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Monday, October 7, 2024

GRICE E GRAZIA

 

LA FILOSOFIA SPERIMENTALE e in voga. E in voga, male sta sempre di fronte, temuta avver saria, quella filosofia che rivendica all'attività dello spirito un'attività produttrice ed indipendente, benchè sotto varie forme. Locke combatte l'innatismo cartesiano, ma e stato alla sua volta combattuto da Leibniz : l'Innatismo ricompariva sotto altro aspetto. Non dico giàche le figure siano bell'e disegnate nel marmo, dice Leibniz; ma il marmo non è però liscio e schietto, c'èuna certa venatura, che messa in risalto si accosta assai alle linee che ti occorrono a figurarle. Bonnot di G. muore a Napoli, quasi ignorato. E attorno ad altri saggi, fra i quali un’ Estetica, e le Istituzioni di filosofia. Ma di questi manoscritti forse lasciati a Napoli non si è potuto avere nessuna notizia. Condillac ripiglia l'impresa del filosofo di Wrington, e non contento di divolgarlo tale quale, come fa Voltaire, lo semplifica, lo facilita, sicchè la sola sensazione fa a lui quell'ufficio, pel quale al Locke sono occorsi due coefficienti: la riflessione del filosofo inglese era sbandita come soverchia. Condillac ha, come suole succedere, cominciato con ricalcare fedelmente le orme di Locke, poi aveva rifatto a modo suo: e la sua semplicità maravigliosa piacque in Francia più della circospetta indagine del filosofo inglese. Onde, morto lui, il suo filosofare continua, interrotto appena dallo strepito della rivoluzione, che tenne dietro alla sua morte. Cessato, difatti, il terrore, l'anno appresso i condillachiani ri-apparvero padroni del campo filosofico, e debbero in mano la scuola normale, e l'istituto, che allora sorge per decreto della convenzione attuato dal direttorio. Questo gruppo detto degl'ideologi conta nomi celebri: Cabani s il fisiologo della scuola, Tracy l'ideologo propriamente detto,Volney il moralista, Garat professore alla scuola normale e difensore del sistema; e poi con loro altri che dipoi deviarono, chi più chi meno, ma che allora stano per la medesima dottrina. Biran, Gerando, La Romiguière. Nel decennio corso fra la cessazione del terrore e la fondazione dell'impero questo gruppo di valent’uomini si aduna nei giardini di Auteuil, e l'amicizia degl’animi siaccoppia ne'loro convegni alla concordia delle dottrine. Sotto l'Impero, il cielo per loro si annuvolo. Tutti sanno il dispregio in cui il primo Napoleone tene l'I deologia; non tutti ne sanno il motivo. Napoleone non l'odia tanto come dottrina, quanto come partito. Cabanis, Volney, Garat, DeTracy, che hanno visto di buon occhio il Nettuno che placa le onde tempestose della rivoluzione, non sono più contenti, quando lo videro troneggiare da Giove. Gli tennero il broncio, ed ei si vendica nel rimpastare l'istituto, scartando la sezione delle scienze morali, e destituendo l'ideologia, secondo la frase di Damiron. Villemain racconta gli scoppi della collera napoleonica contro quegl'innocenti ideologhi, che poi non lameritavano davvero. All'ideologia Napoleone imputa di scandagliare le fondamenta dello stato col fine di scalzarle. Vera o falsa che fosse l'accusa, l'ideologia ne scapitd, almeno perdendo la veste di filosofia ufficiale, e lo spiritualismo, che ne spia le mosse, la soppianto nella scuola normale, dove Collard l'introduce. Seguace del keid, questo eloquente filosofo sa vincere la preoccupazione invalsa, che filosofare liberamente non si potesse fuori dell’ideologia; e che quindi o bisogna accettare lo spirito teologico del De Maistre, o schierarsi tra gl'ideologi con a capo Tracy. Con Collard l'alternativa e evitata, ed inaugurata la nuova scuola filosofica della Francia, quella ch'è stata da indi in poi sempre al potere con Cousin, con Rémusat, con Barthélémy de Saint Hilaire, con Waddington, con Simon. In ITALIA lo spiritualismo, rinfiancato dall'eccletismo cousinjano, benchè tradotto dal Galluppi, non fa fortuna: gl’Ita liani o tennero la via degl'ideologi, o se ne scostarono per ben altra filosofia, che non fosse l'eccletismo. Più che la filosofia del senso comune proposta da Reid per fronteggiare lo scetticismo di Hume, ed accettata da Royer-Collard per combattere l'ideologia, diè da pensare agl'Italiani la filosofia trascendentale di Kant. Galluppi se ne mostra profondo conoscitore fin da quando incomincia la pubblicazione del Saggio su la conoscenza umana; sebbene avesse dovuto studiarla nelle scarse esposizioni di Villers. Più tardi soltanto, traduce la Critica Mantovani; ma Lallebasque e in grado di STUDIARLA SULL’ORIGINALE, come dimostra di saper fare nella esposizione che ne dà nella sua Introduzione alla filosofia del pensiero: caso degno di nota per quel tempo, quando nè la lingua, né la filosofia tedesca sono divolgate, come oggidì, non dico in Italia, ma neppure nella rimanente Europa. Le due vie aperte, da indiin quà, sono adunque, almeno per noi, queste due: il SENSISMO ed il criticismo. Tra queste cerca di aprirsi un varco intermedio Galluppi; al sensismo propende Borrelli, al criticismo Colecchi. Borrelli scrive e stampa a Lugano, quasi contemporaneamente a Galluppi, ch'ei conosce però soltanto di nome. Colecchi insegna pure in quel torno, ma le sue questioni filosofiche non sono pubblicate, se non piu tardi. Che G. non quindi conosce gli scritti di Colecchi, è certo; di Borrelli si può dubitare, benchè a certi segni, che appresso additeremo, si possa credere di averne avuto sott'occhio le opere. Indubitato è però che siasi formato su Galluppi, e che siasi prefisso di camminare su la via dischiusa dal suo gran concittadino, evitando gli sviamenti, in cui l'altro era incorso, e tirando più dritto alla meta. Più dritto e difilato procedette in realtà; ma verso dove? Parve a G. che Galluppi, scambio di fondare LA FILOSOFIA DELLA SPERIENZA, come si era proposto, per incaute concessioni al kantismo, e finito con darsegli in preda. Cotesto sviamento ei combatté a tutt'oltranza ne'primi saggi, come nell'ultimo; prima copertamente, e senza pronunziar ne il nome, poi alla svelata. Onde a me non piccola sorpresa ha cagionato il giudizio di certi nostri storici e critici ad orecchio, i quali confondono Galluppi con G., come se professassero la medesima dottrina. Capisco che il titolo, comune ad entrambi, di FILOSOFIA SPERIMENTALE, ha potuto trarre in errore i prelo dati giudici; ecompatirei lo sbaglio, s'ei fossero dilettanti; ma è da condannare severamente in loro, che si danno l'aria di scrivere storie e critiche, senza leggere neppure i saggi istoriati e criticati.  Tornoora a G.. Per dimostrare il processo storico de'due opposti avviamenti, ei ricorre alla sorgiva: rifà quindi la storia de sistemi filosofici moderni, ed ammaestrato dagl’errori altrui ripropone il problema, e si accinge a risolverlo. Anche qui l'influenza di Galluppi è manifesta, avendo questi pel primo rimesso in onore appresso di noi la storia della filosofia, e dato il più lucido esempio d'innestare le ricerche proprie con le indagini fatte prima da altri sul medesimo soggetto. G tuttavia ritesse la medesima storia con altro intendimento; perciò la sua non è ripetizione di quella fatta da Galluppi, e vale il pregio di essere esposta e conosciuta in disparte. La filosofia per G. si aggira sul problema della scienza umana, nè più né meno,che per Galluppi: il titolo delle due opere capitali scritte dai due filosofi calabresi accusa la medesima intenzione. Il Galluppi scrive il saggio filosofico sulla critica della conoscenza; G., il saggio su la realtà della scienza umana . Questa similitudine ha tratto in errore alcuni storiografi da frontispizî, perchè dalla intestazionesono corsi,senz'altro, ad asserire che Galluppi e G. professanol a medesima dottrina. Se non che, questa volta l'hanno sbagliata ; chè se il problema è lo stesso in entrambi , la solu zione è diversa non solo,ma opposta. G scrive col manifesto divisamento di combattere la soluzione gallup piana. Già nella stessa intestazione il filosofo di Mesuraca accenna a questo punto capitale del suo saggio , ch'è la real tà della scienza,compromessa,a parer suo, dalla spiegazione accettata dal filosofo di Tropea. Ma seguiamo ilprocesso storico delproblema,com'è espo sto da G. Galluppi aveva dato l'esempio di accoppiare alla sua Ancora non gli eran potute essere note le tre epoche distinte da Comte , che par di non aver conosciuto n e p pure dopo,egiàeglitripartiscela storia della filosofia, a un di presso,con un criterio analogo a quello del filosofo francese. Nella prima epoca la ragione, baldanzosa per inesperta gioventù,silibra a volo,e tenta costruzioni metafisiche, te nendo scarsissimo conto della scienza principale,e facendo ne quasi un'appendice delle sue fantastiche cosmogonie. Nella seconda,ella piglia per verità le mosse dal proble ma del conoscere; matostolo abbandona, sedottadallame tafisica. Nella terza, la ragione rinsavita si propone chiaro il suo cômpito, ed'altronon sibriga;senon che,pur nelle solu zioni del problema conoscitivo, di quando in quando, fa capo lino il razionalismo. Insomma l'esosa metafisica,lo scapestrato razionalismo sono per G. il vero ostacolo, che non lascia passar la vera scienza per la sua via. Alle tre epoche egli assegna questi intervalli di tempo:la prima si stende dai primi abbozzi ionici fino a Socrate, il fondatore della definizione,e de'ragionamenti d'induzione; la seconda da Platone e da Aristotele corre fino a Locke ; in terrotta qua e là dai tentativi di GALILEI, di  Bacone, e CARTESIO; la terza dura ancora, edènelmeglio delle sue conquiste.  16- dottrina la genesi storica del problema da lui riproposto ; e sirifàda Cartesio a questa parte, daCartesiocheperluiè il padre della filosofia moderna. G. risale più in su , fino ai primordî della filosofia greca , senza perder d'occhio però il problema della scienza. Il suo criterio storico è semplicissimo: v'è due filosofie, una che ritiene l'osservazione de'sensi,un'altra che l'impugna;e quest'ultima, comechè si argomenti di ricostruire la impugnata testimonianza,m e ritasempreilnome di razionalismo. È mestieri, dice G., distaccardeltutto leme tafisiche speculazioni dalla scienza del pensiero, per forzar la ragione al metodo di pura osservazione. La ragione,secondo lui, ha una tendenza precisamente contraria; ingegnandosi di rimenare all'ordine a priori quel chetrovasidatodainduzione. È necessario adunque che la filosofia n e infreni l' impeto, e ne moderi la foga; e, per non esserviriuscitaancora, lametafisica è rimasta stazionaria, piena zeppa di ambiziose vedute, non avvalorate da'fatti. Positivo progresso della filosofia d'oggidì è quello di essersi ridotte le ricerche metafisiche, che untempo formava no la sterile ricchezza degli scritti filosofici. La stessa avversione ha G per lo spirito teologico. L'intervento divino nella spiegazione de'fenomeni na turali vale quanto la macchina nello scioglimento del nodo diuna tragedia. Perocchè è ben facile espediente ilriporta re ad una causa sovrannaturale quegli effetti, che non siè saputo ricondurre alle cause naturali. Soggiunge innotaunariserva, èvero;dichiaradinon voler impugnare i miracoli: il punto principale non è mensaldo però, l'esclusione loro dalla scienza. Qui G., siacheloconoscesse,oche s'incontras se col Comte, si mostra cosi aperto avversario dell'interven todivino,come delleipotesimetafisiche:teologia,erazio nalismo sviano dalla vera scienza. Il tradizionale metodo della filosofia telesiana rivive dopo tre secoli in G.: fondamento della scienzaèlasolaos servazione;e nondimeno riserva di ossequio verso l'autorità religiosa,da parte degli autori. G. rivolgeaifenomeni delpensiero quella os servazione, che TELESIO aveva rivolto a'fenomeni naturali. Il metodo ch'ei si traccia,e che si studia di seguire,è il se guente:osservare ifenomeni primitivi,ridurli finoagli ele menti irreducibili. La filosofia intellettuale, ei dice, dopoaverriconosciuto i fatti attuali di coscienza dee saggiar di risalire di riduzio ne in riduzione al fatto primitivo,alla pura veduta intellet Quali sono i fenomeni primitivi del pensiero a cui si fer ma?Sono tre,lasensazione,ilgiudizio,ilvolere;quindi tre parti principali della filosofia,Estetica,Logica,Etica. Lasciando di vedere se questi tre sono proprio i fenomeni irreducibili,certo è però che ilmetodo da lui seguito è pre cisamente quello tenuto dalle scienze esatte.L'autore non dissimula il bisogno da lui sentito di applicare alla filosofia ilmetodo dellematematiche,allequali s'era da prima ad detto, e dal cui studio deriva in gran parte il riscontro che si può scorgere tra la sua filosofia e quella che nel torno m e desimo si coltivava in Francia sotto il nome di filosofia po sitiva. Eppure, esclama G., non v'è chi passando dalla evidenza delle matematiche alle ricerche filosofiche non senta irrequieto ilbisogno di sortir fuori delle incertezze, in cui vede implicato il sistema della scienza. Come dalla semplice osservazione lo spirito possa sollevarsi alla riduzione scientifica de’ fenomeni, G. descrive in modo molto preciso;e tale che merita esser riferi to con le sue stesse parole. « Ma l'esperienza non è l'osservazione empirica,che si arresta a'fenomeni isolati.Ilmetodo sperimentale sigiova dituttiinostrimezziperiscovrirelaconnessione de'feno meni;del ragionamento astratto,della induzione,delle spe rienze artifiziali, delle ipotesi. Con sì varî mezzi la fisica la vora alle classificazioni de'fenomeni esterni,a ridurre i fe nomeni particolari a'generali,a rilevare dal corso della na tura le sue leggi,cioè le costanti condizioni de'fenomeni,le une costanti e permanenti , le altre costanti nel cangiar dei fenomeni. In tal divisamento non mira soltanto a minorar  tuale.   l'ignoto,che resta limitato a'fenomeni irreducibili, ma ad uno scopo più positivo,a quello diprevenir l'esperienza,e somministrar così preziosi materiali a tutte le arti. Chi ricorda il motto del Comte: savoir c'est prévoir riconoscerà di leggieri il riscontro de due filosofi. Nè risalta meno la comune mira di ridurre i fenomeni fino all'estremo limite, affine di minorare l'ignoto. Trasportandoorailmetodotestedescritto alleinvestiga zioni filosofiche, G. procede cosi ; osserva , cioè, i fatti della coscienza,qual'è attualmente, e di riduzione in riduzione risale finoaiprimielementi,ond'ellaèstata ge nerata. Egli stesso formola il suo problema in questi termini: « coi mezzi che sono in nostro potere, ritrovar la generazione delle verità, di cui siamo in possesso ». Questo metodo ei lo chiama genealogico; e la parola ed il concetto sitrovano inun altro filosofo italiano, noto a G., in Borelli,che intitolò la sua filosofia, Prin cipii della genealogia del pensiero. Fino a che punto s'ac cordino nel loro intento, toccheremo appresso. Qui basta notare, che la filosofia vera, la filosofia seria per G. comincia con quest'analisi minuta degli elementi primi del pensiero. Dimodochè sebbene ei lodi Aristotele di aver a m messo la realtà delle idee universali,e più ancora di essersi fondato sul senso,nondimeno,poiché lo Stagirita vi arrivo quasi di lancio,e per un'affrettata generalizzazione,il nostro filosofo non ripigliala vera storia da lui. Il primo saggio genealogico del pensiero sembra a lui,essere stato il Saggiosul'intellettoumano di Locke, che pure Galluppi chiama immortale. Quel saggio, caduto poi indiscredito, ebbe una meritata rinomanza; e la fama fu più fondata del discredito. La filosofia inglese mette capo tutta quanta in esso; la francese del secolo trascorso ne derivò; alla tedesca, iniziata da Kant, di è il primo urto per mezzo di Hume. Oggidi, appresso di noi.  Il principal merito del filosofo di Wrington era agl’occhi di G. quello di aver combattuto ad oltranza le idee innate.Ritenere tutte,o alcune idee per innate,porta ne cessariamente per conseguenza di non ricercarne l'origine; e quindi impedisce il progresso della filosofia, che tutta si dee travagliare attorno a questa ricerca. Cartesio e Leibniz, che si credono di averle ammesse, inrealtàleritenneroco me semplici disposizioni ;e fu per colpa di una improprietà dilinguaggio se s'imputò a loro diaverle accettate. E qui dava una toccatina a Galluppi. Ma il sistema lockiano, nel rintracciare la genealogia del pensiero, omise moltissimi atti mentali che vi concorrono; ed era omissione scusabile in un primo tentativo, ed in ricerca cotanto complessa. Locke diè, per dir così, una formola generale, alla quale erano applicabili più valori: Condillac si avvisa di darle un valore preciso; ma precisando, disvia.Locke,difatti,aveva riconosciute due sorgenti delle nostre idee,la sensazione,e la riflessione:quest'ultima non era ben definita,erauna funzione che accoglieva un po'di tutto,giudizio,astrazione,ragionamento,volontà,era in definita,siconfondeva con lacoscienza:Condillac dà un va si è piùgiustiversodelmodesto,delsincero,del pazientissimo Locke ; smessi i superbi fastidî delle sintesi frettolose: al tempo che scrive G.  le invettive giobertiane erano accolte senza molti scrupoli ; ed al filosofo calabrese fu gloria non esser se ne lasciato smuovere. Galluppi, come abbiamo visto,lo aveva pregiato assai,ma i consigli del buon vecchio cominciavano ad aver poca presa su gli animi de' filosofi. Fuori d'Italia Herbart faceva tanta stima del Saggio lockiano,che al Consigliere Clemens,il quale lo ri chiedeva intorno alla filosofia da insegnare ne’ginnasi, riso lutamente rispondeva : dal maestro di filosofia ne'ginnasi anzi tutto ed assolutamente richiederei che avesse letto Locke .  ore preciso , riduce tutto alla sensazione , o semplice, otra sformata : sentire è giudicare. G. fa della sensazione e del giudizio due fenomeni irreducibili ; egli non può dunque nè contentarsi dell'ambiguità della riflessione lockiana, ne moltomeno dellasemplicitàdellasensazionecondillachiana. All'osservazione de'fatti gli pare che il Condillac abbia sosti tuito la tortura del fare sistematico. Gran merito di Kant è quello di avere scorto l'importanza del giudizio,di questo fenomeno irreducibile, stato da Condillac confuso con la sensazione. Pel filosofo di Koenisberg gli ultimi elementi delle nostre idee sono da una parte le sensazioni,dall'altraigiudizî:idueelementi appunto che al nostro filosofo paiono indispensabili alla soluzione del problema che si è proposto. Ma con questo gran merito egli imputa al Kant una gran colpa,la soggettività de’rapporti; vizio che gli sembra infet tare la filosofia contemporanea. L a soggettività di Kant però, e G. ne conviene , fu una necessità storica. Locke aveva detto che tutte le n o stre idee nascono dalla sperienza,e che un'idea originale semplice non può derivare quindi da un ragionamento : H u me accettò le premesse, econtinuò: ma l'idea di causa non. Per lui,come per d'Alembert, lafacoltà distintiva dell'es sere attivo e intelligente,è quella di poter dare un senso al la parola è:ora Condillac questa distinzione l'ha distrutta.; i J tà el Se elementi soggettivi, eglinota,simesconoco'dati spe rimentali,in taleipotesinon conosceremmo quel ch'è nel fattoosservato,ma quelcheciapparisce esservi;talchese spogliamo ilfattodiciò ch'è nostra proprietà, la nostra conoscenza svanisce.Si vuol che siano elementi soggettivi le idee di spazio, di tempo, di sostanza, di causa? Togliete via dunque dagli oggetti esterni e dal proprio essere siffatti ele menti;e la scienza della natura,e dello spirito è distrutta »,   può derivare dalla sperienza ;dunque non c'è.Cosi tutta la scienza della natura andava in aria,e Reid sirifugiò nel sen so comune ,in una credenza irresistibile,istintiva:Kant a m mise degli elementi aggiunti dall'attività dello spirito. G. nota con molto accorgimento,che in sostan zailsensocomune, dicuitantosi compiacciono certi filo sofi anche oggidi,non salva nulla;che per giunta è pieno di contraddizioni, perchè introduce classificazioni e distinzioni arbitrarie, mentre si era prefisso di accettare le comuni credenze tali quali si trovano nella coscienza volgare; che tra Reid e Kant,per ciò che riguarda la realtà della scienza, non c'è punto di di vario. Kant nello spiegare il fenomenolosfigura,elascia sco vrireildubbio: lascuolascozzesetiene occultato il dubbio perchè non imprende la spiegazione del fenomeno. È Bravo G.! Egli non si lascia appagaredallepa role,e civedebenaddentro;esel'haconKant,saperò rendergli giustizia,nè condannando lui,assolve quelli che sono intinti della stessa pece. Ed ora viene ilbuono.Nella dottrina kantiana ei capisce subito, che non il numero degli elementi soggettivi aggiunti dallo spirito,ma l'aggiunzione sola,quanta che fosse, era sufficiente a compromettere la realtà della scienza umana . Certi nuovi critici,che in filosofia credono poter servirsi dellastadera, han detto,peresempio: Kant ammette in tuizionipure,categorie edidee,tutte apriori,ilGalluppi, invece, appena appena dà per soggettivi i due rapporti d'i dentità e di diversità,dunque è lampante ch'ei sian discosti le mille miglia uno dall'altro.  sta dunque la differenza, in quanto alla realtà delle nostre conoscenze , tra il proscritto sistema kantiano, e la favorita dottrina della scuola di Reid ! que G. scrive così:«basta ilsupporre una pura ve duta dello spirito il solo rapporto d'identità e di diversità,   ·apporto fondamentale delle nostre conoscenze , per ricadere nel realismo empirico del sistema kantiano. Nè contentoacid, altro verincalzalasua osservazione in questi termini. Mettiamo ora in disparte il sistema kantiano; cangiamo la sua ripartizione tra gli elementi soggettivi e gli oggettivi accordando più largamente alla sperienza ; o anche tutte le idee diciamole derivate dalla sperienza,e riteniamo bensi solamente che non sono condizioni oggettive i rapporti a n zidetti appresi tra le sensazioni ; noi ricadiamo apertamen te nel realismo empirico della filosofia critica. Per G. il kantismo consisteva nell'applicazione di elementi soggettivi alle sensazioni:dovunque riscontra que sto medesimo processo ei riconosce ritenuto il fondamento della filosofia kantiana. Ei si maraviglia anzi che gli altri non siansi accorti di questa medesimezza. La storia nota a stupore della posterità,che i filosofi tutti hanno accusato d'idealismo il sistema kantiano, e che niuno aveva avvertito, l'idealismo esser nella supposta n a tura soggettiva delle idee di rapporto. Quale sarebbe stata la maraviglia di G., se avesse vistoche,quando ebbenotatacotesta somiglianzalo SPAVENTA, contro lui gridarono tutte le oche, vigili sentinelledella rocca filosofica. Parve denigrazione della filosofia italiana, quella ch'era critica aggiustata e seria:parve così a coloro, iquali se ne predicavano sostenitori,quando non l'avevano studiata,e forse neppure letta. Ma torniamo a G.. Ei non cita il Galluppi in tutto quanto il Saggio, se non una volta sola ; egli però scrive il libro per combattere la dottrina del suo gran concittadino,che glipareva derivata a dirittura da quella di Kant.Che però miri a Galluppi, ap    parisce da un'apposita nota al Saggio.La dottrina degli elementi soggettivi,ei dice,è stata da noi detta soggettivismo per denotarla qual vizio radicale del metodo filosofico.Puòanche dirsiformalismo, riferendosi alle forme pure diKant,che sono gli elementi soggettivi. Noi abbiamo preferito finora la prima espressione per la c o n siderazione, che nelle dottrine attualmente in vigore si abbraccia l'ipotesi degli elementi soggettivi,e non vi si parla di forme. E siccome credono alcuni di non incorrere nell'idealismo di Kant,tuttochè adottano quella ipotesi;noi nel combatterla sotto qualunque aspetto,dovevamo ritenere il nome or generalmente adottato, quello di elementi sogget tivi.Se cifossimoinvecediretticontro ilformalismo, po teasi credere che prendevamo di mira il solo sistema kantia no.Insostanza,ladistinzionedimateriaediformaintal sistema serve a render più potente l'idealismo,che si rac chiude nella dottrina degli elementi soggettivi.Quindi si son messe in disparte le forme kantiane, e si sono adottati gli elementi soggettivi che Kant appello forme. Ecco come da taluni si è creduto evitare l'idealismo kantiano! Per G. adunque il divario fra Kant e Galluppi, ed anche tra Kant e Rosmini,come vedremo appresso, era più dinomeched'altro. Che cosa ne dirà Acri? checo sa ne diranno tutti quei ciarlatani grandi e piccini,che sen zaaverlettoneppureifrontispizîdelleopereche citano,lo mitriarono vindice della filosofia italiana ? Ai ciarlatani è inutile rivolgere nessuna domanda;al pro fessore Acri domando che cosa voleva dire,quando scrisse a proposito del Galluppi il seguente giudizio ricavato da G. Ma perciò che Galluppi e Kant affermano tutt'e due che questeidee(identitàediversità)sono soggettive es'accor   dano nelleparole,ne vuoi dedurre che Galluppi sia kantia n o ? Il tuo argomento sarebbe questo nè più né meno: quell'anima le lì è cane; quella costellazione lì è cane: quello abbaia; dunque quell'altra deve pure abbaiare. Se si considera ilpensiero di Galluppi su questo argomento,quantunque non molto lucido e netto, come ha notato quel nostro G. degnodimaggiorfama, sivedesubitochel'idea diidentitàhavalore oggettivoereale, perchènasce dall'i dentità reale dell'io come cosa,non altrimenti che l'idea di unità (Acri, Critica). Quando lessi questa scappata dell'Acri, mi misi a ridere: tralasciai pero di tenerne conto nella risposta che gli feci, non volendo entrare nella esposizione di G.,che sa pevodidovere scriveredopo:eccomioraapoternefartoc care con mano la falsità. Stando all'Acri, adunque,quel nostro G. aveva notato benissimo che per Galluppi le idee di identità e di di versitàerano oggettive; chesoltantonellaespressioneave va questi mancato di lucidezza. Ha Acri letto davveroil Saggio di G.? Io credo, edebbocrederedino, perchè intutt'iquat tro volumi,quel nostro valoroso concittadino d'altro non biasimail Galluppi,pursenzacitarlodinome,che diaver accettato dal kantismo la soggettività de'rapporti, segnata mente poi di questi due d'identità e di diversità. Acri, seavesselettoillibro,non sarebbeuscitoin quella citazione,inesatta non solo,ma assurda ;chi pensi, che G. ad altro fine non scrisse,che a rilevare la medesimezza de'risultati, per rispetto alla realtà della n o stra scienza,si delle forme kantiane,come degli elementi soggettivi delGalluppi. Capiscoche Acri potevafar a fidanza con l'ignoranza assoluta de'suoi ammiratori in fatto di storia della filosofia, ma egli non doveva contare per niente,dunque,neppure isuoi contraddittori?   Padronissimo di creder lui,che que'rapporti per Galluppi sianooggettivi,ma perchè volertirare dallasua anche G. ,che tutta la vita scrisse appunto per dimostrare il contrario?È un po'troppo,parmi. Finchè visse il Galluppi, G. non riflni dal com batterneladottrina, congrandeinsistenzaforse, delche si scusava;ma con profonda convinzione, edopo averne lunga mente ponderato quelli che a lui parevano inconvenienti gravissimi.Nol nominò però mai,altro che una volta sola, e per lodarlo. Morto che e Galluppi , scrivendo egli l'ultima sua opera col titolo di Prospetto della filosofiaortodossa, smettelaprima riserva,elocombatte no minatamente . Ripetendo le antiche obbiezioni ,egli scrive cosi. Su tutto quel che abbiamo qui osservato intorno alla dottrina della sensazione essenzialmente percettiva, e della soggettivitàdelleideedirapporto,dobbiamo anoistessiil far noto a'nostri cortesi lettori,che le stesse osservazioni, più estesamente sviluppate,furono fatte di ra gione pubblica, e non abbiam poi cessato di riprodurle in parte,e ripetutamente in varii articoli pubblicati in diversi giornali. Dimodochè rimane fuori di ogni controversia, che il De Grazia ha inteso combattere la dottrina di Galluppi su la soggettività de'rapporti,e che ha creduto essere questa dot trina conforme a quella di Kant . Potrei anzi a g giungere,che la soggettività de'rapporti parve a G. concedere più di quel che Kant medesimo ricercasse:«tutto, egli avverte, si accordava a Kant , anzi ancor più di quanto questiesigea,quando glisiaccordava,che le idee di rap porto sono elementi soggettivi. E perchè dippiù? Perchè Kant limitava almenoilnumero delle sue forme; mentre la tesi galluppiana della soggettività spaziava più largamente. Ecco le strette in cui G.  pone questa filosofia.  Finché siritiene,eidice, da'filosofilanatura soggetti vadelleideedi rapporto, restainconcusso ilprincipio,che isensi non possono altrodarcichenude sensazioni. Questo principio o rovescia per intero il sistema sperimentale, o deve ammettersi che tutte le nostre idee sono sensazioni:ad un estremo èilformalismoassoluto, all'altroestremo è il sensualismo. Nelle forme pure dello spirito si modella in ideel'informemateriasensibile,dice ilformalista:tutte le nostre idee sono sensazioni, o primitive o trasformate, dice il sensualista. O Kant,o Condillac:eccoilbivio della filosofia, secondo il nostro filosofo. Perchè questo bivio? Perchè due soluzioni sono possibili, quando non si tien conto di tutti nostri mezzi del conoscere. Questi mezzi sono due :sentire,e giudica re;ridurli entrambi ad un solo,importa o lasensazione tra sformata di Condillac,o ilformalismo kantiano. Formalista è dunque Galluppi, formalista Rosmini ; entrambi costretti ad ammettere tutt'igiudizi come sinteti ciapriori. « Se l'idea di identità fosse un elemento soggettivo,come essi opinano,e perciò addizionale alle due idee,il nostro giudizio sarebbe in tutti casi sintetico a priori ».(p.286). Ma ilGalluppicombatteigiudizîsinteticiapriori,sidi ilcorollario previsto da G.  non lo tocca dun que .Così ragionerebbe chi si fermasse alla buccia delle q u e stioni;noncosì G., ilquale vipenetraaddentro. È una contraddizione, eglidice,dicuiilfilosofonon s'èac corto, perchè la vera dottrina è quella che non dipende dal la intenzione, o dalla professione di fede che fa un autore, ma quellachesifondanellalogica. Avete un bel dire che giudizi sintetici a priori non volerà; « Non si è dunque avvertito, che son due tesi contraddit torie, il non esservi giudizî sintetici a priori, e l'essere ele mento addizionale l'idea d'identità ». (loc.cit.).   te ammetterne,quando poisostenete che ogni rapporto è un'identità o totale o parziale ; e quando soggiungete che questa identità è un'aggiunta dello spirito. Quale dottrina contrappone ora G. a quelle del Condillac,e del Kant ? L'uno diceva : giudicare è sentire; l'altro, seguito dal Rosmini e da Galluppi, diceva:giudicare è aggiungere; G., discostandosi dal primo e dal secondo, dice:giudicare èosservare. Ma prima d'intendere il significato nuovo,ch'ei dà alla funzione del giudizio,necessita ricordare com'egli abbia in teso la sensazione. Né Locke, nè Condillac distinsero abbastanza la sensazio ne dalla percezione ; Condillac anzi le confuse affatto. Alla stessa confusione fu sforzato Galluppi.Tralascio le osser vazioni sui primi due,mi fermo a quelle che vanno dritte contro la spiegazione galluppiana,ch'è lamira principale di G. Due sbagli commette Galluppi,uno di confondere ilsen - timento con la coscienza; l'altro di confondere la sensazione con la percezione. « Il sentimento e la coscienza del sentimento sono nel n o stro spirito cosi abitualmente congiunti,che più filosofi han confuso i due fatti affermando, che sentire ed esser conscio di sentire non sono che una operazione medesima dello spi rito. Confondendo la coscienza della sensazione con la sensazione, non si sono avveduti que'filosofi, che ciò era un confondere il conoscere, il percepire col sentire, con fusione che essi medesimi rimproverano a'sensualisti. Queste due confusioni erano state fatte veramente dal Galluppi,avendoeglicompresosottoilnome disensibilitàin   Il simile si dica della idea dell'ente, che Rosmini a g giunge ad ogni giudizio; su la quale torneremo altra volta.  Sentire il me sensitivo di un fuordime, glidice G., è la più forzata contrazione,che potea darsi all'e spressione del fatto di coscienza. L'industria adoperata da Galluppi per nascondere questi giudizî elementari e primitivi proviene,a parer del nostro fi losofo, dal perchè egli li aveva tenuti per sospetti di sogget tivismo.Questo medesimo motivo lo indusse ad ammettere le sensazioni oggettive, senza bisogno di spiegare il passag gio dal sentire al percepire . Leibniz e d'Alembert, entrambi geometri , e prima di loro anche il Malebranche, avevano riconosciuto il bisogno di spiegare il passaggio dal me (cf. GRICE, PERSONAL IDENTITY) al fuor di me: i due primi avevano anzi proceduto più avanti,additando come mezzo l'induzione; il Galluppi tagliòcorto,negò ilproblema stesso; affermando non esservi luogo a passaggio, quando la sensazione coglie immediatamente l'oggetto. Doppio sbaglioadunque da parte di Galluppi: primo, aver disconosciuto igiudizî primitivi;secondo,aver rifiutato,per la conoscenza del mondo esteriore, il soccorso della induzio ne . Contro i giudizî lo aveva prevenuto la dottrina kantiana de'rapporti soggettivi ; contro l'induzione,il presupposto che nessun'abitudine posteriore avrebbe potuto fare ciò che un atto primitivo non aveva potuto.Se una prima sensazio ne non mi fapassare all'oggetto esterno,come, diceva il Galluppi, mi ci potrebbe abilitare una seconda od una terza? Eppure de'giudizî abituali che si frammischiano alle sensa zioni aveva toccato prima il Malebranche , poi il Condillac ;  - terna il sentimento e la coscienza del me; esottoil nome di sensihilità esterna la sensazione e la percezione . Perchè dal sentimento si va daalla coscienza, edallasen sazionealla percezione ci vuole il giudizio; non il giudizio galluppiano che aggiunga rapporti soggettivi, ma ilgiudi zio che osserva,ed osservando distingue i rapporti reali delle cose.   e della forza dell'abitudine Hume ,e della efficacia della in duzione avevano accennato Leibniz e D'Alembert! G. riassume e tesoreggia isaggi de'suoi prede c essori , e li compi e così . associazione adunque spiega l'origine : l'induzione as sicura la realtà; come si può assicurare, beninteso, una ve rità contingente , la quale non esclude mai la possibilità del l'opposto. Coloro i quali han posto mente alla sola abitudine fonda ta su l'associazione,han detto :ma qual garantia ci porge ella della sua realtà ? Così son rimasti nel circolo descritto da Hume. G. , s chi vale prime e le seconde difficoltà , e formola il processo genealogico cosi: l'associazione comincia, senza badare alla realtà;l'induzione legittima ciò che trova, senza doversi brigare del cominciamento. In siffatta guisa il nostro filosofo fa capitale di tutt'i saggi parziali tentatiprimadilui,licollega,liordina,licompie uno con l'altro :la sensazione e igiudizî abituali, intrave duti da Malebranche e da Condillac ;l'osservazione, indefi nitatralemanidi Locke, edalui meglio precisata; lamas sima aurea del Kant :pensare è giudicare ;la virtù dell'abi tudine,messa a rilievo da Hume;la induzione accennata da Bacone in generale,additata da Leibniz e da D'Alembert a  scenze provvisorie. 30 La sensazione dà iprimi dati, il giudizio osserva i rap portichevisonocontenuti; l'associazione delle idee ci for nisce leconoscenze prime concernenti ilmondo esterno,in via provvisoria ;l'induzione,più tardi,legittima le cono Gli altri,invece,ponendo mente alla tardiva comparsa della induzione, hanno osservato, come Galluppi: ma la induzione vien troppo tardi a farmi passare alla realtà ester na,richiede troppi congegni,troppe industrie,dicuil'in fante non si può supporre capace.   31 proposito dellaconoscenzadelleveritàdifatto.Bacone,di fatti,dicendo:sensus tantum 'de experimento, esperimen tum de rejudicet,aveva enunciato un canone applicabile piùaifenomeninaturali, chealnostromodo diconoscerli: l'applicazione speciale alla nostra conoscenza si deve a'due geometri filosofi, cioè al Leibniz ed al D'Alembert. La storia intanto invece di attribuire agli anzidetti filosofi la debita lode di essersi accostati sempre più alla soluzione delproblema delconoscere,ricordalemacchine artificiose de'lorosistemi ,l'occasionalismo, l'armonia prestabilita,e simili deviamenti dalla salda filosofia. Galluppi poiagli occhisuoihailtorto non solodinon aver profittato de'saggi antecedenti, ma di essere indietreg giato anche al di là di quel che aveva avvertito ilCondillac. Questi aveva ritenuto per obbiettivo, o percettivo il solo tatto: Galluppi estese l'obbiettività a tutti i sensi, occultan do la difficoltà invece di scioglierla.La realtà oggettiva de gli esseri esteriori,ei dice,ha bisogno di essere legittimata: ciò che non veggono alcuni odierni scrittori,iquali sup ponendo naturalmente percettivid ell'oggetto esterno i no stri sensi,credono con ciò avere abbastanza legittimata la realtà dell'oggetto esterno. Galluppi diffidandodituttociòche civieneinorigine per mezzo de'giudizî,trasporta alla sensazione quanto im mediatamente siapprende con l'atto del giudizio. Ei non s'accorge che c'è una contraddizione manifesta tra la realtà oggettiva delle idee e la natura soggettiva de'rap porti  Ondechesquadrilaquestione, G. torna,edin siste sempre su questo vizio radicale della dottrina gallup piana;vizio che apparve chiaro in Kant,e che in lui rimase occulto per aver dichiarate oggettive leidee,contraddicendo alla loro provenienza. In Galluppi rivive la tesi del concettualismo , che il n ostro filosofo combatte aspramente; in Galluppi,e più anco ranel Rosmini.G. fautore del realismo,non del platonico però,spende molte pagine nel rilevare gl'inconve nienti del concettualismo medioevale,e più del moderno;ed in questa disputa,trattata largamente in una rassegna appo sita pubblicatail1850, eidifende SanTommaso dallataccia di concettualista, ed impugna la somiglianza che Rosmini vuol trovare tra la sua teorica dell'ente possibile, e quella dell'Aquinate. Di questa particolare ricerca diremo appresso : continuiamo intanto ad avvertire, con la scorta di G., le lacune ch'egli addita ne'sistemide'suoi avversarî. La critica dello stato attuale fu fatta maestrevolmente da Kant. G. è larghissimo di lodi al fondatore del Criticismo, filosofo per questo verso inarrivabile. Della origine però Kant non occupossi, dichiarandoaggiunti a prior itutti quegli elementi, di cui gli pareva arduo rintracciare la ge nerazione. Quanto sitoglieaiverimezzi diacquistar cono scenze, tutto si attribuisce ad una supposta origine a priori, a questo vasto serbatoio di tutte le perdite dell'analisi . Cosi , con una similitudine arguta,ei battezza per vere lacune, per difetto di analisi ogni forma a priori. Nella stessa maniera han combattuto,dopo di G., l'apriori ifilosofi po sitivisti. Siricasca inquesto metodo dunque,sempre che, abbandonatalagenesisperimentale,siricorre allospedien te di addizioni di forme pure;sia qualunque ilnome con cui si travestiscano. D'accordo con Kant, dice G., che la conoscenza risulti da sensazioni e da giudizî; ma giudicare, per me, semplicemente osservare,e non è punto aggiungere. La veduta èprora quando siosserva nell'oggetto,non già quando  - Il metodo daseguire, nelproblema dellaconoscenza,era questo:esaminare lo stato della coscienza, qual'è attualmen te;risalirealle origini delle idee che ora vitroviamo;legit timarne la realtà.   O siaggiunge dal soggetto. Aggiunta chel'avretevoi,non è più da discorrere della sua realtà. Sicché delle tre analisi da fare, Kant fece benissimo la critica della coscienzaattuale; arrestossi per via nel rintrac ciare le origini della coscienza primitiva;e conseguentemen te non potè legittimare la realtà della nostra scienza. La realtà della scienza è collegata con la dottrina del giu dizio:se questo è una mera osservazione,la realtà è assicu rata; se,invece,è una funzione addizionale, la realtà non si può a nessun patto legittimare. Ed ora noi siamo perfettamente in grado dicomprendere, perchè G. combatta con tanta insistenza la filoso fia di Galluppi, ed insieme di valutare,quanto poco la mira di G.  sia statas corta da quellichenehannofinora discorso. Egli ritorna spesso su la critica da noi esposta, con una prolissità,ch'è stata non piccola causa dell'esser passatainavvertita, perchè dileggereiseivolumidelle sue opere i più si sono sgomentati. Il significato però di tutta la sua discussione si può ridurre a quest'alternativa in cui egli trovòimpigliatala ricercadellaumana cognizione: gliuni avevan detto con Condillac: giudicare è sentire ;gli altri a vevan ripetuto con Kant :le idee di rapporto sono elementi soggettivi: egliavevarisposto: è falsal'una el'altraspiega zione. Ilgiudicarenon èsentire,ma osservare; irapporti sono oggettivi,non soggettivi. Galluppi intanto , destreggiandosi tra le due spiegazioni , aveva di ciascuna ritenuto una parte.Pur discostandosi dal la dottrina condillachiana, pur distinguendo ilgiudiziodal la sensazione,aveva però ammesso de'rapporti,iquali era no sentiti:tali erano il rapporto tra modificazione e sostan za,ed ilrapporto tra effetto e causa. Similmente,pur promettendo divolersiappartareda Kant, pur professandosi fedele al metodo sperimentale, aveva accettato due rapporti come soggettivi affatto,quello d'identi tà,e quello di diversità. La sottile e giusta critica di G. aveva messo in e videnza le due capitali contraddizioni della filosofia del Gal luppi.La consapevolezza piena,profonda,ch'egli ha delle obbiezioni mosse al suo grande avversario , ve lo fa insistere forse soverchiamente ;ma non senza rivelare una grande perspicacia di mente nell'applicazione che ne fa alle singole questioni. L'idea di azione,di connessione,egli scrive,è idea di rapporto;eirapportisigiudicano,non sisentono.Sièdi menticato in questa occasione,che una sensazione non è più che una nostra modificazione, e per se stessa non può darci altra idea che quella di un particolar nostro modo di esistere. L'anno appresso, che G.  finisce la pubblicazione del suo Saggio, cioè, un dotto abbruzzese, Colecchi, pubblicava in due volumi le sue Quistioni filosofi che,e vi rifaceva lacritica di Galluppi,muovendo da un criterio opposto a quello del nostro G.,ed intanto somigliantissima nel significato. Il Colecchi segue la filosofia kantiana nel concetto fonda mentale,ma senediparteinmoltiparticolari.Riduceleca tegorie tutte quante a quelle di sostanza e di causa;le deduce non già dalle forme del giudizio, come aveva fatto Kant , ma dalle anzidette nozioni di sostanza e di causa, congiun te con quelle di spazio e di tempo ; rifiuta lo schematismo kantiano, che gli parve complicato, e superfluo ; e finalmen te crede , che la realtà della nostra scienza non ne sia punto compromessa. Colecchi adunque biasima il Galluppi d'incoerenza per averammesso alcuni rapportioggettivi,edaltrisoggettivi; senonche, invece disoggiungere com G: dove vateritenerlituttiper oggettivi, corregge lacontraddizione   io galluppiana in un modo opposto, soggiungendo: dovevate ammetterli tutti per soggettivi. Tralasciando ora le modificazioni arrecate dal Colecchi alla filosofia kantiana, eraffrontandolesueobbiezioni contro Galluppi in ciò che s'accordano con le altre antece dentemente mosse dal nostro G., citiamo in compro va testualmente le parole del filosofo abbruzzese,perchè il lettore ne vegga l'accennata somiglianza. Dopo aver egli ricordato la soggettività de'rapporti d'i dentità e di diversità ammessa dal Galluppi contro del Locke , continua così: « Posto ciò si domanda ora:se rispetto a quelle idee che sono un prodotto dell'analisi che le separa da'sentimenti, e che sono perciò oggettive,venga lo spirito assistito o no dalledue ideed'identitàedidiversità?seno,nonpotràegli separarle punto dai sentimenti;perocchè un bambino puran che ne ha bisogno,per distinguere lasua nutrice da uno stra niero;e tale distinzione è fuor di dubbio un atto di analisi : se sì, le due idee d'identità e di diversità devono precedere le sensazioni:sono dunque per anticipazione,ed anteriori ai sentimenti; e perciò nell'ordine cronologico delle nostre co gnizioni non possono essere posteriori alle sensazioni, ne presupporle come condizioni indispensabili.Come dunque so stenere: che ogni nostra cognizione incomincia con l'analisi, e termina con la sintesi, se per fare qualunque spezie di a n a lisi,ha bisogno lo spirito delle due idee d'identità edi diver sità,le quali, per avviso del nostro autore, sono un prodotto della sintesi che le aggiunge ai prodotti dell'analisi?(Quistioni filosofiche,Napoli). Potreicitarealtri luoghi,concui il Colecchinota il di  un li ne ato 4 1 Biasima inoltre Galluppi di aver detto che sono sogget tivesololeideedirapporto,perchèegliammette leideedi spazio, ditempo,disostanza,dicausa,sottoilnome dileggi della intelligenza,che sono soggettive,senza essere rapporti.   verso valore che debbono avere nella ipotesi di Galluppi le idee di identità e di diversità quando si applicano o agli o g getti dellamatematica, o aquelli della sperienza; ma usci reifuoridelmiotema. Amepremeasso dare chele contraddizioni, in cui s'era avvolta la filosofia galluppiana per manco di coerenza,erano state rilevate con mirabile acume da G. e da Colecchi. Ferri,il quale scrisse due grossi volumi su la sto riadellafilosofiaitaliananelnostrosecolo,non trovòaltro spazio per ricordare idue anzidetti nostri filosofi, che questo, occupato dalle seguenti parole: « Il faudrait enfin mentionner les écrits de Di Grazia, et de Collecchi , Napolitains, qui, tout en modifiant,ou en combattant Galluppi, n'ont cependant pas dépassé le point de vue de l'expérience ou de la philosophie critique. Essais sur l'histoire etc.. Certo così Ferri non si compromette. En m o d i fiant, en combattant, sono frasi tanto diplomatiche che par che dicano, e non dicono. G. modifica Galluppi; Colecchi lo combatte: ci ho gusto : sta bene; ma che cosa han detto? Questo è il punto; e su questo, silenzio perfetto.E poi G. non l'ha punto modificato, l'ha combattuto pure : l'avesse combattuto, qual lume si ricaverebbedaquestemezzeparole? Nonerameglioconfes sare di non averne letto sillaba ? E perchè non occuparsene? Forsechè erandameno ditanti altri? Io,peresempio,sen za far torto a nessuno , e salvo la disparità per altri riguar di,trovo più ingegno filosofico in G. e nel Colecchi, che non nel Mamiani. L'ho detta grossa? Chiedo scusa a tutti quelli che ne prenderanno scandalo ;certo di aver con mecoloro, che sen'intendono davvero; eche intendendo sene ardiscono dire il proprio parere. Del silenzio su Colecchi Ferri si scusa quasi ,scri vendo in una nota così. Les écrits de Collecchi dispersés dans les recueils litté raires n'avaient pas encore été publiés en un seul corps il y a quelques années, Pardon, .Ferri: gliscrittidel Colecchi furono stampati in due volumi, che io ho qui sul tavolo,ed hanno questaindicazione: Napoli,all'insegna di Manuzio, Carrozzieria Montoliveton. Qualgiro di anni comprendete voi nell'il y a quelques années ? Venticin que non vi bastano? E perchè non una parola su G., che doveva es servi noto,poichè ne registrate ilSaggio nell'indice delle opere filosofiche pubblicate in Italia in questo secolo ? Forse non entrava nel disegno vostro, ch' era di d e scrivere il pensiero italiano tutto inteso a cercare ciò che poi ha finalmen te trovato , l'idealismo temperato ? ed allora perchè accusare diparzialità Spaventa, cheavevatrascuratinon soquali filosofi, indotto dal suo criterio hegeliano ? Ma passiamo oltre, avvertendo soltanto, poichè siamo su questo argomento, che il cognome di G. non va scritto “DiGrazia”; e che Colecchi non va rinforzato come l'ha rinforzato Ferri, che lo scrive Collecchi. Sarebbero minuzie, se non attestassero la poca diligenza nello scrivere la storia. Morto chefuil Galluppi, G,, benchèricordiqua e là gli sforzi sostenuti nel combatterne le dottrine, rivolge però altrove la propria attenzione. Ne'discorsi pubblicati ei se la piglia con la filosofia,che in Italia aveva preso ilsopravvento,echenonsicuravadinascondereildispre gio in cuiteneva l'esperienza.Oramai non si tratta più di scoprire un Idealismo,tutto studioso di occultarsi sotto il nome difilosofiasperimentale,com'erastatoilcasodel Galluppi,ma di combattere un Idealismo che si presentava alla svelata,eche,sottonomi diversi,s'eraguadagnate lementi della nuova generazione.IlDe Grazia comprende tutti questisistemisotto un nome solo,sottoquello difilosofia spe culativa . Traquestisistemiperò,secondolavaria importanza,al cuni combatte più acremente,altri accenna soltanto.Accen na pure del consenso del genere umano del La Mennais, del tradizionalismo del P. Ventura;delprimo un po'più distesa mente, perchè s'accorda col sistema di Gioberti nel rifiu tare la testimonianza e l'autorità della coscienza subbiettiva. Quanto a Ventura, poco seguito aveva trovato in Italia, nèmeritavaimportanza, nè G. glienedàmolta. Mente severa, educata alle scienze matematiche, G. la giustizia sommaria di tutti questi sistemi in un fa scio,ai quali a suo avviso mancava e la base solida, ed il rigoroso ragionamento. «Una volta,eiscrive,erascrittoall'ingressodellascuo. la:nemo accedat, nisigeometra; igiovanetti oggi leggono: nemo accedat,sigeometra.E non hanno torto,perché ove si tratta di creare enti, o di manifestazioni del Dio-Cosmo, e di ispirazioni,e di intuiti,o di nuove logiche trascenden tali,non può esservi luogo pe'geometri:non è arena per le loro forze ». Ce n'è per tutti, come si vede, e non risparmia né i si stemi tedeschi,nè i francesi,né i nostrani ;ma vediamo quali obbiezioni particolari muova a ciascuno ;e basterà ac cennarle,perchè oramai abbiamo abbastanza conosciuto il suo criterio. « Più dilettevole trattenimento ci dà il La Mennais nel ravvisar per ogni dove un riflesso del d o m m a religioso ; che  38 Contro del La Mennais nota che la ragione umana collet tivaèun'astrazione,che solo l'individuo esiste;e quindi il consenso universale non ha altro valore, che quello degl'individui, da cui proviene. Con non dissimulata derisione trat ta poi le spiegazioni fantastiche de'fenomeni naturali per mezzo del domma.   Punzecchiando Gioberti,siricordadelGalluppi,cheper liberarsida ogni molestia sularealtàde'corpi,concepi ob biettive le sensazioni , e scrive . Le sue celie su la commodità di questi spedienti sono fre quenti;senoncheglisembra che nègl'intuiti,néleispi razioni , nè gli istinti, nè le idee inerenti allo spirito , benchè talvolta simulino l'evidenza,bastano però a surrogarla pie namente . Se G. tralascia gl'influssi divini, cið avviene perchè il Mamiani non li aveva ancora escogitati. Ma torniamo agli appunti ch'ei muove al Gioberti. Come ! eidice,l'intuitoèpresente,enon sivede!È ecclissato,sirepli ca,estabene;ma comeunmotivofinito basta adecclissarlo? G., per questo inesplicabile ecclisse, s 'insospet d'altronde doveasi toccare con più rispettoso contegno. Fino ne' sette colori del prisma scorge il ternario, da che tre soli secondo l'autore sono iprincipali ». Che cosa avrebbe detto G.,se avesse letto la Vita di Gesù Cristo dell'abate Fornari ? Gioberti si studia di sostenere col ragionamento la dot trinaquasiispiratadelLaMennais: G. rendegiu stizia al filosofo italiano,nè lo confonde con l'autor dell’Ab bozzo.Eccoperòlasommadegliappunticheglimuove. Gioberti, perlui, esclude ogni analisi delle idee, eper dispensarci dalle minute inchieste psicologiche, ci accorda l ' immediata veduta delle idee divine. Certamente, ripigli a G., eivalmegliocontemplarlenellalorointegritàri flesse dal lume divino su le parole, che attentarsi di rima neggiarle con profana analisi ! « Per togliersi da ogni impaccio basta oggi il dire : io sento i corpi esterni,le mie sensazioni sono percettive de'corpi esterni;ovvero per risolvere con un solo atto tutte le qui stioni di ontologia e di psicologia : io intuisco il creato,il creatore,el'atto creativo!»   tiscedellaesistenza dell'intuito.E poi,esso nèsipuòvedere dalla coscienza,nè dimostrare dalla ragione, come fare dun que a verificarlo ? Nè piùplausibileèilsussidiochedovrebbearrecarelapa rola, affinchè dall'intuito si passasse alla riflessione. Il potere della parola, dice G, è misterioso: non circoscrive l'idea,su la quale non ha presa n è punto nè poco ; e non accresce la nostra facoltà intellettiva. Sicchè, tutto ragguagliato, ilGioberti cilasciacon una virtù intellettiva in potenza , e con una riflessione a nude parole. Dove però G. va più addentro nel sistema giober tiano,è,a parer mio,nella seguente osservazione. «Ma laricercafondamentale,dicuisièsempre taciuto, concernelapossibilitàdella visione in Dio. La stessanonè solamenteunfattogratuitamentesupposto,ma neppurciè dato sapere, se un essere può vedere le idee di un altro es sere. Questa obbiezione di G. equivale a quella dello Spaventa,quando osservava,che l'Ente veduto dall'intuito giobertiano non può essere uno spirito. Diciamo ora della critica di Rosmini. Della teorica rosminiana il nostro filosofo s'era occupato nel Saggio ; ci torna di poi nelle opere posteriori alla morte di Galluppi con più larghezza. G. continua:vedere le idee in Dio,presuppone assodato,cheIddioleabbia;ora,cheilmodo dellacono scenzadivinanonsiaconformealnostro;echequindinon si faccia per idee molteplici e rappresentative, pare più ac cettato dalla filosofia ortodossa . E qui riscontra la dottrina giobertiana non solo con quella del Malebranche,ma con quella di Agostino,e non la trova somigliante,e quin di non la tiene per ortodossa. Nel Galluppi G. aveva combattuto il concettualismo, aveva combattuto l'asserzione , che le nostre idee non siano rappresentative.A proposito del Rosmini ripiglia la controversia del concettualismo . Il concettualismo si fonda su la subbiettività de'rapporti, onde risultano le idee:contro ilconcettualismo adunque ba sta contrapporre questa sentenza di san Tommaso : « relatio nem esserem naturae ». Or qual dottrina segue il Rosmini? Forse quest a dell'Aquinate, fondatasulpiùschiettorealismo? No; nesegueuna ambigua , e per tal ambiguità cerca tirar dalla sua l'autorità di San Tommaso. L'ente ideale di Rosmini, dice G., è bifronte; da un lato offre l'idea universale di esistenza, dall'altro un ente esistente. Basterebbe questa profonda osservazione, per dimostrare diquantaperspicaciafossefornito G.; ma egliva più in là ancora,ed addita un riscontro, che rivela la forza della sua critica. « M a , ci si dirà, qui non trattasi di una esistenza sostan ziale, o di accidenti di una sostanza, bensi di una esistenza ideale, qual può competere ad una idea.Si,ciò ricorda l'Idea di Hegel , con la differenza che questa contempla sè stessa, e l'idea universale di esistenza è l'oggetto contemplato da tutte le intelligenze, differenza che gli hegeliani farebbero sparire.Quanto allanaturadellaesistenza, l'entedi Rosmi ni non è meno lucido e trasparente, che l'Idea hegeliana, perchè altro non è che l'idea di esistenza, o la possibilità  Sipongaormente,eglidice, cheiduepuntimessia maggiorrisaltonelnostro librosono:1.che ilconcettuali smo è la causa principale delle deviazioni della filosofia,e la grande abilitazione de'sistemi speculativi;2. che l'Aquinate, tenendosi immune dal concettualismo,ha felicemente seguito il metodo di pura osservazione ». dell'esistenza,come lo stesso Rosmini ripetutamente va ri cordando a'suoi lettori ». « Se quindi si ammette una esistenza attuale e indetermi nata;attuale e non reale; se si ammette la possibilità dell'e sistenza essere un'attuale esistenza,si avrà il caso proprio di una identità de'due contrari «.(Esperimenti della filoso fiaspeculativane’sistemi delsecolocorrente -Napoli, Rassegna). Ho notato in corsivo l'ultima conclusione di G., perchè il lettore rifletta su la somiglianza da lui additata tra l'Ente rosminiano,e l'Idea dell'Hegel. Quando Spaventa, dopo di G., e senza sapere forse delfilosofo calabrese, lecuiopere, specialmente leul time,erano rimaste sconosciute,mise in rilievo con più larghezza quel riscontro, la cos aparve strana , e ci si vide uno stiracchiamento forzato de'sistemi in servizio di un criterio preconcetto.Piùtardi,coloro chesieranoarrogatalarap presentanzadella filosofiaitaliana, levarono lavoce,epro testarono contro il malvezzo di voler far parere la nostra filosofiaun'imitazione dellafilosofiatedesca.Sietematti,si disse ! Galluppi kantiano! Rosmini hegeliano ! Le son cosedaridere:voiconfondeteitipicon gliectipi;voi non sapete che in Italia c'è un'abbondanza straordinaria di tipi, e che voi altri li sfigurate barbaramente per poterli tramu tare in ectipi. Questa brava gente,veramente tipica,ignorava,che ilri scontro era tanto poco sforzato, da esser apparso manifesto ad un filosofo, il quale non era punto tenero della filosofia tedesca,e che di tutto si poteva accusare, salvo che della smania divoler costruire la storiaapriori. G., difatti,aveva a chiare note,e con grande insistenza,segna latoilkantismonelsistema del Galluppi; econ menodiffu sione,ma con non minor chiarezza,l'hegelismo nel sistema delRosmini.Oh!come dunqueivindici,glistoriografi,i    rappresentanti dellafilosofiaitalianaignoravanotuttalacri tica che si era esercitata nel nostro paese su la nostra filo sofia nazionale ? Ma torniamo al Rosmini. G., dopo avvertita l'ambigua natura dell'Ente rosminiano, dopoaverbiasimatoil Rosmini dinonaverte nuto fermo in una sola e medesima sentenza,di averlo una voltachiamatounlumedatodaDio,un'altravoltaillume divinomedesimo, eidimostra uguale accorgimento nelrile vare altri difetti. L'origine delle nostre idee è doppia,una l'idea dell'ente, l'altra lapercezionesensitiva; ma G. s'accorge, che la vera sorgente,l'unica sorgente rimane quest'ultima, e domanda : « A che serve il contrarre l'espressione di quanto si vuol che noi percepiamo immediatamente con una sensazione? Il participio sostituito al verbo potrà mai avere ilvalore di nasconderei moltigiudizî, chesicontengono nella formola «enteagentesuimieisensi»? Il participio sostituito al verbo è difatti il ripiego della ideologia rosminiana: G. ha colto a maraviglia.  La percezione sensitiva, ei continua,è,o no, un atto del pensiero? Se lo è,siavrà un pensare identico alsentire; senonloè, siavràunapercezione, allaqualeilnostrospi rito non pensa !O cade in sensualismo, o è nulla pel nostro pensiero ». La percezione sensitiva adunque non si vede in che diver sifichi dalla sensazione, posto che in lei non debba concorre re traccia di pensiero: nè molto proficua è la ragione, che il De Grazia chiama potenza terza e neutrale. Non è intellet to,non è senso:applica ildato dell'intelletto ai dati della sensibilità;d'altro non brigasi;ma chimallevaallorala realtà ?Non l'intelletto che ha da fare col possibile ; non il senso che non può cogliere altro che nostre modificazioni.    « La capacità di sentire e la facoltà di percepire sono due potenze così differenti,che dee tenersi per ugual controsenso l' attribuire la percezione alla sensibilità, e l'attribuir la sensazione all'intelletto ». Rosmini con la percezione sensitiva attribuisce al senso più che la costui capacità non comporti ; ricasca quindi nel difetto di Galluppi, che fece la sensazione immediatamente percettiva.A questo sbaglio ecco tener dietro un altro,che a noi piace riferire con le stesse parole del De Grazia. « Un'altra opinione sui generis è di ammettere nel fatto la percezione immediata del nostro essere ,e dell'essere ester no , m a il fatto aver bisogno di venire autenticato da una idea innata, per quanto concerne la vera esistenza, perchè altri menti quella da noi appresa nella coscienza potrebbe dirsi apocrifa ! Meglio non poteasi rilevare la superfluità dell'ente rosmi niano,dopoaverammesso lapercezionesensitivapercoglie re l'esistenza immediata e reale. Come impugni G. le interpetrazioni date dal Rosminialsistemadi san Tommaso vedremoaltravolta; chè tal ricerca non è semplicemente storica,e meglio si collega allaesposizione della dottrina del nostrofilosofo,ilquale altro non pretende di aver fatto,che di aver rinnovata la filosofia del sommo Aquinate,stata per tanti secoli o scono sciuta o frantesa. Venghiamo al giudizio su l'Hegel. Già per G. tutt'i sistemi nati in Germania dopo del Kant sono « romanzi filosofici »;questo d'Hegel fra gli altri, anzi a capo degli altri. Ignaro della lingua tedesca,egli tanto sa de'sistemi tede schi, quanto ne ha appreso dal libro di Ott,ch'era stato pubblicato a Parigi. Non è da recar maraviglia adunque,  A G. non isfugge nessuno dei tortuosi giri dell'ideo logia rosminiana.   45 s'ei qui non possa penetrare sempre addentro nel pensiero dell'Hegel,come ha fatto coi filosofi francesi, e coi nostri. Onde,mentre lasuacritica della filosofia del Galluppi,del Rosmini edelGioberti, benchèprolissaestemperata,abbon da di osservazioni sode e profonde, la critica dell'Hegel rie sce monca e superficiale. A lui mancava la cognizione pie na ed esatta del sistema;pur tuttavia di alcuni appunti non sipuò ameno diammirare lasagacia,elaserietà. Attraverso alle incertezze di una esposizione,dove trovan luogo metafore più proprie ad abbuiare un concetto,che a lumeggiarlo,èdifficilecogliere ilsignificato genuinodiun sistema . Così a G. il divenire hegeliano sembra uno strofinamento dell'essere col non-essere. Par che baleni il sospetto di qualche alterazione a G. stesso,ma tosto si ripiglia, ed afferma che « si può esser sicuro che le pro posizioni fondamentali della Logica hegeliana non valgono in tedesco più di quel che valgano in italiano o in qualsiasi lingua ».Una tal sicurezza veramente fa un poco a calci col metodo d'osservazione adottato dal nostro filosofo. Il quale se avesse conosciuto iltedesco, si sarebbe accorto che non trattavasi nè di movimento,nè molto meno distrofinamento. L'accusaperò, chemuove allaLogicahegelianadiessere un sistema di rapporti senza termini,è molto più fondata. Senonchenella Logica,itermininonsonoenonpossono essere altro,che relazioni anch'essi ; ma non è vero però, ch'e i siano un mero niente, e che tutto il processo hegeliano riesca al postutto ad un movimento da niente a niente. Cotesta esagerazione è in lui derivata dal non aver compreso bene il valore del Nicht - sein , che non egli soltanto, m a parecchi si sono incaponiti ad intendere per un bel nulla. Fisso in questa interpetrazione, ei continua a biasimare questo modo di far della scienzaun tessuto disiedino, lontano da ogni realtà salda,e solo conveniente a quella fi losofia,che riduceirapportiapurevedute dellospirito.Qui, come si può scorgere,ei non vuol lasciarsi fuggir l'occasio ne di scagliare un'altra frecciata alla tanto combattuta filo sofia di Galluppi, accennando la simiglianza che corre tra la soggettività de'rapporti e l'Idealismo trascendentale ,che poi siassolvette nell'Idealismoassoluto. G. confino accorgimento perseguita il suo illustre avversario sino alle ultime e non sospettate conseguenze del suo principio. « Un rapporto ideale senza itermini sarebbe appreso dalla. nostramente, sesiammettesse lasupposizione,che irap porti sono pure vedute dello spirito, alle quali nulla corri sponde nelle cose ». Hegel è agli occhi di G. un elevato e perspicace pensator , ma il suo sistema è una perpetua ironia . L a sola istruzione che se ne possa cavare è quella di capacitarsi della impotenza della filosofia speculativa a cogliere ed a spiegare la realtà. « Ecco dunque l'istruzione ch'egli (Hegel) ci dà in forme le più solenni :volete voi passare dal cerchio delle idee astrat te al mondo reale ? vi è forza porre innanzi tratto, che il reale è lo stesso che l'ideale ! In altri termini : dalle idee astratte non si può derivare la realtà; e questa massima può servir di lezione pe'tentativi,in cui con minori proporzioni, o più propiamente, con meno di purità speculativa, si voles se maneggiare ilmetodo ontologico ».  I due principii che lo informano sono l'Idealismo,e la con traddizione ; dall'uno il sistema hegeliano piglia le prime mosse;coll'altraprocede avanti.Che cosa se ne inferisce? Questo soltanto, che il concettualismo è falso; ma la vera filosofia rimane illesa dai suoi colpi. Il valore che G. attribuisce ad Hegel è lo stesso, benchè egli nol dica espressamente, di quello che Socrate ebbe verso la Sofistica. L'ironia socratica avrebbe svelato le contraddizioni della Sofistica, come l'ironia hegeliana avreb be tirato le ultime conseguenze del Concettualismo moderno.   Hegel, secondo il giudizio di G., addito il rimedio contro le forme subbiettive di Kant, deducendo da quelle pre messe , che dunque « i fenomeni del pensiero sono la sola v e rità assoluta. Tutta la storia della filosofia si spiega,adunque, e siran noda intorno al problema della conoscenza. Tre domande si possono fare: qual è lo stato presente della nostra coscienza ? qual è stata la sua origine ? qual è la sua realtà ? Il criterio con cui il nostro filosofo giudica tutt'i sistemi è il seguente : « ciò che la nostra mente vede in u n fatto o è realmente nel fatto, o la nostra veduta è su tal riguardo il lusoria ». Da un lato adunque c 'è il realismo, a favore del quale egli si schiera ; dall'altro lato il concettualismo, che pigli a diverse forme, finchè non diventi idealismo assoluto, ossia l'iro nia hegeliana, che mette a nudo le coperte magagne de'siste mi antecedenti,Benchè ilibridi G. sianopiuttostopolemiciche dottrinali,pure in essi,e nel Saggio principalmente,si scor gono le linee di una nuova soluzione del problema genealo gico delle idee. G. fa consistere in questa soluzio ne tutta la sostanza della filosofia;m a a lui la genealogia non ha lostessosignificato,chehaalBorrelli,dalqualetolse probabilmente ilnome. Borrelli,quasi almodo stesso,che fa oggidi Spencer, studia la genesi del pensiero sotto l'aspetto fisiologico : G. si arresta ai tre fe nomeni primitivi del sentire,del pensare,e del volere,e di quivi soltanto piglia le mosse . Qual è ora per lui l'immediato,o ilfatto primitivo, sul quale riposa la filosofia sperimentale ? IlGalluppi aveva risposto :questo immediato è ilsenti mentodelmeedelfuordime; G. risponde:ilve roimmediatoèil sentimentodelmesolo. Questa prima discrepanza si può dire la origine di ogni divario che corre tra la filosofia de due filosofi calabresi. E n trambi vogliono partire dalla esperienza immediata, m a i li miti di questa immediatezza non sono tracciati al modo m e desimo . «Ilmetodo d'osservazione, dice G., ciguida a    riconoscere,che ilcampo dellaimmediata percezione di fatti reali è la sola esperienza interna, ove l'oggetto è in noi , è la nostra esistenza,e quanto apprendiamo nelle nostre m a niere di essere.Gli oggetti esterni non sono esposti alla immediata nostra percezione, ma n o i li percepiamo col mezzo di più atti mentali ». Questa confusione sembra al nostro filosofo tanto più ine scusabile nel Galluppi,quanto più questi si era chiarito con trario alla tesi della sensazione trasformata . «Potrebbemaicredersi,eidice,chementre egli(ilGalluppi) combatte avivamente il principio sensualista, giudicare è sentire, abbia poi ritenuto, che il sentire è una speci e del pensare? G. scorge manifesti gl'inconvenienti della spie gazione galluppiana , e li addita così . «Quandosiammette, chele realtà esteriorisono danoi sentite,e che poi l'analisi,distinguendo isentimenti che da prima erano confusi,cidàleidee,non sipuòsfuggirealla conseguenza,che dette idee non sono altro che sentimenti distinti;poichè l'analisi non ha cangiato la loro natura primitiva; onde tutto il capitale della esperienza esterna è costituito da ciò che sisente,e da que'rapporti,che il nostro spirito ha in pura sua seduta,ma che non sono nelle cose. Si fatte conseguenze vengono poi confermate ed ampliate con essersidetto,che lacoscienzaèlasensibilità interna, cioè   All'acume di G. non isfuggi la conseguenza,che avrebbe portato il principio galluppiano. Se la realtà este rioreècoltaimmediatamente, dunque ilsentire è lostesso che il percepire ; è lo stesso , che il pensare . Galluppi sen'e ra aperto con molta chiarezza: la sensazione,per lui,suppo ne l'oggetto sentito,come ilpensare suppone l'oggetto pen sato.Ilsentire era dunque una specie del pensare :sentire e pensare non erano più due fenomeni primitivi, ed irredu cibili,come G. sostiene.   la conoscenza de'fatti interni è sensibilità. Vedesi quindi che con questi principî ilsentire non fu distinto dal pen sare ». Gli estremi , tra cui si studia di librarsi G., son questi due:da una parte quello che raccorcia la portata del la coscienza;dall'altra quello che la dilata oltre il convene vole.Chi dice:lacoscienzanon coglielanostraesistenza,e chidice: lacoscienzasiestende alla realtà esterna, dice u gualmente cosa inesatta ;per difetto, la prima osservazione; per eccesso,la seconda. IlGalluppi ammetteundoppio immediato,ilme edilnon me; G. neammetteuno, ilmesolo: dondeproviene siffatto divario ? Eccolo ,con le parole stesse di G., le quali compendiano e chiariscono la dottrina galluppiana. « Il dir che partendo dalle nostre modificazioni sensibili, noi veniam per via di giudizî acquistando la conoscenza del mondo esteriore, val quanto il dir che lo spirito umano coni suo i propri i elementi compone il mondo . La filosofia sperimentale di Francia su questo punto va a coincidere con l'I dealismo di Kant. E perchè? Perchè  Galluppi non si affidava ai giudizî per coglierelarealtà;perchèigiudizî,secondo lui,erano pure vedute dello spirito; di modo ché, se il mondo non ci fosse a p parso dal bel principio così,come oggi lo apprendiamo , quel lo costruito di poi sarebbe stato una mera relazione del n o stro spirito,a cui nulla sarebbe corrisposto di reale nella natura.Diffidente della sincerità de'nostri mezzi di conoscere, Galluppi quindiappigliossialpartito delReid,edam mise l'immediatezza della sensazione,confondendola con la percezione esterna.  51 « Si è quindi detto, osserva G., che nel fatto io sento non è contenuto il proprio essere, e si è terminato d'altra parte con dire che nel fatto io sento si contiene l'essere straniero,ilnonio». G. ritienelasinceritàdelgiudizio,ritieneirap porti come reali,e quindi non alla sensazione,ma ad un pro cessospontaneodell'intelletto,edalconcorso digiudizîdi venuti abituali ed indiscernibili attribuisce le idee de'corpi, quali nello stato presente le troviamo nella nostra coscienza . Esclusa da G. l'immediatezza della sensazione, non per questo ei mena buoni que'sillogismi, iquali si cre devano più spedito passaggio dalle nostre sensazioni alm o n do esterno. G. nota che il modello di questi ragionamenti ri sale fino al nostro CAMPANELLA, il quale lo formolò così: Sia monoichemutiamo: dunquesentiamosolonoistessi, enon giàlecose.Noisentiamo lecoseesterne,soloperchécisen tiamomutare,manonsiamonoichecimutiamo;dunqueal tracosacimuta. Questo sillogismo , che , variamente rimaneggiato , è rimasto in sostanza il gran ponte di passaggio dal mondo interno all'esterno,nonèparsoabbastanzaconcludentealnostro fi losofo.Le lacune,ch'egliviha scorte,non sipossono logi camente colmare.Anzitutto :chi vi dice che ilprincipio di ogni nostra mutazione sia la volontà ? L'associazione delle nostre idee talvolta non è volontaria, ed intanto è mutazio nenostra. Epoi, poniamo che la mutazione vi additi alcunchè di esterno, chi vi garantisce che il principio esterno sia un corpo ?  A taliobbiezioninonc'èdareplicare:ilsillogismoèim potente a discoprire un fatto :esso è utile soltanto a disco prire verità di ragione. Tolta l'immediatezza della sensazione,tolto il sillogismo, G. torna alle rappresentazioni , come immagini delle cose esterne,ed alla induzione,la quale,travagliandosi su quelle immagini,va legittimando la realtà delle immagini complesse,che l'associazione ha spontaneamente ed abitual mente formate.Non sarà una dimostrazione necessaria,ma   nelle verità di fatto non si dà mai l'assoluta impossibilità dell'opposto,e bisogna contentarsi della certezza morale. L'associazione collega insieme le immagini visive e le tat tili:igiudizîabituali colgonoirapportiqualirealmente e sistono ;noi adunque venghiamo componendo lo spettacolo del mondo esterno non con vedute subbiettive,ma con ele menti dati dalla realtà stessa dellecose. Questa è stata pure la dottrina dell'Aquinate,e ditutta la filosofia ortodossa. Nell'ultima opera pubblicata col titolo di Prospetto della filosofia ortodossa,ilnostro filosofo sifaforte dell'autorità dell'Aquinate per tutte le parti fondamentali della sua dot trina,salvoimiglioramentich'eicredediavervi arrecato, supplendo a quelli ch'ei chiama desiderata della filosofia to mistica. G. noneraabbastanzaversato nella filosofia aristotelica , da accorger s i che il meglio d i quella, che ei battezzava per dottrina ortodossa,era mutuato da Aristotele.Vediamo intanto quali principii ei ne accoglie,e ne te soreggia. Primieramente G. avverte la differenza che AQUINO mette tra isensibili proprî,ed icomuni;differenza, che noi sappiamo appartenere ad Aristotele. Con molto acume l’Aquinate aveva avvertito di fatti che isensibili proprî sono qualità,come odori,sapori,suoni,co lori,e simili;e che isensibili comuni,invece,sono quanti tà o estensiva,o intensiva,o discreta,come figure,distan ze,movimenti, successione :« sensibilia propria ... sunt qualitates : sensibilia communia omnia reducuntur ad quantitatem. Finalmente cita la sentenza che accenna alla formazione delleimmagini corporee, echeattribuisce allospirito,enon  Dipoi ricorda la dottrina sui rapporti, che AQUINO ha riconosciuto come reali, comeresnaturae, enongiàco me res rationis.   giàaicorpi. «Imaginem corporisnoncorpus inspiritu, sed ipse spiritus in seipso facit. Alla quale ultima sentenza G. aggiunge questa avvertenza . E l'avvertenza mira visibilmente a cansare l'equivoco del le forme soggettive,e degli elementi a priori da lui con gran de perseveranza combattuti.Lo spirito si compone egli le immagini de'corpi esterni, l'idea del corpo è un prodotto della sintesi , contro alla opinione di Galluppi, m a in questo raccoglimento non c'è mistura di elementi soggettivi :tutti idati sono reali.Inquestosignificato,enonaltrimenti va intesalaproposizione dell'Aquinate, che ad altri potrebbe parere intinta di kantismo, e che suona così :dat (anima) eisformandisquiddam substantiaesuae. San Tommaso adunque aveva tracciato le prime linee di quella filosofia sperimentale, di cui G.  si dà per continuatore: i due filosofi cadono d'accordo sui seguenti ri sultati : 1o che nel senso non v'è altro che il cangiamento del senso;2ochele immagini de'corpi sivan componendo con elementi nostri; 3ochenoigiudichiamo, essere icorpi simili a quelle immagini. Se non che Tommaso s'era fermato qui. G. domanda inoltre:con quali operazioni si son for mate quelle immagini ? Con qual criterio le giudichiamo si mili ai corpi esterni ? E alla prima domanda ha risposto : le operazioni sono i giudizî accoppiati alle sensazioni;l'associazione delle im magini visive con le immagini tattili: giudizi ed associa zione che si uniscono spontaneamente ed abitualmente. Alla seconda domanda poi ha risposto: la legittimazione   « Quanto però AQUINO enuncia,non lascia dub bio, che nella formazione delle immagini de'corpi esterni ha inteso non mettersi in opra altri elementi,che que'del senso e della imaginazione».   Quando , difatti, io applico ai fenomeni della estensione le verità della geometria,e l'applicazione riesce,allora è chia ro che alla esistenza de'corpi si aggiunge tutta la forza della dimostrazione induttiva. Mal si è creduto che ogni nerbo di logica dimostrazione consistesse soltanto nel sil logismo e nelle sue forme. Se l'estensione corporea,dice G. ,è reale, la troverò costantemente conforme alle leggi geometriche,ma se è un'illusione de'sensi,mi sipotrà presentare nelle vo lubili forme in cuiapparisce ne'sogni.Nella ipotesi affer mativa v'è la necessità assoluta di trovarsi avverate le ve ritàmatematiche,come sihanell'esperienza:nellaipotesi negativa, l'evento che ne dà l'esperienza, è uno degli in finiti eventi possibili. Questo cenno può far presentire, a qual grado si eleva la pruova induttiva del Leibniz, riguar dandola dal solo lato delle verità matematiche. Esposta in questi termini la mente del nostro filosofo, proseguiamo a raffrontare le differenze conseguenti tra la sua dottrina,e quella di Galluppi. Galluppi aveva pareggiata la sperienza interna con l'e sterna,e quindi ammessa una doppia relazione colta imme diatamente, quella tra sostanza e modificazione, e l'altra tra causaedeffetto. G., invece,distingueleidee pri - si fa non per la immediatezza della sensazione,e neppure per sillogismo,ma per via d'induzione,secondo l'addita mento diLeibniz, ediD'Alembert,idue filosofimatemati ci,mal trascurati dai filosofi posteriori. Non è dimostrazione apodittica cotesta,certamente : an che un incontro fortuito potrebbe essere causa di quella cor rispondenza che noi verifichiamo nella sperienza tra i rap porti quantitativi ideali,eirapporti quantitativi reali dei corpi;ma aqualestremo siassottiglia questa possibilitàdi un incontro fortuito,e di quanta forza non s'ingagliardi sce l'ipotesi della realtà de'rapporti tra corpo e corpo !   mitive dalle derivative ;chiama primitive quelle che sono ricavate dal fatto immediato della coscienza,da lui circo scritto nelsoloiosento;echiamaderivativequelleche na scono poi dalla sperienza esterna. « Si sono messe,ei dice,in una medesima classe,tanto le idee primitive di numero, di sostanza,e di modificazione, di affermazione e negazione,quanto le idee derivative di causa,diazione mutua,delcontingente,delnecessario,del possibile;e non si sono mentovate le idee derivative di spa zio,ditempo,per essersi supposto venirci date dallasen sibilità senza previo lavoro dell'intelletto ». L'originale dell'idea di sostanza è dunque ilnostro pro prio essere:delle modificazioni si dice impropriamente che esistono:ciò ch'esiste è la sostanza.Però se un essere esi stente non avesse punto di modi,ei non sarebbe nè in m o to,nèinquiete;nèpensante,nènon pensante,ecisarebbe un mezzo tra l' esseree d il non essere ; il che è assurdo . Cosi dice egli parlando delle forme kantiane,e l'appun to si può volgere pure al Galluppi, che alla sostanza ed alla causa attribuì, come abbiamo visto, la medesima origine. Per G. la coscienza è l'lo sento,e in questo fatto permanente della propria esistenza lo spirito apprende la sostanza, come la modificazione nelle sensazioni in cui si senteesistere.Ilmododiesisterenon sipuòdispiccaredal laesistenza, e G. chiama una RIVOLUZIONE filosofica quella avvenuta in occasione dello scetticismo di Hume , quando si cominciò ad affermare che nel fatto di coscienza v'èilsolomodo diessere,enon giàl'essere. D'allorain poi si cercò di supplire a questo difetto supposto per via di aggiunzioni provenienti da altresorgenti:così ilRosmini suppose che al fatto di coscienza si dovesse aggiungere l'i dea dell'essere.Pel De Grazia ilfatto della coscienza nella sua integrità dà l'uno e l'altro; se non che a cogliere questo rapporto non è attalasensazione, siveramente ilgiudizio.   Senza avere sperimentato il fatto del passaggio da una modificazione ad un'altra,noi non avremmo potuto affer marlo : dopo la sperienza però,noi essendo in un dato m o do pensiamo la tendenza di passare ad un altro; e cotesta tendenza chiamiamo forza, la quale è dunque ciò che han no di costante gli stati successivi della sostanza. Nella originedell'idea di causa noi abbiamo bisogno di al tri dati. a Non siavverte,diceilnostro autore,chelacausa che produce le sensazioni è quella che mette in esercizio la sen sibilità;lacausa cheproduceipensierinon èlapotenzadi pensare,ma èquellachemetteineserciziolapotenzadi pensare;la causa che produce ivoleri non è la volontà,ma è quella che mette in esercizio la volontà ». Chi ricorda ora che a queste tre classi di fenomeni ri duce eglituttalanostraattivitàspirituale,vede chiaramen te cheperluiselacoscienzaporgeil modellodellasostan za,non èperòbastevoleaspiegarel'ideadicausa.Qui oc corrono più sostanze, di cui una determina l'altra. Nella sostanza la mutazione sopravvenuta è determinata dallostatoanteriore; nellacausaessamutazione èdeter minata e dallo stato anteriore e dalla mutua azione. G. riassume la sua dottrina su queste due idee capitali nel seguente modo . « La sostanza persiste nella suaimmutabile naturaal can giar delle modificazioni. Nell'ordine naturale nè possono prodursi nuove sostanze, nè leattualiannientarsi. I cangiamenti di una sostanza sono cosi connessi tra lo ro,cheinogniistanteil suostatoèdeterminatodalsuosta to antecedente,cioè nel corso de'suoi cangiamenti ha per modificazionecostanteunatendenzaalcangiamentocheim mediato vaseguendo, equestatendenzaèquelche noi conosciamo della forza interna di una sostanza.La diversa na tura di queste forze ci viene manifestata dalla esperienza, cioè dai diversi cangiamenti della sostanza.Così distinguia mo levarieforzeinternediuna sostanza, elevarieforzein terne delle diverse sostanze ». « Una sostanza, che trovasi in uno stato permanente non può da sè stessa,cioè per propria forza,passare ad altro stato ». «Oltre la connessione traicangiamentidiunastessaso stanza v'è anche una connessione tra i cangiamenti di di verse sostanze,cioè una mutua azione tra le medesime. Tutti gli avvenimenti dell'universo saranno necessarii, e l'azzardo non è che l'incontro di avvenimenti non con nessi tra loro.Ma questo incontro medesimo è necessario, in quanto son necessarie le serie de'cangiamenti anteriori, che han determinato quegli stessi avvenimenti che s'incon trano ». Ecco la somma della sua dottrina,la quale,intorno alla causalità specialmente, è la traduzione filosofica delle leggi delmoto diNewton. Questeleggi,osservailDeGrazia,ed a ragione, non sarebbero vere leggi degli esseri naturali,se fosse falsa l'ipotesi della mutua azione. Locke intanto aveva negato l'idea di sostanza, Hume la connessione richiesta dalla mutua azione nella causalita ; entrambi per lo stesso motivo,che noi cioè non conoscia mo adeguatamente nè quella,nè questa. Pare al nostro au torecheilragionamentodiHumesiriducaaquestoentime ma:noinonabbiamoideaadeguata diazione;dunque non ne abhiamo punto. Le ricerche,dalle quali Hume era stato indotto a questa conclusione ,la quale troncava i nervi ad ogni attività scien tifica, si possono brevemente esporre così.L'esperienza non dàconnessione,ma semplicecongiunzione:ilragionamento non dà idee nuove :l'abitudine non cangia la natura della  58   prinda percezione,come una serie di zeri è impotente a co stituire una quantità. Con lacoscienzacolghiamolemutazioninostre,elegiu dichiamo appartenereallanostrasostanza:conl'astrazione noi rendiamogeneralequestaconnessioneinterna.La spe rienza esternadipoicimostrafattiincongiunzione,ma con tal costanza,che noi ci avvezziamo a riferire un fenomeno alla presenza di un dato oggetto:noi induciamo,che questa congiunzionesiaunaveradipendenza.Eperchè?«Unacontraria supposizione, ei risponde, implica l'assurdo, che due sostanze con le stesse modificazioni sono condizionate ad e sercitare una mutua azione in un tempo più tosto che in altro;in un luogo più tosto che in altro luogo. In tal guisa tutte quelle funzioni del pensiero,che isolate non sarebberostatebastevoliafornircilaconnessionecau sale,intrecciateabilmente insieme bastano. IlKant,come sappiamo,dallepremesse diHume,lasciate correre senza contrasto,inferi che dunque l'idea di causa è a priori ; evitando con questa origine le scabrose ricerche de]l'analisi.Altri aveva inferito,che ilprincipio di causali tà sia,nongiàsinteticoapriori,ma analiticoadirittura, come trainostriilGalluppiedilRosmini:ilnostroDeGra zia riconosce che nella idea dell'avvenimento non è racchiu s a l'idea della sua causa ; dà ragione alla filosofia critica di averlo sostenuto per sintetico;ma crede di coglierla poi in flagrante contraddizione nel valore che Kant attribuì a tal principio. Giovaesaminare quest'ultimo aspetto della questione. G. replicò:altroèil non avere una ideaadegua ta,ilnonconoscereilcomedell'azione;edaltroilnon a verne la menoma idea.Vero è inoltre,che nè la sperienza, nè il sillogismo,nè l'abitudine bastano da soli,ma intrecciati insieme forsebasteranno: epoisièlasciatafuordiconto l'in duzione,laquale èdiunaiutoinestimabile.Ed eccocome.   Kant aveva attribuito al principio di causalità un'origine apriori,epoiavevaattribuitoallostessounvalore oggettivo: G. interpet r a oggettivo nel senso della filosofia sperimentale,ed affibbiaalKant una contraddizione,che proviene da una poco esatta cognizione della Critica della Ragion pura. Da una partesiammette,cheinostriconcettieigiu dizî sintetici a priori hanno un valore oggettivo nella natura ... Dall'altra parte si sostiene che la causalità non è legge degli esseri, ma legge de'lor cangiamenti sommessi alla nostra esperienza ». Per Kant l'oggettivo non era punto nella natura , m a era semplicemente ciò che si trovava in ogni coscienza,non co me questa o quella coscienza empirica ed individuale,ma in ogni coscienza umana in universale,in ogni coscienza uma na come tale. Onde Kuno Fischer esponendo questa significazione della parola oggettivo nel sistema kantiano scrive appunto cosi. Nun heisst «verknüpft sein in reinen Bewusstsein soviel als obiectiv verknüpft sein. Ma di tali inesattezze fu causa non la poca penetrazione dellamente, sil'averluiignorato lalingua tedesca;ilche lo costrinse a servirsi di poco sicure traduzioni. Nell'esame del modo, come G. spieg a l'origine dell'idea disostanza,equella dicausa,noi abbiamo indi cato tutto quanto il suo processo analitico nella genealo gia del pensiero,perchè la prima idea è primitiva, la se conda derivativa. Pure di altre principali toccheremo un cenno per chiarezza maggiore,ma prima alleghiamo testual mente la formola del suo metodo. « Pura osservazione di fatto nelle idee primitive;pura os servazione di concetti astratti nelle idee derivative ;ecco i due cardini del presente Saggio. La natura oggettiva delle idee di rapporto , e i giudizî parte integrante di alcune idee sono ledue vedute primordialinella quistionedellaorigine e realtà delle nostre conoscenze. Con questo criterio ora ilnostro filosofo si fa ad esami nare ilfatto, ediquivi pervia diastrazione, ossiapervia del giudizio,attinge ogni nostra idea. Percepire ilpossibilevalgiudicare ciò ch'è possibile, come percepireilnecessario valgiudicareciòch'èneces s-ario,e percepire ilgeneraleval giudicare ciò ch'è gene r ale. È una falsa opinione il credere che la necessità,la pos sibilità,launiversalità,come altresì laidentità,ladiversi t à non siano contenute tutte quante nella realtà che ci sta davanti : il giudizio non aggiunge nulla di suo, esso è un puro mezzo di osservazione, e nulla più. Il nostro spirito ha la virtù di apprendere l'identità e la diversità,con cuisioffronoleidee alla nostra percezio ne:eccoquanto devesi solamentedire dal filosofo». L'infinito non è pel nostro autore,se non la quantità in finita, e la origine di questa idea è anch'essa dovuta alla e sperienza. « Partendo dal principio,che ilpositivo dee precedere il negativo nell'ordine genealogico, abbiamo conchiuso,la quantità che ha limiti dover precedere la quantità che non ha limiti;ilfinito dover precedere l'infinito;ilsiavanti al no.L'equivoco ènelcredere,che una quantitàinfinita non ènegativa. Che sesiosserva,laquantitàinfinitacomprendere in se tutte le finite, è da osservare altresì ch'essa le comprende non come negazione,ma come quantità:lanegazione siri ferisce al limite. Tra quelli che AQUINO chiamava sensibili comuni c'erano l'estensione e lasuccessione,rapporti quantitati vi,mentre isensibiliproprîeranoqualità. Oralavorando  Piùcomplicata è la genesi delle idee di spazio e di tempo.  sopra questi due dati,vale a dire considerando come as soluta la posizione de'punti nella estensione,e degl'istanti nella successione, si ha nel primo caso lo spazio, nel se condo iltempo. « La pura estensione non è tutta intera l'idea dello s p a zio :in questo v'è dippiù il valore assoluto de'suoi punti . L'idea di successione non è tutta intera l'idea del tempo : in questo v'è dippiù il valore assoluto de'suoi istanti. Che cosa vuol dire questo valore assoluto ? Ecco:l'estensione consiste nella postura de'punti;e c o testa postura è di sua natura relativa. Se ora la postura non si riferisce ad alcuni punti soltanto,ma a tutt'i punti assegnabili, siavrànonpiùunadataestensione, ma lo spa zio.Cosidicasideltempoperrispettoallasuccessione. C'è successione,se un istantesiriferisce ad un istante dato : c'è tempo se la relazione si allarga a tutti gl'istanti a s s e gnabili. Dimodochè lo spazio siha negando illimite della esten sione finita ; il tempo negando il limite della successione finita. Ma l'estensione e la successione,si domanderà, donde provvengono? G., che li chiama sensibilicomuni, ritenendo la nomenclatura tomistica nel Prospetto della filosofia o r t o dossa, nel Saggio ne attribuisce l'origine non alla sensibi lità, ma all'intelletto.Egli anzi combatte la dottrina kantiana delle forme pure della sensibilità,osservando che non si può dare estensione e successione senza apprendere del le sensazioni come moltiplici,e quindi come diverse, o meidentiche; sicchènumero,diversità, identitàsono con dizioni dell'apprensione di questi due nuovi rapporti, che si dicono estensione e successione.Kant che le attribuiva alla sensibilità non si accorgeva del concorso indispensa bile dell'intelletto che vi si richiedeva ;ed anzi si contrad  CO   diceva ammettendo, che la materia sensibile prende un pri mo ordinenelleformepuredellasensibilità,echeperesse forme la varietà e la moltiplicità della rappresentazione ac quista un certo ordine. Questa contraddizione era stata avvertita dal Borrelli pri ma delGrazia, e forse questi l'hamutuata dall'autore della Genealogia del pensiero. Kant, aveva dettoilBorrelli,tie ne percategorie dell'intellettoladiversitàelamoltiplicità: e d intanto ammette una varietà ed una moltitudine anche nella sensibilità: come va ciò ? Nè Borrelli, né G. s'accorsero però che il divario tra categoria, ed intuizione pura consiste non già nel supporre entrambe una moltiplicità;ma nel diverso m o do dellegamecategorico,edintuitivo. Ma è tempo omai di giudicare nel suo insieme il tentati v o del nostro filosofo. Propostosi discoprire lelacunedellafilosofiadelGallup pi principalmente,e di additare i costui sviamenti dal m e todo sperimentale, egli si studia di evitare ogni spiegazio n e ,la quale non si desumesse dal fatto reale.La ragione c'è nonperprodurre, maperosservare:ilpiùchepossafa re èdiastrarre.Per questa disposizione d'animo gliando a sanguelafilosofia dell'Aquinate, che,foggiatasul'ari stotelica, gli parve battesse la stessa via.Ripetendo l'an tico adagioaristotelicocheilpensareèofantasia,onon senza fantasia, l'Aquinate procede difatti di astrazione in astrazione,ma senzadispiccarsimaidalfattosensibile.Che cosa èilfantasma? Similitudine dellacosa particolare:Si militudo reiparticularis. Checosaèl'attodell'intendere? È laspecieintelligibile,speciesintelligibilis,chesitorna ad astrarre dalfantasma:un'astrazione adoppiogrado.E che cosavuoldireilluminareifantasmi,equelfamoso lu me divino, sulqualetantoavevadisputato SERBATI, seera Dio stesso,ounsuoriflesso?Per G. nonèaltro,se  non l'effetto della attenzione, che vi si presta. Il giudicare era a lui un fatto irreducibile,da non confondere con la sensazione, ma insiem e era un puro mezzo di osservazione . Osservare adunque è la parola che compendia tutta la sua filosofia . Per questo verso la filosofia di G.  è più moderna di quella di Galluppi, e rasenta assai da presso il Positivis mo contemporaneo,cheinqueltorno sistavaconcependo. Il Corso di filosofia positiva dettato da Comte fu pubblicato in Francia. G. avrebbe potuto averne notizia, matuttoinduce acredere,ch'ei non l'abbiaavuta.L'educazioneprimadellasuamente, che al pari di quella del Comte era stata avvezza alle scien zeesatte, elapocapropensione per lespiegazioni trascen dentali poteronlo però sospingere per la medesima via. G. al pari de'positivisti dichiara sconosciute le essenze delle cose, limitata ad una mera riduzione di feno meni tutta la nostra scienza:crede anche lui doversi appli care alla filosofia il metodo delle scienze esatte e delle s p e rimentali,e da qui la grande importanza che attribuisce alla induzione , la scarsa che attribuisce al sillogismo.  Se non che all'osservazione immediata ei seppe accoppia re l'induzione, ch'è l'osservazione mediata. Della induzione ebbe un concetto preciso,nè lavolle ristretta al sempli ceradunamento de'fatti osservati, ma ne estese la portata oltre ai limiti della sperienza.In questo allargamento però essa non genera nell'animo quella evidenza, che scintilla soltanto dalla osservazione immediata, o dalle verità di r a gione;ma una certezza morale, la quale ammette la possibilità dell'opposto.Tutte lescienzesperimentali debbono te nersi paghi di quello stato, ch'è pure tanto discosto dal dubbio tormentoso lasciatoinereditàdạ Hume, ilqualedisco nobbe l'efficacia della induzione. Ecco difatti alcune sentenze, le quali si potrebbero cre dere imitate da Comte.  Il metodo è il ridurre i fenomeni particolari a'fenomeni generali, e questi ad altri più generali fino ad arrestarsi a pochi fenomeni irreducibili ». « La riduzione viene operata a lume delle verità neces sarie da un lato,e dalle accurate osservazioni dall'altro la to.E un fenomeno generale che resiste agli incessanti rigo rosi tentativi di riduzione,non è perciò dichiarato assolu tamente irreducibile alle note forze primarie delle sostanze corporee,note però negli effetti, e per noi sempre ignote nella loro essenza. I nostri mezzi sono impotenti a scovrir la natura degli ésseri.Tutto quel che può scovrire la nostra ragione nella scienza della natura è riposto nel classificare i fatti speri mentali con andarrisalendo da’fattiindividualia'generali, e da questi a'più generali fino a raggiungere ifatti primiti vi, ov'èforzal'arrestarsi». Ma allatoaquestesomiglianzetroviamonel G. dei tratti, che lo differenziano dal fondatore del Positivismo; ne addito due come principali. Comte trascura affatto il problema della conoscenza , ed invece questo problema rimane per G. ilprimo ed il capitale. Comte attribuisce alla metafisica un valore storico soltanto, G. è per sua soche la metafisica possa rimanere accanto alla scienza sperimentale.Così,sebbene dichia ri inconoscibilel'essenzadell'anima,enotasolalasuama nifestazione nel pensiero,non esita poi di affermare che la metafisica ne ha stabilito la spiritualità, l'immortalità, la vita futura. Questa oscillazione fra le esigenze del suo metodo e le tra dizioni di quella ch'ei chiama filosofia ortodossa fa sì che in lui sipuòravvisareorauntomista,edora un positivista, secondo i casi.Se non che il tomismo stesso a lui or balena 9  va come riflesso dalla filosofia aristotelica,or come lume r a g giante dallarivelazionedivina; edellaortodossia del cre dente si faceva schermo a nascondere gli ardimenti del filosofo . Noiignoriamoqualiaccuseglifuronomosse,equalirim proveri fatti :certo apparisce da alcuni luoghi dei suoi li bri che qualcosa di simile ci debba essere stato : eccone u n o per esempio. Ci crediamo abbastanza fortunati di aver veduto protrattii nostri giorni, fino all'istantedirassicurarciche il nostro comunquedebole lavoroerasottolaguarentigiadel l'Aquinate, contro le avventate odiose imputazioni. Ed altrove dice esplicitamente ch'ei ricorre all'autorità di AQUINO (si veda) periscagionarsidellatacciad'incredulita. Lo studio di Aquino, e d il Prospetto della filosofia ortodossa che ne fu ilrisultato,ebbero adunque per fine ladifesa della propria dottrina. Meglio forse avrebbe fatto a dispregiare ilvano cicaleccio delvolgo,che di ogni ri cercafilosofica s'adombraes'insospettisce; ma l'indoledel nostro filosofo era dimessa e circospetta, e preferi di ripa rarsi sotto l'egida di un dottore di santa Chiesa; come se u n altrettalespedientefossegiovato a SERBATI (si veda) e da GIOBERTI (si veda). Senza il bisogno di questa apologia della sua dottrina a vrebbe potuto por mano a quella Filosofia del pensiero, a cui accenna;imperciocchè,contutt'iseivolumidaluimessi a stampa,ilsuo sistema rimane appena delineato nel prin cipioenelmetodo;nèdelleapplicazioni alla Estetica,oal l'Etica si trova più di un semplice accenno: la Logica stessa non vi è di stesa pienamente, sebbene tutto i'l Saggio non s i occupi di altro che di Logica. Stando ai brevi accenni noi sappiamo che le parti della filosofia per lui sarebbero state la logica,l'etica, l'estetica, perchè itre fenomeni irreducibili del pensiero sono ilgiudi care,ilvolere,ilsentire. Ilsillogismo ègiudizio pure; ma  66   un giudizio fondato sopra idee astratte, mentre il giudizio primitivo è la osservazione immediata della realtà concreta. Il sillogismo è applicabile alle sole verità di ragione. La prova induttivá si adopera a slargare la cerchia della sperienza immediata :essa però presuppone la realtà delle idee di numero,identità, diversità, sostanza,modificazione, necessità,possibilità.Queste idee non si possono ricavare per induzione, altrimenti ci sarebbe un circolo:sono ricava te per astrazione dalla osservazione immediata fatta per m ezzo del giudizio. L'associazione è la sorgente spontanea,ma illegittima del le nostre idee: l'induzione dipoi legittima, confermandole , quelle relazioni,che l'associazione delleidee aveva per ipo tesi anticipato. Ecco adunque delineato il compito della logica: analisi d e l senso comune, e giustificazione delle credenze spontanee che quello contiene. E dell'Etica ? Solo per intramessa sappiamo,ch'egli,a differenza di Elvezio , il quale dà per originario il solo desiderio del proprio utile, ammette appetiti disinteressati originalmente, non credendo che l'abitudine potrebbe andare fino al punto di snatu rare laqualitàstessadeldesiderio.Orsenoiabbiamo nella coscienza attuale de motivi disinteressati, è necessità che questi motivi si fondino sopra appetiti primitivameute tali. Anchequiadunqueavrebbe G.  adottatolostesso procedimento della conoscenza :lo spirito avrebbe legittima to con la ragione ciò che la natura spontaneamente avesse in  Prima la mente crede, perchè non ragiona ancora; poi crede, perché la ragione ha legittimato la sua credenza. Fin chè il dubbio non l'assale,l a mente riposa sicura sui nessi stretti spontaneamente dalla associazione naturale delle sue idee: quando il dubbio sottentra, la induzione ne la libera, giustificando la spontanea credenza.   origine operato. Se non che, egli seneri mette a quella filosofia del pensiero, che poio non scrive, o non arria sino a noi. Meno preciso è il disegno, del qua l e si sarebbe dovuto toccare dell’estetica. Noi sappiamo solo, che il bello è per lui l'oggetto della percezione,  quando ci riesce piacevole il contemplarlo. Ma, oltre a questo effetto prodotto dalla bellezza nello spirito contemplatore, in vano si cercherebbero altri schiarimenti. Nei voluminosi saggi che scrive avrebbe G. po tuto colorire intero il disegno della sua filosofia, se non si fosse allargato troppo in polemiche ed in apologie, soventi superflue, e se avesse usato maggior parsimonia nello stile, ch'è diffuso, stemperato, e ridondante d'interminabili ripetizioni. I suoi saggi si sarebbero potuti restringere in un solo, o in un paio al più, senza nessun danno per le idee che vi esprime; e forse con questo guadagno dippiù, di aver potuto trovare maggior numero di lettori. Dobbiamo in questa occasione ricordare, che il sensualismo è la dottrina favorita degl’italiani, pria di comparire il Saggio su la critica della conoscenza, che in parte con la forza del ragionamento, einparte con quella autorità che il nostro GALLUPPI (si veda) venne mano mano acquistando pel valore della sua opera, egli riuscì a sradicare l'errore dalle menti, ed avviarle a'sani principi della morale e della religione. Quindi le sue istituzioni di filosofia, del tutto conformi ai suoi principi del saggio, furono adottate per quasi tutte le scuole d'insegnamento in Italia. Un tal positivo giovamento recato alla  [G. combatté la filosofia di GALLUPPI (si veda), finché que sti vive e professa a Napoli: la combattè perchè la credette sbagliata e perniziosa. Morto che e il suo grande avversario, ei, pur rimanendo saldo nella sua sentenza, scrive di lui queste parole sua patria è la gloria maggiore cui aspirar mai si possa da un filosofo. Così G.  giudica Galluppi morto nel Prospetto di filosofia ortodossa. Ed il giudizio ci rivela il carattere integro, leale, generoso di chi lo porta. Combattendo le dottrine di un avversario, ei rispetta, ei loda le intenzioni ; ei non disconosce l'utilità che aveva arrecato al suo paese. Talvolta anzi ei par che non agogni, che non cerchi altra gloria che quella conseguita dal suo valoroso avversario: dispera quasi di conseguirla vivo, pur se l'augura dopo morto, non tanto per sè, quanto a pro della sua patria. Ese non può goderne chi l'ha meritata, pur questa tar da gloria si riflette sula sua patria, serve disprone a’ suoi concittadini sopra tutto, nella faticosa carriera filosofica, e riesce di nobile compiacenza per tutti gli spiriti fatti per a m mirare, per amar la virtù. Chi scrive queste magnanime parole ha certamente un cuore non minore della mente, e la tarda gloria da lui invocata è un tributo ben meritato da chi non stimolato da bisogno, non allettato da premio, passa la vita, non fragliagi ereditati, ma nella faticosa palestra dello studio filosofico, dove s'invecchia e si muore anzi tempo, ma dove si ha al meno il dritto di credere che, morendo, non si muore del tutto.Vincenzo Di Grazia. Grazia. Keywords: implicatura. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Grazia” – The Swimming-Pool Library.

 

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