzare, filosoficamente, tutte le filosofie: libro molto
liiseguale e ingenuo per la foga con cui sfondava
usci aperti o colpiva muri scambiandoli per usci.
Attorniatosi degli ingegni giovanili più rivoluzio¬
nari, il Papini fondò nel 1903 una battagliera rivista,
il Ijeonardo, che più d’una buona campagna so.stenne
contro il costume accademico degli studi e la pigrizia
mentale della terza Italia; e, se non seppe imprimere
un indirizzo proprio alla cultura, pure riuscì a vivi¬
ficarla, ponendola a contatto della letteratura e della
filosofìa straniera. Il pragmatismo e l’intuizionismo,
che tanta inlluenza hanno esercitato sul pensiero ita¬
liano, si sono acclimatati tra noi particolarmente
per merito del Papini e del suo circolo. Finito il
Leonardo per la dispersione degl’impazienti redat¬
tori, e fallito il tentativo d’intraprendere, in colla¬
borazione con l’Amendola, un lavoro più stretta-
mente fìlosolìco (nella rivista L’.\nima, che durò
poco), il Papini ha seguitato da solo la sua rapsodica
via. Scrittore fecondissimo e letterariamente eflicace,
è passato attraverso lutti i sistemi filosofici, come
sospinto da un demone anti-filosofico, che gl’ispirava
500
APPENDICE
la più mordace ironia verso ogni sistema irrigidito
di pensiero. E tuttavia egli non è uno scettico, ma la
sua recente conversione al cattolicismo, nelle appa-
renze più ortodosse ed edilicanti, ha rivelato, in
fondo alle sue insofferenze ed agitazioni, il bisogno, a
lungo inespresso e deviato, di un ijuietum servitium.
Il suo amico Giuseppe Prezzolini, compagno di
lavoro del Leonardo, crociano più per entusiasmo di
adesione giovanile a un grande movimento fdosofico
che per affinità mentale, ha fondato e diretto per
vari anni un giornale fìlosofico-letterario La Voce,
che ha degnamente proseguito la tradizione leonar¬
desca. Egli si è assunto per un certo tempo il com¬
pito <Ii spirituale informatore del pensiero italiano
e l’ha adempito con scritti propagandistici sulla fdo-
sofia del Croce, sul modernismo, sul pragmatismo,
sul sindacalismo, ecc.
3. OniENTAMENTi FILOSOFICI. — E torniamo ora
alla tìlosolia propriamente detta. Quella tendenza
testé notata, secondo la quale il pensiero filosofico
mira a esorbitare dagli angusti quadri assegnatigli
dalla tradizione, e ad informare di sé le scienze par¬
ticolari, o più geneialmente ad erigersi in categoria
immanente della pensabilità e quindi della realtà di
tutte le cose, quella stessa tendenza si esercita an¬
che neH’àmbito delle scuole tìlosoflche e spezza le
rigide linee dei loro sistemi. Col farsi più aderente
alla realta, la filosofia necessariamente abbandona il
fantastico compito di fissare e d’isolare tutto in
una volta il proprio mondo dei concetti, e, come la
vita stessa, parziale sempre e insieme totale nel suo
procedere per continue determinazioni, continua-
mente trascese dalla forza interna che le pone, cosi
APPENDICE
501
anche la filosofia tende a svolgersi nel ritmo dei suoi
problemi particolari, elevando a un valore univer¬
sale, cioè spirituale, le parziali sistemazioni che
l’esperienza della vita esige. Se il mondo non è dato
in una volta nell’esperienza degli uomini, ma si dà
in essa gradualmente con l’originalità di una crea¬
zione a cui null’altro preesiste se non il vuoto delle
forme mentali (testimonianza di un’apriorità che si
dimostra anche nella desolazione dell’isolamento e
del silenzio), la fdosolla non può a sua volta esser
data come un tutto statico, come un sistema, ma si
dà come un graduale possedersi nel pensiero di quel
che gradualmente si fa nell’esperienza. vecchie
Somme tramontano e sono sostituite dal Saggio;
vale, lilo.soficamente, l’autocoscienza del lavoro uma¬
no, l’atto cioè con cui il pensiero rivendica a sé
un’opera propria naturata nelle cose, e cosi la svolge,
svolgendo insieme sé stesso. Non altro che questo è
la lilosofia: cosa altrettanto facile ad enunciarsi,
quanto diflicile a praticarsi.
Ecco perché noi, oggi, possiamo segnalare nuovi
ingegni, nuovi temperamenti filosofici (alcuni ne ab¬
biamo citati nelle pagine precedenti), più che nuove
filosofie nel significato classico della parola; quelle
stesse, anzi, che (nella IV parte di questa opera) ab¬
biamo veduto formarsi negli ultimi anni, tendono a
spogliarsi della loro struttura sistematica. Per parlar
di queste ultime, nelle fasi più recenti del loro svi¬
luppo, siani costretti a fermarci su pochissimi nomi:
il Ooce, il Gentile, e, come sintomo di una tendenza
mentale che mira a costituire una opposizione al¬
l’idealismo, ma non ha ancora la pienezza di unél
fisonomia ben fissata, aggiungeremo il nome del
Varisco.
Di quest’ultimo abbiamo già esaminato i Massimi
502
APPENDICE
l'rohlemi, l'opera che segna il passaggio da una
concezione positivislica, professata per l’addietro, a
una forma di mitigato realismo idealistico. Ad essa
ha tenuto dietro un’altra opera dal titolo Conosci te
stesso (.Milano, li)l‘2), che meglio precisa alcuni punti
della nuova Tdosotìa del Varisco, e che perciò vo¬
gliamo brevemente analizzare. L’autore insiste sul
carattere policentrico della realtà, che forma la nota
differenziale del suo sistema rispetto all’idealismo
che pone l’unità «lei soggetto assoluto. Il Varisco,
invece, mentre accetta il principio idealistico che,
senza il soggetto, l’universo fenomenico è non sol¬
tanto inintelligibile, ma totalmente nullo, ritiene,
poi, che ci sia una pluralità di soggetti in atto, a
guisa di monadi, ciascuno dei quali < unifìca e in¬
centra » dal suo punto di vista il mondo dei feno¬
meni. La giustificazione di questo pluralismo è data
da un’inferenza sensibile: le resistenze, che ogni
processo soggettivo incontra alla propria esplica¬
zione, si organizzano e si fondono in un altro centro,
che l’analogia lascia supporre simile al precedente.
Ciò vale anche per i cosi detti oggetti esterni : « La
ragione delle ragioni, egli dice, per cui non credo
svanito lo specchio, quando io me ne vado, sta nella
testimonianza dell’altro soggetto, il quale mentre io
sono assente lo vede »
Questo processo inframonadico, considerato da
un punto di vista superiore, può essere raiipresentato
come un complesso d'interferenze tra i vari soggetti,
in modo che Tesserci di ciascuno di essi ha per
sua condizione Tesserci degli altri, e che, in ultima
istanza, la molteplicità dei soggetti è riducibile al¬
l’unità. In altri termini, ciascun soggetto, csplican-
Varisco. Conosci te stesso. 1912, introd., p. xvii.
APPENDICE
503
dosi, implica tutti gli altri, per il fatto che « il
suo esplicarsi, vincendo le resistenze opposte del-
l’esplicarsi di altri soggetti, è appunto un impli¬
care gli altri soggetti ». Questa implicazione-espli¬
cazione forma l’unità più alta, il sistema dei centri
soggettivi.
Il Varisco tenta cosi di costituire un realismo
che, accogliendo alcune esigenze innegabili dell’idea-
lismo, si sottragga poi alle diilicoltà contro le quali
urta il soggetto unico: impenetrabilità delle monadi,
solipsismo, ecc. Ma a parte il fatto che queste dillì-
coltà sono immaginarie, e derivanti in gran parte
dall’inadeguata cognizione di quel che sia il .soggetto
asso’uto deirkiealismo, la tesi realistica è incapace
di legittimare la propria posizione, cioè quel punto
di vista superiore, dal quale soltanto è possibile scor¬
gere la compresenza e la coimplicazione dei soggetti.
Per fare ciò, essa deve necessariamente trascendere
la sfera soggettiva — ^mentre ha riconosciuto che al
di là del soggetto non v’è nulla: difTicoltà di non
poco momento per una filosofia della conoscenza,
perché pone in quistione non soltanto l’unità ultima
del reale, ma l’unificazione stessa dei reali, che co¬
stituisce il conoscere. L’unità dei soggetti, della co¬
scienza o dell’appercezione che dir si voglia, non si
può relegare, come fa il 'Varisco, tra le ipotesi ul¬
time e più vaghe, ma è la condizione a priori della
conoscenza empirica; ora, se la si pone come una
esigenza che trascende i soggetti singolarmente
presi, e dati come coesistenti, il conoscere è reso
impossibile.
A che si riduce infatti quella unità, secondo il
Varisco? Giunto alla fine del suo libro, egli dice:
« L’accadere, se implica le molte spontaneità [i sog¬
getti], implica insieme la loro unità. Se no, non ci
504
APPENDICE
sarebbe neanche l’interferire, cioè l’accadere, non
ci sarebbero neanche le singole spontaneità. E que¬
sto comune a tutti è l’essere indeterminatissimo,
queU’essere che un soggetto non può non pensare,
senza cessar di esserci, e del quale ogni soggetto e
ogni fatto è una determinazione >. E lascia impre¬
giudicato l’ulteriore problema se siffatto essere sia
impersonale (panteismo) o personale (teismo). Trop¬
po a buon mercato! Il compito di una metalisica
del conoscere comincia proprio qui, dove il Varisco
si arresta perplesso: ma egli è arrivato esaurito,
con un « essere indeterminatissimo », proprio dove
l’idealismo concentra la massima concretezza dello
spirito. Il suo errore è comune a tutta la «metafisica
dell’essere », che vuota progressivamente, lungo la
scala degli esseri, i suoi concetti, e cerca infine <ii
battezzare con numi altisonanti i magri residui e di
legittimare per mezzo di essi le sue costruzioni pre¬
cedenti. Cosi facendo, non conquista Dio e non
fonda la conoscenza, cioè non legittima sé stesso: il
suo pluralismo degli esseri resta una realtà campata
tra cielo e terra, perché non si giustifica né di fronte
a Dio, né di fronte alla conoscenza umana; resta
— per dirla benevolmente — nella regione angelica,
tra eteree figure senza sesso.
Tutto sommato, questi ultimi decenni di attività
filosofica italiana si compendiano, ancora, quasi to¬
talmente nell’opera del Croce e del Gentile, che ha
creato le tesi e le antitesi della nuova filosofia. Ab¬
biamo infatti osservato che i tentativi, ancora deboli
del resto, di creare un’opposizione, si svolgono dalle
stesse premesse filosofiche di quei pensatori.
Nella 1' edizione di questa Storia, io ponevo il
Croce e il Gentile in un ordine di successione ideale.
APPENDICE
505
considerando l’opera del secondo come la prosecu¬
zione e la critica di quella del primo. Era un errore
di prospettiva, perché le due mentalità, malgrado
i notevoli punti di contatto, si svolgono indipen¬
dentemente runa dall’altra, ciascuna riassumendo
una particolare tradizione di pensiero. Nel piccolo
libro che ha per titolo: Contributo alla critica di me
stesso ‘, il Croce fa alcune preziose confessioni in¬
torno alla sua genesi mentale, mostrandoci com’egli
si sia filosoficamente formato attraverso l’herbarti-
smo del Labriola e l’estetica desanctisiana, indipen¬
dentemente da Hegel e da Spaventa. Hegeliano, egli
ci dice che non è mai stato; il suo ell'ettivo interes¬
samento per Hegel è sopraggiunto in una fase già
matura dello sviluppo intellettuale (1905); in modo
che egli, pur attingendo copiosamente alle dottrine
particolari del filosofo tedesco, ha potuto in breve
prender posizione di fronte a quel sistema nel suo
complesso, senza le tormentate crisi dello Spaventa
e del dentile. Quanto ai rapporti con lo Spaventa,
poi, il Croce afferma che sono stati assai scarsi, per
la profonda diversità d’indole che da lui lo divi¬
deva : < Perché lo Spaventa proveniva dalla chiesa
e dalla teologia; e problema sommo e quasi unico
fu sempre per lui quello del rapporto tra l’Essere e
il Conoscere, il problema della trascendenza e della
immanenza, il problema più specialmente teologico-
filosofico; laddove io, vinte le angosce sentimentali
del distacco dalla religione, mi acquietai presto in
una sorta d’inconsapevole immanentismo, non inte¬
ressandomi ad altro mondo che a quello in cui effet¬
tivamente vivevo, e non sentendo direttamente e in
• Opuscolo fuori commercio, scritto nel 1915 e pubblicato
a Napoli, 1918, tradotto poi nella Keuue ile Mèlaiihiisìque et
de Morale del gennaio 1919.
506
APPENDICE
primo luogo il problema della trascendenza, e per¬
ciò non incontrando dilRcoltà nel concepire la re¬
lazione tra pensiero ed essere, perché, se mai, la
difficoltà sarebbe stata per me il contrario: conce¬
pire un essere staccato dal pensiero o un pensiero
staccalo dall’essere >
Cosicché, mentre il Gentile è venuto fuori dalla
tradizione propriamente hegeliana, che ha avuto
nello Spaventa uno dei suoi esponenti maggiori, il
Croce ha subito solo rinilusso indiretto <li essa,
essendosi più direttamente formato sul Vico e sul
De Sanctis. La posizione reciproca dei due pensatori
contemporanei è molto analoga perciò a quella dei
due grandi predecessori. Spaventa e De Sanctis, che
essi sorpassano però di gran lunga per ampiezza di
preparazione lilosolica e sviluppo di pensiero spe¬
culativo.
Questa diversa genesi vale a spiegarci come, ne¬
gli ultimi anni, l’opera dei due pensatori si sia an¬
data svolgendo per vie affatto divergenti; il Croce
tendendo a sorpassare la fase costruttiva e sistema¬
tica del suo pensiero speculativo, per risolvere la
filosofìa nella storia; il Gentile invece tendendo ad
organizzare e ad accentrare gli elementi della sua
filosofìa, che prima erano sparsi e diffusi nei suoi
scritti di storia della filosofìa.
Inoperosità <iel Croce, notevolissima anche in
questi ultimi anni, si è principalmente manifestata
nella metodologia storica e nella filosofia dell’arte.
In quest’ultima, egli non ha mutato il piano gene¬
rale della sua Estetica, ma ha approfondito e meglio
determinato, secondo le esigenze che gli suggeriva
la pratica della critica letteraria, molti problemi
' Oli. di., pp. fi2-63.
•\PPEND1CE
507
particolari, che nei precedenti lavori rivelavano qual¬
che incertezza. Cosi, ne La riforma della storia lette¬
raria e artistica [Critica, 1918), è giunto alla conclu¬
sione che « la vera forma logica della storiografia
letterario-artistica è la caratteristica del singolo ar¬
tista e dell’opera sua, e la corri.spondente forma di¬
dascalica, il saggio e la monografia ». In questo modo
egli ha nettamente differenziato la sua posizione da
quella del De .Sanctis, che, sotto Tinflusso hegeliano,
ammetteva la possibilità di concepire una storia
della letteratura come progresso immanente alla
forma artistica in quanto tale. In un altro saggio: Il
carattere di totalità dell'espressione artistica {Cri¬
tica, 1918), il Croce ha svolto la tesi che: «dare
al contenuto sentimentale la forma artistica è dar¬
gli insieme l’impronta della totalità, l’afllatto co¬
smico; e in questo senso, universalità e forma arti¬
stica sono tutt’uno » — , integrando cosi la tesi già
da lui affermata dell’individualità dell’espressione.
Finalmente, in un terzo saggio: L’arte come crea¬
zione e la creazione come fare (Aiti dell’Acc. Pon-
taniana, 1918), egli ha mostrato entro quali limiti
e con qual significato può aderire, dal suo punto di
vista, alle recenti concezioni dell’idealismo del Gen¬
tile *.
Il carattere di questi saggi teoretici s’illumina
più vivamente nella pratica esplicazione che il Croce
ne dà nella sua critica letteraria, la quale negli ul¬
timi anni va assumendo un’importanza maggiore
che nei precedenti, avendo ogni nuova monografia
il compito di chiarificare e di svolgere una tesi spe¬
culativa. Cosi, per esempio, il saggio sull’Ariosto
1 Questi ed altri scritti sono raccolti nel voi. ora pubbli¬
cato di Snooi saggi di esieiica (Bari, 1920).
508
appendice
forma il necessario complemento della enunciata ri¬
forma della storia letteraria e artistica, in quanto
che il Croce, dimostrando, contro il De Sanctis, che
l’arte dell’Ariosto non è nella forma indifferente al
suo contenuto, ed anzi è aderente, come un velame
di sentimento, a quel contenuto, tende cosi a spezzare
la costruzione della storia letteraria desanctisiana e
a risolverla nei suoi elementi monogralìci. CjOsi an¬
che il saggio sullo Shakespeare — che è finora il
maggior cimento critico del Croce ribadisce 1 al¬
tra tesi su) carattere di totalità dell’espressione arti¬
stica, mostrando immanenti all’arte, come pura arte,
quei molteplici interessi etico-psicologici della vita
umana che altri vorrebbe insinuare in essa dal¬
l’esterno, e realizzando, nella sfera Stessa della pura
liricità, una genesi ideale <lello spirilo che nulla
lascia fuori di sé e annulla i vani problemi che la
curiosità cronologica avrebbe posti alla storia.
D’interesse anche maggiore sono le indagini che
il Croce ha dedicato alla metodologia storica: la sua
opera: Teoria e storia della storiografìa (Bari. 11)17),
che forma il 4’ volume della Filosofìa dello Spirito,
nelfappareiiza di compiere con una conclusione le
tre parti precedenti, costituisce invece la correzione
di esse, almeno nella loro struttura sistematica.
Quivi il Croce, non appagato dal formalismo che
presiedeva aH’unilìcazione da lui precedentemente
tentata della lilosolia e della .storia nel giudizio lo¬
gico, lavora per una unificazione meno simbolica e
pili concreta. Egli intende la storia, antica o recente
che sia, in rapporto all’oggetto, sempre come .storia
contemporanea, relativamente al soggetto presente
che la suscita e la crea, dando a questa presenza un
valore decisivo, che sovrasta e condiziona l’empirico
presente e l’empirico pa.ssato temporale.
appendice
509
Dalla teoria della storia come storia contempo¬
ranea— nella quale bisogna riconoscere grinllussi di
altre correnti lilosolìche italiane, che tuttavia non di¬
minuiscono la sua originalità ‘-il Croce trae gran
copia d’importanti corollari, dei quali possiamo
far cenno solo in iscorcio. Così, il rapporto tra
storia e cronaca è inteso nel senso che quella come
sintesi viva del sapere, precede la morta analisi in
cui la seconda si compendia -; cosi, la concezione
della storia come procedente dall’universalità del
soggetto, dello spirito, annulla la pretesa di una
storia universale (che trae origine dal pregiudizio
fìsico della cosa in sé) e della filosofia della s ona
intesa come un corpo di dottrine. Ancora, contro il
mero progresso all’inlinito o al finito, e «nccnmh'
la finalità interna del processo storico, che fa tut-
t’uno con esso, corapenetrante di sé gli opposti ter¬
mini Ed è mostrata fumanità della stona, nel piu
largo senso, inclusivo anche della storia della cosi
.letta natura: come deiruomo si può fare una s orm
naturale, cosi della natura si può fare una stona
umana, cioè spirituale, « sebbene a noi che 1 abbiamo
così gran tratto distanziata, sembra, a riguardarla
sommariamente e dairesterno e con occhio quasi di
stranieri, mummificata e meccanica »
Intesa la storia come realtà piena dello spinto,
che quindi appaga l’esigenza del pensiero filosofico
di possedere il reale nella sua concretezza, la filoso la
stessa, come figurazione spirituale distinta ed auto¬
noma, non ha più ragione d’essere; essa diviene un
semplice momento trascendentale della conoscenza
. SI veda, del resto. l'addentellato di essa
del capitolo sulla storia, nella Logica (1909). parte 11, c. ,
J^rcoria e storia della storiografia cit.. p. 119-
510 APPENDICE
storica, alla quale appresta le categorie della pensa-
bililà del reale. (), come il Croce si esprime: «La
filosofìa non può essere altro che il momento meto¬
dologico della storiografìa, dilucidazione delle cate¬
gorie costitutive dei giudizi storici... E poiché la
storiografìa ha per contenuto la vita concreta dello
spirito, e questa vita è vita di fantasia e di pensiero,
di azione e di moralità (o di altro, se altro si riesce
a escogitare) e in questa varietà delle sue forme è
pur una, la dilucidazione si muove nelle distinzioni
dell’Estetica e della Logica, dell’Economia e del¬
l’Etica, e tutte le congiunge nella Filosofia dello
Spirito » *.
In questa concezione, per chi ben guardi, v’è
più che l’antica identità alferinata dal Croce tra la
filosofìa e la storia; la prima infatti, considerata
come un momento ideale, come categoria della storia,
trova in quest’ultima il suo inveramento e la sua
sanzione. Come pura filosofìa, essa rappresenta qual¬
cosa di più semplice, che sta al di qua del processo
storico. Quindi, via via che si afTerma, nel pensiero
del Croce, sempre più viva l’esigenza storiografica, y
egli si viene atteggiando a liquidatore della filosofìa 1
come per sé stante. «Annullare l’idea della filosofia >
‘generale’ — egli dice nella prefazione alla .3' edi¬
zione della Logica (Ifllfi) — è insieme annullare il ^
concetto ' statico ’ del sistema fìlosolìco, surrogan-
dolo col concetto dinamico delle semplici ‘ sistema- 'J
zioni’ storiche dei gruppi «li problemi, delle quali
ciò che persiste e sopravvive sono i singoli problemi T
e le loro soluzioni e non già l’aggregato e l’ordina- 1
mento esterno, che ubbidisce ai bisogni dei tempi e
degli autori e passa con questi, o si serba e si am-
1 O/ì. cit., p. 136.
APPENDICE
511
mira solo per ragioni estetiche, quando pur abbia
tal pregio >.
In questa più recente fase, il Croce ha finito col
capovolgere la posizione iniziale del suo pensiero di
fronte al problema storico: passando via via dalia
considerazione della storia come arte, a quella che
ne fa una forma di realtà autonoma, inferiore alla
filosofìa, a quella deH’identità e reciprocità piena
con la filosofia, finalmente a quella della sopravva¬
lutazione della storia rispetto alla pura filosofìa, il
Croce ha, come si vede, descritto un ciclo, nel quale
dobbiamo riconoscere che il suo pensiero si è molto
arricchito ed ha sempre meglio appagato quell esi¬
genza verso la concretezza, che lo spronava. Nella
sua citata autobiografia mentale egli ci dice cl^e la
esigenza immanentistica è ormai cosi viva in lui,
che gli fa immaginare «non senza diletto > che
abbandonerà un giorno la filosofìa nel significato
comune, per narrare la « storia pensata ». Ormai egli
ha là preparazione necessaria per il nuovo cimento:
la Storia della storiografia italiana nel secolo deci-
inonono, che egli va pubblicando a puntate nella
2' serie della Critica può significare già un avvia¬
mento a questo indirizzo *.
Ma per un filosofo l’abbandono della filosofia non
può avere che un significato, a sua volta, filosofico
o dialettico; non certamente quello di un mero pas¬
saggio da una sfera di attività ad un altra. E per
ora, quell’abbandono ci viene spiegato nel suo più
vero senso dall’ultima monografìa filosofica che il
Croce ha pubblicato da qualche mese : Sulla filosofia
» Per la blbllografla e le discussioni intorno al pensiero
del Croce, rimando al voi. G. Casteli.aso, Introduzione allo
studio dette opere di B. Croce, note bibllograDche e critiche.
Bari, 1920.
512
APPENDICE
teologizzante e le sue sopravvivenze (Napoli, 1919),
(love i lilosofì stessi vengono incitati ad abbandonare
una folla di problemi insolubili, eufemisticamente
chiamati problemi massimi ed eterni. Per il Croce,
conforme al suo coerente immanentismo, vale il
principio deirunità del problema con la soluzione,
secondo il quale un problema acquista carattere di
problema solo nel punto in cui viene risoluto. Quindi
1 pretesi problemi insolubili, che formano il tor¬
mento di tutte le filosofie, sono in realtà non-pro-
blemi, ma miscugli ibridi di rappresentazioni e di
concetti, adeguati piuttosto ad alcune forme di espe¬
rienza religiosa anziché alle esigenze razionali dello
spirito. Tra questi primeggia il problema della co¬
noscibilità del reale, del rapporto tra il pensiero e
l’essere, in cui il Croce ci mostra la presenza di un
interesse meramente teologico, e cioè compatibile
soltanto con una intuizione dualistica del reale.
La lilosofia del Gentile ha seguito, in quest’ulti¬
mo periodo, un inverso processo di sistemazione e
di accentramento. Nel 1912, quando io chiudevo,
con una sommaria esposizione dei suoi capisaldi, la
r edizione della presente Storia, il pensiero di que¬
sto filosofo era in gran parte disseminato nei suoi
lavori storici; e soltanto una breve monografìa.
L’alto del pensiero come atto puro, lasciava presen¬
tire la peculiarità di un atteggiamento mentale del
tutto nuovo. Da quel tempo in poi, il Gentile ha
lavorato a sviluppare la sua dottrina dell’idealismo
attuale, le cui tappe più importanti sono costituite
dal Sommario di pedagogia come scienza filosofica
2 v(}ll., Laterza, 1913); La riforma della dialettica
hegeliana (Messina, 1913); Teoria generale dello spi¬
rilo come alto puro (Pisa, 1916); Sistema di logica
come teoria del conoscere (Parte I, Pisa, 1917).
appendice
513
Per ragioni di spazio, sono costretto a sorvolare
sulla fase preparatoria e formativa di questa fìlo-
solìa, che ha le sue tappe nettamente segnate dalla
informa della dialettica e dal Sommario di peda¬
gogia. Il primo libro ci spiega in che modo il Gen¬
tile sia riuscito — affatto indipendentemente dal
Croce — a rompere lo schematismo hegeliano, utiliz¬
zando le importanti indagini dello Spaventa sulle
tre prime categorie della Logica di Hegel. Una volta
inteso l’essere, il non-essere e il divenire, non più
come posizioni logiche oggettive del reale, ma come
momenti della coscienza, dove il divenire, sintesi dei
termini precedenti, esprime il processo stesso del
sapere, che vince nella sua concretezza i momenti
astratti e rig di in cui l’analisi lo decompone ', tutta
la sopra-struttura della logica hegeliana viene ine¬
vitabilmente sconvolta.
Il Sommario di Pedagogia, nella sua introduzione,
compie, in rapporto alla Fenomenologia, la stessa
istanza critica che la Riforma della dialettica compie
in rapporto alla Logica di Hegel. Il pensiero puro,
come non ha bisogno di percorrere i gradi catego¬
rici dell’essere (del conosciuto, secondo gli schemi
della logica formale) per giungere alla piena co¬
scienza di sé, perché si afferma a priori come pen¬
siero consapevole e attuale; così non ha neppur
bisogno di attraversare i gradi psicologici della co¬
noscenza, cioè la sensazione, l’intuizione, ecc., perché
1« 1,’csscre che Hegel dovrebbe mostrare identico ai non-
essere nei divenire che solo è reuie, non è i essere che egli
definisce come l’assoluto indeterminato (TassoUito indetermi¬
nato non può essere che l’assoluto indeterminato!); ma l’essere
del pensiero che deHniscc e, in generale, pensa: ed è, come
vide Cartesio, in quanto pensa, ossia non essendo (perché,
se fosse, ii pensiero non sarchile iiueiio che è, ossia un atto),
e perciò ponendosi, divenendo» [Teoria generale della spirito
come atto puro, sez. VII, p. 53).
G. DE Huggieho. T.a tllosotla contemporanea.
33
514
APPENDICE
non può mutuare da altri che da sé, non solamente
la sua forma, ma anche il suo contenuto. Cosi il
Gentile ha portato al suo estremo l’idea implicita
in ogni fllosoiìa idealistica, che il pensiero non può
originarsi che da sé, mostrando che qualunque dato o
presupjpostc che si voglia anticipare alla sua attività-
ha il valore di cosa posta da quella stessa attività. Di
fronte *al comune psicologismo, tale istanza critica
culmina con l’identificazione del pensiero e della
sensazione, nel senso che qualunque esigenza ideale
si attribuisca alla sensazione — fuori di ciò che ne
costituisce un dato irriducibile, dove si rivela una
falsa posizione fdosofica — è un’esigenza mentale,
inclusa cioè nell’attualità del pensiero.
Con l’efl'ettuata identificazione, vien negata una
fenomenologia dello spirito nel significato hegeliano,
cioè come una progressiva deduzione ed implicazione
di gradi spirituali; ma viene nel tempo stesso affer¬
mata una nuova fenomenologia del sapere e della
realtà come consapevolezza, che coincide con la sto¬
ria stessa, nella concretezza del suo divenire. L’asso¬
luto psicologismo ha il valore di un assoluto stori¬
cismo. Posto infatti che il pensiero non deriva che
da sé la realtà propria, e che questa derivazione è la
sua efl'ettiva e pratica esplicazione, il corso ideale
del pensiero non è che la storia reale del peìisiero
stesso e quindi del mondo.
Qui l’idealismo gentiliano si pone come la nega¬
zione recisa di ogni realtà che si opponga al pensiero
come suo presupposto e del pensiero stesso concepito
come realtà già costituita fuori del suo svolgimento,
come sostanza indipendente dalla sua reale manife¬
stazione. La realtà dello spirito o delle cose, posta
fuori della soggettività pensante, forma la così detta
natura, distinta dal pensiero non come oggetto da
APPENDICE
515
Oggetto, ma come oggetto da soggetto, ossia inclusa
e risoluta nel pensiero, nell’atto stesso in cui questo
la riconosce distinta da sé, e cioè, pensandola, la
pone, e ponendola la nega come già posta o presup¬
posta. La natura si svela cosi una realtà pensata, un
processo logico esaurito e pietrificato, capace tutta¬
via di risollevarsi all’attualità spirituale, in quanto
10 spirito lo pensa e l’include nel suo processo, che
ha un cominciaraento spontaneo, assoluto, in quel
pensare.
Nulla dunque è fuori dello spirito, « se Tesser
fuori è un riconoscimento, cioè un porre fuori me¬
diante l’attività del pensiero. Né vale appellarsi al¬
l’ignoranza, come documento delTirriducihile este¬
riorità di taluni fatti alla coscienza; perché la stessa
ignoranza non è un fatto senza essere insieme una
cognizione: cioè ignoranti siamo solo in quanto o
noi stessi ci accorgiamo di non sapere, o se n’accor¬
gono altri; sicché l’ignoranza è un fatto, a cui
l’esperienza può appellarsi solo poiché è conosciuto »
(p. 28). La coscienza si pone pertanto come una sfera
11 cui raggio è infinito: come centro assoluto e im¬
moltiplicabile nella cui unità converge la moltepli¬
cità degli oggetti, che esiste solo in virtù del suo
riconoscimento. L’unità della coscienza, del sog¬
getto, è la pietra angolare di questa filosofia : essa
include non soltanto i cosi detti fatti dell’espe¬
rienza esterna, incomprensibili nella loro struttura
fuori della sintesi mentale; ma anche gli atti del¬
l’esperienza interna e dei soggetti empirici umani o
sub-umani, la cui pluralità è del tutto identica a
quella degli oggetti naturali e si risolve quindi nel¬
l’unità dello spirito che attualmente la pensa. Un
mondo ideale policentrico, monadistico, rappresenta
per il Gentile un residuo di naturalismo ingiustifica-
516
APPENDICE
bile, poiché non c’è esperienza umana che coltra il
mutuo trascendersi delle monadi e raccolga la loro
sparsa idealità in un principio unico, il quale ver¬
rebbe perciò spostato all’infinito. Mentre invece,
l’esperienza nella sua concretezza esige l’assoluta
immanenza di quel principio, fuori del quale anche
la pluralità svanisce. Il rapporto tra me e un altro
soggetto empirico non può esistere fuori della mia
coscienza che lo pone; se mai trascendesse la sfera
della coscienza, ogni mutua intelligenza sarebbe pre¬
clusa; ma, appunto perciò l’atto di coscienza che
include l’altro in me e nel tempo stesso lo distingue
da me, costituisce la soggettività più profonda in
cui si risolvono le soggettività empiriche (l’io e
l’altro) e che forma la comune radice di esse. Quel¬
l’atto dunque non è mio, perché tale appartenenza
significherebbe già la sua riduzione al soggetto em¬
pirico, ma è l’Io, è ratTermarsi concreto di un
rapporto nella forma della soggettività mentale.
Gentile dà a questo Io il nome di soggetto asso¬
luto o trascendentale; ad esso, a differenza dal¬
l’io empirico, attribuisce l’identità universale e
immoltiplicabile, che vince la sparsa attualità del
monadismo.
Con questo concetto, egli è in grado di risolvere
le varie antinomie che hanno travagliato il pensiero
di molti filosofi, come quelle del realismo e del nomi¬
nalismo, dell’universale e dell’individuale, ecc. fino
alla recente vexata quaestio della distinzione tra
l’attività teoretica e l’attività pratica e del primato
dell’una o dell’altra. Nell’attualità dell’Io assoluto
v’è la ragione unitaria di ciò che nelle antinomie si
polarizza, e insieme la spiegazione del modo con
cui la polarizzazione avviene, quando lo spirito,
affiorando alla superficie, perde l’intimo contatto
APPENDICE
517
con sé stessa e converte in determinazioni statiche
e rigide gli astratti momenti della sua sintesi ori¬
ginaria. Cosi il rapporto del teoretico e del pratico
è dal Gentile compreso nell’unità a priori dello spi¬
rito, che è atto intelligente o riflessione attiva, cioè
unità dinamica di teoria e prassi; mentre la difTe-
renza nasce nella sfera superficiale della coscienza,
dove i 'due momenti si solidificano in entità distinte.
Tale unificazione spirituale, per il Gentile, non vuol
essere assorbimento del molteplice nell’uno ed esta¬
tica contemplazione dell’uno, ma realizzazione e
comprensione dell’uno nel molteplice, e insieme dif¬
ferenziamento e moltiplicazione dell’uno; insomma
quello spiegamento dello spirito, che riconduce a sé,
alla propria identità, gli atti della sua reale esplica¬
zione. In questo principio è riposto il criterio dello
storicismo del Gentile. Vi sono due modi di conce¬
pire la storia: < uno è quello dei relativisti, stori¬
cisti, scettici, che non vedono altro che il fatto sto¬
rico, nella sua molteplicità; e ci dà la storia in cui
lo spirito non può cadere senza degradarsi e natura¬
lizzarsi. E l’altro è il nostro, il quale pone il fatto
come atto, e quindi, ponendosi nel tempo, non lascia
mai efl'ettivamente nulla dietro a sé. La storia dello
storicista è la storia ipostatizzata e privata della
sua dialettica; perché la dialetticità consiste per l’ap¬
punto nell’attualità della molteplicità come unità, e
soltanto come unità, che si trascende, trascendendo
l’attualità > (p. 196). In questa posizione si risolve
l’antinomia storica, secondo la quale lo spirito è
affermato come storia, perché è svolgimento dialet¬
tico, ed è negato come storia, perché è atto eterno
fuori del tempo. E si risolve nel concetto del pro¬
cesso che è unità, la quale si moltiplica restando
una; di una storia, perciò, hleale ed eterna, che
518
appendice
non è (la confondere con quella del Vico, che ne
lascia fuori di sé una che si svolge nel tempo; lad¬
dove reterno, nella concezione del Gentile, è lo stesso
tempo considerato nella sua attualità.
Ma di fronte a questa molteplicità vera e attuale
che si esplica nella storia, e la cui concretezza sta
nel suo svolgersi dall’unità e nell’unità dello spirito,
v’è un’altra e diversa molteplicità, astrattamente
fissata nell’oggetto del pensiero ed esistente indi¬
pendentemente dall’atto mentale *. Mentre la pri¬
ma appartiene alla logica del pensiero puro, 1 altra
rientra nella logica astratta del pensato. La diffe¬
renza nasce dalla dialettica stessa del pensiero; che,
in quanto è atto, è dillerenziamento ed esplicazione
di sé; ma l’atto, una volta compiuto e isolato dalla
soggettività creatrice, si converte in un fatto, cioè
si naturalizza e diviene una realtà intelligibile e
non più intelligente. A questo pensato si appro¬
priano non le categorie della dialettica, che concer¬
nono il pensiero in fieri, ma quelle della logica for¬
male, le quali determinano la struttura dell’oggetto
mentale come puro oggetto.
Tuttavia la peculiarità del processo spirituale
sta in ciò che in esso l’astrattezza di quella posi¬
zione oggettivistica è non solo negata, ma anche
allcrmata. 11 pensiero concreto, nell’atto in cui nega
il pensato come tale, lo afferma come momento in¬
separabile del suo sviluppo. La dialettica viva dello
spirito sta in questo continuo naturalizzarsi e stra¬
niarsi del pensiero, del soggetto, nell’oggetto; e in
questo riaff ermarsi di sé, attraverso la stessa ogget¬
tivazione, che è risoluzione dell’oggetto come tale e
sua inclusione nel proprio ciclo.
I Gentii.e, Sistema di logica come teoria dei conoscere,
Pisa, 1917, p. 129.
appendice
519
Conforme a queste premesse, il Gentile ammette
due logiche, runa che è grado all’altra ; «Se dialet¬
tica diciamo la logica del concreto, ossia del jjuro
conoscere, che è riinità del soggetto e dell’oggetto,
oltre la dialettica bisogna pure ammettere, come
grado alla stessa dialettica, una logica dell astratto,
ossia del pensiero in quanto oggetto, nel momento
dell’opposizione, senza di cui non è attuabile l’unità
in cui il concreto risiede » *. Nel Sistema di logica
come teoria del conoscere (Parte I) il Gentile finora
ci ha dato una logica del pensato; ad essa terrà
dietro la Dialettica, cioè il sistema detl’attività pen¬
sante, di cui non possediamo che i capisaldi, già
esposti nelle pagine precedenti.
La diflerenza del pensiero e del pensato e della
molteplicità immanente all’uno e all’altro vale anche
a determinare il rapporto tra le forme assolute <lello
spirito, cioè quella monatriade in cui, hegeliana¬
mente, il Gentile fa culminare la sua dialettica e
che rappresenta l’istanza teologica del suo pensiero
lìlosofìco. «C’è una distinzione, egli dice, che ci dà
il molteplice, il numero, in cui l’unità vien meno,
perché, secondo che s’è già osservato, quell elemento
stesso che si ripete nella molteplicità, è qualitati¬
vamente molteplice. E c’è un’altra distinzione che
ci dà appunto l’unità nel suo interno svolgimento,
i cui momenti son tre, se astrattamente presi (ma
non più di tre); e se intesi nella loro concretezza,
non sono né tre, né due, ma costituiscono una mo¬
natriade » Cioè a dire, poiché le posizioni dialet¬
tiche dell’attività spirituale sono quelle del sog¬
getto, dell’oggetto e della loro sintesi soggettiva,
non tre numericamente, ma unità trina, le forme
1 Op. cit.f p. 148.
* Op. CI/., p. 131.
520
APPENDICE
assolute del sapere debbono corrispondersi piintual-
uiente. Cosi l’arte rappresenta la soggettività, la
liricità dello spirito; la religione, l’oggettività, cioè
l’esaltazione dell’oggetto, come trascendente e di¬
vino; ma runa e l’altra, prese per sé, sono momenti
astratti, statici, insuscettivi di uno sviluppo storico,
e si risolvono nella concretezza della tìlosolìa, dove
10 spirito supera il momento dell’arte e quello della
religiosità. Una posizione peculiare è quella della
scienza della natura, che in un suo scritto prece¬
dente il Gentile identificava con l’arte, accentuando
11 momento soggettivo della costruzione scientifica;
ora invece (nella Teoria Generale dello Spirito) è
portato ad assimilare alla religione, accentuando il
momento oggettivo, naturalistico delle leggi. È una
oscillazione che ci rende dubbiosi della solidità di
tutto il sopramondo della concezione gentiliana,
dove sembra che i momenti spirituali vengano ipo-
statizzatj entro forme già rigide e la dialettica si
esplichi tra concetti fatti.
A ogni modo non è qui il caso di sbrigarsi leg¬
germente e con pochi cenni critici <li questa filo¬
sofìa. Abbiamo esposto, con la maggiore fedeltà che
ci era consentita in una breve analisi, le dottrine
del Croce e del Gentile, come per additare i più ma¬
turi frutti della mentalità contemporanea. 11 nuovo
lavoro speculativo s'inizia di qui; ed è ragionevole
pertanto che qui la narrazione storica sia sospesa;
non già troncata, ma aperta a quella integrazione
che ciascun lettore è preparato a compiere nel suo
pensiero, dove la storia dell’ieri e la vita dell’oggi
si fondono indissolubilmente.
NOTA
Non è inopportuno che, dopo di avere in questo lilìro
criticato tauti sistemi filosofici, io chiuda la mia rassegna
con qualche cenno autocritico. Nelle Considerazioni fina¬
li è abbozzata una specie di pan-filosofismo, che pre¬
tende di ridurre tutte le attività dello spirito, arte, reli-
zione, scienza, storia ecc., all*attività del pensiero puro,
quindi della filosofia che n’è l’interprete. Ciò che mi
rendeva plausibile questa dottrina quando la meditavo,
intorno al 1911, era innanzi tutto l’esigenza di affermare
il valore mentale e autocoscientc delle attività dello spi¬
rito. contro quelle filosofie che, in nome della volontà
o dell’intuizione, cancellavano o attenuavano, a mio av¬
viso, siffatto valore. La differenza della mia posizione
mentale da quella che si andò poi delincando sotto il
nome di idealismo attuale od attualismo, stava in ciò,
che io mi rifiutavo di ammettere rassorbiniento delle sin¬
gole forme, e di fatto, il loro annullamento, nella filoso¬
fia; e volevo piuttosto intrinsecare e rendere immanente
a ciascuna di esse l’esigenza filosofica. Cosi, p. es., mentre
il Gentile identifica la scienza naturale col momento
astratto dcU'oggettività, della natura, che si risolve nel¬
l’attualità della conoscenza filosofica, io pensavo che la
scienza, come attività spirituale autonoma e sufficiente
a sé stessa, realizza nel suo medesimo procedimento quel¬
l’istanza superiore: essa infatti non è natura, ma espe¬
rienza della natura; non pensiero astratto, ma pensiero
astraente; quindi attività mentale che si svolge, e nel
suo sviluppo risolve continuamente il momento del¬
l’astratta oggettività.
.Analoghe considerazioni io facevo per la religione e
per l’arte. E per questa via giungevo alla conseguenza
che la filosofia non dovesse più considerarsi come una
forma distinta e differenziata di esperienza, ma come lo
522
NOTA
spirilo iuiiinalore di tutte le esperienze: il che non con-
Irusta col « pan-filusorismo » testé accennato, perché, dove
tutto è filosofìa, nulla è più filosofìa in un senso proprio
e particolare.
Cosi facendo, io non iniKlioravo gran che la mia po¬
sizione in confronto della filosofìa attualistica : se questa
cade in una specie di nirvanico acosmico, io, per sal¬
varmi, cadevo nell’errore opposto, di ammettere una
pluralità disgregata di esperienze, solo apparentemente
unificata dalla presenza di un comune spirito filosofico
circolante in tutte. Che. se l’arte, la scienza, la religione,
sono filosofia, in quanto attività concrete dello spirilo,
unità sintetiche di soggetto e oggetto, in che cosa poi
si distingue (|ucll.i concretezza che chiamiamo arte, da
quella che chiamiamo scienza, ecc.?
L’errore in fondo era identico nei due casi, benché
in apparenza opposti; e stava nel ridurre tutta la vita
dello spirito a un astratto schema logico (soggetto, og¬
getto, sintesi) elevato a principio metafìsico, e nel cre¬
dere che col risolvere ogni contenuto di pensiero nell’atlo
che lo pensa, si spiritualizzi tutta la realtà, mentre in¬
vece non si fa che affermare una mistica indifferenza
dell’atto di fronte a quel contenuto. Col tempo, seguendo
rapparente sviluppo, che però in sostanza è una pro¬
gressiva involuzione, deiridealismo attuale, mi sono an¬
dato convincendo di molte cose: che rimmediata tradu¬
zione dei termini della critica kantiana da un significato
gnoseologico a un significato metafìsico lascia intatta la
€ cosa in sé » e la « filosofìa della natura », almeno come
espressioni dì problemi non risolti; che !’« oggetto » della
conoscenza s’identifica con l’atto conoscitivo solo a con¬
dizione che lo si spogli di ogni contenuto, in modo che
la dottrina dell’atto puro si rende tanto più rigorosa e
coerente quanto più vuota, fino al punto-limite in cui
il contenuto mentale coincide con la pura formula mono¬
triadica; che il processo per cui l’esperienza mentale si
organizza non può senz’altro confondersi con quello in
virtù del quale la realtà stessa si costituisce >, e che
> Donde la necessità di porre su due plani ben distinti le
relazioni interne del pensato e le relazioni nelt’atto del cono¬
scere, la relatività delle determinazioni del reale e quella del
momenti del processo conoscitivo, l’/o penso della logica kan¬
tiana e il soggetto assoluto della metalisica.
NOTA
523
quindi una metafisica della mente deve seguire una via
multo più indiretta e faticosa per fondare la spiritualità
del reale. Dalla Critica del Giudizio di Kant, alla filosofia
della natura di Schelling e di Hegel, via via fino al con¬
tingentismo del Boutroux, all’evoluzione creatrice del
Bergson, al realismo dcH’Alexander, al neo-hegelismo del-
rHamelin. è tutta una serie di sforzi per questa via più
ardua; essi valgono almeno a segnalare la presenza di
un problema di cui l'attualismo s’é sbrigato troppo a
cuor leggero. Tutto ciò che formava oggetto della me¬
tafisica dell’essere non s’illumina in un fiat col porre
l’equazione tra l’essere e Tesser conosciuto; cosi non
si fa che porlo semplicemente a foco; ma si tratta poi
di conoscerlo clTettivainentc; se no, si trasferisce il mi¬
stero da una posizione all’altra, senza accrescere di un
sul iota la nostra conoscenza della realtà. Pretendere di
aggiogare il mondo all’atto del pensiero, senza che questo
si faccia concretamente coscienza, autorivelazione, atto
del mondo, è un faticare per trascinarsi dietro la propria
ombra: agendo nihil agere.
Questi cenni critici preludono a un esame particola¬
reggiato della filosofia del Gentile, che io mi propongo
di pubblicare nell’appendice al presente libro, e ad una
revisione della mia posizione idealistica, di cui ho co¬
minciato a dare qualche sporadico saggio negli scritti
pubblicati in questi ultimi anni.
Dicembre 1928.
NOTA BIHLIOGRAFICA
In questa nota si fa cenno unicamente dei libri che
hanno attinenza col testo. Per una bibliografia più estesa,
cfr. F. rKBKBWEG. Gniiulriss der Gescliichle der Pliito-
xoiìhie (IV : die Pliil. seit lieginn des neiinzehnten Jahr-
hitiiderls); 10'» ediz. ed. da M. Heinze. Berlino, litoti.
INTRODUZIONE. — Sulla filosofia contemporanea in
generale, ampi ragguagli si trovano nelle riviste, come
La critica, la Riuista di lilosofia, la Cultura filosofica, la
Zeitschrift fiir Phitosophie und phitosophische Kritik, la
lievue de Métaphysique et de Morale, il Mind. Ufr. inol¬
tre W. Wi.NDELBANU, Lehrbuch der Geschichte der Philo-
sophie, Strassburg, 1889 (1910*. Tùbingenl; H. Hoffdino.
Moderne Philosophen, Leipz., 1905; P. Mabtinetti, Introdu¬
zione alla metafisica, Torino, 1904; F. de Sablo, Studi sulla
filosofia contemporanea, Roma, 1900; G. V'illa. La psico¬
logia contemporanea, Torino, 1899; L’idealismo moderno,
Torino, 1905; A. Aliotta, La reazione idealistica contro la
scienza, Palermo, 1912; su di essa, v. la mia recensione
in Critica (X, 1912, fase. 1).
Il concetto della nazionalità della filosofia, da cui
prende le mosse la nostra Introduzione, si trova svilup¬
pato nelle opere di B. Spaventa. Cfr. specialmente: La
filosofia italiana nei suoi rapporti con la filosofia europea,
Bari, 1909.
Pabte I. LA FILOSOFIA TEDESCA. — O. KOlfe. Die
Philosophie der Gegenwart in Deutschland, Leipzig, 1911 *.
526
NOTA BIBLIOGRAFICA
Cahitolo I: intorno alla tlissoluzioni- tlclPhi-gelismo,
J. H. Erdmaxn, Gniiulriss der Gesrhichle der l‘hilosophie,
i-(l. da B. Erdinann, Berlin, 189(1*. Per la scuola di Tu-
binga: F. G. Baur, Die Tiibinger Schiile vnd ihre Stelliiny
zur Geyenioart, Tiibingen, 1859; E. Zkller, C. tiaur et
fècole de Tiibitmue. Ir. fr., Paris, 189.1; K. Strauss, Dos
l.ebeit Jesii. Tùb., 1898’; Der alte iind tiene GItinbe, Leip¬
zig., 1903“. Un parallelo tra lo .Strauss e il Renan si
trova nei Vorlrdge und Abhnndiungeii geschichtlichen
Inhalts dello Zeller. — Sul materialismo storico: K.
Marx. Dos Kapital, Krilìb der itolitischeii Oekoiwmie, ed.
dalVEngels (Hamburg. 1883-85); ifisère de la pbilosopltie,
Paris. 1896; F. Encels, llerrn Kngen Dùhrings Gmaitilzang
der Wisiseiischnft, Stuttgart, 1894. In proposito A. I.abriula,
Saggi intorno ulta concezione mnlerialislictt della,, storia
(3 v(dunii. Roma, 1895-1902); (!. Gentile. La /i/osoflo di
Murjc, Pisa, 1899; B. Croce. Materialismo storico ed eco¬
nomia marxista, Bari. 1919*. — Sulla psicologia dei po-
pedi: Xeilschrift far Vólkerpsgcliologie and Spracliaa's-
senschaft, ed. da .\1 Lazahls e H. Steinthal dal 1860 al
1890. — Sul naturalismo: L. BCchneh, KrafI and Staff,
Frankfurt a M.. 1855. (1904*'); E. nu Bois Reymond, Die
sieben Weltrdihsel, la:ipzig, 1882 (1903*): sono le opere
più significative. Inoltre: E. Duhkixg, Cursus der PliUoso-
phie, 1875 e 1894 e sgg.; Logik und ÌVissenscbaftsIheorie,
Leipz., 1878; Th. Fechne;h. Zend-Aiiesta, Leipzig, 1851; E.
Hartmann, Philosophie des Vnbeaaissten, Berlin. 1869
(1904"); Kalegorienlehre, Leipzig, 1897; A. Drews, Das Ich
als Grand-problem der Metaphgsik, Freiburg, 1897. Sul na¬
turalismo in genere, cfr. .4. Lance, Histoire da matèria-
lisme, tr. fr., Paris, 1877, 2“ voli. — Di Ermanno Lotze:
Mikrokosmos, Leipzig, 1858-1864, in tre vedi. (1896*); Lo¬
gik, Leipzig, 1874 (1881*); Metaphgsik, Leipz., 1879. Sul
Lotze: O. Caspari, //. L. in seiner Slellang za der durch
Kant begriindeten neaesten geschichte der Pbilosophie
Breslau, 1883; H. Schoen, La métaphgsigue de H. L.,
Paris, 1902; W. Wallace, Lectures and Essags, Oxford,
1898, (vi si parla del Lotze in appendice, pp. 841-510);
G. de Ruggiero, La filosofia dei valori in Germania,
Trani, 1911 (estr. dalla Critica).
Capitolo 11. — E. Laas, Idealismas und Positivismus,
Berlin, in 3 voli.: 1, 1879; 11, 1882; HI, 1884. W. Schlppe,
NOTA BIBLIOGRAFICA
5:27
Erlienntnistheoretische iMyik, Bonn, 1878; (inindriss der
Erkenntnistheorie iiiid l-f>iiik, Berlin. J. Rehmke,
l.ehrhiich der itUgemeinen Psiirbolofiie, Hainlniri!. 18!U
(190.5’, Leipzig); Pliilosopbie ah Griindiuhseiisfbafl, Leip¬
zig. 1910: organo della cosi della illosolia del dalo è la
Xeitschrift fiir immanente Philoxophie, fondala nel 189.5.
Sulla teoria degli oggelti. efr. gli art. di A. Meinono nella
Xeitschrift fiir Phil. tt. pliit. Kritik; in particolare: Veber
die Stellung der Geuenstandtheorie im Stistem der IVi.s-
senschaften (1906-07). Cfr. inoltre le Vntersuchaniien zar
Gegenstandtheorie iind Psr/chologie, ed. dallo stesso Mei-
nong. Circa roricnlanienlo generale della dottrina, v. la
relazione delTHoFLER al Congresso inlernazionale di
Psicologia, Roma. 1905: Sind wir Psiicholoìiisten?. — Per
l’empirio-criticismo: R. .Ave.narius, l’hitosuphie ids Den-
ken der Welt gerndss dem Prinzip der kleinsten Kraft-
masse. Prolegomenu zìi einer Kritik der reinen Erfahriing.
Leipzig, 1876 (1903’, Berlin); Kritik der reinen Erfahriing,
2 voli., Berlin, 1888-1890; Der menschiirhe Wetthegriff,
Leipzig. 1891 (1905’). SiiirAvenarius v. il saggio del
Wundt in Philosophische Stiidien (13) 1896; un articolo
assai limpido è quello del Delacroix. A., in Renne de
métaph. et de mor., 1897 (pp. 764-779), 1898 (pp. 61-102);
,1. Petzoi.dt, Einfiihrnng in die Philosaphie der reinen
Erfahriing, 2 voli., Leipzig, 1900-1904; E. .Mach. Die Prin-
zipien der Mechanik in ihrer Entinickeliing hislorisch-
kritisch dargestellt, Leipzig, 1904“; Die Prinzipien der
Wàrnilehre historisch-kritisch entinickelt, Leipzig, 1900’;
Die Anaigse der Empfìndiingen, Jena, 1906“; Erkenntniss
nnd Irrtnm, Leipzig. 1905;» II. Cornelius, Einleiinng in
die Philosophie, Leipzig, 1903. Di tendenze alOni, olire
l'Helinoltz e il Kirchoff, è IL Hertz: v. l’interessante
introduzione ai suoi Prinzipien der .Mechanik, Leipzig,
1894. — Sulla fìlosolia dell’illusione: .A. Spir, Pensée et
realité, tr. fr.. Lille, 1896; Esqiiisses de philosophie cri-
tiqiie, Paris, 1887. Recentemente H. Vaihinokr, Die Phi¬
losophie des Als Oh, Berlin, 1911.
Capitolo IH. — F. .Alb. Lance, Geschichle des Mnte-
rialismiis nnd Kritik seiner Bedeiitnng in der Gegenwart,
Iserlohn, 1866 (1902’, Leipzig); O. Liebmann, Kant nnd die
Epigonen, Stuttgart, 1865; Znr Analysis der Wirklichkeil,
Strassburg, 1879 (1900“); A. Riehl, Der philosophische
528
NOTA BIBLIOGRAFICA
Kriticismiis und seine liedeutung fiir die positive Wis-
senschdft, 3 voli.. Leipzig, 187(>-1887 (1° voi. 1908^). Sul
k.TnIismo inatemalico-platonizzunte, H. Cohen, Knnts
Theorie der Erfahrung, Berlin, 1871 (1883*); System der
Phiiosophie: 1 parie: Logik der reineii Erkennlniss. Ber¬
lin. 1902; 11 parte: EtUik des reinen Willens, Berlin,
1904; recentemente, Aesthetik des reinen Gefùhls, Ber¬
lin, 1912. Sul Cohen v. il recente fase, dei Kantstudien,
1912. P. Natorp, Platos Ideenlehre, Leipzig, 1903; Die
logischen Grundlayen der exakten Natunvissenschoften,
Leipzig, 1910. E. Cassirer, SuhslanzbegriU und Funktions-
hegritf, Berlin, 1910. — Sulla lllosofla dei valori, oltre le
opere del Lotze cit.: C. Siuwart, l.ogik, Tiibingen, 1873-
1878; K. Bergmann, Reine Logik, Berlin, 1879. W. Win-
DEi.BANn, Reitrdge zur Lehre vom negntiven Vrteil (Slniss-
hiirger Abhundliinyen zur Philopophie E. Zellers 70 Ge-
burtstag, Kreib. i. Br., 1884); Prdiudien, Aufsatze
und Heden zur Einleituny in die Phiiosophie, Frei¬
burg i-Br., 1884 (1911-*); Vgm System der Kategorien
(Phitos, Abhandl. C. Siywurt zu seinem 70 Gehurtstuge
gewidmet, Tiibingen, 1900); Veber Willensfreiheit, Tii-
bingen, 190.5; 7,um Regriff des Gesetzes (Rerirht iiber
den III Intern. Congress fiir Phit., Heidelberg, 1908).
H. Rickert, Der Gegenslund der Erkennlniss, ein Hei-
triig zum Problem der philos. Transsrendenz, Freiburg,
1894 (1904*, Tiibingen); Zwei Wege der Erkenninistheorie,
1910. In proposito, v. il cit. mio scritto: L(t filos. dei va¬
lori in Gemi, — Sullo storicismo, oltre i saggi del Win-
delbaiid: \\'. Dilthey, Einleitung in die Geistesuiissen-
srhaflen, Leipzig, 1883; P. Barth, Die Phiiosophie der
Geschichte als Sociologie, Leipzig, 1897; G. Simmel, Die
Probleme der Geschichtsphilosophie, Leipzig, 190.5*; IL
Rickert, Die Grenzen der naturwissenschaftlichen Be-
griffsbildung. Eine logische Einleitung in die hislori-
schen Wissenschaften, Freiburg i-Br., 1896-1902; S. Hbs-
SEN, Individuelle Kausalitàt, Berlin, 1909. — Sulle scienze
sociali: C. Bolglé, Les Sciences sociales en Allemagne,
Paris, 1896; G. Simmel, Einleitung in die Moralwissen-
schaften, 2 voli., Berlin, 1892-93; Phiiosophie des Geldes,
1900; R. Stammleh, WirtschafI und Rechi nach der ma-
terialistischen Geschichtsau/fassung, Halle, 1896 (1906*,
Leipzig); Die Lehre von dem richtigen Rechte, Berlin,-
1902. — Sul movimento teologico: \. Ritschl, Die christ-
NOTA BIBLIOGRAFICA
529
liche Lehre oon der Rechfifertigung und Versdhnung,
3 voli., Bonn, 1870-74 (1895^); W. Hermann, Die Religion
In Verhàltnis zum Welferkennen und zur Sitllichkeit,
Halle, 1879; sul Ritschl e il ritschlìanisnio, v. le impor¬
tanti osservazioni del Boutroux, Science et religion,
Paris, 1908. A. Harnack, L’essenza del Cristianesimo, tr.
it., Torino, 1903. — Sul neo-kantismo in genere, v. la ri¬
vista Kantstudien, che si va pubblicando dal 1896 sotto
la direzione del Vaihinger e ora anche del Bauch.
Capitolo IV. — Sulla psicofisica, cfr. Th. Ribot, La
psgchologie allemande conlemporaine, Paris, 1879. Sul
psicologismo cfr.; Husserl, Logische l'ntersucliungen, 2
voli., Halle, 1900-1901; F. Brentano, Psgchologie vcm
empirischen Standpunkte, I, Leipz., 1874 (il secondo volu¬
me, preannunziato dal 1874 non è stato poi pubblicato). Th
Lipps, Grundtatsacben des Seelenlehens, Bonn, 1889;
Leitfaden der Psgchologie, Leipzig, 1903; A. Meinong,
Psgchologisch-elhische Untersuchungen, Graz, 1894; Ch.
Ehrenfels, Sgstem der Wertlheorie, I: Allgemeine Wert-
Iheorie. Psgchologie des Begehrens; II: Grttndzilge einer
Ethik, Leipzig, 1897. Intorno a questa dottrina, cfr. Ore-
stano, Valori umani, Torino, 1907.
Capitolo V. — W. Wundt, Sgstem der Phitosophie,
Leipzig, 1889 (1897»); Einleitung in die Phitosophie, Leip¬
zig, 1901 (1904»); F. Paulsen, Einleitung in die Philo-
sophie, Berlin, 1892 (1905*»); Sgstem der Ethik, Berlin,
1889 (1903*); J. Bergmann, .Sgstem des objectioen Idea-
lismus, Marburg, 1903. — Sul naturalismo: E. Haeckel,
A'aturliche .Schopfungsgeschichte, Berlin, 1868 (1902"*);
Die Weltràthsel, Bonn, 1899 (1901'); VV. Ostwald, Vorle-
sungen ilber Naturphilosophie, Leipzig, 1901, (1905»), L.
Busse. Geist und Kórper, Seele und Leib, Leipzig, 1903. —
F. Nietzsche, Die Geburt der Tragodie aus dem Geiste
der Mgstik, Leipzig. 1872; Als sprach Zarathustra, Chem-
nitz, 1883-1884, Leipz., 1891; Jenseits uon Gut und Róse,
Leipzig, 1886. Sul Nietzsche cfr. il saggio del Berthelot,
pubblicato nel volume: Éuolutionnisme et Platonisme,
Paris, 1908. — Sulla metafisica del Irasccndentc: R.
Eucken, Geschichte und Kritik der Grundbegri/fe der Ge-
genwart, Leipzig, 1878, pubblicato per la terza volta uel
1904 col nuovo titolo: Geistige Stromungen der Geyen-
G. DE Ruggiero. La filosofia contemporanea.
34
530
NOTA BIBLIOGRAFICA
wart, Leipzig; Der Kampf um einen geisligen Lebensinhalt,
Leipz., 1896; Ln visione della vita nei grandi pensatori.
Ir. il., Torino, 1909; J. Volkelt, Erfahrung and DenUen,
Hamburg iind l.eipzig, 1886; Th, Lippe, Naturphilosophie
(in; Die Philosophie in Beginn des zwanzigsten Jahrhun-
dert. ed. dal Windelband, Heidelberg, 1907* : manca nella
1* ediz.); J. Cohn, Allgemeine Aesthetik, Leipzig, 1901; Vo-
raussetzungen and Ziele des Erkennens, Leipzig, 1908,
H. MCnsterbero, Philosophie der Werle, Leipzig, 1908.
Parte IL LA FILOSOFIA FRANCESE.— Ph. Damiroji,
Essai sur la philosophie en France au A/X' siècle, Paris,
1834*; H. Taine, Les philosophes frangais da XIX’ siicle,
Paris' 1856 (1895*): F- Ravaisson, La philosophie en
France aa XIX’ siècle, Paris, 1868 (1904*); E. Boutroux
La philosophie en France depuis 1867 (3° Congresso in-
ternaz. di flios., Heidelberg). Cfr. inoltre VAnnée philo-
sophique. ed. dal Pillon, e la Revue de métaphsique
et de morale, ed. dal Léon.
Capitolo L— Sull’eclettismo: V. CousiN, Fragments
philosophiques, Paris, 1826 (18660: del Joifproy il la¬
voro più importante e significativo è la Préface à la tra-
duction des esqttisses de phil. morale de Dugald Stewart,
Paris, 1826; Ad. Garnier, Traité des facultés de Vàme,
3 voli., Paris, 1852; Ch. de Rémusat, Essai de philosophie
2 voli.! Paris, 1842. Sulle dottrine biologiche della scuola
eclettica c’è un’ampia rassegna del Saisset, L àme et le
corps (in Revue des deux Mondes del 15 agosto 1862). Cfr.
intorno all’eclettismo in generale il mio scrilterello:
L’eclettismo francese {Rivista di filosofia, 1910, fase. II).
— Sul positivismo: A. Coiute, Cours de philosophie. po¬
sitive, 6 voli., Paris, 1830-1840; E. LittrA. A. Comte et
SI. Miti, Paris, 1866; La Science au point de ime phiio-
sophique, Paris, 1873; A. Cournot, Essai sur les fonde-
menls jfe nos connaissances, 2 voli., Paris, 1851; I raité
de i’enchainement des idées fondamentales dans les
Sciences et dans l’histoire, nuova ediz. a cura di L.
Lévy-Bruhl, Paris, 1911; H. Taire, De V Intelligence,
Paris 1878*. Sulla metafisica positiveggiante. E. Vache-
ROT, La métaphysique et la Science, 2 voli., Paris, 1858.
— Sui nuovo spiritualismo: F. Ravaisson, La phil. en
NOTA BIBLIOGRAFICA
531
Frutice oìt.; P. .Ianet, l.es cuiises fìnales, Paris. 1876;
Princiiies de métaphysiqtie et de psycologie, in 2 voli.,
Paris. 1897: c una raccolta di lezioni universitarie, inte¬
ressante per valutare la mentalità di questo indirizzo.
E. Vacherot, Le nouveau spiritiialisnie, Paris. 1888. Cfr
in proposito il mio articolo; Il nuovo spiritualismo fran¬
cese iliivista di filosofìa, 1910. fase. 111). Per la filosofia
della libertà: Ch. SéCBETAX. La philosophie de la liberlé,
in 2 voli.. Paris. 1809. L’articolo di P. Janct sul Sé-
cretan, a cui si allude nel testo, fu pubblicato nella
Renile des deux Mondes del 15 aprile 1877 e ristampato,
con una risposta del Séeretan, nel voi. cit. del J.: Psych.
et inétaph.
Capitolo IL — Sul fenomenismo: Cn. Renoi'VIEH. Es-
sais de crilique générale: 1. Logiqiie, Paris. 1854 (2* ediz.,
in 3 voli., 1875); li. Psgchotogie rationelle, Paris, 1859
(2» ediz., in 3 voli., 1875); IH. Princ.ipes de la nature,
Paris, 1864 (1875*); IV. Inlroduclion à la philosophie ana-
lytique de l'histoire, Paris, 1864 (1896*); La nouvelle mo¬
nadologie (in collaboraz. con L. Prat), Paris, 1899; Le
personalisme, Paris, 1912. Cfr. inoltre VAnnée philoso-
phiqiie, ed. dal Pillon. dove sono raccolti molti articoli
del Renouvier e dei suoi seguaci.- — J. .1. (ìolrd. Le phé-
nomène, Paris, 1888; Les trois dialectiques IReniie de mét.
et de mor., 1897, pp. 1-34, 129-161, 285-319); Philosophie
de la religion, Paris, 1911. E. Boirac, L'idée dii phénoméne,
Paris, 1894.
Capitolo HI. — J. Lachelieb, Dii fondement de l'in-
diiclion. Illùse de doctorat, Paris. 1871; Psychologie et
métaphysique, in Rev. pliilos., 1885: questo saggio è
stato poi ristampato in appendice alla 2“ ediz. del Fon-
deni. de l'induct., (1902<). Sul Lachelier cfr. l’articolo del
Noel, La phil. de L., in Rev. de métaph. et de mor., 1898.
Per gli studi hegeliani: (J. Noel, La logique de Hegel,
Paris, 1897 (già pubblicato in varie puntate nella Rev.
de métaph.); R. Bebthelot, Évolutiqnnisme et plalonisme
cit. (dove è riportata una conferenza su Hegel e una
interessante discussione a cui questa diede luogo). Dei
kantiani: L. Liabd, La Science positive et la méliiphysi-
qiie, Paris, 1879; F. Evellin, La raison pure et les an-
tinomies, Paris, 1907; (dell’Evellin è molto noto anche il
532
NOTA BIBLIOGRAFICA
libro: Infini et quantité, Paris, 1880): L. Bbunschvicg,
Spinoza, Paris. Alcan. 1906^; La nwdalité da juuemeni,
Paris, 1897. L. VVbbeb, Vers le positivisme absolu par
l'idéalisme, Paris, 1903.
Capitolo IV. — Sulla filosofia della contingenza: E.
UotiTBOux. De la contingence des loie de la nature, Paris,
1874 (ristampalo, poi, più volte, immutato); De Vìdee de
la loi naturelle, Paris, 1895; G. Milhaud, Essai sur les
condilions et les limites de la certitude logique, Paris,
1898»; Le rationnel, Paris, 1898; A. Mannequin. Essai cri-
tique sur Vhgpothèse des atomes, Paris, 1899»; J. Payot,
La crogance, Paris, 1896; H. Poincaré, La Science et
l'hgpothèse, Paris; La naleur de la Science, Paris, 1909;
P. Duhem, La théorie phpsique, Paris, 1906. — H. Beboson,
Essai sur les données immédiates de la canscience, Paris,
1889 (1911'»); Matière et mémoire, Paris, 1896 (1911*);
l,e rire. Essai sur la signification du comique, Paris,
1900; Introduclion (i la métaphysique (in liev. de métaph.
et de mor., 1903); L’éuolution créatrice, Paris, 1906 (1911*).
Sul Bergson, cfr. il mio saggio: Lo svolgimento della filo¬
sofia di H. Bergson, in Cultura (15 febbraio 1912). Le Boy,
Science et philosophie (Bev. de métaph., 1899, pp. 375-
425, .503-562. 708-731; 1900, pp. 37-72); Un nouveau positi¬
visme (Hev. de métaph., 1901); Rémacle. La valeur posi¬
tive de la psgchologie (Rev. de métaph., 1894).
Capitolo V. — Sulle scienze sociali: A. Espinas, Les
societés animales, Paris, 1878»; G. Tarde, Les lois de
l’imitation, Paris, 1890 (1904*); E. Durkeim, direttore
dellMnnée sociologique: La division du travati social,
Paris, 1893 (1901»); Les règles de la mélhode sociologique,
Paris, 1895 (1904»), — Sulla storia: P. Lacombe. De l'hi-
sloire considerée comme Science, Paris, 1894; .\. D. Xéno-
POL, Les principes fondamentaux de l'histoire, Paris 1899,
ristampato, con notevoli ampliamenti, Paris, 1908, col ti¬
tolo: La théorie de l’histoire. — Sul positivismo plato-
nizzanle; A. Fouillée. L'auenir de la métuphgsique fon-
dée sur l'experience, Paris, 1889 (1895»); La psgchologie
des idées forces, 2 voli., Paris, 1893 (1896»); Le mouve-
menl idéaliste et la réaction cantre la Science positive,
Paris, 1896 (1904»); R. Bebthelot, Évolutionn. et Plato-
nisme cit.; Ch, Dunan, Les deux idéalismes, Paris. 1911.
NOTA BIBLIOGRAFICA
633
Sniretica del platonismo: A. Fouillée, Critique des s;/-
sfèmes de morale contemporaine, 'Paris, 1883 (1894*);
J. M. Guyau, Ésquisse d'une morale sane obligation ni
sanction, Paris. 1885 (1903’); Irreligion de iavenir, Pa¬
ris, 1887 (1904').
Capitolo VI. — L’opera del Gratry a cui si fa allu¬
sione nel lesto è: De la connaissance de l’dme, in 2 voli.,
Paris, 1898’; L. Ollé-Laprune, De la certitude morale,
Paris, 1881; Le prix de la aie, Paris. 1895’; La raison et
te rationalisme (postuma), Paris, 1906; V. Brochard. De
t'erreiir, Paris, 1897; M. Blondel, l/aetion. Essai d’une
critique de la vie et d’une Science de la pratique, Paris,
1893. Cfr. ancora l’importante relazione del Blondel al II
Congresso internazionale di filosofia, tenutosi a Parigi:
La logique de Vaction; e gli articoli che egli va pubbli¬
cando sotto lo pseudonimo di Testis negli Annales de
Philosophie chrétienne. — Sul modernismo: L. Labert-
HONNIÈRE, Le réalisme chrétien et ridéalisme grec, Paris,
1904’; Essnis de philosophie religieuse, Paris, 1903’; Le
Boy, Dogme et critique, Paris, 1907; A. Loisy, L’Éuangile
et l'Église, Paris, 1902; Autour d’un petit livre, Paris,
1903; G. Fonseorive, Morale et societé, Paris, 1907; E.
Botthoux, Science et philosophie, Paris, 1908. Sul mo¬
dernismo è fondamentale l’opera del Gentile: Il mo¬
dernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari, 1909.
Una ricca bibliografia è data dal Prezzolini, nel vo¬
lume: Il cattolicismo rosso, Napoli, 1908. — Del Sohel
cfr. Les illusions du progrès, Paris, 1908; Réflexions sur
la oiolence, Paris, 1908.
Parte III. LA FILOSOFIA A.NGLO-AMERICANA. —
Ch. Renouvier, De l’esprit de la philosophie anglaise con¬
temporaine (in La critique philosophique, 1872); F. Bren¬
tano, Les sophistes grecs et les sophistes contemporains,
Paris, 1879.
Capitolo L — Sulla filosofia degli scozzesi: H. Sid-
wiCK, The philosophg of Common ,Sense. (,Mind. N. S.,
voi. IV, 1895); W. Hamilton, Lectures on Metaphgsiks
and Logic edited bg Mansel and Weitch, 4 voli., London,
1859-1860; A. L. Mansel, The limits of Religious Thought,
Bumpton Lectures; London, 1858 (1867’); J. Stuart Mill,
534
NOTA BIBLIOGRAFICA
An Kxaminatìon of Sir n'illiam Hnmilton's Philosopni/,
Lond., 1865. — Sulla logica: J. S. Mill, A Sgstem of Logik,
Raliocinatioe and Inductiae. beino a conneried Vieni of
thè Principles and thè Methods of Scienlific Investiga-
tions, London, 2 voli., 1843 (1875>); Kssngs on some un-
settled Questions of Politicai Economo, Lond., 1844 (1874’):
importante il saggio V, dove si parla della dottrina della
definizione. F. H. Brabley, The Principles of Logik, Lond.,
1883; B. Bosanquet, Logik or thè Morphologg of Know-
ledge, 2 voli., Oxford, 1888; J. M. Baldwtn, Thought and
Things. (A stiidg of thè deiielopment and meaning of
thought or Genetic Logik), London, e New-York, 2 voli.;
I, 1906; 11, 1908. — Sulla psicologia delFempirismo: Tu.
Ribot. La psgchologie anglaise contemporaine. Paris, 1881.
_ SuU’etica: J. St. Mill. Utilitarianism, Lond., 1863 (dal
Frasers Magazine del 1861); H. Spencer, Data of Ethics,
1879. Cfr. G. M. Guyau, La morate anglaise contemporaine,
Paris, 1885’. — H. Spencer, First Principles, Lond., 1862.
Sullo Spencer cfr. O. Gaupp, Herbert Spencer, Stuttgart.
1897. Sulla dottrina della scienza: .1.0. Maxwell, Discourse
on moleculs (in Scientiflc Papers, ed., dal Niven, 1890):
Matter and motion, London, 1872; \V. K. Clifforb, Lectu-
res and Essags, 2 voli., London, 1902. — Sul pramina-
tismo: 0. S. Peyrcb, How lo moke our ideas clear (thè
Popular Science Monthly, gennaio 1878); W. James, Prin¬
ciples of Psychologu, 2 voli., Boston, 1890; Will lo be-
lieue, New-York, 1897; The narieties of Religious Expe¬
ri enee, New-ork and London, 1902; Pragmatismi A new
nome for some old ways of thinking, New-York, 1907;
J. Dewey, Studies in logicai Theory, Chicago, 1909. Per
la letteratura sul prammatismo, cfr. il Journal of Phi-
losophy, Psycology and Scientiflc Methods, ed. da F. J. E.
Woodbridge. — Per l’umanismo, cfr. F. C. S. Schiller,
Études sur l humanisme, trad. fr., Paris, 1909. — Sulla
logistica: B. Russell, The principles of mathematics,
Cambridge, 1903; L. Couturat, Les principes des mafhé-
matiques, Paris, 1905. — S. H. Hodgson, Time and Space,
Lond., 1865; The Methaphysic of Experience, 4 volumi,
Lond.-New-York, 1898. (Quest’opera non è a nostra cono¬
scenza diretta, ma ne abbiamo avuto notizia da due arti¬
coli, l’uno di F. de Sarlo, La metafìsica dell'esperienza
delTHodgson, in Riuista fllosoflca, 1900; l’altro di L.
Dauriac, in L’année philosophique, 1901).
NOTA BIBLIOGRAFICA
535
Capitolo II. — SulThegelismo inglese: .1. H. Stirling,
The secret of Hegel, 2 voli., Lond., 1865 (1898=, Edinburgh);
W. Wallace, Introduction to thè sludy of Hegel's Hhiloso-
phy Oxford, 1894»; E. Caibd, Hegel (Blackwood’s Phil. Clas-
sic,) Edinb.-Lond., 1888; J. B. Baillie. The oriyin and
significance of Hegel’s Logik, London, 1901; J. Mac
Taooart, Studies in thè hegelian dialfclic, Cambridge,
1896; Studies in hegelian cosmology, Cambridge, 1904.
Di J. H. Green, cfr. Introduction to Hume's Treatise
on Human Nature (nell’ediz. delle opere di Hume. a
cura del Green e del Grose, Lond., 1874-75); Prolegomena
to ethics, ed. dal Bradley, Oxford, 1883 (1884»). Sul
Green, D. Parodi: Vidéalisme de J. H. G., in lìev. de
métaph. et de mor., 1896. — F. H. Bradley, Appearance and
Realily. d Methaphysical Essay, London, 1893 (1902»), —
Intorno alla fìlosofla della religione cfr. .1. H. .Newman,
Ari essay in nid of a Grommar of assent, Lond., 1870; l.e
dèueloppement du dogme chrétien (par H. Breinond), Pa¬
ris, 1905. L’autobiografla del N. è stata tradotta in ita¬
liano col titolo: Il cardinale Newman, Piacenza, 1909;
G. Tyrrel, La religion exterieure, tr. fr., Paris, 1902. E.
Cairo, The euolution of Religion, in 2 voli. (Gifford Lec-
tures degli anni 1891-92, Glasgow, 1899»; W. Wallace,
' Lectures and Essays on Naturai Theology and Ethics
edito postumo dal Caird, con una biografia), Oxford,
1898. — J. B. Baillie, An outline of thè idealistic con-
struction of Experience, London, 1906. ,1. Wabd, Natura-
lism and agnosticism, 2 voli., London, 1899 (1903»); The
renlm of ends, or Pluralism and Theism, Cambridge,
1911. — J. Rovce, The spirit of Modem Philosophy, Bo¬
ston. 1892; The world and thè indinidual, New-York,
1901, in 2 voli.
Parte IV. LA FILOSOFIA ITALIANA. — B. Spaventa,
La filosofia italiana nelle sue relazioni con la filosofia
europea, Bari, 1909; F. Fiorentino, La filosofia contem¬
poranea in Italia, Napoli, 1876; G. Gentile, La filosofia
in Italia dopo il 1850 (pubblicata uella l» serie della
Critica). Un ricco materiale di recensioni, varietà, do¬
cumenti si trova ne La Critica, Rivista di Letteratura,
Storia e Filosofia, diretta da B. Croce (si pubblica dal
1903).
536
NOTA BIBLIOGRAFICA
Capitolo I. — Sul Rinascimento: B. Spaventa, Saqgi
di crilica, Napoli, 1886’ G. Gentile, B. Telesio, Bari,
1912, e Storia della filosofia italiana (in corso di pubbl,
presso il Vallardi di Milano); V. Fazio Allmaybh, Galileo
Galilei (nella collezione del Sandron: / grandi Pensa¬
tori), Palermo, 1912. — Sulla posizione storica di Machia¬
velli non è stata aggiunta ancora una sola linea a quanto
ha detto il De Sanctis nella sua Storia della letteratura
italfana. — Del Bruno v. la recente edizione dei Dialoghi
italiani a cura del Gentile: I. Dialoghi metafisici, Bari,
1907; 11. Dialoghi morali, Bari, 1908 (nella Collana di
Classici della filosofia moderna, a cura di B. Croce e
G. Gentile). Sul Bruno, v. B. Spaventa, Saggi di
critica, cit.; inoltre La fìlos. ital. nelle sue relaz. ecc., e
G. Gentile, G. fì. nella storia della cultura, Palermo,
1907. — Intorno al Campanella, v. le due opere testé ci¬
tale dello Spaventa. Fondamentale è il libro dell’.A ma-
bile, La congiura, il processo e la follia di T. Campa¬
nella (Napoli, Morano, 1883) e Campanella nei castelli
di Napoli, in Roma e in Parigi (ivi, 1887). — Sul Galileo,
cfr. il volume cit. del Fazio. — ^ Di G. B. Vico si va cu¬
rando una nuova edizione completa delle opere nella
collezione del Laterza Scrittori d'Italia. Nei Classici
della Filosofia moderna è stata testé pubblicata, a cura
di F. Nicolini, una edizione della Scienza Nuova, con
ampie annotazioni e un’importante prefazione. Sul Vico
cfr. B. Spaventa, La filos. ital. cit.; F. De Sanctis,
St. della letter. it.] recentemente, B. Croce, La filosofia
di G. lì. Vico, Bari, 1912 e G. Gentile, La prima fase
della filosofia di Vico (nella Miscellanea di studi in onore
di F. Torraca), Napoli, 1912. — Del Galluppi, cfr.: Saggio
filosofico sulla critiou della conoscenza, Napoli, 1819-32.
Vari accenni al Galluppi si trovano nelle opere di B.
Spaventa; v. inoltre: G. Gentile, Dal Genovesi al Gal¬
luppi, Napoli, 1903. — A. Rosmini-Sbrbati, Nuovo Saggio
suH'origine delle idee, Roma, 1830. Intorno a R.: V. Gio¬
berti, Degli errori filosofici di .Antonio Rosmini, 3 voli.,
Bruxelles, 1841-44; B. Spaventa, Scritti filosofici, ed.
dal Gentile, Napoli, 1900; G. Gentile, Rosmini e Gio¬
berti, Pisa, 1898. — Del Gioberti si può vedere La Nuova
Protologia, curata dal Gentile, in 2 voli., Bari, 1912 (nella
Collana di Classici della filos., ecc.). Cfr. inoltre: B. Spa¬
venta, Im filosofia di Gioberti, Napoli, 1863; La filos.
ital. ecc.; inoltre il saggio cit. del Gentile, R. e G.
NOTA BIBLIOGRAFICA
537
Capitolo II. — T. Mamiani, Del Rinnovamento della fi¬
losofia in Italia, Parigi, 1834; Confessioni di un metafisico,
ip 2 voli., Firenze, 1865. L. Ferri, Essai sur l'histoire de
la philosophie en Italie au X/X« siècie, in 2 tomi, Paris,
1869; Il fenomeno sensibile e la percezione esteriore, ossia
i fondamenti del realismo (Acc. dei Lincei, 1887-88). G.
M. Bf.htini, Idea di una filosofia della vita, in 2 voli., To¬
rino, 1850. F. Ferrari, La filosofia della rivoluzione, Lon¬
dra, 1851 (in 2 volumi). — Sul positivismo: C. Cattaneo,
Opere edite e inedite, Firenze, 1892; P. Villari, Arte,
Storia, Filosofia, Firenze, 1884; A. Gabelli, L’uomo e le
scienze morali, Milano, 1869; A. Angiulli, La filosofia e
la ricerca positiva, Napoli, 1868; La filosofia e la scuola,
Napoli. 1888; R. Ardigò, Opere filosofiche (sono stali
pubblicati finora XI voli.). — SuIl’A. cfr.: G. Marche¬
sini, La vita e il pensiero di R. Ardigò, Milano, 1907.
Organo del positivismo, dal 1881 al 1891 è stata la Ri¬
vista di filosofia scientifica, edita da E. Morselli. Cfr.
inoltre la Rivista di filosofia e scienze affini, editV da
uno scolaro dell’Ardigò, il Marchesini. (Questa rivista
s’è fusa dal 1909 con la Rivista filosofica del Cantoni in
una Rivista di Filosofia ed ha assunto un indirizzo eclet¬
tico). — -Intorno alla filosofia dualistica: F. Bonatelli,
Fensiero e conoscenza, Bologna, 1864; Percezione e Pen¬
siero (.Atti del R. Istituto veneto di scienze, lettere ed
arti, tomo III, serie VII, 1892). C. Cantoni. E. Kant, voi. I.:
La filosofia teoretica-, voi. II: La filosofìa pratica; voi. Ili:
La filosofia religiosa, la critica del giudizio e le dottrine
minori, .Milano, 1879-1884. F. Acri, Videmus in aenig-
mate, Bologna, 1907. F. de Sarlo, Studi sulla filosofia
contemporanea, Roma, 1901; / dati dell’esperienza psi¬
chica, Firenze, 1903; inoltre vari articoli pubblicati nella
Cultura filosofica da lui diretta. B. Vahisco, Scienza e
opinioni, Roma, 1901; / massimi problemi, Milano, 1910.
Recentemente il V'arisco ha pubblicato un al-tro volume:
Conosci te stesso, Milano, 1912, di cui abbiamo parlato
neH’Appendice. — Sul neo-kantismo: F. Fiorentino, Ele¬
menti di Filosofia (ad uso dei licei) ed. dal Gentile,
Napoli, 1907; F. Masci, Una polemica su Kant, l’Estetica
trascendentale, e le Antinomie, Napoli, 1872; Le forme
dell’intuizione, Chieti, 1881; Il materialismo psicofisico
e la dottrina del parallelismo in psicologia, Napoli, 1901;
P. .Martinetti, Introduzione alla metafisica, Torino, 1904.
538
NOTA BIBLIOGRAFICA
Capitolo 111. — Suirhegelismo: A. Vera. Iniroduction
à la philosophie de Hegel. Paris, 1855 (1864=); La logique
de Hegel, Paris, 1859. B. Spaventa, La filosofia di Gio¬
berti. Napoli, 1863: Saggi di critica filosofica, politica, re¬
ligiosa, voi. I, Napoli, 1867 (1883=); Esperienza e meta¬
fisica. opera postuma a cura di D. Jaia, Torino-Roma,
1888; Scritti filosofici, con note e un discorso sulla vita
e sulle opere dell’Autore, a cura di G. Gentile, Napoli,
1900; Principi di etica, a cura di G. Gentile, Napoli,
1904; Da Socrate a Hegel, nuovi saggi, a cura di G. Gen¬
tile, Bari, 1905; La filosofia italiana nelle sue relazioni
con la filosofia europea, a cura di G. Gentile, Bari,
1908; Logica e metafisica, a cura di G. Gentile, Bari,
1911. _ Della Storia della letteratura italiana di K. de
Sanctis è stata fatta testé una nuova edizione a cura di B.
Croce (nella Collana Scrittori d'Italia). — Sul marxismo:
A. Labriola, Saggi intorno alla concezione materialistica
della storia. 1: In memoria del manifesto dei comunisti,
Roma, 1895 (1902=); li: Del materialismo storico. Dilu¬
cidazione preliminare, Roma, 1896; III: Discorrendo di
socialismo e di filosofia. Roma, 1902=; B. Croce. .Materia¬
lismo storico ed economia marxistica, Palermo, 1900
(19072). _ Di B. Croce cfr.: La filosofia dello Spirito. 1:
Estetica, come scienza dell’espressione e linguistica ge¬
nerale, Palermo, 1902 (1912‘, Bari); li: Logica come
scienza del concetto puro, Bari, 1908=; 111; l'ilosofia della
Pratica. Economica ed etica, Bari, 1908; Saggi filosofici.
1: Problemi di estetica e contributi alla storia dell’este¬
tica italiana, Bari, 1911; II: La filosofia di G. B. Vico,
Bari, 1912; v. inoltre la Critica, cit. Intorno a questa ri¬
vista sono sorte due collane di testi: Classici della filo¬
sofia moderna, e Scrittori d’Italia, per l’editore G. La-
terza di Bari. — Di G. Gentile, oltre gli articoli che va
pubblicando in Critica, cfr.: Rosmini e Gioberti, Pisa,
1898; Il concetto scientifico della pedagogia, Roma, 1900;
Dal Genovesi al Galluppi, Napoli, 1903; Il concetto della
Storia della filosofia, Pavia, 1908 (dalla Rivista filosofica);
Il modernismo e i rapporti tra religione e filosofia, Bari,
1909; L’atto del pensare come atto puro, Palermo, 1912
{.Annuario della biblioteca filosofica, voi. 1).
Rimando all’Appendice per la rassegna bibliografica
degli scritti pubblicati posteriormente al 1912.
NOTA BIBLIOGRAFICA
539
Avvertenza. — Nel testo abbiamo generalmente ri¬
spettato la cronologia: ma evidentemente, dove si parla
di scrittori contemporanei, è il criterio dell’esigenza di
pensiero che essi rappresentano quello che decide del
posto che spetta a ciascuno. Lo stesso criterio vale per
ciò che concerne i vari periodi dell’attività fllosoflca di
uno stesso pensatore.


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