Grice e Desideri: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale dei consenzienti – filosofia romana – filosofia laziale -- filosofia
italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo romano.
Filosofo Lazio. Filosofo Italiano. Roma, Lazio. Grice: “I like Desideri; he would be what we
at Oxford call a ‘philosopher of perception,’ and therefore his keywords have
been aisthetsis, sensation, and the rest – he has also played with some
Latinate, like ‘imaggine dell’imagine’ and with ‘empathy.’ He endorses a
Griceian sort of empathetic theory, as evidenced in the idea of
‘comprehension,’ a latinate term for English ‘understanding.’ “He has beautiful
handwriting,’ while there is a hygienic interval between I and thou, thou
getest what I mean! That he is HOPELESS at philosophy.” Insegna a Firenze. Cura
Nietzsche, Kant, Benjamin, Kafka. Altre
opere: “Il tempo e la forma” (Roma, Editori riuniti); “Il fine del tempo”
(Genova, Marietti); “La scala della giustizia” (Bologna, Pendragon); “Il velo
di Iside: coscienza, messianismo e natura nel pensiero romantico” (Bologna,
Pendragon); “L'ascolto della coscienza” (Milano, Feltrinelli); “Aporia del
sensibile” (Genova, Il melangolo); “Il passaggio estetico” (Genova, Il
melangolo); “Forme dell'estetica: dall'esperienza del bello al problema
dell'arte” – “L’esperienza del bello”
(Roma-Bari, Laterza); “L’ esperienza e la percezione riflessa: estetica e
filosofia psicologia (Milano, Raffaello Cortina); “La misura del sentire: per
una ri-configurazione dell'estetica” (Milano-Udine, Mimesis); “Origine
dell'estetico: dall’emozione al giudizio” (Roma, Carocci); “Percezione ed estetica” (Brescia,
Morcelliana). A Francesco e Nicola Il fascismo e il
consenso degl’intellettuali Il Mulino, Bologna. Quando ho iniziato
le ricerche condensate in questo saggio, testimonianze e giudizi storiografici
erano unanimi nel riflettere la nota negazione crociana dell’esistenza di
una cultura o filosofia fascista: un giudizio che trova ancora oggi il suo
principale e più autorevole sostenitore in Bobbio, ma che ritorna anche in
protagonisti della lotta anti-fascista e in studiosi di altre aree
politiche e culturali, come Amendola e Rosa. I motivi del persistere
di questa negazione, in chi pur si è dedicato da tempo a indagare con
severo impegno civile sulla funzione politica della cultura,
richiederebbero una ricerca apposita, che metterebbe probabilmente in
luce, accanto alla fortuna del crocianesimo e alla diffidenza verso
l’intellettuale-funzionario di supposta matrice fascista, o all’originaria riduttiva
lettura di Gramsci, una decisa sottovalutazione, su un piano pit
generale, del peso del fenomeno della filosofia fascista nella storia
italiana. È forse quest’ultimo l’elemento che continua a opporre maggiore
resistenza alla corretta impostazione di un’indagine su una stagione
culturale che non si esauri nel ventennio, ma proietta le sue ombre anche
sul periodo postfascista: con un bilancio, si badi bene, che non
può ridursi a distinguere vera e falsa filosofia o cultura, o a chiedersi
quali prodotti di vera filosofia o cultura promosse il fascismo. Per affermare
che il fascismo non ha legami colla filosofia è necessario adoperare il termine
in modo puramente valutativo, escludendo dal suo ambito tutto ciò che
viene giudicato dannoso, oppure minimizzare sistema. Su alcuni di questi temi
un primo spunto di ricerca è stato fornito da E. Galli della Loggia,
Ideologie, classi e costume, Castronovo, Torino, Einaudi. ) ticamente il numero
di punti di contatto esistenti tra il regime e la filosofia, opportunamente
osserva Lyttelton, e la notazione potrebbe essere estesa ad altre
discipline, come quelle giuridiche ed economiche, per considerare, accanto a
ciò che di non caduco fu prodotto nel campo dell’alta cultura, oltre che
nel terreno inesplorato della mentalità dei diversi strati sociali —,
anche i « pensieri che non furono pit pensati. Ma a una valutazione
complessiva di questa tematica è di ostacolo un giudizio simmetrico a
quello crociano, teso a mettere in dubbio l’esistenza di ur fascismo
italiano: in questo senso Felice ha fatto veramente scuola presso quanti hanno
avallato la tesi propria del fascismo, di possedere una ideologia non
reazionaria, o hanno tratto spunto dalle doti intellettuali di Bottai per
presentarlo come filosofo fascista critico. Solo pochi studiosi hanno
cominciato, in questi ultimi anni, a presentare un diverso approccio al
problema, tenendo presenti i nessi tra la cultura, l’ideologia e gli obiettivi
politici del fascismo, e sfuggendo quindi al rischio di esaminare le idee
dei singoli intellettuali in modo separato dal contesto in cui operarono:
rischio di un genere bio- Lyttelton, La conquista del potere. Il fascismo,
Bari, Laterza, A. Momigliano, Gli studi italiani di storia greca e romana, in
La vita intellettuale italiana, scritti in onore di Croce, a cura di Antoni e
Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche italiane. E. Gentile, Le origini
dell’ideologia fascista, Bari, Laterza, e Guerri, Giuseppe Bottai, un
fascista critico, prefazione di U. Alfassio Grimaldi, Milano, Feltrinelli, Cosî
L. Mangoni, L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del
fascismo, Bari, Laterza, Montenegro, Politica estera e organizzazione del
consenso. Note sull’Istituto per gli studi di politica internazionale, in
«Studi storici»; M. Isnenghi, Intellettuali militanti e intellettuali
funzionari. Appunti sulla cultura fascista, Torino, Einaudi. Né più
produttiva appare una lettura solo apparentemente rovesciata, come quella di un
Cantimori tutto politico che niente ci dice sul suo « mestiere » di
storico: cfr. M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio
Cantimori, Bari, De Donato, e le
puntuali osser- grafico che — pur sempre utile e auspicabile —
anche nei suoi esempi migliori tende a « eroicizzare » alcune
perso- nalità anticipando spesso nel tempo gli esiti della loro ri-
cerca culturale e politica. Abbiamo quindi ritenuto neces- sario — ai
fini di una lettura « politica », per quanto pos- sibile, della cultura e
degli orientamenti dei suoi produttori nel ventennio — porre al centro
dell’indagine le istituzioni culturali del regime, di cui l’Enciclopedia
italiana è, per l’alta cultura, l’espressione pit significativa, in
quanto momenti di aggregazione degli intellettuali di cui il fasci-
smo voleva acquisire il consenso. Istituzioni culturali che non si
limitano a una « gestione » puramente esterna della cultura preesistente
”, ma producono anche contenuti nuovi, mettendo in circolazione modi di
pensare o temi di studio funzionali all’ideologia dominante. Con ciò non
vogliamo negare che il fascismo recuperi motivi già presenti
nell’Ita- lia liberale — come il nazionalismo o le tendenze corpo-
rative —, secondo l’« ideologia eclettica » del Pnf, prima «
organizzazione politica unificata » della borghesia ita- liana, pronta a
raccogliere ogni « prestito » capace di raf- forzarla *: motivi che
tuttavia la borghesia prefascista — a meno di non darle credito di una
coerenza e di una « preveggenza » che non ci pare abbia av uto nel
suo com- plesso ® — non era riuscita a connettere saldamente
insieme in quella sorta di koiné che nel periodo fascista, se pur
si avvale di apporti diversi, non è meno omogenea per gli obiettivi che
si pone e per la continua interscambiabilità tra cultura e ideologia. Un
«linguaggio » alla cui formula- vazioni di G. Santomassimo in «
Italia contemporanea »,In questo senso si esprime, oltre ad Asor Rosa (citato
nel testo), A.L. de Castris, Gramsci e il problema dell’egemonia negli
anni trenta, in « Lavoro critico » (il numero è dedicato a « Le culture del
fascismo »). 8 P. Togliatti, Lezioni sul fascismo, prefazione di E.
Ragionieri, Roma, Editori Riuniti Su questo collegamento tra Italia
liberale e fascismo insiste Lanaro, Nazione e lavoro. Saggio sulla cultura borghese
in Italia, Padova, Marsilio (su cui cfr. gli interventi di R. Romanelli,
M.L. o Toniolo in «Quaderni storici zione contribuiscono, in misura e con
capacità di manovra insusitate, i cattolici. È appunto considerandone la
parte- cipazione massiccia alle istituzioni del regime — dove i
collaboratori si confondono con i critici dell’idealismo e, qualche
volta, del fascismo stes- 80 —, che è possibile cogliere un aspetto non
secondario della « trasformazione della presenza cattolica in Italia, non
più caratterizzata, come nel prefascismo, da un rapporto preminente col
mondo contadino, ma profondamente inse- rita a tutti i livelli nella
moderna società industriale » !° con un insieme di « scambi » culturali
che, anche in una prospettiva di lungo periodo, ha un peso ben maggiore
della riflessione più propriamente religiosa di quei gruppi élitari
nei quali si è voluto cogliere il nucleo della classe dirigente
democristiana " Un'indagine approfondita sulla politica
culturale del regime ci pare preliminare anche per valutare quelli
che .abbiamo chiamato i « limiti del consenso ». Solo partendo
dalla considerazione dell’esistenza di una vasta rete di isti- tuzioni
fasciste che producono e trasmettono cultura — contro la quale si
infrangono i sogni di una cultura « al di sopra della mischia » propri di
un Formiggini — è possi- bile impostare un discorso sulla cultura «
sommersa » du- rante il ventennio e sui suoi sbocchi nel 1945 — e
anche in questo caso, più che affidarci ai « lunghi viaggi » dei
«singoli, che rischiano di ridursi a personali esami di co- scienza senza
grande risonanza, abbiamo rivolto l’atten- zione ad altri centri di
aggregazione degli intellettuali e di diffusione della cultura, le case
editrici, pur senza essere stati in grado di fornite quei preziosi dati «
materiali » Rossi, La Chiesa e le organizzazioni religiose, in La Toscana
nel regime fascista, Firenze, Olschki, Come ha fatto, analizzando la Fuci e il
Movimento laureati cattolici, Moro, La formazione della classe dirigente Cattolica,
Bologna, il Mulino; contro una prima formulazione di questa tesi ha
polemizzato Pietro Scoppola che però, per esaltare l’impronta di rinnovamento
impressa da De Gasperi alla DC, ha ribaltato la sua tesi originaria
sostenendo il « sostanziale consenso al regime », senza incrinature, dei
cattolici (Le proposta politica di De Gasperi, Bologna, il Mulino,
dell’azienda editoriale che sono stati pionieristicamente fatti oggetto
di studio, per un altro periodo, da Marino Beren- go !. Il mancato
riferimento alla forza condizionante delle istituzioni del regime è
infatti all'origine sia di facili asso- luzioni di una cultura che
sarebbe passata indenne « attra» verso
il fascismo, sia di altrettanto gratuite reprimende contro
l’incapacità di rinnovamento delle forze di sinistra. Fra l’accusa al PCI di
essersi fatto carico del- l’« ideologia della ricostruzione » — per cui
si sopravva-' luta il significato dell’« inquietudine politica » de « Il
Politecnico » —, e la riproposizione crociana di una cultura che, sotto
il fascismo, si era chiusa su se stessa, rivendicando la propria autonomia: e
da una tacita contrattazione col potere aveva ottenuto il permesso di vivere e
di svilupparsi nella sua (pseudo) separatezza», vi è infattiuno iato
profondo che non permette di spiegare storicamente gli indubitabili ritardi
registrabili nel rinnovamento
culturale. Il processo di affrancamento degli intellettuali dalla
cultura del regime fu in realtà assai complesso, anche quando passò attraverso
la difesa dell'autonomia della cultura. Vi può essere stata, da un lato,
l’indifferenza di fronte alla politica di molti intellettuali che è
all’origine sia di un loro acritico allineamento al fascismo, sia di un
arroccamento attorno alla tradizione accademica, che nelle Università trovò
alcuni spazi per mantenersi separata dalla militanza politica richiesta
dal fascismo, anche se col rischio di un progressivo inaridimento.
D'altro canto, in un Berengo, Intellettuali e librai nella Milano della
Restaurazione, Torino, Einaudi Cosi Luperini, Gl’intellettuali di
sinistra e l'ideologia della ricostruzione nel dopoguerra, Roma, edizioni di «
Ideologie. Ne ha parlato Tranfaglia, Intellettuali e fascismo. Appunti
per una storia da scrivere, ora in Id., Dallo stato liberale al
regime fascista. Problemi e ricerche, Milano, Feltrinelli; G. Turi, Le istituzioni culturali del regime
fascista durante la seconda guerra mondiale, in Italia contemporanea, e,
con ottica diversa, Bongiovanni - Levi, L’università di Torino durante il
fascismo. Le Facoltà umanistiche e il Politecnico, Torino,
Giappichelli. periodo in cui, e la soppressione completa della
dialettica politica, il terreno culturale divenne nel paese un importante
termine di confronto per verificare anche l’esistenza di schieramenti
tendenzialmente politici, la rivendicazione dell’autonomia della cultura
co- stituî negli intellettuali più consapevoli uno strumento per
segnare una rottura nei confronti del regime, in vista della
ricostituzione di un rapporto nuovo fra politica e cultura: fu questo il
senso della battaglia di Croce, di alcuni dei principali collaboratori di
Einaudi in un primo luogo Ginzburg, e di alcuni settori di
ascendenza democratica, socialista e positivista per altro ancora
da indagare in tutte le loro ramificazioni, che abbiamo esemplificato nel
gruppo raccolto attorno alla casa editrice Formiggini. Non bisogna
tuttavia dimenticare che la cultura elabo- rata dagli intellettuali del
fascismo impose un arretramento del punto di partenza di una battaglia
culturale e politica che nel campo degl’avversari fu necessariamente sfumata,
ma anche non priva di oscillazioni, contraddizioni e riflussi tanto che poté
apparire anticon- formista la ripresa di motivi sostanzialmente non
antitetici al fascismo, come nel caso del liberismo di Einaudi, e che perciò
non può essere immediatamente classificata nella categoria dell’antifascismo.
Se è quindi possibile constatare come tanta parte della “intelligenza” italiana
sboccasse nell’Italia postfascista senza che le trasformazioni di superficie
corrispondessero a reali rinnovamenti di fondo, ciò è addebitabile, più che a
uno zdanovismo che in realtà non conculcò alcuna esistente cultura rivoluzionaria!, al ben più
drastico condizionamento Garin, Intellettuali italiani, Roma, Riuniti. Elementi
contraddittori si mescolano a interessanti suggerimenti di ricerca nella
testimonianza di Franco Fortini: « Quando si farà la storia dello
stalinismo italiano e si documenterà la repressione avvenuta ai danni di una
cultura rivoluzionaria non conformista che, incerta e confusa, pur si
veniva formando; e quando si chiarirà fino a qual punto la debolezza
intellettuale degli usciti dal fascismo, cioè di noi stessi, abbia
cospirato obiettivamente con talune debolezze morali e con operato da
tempo dal fascismo: con il risultato che il pro- cesso di rinnovamento
degli intellettuali italiani si presen- terà assai più lento delle
trasformazioni politiche del paese. Non ci sentiamo tuttavia in grado di
dare giudizi definitivi sulla controversa questione, anche in questo
campo, relativa alle continuità o alle rotture nella storia d’Italia. Ci
preme aver indicato un approccio di ricerca che ci sembra fruttuoso, e
auspicare che i risultati raggiunti stimolino ulteriori indagini e
riflessioni. Primo a seguire e incoraggiare questa ricerca è
stato Ragionieri, il cui ricordo è difficilmente cancella- bile in
chi ne ha conosciute e apprezzate le doti umane, intellettuali,
politiche: a lui va il mio principale debito di riconoscenza, nella
speranza di essere rimasto fedele, almeno in parte, alla sua eccezionale
lezione di rigore scientifico. Fra quanti hanno letto interamente o
in parte il datti- loscritto, ‘aiutandomi con correzioni e suggerimenti,
ringrazio in particolare Garin, Mori, Palla, Ranchetti, Soldani e Torrini; e, con loro, i numerosi
studenti e amici che hanno discusso la tematica di questa ricerca nei
seminari tenuti presso l’Istituto di storia della Facoltà di Lettere e
Filosofia di Firenze. Né posso dimenticare chi, regalandomi una stagione
felice, ha reso più leggera la mia fatica. Il lavoro non sarebbe
stato possibile senza la preziosa collaborazione del personale della
Biblioteca nazionale di Firenze e di quanti mi hanno facilitato la
consultazione di fondi archivistici: Cappelletti per l’Archivio
dell’Istituto dell’Enciclopedia italiana; Milano e Selmi per l'Archivio
Formiggini presso la Biblioteca estense di Modena; la politica
culturale stalinista, polemizzando contro quest’ultima da destra e cioè
da posizioni radical-liberali invece che da posizioni marziste, allora
sarà possibile farsi un’idea meno mitica di certi tentativi, come quelli
del neorealismo cinematografico, del “Politecnico”, ecc.» (Verifica dei
poteri. Scritti di critica e di istituzioni letterarie, Milano, Garzanti. il
personale della Fondazione Einaudi; Einaudi, Vivanti e l’archivista Gava per.
i documenti della casa editrice Einaudi; Balbo che mi ha concesso la
visione delle carte di Balbo da lei tanto amorevolmente custodite, e Bobbio che
ha messo a mia disposizione il suo archivio personale. Non è stata
invece possibile la consultazione dell’Archivio Gentile, ancora in attesa di
una sistema- zione che permetta l’accesso agli studiosi. In questo
volume si riproducono, con alcune modifiche, i seguenti saggi: Il progetto
dell’Enciclopedia italiana: l’organizzazione del consenso fra gli
intellettuali, in « Studi storici » (si limita a riprodurre la
tematica di questo articolo, senza nulla aggiun- gere, la maggior parte del
volumetto di Lazzari, L’Enciclopedia Treccani. Intellettuali e potere
durante il fascismo, Napoli, Liguori, tributario del mio saggio anche per
le fonti); Ideologia e cultura del fascismo nello specchio
dell’Enciclopedia italiana, in « Stu-di storici; l'introduzione alla
ristampa non integrale di Formiggini, “Storia della mia casa editrice”, Modena,
Levi. Il saggio I limiti del consenso: le origini della casa editrice
Einaudi è inedito: per questo ho potuto utilizzare il contributo CNR Ideologia
e cultura del fascismo: l’« Enciclopedia italiana. Opere come
l’Ernciclopedia, cui Gentile da cosi valido impulso, hanno nella vita di un
tempo un peso singolare. E innanzi ad esse, e alla loro penetrazione
profonda, conviene chiedersi se, per avventura, taluni giudizi correnti
non debbano essere rivisti e corretti. L’osservazione di Garin, fatta per
inciso in una ricostruzione generale di LA FILOSOFIA ITALIANA, comport una
verifica dell'equazione crociana fascismo-anticultura e cultura-antifascismo,
e quindi quel più attento riesame delle vicende culturali fra le due
guerre, in stretto rapporto con l’obiettivo del regime di organizzare il
consenso dei FILOSOFI, che attende ancora di essere compiuto sistematicamente.
Cosi non solo l’Enciclopedia italiana, utilizzata da studiosi stranieri
come fonte sulla dottrina filosofica del fascismo o come espressione
dell’orientamento prevalente nella cultura italiana -- ma anche l’opera
di Gentile teorico del periodo di consolidamento del fascismo, come lo ha
definito Lukàcs, con espressione ben piu corretta della generica formula
di filosofo del fascismo, sono rimaste avvolte in un silenzio che
è già per se stesso elemento di riflessione sui profondi condizionamenti
subiti a lungo dalla cultura italiana del secondo (Garin, CRONACHE DI
FILOSOFIA ITALIANA. Bari, Laterza, Efirov, La filosofia borghese italiana,
Firenze, Sansoni, Hobsbawm, Il contributo di Marx alla storiografia, in Marx
vivo. La presenza di Marx nel pensiero contemporaneo, Milano, Mondadori, Lukàcs,
La distruzione della ragione, Tortino, Einaudi] dopoguerra, che negli anni
venti e nel fascismo, e nel giudizio che ne da Croce, hanno la loro origine. Il
discorso sulla FILOSOFIA di Gentile, condotto in prevalenza da suoi allievi nel
“Giornale critico della filosofia italiana”con particolare lucidità da SPIRITO,
che ha ricostruito le tappe del suo distacco dal maestro come sviluppo degli
stessi principi attualisti, è rimasto limitato a un recupero agiografico o
a un anacronistico rilancio, privo di prospettive
storiografiche perché astratto dall’analisi del fascismo, in cui SPIRITO
ha voluto individuare, con un giudizio che richiede di
essere specificato, pensiamo in particolare al peso che ha anche sul piano
culturale il connubio regime/culto — “la ragione effettiva della crisi
dell’idealismo italiano” tale, quindi, da non consentire quell’esame della
personalità di GENTILE come promotore e organizzatore di alta cultura sul
piano nazionale cui pur richiama il gentiliano Bellezza. Le stesse CRONACHE
DI FILOSOFIA ITALIANA, di Garin, mosse dall’intento di considerare uomini
e dottrine come espressioni di un tempo e, insieme, come forze che in
un tempo agirono, e attente a non cadere nella troppo sche- [Il primo
studio moderno con intenti di completezza è quello di Harris, “La filosofia di Gentile”
(Roma, Armando), condotto però nella costante preoccupazione, come
afferma Harris nella prefazione all’edizione originale — di vedere “how far his
“actual idealism” may be disentangled from its fascist connections”, or
implicatures [entanglement, Lewis/Short, ‘in-plicatura’]-- , da cui discende il
giudizio sull’oggettività dell’Enciclopedia italiana. Per una confutazione
della critica a Gentile sulla linea liberale condotta da Harris cfr.
Cerroni, “La filosofia politica di Gentile”, “Società”. Per una
ricostruzione storica della figura di GENTILE
sono di grande utilità gli accenni, non tanto incidentali, di Colapietra,
“Croce e la politica italiana” (Bari, Santo Spirito, Edizioni del centro
librario, le osservazioni di Schiavo, “La filosofia politica di Gentile” (Roma,
Armando), e, pur con alcuni accenti apologetici, Lalla, “Gentile” (Firenze,
Sansoni). Spirito, “Gentile” (Firenze, Sansoni), in particolare
l'articolo qui raccolto su Gentile nella prospettiva storica di oggi. Di
Spirito cfr. anche “Memorie di un incosciente” (Milano, Rusconi). Bellezza,
Rassegna degli studi gentiliani più recenti, “Giornale di metafisica.” L’Enciclopedia
italiana] matida antitesi Gentile-fascismo e Croce-antifascismo,
non colgono compiutamente la funzione mediatrice dei filosofi— lasciando
spesso indeterminato il tempo nel quale operarono, come nota Cantimori
auspicandoneluna specificazione. La società, le classi, le università, le
istituzioni in generale, i partiti, le tradizioni culturali locali oltre
che quelle nazionali, ecc. Ccsi che, anche nel periodo da noi
considerato, in cui quella funzione e particolarmente valorizzata dal fascismo,
lasciano imprecisati i condizionamenti del potere politico e gli stessi debiti
dei filosofi. Per chiarire non solo l’utilizzazione ideologica di diverse
correnti culturali da parte del regime in vista della creazione de l
consenso, ma anche in che misura e perché mutarono nel ventennio i contenuti
culturali della filosofia, accolti o tenuti ai margini o respinti dal fascismo
anche in questo campo l’Italia non si trova nelle stesse condizioni del
periodo liberale, lo studio dell’ “Enciclopedia italiana” può essere
particolarmente fruttuoso. Per il momento in cui e ideate, preparate, e
realizzata quello dello stato totalitario, l’autorità dei suoi promotori,
basti pensare a GENTILE o a VOLPE, l’ampio ventaglio di collaboratori
qualificati e il carattere ufficiale che le e impresso fin dall’inizio,
rappresenta lo strumento forse più importante, accanto alla scuola, della
politica culturale del fascismo, e quindi un test assai significativo
per valutarne gl’effetti di lungo periodo, non riducibili all’ideologia o
alla propaganda del regime, anche se con queste connessi. Ma solo tenendo
presenti gli obiettivi politici del governo di MUSSOLINI e la decisa sconfitta, anche sul piano
culturale, degli avversari liberali e socialisti, è possibile spiegare
come a GENTILE e possibile dare avvio alla colossale impresa
enciclopedica, e l'ampiezza dell’adesioni da lui raccolte anche da parte
di FILOSOFI non fascisti. Se ancora nell’articolo Forza e consenso, Mussolini puo
porre l'accento unicamente sul primo termine poiché il consenso è mutevole core
le formazioni della sabbia in riva al mare. Non ci può essere
sempre. Né mai può essere totale, si fa strada una linea politica più
articolata e di più lunga durata che, se affida a FARINACCI l’esecuzione
del momento della forza e della co-ercizione — mantenendolo come
necessario presupposto del consenso, punta, dopo la sconfitta delle forze
politiche avversarie, ad acquisire l'adesione, non solo passiva, di
quegli FILOSOFI ormai senza partito, o incerti, la FILOSOFIA dei quali
avrebbe potuto costituire, in assenza di alternative politiche, un fronte
di resistenza al regime. Non è un caso che uno degli esponenti del
fascismo che più si impegneranno nel tentativo di formare una nuova classe
dirigente, BOTTAI, dichiara su “Critica fascista” che il Pnf dove rivedere la
sua azione per conquistare il consenso, e, se pure la crisi conseguente
al delitto Matteotti vede le prime incrinature fra quegli FILOSOFI che non hanno
ancora preso le distanze dal fascismo in quanto vedeno nella
collaborazione di GENTILE una garanzia non solo per le sorti della
riforma della scuola, ma anche per quelle del paese — basti pensare al pessimismo
che si fa strada in OMODEO, o a quello che è stato chiamato l’aventino
di Radice, la situazione si presenta favorevole al fascismo per il
disorientamento FILOSOFICO che permea le file dei FILOSOFI liberali e
socialisti. Quando si apri fra questi FILOSOFI un vasto dibattito sulla
sconfitta dello stato liberale e del movimento operaio, mentre GRAMSCI
accusa il socialismo di non avere avuto una ideologia, non averla diffusa [Mussolini,
Scritti e discorsi (Milano, Hoepli). Bottai, “Arzo nuovo: il partito e la sua
funzione” “Critica fascista”- [Cantimori, Studi di storia, Torino,
Einaudi]. Cfr. ad esempio la lettera di OMODEO a Gentile in Gentile-Omodeo, Carteggio, a cura di
Giannantoni (Firenze, Sansoni). Margiotta, “Radice: tra attualità ed
irrisoluzione storica” (Reggio Calabria, Edizioni parallelo). L'Enciclopedia
italiana tra le masse » , quasi con le stesse parole GOBETTI afferma che i partiti
d’opposizione non hanno alimentato alcuna grande ideologia. Il socialismo
non ha trapiantato Marx in Italia, per cui il trionfo fascista si connette
a queste condizioni di impreparazione. Mondolfo sostene che da una ripresa di
idealismo il nostro movimento non può che trarre nuova forza e nuovo
impulso, o cerca di dimostrare che poteva essere morale e vantaggiosa
quella che si chiama la collaborazione di classe. Più in generale, la
discussione sul marxismo che si svolse su “Critica sociale”, “Rivoluzione
liberale” e “Quarto stato”, rimane condizionata più che mai dall’IDEALISMO
HEGELIANO dominante, e non poco ancora, da quello più accentratamente
soggettivistico, l’attualismo gentiliano. Cosi, se ancora “Il Mondo,” dopo
aver negato l’esistenza di un nesso tra le riforme gentiliane e le ideologie
fasciste, puo registrare il fallimento del fascismo nel tentativo d’attrarre
nella sua orbita FILOSOFI di studio e di dottrina, di circondarsi della
sua classe, dopo il Manifesto degli FILOSOFI fascisti, Croce, pur osservando
che il fascismo non solo è indifferente alla filosofia, ma intimamente
ostile, sentendo che dalla filosofia sono venuti i pericoli all'ordine
sociale, era costretto a notare gl’afaccendamenti inutili e mal graditi
di un certo numero di filosofi e fra questi parecchi nostri ex-compagni di
studi ed ex-amici che si sono messi al servizio del fascismo in una
situazione d’assoggettamento [Gramsci, Che fare? Per la verità, Scritti, Martinelli
(Roma, Editori Riuniti). Gobetti, La mostra cultura politica, in Scritti
politici, Spriano (Torino, Einaudi). Mondolfo, Una battaglia per il socialismo,
Bassi (Bologna, Tamari). Luporini, Il marxismo e la cultura italiana, in
Storia d’Italia, Torino, Einaudi. Il fascismo e la cultura, in « Il Mondo »] a
ferrea disciplina. A Croce sfugge tuttavia l'ampiezza e la qualità del
fenomeno, in quanto rimane convinto che tra fascismo e FILOSOFIA ci fosse
un’opposizione in termini. Come partito medio, come idealità che
richiede esperienze e meditazione, senso storico e senso delle cose
complesse e complicate, e insomma finezza mentale e morale, il liberalismo, è
il partito della cultura; e liberale e il nostro Risorgimento, nel quale
cultura e amor di patria confluirono. Socialismo e autoritarismo, invece, in
quanto partiti estremi, ritengono non poco di astratto e di
semplicistico, e perciò, come sono facilmente ricevuti dagl’animi e dalle
menti dei pupilli, cosi presentano i segni caratteristici della scarsa o
unilaterale cultura, osserva Croce in un articolo che gli era valso da parte di
GENTILE, teso a presentare il fascismo come vero liberalismo,
l’appellativo di schietto fascista senza camicia nera. Si era alla vigilia
della rottura politica tra Croce e Gentile, e il partito
della cultura del primo e destinato a rimanere un programma per il future.
Le sue preoccupazioni sono tutte volte al future, osserva Gobetti
esaltandone l’antifascismo identificato con la ribellione dell’europeo e
dell’uomo di cultura, e sottolineando la differenza tra GENTILE DOMMATICO,
autoritario, dittatore di provinciale infallibilità e Croce politico,
capace di riflessione e di dubbio, detentore di una chiara idea dello stato,
che è forza soltanto in quanto è consenso. Ma, se giustamente venne colta
in Croce la separazione impossibile tra filosofia e politica, due elementi
sfuggeno agl’osservatori contemporanei: la capacità dimostrata dal
fascismo, e in particolare da Gentile, proprio [Di Croce, Pagine sparse,
Bari, Laterza, Croce, Liberalismo, in
Cultura e vita morale. Intermezzi polemici, Bari, Laterza. Gentile, “Il
liberalismo di Croce” in Che cosa è il fascismo, Discorsi e polemiche,
Firenze, Vallecchi. Gobetti, Croce oppositore in Scritti politici, cli
RUN (Garin, Croce o della separazione impossibile fra filosofia e politica
in Filosofi italiani (Roma, Editori uniti)] di combinare forza e CONSENSO nel
dar vita a istituzioni tendenti a centralizzare e organizzare le più
diverse energie FILOSOFICHE, e la tendenza di molti FILOSOFI che facilita
l’opera di Gentile a separare (a differenza di Croce) filosofia e politica,
nell’illusione di poter continuare a coltivare la prima, anche all’interno
delle istituzioni del regime, senza contaminarla politicamente. Esemplare
in questo senso appare la vicenda dell’Enciclopedia italiana: opera di FILOSOFI
non alla opposizione, come gl’enciclopedisti francesi, ma ceto dirigente
al governo, nata subito sulla base di uno stretto rapporto di
compenetrazione fra FILOSOFI e potere politico, pur senza rompere
immediatamente, secondo l’impostazione gentiliana, con alcuni esponenti
dello stato liberale, la SUMMA PHILOSOPHIAE del fascismo riusci a convogliare
verso un unico fine — con la parziale eccezione dei cattolici, al
tempo stesso collaboratori e critici anche FILOSOFI che non si
riconoscevano nel fascismo. Per questo è possibile individuare nell’ “Enciclopedia
italiana”, oltre che nella riforma della scuola, un eccezionale strumento
di diffusione della ricostruzione gentiliana della tradizione filosofica
italiana, di una storia della filosofia italiana che è capace di
penetrare dovunque, che è presente nei luoghi più impensati, presso gli
avversari più acerbi, raggiungendo sottilmente una egemonia non esaurita,
capace di sopravvivere al fascismo. La prima idea concreta di una grande
enciclopedia [Cosi Garin nell’introduzione a Gentile, STORIA DELLA
FILOSOFIA ITALIANA, Firenze, Sansoni. L'idea era in tantissimi e si agitava da
un trentennio negli ambienti editoriali italiani, ricorda Formiggini
rispondendo all’ex ministro della P.I. Anile che gli aveva attribuito la
paternità del progetto (« L’Italia che scrive »). Un accenno a un non
lontano tentativo di Treves, Demarsico e Barbèra, in Formiggini, “La FICOZZA
FILOSOFICA del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e
sollazzevole, Roma, Formiggini] nazionale italiana e concepita
nell'immediato dopoguerra, in ambienti di interventisti culturalmente
estranei all’idealismo imperante. Comincia a prospettarla Martini, coadiuvato
da Menghini, l’appassionato
curatore dell’edizione nazionale degli Scritti mazziniani. Ad essi si
associerà in un estremo tentativo di attuare il progetto, l’editore
Formiggini, attivissimo nell’organizzazione e nella propaganda della cultura
italiana. l progetto, riconosciuto pi tardi punto di partenza per
l’enciclopedia gentiliana, non e cosa modesta come tutto ciò che si
poteva concepire in quel tempo di smarrimento politico, come cerca di far
credere TRECCANI alludendo alla crisi della democrazia liberale precedente la
marcia su Roma e all’incertezza dei primi tempi del fascismo. Il momento
in cui nacque e la personalità del promotore ne testimoniano l’ampiezza
delle prospettive, anche se falli per essere rimasto su un piano
puramente editoriale, privo di un generale criterio informatore dal
punto di vista culturale ed esposto a quelle difficoltà finanziarie e
politiche che TRECCANI e il fascismo faranno superare a Gentile. Si
tratta di dare all’Italia, che non l’ha, una Enciclopedia nazionale come
l’hanno la Francia, l'Inghilterra, e la Germania, scrive Martini al fedele
Donati, appena insediato il ministero di Giolitti, suo principale
obiettivo polemico assieme a Nitti e ai socialisti. Facciamo, per
consolarci, qualcosa che vada al di là dei giorni che viviamo —
tristissimi giorni. Dalla constatazione della inferiorità italiana . Cfr.
Biblioteca nazionale centrale di Firenze (d’ora in avanti BNF), Fondo
Martini, lettere di Menghini, e G. Treccani, Enciclopedia italiana. Treccani.
Idea esecuzione compimento, Milano, Bestetti. Discorso in occasione della
presentazione al duce dell’Enciclopedia italiana -- d’ora in avanti E.I.,
Treccani, Enciclopedia italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento, Martini, Lettere, Milano, Mondadori. Su Martini cfr., per un
parziale tentativo d’interpretazione, la prefazione di Rosa a Martini,
Digrio, Milano, Mondadori. L’Enciclopedia italiana] nel campo
dell’organizzazione della cultura rispetto ai maggiori paesi europei,
scaturisce la necessità, e la possibilità, di ovviarvi dopo la guerra
vittoriosa. Necessità che non è solo espressione dell’orgoglio per la
forza politica recentemente acquistata dal paese, da tradursi
nell’affermazione della filosofia italiana davanti al resto d’Europa. Essa
indica anche un’opera preliminare ancora da compiere, indispensabile
alla conservazione di quella forza. Combattere i contrasti interni
costruendo, come strumento unificante di egemonia, una cultura razionale.
La fierezza per l’unità, indipendenza e sicurezza finalmente conseguite, e
la coscienza che l’Italia e arrivata, dopo secoli di asservimento, ad
eguagliare le grandi potenze europee, si une nel dopoguerra al tentativo
della disgregata classe dirigente liberale — timorosa di perdere le sue
conquiste con l'avanzata delle masse popolari organizzate e d’ispirazione
neutralista, socialiste e cattoliche di rafforzarsi egemonicamente; di qui
l’importanza che la battaglia culturale, prescelta anche dalle nuove forze
antagoniste, rappresentò per la borghesia: l’insistenza sul significato
nazionale o italiano della cultura « tradizionale, esaltato dalla guerra, mira
a unificare e controllare, a difesa dell’ordine costituito, i filosofi
in gran parte già individualmente politicizzati, spesso in senso
conservatore, dal clima bellico. Il programma di rivolgimento spirituale
sotto il segno dell’ordine e della disciplina gerarchica, su cui insiste
Gentile di Guerra e fede, di Dopo la vittoria e dei Discorsi di
religione, e sostenuto da pi voci nelle pagine di « Politica », programma
critico del giobittismo come malattia italiana, e in questo senso solo la
espressione piu articolata e coerente della borghesia reazionaria che si
riconosce nel fascismo, definito sforzo rivoluzionario da VOLPE che lo
contrapporta polemicamente a un'immagine di comodo del socialismo. Muove
dalla % Ci limitiamo a segnalare Garin, Cronache, e, per un quadro
europeo, Hughes, “Coscienza e società: storia della filosofia in Italia” (Torino,
Einaudi). Per un settore particolare cfr. Simonetti, Storici italiani e
rivoluzionari in Russia, in « Il movimento di liberazione in Italia »] accettazione
della guerra, anzi dall’esaltazione di quella guerra, e si alimenta di
quelle energie morali, di quel senso di disciplina, di quella capacità di
iniziativa, di quel coraggio e spirito combattivo che la guerra ha educato negl’italiani,
nella borghesia italiana. Accetta ben presto i valori tradizionali della
nazione italiana, cioè si nutre di sostanza italiana: condizione
necessaria per poter far presa su di essa, per poter avere la collaborazione o
anche solo la benevola neutralità delle forze migliori del paese. L’idea
di una grande Enciclopedia nazionale, non semplice opera compilativa e
divulgativa come le enciclopedie popolari » prebelliche, rientra in questo
programma di rafforzamento della borghesia italiana, in linea con la
ten: denza degli Stati moderni a darsi, dopo crisi di crescita e di
ricostruzione, una rinnovata organizzazione culturale (si pensi, per fare
un esempio contemporaneo anche se riferito ad un’esperienza opposta a quella
italiana, alla Grande enciclopedia sovietica iniziata a Mosca nell’anno
stesso in cui il dibattito sui caratteri della cultura socialista vide
prevalere i sostenitori della tesi della « cultura proletaria). La
disponibilità di Martini a questo programma VOLPE, Storia del movimento
fascista, Milano, Ispi, Come l’Enciclopedia popolare illustrate e la
Grande enciclopedia popolare, entrambe di Sonzogno. Se la Britannica fu
l’enciclopedia da emulare, modello du seguire per un’opera nazionale e
piuttosto il Touring Club Italiano, giudicato dall’E. I. nettamente nazionale
per la sua vasta penetrazione in tutte le classi sociali (44 vocerm): il suo Atlante Internazionale e
utilizzato dall’E. I. in seguito ad apposito ac- cordo editoriale (cfr.
anche R. Almagià, Una grande opera italiana di cultura, in « Educazione
fascista ». AIUT.C.I, si richiamarono Formiggini e Martini come modello
per la Fondazione Leonardo (cfr. « L’Italia che scrive » e A.I°. Formiggini).
Al carattere essenzialmente nazionale, del ‘T.C.I. accenna Gramsci,
Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto Gramsci a cura di V.
Gerratana, Torino, Einaudi, Sui caratteri generali del dibattito sulla cultura
svoltosi in U.R.S.S. cfr. l’introduzione di V. Strada a Rivoluzione e
lettera tura. Il dibattito al Congresso degli scrittori sovietici, Bari,
Iuterza. « La storia dimostra che ogni classe ha creato la sua
enciclopedia, aveva affermato Bogdanov
proclamando la necessità: di preparare una Enciclopedia operaia
(cfr. Fitzpatrick, Rivoluzione e cultura in Russia. Lunabarskij e il
Commissariato del popolo L’Enciclopedia italiana sarà testimoniata dalla
sua presenza nel consiglio direttivo dell’Istituto Treccani che ne
riprenderà l’idea, ma è rintracciabile anche in tutta la sua attività di
uomo politico e di cultura: auspice della impresa libica cui attribuiva questo
inapprezzabile rinnovamento nostro, questa concordia di popolo di cui
l’Italia non ha esempio nella sua storia, la sua azione per
l’intervento era stata determinante tanto da guadagnargli
l'appellativo di grande apostolo di italianità », come lo chiamò Treccani
in occasione della fondazione del suo Istituto. Nel corso della guerra
aveva però saputo cogliere la profonda spaccatura tra la classe dirigente
liberale e le masse popolati affette dalla « tabe del materialismo, il
popolo minuto non ha capito il perché della guerra: della patria sente
più poco, tormentato com’è dalle aspirazioni a migliori condizioni
sociali, annotava nel Diario, che, a suo giudizio. Nitti e Giolitti non
erano riusciti a colmare per debolezza verso gl’elementi torbidi
socialisti. Nel dopoguerra si ripresentava il pericolo che di fronte ai primi
passi del movimento operaio organizzato, aveva spinto l’ex ministro della
Pub- blica Istruzione a manifestare a Carducci i suoi dubbi sugli
effetti del laicismo liberale: per l’istruzione, Roma, Riuniti). L’E. I.
giudica la Grande enciclopedia sovietica condotta secondo un criterio rigorosamente bolscevico, e particolarmente
curata nella. parte scientifica e tecnologica (alla voce Enciclopedia). Nella
prefa- zione al vol. I dell’E. I., Gentile sottolineerà il « pregio delle
vaste opere collettive, che danno disciplina agl'ingegni e forma concreta
e definita al pensiero di un popolo. fr. il brano del
discorso citato in Croce, dhe d’Italia, Bari, Laterza. Martini, Diario
cit., e Gifuni, Lettere inedite di Martini a Salandra, in L'osservatore
politico letterario.Treccani. Kirk del Diario, cit. Giustamente Isnenghi
giudica Martini, fra i protagonisti politici, «uno dei più franchi o meno
reticenti nel collezionare gli indizi di insubordinazione nel paese e di
messa in crisi del rapporto tradizionale d’autorità » (Il mito della
grande guerra da Marinetti a Malaparte, Bari, Laterza). Cfr. Martini,
Lettere, cit., di ciò che il Quinet dice con grande efficacia di parole e
dimostra con grande autorità di esempi, che cioè le rivoluzioni
politiche, le quali non accompagnino un rinnovamento religioso, perdono
di vista l’origine loro e i primi intenti e finiscono a scatenare
ogni cattivo istinto delle plebi; di ciò io sono convinto da un
pezzo. Ma dopo il male che woî, tutti noi, caro Giosuè, abbiamo
fatto, siamo in grado di provvedere a’ rimedi? A chi predichiamo?
Noi, borghesia volteriana, siam noi che abbiam fatto i miscredenti,
intanto che il Papa custodiva i male credenti; ora alle plebi che
chiedono la poule au pot, perché non credono più al di lè, ritorneremo fuori a
parlare di Dio, che ieri abbiamo negato? Non ci prestano fede... abbiam
voluto distruggere e non abbiamo saputo nulla edificare. La scuola
doveva, nelle chiacchiere de’ pedagoghi, sostituire la chiesa. Una bella
sostituzione! La sua estromissione dal parlamento dopo quaranta-cinque anni —
in seguito alle elezioni, e le agitazioni sociali culminate
nell’occupazione delle fabbriche, convinsero Martini dell’impotenza del
me- (Chabod, Storia della politica estera italiana, Bari, Laterza, da
integrare però col discorso di Martini alla Camera, contro l’introduzione
dell'insegnamento religioso nelle scuole elementari (« opporre una
religione di classe alla lotta di classe», come vorrebbe «una borghesia
sgomen- tata dalle minacce del proletariato, sarebbe come trattenere coi
fuscelli la corsa delle locomotive »: citato da S. Cilibrizzi, Storia
parla mentare politica e diplomatica d’Italia da Novara a Vittorio
Veneto, Milano-Genova-Roma-Napoli, Società editrice Dante Alighieri). Ma
sarebbe da studiare tutta la sua posizione sulla scuola, da prima quando
fu ministro della P.I. nel primo gabinetto Giolitti (su cui cfr. Bertoni
Jovine, La scuola italiana, Roma, Editori Riuniti), a quando dichiarò a
Crispolti di essere favorevole all'esame di stato per le scuole medie
(Lettere). Né è da trascurare, nello scrittore, l’aristocratica toscanità della
prosa, guidata da un provinciale buon senso, che si attirò i giudizi
negativi di Croce (ora in La letteratura della nuova Italia. Saggi
critici, Bari, Laterza) e di Gobetti (ora in Scritti storici, letterari e
filosofici, a cura di P. Spriano, Torino, Einaudi), da approfondire nel
senso indicato da Asor Rosa (Scrittori e popolo. Il populismo nella
letteratura contemporanea, Roma, Samonà e Savelli) che ha incluso Martini
fra i rappresentanti di una fase «regionale », ma non per questo meno
nazionale, del populismo; tenendo tuttavia presente la vicinanza di Mar-
tini ad Ojetti, il cui libro Mio figlio ferroviere (Milano, Treves) fu
giudicato dall’amico la vera storia d’Italia, dalle ultime fucilate dei
combattenti alle prime bastonate dei fascisti » (Lettere), e da
Prezzolini « uno dei segni precursori della reazione al disordine e alla
debolezza dei governi italiani parlamentari del dopoguerra » (La cultura
italiana, Milano, Corbaccio). L’Enciclopedia italiana todo
liberale a risolvere i problemi che il paese aveva ere- ditato dalla
guerra, e lo spinsero a seguire Salandra nel cammino che lo porta ad
aderire al fascismo. Lo spirito di riscossa nazionale da cui si senti
animata la borghesia liberale interventista nell’immediato dopo-
guerra e, insieme, i pericoli oggettivi per i suoi propositi e la sua
stessa posizione, condizionarono anche l’Ewciclopedia nazionale, nelle
aspirazioni come nel fallimento. Per il suo progetto quello di Treccani
ne prevederà all’inizio 32, diventati poi 36 — Martini ottenne il
patrocinio della Società italiana per il progresso delle scienze
(S.I.P.S.), la maggiore organizzazione scientifica del paese che univa
alla diffidenza per il neoidealismo una decisa impronta « nazionale » ‘;
ma per quattro anni cercò invano di assicurargli un’adeguata copertura
finanziaria. Menghini — interventista e antigiolittiano, non nuovo ad
imprese enciclopediche, che a Roma tenne i contatti con Volterra,
Bonfante e Almagià — membri del consiglio direttivo della S.I.P.S., inizia
trattative con Bonaldo Stringher, direttore della Banca d’Italia e
amministratore della S.I.P.S. fin dalla fondazione. Nel Martini,
Lettere, (per le elezioni). Per la sua concordanza con Salandra nel giudizio
sul fascismo cfr. anche R. De Felice, Mussolini il fascista, I. La
conquista del potere La, Torino, Einaudi e Gifuni ._ % Cfr. F. Martini,
Leztere, cSulla S.I.P.S. cfr. R. Almagià, La società italiana per il
progetto delle scienze, in « L’Italia che scrive, e il breve cenno di L.
Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia,
in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Matzorati. Scriveva a
Martini: «Il popolo, pur troppo, agisce male: ma come agir bene con
l’esempio che ha di tanti malgo- verni? Cosa debbono pensare le madri dei
cinquecentomila figli morti, quando sentono che la guerra si doveva
evitare? »; cfr. anche, contro Giolitti, la lettera. Sulle stesse
posizioni era Ales- sandro Donati, ad es. nelle lettere a Martini (BNF,
Fondo Martini). Aveva diretto l’Enciclopedia contemporanea illustrata
edita da Val- lardi, Milano (fra i collaboratori, Emilio Bodrero e
Ro- «berto Paribeni). % Per
l’elenco delle cariche sociali della S.I.P.S. dal 1907 cfr. ad es. Atti
della Società italiana per il progresso delle scienze. Undicesima riunione, Trieste,
Roma, Società italiana per il progresso, attenuatesi le difficoltà economiche
dell’anno precedente, Stringher — che aveva cointeressato anche Pogliani
della Banca Italiana di Sconto, Fenoglio della Commer- ciale e il
finanziere Della Torre che controllava un’imponente catena editoriale — promise
il suo appoggio; fu incaricato della realizzazione l’editore Bemporad,
mentre Menghini cominciò ad interpellare gli eventuali direttori
dell'impresa fra cui, sembra, Gentile. Ma le incertezze delle banche non erano
ancora vinte — anche dopo la presentazione da parte di Bemporad di
un progetto molto ridotto rispetto a quello originario —, per cui
Martini accettò il consiglio di Stringher di affidare la realizzazione
dell’enciclopedia a un gruppo editoriale da promuoversi attorno a un
editore « di prima grandezza ». La scelta cadde su Angelo Fortunato
Formiggini e sulla Fondazione Leonardo da lui creata: fu questa la via per la
quale l’idea passerà a Gentile. I propositi culturali
nazionali della Leonardo, analoghi a quelli di Martini che ne fu il primo
presidente, si affiancavano a quelli dei numerosi istituti di
propaganda culturale nati o nuovamente sviluppati nel dopoguerra,
ma con un'impronta originaria — prima dei condizionamenti
governativi e dell’intervento di Gentile — nettamente diversa dal deciso
accento politico e nazionalistico che fin dall’inizio aveva avuto, ad
esempio, la Alighieri ‘ delle scienze. Si profilò il pericolo di
una concorrenza al progetto di Martini, da parte di un editore di
Bergamo, che sembra si fosse assicurata la collaborazione di Gentile,
Chiovenda, Paribeni (BNF, Fondo Martini, lettere di Menghini, e di
Donati). Per tutto l'andamento delle trattative cfr. le lettere di
Menghini a Martini. Sulle compartecipazioni editoriali di Pogliani,
Fenoglio e Della Torre, utili notizie in V. Castronovo, La stampa
italiana dall'Unità al fascismo, Bari, Laterza. Menghini a Martini. Passando
per Firenze non potrebbe interrogare il Cadorna? Io potrei incaricarmi
del Gentile: Martini, Stringher, Volterra son già de’ nostri. Come fare per
Marconi, Luzzatti, Ciamician e Murri? » (BNF, Fondo Martini). Su Bemporad
editore negli anni venti di « Critica sociale », cfr. A. Gramsci,
Quaderni del carcere, e l'intervento di Piero Treves in La Toscana nel
regime fascista, Firenze, Olschki, Sulla funzione di « grande milizia civile »
svolta dalla Dante Ali- ghieri, fondata da Ruggero Bonghi, cfr. P.
Barbèra, La Dante. L’Enciclopedia italiana l'opera di Formiggini si
rivolgeva soprattutto all’interno, in un tentativo di unificazione
culturale che con la rivista bibliografica « L’Italia che scrive »,
trovava in tutta la sua attività prebellica i motivi della sua estraneità
all’idealismo e dell’avversione per la setta filosofica gentiliana
giudicata tirannide dottrinale contraria alla manifestazione delle diverse
correnti culturali * L’intento di sviluppare all’estero la
conoscenza della cultura italiana aveva portato. Formiggini ad un
incontro con le prospettive nazionalistiche degli organi statali
pre- posti alla stampa e alla propaganda * e, su queste basi, alla
creazione dell’Istituto per la propaganda della cultura ita- liana che,
dopo aver ottenuto un sostegno anche da parte degli industriali, fu
inaugurato ufficialmente a Roma ed eretto in ente morale, col nome di
Fon- dazione Leonardo, nel novembre dello stesso anno,
con Alighieri, relazione storica al Congresso (Trieste-Trento),
Roma, Società nazionale Alighieri, e Id., Quaderni di memorie stampati ad usum
delphini, Firenze, Barbèra, dove è anche una professione di fede di Barbèra,
segretario del Consiglio centrale della Dante (« non son socialista, perché
credo la essenza di tal dottrina contraria a natura e giustizia, e poiché
essendo essa necessariamente internazionale è contraria al principio di
nazionalità che è anch'esso legge di natura), conforme ai fini della
Dante, nata a rinnovare il « pensiero della Patria » negli emigrati e nel
proleta- riato che, « ansioso di migliorare le sue penose condizioni,
sentî il bisogno di organizzarsi per le rivendicazioni dei suoi diritti e
di allearsi al proletariato degli altri paesi con vincoli internazionali »
(Barbèra, L’Alighieri). E consigliere della Società anche
Martini. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo. Sulla
figura e l’opera di Formiggini. Formiggini ottenne per le Guide
bibliografiche il patrocinio della Commissione per la propaganda del libro
italiano all’estero, presieduta dal nazionalista Gallenga Stuart
(L'Italia che scrive), suscitando i dubbi di Gobetti sull’efficacia e
l’imparzialità culturale dell’iniziativa (ora in Scritti politici); cfr.
anche L. Tosi, Romeo A. Gallenga Stuart e la propaganda di guerra
all’estero, in « Storia contemporanea ». E annunciata la costituzione
dell’Istituto per la propaganda della cultura italiana sotto la
presidenza di Martini e Comandini (commissario per la propaganda all’In-
terno) e, fra i consiglieri, il direttore del Giornale d’Italia Bergamini,
Buonaiuti, Formiggini, Croce, Einaudi, Prezzolini (L’Italia che scrive;
cfr. anche il frontespizio). Martini presidente, Orso M. Corbino
vice-presidente, Gentile e Amedeo Giannini delegati rispettivamente del
ministro della Pubblica istruzione e di quello degli Esteri, Almagià e
Chiovenda consiglieri, Formiggini consigliere delegato alle pubblicazioni. I
nuovi accordi e le nuove compagnie si dimostrarono subito pericolosi
e condizionanti, tali da non permettere che l’ente svolgesse quel
compito di equilibrata armonizzazione di correnti opposte che Formiggini
sperava ereditasse dalla sua rivista. Il suo ideale di imparzialità si rivelò
un’arma a doppio taglio, permettendo in questa fase che altri utilizzasse
l’iniziativa per i propri fini. Il consiglio direttivo della Leonardo,
dicendosi convinto che la forza di espansione necessaria alla cultura
italiana non possa derivare da artificiali argomenti di propaganda,
ma soltanto dal valore stesso della nostra cultura, affermava con
linguaggio trasparentemente gentiliano che creare la cultura è la prima
condizione della sua propaganda; ma la cultura non esiste se non nello
spirito che l’alimenta accogliendola e sentendola »; considerava quindi
necessario organizzare un lavoro di propaganda interna diretto a
ravvivare negli animi il concetto di quanto nella cultura italiana fu
veramente originale e arrecò un contributo incontestabile al patrimonio
spirituale dell'umanità, e affidava questo compito a una serie di
conferenze tenute da Gentile, Croce, Scialoia, Farinelli, Rossi, Ricci.
Era un chiaro rifiuto del programma culturale di Formiggini e della sua casa
editrice. L’iniziativa di quest’ultimo divenne « impersonale », cioè
« nazionale », come egli stesso dichiarò, e la Fondazione si propose,
secondo le dichiarazioni di Martini, di « propagare il pensiero nazionale fra i
popoli civili e ciò non con intenti imperialistici, ma unicamente col
proposito di far sapere chi siamo e che cosa facciamo ». Ma in breve
tempo Gentile, forte dell’appoggio governativo, riusci ad assu-
mere il controllo della Fondazione presieduta da Bonomi —, separandola
progressiva- mente da « L'Italia che scrive », sull’esempio della quale
— e utilizzando molti dei suoi collaboratori modellerà
L’Enciclopedia italiana più tardi il « Leonardo » affidato a
Prezzolini e poi a Russo. L'assemblea sociale della Fondazione,
manipolata da Gentile promotore della « marcia sulla Leonardo, stando
alle accuse di Formiggini® —, rovesciò il consiglio direttivo, che fu
ristrutturato sotto la presidenza del nuovo ministro della Pubblica
istruzione del primo gabinetto Mussolini
L’ente e il suo patrimonio saranno assorbiti nel ’25 dall’Istituto
nazionale fascista di cultura”, mentre Formiggini continuerà ne L'Italia
che scrive a inseguire ingenuamente il suo sogno di rispec- chiare, in
una Italia in cui molte voci andavano ormai spen- gendosi, tutte le
correnti della cultura nazionale, senza comprendere come fosse ben
diversa dall’opera di armonizzazione da lui auspicata la volontà esplicita del
Governo di assumere la diretta gestione di tutti gli organismi di
propaganda nazionale. La parabola della Leonardo segna il destino
dell’Enciclopedia nazionale progettata da Martini: proprio nella seduta che
sanzionò — ad opera di Gentile — il definitivo distacco dell’Istituto da
« L’Italia che scrive », Formiggini comunicò al consiglio direttivo
della Leonardo di essere stato incaricato da « un gruppo di amici che
facevano capo a Martini », rima- sto presidente onorario della
Fondazione, di realizzare una Grande Enciclopedia Italica per sodisfare
la lunga attesa della Nazione e dar vita ad un’opera che, mercé una
larga diffusione in Italia e nei centri culturali stranieri, giovi
gagliardamente al progresso intellettuale del nostro Paese Cfr. «L'Italia
che scrive. Formiggini. Con Gentile presidente e A. Giannini vice-presidente,
erano con- siglieri R. Bottacchiari, G. Calabi, Codignola, Giglioli,
F. I Massuero, Radice, V. Rossi (Leonardo). Cosî afferma Formiggini,
ancora in epoca fascista (Venticinque anni dopo, Roma, Formiggini; cfr.
anche Trent'anni dopo. Storia di una casa editrice, Amatrice,
Formiggini). Ancora come attesta Salvemini, Scritti sul fascismo,
Milano, Feltrinelli. Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo. e al buon nome dell’Italia nel mondo ».
Ritenendo impos- sibile ricalcare le orme della Britannica, Formiggini
ridusse, come già aveva fatto Bemporad, il progetto originario di
Martini — 18 invece di 24 volumi, e ne affidò la realizzazione a un costituendo
consorzio editoriale librario (con la partecipazione anche dei maggiori
periodici italiani), sempre sotto il patrocinio della Società italiana
per il pro- gresso delle scienze. I redattori sarebbero stati scelti fra
i membri di quest’ultima, dell’Accademia dei Lincei e della
Leonardo, che avrebbero lavorato sotto la direzione non di un filosofo o
di uno scienziato, ma di un tecnico, un bibliografo e bibliotecario, per
rendere la Grande Enciclo- pedia Italica, come voleva Formiggini,
specchio completo e obiettivo dello stato presente della nostra
cultura, opera espositiva e di coordinamento delle varie dottrine »: era
respinto il consiglio di Croce di non fare opera eclettica, perché « una
Enciclopedia deve avere un’a- nima sua, una sua coerenza, condiviso anche
da Gentile Ma la marcia sulla Leonardo travolse Formiggini, che fu
abbandonato da Martini”; questi continuerà a coltivare la speranza di attuare
l’enciclopedia, finché non confluî nell’iniziativa gentiliana, mentre
Formiggini, abban- donato il vecchio progetto ”, riuscirà a dare inizio a
una nuova Enciclopedia delle Enciclopedie divisa per sog- [All'annuncio
dell’E.I., Formiggini scriverà che il Gentile di oggi (l’ho detto) non è più
quello di ieri. Egli allora era in piena armonia con Croce, il quale
avrebbe voluto una enciclopedia, tutte le ‘pagine della quale
concorressero ad uno stesso fine concettuale » (« L'Italia che scrive
»). Menghini scriveva a Martini che il trionfo «della tesi
del Formiggini fu quello di Bemporad, e che non si tratta pit di una
enciclopedia scientifica, ma di una a base Larousse », e concludeva: « appena
potrò, vedrò il Gentile, a cui narrerò tutto: e spero interessare il Governo
alla impresa (BNF, Fondo Martini). Martini, Lettere (a
Formiggini). Formiggini, Programma editoriale della collezione e
L'Enciclopedia Italica, in «L'Italia che scrive». L’Enciclopedia italiana
getti ®: ma quando ormai l’idea della Enciclopedia italiana,
ereditata da Gentile assieme alla Leonardo, era stata rilanciata dall’Istituto
Treccani. L'intervento di Treccani e Gentile Il progetto di Martini
fu realizzato fuori del ristretto ambito editoriale in cui era stato
confinato da Formiggini e con la forte impronta culturale di Gentile; ma
il rapido successo dell’iniziativa privata di Treccani e Gentile fu
reso possibile soprattutto dalla nuova realtà creata dal fa- scismo, che
favori una stretta compenetrazione tra interessi politici industriali
culturali, e fece sentire l’opera utile, anzi necessaria © alla cultura e
alla forza dello Stato nel quadro di una più generale riorganizzazione
del potere: il carattere « nazionale » dell’enciclopedia non si
presentò più solo come aspirazione da raggiungere — espressione di
italianità frutto di tutte le forze intellettuali del paese —, ma anche
come conseguenza del « nuovo ordine » che si autodefiniva « nazionale. Gentile,
presidente della Leonardo e, fino al giugno di quell’anno, ministro della
Pubblica istruzione, riprese e sviluppò il progetto di Martini, trovando
un pronto aiuto economico nel senatore Giovanni Treccani , la cui
figura Cosî annunciata ne «L'Italia che scrive». È noto che avevo
studiato il piano di una Grande Enciclopedia Italica e che altri sta
realizzando con grande abbondanza di mezzi quello che era stato il mio
proposito. Mi si rimproverava allora di voler dare uno specchio fedele di
tutte le correnti del pensiero degne di considerazione senza asservire
l’opera ad una particolare tendenza: oggi ho la giusta soddisfazione di
vedere che quel mio concetto è stato pienamente accolto. Le mutate
condizioni della vita culturale italiana mi fanno però rime- ditare su
quanto Croce ebbe a dirmi in proposito: egli affer- mava che una
Enciclopedia deve assolutamente avere un’anima sua propria, ed io allora non
vedevo quale delle tendenze spirituali avrebbe potuto imporsi come perno
di tutto lo scibile: oggi mi apparisce ben chiaro e non dubbio quale
debba essere il nucleo ideale di una simile impresa. L’E.I. è
qualificata «necessaria » in tutti i discorsi di Treccani (Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento). Entrato io in
Senato, il sen. Gentile (al quale mi legavano rapporti di cordialità per la
parte da lui avuta come Ministro della di industriale-mecenate rappresenta
il più ampio e politicamente nuovo intervento dei grandi gruppi
economici nell’attività editoriale. Alla morte di Rossi, il
protezionista considerato precursore dell’ideologia corporativa, cui
Treccani dedicherà un significativo ritratto nell’Enciclopedia, era entrato nel
Rossi di cui divenne presidente, e opera come amministratore
delegato il salvataggio del Cotonificio Valle Ticino, « intorno al
quale sorsero altre aziende tessili, tutte basate sui principi,
cari al Treccani, della divisione del lavoro e dell’indipendenza
della funzione industriale, a tutti gli effetti giuridici ed economici,
da quella commerciale, anche allo scopo di mettere le maestranze al
riparo dai disastri eventuali della speculazione, ma soprattutto, come
Treccani dichiarò di fronte allo spettro della rivoluzione
leninista apparso con l'occupazione delle fabbriche — allo scopo di
raggiungere la « conciliazione sociale spoliticizzando gli operai, cooptati
nella direzione di aziende « puramente industriali di tipo
corporativistico, private dei più vasti poteri decisionali delle aziende
« pura- mente commerciali » ©. Presidente di numerose società tes-
Pubblica Istruzione, — allora si diceva cost — al recupero della
Bibbia di Borso d’Este) mi segnalò quel naufragato progetto, affinché io
vedessi se avevo la possibilità di attuarlo », ricorda Treccani. Il
progetto prevedeva 32 volumi, diventati poi 36, e un “Dizionario biografico
degl’italiani”; furono spesi circa 15 milioni per i soli collaboratori, e 100
per tutta l’opera di 25.000 copie. Lanaro, Nazionalismo e ideologia del
blocco corporativo-pro- tezionista in Italia, in «Ideologie». Nazione e
lavoro. Saggio sulla cultura borghese in Italia, Padova, Marsilio. Di
Rossi Treccani scriverà nell’E.I. che « considerava primo elemento di
potenza e di ricchezza nazionale il capitale uomo, preparato con
sentimenti cristiani alla collaborazione fra le classi sociali. Ebbe
vivissima la coscienza dei doveri degl’imprenditori verso i dipendenti e
considerò l’interesse dei proprietarî non disgiunto da quello degli operai
e da quello della nazione »: dove, pur fatte le dovute concessioni alla
data di stesura della voce, sono accennate le origini nazionaliste e
cattoliche del corporativismo. % Cfr. l’anonima voce Treccani in
E.I., e P. Rossi, Dall’Olona ai Ticino. Centocinquant’anni di vita
cotoniera, Varese, La tipografica Varese. In modo che «l’operaio
industrializzato perderebbe l’abito di far L’Enciclopedia
italiana sili, chimico-meccaniche, agricole — membro
fondatore della società agricola italo-somala — ed editoriali, Treccani si
prodigò in quell’opera di mecenatismo che, soprattutto con l’acquisto e il dono
allo Stato della Bibbia di Borso d’Este, gli valse a nomina a senatore.
Il mecenatismo di Treccani, e di altri industriali o finanzieri quali
Gualino, non era, come osservava Gramsci, disinteressato: le loro
iniziative culturali erano illuminate autoprotezioni che,
dichiarando paternalisticamente di favorire l’interesse generale
nazionale, aiutavano di fatto quello delle classi dirigenti e l'ordine
sociale costituito. A Enciclopedia compiuta Treccani affermerà che si può
contribuire al progresso delle lettere, delle scienze e delle arti, anche
senza essere letterati, scienziati o artisti, proteggendo quelle e
aiutando questi; e spetta specialmente a coloro che, in un determinato momento,
detengono la ricchezza promuovere atti di gene rosità e di rischio,
perché solo facendo compiere al capitale un'alta del lavoro una funzione
politica, e questa eserciterebbe soltanto come cittadino e cioè all'infuori
e al di sopra di quella che sarebbe la lotta economica. Tanto all’infuori
e al di sopra, che un qualunque movente politico, in una eventuale lotta,
non sarebbe possibile concepire se non attraverso a un tentativo criminale
di sovvertimento sociale, o meglio a una aberrazione della coscienza
operaia, la quale vorrebbe allora precipi- tare nel baratro di una
eclissi storica la nazione e la società. Treccani, Capitale e lavoro, in «
Risorgimento ». Il diritto nuovo. La rivista « Risorgimento », fondata da
Treccani e diretta da Arrivabene, e su cui scrisse anche Corradini, è definita
dall'E.I. «di spiriti nettamente nazionali » (alla voce Treccani).
Per tutta la sua attività culturale e benefica cfr. Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Come e da chi è stata fatta, Milano,
Bestetti, (tutto il volume è concepito
come difesa dalle accuse di fascismo rivolte all’E.I. dopo la
Liberazione). La nomina di Treccani a senatore, avvenuta nella « infornata
(cfr. Rossi, Padroni del vapore e fascismo, Bari, Laterza), era stata
raccomandata da GENTILE a MUSSOLINI (Archivio centrale dello Stato, Roma (d’ora
in avanti ACS), Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO). Quaderni
del carcere. Accenni a Gualino — il fondatore della Snia-Viscosa e
vice-presidente della Fiat che finanziò le ricerche di Egidi e Chabod a
Simancas — in AA.VV., ln memoria di Pietro Egidi, Pinerolo,
Unitipografica pinerolese, Volpe, Storici e maestri, Firenze, Sansoni. funzione
sociale, esso può essere benedetto anziché odiato. Gli industriali poi devono
riconoscere che l’industria è debitrice di tutto alla scienza: del suo
fondamento, del suo progresso, del suo divenire; e che la scienza,
alimentando le applicazioni pratiche — cioè in definitiva l’industria e
l’agricoltura — è largitrice di beni morali ed economici, che elevano la
dignità del popolo e il suo tenore di vita. Frutto del rafforzamento
e della concentrazione dell’in- dustria accelerati dalla guerra e dal
fascismo ”, l’impresa della Enciclopedia testimonia la stretta
compenetrazione dei gruppi di pressione economici — Treccani vi
interessò anche il segretario dell’Associazione cotoniera Riva, e per la
realizzazione dell’opera diverrà socio di Rizzoli, quindi di Tumminelli e
Treves”? — con interessi politici e culturali, affermatasi su larga scala
in Italia per la prima volta dopo la grande guerra, condizionando
in modo mediato l’editoria — divenuta, come la definî Vallecchi,
industria delle industrie —, e immediato la stampa quotidiana. La libera
iniziativa di Treccani poté cosî realizzare ciò che non era riuscito alla
Banca d’Italia di Stringher. Altrettanto decisiva per la ripresa e
l'ampliamento del vecchio progetto di Martini fu la coerente opera di organizzazione
culturale promossa da Gentile, che dopo l’esperienza bellica era venuto
accentuando il valore politico della Enciclopedia Italiana Treccani. Idea
esecuzione compimento. Mori, Per una storia dell’industria italiana durante il
fascismo, ora in Il capitalismo industriale in Italia. Processo
d'industrializzazione e storia d’Italia, Roma, Editori Riuniti. L’E.I. fu
realizzata « con grande fede nella disciplina e produttività delle forze
intellettuali italiane nonché nella resistenza dell'economia nazionale »,
affermò anche dopo la grande crisi Gentile (Tribolazioni di un
enciclopedista. Come si distribuisce l'immortalità, in «Il Corriere della
sera). Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, e U.
Ojetti, I taccuini. Firenze, Sansoni,
che parla anche di trattative tra Fracchia e Treccani su un nuovo giornale
letterario, probabilmente « La fiera letteraria ».Vallecchi, Ricordi e idee di
un editore vivente, Firenze, Vallecchi. L’Enciclopedia italiana cultura,
la critica alla scienza spettatrice della vita e all’arcadia, in vista della
formazione di una nuova classe dirigente. La direzione gentiliana di
Accademie e Istituti, di riviste e collane editoriali, il controllo di
case editrici, affermatisi nel periodo fascista, ebbero nel campo
dell’alta cultura un’incidenza pari se non superiore, perché stabili
per un quindicennio, alla stessa riforma della scuola nel settore
educativo. Quando questa comincia ad essere svuotata dei suoi caratteri
originari, GENTILE inizia proprio con l’Exciclopedia — e per mezzo del
vasto potere di controllo su un gran numero di intellettuali da essa
conferitogli — ad esercitare una vasta egemonia culturale che induce a
riconsiderare, nel quadro di tutta LA FILOSOFIA ITALIANA del ventennio e del
secondo dopoguerra, l’opera svolta da Croce attraverso « La Critica » e
la Casa Laterza, opera su cui finora si è insistito in modo esclusivo e
spesso pregiudiziale, identificando polemicamente la cultura con l’antifascismo.
Se la semplice somma numerica delle organizzazioni e degli FILOSOFI controllati
materialmente da GENTILE non è sufficiente, allo stato attuale degli
studi, a Fra gli innumerevoli esempi possibili, basti ricordare La
moralità della scienza, in Scritti pedagogici, La riforma della
scuola in Italia, Milano-Roma, Treves-Treccani-Tumminelli; Che cosa
è il fascismo, cit.; Fascismo e cultura, Milano, Treves; Origini e
dottrina del fascismo, Roma, Istituto nazionale fascista di cultura. Quello del
contatto organico tra l’intelligenza e le classi dirigenti era allora il
problema sostanziale di LA FILOSOFIA ITALIANA posto fin dall’inizio della
rinascita idealistica, ma rimasto insoluto per la vittoria della vecchia
Italia, osservava Togliatti a proposito de coltura italiana di Prezzolini
(Opere, a cura di E. Ragionieri, Roma, Editori Riuniti). Ricordiamo solo
la Commissione Vinciana, la Leonardo e l’Istituto nazionale fascista di
cultura, la Scuola Normale Superiore di Pisa, l’Istituto italiano di studi
germanici, l'Istituto italiano per il medio ed estremo Oriente, la
casa editrice Sansoni, le collane di Le Monnier, il GIORNALE CRITICO
DELLA FILOSOFIA ITALIANA, Educazione fascista. ACS, Segreteria
particolare del Duce, Carteggio riservato. Bellezza, Bibliografia degli
scritti di GENTILE – LA FILOSOFIA DI GENTILE -- Firenze, Sansoni, Lalla, GENTILE,
Firenze, Sansoni). Cosi Garin, “La Casa Editrice Laterza la
filosofia italiana,” ora in LA FILOSOFIA ITALIANA, Bari, Laterza, che pur
avverte sempre la larga interdipendenza delle filosofie crociana e gentiliana.
spodestare Croce dal suo trono di papalaico — ciò implicherebbe
negare la persistenza dell’influenza crociana —, è da tener presente
almeno l’importanza pratica delle iniziative gentiliane: esse
mirarono a coagulare attorno a un nucleo di tradizione nazionale e fascista — e
quindi contribuirono a far sopravvivere nel quadro dell’ideologia eclettica del
regime — forze intellettuali operanti in campo filosofico. È
significativo chequando le revisioni interne e gli attacchi contro il
ATTUALISMO si erano in gran parte già consumati, un rapporto anonimo
inviato a MUSSOLINI presentasse GENTILE come pericoloso inquisitore nel campo
dell’organizzazione della filosofia. Si va determinando nel campo dell’Editotia
Italiana, specialmente attraverso le sovvenzioni dell’I.R.I., un
accaparramento sempre più sensibile di case editrici da parte del
Senatore GENTILE. Egli già dirige direttamente o indirettamente le
Case Editrici Lemonnier e Sansoni: le quali, a loro volta, dispongono
delle case dell'Arte della Stampa e di Ariani in Firenze. Dirige
l’Enciclopedia Italiana e controlla, perciò, un esercito di FILOSOFI collaboratori
che debbono per forza di cose obbedirgli. Sono note le vicende
delle case Treves e Tumminelli in cui Gentile era grande parte.
Sano noti i rapporti con le altre case attraverso i contatti con allievi
o amici, quali CARLINI e CODIGNOLA. Può
dirsi quindi che oggi è molto difficile fare uscire un saggio di FILOSOFIA in
Italia senza il visto di questo nuovo Sant’Ufficio di nuovo tipo.
Si dice, inoltre, che presto la casa Bemporad e diretta da GENTILE,
venendo cosî ad aumentare il numero delle case affiancate o
asservite. Occorrerebbe vedere, con opportuni e delicati approcci,
se non fosse il caso di studiare il modo di immettere nella vita della filosofia
fascista la Casa Laterza di Bari che per la sua reputazione potrebbe, una
volta immessa nella vita del Regime, rappresentate un certo contrappeso
all’attuale disquilibrdio di forze editoriali
Rapporto anonimo pervenuto a MUSSOLINI, in ACS, Segreteria particolare
del Duce, Carteggio riservato; per l’accusa a GENTILE di estendere la sua EGEMONIA
FILOSOFICA attraverso l’E. I. GENTILE forma, più di CROCE, una SCUOLA
FILOSOFICA. Ed ha FILOSOFI discepoli entusiastici e fedeli, forse anche troppo;
ed appare un animatore e Documento di parte, certo, ma che — accanto ai
limiti della opposizione crociana e alla spregiudicatezza
ideologica del regime pronto a strumentalizzarla — indica solo per
difetto i canali differenziati di diffusione culturale di GENTILE e di I
GENTILIANI. Nei primi anni del fascismo l’opera di GENTILE e funzionale alla
necessità politica del regime di unificare e organizzare le disperse forze
della FILOSOFIA della borghesia liberale. Soprattutto dopo l’unificazione col
nazionalismo — pit attento ai problemi di politica FILOSOFICA proprio
perché da una tradizione filosofica nazionale vuole trarre i motivi della
sua collocazione nella storia della filosofia italiana, il fascismo
accompagna l’azione repressiva dello squadrismo con quell’opera di
graduale allargamento del consenso, fatta di concessioni ai gruppi
capitalistici e alle forze culturalmente egemoni che gli permette di
schiacciare le opposizioni. Valido strumento e dapprima la gentiliana riforma
della scuola — con FEDELE resa p DIS conforme alle istanze della
borghesia —, poi, superata la crisi Matteotti e instaurata la dittatura,
l’opera di appropriazione di correnti filosofiche diverse assegnata a GENTILE,
parallela a quella svolta contemporaneamente sul piano politico verso i
fiancheggiatori, e dopo sostituita dalla ricerca dell’appoggio dei borghesi.
Non è un caso che Treccani per la pubblicazione dell’Enciclopedia
Italiana e costituito. Salutato con entusiasmo da GENTILE, segna la fine
dei governi di coalizione. FARINACCI divenne segretario del Pnf, carica che
terrà fino al marzo direttore spirituale. Sostiene le sorti della
sua scuola e dei suoi scolari con la fede di un uomo di parte, ricorda
ancora PREZZOLINI (La filosofia italiana). Tomasi, Idealismo
e. fascismo nella scuola italiana, Firenze, È Nuova Italia. Gentile a
Mussolini. Eccellente il discorso di ieri. Il paese tutto si sveglia e
torna a Lei. La prego poi di ricordarsi che in questi giorni bisognerebbe
dar forza ai Quindici, emanando il Decreto Reale -- copia in ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato. Sebbene l’opera si
assicurasse l’alto patronato del re e
le dichiarazioni ufficiali di Treccani e Gentile non facessero quasi
parola del fascismo, la sua data di nascita indica il peso determinante
che nella sua realizzazione ebbe l’avvento della dittatura. La segreteria
Farinacci sembrerebbe contrastare con lo spirito informatore
dell’impresa; in realtà la linea estremista del fascismo, pur polemizzando con
l’iniziativa gentiliana, non riusci a condizionarla. Anche in campo filosofico
le due anime del fascismo, tradizionale e rivoluzionaria, trovarono
ciascuna un proprio spazio e una propria funzione. Che la nascita
dell’Enciclopedia e l’indirizzo da essa rappresentato non fossero casuali,
frutto esclusivo di un’iniziativa individuale, ma rientrassero in
un più vasto programma di politica culturale del regime, è dimostrato
anche dal sorgere accanto ad essa di numerosi altri istituti di alta
cultura, quali l’ISTITUTO DI STUDI ROMANI di Paluzzi, l’ISTITUTO
NAZIONALE FASCISTA DI CULTURA Istituto nazionale fascista erede materialmente
della Leonardo di Formiggini o delle varie Università popolari e affidato
a GENTILE, la SCUOLA DI STORIA di VOLPE e L’ACCADEMIA D’ITALIA, tutte
istituzioni rivolte, con programma e su piano filosofico, a promuovere
studi e ricerche ispirati sempre ad IL PRIMATO DELLA CIVILTA ROMANA nel mondo, con una funzione interna analoga a
quella svolta, all’estero, da appositi organismi culturali che, in modo graduale
e illuminato, miravano a orientare favorevolmente verso il
fascismo l’opinione pubblica, Come appare dal Manifesto al pubblico (in
Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento).
Ministero dell'Educazione Nazionale, Accademie e Istituti di
cultura. Cenni storici, Roma, Palombi, Una prima ricerca è quella sul CNR
di Maiocchi, Scienza, industria e fascismo, in « Società e storia ». Sulla
figura di VOLPE v. Cervelli, VOLPE, Napoli, Guida, e, per qualche cenno
sulla sua vasta opera di organizzazione degli studi storici nel periodo
fascista, ancora da studiare, Turi, Il problema VOLPE, Studi storici. Frezza
Bicocchi, Propaganda fascista e comunità italiane in Lo « specchio
fedele e completo della cultura scientifica italiana. Il governo facilita
economicamente la realizzazione della Enciclopedia, intervenendo — su
sollecitazione di GENTILE — per l’accordo editoriale fra l’Istituto
Treccani e il Touring Club Italiano che fornisce il corredo cartografico
dell’opera, e costituendo l’ente nazionale ISTITUTO DELL’ENCICLOPEDIA ITALIANA.
E sempre il regime condiziona direttamente l’impresa, garantendone il controllo
ecclesiastico, e utilizzandola poi come canale di diffusione della sua
ideologia, come nella voce Fascismzo. Ma l’Enciclopedia si presenta come opera
nazionale, testimonianza di un primato italiano da rivendicare di fronte
agli altri paesi, nel senso già indicato da MARTINI. Solo con l’uscita e in una
diversa situazione politica, il suo carattere nazionale e precisato con
l’istituzione del rapporto di continuità risorgimento/grande-guerra-fascismo.
La Casa Italiana, Columbia, Studi storici. La prefazione alla E.I. ricorda come
il maggior tentativo di una enciclopedia italiana e stato fatto in Italia
negli anni forieri del Quarantotto, nel più vivo fermento della ridesta
coscienza nazionale del popolo italiano, come il disegno e il proposito
dell’Enciclopedia siano maturati dopo la grande guerra in cui gl’italiani, per
la prima volta dacché raccolti in unità nazionale, fecero esperimento di tutte
le loro forze materiali e morali, e superarono la prova con una grande
vittoria, e che il clima che rende possibile un'opera come questa è il
nuovo spirito esploso con l'avvento del Fascismo. E Treccani. Ad ogni movimento
nazionale concluso, si è sempre sentito il bisogno di questo esame delle
proprie possibilità filosofica. Anche Filiberto, restaurato lo stato, idea
un’Enciclopedia col nome di “Teatro Universale”, rimasta però allo stato
di Progetto. Ed altrettanto fanno gl’uomini del nostro Risorgimento, che
ci diedero l’Enciclopedia Popolare Pomba, chiamata l’Enciclopedia del
Risorgimento, opera lodevole. Il grandioso movimento spirituale prodotto
dalla guerra vittoriosa e dal fascismo, non puo rimanere sterile in
questo campo. Negli stessi termini Bosco, Enciclopedia Italiana, in “Panorami
di realizzazioni del fascismo”. Gl’Istituti del Regime, Roma, Panorami di
realizzazioni del fascismo. Già il Manifesto ricorda, oltre al clima
della vittoria, il tentativo fatto in Torino negli anni più maturi
L’insistenza sul significato nazionale dell’impresa — di cui solo pochi
colsero gli equivoci, e il pericolo di una riduzione nazionalistica della
filosofia — si dissolve presso gl’incerti o gl’oppositori del fascismo o
di Gentile il dubbio che l’opera e politicamente e FILOSOFICAMENTE
di parte. Tutte le dichiarazioni di Treccani e Gentile — rispettivamente PRESIDENTE
DELL’ISTITUTO e DIRETTORE dell’Enciclopedia — sono ispirate a questa
preoccupazione. L’atto costitutivo dell’Istituto auspicava che l’opera e scritta
con la collaborazione di quanti filosofi sono in Italia competenti in
ogni ordine di scuole, e governata da un alto concetto di quello che è
stato ed è il carattere ed il valore della civiltà italiana nel
mondo, nonché dal desiderio e proposito che tutte le forze filosofiche
della nazione siano, per questo lavoro che interessa tutta la nazione,
messe a profitto, in modo che riuscisse opera, cosî dal rispetto filosofico,
come da quello nazionale, degna delle più nobili tradizioni del popolo italiano.
L’art. 4 si preoccupa di specificare che l’Istituto s’inspira bensi alla
coscienza del glorioso passato del popolo italiano e degl’alti destini a
cui esso può e deve aspirare. Ma è “a-politico” nel *senso assoluto* della
parola. Anche il del Risorgimento nazionale, quando tutto lo
spirito italiano senti piu urgente il bisogno del suo rinnovamento e di una
vita più intense. Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento. Sulla Nuova enciclopedia popolare del Pomba cfr. Bottasso, Le
edizioni Pomba, Torino, Biblioteca civica, Cfr l’articolo Nel mondo della
coltura borghese. Una Enciclopedia, in « L'Unità » (lo pseudonimo
dell’autore non è completamente leggibile. Gl’uomini della dominante borghesia
italiana vorrebbero adesso nazionalizzare la internazionale della filosofia,
facendo un grande monumento di dottrina filosofica INDIGENA, mentre una
enciclopedia, per servire degnamente alla filosofia, deve essere opera
vastissima di filosofia universale, enorme massa di parole e di voci che
vanno distribuite fra quanti filosofi dotti possono più sicuramente
parlare su ciascuna di esse. Se si farà, sarà, pur troppo, un documento di
fragorose chiacchiere e di malfatte compilazioni, conclude l’articolista
esprimendo il dubbio sulla capacità del fascismo di realizzare un’opera di
tanta mole e di cosi universale sapete. Treccani, Exciclopedia Italiana
Treccani. Idea esecuzione compimento. Treccani dichiara: « La
politica qui non c'entra, né deve entrarci. E il caso anzi di dire che se
la politica può dividere gl’uomini, LA FILOSOFIA li deve tutti unire -- parole
che ricordano quelle di GENTILE nell’articolo Contro Manifesto al
pubblico dichiarava l’IMPARZIALITA filosofica e politica dell’Enciclopedia,
quasi con gli stessi termini già usati da FORMIGGIN. A questa ENCICLOPEDIA che e
specchio fedele e completo della filosofia italiana, sono chiamati
a collaborare tutti i FILOSOFI d’Italia; e dove sia opportuno non
si tralascerà di invitare a fraterna collaborazione i filosofi d’altri
paesi, come la GERMANIA, più particolarmente versati, com’è naturale, nelle
materie – e. g. HEGEL -- riguardanti le
rispettive loro nazioni. Ma di quanti sono in Italia che abbiano in una
disciplina e in uno speciale argomento una loro competenza, l’Istituto
confida che nessuno vuole negare il proprio contributo e il proprio nome
a questo lavoro, che vuol essere opera nazionale superiore a tutti i
partiti politici come a tutte le scuole filosofiche, e puo riuscire, per
la sua complessità, la maggior prova filosofica dell’Italia nuova Le dichiarazioni di imparzialità convinsero FORMIGGINI
— che giudica l’ATTUALISMO ormai privo di aggressività per aver esaurito
la sua funzione, non chi vede, l’agnosticismo della scuola: la politica
divide, e la filosofia unire (Che cosa è il fascismo). Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Cosi VOLPE
cerca di sostenere l’obiettività dell’E.I.: Se per Enciclopedia fascista si
intende un’opera in cui ogni articolo, pagina, rigo sia coordinato e SUBORDINATO
AD UNA DETERMINATA VEDUTA FILOSOFICA e politica, questa nostra non è
l’Enciclopedia del Fascismo. Non è, come la Enciclopedia FRANCESE, la
Enciclopedia dell’ILLUMINISMO. La Enciclopedia italiana neppure se lo è
proposto. Né e forse possibile proporselo. Ma l’Enciclopedia presenta un
quadro PERFETTO della filosofia. E questo ha il suo valore per il Fascismo. L’Enciclopedia
italiana, per quel tanto che può avere una veduta filosofica, ha una
veduta che perfettamente ingrana col Fascismo: la filosofia come
movimento e divenire, come lotta e, insieme, solidarietà di forze. L’Enciclopedia
è un monumento all’Italia, in piena rispondenza al pensiero e all'anima del
Fascismo. L’Enciclopedia italiana. Nuova Antologia -- articolo rifuso,
accentuando l’apoliticità dell’E.I., col titolo Giovanni Gentile e
l’Enciclopedia Italiana, in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero,
Firenze, Sansoni. Ciò che IL SENATORE TRECCANI E IL SENATORE
GENTILE hanno detto circa gli spiriti filosofici che dovranno animare la
grande impresa, pienamente mi soddisfa. I nomi dei filosofi collaboratori
scelti sono gli stessi che io avrei scelto. Gentile d’oggi ha fatta sua la
concezione formigginiana che una enciclopedia nazionale deve essere il quadro
completo dello spirito filosofico della nazione – come a Bologna -- e non
la espressione di una particolare tendenza. L'Italia che scrive. al contrario, aumentare il pericolo di
un’egemonia gentiliana. TILGHER sulle pagine de « Il Mondo » svolge in
quei mesi una serrata polemica anti-attualista, mise in guardia — senza
tuttavia tener conto del complesso gioco politico e culturale condotto dal
fascismo — contro l’« IMPERIALISMO filosofico » dell’ATTUALISMO di Gentile:
spirito chiuso, violento e SETTARIO, pontificale e teologale, tabula rasa
all’infuori di argomenti rinascimentali e risorgimentali, cui avrebbe
preferito, alla direzione dell’opera, CROCE, o CHIAPPELLI, FARINELLI,
OJETTI. L’Enciclopedia che usce dalle mani del senatore Gentile non e una
Enciclopedia, ma un “Index librorum et virorum ad majorem Actus Puri
gloriam.” Il senatore Gentile specula un po’ troppo sulla vigliaccheria filosofica
del nostro bel paese se crede che gli si lascia compiere tranquillamente
una simile impresa di annessione filosofica. Se no, se l'Enciclopedia dovesse
rimanere affidata a Gentile, credo che non trova FILOSOFI collaboratori
disposti ad aiutarlo nella sua opera d’imperialismo intellettuale. E già
so che più d’un FILOSOFO, RICHIESTO, RIFIUTA di collaborare. Le
previsioni di TILGHER — di un’energica reazione contro l'impresa gentiliana da
parte della corrente filosofica, gli indirizzi, i movimenti, le scuole, i
filosofi massacrati dalla ignoranza e dalla faziosità settaria di Gentile,
non si realizzarono. A critiche del genere — limitate a una polemica
culturale scadente spesso sul piano personale, Treccani puo facilmente
opporre la diversità di indirizzi rappresentata dai direttori di
sezione dell’Enciclopedia. In occasione della loro prima riunione,
il presidente dell’Istituto si preoccupa di confutare attacchi esterni e
diffidenze interne sull’opera ritenuta dogmatica, settaria, faziosa,
asserendo che Gentile è uomo di partito e di idee sf, ma è uomo
leale e di fede. Tra lui e l’Istituto sono poi stati stabiliti patti ben
chiari ed egli ha già dato prova, nella indicazione dei FILOSOFI, di aver
tenuto fede a tali patti: basta uno sguardo alle persone qui presenti per
convincersi dell’infondatezza di ogni accusa. Tilgher, Giovanni Gentile e
l'enciclopedia italiana, in Il Mondo. Del resto, Vi assicuro che io, che
ho dato il mio nome a quest’impresa, non permetto mai ad alcuno di venir meno
al concetto fondamentale, che molto chiaramente è espresso nell’atto
costitutivo. Ma io ho fede nel Sen. Gentile. Lo stesso suo carattere
energico è garanzia di successo. La campagna ingiusta, iniziata contro di
lui a proposito dell’Enciclopedia, cade non appena pubblicammo i
nomi dei FILOSOFI collaboratori, i quali, italiani di sicura fede,
rappresentano la idea, la scuola, e la tendenza filosofica. Tutti gl’interpellati
finora hanno aderito con parole confortanti e lusinghiere. Se qualcuno
fosse tentennante, bisogna illuminarlo, persuaderlo dell’obiettività del lavoro
e convincerlo a dare il suo nome, sia pure per una sola voce. Nessun
nome di insigne FILOSOFO italiano deve mancare nell’Enciclopedia, anche perché,
dato il duplice scopo che io miro a raggiungere — Enciclopedia come opera di
valorizzazione della filosofia nazionale e Fondazione per l'incremento della
filosofia con gli eventuali profitti — non sarebbe simpatica la voluta assenza
da parte di qualcuno A Bologna si era appena chiuso il convegno sulle
istituzioni fasciste di cultura in cui Gentile presenta il fascismo come
erede di tutta la storia italiana, rivolgendo un appello all’unità e alla
conciliazione che avrebbe dovuto rafforzare, sul piano del consenso, la
drastica conclusione della crisi Matteotti. Anche l’Enciclopedia viene indicata
con insistenza come opera nazionale, in cui ogni filosofo italiano di sicura
fede conserva la sua opinione filosofica – e politica. Alcuni degl’avversari
del regime riconosceno il suo sforzo, ma anche la difficoltà, di
acquisire l’appoggio di ogni filosofo. Cosi l’Avanti!, per il quale, anche se
il mondo filosofico italiano si è fascistizzato molto presto,
antifascista è la filosofia, la vera filosofia, quella disinteressata, quella
cioè che ha sempre odiato l’accademia, la chiacchiere, la rettorica, gl’alalà.
L'Unità » invece, ritenendo che anche ideologicamente gl’intendimenti
fa- Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento. Da Ireneo ad Arpinati..., in « Avanti! », a proposito del discorso bolognese di
Gentile; cfr. anche I filosofi e Farinacci, in Avanti! Fra il manifesto dei
filosofi del fascismo, leggi Gentile, e i discorsi di Farinacci, bisogna
confessare che c’è piu intelligenza nei discorsi di Farinacci.
scisti di fascistizzare gli altri partiti social-democratici possono col
tempo realizzarsi — come afferma esaminando il Manifesto dei filosofi del
fascismo” —, coglie proprio nell’Enciclopedia la capacità del regime di
ottenere consensi fra i filosofi. Conosciamo bene quel che sia la
spregiudicatezza scientifica dei sapienti del fascismo e quel che sia
l’antifascismo della gente accademica. In tempi calamitosi per le pubbliche
libertà uomini di scienza hanno talora opposto le loro proteste, gravi e
sensibili, se anche rare o taciturne. Oggi non abbiamo di questi esempi
in Italia, fra tanti uomini di dottrina che pure fanno professione di
indipendenza o di avversione ai poteri dominanti » ”"; dove però, più che
l'individuazione della forza del fascismo — che stava proprio allora
organizzandosi come regime reazionario di massa —, vi è quella polemica
contro gli aventiniani, che porterà ancora a negare ogni differenza fra
le varie componenti della borghesia. L’imparzialità che l’Enciclopedia tendeva
ad accreditare sotto l’etichetta « nazionale » era comunque
strettamente condizionata dalla situazione reale del paese, e si
traduceva in una « passività » di stampo prezzoliniano: nello
% Sintomi di decadenza. Un manifesto degli intellettuali fascisti, in «
L'Unità ». .Nel mondo della coltura borghese. Una Enciclopedia, in
« L'Unità. Divagazioni sull'ideologia del fascismo, in « L'Unità, a
proposito della polemica Gentile-Interlandi sull’E.I., che esami- neremo.
Evidentemente differenze fra i gruppi borghesi non esistono nelle idee
fondamentali, ma nel modo di fare. Il fascismo ha in tutti i modi
l’energia di attrarre l’attuale borghesia: ecco i confini “tecnici” fra
“pensiero” ed “azione” ». Nell’organo della gentiliana Fondazione Leonardo,
Prezzolini an- nunciò l’E.I. come «l’esame di stato della coltura
italiana » e «lo sforzo dell’Italia nuova, in paragone degli altri paesi.
Il programma è ottimo. Lo sforzo è il più nazionale che si sia tentato
dopo l'unità italiana, ma l’Enciclopedia non sarà nazionalistica »; si
sarebbero superate le enciclopedie straniere «se la scelta dei collaboratori,
com'è stata quella dei direttori delle singole sezioni, sarà severa e non
dipendente da criteri politici o di meno che serena volontà scientifica.
Sarà un altro dei meriti di Gentile verso la cultura italiana »
(Leonardo, redazionale); e, pubblicando le Avvertenze ai collaboratori
dell’E.I.: « meglio di ogni altro documento, varranno a fare scompatire
nel pubblico ogni ombra di dubbio sul valore scientifico che l’Enciclopedia
avrà, e a dissipare le voci malevoli che pretendevano l’Enciclopedia
fosse poteva riflettersi solo, la cultura e l'ideologia del blocco
borghese chiamato a collaborare col regime nel momento in cui questo
schiac- ciava le opposizioni. Era significativa, del resto, la
presentazione « ufficiale » che dell’Enciclopedia dava la rivista di Mussolini,
Gerarchia. Dopo aver affermato la necessità di « un’affermazione di
intellettualità collettiva che rivelasse al mondo ciò che l’Italia era
nel dominio del sapere universale », e che « in Italia non possediamo
ancora la nozione di quel sapere nazionale che in- vece posseggono e da
secoli altre nazioni », l’autore dell’articolo auspicava che l’Enciclopedia, «
libro di un popolo », fosse « libro politico, ma soprattutto libro di
conquista », espressione dell’« intelligenza dominante » della
collettività; essendo « giunta l’ora che il mondo la pensi anche
all’ita- liana », compito dell’opera avrebbe dovuto essere quello
di « chiamare a raccolta tutto quanto l’anima italiana ha in questo
momento di lume e di ardimento e farlo collaborare a questa grande azione che
se ben mossa può segnare il primo passo verso quel dominio intellettuale
del mondo che noi da tanti secoli abbiamo perduto e può segnare,
prima ancora, il definitivo sfrancamento italiano dalla coltura straniera”. La politica
di conciliazione di Gentile
La componente tradizionalista del fascismo, rappre- sentata in primo
luogo dai nazionalisti, cercò — come ricorderà Bottai che della necessità
di conferire al regime una sua dignità culturale fu il principale
sostenitore dalle pagine di « Critica fascista » e poi di « Primato » —
di opera di parte, concepita con angusti criteri di scuola. Nella
seconda ediz. de La cultura italiana si limiterà a dire che V’E.I. dovrà
rappresentare la capacità della coltura italiana del dopo-guerra.
Venturini, La nuova e mirabile fatica italiana. L'Enciclopedia Nazionale,
in « Gerarchia », costruirsi una sua Weltanschauung che fosse, da un
lato, frutto della mediazione e del superamento delle diverse
correnti di pensiero dalle quali o contro le quali il movimento fascista era
sorto — non rollandianamente 4% dessus de la mélée, ma con un suo impegno
autonomo d’arbitro tra due mondi in lotta —, dall’altro, valorizza-
zione del primato storico-culturale italiano ®. Per questo era
necessario, inizialmente, fare appello a tutti quanti erano disposti a
collaborare con un regime che cercava di mostrarsi erede di una
tradizione « nazionale »: si pensi alla presentazione di Croce precursore
del fascismo, o ai tentativi, non ultimo quello dell’Enciclopedia, di
acca- parrarsene l'appoggio. In quest'opera di assorbimento di
intellettuali incerti, fiancheggiatori od oppositori, ana- loga a quella
attuata in campo politico dagli ex nazionalisti Rocco e Federzoni,
artefici della simbiosi organica del Pnf col vecchio Stato monarchico, il
regime « si rivesti piuttosto dei panni del moderatore che dell’eversore
» — per usare le parole di Bottai riferite a Mussolini, evitando i
vuoti paurosi, e poté quindi trovare uno strumento adatto in Gentile, la
cui concezione dello Stato e della storia italiani ne sottolineavano —
con motivazioni antitetiche a quelle che egli riteneva il naturalismo
deterministico, conservatore e illiberale dei nazionalisti * — alcuni
presunti elementi di continuità e sviluppo che facevano del fascismo il «
vero liberalismo ». G. BOTTAI, Vent'anni e un giorno, Milano, Garzanti. Di
Bottai è da vedere tutta l’antologia di Scritti, Bologna, Cappelli (dove è
riportata, ad es., la conferenza nella quale notò come «attraverso il
Nazionalismo si avviasse il Fascismo a compiere il primo passo della sua
rivoluzione intellettuale, inserendosi in una tradizione politica, che
potrà essere discussa, ma non negata »). Di uno «sforzo
intellettualistico di tipo e di gusto crociano » da parte del gruppo di
Bottai parla R. Colapietra, Benedetto Croce e la politica italiana,
Bari-Santo Spirito, Edizioni del Centro librario. Sul « revisionismo » di
Bottai, ma con una inaccet- tabile sopravvalutazione del suo ruolo
«critico » all’interno del regime, cfr. G.B. Guerri, Giuseppe Bottai un
fascista critico, Milano, Feltrinellie A.J. De Grand, Bottai e la cultura
fascista, Bari, Laterza. Gentile, Origini e dottrina del fascismo,
L’Enciclopedia italiana Nei numerosi interventi compiuti da
Gentile sui rapporti tra fascismo e cultura non vi sono né le
contraddizioni che vi ravvisò Formiggini”, né la difesa dell’autonomia
della cultura vista da Harris nella gentiliana « politica di
conciliazione » !: comune a tutti è la necessità — già sostenuta a
proposito del problema scolastico!— di organizzare e legare al « nuovo
ordine, indirizzandole se possibile verso esiti attualisti, tutte
le forze culturali del paese, con la consapevolezza che ciò è
possibile solo con la forza politica del fascismo. A Firenze, di fronte a
un uditorio politicamente composito, Gentile sostenne la possibilità che
ognuno intendesse il fascismo a suo modo: « L’unità risulta da questa
molte- plicità, da questa infinità di temperamenti e psicologie e
sistemi di cultura e concezioni della vita. La forza del fascismo deriva
da questa ricchissima inesauribile fonte d’ispirazioni e connessi bisogni
ed energie spirituali. Ed esso si essiccherebbe e inaridirebbe nella
monotonia mec- canica delle formule vuote se potesse definirsi e
restringersi negli articoli di un credo determinato!”. Il giorno dopo,
parlando all’Università fascista di Bologna di pros- sima inaugurazione,
ribadî il suo concetto di libertà che si attua nello Stato come negazione
dell’individualismo egoi- stico, e di fascismo come « ultima e più matura
forma del nuovo concetto della libertà, figlia. Un appello ai
liberali e uno ai fascisti, per far tutti partecipi di un unico processo
storico sfociante nello Stato etico, ritenuto « la forma suprema e la unità
cosciente e possente di tutte le forze nazionali nel loro maggiore sviluppo
successivo », che « deve rampollare dalla stessa realtà e perciò Gentile
ha contraddetto a Roma ciò che aveva detto a Bologna, perché, affrontando
qui un grande problema culturale, quello della Enciclopedia, ha dichiarato che
intende di affratellare, formigginianamente, nella grande impresa tutti i
competenti senza distinzione di scuole e di partiti » (« L'Italia che
scrive ». Gentile, Scritti pedagogici, La
riforma della scuola in Italia, cit. Che cosa è il fascismo, in Che
cosa è il fascismo, Libertà e liberalismo, aderirvi; e da questa aderenza
derivare la sua forza e la sua potenza » ! sebbene criticato da Treccani
per le pubbliche dichiarazioni di fascismo che avrebbero potuto
pregiu- dicare l’impresa cui si erano accinti, Gentile
svolgeva anche se in maniera più scoperta riguardo al fine — le
stesse idee poste a base dell’Enciclopedia. Cosî nel discorso di chiusura
del convegno per le istituzioni fasciste di cultura — col quale Croce
motivò il suo rifiuto di collaborare all’Enciclopedia, Gentile obiettò a PANUNZIO
che « il Partito fascista ha un suo vasto contenuto ideale, senza bisogno
di definire la sua dottrina e di fissare il suo sillabo », e sostenne la
necessità di immettere il fascismo (critico degli intellettuali che
stanno alla finestra) nella filosofia, senza bisogno di promuovere una « filosofia
del fascismo, poiché « il nostro partito non è SETTA, né chiesuola. Il nostro
partito vuol essere ... il popolo italiano; nell’attesa, tanta
parte del passato doveva essere rispettata e utilizzata:
oggi nelle università dello Stato insegnano tanti vecchi uomini, a cui
molto la nazione deve: tanti, che formarono la loro mente e l’animo loro
quando nel cuore degl’italiani, degl’italiani giovani e della guerra, non
s'era accesa la scintilla della nuova fede; e non c’intendono, e noi guardiamo
ad essi con sospetto, ed essi verso di noi con un sorriso sulle labbra,
con l’anima chiusa. Ebbene, questa è l’università italiana in gran parte:
questa è la vecchia Italia, che noi non possiamo cancellare; che anzi
dobbiamo pur rispettare 1°. Che cosa è il fascismo. Treccani a Tumminelli.
Non condivido il Suo ottimismo. La macchina v4 scossa affinché funzioni
rapidamente. Vengo a sapere che non una delle lettere ai collaboratori è
partita. Ma vi è di più: Ojetti ha scritto più volte a Gentile chiedendo
schiarimenti e non ha mai avuto nemmeno un rigo di risposta. Ma che razza
di modo di fare è questo? ... Le devo dire il vero che a me spiacciono le
conferenze che Gentile va a tenere sul fascismo nelle varie città:
l'enciclopedia non è, e non deve essere, di marca fascista... Mi
sbaglierò, ma con Gentile non incominciamo bene: egli non si rende conto
dell’enorme sacrificio e rischio mio e prende la cosa alla leggera.
Dovrebbe aver capito, indipendentemente dal contratto che ho firmato, che io
non mi sono cacciato nell’im- presa per il gusto di buttar via quattrini
» (ACS, Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO). Il
fascismo nella cultura, in Che cosa è il fascismo. Nessuna concessione alla «
barbarie » dell’estremismo fascista. Anche il Manifesto degli
intellettuali del fasci- smo, frutto di quel convegno, ebbe valore
di documento politico anche perché fu, da parte di Gentile, « un ennesimo
tentativo di aggancio all’idealismo, a tutto l’idealismo », compreso
quello crociano, come ha osservato Colapietra !”, e presentò il fascismo
come riconsacrazione delle tradizioni e degli istituti che sono la costanza
della civiltà, nel flusso e nella perennità delle tradizioni. Anche in seguito
Gentile riaffermerà la sua concezione dei rapporti fascismo-cultura. Nel DISCORSO
TENUTO IN CAMPIDOGLIO PER L’INAUGURAZIONE DELL’ISTITUTO NAZIONALE FASCISTA DI
CULTURA, in cui ricorda ai liberali la ben più drastica opera
riformatrice attuata dal liberale Sanctis a Napoli (documentata da Russo),
riprese e sviluppò motivi già affermati
'”, invitando a non discono- scere « una certa cultura
strumentale, a norma della quale due più due farà sempre quattro, sia che
si sommino carezze sia che si sommino bastonate. E di questa cultura
stru- mentale, che è mero sapere, organizzazione di cognizioni bene
accertate, critica, erudizione, dottrina, non può essere il fascista a
volersi disfare!, Concetti ripetuti. Papa, Storia di due manifesti. Il fascismo
e la cultura italiana, Milano, Feltrinelli. Possiamo spogliarci di certe
passioni della prima ora, e ricono- scere pertanto il valore nazionale
cosi di certe forme di cultura, che a noi riescono false in quanto
insufficienti, come di tanti uomini che non ebbero occhi né cuore per
vedere in alto il segno a cui avrebbero dovuto guardare e trarre gl’italiani,
ma lavorarono pur seriamente, one- stamente, a recare in campo quelle
pietre, con cui la giovane Italia ha cominciato a costruire il suo grande
edifizio. Noi a quelle pietre, i non dirlo?, non possiamo, non vogliamo
rinunziare »; ma il senso di questa apertura che Gentile raccomandava era
chiarito più avanti. Transigenza che diverrà ogni giorno più facile, via via
che, adempiuto il secondo termine, apparirà sempre più opportuno e più
giusto il primo termine del grande monito romano: parcere subiectis et
debellare superbos. Poiché non è lontano, se io non m’inganno, il giorno,
in cui tutta l’Italia sarà fascista (Discorso inaugurale dell'Istituto
Nazionale Fascista di cultura, in Fascismo e cultura. al
Senato a proposito dell’Accademia d’Italia nata a « promuovere e
coordinare il movimento intellettuale ita- liano » (nessuna dittatura,
assicurò!', come fa MUSSOLINI quando l'ACCADEMIA D’ITALIA iniziò i suoi
lavori !); ad essi Gentile rimarrà sempre fedele, indicando come forza
del fascismo fosse la sua capacità di assorbire e superare la tradizione
!5: lo stesso criterio seguito dalla Commissione dei Diciotto per lo studio
delle riforme costituzionali, da lui presieduta !‘. Rispettare, utilizzare
e organizzare intellettuali di vario orientamento politico e culturale
era più difficile che inquadrare nell’apparato amministrativo dello Stato
fascista la burocrazia di estrazione liberale; ma era opera [Per
l'Accademia d'Italia Mussolini indicava fra i filosofi « uomini di origini, di
temperamenti, di scuole diverse; uomini rappresentativi di un dato
momento sono al lato di uomini rappresentativi di un momento successivo,
o attuale, o futuro. L’Accademia è necessariamente eclettica, perché non
può essere mono- corde... Nell’Accademia è l’Italia con tutte le
tradizioni del suo passato, le certezze del suo presente, le
anticipazioni del suo avvenire (in Mussolini, Scritti e discorsi, Milano, Hoepli.
Scriveva che il Regime si viene pacificamente guadagnando gli animi nelle
scuole, nelle università, nelle accademie, e in ogni libero campo di
attività letteraria od artistica. Cresce insieme spon- taneamente
l’interesse di esso per ogni forma di cultura nazionale, e si fa sempre
più profonda la sua consapevolezza, che la sua forza, che è la forza e la
potenza del popolo italiano, non si può consolidare senza l’ade- sione e
la libera collaborazione delle più rappresentative intelligenze e di tutte
le forze morali del Paese » (Il fascismo e gli intellettuali, ora in
Origini e dottrina del fascismo). Afferma che il fascismo «è progresso in
quanto è restaurazione: consolidamento delle basi per edificarvi su un
solido edifizio, alto, nella luce. Ogni origi- nalità senza tradizione,
come ogni spontaneità senza disciplina, è velleità sterile, non VOLONTÀ
VIRILE (Risorgimento e fascismo, ora in Memorie To e problemi della
filosofia e della vita, Firenze, Sansoni. Nella relazione presentata da Gentile
a Mussolini, si affermava che la commissione non ha pensato un solo
momento che fosse da sovvertire lo Stato italiano sorto dalla rivoluzione
del Risor- gimento. E cosî ha creduto di rendersi fedele interprete dello
spirito del fascismo, nato a costruire, non a distruggere » (Relazioni e
proposte della Commissione per lo studio delle riforme costituzionali,
Firenze, Le Monnier. Sul significato non eversore delle proposte della
Commissione dei Diciotto, cfr. Aquarone, L'organizzazione dello Stato totalitario,
Torino, Einaudi. necessaria, non esistendo una « cultura del fascismo ». Né
Volpe alla Scuola di storia moderna e contemporanea, né Gentile
all’Enciclopedia, quindi, chiesero tessere di partito. Dopo la
costituzione dell’Istituto Treccani, la prefazione all’
Enciclopedia — in cui è evidente la mano di Gentile — poteva già vantare
i risultati raggiunti, smentendo le previsioni degli oppositori: Il clima
che ha reso possibile un’opera come questa, alla quale non parve in
passato possibile in Italia pensare, è il nuovo spirito esploso con
l'avvento del Fascismo, che scosse idee e sentimenti e accese una
passione inestinguibile di rinnovamento e di affermazione della potenza
dell’Italia nel mondo... Il primo segno di questa crisi gagliarda di
rinnovamento fu la radicale riforma della scuola compiuta; alla quale
seguirono molte altre riforme orga- niche, onde si venne trasformando la
struttura dello Stato e si gettarono le basi di una nuova vita nazionale
demografica, economica, morale e religiosa. Mai, per nessuna opera, in
Italia si unirono come per l’Enciclopedia Italiana migliaia di scrittori
a collaborare con un disegno prestabilito, sotto una costante disciplina
E il fatto che tanti e si può quasi dire tutti gli studiosi d’ogni
scuola e indirizzo, letterati, scienziati ed artisti, si siano per la
prima volta accordati non in un’idea da vagheggiare, ma in un lavoro da
eseguire, e che a tutti chiedeva disinteresse e sacrificio, per lo meno
d’altri lavori di maggior soddisfazione personale, questa grande morale
concordia degli scrittori italiani è il primo e il non meno importante
frutto che in vantaggio dell’alta educazione nazionale l’Enciclopedia
potesse produrre. Affinché fosse possibile tale concordia fin da
principio la Direzione dell’Enciclopedia riconobbe l’opportunità di un
ragionevole eclettismo e di una scrupolosa imparzialità. Un’opera non
di rapida consultazione e volgarizzamento, come il LAROUSSE, ma a
carattere monografico come LA BRITANNICA, non avrebbe potuto avere carattere
impersonale, come vuole Treccani: l’ampiezza di una voce
monografica Formiggini osserva che l’E.I. riusce la più antifascista
delle enciclopedie fasciste, e ciò non per mancanza di buona volontà di
render servizio al partito che gli ha dato ricchezze ed onori, ma perché
Gentile si è accorto che se avesse voluto fare una Enciclopedia fascista
avrebbe trovato come unico collaboratore volontario (e lo ammettiamo per
pura e generosa ipotesi) l’on. Farinacci (« L'Italia che scrive » implica
una presa di posizione scientifica da parte di ogni autore. Ma la
molteplicità e diversità di giudizi che ne derivava avrebbe dovuto essere
ridotta a unità: l’unità che è il principio vitale di ogni libro vivo,
pare esclusa per definizione da un'enciclopedia, che, per essere cosa
seria, è di necessità opera a molte mani, e ognuno vi mette il suo
pensiero, il suo stile, la sua anima. Ed è bene che cosî sia; e noi, per
parte nostra, ci siamo studiati di fare che ognuno, entro certi
limiti, restasse, come scrittore dell’Enciclopedia, lo scrittore che egli
era. Il che per altro non abbiamo creduto che fosse per produrre
l’effetto d’un coro selvaggio di voci stonate e discordi. Non c’è
solamente l’anima del singolo. Nello stesso individuo c’è anche
l’anima della sua famiglia, del suo popolo, del suo tempo; c’è il
punto di vista e l'interesse spirituale che è suo come dei
connazio- nali e dei coetanei che vivono la stessa vita e si sono
formati nello stesso mondo spirituale. Da quest’anima più vasta, non
meno reale dell’altra che varia da individuo a individuo, scaturisce
l’unità di una scuola ben organizzata e diretta, e scaturisce l’unità di
un’enciclopedia ben disegnata e condotta. Un’enciclopedia è infatti
l’espressione del pensiero di un popolo e di un’epoca; e propriamente
degli elementi positivi, vitali ed attivi di questo pensiero. Il quale
evidentemente non consta della somma di tutte le idee di tutti
gl’individui, dotti e indotti, consapevoli e ignari degl’ideali della
nazione a cui appartengono e a cui sono indissolubilmente congiunti; ma
si raccoglie in sistema dalle menti che dirigono e perciò rappresentano
tutti. E il loro pensiero, presso ogni popolo, sbocca e si fonde nella
coscienza nazionale, e in ogni periodo storico ha una forma e certi
caratteri, ha un’individualità, in cui mille e mille voci si adunano in
un grande concento. Concordia discors [Concordia non facilmente raggiungibile
anche nel nuovo clima del fascismo, come ricorderà Gentile in termini
meno idillici! Mezzo per attuarla, per ridurre a unità argomenti
E.I. Ricorderà « prime difficoltà e diffidenze, ostilità coperte e palesi
» (Tribolazioni di un enciclopedista, cit.), e battaglie concluse con
la vittoria sempre della Direzione, ossia dell’Enciclopedia, e cioè di
tutti. Ma, evidentemente, vittoria difficile» (Ancora delle tribolazioni
di un enciclopedista. Come si taglia e si cuce il libro per tutti, «Il
Corriere della sera »). Pincherle osserva: differenze di opinioni e
di scuola, che spesso esplodono in battute polemiche, ora più ora meno
abilmente dissimulate » (L’Enciclopedia italiana, in « La Cul- tura»; e
Bosco, redattore capo dell’E.I., ricorda. Il primo compito fu quello
della raccolta delle voci: diversi e autori di vario orientamento
filosofico, e il criterio storico: affinché tale discorde concordia si
stabilisca e conservi, occorre una regola che tutti gli scrittori capaci
di contribuirvi mantenga nei limiti ciascuno del proprio carattere, non
pure per la materia che coltivano, ma anche per l’indirizzo mentale con
cui la coltivano, in guisa che tutti gli aspetti della cultura vengano a
comporsi armonicamente in un quadro coerente, com'è nelle sue note
principali il pensiero di un popolo e di un’epoca... Nessuna intolleranza,
nessuna ombrost angustia di mente. A ogni avvenimento, a ogni dottrina, a
ogni persona il suo merito e il posto in cui ciascuno per sua virtà
s'è collocato. Perciò non dottrine esclusive, come sono per lo pi
tutte le dottrine nelle menti di singoli; ma l’ordine piuttosto in cui
le varie dottrine sono possibili, malgrado le loro divergenze,
ciascuna con i suoi motivi, La stessa grande imparzialità della storia,
in cui non c'è nulla che non abbia la sua ragion d’essere. La
storia, in verità, suggerisce il metodo della trattazione che si conviene
a una enciclopedia: la storia con la sua sovrana potenza conciliatrice
delle più contrastanti esigenze dello spirito e degli aspetti più diversi
del vero. Ogni concetto o istituto, ogni religione o dottrina, ogni mito o
teoria, ogni popolo o schiatta esiste e vive nella sua storia, con la sua
origine e col suo sviluppo. E nella storia si spezza ogni dommatismo. II
metodo pertanto dell’Enciclopedia Italiana è il più largo metodo storico, cosi
in ogni singolo articolo come nel sistema generale. Grazie a questo
metodo, la Direzione ha ambito di raccogliere in- torno a sé, assegnando
a ciascuno la parte sua, gli scrittori della più varia mentalità.] compito
dei più delicati, perché era in questa fase che si potevano concretare le
fondamenta dell’edificio, e che si doveva decidere il carattere
dell’Enciclopedia: dizionario di cose, o raccolta di monografie, o
qualche cosa di mezzo? Non sono infatti mancate le divergenze: chi
consultasse oggi i primi elenchi delle voci proposte da ognuno dei
direttori di sezione e, poi stampati in forma di bozze, diffusi tra gli
studiosi per raccogliere suggerimenti, troverebbe che molto è stato
cambiato Già nelle Avvertenze ai filosofi collaboratori, (Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento), si diceva:
«I - Nella compilazione degli articoli, anche se teorici e dottrinali
filosofici, si avrà cura di attenersi a un’esposizione storica di quello
che è stato pensato o si pensa dagli scrittori della materia meritevoli
di considerazione; evitando al possibile ogni forma subbiettiva che dia
rilievo alla persona di chi scrive e adoperando uno stile semplice e sobrio.
ISono dall’Enciclopedia BANDITE LE POLEMICHE. Ogni discussione vi dev'essere
mantenuta nei termini di un dibattito di valori puramente ideali, con la
cura più scrupolosa di mettere in luce anche le ragioni delle dottrine,
che lo scrittore stimi più deboli. Il metodo seguito nella trattazione
dell’Enciclopedia è quello storico, cosî in ogni singolo articolo come
nel sistema generale. I filosofi collaboratori, aggiungeva Gentile, operando
anch’essi nella cultura dell’epoca, hanno nella loro stessa formazione
spirituale la misura del giudizio »; ma avrebbero dovuto elaborare gli
elementi « vivi e vitali » della cultura propria della « classe elevata e
dirigente, la quale s'incontra e s’intende, in un dato tempo, sullo
stesso terreno, in una comune vita intellettuale e morale » !’.
Enciclopedia, quindi, figlia del proprio tempo !?, che come tale — avverte
Gentile — avrebbe rispecchiato i
progressi della scienza e i cambiamenti storici avvenuti nel corso
della sua realizzazione!!. L’asserita imparzialità dell’opera — corrispondente
ad uno stretto legame con « un dato tempo » — comportava, accanto al
clima del fascismo, il ricorso all’opera di intellettuali di varia
estrazione culturale e, anche, di diverso orientamento politico: una
sapiente azione di assorbimento, testimoniata dall’ampia scelta dei
direttori di sezione e dei collaboratori, che spingerà Salvemini —
incapace di comprendere i motivi se non addirittura le manifestazioni della
politica articolata del regime — a giudicare l’Enciclopedia « quasi
esclusivamente opera di uomini ap- partenenti alla generazione maturata
prima che il fascismo giungesse al potere », di cui Mussolini —
aggiungeva semplicisticamente — si era attribuita la maggior parte
dei meriti » avverte l'opuscolo di propaganda Enciclopedia Italiana pubblicata
sotto l’alto patronato di S. M. il Re d’Italia Imperatore d'Etiopia, Roma.
Già nel vol. I CALOGERO osserva il carattere essenzialmente storicistico delle
voci giuridiche, economiche e politiche (Nuovi studi di diritto, economia
e politica). L’Enciclopedia sarà il monumento della cultura dell’Italia di
Mussolini, afferma Treccani (Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione
compimento; e l'opuscolo di propaganda sopra citato. L’Enciclopedia è al tempo
stesso documento fedele del periodo storico in cui è nata e contributo
certo non ultimo alla formazione di quella cultura intensa, vitale,
capace di espandersi e d’imporsi che dovrà essere la cultura italiana di
domani. E.I., Appendice, ma già apparsa: cfr. Bellezza,
Bibliografia. L’Enciclopedia Italiana, che è senza dubbio superiore a
tutte le [ L’Enciclopedia italiana I collaboratori e le
proteste del fascismo estremista Il consiglio direttivo
dell’Enciclopedia costituiva una specie di fronte nazionale, unendo, sotto
la giunta di direzione composta da Treccani, Gentile e Tumminelli, il
primo ideatore dell’opera, Martini; glorie (diversamente fortunate) della
grande guerra come Cadorna e Thaon di REVEL — quest’ultimo ministro della
Marina, e STEFANI, ministro della Finanze; rappresentanti della
tradizione liberale lontani dal fascismo quali Einaudi e Ruffini — che
non parteciparono più all'opera —, o cattolici come Sanctis; e, ancora,
Bonfante, Ojetti e Salata, accanto a
Grassi, Longhi, Marchiafava !. Nel comitato tecnico — composto dai
direttori delle 48 sezioni e già formato
— vi erano i maggiori rappresentanti della cultura italiana, da
Sanctis (Antichità classiche) a Pettazzoni (Storia delle enciclopedie
pubblicate dall’inizio di questo secolo, è opera di studiosi italiani la
cui formazione aveva avuto luogo già prima dell’avvento di Mussolini.
Poiché essa cominciò ad essere pubblicata, Mussolini se ne è attribuita la
maggior parte dei meriti. In realtà, essa fu progettata quando, secondo la
leggenda fascista, l’Italia era “alle prese col bolscevismo”. È il più
gran monumento che si sia potuto erigere durante il regime fascista alle
due generazioni di uomini che rico- struirono la cultura italiana durante
il regime prefascista » (G. Salvemini, Il futuro degli intellettuali in
Italia, Scritti sul fascismo, Milano, Feltrinelli, Treccani, Enciclopedia
Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, Einaudi (che era stato
consigliere dell’Istituto di Formiggini) appare nel Manifesto e nel Primo
elenco di collaboratori; Ruffini solo in quest’ultimo, anche come direttore,
con Santi Romano, della sezione « Diritto pubblico ». Sulla
partecipazione puramente decorativa di Martini cfr. le lettere di Gentile
a lui, (BNF, Fondo Martini); per la
diffidenza sua e dei suoi amici verso l’opera — nella cui preparazione
non furono ascoltati —, la lettera di Menghini e tutte quelle di Donati, che giudicava Gentile spirito «
dogmatico » e « profonda- mente «ztiscientifico », dubitando che «la scienza
italiana possa subor- dinarsi a quel vaniloquio sciagurato ch’egli chiama
la sua filosofia, ma riconoscendo che l’idealismo è tanto “attualista” da
trovar milioni che i positivisti non sapevano mettere assieme » religioni), da
Federico Enriques (Matematica) a Nicola Pende (Medicina), da Carlo
Nallino (Letterature e civiltà orientali) a Santi Romano (Diritto
pubblico) a Gioacchino Volpe (Storia medioevale e moderna). Ad essi era
deman- data la scelta dei collaboratori e delle voci ! La consultazione
dei collaboratori previsti iniziò subito dopo la costituzione
dell’Istituto; nonostante la sua ampiezza, Treccani poteva già annunciare
che « gli uomini migliori che l’Italia vanta in tutti i campi del
sapere hanno aderito con entusiasmo; i collaboratori sono già circa 1200
» !. In realtà, i rifiuti che possiamo documentare — ma significativi per
le motivazioni poli- tiche — sono solo quelli di Croce e Silva. Il primo,
interpellato, tramite Alessandro Casati, da Volpe — la cui fun- zione
all’interno dell’Erciclopedia fu all’inizio probabilmente più vasta di quella
di direttore di una sezione storica, in linea con la funzione di primo
piano da lui svolta, accanto a Gentile, nell’organizzazione della cultura
durante il fascismo —, nella risposta preannunciò quel distacco da
Gentile e dal regime che un mese dopo sarà reso definitivo dalla protesta
contro il manifesto degli intellettuali fascisti: «come volete — scrive a
Volpe — che io collabori a una Enciclopedia diretta da chi ha pur
testé, a Bologna, osato proclamare che la cultura deve essere
fascista? » ! Motivi politici furone alla base anche del [Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento, e Primo
elenco, Tutto il lavoro di preparazione (scelta dei collaboratori e
formazione dello schedario) terminò. Treccani, Racelonone Italiana
Treccani. Come e da chi è stata fatta). Su una riunione di alcuni
direttori di sezione per impostare il lavoro, cfr. la testimonianza di
Ojetti (I taccuini, Gentile non conclude
mai, chiede che i direttori si accordino, Per i successivi rapporti di
Ojetti con la Società Treves-Treccani-Tumminelli, editrice di « Pègaso »
e Dedalo, cfr. ACS, Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO.
Treccani, Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione com- Dincato. Croce,
Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli studi storici, E a Casati,
Dopo il discorso di Gentile a Bologna, credo che mi avrai dato ragione
nel rifiuto che opposi a partecipare all’Enciclopedia. Come sarei potuto
stare alla dipen- rifiuto di Silva che, dopo aver inizialmente
accettato di collaborare — cinque giorni dopo l’arresto del maestro SALVEMINI
— scrisse a Gentile una lettera che rappresenta, come per l’autore che
solo un anno dopo accetterà la redazione di voci importanti
dell’Enciclopedia, le illusioni, le incertezze, le conversioni di
tanti. Voglia consentirmi di ritirarmi dal gruppo dei
collaboratori dell’ Enciclopedia. Nell’appello che Ella rivolse ai
filosofi, quando la grande impresa fu decisa, suonava alta e nobile la
parola della conciliazione degli spiriti nel campo degli studi e della
scienza. E tale parola, che acquistava anche maggior valore perché
pronun- ciata da Lei, mi persuase. Ma ora, purtroppo, la mia
fiducia nella possibilità di tutte le forze in una impresa di scienza, è
molto scossa per i fatti che stanno accadendo. Vedo arrestato SALVEMINI,
il che significa l’inizio di persecuzioni ai filosofi non fascisti. Vedo
presentata una legge per la dispensa dei funzionari, che mira, come hanno
rilevato l’on. SALANDRA e l’on. VOLPE, a colpire la libertà di pensiero e
l’integrità delle coscienze, anche in quel campo che Ella, nel Suo
memorabile discorso inaugurale, voleva rimanesse libero a tutte le
opi- nioni: il campo dell’insegnamento superiore. In tali
condizioni, noi che da quella legge verremo colpiti, come possiamo
rimanere a collaborare a un’opera di scienza, come possiamo continuare a
credere che in tale opera le divergenze di pensiero e di partito verranno
superate? Ecco perché le chiedo di rinunziare alla mia modesta
opera. Son certo che Ella apprezzerà al giusto valore questo mio
atto...1? GENTILE dovette apprezzare piuttosto le pronte e numerose
adesioni che assicurarono all'impresa l’appoggio dei principali
rappresentanti della cultura italiana. Il Prizzo elenco di collaboratori
dell’Enciclopedia Italiana, pubblicato, ne annoverava 1.410, quasi la
metà dei 3.266 che daranno il loro contributo a tutta l’opera ! Non
appaiono ancora alcuni dei denza di un direttore, che ha quelle
idee sulla cultura? » (Epistolario, Napoli, Istituto italiano per gli
studi storici, Archivio dell'Istituto dell’Enciclopedia Italiana, Roma [d'ora
in avanti AEI], Lettere, Silva. Su Silva storico e sui suoi rapporti col
fasci- smo cfr. il ritratto che ne ha fatto nel 1954 Volpe (Storici e
maestri, Firenze, Sansoni, La data di pubblicazione del Prizzo elenco
(non. indicata) si deduce dalle polemiche giornalistiche che suscitò,
futuri pilastri dell’Erciclopedia, come Pincherle, Pagliaro, Enriques. Si
leggono già, invece, i nomi di Aliotta e Carlini, Calò e Codignola,
o di Caggese, Ciasca, Chabod, Banfi, Calamandrei, Mondolfo, Allmayer,
Augusto Guzzo, e ancora tanti, da JEMOLO a Russo, da Cortese a Schipa, oltre a Venturi
e Rosa, e Gemelli. Il Primo elenco registra anche il nome di
quanti, dopo essere stati invitati e aver accettato, non
collaboreranno all'opera. La maggioranza di essi è costituita da persone
culturalmente poco rappresentative. Accanto a professori di scuola media
superiore o scarsamente noti professori universitari, troviamo militari,
professionisti, o non qualificati cultori della filosofia. La loro cospicua
scomparsa ( sui 1.410 annunciati) dall’elenco finale degli effettivi filosofi collaboratori,
per essere sostituiti da studiosi pit qualificati, potrebbe indicare, da
un lato, un aumento reale dei settori accademico e di ricerca,
dall’altro, una maggiore progres- siva adesione da parte degli esponenti
dell’alta cultura, dapprima diffidenti verso l’iniziativa
gentiliana. Vi sono tuttavia, fra i collaboratori previsti dal
Primzo elenco che poi non parteciperanno all’opera, anche perso-
naggi la cui iniziale accettazione val la pena di essere sotto-
Caggese scriveva a Volpe, che lo aveva invitato a collaborare. Niente
pregiudiziali politiche, anche perché io sono completamente fuori di ogni
attività politica, ben sicuro come sono che è nostro primo dovere
d’italiani non complicare in alcun modo una situa- zione non lieta. Vivo
nella solitudine pivi assoluta, lavoro molto e, in confidenza, non potrei
in alcun modo partecipare alle vicende politiche perché sono troppo
indulgente e, ahimè!, ancor troppo sentimentale e bonario. Passare con i
forti non posso perché non è lecito a noi, uomini di studio, dare lo
spettacolo di voler profittare comunque; esaltare i cosi detti deboli non
posso, perché moralmente sono proprio essi quelli che nell’immediato
dopo-guerra hanno scatenata la guerra civile. Non mi resta che fare il
buon cittadino che rispetta tutte le leggi del suo paese, e augurare che
presto ritornino i saturnia regna!, e che i deputati si somiglino. Dunque,
collaborerò volentieri, anche perché non vorrei dire di no proprio a te. AEI,
Lettere, Caggese. L'Enciclopedia italiana lineata: non tanto le
personalità politiche chiamate a dar lustro all’impresa, la cui adesione
è una riprova — assieme alla presenza di uomini poco rappresentativi nel
campo scientifico — del significato non strettamente culturale che
l’Enciclopedia voleva avere !, quanto liberali come Casati e Malagodi, o uomini
come Baratono, Berenson, Caramella, Limentani. Pochissimi fin d’ora
gli stranieri, conforme al criterio ispiratore dell’opera. La
pubblicazione del Primo elenco di collaboratori provoca le proteste del
fascismo estremista. Su Il Tevere da lui diretto Interlandi, dopo aver approvato le
dichiarazioni di imparzialità e apoliticità dell’Enciclopedia,
affermava: Prima che l'Istituto Treccani, superiore a tutti i partiti
politici s'è dichiarato il Fascismo, che è superiore allo stesso partito
che fascista si intitola; appunto perché il partito fascista ha una
fun- zione tattica contingente e mutevole, laddove il Fascismo è
quella tale coscienza nazionale di cui più su si parla. Cosî stando le
cose, l'onorevole Consiglio direttivo dell’Istituto ha fatto bene ad
espellere i partiti politici dall’Enciclopedia, ma benissimo avrebbe
fatto ad accogliervi il Fascismo. È stato accolto il Fascismo, in
un’opera che vuole essere il monumento culturale dell’età nostra e. alla
quale attingeranno per i loro bisogni spirituali molte e molte
genera- zioni di italiani e di stranieri?; vi erano ugualmente
rappresentati, continuava Interlandi, fascismo e antifascismo,
impersonato quest’ultimo da almeno 90 firmatari del Manifesto degli
intellettuali antifascisti, come Einaudi, o Caramella in procinto
di essere allontanato dalla scuola « per le sue prodezze al
congresso dei filosofi: era necessario fare a meno di simili
collaboratori, per evitare un’enciclopedia imparziale in cui avrà posto
l’esaltazione delle categorie democratiche e di quelle fasciste! Belluzzo,
Boselli, Ciccotti, Giuliano, Giuriati, Loria, Mosca, Salandra, Stringher,
ecc. Considerazioni sopra un elenco di enciclopedici, in «Il Tevere
», (editoriale). L’articolo
di Interlandi, parzialmente ripreso da La Tribuna — che da poco si era
fusa con « L’Idea Nazionale » ed era passata sotto la direzione del
nazionalista Forges Davanzati, dette modo a Gentile di precisare le
sue idee sul rapporto cultura-fascismo: in una lettera aperta inviata al
direttore de « La Tribuna » affermò che, su questo problema, il Pnf aveva
« ormai direttive precise, come dimostrava l’approvazione, da parte
del duce e de «L’Idea Nazionale, del discorso gentiliano tenuto per
l’inaugurazione dell’Istituto nazionale fascista di cultura. Il fascismo,
obiet- tava a Interlandi, non è venuto a distruggere, ma a edificare.
Intende bensî ani- mare tutta la vita nazionale di un’ardente passione
politica, che è passione morale e religiosa di creazione di superiori
valori; ma non tollera, non può tollerare che questa passione abbia a
disperdersi e inaridire in vuote formule superstiziose, e in gare ein
cacce di persone od esibizioni di tessere tante volte, ahimé, turpemente
abu- sate e sfruttate! Quasi che l’Italia fascista da noi vagheggiata
potesse essere quella che si avrebbe il giorno in cui i famosi quaranta
milioni d’ogni sesso od età fossero iscritti tutti nel Partito. Gli
uomini da adoperare », quindi, dovevano essere « quelli che per
attitudini e preparazione potranno più utilmente aiutarci nella
realizzazione della nostra idea. Cosî ha fatto sempre MUSSOLINI con la
sua sicura volontà realizzatrice. E chi fa della politica dove c’è
da risolvere un problema tecnico, non fa politica, ma spropositi;
io — continuava Gentile facendosi forte della sua posizione
politica — mi riterrei indegno della tessera che il Partito Fascista mi
offri [Polemizzando con Forges Davanzati critico del culturalismo (cfr.
il suo Fascismo e cultura, Firenze, Bemporad), Vita nova — la rivista di
Arpinati molto vicina a Gentile — affermava le carenze del nazionalismo
in campo culturale, mentre « per fare della cultura bisogna sul serio
mettersi al lavoro, e quindi in vece di parlare di essa da un punto di
vista strettamente politico, cosa più saggia sarebbe indicare i mezzi
valevoli per promuovere efficacemente un vero rinnovamento cul- turale »,
perché la cultura « deve essere la più grande forza del nostro regime »
(Rusticus [SAITTA], Politica e cultura, in « Vita nova »). quando ravvisò in me
uno dei precursori e un fascista che faceva sempre sul serio, se
scoprissi in me una mentalità cosi gretta da non distinguere la politica
dalla tecnica in un’opera che riuscirà un grande esame sostenuto dal
pensiero e dal carattere degl’ Italiani innanzi a tutte le nazioni
civili, la maggior parte delle quali ci precedette in questo arringo: se
per gusto inopportuno di chiudermi nella rocca forte dei miei camerati,
trascurassi di adoperare tutti gli elementi e tutte le forze che l’Italia
può fornirmi alla costruzione di questo gran monumento nazionale Questo,
per me, è fasci- smo. È quel fascismo che può affermare con giusto
orgoglio: ic non sono partito, ma sono l’Italia, È il fascismo che può e
deve chiamare a raccolta per ogni impresa nazionale tutti
gl’Italiani: anche quelli dell’anzizzazifesto. I quali, se risponderanno
all’appello, non verranno (stia pur tranquillo Interlandi) per fare
dell’antifascismo: verranno, almeno nell’Enciclopedia, a portare il
contributo della loro competenza: a far della matematica o della chimica
o della fisica, e insomma della scienza [La distinzione gentiliana di
scienza e politica non con- vinse Croce !*, né, per ragioni opposte,
Interlandi, il quale replicando a Gentile affermò che «in nome della
com- petenza [...] oggi si affida a molti, a troppi competenti
antifascisti, la compilazione d’un’opera che a parer nostro non dovrà
essere solamente un monumento di tecnica, ma L’Enciclopedia
italiana e il fascismo, ora in Fascismo e cultura. Croce scrive a Casati. Hai
visto come Gentile tratta i filosofi collaboratori non fascisti? Hai
visto che li considera apportatori di pietre al monumento culturale del
fascismo? Io previdi chiaramente quello che sarebbe avvenuto, quando
rifiutai l’adesione, che tu mi chiedevi, all’Enciclopedia. Epistolario. E
in una recensione critica di un articolo di Ruiz su L'individuo e
lo Stato, osservò come, anche chi, in questi tempi, è andato incautamente
predicando che scienza e politica sono tutt'uno e che la cultura
dev'essere asservita a un partito o a una frazione, debba in fretta e
furia, per salvare le proprie intraprese, tentar di ristabilire la
differenza, come si è visto nei giorni scorsi, nelle discussioni levatesi
a proposito di una certa enciclopedia. La Critica. In risposta a
Croce, « Vita nova » difese tutta la concezione di Gentile sui rapporti
scienza-politica, concludendo con l’identificazione gentiliana e fascista
del partito con lo stato. Si dice che l’intento dell’enciclopedia
italiana è politico perché la filosofia, lî, vuol riuscire a un monumento
nazionale, e il nazionalismo del Gentile è il fascismo? Ebbene Croce,
lui, ch’è cosî fino nelle distinzioni quando gli fanno buon giuoco, sa
benissimo che questo fascismo non è più un partito o una fazione. Egli sa
benissimo, dunque, che è del tutto erroneo affermare che il Gentile sia
andato predicando che la filosofia debba essere asservita al fascismo inteso in
quel senso » (Urbanus, Piccolezze di un grand’uomo, in « Vita nova
». un monumento del nostro tempo che, se non erriamo, è tempo
fascista Se l’“Enciclopedia” i fascisti
non la sanno fare, perché non sono “competenti”, ebbene, non la
facciano; ne faremo a meno. Non perirà per questo né il Fascismo, né
l’Italia Affermazione decisamente contestata da La fiera letteraria che —
pur assicurando sulla scarsa libertà di movimento dei 90 firmatari
dell’antimanifesto, sottoposti come tutti i collaboratori al controllo dei
direttori di sezione, e quindi dei « loro capi gerarchici » Treccani e
Gentile, che « rispondono del loro operato dinanzi alla Nazione e al
mondo » — difese la posizione gentiliana e la necessità di una vasta
politica culturale da parte del fascismo: nessun Governo
come l’attuale ha fatto dei problemi della cultura nazionale oggetto di
tanti progetti e di cosî evidenti preoccupazioni. Una cosa è dunque
polemizzare e altra cosa è agire. Cosi una cosa è criticare l’operato
degli Enciclopedisti, e altra cosa è fare una Enciclopedia. Da questa
specie di dilemma non si esce se non dichiarando, come qualcuno ha fatto,
che qualora l’Enciclopediu Italiana non possa farsi senza il concorso dei
novanta reprobi, è meglio che non si faccia. Ma non può sussistere una
politica intel- lettuale o culturale di un grande partito fondata sopra
simili para- dossi 1%, La polemica tra Interlandi e Gentile,
tra il fascismo « rivoluzionario » e quello « tradizionalista, si
concluse a favore di quest’ultimo. La lettera — provocata proba-
bilmente dal primo articolo de Il Tevere — inviata il 7 maggio dal
segretario particolare del duce, Chiavolini, al segretario del Pnf
Turati, con « un elenco dei collabo- [} senso del Fascismo e
l’Enciclopedia, in « Il Tevere » Gli attacchi contro l'Enciclopedia. Politica e
Cultura, in « La fiera letteraria », Gli attacchi dovettero
continuare, se Codignola avvertiva Gentile che i suoi avversari,
ostili alla sua permanenza nel Consiglio superiore della Pub- blica
istruzione, « potrebbero forse chiedere e ottenere anche il tuo
‘allontanamento dall’Istituto di Cultura e dall’Enciclopedia. Tutto
questo sarebbe molto grave per te e per le nostre idealità comuni, ma
sarebbe ‘ancora più grave per le ripercussioni che avrebbe nel paese, già
troppo po Vem e perplesso in questo momento » (Archivio Codignola,
Firenze). L’Enciclopedia italiana ratori
dell’Enciclopedia Treccani già firmatari del noto manifesto degli
intellettuali aventiniani », non ebbe grande effetto, anche se ad essa —
e non a un ripensamento dei collaboratori previsti — fosse da attribuire
l’abbandono dell’Enciclopedia da parte di 23 (fra cui Einaudi e Ruffini)
degli 85 intellettuali nominati '”. I principali filosofi collaboratori non
fascisti annunciati — cui altri se ne ag- giunsero —, firmatari o meno
del contromanifesto crociano, parteciperanno all’opera, e tre firmatari,
Carrara, De Sanctis e Levi della Vida, vi rimarranno anche dopo il
rifiuto del giuramento fascista richiesto nel ’31 ai professori
uni- versitari !*, Le polemiche del fascismo estremista
contro l’Enci- clopedia cessarono nel 1926, quando proteste come
quelle del contromanifesto o del CONGRESSO NAZIONALE DI FILOSOFIA non
ebbero più possibilità di sbocchi politici; « non c'è più un’opposizione
antifascista; e tutti son pronti a servire il Regime, che è lo Stato »,
affermerà Gentile invitando gli iscritti al Pnf ad « accettare la
collabo- razione degli italiani capaci ed onesti, anche non fascisti
»: Anche l’Italia intellettuale ha fatto molto cammino, e
l’antifascismo va buttato, finalmente, in soffit- ta » ! Tuttavia, se
l’opposizione politica era schiacciata, la stessa opera gentiliana di conciliazione
sta diventando meno necessaria con l’inizio della costruzione dello Stato
totalitario. Ma l’Enciclopedia era ormai avviata, e poté continuare con
la collaborazione di quanti — seppure in alcuni casi critici verso il suo
direttore o verso il regime — avevano aderito all’impostazione «
na- zionale » che Gentile aveva dato all'opera nel ’25!. ACS,
Segreteria particolare del Duce, CARTEGGIO RISERVATO. Per i rapporti di De
Sanctis e Levi Della Vida con Gentile e YE.I. cfr. G. De Sanctis, Ricordi
della mia vita, Firenze, Le Monnier, e G. Levi Della Vida, Fantasmi ritrovati,
Venezia, Neri Pozza. Gentile, Fascismo e Università, in « Educazione fascista
», Volpe nega l’esistenza di contrasti politici fra i collaboratori, che
erano «di ogni colore politico» (Giovanni Gentile, cit., p. 359); cosî
Pintor (che fu direttore della sezione « Biblioteche »), per il quale
Gentile « raccolse intorno a sé e indirizzò ad un concorde e disci-
Discussioni o contrasti si trasferirono per il momento all’interno
dell’Enciclopedia, nell’ambito delle scelte culturali: il punto di maggior
frizione — su cui ci soffermiamo perché essenziale alla comprensione dei
condizionamenti esterni dell’opera — fu il settore religioso, dove
Gentile dove fronteggiare la pressione del mondo cattolico, che per
acquistare un ruolo egemonico nella cultura italiana fu pronto a
sfruttare la politica di riavvicinamento alla Chiesa promossa da
Mussolini. Le dichiarazioni di imparzialità di Treccani e Gentile
avevano trovato subito un esplicito correttivo nell’accettazione del controllo
ecclesiastico. Nella prima riunione del consiglio direttivo
dell’Istituto, Treccani — dopo aver ricordato le incomprensioni e le
critiche con cui l’iniziativa era stata accolta — aveva precisato:
L’Enciclopedia nostra deve corrispondere ai sentimenti tradizionali degli
Italiani e perciò, deve essere non solo patriottica, ma anche bene
accetta alla Chiesa. Per raggiungere questo scopo, un accordo è già
intervenuto; Venturi dirige la sezione per le materie ecclesiastiche e
sotto la sua guida collaboreranno altri ecclesiastici, tra i quali
Gramatica e Rosa !4%. plinato lavoro migliaia di studiosi italiani e
stranieri, di ogni credenza e di ogni scuola: accolti con uguale fiducia
i dissenzienti dalla sua filosofia, gli avversari delle sue idee
politiche » Gentile negli studi storici e letterari, in Giovanni Gentile.
La vita e il pensiero, Firenze, Sansoni. Più sfumata la testimonianza di
Momigliano: se Giglioli, Fedele, Volpe e Gentile « non chiedevano, e
nemmeno desideravano, che si diventasse fascisti per lo stesso fatto di
entrare nelle Università, nelle Scuole storiche e nella Enciclopedia, ci
si inseriva in organismi fascisti, dove l'imbarazzo era costante e la
cautela diventava abito. Il motto che Croce ci dava il pane spirituale e
Gentile ci dava il pane materiale ricorse allora più di una volta in
conversazione. Una solidarietà implicita si stabiliva tra coloro che erano
di sentimenti antifascisti alla Università o alla Enciclopedia » (Appunti
su F. Chabod storico, in «Rivista storica italiana. Treccani,
Enciclopedia Italiana Treccani. Idea esecuzione compimento. Le Avvertenze ai
collaboratori assegnavano agli argo- [La presenza stessa di ecclesiastici
de « La Civiltà cattolica, in posizione privilegiata e non in nome del
tanto invocato criterio della competenza, indica — prima ancora di
poter esprimere un giudizio sulla sua efficacia — una forte incrinatura
nell’impostazione gentiliana dell’opera. L’accordo di Treccani
corrispondeva al processo di avvici- namento in atto fra Stato e Chiesa —
il gesuita Tacchi Venturi fu in quel periodo trait-d’urzion fra Mussolini
e il Vaticano !' —, ma contrastava con la concezione agonistica dei rapporti fra i due poteri propria di
Gentile, fedele alla formula cavouriana e contrario alla
conciliazione di diritto . L’ingerenza della Chiesa, che proprio scagliò
la sua offensiva in campo culturale contro l’idealismo come principale
obiettivo da colpire, fu con- trastata ma, soprattutto dopo il ’29,
sempre più subîta da Gentile. L'impostazione iniziale data
all’Enciclopedia, per cui avrebbe dovuto registrare tutti gli indirizzi
culturali e affidarsi ai competenti di ogni materia, fu — unita
all’accordo di Treccani — un’arma a doppio taglio di fronte alla
organizzazione vasta e articolata della cultura cattolica che sotto la
protezione politica » dei gesuiti poteva ora utilizzare la capacità di
penetrazione della neoscolastica, istituzionalmente rafforzata col
riconoscimento statale della Cattolica di Gemelli. Ma è anche
menti religiosi il primo posto nel punto III: « Delle materie
religiose e filosofiche, morali e politiche gli scrittori
dell’Enciclopedia avran cura di parlare con rispetto assoluto dell’altrui
pensiero e coscienza, in modo da consentire che all’Enciclopedia insieme
collaborino uomini di ogni fede e di ogni dottrina che abbia un suo
valore. A tutti i collaboratori dev’esser possibile incontrarsi sopra un
medesimo terreno, dove ognuno, pur mantenendo, com'è necessario, i propri
convincimenti, usi tuttavia un linguaggio che gli altri possano
ascoltare. Tutti i collaboratori sentiranno che soltanto cosî
l’Enciclopedia Italiana potrà riuscire, com'è suo propo- sito, un lavoro
a cui partecipano tutte le forze vive della scienza e dell’ingegno
italiano. Broglio, Italia e Santa Sede dalla grande guerra alla
Conciliazione, Bari, Laterza, e Scaduto]., Venturi. La Civiltà Cattolica. Felice,
Mussolini il fascista, II. L'organizzazione dello Stato fascista, Torino,
Einaudi, Vasoli, I neoscolastici e la cultura italiana, ora in Tra cultura e
ideologia, Milano, Lerici, e Rossi, La filosofia vero che, nonostante le
polemiche molto accese proprio con i neoscolastici, il « laicismo »
gentiliano conteneva molte falle: l’importanza crescente assunta nella
filosofia di Gentile da una religione ambiguamente intesa, dai Discorsi su fino
alla voce enciclopedica e alla conferenza su La mia religione; la coscienza,
matu- rata dopo la guerra, del « problema politico » della
religione necessaria al rinnovamento della cultura da parte di uno
Stato non più agnostico che, « senza combattere in nessun modo nessuna
particolare forma religiosa, riconosca ed affermi il valore della
religione com’essa vive attraverso tutte le forme » !9; il generico
spirito religioso attribuito ai profeti del Risorgimento (non solo Mazzini
e Gioberti), sottolineando però — come per Capponi — l'impossibilità
di astrarre una indeterminata e vaga reli- giosità mistica dal complesso
concreto della vita storica italiana, intimamente cattolica !f: tutto ciò favoriva la trattazione
di temi religiosi — in un’opera rivolta a valorizzare la civiltà romana e
italiana, e costituiva almeno la premessa per uno scontro duro e incerto
nei risultati, fra l’attualismo che si considerava « vera religione », e
le forze cattoliche chiamate a dare il loro contributo. Ma
l’accordo citato da Treccani era destinato a far pendere la
bilancia a favore di queste ultime, per cui è probabile che
l’Enciclopedia abbia assolto, nel campo dell’alta cultura, la stessa
funzione favoreggiatrice del pensiero confessionale svolta dalla riforma
scolastica nel settore dell’educazione elementare (e poi media)”.
neoscolastica e i suoi orientamenti storiografici, ora in Storia e
filosofia. Saggi sulla storiografia filosofica, Torino, Einaudi, Discorsi
di religione, ora in La religione, Firenze, Sansoni, Si pensi agli interventi
di Gentile a difesa della riforma scolastica (Scritti pedagogici, La
riforma della scuola in Italia, cit.), nei quali prevale, sull’idea del
confronto fra pensiero laico e cattolico, il concetto dello Stato non
agnostico ma educatore, per concludere che «in Italia, se lo Stato è
coscienza attiva nazionale, coscienza dell’avvenire in funzione del passato,
coscienza storica, esso è coscienza religiosa cattolica » Sul laicismo e
la concezione gentiliana come elemento essenziale della tradizione nazionale italiana,
cfr. L'Enciclopedia italiana Gentile cercò di contrastare
l’offensiva cattolica, come dimostrano l’organizzazione iniziale delle
sezioni di argo- mento religioso e i loro successivi cambiamenti. La
sezione materie ecclesiastiche affidata a Tacchi Venturi, di cui
aveva parlato Treccani, non compare nel Primo elenco di collaboratori
dell'inizio quando le trattative col Vaticano segnavano il passo;
appaiono invece quella di « Filosofia, Educazione e Religione »
sotto la direzione di Gentile, conforme alla concezione per cui «
la religione solo idealmente è distinta da LA FILOSOFIA, laddove in
realtà ogni religione è sempre una filosofia, e ogni filosofia, se degna
del suo nome, è una religione » !, la sezione « Geografia sacra » sotto
la guida di Gramatica, e quella di « Storia delle Religioni » con Pettazzoni,
che fra i primi aveva introdotto stabil- mente in Italia la
corrispondente disciplina, cui Gentile riconosceva, sia pur con alcune
cautele, validità scientifica. Nel primo volume dell’Enciclopedia invece,
uscito subito dopo i Patti Lateranensi, la generica sezione Materie
ecclesiastiche diretta da Venturi (probabilmente non limitata all’agiografia
sacra o alla liturgia) si affianca a quelle già citate di Gramatica e
Pettazzoni, alla sezione diretta da Gentile che assunse il titolo «
Storia della Filosofia e Storia del Cristianesimo » dove, accanto alla
significativa scomparsa della « Pedagogia » e della « Religione » (non
sappiamo se come la prima assort- bita dalla « Filosofia » o dalle «
Materie ecclesiastiche »), si registra il tentativo gentiliano di
controllare — tramite Omodeo, come vedremo — la « Storia del
Cristianesimo ». «Filosofia e
pedagogia » e « Storia del cristianesimo » risultano distinte,
entrambe sempre dirette da Gentile; ma poco dopo, nei primi mesi
del 1931 (vol. XI), « Storia del cristianesimo » è scom- le
osservazioni di A. Lo Schiavo, La religione nel pensiero di Giovanni
Gentile, in « La Cultura. Il carattere religioso dell’idealismo italiano, ora
in La religione, la recensione alla Storia delle religioni di G.
Foot Moore. parsa: assieme al ritiro di Omodeo, ciò può essere
inter- pretato come un indebolimento della posizione gentiliana in
questo settore, e un rafforzamento delle « Materie eccle- siastiche » di
Tacchi Venturi. L'offensiva ecclesiastica è evidente anche nel campo
dei collaboratori: mentre nel Prizzo elenco gli ecclesiastici sono 34
(pari al 2,4% del totale dei collaboratori), di cui solo 5 gesuiti (di
fronte a 13 francescani), nell’Enciclopedia sono già nella percentuale in cui
parteciperanno a tutta l’opera — oltre il 4%, di cui il 27% è
formato di gesuiti che costituiscono il gruppo più numeroso; ap-
paiono fin da ora i più eminenti: oltre a Venturi, Bricarelli, Rosa e
Vaccari — e, se si eccettuano Omodeo e Pincherle (storia del
cristianesimo), egemonizzano gli argomenti religiosi (agiografia e
storia della chiesa in particolare); accanto agli ecclesiastici,
nel I volume appaiono anche professori di Istituti cattolici romani
e della Cattolica — questi ultimi in numero di 6 — che, osservava La
Civiltà cattolica, per sincerità di fede affidano chi consulti quest’o-
pera » 1°, L'assalto cattolico all’Enciclopedia era cominciato meno
di un mese dopo la costituzione dell’Istituto Treccani e prima ancora che
fosse annunciato l’accordo intervenuto con le autorità ecclesiastiche:
Gemelli — fondatore della Cattolica e paladino della neoscolastica, e uno
dei maggiori critici dell’attualismo — aveva offerto il contributo suo
(gratuito) e dei suoi « amici » — proponedo per sé temi di psicologia !,
di cui si occu- perà nell’Exciclopedia assieme all’altro argomento in cui
era « competente », la Neoscolastica,' voce tutta impostata in
senso anti-idealistico —, confutando coi fatti il giudizio negativo
espresso politicamente su di lui e su tutta la cul- tura cattolica dal
gentiliano Giuseppe SAITTA!”. Busnelli], L’« Enciclopedia Italiana
», in «La Civiltà cattolica. AEI, Lettere, Gemelli. 152 Rusticus
[Saitta], L’Enciclopedia cattolica, in «Vita nova ». L’infaticabile
Gemelli ha lanciato Gentile accetta la collaborazione di Gemelli e
del gruppo neoscolastico, seguendo il criterio per cui l’opera
doveva essere specchio fedele di tutte le correnti intellet- tuali del
paese. A questo criterio si ispirò anche Omodeo, cui Gentile affidò fin
dall’inizio l’organizzazione del settore religioso da lui diretto. Lo
storico del cristianesimo, le cui lettere e la cui nota vicenda personale
sono guida illuminante per seguire il peso crescente assunto all’
interno dell’Enciclopedia da Venturi e dagli ecclesia stici (soprattutto
gesuiti), preparò elenchi di voci sull’esempio della Britannica — cercando di
impedire, con una trattazione storica degli argomenti, gli interventi
dogmatici dei collaboratori cattolici —, e assicurò il contributo
di esponenti dei diversi indirizzi religiosi: gli allievi di Buoniaiuti
con in testa Pincherle !, e il gruppo l’idea di contrapporre alla
enciclopedia “Treccani” diretta dal Gentile una enciclopedia cattolica.
L’idea è buona, anzi ottima, e noi l’approviamo, perché cosi l’illustre
frate che ha il merito di aver fondato un Istituto Universitario del
Sacro Cuore, di cui ancora ignoriamo i risultati, dimostrerà per l'ennesima
volta che il pensiero cattolico nulla ha da dire di veramente nuovo nel
dominio scientifico. Si fa presto a trovare i milioni, ma ciò che è
difficile, difficile assai, è trovare le teste, e di teste colte,
sapienti, con tutta la buona volontà, non ne scopriamo molte nel campo
cattolico ». Scrive a Gentile: « Non sono riuscito a intendere bene
il criterio secondo cui è stabilito lo sviluppo da dare alle singole
voci. Noto che anche gli argomenti cattolici sono contenuti entro limiti
molto pi ristretti che nell’Enciclopedia Britannica. Ciò non può
dipendere dal fatto che sono aumentate le voci. Le voci aggiunte non mi
pare che superino i nomi di teologi e pastori protestanti da me depennati
l’anno scorso dagli elenchi dell’Enciclopedia Britannica. Può darsi che questo
sia un criterio già fissato (di restringere gli argomenti di storia
cristiana ed ecclesiastica). Badi però che c’è un pericolo, specialmente
con la collabo- razione dei cattolici: di rendere questa parte
dell’Enciclopedia completamente insignificante come i trattati e i manuali
correnti nei seminari, che nessuno consulta. Massima obbiettività e pura
esposizione dei problemi: sta bene. Ma quella gente non si contenta di
questo. Vuole che i problemi siano ignorati, il che significa tradire lo
scopo principale dell’Enciclopedia. È di ieri la condanna d’un manuale
ortodossissimo di storia ecclesiastica corrente nei seminari, pel solo
fatto che onestamente informava dei punti + Ag dei non ortodossi
(Gentile-Omodeo, Carteggio). A Gentile: Ognuno del loro gruppo sceglierà
le voci che meglio rispondono alla loro preparazione e le tratterà. Ciò
non vincola menomamente l’atteggiamento che noi o essi crederemo o
crede ranno di prendere in altre opere, negli apprezzamenti reciproci.
L’Enci- di « Bilychnis per la storia del protestantesimo. Ma le sue
lettere a Gentile rivelano le pressioni e poi il deciso intervento
censorio degli ecclesiastici, che forti degli accordi, costringeranno
Omodeo ad abbandonare il lavoro all’Enciclo- pedia, dove sarà sostituito
da Pincherle '*, Da questo momento i gesuiti predomineranno nel
set- tore, e « La Civiltà cattolica », stendendo un bilancio dei
primi tre volumi dell’opera, poteva profondersi in lodi, pur lamentando
che parecchie voci fossero state affidate «a laici non solo, ma di sensi
non cattolici, quali il Pincherle e l’Omodeo. Una particolare menzione
merita il saggio consiglio preso dall’Istituto Treccani di affidare in
avvenire la direzione della Sezione Materie ecclesiastiche e la
compilazione degli articoli nei quali più facilmente possono trascorrere
abbagli ed errori, ad ecclesiastici dell’uno e dell’altro clero, italiani
e stranieri, uomini tutti di sicura dottrina nel campo della sacra
letteratura. C'è dunque ragione di stare a buona speranza che per
quel che riguarda direttamente la Chiesa, il dogma, la storia
ecclesiastica, la liturgia e le altre parti della dottrina e della
scienza cattolica, non s'incontreranno quei difetti, talora gravissimi,
che scemano il valore e la stima di altre enciclopedie, compilate con
troppa assoluta indi- pendenza, ignoranza o anche disprezzo del pensiero
cristiano e cattolico. Oltracciò convien notare come i Direttori
dell’Enciclopedia, Gentile e Tumminelli,
insieme col Consiglio direttivo dell’Istituto Treccani, mentre lasciano
agli scrittori la piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e
cattolico e il giudizio dei fatti secondo il criterio della soda indagine
ecclesiastica, promettono di invigilare che anche in altri articoli
indirettamente attinentisi alla religione cattolica e alle materie
ecclesiastiche non vengano soste- nute o insinuate sentenze o critiche
contrarie o malfondate !9?. Il giudizio dell’autorevole rivista suonava
monito per il futuro, non solo per le voci di argomento religioso. L’enciclopedia
rifletterà obiettivamente la situazione presente della cultura italiana. A
Gentile. Cfr. ibidem, ed Omodeo, Lettere,
Torino, Einaudi, in particolare la lettera a Gentile [G. Busnelli],
L’Enciclopedia italiana cacia del controllo ecclesiastico, su cui
esistono testimo- nianze di contemporanei e che sarà verificata più
avanti, poggiava ormai sulla nuova situazione politica e culturale
creata dalla Conciliazione. Con il contrasto fra cattolici e
idealisti si trasformò in aperta frattura, registrata immediata- mente
dal CONGRESSO DI FILOSOFIA che vide lo scontro fra Gentile e Gemelli. Il
pericolo dell’ingerenza cattolica fu avvertito subito da Gentile, che
cercò di reagire attac- cando il dogmatismo neotomistico '? e
sottolineando il carattere religioso dell’attualismo, La funzione da
lui svolta era tuttavia destinata a indebolirsi con la nuova alleanza
stabilita dal regime, e l’Enciclopedia diverrà luogo di uno scontro
sempre più duro con i cattolici apertamente incoraggiati dalla messa
all’indice delle opere di Croce e Gentile. Il quadro storico
generale in cui nacque e fu realizzata l’idea dell’Enciclopedia — fin qui
tracciato — ha contribuito a spiegare le sue origini nel clima di riscossa nazionale
del dopoguerra, e la funzione di assorbimento di intellettuali di diversa
formazione da essa svolta, e in vista della creazione dello Stato
totalitario; cercheremo ora, attraverso la lettura interna dell’opera, di
chiarire le scelte culturali operate, che non possono essere
dedotte Minimizzato da Volpe, il controllo ecclesiastico è invece
ritenuto esteso a tutti gli argomenti da Calogero, Mussolini, la
Conciliazione e il congresso filosofico in « La Cul- tura », e
testimoniato da Vida, Cfr. ad es. le dichiarazioni di Gentile riportate
in « Educazione fascista » Alla lettera con cui Salvadori rifiutò
l’invito gentiliano di collaborare all’E.I., «opera dove la filosofia
domi- nante nega Dio vivo e vero per adorare la divinità dell'uomo »
(pubblicata postuma da A. Frateili, Vita e poesia di Salvadori, in «
Pègaso »; ora in Lettere di Salvadori scelte e ordinate da Trompeo e
Vian, Firenze, Le Monnier), Gentile rispose qualificando « giudizi
temerari: 1) che nella detta Enciclcpedia domini una filosofia (che non è
vero); 2) che la mia filosofia neghi il divino vivo e vero (che è falso);
3) che adori il divino dell’uomo (che è un equivoco molto grosso) (“Giornale
critico della filosofia italiana”). meccanicamente dal rapporto col clima
politico in cui ven- nero attuate, anche se di questo dovremo tenere
conto. Centro di raccolta dei maggiori studiosi italiani, rappre-
sentanti non solo — quando li uni la politica di « conciliazione » di
Gentile — differenti indirizzi di pensiero !, l’Enciclopedia fu
considerata allora come uno strumento capace di promuovere studi e
ricerche in campi fin allora inesplorati dalla scienza italiana. Nell’impossibilità
di controllare questa affermazione, ci limiteremo a verificare il
giudizio di quanti vi hanno visto l’espressione di una cultura accademica
impermeabile al fascismo, « positiva », costituita di fatti e di informazioni,
contro la quale polemizzeranno, in un ambiente sempre più chiuso
alle moderne esperienze contemporanee, i nuovi mistici della fede
cattolica o della « dottrina fascista ». Sarebbe tuttavia da verificare
l’accenno di Volpe alla diminuzione del numero dei collaboratori per volume,
che potrebbe indicare una maggiore progressiva uniformità di
voci. Cfr. ad es. Pincherle, per il quale l’E.I. riproduce in sostanza
lo stato odierno della cultura italiana, con i suoi pregi e anche, è
naturale, con le sue deficienze: a riparare alle quali la preparazione di
un'Enciclopedia è appunto stimolo efficace più di tanti discorsi, e
Gentile: è già interessante vedere come quest’alta cultura italiana abbia
avuto dall’Enciclopedia uno sprone e uno stimolo a misurarsi in campi
finora trascurati. L’Enciclopedia ha fatto sî che, p. es., ci siano ora
degli storici italiani (e questo è un fatto nuovo) che si occupano di
proposito di storia delle altre nazioni, dall'Europa all’Estremo Oriente.
Non uno o due specialisti, ma parecchi, e, quel che più importa, giovani
» (L’Enciclopedia Italiana, in « Rassegna italiana politica e letteraria
». Tanto che Volpe potrà dire che l’E.I. «fu, per dieci anni, un gran
porto di mare; fu la vera Universitas studiorum non di Roma o d'altra
città ma di tutta Italia e, un poco, di tutta Europa. E un uomo di nome
europeo, e pit che europeo, Gentile, ne era il Rector Magnificus, sempre
presente, anche se non ingombrantemente presente. Di voci «partigiane ma
dignitose » ha parlato G. Devoto (Ur ricordo, in Il Corriere della sera).
Significativi il giudizio di Speranza [Luca, uno dei principali
collaboratori ecclesiastici dell’enciclopedia], Temzpo d'Enciclopedia?, in Il
Frontespizio, Chi domanda all’Enciclopedia il corso dei propri giorni e
la regola della vita terrestre ed eterna? L’Enciclopedia è ormai cosa da
positivisti »), e il modo in cui venne annunciato dalla stessa « Critica
fascista » il Dizionario di politica del Pnf che sarà pubblicato :
prezioso repertorio dottrinale, a base del quale non sarà tanto
l'informazione quanto la valu- tazione di idee e fatti “dal punto di
vista fascista”: opera, cioè, come ben A molti dei filosofi che
hanno valutato complessivamente i contenuti dell’Enciclopedia, emblematica
delle vicende culturali del periodo fascista, è parso che in essa
permanessero i valori di una cultura impermeabile al fascismo, sia per la
presenza di eminenti personalità antifasciste, come SOLARI e MONDOLFO, sia per
l’ampiezza di settori ritenuti difficilmente influenzabili dall’ideologia
del fascismo, e dal carattere puramente espositivo, come quelli geografico e
artistico. È il caso di BOBBIO, per il quale l’opera è indiscutibilmente
la più grande rassegna che sia mai stata tentata sino ad oggi della
cultura accademica del nostro paese, e non è, se non in qualche frangia
marginale, che appare una stonatura, un’opera fascista, in quanto tutto
ciò. che vi fu di fascistico, anzi disquisitamente fascistico, nei
trentasei volumi, fu concentrato nella voce Fascismo: un’interpretazione
che, mentre coglie nell’impresa la presenza di tutto o quasi tutto lo stato
maggiore della cultura. accademica post-fascista, tende a negare qualsiasi
influenza dell’ideologia del fascismo sulla cultura, secondo la
nota tesi crociana. Né si discosta molto dalla sostanza di questa
interpreta- zione, pur con giudizio di valore rovesciato, Rosa,
che, attento a sottolineare la continuità del carattere di classe
della cultura borghese prima e durante il fascismo, si limita — con Momigliano
— a rimproverare agli intellettuali che parteciparono all’impresa che, collaborando, si colla- borava
inequivocabilmente ad un’opera del regime », osser- vando tuttavia che in
questo caso « la fascistizzazione della cultura non comportò neanche
un’“appropriazione” ideo- logica, come quella verificatasi nel campo
della scuola, ma soltanto la gestione istituzionale di ampi settori
d’intellet- sanno i collaboratori che vi attendono fervidamente,
“di impostazione e di finalità politiche, e non di una pura e semplice
enciclopedia cultu» rale” » (Mattei, Cultura fascista e cultura dei
fascisti. Bobbio, La cultura e il fascismo, in AA.VV., Fascismo e società
italiana, a cura di Quazza, Torino, Einaudi, tuali di tendenze e opinioni
diverse. Solo Badaloni, cogliendo la novità rappresentata dal fascismo
anche in campo culturale, ha avanzato l’ipotesi di un legame fra l’ideologia
del regime reazionario di massa e la cultura di cui l’opera fu
espressione, pur affermando che l’Enciclopedia « si caratterizza
certamente per l’aspetto della continuità rispetto alla tradizione precedente,
assicurata dal ruolo svolto da Gentile, Un esame ravvicinato
dell’opera permette in realtà di individuare, accanto ai forti
condizionamenti politici del regime — divenuti espliciti con il
riconoscimento ufficiale dell’iniziativa di Treccani — e alla
elaborazione di una cultura propria del fascismo '”, l'impossibilità dei
non molti intellettuali non allineati al regime di mantenersi
autonomi all’interno di una istituzione fascista; e, infine, il carattere
non univocamente gentiliano dell’opera, non tanto perché, come ha
affermato Momigliano, Gentile si limitava in alcuni casi a dare ai
collaboratori il pane mate- riale mentre Croce forniva quello spirituale,
quanto perché, più in generale, l'impresa enciclopedica si pose come
coro- namento di quel processo di selezione di una cultura di
destra — su cui ha insistito Amendola — che si era venuta rafforzando a
partire dall’età giolittiana, e, se vi fu un elemento non completamente
omogeneo a questa cul- tura, esso non fu rappresentato dal liberalismo di
Croce, bensî dalla componente cattolica che, Rosa, La cultura, in Storia
d'Italia, Dall'Unità a oggi, Torino, Einaudi, Badaloni-C. Muscetta, LABRIOLA,
Croce, Gentile, Bari, Laterza, Sulla cultura del fascismo. cfr.
l’introduzione di Garin a Intellettuali italiani del XX secolo, Roma, Editori
Riuniti, e la recensione di Amendola al volume di Garin (ora in Fascismzo e
movimento operaio, Roma, Editori Riuniti). Amendola, che ha tuttavia
negato l’esistenza di una cultura fascista. Non c’è stata una cultura
fascista. C'è stata una adesione politica degli intellettuali al
fascismo, una accettazione del regime sulla base di posizioni culturali
molto diverse. Al fascismo aderiscono positivisti e idealisti. Uomini di varie e
contrastanti correnti artistiche mantengono, nel quadro politico fornito dal
regime, le proprie posizioni culturali, e il regime lasciava correre (Id.,
Intervista sull’anti- fascismo, a cura di Melograni, Bari, Laterza, mirò
a sostituirsi all’attualismo e al debole « laicismo » di Gentile.
Definire idealistica l’Enciclopedia, come da più parti è stato fatto !’,
è insufficiente a comprenderne la complessità e, probabilmente, la stessa
capacità di durata nella cultura italiana. Per far ciò è necessario
ricordare che l’opera di organizzazione del consenso intrapresa da Gentile
e integrata, non senza forti contrasti, dall'intervento cattolico: la
constatazione acquista tutto il suo valore, ove si pensi che all’impresa
furono interessati 3.266 collaboratori — quel piccolo e rissoso e
indisciplinato mondo dei filosofi — il più riottoso, individualista, disgregato
— ha dato e dà da anni un esempio di adattamento al lavoro collettivo,
ricorderà il revisore-capo Bosco—, e che, ad avvalorare (in
positivo e in negativo) il giudizio di alcuni studiosi sulla continuità
tra fascismo e postfascismo, l’Enciclopedia ha attraversato impunemente
la caduta del regime per presentarsi ancora oggi, immutata nei contenuti dopo
cinquanta anni dalla sua apparizione, come strumento di lavoro di
studiosi e di studenti. Le Appendici che sono cominciate a uscire non
hanno potuto modificare i contenuti generali dell’opera che, ristampata
fotoliticamente mentre PRESIDENTE dell’Istituto era diventato Sanctis, non ha
sentito il bisogno, a differenza dell’Enciclopedia britannica, di
rinnovarsi col mutare della società, degli orientamenti politici e delle
prospettive culturali, attuando cosî, molto al di là delle sorti del regime
al quale è legata la sua nascita, l’auspicio, formulato da Gentile, di
veder prolungare la nostra vita in un’opera che continuerà ad essere
ricercata e apprezzata dagl’Italiani per cui essa è stata specialmente
pensata e compilata e per gli stranieri che noi ci lusinghiamo di
Essa fu qualificata un «enorme e informe cibreo idealistico-fascista » da
Togliatti, Gramsci e don Benedetto, ora in I corsivi di Roderigo, Bari,
De Donato. Di enciclopedia dell’idealismo parlano Piovani, Il pensiero
idealistico, in Storia d’Italia, V.I documenti, 2, Torino, Einaudi,
Spirito, Memzorie di un incosciente, Milano, Rusconi (dove l’opera è
consi- derata « una prosecuzione del fascismo), Bosco, Enciclopedia
Italiana, aver legati all'Italia con
nuovi vincoli di simpatia e di stima, mentre l’Italia per l’azione
potente d’un grande Uomo e d’una grande Idea risorgeva per la terza volta
a imperiale potenza e riafferma nel mondo la sua missione. Il regime non
si era limitato a condizionare dall’esterno l’opera, ma ne aveva
facilitato la realizzazione facendo propria l’iniziativa di Treccani. Le
difficoltà economiche dell’Istituto originario insorte e aggravatesi con
la grande crisi portarono ad una sua fusione nell’ente editoriale
Treves-Treccani-Tumminelli, e infine all’inter- vento in prima persona
del governo che, riconoscendo l’opera di interesse nazionale, con d.l. costituî,
con il finanziamento di banche parastatali, l’Istituto della Enciclopedia
Italiana fondata da Treccani, sotto la presidenza di Marconi. A queste
vicende editoriali si accompagnò un pit stretto controllo da parte del
regime e l’abbandono della « poli- tica di conciliazione » perseguita da
Gentile; cosî, se ancora Gentile poteva riconoscere, nella
prefazione al primo volume dell’opera, l'opportunità di un ragionevole
eclettismo e di una scrupolosa imparzialità », spentesi le « battaglie che si erano
svolte nella fase preparatoria — e di cui la vicenda di Omodeo è
l'esempio più significativo —, il direttore dell’Enciclopedia notava che,
perduta per via qualche forza anche ingente, non fatta per questa
disciplina indispensabile a un lavoro di questo genere, e formata ormai
la famiglia, quale io la sento intorno a me, dei direttori e redattori,
si tratta piuttosto di scaramucce e di semplici avvisaglie !?. Due anni
dopo, intervistato all’indomani del d.l., Gentile marcava la differenza
fra la situazione attuale e quella di otto anni prima, ricordando che nel
1925 WI E.I., Appendice, ACS, Presidenza del Consiglio dei
Ministri, Ministero della cultura popolare, Treccani, Enciclopedia Italiana
Treccani. Come e da chi è stata fatta, ciGentile, Ancora delle tribolazioni
di un enciclopedista. Come d Dee e si cuce îl libro per tutti, in « Il
Corriere della sera », la collaborazione alla Enciclopedia venne aperta a
quanti avevano una fama sicura ed una competenza accertata nei vari rami
delle lettere, delle arti e delle scienze. Forse fu un errore. Ma
allora, mentre vivevano ancora i vecchi partiti, si pensava che la
nostra Enciclopedia potesse fare opera di concordia, accogliendo
uomini che, benché non fascisti, avevano accettato il programma
dell’Istituto che si inspirava alla coscienza del glorioso passato del
popolo italiano e a quegli alti destini cui esso può e deve
aspirare; seguiremo fedelmente le direttive che il Duce ci ha impartito,
concludeva rispondendo a una domanda sui propositi per l’avvenire !*. È
naturale che « Il Tevere » non riprendesse le polemiche, ma si limitasse
a notare come l’opera per l'ampiezza del testo e per la profonda
dottrina della compilazione » avesse assunto « il carattere di grande Enciclopedia
nazionale. Tanto pi che, a con- validarne l’aderenza al regime agli occhi
di quanti vi ave- vano criticato uno spirito quanto meno afascista, meno
di un anno prima della costituzione del nuovo Istituto sull’Enciclopedia
era stata pubblicata la voce Fascismo firmata da Mussolini, subito
presentata come la massima espres- sione della dottrina del
fascismo. Non mancarono tuttavia, anche in questa fase,
feroci attacchi all'opera da parte de « La Vita italiana » di PREZIOSI e
de « Il Secolo fascista » di G. A. Fanelli ‘”, l’anti-gentiliano ben
visto negli ambienti cat- tolici ‘* e autore del pamphlet “Contra
Gentiles” nel quale sosteneva che nell’Exciclopedia «i gentiliani Origini
e finalità della monumentale opera, in «La Stampa» Il nuovo atto costitutivo
dell'Istituto dell’Enciclopedia italiana firmato alla presenza del Duce,
in « Il Tevere » All’apparizione dell’enciclopedia il giornale aveva
commentato: «quanto ai gesuiti, si può star tranquilli: giacché a curare,
dell’Enciclopedia, la parte di cultura religiosa è stato propriamente
Venturi. Nel cantiere dell’En- ciclopedia, in « Il Tevere. La Vita
italiana » IT? Cfr. Il Secolo fascista ad es. la recensione di Bobbio a Contra
Gentiles di Fanelli. Studium.. hanno organizzato con una perfidia senza
precedenti, la con- trorivoluzione, demolendo sistematicamente tutti i
valori esaltati dal fascismo, mistificando e stravolgendo il significato
delle sue istituzioni. Ma furono voci minoritarie, espressione di
divergenze ideologiche e culturali, non politiche. Dubbi di natura politica,
probabilmente collegati a lotte di potere scatenatesi per il controllo
dell’Istituto, furono avanzate solo in un rapporto anonimo a MUSSOLINI, secondo
il quale fra i collaboratori dell’opera vi erano parecchi anti-fascisti,
e veniva lasciata troppo mano libera ai compilatori di cui son note le idee
antifasciste. Ma Gentile poté replicare di essere stato autorizzato
esplicitamente da Mussolini a mantenere le collaborazioni di Sanctis e di
Vida, che avevano rifiutato il giuramento imposto ai professori
universitari, e di esercitare un ferreo controllo sulla redazione e
sull’esecuzione di tutta l’opera. Nella scelta dei collaboratori
esterni posso assicurare che si tiene il massimo conto delle
tendenze politiche degli scrittori scartando tutti gli antifascisti.
Come posso altresi assicurare che nessun collaboratore, in nessuna
materia, ha mano libera; e tutti gli articoli sono soggetti a rigorosa
revisione, Nelle sue memorie, del resto, Sanctis non si mostra cosciente del
significato politico dell’Enciclopedia e quindi della sua partecipazione !,
mentre Levi Della Vida ricorderà di essere stato convinto a collaborare —
dopo un primo rifiuto — dalla promessa di non politicità dell’opera fatta
da Gentile, pur riconoscendo che senza dubbio non può non avvertirsi in
alquante voci del- Fanelli, “Contra Gentiles”. Mistificazioni
dell’idealismo attuale nella rivoluzione fascista, Roma, Biblioteca del
Secolo fascista, Cfr. anche, per l’accusa mossa all’E.I. di aver « massacrato
» la storia di Roma, Bortone, Mito e storia di Roma durante il
fascismo, in « Palatino » Felice, Mussolini il duce, I, Gli anni del
consenso Torino, Einaudi, Sanctis, Ricordi della mia vita. Scrivendo a
Ricciotti, in qualità di presidente dell’Istituto, Sanctis dirà di voler
continuare l’Ernciclopedia «evitando peraltro, grazie al nuovo clima di
libertà, quelle sia pur lievi concessioni che la prima edizione ha dovuto
fare ai tempi » (AEI, Lettere, Ricciotti). l’Enciclopedia il clima
peculiare all’Italia di quel tempo, ma direi che ciò è fatto con una tal
discrezione, colla preoccupazione, si direbbe, di non dar troppo nell’occhio: a
ogni modo confesso che mi sentirei forse più in pace colla mia
coscienza se avessi persistito nel rifiuto. Ciò che emerge con chiarezza
dalla vicenda dell’Enciclopedia è lo sforzo del regime, che appare in larga
parte riuscito, di organizzare il consenso degli intellettuali. Questa
novità del fascismo era colta con difficoltà dagli antifascisti; più attenti ai
problemi della cultura e degli intellettuali furono gli esponenti di
Giustizia e Libertà, fra i quali Venturi, che afferma: Sono
abbastanza noti i provvedimenti presi dal fascismo per organizzare i corpi
armati contro gli italiani oltre che contro gli stranieri, e gl’istituti
finanziari ed economici a favore di pochi arrivati al potere. Ma non è ancora
stato analizzato il successo del fascismo nel promuovere la cultura in
Italia. Mussolini ha compreso l’importanza di una cultura foggiata a
sostegno del regime, e, privo di ogni ideale da offrire come meta
all’intelligenza, convinto che solo il denaro può interessare gli uomini,
ha largheggiato di mezzi verso gl’intellettuali in un modo inconsueto in Italia.
Ma anche gli esponenti di Giustizia e Libertà non coglievano il contenuto
di classe di questa nuova cultura, e la capacità del regime e poi dei cattolici
— di improntarla delle proprie ideologie. Può quindi essere utile
un sondaggio che, pur limitandosi a tre settori di voci dell’Enciclopedia —
politiche, storiche, religiose —, cerchi di valutare i contenuti culturali
dell’opera nel più generale contesto politico in cui fu realizzata: non
tanto per rilasciare patenti di fascismo e di antifascismo a singoli
colla- boratori, quanto per vedere se nei loro contributi emerges-
sero o meno elementi funzionali all’ideologia che il fascismo veniva
elaborando. Con ciò non si potrà ritenere esaurito, del resto, l’esame
dell’opera, in cui ampio è l’apparato di voci illustrative (tecniche,
geografiche e artistiche); anche Vida, Fantasmi ritrovati, Travi
(Venturi), La cultura italiana sotto il fascismo, in Quaderni di Giustizia
e Libertà, se un ulteriore approfondimento dovrà valutare fino a qual
punto queste ultime possano essere considerate esposizioni asettiche, dal
momento che, ad esempio, un geografo come Almagià, ben inserito nelle istituzioni
culturali e negli organismi politici del regime — e direttore, con
Biasutti, della sezione « Geografia » dell’Enciclopedia —, poteva affermare che
le trenta pagine dedicate alla geografia dell'Albania costituivano uno «
spazio non certo soverchio, relativamente alla importanza che
questo paese ha oggi per l’Italia. Resteranno fuori dalla nostra analisi,
fra gli altri, due settori molto importanti, quello filosofico e quello
scientifico. Il primo, com'è naturale, fu più direttamente controllato da
Gentile, la cui influenza è facilmente avvertibile; ma può essere
interessante notare come in esso non manchino anche riferimenti
all’at- tualità politica: la trattazione dell’Idealismzo offre ad
esempio a Calogero l’occasione per osservare che dalla sinistra hegeliana
muovevano quei pensatori che, come Marx, Engels e Lassalle, tradussero il
dialettismo genetico dell’idealismo in un evoluzionismo
naturalistico, condannando ogni spiegazione delle cose che non si
riferisse nudamente alle ferree leggi della natura e traman- dando tale
fiero odio per ogni ideologia e idealismo fino ai giorni nostri, in quei paesi,
come la Russia, che da essi hanno mutuato la concezione politica. D'altro
lato, Spirito considera come filosofia del fascismo, sia pur
allusivamente, l’Attualismo, che « ha condotto alla definitiva negazione
della filosofia come metafisica e alla sua identificazione con la storia
e con la vita. Questo spiega come l’attualismo non sia rimasto un puro
sistema filosofico, ma sia penetrato in tutti i campi della cultura e
della vita politica, e abbia condotto a un profondo rinnovamento
della coscienza nazionale. Almagià, La geografia nella Enciclopedia
Italiana, in Bollettino della R. Società geografica italiana. Biasutti-Almagià,
Le geografia nella nuova Enciclopedia italiana, in Atti del X congresso
geografico italiano, Milano, Capriolo e Massimino. Particolari cure sono
rivolte all’Italia, alle sue colonie, ed ai paesi che sono in più stretti
rapporti col nostro. Nel settore scientifico, in particolare per quanto
riguarda la storia della scienza — dove fu dato largo spazio al genio
italiano —, si assiste invece a una divisione del lavoro tra studiosi non
attualisti e gentiliani. Spirito aveva sostenuto, al CONGRESO DI FILOSOFIA,
l’identificazione di filosofia e scienza, spingendo Gentile a riconoscere
l’importanza della storia della scienza per la stessa ricerca
scientifica; ed è proprio Spirito l’autore della voce Scienza nella
quale, dopo aver tratteggiato storicamente il problema dell’unità o della
distinzione tra scienza e filosofia, oppone a CROCE, teorico del
dualismo, il Gentile negatore di ogni distinzione tra concetti puri e
concetti empirici, e rivendica a se stesso e ad Volpicelli il merito di aver
tentato di dimostrare che la distinzione dialettica dei momenti, essendo
implicita in ogni procedimento logico non può caratterizzare in concreto
la differenza di determinate scienze empiriche e filosofiche, e che la
distinzione di diversi gradi filosofici, naturalistico e idealistico, deve
essere superata anche nel campo delle scienze particolari. Il dualismo fu
allora su- perato solo apparentemente, nonostante la volontà degli
attualisti di impadronirsi della tematica scientifica da un punto di
vista filosofico. Enriques, lo storico della scienza che dirigeva la
sezione « Matematica, concludeva significativamente cosî una lettera a
Gentile in cui illustrava le proprie idee sulla redazione della
voce Scienza: niente impedisce — se l’articolo Le apparirà
manchevole — che sia integrato da un successivo articolo filosofico, nel
senso che la parola ha per Lei, diverso dal mio. Fu questo il criterio
che, se non fu adottato per questa voce, guidò la redazione di molte
altre di carattere storico-scientifico, che vennero suddivise in due
parti: una Gentile, Introduzione alla filosofia, Milano-Roma,
Treves-Treccani-Tumminelli, A1 fatto che Gentile dette «una certa
estensione » alle voci di storia della scienza nell’Enciclopedia accenna
Bulferetti, Gli studi di storia della scienza e della tecnica in Italia,
in Nuove questioni di storia contemporanea, Milano, Marzorati, AEI,
Lettere, Enriques. più propriamente scientifica, riservata a studiosi di
formazione positivistica, e una filosofica, affidata ad attualisti, come
nel caso di GALILEO, scritta da Marcolongo e Allmayer, o di VINCI, dove
accanto ai vari specialisti della multiforme attività dello scienziato
volle apporre la sua firma lo stesso Gentile. L’esame delle
principali voci di carattere politico conferma pienamente l’esistenza non solo
di una ideologia, ma anche di una cultura fascista, attraverso la quale
il regime cerca di costruirsi una legittimazione storica. Resta ancora da
compiere una ricognizione degli studi di scienze politiche che si vennero
elaborando in Italia tra le due guerre mondiali e che, non limitandosi a
ricostruire le discussioni metodologiche sulla storia delle dottrine politiche,
sia attenta al legame con la tradizione inaugurata da Mosca, Pareto e
Michels, e a quello tra elaborazione teorica e ricostruzione storica, al
rapporto con la politica sviluppata dallo Stato fascista e alle istituzioni in
cui questi studi si concretizzarono, in un momento in cui, proprio
a partire dal 1924, furono create le prime Facoltà di scienze
politiche dalle quasi ci si attendeva la formazione di una nuova classe
dirigente. Le voci enciclopediche sono solo una spia della estrema
ideologizzazione cui era soggetta questa tematica, e della fortuna della
concezione gentiliana dello Stato, che più di quella di Croce cercò di
affrontare il problema dell’emergere delle masse sulla scena
politica nazionale, Non ci sembra di poter condividere
l’opinione di Bob- ad es. Testoni, La storia delle dottrine
politiche in un dibat- tito ancora attuale, in «Il Pensiero politico » Un
interessante tema di ricerca suggerisce in questo senso Montenegro, Politica
estera e organizzazione del consenso. Note sull’Istituto per gli studi di
politica internazionale. , in « Studi Storici » Cfr. le osservazioni di
Racinaro, Intellettuali e fascismo, in Critica marxista-- Bob bio che la
presenza dell’ideologia fascista nell’Enciclopedia sia avvertibile solo
nella voce Fascismo. Anche se gia Treccani aveva potuto affermare, ringraziando
Mussolini per la promessa fatta a Gentile di collaborare per questa voce,
che « l’Enciclopedia non poteva ottenere pit importante e significativo
suggello del carattere suo, di opera italiana del regime » !”, la voce,
scritta frettolosamente da Gentile per la prima parte (« Idee
fondamentali ») e da Mussolini per la seconda (Dottrina politica e
sociale) !", non è, all’interno dell’opera, l’unica né, forse, la più
articolata espressione dell'ideologia e della cultura politica del regime.
Uscita nello stesso anno in cui Croce pubblicava il manifesto del
libera- lismo, la Storia d’Europa, quella che i contemporanei
considerarono la summa dottrinale del fascismo colpisce infatti per la
sua genericità, dovuta probabilmente anche alla vo- lontà di non dare
appigli a quanti, all’interno del regime, cercavano di appropriarsene la
dottrina. Se la « mano » di Gentile è indubitabile, come rilevarono
subito i commenti degli antifascisti — La Libertà sottolineò nella voce
la concezione dello Stato propria del filosofo della Enciclopedia
Treccani, mentre Lo Stato operaio colse nella prima parte dello scritto «
la marca di fabbrica della ditta intitolata a Gentile » !” —, non è meno
significativo il fatto che i commentatori di parte fascista non dessero un
particolare rilievo alla influenza attualista, e ciò non solo per
piaggeria verso Mussolini, che aveva firmato tutta la voce. Un accenno,
sia pure sfumato, vi è solo in Bottai — più vicino al filosofo siciliano —
il quale osservò che con la Dottrina del fascismo la cultura moderna era
giunta a Treccani a Mussolini (ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato). Cfr.
Segreteria particolare del Duce, Carteggio ordinario, e la testimonianza
di A. Iraci, Arpinati l'oppositore di Mussolini, Roma, Bulzoni. A parte
questo caso, l’attribuzione di alcune voci non firmate si basa sulle
lettere e sullo schedario per autori conservati presso l'Archivio
dell’Enciclopedia italiana. IL DUCE-FILOSOFO E LO STATO FASCISTA, in «La
Libertà»; Donini, Il fascismo secondo Mussolini, in Lo Stato operaio quella
critica del socialismo e del liberalismo, a quel senso realistico della
storia e a quel pensiero idealistico, che sono stati, prima oscuramente
ora chiaramente, i caposaldi del pensiero mussoliniano. Gli
anti-gentiliani furono invece assai espliciti nel distinguere la dottrina del
fascismo dall’attualismo: non solo, naturalmente, Fanelli, ma anche
Carlo Costamagna, autore di parte della voce Corporazione: dopo aver affermato
che il fascismo, pur possedendo una dottrina, non può e non deve possedere
una filosofia, perché « non esistono verità assolute, eterne e
universali, fuori del dogma religioso per il credente, nota che « l’attivismo
fascista è lo sforzo ad impadronirsi della realtà e a dominarla, e nulla
ha di comune con quel- l’attualismo neo-hegeliano che, nell’illusione di
assorbire e superare il razionalismo e il materialismo, coi soliti
espedienti dell’astrazione, non ha saputo apprestare se non una
esercitazione di parole, buona a giustificare qualsiasi comportamento pratico,
ricadendo negli eccessi dialet- tici propri ad ogni filosofia delle
epoche di decadenza » !* E particolare significato assume il commento
della rivista ufficiale di Mussolini, Gerarchia, che sembra attaccare,
oltre a Gentile, gli esiti di sinistra del gentiliano Spirito quali si
erano manifestati, nel maggio [ II secolo di Mussolini, in Critica
fascista. Bottai insisteva su una presentazione « di sinistra » della dottrina
del fascismo: nega l’ideologia marxista, ma accoglie il movimento
operaio, dandogli un posto giuridico-politico nello Stato; nega
l'ideologia democratica, ma non intende restituire gli individui alla
condizione di bruti privi di dignità spirituale, come sarebbe in uno
Stato di polizia »; « La dottrina del fascismo, che non ignora né
l’esperienza democratica né quella socialista, concepisce lo Stato come
il sistema dei diritti-doveri degli individui organizzati per raggiungere i più
alti fini etici della personalità umana (nella sua concretezza
nazionale), e non può fare a meno di tendere verso una giustizia sociale
che, in regime liberale, non poteva non essere calpestata. In questo
senso se il nostro secolo, come dice Mussolini, sarà un secolo di destra,
esso, proprio perché è il secolo dello Stato (se lo Stato non è, e non
dev'essere, strumento della prepotenza dei pi forti), sarà un secolo di
sinistra. E l’organizzazione corporativa italiana ne è una prova ».
Bottai sarà autore della voce Corporativismo nell’Appendice. Fanelli,
Contra Gentiles. Costamagna, Pensiero ed azione, in Lo Stato, precedente, al II
Convegno di studi corporativi di Ferrara: la parola di Mussolini poneva
fine, secondo la rivista, al tentativo delle varie correnti culturali
italiane di monopolizzare la dottrina del fascismo, la quale fu
identificata anche con il benedetto, onnipresente liberalismo: sia con
quello vero, che, partendo dal mito delle intangibili libertà
individuali, si ferma allo stato come complesso di servizi utili e
giungeva, al massimo, ad accettare un forte stato di polizia, guardiano
notturno dell’ordine pubblico; sia col liberalismo ancora pié vero, che
dalla base della fantastica acrobazia dialettica della identità assoluta
fra stato e individuo, finiva, logicamente, con l’identificare la dottrina
fascista con l’utopia comunista. Colpisce infatti, soprattutto nella parte
sulla « Dottrina politica e sociale, che alle istituzioni corporative
sia fatto solo un cenno assai rapido, nonostante che l’elaborazione della
dottrina corporativa fosse an- data molto avanti”, e nella voce si
insista sul fatto che proprio dopo la crisi chi può risolvere le drammatiche
contraddizioni del capitalismo è lo Stato ». Il motivo, suggerito da Gerarchia,
è reso esplicito da Vita nova, la rivista del gentiliano Saitta, per
il quale dopo il mirabile articolo del Duce sulla dottrina del
fascismo, pubblicato nell’Enciclopedia Treccani, discutere sulla struttura
filosofica e politica della relazione Spirito al Convegno di studi corporativi,
è non solo vano ma temerario, in quanto la corporazione proprietaria
ci riporterebbe pari pari all'esperienza bolscevica. Nonostante queste
prese di distanza — ma è da ricor- dare che anche Gentile precisò il suo
pensiero rispetto a quello di Spirito —, risulta evidente la marca di
fabbrica gentiliana della voce, anche se alcuni passi possono ricordare
formulazioni di Rocco: cosî nella dichiara- [Caparelli, La dottrina
fascista nel decennale, in Gerarchia Aquarone, L'organizzazione dello Stato
totalitario, Noi, La corporazione proprietaria, in Vita nova, ad es. il
discorso di Rocco, La dottrina zione del carattere assoluto dello
Stato e nell’affermazione della preminenza dello Stato sulla nazione — fatta
in implicita polemica con i nazionalisti” —, che sarà ripetuta da
Battaglia in Nazione, e non sarà negata nella voce Nazionalismo di
D'Andrea e Federzoni, preoccupati solo di dimostrare le origini
antidemocratiche del nazionalismo europeo, e contestare la primogenitura
francese sul nazionalismo italiano di Corradini; o nel paragrafo
sulla religione cattolica, in cui si dice che « il fascismo rispetta
il Dio degli asceti, dei santi, degli eroi e anche il Dio cosi
com'è visto e pregato dal cuore ingenuo e primitivo del popolo ». Pi
accentuata che non in Gentile è invece la negazione del secolo del
liberalismo, che vide, al contrario, la vittoria di Napoleone III e di
Bismarck il quale non seppe mai dove stesse di casa la religione
della libertà e di quali profeti si servisse, e, nel Risorgimento italiano,
l’apporto decisivo di Mazzini e Garibaldi, che liberali non furono. Ciò
che comunque interessa rilevare, al di là della ricerca delle sue fonti
teoriche, è il fatto che la voce, pur nella sua genericità, condensa quei
capisaldi dell’ideologia del fascismo che circolarono ampiamente negli
scritti di studiosi di scienze politiche, di giuristi, storici, economisti; né
sarà da dimenticare che, oltre a essere diffusa e commentata in
numerosissime edizioni, essa nella sua parte propriamente mussoliniana
(Dottrina politica e sociale), fu premessa allo statuto del Pnf.
Non vanno quindi considerate semplici enunciazioni propagandistiche
la.negazione del materialismo storico e della lotta di classe — con
espressioni in cui Gramsci coglieva l’in-flusso di Loria —, o quella del
pacifismo — ribadita in Pacifismo di Vecchio —, l’affermazione
della vocazione impetrialistica dell’Italia fascista, e la pretesa
del fascismo di presentarsi come il superatore, e l’inveratore, politica
del fascismo, in Scritti e discorsi politici, La formazione dello Stato
fascista, Milano, Giuffrè, Per una polemica esplicita cfr. Gentile, Origini e
dottrina del fascismo, Gramsci, Quaderni del carcere, del liberalismo
classico e del socialismo: un punto, que- st’ultimo, sul quale insisterà
anche Volpe nella parte della voce dedicata alla storia del movimento
fascista, in cui cercherà di dimostrare che, nell’età della politica
delle masse, il fascismo era l’erede genuino del socialismo: come il
socialismo di MUSSOLINI — che era specialmente una posizione di lotta — si aprî
all’accettazione piena dei valori nazionali, cosf questi valori non
misero troppo nell’ombra quel socialismo: il quale, respinto energicamente
come partito, respinto anche come dottrina e come filosofia a fondo
materialistico, rimase come senti- mento, rimase come simpatia per il
mondo del lavoro, come aspirazione a liberare le masse dal giogo del partito e
dalla corruzione della politica, allo scopo di promuoverne
l’autoeducazione, farne l'artefice diretto della propria fortuna, come
del resto era nella concezione dei sindacalisti. Con questa mistificazione
si completava cosî quella soprastruttura ideologica della borghesia
italiana che, osservò Lo Stato operaio, usa ora nuovi e pit raffinati
mezzi di oppressione e di sfruttamento per consolidare il proprio dominio e
prolungare la propria esistenza, Alle formulazioni di Fascismo si
fa un rinvio non solo formale nelle principali voci politiche e politico-economi-
che affidate a esponenti dell’attualismo come Battaglia e Spirito. Battaglia,
che fu uno degli animatori del dibattito sulla storia delle dottrine
poli- tiche sviluppando la distinzione crociana fra teoria e prassi
politica, tanto da ritenere che la storia delle dottrine politiche non
debba direttamente servire alle nostre attuali finalità, dimostra in
realtà, in voci come Democrazia, Partito, Stato, una stretta dipendenza
dall’elaborazione gentiliana e una precisa strumentalizzazione di questi
concetti in funzione dell’ideologia fascista. Occupandosi della
Demzocrazia nel periodo medievale e moderno, dopo aver sostenuto, sulla
traccia degli studi di Ercole sui Testoni, Battaglia, Oggetto e
metodo della storia delle dottrine politiche, in «Rivista storica
italiana, comuni e sulle signorie venete — che, come osserverà Chabod,
anch'egli debitore di Ercole, influirono largamente sul pensiero
storiografico fra le due guerre, con il loro assillo di cercare, ad ogni
costo, lo stato moderno già nel passato italiano —, che la signoria non è
« negazione sic et simpliciter del principato popolare, ché anzi le
sue origini in Italia derivano proprio dal popolo, di cui il
tiranno si atteggia difensore contro le classi privilegiate, e dopo ‘aver
osservato che l'ideale di piena democrazia vagheggiato dal Rousseau era
inattuabile, un regime di dei più che di uomini », Battaglia nota che
anche nelle società moderne la democrazia ha bisogno di alcuni presupposti
senza i quali non solo non fiorisce, bensî decade e conrrompe i popoli.
Facendo sue le tesi espresse dal liberale Bryce in Democrazie moderne —
un’opera tradotta in italiano da Occhi, e che è nella sostanza una
critica da secondo le quali « la democrazia si sviluppa su un sostrato di
diffuso benessere collettivo e fiorisce solo nei paesi abituati al
governo locale », pur essendo in crisi anche in paesi evoluti come la
Francia, Battaglia conclude che in Italia la democrazia
intesa come pratica di autogoverno non ha avuto una tradizione e una
linea. Lo stesso processo unitario ci spiega ciò. L’unificazione
amministrativa imposta da Torino tolse in fondo la possibilità di
quell’autogoverno locale che costituisce il fondamento della vera
democrazia e inutile fu anche l’allargamento del suffragio,
perché Chabod, Gli studi di storia del Rinascimento, in AA.VV.,
Cinuant'anni di vita intellettuale italiana, Scritti in onore di Croce
per a cura di Antoni e Mattioli, Napoli, Edizioni scientifiche
italiane, Per l’influenza di Ercole su Chabod, all’inizio della sua attività,
cfr. Pizzetti, Chabod storico delle Signorie, in Nuova rivista storica, Lu
Sebbene la democrazia si sia diffusa, e quantunque nessun paese, che ha
provata, dia dei segni di abbandonarla, noi non siamo autorizzati a ritenere,
cogli uomini, che essa sia la forma di governo naturale, e, perciò, a
lungo andare inevitabile (Bryce,
Democrazie moderne, Milano. L'opera sarà ristampata da Mondadori, sempre
a cura di Occhi, c’è rappresentanza vera solo dove c’è coscienza, ciò che in
Italia mancava [...; cosi] la democrazia italiana continuò la sua
vita stentata e in fondo illiberale nel trasformismo, che palliava
conati di dittature singole, finché si dimostrò impotente ad
arginare un moto come il fascismo, in parte espresso da quelle stesse
forze sindacalistiche che essa aveva ignorato. Parallela a
questa svalutazione della democrazia con- dotta sul piano storico, è la
negazione dell’esistenza di una vera e propria tirannia nelle moderne
società di massa (Tirannia e tirannicidio; da notare che nell’Exciclopedia
manca la voce Dittatura: c’è solo Dittatore per l’età romana):
infatti, spiega Battaglia, a parte che la pratica possibilità della
tirannia è ognora più ridotta, oggi il sistema dei controlli giuridici e
politici e la pressione dell’opinione pubblica sono tali che la figura del
despota exercitio appare affatto letteraria, Le moderne dittature facendo
appello al popolo, non solo per costituirsi attraverso i plebisciti i
titoli giuridici del potere o per sanarli se difettosi, bensi anche per
suffnagare del consenso nazionale ogni loro attività, appaiono poggiare
sulle masse più che le stesse democrazie. Insomma i fenomeni e le teorie
ac- cennate a proposito della tirannia hanno significato con riferimento
a piccole società politiche e non agli enormi aggregati statali
moderni. Mentre Ghisalberti svaluta la funzione svolta dal
Parlamento nella storia dell’Italia liberale — col fascismo invece « il
parlamento, che si avvia a un'ulteriore riforma in senso corporativo,
superiore alle piccole lotte d’un tempo, restituito alla sua naturale
funzione, ha svolto attiva, proficua opera legislativa » —, e Volpicelli
sviluppa una dura critica del concetto di rappresentanza » (Rappresentanza
politica)”, che nella esposizione della storia del principio
maggioritario Ruffini non è in grado di controbilanciare, Battaglia Lo
Stato in quanto « organizzazione totalitaria del corpo sociale, non può
né deve agire iure repraesentationis, ma iure proprio »; solo lo Stato
corporativo fascista «si afferma e si attua sempre più come uno stato
coincidente con la stessa e intera collettività nazionale corporativamente
organizzata », « perciò appunto sarà davvero libero e generale. Anche la prima
parte della voce, scritta da Luigi Rossi, critica i vari sistemi di
rappresentanza politica. Nella voce Maggioranza Ruffini, autore svolge
(Partito) la concezione del partito unico, che sembra legarsi in parte
alla tendenza oligarchica rilevata dalla scienza come necessaria nel
partito. Non rinnegando l’ampio fondamento democratico, esalta
l’aristocrazia militante dei primi confessori dell’idea e sublima
religiosamente il capo (Duce, Fiihrer). Il partito divien stato; acquista
rilievo giuridico, assurge personalità morale; è cosî composto,
gentilianamente, il contrasto individuo- Stato: l’esperienza del fascismo
e del nazismo non elimina la dialettica delle tendenze, sempre
operosa nel gruppo nazionale unitariamente inteso. Appunto perché il partito
unico s'identifica con lo stato, la dialettica non è fuori dallo stato e
questo sopra di essa, indifferente, ma nello stato in quanto formazione
etica, quindi nel partito in quanto, spiritualmente viva, si svolga, si
trasformi arricchendo i suoi strumenti, i suoi organi, le sue funzioni.
Elidere ogni varietà di motivi in un’instaurazione dogmatica di prin-
cipi rigidi è vano sogno, ché oltre gli schemi irrompe la vita e il
contrasto. Ciò non esclude che questa debba ricondursi nell’ambito
totalitario dello stato, nell’unicità etica che questo rappresenta, Dove
più esplicito e dispiegato è il debito di Battaglia verso Gentile, è
nella voce Stato, riprodotta negli Scritti di teoria dello Stato, a
testimonianza che l’influenza gentiliana non fu limitata entro i confini
del- l’Enciclopedia”. La storia dell'idea di Stato è ricostruita de
Il principio maggioritario, si limita ad affermare che il principio
maggioritario ha avuto contro di sé nel secolo scorso tutti gli avversari
delle istituzioni democratiche, i quali spesso commisero l'errore di colpire il
concetto tecnico giuridico di maggioranza quando volevano colpire quello
generico politico di moltitudine, di massa, dal punto di vista
aristocratico ». Questa voce ci sembra sopravvalutata in senso antifascista
da S. Caprioli nella riproposizione di Ruffini, Il principio maggiori-
tario, Milano, Adelphi. Nei termini della concezione dello Stato assoluto è
condotta anche la voce Reazione politica, in cui Battaglia afferma che
sia la rivo- luzione sia la reazione hanno «un motivo di verità. I! loro
contrasto è la vita dello stato, che ha sempre in sé rivoluzione e
reazione come libertà e autorità, diritto ideale e diritto positivo da
riaffermare. Sempre di Battaglia, ma più espositiva e con una nota
polemica contro gli assurdi del superuomo » e il razzismo affermatisi
nella Germania nazista, è Politica, rifusa in F. Battaglia, Lineamenti di
storia delle dottrine politiche, Roma, Foro italiano, dove però la nota
polemica ora accennata viene attenuata In una lettera a Bosco Battaglia
dichiarava in funzione della concezione attualista, difesa da Gentile, contro
le critiche dei cattolici, come una delle poche dottrine o miti elaborati
dal fascismo. Cosi, all'affermazione che senza l’inversione di valori,
non si sarebbe mai potuto addivenire all’idea di uno stato interiore ai
soggetti, quale l’età moderna esige e svolge, segue la critica del
giusna- turalismo, che conosce l’individuo, astrazion fatta dai
gruppi nei quali pur vive. La società nelle sue forme molteplici gli è
estranea. Si spiega quindi come esso, liberale e indifferente, ritenendo
nella tutela giuridica esaurito il suo compito, finisca per rivelarsi
impotente a disciplinare la vita delle classi inferiori, allorquando
queste nel sec. XIX cominciarono ad acquistare il senso della propria
importanza. Donde ciò che si è detto «crisi dello stato », come
l’esigenza di un'ulteriore integrazione, che, se nell’ordine pratico ha
trovato la sua realtà solo di recente con il fascismo, nell’ordine
teorico già era stata proclamata necessaria da più di un autore come
Fichte e Hegel (« avere riconosciuto la spiritualità dello stato è il suo
grande merito. I suoi problemi ripren- derà al principio del secolo
presente il neoidealismo italiano, rivivendoli in una esperienza affatto
nuova »). Assai estesa è l’esposizione della concezione gentiliana dello
Stato etico, tanto che Carlini accusa Battaglia di aver voluto
accreditare la filosofia di Gentile come filosofia del Pnf, rivendicando
invece l’originalità della dottrina fascista, non solo « integrazione »
pratica di quella gentiliana; di avervi « messo le mani due volte come la
Direzione desiderava » (AEI, Lettere, Battaglia). Gentile, Ideologie correnti e critiche facili,
in « Politica sociale. Ci dicono statolatri. Dacché è venuta la moda del
fascismo cattolico, frazione più o meno peticolosa ed eretica in seno al
fascismo, taluno ci parla con grande compunzione della necessità di non
lasciarsi attrarre dalla diabolica filosofia dello Stato etico. Uno spunto in
questo senso era stato fornito da Gentile, I fondamenti della filosofia del
diritto, Firenze, Sansoni, Cfr. anche F. Battaglia, I/ corporativismo come
essenza assoluta dello Stato, in « Archivio di studi corporativi,
che rinvia al capitolo sulla concezione dello Stato di Solari, Ts
etica e filosofica dello Stato moderno, Torino, L'Erma,
Carlini-Battaglia, Orientamenti, in Critica fascista, mai come ora,
specialmente in Italia, lo stato è reale nell’intendimento speculativo. La
filosofia non solo ne ha approfondito l’essenza ideale ma ha contribuito
a potenziarlo nella sua funzione storica, promuovendone il sentimento nel
popolo e l’uomo sociale, che la sua socialità dispiega nello stato, è
vicino a Dio, certo di Dio ha l’animo preso e i divini comandamenti fa
suoi per celebrarli ogni giorno; e Battaglia conclude la voce con
l’esposizione della dottrina fascista — continui sono i rinvii a
Fasciszzo —, nell’intento di dimostrare che lo Stato fascista non è
teocratico o assolutista, che, « opponendosi a due posizioni tradizionali
del pensiero politico, il giusnaturalismo liberale e il socialismo,
da questi rileva i motivi non perituri e li trasvaluta, e che la «
corporatività è la nota dominante dello
stato fascista », nel quale «cittadino lavoratore e soldato si
convertono assolutamente. Nella delineazione di aspetti essenziali
dell’ideologia e della cultura del fascismo spiccano, per alcuni accenti
per- sonali, le voci di Ugo Spirito Economia politica e
Liberalismo, scritte nel periodo in cui più intensa fu la sua
partecipazione al dibattito sul corporativismo, che si collegò
strettamente con la direzione, assieme ad Arnaldo Volpicelli, dei « Nuovi
studi di diritto, economia e politica. L’importanza di queste voci è
evidenziata anche dal ruolo centrale avuto da Spirito nell’Enciclopedia,
nella quale fu redattore per ben otto materie (filosofia, economia,
statistica, finanza, diritto, storia del diritto, materie ecclesiastiche e,
storia del culto), finché divenne segretario generale dell’opera, sempre
in un rapporto strettissimo con Gentile, ciò che dovette costituire
un motivo di preoccupazione per quanti temevano che la sua concezione del
corporativismo, quale si era espressa al convegno di Ferrara,
influenzasse Sulla collaborazione di Spirito all’Enciclopedia cfr.
Santomassimo, Spirito e il corporativismo, in Studi storici. Cfr. U. Spirito,
Memorie. gran parte dell’opera. Echi della sua posizione si avvertono in
effetti in queste due voci, in cui Spirito, pur senza riprendere la
proposta della « corporazione proprietaria », rivendica il « carattere
pubblicistico della proprietà privata. Nella parte storica delle voci l’autore
svolge, più che una descrizione delle concezioni precedenti quella
fascista, una serrata discussione con queste, diretta a condannare
l’individualismo delle teorie fisiocratiche, liberali e socialiste. Come quella
fisiocratica — si dice in Economia politica —, la scuola classica rimase «
tutta informata dal principio individualistico e liberistico proprio
dell’illuminismo, e anche quando « l’economia nazionale o il socialismo
affermavano la superiorità dell’ente nazione o classe o società su quello
d’individuo, muovevano tuttavia dal presupposto illuministico e liberale
che l’individuo particolare in qualche modo esistesse e avesse una realtà
propria diversa da quella dell’organismo di cui faceva parte, affermavano
cioè una superiorità della nazione o della società sull’individuo o una
subordinazione di questo a quelle, ma non giungevano a riconoscerne
l’essenziale identità dialettica. Solo in Italia il rinnovamento dell’economia
poli- tica « ha raggiunto politicamente e scientificamente uno
sviluppo d’importanza fondamentale. Proprio in Italia, infatti, la critica del
pensiero illuministico era stata più perentoriamente condotta e i suoi
risultati erano stati più decisivi. Né le nuove affermazioni idealistiche erano
state al margine della vita politica, ché anzi questa ne ha risen-
tito fortemente l’influsso, giungendo ad affermazioni pra- [Cosf
Preziosi, Spirito, in La Vita italiana, È da ricordare che nel corso dei lavori
preparatori del Codice civile vastissimo fu il dibattito sulla « funzione
sociale » della proprietà: uno dei suoi partecipanti più insigni e Pugliatti,
di cui cfr. ad es. la raccolta di saggi La proprietà nel nuovo diritto,
Milano, Giuffrè. Gl’economisti italiani come Galiani, aveva notato
Spirito, « anche quando più si discostano dalle teorie mercantilistiche e
più decisamente concordano con i fisiocrati, non accettano senza riserva
il dogmatismo individualistico e liberistico di questi ultimi e spesso
fanno posto a considerazioni di carattere che potremmo già definire
storicistico ».tiche addirittura rivoluzionarie »: con la Carta del
lavoro, ad esempio, « si dava il colpo di grazia al tradizionale
libe- rismo individualistico. Affermato il carattere pubblicistico
della proprietà privata, cadeva il fondamento dell’economia liberale -- l’homo
oeconomicus guidato dall’ofelimità -- , e ragione della vita economica diventava
l’identità del fine sta- tale e del fine individuale. In questa ultima
formulazione si riflette il ripiegamento di Spirito rispetto alla sua
primitiva proposta, che era decisamente accantonata, anche se in
Mussolini continuò a manifestarsi « una comprensione dei vantaggi che il
regime poteva trarre dal vigilato dispie- garsi di tendenze come quella
impersonata da Spirito, presentando Capitalismo e corporativismo, Spirito
affermava che nessuno più ardisce di scandalizzarsi se si parla di crisi
del capitalismo e di trasformazione in senso pubblicistico della pro-
prietà. Quell’economia programmatica, che allora non si sapeva scindere
dal sistema bolscevico, è ormai accettata come propria dal corporativismo
». La fondazione dell’Iri dimostrava che l'iniziativa privata non è più
l’idolo intangibile; rimarrebbe la terribile formula della corpo- razione
proprietaria, quella che ha generato tanto putiferio. Ebbene, lasciamola
pure da parte e non ci pensiamo pit. Io per conto mio ci ho pensato su
fino ad oggi e mi son convinto che, se si accetta tutto il resto, la
corporazione proprietaria può addirittura sembrare sorpassata. Ana-
loga a quella della voce, e tutta interna alla tematica gentiliana di individuo
e Stato, è la conclusione di Liberalismo, di cui è posto fin dall’inizio il
problema del suo sbocco nel corporativismo. La concezione che colloca
l’individuo al centro dell’uni- verso è seguita attraverso il
Rinascimento e la Riforma, il razionalismo cartesiano che è già il
principio della demo- [Santomassimo, Spirito, Capitalismo e
corporativismo, terza edizione riveduta ed ampliata, Firenze,
Sansoni, La voce era già stata
pubblicata in «Nuovi studi di diritto, eco nomia e politica», Nella nota bibliografica
Spirito giudica libri sbagliati la Storia del liberalismo europeo di Ruggiero e
la Storie d’Europa di Croce.] crazia del pensiero, la Dichiarazione dei diritti
dell’uomo e del cittadino dove è
il nucleo dell’individua- lismo liberale e insieme il limite che il
liberalismo non riuscirà mai a superare davvero, con l’affermazione
del- l’ANTI-STATALISMO e della proprietà privata. Conseguenza del
liberalismo sono considerati il dualismo tra governanti e governati, che
si manifesta attraverso l’istituto della rappresentanza, trionfo materialistico
del numero, e la democrazia, che in Rousseau mostra i suoi aspetti
deteriori, convertendosi nel suo contrario e generando, nella sete della
libertà, la peggiore schiavità ». Le contraddizioni del liberalismo,
sorte col riconoscimento della necessità di uno Stato e di un suo
intervento soprattutto nel campo economico, impongono secondo Spirito «
una revisione radicale del problema, e questa è individuata nella
tradizione italiana di pensiero, ricostruita secondo l’ottica gen-
tiliana, e nel corporativismo: I precedenti di tale revisione
vanno ricercati nel pensiero idealistico, che comincia a contrapporsi
all’affermazione del pensiero illuministico, razionalistico ed emiristico. Il
pensiero del Rinascimento italiano, di un individualismo n più profondo e
spirituale, per cui l’individuo stesso coincide con l’universale e
l’universale in esso s’incentra, comincia a dare i suoi frutti migliori,
in contrasto con l’astrattismo del pensiero franco-inglese. Nei pubblicisti
della nostra tradizione vichiana, nei filosofi dell’idealismo tedesco,
negli spiritualisti italiani della prima metà dell'Ottocento, comincia a
farsi strada un concetto di libertà politica, in cui il dualismo di
libertà e autorità, e quindi di individuo e stato, è riconosciuto come il
fondamento necessario della superiore sintesi in cui consiste la vera
libertà. In particolare, da Spaventa a Gentile, la tradizione del
pensiero italiano ed europeo viene determinata nelle sue linee essenziali,
e in essa si ritrovano gli elementi della nuova e più profonda fede nella
libertà, che avrà poi il suo sbocco nella rivoluzione fascista. Con
il «corporativismo integrale il fascismo si avvia infatti a risolvere,
afferma Spirito, le antinomie del liberalismo: l’individuo deve realizzare la
sua libertà e la sua iniziativa nella collaborazione, e riconoscere il
carattere pubblicistico della proprietà, mentre si svuotano cosî di
contenuto tutti i concetti tradizionali del liberalismo individualistico e
della democrazia, da quello di rappresentanza a quello di maggioranza, da
quello di eguaglianza a quello di elettoralismo; iniziativa privata e
intervento statale, e in conseguenza il problema dei rispettivi
limiti, diventano termini e problema senza significato. Il corporativismo
di Spirito sposta cosî l’accento sulla costruzione gerarchica dello
Stato, e negli anni seguenti, dopo la chiusura dei Nuovi studi, si
ridurrà, in campo economico, alla difesa della economia programmatica, in
cui l'affermazione del « carattere pubblicistico della proprietà — che come la proposta della corporazione
proprietaria mostra di non collocarsi al
di fuori della logica capitalistica — si precisa nella richiesta
dell’in- tervento statale reso necessario dalla crisi, A scanso di
equivoci, comunque, Maroi ricordò nella
voce Proprietà che « alcuni filosofi (Spirito, A. Volpicelli) hanno
sostenuto che in regime fascista il lavoro non può produrre una proprietà
privata perché l’individuo, come tale, in regime corporativo non esiste, e
che il sistema corporativo sboccherà nella corporazione proprietaria:
questa concezione è però autorevolmente com- battuta », concludeva,
rinviando alla nota su Individuo e Stato nella quale Gentile — allora
impegnato a redigere le Idee fondamentali della voce Fascismo, a
commento della posizione assunta da Spirito a Ferrara precisava
che la socializzazione e statizzazione corporativa importa sempre un
mar- gine individualistico, in cui il processo corporativo deve operare.
In Cfr., nell’Appendice,
Autarchia, Capitalismo (tutta la voce è dedicata alla «crisi del
capitalismo), Economia programmatica. «I precedenti delle nuove teorie —
scrive Spirito in quest’ultima voce — vanno ritrovati per una parte nei
postulati del socialismo e per l’altra nelle indagini circa
l’organizzazione scientifica del lavoro. Sul fordismo di Spirito cfr. Lanaro,
Appunti sul fascismo di sinistra. La ASA, corporativa di Spirito, in
Belfagor questo margine, ineliminabile, il rispetto dell’individuo è lo
stesso rispetto della corporazione: l’autolimitazione conseguente dello
Stato è la sua effettiva autorealizzazione. Lo Stato che inghiottisse
davvero l'individuo, riuscirebbe un pallone destinato subito a
sgonfiarsi. Il corporativismo, sente, sia pure confusamente, questo
pericolo, anzi questo destino del comunismo; e se ne vuol distinguere non
annullando quella sorgente di vita economica e morale che è
nell’individuo. Il timore che la posizione di sinistra di Spirito
influenzasse la trattazione delle materie economiche dell’Enciclopedia, non
aveva quindi ragion d’essere, come dimostrano del resto le voci di Graziani —
fra cui Bisogni, Capitale, Lavoro, Salario —, il quale aveva sostenuto
che il Capitalismo e nel rispetto della produzione e in quello della
distribuzione, manifesta superiorità spiccata sugli altri sistemi che lo
precedettero, e su tutti i sistemi imperniantisi sulla collettivizzazione
dei mezzi produttivi, nei quali si urterebbe contro la fondamentale difficoltà
dell’assegnazione rispettiva dei compiti e si dovrebbe ad ogni modo
attuare una distribuzione che toglierebbe i maggiori impulsi
all’operosità e all’accumulazione; se si aggiunge la forte coercizione,
intollerabile in paesi avanzati di civiltà, si scorge come essi
necessariamente addur- rebbero a decremento enorme di produzione e ad
arresto di progresso economico e sociale. Può essere infine interessante
notare come, almeno nell’Enciclopedia, vi fosse negli anni 30 un’intensa
corrispon- denza fra le formulazioni di questi studiosi di scienze
politiche e storico-economiche, e quelle di alcuni storici. Men- tre ad
esempio Spirito svolgeva una critica a fondo del libe- ralismo, nella
voce Borghesia Chabod avvalorava la pretesa del fascismo di presentarsi
antiborghese, negando l’esistenza, nell’età contemporanea, di quella
classe che del liberalismo aveva fatto la propria bandiera politica.
Come il primo utilizza Gentile, il secondo riprende, con alcune
correzioni, le osservazioni di Croce intese a distinguere « la borghesia
in significato spirituale, la borghesia che è detta cosîf per metafora (e
per non felice metafora) dalla bor- [Gentile, Individuo e Stato, in «
Giornale critico della filosofia italiana » ghesia in senso economico,
con la quale la prima si suole scambiare, e, peggio ancora,
deplorevolmente contaminare, con danno non solo della storiografia ma del
sano giudizio morale e politico. Mentre Croce respinge i termini «
borghese e borghesia per indicare « una
personalità spirituale intera, e, correlativamente, un’epoca storica, in
cui tale formazione spirituale domini o predomini, Chabod — che in quegli
anni fa sua la negazione ottoka- riana del criterio di classe nella
storiografia, e partecipa del largo interesse che circondò nell’Italia
fra le due guerre, non solo fra gli studiosi cattolici, l’opera di sociologi
come Weber e Sombart che in opposizione al marxismo avevano dato la
« dimostrazione “scientifica” della priorità dello spirituale sul materiale,
della religione sulla economia — ritiene
che storia dello spirito borghese non è altro se non storia dello spirito
moderno, che ha certo permeato di sé dapprima un certo ceto sociale, gli
bomzines novi, contrapposti alla feudalità e ai chierici, e con ciò
alle concezioni medievali; ma non è più oggi identificabile, sic et
simpliciter, con un solo, determinato gruppo sociale. E se oggi ancora
certi atteggiamenti spirituali e morali fonda- mentali paiono più
strettamente connessi con “la borghesia”, classe sociale; in effetto sfuggono
al dominio di un’etichetta sociologica, e sono atteggiamenti anche
di molti di coloro che combattono la borghesia in quanto ceto
sociale ». A differenza di Croce, e pur distinguendo fra borghesia e
capitalismo — rimane, mal- [Croce,
Di un equivoco concetto storico. La « borghesia », ora in Etica e
politica, Bari, Laterza, Garosci, Sul concetto di «borghesia». Verifica
storica di un saggio crociano, in Miscellanea Walter Maturi, Torino,
Giappichelli, Croce. Pizzetti, Federico Chabod storico delle Signorie. ZI È
un'osservazione riferita a Weber da D. Cantimori (ora in Storici e
storia, Torino, Einaudi. L'etica protestante e lo spirito del capitalismo
di Weber fu presentata nei « Nuovi studi » di Spirito e Volpicelli da
Sestan, che vi notava una reazione al marxismo (cfr. l’introduzione di
Sestan alla nuova edizione, Firenze, Sansoni, Chabod recensi Der
Bowrgeois di Sombart in « Rivista storica italiana » grado tutto,
l’ideale della vita ordinata e scevra di troppo gravi turbamenti: onde i
borghesi si trovarono fuori del trionfo pieno di quella stessa mentalità
capitalistica, di cui pure avevano nei secoli precedenti costituito il
prodromo —, Chabod ammette quindi per l’età moderna l’esistenza di una «
mentalità borghese », proiezione spirituale della borghesia come classe
(idee di tolleranza religiosa e di libertà civile, ma anche, nel periodo
della rivoluzione francese, idee astratte, antistoriche — talora anche
pue- rili »), ma ribadisce che di essa non è più possibile parlare
nell’età contemporanea, nella quale siffatta mentalità non è più
esclusiva della borghesia, come ceto sociale. Ché, anzi, proprio per
l’influsso della borghesia — cioè del ceto socialmente, politicamente,
culturalmente dominante nell’Europa —
tale mentalità ha permeato largamente di sé parte della vecchia nobiltà,
e specialmente gran parte degli strati inferiori della popolazione. Il
lavoratore si è contrapposto al borghese, nell’Europa: ma quanti punti di
contatto tra la men- talità dell’uno e quella dell’altro: quale influsso
del secondo sul primo! I miti di progresso e d’umanità, di fratellanza e
d’uguaglianza, che ai borghesi avevano servito di arma contro le
vecchie classi privilegiate, sono ritorti dagli agitatori socialisti contro la
borghesia stessa e divengono ancora arma di lotta, con altro bersaglio.
Ma per ciò appunto quanta affinità tra gli uni e gli altri! La forma
mentis del borghese ha permeato di sé assai pit ampio strato sociale; si
è imposta, anche quando pareva combattuta; e, se prima aveva potuto
costituire veramente la forma mentis carat- teristica d’un determinato
ceto sociale, ora si dissolve come tale, perde le sue peculiarità «
classiste ». Dove si evidenzia l’affinità con la conclusione della
voce Borghesia scritta per il Dizionario di politica del Pnf da
Salvatore Valitutti: « La società fascista che nello Stato totalitario ha
la sua espressione ignora l’esistenza di ceti o classi a sé stanti e
pertanto la parola borghesia è destituita di ogni significato
attuale. La voce di Chabod dimostra quindi come la mistifi- cazione
arrivasse, per forza di cose, fino alle sfere più rare- fatte di quella
cultura che pure, soggettivamente, si ritene del tutto indipendente dai volgari
messaggi rivolti alla massa, secondo quanto ha osservato Badaloni,
e indica come molteplici fossero — in questo caso Weber e Sombart,
e la stessa riflessione crociana — i contributi utilizzati per definire
un’ideologia e una cultura del fascismo. Sempre nell’ambito delle voci
politiche incontriamo due casi particolari, quelli degli antifascisti
Solari e Mondolfo, utilizzati per le loro competenze specifiche — argomenti di filosofia del
diritto, connessi con la tematica della libertà, il primo; storia del
socialismo e del movimento operaio, il secondo —, e la cui presenza
potrebbe confermare il giudizio di quanti hanno negato la connessione fra
la vera cultura e il fascismo, ricavandone, in particolare, una valutazione «
assolutoria » nei confronti dell’Enciclopedia. Ci sembra tuttavia
azzardato dedurre dalla presenza di antifascisti in un’opera
collettiva il carattere oggettivamente antifascista della loro
collaborazione scritta, senza cercare di cogliere lo spazio dei loro
contributi rispetto ad altri, e di approfondire gli eventuali punti di
convergenza — o di non contraddizione — fra la loro produzione
scientifica e quanto probabilmente lo stesso Gentile, in assenza di una
specifica sezione dedicata alla Politica, chiede loro. [La
partecipazione di Solari, il quale aveva accettato con entusiasmo di
collaborare all’Enciclopedia, che vuol essere espressione del pensiero
italiano nei suoi più alti esponenti e nelle sue più alte manifestazioni,
pone forse più problemi di quella di MONDOLFO. Solari è infatti
impegnato, in quegli stessi anni, in un’importante ed equilibrata opera
di delucidazione della concezione liberale dello Stato e dei concetti di
liberalismo, costituzionalismo, Badaloni -Muscetta, Labriola,
Croce, Gentile, Solari a Gentile,(AEI, Leztere, Solari. democrazia
nelle dottrine politiche, che contrasta col metodo inquisitorio con cui
questi erano esa- minati ad esempio da Spirito nell’Enciclopedia —
non è giusto fare il Rousseau responsabile della degenerazione in
senso realistico e materialistico dell'ideale democratico, sembra
rispondergli Solari —; egli oppone nel 1931, alla valorizzazione de I/
concetto dello Stato in Hegel fatta da Gentile, la scoperta hegeliana
della società civile — «la scoperta della società civile come concetto
autonomo fu il grande merito di Hegel, maggiore di quello che
solitamente gli si attribuisce di aver rinnovato il sentimento e la
dignità dello Stato » ?! —, e confutando la concezione dello Stato
corporativo espressa da Volpicelli osserva che il neoidealismo ha
deviato dalla tradizione hegeliana (almeno quale io la intendo)
circa la natura e i fini dello Stato. Il neo-hegelismo tende, a mio
credete, verso un individualismo idealistico quando concepisce lo Stato
non in sé e per sé, ma nelle forme e nei limiti dell’individuo
concreto, singolo o associato che sia. Lo Stato è etico non perché vive
in inte- riore homine, ma perché è esso stesso realtà e sostanza etica
che non si concreta solo negli individui, ma progressivamente nella
famiglia, nelle associazioni, nella nazione, nell’umanità. E tuttavia
sarebbe necessario valutare come poté inse- Solari, La formazione
storica e filosofica dello Stato moderno, Torino, Giappichelli, DI
Solari, Il concetto di società civile in Hegel, in «Rivista di filosofia
», ora in La filosofia politica, a cura di Firpo, Bari, Laterza, Cfr.
anche Solari, Lo Stato conse libertà, in Rivista di filosofia : come
organo di valori universali e non solo di interessi nazionali o
corporativi, lo Stato può dirsi anche storicamente etico, purché sia ben
fermo che esso non è valore supremo e neppure esclusivo, che la sua
eticità è misurata dal grado con cui realizza esteriormente, cioè coi
mezzi imperfetti e limitati dal diritto, la socialità che è la forma
concreta nella quale individui e popoli affermano la loro libertà. Per
una riflessione sulla società civile parallela a quella di Solari cfr.
Zaccaria, L'itinerario politico di Capograssi. Il problema del rapporto tra la
società e lo Stato, in da Pensinto politico, Solari, Stato corporativo e
Stato etico (Lettera aperta al prof. A. Volpicelti in Nuovi studi di
diritto, economia e politica; cfr. anche la Risposta dl prof. Solari di
Volpicelli. rirsi nell'impresa diretta da Gentile la sua ricerca di una
filosofia sociale del diritto, « fermissima sempre nel respin- gere
l'egoismo implicito nelle varie dottrine individuali stiche, germogliate
dal giusnaturalismo e dall’utilitarismo, ma impenetrabile altresi al
materialismo dialettico marxiano, e vedere se ciò fu possibile solo per
l’esistenza di comuni negazioni — l’individualismo e il marxismo —,
o anche perché la sua riflessione, dopo aver abbandonato, all’inizio del
secolo, i suoi presupposti positivistici (e ten- denzialmente
filosocialisti), sviluppandosi come idealismo sociale trova più che un
semplice correttivo ** nel neo- idealismo italiano. In questa sede si può
solo propendere per la prima ipotesi, constatando come nella maggior
parte delle voci di Solari vi siano — con la messa in sordina del
tema della società civile — forti scarti rispetto a quanto scriveva
contemporaneamente fuori dell’Ewciclopedia, per cui esse non turbano
l’immagine generale dello Stato for- nita dall'opera, anche se esprimono
in maniera più equili- brata e problematica di quanto non facciano gli
attualisti il problema dei rapporti fra diritti individuali, società
e Stato. Una esplicita distinzione fra il proprio idealismo
sociale e quello di Croce e di Gentile si ha solo in una delle prime
voci, Filosofia del diritto, sottovoce di Diritto. L’idealismo del Croce e del
Gentile, fondandosi su una dialettica dello spirito individuale, portava
logicamente a risolvere il diritto nell’attività utilitaria o in quella
etica dello spirito. Legittima pertanto deve apparire l’esigenza di cercare al
diritto un fondamento suo proprio, d’intendere l’attività giuridica come
attività autonoma dello spirito. Come espressione di questa esigenza fu
in ogni tempo il diritto inteso come attività dell'uomo storico e
sociale, come rela- [Cosî Firpo nella Introduzione a Solari, La filosofia
politica, Bobbio non vede nel passaggio di Solari all’idealismo un rivolgimento
dei suoi principi (L'insegnamento di Solari, ora in Italia civile,
Manduria-Bari-Perugia, Lacaita). Per una valutazione complessiva
dell’opera di Solari cfr. anche AA.VV., Solari Testimonianze e bibliografia nel
centenario della nascita, Torino, Memorie dell’Accademia delle scienze,
in particolare il saggio di Bobbio su Lo studio di
Hegel. L'Enciclopedia italiana] zione, come proporzione personale e reale,
come manifestazione della coscienza collettiva. In Italia la scuola
giobertiana, rivissuta dal CARLE nelle sue applicazioni al diritto, sostiene
che in tal senso si affermò la costante tradizione della filosofia
italiana. Il dogma della nazionalità e socialità del diritto è incompatibile
con l’idealismo economico e morale, l’uno e l’altro fondati sul
presupposto che il diritto è attività dello spirito individuale. Ma a liberare
l’idealismo nazionale e sociale dagli elementi empirici e contingenti con
i quali va congiunto, è necessario elaborare una dialettica dello spirito
collettivo e ripren- dere la tradizione storico-romantica del periodo
post-kantiano, la quale pose le condizioni di una concezione idealistica
del diritto come espressione dell’Io sociale. Ma la posizione di
Solari non ebbe poi modo di dispie- garsi. In alcune voci l’accento cade,
come in quelle di Battaglia e di Spirito, sulla condanna delle teorie
individualistiche cui viene opposto il valore supremo dello Stato: mentre
il contrattualismo tende logicamente a una teorica individualista dello stato,
in modo da « giustificare cost l’estremo assolutismo, come l’estremo
liberalismo, in Giustizia ci si sofferma sulla concezione di Hegel, per
dire che in lui la giustizia è libertà ma questa non esclude, anzi
postula la necessità e la naturalità; essa si attua astrat- tamente
nell’individuo e nei rapporti interindividuali, ma solo nello stato si
afferma in forma concreta e universale »; in modo altrettanto conciso si
sostiene che eticità per Hegel è sinonimo di socialità, e questa è il
risultato di un processo dialettico che culmina nello stato
(Naturale, diritto). Ma anche per Diritti di libertà, citata da
Bobbio come esempio di antifascismo, è da notare che è solo una
sottovoce di Libertà — affidata nei suoi termini generali, ed esclusivamente
filosofici (per la bibliografia si rinvia a Etica), ad Guzzo, un
attualista mosso da una forte esigenza religiosa, per il quale « la
libertà è oggi considerata come la spiritualità stessa —, e che in essa Solari non esprime
un’opinione personale: pur partendo dall’affermazione che condizione di
sviluppo della personalità è la libertà, vi espone infatti la teorica dei
diritti di libertà elaborata da Locke e da Kant, e quindi la
reazione Bobbio, Le cultura e il fascismo. da essa suscitata, prima con
Hobbes, Spinoza e Rousseau, poi nel periodo postkantiano, fra gli altri
da Hegel, che poneva in rilievo il processo dialettico per cui la
libertà astratta dell’individuo diventa reale nello stato. Un discorso
per certi versi analogo a quello di Solari può essere fatto per la
collaborazione di Mondolfo, autore delle voci principali relative alla
storia del socialismo e del movimento operaio. La scelta di quello che
era stato l’animatore del dibattito sul marxismo riapertosi in Italia,
dopo la sconfitta del movimento operaio ad opera del fascismo,
corrisponde anche in questo caso al criterio della « competenza », ma non
appare in contraddi- zione con i motivi ispiratori dell’Enciclopedia: era
lo stesso criterio che aveva suggerito a Bevione e a Salata di
affidare a Bonomi la biografia di Bissolati, poi redatta dall’ex
bissolatiano Cabrini, che aveva messo in risalto l'orientamento nazionale
pit che quello socialista del biografato. Le voci di Mondolfo, che non
sembra abbiano subîto censure, sono lontane dal taglio anonimo, anche se
cor- [Luporini, Il marxismo e la cultura italiana del Novecento, in
Storia d’Italia, V,I documenti, 2, Torino, Einaudi. Bevione scrive a
Salata, che dirigeva allora la sezione « Storia contemporanea »: «penso
che qualcuno può scrivere l’articolo con ben maggiore ricchezza di dati e
intima conoscenza del tema: ed è Bonomi né obbiezioni potranno venire
alla Direzione del- l’E.[nciclopedia] da alcuno per questo incarico, data
la purezza e la sere- nità di Bonomi, da tutti riconosciuta. A Bonomi
avevo pensato an- ch'io, fin da principio — scriveva Salata a Menghini. Ma
allora mi era parso di dover evitare la scelta di un uomo cosî in vista
nelle vicende politiche post-belliche. Ora il giudizio su Bonomi è —
credo anche nelle altissime gerarchie del partito fascista — più calmo »
(AFI, Lettere, Salata). Cabrini era stato cancellato nel 1929 dall’elenco
dei « sovversivi (cfr. la voce di A. Rosada in F. Andreucci - T. Detti,
Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori
Riuniti). Mondolfo, da me interpellato sulla sua partecipazione
all’Enciclopedia, risponde.Per la mia collaborazione ho avuto solo
rapporti diretti con Gentile, che era mio amico personale, come antico
condiscepolo a Firenze, e che sempre rimase tale benché io polemizzassi
con lui a proposito di Feuerbach e Marx e di Bruno e Tocco. Ciò non impedî
che egli m'’invitasse a collaborare alla Enciclopedia proprio su un
tema (Bruno) che e oggetto di una nostra polemica.] retto, di voci come
Exgels scritta da Manfredi Gravina, alto commissario per la Società delle
Nazioni a Danzica, o da quello polemico del Marx di Graziani, che
mette in rilievo le censure gravi cui andrebbe incontro ad esempio
la teoria marxiana del valore; esse invece, mentre ambiscono ad avere un
andamento espositivo ed obiettivo, riflettono al tempo stesso la
concezione dell’autore de I/ materialismo storico in Engels e di Sulle
orme di Marx, per cui evidenziano, al di là della « competenza, la
profonda consonanza di Mondolfo con l’impostazione idealistica e gentiliana.
Anche se queste voci rappresentano dopo la biografia di Labriola di Dal
Pane e l'edizione Croce de La concezione materialistica della
storia di Labriola, l’esposizione più ampia della teoria e della prassi
del socialismo e del comunismo, è quindi dif- ficile convenire con
l’opinione di chi ha affermato che esse erano « le fonti più accessibili,
senza suscitare sospetti, alle quali i giovani, che studiavano sul serio,
potevano attingere per cercare una spiegazione e una giustificazione alle
con- tinue denigrazioni che il fascismo faceva di quelle idee e dei
loro movimenti. Per chi studiava sul serio dovette. avere maggiore
efficacia la diretta riproposizione crociana di Labriola, che non la
valutazione mondolfiana della concezione marxista e socialista, profondamente
influenzata dalla lettura di Gentile, e scissa da una positiva
considerazione dei movimenti reali. Parlando dell’influenza di LABRIOLA (si
veda) su Mondolfo, Garin ha osservato
che in quest’ultimo. l’equilibrio della filosofia della prassi è tanto
insidiato in E debbo dire che né per questa né per le altre voci si
limitò affatto la mia assoluta libertà di trattazione (unico limite fu
quello dello spazio dispo- nibile), di giudizio e di espressione; né mai
mi chiese o propose il minimo cambiamento, neppure di una virgola. Credo
pertanto di dover rico- noscere che Gentile si mantenne con me al di
sopra dei dissensi politici e filosofici che ci dividevano, e credo che
ispirò a criteri ed esigenze di carattere scientifico i rappotti con i
collaboratori, nella sua direzione dell’impresa dell’Enciclopedia Bassi, Mondolfo
nella vita e nel pensiero socialista, Bologna, Tamari Suggerimenti per
una corretta lettura delle voci di Mondolfo ha fornito Garin, Mondolfo e
la cultura italiana, in Filosofia e marxismo nell'opera di Mondolfo,
Firenze, La Nuova Italia, direzione idealistica, da suscitare in lui una
sintomatica in- terpretazione in senso deterministico della concezione
dell’autocritica delle cose, che, a parte l’espressione verbale, aveva
ben altro valore. E non a caso , riproponendo sulle pagine della Rivista di
filosofia la lettura mondolfiana del materialismo storico, Levi osserva
che la « gnoseologia del calunniato materialismo storico coincide in
alcuni punti fondamentali con quella di una delle più celebrate correnti
dell’idealismo storico, cioè con la gnoseologia di VICO (si veda), e,
infine, che il concetto marxistico della umwélzende Praxis sembra
convenire con quella, che io chiamerei l’orientazione storicistica del
liberalismo. Come non si conosce e non s’intende se non facendo (ripete
Marx con VICO), cosi non si mutano le condizioni esteriori se non mutando
se stessi, e reciprocamente non si muta se stessi se non mutan- do
le condizioni del proprio vivere, afferma Mondolfo trattando del Muaterialismo
storico — sottovoce di Materialismo di Allmayer, ribattezzato « con-
cezione critico-pratica della storia. Dopo aver opposto alle
interpretazioni economicistiche quella di Man, Mondolfo sottolinea infatti il
carattere soggettivistico, e quasi vitalistico, ma non per questo meno
deterministico, del materialismo storico: « Vita che è lotta, in cui né
le forme e condizioni esistenti possono arrestare le forze vive che
si volgono contro di esse, né le forze innovatrici possono operare
se non tenendo conto delle forme e condizioni esi- stenti, sia pure per
rovesciarle e superarle ». Ne risulta un’ accentuazione gradualistica del
processo storico, che si rias- sume nella definizione di Sorel del
materialismo storico come « consiglio di prudenza ai rivoluzionari
». Manifestazione della continuità della storia, che non A,
Labriola, La concezione materialistica della storia, a cura e con
un'introduzione di E. Garin, Bari, Laterza, Nella voce Labriola Mondolfo
scriveva: «C'è una dialettica della storia e autocritica delle cose; ma
le cose sono la praxis stessa umana Levi,
Um'interpretazione del materialismo storico, in «Rivista di filosofia ». Anche
Levi aveva considerato sbagliato il termine « materialismo storico.] conosce
fratture rivoluzionarie — nel progresso, che è incremento, non è il caso
di andar cercando assoluti cangiamenti qualitativi ossia creazioni di novità
assolute e senza precedenti, aveva affermato Mondolfo sulla base del
pensiero di Bruno, in discussione con Barbagallo , è la stessa storia del comunismo e del
socialismo: i due termini sono dilatati cronologicamente fino a
comprendere l’antichità. Ciò vale in primo luogo per il comunismo,
che non è soltanto programma di rivendicazione e d’azione di una
classe proletaria, ma si presenta nella storia anche come stato di
fatto, dovuto sia alla primordialità indifferenziata della società umana,
sia a necessità belliche (Lipari), sia ad ascetismo religioso che svaluta
i beni terreni e reprime il desiderio del possesso individuale
(es., comunità monastiche), e può anche essere un ideale etico-politico
di società, che voglia eliminati gli interessi particolari fonte di
conflitti, per la solidale ricerca del bene comune (come in utopie
antiche e moderne) (Socialismo). Il comunismo, mentre è in certe
forme storiche estra- neo alle esigenze socialistiche di elevazione ed
emancipazione di classi, nella società contemporanea rappresenta la forma
estrema del socialismo, che alle altre si oppone per il radicalismo
dogmatico del suo programma, per la fede nell’efficacia risolutiva della
violenza, per la decisione rivoluzionaria della sua azione, e trova espressione
nella dottrina — più mista di bakuninismo, blanquismo e sindacalismo, che
aderente al marxismo — professata dai socia- listi maggioritari (Comunismo).Ma
anche per [Mondolfo, Razionalità e irrazionalità della storia. Per una
visione realistica del problema del progresso, in Nuova rivista storica A
proposito di BRUNO (si veda) Mondolfo scrivea Gentile. Vedrai dal manoscritto
che le mie opinioni sulla distinzione delle fasi del pensiero bruniano,
fatta da TOCCO, si sono modificate per cedere il posto allo sforzo di coglierne
l’unità e continuità, pur fra le contraddizioni ed oscillazioni (AEI,
Lettere, Mondolfo). La concezione critico-pratica del marxismo — conclude la
voce —, che per ogni esperimento storico domanda la maturità delle condizioni
oggettive e soggettive, non risulta per ora smentita dall’esperienza, in
favore della concezione blanquistica, che tutto riduceva alla conquista
del potere. E le difficoltà, che rendono tempestoso il cammino della
rivoluzione bolscevica, non lasciano prevedere ancora a quale porto essa
sia destinata ad approdare ». Per i giudizi di Mondolfo sulla
Rivoluzione d’ottobre cfr. Studi sulla rivoluzione russa, Napoli, Morano,
il socialismo è necessario risalire all’antichità classica e al
cristianesimo, « contro l'opinione dei non pochi studiosi che dichiarano
il socialismo sviluppo esclusivamente mo- derno, prodotto della doppia
rivoluzione — politica e industriale — con cui si passa dalla società
feudale alla capitalistica » (Socialismo). Già prima della duplice rivoluzione
una tappa decisiva per lo sviluppo del socialismo e del comunismo moderni
è costituita dal pensiero degli illuministi, Montesquieu e Turgot in
primo luogo. E l’elemento costitutivo del socia- lismo era
individuato da Mondolfo nella buzzanitas, cioè nella « affermazione
storica più vasta e universale di quella coscienza e dignità della
persona umana in quanto tale, che è l’essenziale concetto di Rousseau,
inspiratore degli immortali principi della rivoluzione francese 2%, ora la sua
essenza è vista in quella esigenza morale di libertà, di affermazione e
sviluppo della personalità umana nel lavoratore, che costituisce la forza viva
e il valore etico del socialismo moderno, con le sue rivendicazioni di
autonomia dei lavoratori e di eliminazione delle differenze di classe
(Socialismo). Scissa da una precisa identificazione con un
movimento reale, la concezione socialista consiste in ultima analisi
in una generica aspirazione alla giustizia che percorre, in forme
diverse, tutta la storia dell'umanità: era una presentazione che,
indipendentemente dalle intenzioni dell’autore, poteva trovare punti di
convergenza, o quanto meno di confusione, con quella fatta dalla voce
Fascismo, secondo la quale, colpito il socialismo nei suoi due capisaldi del materialismo
storico e della lotta di classe, « di esso non resta allora che Sul
rapporto di continuità-rottura fra illuminismo e storicismo cfr. quanto
Mondolfo scrive nella voce Helvétius. Osserverà Marx contro Owen,
discepolo di Helvétius: “l’educatore stesso deve venire educato. Il coincidere
del variare dell'ambiente e dell’attività umana può essere inteso
razionalmente solo come praxis che si rovescia”, ossia come concreto processo
dialettico della storia, in cui di continuo l’effetto si converte in causa e
l’uomo non è prodotto passivo, ma antitesi operosa alle condizioni
esistenti. La contraddizione in cui Helvétius resta impigliato si risolve
nello storicismo. Mondolfo, Umanismo di Marx. Studi filosofici,
introduzione di Bobbio, Torino, Einaudi l'aspirazione sentimentale — antica
come l’umanità — a una convivenza sociale nella quale siano alleviate le
soffe- renze e i dolori della più umile gente. Il socialismo
come umanesimo universalistico, già affermato in polemica con Rosselli,
fino ad accettare la trasformazione della lotta di classe in
collaborazione di classe, trova nell’Enciclopedia una delineazione concreta
nella trattazione del movimento operaio italiano. Lo smarrimento e la
confusione sorgono più gravi nell'immediato dopoguerra, per l’irruzione
improvvisa di masse caotiche nelle organizzazioni a portarvi l’ondata dei
malcontenti incomposti e la suggestione del mito russo: il
rivoluzionarismo delle nuove reclute sopraffà d’un tratto i vecchi cauti
condottieri. Ma questo sindacalismo rivoluzionario è presto sgominato
dal- l'insorgente sindacalismo fascista; la nuova legislazione si
avvia grado a grado a convertire il sindacalismo in corporativismo, che al
principio della lotta di classe sostituisce quello della solidarietà
nazionale. Con la Carta del lavoro il corporativismo fascista afferma
recisamente la dignità e la nobiltà del lavoro e l’importanza e i diritti
della classe operaia. I fini universali del movimento operaio si
realizzano nel potenziamento della nazione: La stessa lotta contro il
capitalismo avido di profitti è affermazione di un più alto concetto della
ricchezza: non privilegio e dominio, rientrante nella sfera dell’arbitrio
individuale, ma bene sociale che deve essere usato e volto a fini di
utilità nazionale. E nell’atto stesso che le rivendicazioni operaie hanno
portato a una limitazione dei profitti capitalistici, hanno anche
impresso all’industria e all’agricoltura un fecondo impulso di rinnovamento,
che ha significato un accrescimento della produzione e, quindi, un
elevamento generale Mondolfo, Ursanismo di Marx, Sulla base
di un ampio esame degli scritti di Mondolfo, Marramao ha affermato che «
saranno proprio le categorie di coscienza di classe e di rovesciamento della
prassi i cardini teoretici della difesa ad oltranza della collaborazione, e che
è sintomatico come il nostro autore trascorra dal concetto di totalità
della classe a quello di collaborazione, logica conseguenza politica
dell’universalismo che si realizza progressivamente nella “coscienza di
classe (Marxismo e revisionismo in
Italia, dalla « Critica sociale » al dibattito sul leninismo, Bari, De
Donato, delle possibilità e dei tenori di vita nazionali (Operaio
movimento, In questo modo le contraddizioni sociali si annullano, e
ai fini della produzione e della distribuzione della ric- chezza
nazionale il movimento operaio viene a svolgere una funzione analoga a
quella delineata da Michels per Li LI , di equilibrato rafforzamento di
tutte e classi: È evidente, in realtà, che dall’impetialismo
economico possono nascere, per le classi inferiori, vantaggi effettivi
anche dal lato del consumo, qualora esso abbia per effetto l’incremento
dell’importa- zione di materie di prima necessità il cui buon mercato faccia
calare i prezzi locali aumentando correlativamente la capacità d’acquisto dei
salari e dei piccoli redditi. Gentile, Volpe e il nazionalismo
storiografico Se operiamo un’altra verifica nel settore storico, con
particolare riguardo alla storia italiana moderna e con- temporanea,
troviamo confermata l’impressione che il rapporto fra gli intellettuali e le
scelte politiche o politico-cul- turali del periodo fascista sia stato
assai stretto e passasse attraverso mediazioni culturali che sono
precedenti al fascismo ma che col fascismo si chiariscono, come nel caso
di Volpe; e ciò vale anche per quegli intellettuali che, per abito
scientifico o per temi studiati, sono stati considerati più lontani da
una compromissione con l’ideologia del fascismo. Lo stesso Momigliano, che alle
voci sto- [In Sindacalismo Mondolfo afferma: Del sindacalismo
rivoluzionario parve per un momento allo stesso Sorel figlia la
rivoluzione dei Sovieti, coi consigli degli operai e contadini; ma ben
presto è apparso evidente che tutto quanto il sistema sindacale è posto
in essa sotto la ferrea direzione e dominazione dello stato. E
nell’affermazione del valore supremo dello stato è agli antipodi del
sindacalismo rivoluzionario anche il sindacalismo fascista, imitato poi
dal socialnazionalismo tedesco. Nel concetto fascista rivive l’esigenza
dei valori eroici, rivive il concetto di una società di produttori, in
cui l’uomo è cittadino in quanto produttore; ma è respinta la lotta di
classe: i sindacati di datori e prestatori di lavoro sono unificati nella
corporazione, tutte le corporazioni nella nazione, la cui personalità
morale si riassume nello stato.] riche dell’Exciclopedia dette un larghissimo
contributo e fu in stretto contatto con gli storici che vi lavoravano,
ha parlato di un bilancio in perdita » per tutto quel gruppo di
storici, fatta eccezione per Cantimori e Chabod?: osservazione probabilmente
troppo drastica, ma che invita ad un approccio alla storiografia del
periodo fascista non solo in termini di pura storia delle idee; anche
attenendosi a questo solo piano, comunque, da un esame di alcune voci
vedremo che molteplici sono le influenze che agiscono su storici
come Chabod e Maturi, per i quali le testimonianze e gli studi
hanno finora valorizzato esclusivamente l’insegnamento di Croce. Non
è infatti possibile non tener conto del quadro complessivo di cui fa parte lo
stesso settore storico dell’Erciclopedia, cioè di quella vasta opera di
organizzazione della cultura storica che si ebbe durante il fascismo e
che attende ancora di essere studiata. Protagonista ne fu, per la
storia moderna e contemporanea, Gioacchino Volpe, che riuscî a
coinvolgere pienamente nei suoi programmi di lavoro anche storici che,
come Morandi, avevano già manifestato un diverso e autonomo orienta-
mento culturale, e che sotto la sua guida, o negli istituti, nelle
riviste e nelle collane da lui diretti, si dedicarono a una intensa
attività di ricerca in campi diversi — per poi concentrarsi attorno alla
storia della politica estera italiana, in un momento in cui
l’imperialismo fascista esaltava la politica di potenza dello stato —, risentendo in varia misura dell’«
eclettismo » storiografico e di singoli giudizi di Volpe. Negando contro
l’opinione di Maturi l’esistenza di una svolta nella storiografia
italiana, Ottokar lamenta la persistenza dei vecchi preconcetti della
scuola giuridico-economica (È illusione credere che la formula del
materialismo storico sia superata nella produzione storiografica
odierna), e indicava a modello Volpe, fin dall’inizio del secolo «
sostanzialmente immune Momigliano, Appunti su Chabod storico, Cfr. le
osservazioni di E. Ragionieri, Carlo Morandi, in « Belfagor, da questi
semplicismi materialistici, perché sembra che nel marxismo egli abbia
soprattutto sentito la parte più profonda e pit feconda, vale a dire
l’idea dell’unità e dell’interdipendenza, e non l’esagerazione delle antitesi e
dei contrasti che porta ad una visione isolatrice e materializzatrice. Comunque
si voglia giudicare la storiografia di Volpe, nel segno della continuità
o del cambiamento, nel periodo fascista essa si propose effettivamente
come modello di una storiografia politica di impronta nazionalistica ed
esaltatrice dello Stato-potenza, pur mantenendo alcuni « residui » del precedente
interesse per la storia sociale. Essa ebbe modo di imporsi attraverso gli
istituti storici di cui magna pars fu Volpe, impegnato fra l’altro
a dissolvere anche istituzionalmente la storia del Risorgi- mento
nella storia secolare della nazione italiana sorta col Medioevo, pur se a
questo programma fece resistenza la Società nazionale per la storia del
Risorgimento: la Scuola di storia moderna e contemporanea, collegata
fin dalle origini con il COMITATO NAZIONALE PER LA STORIA DEL RISORGIMENTO,
si propose infatti la pubblicazione delle fonti di storia italiana,
programma che fu fatto proprio dal Comitato sotto la direzione di
Gentile, per poi passare all’Istituto storico italiano per l’età moderna e
con- temporanea che assorbi il Comitato. Oggi infatti — scrive
Gentile riecheggiando Volpe — il quadro della storia del Risorgimento
italiano, malgrado la superstite specializzazione di alcuni suoi cultori, si
slarga; e comprende non solo gli immediati antecedenti del secolo delle
riforme, ma tutta la storia moderna d’Italia dal declinare di quella
frammentaria vita comunale, che è il primo erompere della vita nazionale
ancora in- [Ottokar, Osservazioni sulle condizioni presenti della
storiografia in Italia, in « Civiltà moderna », Inte- ressanti notazioni
sul rapporto Volpe-materialismo storico anche in Volpicelli, Volpe, in La Fiera
letteraria. Cfr. Cervelli, Volpe, cit., e le mie osservazioni in Il
problema Volpe, Una prima riflessione su questa complessa rete organizzativa
è stata fornita da S. Soldani, Risorgimento, ne Il mondo
contemporaneo, Storia d’Italia, Firenze, La Nuova Italia, conscia e
incurante della propria unità e ignara di ogni esigenza di
organizzazione, fino alla formazione del regno d’Italia e alla prima
grande prova della sua volontà e della sua potenza nella guerra mondiale.
Le sezioni enciclopediche su alcune delle cui voci ci soffermeremo, quella di
Storia medievale e moderna diretta da Volpe, e quella di Storia del
Risorgimento diretta da Menghini — legato a Gentile anche per altre
iniziative editoriali, come la collana « Studi e documenti di storia del
Risorgimento di Le Monnier —, si presentano come uno dei frutti di questa
vasta opera di organizzazione culturale, e videro impegnati quasi tutti
gli storici che prestavano la loro opera negli istituti di ricerca del
regime. Con ciò non si vuol dire che questi intellettuali si
ridussero a « funzionari » del regime”, ma solo indicare la loro
relativa omogeneità raggiunta negli anni ’30 e la permea- bilità di molti
di loro all’ideologia nazionalistica propagan- data dal fascismo — e che
nell’Enciclopedia si manifestò nel larghissimo spazio concesso alla
storia di Roma e a quella d’Italia —, pur nella varietà delle influenze
sul piano del metodo e dei giudizi: per cui la presenza della
lezione crociana non è di per sé un segno, in molti casi, di
differenziazione ideologica dall’orientamento nazionalistico. Sul piano
metodologico nell’Enciclopedia, come in quasi tutta la storiografia
italiana del periodo, trionfa quella concezione idealistica, sia etico-politica
alla Croce sia « reali- stica alla Volpe, che aveva trovato un
elemento unificatore nel concetto di «classe politica ». « Sul concetto
di classe politica — osserva Maturi —, inteso eticamente o realisticamente,
sono tutti d’accordo: Croce e Gentile, Salvemini e Ottokar. Ad esso
si riduce in fondo anche il concetto di nazione nel Volpe,
Prefazione di Gentile all’Annuario del Comitato nazionale per la
storia del Risorgimento, Bologna, Zanichelli. Cfr. anche G. Gentile, Dal
Comitato nazionale per la storia del Risorgimento dl R. Istituto storico
italiano per l’età moderna e contemporanea. Relazione a S.E. il Ministro
della Educazione nazionale, Sancasciano Val di Pesa, Stianti, Secondo
quanto afferma invece M. Ciliberto, Intellettuali e fascismo. Saggio su Delio
Cantimori, Bari, De Donato, ad es. a p. 15. come si vede dal suo libro L'Italia
in cammino, ove, al centro della narrazione, è l’analisi dei ceti dirigenti del
Risorgi- mento e della nuova Italia, Non a caso alcuni anni dopo
nella voce Storia Antoni annoverava fra i rinnovatori della storiografia
italiana, accanto a Croce e Gentile, Mosca e Volpe. È indubitabile dunque
che, al di là di scuole o di parti politiche, agli storici
dell’Erciclopedia fosse ben presente anche la lezione di Croce, come
testimonia il fatto che Nicolini, incaricato di predisporre un piano di
voci di storia della storiografia, si sentisse autorizzato a chiedere
consiglio a Croce, che nel- l’argomento è forse lo studioso più
competente di Europa », e a proporre per sé una sottosezione di storia
della storio- grafia, in modo che le voci passerebbero sotto gli occhi
di Benedetto. Ma non permette di cogliere la complessità delle
influenze che si esercitarono sui maggiori storici operanti fra le due guerre,
ridurre tutto il problema alla questione del metodo e privilegiare quindi
l’insegnamento di Croce, per affermare che l’attualismo gentiliano « nel
campo degli studi storici non esercitava che un’influenza limitata,
e in nessun modo tale da far sf che esso fosse accolto in prima persona
dagli storici migliori della nuova generazione idealistica » #*. Se
spesso, come nel caso di Maturi cui in particolare si ‘riferisce questa
osservazione, il metodo è quello di Croce, scelte tematiche e singoli
giudizi nad fonti diverse e talvolta contrastanti, e rinviano in
molti casi, come vedremo, a Volpe e a Gentile. Volpe aveva del resto
cercato di orientare il lavoro dei collaboratori della sua sezione
suggerendo delle Norme e criteri per la redazione degli articoli di
storia medioevale e moderna, in cui invitava alla valorizzazione della
storia italiana , ma richiamava anche la necessità — come già
Maturi, La crisi della storiografia politica italiana, in Rivista
storica italiana. AEI, Lettere, Nicolini. Cosî Salvadori, Maturi,
in «Nuova rivista storica. Per alcune considerazioni sugli interventi
storiografici di Gentile cfr. A. Negri, L’interpretazione del
Risorgimento di Gentile, in Critica storica. Non apologie, né propaganda,
né polemiche. Tuttavia, poiché aveva fatto nel Programma per una storia
d’Italia — di combinare storia politica e storia sociale, attenzione per lo
Stato e per la vita economica, e avvertiva ditener conto delle implicazioni
politiche ed economiche della storia della Chiesa. Sembra che a queste
indicazioni, in cui si intrecciavano le varie componenti della
storiografia volpiana — se pur spicca l’accento posto sulla ricerca
dello Stato anche nell’età comunale —, ci si sia attenuti in molti
casi, ad esempio in alcune voci giudicate esemplari da Cha- bod nei primi
volumi, come Amburgo di Luzzatto, attento alla vita economica della
città, o la Storia dell’America di Doria, dove l’autore si sofferma sulle
caratteristiche della colonizzazione e sulla riduzione in schiaviti degli
indios, senza nascondersi gli interessi economici dei missionari, che in
taluni casi furono « piu spietati dei conquistatori ». Pi in generale,
nelle voci dedicate agli Stati non italiani — che costituirono un banco
di prova si tratta di una Enciclopedia Italiana, ai collaboratori
incaricati di trattare la storia degli altri paesi si chiede che si
compiacciano di dar rilievo a quella che può essere stata la
ripercussione di avvenimenti e personaggi italiani su la vita dei paesi
stessi ». Le Norme sono riprodotte in Le predisposizione del lavoro in
una grande impresa scientifico-editoriale. L'Enciclopedia italiana
dell'Istituto Treccani, in L'organizza-zione scientifica del lavoro, Gli
articoli sugli Stati, piccoli o grandi, medioevali e moderni, non siano
il quadro delle vicende dinastiche (apposite voci sono dedicate alle
dinastie e famiglie regnanti), né il mero racconto degli avvenimenti
politico-militari, ma presentino la storia politica, largamente intesa,
di una nazione o popolo, ne mettano in luce la struttura economica
e sociale e le vicende demografiche. Un posto maggiore che non le
altre opere simili l’Enciclopedia Italiana darà alla storia delle città, e
in particolare di quelle italiane, specialmente nell’epoca in cui le
città furono centri autonomi di energica vita, piccoli Stati di fatto, se
anche giuridicamente limitati. Quindi si devono presentare queste città nel
loro nascere o rinascere medioevale e anche moderno, le forze sociali che
in esse si raccolgono, la loro vita economica, le loro istituzioni, i
personaggi più notevoli, Negli articoli di Storia della Chiesa, che è
quasi sempre anche storia civile e politica, sarà da tener conto dell’uno
e dell’altro elemento, salvo i casi speciali in cui sarà espressamente
avvertito che dell’elemento religioso debba trattare a parte un altro
scrittore. Discorrendo di missio- nari, non si trascurino le finalità, i
moventi e i riflessi culturali, econo- mici, spesso politici e nazionali
della loro azione. Degli ordini monastici si metta in luce l’importanza
civile ed economica. Archivio storico italiano,
completamente nuovo per gli storici dell’Enciclopedia — si può
osservare un’attenzione per i molteplici aspetti della loro storia e un
notevole equilibrio di giudizio — come in Stati Uniti di Sestan e in URSS
(anonima) —, anche se, quando ci si avvicina alle vicende contemporanee
(e quindi soprattutto nell’Apperndice), si avverte l'influenza
della propaganda politica del fascismo: ad esempio occupandosi della Francia di
Morandi — che faceva cosî la sua prima esperienza di commentatore
politico, nelle cui vesti sarà particolarmente attivo sulle pagine
de Il Mondo — minimizzerà il significato
dell’esperienza del Fronte popolare. Quando invece si tratta di valu-
tare i momenti rivoluzionari o i punti cruciali del dibattito
storiografico, si tende a tacere — è il caso della Comune di Parigi, cui
è dedicato appena un accenno da Georges Bourgin (« governo municipale di
radicali e socialisti ») sotto la voce Parigi, storia —, o a evidenziare
i motivi ideolo- gici nella ricostruzione storica, come nelle voci
dedicate alla Rivoluzione francese e alla storia italiana.
Appare naturale che il significato della Rivoluzione francese sia
sottoposto a severa critica nell’Enciclopedia, data la diffusa polemica,
da Croce al fascismo, contro i principi. Né stupisce, pur apparendo in un’opera
scientifica, la rozzezza con la quale Francesco Ercole tratteggia la figura
di Danton (La sua crescente influenza sugli elementi più torbidi e inquieti del
popolo parigino era dovuta, non meno alle sue qualità fisiche, alla
massiccia vigoria della persona, alla bruttezza suggestiva del
volto butterato dal vaiolo, alla voce stentorea, che alla suggestione
morale esercitata dalla sua consueta audacia di parole e di gesti. Ciò
che interessa notare è invece, da un lato, Chabod giudicò
l’Enciclopedia mezzo e incentivo ad arricchire gli interessi della nostra
cultura, ad ampliare lo sguardo dei nostri studiosi a determinare — sia pure in
pochi uomini — volontà e proposito di affrontare, finalmente, problemi
che non siano quelli soliti, cari alla nostra storiografia. Cfr. anche
Gentile, L'Enciclopedia Italiana, Eppure Bourgin era autore di vari studi
sulla Comune, dall’Histoire de la Commune a Les premières journées de la
Commune l'ampiezza dei giudizi negativi su di essa che sono fatti propri
anche da Chabod — « Ma le idee, una volta messe in circolazione, sfuggono
al controllo di chi le crea: e cosî fu che all’illuminismo, alienissimo
dalle violente e aperte rivoluzioni politiche e sociali, s’appellassero quelli
che, poco più tardi, dovevano far sorgere il novus ordo: alquanto
diverso, in verità, da quello auspicato dai filosofi, e grondante di
sangue (Illuminismo); e, dall’altro, la
stretta interscambiabilità fra posizioni scientifiche e
ideologiche, per cui tornano alla mente i contenuti di alcune voci
poli- tiche. L'importanza della Rivoluzione francese nella storia
europea non è certo disconosciuta da Ghisalberti che, dopo aver analizzato le
differenti posizioni delle varie classi sociali nell’89, afferma che essa
recò a termine con la sua violenza l’opera condotta nei secoli
dalla monarchia dell’antico regime e abbatté le sopravvivenze
feudali e le disparità sociali, consacrò l’importanza e la forza della
borghesia, accentuò e unificò il governo e l’amministrazione, accelerò il già
iniziato trapasso della proprietà, rese uguali gli uomini davanti alla
legge (Francese, rivoluzione). Anche nella voce Rivoluzione Crosa cita
del resto la Rivoluzione francese accanto alla rivoluzione fascista come «
rinnovamento essenziale d’idee e di principi per cui, o direttamente o
indirettamente, si produssero trasformazioni politiche di suprema
importanza. Ma, come in Fascismo si era detto che « il fascismo è
contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica; ed è
contro tutte le utopie e le innova- zioni giacobine, cosf Ghisalberti
precisa subito la sua valutazione della Rivoluzione francese affermando che mezzo
secolo di dogmatismo ideologico prepara il dogmatismo democratico dei
giacobini »; e, mentre alle critiche all’ordi- namento sociale fondato
sulla proprietà mosse da Morelly o Brissot contrappone, come « più
rivoluzionarie, le proposte dei fisiocratici, coglie il difetto della
Dichiarazione dei diritti nel fatto che l’umanità è anteposta alla
Francia, l’individuo alla società: un giudizio che ricorda quello
espresso da Spirito in Liberaliszzo, e che Ghisalberti ribadisce quando
afferma che con la costituzione figlia della paura », «la rivoluzione ha
trovato la sua soluzione borghese e alla disuguaglianza del
privilegio ha sostituito quella del censo, gettando cosi i germi di
futuri conflitti sociali S,
Il giudizio limitativo dei principi coinvolge naturalmente l’illuminismo
e i suoi esponenti, affacciandosi anche in Illuminismo di Chabod, che pur
ne riconosce tutta l’importanza per la storia del progresso umano: quello
che non andò perduto — cosî conclude la voce — fu il nocciolo stesso
dell’illuminismo e cioè l’aver fissato su basi puramente umane e
razionali la vita dell’uomo e dell’umanità. In questa concezione d’insieme —
che corona e completa e sistema definitivamente le prime conquiste
del Rinascimento italiano — è il valore ideale dell’illumini- smo
». Eppure Chabod insiste anche in altri passi sul collegamento col Rinascimento
italiano e, mentre sulla trac- cia di Philosophie der Aufklirung di
Cassirer trascura l’opera dei pensatori sensisti, non nasconde la sua
diffidenza per l’elemento che distinguerebbe l’illuminismo dal
Rinascimento, cioè l’interesse dei philosophes per la dif- fusione
universale della cultura, anche presso quella molti- tudine
che doveva sentirsi facilmente e pienamente appagata dalla chiarezza
e linearità delle idee che le venivano poste innanzi, da una filosofia
che s’appellava alle leggi di una ragione molte volte identificabile
col buon senso comune, e quindi di facilissima recezione, e che in
nome di questa ragione-buon senso bandiva le sue crociate contro
certa storia, vicina o remota: proprio come piace alle moltitudini, per
le quali il senso storico rappresenta il più difficile e complicato
del misteri, e proprio com’era necessario allora, dato il clima storico
di quell’età, Ancora più evidente è il carattere ideologico della
ricostruzione storiografica — per cui quest’ultima si trasforma nell’«
apologia » che Volpe aveva invitato ad evitare — Per trovare una
valutazione complessiva della politica di Robe spierre bisogna ricorrere
non alla voce dedicatagli da Francesco Lemmi, e ne fa il
responsabile del carnaio, ma a Terrore di Maturi. Anche l’opera di
Federico II di Prussia è opposta da Chabod al « dottrinarismo astratto di
un Giuseppe II ». nella voce Italia, scritta proprio da Volpe, da
Rodolico, e Ghisalberti. La voce non affronta esplicitamente, come è
stato osservato, il problema dell’unità della storia d’Italia, ma riproduce
tuttavia la periodizzazione posta a base del Programma, che vedeva
profilarsi la nazione italiana fin dall’alto Medioevo. In essa assai più
marcato è però il motivo della continuità con la storia romana — alla
quale, con la prei- storia, è dedicata la prima parte della voce —, in
modo da far risaltare come l’Italia, culla della civiltà latina e
sede della Chiesa cattolica, abbia avuto fin dall’antichità il privilegio
di essere il centro del mondo: è lo stesso Momigliano ad affermare che con la
dissoluzione di L’IMPERO ROMANO l’Italia si avviò a una nuova sua storia. La
quale continua bensi e non dimentica quella di Roma e del suo impero,
anzi, con la Chiesa, che continua l’universalità dell'impero, mantiene la
sua funzione di primato spirituale; ma solo dalla caduta dell'impero la
storia italiana si svolge autonoma e con propri destini: la faticosa
conquista d’una forma politica per l’unità nazionale del popolo
italiano. L’anticipazione dell’esistenza di una coscienza nazionale
e di una tradizione politica unitaria è in Volpe assai netta, anche
rispetto a suoi giudizi precedenti:nella prefazione al Medioevo italiano, egli
coglieva nell’età comunale « uno dei momenti di più energica fecondità
della storia d’Italia, anzi come l’inizio ricco e promettente di
questa storia, segnato appunto dal sorgere dello Stato (Stato di città
nel Nord e nel centro d’Italia, Stato monarchico e territoriale nel sud)
e della borghesia italiana, e dal delineatsi di un popolo italiano che è
creatura nuova e pur sente lo stimolo a crearsi una tradizione e trovarla
in Roma, nella voce enciclopedica, dopo aver affermato che già con
Odoacre, si ha il restringersi alla sola penisola del senso politico
della parola Italia », Volpe insiste — più Sestan, Per la storia
di un'idea storiografica: l'idea di una unità della storia italiana, in «
Rivista storica italiana, Ora in Volpe,
Storici e maestri, di quanto non avesse fatto Solmi — sull’importanza del
dominio longobardo che « fondò in Italia una tradizione politica di unità
». Tutta la storia successiva gli appare un progressivo disvelamento
della coscienza nazionale, soprattutto a partire dal secolo XI c
dalla nascita dei Comuni, e quindi con ALIGHERI e Cola di RIENZO, con la
« crescente unificazione dello spirito ita- liano » promossa
dall’Umanesimo, visto come un
momento del Risorgimento, che è cosa del pasato ed è cosa presente e immanente
a tutta la storia italiana, dalla caduta di Roma e dalle invasioni in poi
— afferma Volpe che tendeva appunto a una d ilatazione e
dissoluzione del concetto di Risorgimento —, finché a Vittorio Amedeo II appare
chiaro « il fine ultimo della politica sabauda: che era quello di
chiudere le porte d’Italia a francesi e tedeschi e rendersi signori
col tempo di gran parte della penisola ». Accanto alla precoce
affermazione di una coscienza nazionale, Volpe individua nel Comune e nel
podestà « il delinearsi più netto di un ente, lo stato che nasce », e
sottolinea in più punti, come aveva avvertito nel Programma per una storia
d’Italia, la « funzione italiana e quasi nazionale che assolve il papato:
questa comincia ad apparire già al tempo di Carlo Magno, ritorna
all’epoca di Federico II, per poi affermarsi con la Controriforma quando
« il pontificato romano, nella lotta al protestantesimo, si mosse nella
direzione segnata dallo spirito del popolo italiano, e l’Italia, politicamente divisa, ma unita nella
cultura, priva ancora come è di più intimi e propri centri, si appoggia,
nel lento maturare della sua coscienza nazionale, al papato. Come aveva
tratto nel suo cerchio ideale Roma antica, cosi ora Roma papale,
nella quale vedeva, accanto a una funzione cattolica, anche una
funzione nazionale e italiana. Molti altri aspetti potrebbero essere
sottolineati nella ricostruzione volpiana — come l’ampio rilievo dato
alla rivolta antispagnola —,
mentre non mette conto Solmi, Discorsi sulla storia d’Italia,
Firenze, La Nuova Italia, soffermarsi sulle parti della voce redatte da
Rodolico e Ghisalberti — improntate a una storiografia puramente
événémentielle e aproblematica, in cui le preoccupazioni ideologiche si
fanno via via prevalenti —, se non per rilevare, nel primo, l’esaltazione del
sanfedismo (« pagine di fierezza di popolo) e della missione nazionale
assolta da Carlo Alberto ancor prima del 1848, e, nel secondo, la
caricatura del peggior Volpe de L'Italia in cammino che si conclude con
una apologia del fascismo. Due contributi, questi, che non reggono il
confronto con la narrazione volpiana, capace in alcuni momenti di presentare la
complessità del processo storico e di aprirsi alla considerazione di
aspetti economici e sociali: con più forza nella connota- zione delle
origini del Comune — già Ottokar aveva rile- vato come esso fosse «
composto di elementi economica- mente e socialmente assai eterogenei »
(Comune) —, ma anche nella valutazione delle basi sociali della
Signoria, per cui Volpe accetta nelle linee generali la tesi di
Ercole della sua origine « popolare » anche se poi opera delle
differenziazioni fra Venezia e Firenze e tra le vatie fasi della storia
fiorentina; ma sempre con un certo interesse per la correlazione tra
storia politica e storia sociale, che manca invece in Giorgio Falco, il
quale nella Signoria — un tema su cui si concentrò l’attenzione di gran
parte della storio- grafia italiana tra le due guerre, in cerca
dell’origine dello Stato moderno e di una nuova classe dirigente —
sotto- linea « la tendenza all’affermazione di potenti individualità » e
la prefigurazione della futura storia d’Italia: il Principe di MACHIAVELLI,
infatti, « con la sua esaltazione della sovrana virt4 fondatrice di
stato, liberatrice d’Italia, riassume i due motivi dell’età delle
signorie: ciò che essa aveva prodotto, lo stato creazione dell’uomo; ciò
che essa aveva invocato, la nazione, ed era il compito dell’avve-
nire » Pizzetti, Chabod storico delle Signorie, Se alla radice delle signorie
sta, non di rado — afferma Falco —, un conflitto di natura sociale ed
economica e se, com'è ovvio, gl’interessi economici hanno parte in maniera
generica nell’origine e nello svolgi- Se infine, in questo assai
rapido e incompleto esame del settore di storia moderna e contemporanea,
prendiamo in considerazione alcuni contributi di storia italiana di
due intellettuali, come Chabod e Maturi, per i quali più spesso si
è sottolineata l’ascendenza crociana, possiamo notare che nei loro
giudizi essi sono largamente debitori di Volpe e di Gentile e quindi,
almeno indirettamente, dell’impronta nazionalistica di questi ultimi; con
ciò non si vuole espri- mere, com’è naturale, un giudizio generale
sull’opera di Chabod e di Maturi nel periodo fascista — che
dovrebbe tener conto ad esempio, per il primo, e per limitarsi
all’Ex- ciclopedia, anche del contributo su Machiavelli, che nel
suo rigore scientifico si contrappone alla presentazione deci- samente
nazionalistica che ne aveva fatto Ercole —, ma solo contribuire a chiarire le
caratteristiche complessive dell’Enciclopedia come manifestazione cultu-
rale del fascismo. Accenti nazionalistici sono presenti, infatti,
in Rimascimento di Chabod, che pur qui (come nella comunicazione su Il
Rinascimento nelle recenti interpretazioni) si preoccupa di negare — in un
periodo in cui assai accese, e non immuni da preconcetti ideologici,
erano le controversie sulla periodizzazione — la continuità col
Medioevo, contestando la tesi di quanti, come Thode e Burdach, hanno
messo in luce « gli elementi storico-ideologici che ricollegano il trionfante
movimento dei secoli XIV e XV ad aspirazioni, credenze, idee dell’età
precedente, e di quanti, come Volpe, hanno operato un analogo
allargamento del quadro cronologico mettendo in rilievomento della nuova
istituzione, caratteristica di essa, quando riesce a mettere radice, è
essenzialmente l’affermazione e il trionfo di una volontà politica, una
dissociazione dell’esercizio del potere dalle attività della produzione e
dello scambio, dalle organizzazioni di arte e di classe, una soggezione
lenta e progressiva di queste e di quelle agli scopi dell’uomo di
governo, infine, dello stato » (Signorie e Principati,Per alcune indicazioni
sul dibattito su Machiavelli nel periodo fascista cfr. M. Ciliberto,
Appunti per una storia della fortuna di Macbhiavelli in Italia: Ercole e Russo,
in Studi storici, Ora in Chabod, Scritti sul Rinascimento, Torino,
Einaudi, « gli elementi storico-pratici che collegano età dei
comuni e Rinascimento tradizionale, e hanno prospettato il Rinascimento
come il moto stesso di ascesa del popolo italiano, nella sua coscienza di
nazione, nella sua attività politica ed economica oltre che culturale e
artistica, e hanno pertanto fatto tutt'uno fra Rinascimento e storia del
popolo italiano a partire dal sec. XI ». In realtà il distacco da Volpe
si manifesta soprattutto nella sostanziale esclusione degli aspetti
politici ed economici rilevati da Volpe già in Bizantinismo e Rinascenza, e
ancora nella voce Italia, e nella caratterizzazione kulturgeschichtlich
del periodo, per cui se il Rinascimento è divenuto una categoria
storica, lo è — al pari degli altri e simili concetti di Illuminismo
e Romanticismo — nell’unico significato possibile, e cioè di un
momento storico della vita spirituale europea, di un periodo filosofico,
letterario, artistico, che si origina certo da una determinata realtà
politica e sociale nuova, ma che, ad un certo momento, si dispiega per
cosî dire in modo autonomo e, tratto da quella realtà il succo vivo di
cui alimentarsi, lo elabora poi concettualmente e immaginativamente, ne fa un
mondo a sé, mondo di idee di dottrine di creazioni artistiche che si
dispiega sino ad esaurimento della sua interiore virtà. Ma nella voce
enciclopedica, a differenza della comunicazione, la distinzione
iniziale tra il Rinascimento e il periodo precedente, affermata nell’analisi
delle interpretazioni, è contraddetta quando Chabod passa a enucleare gli
elementi costitutivi dell’ epoca. Mentre nega la tesi di un «
rinnovamento spirituale europeo » che si sarebbe verificato in Francia e
nei Paesi Bassi, riprende il motivo della continuità e insiste sul
carattere esclusivamente italiano e perfino nazionale del Rinascimento,
preparato lentamente, che vide in Italia lo sviluppo dei Comuni e della
borghesia: Nel Rinascimento, afferma Volpe, «è come se la società
italiana, la borghesia italiana nata dalle città, celebri se stessa
riuscita a essere, da nulla che era, tutto o quasi tutto; come se celebri
la signoria e il signore, che era pur egli, a modo suo, creatura di
quella borghesia e, a modo suo, attuava quell’ideale dell’uomo che si fa
da sé » (Italia). E la graduale conquista di un proprio mondo spirituale
da parte di chi aveva, già prima, dato nuove basi alla propria attività
pratica e alla propria vita quotidiana. Era infatti una società nuova,
quella ch’era venuta affermandosi nell’Italia, e specialmente
nell’Italia settentrionale e centrale. Come ceio sociale, era già ben
robusto e capace quello che, con termine moderno, chiameremmo borghesia, ormai
differenziato nettamente dai chierici e dai feudatari. Questo gagliardo e
irrompente fiotto di vita nuova trovava presso che subito una sua prima,
grande espres- sione morale e spirituale, ma non sul terreno della
cultura cosiddetta laica, bensf su terreno prettamente religioso.] ora,
all’inizio del secolo XIII, era la società italiana tutta quanta che
appalesava le sue rinnovate esigenze di vita morale nel movimento
francescano. Che era il grande apporto della nuova nazione italiana alla
storia della religiosità europea. In questo recupero
dell’interpretazione volpiana — anche Cantimori, sul Dizionario di
politica, aveva individuato nel Rinascimento la presenza di un «
senti- mento nazionale unitario italiano » — il trasferimento nell’ambito prettamente
umano di idee che prima avevano trovato la loro ragion d’essere nella
fede in Dio è seguito nel suo lento cammino, che dal francescanesimo
porta a Dante, a Cola di Rienzo, a Petrarca e infine a Machiavelli, cioè
attraverso l’erompere delle nuove, giovani forze che danno vita alla
nazione italiana, con una genealogia che richiama quella proposta da
Gentile nella sua ricerca della nazionalità della filosofia. Per
converso, il tra- monto del Rinascimento si ha, afferma Chabod in un
passo finale della voce in cui già Cantimori ha colto il ripiegare
sul piano della storia nazionale dell’interesse precipuo dello storico
valdostano per il fenomeno europeo e cosmopolitico del
Rinascimento, Cola di Rienzo e oggetto di grande attenzione nel periodo
fascista in quanto espressione — come afferma Falco nella voce a lui
dedicata — lella « coscienza italiana. Cfr. le osservazioni di
Garin in Gentile, Storia della filosofia italiana, Firenze, Sansoni,
Cantimori, Chabod storico della vita religiosa italiana, ora in Storici e
storia, Analizza la voce, come « caratterizzazione “spirituale” del
Rinascimento, E. Sestan, Rinascimento e crisi italiana del Cinquecento nel
pensiero di Chabod, in Rivista storica italiana, in stretta connessione
con l’infiacchimento della vita italiana, con la iniziantesi decadenza
politica ed economica, con il venir meno delle grandi speranze e della
volontà d’azione, in una parola con il tramonto delle forze creatrici che
avevano dato alimento ed essere alla muova civiltà e ne avevano fatto
l’espressione piena del vigoroso sorgere della nazione italiana.
Pit precisa ancora è l’influenza di Volpe e di Gentile che —
accanto a una forte sensibilità per il conflitto tra ethos e kratos su
cui aveva attirato l’attenzione Meinecke
—, si può riscontrare in alcune voci risorgimentali di Maturi, che
pur Volpe giudicherà « liberale, liberalissimo, come in politica, cosi in
storiografia, assai aperto alle in- fluenze di Benedetto Croce », e tra i
suoi allievi forse il più
distaccato, nell’intimo, dal mondo del fascismo, Tornando a valutare la sua
celebre voce Risorgimento, Maturi la presentò come una decisa ri- sposta
alla tesi nazionalistica ?; tuttavia, se è vero che in essa l’autore si
opponeva alla dissoluzione del Risorgimento nella secolare storia
italiana, non è sufficiente limitarsi a definirla una interpretazione «
rigorosamente etico-politi- ca » senza precisarne le fonti ?. Assai netta
appare infatti la sottolineatura delle origini autoctone del
Risorgimento, L’idea della ragion di Stato di Meinecke era stata fatta
conoscere da Chabod in un articolo (ora in Lezioni di metodo storico,
a cura di L. Firpo, Bari, Laterza), mentre Cosmopolitismo e Stato
nazionale era stato tradotto da La Nuova Italia : sono testi
probabilmente presenti a Maturi, che anche nelle voci enciclopediche
avverte il contrasto tra politica e morale, tra Stato e idea di
nazionalità, soprattutto nella Restaurazione, nella quale «si elaborano
da un lato i concetti di stato forte e di potenza, dall'altro quelli di
libertà e di civiltà (Restaurazione).
L’opera degli Svizzeri e dei Tedeschi fu immensa per la formazione delle
coscienze nazionali europee, ma fu opera essen- zialmente culturale: per
fare trionfare in pratica il principio ci volevano diplomatici e rivoluzionari.
Alessandro fu il primo ad agitare l’idea della nazionalità » (Storia del
principio di nazionalità, sottovoce di Nazione di Battaglia).
Volpe, Storici e maestri, Maturi, Gli studi di storia moderna e contemporanea,
in Cinquanta anni di vita intellettuale italiana, La sua interpretazione
è stata fatta propria da E. Sestan, Maturi, in « Rivista storica italiana, (l’articolo esamina anche le altre voci di
Maturi), e da Salvadori, Maturi, cSalvadori, Walter Maturi, cit.,
sganciato da ogni rapporto con la Rivoluzione francese. Ma, allora,
avrebbero ragione gli storici francesi, che fanno ancora risalire alla
rivoluzione francese il nostro Risorgimento, si chiede Maturi una volta
confutate le tesi sabaudista e diplomatica delle origini del
Risorgimento: Ciò che distingue la nostra tesi da quella francese,
rappresentata ancora dal Bourgin, è il valore che noi diamo all’epoca del
dispotismo illuminato e al principio della lotta delle nazioni. Senza le riforme
del Settecento, senza l’insoddisfazione dei nostri elementi regionali
pit intelligenti verso lo stato regionale, senza lo stacco che l’opera
rifor- matrice aveva posto in Italia tra minoranze sovvettitrici di
vecchi ordini statali e masse meccanicamente attaccate a quegli istituti,
la rivoluzione francese non si sarebbe potuta inserire tra le lotte
poli- tiche e sociali italiane e non avrebbe trovato il germe fertile,
il terreno fecondo. D'altro canto le grandi lotte settecentesche
tra Francia e Inghilterra avevano insegnato agl’Italiani la fecondità
delle lotte nazionali. Diversamente da quanto dirà nel
saggio su Partiti politici e correnti di pensiero nel Risorgimento,
Maturi considera quindi il Risorgimento un movimento che affonda le sue radici
nell’età delle riforme. Anche Volpe aveva sottolineato i Principi di
Risorgimento italiano; ma il richiamo a Volpe si fa ancora più preciso
quando Maturi coglie l'elemento propul- sore del Risorgimento in un
piemontese non conformista, Alfieri — col quale « si afferma il primo presupposto
d’una nazionalità: la volontà di essere uno stato-nazione. In Problemi storici
e orientamenti storiografici, raccolta di studi ‘a cura di Rota, Como,
Cavalleri, Romeo ha invece scritto: Fermissimo, anzitutto, nel Maturi, il
rifiuto delle posizioni nazionalistiche e, dunque, di ogni tesi sul
carat- tere pre-risorgimentale del Settecento o peggio, sulla funzione
risorgimentale dei Savoia; e nessuna adesione, «di conseguenza, al
tentativo di negare il nesso Rivoluzione francese-Risorgimento (Maturi storico
della storiografia ora in L'Italia unita e la prima guerra mondiale,
Bari, Laterza. Il pensiero riformatore fu giudicato astratto da Rota, fuorché
in Italia, dove avrebbe avuto carattere «autonomo e nazionale (Riforme,
età delle, Rivista storica italiana (il tema del- l'articolo era
stato anticipato da Volpe al Congresso per la storia del Risorgimento
sulla base del celebre passo di Del principe e delle lettere in cui si auspica
che l’Italia, inerme, divisa, avvilita, non libera, impotente, possa
risorgere « virtuosa, magnanima, libera e una: lo stesso passo parafrasato da
Volpe per dimostre che con Alfieri « il lento processo storico che
da secoli veniva costruendo l’Italia diventa veramente coscienza e
volontà. È questo un tema, del resto, che nell’Enciclopedia circola
ampiamente, da Rodolico, che vede in Alfieri « i primi albori del
Risorgimento nazionale » (Italia), a Manfredi Porena, per il quale il
letterato piemon- tese ebbe con maggior chiarezza di ogni altro suo
precur- sore il concetto dell’unità politica d’Italia fondata
sull’indi- pendenza e sulla libertà, e con maggior ardore e fiducia
la profetò (Alfieri). Ma le date e il linguaggio di queste
voci ci suggeriscono che all’origine dell’interpreta- zione di Maturi non
c’è soltanto Volpe; e se pensiamo alle: altre tappe della creazione del
mito risorgimentale, tutte segnate da letterati, da Foscolo a Cuoco, ci
accorgiamo che la matrice è il Gentile de L'eredità di Alfieri, I
profeti del Risorgimento italiano, Vincenzo Cuoco. Cuoco — scrive Maturi
riprendendo la genealogia gentiliana della « nuova Italia — accolse tutto
l'insegnamento che si poteva cogliere dalla rivolta delle plebi italiane
e predicò come dovere morale l’opera di colmare l’abisso tra popolo e minoranze
intellettuali. E un altro grande contributo portò il Cuoco al concetto di
Risorgi- mento: il culto del VICO (si veda). Se Alfieri insegnò
agl’Italiani ad agire in grande, Vico insegnò loro a pensare in grande;
se con l’Alfieri l’Italia s’individuò come volontà di essere stato tra
gli stati europei, col Vico acquistò coscienza di avere una propria
personalità nella cultura europea. Dalla fusione delle dottrine di questi
due grandi nacque la nuova Italia, pensante e operante con una sua
particolare fisionomia. nel seno dell'Europa. Può essere curioso notare
che, pur polemizzando con l’interpretazione autoctona di Gentile, anche
Gobetti aveva visto in Alferi l’iniziatore di «un Risorgimento e un
liberalismo che ben si può dire originale, e in cui si trovano le
premesse della nuova cultura politica italiana » (La filosofia politica di
Vittorio Alfieri, tesi di laurea in filosofia del diritto discussa con
Solari, ora in P. Gobetti, Scritti storici, letterari e filosofici, a
cura di Spriano, con due note di Venturi e Strada, Torino, Einaudi). Anche
per Battaglia Cuoco aveva avuto il merito di mettere in circolazione
Vico, in particolare «quella posizione storicistica, che in Se quindi
Maturi rifiuta la tesi sabaudistica e quella diplomatica delle origini
del Risorgimento, è per costruirne un’immagine etico-politica che rinvia
a Gentile, ma anche a Volpe. Non è del resto possibile dimenticare che
non di vero e proprio antisabaudismo si tratta nel caso di Maturi,
uno dei « patiti » del Piemonte ?”. Nell’ampia voce Savoia, il giudizio
positivo sull’opera di riorga- nizzazione dello Stato di Filiberto e di Emanuele
I diventa entusiastico per il ’700 (« Da molte- plici punti di vista lo
stato sabaudo nel Settecento appa- riva uno stato perfetto »), mentre
Carlo Alberto è definito « un principe paterno modello » e la sua opera
prima del 1848 è qualificata come nazionale; per cui sembra
corretta la critica che di lf a poco Cortese muoverà a Risorgimento
di Maturi (« non crediamo che ci siano ele- menti che ci autorizzino a
fare della classe politica piemon- tese della fine del Settecento la
creatrice del mito del Risorgimento nazionale. Un altro motivo che
torna anche in alcune voci enciclo- pediche di Maturi, laureatosi in
filosofia con Gentile con una tesi su De Maistre, è quello della
religione e dei suoi rapporti col potere politico. Proprio nell’opera di
De Mui- stre egli coglie « i primi germi di alcune eresie: del
moder- nismo con i suoi accenni all’evoluzione dei dogmi e delle
credenze religiose; del nazionalismo francese di Ch. Maur- ras con la sua
eccessiva Politisierung della Chiesa nel Du a », e, più in generale, in
Restaurazione nota che per rendere più docili le nuove
generazioni e amalgamarle con le vecchie non si seppe pensare ad altro
mezzo che all’educazione eccle- siastica e si commise l’errore di
abbassare la Chiesa a instrumzentum regni in un’età di delicatissima
sensibilità etico-religiosa, con l’unico parte si fonde con la
filosofia antilluministica », e aggiungeva che « l’opera sua resta nei
limiti della tradizione nazionale, che egli riconquistò alla filo- sofia
ed elaborò con alta coscienza, tanto che al suo insegnamento si ricolle-
garono gli uomini del Risorgimento: Mazzini e Gioberti stesso Cantimori, Studi
di storia, Torino, Einaudi, Cortese, Orientamenti storiografici intorno alle
origini del Risor- gimento, in Problemi storici e orientamenti
storiografici, frutto di provocare per
reazione la genesi del cattolicesimo liberale e d’insinuare con esso il
nemico nella cittadella religiosa del passato. Queste affermazioni
non sono tuttavia univoche, come dimostra — oltre alla valutazione
positiva dei Patti lateranensi (Romana questione) — il giudizio sul
Neoguelfismo, che trasformò in sentimento politico nazionale il
sentimento politico locale, facendo confluire nella cultura nazionale le
culture regionali, e quindi compî, sotto certi aspetti, un’opera
d’educazione nazionale maggiore di quella di Mazzini, perché operava dal
seno stesso delle vecchie formazioni statali italiane e ne produceva la
crisi morale. Del neoguelfismo, restò, trasformandosi ed evolvendosi, il
liberalismo nazionale o partito moderato col nuovo ideale d’Italia e casa
Savoia, elaborato dalla storiografia piemontese; restò il cattolicesimo
nazic- nale, che abbandonò le idee di riforma cattolica, si restrinse ad
aspi- rare alla conciliazione tra il papato e la patria italiana e ha
visto realizzato il suo sogno dalla nuova politica ecclesiastica di B.
Musso- lini; restò l’ideale del primato, che è stato ripreso dal
fascismo Dove in quel « si restrinse »
traspare comunque una posizione laica, alla quale fa riscontro per alcuni
aspetti il giudizio su Gioberti di Saitta, il direttore di Vita
nova che ospitò, come vedremo, alcune critiche alle voci religiose
dell’Enciclopedia: un Gioberti a propo- sito del quale, in linea con
l’interpretazione gentiliana ?°, non si cita mai la funzione da lui
assegnata al pontefice, ma è visto come l’esponente di una « visione
laica e democra- tica » e « il maggior teorico del liberalismo, che è in
anti- tesi col mazzinianesimo antimonarchico e col guelfismo dei
conservatori che consigliavano il re ad una politica di mode- Di
Sanctis Maturi evidenziò gentilianamente il fatto che, « vichiano, senti
il valore della religione per il popolo, ma criticò fino in fondo il
principio della libertà ecclesiastica e molto si adoperò, di con- serva
col Mancini, per far mantenere nel sistema separatista italiano alcune
cautele giurisdizionaliste. Comprese, invece, la funzione dialettica,
altamente educativa per ambo le parti, d'un insegnamento religioso coesi-
stente con quello laico.] Gentile parla di «un incessante svolgimento del
programma gio- bertiano verso quella concezione nettamente laica e
democtatica, o in una parola, liberale dello Stato, innanzi alla quale i
neoguelfi ricalcitrano » (I profeti del Risorgimento italiano, Firenze,
Vallecchi.] razione e di prudenza, la quale si risolveva nella diserzione
dalla causa nazionale », ed è esaltato per il suo « tentativo di
conciliare la spiritualità dello stato con la spiritualità della chiesa
». Busnelli, un critico severo dell’ attualismo che troviamo fra i
collaboratori dell’Enciclo- pedia, recensendo su « La Civiltà cattolica »
i primi volumi dell’opera notava con compiacimento, come abbiamo
visto, che i suoi direttori, « mentre lasciano agli scrittori la
piena libertà d’esprimere il concetto cristiano e cattolico e il giudizio
dei fatti secondo il criterio della soda indagine ecclesia- stica,
promettono di invigilare che anche in altri articoli in- direttamente
attinentisi alla religione cattolica e alle materie ecclesiastiche non
vengano sostenute o insinuate sentenze o critiche contrarie o malfondate.
Il giudizio rispecchiava il posto privilegiato riservato
nell’Enciclopedia ai cattolici, l’unica voce organizzata non
completamente omogenea con la cultura del fascismo quale era auspicata da
Gentile, ma tale, per ampiezza e incisività, da caratterizzare
nettamente l’opera nel suo complesso, che non può perciò essere
quali- ficata solo come idealista o attualista. Questo aspetto non
è stato messo nel dovuto rilievo dai testimoni di allora, nemmeno da
quanti hanno ammesso la presenza della censura ecclesiastica ??; del
resto nelle stesse ricostruzioni generali della cultura nel periodo
fascista solo di recente — se prescindiamo dalle Cronache di Garin — è
stato messo l'accento sull’intervento dei cattolici come componente
es- Busnelli], L’«
Enciclopedia Italiana », in La Civiltà cattolica. Busnelli aveva pubblicato.
I fondamenti dell’idealismo attuale esaminati. Cosî Vida,
Fantasmi ritrovati, e Calogero, Mussolini, la Conciliazione e il congresso
filosofico in «La Cultura. Sulla tematica affrontata in per pagine cfr.
M. De Cristofaro, Le voci di argomento religioso nel- °Enciclopedia
italiana, tesi di laurea presso la Facoltà di Lettere e Filo sofia di
Firenze, anno acc. senziale del regime, anche se in concorrenza con l’attualismo.
Ma l’esistenza di una loro vasta organizzazione intellettuale e il loro
incontro con altri settori conservatori della cultura laica sono forse
rav- visabili già prima del Concordato. Proprio le vicende del-
l’Enciclopedia suggeriscono infatti una prospettiva di più lungo periodo,
capace di individuare le tappe decisive della « riconquista » cattolica
anche in campo culturale — in un confronto continuo con la cultura laica
con- temporanea — nell’iniziativa neoscolastica all’indomani della
sconfitta del modernismo, nella prima guerra mondiale che offri ai
cattolici numerosi spazi di intervento in tutti i settori della società,
e nella soluzione della crisi Matteotti, in cui anche Pietro Scoppola ha
visto l’origine di un regime clerico-fascista Le osservazioni sul
Concordato e sui neoscolastici svolte da Gramsci nel breve periodo che
intercorre fin allal messa all'indice delle opere di Croce e di Gentile*,
possono probabilmente essere anticipate di alcuni anni, al momento in
cui, nell'immediato dopoguerra, il celebre appello di Gemelli al «
medioevalismo » — « Noi siamo medioevalisti; lo siamo perché riconosciamo
che la cosî detta cultura moderna è il nemico pit fiero del
Cristia- nesimo e perché riconosciamo che è vano parlare di adattamenti,
di penetrazione » ?° — diventa prospettiva concreta di attacco in tanti
interventi di cattolici, fra cui spicca per L. Mangoni, Aspetti
della cultura cattolica sotto il fascismo: la rivista « Il Frontespizio
», in Modernismo, fascismo, comu- nismo, a cura di Rossini, Bologna, Il
Mulino. L’interventismo della cultura. Intellettuali e riviste del fascismo,
Bari, Laterza, e Ranfagni, I clerico fascisti. Le riviste
dell'Università Cattolica negli anni del regime, Firenze, Cooperativa
editrice universitaria. Su un altro aspetto, non meno importante, cfr. S.
Pivato, L’orga- nizzazione cattolica della cultura di massa durante il
fascismo », in « Italia contemporanea. Scoppola, Sviluppi e differenti
modalità della presenza cultu- rale e politica dei cattolici nelle
vicende italiane, in «Quaderni di azione sociale » Gramsci, Quaderni del
carcere. L'articolo è riprodotto in A. Gemelli, Idee e battaglie per la
cultura cattolica, Milano, Vita e pensiero] chiarezza l’invito rivolto da don
Giuseppe De Luca allo stesso Gemelli: Nelle nostre file s'è
troppo indugiato sulla difesa. Che fanno oggi i cattolici studiosi se non
difendere dagli attacchi dei nostri nemici? Perché non occupare noi primi
le scienze, le lettere? Perché non dar neppure il motivo agli avversari?
Pigliamo la cultura, e studia- mola e facciamola nostra: quali timori?
Una università cattolica, non una chiesuola; o meglio ancora dare degli
elementi vigorosi e inserirli negli istituti laici. Si assiste infatti a
uno sforzo cospicuo dei cattolici di organizzare una propria cultura per
il clero e per il laicato: dal rilancio del tomismo prospettato
dal- l’enciclica Studiorum ducem — che troverà una espressione
organizzativa nella costituzione Deus scientiarum dominus —, alle tante
iniziative che — come l’Università cattolica o la fondazione della
casa editrice Morcelliana — si ispirano al suggerimento di Gemelli,
secondo il quale « perché i cattolici italiani abbiano da esercitare una
influenza culturale, quale la tradizione cattolica in Italia rende
possibile, è necessario innanzitutto che i cattolici non siano reclutati
solo nelle classi popolari, ma anche nelle classi elevate. Gentile aveva
cominciato ad avvertire il pericolo della concorrenza cattolica’, che
diventerà sua preoccupazione costante. Eppure proprio nel-
l’Enciclopedia da lui diretta egli aveva dovuto accettare fin dall’inizio
la presenza condizionante dei cattolici, fino a perdere ogni controllo
sulle sezioni « Religione » e Storia del cristianesimo, e a conferire uno
spazio larghissimo a « Materie ecclesiastiche » di Tacchi Venturi e a «
Geografia sacra » di Luigi Gramatica. La vicenda di Omodeo, cui
Luca et l’abbé dr Bremond, Roma, Edizioni di storia e letteratura,
Gemelli, I/ compito colturale dei SE, in Idee e battaglie, Le università
cattoliche dovrebbero, secondo loro, col tempo e col favore di Dio,
sostituirsi interamente alle università laiche dello Stato » (discorso al
Congresso di cultura fascista di Bologna, in Gentile, Che cosa è il fascismo. Gramatica,
direttore della Rivi- L’Enciclopedia italiana inizialmente era
stata affidata la Storia del cristianesimo, è indicativa del tentativo di
Gentile — affiancato da altri direttori di sezione — di contrastare
l’offensiva ecclesiastica, ma anche della sua sconfitta. La scelta
di Omodeo da parte di Gentile era coerente all'impostazione
critico-storica che la direzione avrebbe voluto dare alla trattazione di
tutte le voci; ben note erano del resto le aspre critiche che da parte
cattolica avevano accompagnato gli studi di Omodeo sul cristianesimo
antico, come il Paolo di Tarso, giudicato dalla « Civiltà.
cattolica » opera di un « compilatore di seconda o terza mano. La sua
rivendicazione della storia del cristianesimo e in genere della vita religiosa
come storia etico-civile, come storia della società umana, da studiare,
ricer- care e ricostruire prescindendo da preoccupazioni confessionali di
ogni genere » *%, non era infatti tale da accatti- vargli le simpatie
degli studiosi cattolici; la sua imposta- zione idealistica e
storicistica era avversata anche da Buo- naiuti che, pur giudicando la
Mistica giovannea un sensibile progresso sulla precedente produzione del-
l’Omodeo », la considerava tuttavia «una mal digesta sta
illustrata della esposizione missionaria vaticana », aveva chiesto a
Gentile di affidargli la Geografia sacra: Per Geografia Santa o Sacra io
non intendo solo la Geografia Biblica o la descrizione dei paesi che
immediatamente o mediatamente prepararono la diffusione del Cristianesimo; ma
intendo parlare altresi di tutte le regioni o località del mondo in
rapporto al governo della Chiesa e in quanto sono assegnate alla
cosiddetta geografia sacra » (AEI, Lettere, Gramatica). Sanctis scrivendo ad
Antonino Pagliaro, redattore della sezione Antichità classiche, si
dichiarava deluso dell’elenco di voci di « Geografia sacra »: « mi pare
che non si tratti se non di geografia ecclesiastica, cioè l’indicare Stato per
Stato le circoscrizioni ecclesiastiche, il numero dei preti e dei fedeli
ecc. Invece sarebbe stato bene che la geografia sacra registrasse i
centri importanti di culto, i luoghi di pelle grinaggio, i luoghi famosi
nella storia evangelica o nella storia della Chiesa » (AEI, Lettere, De
Sanctis. Intorno a un libro su S. Paolo del prof. A. Omodeo, in «La
Civiltà. Cattolica. Di «retorica romanzesca » era tacciato anche il volume di
Omodeo su L’età moderna e contemporanea (Storicismo socialista e fantasie
retoriche e modernistiche, in « La Civiltà cattolica », Cantimori,
Commemorazione di Omodeo, ora in Storici e storia, accozzaglia di
elementi eterogenei ed avventizi. Le preoccupazioni cattoliche erano
giustificate anche dall’orientamento che Omodeo avrebbe voluto dare alla
sezione enciclopedica, puntando essenzialmente su collaboratori laici in
modo da salvaguardare un approccio critico-storico ai problemi. Egli scriveva a
Gentile che « molte voci, anche quelle di sapore strettamente
ecclesia- stico non si possono neanche affidare a preti, senza il
pericolo di perdere l’informazione sugli studi critici e protestanti, e per
converso non si possono affidare neppure a protestanti sia italiani che
stranieri », pur aggiungendo che si sarebbe rivolto al gruppo di «
Bilychnis » per la storia protestante e a Loisy per la storia della
critica e la storia del canone Gentile approvava, ma lo avvertiva che,
mentre la trat- tazione dei papi sarebbe spettata alla sezione diretta
da Volpe, « dei Sanzi, salvo contrario avviso, penserei dare la
cura ad ecclesiastici, con cui sono in trattative. Largo restava comunque
l’intervento dei laci nelle voci di storia religiosa ®*; le stesse voci
riguardanti dottrine teologiche, riti e culti, aggiungeva Omodeo avrebbero
bisogno d’una trattazione “laica” anche quando pare si riferiscano a
concetti teologali o liturgici, pur, ben inteso, rispettando quelle norme
di prudenza ed obiettività di cui abbiamo parlato. Il piano delle voci e
dei collaboratori era completato, Omodeo poteva già presentare un abbozzo della
voce Apostoli, che poi corresse seguendo il consiglio di Gentile
Ricerche religiose. Gentile-A. Omodeo, Carteggio. Gentile scrive che
l’altera pars [gli ecclesiastici] mi consegna in questi giorni tutte le
sue proposte sulle materie ecclesiastiche. Omodeo prevedeva ad es. la
partecipazione di Marchesi per la patristica latina, di Pasquali per
quella greca, di Co- gnasso per la storia religiosa bizantina, L. F.
Benedetto per il gianseni- smo francese, Rota e Rodolico per quello italiano,
Macchioro per Lutero e la Riforma, Spampanato e Capasso per la
Controriforma, e inoltre la partecipazione dei collaboratori di
Bilychnis, di Caramella e Minocchi. L’Enciclopedia italiana di lasciare
aperte alcune questioni; quantunque sia già molta la prudenza da te
adoperata: cautele che non impediranno, una volta pubblicata, le critiche de «
La Civiltà cattolica. Ma, in coincidenza con la pubblicazione del Primo
elenco di collaboratori, a Omodeo era giunta voce di un veto del
Vaticano alla sua partecipazione, tanto da suggerirgli il
proposito di « tirarsi da parte. Gentile continuò tuttavia a ricercare la
collaborazione di Omodeo solo tre giorni dopo il Concordato,
intervenne per criticare varie voci, fra cui Apocalisse e Apocalittica,
letteratura, perché « alcune frasi danno come risolte definitivamente in
senso che i cat- tolici non approvano, alcune questioni critiche, a
proposito delle quali occorrerebbero almeno delle delucidazioni. La
risposta di Omodeo, del 16 febbraio, è articolata nella difesa delle sue
ragioni scientifiche, ma intransigente: L’obiettività d’un’enciclopedia,
è una forma di buona creanza, ma non può offendere l’intima sostanza
della scienza. Metter d’ac- cordo indirizzo critico e tesi cattolica è
impresa disperata, come con- ciliare sistema tolemaico e sistema
copernicano. La scienza ha il suo cursus, e un’enciclopedia deve
riconoscerlo ed affermarlo. Io per conto mio nella scienza sono
intransigente e non mi sento l’animo per concordati e compromessi. Mi
creda, professore, a dar retta ai preti si finisce a impazzire. Nella
scienza erano sono e saranno capita mortua Per la «Storia delle religioni
» Gentile aveva fatto preparare da Pincherle «le proposte dei
collabora- tori da incaricare per le voci, che non conviene affidare alla
redazione degli ecclesiastici. Escluso solo Buonaiuti. Busnelli]. Gentile-A.
Omodeo, Carteggio, cit., p. 365. Nel giugno 1927 anche Pincherle minacciò
di abbandonare l’impresa facendo cosî, osser- vava Omodeo, «con
un’impulsiva rinuncia, il gioco dei gesuiti che lui mostra di temere.
Apocalittica letteratura di Omodeo non fu pub- blicata, e apparve a firma
di padre Giuseppe Ricciotti, redattore di « Ma- terie ecclesiastiche ».
Omodeo pubblicherà due voci su «Civiltà mo- derna. Le lettere
dell’Apostolo Paolo alla Chiesa di Corinto e La lettera dell’Apostolo
Paolo ai Colossesi). Sulla « mutilazione » di cui furono oggetto altre
voci cfr. A. Omodeo, Lettere Gentile-A. Omodeo, Carzeggio, Gentile cercò
di dirottarlo su argomenti di storia civile, ma Omodeo dichiarava che non
avrebbe continuato la collaborazione: « Son sicuro che anche nella
storia civile non avrei maggior libertà che in quella reli- giosa, una
volta ammesso il principio del controllo di una parte sul lavoro dell’altra
»; se fosse stato possibile accor- darsi su « un principio di completa
libertà », « io avrei lasciato liberi i preti di gabellare, come han
fatto, Abramo quale personaggio storico, o di far l’apologia, se
crede- ranno, del miracolo di S. Gennaro: a condizione che essi non
avessero inquisito nei miei lavori. L’enciclopedia avrebbe fotografato la
cultura italiana, in cui c'è P. Vac- cari, e c'è A. Omodeo » ?!.
Cosî le voci di Omodeo restano una delle poche testi- monianze di
trattazione critica dei problemi religiosi nell’Enciclopedia, in genere
appiattiti dall’impostazione ‘dog- matica e apologetica degli autori
cattolici. Ammiratore della scuola storica di Tubinga fondata da
Ferdinand Chri- stian Baur — la cui opera era definita « uno dei
maggiori monumenti dello storicismo hegeliano » —, Omodeo cercò di
attenersi ad una esposizione obiettiva dei fatti e delle diverse
interpretazioni, ma senza riuscire a nascondere la sua preferenza per i
risultati dell’indagine critica rispetto alle affermazioni aproblematiche
degli studiosi cattolici: in Apocalisse, ad esempio, dopo aver esposto
l’opinione di quanti negavano l’apostolicità dello scritto concludeva
che « in opposizione a questi indirizzi critici, il cattolicesimo
si mantiene saldo nell’affermare l’apostolicità dell’opera — ormai
abbandonata quasi da tutti nell’altro campo e nel ribadirne
l’ispirazione divina, e l’esegesi spiritualiz- zante ». Rispetto a un
giudizio del genere, si può notare un vero e proprio capovolgimento di
segno nella voce, esecrata da Omodeo, in cui padre Eerembeemt aveva soste-
nuto la storicità della figura di Abrarzo affermando la insussistenza »
delle teorie di chi la negava, o in Abramo è un personaggio storico? Pei
credenti, si; e sotto Abra- mo trovi un paragrafo dove sono
oggettivamente esposti gli argomenti per la storicità di Abramo, osservò
Ugo Ojetti, I primzi ser volumi del- L’Enciclopedia italiana Deuteronomio
voce prima affidata a Omodeo e poi respinta dalla direzione
dell’Enciclopedia —, in cui il. gesuita Tramontano avvalorava le tesi
degli studiosi catto- lici che attribuivano l’ultimo libro del Pentateuco
a Mosè, confutando recisamente quelle dei critici acattolici. Omodeo avrebbe dovuto trattare
anche la storia della Chiesa dalle origini al concilio di Nicea, ma il 29
giugno 1929 egli aveva avanzato delle riserve per i limiti,
molto ristretti, di libertà di parola che consente l’enciclo- pedia, Se
per le voci bibliche io arrivo spesso a cavarmi d’impaccio esponendone il
contenuto e narrando la storia della critica, per [questa] voce non è
cosî. Non posso narrar la storia della chiesa, senza prender posizione,
altrimenti la narrazione non procede. Nelle questioni spinose
dell’origine dell’episcopato, del primato romano, della struttura
dogmatico-disciplinare della chiesa, della prassi peni- tenziale, dei
sacramenti ecc. non potrei non dare scandalo ai preti, divenuti cosî
intolleranti, Subito dopo Gentile lo cavava d’« impaccio »
affidan- done la stesura a don Giuseppe De Luca, che senza troppe
preoccupazioni spiegava la rapida diffusione del cristiane- simo con i
caratteri della dottrina stessa (« per tutti che sentissero lo stimolo di
una vita non solamente animale, [la dottrina cristiana significava] la
formula risolutiva della propria umanità in ciò che ha di buono e di
cattivo, con la tecnica della propria cultura interiore »), giustificava
l’im- piantarsi della gerarchia e del primato romano, e spiegava
come « da contaminazioni e compromissioni della dottrina cristiana,
consumate per opera di menti ansiose e irrequiete, nacquero le prime
eresie. Alla luce della vicenda di Omodeo è facile presumere che
l’ingerenza degli ecclesiastici si sia estesa ben presto a
l’Enciclopedia italiana, in « Il Corriere della sera. In Pentateuco il gesuita
Alberto Vaccari espose i motivi per cui «la scienza [può] trovare nel
Pentateuco un buon nucleo auten- ticamente mosaico frammezzo ad accrescimenti
d’età posteriore. Né pi sembra domandare la fede cattolica, quando vuol
salva la sostanziale autenticità e integrità del Pentateuco, e lascia
passare aggiunte, purché ispirate, e mutazioni accidentali posteriori a
Mosé (v. il decr. della Com- missione biblica. Gentile-A. Omodeo,
Carteggio, c tutti i settori in cui erano presenti voci o riferimenti religiosi,
vanificando l’impronta laicista che non solo Gentile e Volpe, ma anche,
con particolare forza, Francesco Salata avrebbe voluto dare alla sezione
« Storia contemporanea », di cui perderà la direzione nel corso della
preparazione del- l’opera: « senza invadere il campo riservato alle
sezioni “Filosofia, educazione, religione” e “Storia delle religioni” »,
scriveva Salata in un promemoria, ritengo che la parte
prevalentemente politica della storia contempo- ranea delle religioni e
specialmente della Chiesa cattolica, e quindi, ad esempio le voci
personali dei papi, dei cardinali segretari di Stato, dei nunzi, quelle
dei concili, di alcune istituzioni amministrative della Chiesa, di alcune
dottrine politico-religiose ecc. trovino posto più proprio nella mia
sezione. Per alcune voci relative alla Chiesa cattolica ciò non può
mettersi in dubbio per il periodo precedente, ma anche per il periodo
successivo è troppo chiara l’impor- tanza politica del papato non solo
per l’Italia ma anche in tutta la politica internazionale, perché tali
voci siano sottratte alla sezione che ha cura e responsabilità della
storia politica di questo periodo Ma, quando Salata avanzava queste pretese, la
presenza dei cattolici tendeva già a dilatarsi all’interno
dell’Enciclo- pedia, favorita dalla singolare concezione
dell’obiettività propria di Gentile, consistente nel rivolgersi ai «
compe- tenti », ma in ultima istanza ai diretti interessati *, Cosi
le voci sui gesuiti furono attribuite prevalentemente a esponenti dell’ordine —
con un cospicuo intervento di Tacchi Venturi —, Rosmini al rosminiano
Caviglione, con l’inter- pretazione del quale Gentile aveva
polemizzato, Scolastica e S. Tommaso ai neoscolastici Francesco
Pelster e Martin Grabmann, Neoscolastica a Gemelli, e a Niccoli,
allievo di Buonaiuti, voci come Gioacchino da Fiore e Mo- dernismo. Il
fatto che queste voci di storia religiosa fos- sero affidate a
rappresentanti di vari indirizzi di pensiero AFI, Lettere, Salata.
Da Barnabiti particolarmente desidererei gli articoli relativi ai
Barnabiti », aveva scritto il 18 aprile 1925 Gentile a padre Semeria
(AEI, Lettere, Semeria). 39 G. Gentile, Storia della
filosofia italiana, La voce fu riprodotta, assieme a quella Rosminiani,
congregazione dei di Bozzetti, in « Rivista rosminiana »comportò
l’esistenza di inflessioni diverse nel giudizio e nel taglio
metodologico: ad esempio, presentando la figura di Gioacchino da FIORE
(si veda) Niccoli non solo riprese l’in- terpretazione che ne dava Buonaiuti
in quegli stessi anni °° — « una delle figure più notevoli della
spiritualità cristiana durante il Medioevo », la cui opera ha un «
contenuto inti- mamente sovversivo nei riguardi della Chiesa ufficiale »
—, ma si differenziò anche da altri autori spiegando in termini
economici e politici la genesi della sua profezia sull’avvento della
Chiesa della realtà spirituale sostituita a quella della gerarchia e dei
simboli. Tuttavia, al di là di queste distin- zioni interne, l'intervento
dei cattolici comportò, da un lato, la dilatazione dello spazio concesso
alle voci religiose — come dimostra anche un rapido confronto tra
l’Enciclopedia britannica e l’opera diretta da Gentile, in cui voci
specifiche sono attribuite, ad esempio, a Concezione immacolata o a
Comunione dei santi —; e, dall’altro, l’apologia del cattolicesimo più
tradizionale, che non investe solo la storia della Chiesa medievale sulla
quale la cultura cattolica vantava anche allora una ricca tradizione di
studi — « il fascismo inquinò anche la storiografia medievalistica con un
clerica- lismo nauseante nell’esaltazione in blocco di tutta la
storia della Chiesa medievale (tutti i papi medievali vengono
esaltati nell’Enciclopedia italiana) », ha osservato Gabriele Pepe ** —,
ma riguarda tutti i periodi storici. Basti pensare alla voce su S.
Gerzaro in cui il gesuita Romano Fausti sostiene la veridicità del
miracolo, secondo quanto aveva La voce ha molte assonanze, ad es., con E.
Buonaiuti, Gioacchino da Fiore, in « Rivista storica italiana »,
Gioacchino, con tutta probabilità servo della gleba per nascita, è giunto
al suo riscatto e alla formulazione del suo messaggio attraverso
l'iniziazione in una riforma monastica, quella cisterciense, di origine e
caratteristiche squisitamente latine, la cui importanza sul terreno
sociale come fattore di disgregazione dei superstiti istituti feudali —
anche nell'Italia Meridionale — si palesa oggi sempre più evidente. Sarà
infine necessario tener presente che il ciclo fattivo della vita di
Gioacchino coincide con quello della maggior fortuna del regno normanno
in Italia: tendenze, aspirazioni e crisi del quale, studi recenti hanno
mostrato riflettentisi sulla complessa esperienza di Gioacchino. Pepe,
Gli studi di storia medioevale, in Cinquant'anni di vita intellettuale
italiana, cprevisto Omodeo, o allo sconcertante giudizio con cui Palmarocchi
minimizza il ruolo di un personaggio « scomodo » come Savonarola,
spiegandone la condanna: secondo alcuni essa ricade sui
fiorentini, secondo altri sulla corte di Roma. È certo che il Savonarola
stesso diede ai suoi nemici l’occasione di abbatterlo, immischiandosi e
invischiandosi nelia politica e avallando con la sua autorità morale i
fatti e i misfatti di una fazione. Ma la causa più profonda della sua
caduta fu la sua illusione di arrestare il cammino dei tempi, il suo sforzo
d’impotre agl’italiani del quattrocento una concezione di vita ormai
superata. In questo quadro non mancano tuttavia delle
eccezioni, costituite non solo dagli interventi di Chabod e di Cantimori
su figure di protestanti e di eretici, ma anche da alcune voci di
Pincherle e di Jemolo che affrontano tematiche più ampie di storia della
Chiesa, con un’attenzione particolare ai collegamenti fra storia
religiosa e storia politica. Questi evitano infatti di pronunciarsi sulle
questioni propriamente teologiche seguendo la via proposta da Gentile
quando, inviando a Jemolo delle istruzioni per la compilazione di
voci di storia della Chiesa, osservava che « anche delle sin- gole
controversie teologiche sarà da rilevare il significato intimo, le azioni e
reazioni sulla politica anche degli Stati, sull’organizzazione
gerarchica, sulla pietà e le manifestazioni del sentimento religioso, pit che
non l’aspetto tecnicamente teologico e le singole fasi della
disputa?. A un ambito di intervento laico sono infatti
riconducibili le voci di Jemolo che, pur esprimendo un giudizio
severo sul carattere malevolo o petsecutore del liberalismo
ottocentesco che « non tollera i conventi, vuol spogliare la Chiesa dei
suoi beni e sottometterne tutta la vita a un re- gime di polizia »
(Chiesa), forni un’interpretazione del Ga/-licanismo che lo espose a interventi
censori, Gentile a Jemolo (AEI, Lettere, Jemolo). 34 Lamentandosi
con la direzione per le varianti apportate alla sua voce, il 22 giugno
1932 Jemolo osservava che « a mio avviso non risponde al vero nascondere
la decadenza del gallicanismo nel settecento, e dargli parte prevalente
in quel complesso fatto europeo che fu la soppressione della Compagnia di
Gesti » (ibidem). E la decadenza del gallicanismo è riaffermata nella
voce. cercò di distinguere aspetti religiosi e aspetti
politico-cultu- rali nella valutazione della Controriforma: Chi da
un punto di vista strettamente religioso instauri raffronti tra lo
spirito dei primi secoli del cristianesimo, quello della cristia- nità
medievale, e quello della controriforma, potrà pur non preferire quest’ultima
età alle due precedenti. Ma è certo che la contro- riforma ebbe, accanto
alle sue pagine sanguinose, pagine bellissime segnate dal rapido
miglioramento del costume cattolico; fu una ricca sorgente d’iniziative
religiose, di opere di carità e d’intraprese culturali, che a quasi
quattro secoli di distanza sono ancora lungi dall’esaurirsi; soprattutto
diede alla Chiesa un’intima struttura che, da quasi quattrocento anni, si
palesa sempre meglio adatta a difen- derla contro ogni tentativo, esterno
e interno, di disgregazione, contro ogni influenza perturbatrice che miri a
deviarla dal suo cam- mino. Complesso e articolato appare
anche il giudizio di Pin- cherle sulla Riforzz4, che su un piano
religioso è « in asso- luta antitesi » con la teologia umanistica — nulla
più della libera critica è alieno dallo spirito di un Lutero »;
Lutero è « un uomo nettamente di tipo medievale —, mentre sul piano della
storia politica e culturale essa « preannuncia veramente il mondo moderno
» perché raf- forza l’assolutismo dei principi e costituisce, con il
calvi- nismo, « il mondo ideale entro cui nacque e si sviluppò lo
spirito capitalistico e, pertanto, il capitalismo moderno ». E assai
distante da toni apologetici e dogmatici si dimostra Pincherle —
accomunato da « Civiltà cattolica » a Omodeo come ugualmente « di sensi
non cattolici— nella voce Cristianesimo, in cui giudica con simpatia
l’opera dello storicismo che aveva considerato il cristianesimo
come fatto storico, osservando che « la mentalità storicistica ha
nello stesso tempo distolto lo scienziato dall’identificare senz'altro il
cosiddetto “cristianesimo di Ges” con quello praticato nel seno della sua
particolare confessione e dal giudicare e condannare dogmaticamente; in
questo stesso Busnelli], aMussolini si lamentò che alla voce
Cristianesimo fossero dedicate solo 3 pagine, contro le 66 di Cotone
(appunto ms., s.d., in ACS, Segreteria particolare del Duce, Carteggio
riservato, senso agiva il nuovo clima culturale, con la larga diffusione
delle idee di tolleranza e di libertà religiosa ». Accanto a questi
interventi, il tentativo di Gentile di salvaguardare la pretesa di
obiettività dell’Enciclopedia è ravvisabile anche nella suddivisione di
alcune delle voci maggiori tra autori cattolici da un lato, laici o
attualisti dal- l’altro: è il caso ad esempio di Dio, dove la
dottrina cattolica è esposta dal gesuita Giuseppe Filograssi mentre
« Dio nelle varie concezioni filosofiche » è opera di Banfi — per il quale « la
pit totalitaria trasposizione in senso razionale dell’idea di Dio è quella
compiuta da Hegel, per cui Dio è il processo eterno in cui l’idea — come
prin- cipio razionale del mondo — giunge a coscienza della sua
assoluta universalità e autonomia —; e di Religione in cui il gesuita
Enrico Rosa analizza il « concetto cattolico » che « raccoglie in
sintesi, integra e chiarisce gli elementi di verità che si possono
trovare sparsamente con- fusi anche nei concetti pagani o eterodossi », e
Gentile in persona ne esamina l’aspetto filosofico per affermare la
« universalità e indefettibilità della religione » — « la ne- cessità e
l'universalità della religione sono la più efficace convalidazione del
suo valore, e cioè della sua verità » — e per ribadire, contro materialisti
e mistici, che « l’uomo che non si può concepire senza concepire Dio è
l’uomo che attua l’esperienza della sua umanità, realizzando nella
vita spirituale quella coscienza di sé ond’egli in fatti si distingue
dalle cose ». Significativa è, già nel primo volume, anche la voce
Agostino — il santo al quale saranno dedicati vari studi — riservata
all’agostiniano Casamassa per la vita e le opere (e « La Civiltà
cattolica » si esprimeva positivamente per questa parte), ad Guzzo per lo
« sviluppo del pensiero » e ad Alberto Pincherle per la critica e le
edi- zioni. Su di essa si soffermava la « Rivista di filo- sofia »,
che coglieva la « notevole sproporzione tra la parte che riguarda la vita
e le opere (esattissima di certo, ma utile solo allo specialista)
estesissima, e quella che riguarda il pensiero e le controversie critiche
sui testi agostiniani, di interesse più universale, ma molto più breve, e
soprattutto alquanto disordinata e incompleta ». Dopo aver notato che la
voce iniziava con la « strana dizione » « Agostino Aure- lio, santo »,
l’autore dell’articolo sosteneva che « manca del tutto la filosofia di
Agostino, come manca la considera- zione filosofica della teologia
agostiniana », e accusava di illecita lettura attualistica un passo in
cui Guzzo affermava che nel De vera religione « si legge quel celebre
appello: Noli foras ire; in te redi, in interiore bomine habitat
veritas (De vera religione), che non sarà più dimenticato né dalla
mistica medievale e moderna, né da quante filosofie, nell’età moderna e
contemporanea, riterranno di dover ri- chiamare l’uomo dalla dispersione
del mondo esterno al rac- coglimento dell’analisi interiore ». Accusa non
immotivata, se pensiamo che anche in Pedagogia Codignola, trattando
di Agostino, riprenderà lo stesso concetto, che Gentile stesso aveva
contribuito a diffondere: L’intuizione religiosa della filiazione
divina, approfondendosi e interiorizzandosi, diventa in Agostino un concetto
speculativo, la prima affermazione filosofico-teologica della
soggettività e immanenza del vero, con cui il cristianesimo tentava di
svincolarsi, anche nel- l'ambito della speculazione, dall’antinomia che
aveva alimentato lo scetticismo del tardo pensiero classico:
ineliminabile individualità di ogni atto di conoscenza, ultra-individuale
oggettività del vero. Noli foras ire, in te ipsum redi, in interiore
bomine habitat veritas. Un’interpretazione alla quale la « Rivista
di filosofia » poteva opporre che « per Agostino la veritas presente all’io
è Dio stesso, oggetto rel soggetto, mentre ciò è alieno essen- zialmente
dalla dottrina idealistica. Tuttavia, nonostante questi accorgimenti, Gentile
non poté impedire che nell’Enciclopedia fosse assai marcata
l'impronta del cattolicesimo ortodosso e che, addirittura, in alcune voci
i cattolici operassero un forte ridimensiona- mento, o una critica
aperta, del neoidealismo italiano. Gemelli, dopo aver definito la Neoscolastica
la restaurazione del pensiero medievale nell’ambito della ci- viltà
moderna, considerando il pensiero medievale non Firenzi, Note
sulla storia della filosofia medioevale, in « Rivista di filosofia »,
come espressione transitoria di una civiltà, ma, quanto alla sostanza,
come definitiva conquista della ragione umana nel campo della metafisica
», ne accentuava il carattere antiidea- listico: « La restaurazione
scolastica doveva in Italia affer- marsi non tanto in relazione al
positivismo, quanto in rela- zione all’idealismo, che in Italia maturava
con Croce e con Gentile. Ne sarà criticata la metafisica
(immanenti- stica) e accettata invece quella valorizzazione della
storia, che è caratteristica dell’idealismo stesso: non però come
filosofia, sibbene come storia. Niccoli difendeva il Modernismo contro i
suoi critici, in primo luogo i rappresentanti di quella « filosofia che,
negando possa conoscersi un reale fuori dell’uomo e del pensiero,
non solo si è iscritta in falso contro quelli che erano stati in passato
i cardini di ogni metafisica, ma ha scrollato le basi stesse della fede
religiosa; e l’allievo di Buonaiuti cercava di rafforzare la sua difesa
opponendo il movimento modernista al socialismo e all’idealismo:
Chi avesse accettato come dati di fatto incontrovertibili i risul-
tati negativi ai quali la critica storica, filosofica e sociale affermava
di essere giunta, non poteva avere che due alternative: o ripudiare
net- tamente tutto il patrimonio religioso cattolico e cristiano, sia
affermando di contro ai valori cristiani i nuovi valori sociali, sia
conside rando il cristianesimo e il fatto religioso in genere come un
momento ormai superato della vita dello spirito (fu questo in sostanza il
punto di vista difeso dall’idealismo italiano); o affermare che il
cattolicesimo si raccomanda a valori più alti, non toccati dai colpi
portati dalla critica moderna all’interpretazione scolastica del
cattolicesimo e quindi costruire su di essi una nuova apologetica, che
mantenesse al cattolicesimo la sua efficacia fra gli uomini. E fu questo
l’atteggiamento assunto dal movimento modernista. Nel complesso, e
tenuto conto di alcune assenze signi- ficative — come Clericalismo, che
Carlo Morandi non accettò, o Laicismo, voce che è invece presente, a firma
di Maturi, nel Dizionario di politica —, si comprende quindi la
soddisfazione dimostrata per il settore religioso Cfr. la lettera
di Morandi (AEI, Lettere, Morandi). da « Civiltà cattolica » quando
pit forte era l’influenza di Gentile e di Omodeo, e, per converso,
la preoccupazione di « Vita nova » del gentiliano Giuseppe Saitta
che, prendendo spunto dalla critica della voce Adazzo di Ricciotti,
allargava il discorso per lamentare « la intrusione nell’Enciclopedia di
questa pseudo-scienza teologica. I gesuiti sanno troppo bene a che cosa
mirano, e qual forma ed estensione assumerà, nel loro campo, la sezione
di materie ecclesia- stiche. La Bibbia intera e specialmente il Nuovo
Testamento, le ori- gini del cristianesimo, la storia dei dogmi e della
Chiesa, anzi dell: Chiese, tutto vi dovrà essere mostrato e rappresentato
dal punto di vista cosiddetto cattolico, cioè teologico, in contrasto e
negazione con la vera scienza storica del cristianesimo, quale si insegna
nelle nostre scuole universitarie. È la teologia esclusa dalle
università definitivamente con la legge del Concordato, che rientra, come
unica scienza della religione, nella nostra coltura nazionale.
L’Enciclo- pedia avrebbe tutelato meglio i diritti della scienza e quelli
della nazione, rimanendo italiana, come è il titolo semplicemente,
senza resumer di voler anch’essere cattolica nel senso della
Civiltà cattolica. Le voci di carattere propriamente religioso, oggi svolte con
dif- fusione anche eccessiva, potevano ridursi al puro necessario; ed
entra quei limiti, avrebbero dovuto essere redatte da un punto di
vista. EE scientifico, evitando di accettare i presupposti della teologia.
Non solo i timori di « Vita nova » non erano infondati,. come abbiamo
visto, ma possiamo supporre che molte altre sezioni, oltre quelle direttamente
interessate alle que- stioni religiose, furono oggetto del controllo
ecclesiastico. « Per la Questione Romana informati — scriveva
Maturi a Morghen —, perché la mia polizia segreta mi ha avvertito:
che essa con tutto il gruppo di voci romane è stata sottratta. alla
giurisdizione della sezione storica. E
Nicolini scriveva a Gentile, a proposito della voce Giannone, che
si sarebbe posto da Anche Gemelli notava nel 1930 che Gentile « ha
chiamato a colla- borare all’Enciclopedia studiosi cattolici ed ha
affidato loro la trattazione di delicati problemi religiosi »
(L'Università cattolica e l’idealismo, in Idee e battaglie, cit., p.
391). . Rensis, Ancora dell’Enciclopedia Italiana, in «Vita nova. AEI,
Lettere, Maturi. un punto di vista che non potrà piacere al certo a chi,
nell’Enciclo- pedia, soprintende alle materie ecclesiastiche. Se dunque
mi si promette formalmente piena libertà di parola, e sopra tutto che la
mia prosa, quale che essa sia, non sarà riveduta, corretta o attenuata in
senso clericale, sono prontissimo a fare l’articolo. Ma se codesta
promessa formale non mi può essere fatta e mantenuta, anziché sotto-
pormi all’alea di trovare (come accadde a Omodeo) stravolto e muti- lato
il mio pensiero, preferisco rinunziare a scrivere l’articolo. Tu, che mi
conosci, sai bene che non sono uomo da porti nell’imbarazzo facendo
dell’anticlericalismo intempestivo. Ma, alla fin dei conti, debbo pur
dire pane al pane e vino al vino, e presentare il Giannone quale egli fu,
cioè quale un martire dell’anticurialismo. Non posso elogiare l'agguato
di Vesnà come un’azione pulita o l’imposta abiura e la dodicenne prigionia come
atti di carità cristiana Questi
propositi non sembrano tuttavia essersi tradotti in pratica nella stesura
della voce, dove le ultime vicissitu- dini di Giannone sono presentate in
maniera anodina e, pur riconoscendo che l’Istoria civile del Regno di
Napoli è stata per decenni la « bibbia dell’anticurialismo » — « un
anti-curialismo lontano, nella lettera, dall’eterodossia, ma già
volterriano nello spirito » —, si coglie in essa una « astratta e
fantastica configurazione dello stato come bene assoluto, progresso,
civiltà, forza generosa, e della chiesa come male, regresso,
oscurantismo, malizia frodolenta ». Analogamente nella voce Romana
questione Maturi, pur valutando assai positivamente la Legge delle
guarentigie, concludeva l’esame dei rapporti tra Stato italiano e Chiesa
elogiando i patti: Mussolini coronava con un concordato la
sua nuova politica ecclesiastica, con l’ininzio della quale aveva scompigliato
le file del partito popolare e assorbito nel fascismo il cattolicesimo
nazionale; d’altra parte, nella politica estera egli tolse all’Italia una
passività diplo- matica. Da parte della Chiesa il riconoscimento dello
stato nazionale italiano s’inquadra nel riconoscimento di molti stati
nazionali europei avvenuto coi concordati postbellici. Dove sono
ripresi alcuni dei giudizi più favorevoli di parte fascista —
anche per Volpe i patti erano tesi, per il fascismo, a « togliere una non
piccola causa di nostra debo- AEI, Lettere, Nicolini. lezza
internazionale —, senza tuttavia i timori, pur assai diffusi, che lo
Stato potesse abdicare al suo spirito laico. I patti
lateranensi dovettero del resto riflettersi pesan- temente
sull’Enciclopedia, rafforzando il controllo ecclesia- stico e arrivando
fino a minacciare l’esistenza di singole voci: Angelo Sraffa, che curava
con Mariano D’Amelio la sottosezione « Diritto privato », giunse infatti
a proporre la soppressione della voce Divorzio, già in bozze,
perché era «cosa estremamente delicata trattarla oggi a parte, date le
interferenze con l'annullamento del matrimo- nio, che è diventato di
fondamentale importanza di fronte al trattato del Laterano, ed alla
estensione che dinanzi ai Tribunali ecclesiastici l'annullamento sta
prendendo. La sua proposta non fu accolta e la voce rimase, a soste- nere
però la particolarità dell’ordinamento italiano e a rico- noscere che «
gli stessi contrattualisti a oltranza », cioè quanti erano favorevoli al
divorzio, « compresi della serietà delle contrarie obiezioni, sono d’accordo
nel ridurre a un piccolo numero di casi la facoltà di ricorrere al
divorzio. Dove non arrivò il diretto intervento ecclesiastico — padre
Gemelli non scrisse la voce Psicanalisi, che si era offerto di fare e che a sua
firma apparirà invece nel Dizionario di politica (« Distruttiva della
religione, della quale nega ogni valore, nel dominio politico la
psicoanalisi orienta le sue speranze verso il comunismo ») —,
giunsero puntuali le critiche dell’organo dei gesuiti. Carlo Brica-
relli, collaboratore della sezione artistica dell’Enciclopedia,
intervenne sull’esposizione dell’arte medievale e moderna fatta in Arte
da Schlosser, al quale Gentile aveva suggerito di « parlare dell’arte come
conseguenza di bisogni materiali e spirituali delle varie fasi di
civiltà, e quindi dei compiti e delle forme dell’arte in relazione
alle mutate condizioni sociali, similmente, in un certo senso, a
quanto ha fatto il Dvorak nel suo saggio sull’idealismo e Volpe,
Il patto di S. Giovanni în Laterano, in « Gerarchia), ora in Pagine
risorgimentali, Roma, Volpe, SRAFFA (si veda) a Spirito (AEFI, Lettere,
Sraffa). naturalismo nell’arte gotica. La tendenza di tutto
ridurre all’umano, e nell’opera della Chiesa interpretare ogni cosa a uso
d’intenti terreni propri, oppure a lei impo- sti per forza, è un altro
preconcetto che turba anzi scon- volge addirittura il giudizio storico »,
osservava Bricarelli appuntando la sua critica, fra l’altro, su di un
passo in cui Schlosser affermava che la crisi di questo
cristianesimo primitivo cominciò nel secolo IV col suo riconoscimento
ufficiale come religione di stato, sotto la forma universale del « cattolicismo
». L’al di qua reclamava oramai i suoi diritti. Il vecchio Impero,
divenuto cristiano, rivestito di tutta la pompa della sua missione divina
e di tutto il suo fasto, nella sua qualità di potenza protettrice della
Chiesa, determinò anche il con- tenuto iconografico dell’arte che si
rivela nei fastosi musaici parietali delle grandi basiliche
post-costantiniane Cosî Busnelli criticava il giudizio su Leonardo dello
storico della medicina Giuseppe Favaro — secondo il quale « di fronte
alla rigida concezione teologica dell’origine del mondo, Leonardo non si
peritava di confutare il racconto biblico della genesi, la storia della
terra creata da seimila anni e la leggenda del diluvio universale —,
sostenendo invece che « la fede e dottrina cattolica di Leonardo è fuori
d’ogni dubbio e accusa, chi voglia scandagliarne senza preconcetti le
espressioni »; e, passando a esaminare la parte della voce su Leonardo
‘filosofo — che Gentile considerava figlio dell’umanesimo e negava
fosse un antesignano della filosofia sperimentale, perché in lui «
il pensiero comincia dall’esperienza, ma per affrancarsene e tornare alla
ragione » —, Busnelli affermava che in Leo- nardo l’appello
all’esperienza sensibile era il frutto dell’in- segnamento dei
peripatetici e degli scolastici, e che «la ragione che infusamente vive
nella natura, come attuante la sua efficacia, non è, conforme alla
dottrina dell’Aquinate, Gentile a Schlosser, (AEI, Lettere,
Schlosser). La voce era introdotta da una parte redatta da Gentile (su
cui cfr. le osser- vazioni di Croce in «La Critica », Bricarelli, L'arte
nell’Enciclopedia Treccani, in «La Civiltà cattolica », la ragione umana, ma la divina. Infine «
La Civiltà cattolica », affermando recisamente che « ogni altra
pedagogia, fuori della cattolica, è ampiamente divergente e dispersiva
nei sistemi fino alla confusione babelica, e nei metodi è angusta,
ristretta ed unilaterale », criticava che nella voce Pedagogia Codignola
avesse interpretato ideali- sticamente, come evolutiva, la pedagogia
cristiana, e all’uni- tarietà di questa opponeva la « babilonia di
antitesi e con- trasti, di ideali e sistemi », imperante nel campo
idealistico esaltato da Codignola, per il quale le opere di Gentile
sul- l'educazione, « accanto a quelle del Croce sui problemi del-
l'estetica e della storiografia, segnano il culmine cui si è sol- levata
la speculazione contemporanea » *”. La durezza del- l’attacco, e
l’ampiezza della difesa di Codignola compren- dente Croce, non necessaria
per l'argomento trattato, pos- sono forse spiegarsi con la condanna da
parte del S. Ufficio, avvenuta l’anno precedente, delle opere di Croce e
di Gentile. Un documento anonimo osserva come, secondo gli ambienti
ecclesiastici, obiettivo princi- pale da colpire fosse Gentile: Si
nota che la condanna in ordine cronologico è stata fatta prima per la
opera del noto antifascista Croce, per poter poi giustificare anche la
condanna delle opere del Gentile. Si aggiunge che oramai era inutile la
condanna del Croce [...], cui la gioventii italiana è ben lungi dal
ricorrere come un tempo, come ad un oracolo indiscutibile. Oggi la
gioventù italiana ha altro da fare e, c’è da scommettere, che moltissimi
giovani, delle classi più acerbe ignorano l’uomo, o, se non l’uomo,
almeno la quasi totalità delle sue opere. Anche questa volta la Chiesa,
volendo colpire uno — cioè il Gentile — è andata alla ricerca di un
cadavere per poter avere un alibi, nel quale nessuno crede. Pi grave è la
condanna di Giovanni Gentile, che in qualche centro è giudicata come una
mossa contro le teoriche accettate dallo Stato fascista. Si indica come
il principale postilatore di questa con- danna padre Gemelli Busnelli,
Leonardo da Vinci nel vol. XX dell’« Enciclopedia italiana », in « La
Civiltà cattolica Barbera], Intorso dl
concetto della pedagogia cattolica, in « La Civiltà cattolica », ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato. Anche «Giustizia e
Libertà », dopo aver individuato in padre Gemelli l’ispiratore della
condanna di Gentile, aggiungeva: « biso- Molte osservazioni potrebbero
farsi a questi giudizi, riprendendo le notazioni di Gramsci sulla diversa
« popo- larità » delle filosofie di Croce e di Gentile. Appare
proba- bile comunque che la condanna del 1934 colpisse più dura-
mente Gentile, che in qualche caso aveva cercato un ac- cordo con i
cattolici, coronando l’indebolimento della sua posizione interna al
fascismo iniziato nel 1929. Consape- vole di questo fatto — di cui gli
scontri avvenuti nell’Enci- clopedia erano stati una riprova —, nel 1936
Gentile con- cludeva un articolo su L’ideale della cultura e l’Italia
pre- sente mettendo in guardia contro il « pericolo [...] che può
derivare dalla restaurazione religiosa desiderata e promossa dal fascismo
come corroboratrice della coscienza civile e delle morali istituzioni.
Restaurazione, che in massima parte non poteva essere che un ritorno alle
tradizioni cattoliche del popolo italiano, col rischio di riassoggettare
la cultura nazionale a forme praticistiche e meccaniche d’una religio-
sità esteriore, e a conseguenti limitazioni dell’interna libertà
spirituale, dalle quali gl’italiani avevan durato secoli a ri- scattarsi.
gna vendicarsi e fingere l’equità: sono messi all’Indice i libri non
di Gentile soltanto ma anche di Croce. Croce sorride e Gentile si
spaventa » (Preti e fascisti. Gentile, Mezzorie italiane e problemi della
filosofia e della vita. Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo La parola, veicolo di « fraternità universale »
« Né ferro, né piombo, né fuoco / posson salvare la Li- bertà, /
ma la parola soltanto. / Questa il tiranno spegne per prima, / ma il
silenzio dei morti / rimbomba nel cuore dei vivi »!. Cosî scrive , fra
tante altre « epigrafi » messe a suggello della propria vita e a
testimonianza degli ideali che l’avevano ispirata, Angelo Fortunato
Formiggini, lucidamente deciso a chiudere con un sacrificio personale che
servisse a « dimostrare l’assurdità malvagia dei provvedimenti razzisti » —
come scriveva alla moglie? — un’esistenza dedicata a perseguire,
primo fra tutti, l’ideale della fratellanza universale attraverso
la forza di convinzione della parola. Se la stampa del regime
mantenne il più rigoroso silenzio sul suicidio dell’editore modenese,
gettatosi dall’alto della Ghirlandina il 29 no- vembre 1938, impedendo
cosî che Formiggini potesse rag- giungere lo scopo di richiamare
l’attenzione dell’opinione pubblica sulle leggi razziali, il suo gesto fu
sottolineato dagli ambienti dell’antifascismo, non solo ebraico, che ne
dettero l’annuncio: « Molti italiani d’Italia, costretti pur- troppo a
mantenere l’incognito, amici e ammiratori di A. F. Formiggini Maestro
Editore annunciano, straziati ma fieri, il Suo sublime sacrificio. Questo
annuncio non ha potuto comparire sui giornali italiani, ove le leggi
razziste impediscono persino di dar notizia dei decessi degli ebrei ». E
Giustizia e Libertà » annunciava in una corrispondenza dall’Italia l’atto
di protesta di Formiggini, Formiggini, Parole în libertà, Roma,
Edizioni Roma, ricordando che egli « non era mai stato un conformista » e
che « ogni suo piano, tendente alla difesa e alla elevazione della
cultura italiana, aveva trovato nel fascismo una oppo- sizione aperta o
una resistenza insidiosa. E ai « posteri », « perché gli orrori e le iniquità
di oggi non abbiano a rinnovarsi mai più nel più lontano avvenire »,
Formiggini volle lasciare in eredità alcune sue Parole in libertà,
testa- menti spirituali indirizzati ai familiari, ai concittadini
modenesi, agli « ebrei d’Italia » e al tiranno in persona, tutti
ispirati, più che da una chiara presa di coscienza politica, da una fede
quasi religiosa nell’amore fra tutti gli uomini, secondo quella visione
del mondo che egli aveva condensato nel motto arzor et labor vitast.
Fra i « testamenti possiamo annoverare an- che il bilancio del suo
lavoro editoriale, Trenta anni dopo, che, seppur scritto pensando alla
pubblicazione, è signifi- cativamente considerato dall’autore il suo «
canto del ci- gno », steso « a giuoco finito », quando un motivo di
spe- ranza può essere visto solo « al di là della tormenta ». Ac-
canto alla testimonianza delle proprie idee non poteva man- care quella
della propria fatica, in un uomo in cui la scelta dell’attività
editoriale si era saldata fin dall’inizio con il perseguimento di obiettivi che
non esiteremmo a definire etici prima ancora che culturali o politici, ma
tali da divenire punto di riferimento di indirizzi di pensiero
determinati ‘. A scrivere il bilancio dei trenta anni della casa
editri- ce — e di sessanta anni della sua vita Formiggini aveva pensato
da tempo, fornendo via via parziali anticipazioni. Convinto che anche «
lo scrit- 3 L'editore Formiggini si uccide a Modena per protestare
contro il razzismo, in « Giustizia e Libertà (e, per l’annuncio di
morte); cfr. anche Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo,
Torino, Einaudi] censura fascista colpirà con particolare accanimento la
produzione dell’editore modenese ed anche i libri della Biblioteca
circolante da lui fondata a Roma, di cui qualche volume è escluso
dalla lettura per motivi politici — come il Capitale —; ma si atrivò
perfino a impedire la diffusione di molti testi dei « Classici del ridere
», come il Decamerone, o L'arte di amare di Ovidio (come si ricava dall’esemplare,
conservato in BNF, della terza edizione del Catalogo della biblioteca
circolante Formiggini, Roma, Formiggini,
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo tore più
mediocre e più oscuro farà sempre cosa interes- sante scrivendo la
propria autobiografia, specie se questa, anziché circoscriversi a fatti
puramente personali (che avrebbero pur sempre un interesse umano e
psicologico) si innesterà nella storia viva del suo tempo » era stato
spinto dal contrasto con Gentile a scrivere « una parte dell’opera » in
un curioso volume che, oltre a pre- sentarci alcune fra le più
interessanti iniziative dell’editore e il suo carattere caustico seppur
non intransigente, costi- tuisce un efficace documento della « marcia »
del fascismo alla conquista delle istituzioni culturali: « da quando
ini- ziai la mia attività editoriale — scriveva proprio allora
Formiggini — non ho mancato di raccogliere materiale per una
autobiografia che avrebbe dovuto riuscire qualche cosa di mezzo fra le
Memorie di un editore di Gaspero Barbèra e il Catalogo ragionato delle
edizioni Barbèra, fusi insie- me » i. Nel modello indicato —
e al quale Formiggini cercherà di mantenersi fedele in Trenta anni dopo
come già in un pre- cedente, più conciso bilancio della sua attività
editoriale — non vi era certo la presunzione di avere svolto un’opera
di promozione della cultura nazionale paragonabile a quella dei
maggiori editori ottocenteschi, da Vieusseux a Pomba, da Barbèra a Le
Monnier, ma pur sempre la consapevolezza di aver reso un « servizio »
alla cultura del proprio paese, e di essere fra i pochi editori del suo
tempo che, come i « grandi » dell’ottocento, riunissero nella propria
persona le qualità dell’imprenditore e del principale animatore
delle iniziative culturali della casa editrice. Quello che fu
carat- terizzato, poco dopo aver tratteggiato i primi venticinque
anni della sua attività, come « un editore che scrive » 7, non avrebbe
condiviso l’opinione di un Luigi Russo, che Formiggini, La ficozza
filosofica del fascismo e la marcia sulla Leonardo. Libro edificante e
sollazzevole, Roma, Formiggini, Formiggini, Venticinque anni dopo., seconda
edizione con prefazione di Giulio Bertoni, Roma, Formig- gini, . Costantino,
Smorfe e sorrisi. Scritti critici, Catania, Casa del libro, di una casa
editrice non si fa storia. Da uomo « positivo » che vuole documentare il
duro e contrastato lavoro da lui compiuto, Formiggini ci ha lasciato con
i Trenta anni dopo una testimonianza d’eccezione, la cui lettura può
risultare utile non solo per precisare il giudizio sulla cultura
italiana del primo novecento — alla luce anche di vicende indivi-
duali minori —, ma anche per riproporre il problema della storia delle
case editrici, spesso disattesa perché considerata una classificazione
forzata di prodotti culturali il cui
marchio di fabbrica » sarebbe dato solo dalla collocazione intel-
lettuale dei singoli autori, uniti o in maniera casuale o da vincoli ideologici
tanto stretti da vanificarne le differenze. Ma, come è stato giustamente
osservato, proprio per- ché luogo organizzato d’incontro di più generi di
colla- boratori, e di più fattori e interessi, una casa editrice di
tipo ancora tradizionale rispecchia orientamenti e programmi di gruppi di
intellettuali che verificano sul piano dell’azione pubblica la loro
consistenza, e dichiarano tutti i loro sottintesi nel punto in cui,
mettendo in circolazione strumenti concreti come libri e riviste, si
scontrano con poteri reali, economici e politici, in situazioni di fatto,
per modificarle (o per accettarle e conservarle). Per questo la
responsabilità di una casa editrice di cultura, a qualsiasi livello essa
operi, è grandissima. Inserita in un tessuto sociale ed economico definito, è
legata ad ambienti e istituti di istruzione, e di ricerca, per
attingervi, ma anche per reagire su di essi, in una trama di rapporti la cui
dialettica è necessario mettere in luce quando si voglia ricostruire
il corso degli eventi di un determinato periodo storico » 5. È un
campo, questo, per il quale assai scarse sono le nostre conoscenze, e non
solo per la difficoltà a scendere concreta- mente su un terreno per tanti
versi accidentato. In realtà, se in linea di massima può essere accettato
il giudizio di Russo, che significato e valore di una casa editrice sono
con- segnati nei suoi cataloghi, e che in alcuni casi, come in
Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in 50 anni di attività
editoriale (Venezia Firenze): La Nuova Italia, Firenze, La Nuova Italia,
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo quello della
Laterza, se ne può seguire la storia ripercor- rendo l’opera di
organizzazione della cultura sviluppata da una personalità come Croce, è
da respingere quel pregiu- dizio idealistico che, considerando il
processo storico come germinazione di idee da idee o proclamando in
astratto la separazione tra cultura e politica — fino a vedere la «
pro- pria » produzione culturale come un sistema chiuso e per-
fetto, per cui la storia reale può confondersi con una « cri- tica di se
stessi — esclude dall’oggetto privilegiato del suo interesse le
istituzioni culturali. Non è un caso che proprio un’analisi che —
come oggi si comincia a fare — abbia al suo centro il tema
dell’orga- nizzazione della cultura e della sua diffusione, permette
di articolare meglio nei tempi e nei modi, per quanto riguarda il
novecento, il giudizio che il neoidealismo italiano dette di sé, e che
ritroviamo facilmente ripetuto come un canone interpretativo indiscusso
’, sulla rottura netta da esso ope- rata all’inizio del secolo nei
confronti delle « vecchie correnti di pensiero, e sul suo deciso trionfo che
non avrebbe lasciato spazio ad alcuna « sacca di resistenza » che non
si ponesse in termini di superamento dell’idealismo stesso. In
realtà ci sembra estremamente valida, tanto più ove la si riferisca non
solo alla cultura di élite, ma anche al più vasto e intricato substrato
ideale che percorre nei primi decenni di questo secolo tutti i settori
della cultura ita- liana — riflettendo la « disgregazione sociale » del
paese e, insieme, le contraddizioni o le resistenze che accompa-
gnano la « rifondazione » dell’egemonia borghese —, l’os- servazione di
Garin, per il quale una delle deformazioni prospettiche più
diffuse, e più dannose per un’esatta comprensione delle vicende culturali
italiane di questo secolo, è quella che proietta alle origini il
risultato di una battaglia — non solo « ideale » — che si concluse, almeno in
una sua fase, intorno agli anni venti, dopo la prima guerra mondiale,
con l’ascesa del fascismo. L’egemonia idealistica, piuttosto gentiliana
che crociana, non era affatto affermata, e tanto meno scontata,
prima della guerra libica. Solo se
ci si liberi fino in fondo dell’eredità 9 Cosî ancora A. Asor
Rosa, La cultura, in Storia d’Italia, Torino, Einaudi, 1 del
provvidenzialismo idealistico, col suo trionfalismo storiografico, sarà
possibile evitare l’appiattimento uniforme di posizioni contra- stanti, e
insieme una polemica sterile, forse interessata soltanto a simmetrici
rovesciamenti !°, Per il periodo che dalla « svolta » del nuovo
secolo arriva al fascismo le vicende delle case editrici, anche di
quelle minori o comunque non in grado di « rappresentare un intero movimento
d’idee » — come appariva a Gobetti la Treves, « simbolo [...] di tutta la
vuotezza italiana per il suo « eclettismo positivistico di cosî lunga e
infausta durata e memoria » !" —, possono costituire una guida
assai utile per disaggregare e ricomporre una trama culturale
complessa, per stabilire accostamenti o distinzioni ideali o politiche
altrimenti non sempre evidenti o per valutare la capacità di penetrazione
e di orientamento di correnti di pensiero — non necessariamente lineari —
in un pubblico colto che proprio nell’età giolittiana cresce enormemente
e in parte si rinnova diversificandosi dal punto di vista sociale, con
l’apparizione sulla scena di una « opinione pubblica » alla quale si
richiede sempre più un consenso agli obiettivi politici perseguiti dalla
classe dirigente. Aumentano per numero e tiratura i quotidiani, ci si
rivolge a un più vasto pubblico popolare
attraverso la scuola, i corsi organizzati dalle università
popolari o le biblioteche circolanti, ma si assiste anche all’espandersi
di una « classe media colta » che desidera legittimare sul piano
culturale il peso politico cui aspira, o al tentativo della borghesia
di affinare gli strumenti del suo dominio. Fra questi piani diversi
esistono connessioni e influenze, nel quadro di una lotta per l’egemonia
che vede un’ampia mobilitazione di forze; ed è ora, dopo la « crisi » di
fine secolo e la « svolta » giolittiana, che alle case editrici
accademiche e a quelle di orientamento « popolare » o dichiaratamente
socialista — come Sonzogno e Nerbini !! — se ne affiancano nuove e
pi Garin, Intellettuali italiani, Roma, Editori Riuniti. Gobetti,
La cultura e gli editori, in Scritti storici, letterari e filosofici, a
cura di P. Spriano, Torino, Einaudi. Cfr.Tortorelli, Una casa editrice
socialista nell'età giolittiana: agguerrite, il cui interlocutore
privilegiato è un pubblico colto e medio-colto in grado di acquistare
libri e riviste: da Laterza a Ricciardi a Rizzoli a Mondadori a Vallecchi
editore di « Lacerba ». In assenza di ricerche specifiche si
comprende quindi l’importanza di testimonianze come quella di
Formiggini che illustra, anche se solo parzialmente, le vicende di
una casa editrice fondata negli stessi anni in cui videro la luce
altre destinate ad acquistare un peso ben maggiore, ma allora di
dimensioni ancora ridotte. L’unico testo a cui si possa in qualche modo
avvicinare sono i Ricordi e idee di un editore vivente scritti da
Vallecchi, che tuttavia, pur trovando concordanze significative nella
difesa di una cultura italiana intesa come strumento di « rinnovamento
nazionale », ripercorre lo stesso arco cronologico con l’ottica del
protagonista precursore vittorioso dell’ideologia fascista in cui
l’editore fiorentino si vanta di aver contribuito a convogliare
nazionalisti, sindacalisti rivo- luzionari, futuristi, vociani,
cattolici. Secondo il proposito dell’autore, i Trenta anni dopo
si presentano invece come una sorta di catalogo ragionato, in cui
la personalità dell’editore è ridotta al minimo, e, a differenza del pamphlet,
restano sullo sfondo anche i « tempi » in cui ha operato: spentasi la
carica polemica di quindici anni prima suscitata dalle vicende della
Leonardo e che si era manifestata in feroci attacchi antiattualisti
(con alcuni spunti antifascisti), escluse espressamente le testimo-
nianze morali che Formiggini veniva consegnando ai suoi scritti privati,
nel volume non appaiono nemmeno —- se non incidentalmente — i nomi dei «
numi tutelari » della cultura italiana del primo novecento. Accanto
alla difficoltà, ma anche al rifiuto di prendere nettamente posizione !,
in questo silenzio si riflettono, più che i risultati di una parabola
politica, alcuni limiti di fondo di un editore la Nerbini, in «
Movimento operaio e socialista », Una testimonianza in questo senso in Trevisani,
Le fucine dei libri. Gli editori italiani, Bologna, Barulli. che i
contemporanei — Prezzolini in testa! — giudica- rono non tanto un uomo di
cultura quanto un grande arti giano e propagandista del libro, e che per
primo amava presentarsi come il sostenitore dei valori universali di
una « cultura » senza ulteriori determinazioni, quasi al di sopra
della mischia, ideale morale e religioso, più che politico. « Riconosco
di avere avuto certe qualità che sono essenziali per rappresentare
efficacemente un indirizzo, un pen- siero, per portare nella fucina
intellettuale del paese un non inutile soffio di ossigeno », scrive
Formiggini, ma sa- rebbe vano cercare di identificare questo indirizzo
nell’am- bito della classificazione usuale delle correnti culturali
ita- liane all’inizio del secolo. Per comprendere cosa questo fosse
concretamente, o come fosse possibile che determi- nati indirizzi di
pensiero, spesso confusi e intersecantisi tra loro, confluissero e si
riconoscessero nella sua casa editrice, bisogna risalire ancora una volta
ai motivi ispiratori della sua vita. « Il libro mi apparve allora, e mi è
apparso poi sempre — scrive ricordando gli inizi della sua attività,
il vincolo delle intese, il vincolo del parallelo cammino verso mete
elevate e concordi. Questa mia fede di fraternità universale, alla quale
s’ispirò fin dagli inizi la mia attività editoriale, era già trionfante
nel mio animo fin dalla prima giovinezza » 5, ed era una fede
religiosamente sentita, se teneva a riaffermare ponendo a coronamento della sua fatica
la collana delle « Apologie delle religioni » — che suo intento era stato
« non di insidiare le fedi senti- tamente professate, ma soltanto di
divulgare l’intima essenza delle varie religioni, per affrettare quel
mutuo rispetto e quella mutua comprensione fra gli uomini che
condurranno l’umanità a quell’affratellamento universale che fu il
car- dine massimo della dottrina del Cristo e che mi ostino a
credere che sia la più alta e la più benefica di tutte le aspi-
Prezzolini, La cultura italiana, Milano, Corbaccio. Formiggini « ha
particolarmente sviluppato, oltre le sue collezioni, il lato direi
tecnico della propaganda libraria. Formiggini, Trenta anni dopo. Storia di una
casa editrice, Amatrice, Formiggini, razioni umane » !. Ma questo ideale
di fratellanza non dovette essere poi tanto anonimo o neutrale, se nel
periodo che dall’affermarsi del neoidealismo e dalla nascita de «
La Voce » arriva fino al fascismo e alla « dittatura » gentiliana
la casa editrice Formiggini poté rappresentare — riunendo soprattutto
quanti nell’idealismo non si riconoscevano — un capitolo significativo e
abbastanza determinato, anche se minore, della cultura italiana.
Nato a Modena, dove contrasse affetti e amicizie che — come quella
con il futuro ministro della giustizia di Mussolini, Solmi — lo
accompagneranno nei successivi spostamenti della casa editrice, da
Bologna a Modena, quindi a Genova e infine a Roma, Formiggini apparteneva a
una famiglia ebraica di cui molti rami erano cattolici da genera-
zioni remote; e in questa origine è forse da ricercarsi uno dei motivi
della sua insistenza sulla necessaria unità tra ariani e semiti e sul
tema della fratellanza universale. In gioventi aveva compiuto indagini di
storia delle religioni, le quali — ricorderà con parole certo immodeste,
ma che testimoniano di un clima culturale intensamente vissuto — mi
portarono ad affermare, su dati puramente giuridici ed etici, quella identità
di origine degli ariani e dei semiti che l'Ascoli aveva già riconosciuto
nello stretto campo della filologia e che gli scritti del Delitzsch, in
Germania, sei anni dopo di me, con grande autorità confermarono. Il
suo interesse per questo campo di studi è infatti attestato dalla
tesi di laurea in legge discussa a Modena, dal titolo programmatico (La
donna nella Thorà in raffronto col Mandva-Dbarma-Séstra. Contributo
storico-giuridico ad un riavvicinamento tra la razza ariana e la semita),
e da un intervento del 1902 nel quale Formiggini lamentava l’as-
senza nel nostro paese di un « insegnamento critico » delle religioni
nonostante gli sforzi di Gaetano Negri, David Ca- stelli, Raffaele
Mariano, Alessandro Chiappelli e, soprat- tutto, di Baldassarre Labanca,
pur avvertendo che il desi- Formiggini, Parole in libertà, Formiggini,
Parole in libertà, derio di una ripresa degli studi storico-religiosi non
deve essere interpretato come l’efflorescenza di un sentimento
nostalgico verso un passato mistico per me e per altri molti ‘ormai
superato. Richiamandosi cosî alla concretezza degli ideali terreni —
aliena, più che in uomini a lui vicini, come Buonaiuti o Quadrotta, da
asce- tismi medievali e da ogni forma di spiritualismo —, Formig-
gini seguîf con interesse quel parziale sviluppo di una scienza delle
religioni che si ebbe in Italia fra la fine dell’ottocento e l’inizio del
nuovo secolo, ad opera inizial- mente di studiosi non cattolici e sulla
base di quella identificazione fra idee teologiche e religiose e
pensieroche divenne « tradizionale negli studi storici italiani dai
tempi del Tocco e del Labanca in poi. Frequentando i corsi di lettere e
filosofia dell’università di Roma (conseguirà poi la seconda laurea
in filosofia morale a Bologna), Formiggini e infatti attento soprattutto
alle lezioni di storia del cristianesimo di Labanca, critico di ogni dogmatismo
e — almeno nelle intenzioni — del misticismo, in nome di un Dio concepito
come ragione e coscienza. Meno avvertibile risulta la traccia
dell’insegnamento romano di Labriola, anche se proprio alla
trascri- zione di Formiggini dobbiamo la conoscenza del suo corso
di filosofia della storia Sul materialismo sto- rico, e se fu proprio il
futuro editore a portare il saluto degli universitari italiani alla salma
del « buon Maestro La coltura religiosa in Italia, Modena, Forghieri e
Pellequi, Cantimori, Storici e storia, Torino, Einaudi; un ‘accenno ai
legami di Formiggini con Labanca e Quadrotta in P. Scoppola, Crisi
modernista e rinnovamento cattolico in Italia, Bologna, il Mulino, Cfr.
le notazioni di G. Gentile, Storia della filosofia italiana, a cura di E.
Garin, Firenze, Sansoni, «Tu, buon Maestro, ti servivi della mia voce per
trasmettere il tuo pensiero alla scuola » (« Corda Fratres Allieva di
Labriola fu anche la moglie di Formiggini, Emilia Santa- maria, la cui
tesi di laurea su Le idee pedagogiche di Leone Tolstoi fu pubblicata nel
1904 da Laterza con una breve prefazione di Labriola (ora in Labriola,
Scritti politici, a cura di V. Gerratana, Bari, Laterza, A.F. Formiggini:
un editore tra socialismo e fascismo suoi « maestri »
dell’università di Roma dovettero comun- que contribuire a rinsaldare
quello spirito democratico — di matrice, ripetiamo, pit etico-religiosa
che politica — al quale è improntata l’attività svolta da Formiggini,
come console e poi presidente della sezione ita- liana dell’associazione
internazionale studentesca Corda Fratres, di stampo radical-massonico,
che si proponeva di raggiungere amore e fratellanza fra tutti i popoli e
le classi prescindendo dalla politica ”. All’interno dell’associazione
Formiggini si batté infatti contro le tendenze che ne inter- pretavano le
finalità in chiave nazionalistica, sviluppando le sue convinzioni
soprattutto a proposito del movimento sionista: « secondo me, e vorrei
che cosî fosse scrive a commento del
sesto congresso sionista di Basilea —, molti di quelli che in Italia hanno
aderito al sionismo, non furono spinti dal sentimento di solidarietà di
razza, ma da quello molto più ampio e liberale di solidarietà umana. Per
costoro non dovrebbero aderire al sionismo gli ebrei soltanto, ma anche
tutti quelli che hanno il pensiero sufficientemente evoluto per
riconoscere che ad ogni uomo, indipendentemente dalla razza cui
appartenga e dalla fede che professi, deve esser riconosciuto il diritto
alla vita ed alla dignità umana » ?. Concetti che saranno
letteralmente ripresi per negare ogni fondamento all’antisemiti-
smo, che avrebbe potuto essere meglio combattuto e vinto ove il sionismo
fosse rimasto una corrente umanitaria, senza trasformarsi in un movimento
nazionalista inteso a « ricostruire la potenza politica d’Israele. Questo
ideale etico-umanitario veniva ribadito da Formiggini, assieme a preoccupazioni
per l’insorgere delle cor- renti irrazionalistiche e idealiste, in una recensione a L’anarchia del modenese Ettore Zoccoli
nella quale, dopo aver condiviso il giudizio dell’autore sulle « teorie
immo- rali e antigiuridiche » degli anarchici, lo rimproverava di
Non era ancora un'associazione puramente « corpotativa », come
apparirà negli anni venti a Giorgio Amendola (Una scelta di vita, Milano,
Rizzoli). Corda Fratres Formiggini, Parole in libertà, non aver mostrato «
la efficacia, per quanto indiretta e non voluta, che ha avuto l’anarchia
per sospingere l’umanità verso un’era di giustizia sociale, di libertà
politica e religiosa e di universale affratellamento », e aggiungeva:
Dobbiamo ad ogni modo auguratci che la crisi che sta attraver-
sando il pensiero filosofico contemporaneo, il quale, mosso appunto dalla
preoccupazione etica, si è già annunciato come una vivace rea- zione
contro la filosofia della seconda metà del secolo XIX, si possa
risolvere, non in un ritorno a forme mistiche, la cui inconsistenza è già
stata provata dall’esperienza storica, ma in una confortante e serena
consacrazione di una morale intesa come necessità imprescin- dibile della
vita: necessità non d’ordine logico né d’ordine fisico, ma però tale da
avere rispetto alla vita delle coscienze: quello stesso imperio assoluto
che hanno le necessità logiche per il pensiero e le necessità fisiche per
tutto l’ordine meraviglioso della natura Dove sono espressi sinteticamente non
solo la conce- zione ottimistica del progresso e l’ideale di
conciliazione di quei « positivisti in crisi » che graviteranno attorno
alla casa editrice di Formiggini, ma anche il senso di un assedio
che si andava stringendo da parte degli idealisti. Ben diverso, quasi
contrapposto, era il giudizio sull'opera di Zoccoli formulato da Croce,
che la considerava moralistica (mentre una teoria filosofica sarà esatta
o sbagliata, ma non mai morale o immorale ») e, da osservatore
apparentemente distaccato, ne traeva spunto per notare nell’affermarsi di
tendenze sindacaliste rivoluzionarie contro il riformismo socialista
l’influenza dell’anarchismo, che forse, considerato nel suo insieme, giova
a mante- nere quel sentimento di scissione tra il proletariato e la
borghesia, che i teorici del sindacalismo stimano indispen- sabile al
progresso sociale » ; lo stesso Croce che in un momento decisivo dello scontro
col positivismo, bandiva dal vocabolario di « coloro i quali anelano a un
risveglio della filosofia e della cultura, salutare alla patria italiana
», i termini di « tolleranza » e « temperan- za », sinonimo,
quest’ultimo, di « debolezza, incapacità di 3 « Rivista italiana
di sociologia, La Critica », Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo sintesi, tendenza alla combinazione e conciliazione
estrin- seca, che porta ad affermare cose tra loro ripugnanti, ha
paura delle opinioni della gente volgare, cerca di non sve- gliare
opposizioni, e rifugge dai partiti che richiedono riso- lutezza e
responsabilità Positivisti, modernisti, socialisti La fisionomia
alla quale la casa editrice rimarrà sem- pre fedele venne definendosi nel
giro di pochi anni, tanto che Serra, tracciando i caratteri distin- tivi
dei due editori-tipo italiani, Laterza e Treves, espres- sione il primo
del « libro di cultura » e, il secondo, di quello di bella letteratura, ma
con la tendenza sempre più marcata « a entrar nel campo della cultura »,
poteva anno- verare in quest’ultima categoria le edizioni Formiggini,
di cui metteva in evidenza le « intenzioni brillanti » e « un certo
decoro » ”. Notevole rilievo ebbero infatti anche le collane
lette- rarie, significative di una scelta e di un gusto: i « Poeti
ita- liani » si apre nel 1910 con le Odi di Massimo Bontempelli —
uno degli autori pi cari a Formiggini, fino alla rottura —, proprio in
quell’anno schieratosi nella « polemica carducciana » con Ettore
Romagnoli con- tro Croce e Prezzolini in difesa della critica di tipo
lettera- rio contro quella di impianto filosofico, e annovera altri
poeti che inseguono il modello del « grande artiere » di Carducci con
accenti tenui ed eleganti, come Francesco Chiesa, Francesco Pastonchi e
Severino Ferrari (ma c’è anche Pirandello, che ritornerà con Liolà); e
grandissima fortuna ebbero i « Classici del ridere » — cui Formiggini
af- fiancò la raccolta « Casa del ridere » — ”, che raccogliendo
Croce, Il risveglio filosofico e la cultura italiana, in Cultura e
vita morale, Bari, Laterza, Serra, Le lettere, in Scritti letterari, morali e
politici, a cura di M. Isnenghi, Torino, Einaudi, Cfr. Bontempelleide,
con interventi di Formiggini e Fernando Pa. lazzi, in «L’Italia che
scrive, Cfr. gli interventi di E. Manzini ed E. Milano in Formiggini
testi italiani e stranieri, riflettono l’utopistica speranza del-
l’editore che l’« universale fusione di spiriti che deve essere la meta
costante di ogni più alta manifestazione di civiltà, sarà affrettata di
altrettanto di quanto l’affrettarono la mac- china a vapore e il
telegrafo » ®. L’impronta culturale e ci- vile della casa editrice è data
tuttavia dal largo spazio accor- dato ad argomenti filosofici, pedagogici
e religiosi, con un orientamento che, se difficilmente può essere
definito in positivo, può essere considerato schematicamente come
espressione di gruppi non-idealisti. Positivisti e modernisti di
varie venature, e spesso di orientamento politico socialista e
socialisteggiante, contrad- distinsero le origini della casa editrice,
che continuerà ad annoverarli tra i suoi collaboratori anche quando le
convin- zioni di alcuni si vennero modificando sensibilmente (ma
altri si aggiunsero, come Giuseppe Rensi e Adriano Tilgher, nel momento
del loro distacco dall’idealismo). I nomi di Achille Loria e Alessandro
Levi, di Emilia Formiggini San- tamaria e Giuseppe Tarozzi, di Ernesto
Buonaiuti e Felice Momigliano, ricorrono con frequenza, anche per
l’intero trentennio di vita delle edizioni Formiggini, a conferma
di una scelta e di una adesione non casuali. Sui gruppi
positivisti di questi anni, di filosofi e peda- gogisti in particolare,
come sui vari filoni modernisti e sui loro esiti, sono state scritte
pagine illuminanti che hanno colto gli itinerari di ciascuno sotto
l'impatto del neoidealismo. Restano tuttavia da verificare le convergenze e
le alleanze che, contro lo stesso nemico, si stabilirono tra cor-
renti e uomini per vari aspetti spesso culturalmente e politi- camente
diversi e distanti, e che videro seguaci di Ardigò, neokantiani e
fautori di un rinnovamento della chiesa — laici e religiosi, mistici
e razionalisti — confluire insieme a combattere per la loro
sopravvivenza, uniti solo, nel co- mune disorientamento, da condanne
idealiste o pontificie. Editore. Mostra documentaria, Modena,
S.T.EM. Mucchi, Formiggini, Trenta anni dopo, cit., Garin, Cronache
di filosofia Sialiona Bari, Laterza, Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo Di questi e altri accostamenti, come quello
tra socialismo e religione in cui si impegnarono ad esempio Alfredo
Poggi e Felice Momigliano, sono documento evidente proprio le
edizioni Formiggini. E forse a molti collaboratori della casa editrice
può essere esteso il giudizio che è stato espresso per Momigliano: «
Profetismo, Mazzini, socialismo rima- sero per Felice tre nozioni
difficilmente separabili. La purificazione dell’ebraismo, il rinnovamento
spirituale d’Italia e lo stabilimento della giustizia sociale in Europa
erano nella sua mente tre aspetti di un problema solo. Un vivo
senso della nazionalità e un vago socialismo sconfinante nel populismo borghese
e inteso come prosecuzione della democrazia risorgimentale sono infatti
le caratteristi-. che di uno dei più assidui collaboratori di Formiggini,
Ales- sandro Levi *, e si ritrovano in molte delle iniziative del-
l’editore modenese. Nelle collane di saggistica si possono comunque
individuare tre filoni principali di interesse: quello religioso, pre-
sente ovunque ma che per un certo periodo ebbe il suo posto privilegiato
nella « Biblioteca di varia coltura » dove usci il Mosé e i libri mosaici
dell’ex prete moderni- sta Salvatori Minocchi — in questo momento
convinto che « il futuro cristianesimo ha da cercarsi nelle vie del
socialismo —; quello pedagogico, che
vide l’intervento assi- duo di Emilia Formiggini Santamaria con studi
storici è didattici ispirati alle teorie di Fròbel ed ebbe un punto
di riferimento costante — non quando. fu pubblicata dall’editore
modenese — nella « Rivista pe- dagogica », l’organo dell’Associazione
nazionale per gli studi pedagogici fondato nel 1908 da Luigi Credaro e
che, Momigliano, Momigliano, ora in Terzo contri- buto alla
storia degli studi classici e del mondo antico, Roma, Edizioni di storia
e letteratura, Poggi cfr. Socialismo e religione. Modena, Formiggini,
1911, e, sull’autore, la voce di M. Torrini in F. Andreucci - T. Detti,
Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma, Editori
Riuniti,Cfr. le osservazioni di Piero Treves nel numero speciale di «
Cri- tica sociale » dedicato a Levi Cit. da A. Agnoletto, Minocchi, vita
e opera; Brescia, Morcelliana, seppur influenzato dall’herbartismo del
futuro ministro della pubblica istruzione, fu aperto ai collaboratori
delle più varie tendenze (da Colozza a Calò, da Varisco alla
Formig- gini Santamaria) *. Il terzo filone, e forse il più
significativo perché comune denominatore anche degli altri, fu
rappre- sentato da un generico interesse per i temi filosofici, mu-
tuato dalla Società filosofica italiana e dalla « Rivista di filosofia »
attenta, del resto, anche alle problematiche reli- giose e
pedagogiche. L’inizio dell’attività di Formiggini è infatti
stretta- mente connesso con la fase di riorganizzazione della
Società filosofica italiana, di orientamento prevalentemente (anche
se vagamente) positivista, apertasi — in concomitanza con
l’intensificarsi del programma culturale di Croce e di Gentile attorno
alla casa editrice Laterza — con il congresso di Parma della società. In
questa sede fu deliberata — in vista di « una degna affermazione
dell’atti- vità filosofica italiana » al terzo congresso internazionale
di filosofia di Heidelberg — la preparazione di quel Saggio di una
bibliografia filosofica italiana che, compilato da Ales- sandro Levi con
la collaborazione di Bernardino Varisco e, per la parte pedagogica, di
Emilia Formiggini Santamaria, apparve nel 1908 per i tipi di Formiggini e
fu giudicato da Gentile la prima manifestazione di « qualche cosa di
con- creto e di utile agli studi di filosofia » da parte della
Società filosofica ’. Il Saggio inaugurò la « Biblioteca di filosofia e
di pedagogia » che accolse, oltre agli atti dei congressi della
società, scritti della Formiggini Santamaria, I/ materialismo storico in
Federico Engels di Rodolfo Mondolfo — di cui è possibile cogliere
l'origine tormentata nelle lettere dell’au- tore all’editore * —, e altri
testi in cui l'impronta antiidea- Cfr. D. Bertoni Jovine, La scuola
italiana, Roma, Editori Riuniti, « La Critica » Attendo presentemente a
un lavoro su La filosofia del comunismo critico. Una parte di questo, I/
materialismo dialettico e il materialismo storico di F. Engels spero
averla pronta entro brevissimo tempo », scrive Mondolfo proponendone la pubblicazione.
Ma ancora confessava: « La parte che ancora rimane per il termine
del lavoro io l’avevo molto tempo addietro abbozzata e in
Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo lista è, almeno
prima della guerra, ben documentabile. Se meno precisamente definibile è
la posizione di Ludovico Limentani, assertore del metodo positivo ma
aperto alle istanze idealistiche, che pubblica due volumi (I
presupposti formali dell'indagine etica, e La morale della simpatia) in
cui, come in tutta la sua opera, è filosofi- camente argomentato e
approfondito l’ideale stesso di Formiggini, in quanto l’autore fa l’«
esaltazione, sul piano poli- tico-sociale, del diritto ad esistere di ogni
spinta ideale, che scenda a collaborare sul piano della concreta
discussione con le altre idealità » *; assai netta è, nel 1913, la
posizione di Erminio Troilo, seguace del pensiero ardigoiano e uno
dei più continui collaboratori della casa editrice, che pre- sentando le
Pagine scelte di Ardigò lancia un violento atto d’accusa contro idealisti
e pragmatisti, in una difesa patetica di quella cultura positivista che
stava scomparendo: « Sin- ceramente, — scriveva — chi scorra senza
spirito di parte o di setta e senza quel vanissimo orgoglio di
superfiloso- fismo che è oggi venuto di moda, e che infuria, talora
con veri accessi di epilessia metafisica e pit spesso con inqua-
lificabile volgarità, specialmente, si capisce, contro il posi- tivismo,
le pagine che il Gentile e l’Orano, il Papini e, ultimo venuto, il De
Ruggiero hanno, bontà loro, dedicato a Roberto Ardigò, dovrà convenire
che non mai parzialità e superficialità, trivialità e accanimento hanno
intessuto una trama di più fatue leggerezze e di più dolorose
malizie, intorno ad un uomo e ad un pensatore che ha pur il diritto
di vivere e di pensare; mentre quei critici stessi si svociano
parte stesa in una forma però che, essendo stato poi da me modificato
tutto il piano del lavoro, non può più affatto andare. È dunque da rifar
da capo bisogna che torni a rivivere il mio tema ». Finalmente 1°11
ottobre dello stesso anno poteva annunciare: «Ho scritto l’ultima car-
tella »; ma i dubbi non erano finiti, se, approfittando della necessità
di cambiare il frontespizio del volume per il trasferimento dell'editore
da Modena a Genova, Mondolfo suggeriva di togliere dal titolo « Il
materialismo dialettico lasciando le parole « Il materialismo storico,
che costituiscono la parte più importante e interessante del titolo. Archivio
editoriale Formiggini presso la Biblioteca Estense di Modena [d”ora in
avanti AF], Mondolfo Garin, I/ pensiero di Ludovico Limentani, in « Rivista di
filosofia. In/ e si sbracciano ad osannare i
pretenziosi ma altrettanto inconcludenti fra professori e conferenzieri
di marca tedesca e anglo-americana, e francese, i cui nomi sono ormai
sulle bocche di tutti; o i più ciarlatani, tipo Sorel; o pit
insulsi tra gli affiliati nostrani della congrega hegelianoide Fuori collana
apparvero altri testi filosofici, di particolare rilievo i primi due
volumi degli Scritti di Michaelstidter; non andò in porto, invece, la
pro- posta di Levi di pubblicare gli scritti di Vailati, avanzata
subito dopo la morte di questi. Questi contributi erano il frutto
di un rapporto diretto con la « Rivista di filosofia, l’organo della
Società filosofica italiana, per i tipi di Formiggini, dalla fusione della «
Rivista di filosofia e scienze affini » di Giovanni Marchesini con la «
Rivista filosofica » fondata da Carlo Cantoni; e che non si trattasse di
un rap- porto puramente tecnico o commerciale, è dimostrato dalla
notevole consonanza di accenti tra la rivista e tutta l’atti- vità della
casa editrice. Non costituiamo una scuola; siamo una collezione d’uomini,
unit: dal comune amore della verità, ma che non abbiamo tutti lo
stesso concetto di quello che la verità sia Ma tutti siamo persuasi
che, per arrivare a conoscere la verità
e a farla trionfare, la discussione seria de’ problemi, sotto ciascuno
de’ loro aspetti, sia l’unico mezzo possibile: un mezzo che, prima o poi,
ci farà conseguire il fine desiderato £: cosi dichiaravano
nel 1909 i redattori della rivista criti- cando il programma della « Rivista
di filosofia neo-scola- stica » che si diceva « espressione dei
pensamenti di una scuola determinata ». Questo vago « amore della verità
» era il segno, più che della « temperanza » combattuta da Croce e
dai neoscolastici, di uno sbandamento e di una de- bolezza di fondo,
appena mascherati da un ottimismo inge- nuo e perdente, data
l’indeterminatezza del fine da
rag- Ardigò, Pagine scelte, a cura di E. Troilo, Genova,
Formiggini, PED 4 AF, « n di filosofia, Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo giungere: un « amore della
verità » tale non solo da provo- care il rapido manifestarsi di contrasti
interni alla redazione tra i due gruppi di Pavia e di Padova, ma anche da
permet- tere che già nel 1910 padre Gemelli venisse accolto fra i
membri della società. E tuttavia il programma dei fondatori, inteso a dare
all’Italia « una rivista autorevole aperta ugualmente a tutte le opinioni
e perciò adatta a chiarire le profonde ragioni ideali, da cui le scuole
filosofiche trag- gono origine », introduceva subito sintomatiche
puntualiz- zazioni: la patria nostra, risorta da cinquanta
anni ad unità di nazione, vuole rivendicare le alte tradizioni del suo
pensiero che informa tutta la cultura e la vita moderna.
Infatti, dobbiamo costantemente ricordare che naturalismo ed
umanismo, i due atteggiamenti fondamentali della speculazione euro- pea,
sorgono ugualmente col rinascere degli studii per opera del genio
italiano, universale e concreto; sicché tutta la filosofia posteriore può
rannodarsi ai nomi di Galileo e di Vico, che ne simboleggiano gli
spiriti. Da questi eroi tragga incitamento ed auspicio la nuova
filosofia che deve ravvivare l’opera e la coscienza ideale degli
italiani! In realtà, nonostante l’auspicio che sulle sue
pagine « tutti gli indirizzi del pensiero filosofico trovassero
libera espressione » ‘, e i passi compiuti in questo senso verso i
circoli di filosofia di Roma e di Firenze di tendenze preva- lentemente
idealistiche *, la rivista diretta da Faggi, Juval- ta, Levi, Marchesini,
Vailati (sostituito dopo la morte da Calderoni e Troilo), Valli e
Varisco — ai quali si aggiun- geranno in seguito Pastore e Buonaiuti—
risultò voce di « positivisti » il cui eclettismo trovò un limite di
fronte all’idealismo. Ci sembra assai valido — ed estensibile alla casa
editrice — il giudizio di Santino Caramella, per il quale la
rivista accoglieva I due circoli aderirono alla Società filosofica
nel corso, ma quello di Firenze ritirò la propria adesione tramite
il suo segretario Giovanni Amendola: fra il Circolo e la Società, dichia-
rava, « non esiste affinità alcuna, né di scopo, né di tendenze, né di
me- todi d’azione » (« Rivista di filosofia », I tutti, « dal
neopositivismo del Troilo all’hegelismo del Losacco, dal misticismo del
Rensi al fichtismo del Til gher e del Ravà, dall’ardigioianesimo al
neokantismo — e chi più ne ha più ne metta, ogni indirizzo poté salire in
tri- buna. Ma non per questo cessava la intolleranza verso gli
intolleranti di questa amorfa tolleranza: il Croce, Gentile restarono sempre i
maligni avversari che avevano gua- stato l’Eden filosofico: e
specialmente i positivisti ebbero cura di non lasciar mai spegnere il
fuoco della battaglia » *. Possiamo aggiungere, a integrazione del quadro
solo in negativo fornito da Caramella, l’esplicita connessione di
in- teressi filosofici e religiosi — ne è testimonianza anche l’in-
gresso nella redazione di Buonaiuti, subito impegnato a confutare sulle
pagine della rivista la pretesa gentiliana di individuare in Vico un
precursore dell’attualismo 4 — e l'insistenza sul « genio italiano » che,
pur senza assumere fin dall’inizio precisi connotati nazionalistici —
come cer- cherà invece di far intendere Troilo —, era indice di una
chiusura nei confronti del pensiero contem- poraneo non italiano.
È un aspetto, questo, che risalta con forza ove si con- frontino i
« Classici della filosofia moderna » che Croce iniziò per Laterza con l’Enciclopedia di Hegel,
e l’iniziativa formigginiana dei « Filosofi italiani », la collezione
promossa dalla Società filosofica italiana e diretta da Felice Tocco. Le
differenze, naturalmente, non sono segnate solo da confini geografici,
pur importanti. Il fatto è che, come riconosceva e paventava la stessa «
Rivista di filosofia » *, il programma crociano si proponeva la
valorizza- Caramella, Le riviste filosofiche italiane nell'ultimo
quarto di secolo, « La Cultura Buonaiuti, Il carattere storico della
filosofia italiana, in « Rivista di filosofia In « L'Italia che scrive
»Recensendo positivamente — per l’accesso diretto alle fonti che
offrivano — i « Classici della filosofia moderna », Michele Losacco
osser- vava: « È ben difficile «creare un movimento speculativo che lasci
tracce profonde, se l’ambiente in cui si lavora non è sufficientemente
preparato ad intenderlo; ne fu prova non dubbia l'indirizzo idealistico,
promosso a Napoli da Bertrando Spaventa, e che non trovò il meritato
seguito, perché si concentrò in alcuni pochi spiriti, solitari e
incompresi. Ora ogni nuovo Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo zione di una linea di pensiero che assegnava all’Italia
un ruolo centrale con Spaventa, De Sanctis, Labriola e Croce, ma
era tanto pi forte in quanto riproposta attraverso una determinata lettura
di Vico, di Kant e di Hegel, mentre Tocco si preoccupava di riportare
alla luce soprattutto la filosofia della Rinascita che è nella
maggior parte italiana, come italiano è quel movimento umanistico che la
promosse. E questo periodo cosi arruffato della speculazione, che in
mezzo al rifiorire della scienza e della medicina antica, in mezzo al
ripullulare dell’an- tica magia alchimia ed astrologia prepara l’avvento
della nuova scienza e della coscienza nuova, merita di essere studiato
. Ben diversa da quella di Croce e Gentile fu anche la
capacità di promozione della Società filosofica italiana: bastò la morte
di Tocco a impedire che avesse seguito, dopo i primi due volumi del De
rerum natura di Telesio curati da Vincenzo Spampanato la proposta
avan- zata in prima persona dall’editore modenese al terzo con-
gresso della società (Roma, ottobre 1909), e da questa assunta in proprio
con l’impegno del suo presidente di « dare ogni aiuto possibile », di «
raccogliere in una accu- ratissima edizione i testi critici dei maggiori
filosofi italiani, per rendere accessibili a tutti le opere meno
agevolmente ostili e più importanti per la storia del pensiero
nazio- nale » ”, e serio conato speculativo, come fu, per
esempio, quello della Rinascenza, presuppone sempre lo studio e il
riconoscimento delle migliori tradizioni filosofiche, e nazionali e
straniere, da cui deve trarre la ragion d’essere e l’ispirazione » («
Rivista di filosofia », Prefazione di Tocco al vol. I del De rerum natura di
Telesio (Mo- dena, Formiggini, Cfr. anche E. Garin, Per un'edizione dei
filosofi italiani, in « Bol- lettino della Società filosofica italiana
Perché la direzione dei « Filosofi italiani » fosse affidata a Tocco
intervenne Croce, come si ricava dalle sue lettere a Formiggini e dal suo
commento al congresso di Roma, in cui dichiarò « in piena liquidazione »
il positivismo (ora in Pagine sparse, Bari, Laterza, Contro le « fauci ingorde
» di Formiggini, che per l’edizione di Telesio avrebbe cumulato i
contributi finanziari del Comitato telesiano di Cosenza e dello Stato,
cfr. lo sfogo di Gentile nella lettera a Croce (G. Gentile, Lettere 4 Croce, a
cura di S. Giannantoni, Firenze, Sansoni Gentile scriveva a Croce
degli « spropositi vergognosi » presenti nella prefazione di Spam- panato
Accanto a una cultura in varia misura positivista che si organizza sul
piano accademico che è proprio della « Rivista di filosofia » — e anche
su questo terreno sarebbe da valutare la « resistenza » opposta dai positivisti
al neo- idealismo, testimoniata dalle lagnanze ricorrenti nelle
let- tere di Croce, Gentile, Omodeo, è da segnalare la « vocazione
» illuministica di questi gruppi a farsi educa- tori di masse le più
larghe possibili. Se l’idealismo incontrò forti limiti ad una sua
penetrazione o « traduzione » popo- lare, ciò non si dovette solo a sue
carenze originarie o éli- tari rifiuti, ma anche all’esistenza di una
cultura media o « popolare » resa impermeabile alla sua influenza da
prece- denti incrostazioni di segno diverso o contrario, depositate
lentamente — attraverso periodici, università popolari o certe collane,
non solo di istruzione tecnica o di lettera- tura d’appendice — ad opera
dei positivisti che avverti- vano « il dovere di divulgare tra il
“popolo” quella scienza che consideravano parte integrante della realtà
», fiduciosi « che individui appartenenti a ogni strato sociale
potessero rispondere al richiamo illuminante e liberatore della
verità, la stessa verità in cui essi credevano Alla divulgazione erano
appunto rivolti, come altre iniziative contemporanee e sulle orme della «
Biblioteca del popolo » di Sonzogno, i « Profili » di Formiggini, nati
nel 1909 con l’intento di soddisfare il più nobilmente possi- bile
alla esigenza caratteristica del nostro tempo, di voler molto apprendere
col minimo sforzo » *. E non a caso « Cri- tica sociale » la giudica una
« utilissima colle- zione » ®. Alla tendenza allora predominante di dare
una immagine del passato o del presente attraverso singole figure
di protagonisti — gli « eroi » di cui parlava la « Rivi- sta di filosofia
» nella sua pagina d’apertura, gli uomini sim- boli di un’epoca su cui
era costruita la prima storia del Rosada, Le università popolari in
Italia, Roma, Editori Riuniti, A.F.F , Trenta anni dopo, cit.,
53 V. Osimo, ‘arlo Porta, in « Critica Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo socialismo tentata da Angiolini e Ciacchi —
si ispirarono numerose collezioni, la più nota ed aulica di tutte, ma
di breve durata, quella dei « Contemporanei d’Italia » intrapresa da
Ricciardi sotto la direzione di Prezzolini; ma fu soprattutto Formiggini
a preoccuparsi di divulgare i suoi « Profili » attraverso le biblioteche
popolari, « queste istituzioni — scriveva presentando la collana — che
stanno ora sorgendo e moltiplicandosi e che saranno i focolai donde
uscirà la dignità nuova e la nuova fortuna della patria », rivolgendosi
in particolare al mondo della scuola*. E i « Profili » raggiunsero un
pubblico per quei tempi molto va- sto: uno dei primi titoli, il Ges di
Labanca, di cui nel 1918 fu stampata la terza edizione, solo nella prima
ebbe una tiratura di 2.500 copie Nel capitolo de Le lettere dedicato alla
« critica letteraria », Serra faceva un bilancio delle collane
comprendenti « l’essaî dedicato a una questione o a una figura », e
annotava: Ne abbiamo parecchie: i Profili, i Contemporanei, gli
Uomini d’Italia, i moderni, gli antichi e che so io. Ma o si sono
arrestate, 0 han dato la solita roba; conferenze da una parte, e
dall’altra tesi e avanzi di corsi scolastici, che non riescono a fare il
libro. L’unica serie che va avanti bene è quella dei Profili; appunto
perché il suo modulo, anche materialmente, modesto e facile da riempire,
si im- pone alla personalità degli autori con una certa economia
necessaria di notizie e di disegno, che non lascia posto a digressioni o
erudi- zioni o analisi, come dicono, originali. Potrebbe parere un
difetto; ed è, tra noi, una fortuna. Senza dire che anche in quei limiti
si pos- sono ottenere cosette buone; per un esempio, l’Esiodo del Setti o
il Bodoni del Barbera *. La mancanza di originalità di
questa produzione non impediva tuttavia che essa avesse un taglio preciso
per gli autori o i biografati prescelti. Anche se il criterio della
% Illustrando sulla « Rivista di filosofia » un suo progetto
sull’istitu- zione di biblioteche per gli studenti delle scuole medie,
già accennato al congresso per le biblioteche popolati di Roma nel
dicembre 1908, Gio- vanni Crocioni affermava: «Non vi mancheranno le
opere d’arte, le vite di uomini insigni, le edizioni popolari; vi
troveranno, ad esempio, luogo opportuno i Profili che il nostro
coraggioso e geniale editore vien pub- blicando con fine gusto di arteAF,
Labanca. 5% Serra, competenza suggeri in un primo tempo a
Formiggini di rivolgersi a Croce e poi a Gentile per il ritratto di Hegel,
a Papini per quello di Sarpi o a Prezzolini per Baretti — contatti
che non ebbero poi esito positivo —, gli autori dei Profili furono e
rimarranno in maggioranza esponenti di ambienti positivisti o modernisti,
e spesso « toccati dal
materialismo storico. Per i personaggi-chiave, dove le « di- gressioni »
erano pit facili e significative, troviamo Achille Loria autore del
Malthus — « uno dei più ricer- cati della mia fortunata collezione », gli
scriveva Formiggini — che raggiunse la quarta edizione, dei ritratti di Marx e
Ricardo; Tarozzi con Rousseau, Ardigò e Socrate ed Troilo con TELESIO (si veda),
Bruzo e Kaxt; Labanca con Ges# di Nazareth, Momigliano con Tolstoi
e Buonaiuti con una lunga serie di ritratti: Sant'Agostino, San
Girolamo, Sant'Ambrogio, AQUINO (si veda), San Paolo, Gest il Cristo (che
sostituî il profilo di Labanca) e San Francesco; Barbagallo tracciò
i profili di Giuliano l’Apostata e Tiberio, mentre Concetto
Marchesi delineò quelli di Marziale, Giovenale e Petronio. Alcune,
poche « concessioni » del periodo fascista non alterarono le
caratteristiche originarie della collezione, che accanto alle figure
principali della letteratura italiana e stra- niera dava largo spazio —
più di quanto ne concedessero la « Collana biografica universale » delle
edizioni Quattrini di Firenze o i « Pensatori celebri » e i « Pensatori
d’oggi » del- la milanese Athena — ad esponenti del pensiero
filosofico- scientifico (Telesio, Bruno, Galileo, Newton,
Lavoisier, Morgagni) e ai pensatori dell’ottocento cari alla
genealogia positivistica e socialista (Malthus, Darwin, Marx,
Lombro- so, Ardigò). Mentre per meglio esaltare la dottrina
di Darwin l’au- tore del suo ritratto, il naturalista Alberto Alberti,
rite- neva necessario fissare fin dall’inizio le fattezze del
biogra- AF, Loria. Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo fato (« cupola immensa il cranio. Dentro, un cervello
che come quello di Volta e forse come quello di Leonardo, non
pesava meno di due mila grammi), convinto, in base a un ingenuo
positivismo, che i tratti fisici giovano a far intendere come per la
larga, possente grandiosità del lavoro intellettuale compiuto da Darwin
ben occorresse anche una struttura fisica non diversa ma più vigorosa di
quella onde è congegnata la moltitudine degli uomini » *;
l’autorevo- lezza delle biografie di Malthus e di Marx è affidata al
loro autore, quell’Achille Loria tanto disprezzato da Labriola e da
Gramsci, ma che rimane pur sempre, come è stato sotto- lineato di
recente, « una figura rappresentativa dell’età del positivismo
evoluzionistico e del nascente movimento socia- lista » alla quale si
deve « la diffusione in Italia della no- zione di un’economia non
immutabile, non governata da leg- gi esterne, ma mossa dalla lotta delle classi
sociali e perciò suscettibile di evoluzione al di là dello stadio
proprietario e capitalistico » ”. I giudizi e gli accostamenti di Loria
non sono per questo meno disinvolti: la teoria della popola- zione
di Malthus, « sorta quale teoria di regresso », se « de- bitamente svolta
ed ampliata, si torce invece nella più radi- cale fra le teorie sociali.
Dacché essa insegna che il flutto incessante della popolazione è il
fermento irresistibile di distruzione delle forme sociali successive » 9;
invece Marx, nonostante la « grandiosità michelangiolesca » del suo
pen- siero, sta « di molto al disotto dei grandi maestri della
scienza positiva »: « Se invero è mirabile e enorme que- sttuomo — notava
Loria —, il quale riesce a contenere tutto un mondo fra le pieghe di un
semplicissimo principio iniziale, e la cui vita non è pi che lo sviluppo
di una equa- zione, che egli ha posta agli esordi — quanto più
onesto, più leale, più scientifico il procedere di Darwin, il quale
non pone principj aprioristici, ma accoglie senza preconcetti 5 A.
Alberti, Darwin, Modena, Formiggini, Faucci, Revisione del marxismo e teoria
economica della pro- prietà in Italia, Loria (e gli altri), in « Quaderni
fio- rentini, Loria, Malthus, Roma, Formiggini, i fenomeni nell’ordine di complessità
progressiva che la vita stessa gli affaccia! La storia italiana recente
era illustrata con un forte senso della nazionalità, accentuato dalla
grande guerra, ma con tonalità democratiche: al ritratto dei fratelli
Bandiera seguivano -16 quello di Abba, e un Cavour di Murri che —
presentato da una Lettera ai com- battenti del « capitano Formiggini »
come « una potentis- sima sintesi » non solo delle concezioni dello
statista pie- montese, « ma di tutte le correnti del pensiero
collettivo che portarono al trionfo della idea nazionale » — si
preoc- cupava di definire valore e limiti del realismo politico del
biografato per dare sbalzo alla fede mazziniana (« solleci- tando, con il
suo titanico ardimento, la storia ed i fatti, [Cavour] disperse, in
parte, quel tesoro di energie spiri- tuali che Mazzini aveva preparato
per pi lunga e pro- fonda e dolorosa opera Cavour ha avuto ragione
per il suo tempo, Mazzini torna ad aver ragione oggi. Elemento
caratteristico della collezione formigginiana resta comunque l’ampio
interesse per la storia religiosa, toccata sia attraverso le figure di
Ges, di Savonarola £ e dei santi, sia per inciso nei profili degli
imperatori romani che videro l’affermarsi del cristianesimo o nel
ritratto dedi- cato a Tolstoj da Felice Momigliano. « Pi che l’editore,
tu sei il critico degli autori tuoi », scrive Marchesi a Formiggini
*: e il rapporto dell’editore con gli autori di profili religiosi si
rivela particolarmente stretto e franco, come nel caso di Labanca e di
Buonaiuti; indice della sua diretta partecipazione è ad esempio
l’affettuoso rimpro- A, Loria, Marx, Genova, Formiggini, Murri,
Camillo di Cavour, Genova, Formiggini, Rispetto al giudizio minimizzatore di
cui sarà oggetto nell’Enciclo- pedia italiana, come abbiamo visto,
Savonarola era eroicizzato da
Galletti come colui che «riconciliò la libertà colla religione,
ravvivò negli animi il sentimento cristiano offuscato o pervertito,
ordinò un governo libero e onesto sul fondamento della dignità morale »,
dimo- strandosi, con tutto ciò, « veramente italiano » (Savonarola,
Roma, Formiggini, AF, Marchesi. Formiggini: un editore tra socialismo e
fascismo vero mosso a quest’ultimo, che aveva sottolineato la
con- tinuità tra ebraismo e cristianesimo: Mi sono letto il
profilo del Cristo — gli scrive, contemporaneamente all’uscita di Gesz il
Cristo di Buonaiuti,. un titolo che Labanca aveva esplicitamente
rifiutato per il suo Gesg di Nazareth — e ti confesso che non mi è
piaciuto e che non piacerà. Non è il profilo del Cristo rispetto ai
Farisei ma il profilo tuo ri- spetto a padre Gemelli e hai fatto senza
volere un’apologia del fari- seismo che non la meritava e hai fatto del
povero Cristo uno scoc- ciatore e tale forse non fu. Ho
rimorso di aver fatto un corno al povero mio maestro Baldas- sarre
Labanca, tu sai scrivere in modo meraviglioso, egli non sapeva scrivere
ma nel suo ruvido libretto c’era pur qualche cosa che restava. in tasca a
chi lo leggeva. Insomma se vieni ti parlerò di Dio, perché mi sento
di poterti dare qualche utile consiglio ©. Per la loro
destinazione e per lo stretto rapporto edi- tore-autori che rivelano, i «
Profili » risultano quindi una guida utilissima per seguire le tematiche allora
più largamen- te diffuse e gli orientamenti politici e culturali della
casa edi- trice: dal giudizio formulato da Felice Momigliano su
Tolstoj subito dopo la sua morte che corrisponde a una diffusa « lettura
» del romanziere e pensatore russo (« un distruttore ben pit radicale di
Marx » 4), a quello di FrLosini, che al presunto carattere della
rivoluzione d’ottobre — « suppellettile d’importazione » senza radici
nella tradizione russa — oppone l’ammoni- mento del suo biografato,
Turgenev, « a non prescindere: dalla nazionalità nella preparazione
dell'avvenire della Russia » ‘, fino ai mutamenti significativi che, da
un’edizione all’altra, possono registrarsi nello stesso profilo. Come
nel Telesio di Troilo, che nella prima edizione si conclude con il
rimprovero alla filosofia contemporanea di dare espressione al suo
antiintellettualismo ricorrendo al pragmatismo — che è solo « un getto,
un po’ morbido, del saldo profondo tronco antico » del « radicale
empirismo Buonaiuti. 6 F. Momigliano, Leone Tolstoi, Modena,
Formiggini, Losini, Ivan Turghenieff, Roma, Formiggini, presocratico » —,
laddove nella seconda edizione del 1924 termina affermando che vedere nel
pensiero del cosentino l’avvio del processo che sfocierà nella dialettica
trascenden- tale kantiana è « più legittimo che non fare di
Bernardino Telesio qualché di simile ad un idealista assoluto » £.
Anche in periodo fascista la collana cercò di mantenersi fedele
all’ideale di « equilibrio » e di « conciliazione » di Formiggini: e se
non mancarono concessioni alla retorica fascista, come nell’esaltazione
del ricostruttore dello Stato sabaudo, Filiberto, fatta da Silva,
Levi traccia un profilo di Roma- gnosi, il severo giudice
dell’assolutismo il quale nella Scienza delle costituzioni — ricordava Levi
in pieno re- gime — aveva affermato che « la luce del vero e del
giusto appartiene al genio onnipossente e beatificante della
libertà, le tenebre dell’ignoranza appartengono al dèmone della
tirannia, d’onde sorge la discordia e la distruzione degli Stati. Una
cultura « al di sopra della mischia » Il breve e tormentato
periodo del dopoguerra, fino al pieno affermarsi del fascismo, vide il
massimo sviluppo del- l’iniziativa di Formiggini, e il suo tentativo di
allargare l’ambito di intervento dall’editoria a più ambiziosi programmi
di organizzazione della cultura. Ma è proprio nel clima teso di questi
anni, fortemente condizionato dal nazionalismo e poi dal fascismo, che egli
subirà la più cocente delle sconfitte, la sconfitta di una utopia, di un
ideale non ancorato a un preciso orientamento politico. Il capitano
Formiggini aveva partecipato con entusiasmo alla guerra, «momento di
doveroso lavoro per tutti, ricorderà la moglie. Troilo, Bernardino
Telesio, Modena, Formiggini; seconda edizione, Roma, Formiggini, Levi,
Romagnosi, Roma, Formiggini, Formiggini Santamaria, La mia guerra, Roma,
Formiggini, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo E la
guerra non fece che rafforzare l’ideale di Formiggini di una « Europa nuova »,
« civile e fraterna », fondata sulla « comunione di cultura tra i popoli,
ma come presupposto per la sua piena realizzazione si fece sempre
pit frequente in lui — come in tanti altri intellettuali di fronte alla prima
grande vittoria dello stato ita- liano — la rivendicazione dei valori
nazionali e patriottici (simboleggiati dai fregi classicheggianti di
Adolfo De Ka- rolis, già illustratore di « Leonardo » ed « Hermes, contro
il quale si scaglieranno in nome dello « spirito popola- resco » i
giovani del « Selvaggio »). L’insistenza su questi ultimi farà ben presto
relegare in secondo piano l’ideale originario, e si tradurrà in un
servizio reso alle forze che con maggiore coerenza puntavano ad una «
riscossa nazio- nale » della borghesia italiana. Un eclettismo
culturale fiduciosamente perseguito (ma di rado realizzato) e la
man- canza di un netto orientamento politico furono infatti i
motivi della sostanziale debolezza — nonostante i successi iniziali —
delle ambiziose iniziative concepite da Formig- gini al termine della
guerra. Il suo sarà un destino analogo a quello della « Rivista di
filosofia », che si apriva con un Programma di lavoro in cui Bernardino
Varisco rin- correva l’ideale di una suprema « armonia » tra gli stati
le classi e le singole « culture », fino a incontrare, per la sua
genericità, il consenso di quel Gentile ? che poche pagine dopo, sulla
stessa rivista, era duramente attaccato da Buo- naiuti.
Frutto del modo col quale Formiggini avverti le lace- razioni
prodotte dalla guerra in campo internazionale, e della volontà di
difendere e rafforzare anche sul piano spiri- tuale l’unità nazionale
pienamente conseguita sul terreno politico, sono il progetto, poi non
attuato, di una colle- zione italiana di classici greci e latini — « i
mostri classici Formiggini, Trenta anni dopo. Era una speranza formulata
confusamente anche da Troilo, che pur non tralasciava l’occasione per
lanciare una nuova accusa contro l’« idealismo assoluto, una vera e
propria Metafisica di guerra » (La conflagrazione. E storia dello spirito
contemporaneo, Roma, Formiggini,
Cfr. G. Gentile, Guerra e fede, Napoli, Ricciardi, per i quali doveva
finire il « vassallaggio » nei confronti della Germania” — e,
soprattutto, il mensile « L’Italia che scrive », forse la creatura più
cara a Formiggini. Uscito nell’aprile 1918, « agli albori di una età
nuova », il perio- dico nutriva, sotto le vesti di una semplice rivista
biblio- grafica, ambizioni culturali più ampie, riproponendosi di «
registrare nelle sue colonne un magnifico rifiorire degli studi nel
nostro paese e di farsene eco diligente e fedele, a vantaggio di quanti,
in Italia o fuori, apprezzano e vogliono conoscere il lavoro
intellettuale degli italiani » *. La strut- tura agile e articolata che
sarà presa a modello dal « Leo- nardo » e da « La Nuova Italia » —
editoriale, profilo di un contemporaneo, inchieste su istituzioni
culturali, recen- sioni, confidenze degli autori, spoglio di libri e
articoli per argomento, « libri da fare », eccetera — fece ben
presto affermare il mensile (che nei primi anni ebbe una tiratura
non inferiore alle 10.000 copie, giungendo a toccare le 30.000 ”) come un
esempio di quelle riviste-tipo che Gram- sci catalogherà nel genere «
critico-storico-bibliografico »: legata all’attualità e a carattere
divulgativo, rivolta a quel « lettore comune » al quale non basta dare «
concetti » storici, ma occorre fornire « serie intiere di fatti
specifici, molto individualizzati » ?. E proprio « Il grido del
popo- lo » segnalò la « vivace, varia » rivista di Formiggini — «
uno dei più giovani ed intelligenti industriali italiani del libro » —
come quella che « prometteva di diventare un ottimo ed utilissimo
strumento di cultura, quale in Italia non esisteva ancora, e la cui
mancanza era uno dei segni delle manchevolezze intellettuali del nostro
paese, della Formiggini, Trenta anni dopo Sulla funzione
attri- buita ai classici di « mantenere vivo il senso di continuità col
passato e nello stesso tempo contribuire a un compito di rinnovamento
nazionale », richiama l’attenzione A. La Penna a proposito di una
successiva iniziativa sansoniana (La Sansoni e gli studi sulle
letterature classiche in Italia, in AA.VV., Testimonianze per un
centenario. Contributi a una storia della cultura italiana, Firenze,
Sansoni, Formiggini, Trenta anni dopo, Formiggini, La ficozza filosofica del
fascismo, Gramsci, Quaderni del carcere, edizione critica dell'Istituto
Gramsci a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo poca diffusione dei libri e quindi delle
idee, della nostra spaventosa impreparazione spirituale » ”.
Prefiggendosi il compito di « armonizzar le varie cor- renti della
cultura nazionale » perché potessero concor- rere al fine comune della «
valorizzazione nel mondo del- l’attività intellettuale italiana »,
Formiggini sostenne anche nel momento della sua sconfitta che « un
giornale edito- riale nazionale non può essere che un giornale eclettico
», contro il consiglio di Ettore Romagnoli di « avere un par- tito,
essere con qualcuno o contro qualcuno » *. Ma, nono- stante
l’idealizzazione della capacità unificante di una « cul- tura » al di
sopra delle parti — nel marzo 1917 Formig- gini aveva offerto la condirezione
della rivista a Prezzolini che stava per assumere un'iniziativa analoga,
ma che rifiutò l'invito perché, rispondeva « le nostre concezioni differiscono
ancora troppo » ” —, le scelte de « L’Italia che scrive » furono fin
dall’inizio precise: pedagogia con Emilia Formiggini Santamaria e
filosofia con Tarozzi e Troilo, il quale dedica un ritratto ad
Ardigò in cui riafferma la « funzione storica, tutt'altro che esaurita,
del positivismo » con maggior convinzione di quanto non facesse nello stesso
momento sulle pagine della « Rivista di filosofia »; storia con Pietro
Silva autore di un commosso ritratto di Salvemini — « mazziniano per
l’alto idealismo che informa la sua propaganda, e per la sua fede nel
progressivo cammino dell’umanità verso la giustizia, con Barbagallo che
traccia i profili di Ferrero e di Ciccotti e
informa sulla « Nuova rivista storica » da lui diretta,
Falco ed Michel. Un largo spazio è
accordato agli argo- menti scientifici trattati da Mieli, Almagià, Timpanaro, Vacca, e
soprattutto ai problemi religiosi, ove l'intervento di Formiggini è
spesso « Il grido del popolo. A.F. FOGnIEziol, La ficozza filosofica del
fascismo, cdiretto ®, e di cui si occupano Turchi, Pincherle e con particolare
frequenza, fino al 1926, Ernesto Buonaiuti, autore di rassegne su riviste
di cultura religiosa e di inchieste su istituzioni culturali, di articoli
sul neoto- mismo o sull’insegnamento della religione nella « nuova
» scuola, e di recensioni tanto sferzanti da essere ri- chiamato
all'ordine dal direttore della rivista @. Ma è da notare anche, nel
settore politico-culturale, la presenza dell’antigentiliano Tilgher e di
un altro collaboratore de « Il Mondo » oltre che de « La Rivoluzione
liberale », Mario Ferrara, autore dei ri- tratti di Turati, Treves e
Salandra, e quella di Prezzolini, che si segnala per la tempestività dei
suoi interventi: nel maggio del 1920 illustra la grandezza di Croce e nel
dicembre del 1922 vede in Gentile il crea- tore della « filosofia delle
filosofie » e colui che « ha imme- desimato lo sviluppo della coscienza
nazionale con lo svi- luppo della speculazione nazionale » *. Ma questa
che For- miggini defini « l’apologia di Gentile che ha avuto più
larga eco in tutto il mondo » *, non salverà l’editore mode- nese
dall’attacco del nuovo ministro della pubblica istru- zione, verso il
quale la rivista aveva mantenuto fino ad allora un critico
distacco. 81 Presentando sul primo numero della rivista le
recensioni alle « di- scipline critico religiose », affermava: « poiché
la terribile prova spirituale che stiamo traversando impotrà, dopo la
bufera [della guerra], una revi- sione immancabile dei valori su cui era
poggiata la nostra vecchia vita etica, noi possiamo essere sicuri che le
indagini consacrate a rintracciare il corso storico della vita cristiana
nel mondo avranno una fioritura inspe- rata e diverranno fattore
notevolissimo di una coltura veramente nazio- nale » (« L'Italia che
scrive Formiggini faceva rilevare a
Buonaiuti che alcune sue recensioni « non rispondevano né per misura né
per intona- zione a quell’ideale sereno a cui vorrei che si ispirasse
“L’Italia che scrive”. Dovresti perciò, per non mettermi in un imbroglio
spirituale, recensire quelle opere che si riferiscono alla storia del
cristianesimo come scienza e tralasciare quelle che possono darti adito a
sfogare i tuoi senti- menti politici o la tua passionalità religiosa »
(AF, Buonaiuti). L'Italia che scrive Formiggini, La ficozza filosofica
del fascismo, Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo La
sconfitta di un'illusione e una tenue « resistenza » Il programma
de « L’Italia che scrive » di essere « specchio fedele della intellettualità
italiana » si scontrò infatti con l’« intolleranza » gentiliana quando
Formiggini cercò di fare della sua rivista il nucleo di un Istituto per
la diffu- sione della cultura italiana. I suoi propo- siti si erano
saldati con le prospettive nazionalistiche del sottosegretariato per la
propaganda all’estero e la stampa presieduto da Romeo Gallenga Stuart:
chiamato a far parte della commissione per la proganda del libro italiano
all’este- ro — nell’ambito della quale propose la pubblicazione di
Guide bibliografiche per materie dove uscirono, fra l’altro, la Geografia
di Roberto Almagià e i Narratori di Luigi Russo —, Formiggini stabili i
contatti politici necessari a lanciare un’impresa — l’Istituto per la
propaganda della cultura italiana, poi Fondazione Leonardo — che
doveva rappresentare « non l’ultimo atto dell’Italia in guerra, ma
il primo dell’Italia che dopo una lunga guerra combattuta con onore
vorrà, senza invidia delle altre nazioni, mettere in valore equamente il
contributo non trascurabile e finora trascurato che essa ha portato,
anche negli ultimi decenni, al progresso del sapere Abbiamo visto come
l’iniziativa passasse nelle mani di Gentile. Invano Formiggini lodò Croce
per aver « denun- ciato la balordaggine di chi vorrebbe istituire una
filosofia di stato e denunciò la « marcia sulla Leonardo di
Gentile, che assieme alla fondazione gli aveva sottratto l’idea di una
Grande enciclopedia italica — l'editore mode- nese cercherà di
realizzarla per suo conto con l’aiuto dei suoi collaboratori abituali e,
in particolare, di Ernesto Buonaiuti . Mentre l’ente e il suo patrimonio
erano desti- Formiggini, Trenta anni dopo, L’Italia che scrive »,
Dalle lettere Buonaiuti appare impegnato a redigere il piano generale della
formigginiana Enciclopedia delle enciclopedie; ne usciranno soltanto i
volumi I, Economia domestica; turismo-sport-giuochi e passatempi, Modena,
Formiggini e II, Pedagogia, Modena, Formiggini, quest’ultimo coordinato da
Fornati ad essere assorbiti, nell’Istituto nazionale fascista di cultura,
« rassegna mensile della coltura italiana pubblicata sotto gli auspici
della Fondazione Leonardo » diventava, il « Leonardo » diretto da Prezzolini
— al quale l’anno successivo subentrerà Luigi Rus- so — ed esemplato su «
L’Italia che scrive » « con un contornetto (si capisce) di 4ff0 puro, se no il
cataclisma non avrebbe avuto ragion d’essere », osservava Formiggini
* che ruppe con Prezzolini riaffermando in pubblico, e in
una lettera privata a lui i propri
ideali: Voialtri attualisti avete innegabile dottrina, robusto
ingegno, e disponete della forza formidabile di quel partito che
giudicaste cosî aspramente prima che esso subisse in pieno la vostra
influenza nefa- sta. Voi godete ormai persino di una insperata agiatezza
che non vi invidio. Io non ho né dottrina, né ingegno, né
forza politica. Lavoro per passione e per una esasperata volontà di bene e
il lavoro mi costa tutta la sostanza e mi costringe ad una vita
sobria. Ma ho qualche cosina che voi non avete: il cuore. La
parola « umanità » vi fa ridere, e sarà l’umanità a fregarvi®9.
Dove, accanto a una profonda amarezza, è espressa tutta la carica
etica di una battaglia culturale ma anche, nella confusione del giudizio
sul fascismo, i limiti di una sua traduzione sul terreno politico. Tracciando
un doloroso bilancio della sua sconfitta, Formiggini insisterà tuttavia
in un invito alla conciliazione, con parole che richiamano l’insegnamento
morale di Limentani: « soprattutto di pace c’è bisogno oggi. Occorre che
l’uomo ritrovi nell’uomo il proprio simile e che ciascuno rispetti
nell’altrui dignità la propria. Quella di Formiggini può essere considerata una
vi- cenda esemplare, da un lato, dei modi e dei tempi con i quali
il fascismo procedette all’accaparramento delle istitu- miggini
Santamaria (fra i collaboratori, che gli conferirono un'impronta
antiattualista, Calò, Credaro, R. Mondolfo, Tarozzi, Vartisco L’Italia che
scrive AF, Prezzolini. L'Italia che scrive », Formiggini: un
editore tra socialismo e fascismo zioni culturali esistenti per
acquisire un consenso sempre più vasto e, dall’altro, delle reazioni
degli intellettuali di fronte al tentativo fascista di utilizzarli.
L’insidiosa « poli- tica di conciliazione » affidata dal fascismo a
Gentile, e la stessa dichiarata assenza di una « cultura fascista »,
aprirono facili varchi al consenso presso molti intellettuali senza
precisa collocazione politica o portati a distinguere nettamente la politica
dalla cultura e, spesso, a privilegiare quest’ultima per le loro
scelte. Ma, proprio per questi stessi motivi, non sarebbe
nem- meno corretto considerare come incondizionato il consenso cosî
estorto, o vederlo come un blocco uniforme senza in- crinature fin
dall’inizio, al cui interno non permanessero adesioni esteriori o ambigue
capaci di ribaltarsi, attraverso maturazioni personali, dove il
comportamento politico im- mediato era contraddetto dal legame con una
cultura che voleva mantenersi in qualche modo autonoma. In
questo quadro sono collocabili molti collaboratori della casa editrice e
lo stesso Formiggini, che in nome del suo antico ideale di fratellanza
pubblica un pun- gente pamphlet antigentiliano nel quale il giovane
cattolico Carlo Morandi riconosceva « il coraggio e la schiettezza
di una difesa »”. Giustificando il proprio intervento pole- mico
contro la « marcia sulla Leonardo », Formiggini scri- veva ne La ficozza
filosofica del fascismo di avere « rea- gito per legittima ritorsione e
per il pericolo d’ordine gene- rale che ci sarebbe per la cultura
italiana se l’assurdo di una dittatura e di una tirannide dottrinale
dovesse farsi piede nel nostro paese ». Ma i limiti della sua
impostazione non si rivelano soltanto nella contrapposizione fra il
ruolo di « armonizzatore » di varie correnti culturali, da lui im-
personato, e quello di Gentile « capo partito » o nella ridu- zione
dell’attualismo a una semplice « moda filosofica » dai larghi consensi e
di Gentile a un « giocoliere di idee », bensi anche nel giudizio sulla
filosofia gentiliana vista come « una fortuita e non felice escrescenza
[“ficozza” in roma- 9 « Studium » nesco] del fascismo » ”. La
distinzione operata da Formig- gini è netta: da un lato gli attualisti, «
sostanzialmente estranei ed equidistanti sia dal fascismo che dal
naziona- lismo » che si sono assunti ix foto il « problema cultu-
rale » di un movimento puramente politico *, dall’altro il fascismo che,
come scriverà anche in seguito, « nelle sue prime manifestazioni, non
negò affatto i diritti dell’uomo. Si annunciò come un ristabilimento
energico dell’ordine sociale che era stato scosso. Nulla di strano che
dei citta- dini liberi vedessero questo movimento con simpatia. Il
mescolare il sapere con la politica è per noi cosa delit- tuosa »,
affermò Formiggini motivando il suo rifiuto di sot- toscrivere il
manifesto Croce, pur firmato da molti colla- boratori della casa editrice
”; l’unica condanna esplicita di fascismo e attualismo, uniti sul piano
morale, fu formulata sulle pagine de « L’Italia che scrive » in occasione
della crisi Matteotti, in un articolo significativamente intitolato
La filosofia del manganello in cui, dopo aver ironizzato su Mussolini — «
egli sa di filosofia e di pedagogia qualche cosa meno di una vacca
spagnuola — Formiggini affer- mava che per il fascismo la « delusione più
amara fu quella di non aver potuto trovare una teoria morale che ne
giu- stificasse i metodi e si comprende quanta riconoscenza sen-
tisse per il moralista di professione che, applicando il suo visto: si
manganelli agli atti violenti del fascismo, dava a questi una sanatoria
di incalcolabile valore » *. In realtà, una sia pur tenue difesa
dalla scaltra « politica di conciliazione » di Gentile e del fascismo
verso gli intel- lettuali poteva essere consentita da iniziative che si
propo- Formiggini, La ficozza filosofica del fascismo, Il libro non ci
sembra quindi, per la sua distinzio- ne tra politica e cultura, « uno dei
primi e più caustici pamphlets contro il fascismo », come è apparso a R.
De Felice (Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, c L’Italia che
scrive », Formiggini, Parole in libertà, cCome è falso che gli ebrei
costituiscano una razza, è anche falso [...] che abbiano una loro forma
mentis che li renderebbe ostili congenitamente e irriducibil mente alle
forme politiche cosi dette totalitarie. L'Italia che scrive », L’Italia che
scrive »Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo nessero
come apolitiche, ma fossero aperte a intellettuali accomunati
dall’opposizione alla « filosofia del manganel- lo ». Fu questo il caso,
denso di compromissioni e contrad- dizioni profonde, di Formiggini, che
dopo la polemica anti- gentiliana sembra non desiderasse discostarsi
dall’ideale di equidistanza e di « armonia » perseguito in passato. Cominciano
ad apparire le « Apologie » che al posto delle religioni costituite
intendevano valorizzare « il senti- mento religioso in astratto, come
quello che può fare l’uma- nità migliore e più fraterna » ”, e che
annoverarono, accanto a quelle dell’ebraismo di Dante Lattes e del
cattolicesimo di Buonaiuti (provvista ancora dell’imprimatur
ecclesiastico nella seconda edizione poco prima della scomunica del
marzo, quelle dell’ateismo di Giuseppe Rensi e del positivismo di
Tarozzi, il quale affermava che « la poste- rità prossima e lontana non
vedrà fra l’idealismo e il posi- tivismo, specialmente italiani, quella
divergenza assoluta e totale che oggi apparisce per la violenza della
polemica. Nella collana delle « Medaglie », brevi profili di contem-
poranei all’elogio di Mussolini (« una forza venu- ta nel momento storico
opportuno ») scritto da Prezzolini ”, Levi opponeva quello di Turati,
esaltato — nonostante l’autore dichiarasse all’editore di essere
stato « molto sobrio negli accenni all’ora presente » — per « la
probità della sua coerenza, la coerenza della sua probità Con questa
forza, che ignora, che sdegna i funambo- lismi di tutte le demagogie, ma
ha il coraggio e la pazienza delle lunghe vigilie, non s’improvvisano più
o meno effi- mere fortune o dittature personali, ma si squadra
almen qualche pietra per costruzioni destinate alla storia » !°,
Co- Formiggini, Trenta anni dopo, cit., p. 124. Cfr. anche il
giudizio di Vida, Apologie religiose, in « La Cultura », ITarozzi,
Apologia del positivismo, Roma, Formiggini, Prezzolini, Benito Mussolini, Roma,
Formiggini, Levi, Turati, Roma, Formiggini,
Levi si ado- però anche per la diffusione del volumetto: «
duecento ne hanno prese — di “copie”, in attesa delle immancabili
bastonature — gli eroici lavora- tori di Molinella, che riscattano col
loro contegno di fierezza la vile acquie si, accanto al D'Annunzio di Antonio
Bruers e allo Sturzo di Mario Ferrara, Prezzolini dedicava nel 1925 un
ritratto ad Amendola che, nonostante l’elogio del suo coraggio «
fino al rischio della vita » e le successive proteste di equa- nimità
dell’autore !”, si rivelava impietoso e cinico: « co- stringendolo a tacere
nel parlamento, restituendolo al giornalismo militante e all’opposizione
attiva [il fasci- smo] gli ruppe quella specie di ingessamento
parlamentare, che pareva averlo stretto e immobilizzato entro le
formule e gli interessi di Montecitorio » !”. E la collana «
Polemiche » presentava insieme alle Battaglie giornalisti che del «
teorico del “governo dei migliori” », Mussolini, Je Invettive di Marat,
il « teorico del “governo dei molti” ». Con questa sorta di do uf
des si parlava comunque di uomini politici e personaggi storici invisi al
fascismo, pur con quell’ambiguità che è la nota caratteristica anche
di molti giudizi apparsi ne « L’Italia che scrive ». È sintomatico ad
esempio che La libertà di Stuart Mill pubblicata da Gobetti con la
prefazione di Luigi Einaudi sia segnalata come « opportuna non solo
per gli avversari della libertà, ma per moltissimi dei suoi ditensori di
oggi », o che, mentre La rivoluzione
liberale era giudicata « programma di ardi- mento morale della borghesia
», « come un violento spa- lancar d’usci all’irrompere di una nuova
coscienza proletaria » — e il ritratto di Matteotti « una vita esemplare
della Rivoluzione liberale » —, nell’annuncio della morte di Gobetti il
giudizio sul « suo anelito di ritrovare e d’im- porre un fondamento etico
al pensiero in tutte le sue espres- sioni » sia limitato da quello sulla
sua cultura, costruita « su basi filosofiche e storicistiche un po’
astratte, per quanto profonde, che lo allontanarono dal veder la
vita scenza del popolo italiano », scriveva a Formiggini il 16
febbraio 1925 (AF, Levi). Prezzolini affermerà di aver scritto la
biografia di Mussolini solo «a patto che il Formiggini ne pubblicasse
anche una dell’Amendola. Prezzolini, Amendola e « La Voce », Firenze,
Sansoni,Prezzolini, Giovanni Amendola, Roma, Formiggini, Formiggini: un editore
tra socialismo e fascismo nella sua complessa realtà effettiva e
gliela fecero giudicare per schemi e teorie ». E in settori più
strettamente cultu- rali, mentre Finzi — divenuto colla- boratore
assiduo del periodico — considerava interessante l’interpretazione
marxista del marinismo fornita da Zino Zini in Poesia e verità, dal
Mazzini e Bakunin di Nello Rosselli — col quale « finalmente anche in
Italia si comin- cia a studiare seriamente il movimento operaio come
fatto storico, all’infuori di ogni preoccupazione di propaganda
politica » — si traeva motivo per mettere in luce « l’azione insidiosa di
Carlo Marx » che si sarebbe servito dell’anar- chico russo per gettare «
i primi germi malsani onde poi in Italia, unica tra le grandi nazioni, il
socialismo nasceva e cresceva colorito di quell’antipatriottismo che
doveva es- sergli fatale durante e dopo la grande guerra » !°.
Analoga ambiguità è riscontrabile negli interventi — che richiede-
rebbero tuttavia un discorso a parte — di alcuni collabo- ratori della
rivista provenienti dalle file del socialismo. « Bisognerebbe poter
seguire tutte queste recensioni di simili libri, specialmente se dovute a
ex socialisti come l’Andriulli », notava Gramsci '* a proposito della
recen- sione di quest’ultimo al volume di Bonomi su Bissolati,
uscito a Milano presso ere ma originariamente proposto dall’autore a Formiggini
Ora la grande maggioranza dei giovani è sotto l’impressione recente della
disfatta prima morale che politica del socialismo italiano — scriveva
l’ex collaboratore de « La Difesa » Andriulli —, e con semplicistica
generalizzazione pensa ad esso come ad una delle forme di maggiore
aberrazione della vecchia Italia prebellica. Eppure, L'Italia che
scrive », Gramsci. ts «Il libro è... purgatissimo — scriveva Bonomi
Il fascismo non esisteva ancora durante l’attività politica di Bissolati,
il quale gode — non so se goda veramente...! — le simpatie fer- vidissime
dei fascisti cremonesi e anche quelle del Duce che inaugurò con un
discorso nel 1923 una lapide in memoria di lui ». Ma Formiggini, che già
nel ’24 era stato l’editore di Ddl socialismo al fascismo di Bonomi, non
aveva potuto accettare l'offerta anche se — gli scriveva — un libro
scritto da lei non può essere che interessantissimo e tale da non
procurare fastidi a chi lo pubblicasse (AF, Bonomi).solo che si pensi come il
socialismo italiano è stato la grande matrice di tutti i movimenti
rinnovatori del tempo nostro — non esclusi né il nazionalismo né il
fascismo — si sarà tratti a sospettare che ben altro fenomeno che non
quello apparso nell’ultimo ventennio deve essere stato il partito
socialista italiano, e che soprattutto esso deve essere stato una grande
forza ideale se ebbe tanta virtà espansiva da diffondersi rapidamente non
solo nelle classi operaie ma in una gio- ventù intellettuale generosa e
disinteressata e da permeare di sé per un quarto di secolo la vita
italiana. Dove l’antica milizia politica del recensore, approdato
ciecamente alla « rivoluzione » fascista, è rivelata dal ri- chiamo alla
« forza ideale » del partito — e non solo all’ef- ficacia pratica del
movimento socialista, come nell’interpre- tazione di un Gioacchino Volpe
— e dalla considerazione finale sul fatto che avrebbero letto il libro «
con un senso di soddisfazione specialmente coloro che, avendo a
quel socialismo consacrato i primi entusiasmi giovanili, anche dopo
aver seguito opposte vie non sanno rinnegare la loro disinteressata
giovinezza. Apparentemente pit distac- cate, ma sempre puntuali e pronte
a sottolineare il valore della persona umana, sono le recensioni di
argomento filo- sofico e giuridico — con un interesse precipuo per i
rap- porti Stato:chiesa — di un altro socialista, Alfredo Poggi,
che da « Critica sociale » e dalla « Rivista di filosofia » passa in
questi anni al gruppo di « Pietre », per poi rispun- tare come
responsabile del partito socialista subito dopo 1°’8 settembre, e che
collabora assiduamente a « L’Italia che scrive » fino all’ anno in cui fu
denunciato e arrestato per antifascismo. E mentre Rensi, al termine del
viaggio dal « socialismo idealista » allo scetticismo, insiste in un «
profilo » di Spinoza sui limiti dello stato di fronte alla libertà di
pensiero dei cit- tadini, sul suo « dovere di non comandare cose che
urtino le leggi della natura umana » — al « coordinamento per-
fetto di autorità e libertà, alla determinazione cioè della misura di libertà
che l’autorità deve concedere appunto per poter essere e conservarsi
autorità » quale indicata da Spinoza, « anche oggi potrebbe forse essere
rivolto util- L'Italia che scrive Formiggini: un editore tra
socialismo e fascismo mente lo sguardo » !” —, sulla rivista
faceva una fugace ma incisiva apparizione Paolo Milano con una
recensione, giu- dicata « notevole e acuta » da Gramsci, che costitui
una delle poche stroncature del Superamento del marxismo di De Man
pubblicato da Laterza, di cui si metteva in luce lo psicologismo incapace
di contrastare realmente il mar- xismo e di spiegare i fatti storici. Sono
pochi esempi che sarebbe errato sopravvalutare, considerata anche la
sempre minore incisività della casa edi- trice, che di lî a poco accuserà
duramente i contraccolpi della grande crisi. Essi indicano tuttavia,
accanto a un’estrema confusione, la esistenza di dubbi e di una prima
presa di distanza non solo culturale, nella quale certezze sempre
coltivate si incontrano con altre maturate di recente. At- torno a
Formiggini troviamo uomini emarginati dal fascismo, come prima erano stati
emarginati dall’idealismo: anche attraverso questo canale passa quindi
una cultura, seppure minore, che non si riconosce in quella ufficiale
del regime. Le scelte di venti anni prima dimostrano una loro
tenuta anche dopo l’avvento del
fascismo, pur dovendo nascondersi tra le righe di una rivista
bibliografica o sotto il più antico degli espedienti mimetici. Al
linguaggio degli animali ricorre infatti un amico di vecchia data
dell’editore modenese, forse il più caro, Concetto Marchesi.
« Conosco le tue vicende: e perciò ti ho voluto bene », gli scrive
Marchesi. Le lettere dell’in- tellettuale comunista all'editore che ha
sempre aborrito la politica gettano luce sull’antifascismo del primo e
sull’iro- nico distacco dalla realtà del secondo, non alieno
tuttavia dal gioco dell’allusione politica. Le Favole esopiche — «
il tuo più che mio, Esopo », scrive il curatore — escono con una prefazione
in cui Marchesi si « sbizzar- risce a capriccio; e non ci sarà niente da
ridire perché siamo nel mondo fantastico delle bestie » !, inserendovi un
ri- Rensi, Spinoza, Roma, Formiggini, « L’Italia che scrive »,
Gramsci, Marchesi. Per la figura politica di Marchesi cfr. la mia voce in
F. Andreucci - T. Detti, Il movi cordo autobiografico sul periodo del
primo arresto, studente socialista: ‘odiavo la macchina,
l’ornamento civile del nostro tempo. La mac- china era per me, allora, lo
strumento maledetto onde la ricchezza dei pochi si era impadronita di
tutte le povere braccia della terra: era il vortice metallico in cui la
miseria del mondo precipitava per farne uscire torrenti di oro e di
sangue, a ristoro della superbia e dell’avarizia. Si
chiariscono cosi in tutta la loro ironia, per acquistare valore di
impegno civile, le parole con le quali Formiggini si rivolgeva al lettore
nella nota che apre il volume: « se tu leggerai questa versione del
magnifico Marchesi col sospetto che egli, nelle scabre sinuosità della
sua prosa asciutta, vi abbia nascosto dentro se stesso, ti parrà
di aver fra le mani un libro pericoloso e rivoluzionario »
!°. mento operaio italiano. Dizionario biografico, Roma,
Editori Riuniti, ed E. Franceschini, Concetto Marchesi. Linee per
l’interpretazione di un uomo inquieto, Padova, Antenore, In una lettera Rossi
commentava dalla galera fascista la notizia del suicidio di Formiggini,
con parole che ci sembra possano riassumere tutta la sua esperienza: « Pare
ci sia una vera epidemia di suicidi. Quello che a me ha fatto più
impressione è stato il suicidio del vecchio Formiggini. Aveva fatto per
l’incremento della cultura italiana più di quanto hanno fatto molti
illustri personaggi, che si danno l’aria di Padri Eterni. Lui non aveva
mai posato a Padre Eterno, ma le sue iniziative editoriali eran sempre
intelligenti e di buon gusto. La collezione dei “Classici del ridere” era
la migliore espressione della sua mentalità umanistica, europea, della
sua serena saggezza sempre spumante di fine umorismo. M'era spiaciuto
molto che, anche lui, si fosse adattato alle circostanze piiî di quanto
gliel’avrebbero dovuto permettere la sua dignità e la sua condizione di
“chierico” della cultura. Ma, insomma, non si può pretender troppo dagli
uomini quando non trovan più in alcun luogo un po’ di terreno saldo su
cui poggiare i piedi. E lui era vecchio [...] ed era sempre rimasto
estraneo il più possibile alle lotte della politica, vivendo solo fra i
suoi libri e per i suoi libri » (E. Rossi, Elogio Ft ia Lettere, a cura
di M. Magini, Bari, Laterza, I limiti del consenso: le origini della casa
editrice Einaudi Il futuro verrà da un lungo dolore e un
lungo silenzio. Presuppone uno stato di tale ignoranza e
smarrimento che sia umiltà, la scoperta in- somma di nuovi valori, un
nuovo mondo » (Ce- sare Pavese, Il mestiere di vivere) 1.
Iniziative editoriali negli anni 30 Il problema della formazione
della cultura post-fa- scista, quale si venne elaborando non
nell’antifascismo del- l'emigrazione, ma nell’Italia degli anni ’30 e a
cavallo della seconda guerra mondiale, non è stato ancora
affrontato con puntualità nell’ambito storiografico: siamo infatti
in presenza di uno iato assai profondo fra le ricerche su intel-
lettuali o riviste del ventennio, che culminano nell’espe- rienza di «
Primato », e alcuni sondaggi sulla cosiddetta « ideologia della
ricostruzione » del dopoguerra. Il mancato collegamento fra i due momenti
si traduce, ovviamente, in carenze interpretative, che si manifestano in
tesi troppo rigidamente contrapposte, sia che insistano — ma con
sem- pre minore frequenza — sugli elementi di « rottura », sia che
sottolineino, in negativo o in positivo, quelli di « continuità » tra
fascismo e post-fascismo. La questione è certo assai complessa, ma non
può essere risolta dando credito a improvvise « conversioni » di
coscienze indivi. duali, né applicando — ad esempio — a Cantimori il
nico- demismo da lui studiato negli eretici del ’500, né ricorrendo alle
categorie del « trasformismo » o del « popu- lismo » degli intellettuali,
senza tener conto, in tutti questi casi, del rapporto dialettico fra la
posizione degli intellet- tuali e le trasformazioni sociali e politiche
del paese. La complessità del problema storiografico, è
necessario riconoscerlo, corrisponde alla complessità del processo
storico reale, a un aspro scontro politico e culturale insieme che non
solo oppose fascisti e antifascisti, ma divise anche le varie correnti
dell’antifascismo italiano, con quegli ele- menti di incertezza e di
contraddizione di fronte all’ideali- smo che ricorderà anche
Togliatti !. E, pur ammettendo
l’esistenza di differenziazioni culturali che si van- no manifestando in
particolare con l’inizio della guerra di Spagna, non possiamo prescindere
dal forte condizionamento, culturale e politico, esercitato dalle
istituzioni del regime, che raggiunsero il punto pit alto di consenso,
almeno formalmente, nei primi anni di guerra, quando vediamo Salvatorelli
e Omodeo collaborare all’ISPI, o Cantimori al Dizionario di politica del
Pnf ?. Se queste collaborazioni non significavano automaticamente, da
un punto di vista soggettivo, adesione alla politica del regime,
non bisogna tuttavia dimenticare che — come aveva osser- vato Volpe — il
loro « colore » era dato, agli occhi dei let- tori e indipendentemente
dai riposti pensieri degli intellet- tuali, non tanto dai contenuti,
quanto dalla veste ufficiale in cui questi apparivano *. Spesso, inoltre,
collaborare alle ini- ziative del regime poteva spiegarsi con l'illusione
di una apo- liticità della cultura, la cui difesa può aver costituito
per alcuni intellettuali una tappa importante per cominciare ad
allontanarsi dal fascismo, senza essere, per questo, indice di un
antifascismo già maturo politicamente. È infatti solo sotto la veste
culturale che è possibile rinvenire, nell’Italia, il tentativo di
differenziarsi dall’ideologia del regime, anche se con il rischio, come
osservò Marchesi a pro- posito dell’università, di chiudersi nella «
indifferenza poli- 1 Cfr. il suo intervento alla commissione
culturale nazionale in P. Togliatti, Le politica culturale, a cura di L.
Gruppi, Roma, Editori Riuniti, Turi, Le istituzioni culturali del regime
fascista durante la seconda guerra mondiale, in « Italia contemporanea
»,Volpe rispose in fatti a Rosselli, a proposito dei colla- boratori
della « Rivista di storia europea » vagheggiata da quest’ultimo, che bisognava
essere «ben certi che è la rivista a dar loro il colore desiderato, e non
viceversa » (cit. in Rosselli. Uno storico sotto il fascismo. Lettere e
scritti vari, a cura di Z. Ciuffoletti, Fi- renze, La Nuova Italia, Le
origini della casa editrice Einaudi tica e morale » ‘. Il
significato politico di una scelta culturale va quindi verificato caso
per caso, guardandosi dal tradurre immediatamente in consapevolezza
politica una cultura che non si riconosce in quella ufficiale del
fascismo. Per questo preferiamo parlare di « limiti del consenso »
piuttosto che di « antifascismo »: termine — e categotia — che non
è certo da escludere — e allora occorrerà precisarne meglio le
caratteristiche —, ma che per singoli intellettuali o per imprese
culturali collettive costrette a muoversi, come le case editrici, con
estrema cautela sotto il regime, può pre- starsi a frettolose
retrodatazioni di prese di coscienza che acquistarono spesso peso
politico solo con la guerra o dopo il 25 luglio 1943, e che può
comportare un giudizio altret- tanto generico del termine avalutativo di
« afascista » troppo frequentemente usato per qualificare, come
fosse una razza privilegiata, alcuni nuclei di cattolici.
Queste cautele ci paiono necessarie anche nello studio di una casa
editrice come quella di Giulio Einaudi che, centro di attrazione di
aderenti a Giustizia e Libertà, di azionisti e poi di comunisti,
all’indomani della Liberazione potrà vantare i maggiori meriti
antifascisti, tanto da fian- cheggiare la politica del PCI che le
affiderà la pubblicazione dei Quaderni gramsciani. È proprio per queste
sue caratte- ristiche « di punta », comunemente accettate — tanto
da farne ritenere meno interessante l’analisi, in quanto « anti-
conformista » e « antifascista » fin dalla nascita, per la presenza di Pavese e
di Ginzburg, che la scelta di studiare questa casa editrice ci è parsa particolarmente
significativa per verificare « al mas- simo », nei punti più alti, i
limiti del consenso al regime, e gli elementi di continuità o di rottura
tra fascismo e post- fascismo. Un'indagine del genere dovrebbe tener
conto, oltre che dei condizionamenti oggettivi propri di un’azienda
economica e di un’iniziativa culturale rivolta al pubblico 4 C.
Marchesi, Fascismo e università (1945), ora in Umanesimo e co- munismo, a
cura di M. Todaro-Faronda, Roma, Editori Riuniti, Cosî Isnenghi, Intellettuali
militanti e intellettuali funzionari. Appunti sulla cultura fascista,
Torino, Einaudi, sotto il regime fascista, e ai reali obiettivi che la casa
edi- trice si riproponeva, anche del pubblico dei lettori, di cui purtroppo
conosciamo solo la ristretta élite dei recensori, pur assai
significativa, se pensiamo che fra i giudizi favore- voli alla produzione
storiografica meno conformista di Einaudi spiccano quelli della « Nuova
rivista storica » che negli anni ’30, sotto la direzione di Luzzatto,
veniva anch’essa configurandosi come centro di aggregazione di
intellettuali operanti ai margini del regime. Gli obiettivi dell’editore
torinese sono ricavabili, ma solo parzialmente, dal carteggio con i
collaboratori, a differenza di Formig- gini, che fino al 1925 poteva
esporre pubblicamente i suoi programmi e le sue proteste; per le
testimonianze esterne le carenze sono invece comuni, anche se su Einaudi
il ri- cordo di Ambrogio Donini — la sua attività editoriale, «
appena agli inizi, si andava già orientando, tra difficoltà e
persecuzioni di ogni genere, verso temi nazionali e interna. zionali atti
a staccare l’Italia dal disastroso clima di provin- cialismo in cui si
esaurivano le energie dei suoi giovani studiosi »” — concorda con il
giudizio di Cantimori, che in lui vedrà l’inventore dell’editore come educatore.
In assenza di un « campione » di lettori, bisognerà chiedersi, almeno
fino alla caduta del fascismo, come un eventuale lettore poteva
accogliere i messaggi culturali for- niti dalla casa editrice, e se
questi erano traducibili politi. camente; tenere presente, inoltre, il
panorama pi generale dell’editoria italiana, o almeno delle case editrici
meno aderenti alla cultura ufficiale del regime, ove ciò sia possi-
bile, data la mancanza quasi assoluta di studi, oltre che di
testimonianze. Pur nella loro parzialità, anche queste ultime possono
essere indicative di alcune linee di tendenza. Aldo Capitini ricorderà
come, contrario a stabilire un difficile e pericoloso collegamento con
gli antifascisti all’estero, egli 6 Sulla « Nuova rivista storica
» cfr. A. Casali, Storici italiani tra le due guerre. La « Nuova rivista
storica » Napoli, Guida, Prefazione a P. Robotti, La prova, Bari, Leonardo da
Vinci, Cantimori, Conversando di storia, Bari, Laterza, avesse sostenuto la necessità di alimentare
la formazione ideologica dei giovani con i « libri disponibili » in
Italia, e indicherà le case editrici più utili a questo scopo in
Laterza, Einaudi e Guanda: e l’autore degli Elementi di un'espe-
rienza religiosa (editi da Laterza), che fu in con-. tatto anche con
Einaudi, citava fra i testi di Guanda — un editore particolarmente
attento alla tematica religiosa — quelli di Martinetti, Tilgher e Rensi,
espressione di un filone spiritualista, critico dell’ottimismo
storicistico, che si rita- gliò un ampio spazio editoriale nella crisi di
valori. Le iniziative a carattere religioso ebbero certo una
mag- giore libertà di azione, come testimonia la fondazione della
Morcelliana !°, ma probabilmente, a
differenza della politica di stretto controllo usata nei confronti della
stampa periodica, il fascismo lasciò un certo grado di autonomia a
tutto il settore editoriale — che si rivolgeva a un pubblico più
ristretto di quello dei lettori di quotidiani, e compor- tava quindi
minori pericoli —, anche se nel 1926 fu costi-. tuita la Federazione
nazionale fascista dell’industria edito- riale, il cui presidente, Franco
Ciarlantini, lamentando la crisi del libro, inviterà il governo a misure di
con- trollo sulle piccole iniziative private, e a un’opera di
promo- zione economica e « morale »; ma la censura dei libri non fu
condotta con criteri precisi, e rimase affidata alla discre- zionalità
dei prefetti anche quando essa passò, nel 1935, dalla competenza del
ministero dell’Interno a quella del ministero per la Stampa e la
propaganda, mentre la Commissione per la bonifica libraria, concen- trò
la sua attenzione sui testi di autori ebrei !!. Ed è forse questa
parziale autonomia che spiega come nel corso degli Capitini, Antifascismo
tra î giovani, Trapani, Célèbes, 1 Morcelliana
«Humanitas » Brescia, Morcelliana, BaroneA. Petrucci, Primo: non
leggere. Biblioteche e pub- blica lettura in Italia, Milano, Mazzotta,
Ciarlantini, Vicende di libri e di autori, Milano, Ceschina, Cannistraro,
Le fabbrica del consenso. Fascismo e mass media, prefazione di R. De
Felice, Bari, Laterza, tanti intellettuali tendano a divenire organiz-
zatori di cultura attraverso l’editoria: accanto alle edizioni collegate
a riviste, e agli effimeri tentativi di Domenico Petrini con la
Bibliotheca editrice di Rieti o di Carlo Pelle- grini con la Taddei di
Ferrara, vediamo che nel 1926 viene fondata da Elda Bossi e Giuseppe
Maranini La Nuova Ita- lia, che nel 1930 passerà a Firenze sotto la
direzione di Codignola, nel 1927 la Slavia dell’ex sindacalista
rivoluzio- nario Alfredo Polledro, nel 1929 la casa editrice di
Valen- tino Bompiani, formatosi alla Mondadori; e, mentre Gentile, già
direttore di due collane, filosofica e storica, presso Le Monnier, assume
la direzione della Sansoni tra- sformandone rapidamente il catalogo
secondo il proprio orientamento culturale e politico !?, due
intellettuali antifa- scisti di diversa matrice ideologica, Franco
Antonicelli e Rodolfo Morandi, trovano nell’editoria uno strumento
per tentare di allargare i sempre più stretti confini culturali del
paese: il primo si associa con il tipografo Carlo Frassinelli per
proporre testi della letteratura straniera contempora- nea, il secondo
con l’editore Corticelli per far conoscere La rivoluzione francese di
Mathiez o il Napoleone di Tarlè, e far riflettere sulle esperienze di
nuove realtà politiche, come la Cina e l’Unione Sovietica . È in questo
contesto che si colloca, alla fine del 1933, la fondazione della
Einau- di da parte di un nucleo originariamente ben definito di
intellettuali, molti dei quali aderenti a Giustizia e Libertà, la cui opera
culturale ha quindi larvati risvolti politici, che imporrebbero un
confronto puntuale con alcune delle case editrici che si sono presentate,
all'indomani della Libera- zione, con una patente antifascista.
Testimonianze per un centenario. Contributi a una storia della
cultura italiana, Firenze, Sansoni, Su Antonicelli editore — che nel 1942
fonderà la casa editrice De Silva (cfr. la sua testimonianza in «
Rinascita, Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, Torino,
Cassa di Risparmio, Fubini, Il mestiere del lette- rato, in AA.VV., Su
Antonicelli, Torino, Centro Studi Piero Gobetti; un cenno all’attività
editoriale di Rodolfo Morandi in A. Agosti, Rodolfo Morandi. Il pensiero
e l’azione politica, Bari, Laterza, Le origini della casa editrice
Einaudi Le notizie di cui disponiamo sono però assai scarse e
— promosse da occasioni celebrative o fornite dai diretti inte-
ressati —, pur offrendo utili spunti interpretativi, avreb- bero bisogno
di ulteriori approfondimenti. È il caso, ad esempio, di Laterza, de La
Nuova Italia e di Bompiani. ‘ Nella casa editrice barese, durante il
periodo della « difesa eroica, Croce — è stato scritto — « accolse
anche chi era da lui lontano, e contribuf a preparare non pochi che, poi,
scelsero posizioni a lui avverse. Sui libri che fece leggere agli
italiani, con la collaborazione di Gio- vanni Laterza, si formarono cosi
liberali come socialisti e comunisti, cosî idealisti come materialisti »;
e, riprendendo il discorso, Garin ha individuato nelle opere uscite nel
ven- tennio nella « Biblioteca di cultura moderna »
l’accorta opera d’informazione unita alla difesa di una vocazione umana
anteriore a ogni lotta o differenza di parte. Nei libri, a volte assai
mediocri, di storici, filosofi, critici, economisti, offerti con una
apertura eccezionale [...], c'è sotteso l’invito a non dimenticare mai
quella dimensione umana che, pur nel divenire temporale e nelle
dislocazioni spaziali, è capace di comprendere anche l’avversario. Che fu
il valore di uno storicismo e di un umanismo tutt’affatto particolari, di
una difesa della razionalità e della libertà, che in un’epoca intesa a
celebrare l’hbomo bomini lupus ricordò costante- mente il senso dell’homo
homini deus !8. Giudizio che andrebbe, a nostro parere, sfumato,
in quanto, se accanto a Omodeo, Russo o De Ruggiero, Croce accolse
un Rodolfo Morandi, la linea generale della casa editrice fu orientata in
un senso ben determinato che non si apriva a tutti gli « avversari »,
come testimonia nel 1938 il commento crociano alla ristampa dei saggi di
Labriola, 0, nel 1929-31, l'edizione de Il superamento del marxismo
e La gioia del lavoro di De Man. Un discorso analogo può essere
fatto per La Nuova Italia di Codignola: se è vero che fu centro di
aggregazione di esponenti di rilievo del Partito d'Azione e che, col
suo 14 E. Garin, La Casa editrice Laterza e mezzo secolo di
cultura italiana (1961), ora in Id., La cultura italiana tra ‘800 e ’900.
Studi e ricerche, Bari, Laterza, 1963, p. 170, e Id., Il mestiere di
editore, prefazione al Catalogo generale delle edizioni Laterza impegno,
insieme, di socialismo, di liberalismo “rivolu- zionario”, di laicismo
intransigente », contributi « all’orga- nizzazione del dissenso » !, è
necessario tuttavia non anti- cipare un orientamento politico che si
venne delineando, e manifestando, a fatica e non senza contraddizioni, se
pen- siamo al persistente legame, ancora negli anni ’30, di Co-
dignola con Vallecchi e con Gentile, o al settore pedagogico configurato
in senso attualista e comunque condizionato dalla politica scolastica del
regime '‘. Cosi Valentino Bompiani, ripercorrendo la storia
della propria casa editrice, pur riconoscendo il suo iniziale « di-
simpegno ideologico », valorizza giustamente la scoperta, alla fine degli
anni ’30, della letteratura americana, con Uomini e topi di Steinbeck e
Piccolo campo di Caldwell, tradotti rispettivamente da Pavese e
Vittorini, due libri che « parlavano dell’uomo, della sua condizione e
miserià, con diretto impegno sociale e politico » ”. Ma come non
riflet- tere di fronte al fatto che, mentre la censura interveniva
duramente e con particolare ottusità '" — come testimonia l'editore
—, lo stesso Bompiani proponeva nel 1940 al Ministero della cultura
popolare un accordo per lanciare una « Biblioteca essenziale
dell’italiano », incentrata sui temi patria, religione, cultura,
famiglia, fra i cui autori dovevano comparire Bottai, Bargellini e De
Luca, costituita 15 E. Garin, Un capitolo di rilievo singolare, in
50 anni di attività editoriale (Venezia 1926-Firenze 1976): La Nuova
Italia, Firenze, La Nuova Italia, 1976, p. XII; cfr. anche, oltre al
ritratto di Ernesto Codi- gnola tracciato da Garin, Intellettuali
italiani del XX. secolo, Roma, Edi- tori Riuniti, 1974, pp. 137-169, gli
interventi di E. Garin, N. Bobbio e T. Codignola in occasione del
cinquantenario della casa editrice, ne «Il Ponte » Questi elementi sono
ben messi in luce da S. Giusti, La ‘casa editrice La Nuova Italia
1926-1943, di prossima pubblicazione. . 17 V. Bompiani, Via
privata, Milano, Mondadori, 1973, pp. 43, 143. 18 In un rapporto
anonimo al duce del 26 giugno 1943 si diceva: « Proprio nei giorni dei
massacri di Grosseto, di Sardegna e Sicilia, l’edi- tore Bompiani mette
sfacciatamente fuori un “mattonissimo” intitolato “Americana”, antologia
di scarso valore con prefazione di un accademico e traduzione di
Vittorini; antologia condotta sui modelli dell’ebreo Lewis. E lo stesso
Bompiani continua nelle stampe e ristampe di Cronin, Stein- ‘beck, ed
altri, bolscevichi puri e in ogni caso perniciosissimi » (AGS, Ministero della
cultura popolare, b. 27, fasc. 403). 200 Le origini
della casa editrice Einaudi da « alcune centinaia di migliaia di
volumetti » da diffon- dere nei centri con popolazione minore a 10.000
abitanti, distribuendoli ad esempio, « a partire dal Natale di Roma
», « a tutti coloro che si sposano nel corso dell’anno, affer-
mando cost il principio che non si deve costituire una fami- glia senza
avere in casa quei pochi libri che diano a un cit- tadino italiano la
conoscenza e la coscienza della sua Pa- tria »? !
Condizionamenti politici, autocensure, necessità econo- miche
proprie di ogni casa editrice in quanto azienda indu- striale,
costituiscono quindi il quadro entro il quale deve essere valutata anche l’opera
della Einaudi, verificando puntualmente — senza stabilire schematiche
equivalenze — la traducibilità politica dei suoi messaggi culturali. Con
ciò non vogliamo disconoscere, in linea generale, quanto ha
ricordato Giulio Einaudi — « il primo modo di sfidare il fascismo era quello
di non parlarne mai, di fare come se non esistesse» ? —, anche se in
qualche caso il fascismo si affaccia nella produzione della casa, né,
quindi, negare la prospettiva in cui si muoveva l’editore, che era, come
ha osservato Bobbio, « quella di offrire alla giovane cultura
torinese lo strumento più adatto e meno pericoloso dati i tempi per
esprimere la propria voce, e di non lasciare sva- nire nel nulla la
grande esperienza gobettiana » ?. Si tratta piuttosto di misurare la
possibilità o capacità di attuazione di questi propositi, di vedere se
sono univoci o differen- ziati e contraddittori e, in questo caso, quali
voci culturali politicamente significative predominano, e in quale
periodo; verificare, infine, quali elementi di continuità o di
rinno- vamento si manifestano fra gli anni ’30 e il periodo post-
bellico. La decisione di Giulio Einaudi di fondare la casa
edi- trice non è comprensibile se prescindiamo dall’ambiente
torinese, sia quello rappresentato dalla Slavia di Alfredo 19
Ibidem. Alcuni testi furono pubblicati, come, nel 1941, la Storia della
patria di Piero Operti. 2 Testimonianza scritta di Giulio Einaudi
(Archivio della casa edi- trice Einaudi (d’ora in avanti AE), G.
Einaudi). © N. Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino,
Polledro, che nella collana « Il genio russo » presentò per la prima
volta in Italia traduzioni integrali — alcune opera di Leone Ginzburg —
di Turgheniev, Gogol, Dostoevskij, Tolstoj e Cechov, da cui attingerà in
parte la collana einau- diana dei « Narratori stranieri tradotti »; sia
quello dei gobettiani, con in primo piano l’opera di educatore di
Augusto Monti, ma anche con le iniziative culturali di Anto- nicelli,
Ginzburg e Pavese, o con la pubblicazione de « La Cultura » passata sotto
la direzione di Arrigo Cajumi. Un modello che Einaudi terrà presente fu
la « Biblioteca euro- pea », diretta da Antonicelli, presso il tipografo
Frassinelli, dal 1932 al 1935 — quando fu arrestato —, dove
uscirono L’armata a cavallo di Babel, e, tradotti da Pavese, Moby
Dick di Melville, Riso mero di Anderson e Dedalus di Joyce 2. Ispirandosi
a Gobetti, « l’editore ideale » #, Anto- nicelli raccolse per primo le
forze intellettuali torinesi che si erano formate sotto il magistero di
Monti, ma in una pro- spettiva ancora liberale: « Al di là di Croce non
vedevo. I marxisti non sapevo cosa fossero », ricorderà più tardi,
rico- noscendo che le proprie convinzioni politiche erano matu-
rate solo dopo la Liberazione *. Da un innesto tra crociana «
religione della libertà » e tradizione gobettiana partiva anche Ginzburg,
il quale ebbe gran parte nella fondazione della casa editrice Einaudi *.
Ai numerosi interessi culturali — dalla letteratura russa alla
storia — egli univa, a differenza di Antonicelli, un saldo impegno
politico da quando aveva aderito, nel 1932, a Giustizia e Libertà. « Noi
non crediamo utile ai fini della lotta antifascista che ci si debba
sottoporre a una specie di rinuncia intellettuale », scriveva sul periodico
del movi- mento clandestino, dove invitò ad approfondire « la pro-
Gobetti, L’editore ideale. Frammenti autobiografici con ico- RO ehe; a
cura e con prefazione di F. Antonicelli, Milano, Scheiwiller, 24 F.
Antonicelli, Le pratica della libertà. Documenti, discorsi, scritti
politici 1929-1974. Con un ritratto critico di C. Stajano, Torino,
Einaudi, 1976, pp. X-XI. 25 Cfr. l'importante introduzione di
N. Bobbio a L. Ginzburg, Scritti, Torino, Einaudi, 1964.
202 Le origini della casa editrice Einaudi pria
coscienza rivoluzionaria con la meditazione, lo studio, l’attività
clandestina », a riflettere sulla visione gobettiana della rivoluzione
russa e a studiare Cattaneo, scrisse assieme a Croce il famoso articolo
contro la centralizzazione delle istituzioni culturali operata dal
ministro dell’Educazione nazionale Francesco Ercole, e rivendicò come «
principale ragion di vita » di Giustizia e Libertà « il lavoro,
d’orga- nizzazione e di pensiero, che si compie in Italia sotto i
suoi auspici » #. E della sua capacità di mobilitare altre intelli-
genze dette atto nel dicembre 1934, pochi giorni dopo il suo arresto, «
Giustizia e Libertà »: « È uno dei pochi, anzi dei pochissimi, che in
regime legale di fascismo rie- scono ad avere un pensiero e un'influenza
sul pensiero degli altri » 7. Mentre già nel 1930 Cajumi aveva pensato a
una casa editrice espressione de « La Cultura » # — alla quale
Ginzburg collaborava dal 1929 —, nel 1933 Ginzburg tenne contatti fra
l’ambiente torinese ed esponenti dell’am- biente fiorentino tra loro
vicini, Nello Rosselli e il gruppo di « Solaria ». Rosselli, che stava
cercando di varare una « Rivista di storia europea » di cui Ginzburg
avrebbe do- vuto essere gerente responsabile e coredattore, fu
contat- tato per preparare un volume su Mazzini per la progettata «
Biblioteca di cultura storica » ?; Alberto Carocci, il diret- tore di «
Solaria » che per le difficili condizioni finanziarie della rivista stava
già cercando l’appoggio di un editore per questa e le sue edizioni, entrò
in rapporto, tramite Ginz- burg, con Giulio Einaudi che alla fine di
novembre del 1933 — quando già, il 15 del mese, si era iscritto
alla Camera di commercio di Torino come editore —, pur rifiu-
26 Ibidem, in particolare pp. 5, 16, 29. © Leone Ginzburg, «
Giustizia e Libertà », 16 novembre 1934. ll Tribunale speciale che il 6
novembre 1934 lo condannò a quattro anni di reclusione, lo qualificò come
« l’anima » di GL a Torino (ACS, Ministero della giustizia e degli affari
di culto. Direzione generale per gli istituti di prevenzione e di pena,
fasc. 46489). 2 «Ginzburg mi ha accennato a una Sua intenzione di
formare una casa editrice “la Cultura” », scriveva Pavese a Cajumi il 27
settembre 1930 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di L. Mondo, Torino,
Einaudi, 1966, p. 241). 2 Cfr. Nello Rosselli. Uno storico
sotto il fascismo, cit., in partico lare pp. 139 e 143-45, e AE, N.
Rosselli. 203 TI fascismo e il consenso degli
intellettuali tando la proposta di Carocci di trasformare «
Solaria » in casa editrice, fece l’offerta, poi caduta, di rilevare la
sola rivista, osservando che « qualche volta sarebbe bene trat-
tare qualche argomento non puramente letterario, ma che presenti
interesse dal punto di vista sociale contempora- neo » ”°: un’indicazione
di lavoro che darà anche per « La Cultura », e che testimonia quella
volontà di impegno civile che in quello stesso anno era avvertita anche
da Carocci. La casa editrice Einaudi nasceva infatti proprio
quando un decreto prefettizio del 1934 metteva fine a « Solaria »,
accusata di contenuto contrario alla morale per un numero che pubblicava
una puntata de I garofano rosso di Vitto- rini: la rivista che si era
rifugiata nella « repubblica delle lettere » accettando di convivere col
fascismo, « nell’illu- sione di conservare intatta l’autentica
superiorità dell’intel- ligenza borghese, l’eredità lasciata
dall’attivismo barettiano e dall’attendismo rondiano », terminava la sua
vita proprio quando cercava, nel 1933-34, di impegnarsi ideologica-
mente, trasformandosi, come era nelle intenzioni di Carocci, in « rivista
d’idee », e quindi di « discussione anche col fascismo » *. Forse non fu
solo una coincidenza, se si pensa che gli intellettuali fiorentini si
dimostrarono per il mo- mento incapaci, come gruppo, di trasformare la
letteratura in impegno. Sarà quanto tenterà di fare quella che un
rap- porto della polizia del marzo 1934 definiva « una nuova casa
editrice torinese la quale avrà il compito di diffon- dere pubblicazioni
antifasciste abilmente compilate e attor- no alle quali da ora in avanti
si andranno raggruppando gli elementi antifascisti del mondo
intellettuale », fra i quali si indicavano i senatori Francesco Ruffini e
Luigi Della Torre, Luigi Einaudi e Nello Rosselli » *. « Che fisionomia
ha que- 30 Lettere a Solaria, a cura di Giuliano Manacorda, Roma,
Editori Riuniti, 1979, passizz, e, per la lettera di Einaudi a Carocci
del 30 no- vembre 1933, p. 461. 31 G. Luti, Cronache
letterarie tra le due guerre 1920-1940, Bari, TARA: 1966, in particolare
pp. 96 e 127, e Lettere a Solaria Cit. in R. De Felice, Mussolini il duce, I.
Gli anni del consenso Torino, Einaudi, 1974, p. 115 n. Bottai, che
durante la guerra 204 Le origini della casa editrice
Einaudi sta Casa editrice? Quale programma si propone di
svolgere? Quali sono le sue basi finanziarie? E tu fino a che punto
ci sei interessato? », scriveva Rosselli a Ginzburg *: ad alcune di
queste domande non saremo in grado di rispondere, in particolare a quella
relativa al finan- ziamento della casa editrice, che provenne
probabilmente da Luigi Einaudi, al quale è forse da attribuire anche una
fun- zione di copertura politica all’iniziativa del figlio, come si
può dedurre dalla marcata impronta conservatrice della prima collana, «
Problemi contemporanei ». Ci limitere- mo perciò, anche in assenza, prima
del 1945, di dati sulle tirature e sulle vendite, a una storia
prevalentemente inter- na della casa editrice, dedicando tuttavia
particolare atten- zione alle collane, ai volumi e ai temi culturali nei
quali sia più facilmente ravvisabile un orientamento politico,
nell’in- tento, indicato all’inizio, di verificare, oltre ai « limiti
del consenso » al fascismo, se negli anni ’30 sono rinvenibili
alcune delle matrici della cultura del dopoguerra. 2. L'ideologia
conservatrice di Luigi Einaudi Le prime, cospicue forze della casa
editrice furono raccolte tramite le due riviste di grande prestigio
rilevate da Giulio Einaudi nel 1934, « La Riforma sociale » e « La
Cultura » — mentre resta eccentrica rispetto al nostro discorso « La
Rassegna musicale », che pur testimonia come fin dall’inizio l’editore
cercasse spazi culturali differen- ziati. « La Cultura », da cui la nuova
impresa editoriale riprese come proprio segno distintivo il simbolo
dello struzzo, costitui nella sua pur breve esistenza in veste
einaudiana, il collegamento dei giovani sarà in stretto contatto
con l’ambiente della casa editrice, giudicando antifascista la
posizione espressa dal crociano Francesco Flora in Civiltà del
Novecento — pubblicato da Laterza nel 1933 —, osservava che «
Laterza è, insieme con Giulio Finaudi della Riforma sociale, uno degli
editori italiani, che ignora che siamo nell’anno XII dell’Era Fascista
» (G. Bottai, Appelli all'uomo, in « Critica fascista », XII
(1934), n. 1, p. 4). Rosselli. Uno storico sotto il fascismo, cit., p.
150. allievi di Monti — fra cui
Giulio Einaudi — con la tradi- zione gobettiana, ma solo in una più lunga
prospettiva i suoi collaboratori e le sue curiosità culturali
diverranno punto di riferimento per gli orientamenti della casa. In
questa maggiore peso « politico » ebbe all’inizio, con « La Riforma
sociale », il gruppo di liberisti che si raccoglievano attorno a Luigi
Einaudi, nel quale si può forse ravvisare, se non l’ideatore, la forza
decisiva per la nascita della casa editrice. È questo un elemento di
conoscenza che pare confortato da alcuni documenti e anche da un semplice
esa- me del catalogo editoriale, e che, finora trascurato dalle
testimonianze, fornisce una caratterizzazione meno « prov-
videnzialistica », in senso progressivo, dei primi passi della casa
editrice. La rivista « La Riforma sociale » — suona un avviso di
Luigi Einaudi databile al 1933 — allo scopo di contribuire alla
illustra- zione dei problemi sociali ed economici e specialmente di
quelli determinati dallo stato presente di crisi e dai piani di
ricostruzione e di regolazione sia nei rapporti nazionali che
internazionali, pubbli- cherà accanto ai fascicoli bimestrali, destinati
ad ospitare studi di mole relativamente tenue, volumi atti a trattazioni
più larghe, di circa 150 pagine e con una tiratura di 1.000 copie, dal
carattere rigorosamente scientifico [...], tuttavia accessibile al
pubblico colto in generale *. « Votrei preparare un piano di
collaborazioni », scri- veva il 31 ottobre 1933, poco prima della
fondazione della casa editrice, Luigi Einaudi ad Attilio Cabiati, l’amico
fidato che inaugurerà nel 1934 la collana « Problemi contempo-
ranei » e che si dimostrerà particolarmente attivo nel sug- gerire
all'editore proposte di traduzioni *. « Problemi con- 3 L'avviso
dattiloscritto si trova nell’Archivio della Fondazione Luigi Einaudi di
Torino, sezione 2 (d’ora in avanti AFE), nel fasc. Croce. L’in- tervento
di Luigi Einaudi nella casa editrice è testimoniato anche da una lettera
che il figlio gli scrisse il 17 novembre 1942, inviandogli il progetto di
un volume di Sismondi: « Per altri classici dell'economia, che pos- sono
avere un interesse vivo anche in avvenire, ti sarò grato se mi vorrai
favorire i testi originali con un breve giudizio » (AE, L. Einaudi).
35 AE, Cabiati. Sui suoi interessi, prevalentemente rivolti al
mondo anglosassone, cfr. A. Cajumi, Ricordo di Attilio Cabiati, in «
L'Industria », n.s. (1951), pp. 406-417. « Allorché capitò la faccenda
del giuramento, si consultò con Francesco Ruffini e con Einaudi, e salvò
il salvabile, ossia 206 Le origini della casa
editrice Einaudi temporanei » nasce infatti come « Biblioteca
della rivista “La Riforma sociale” », controllata e orientata
personal mente da Luigi Einaudi fino al 1944, come la « Collezione
di scritti inediti o rari di economisti » (1934), le « Opere di Luigi
Einaudi », la « Collezione di opere scientifiche di economia e finanza »
(1934) e la « Biblioteca di cultura eco- nomica » (1939); e, nel magro bilancio
dei volumi pubbli- cati nei primi anni — solo con la guetra la casa
editrice assumerà proporzioni ragguardevoli —, tutti i 9 titoli del
1934, e 9 su 11 nel 1935, sono testi economici di queste collezioni, che
nel periodo 1934-44 rappresenteranno sem- pre un quarto di tutte le
pubblicazioni — 55 su 212 titoli —, in cui spiccano, per il peso del loro
messaggio cultu- tale e politico, i 35 volumi di « Problemi contemporanei
». La presenza di Luigi Einaudi aveva un altro punto di forza nella
direzione della « Rivista di storia economica », pub- blicata per i tipi
della casa editrice, cui fu permesso di con- tinuare — sotto un titolo
apparentemente accademico e asettico — la battaglia liberista de « La
Riforma sociale », soppressa nel 1935 perché coinvolta, solo
editorialmente, negli arresti di Giulio Einaudi e dei suoi amici e
collabora- tori appartenenti a GL, alcuni dei quali animatori de «
La Cultura », alla quale la censura fascista non concesse possi-
bilità di reincarnazione, sotto nessuna veste *. Appare quindi
necessario analizzare l’ideologia del grup- po liberista quale si
manifesta non solo nelle collane, ma anche nelle riviste dirette da Luigi
Einaudi — e, in parte, ne « La Cultura » —, alla cui influenza è forse da
attribuire lo stesso orientamento anglofilo di altre collane storiche
o letterarie; non bisogna dimenticare, del resto, la profonda
conoscenza del mondo britannico di colui che durante il difese in
extremis le cattedre non ancora infestate dall’economia corpo rativa »
(ibidem, p. 407). 36 Secondo Francesco A. Repaci, stretto
collaboratore di Einaudi, la soppressione de «La Riforma sociale »
sarebbe invece da addebitarsi alla sua battaglia anticorporativista
(Ricordo di Luigi Einaudi attraverso alcune lettere, « Giornale degli
economisti e annali di economia »; in realtà, come vedremo, la «Rivista di
storia economica » non farà che riprendere la linea de « La Riforma
sociale », senza per questo essere soppressa. 207
ventennio fu collaboratore stabile dell’« Economist ».
La funzione culturale e politica svolta da Luigi Einaudi durante il
periodo fascista resta ancora da studiare, e il tema non è di poco conto
se si pensa che il « partito dei liberisti », « dopo aver conosciuto
dalla fine dell’Ottocento una serie di sconfitte micidiali da cui
sembrava non potesse pit risol- levarsi, riusci nel secondo dopoguerra a
prendersi una cosî piena rivincita », riuscendo « a influenzare in misura
deter- minante i programmi di ricostruzione e l’impostazione gene-
rale della politica economica italiana dei governi di coali- zione
successivi alla Liberazione » ’’. Funzione che Einaudi si ascriverà a
merito nei suoi risvolti anticorporativisti *, ma che ebbe, più in
generale, i suoi obiettivi polemici in tutte le ipotesi programmatrici o
keynesiane che presero piede con la grande crisi — non è un caso che a
tutto ciò egli facesse riferimento prospettando la pubblicazione di
una biblioteca de « La Riforma sociale » —, e lo vide chiuso in una difesa
ostinata della sua « quasi religiosa » fede nel liberismo, che gli impedî
di individuare « la crisi economica del ventennio tra le guerre come una
prova delle fallacie neoclassiche » ”, le quali saranno invece da lui
ri- 37 Cosîf V. Castronovo nell'intervento in occasione della
commemo- razione di Luigi Einaudi in occasione del centenario della
nascita, in Annali della Fondazione Luigi Einaudi, vol. VIII, 1974,
Torino, Fonda- zione Luigi Einaudi, 1975, p. 168. 3 «La
scienza economica italiana non ha da vergognarsi di quel che fece durante
il cinquantennio crociano. Carità di patria vuole si dimentichi quel che
fu scritto di falso e di consapevolmente falso intorno al cosidetto
corporativismo. Quegli errori sono riscattati dalla resistenza dei più »,
affermerà Einaudi ricordando « La Riforma sociale » e il « Giornale degli
economisti » (La scienza economica. Reminiscenze, in Cinquant'anni di
vita intellettuale italiana 1896-1946, cit., vol. II, p. 313). E ancora:
la « Rivista di storia economica » «forse parve ai governanti del
tempo meno fastidiosa a cagione della sua limitazione a cose passate. Ma
già il Sismondi, in una lettera del 1835 al Brofferio aveva avvertito i
vantaggi che la censura offre agli scrittori costringendoli ad essere
avveduti nel dichiarare la verità invisa ai tiranni [...]. 1 saggi datati
dal 1936 al 1941 agevolmente persuadono che il forzato velo storico non
vietò mai a chi scrive di discutere problemi contemporanei » (L. Einaudi,
Saggi biblio- grafici e storici intorno alle dottrine economiche, Roma,
Edizioni di storia e letteratura, 1953, p. VII). 39 M. De
Cecco, La politica economica durante la ricostruzione 1945- 1951, in
Italia 1943-1950. La ricostruzione, a cura di Stuart J. Woolf, Bari,
Laterza, 1974, p. 291. 208 Le origini della casa
editrice Einaudi prese e attuate dopo il 1945, come governatore
della Banca d’Italia e come ministro del bilancio nel quarto e
quinto governo De Gasperi nel 1947-48. Gli unici studi che
hanno affrontato l’opera di Luigi Einaudi anche nel periodo fascista,
compiuti in occasione del centenario della nascita, si sono preoccupati
di ridurre la sua iniziale adesione al fascismo, fino al 1925, ad
un « equivoco » destinato a dissiparsi quando la politica « li-
beristica » di De Stefani sfociò nel vincolismo e nel corpo- rativismo ‘,
o si sono limitati ad analizzarne le indicazioni per lo studio delle
dottrine e dei fatti economici, senza cogliere i presupposti ideologici
della sua posizione meto- dologica, o arrivando ad espungere volutamente
dall’analisi le sue concezioni antisocialiste e antistataliste, in
quanto: non sarebbero mai state da lui proposte come formule ‘. Per
meglio comprendere la linea interpretativa della col- lana « Problemi
contemporanei » è invece opportuno sof- fermarci su questi presupposti
ideologici, per i quali l’atti- vità di Einaudi durante il fascismo ha
punti di contatto, ma anche di differenziazione, con quella di Croce.
Segui- remo i motivi di questa riflessione sulla storia e la
politica economica fino al 1944, data l'omogeneità di questa tema-
tica, che corre parallela con gli altri filoni di pensiero della casa
editrice. È da rilevare in primo luogo che le indicazioni di
Luigi Einaudi sul modo di fare storia economica sono esplicita-
mente basate sulla preoccupazione di non privilegiare il fattore
economico nella ricostruzione storica. Discutendo il programma di lavoro
della « Rivista di storia economica » con Gino Luzzatto — il direttore
della « Nuova rivista storica » che ribadiva ancora in quegli anni la
validità della storiografia economico-giuridica —, egli sosteneva che
allo 4 Cosî R. Romano nell’Introduzione a L. Einaudi, Scritti
econormici,. storici e civili, a cura di R. Romano, Milano, Mondadori,
1973, pp. XXXILIOXVII. 4 Cfr., per il primo appunto, R.
Romeo, Luigi Einaudi e la storia delle dottrine e dei fatti economici, e
M. Abrate, Luigi Einaudi rivisitato, e, per il secondo, F. Caffè, Luigi
Einaudi nel centenario della nascita, in Annali della Fondazione Luigi
Einaudi, cit., pp. 121-141, 151-163, 39-51 (in particolare, per
l’affermazione di Caffè, p. 47). 209
storico era necessario solo il « punto di vista » economico: « “Punto di
vista” e non “prevalenza” né “specializzazio- e”. Non si diventa
storici dell'economia dando, come fecero molti nel tempo verso il 1900,
rilievo a certi fatti detti economici e mettendoli a fondamento delle
spiegazioni da essi date di certe passate vicende umane. Cosi
scrivendo, si fa buona (esistono, nonostante la cosa tenga del
miraco- loso, persino buoni libri di storia informati al concetto
materialistico della storia!) o cattiva storia politica, non storia
economica » *. La storia economica non deve sup- porte che il fattore
economico sia più importante degli altri, né accettare la tesi che le
teorie economiche siano un mutevole frutto dei tempi, affermava,
concludendo che per scrivere storia economica « fa d’uopo che lo
scrittore abbia l’occhio od il senso economico » ‘. Di qui l'apprezzamento
per la Storia economica e sociale dell'impero romano © Città carovaniere
di Rostovzev — pubblicate rispettiva- mente da La Nuova Italia e da
Laterza —, in quanto l’au- tore « ha visto che alla radice della storia
non si trovano l'economia, la macchina, lo strumento tecnico, la terra
arida o feconda, il denaro e simiglianti cose morte, si invece le
4 G. Luzzatto - L. Einaudi, Per un programma di lavoro, in «
Rivista di storia economica », I (1936), p. 201. Luzzatto, che in una
lettera a Einaudi del 5 novembre 1936 accettò in sostanza la sua opinione
(AFE, Luzzatto), salutò con entusiasmo la nascita della «Rivista di
storia economica », perché « può rappresentare per i giovani studiosi
italiani di storia economica una guida ed uno stimolo, di cui si sentiva
estre- mamente il bisogno, indirizzandoli nella scelta degli argomenti di
ricerca, raddrizzando idee tradizionali errate, chiarendo idee confuse,
creando soprattutto quel contatto fra scienza economica e ricerca
storica, che fino- ra è in gran parte mancato » (« Nuova rivista storica
», XX (1936), p. 282). A Luigi Dal Pane — dal quale non riuscirà tuttavia
ad ottenere una collaborazione — Luigi Einaudi spiegò il 4 luglio 1936 il
tipo di articoli desiderati: « 1) un problema teorico importante studiato
da un econo- mista passato; 2) un problema di fatto interessante in sé,
interessante per qualche attacco al presente, su cui l’esperienza di un
tempo passato dice qualcosa di rilevante » (L. Dal Pane, Il mio carteggio
con Luigi Einaudi, in Annali della Fondazione Einaudi, vol. VI, 1972,
Torino, Fondazione Luigi Finaudi, 1973, p. 194). 43 L.
Einaudi, Lo strumento economico nella interpretazione della storia, in «
Rivista di storia economica », I (1936), pp. 155-156 (in discus- sione
con Lucien Febvre}. Nello stesso senso cfr. T. Codignola, Esiste una
«storia economica »?, in « Rivista di storia economica », idee che la classe
politica si è fatta » #: dove è evidente la polemica contro quella «
vulgatio » del materialismo sto- rico in cui Gramsci rinveniva uno
specifico influsso loriano, presente anche nel commento a Economic
planning and international order di Lionel Robbins, un autore
quanto mai caro a Einaudi e alla casa editrice, lodato per la tesi
che « la continuità della coesistenza di diverse nazioni del mondo è
incompatibile con qualunque piano diverso da quello economico liberale »,
e che un piano è un fatto poli- tico: « È un capovolgere la storia
cercare nell’economia la spiegazione degli avvenimenti politici, sociali,
intellettuali. Bisogna invece cercare nella politica la spiegazione
degli avvenimenti economici » 4. Gli esempi potrebbero moltipli-
carsi, a testimoniare come l’assai vaga asserzione che allo storico
economico necessiti, e sia sufficiente, « l’occhio od il senso economico
», si connetta con la fede nel carattere assoluto ed eterno delle leggi
economiche, con la polemica nei confronti del materialismo storico e del
socialismo, e con la difesa del liberismo come vero liberalismo.
Rispondendo a quanti parlavano di superamento delle teorie economiche, di
quella ricardiana in particolare, Einaudi affermava che « una ideale
storia delle dottrine economiche potrebbe semplicemente consistere nel
ricordo che si facesse, nel trattare sistematicamente la dottrina
oggi ricevuta, del debito da questa contratto verso le precedenti
meno perfette formulazioni che via via la precedettero. Il legittimo uso
della parola “superamento” implica l’accogli- mento contemporaneo
dell’idea che nulla è superato, nulla è fuor del tempo presente ed ogni
teoria che visse vive 4 L. Einaudi, Il valore economico del libro
del Rostovzev, in «La Riforma sociale », XLI (1934), p. 336. Sulla
conoscenza « da orecchiante » del materialismo storico da parte di
Einaudi mediata da Croce e Loria, cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere,
cit., vol. II, pp. 1289-1290. 45 L. Einaudi, Delle origini
economiche della grande guerra, della crisi e delle diverse specie di piani,
in «Rivista di storia economica», II (1937), p. 278. Il 30 novembre 1946
Giulio Einaudi scriverà a Robbins: «se durante la deprecabile ultima
guerra Voi ricordavate con simpatia l’ambiente che faceva capo a mio
padre, noi altri giovani durante quegli anni terribili non cessammo mai
di guardare con venerazione e speranza alla Vostra Patria e ai suoi
uomini più rappresentativi » (AE, Robbins). ancora perfezionata ed
affinata nella teoria attuale » ‘. L’in- sistente difesa di Ricardo, di
Smith, di Francesco Ferrara o della massima di D’Argenson — « pour mieux
gouverner, il faudrait gouverner moins » —, si accompagna a uno
sprezzante giudizio su Keynes, nelle cui pagine si può tro- vare « la
esposizione pi ingegnosa e raffinata che imma- ginar si possa di quella
qualunque tesi egli, con pieno prov- visorio convincimento, sostenga in
un dato momento » “£ all’assunzione a modello dei discorsi di Cavour, in
quanto « mutano i problemi; ma l’arte dell’analizzarli criticamente
con spirito non preoccupato damiti e da formule verbali, non muta » ‘; o,
in polemica col corporativismo fascista — non molto frequente, tuttavia,
sulla « Rivista di storia eco- nomica » —, all’esaltazione delle
corporazioni medievali mai configuratesi come « caste chiuse »: « La
lotta, il tu- multo, le inimicizie, le cacciate e l’esilio sono i segni
distin- tivi di quell’epoca che poi fu voluta idealizzare come tesa
verso la pace sociale. Ma, perché lottava, amava ed odiava, quell’epoca
partori credenti artisti e poeti grandi; ma perché era un’epoca di
rivolgimenti politici economici e sociali, essa creò ricchezza potenza
arte e poesia ». Una difesa della necessità della lotta e del contrasto
che non si traduce mai, però, nella comprensione delle novità del
processo storico, cui l’ottuso conservatorismo di Einaudi oppone
un’imma- gine statica della vita sociale, assai distante dalla
stessa concezione crociana della storia etico-politica ” *
L. Einaudi, Superamento, in « La Riforma sociale», Einaudi, Una disputa a torto
dimenticata fra autarcisti e liberisti, in «Rivista di storia economica.
4 Si riferisce ai s aggi di Keynes La fine del laisser faire e
L’autarchia economica tradotti nella « Nuova collana di economisti
stranieri ed ita- liani » diretta da G. Bottai e C. Arena (« Rivista di
storia economica », II (1937), p. 374). Per una critica agli Essays in
Bibliography di Keynes cfr. anche L. Einaudi, Della teoria dei lavori
pubblici in Maltbus e del tipo delle sue profezie, in « La Riforma
sociale », XLI (1934), pp. 221-227. 4 L. Einaudi, Una nuova
edizione dei discorsi del conte di Cavour, in «La Riforma sociale »,(a
proposito dei Discorsi parlamentari di Cavour curati da Omodeo e Russo
per La Nuova Italia). 5 L. Einaudi, Alba e tramonto delle
corporazioni d'arti e mestieri, in « Rivista di storia economica », VI
(1941), pp. 96-97. Einaudi « non riu- sciva ad afferrare i motivi del
movimento storico », ha affermato L. Dal 212 Le
origini della casa editrice Einaudi È del resto noto come, sul
piano politico, il liberalismo di Einaudi non sia assimilabile a quello
di Croce, tanto da spiegare — come vedremo dall’analisi di alcuni
volumi della collana « Problemi contemporanei » — un maggior «
possibilismo » del primo nei confronti del fascismo. E ciò, nonostante il
rapporto personale e gli elementi di con- vergenza che legano i due
intellettuali durante il regime. Ne è testimonianza la segnalazione
simpatetica che sulla « Rivista di storia economica » Einaudi fa, in due
occa- sioni, delle edizioni Laterza: valorizza ad esempio l’opera
dei meridionalisti conservatori — Jacini, Turiello, Villari, Franchetti,
Sonnino e Fortunato — analizzati da Enzo Ta- gliacozzo in Voci di
realismo politico dopo il 1870; ap- prezza incondizionatamente — a
differenza di Ginzburg ” — l’immagine fornita da Nicola Ottokar nella
Breve storia della Russia, un paese la cui « tragedia » sarebbe
stata quella di non aver mai avuto un ceto intermedio numeroso, ma
solo padroni e servi, dove i primi erano una volta i nobili, ora la
burocrazia sovietica ”. Sempre per « rendere testimonianza di onore
all’editore colto e tenace, il quale in tempi volti ad altri problemi
persegue un alto ideale di cultura », Einaudi segnala La concezione
romana dell’im- pero di Ernest Barker, accogliendone la distinzione fra
la rivoluzione francese, da cui « discendono lo stato napoleo- nico
ed il comunismo economico », e la rivoluzione puri- tana inglese, da cui
derivano « la libertà di coscienza e di Pane, Commemorazione di
Luigi Einaudi, in Memorie dell’Accademia delle scienze dell’Istituto di
Bologna, classe di scienze morali, e Franco Venturi ha osservato che « la
storia economica, quale egli fa concepî, non produsse in Italia quel
rivolgimento, quella trasformazione profonda che compirono in varie forme
altrove il marxismo, la scuola delle “Annales”, le moderne teorie dello
sviluppo e la cliometria. Personalmente sono convinto che l’elemento
conservatore presente nel pensiero di Einaudi agi da freno, da remora a
questa rivoluzione storio- grafica. Riproporre a modello Le Play nel
secolo XX era un paradosso » (in Annali della Fondazione Luigi Einaudi,
vol. VIII, cit., p. 180). 51 Le osservazioni di Ottokar « sono
giustapposte, e non concatenate, sf che l'avvento del bolscevismo può
configurarglisi come una specie di cataclisma, che interrompa la
continuità storica », notava ad esempio Ginzburg (« Nuova rivista storica
» (1937), ora in Scritti, cit., p. 111). 5 L.E., Edizioni Laterza,
in « Rivista di storia economica », II (1937), pp. 196-198.
pensiero, la società economica a tipo di concorrenza, l’unio- nismo
operaio, il regime di discussione »; ma la « lettura più vantaggiosa » è
per Einaudi la Storia d’Europa di Fisher, nella quale egli vede la
dimostrazione dell’assenza di basi economiche nei diversi ordinamenti
politici. Prende invece nettamente le distanze da un libro laterziano
allora famoso in quanto espressione della crisi dei valori
borghesi, Democrazia in crisi del laburista Harold J. Laski — un
au- tore che la casa editrice accoglierà solo nel dopoguerra, men-
tre nel 1936 Mario Einaudi lo aveva accusato di marxismo per l’opera The
Rise of Liberalism —, in quanto « dalla pa- rificazione laskiana di
“democrazia” ad “uguaglianza” vien fuori un’economia comunistica a tipo
termitario » ”. Il liberalismo di Einaudi aveva infatti un minor
respiro ideale di quello di Croce, come dimostra la discussione tra
loro intercorsa negli anni ’30 e ’40 sui rapporti tra libe- rismo e
liberalismo: mentre Croce, pur nella comune ri- pulsa del comunismo,
negava la necessaria identità dei due termini, Einaudi sosteneva la loro
inseparabilità, in quanto « l’idea della libertà vive, si, indipendente
da quella norma pratica contingente che si chiamò liberismo economico;
ma non si attua, non informa di sé la vita dei molti e dei più se
non quando gli uomini, per la stessa ragione per cui vollero essere
moralmente liberi, siano riusciti a creare tipi di orga- nizzazione
economica adatti a quella vita libera » *. Data questa rigida identificazione
— per cui la presa di distanza di Einaudi dal fascismo ha il suo motivo
di fondo nella politica protezionista e corporativa del regime —, si
com- prende come più numerosi e acri che ne « La Critica » siano
gli attacchi antisocialisti nella « Rivista di storia economica »,
condotti in primo luogo dal suo direttore con accenti che dimostrano la
carica politica, prima ancora 53 L. Einaudi, Ancora a proposito di
edizioni e di alcuni libri editi da Giuseppe Laterza in Bari, in «
Rivista di storia economica », III (1938), pp. 349-354; M. Einaudi, Di
una interpretazione puramente economica del liberalismo, in « Rivista di
storia economica », Einaudi, Tema per gli storici dell'economia:
dell’anacoretismo economico, in « Rivista di storia economica », II
(1937), p. 195. I testi del dibattito sono raccolti in B. Croce, L.
Einaudi, Liberismo e libera- lismo, a cura di P. Solari, Milano-Napoli,
Ricciardi, 1957. Le origini della casa editrice Einaudî che
scientifica, dei suoi obiettivi. Ne è documento esem- plare, nel 1934, la
recensione a Socialism's New Start, tra- duzione di un’opera di
socialisti tedeschi nascosti dall’ano- nimato, critici dei partiti
tedeschi socialdemocratico e co- munista accusati di aver consegnato le
masse operaie al nazismo; con le minacce di simili « untorelli »,
scrive Einaudi, il regime hitleriano può dormire sonni tranquilli:
I socialisti del continente europeo, sia quelli dei paesi come
l’Italia, la Germania e l’Austria, nei quali essi sono stati spazzati
via, sia quelli dei paesi come la Francia, nei quali si danno un gran
da fare per farsi mandare a spasso, non hanno ancora capito che «
il capitalismo » è una irrealtà, uno schema partorito dalla loro
scarsa cultura storica e dalle loro rudimentali attitudini psicologiche;
e quindi, essendo un meccanismo tecnico, una costruzione meramente
amministrativa e contabile, può essere rivoluzionato o riplasmato pit o
meno in meglio od in peggio, senza grandissime difficoltà. La società
tollera chiacchiere socialistiche più o meno interessanti e consente
talvolta che in nome di ideali socialistici si compiano ai margini
sperimenti più o meno costosi intesi a tener quiete le molti- tudini. Ma
le chiacchiere e gli sperimenti non devono andare oltre un certo segno;
non devono toccare istituti che hanno nell’animo umano radici ben più
profonde del capitalismo: la proprietà della terra, della casa,
dell’opificio, il risparmio, la famiglia, la eredità, la tradizione, la
religione. Responsabili della nascita dei regimi totalitari
sareb- bero stati i socialisti, in quanto Blum in Francia, Cripps e Laski
in Inghilterra appaiono a Einaudi « magni- fici alleati e profeti e
sostenitori di nuovi regimi che, sorti in Italia si vanno estendendo,
sotto forme variabilmente adattate alle diverse contrade, un po’
dappertutto » 5. Proprio riferendosi a questa recensione, e alla
raccolta dei Nuovi saggi di Einaudi pubblicata nel 1937 dal figlio,
« Giustizia e Libertà » — espressione del movimento nel quale si riconoscevano
vari collaboratori della casa edi- trice — critica violentemente
l’esponente liberista, nella cui opera non ravvisa né antifascismo, né
liberalismo, né scienza, ma solo i frutti di un « liberale è /a page »,
lealista 55 L. Einaudi, Afforno ad una spiegazione della disfatta
dei partiti socialistici, in « La Riforma sociale », XLI (1934), pp.
713-714. verso il regime, mosso da « una meschina preoccupazione di
antisocialismo, che non ha a che vedere con il bisogno di libertà che
ogni uomo prova, ma semplicemente con un sentimento originario, più forte
di qualunque ragionamento, di disprezzo per il salariato e per il
lavoratore manuale che aspiri a dirigersi da solo ». Ispirato da un «
velenoso » odio di classe — continua articolista —, Einaudi « arriva
a sostenere la legittimità della reazione fascista, che non sarebbe
l’avventura di un gruppo di spostati né rea- zione di privilegiati, ma la
reazione legittima della so- cietà contro quei faccendoni dei socialisti
che le impedi- vano di lavorare »; il suo «cieco conservatorismo »
si spiega con la sua « sfiducia totale in qualunque tentativo di
miglioramento, che tolga gli individui alla classe in cui essi sono
costretti a vivere » ”. È del resto raro trovare nella seconda metà
degli anni ’30, nella « Rivista di storia economica » o nei volumi
della casa editrice ispirati da Luigi Einaudi, una coerente pole-
mica nei confronti della politica economica del regime o dei testi
economici proposti dal fascismo. La critica all’antiindi- vidualismo
della Breve storia delle teorie economiche di Othmar Spann edita da
Sansoni nel 1936 resta un caso isolato ”, mentre già nel 1934 Einaudi
trova modo di lodare Bottai « promotore di iniziative feconde: come
quella dei buoni libri informativi editi dalla scuola corporativa
di Pisa », o la « Nuova collana di economisti » curata da Bottai e
Arena, in cui apprezza in particolare la pubblica- zione dell’Economia
del benessere di Arthur C. Pigou — « non conosco lettura più adatta a
moltiplicar dubbi su qualsiasi provvedimento di politica sociale » — e
gli scritti $% Magrini [Aldo Garosci], Liberalismo?, in «Giustizia
e Libertà », 5 marzo 1937; per un altro attacco al « fascismo » di Luigi
Einaudi cfr. La concezione filosofica del mondo, in ibidem, 1 aprile 1938.
« Di rado compaiono operai — notava il corporativista Giuseppe Bruguier
recen- sendo i Nuovi saggi —. Gli è che l’Finaudi, man mano che gli
anni passano, mi pare si faccia sentimentalmente sempre più vicino,
piuttosto che ai lavoratori delle calate del porto di Genova o alle
maestranze delle officine di Torino, ai contadini delle sue belle terre
piemontesi », osservati con « senso patriarcale » (« Leonardo », VIII
(1937), p. 70). 5? L. Einaudi, Una storia universalistica
dell'economia, in « Rivista di storia economica », I (1936), pp.
258-263. 216 Le origini della casa editrice
Einaudi sulla tassazione di Wicksell, col quale Einaudi dichiara
di trovarsi « in ottima compagnia nella tendenza a non pren- dere
sul serio certi cosiddetti principî di ripartizione delle imposte
chiamati dell’uguale, proporzionale o minimo sa- crificio ovverosia della
capacità contributiva e simiglianti vacuità senza contenuto »: la «
conquista definitiva teori- ca » di Wicksell è infatti che « non esiste
un principio di giustizia tributaria » *. In una discussione in cui,
accanto a nette differenziazioni, c’era posto per posizioni
intermedie fra corporativismo e liberismo — tipica è la figura di
Marco Fanno, collaboratore al tempo stesso della « Nuova collana di
economisti » e della casa editrice Einaudi” —, ma anche per significativi
incontri su questioni economiche di nodale importanza, Luigi Einaudi
poteva tranquillamente combattere la teoria dell’imposta progressiva:
cosî nel 1934 con la pubblicazione — preceduta da una sua
prefazione ‘elogiativa dell’autore e dell’opera svolta dai liberisti
italiani nel 1880-90 — dei Principi di economia finanziaria di De
Viti De Marco, dalla quale Edoardo Giretti traeva spunto per un giudizio
politico il cui elemento di distinzione dal fascismo era rappresentato da
una /audatio temporis acti ©, 58 L. Einaudi, Del principio della
ripartizione delle imposte (a pro- posito di una nuova collana di
economisti), in « La Riforma sociale », Macchioro, Studi di storia del
pensiero economico e altri saggi, Milano, Feltrinelli, e il carteggio
Fanno-Finaudi in AFE, Fanno. : 6 «Lo storico che potrà un
giorno, all’infuori delle passioni e dei rancori dell’età contemporanea,
discutere ed esaminare a fondo oggetti- vamente e serenamente le cause
che determinarono la crisi del 1922 e la caduta di un regime
politico-parlamentare che del liberalismo cavour- riano aveva conservato
soltanto il nome, ma non l’idea e la sostanza, dovrà riconoscere che
l’unico tentativo serio e coerente, che si era fatto in Italia, allo
scopo di prevenire la catastrofe di quel regime, da gran tempo preveduta,
fu proprio quello del gruppo liberista, del quale il De Viti fu il capo e
l’ispiratore più autorevole e più tenace », colui che aveva osservato che
i liberisti, « avendo pur sempre di mira la difesa e il consolidamento
dello Stato liberale democratico, avevano esercitato una critica intesa a
creare nel paese una più elevata coscienza pubblica contro tutte le forme
degenerative delle libertà individuali e del sistema rap- presentativo »
(E. Giretti, Un uomo e un gruppo, in «La Cultura », XIII (1934), pp.
28-29). Con quest'opera De Viti De Marco « aveva dimostrato la natura
autofaga dell’imposta progressiva », dità Einaudi, Miti e paradossi della
giustizia tributaria, Torino, Einaudi, 1938, p. 197 n. 217
e, con particolare forza, nei Miti e paradossi della
giustizia tributaria, dove il richiamo agli economisti classici si
accom- pagna ad accenti moralistici che mal nascondono la sostanza
antidemocratica del discorso: Giova — si chiedeva Einaudi — [...]
togliere coll’imposta diffe- renziata a questi pochi [monopolisti] il
guadagno di eccezione che essi temporaneamente lucrano? No; poiché è vero
che quel lucro è ottenuto col vendere a più basso non a più alto prezzo
dei concor- renti. Se si vuole accaparrare quel lucro a vantaggio della
collettività non bisogna adoperare l’imposta, strumento stupidamente
repressivo, ma l’emulazione gli onori la lode. Giova creare l'atmosfera
nella quale il ricco giudichi se stesso disonorato e sia dall'opinione
pub- blica considerato con spregio se non consacri in vita e in morte
parte rilevante dei suoi redditi a scopi di pubblica utilità: a fondare
e dotare scuole ospedali parchi stadi. Come ammoniva Adam
Smith, « un grado assai consi- derevole di disuguaglianza sembra essere,
ove si giudichi secondo l’esperienza universale dei popoli, un danno
di pochissimo conto in paragone con un piccolissimo grado di
incertezza ». La preferenza accordata alla « certezza » rispetto alla «
giustizia » — per cui si richiamano anche gli scritti economici di
Cattaneo — trova infine il suo natu- rale corrispettivo, sul piano
politico, nella critica alla demo- crazia: « Chi, salvo gli egualitari,
intenti ad aprire la via al governo dei plutocrati, mai seppe che lo
stato ideale si confondesse con il governo del demo? Anche il
governo di una minoranza può essere una approssimazione all’ideale,
se la minoranza ha lo sguardo volto verso l’alto » ©; dove
l’individualismo economico e l’antisocialismo ricordano gli aspetti più
propagandistici dell’opera di Pareto, il cui Corso di economia politica
apparirà nel 1943 nella « Col- lezione di opere scientifiche di economia
e finanza ». Anche il richiamo a Cattaneo, sopra citato, si
presenta in Luigi Einaudi nella linea di un discorso conservatore,
difficilmente assimilabile all’interpretazione « illuministi ca » di un
Salvemini o di un Gobetti e ben distante dalla caratterizzazione
democratica che — come vedremo — ne ®! L. Einaudi, Miti e paradossi,
cit., pp. 95, 239, 255. 218 Le origini della casa
editrice Einaudi darà Spellanzon nel 1942. La raccolta dei Saggi
di econo- mia rurale curata nel 1939 da Luigi Einaudi per la «
Biblio- teca di cultura economica » ebbe tuttavia il merito di
rinno- vare l’interesse attorno a una figura di cui l’idealismo si
era sbarazzato rapidamente. « Corrente di vita giovanile », la
rivista di fronda di Ernesto Treccani che prima dell’entrata in guerra
dell’Italia pubblicherà il brano cattaneano Della milizia antica e
moderna in cui la guerra ingiusta era consi- derata preludio di
sconfitta, colse in Cattaneo un modello di serietà e di impegno ©, mentre
su « Primato » Giansiro Ferrata, dopo aver ricordato che « la lotta politica
fino al ’24 ha insistito su questo nome in tutti i toni possibili,
cogliendone ogni impulso all’azione », oppose 1’« idealismo operativo »
di Cattaneo a quello « descrittivo » di Vico privilegiato da Croce: « se
in questi anni — concludeva all’inizio del 1940 —, come sembra vero e
necessario, alcuni pregiudizi politici ed ideologici vanno
scomparendo, dovremmo acquistare alla coltura d’oggi questo nome »
£. La riproposizione che ne faceva Einaudi era però, anche se più
puntuale, pit restrittiva, tesa a raccogliere da Cattaneo l'invito al
sacrificio, alla « edificazione della terra colti- vata », e soprattutto
il richiamo alla « certezza che gli uomini debbono possedere di godere
essi i frutti del proprio lavoro », attuabile attraverso i « mirabili
effetti » del cata- sto: « Mentre troppi dottrinari corrono dietro a
false teo- riche di cosidetta giustizia tributaria e vorrebbero
distrug- gere le più belle tradizioni finanziarie italiane, fa
d’uopo 62 S. Pozzani, Quasi una introduzione, in «Corrente di vita
giova- nile », 31 ottobre 1939: «al fondo della sua concezione politica
ed economica stava il convincimento che solo a prezzo di fatiche e
di sacrifici l’uomo può giungere a risultati positivi e fecondi {...] dalle
pagine del Cattaneo emana l’incitamento a meditate preparazioni come base
necessaria per affrontare la paziente e scrupolosa disamina dei problemi
grossi e minuti della nostra vita nazionale ». Il passo di Cattaneo
riportato si concludeva cosî: «Ma la vittoria stessa, destando la mera-
viglia delle genti e l'imitazione, nel decorso eguaglia le sorti, e riduce
il popolo stesso che aveva trascese le condizioni dell’equilibrio »
(ibidem, 31 maggio 1940). Sulla rivista cfr. l'introduzione di Alfredo
Luzi a Cor- rente di vita giovanile (1938-1940), Roma, Edizioni
dell’Ateneo, 1975. 63 G. Ferrata, Immagine di Cattaneo, in «
Primato », I (1940), pp. 27, 29; cfr. anche Id., Caztareo, in « Oggi », insistere
energicamente sulla virti della imposta ripartita su basi destinate a non
mutare per lungo tratto di tem- po » * Il Cattaneo einaudiano
diventa quindi un’altra arma contro gli « egualitari » e i socialisti,
contro i quali si schie- rano anche altri collaboratori della « Rivista
di storia eco- nomica ». Si distingue fra questi il giovane allievo di
Luigi Einaudi e Gioele Solari, Aldo Mautino, che nello studio su La
formazione della filosofia politica di Benedetto Croce — pubblicato
postumo da Einaudi nel 1941 dopo una « accu- rata revisione » dello
stesso Croce — si farà partecipe espo- sitore della critica crociana al
materialismo storico di La- briola e si schiererà con Luigi Einaudi nel
sostenere l’iden- tità fra liberismo e liberalismo 9. Commentando la
mono- grafia di Dal Pane su Labriola e i Saggi labrioliani ripro-
posti da Croce nel 1938, Mautino osservava che la gran- dezza del
cassinate « non si deve ricercare nel campo specu- lativo, bensi
piuttosto in quello politico », in quanto gli sembrava che i Saggi
tendessero «ad una svalutazione progressiva di quella medesima dottrina
di cui si presen- tano come interpretazione e commento »: « una
costante linea spirituale di svolgimento conduce in effetti a
risol- vere l’opposizione persistente tra la necessità escatologica
del comunismo e la libera volontà rivoluzionaria e, lascian- do da un
canto la trascendenza economica, la dialettica della storia e la
conseguente apocalissi comunistica, a far luogo all’azione, diretta ad
instaurare per convincimento 4 C. Cattaneo, Saggi di economia
rurale, a cura di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1939, p. 31; cfr. anche
L.E., La terra è un edificio ed un arti: ficio, in « Rivista di storia
economica », IV (1939), p. 246. Il richiamo di Einaudi a Cattaneo appare
invece «illuminista » a N. Bobbio, Una flosofia militante. Studi su Carlo
Cattaneo, Torino, Einaudi, 1971, PP. 200-201. 65 Cfr. le
lettere di Giulio Einaudi a Croce del 16 e 23 dicembre 1940 (AF, Croce).
« A suo agio il Mautino avrebbe potuto maggiormente far risaltare gli
elementi della dottrina creduta morta da Croce in se stesso e rimasti al
contrario vivi e fecondi. Se ciò non ha fatto gli è perché non aveva del
materialismo storico, nelle sue affermazioni originali, e nei suoi più
vitali ripensamenti, quella conoscenza che sarebbe stata necessaria »,
osservò F. D'Antonio, A proposito della « filosofia politica » crociana,
in « Nuova rivista storica », XXV (1941), p. 333. 220
Le origini della casa editrice Einaudi morale, fuori da ogni
attesa fatalistica, una nuova forma di vita più umana. Onde la
conclusione ideale, a cui i Saggi medesimi sembrano rivolgersi, finisce
per rinnegare quelle stesse strutture intellettuali di cui la passione
politica aveva tentato di rivestirsi ». Fatta propria la negazione
crociana del materialismo storico come filosofia, e affermato che nel
campo speculativo il marxismo era stato superato da Croce e Sorel,
Mautino notava tuttavia la « comprensione, profonda nel Labriola, del
valore nazionale rappresentato dal movimento operaio. Questo rigido
socialista sognava un’Italia attraverso di quello rigenerata e fatta più
civile [...]. In questo augurio di una Italia nuova consiste una
delle ragioni, e sicuramente non la minore, della “ perpetua giovinezza”
che l’antico e recentissimo editore riconosce nell’opera del Labriola »
£. Se in quest’ultima affermazione può apparire un’acquisizione di stampo
nazionalistico del pensiero di Labriola, analoga a quella compiuta da Volpe
nella prefazione alla monografia di Dal Pane, decisamente liquidatorio
era il giudizio sul socialismo espresso da Mau- tino nella recensione
delle memorie di organizzatori operai pubblicate da Laterza (Zibordi,
Rigola, Riguzzi) e dalla collana dei « Problemi del lavoro » (Azimonti,
Zanella, Bettinotti, Anzi, Rigola): staccato dal marxismo scienti-
fico, « il socialismo fu soprattutto una convinzione mora- le », ma anche
cosî le memorie dei suoi militanti, annotava Mautino,
lasciano trasparire del grigiore spirituale. Pare che dopo tanto tre-
pidar di speranze e divampare di passioni e avvicendarsi di illusioni e
delusioni e travagliarsi e lottare, l’animo tendesse a volgersi di
preferenza a faccende organizzative, e di miglioramenti economici, e di
compromessi politici [...]. Ormai il vecchio socialismo moriva senza
gloria; e anche questi suoi ultimi fedeli, guardando oggi al futuro, non
sanno più ritrovare nei miti troppo facili della loro gio- venti motivi
capaci di animarli e correggerli ancora , 6 A. Mautino, Intorno a
un teorico del materialismo storico, in « Rivi- sta di storia economica
», IIl (1938), pp. 332-334. 6 A. Mautino, Memorie di organizzatori
operai italiani, in « Rivista di storia economica », IV (1939), p. 76.
Recensendo il Concezto cristiano della proprietà di J. M. Palacio curato
da Fanfani per le edizioni di Vita e pensiero, Mautino trovava modo di
condannare anche il cattoli- A sottolineare le carenze del socialismo e
il primato del liberismo interveniva autorevolmente, nel 1940,
Attilio Cabiati: notando come « da parecchi anni a questa parte il
socialismo, che pareva “relegato in soffitta” », fosse venuto attirando
l’attenzione di studiosi tedeschi ed anglo-ameri- cani, rivolti a
vagliare « la possibilità teorica di un governo economico collettivista
», affermava che tutti arrivavano alla conclusione che « qualunque
sistema economico si adotti, ove esso miri a procurare col minimo
dispendio di forze il massimo benessere della collettività, deve soddi-
sfare a quello stesso sistema di equazioni, che in libera concorrenza
garantiscono l’utilità massima ai singoli opera- tori sul mercato »;
perciò solo lottando contro l’interven- tismo statale, concludeva
Cabiati, « l'economia potrà rifio- rire, dimostrando coi fatti che
l’azione privata, malgrado i propri difetti innegabili, supera senza
paragone possibile qualsiasi forma di costituzione socialistica della
società, che costituirebbe l’iperbole del burocratismo, coi suoi
insosteni- bili difetti e con la formazione della peggiore oligarchia
arri- vista » £. La battaglia antiprotezionistica dei
liberisti raccolti at- torno a Luigi Einaudi, quale si rispecchia non
solo nelle sue riviste, ma anche nei volumi di economia della casa
editrice che ora esamineremo, aveva quindi un’impronta ideologica
conservatrice e antisocialista che, se rappresenta solo una faccia
dell’iniziativa culturale di Giulio Einaudi, è forse quella che meglio
spiega la capacità di quest’ultimo di aprirsi degli spazi di manovra
nelle maglie del regime. cesimo sociale in quanto, «al pari del
socialismo democratico, la poli- tica cattolica si volge alla plebe con
le lusinghe della benedizione pubblica e la promessa d’un paradiso nel
cielo », facendosi sostenitrice dell’interventismo statale (Cattolicesimo
e questione sociale, in « Rivista di storia economica », III (1938), pp.
79-80). 6 A. Cabiati, Intorno ad alcune recenti indagini sulla
teoria pura del collettivismo, in « Rivista di storia economica
»,{prendeva in esame, fra gli altri, saggi di R. L. Hall e M. Dobb). Di
notevole interesse per valutare, non solo sul piano ideologico, il
rapporto fra il gruppo di Luigi Einaudi e il regime è la collana «
Problemi contemporanei », che per dieci anni — dalla fondazione della
casa editrice al 1944 — riflette l'opinione dei liberisti sulla politica
economica ita- liana e internazionale, con delle valutazioni che,
passando quasi sotto silenzio gli indirizzi corporativi del fascismo,
non sono tali da costituire, nella maggior parte dei casi, un terreno di
scontro con gli economisti del regime. Il tema di maggior rilievo della
collana è la crisi del 1929 e il New Deal rooseveltiano: un punto sul
quale l’attenzione dedicata ai problemi monetari anche dai liberisti «
per- mette loro di trovare un terreno di incontro con i corpora-
tivisti, dati gli indirizzi della politica del regime in questo settore »
©, anche se, ovviamente, da parte fascista si cerca di assimilare
l’esperimento di Roosevelt — in quanto inter- ventista — al
corporativismo e di ricavarne quindi un’ulte- riore giustificazione di
quest’ultimo come terza via tra capi- talismo e socialismo; mentre
l’entourage di Luigi Einaudi, nonostante uno sforzo di documentazione,
manifesta dure critiche nei confronti delle analisi catastrofiche della
crisi e della politica del presidente americano. La posizione dei
liberisti — accanto al gruppo einaudiano è da annoverare anche quello che
si raccoglie attorno al « Giornale degli economisti » — giustifica « un
giudizio di incomprensione e di mancanza di attrezzatura teorica idonea
da parte di questi economisti rispetto ai problemi posti dalla crisi
ame- ricana. È assente la coscienza del dramma di milioni di
disoccupati e non esiste quel travaglio sull’adeguatezza dei propri
strumenti teorici che caratterizza vari economisti americani. Vi è,
soprattutto, una difesa della “scienza eco- nomica” e delle “leggi
economiche” contro la politica eco- nomica e la politica in generale » ”.
Mentre il governo ® M. Vaudagna, New Deal e corporativismo nelle
riviste politiche ed economiche italiane, in G. Spini, G. G.
Migone, M. Teodori, Italia e sno dalla grande guerra a oggi,
Padova, Marsilio, 1976, p. 108. idem. fascista accentuava
l’intervento dello Stato nell’economia, i liberisti cercarono di
ridimensionare la portata della crisi e di attribuirne le cause, in
ultima istanza, alla politica pro- tezionistica promossa dai vari Stati
dopo la prima guerra mondiale e, quindi, a « errori di uomini » allontanatisi
dalle « leggi economiche ». Già nel 1931 Luigi Einaudi,
svolgendo su « La Riforma sociale » delle « riflessioni in disordine »
sulla crisi, aveva individuato nel crack del 1929 la manifestazione di
quei « cicli brevi » che « sono dominati dagli errori degli uomi-
ni » e, in quanto tali, facilmente superabili. L’insorgere di uno
squilibrio fra domanda e offerta, una delle cause della crisi, era
imputato moralisticamente a una deviazione dai modelli tradizionali di
vita delle classi inferiori aspiranti a salire nella scala sociale. Se in
Russia, osservava, « non è concepibile crisi » in quanto domanda e
offerta coincide- vano « forzatamente » per l’intervento dello Stato
soffoca- tore della libertà e delle aspirazioni individuali, il «
mo- dello » americano, che faceva tendere ad un alto tenore di vita
tutte le classi, era un elemento perturbatore dell’equi- librio fra
produzione e distribuzione del reddito: di qui la convinzione che « la crisi
via via si attenuerà a mano a mano che i nuovi ceti diventeranno vecchi e
che il mare sociale in tempesta si acqueterà. Ogni classe ed ogni
ceto ritornerà a poco a poco a pregiar se stesso, a vivere secondo
i propri gusti fondamentali e tradizionali », in modo che « l’industria
potrà assai meglio prevedere la domanda di beni da parte di una società »
meno fluida, meno commossa da mutazioni e commistioni di ceti inetti a
comprendersi a vicenda e furiosamente spinti ad imitare gli aspetti più
ap- pariscenti della vita di ognuno di essi ». E, mentre negava la
« novità» della crisi presente e confutava i suggerimenti di Keynes cosî
come l’utilità di ogni piano economico, mosso dal terrore per il «
gigantismo » industriale ribadiva il suo arcaico ideale di un mondo economico
dominato dai piccoli produttori, che si illudeva di veder realizzato
in Italia, dove « probabilmente il peso relativo della piccola
impresa famigliare, pudicamente condotta fuori degli occhi curiosi degli
statistici, è grandissimo, superiore a quanto 224 Le origini
della casa editrice Einaudî si immagina dai più. Forse quel peso è
crescente. Contro i piani internazionali, contro i consigli dei periti,
la sanità fondamentale italiana ha reagito concentrandosi nella in-
frangibile unità famigliare »: un ideale, il suo, che poteva incontrarsi
con alcuni aspetti della dottrina sociale catto- lica e della propaganda
ruralistica del regime ”. Analoga era la posizione di Attilio
Cabiati, che in Crisi del liberismo o errori di uomini? accompagnava
l’analisi dei fenomeni economici, sufficientemente articolata, con un
fer- reo dogmatismo, affermando che « l’abbandono dei prin- cipi
economici, messi in disparte in omaggio a vere o pre- sunte necessità
politico-sociali, ha sviluppato nel mondo intero, come “naturale”
conseguenza, una serie di disastri economici »; l’economia, aggiungeva
ricordando Pareto e Barone, « è una scienza precisa la quale obbedisce a
leggi naturali. Per cui sia che l’organizzazione economica resti
abbandonata al self interest dei singoli, sia che venga data nelle mani
dello stato sotto una forma qualsiasi, una condi- zione è necessaria: che
i privati o il ministro della produ- zione agiscano secondo le leggi
nazurali della scienza eco- nomica » ”. Si comprende quindi come la
domanda formu- lata nel titolo del volume fosse puramente retorica, e
come Cabiati considerasse la crisi, e i mezzi messi in atto da
Roosevelt per superarla, come « errori di uomini », frutto cioè
dell’indebita ingerenza della politica nell’economia. A sostegno di
questa tesi viene proposta l’opera di uno dei più ‘autorevoli esponenti
neo-classici della London School of Economics, Lionel Robbins, che agli
insegnamenti di Mar- Einaudi, Saggi, Torino, La Riforma sociale, 1933,
parte II, pp. 228, 373, 377, 405-410, 515. Il 17 marzo 1939 Einaudi
inviava a Mussolini una lettera in cui considerava la proposta di
introdurre nel codice civile l’« indivisibilità dei fondi rustici» un
freno alla piccola proprietà e allo sviluppo demografico del paese (ACS,
Segreteria parti- colare del Duce, Carteggio ordinario, fasc. 528771,
sottofasc. 2). 7 A. Cabiati, Crisi del liberismo o errori di
uomini?, Torino, Einaudi, 1934, pp. 9-11. Contro «il ricorso
all’immutabilità delle cosf dette leggi economiche, ripiego in cui si
annida il falso presupposto della naturale armonia degli interessi »,
espresso in un altro volume di Cabiati (Il finanziamento di una grande
guerra, Torino, Einaudi, 1941), si schierava A. Brucculeri, Ecomozzia
bellica, in «La Civiltà cattolica », shall — cui si rifacevano, a Cambridge,
pur con posizioni diverse, Pigou e Keynes — anteponeva quelli di
Pareto, von Mises e Wicksteed. In Di chi la colpa della grande crisi?
E la via di uscita Robbins, nei cui riguardi i liberisti italiani
dimostravano una speciale venerazione, affermava che dopo la guerra « il
raggruppamento delle imprese indu- striali in consorzi, l’accresciuta
forza dei sindacati operai, il moltiplicarsi dei controlli governativi
hanno creato una struttura economica che, quale che possa essere la sua
supe- riorità etica od estetica, è certo assai meno capace di
rapidi riadattamenti di quanto lo fosse il vecchio sistema pit
aperto alla concorrenza ». E analizzando i provvedimenti dei vari governi
— moneta manovrata e protezionismo — scorgeva il pericolo di uno
scivolamento verso il socialismo, in parte già in via di
realizzazione: Il carattere nettamente socialistico della politica
economica in Inghilterra, e in tutto il mondo moderno, non è determinato
dagli elementi obbiettivi della situazione, o dal fatto che le masse
abbian deciso di riorganizzare socialisticamente la produzione. Se la
politica economica ha questo carattere è perché uomini d’intelletto e di
cul- tura hanno creato la teoria socialistica e hanno gradualmente
conver- tito alle loro idee le masse ?3. Le stesse
preoccupazioni per il « socialismo di Stato » paventato dai liberisti
italiani ”* sono avvertibili nella rac- 7 L. Robbins, Di chi la
colpa della grande crisi? E la via di uscita, prefazione di L. Einaudi,
traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale 1934,
col titolo The Great Depression), pp. 10, 80, 219. Fenoaltea scriveva
all’editore di aver fatto rivedere la traduzione da Luigi Einaudi, e di
aver proposto l’opera « per il desiderio, e quasi per il dovere morale,
che sentivo di far conoscere agli italiani questo libro cosi bello, cosî
coraggioso, e così necessario » (AE, Fenoaltea). Su Robbins cfr. in
italiano C. Napoleoni, I/ pensiero economico del ’900, Torino, Einaudi,
1976, pp. 35-43, e l’introduzione di V. Malagola Anziani a L. Robbins, La
base economica dei conflitti di classe, Firenze, La Nuova Italia,
1980. 74 Il 13 aprile 1934 Vittorio Racca scriveva dagli Stati
Uniti a Luigi Einaudi che « nelle riforme rivoluzionarie presidenziali
americane si fa macchina indietro a tutto spiano; il paese, sia perchè
vede che la recovery sta venendo in modo indiscutibile, sia perchè, come
conse- guenza di ciò, si rifà coraggio, sia perchè si vede che quelle
riforme ritardano, invece di favorire il ritorno della vita normale, non
ne vuole più sapere di socialismo di Stato » (AFE, Racca). Già il discorso
del 1° 226 Le origini della casa editrice
Einaudi colta di saggi degli economisti di Harvard su I/ piano
Roo- sevelt: gli autori, pur dichiarandosi « ben lungi dal credere
che l’individualismo del secolo decimonono rappresenti l’apice della perfezione
per tutti i tempi », si mostrano con- trari all’ingerenza della politica
nell'economia e favorevoli a un laissez faire corretto in modo tale da
impedire lo sfrut- tamento dell’uomo sull’uomo senza cadere nella
soluzione socialista. Mentre per Joseph A. Schumpeter « l’unico
carat- tere distintivo della presente crisi mondiale [...] è il
fatto che i motivi extra-economici recitano la parte principale del
dramma », Overton H. Taylor, trattando esplicitamente del « conflitto fra
economia e politica », sostiene che « l’inte- resse economico effettivo
di ogni gruppo o frazione di po- polo dev'essere riposto in una generale
rinunzia o severissi- ma limitazione della “legislazione di classe” e
della lotta per il potere e l’avvantaggiamento relativo, che vi sta
alla base, salvo che qualche gruppo o classe possa realmente
sperare di condurre a compimento una soluzione sociale secondo il modello
marzistico »; tutto il suo ragionamento è cosi indirizzato a chiedere il
ristabilimento dell’economia di mercato e a confutare i « nuovi radicali
», privi di quel « realismo economico » il quale « deve riconoscere
che, nella nostra presente situazione, l’interesse comune a una
generale ripresa degli affari onesti, dell’agricoltura e del-
l’occupazione operaia è massimamente minacciato dalla stra- tegia del
potere e delle illusioni economiche delle classi mal- contente » *
Il giudizio sul New Deal non è sostanzialmente modifi- cato da
alcune note informative sulle riviste einaudiane o dal reportage
giornalistico di Amerigo Ruggiero *, né dalla novembre 1934 in cui
il segretario di Stato Cordell Hull si dichiarava disposto ad abbassare i
dazi doganali, era salutato come L'atto di contri- zione degli Stati
Uniti (« La Riforma sociale). 7 J.A. Schumpeter, E. Chamberin, E. S. Mason, D. V.
Brown, S.E. Harris, W.W. Leontiefi, O.H. Taylor, Il
piano Roosevelt, traduzione di Mario De Bernardi, Torino, Einaudi, Cfr.
M. Einaudi, Dopo un anno di governo di Roosevelt, «La Cultura », XIII
(1934), pp. 66-67; V. Racca, Il «New Deal» roosevel- tiano: in che
consiste, e Il «New Dedl» rooseveltiano: gli effetti, in «La Riforma
sociale », A. Rug- stessa pubblicazione di due opere di Henry A.
Wallace, ministro dell’agricoltura dell’amministrazione Roosevelt,
che pur dimostrano un intento informativo da parte della casa editrice.
Presentando Che cosa vuole l'America? — libro nel quale Mussolini vide la
conferma che anche gli Stati Uniti andavano « verso l’economia
corporativa » —, Luigi Einaudi riconosceva per la prima volta che « il
New Deal in fondo è un nobile tentativo di far qualcosa, non perché
si sappia che quel qualcosa sarà fecondo di risultati vantaggiosi, ma
perché urge il dovere di lottare contro la disperazione, di infondere
coraggio, di impedire che milioni di uomini si rivoltino contro la società
e distruggano, nel- l’impeto dell’ira, il risultato di tre secoli di
sforzo labo- rioso »; ma si premurava al tempo stesso di mettere in
evi- denza la « grande illusione » di Wallace 7, un « liberista »
costretto dalla realtà della crisi ad ammettere il controllo statale
sull'economia, nella speranza che la nuova epoca si persuadesse che «
l’umanità possiede oggi tanta potenza mentale e spirituale e tanto
dominio sulla natura da togliere per sempre ogni valore alla teoria della
lotta per la vita e sostituirla con la legge più alta della cooperazione
». Wal. lace appariva infatti combattuto fra le necessità del mo-
mento e le prospettive di più lungo periodo, prestandosi quindi anche a
una lettura non distante dalla posizione dei liberisti italiani,
preoccupati pur sempre delle tendenze monopolistiche del capitalismo
contemporaneo: poiché l’an- tico sistema, affermava Wallace, « era il
prodotto di un’avi- dità e di un opportunismo sfrenati »,
siamo stati costretti per forza a pensare in termini non di produ- zione
e di commercio liberi, ma di produzione e di commercio pro- grammati
dentro e tra le nazioni. Il rifiuto di Adam Smith a trac- ciare meschine
piccole linee locali di confine attorno ai concetti di giero,
L’America al bivio, Torino, Einaudi, 1934. Ruggiero pubblicherà nel 1937
presso Treves un volume sugli Italiani in America, lodato da «Gerarchia »
perchè metteva in risalto «la grandiosa opera di va- lorizzazione
dell’Italia intrapresa dal Fascismo » Wallace, Che cosa vuole l’America?,
introduzione di L. Einaudi, Torino, Einaudi, 1934 (ediz. originale 1934),
p. 25 (Einaudi dichiara di averlo tradotto lui stesso: p. 12); L.
Einaudi, La grande illusione di Wallace, in «La Cultura », commercio e di
civiltà può tuttavia ancora adesso giustamente inco- raggiare le menti ed
i cuori a compiere sforzi più grandi. Un popolo libero sente vivacemente
il dolore del nazionalismo, cioè del protezionismo e
dell’isolamento economico *. An- che in Nuovi orizzonti, in cui pur si vide
la proposizione di un programma « sostanzialmente identico al sistema
corpo- rativo italiano » ?, Wallace osservava la necessità di «
con- troliare quella parte del nostro individualismo che produce
l’anarchia e la miseria diffusa », assicurando che « affidarsi a simili
espedienti di redistribuzione del reddito e delle possibilità, non ci fa
cadere nel socialismo e nel comunismo. E nemmeno costituisce il metodo
dei pirati capitalistici della scuola economica neomanchesteriana »; ma
affermava anche la temporaneità dei centrolli statali
sull'economia, per concludere con una proposta conforme agli ideali
del New Deal, ma difficilmente assimilabile a quelli del corpo-
rativismo: La democrazia economica dovrebbe forse create i freni e
i mezzi d’equilibrio che caratterizzano la democrazia politica, ma essa
deve anche porre l’accento su un pronto ed attivo apprezzamento
delle relazioni economiche mutevoli. La democrazia economica deve
tro- varsi in posizione tale da resistere a sconsiderate pressioni
politiche. Al tempo stesso, essa deve effettivamente rispondere ed essere
pron- tamente ben disposta verso le necessità urgenti del popolo da
cui sgorga il potere. La proposta da parte di Luigi Einaudi
— che pur si preoccupava di premettervi sue « avvertenze » — di
testi che non riflettevano soltanto le opinioni di liberisti, ma
erano passibili anche di una lettura in senso corporativista, 78
H.A. Wallace, Che cosa vuole l’America?, cit., pp. 75, 100. F. Gazzetti
osservava che «il lettore fascista avrà modo leggendo il libro di vedere
che le più indovinate istituzioni americane sono state imitate da
analoghe iniziative del Regime, persino le migrazioni interne!» {«
Bibliografia fascista », X (1935), p. 495). 79 Cfr. la recensione
di E. Corbino in «Nuova rivista storica », Wallace, Nuovi orizzonti,
traduzione di M. De Bernardi, Torino, Einaudi, 1935 (ediz. originale
1934, col titolo New Frontiers) pp. 25, 30, 244-245. 229
è indice della consapevolezza che il dibattito mondiale
sulla crisi stava assumendo negli anni ’30 tendenze sempre pit
decisamente anticapitalistiche, che in Italia avevano un qualche
riscontro nelle tesi del « corporativismo di sini- stra » e dell’«
economia programmatica », che ai suoi occhi apparivano, in quanto
statalistiche, pericolosamente otien- tate verso il socialismo *. Di qui
la presentazione, accanto a Wallace, di un autore « moderato » come
Arthur C. Pigou, che quanto meno salvasse l’essenza del capitalismo
e desse garanzie in senso antisocialista. In Capitalismo e socialismo il
successore di Marshall nella cattedra di Cam- bridge, al termine
dell’analisi di pregi e difetti dei due sistemi economici, proponeva di
mantenere « la struttura generale del capitalismo » modificandola però
gradualmente con interventi statali al fine di « ridurre le
diseguaglianze più gravi nelle fortune e nelle occasioni di avanzamento
che offendono la nostra presente civiltà » : la proposta non era
certo tale da riscuotere pienamente le simpatie di Einaudi, per il quale
Pigou « oggi sarebbe un “New Dealer” roose- veltiano negli Stati Uniti o
un corporativista in Italia », e appariva ingenuo nell’assumere « come
verità sacrosante le favole raccontate e rammostrate dai comunisti russi,
consu- matissimi mistificatori, ai coniugi Webb, che sono forse
stati nel campo scientifico la conquista più preziosa dei bolscevichi » —
l’allusione era alla celebre opera sull’URSS che nel 1938 la casa
editrice si rifiutò di tradurre —; ma l'intervento dell’economista
inglese si giustificava come solido argine nei confronti dei detrattori
del capitalismo: « gli studenti di Cambridge — affermava infatti
Einaudi —-, sceltissimo fiore del paese reputato il più
aristocratico del mondo, affettano oggi quasi tutti di essere comunisti.
Il libretto di Pigou è una doccia fredda per codesti puri con-
sequenziarii » ®. 81 Cfr. L. Dal Pane, Commemorazione di Luigi
Finaudi, cit., p. 312. 82 A.C. Pigou, Capitalismo e socialismo.
Critica dei due sistemi, tra- duzione di G. Borsa, Torino, Einaudi, 1939
(ediz. originale 1937), pp. 137-138. 83 Ibidem, pp. 2-4
(Avvertenza di L. Einaudi). La traduzione dell’ opera dei Webb, lodata da
Umberto Calosso su « Giustizia e Libertà » 230 Le
origini della casa editrice Einaudi Destinata a una maggiore
risonanza e a ricevere il plauso dei recensori fascisti era la critica
severa della società sovie- tica svolta da William H. Chamberlin in L'età
del ferro della Russia, dove il titolo stava a indicare il periodo
del primo piano quinquennale ma anche i metodi ferrei con cui era
stato condotto. « Il libro è stato scritto prima delle recenti
manifestazioni di terrorismo all’interno e di aiuto dato all’estero ai
movimenti sovvertitori dell’ordine so- ciale — avvertiva nel 1937, nel
corso della guerra di Spa- gna, l'editore italiano — [...]. Ma la potente
analisi, tanto più spietata quanto più obbiettivamente contenuta,
dell’ab- brutimento spirituale della Russia comunista, giustifica
la resistenza che l'Europa oppone vittoriosamente alla propa-
gazione del bolscevismo ». Con uno stile vivacissimo e con frequenti — ma
scontati e logori — raffronti fra Stalin e Pietro il Grande, l’autore non
si limitava a illustrare il pro- cesso di industrializzazione dell'URSS,
ma dedicava ampio spazio al soffocamento delle libertà personali, civili
e reli- giose, da parte dell’« autocrate della repubblica rossa »,
un paese in cui si poteva notare « il realizzarsi di una teoria fanatica
che arreca grandi mutamenti di vita e di pensiero ed al tempo stesso
condanna alla distruzione milioni di avversari », 0 « il risorgere in
nuove forme, e sotto la ma- schera di frasi nuove, di tipiche antiche
concezioni russe come il diritto assoluto dello stato a servirsi degli
individui e distruggerli, se cosî vuole, per il raggiungimento dei
suoi scopi ». E ciò senza che si fossero raggiunti apprezzabili
risultati dal punto di vista economico, perché, « se con il grano, il
caffè e il cotone distrutti si potrebbe idealmente formare una montagna
come monumento alle follie e alle debolezze del capitalismo, una montagna
non meno grande si potrebbe innalzare nell’URSS con tutte le merci che
sono state sprecate e distrutte non volontariamente, ma per effetto
di incuria e di inefficienza proprio quando la man- canza di viveri si
faceva più acutamente sentire ». Di qui (7 febbraio 1936), era
stata consigliata da Alessandro Schiavi a Giulio Finaudi, che il 18
febbraio 1938 gli rispondeva: « Ma non Le pare che gli Autori prendano
troppo sul serio l’economia programmatica dei Sovieti? » (AE,
Schiavi). l'insegnamento di carattere generale che da questo, come
da altri volumi della collana, poteva trarre il lettore: « L’esperimento
russo ha dimostrato all’evidenza che l’eco- nomia programmatica non è una
panacea, che nel funziona- mento di un sistema economico strettamente
centralizzato e controllato dallo stato possono verificarsi errori non
meno disastrosi delle deficienze e degli attriti di un sistema che
funzioni senza il beneficio di un piano » *. Un giudizio che, se non
poteva incontrare la piena approvazione dei liberisti, poneva sul tappeto
un quesito al quale i corporativisti af- fermavano di aver già risposto,
ma che al tempo stesso era riformulato come ancora irrisolto dalla
rivista di Codignola « Civiltà moderna », secondo la quale « resta uno
dei pro- blemi fondamentali del regime sovietico quello di trovare
quanto individualismo sia necessario pel funzionamento d’un sistema
collettivista, cosî come in altri paesi il pro- blema è quello di trovare
quanto controllo collettivo debba istituirsi per far bene funzionare un
sistema individuali- sta! » ®. i Il quesito verrà riproposto,
addirittura con alcuni arre- tramenti teorici in senso liberista, nei
volumi di economia pubblicati dalla casa editrice nel 1945-46. Non è
quindi da stupirsi che nel 1944, dopo la caduta di Mussolini, appa-
risse come ultimo titolo dei « Problemi contemporanei » curati da Luigi
Einaudi un altro volume di Robbins, Le cause economiche della guerra,
dove, più che la critica 3 W.H. Chamberlin, L'età del ferro in
Russia, traduzione di S. Fenoaltea, Torino, Einaudi, 1937 (ediz.
originale 1934), pp. 11-12, 21, 74, 76. « L'entusiasmo è un po’ gonfiato
a causa delle circostanze, ma in fondo il libro si meritava una buona
accoglienza », scriveva l’editore a Fenoaltea il 16 febbraio 1937 (AE,
Fenoaltea). Chamberlin pubblicò anche, nel 1937, Collectivism, a False
Utopia. 85 Recensione di A. Rapisardi Mirabelli, in «Civiltà
moderna », Per Felice Battaglia il libro mostrava « l’organiz-
zazione concreta, in atto, del regime, la vita dolorosa di un popolo, che
ignora ogni attributo della persona e si consuma in un tono assai basso
di esistenza economica e morale, senza neppure supporre che altri possa
realizzare forme più soddisfacenti » (« Rivista storica italiana », s. V,
I (1936), p. 103); «libro di informazione onesta, spassionata », retto
dall'idea che « alla dinastia degli zar sia subentrata una dinastia di
fanatici sacerdoti marxisti», appariva al «Meridiano di Roma» (II, 24
gennaio 1937). . 232 Le origini della casa editrice
Einaudi svolta dall’autore nei confronti della teoria leninista
dell’im- perialismo e la sua proposta degli Stati Uniti d'Europa in
quanto « non il capitalismo, ma l’organizzazione politica anarchica del
mondo è il male principale della nostra civil- tà », interessa
l’avvertenza dell’editore, che in Robbins vedeva l’esponente di quelle
forze politiche e culturali « che intendono superare gli inconvenienti e
le deficienze della moderna civiltà capitalistica senza apportare
nessuna vera trasformazione strutturale, nessuna modificazione pro-
fonda e rivoluzionaria all’attuale organizzazione sociale »; e, nella
preoccupazione per il futuro, il lettore era invitato a « giudicare ogni
forma di riformismo e la validità degli apporti, che possono ancora
offrire le forze conservatrici nel nuovo mondo che si prepara » Mentre,
nonostante questi limiti, nei testi dedicati agli aspetti internazionali
della crisi poteva passare una polemica indiretta nei confronti della
politica economica del regime, nei volumi della collana che affrontano i
problemi econo- mici italiani è avvertibile, nel migliore dei casi, una
cautela dettata dal timore della censura fascista. Già il 28 marzo
1931, scrivendo a Luigi Einaudi a proposito dei tagli rite- nuti
necessari per un suo articolo, Edoardo Giretti affer- mava che « è molto
mortificante di non sapere più quello che si può dire e quello che invece
bisogna tacere; ma d’al- tra parte è anche giustissima la preoccupazione
di conser- varci il mezzo di poter dire alcune delle cose che si
pen- sano e che, forse, è ancora utile di far conoscere intorno a
noi ». Sempre Giretti, parlando del volume scritto in colla- borazione
col nipote Luciano su Il protezionismo e la crisi, che esprimeva giudizi
sulla politica economica del regime, scriveva di aver « già fatto il
possibile per non dire niente di più di quello che oggi si può dire, ma
vi è sempre il peri- 86 L. Robbins, Le cause economiche della
guerra, traduzione di E. Rossi, Torino, Einaudi, 1944 (ediz. originale
1939), p. 95. Il libro era stato proposto all’editore da Ernesto Rossi il
1° luglio 1942 (AE, Rossi). «È meraviglioso vedere come le menti degli
economisti liberali inglesi siano aperte alle idee fondamentali del
fascismo », come il corporativismo e il concetto dell’« ordine nuovo
europeo antisovietico », affermerà f. p. [Felice Platone] recensendo il
libro su « Rinascita colo di non dimostrarsi abbastanza... reticenti » ”.
Tutta- via, proprio questo volume è fra i più coraggiosi nella
pole- mica: svolgeva, con frequenti citazioni da La condotta e gli
effetti sociali della guerra italiana di Luigi Einaudi, una dura critica
dei provvedimenti protezionistici, lodando le « coraggiose riforme » in
senso liberista di De Stefani, il cui abbandono veniva giustificato con
le « difficoltà inerenti al generale disordine delle relazioni internazionali,
ed ai con- trasti tosto abilmente suscitati dai gruppi organizzati
per la difesa dei loro particolari interessi minacciati ». Ma os-
servava che l’isolamento economico, se poteva non danneg- giare paesi con
ampio mercato interno, era un « assurdo » per l’Italia; in particolare
Luciano Giretti, dopo aver affer- mato che « il raggiungimento
dell’autarchia, portando natu- ralmente con sé la riduzione a zero delle
esportazioni, fa- rebbe incontrare enormi perdite agli interessi
produttivi dipendenti dai mercati mondiali », sosteneva la necessità
di tornare al liberismo, pur con tutti i suoi limiti *. Polemico
era anche il volume di De Viti De Marco che sosteneva l’erroneità della
teoria secondo la quale la banca crea cre- dito, lodato da Einaudi che
notava come « su questa teo- ria, se ben si rifletta, riposano quasi
tutte le modernissime proposte le quali vorrebbero che la banca fosse la
suprema regolatrice del credito e della attività industriale, la
leva necessaria per risanare le crisi e far uscire il mondo dalla
depressione » ® In altri volumi, invece, il giudizio sulla politica
econo- 87 AFE, E. Giretti (lettere del 28 marzo 1931 e del 14
ottobre 1934). 88 E. e L. Giretti, Il protezionismo e la crisi,
Torino, Einaudi, 1935, pp. 54-55, 77, 143; era necessario, si afferma, «
tornare a quel libero scam- bio che, se non rende possibile un alto tenor
di vita in un paese, dove le risorse naturali sono misere, il lavoro poco
produttivo e gli impren- ditori poco geniali; se non impedisce il triste
fenomeno della disoccu- pazione dovuta alle oscillazioni del ciclo
economico; se non porta infine alla prosperità un popolo che per varie
ragioni non può ottenerla, va almeno esente da tutti i mali che della
protezione sono caratteristici, ed ha tuttavia influsso benefico nel far
sf che ognuno sfrutti nel migliore dei modi il proprio lavoro, ottenendo
la massima quantità di beni in cambio di quelli che egli stesso ha
prodotto» (pp. 163-164). 8 A. De Viti De Marco, La funzione della
banca. Introduzione allo studio dei problemi monetari e bancari
contemporanei, Torino, Einaudi, 1934; recensione di L. Einaudi ne «La
Cultura », XIII (1934), p. 136. 234 Le origini della
casa editrice Einaudî mica del regime risulta più favorevole di
quanto ci si sa- rebbe immaginato sulla base dell’impostazione
liberista della collana. Alcuni si presentano come contributi alla
solu- zione di problemi economici concreti, come La questione
petrolifera italiana (1937) di Cesare Alimenti, che pur so- stiene
l’insufficienza dell’autarchia basata sull’uso dei suc- cedanei del
petrolio, o L'agricoltura italiana e l’autarchia (1938) il cui autore, il
senatore Arturo Marescalchi, già sottosegretario all’agricoltura dal 1929
al 1935, espone una serie di consigli pratici per obbedire all’invito
all’autar- chia alimentare rivolto da Mussolini nel discorso alle
Cor- porazioni del 15 maggio 1937 ”. Meritevole di un premio
dell’Accademia d’Italia è il volume sulle Sanzioni di Luigi Federici,
teso a dimostrare che « la unità di spirito di idee di volontà che oggi
noi possiamo vantare è — assieme al- l’ordinamento corporativo — la
migliore forza posta al ser- vizio del paese per realizzare l’unità di
azione necessaria per resistere e per spezzare il blocco » ”. Comprensivo
verso i provvedimenti governativi culminati nella istituzione del-
l’IRI si dimostra lo stesso Cabiati, osservando che « quando le classi
industriali agricole e finanziarie di un paese recla- mano ad ogni
difficoltà l’aiuto dello stato, è logico che que- sto, per ben
amministrare il danaro pubblico, imponga loro la sua tutela e la sua
sorveglianza » ”. E fino ad un’esalta- % Il 10 febbraio 1938
l’editore, annunciando a Marescalchi che il suo volume era pronto,
scriveva: « Ho pensato che il volume potrebbe essere distribuito, a cura
del Ministero dell’Agricoltura, alle Cattedre Ambu- lanti, Scuole
agricole, biblioteche provinciali, ecc.» (AE, Marescalchi). 91 L.
Federici, Sanzioni, Torino, Einaudi, 1935 (II ediz. 1936), p. 12; il 19
ottobre 1935 l’autore scriveva a Luigi Einaudi che avrebbe redatto il
volumetto «secondo lo schema da Lei suggeritomi» (AFE, Federici).
Federici, già allievo di Einaudi, era responsabile della pagina
finanziaria de « L’Ambrosiano ». 9 A. Cabiati, Crisi del liberismo
o errori di uomini?, cit., p. 173; dando notizia di un altro lavoro di
Cabiati (Il finanziamento di una grande guerra, cit.), Luigi Einaudi
affermava che l’autore «ammira la teoria germanica odierna, per cui la finanza
è subordinata alla guerra ed il ministro delle finanze non fa neppure più
parte del Comitato della politica economica; ma pone le condizioni ed i
limiti dello sforzo che il paese può sostenere per la condotta della
guerra. La teoria cosî continua- mente si rinnova, ma non rinnega, pure
perfezionandole e adattandole alle nuove esperienze, le verità antiche »
(« Rivista di storia economica », VI (1941), p. 146).
235 zione retorica della politica economica del
regime si spin- geva Franco Ballarini, che non si limitava a lodare il
di- scorso di Pesaro e tutta la politica monetaria del governo o
l’istituzione dell’IRI, ma arrivava ad affermare che « in un mondo
brancolante fra puro comunismo alla russa, super- capitalismo dei trusts
o cartelli privati e capitalismo di Stato, la luce venne dall’Italia. Si
chiamò corporativi- smo »”. Ancora più concretamente Francesco Repaci,
uno dei più fedeli collaboratori di Luigi Einaudi, lodava il rior-
dinamento della finanza locale attuato con il testo unico del 1931 e con
la legge comunale e provinciale del 3 marzo 1934, specificando che la
riduzione del 12% sulle retribu- zioni del personale era stato « elemento
idoneo a miglio- rare la situazione finanziaria degli enti locali »
*. La collana non si limitò quindi a una funzione di
orientamento teorico generale, ma svolse anche una serie di interventi su
temi concreti, negando quello che era stato un presupposto originario del
suo ispiratore. Nel 1942, presentando l’Introduzione alla politica
economica di Co- stantino Bresciani Turroni — che dopo la
Liberazione avrà anch’egli un ruolo rilevante, come presidente del
Banco di Roma —, Luigi Einaudi riconoscerà infatti che, dopo avere
lungamente creduto anch’io che ufficio dell’economista non fosse di porre
i fini al legislatore, bensi quello di ricordare, come lo schiavo assiso
sul carro del trionfatore, che la Rupe Tarpea è vicina al Campidoglio,
che cioè, qualunque sia il fine perseguito dal politico, i mezzi
adoperati debbono essere sufficienti e congrui; oggi dubito e forse
finirò col concludere che l'economista non possa distinguere il suo
ufficio di critico dei mezzi da quello di dichiara- 9 F.
Ballarini, Dal liberalismo al corporativismo, Torino, Einaudi, 1935, p.
131. A Marco Fanno, giudicato da Giuseppe Bruguier molto vicino
all’ideologia corporativa (I/ corporativismo e gli economisti italiani,
Firenze, Sansoni, 1936, pp. 57-59), e autore de I trasferimenti anormali
dei capitali e le crisi (Torino, Einaudi, 1935), Luigi Einaudi chiese di
scrivere «un volumetto di Economia Corporativa » (AFE, Fanno, 30 luglio
1934). % F.A. Repaci, Le finanze dei comuni, delle provincie e
degli enti corporativi, Torino, Einaudi, 1936, p. 61. Come
giustificazione dell’in- tervento italiano in guerra fu apprezzato dalla
stampa fascista B. Minoletti, la marina mercantile e la seconda guerra
mondiale, Torino, Einaudi, (na i Venta fascista », XIX (1940), p. 14, e
«Leonardo», XII 1941), p. 62). 236 Le
origini della casa editrice Einaudi tore di fini; che lo studio
dei fini faccia parte della scienza allo stesso titolo dello studio
dei mezzi, al quale gli economisti si restrin- 5 gono
9. La collana da lui diretta fino al 1944, se non giunse a «
porte i fini al legislatore », in alcuni casi si fece portavoce di
quest’ultimo. Ma la situazione cambierà drasticamente un anno dopo.
Nell’ottobre del 1945, dal suo posto di governatore della Banca d’Italia,
Luigi Einaudi proporrà al figlio di pubblicare una serie di volumi sui «
Problemi ita- liani » scritti « nel modo pi oggettivo possibile » —
con l’aiuto, per la raccolta dei dati, dell'Ufficio Studi della
Banca — da autori di orientamento liberista, sotto la super- visione di
Bresciani Turroni. Ma il nuovo indirizzo della casa editrice, che pur
dimostrerà una certa fatica a supe- rare l'impostazione originaria sui
problemi economici, non poteva più accettare le proposte di Luigi
Einaudi: trince- randosi dietro il rifiuto dell’« obiettività » — che i
liberisti non avevano certo rispettato — il consiglio editoriale
gli rispose che intendeva « presentare al pubblico italiano non
soltanto un materiale di studio e di lavoro, ma anche un’opi- nione ben
definita, un orientamento costruttivo. Vogliamo quindi che l’aspetto
strettamente economico di un proble- ma non sia scisso dal suo aspetto
politico: perciò, se chie- diamo all’autore serietà e obiettività di
documentazione, gli chiediamo anche di indicare la sua soluzione
politica, che sarà proposta alla libera discussione del pubblico »
*. E nella collana « Problemi italiani » appariranno i volumi di
Dorso, Grifone, Sereni e Grieco. # C. Bresciani-Turroni,
Introduzione alla politica economica, prefa- zione di L. Einaudi, Torino,
Einaudi, 1942, pp. 15-16. A difesa del liberismo di Bresciani Turroni, e
in polemica con un articolo di Guido Carli su «Civiltà fascista », cfr.
anche L. Einaudi, Economia di mercato e capitalista servo sciocco, in
«Rivista di storia economica», VIII (1943), pp. 38-46. Su Bresciani
Turroni cfr. la voce di Amedeo Gambino in Dizionario biografico degli
italiani, vol. XIV, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana,
1972. 9% Lettera di Luigi Einaudi a Giulio del 31 ottobre 1945, e
risposta a Luigi Einaudi del 7 novembre 1945 (AE, L. Einaudi). Le
firme dei liberisti — da Luigi a Mario Einaudi, a Cabiati, Giretti e De
Bernardi — compaiono anche su « La Cultura », a segnalare i volumi della
collana « Pro- blemi contemporanei », ma non sono tali da
caratterizzare la rivista, centro di esperienze culturali più avanzate, che
ritroveremo in altre collane della casa editrice. Quando appare nel 1934
per i tipi di Giulio Einaudi, « La Cultura » si presenta completamente
rinnovata rispetto alla serie di Cesare De Lollis e a quella che le era
succeduta dal 1929 al 1933, con Ferdinando Neri e Arrigo Cajumi: nuova
nella veste tipografica, vede alternarsi nel suo comitato
direttivo, accanto a Cajumi e Pavese, Sergio Solmi, Franco Antoni-
celli, Bruno Migliorini, Pietro Paolo Trompeo, Vittorio Santoli e
Norberto Bobbio, a dimostrazione di un legame anche fisico con la
precedente tradizione della rivista ma, al tempo stesso, della volontà di
un cambiamento non solo generazionale. Mentre scompaiono molti
collaboratori di De Lollis, assorbiti dalle iniziative culturali del
regime — pensiamo ad esempio ad Alberto Pincherle, Giorgio Levi
Della Vida, Guido Calogero, Umberto Bosco o Felice Bat- taglia, impegnati
da Gentile nell’Enciclopedia italiana, fra i nuovi appaiono vari allievi,
al liceo D'Azeglio, di Augusto Monti, Zino Zini e Umberto Cosmo, che si
rial- lacciano per questa via alla tradizione gobettiana, rivissuta
politicamente, da alcuni, nella militanza tra le file di Giu- stizia e
Libertà”. Novità si registrano anche nei contenuti — non più
% Il 27 luglio 1935, riferendo al Ministero dell’interno sugli
arresti del gruppo einaudiano come aderente a Giustizia e Libertà, il
prefetto di Torino scriveva: «Detta setta si serviva a Torino
dell’attività della “Casa Editrice Einaudi” la quale segnatamente con la
pubblicazione della rivista pseudo letteraria “La Cultura” era riuscita a
riunire una cerchia di intellettuali e di antifascisti ed a servirsi di
redattori e collabotatori in maggior parte ostili al Regime Fascista e
noti per aver svolto in pas- sato attiva propaganda contro il Fascismo »;
e aggiungeva che Giulio Einaudi, « all’atto del suo arresto, non esitò a
riconoscere la polarizza- zione intorno alla rivista ‘La Cultura’ di
tutto il cosidetto ambiente antifascista torinese» (ACS, Casellario
politico centrale, b. 1877, fasc. 52997). dibattiti sulla scuola o
sulla religione, meno filosofia e più storia, interesse per i problemi
contemporanei * —, pur nella continuità col passato, quale si manifesta
nell’apertura europea — con una particolare attenzione per la
cultura francese — e in una certa oscillazione fra crocianesimo e
anticrocianesimo, anche se quest’ultimo fu presente in mi- sura maggiore.
L’idealismo dei collaboratori della rivista einaudiana, infatti, «
conobbe sfumature molto particolari, si atteggiò in forme proprie, cercò
sempre, pit o meno luci- damente, il contatto con esperienze diverse » ”.
Pi accen- tuata che nella critica estetica di De Lollis è, ad
esempio, l’attenzione per il metodo filologico e per la
collocazione del letterato nel suo tempo, come risulta dalle recensioni
di Cajumi, di Santoli o di Piero Treves !®. E decisamente
anticrociano è il direttore effettivo della rivista, Cajumi, che nel 1934
si scaglia con virulenza contro la critica idealistica rappresentata dai
volumi laterziani di Luigi Russo, Elogio della polemica e Giovanni Verga,
richiamandosi alla batta- glia contro la « critica filosofica » già condotta
nel 1910 da erra: Fierissimi avversari del cattolicesimo
temporale e delle sue pre- tese (tanto da assumere lo stesso tono
stizzoso dei contradditori), ma conservatori con un soupgon di
nazionalismo; riformatori per inse diar la loro filosofia nella scuola,
ma poi estraniati dalla rivoluzione 98 Mario Praz, fedele agli
interessi prevalentemente letterari della vecchia serie della rivista, il
1° febbraio 1934 annunciava le sue dimissioni da condirettore a Cajumi,
che gli aveva indicato le novità della serie einaudiana: «Rivista mensile
su due colonne, tipo Economist, articoli brevi ed attuali » (AE, Praz).
Il 23 gennaio 1935 l’editore scriveva a Cabiati: «mi permetto di
ricordarLe l’articolo sul piano Roosevelt. E cosi ci tireremmo un po’
fuori ogni tanto dalla solita zuppa di critica rita ed estetica di cui il
pubblico non vuol più saperne » (AE, abiati). Sasso, La «
Cultura » nella storia della cultura italiana, in «La Cultura », XIV
(1976) (numero speciale « Per i 70 anni di Guido Calo- gero »), p. 82. Un
accenno a Cajumi e ai collaboratori de « La Cultura » come «un gruppo di
intellettuali ben definito nella vita culturale ita- liana », in A.
Gramsci, Quaderni del carcere Recensendo Saffo e Pindaro di Gennaro Perrotta
pubblicato da Laterza, Piero Treves riteneva necessario inquadrare i
poeti nel loro tempo: «Qualcosa, dunque, vi è, in un poeta, oltre la sua
poesia, che vale e che dura quanto e come la sua poesia » (Storia e
poesia nella Grecia arcaica, in «La Cultura », in cammino; nemici tanto del letterato puro
quanto di quello politi- cante, i seguaci dell’indirizzo propugnato dal
Russo appaiono a un osservatore imparziale un curioso impasto di
contraddizioni 10, Sul piano filosofico comincia a muoversi contro
l’idea- lismo Eugenio Colorni, pur allievo del « mistico » Marti-
netti e collaboratore della « Rivista di filosofia », già orien- tato
politicamente verso il socialismo di Lelio Basso e di Rodolfo Morandi; la
sua ricerca, incentrata intorno all’ana- lisi del pensiero leibniziano,
ha modo di esprimersi sulla rivista in discussione con La spiritualità
dell’essere e Leibniz del cattolico Giovanni Emanuele Bariè il
quale, notava Colorni, si serviva di Leibniz « a scopi postkantiani
e idealistici », accentuando « la concezione dell’essere come
spiritualità »: era invece «una violenza che il pensiero postkantiano fa
sul nostro potere d’interpretazione e di sviluppo, di considerare tutto
ciò che non è materiale nel senso comune della parola, come
necessariamente svolgen- tesi in forma di soggettività e di pensiero.
Ora, proprio la novità di Leibniz consiste nell’escludere questa
costrizione e nell’additare altre direzioni, diverse da quella
gnoseo- logica » !2, Si manifestava cosi in Colorni, come è stato
osservato, un « consapevole atto di rottura [....] nei riguardi di una
tradizione spiritualistica di cui l’idealismo fu l’ul- tima incarnazione
» !°, Non mancano, talvolta, anche dirette confutazioni della
101 A. Cajumi, La colpa è della critica?, in « La Cultura », XIII
(1934), pp. 45-47; di questo articolo, dove vedeva «la condanna
sommaria di tutto quello che si è fatto negli ultimi trent'anni », si
lamentava Russo con Finaudi il 31 maggio 1934 (AE, Russo).
Sull’insufficienza del « fiuto filosofico per separare la poesia dalla
non poesia » cfr., dello stesso Cajumi, Gustave Lanson, in «La Cultura »,
XIV (1935), p. 19; contrario alla « sostituzione della critica filosofica
alla storica » si dimo- stra anche Enrico Carrara recensendo Il!
Quattrocento di Vittorio Rossi (« La Cultura). 102 E.
Colorni, Leibniz e una sua recente interpretazione, in «La Cultura » Cosî
N. Bobbio nell’Introduzione a E. Colorni, Scritti, Firenze, La Nuova
Italia, 1975, p. VI. Per l’attività politica di Colorni cfr. la voce di
E. Gencarelli in F. Andreucci - T. Detti, Il movimento operaio italiano.
Dizionario biografico 1853-1943, vol. II, Roma, Editori Riuniti, 1976, e
il profilo, non privo di accenti agiografici, che gli ha dedicato Leo
Solari, Eugenio Colorni. Ieri e oggi, Padova, Marsilio. 1980.
240 Le origini della casa editrice Einaud? cultura
ufficiale, come quando, di fronte al metodo attualiz- zante proposto da
Gentile ne La profezia di Dante, Um- berto Cosmo — il docente torinese
che nel 1926 era stato costretto a dimettersi dall’insegnamento per l’«
incompati- bilità » fra il suo pensiero e la politica del regime —
osser- vava che « chi voglia comprendere Dante nella sua inte-
rezza discorderà probabilmente da cotesti criteri », perché « l’infinità
dello Stato, la potenza sua illimitata mi paiono concetti moderni che il
teologo Dante non poteva formulare a se stesso » !*. Ma la più evidente
linea distintiva della rivista dalla cultura del regime, cosi come da
Croce, è ravvi- sabile nel netto richiamo ai valori dell’illuminismo
negati dal pensiero idealistico, e rimasti ai margini anche
dell’inte- resse de « La Cultura » di De Lollis. Se ne fanno
interpreti soprattutto, oltre al Antonello Gerbi !5, Cajumi e
Salvato- relli, anche se con accenti molto diversi. Per Cajumi la
rivalutazione del ’700 doveva essere fatta a spese dell’hege- lismo e dei
suoi seguaci, e ricollegando l’illuminismo all’in- dividualismo del
Rinascimento — secondo la linea interpre- tativa esposta da Chabod nella
voce IMuminismo dell’Enci- clopedia italiana —, attraverso il tramite del
libertinismo: La nuova filosofia, sorta con facilità a cavalcioni
di un positi- vismo sfiatato e vaniloquente, giudicava e mandava
dall’alto del suo tedescheggiante idealismo, ed estranea alla cultura
francese ed in- glese, contribuiva al vituperio. Marxisteggiando, i
nostri filosofi pren- devano sotto le ali il Sorel, e covavano Bergson e
Blondel. Per quei poveri sensisti ed illuministi, che disprezzo! [...].
Il male è che un ritorno al Settecento non può farsi senza rimandar prima
in soffitta Marx, Hegel e compagnia, castigare la democrazia, dissipar
l’equi- voco di certo neoliberalismo, non aver paura di passare per dei
con- servatori e miscredenti vecchio stampo. 14 u.c. [U.
Cosmo], Le profezia di Dante, in «La Cultura», XIV (1935), p. 16. Sulla
sua figura cfr. la testimonianza di F. Antonicelli, Un professore
antifascista: Umberto Cosmo, in AA.VV., Trent'anni di storia italiana
(1915-1945). Lezioni con testimonianze presentate da F. Antonicelli,
Torino, Einaudi, 1975?, pp. 87-90. 105 « L'entusiasmo, la buona
fede, lo zelo gioioso di quel tempo calun- niato ci investono e sollevano
», osservava Gerbi recensendo Les origines: intellectuelles de la Révolution
Frangaise di Daniel Mornet (Idee del Set- tecento, in « La Cultura »,
XIII (1934), p. 41). Ma i suoi accenti élitari si riscattavano in un
sentito laicismo: per salvare l'Europa « malata, non solo politica-
mente ed economicamente, ma, ciò ch'è più grave, nella sua cultura », era
necessario identificare le origini della sua civiltà, che erano colte,
alla luce de La crise de la con- science européenne di Paul Hazard — il
volume sarà tra- dotto dalla casa editrice nel 1946 —, nell’Umanesimo e —
aggiungeva Cajumi riecheggiando forse Gobetti — nella Riforma, dalla
quale erano sorte « la libertà di coscienza, la discussione del
cristianesimo, delle affermazioni ateistiche. Il peccato originale,
l’origine unica delle razze sono battuti in breccia; s’affaccia l’idea di
progresso. La politica si lai- cizza, e si democratizza, l’idea di Stato
si disgiunge da quella feudalisticamente monarchica. Nasce una nuova
economia, mercantile, capitalista » !”. Pi esplicita e
avanzata che in Cajumi risulta, a propo- sito dell'Illuminismo, la coniugazione
di giudizio storico e impegno civile in Salvatorelli: recensendo nel 1934
La polemica sul Medio Evo di Giorgio Falco — ma richia- mando anche
la Philosophie der Aufklirung di Cassirer —, egli osservava che la
valorizzazione del ’700 operata da Falco si inseriva « in un processo di
pensiero in pieno corso e di importanza capitale, da cui usciranno ben
altro che semplici revisioni storiografiche e storico-filosofiche,
come ben altro che queste revisioni è uscito dalla svalutazione del
’700 proseguita dal Romanticismo in poi ». E, dopo aver ridimensionato la
funzione del Papato e dell’Impero nella storia della società medievale,
con accenti antinazi- sti — «ci si aggiungono, adesso, le strimpellature
misti- cheggianti del Sacrum Imperium (vedano, gli strimpellatori
teutonici, di accordarsi ora con l’altro misticismo razzista, quello che
fa capo a Vitichindo e a Wotan) » —, Salvato- 106 A. Cajumi, La
nascita della civiltà europea e I libertini del Seicento, in «La
Cultura», XIV (1935), pp. 41-43 e 63-67. Negli stessi anni l’opera di
Hazard era accostata da E. Cione alla Storia dell'età barocca di Croce,
anche per il suo taglio etico-politico (« La Nuova Italia », VIII (1937),
pp. 121-123). Sul significato dell’opera di Hazard, che insiste sul tema
della «crisi» anche per il momento in cui fu scritta, cfr. G. Ricuperati,
Paul Hazard, in « Belfagor », relli
indicava lucidamente quello che poteva essere l’inse- gnamento
dell’illuminismo: chi volesse con un solo termine riassumere le
caratteristiche del per siero settecentesco, non potrebbe trovarne altro
più adatto che quello di « umanità ». Ed ecco perché, nella necessità di
un nuovo umane- simo per risolvere la crisi in cui il mondo civile si
dibatte, il pen- siero del Settecento ritorna oggi a splendere più vivo
che mai. Per fare, e non subire, la storia futura occorre giudicare
quella passata e non stenderci sopra il polverino 19. Non
meno significativo è in Salvatorelli il legame isti- tuito fra
Risorgimento e Rivoluzione francese — analogo all’interpretazione
espressa negli stessi anni da Aldo Fer- rari o da Baldo Peroni sulla «
Nuova rivista storica » —, e la demistificazione della « leggenda » di
Carlo Alberto !*: temi e giudizi che ritroveremo in alcune opere dello
stesso Salvatorelli e di altri collaboratori di Giulio Einaudi.
Attraverso il discorso culturale filtrava spesso anche un messaggio
politico, che si fa talvolta esplicito sulle pagine della rivista, ma i
cui toni pi avanzati sono di stampo liberale. Bobbio ha dato rilievo a
due articoli « feroce- mente antisoreliani » di Salvatorelli, ricordando
come Sorel fosse « uno dei numi tutelari del fascismo » !’; ma,
mentre in uno l’autore rimane sul terreno puramente culturale della
difesa dell’Illuminismo !*, solo nell’altro Salvatorelli espri-
107 L. Salvatorelli, Storiografia del Settecento, in «La Cultura », XIII
(1934), pp. 3-5. 108 Cfr. L. Salvatorelli, Napoleone, in « La
Cultura », XIII (1934), pp. 95-96, e la sua recensione a G. F.H. Berkeley,
Italy in the making 1815- 1846, in cui Salvatorelli nega l’esistenza di
una politica antiaustriaca di Carlo Alberto prima del 1845 (« La Cultura
», XIII (1934), p. 131). Contrario alla tesi autoctona delle origini del
Risorgimento, ma anche a quella che ne legava la nascita alla Rivoluzione
francese, si dimostra invece Cajumi nella recensione a H. Bédarida - P.
Hazard, L’influence francaise en Italie au dix-buitième siècle («La
Cultura», Bobbio, Trent'anni di storia della cultura a Torino, cit., p.
69. 110 « Sorel è lo Spengler dell’anteguerra, e Spengler il Sorel
del dopo- guerra [...]. L'opposizione di Spengler al secolo XVIII, reo di
aver iniziato l’epoca del razionalismo, è tale e quale quella del Sorel,
per cui la dottrina del progresso, fondamentale nell’epoca
dell’enciclopedismo c dell’Aufklirung, non era se non la giustificazione
ideale di una socictà datasi tutta alla gioia di vivere, e Diderot,
Voltaire e simili non erano 244 me un
giudizio politico attaccando Sorel in nome di quel mondo prefascista
verso il quale abbiamo visto volgersi il rimpianto dei liberisti: Sorel
infatti « non si rese mai conto delle realtà di primaria importanza su
cui giocava, degli interessi sociali che rischiava di danneggiare, dei
valori umani fondamentali che vilipendeva. Tutto questo, in un
periodo storico che richiedeva la massima cautela per non contribuire,
sia pure involontariamente, a scuotere le fon- damenta di una civiltà
grandiosa, ma tutt’altro che conso- lidata » !!!. Un atteggiamento più
arretrato, decisamente aristocratico, manifesta Cajumi che nel 1934, in
polemica con un uomo politico non certo progressista come André
Tardieu, notava in Francia «la progressiva e trionfante sostituzione
della massa all’individuo, mediante la realizza- zione di democrazie
nazionaliste, che tendono a mettersi ognora più nelle mani dello stato,
contro la garanzia di un’assistenza economica e sociale sempre maggiore »
!. Una posizione, questa, in linea con quella già esaminata dei liberisti;
anche su « La Cultura », del resto, recensendo gli Orientamenti di Croce
del 1934 Luigi Einaudi ne acco- glieva pienamente la « stroncatura da
filosofi veri » nei con- fronti di Spengler e della teoria marxiana della
base econo- mica della società !5; e lo stesso ex ordinovista Zino
Zini, discutendo La crise européenne et la grande guerre di Pierre
Renouvin, osservava che « nell’esame delle cause è messa abilmente in
luce la sopravalutazione — diventata ormai quasi un luogo comune — che si
ha l’abitudine di fare di quelle economiche » !. Né era segno di
distinzione dal fascismo, nel 1934, la critica dell’ideologia
nazionalso- cialista, assai diffusa nelle riviste del regime, e che ne «
La Cultura » si manifesta nella stroncatura del Mein Karzpf
stati che dei buffoni della aristocrazia » (L. Salvatorelli, Spengler e
Sorel, in «La Cultura », XIV (1935), pp. 21-23, a proposito di Anzi
decisivi di Spengler pubblicato da Bompiani). Ul L. Salvatorelli,
I/ mito Sorel, in « La Cultura », XIII (1934), p. 63. 112 A. Cajumi, In
punta di penna, in « La Cultura », XIII (1934), p. 30. 113 « La Cultura
», Zini, In margine a una storia della grande guerra, in «La Cultura »,
XIV (1935), pp. 26-29. Su di lui cfr., fra i vari interventi di G.
Bergami, il suo ritratto in « Belfagor», XXVII (1972), pp. 678-703.
244 Le origini della casa editrice Einaudi di
Hitler tradotto da Bompiani — libro pieno di contrad- dizioni e
caratterizzato da una « spiccata innocenza intel- lettuale », scriveva Salvatorelli
5 —, o nella recensione di Luigi Emery a Friedrich der Grosse und die
geistige Welt Frankreichs di Werner Langer, in cui si metteva in
evidenza come l’autore dimostrasse l’influenza francese su Federico II di
Prussia « contro l’aureola di santone del germanesimo della quale tardi
agiografi vogliono citcon- dare lo spregiudicato Gran Re di Prussia.
Dalla sua tomba nella Garnisonkirche di Potsdam “trasse gli auspici”
con rito solenne il regime che presiede oggi alla vita della Ger-
mania » 1°, Non sarebbe comunque produttivo ricercare in
riviste o volumi pubblicati sotto il fascismo « segni » politici
troppo discordanti dagli indirizzi del regime. L’analisi deve rimanere
aderente ai temi culturali, per cogliere la manife- stazione di eventuali
dissonanze o contraddizioni, aperture ideali o non meno significativi
silenzi. Per questo ci sembra necessario soffermarci, sia pur brevemente,
sul « letterato » Pavese, che con Ginzburg fu il principale collaboratore
di Giulio Einaudi nei primi anni della sua attività editoriale e il
legame pit consistente fra « La Cultura » e le iniziative della casa
editrice. Nota è, come abbiamo visto, la mili- tanza politica di
Ginzburg, che gli costò dapprima il car- cere — dal marzo 1934 al marzo
1936 — e, dall’11 giugno 1940 al 25 luglio 1943, il confino a Pizzoli
presso L'Aquila; nonostante ciò, egli poté dedicare le sue cure, assieme
a Pavese, alla « Biblioteca di cultura storica », ai « Narra- tori stranieri
tradotti » e alla « Nuova raccolta di classici 115 «La Cultura »,
XIII (1934), p. 105. 116 L. Emety, Gallicanismo di Federico il
Grande, in «La Cultura », XIII (1934), pp. 58-59; la tesi di Langer era
del resto condivisa anche da Luigi Negri sulla « Rivista storica italiana
», LII (1935), pp. 238-240. Recensendo Le civiltà d’Italia di Giovanni
Vidari, Enrico De Michelis vi notava «un eccesso di sentimento
nazionalistico », pur aggiungendo che l’opera era « ben lontana [...] da
quelle fantasie di metafisica antro- po-etnica che, dopo un periodo di
stasi apparente, son tornate oggi a predominare nella Germania di Hitler
e che purtroppo costituiscono un pericolo non lieve per la pace e per la
civiltà dell’Europa e del mondo » (« La Cultura », XIV (1936), p. 14).
245 italiani annotati » !”. Non ci restano
tuttavia, al di là delle testimonianze, tracce consistenti della sua
attività edito- riale, che invece è maggiormente documentabile — e
fu probabilmente pi continua — per Pavese, confinato per più breve
tempo, circa un anno, a Brancaleone Calabro. Parlare di Pavese,
all’inizio degli anni ’30, significa soprattutto affrontare il suo
interesse per la letteratura americana contemporanea, individuabile nelle
traduzioni per Frassinelli e negli articoli su « La Cultura » —
soprat- tutto prima del 1934 —, e destinato a esprimersi in nuove
proposte di traduzione per la Einaudi. Il tema è stato af- frontato più
volte, ma spesso con forzature ideologiche o con una insufficiente storicizzazione,
tali da fornire un’im- magine deformata, e in genere riduttiva, della
figura di Pavese !*. La differenza tra lui e Ginzburg, sul piano
poli- tico, è marcata, e lo stesso Pavese ne era cosciente quando,
coinvolto negli arresti del 1935, preparò il suo memoriale difensivo o
scrisse dal confino ad Alberto Carocci — « Uni- co mio disinteresse — 4
aeterno e parlo colla mano sul cuore — la letteratura politica » !.
Questa affermazione, tuttavia, non può essere assolutizzata, anche se
trova con- ferma nelle più segrete pagine del diario, in cui la
politica o è assente o è rifiutata. Infatti, pur non essendo « uomo
d’azione » ‘°, già nei primi anni ’30 il suo impegno lette- rario, di
traduttore commentatore poeta, ha una trasparente carica civile, se non
propriamente politica. La scoperta della politica avverrà in lui, come in
Giaime Pintor, solo con la Resistenza, ma l’attenzione per la narrativa
americana indica da tempo il suo tentativo di uscire dagli angusti
117 Pavese appare «revisore» dei «Narratori stranieri tradotti » e
dei «libri di carattere storico-letterario », nella lettera di Giulio
Einaudi a lui del 27 aprile 1938 (C. Pavese, Lettere 1924-1944, a cura di
L. Mondo, Torino, Einaudi, 1966, p. 537). 118 Tali
caratteristiche hanno, rispettivamente, i lavoti di N. Catducci, Gli
intellettuali e l'ideologia americana nell’Italia letteraria degli anni
trenta, Manduria, Lacaita, 1973, e di A. Guiducci, I{ mito Pavese,
Firenze, Vallecchi, 1967. 119 Lettera del 24 ottobre 1935; cfr.
anche la lettera alla sorella del 26 luglio 1935 (C. Pavese, Lettere
1924-1944, cit., pp. 412, 454). 120 Cfr, D. Lajolo, Il « vizio
assurdo ». Storia di Cesare Pavese, Milano, Mondadori, Le origini della
casa editrice Einaudi limiti di una cultura nazionale provinciale
e soffocante, spinto da un’« ansia di oggettività » che è stata messa
giu- stamente in evidenza, e che lo allontana dall’ermetismo per
sostanziare le poesie di Lavorare stanca della realtà popolare e
contadina delle sue valli piemontesi !!, Come ricorderà dopo la
Liberazione, la cultura americana divenne per noi qualcosa di
molto serio e prezioso, divenne una sorta di grande laboratorio dove con
altra libertà e altri mezzi si perseguiva lo stesso compito di creare
un gusto uno stile un mondo moderni che, forse con minore immedia-
tezza ma con altrettanta caparbia volontà, i migliori tra noi perse-
guivano. Ci si accorse, durante quegli anni di studio, che l’Ame- rica
non era un altro paese, un z%ovo inizio della storia, ma soltanto il
gigantesco teatro dove con maggiore franchezza che altrove veniva
recitato il dramma di tutti !2. Nel modo in cui, già nel 1930,
Pavese parlava degli scrittori americani in una lettera all'amico
Chiuminatto, vi era una sorta di rovesciamento dell’ottica
nazionalistica con la quale Prezzolini spiegava Come gli americani scopr:-
rono l’Italia, e l'individuazione degli elementi del « dram- ma » comune
', In Sherwood Anderson Pavese coglieva quella realtà industriale che
intimoriva Luigi Einaudi, «i centri fumosi e fragorosi, fattivi e
ottimisti che il mondo conosce: Cleveland, Springfield, Detroit, Akron,
Pittsburg, e, su tutti, gigantesca, la metropoli, Chicago. Le
fabbriche inghiottono tutto ». Dos Passos presenta le
contraddizioni e gli aspetti di « quotidiana tragedia » di questa
società, 121 Cfr. E. Catalano, Cesare Pavese fra politica e
ideologia, Bari, De Donato Pavese, Ieri e oggi (1947), ora in La
letteratura americana e altri saggi, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp.
188-189. Sugli aspetti sociali del romanzo americano cui si rivolgeva
l’attenzione di Pavese cfr. S. Perosa, Vie della narrativa americana. La
«tradizione del nuovo » dal- l’Ottocento a oggi, Torino, Einaudi, Cfr. la
recensione di Pavese a Prezzolini ne « La Cultura », XIII (1934), p. 14 e
la lettera di Pavese ad Antonio Chiuminatto del 5 aprile 1930: «un buon libro
europeo d’oggi è, in genere, interessante e vitale solo per la nazione
che l’ha prodotto, laddove un buon libro americano parla a una folla più
vasta, scaturendo, come scaturisce, da necessità più profonde e dicendo
cose veramente nuove e non soltanto originali, come quelle che nel
migliore dei casi produciamo noi» (C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p.
190). 247 la « lotta ch’egli vede
combattersi con coscienza di classe, nel nostro secolo, tra lavoro e capitale
». Attraverso Walt Whitman, « un gigante dalla camicia d’operaio aperta
al collo e dalla barba dura », un poeta che tanta fortuna aveva
avuto nei circoli socialisti, Pavese scopre che mentre un artista
europeo, un antico, sosterrà che il segreto dell’arte è di costruire un
mondo più o meno fantastico, di negare la realtà per sostituirla con
un’altra magari più significativa, un americano delle generazioni recenti
vi dirà che la sua aspirazione è tutta d' giungere alla natura vera delle
cose, di vedere le cose con occhi ver- gini, di arrivare a quell’ultimzate
grip of reality che solo è degno di esser conosciuto !%,
Cost, attraverso l'America, è possibile la riscoperta della realtà della
propria terra, espressa nel 1936 nelle poesie di Lavorare stanca. Dove
era contenuto un messag- gio di speranza immediatamente colto da una
comunista torinese, con due figli comunisti operanti nella
clandestinità, Elvira Pajetta: Credevo che la poesia fosse
morta — scriveva nel 1936 al mae- stro severo di Pavese, Augusto Monti,
allora in galera —. Cosî siamo noi vecchi: quando non sappiamo più godere
pensiamo volentieri che la gioia di vivere se ne sia partita dal mondo e
quando la prosa quotidiana ha avuto ragione di noi giuriamo
tranquillamente che la poesia è defunta. Ma se il Signor Pavese scrive
dei versi, se li crede pi belli del mondo, se li stampa e li fa leggere —
è certo che ho avuto torto e son felice di ricredermi 15. 5.
Storiografia e impegno civile Giulio Einaudi seppe riprendersi abbastanza
rapida- mente, non solo attraverso le iniziative del padre, dai
duri colpi inferti dal regime, nei primi due anni di attività della
casa editrice, ai suoi collaboratori e alle sue riviste. Prima della
guerra, anche se i titoli pubblicati furono 124 Cfr. C. Pavese, La
letteratura americana, ACS, Casellario politico centrale (Pavese). Le origini della casa editrice
Einaudi pochi — ancora 8 nel 1937, arriveranno a 16 nel 1938 e
a 24 nel 1939 —, egli riusci infatti a impostare quasi tutte le
collane più importanti, che caratterizzeranno le sue edi- zioni fin dopo
la Liberazione: la « Biblioteca di cultura storica » (1935), i « Saggi, i
« Narratori stranieri tradotti » e la « Biblioteca di cultura scientifica
» (1938), i « Poeti » e la « Nuova raccolta di classici italiani
anno- tati » la rivista « La Nuova Italia », espressione della casa
editrice di Ernesto Codignola che stava prendendo sempre più le distanze
dal fascismo, poteva lodare la consorella torinese che nel
giro di pochi anni [...] ha messo fronde e radici, e saldamente stabilita
nel mercato e nel pubblico, vanta ora una varietà e una ric- chezza di
iniziative (opere di scienza, classici della nostra letteratura, una
collezione storica, una di romanzi stranieri ecc.) che tutte concor- rono
ad attuare il proposito orgoglioso di riuscire centro animatore di
raccolta della più viva giovane e consapevole cultura italiana 12%.
Già prima del 1940, infatti, le pubblicazioni dell’editore
torinese sono tali da richiamare l’attenzione di intellettuali di
rilievo, e da provocare in questi significative divisioni nei giudizi,
nei quali è possibile intravedere schieramenti contrapposti non solo sul
piano culturale; ed è per questo che ci sembra opportuno dedicare largo
spazio alle nume- rose recensioni ai volumi della casa editrice.
Nonostante la varietà dei temi affrontati dimostri una ricerca di
sempre nuovi spazi culturali che può apparire talvolta confusa e
tale da rischiare il pericolo dell’eclettismo, attraverso le collane in
cui è pi facilmente ravvisabile un impegno civile — quella storica e i «
Saggi » — è possibile seguire gli elementi di differenziazione
dall’ideologia dei liberisti e il lento, faticoso distacco dalla cultura
del regime. La « Biblioteca di cultura storica » è la collana i
cui orientamenti appaiono pit definiti fin dall’inizio, nella ri-
cerca di una valutazione della storia italiana che si diffe- renziasse da
quella nazionalistica di Volpe e della sua scuola o dagli accenti
sabaudistici presenti negli « Studi e docu- 126 «La Nuova Italia
», Xmenti di storia del Risorgimento » curati da Gentile e Menghini per
Le Monnier, e nel tentativo, in un secondo tempo, di aprirsi alla
storiografia straniera, in particolare quella anglosassone. Né è
ravvisabile in questi anni, nel quadro della cultura storiografica che
non si richiama diret- tamente o esclusivamente alle impostazioni di
Volpe e di Gentile, un’altra collana storica che abbia la stessa
consi- stenza e un uguale prestigio di quella einaudiana: questa ha
alcuni punti di contatto con la « Biblioteca di cultura moderna » di Laterza
e con i « Documenti di storia ita- liana » de La Nuova Italia — dove
apparvero i Discorsi parlamentari di Cavour a cura di Adolfo Omodeo e
Luigi Russo —, ma una ben maggiore capacità di svolgere una
funzione civile, in quanto si indirizzava a un pubblico più ampio di quello
degli specialisti, tenendo « la via di mezzo tra la dissertazione storica
meramente accademica ed eru- dita e la storia romanzata », ciò che
costituiva una novità per l’Italia !”. Dell’impostazione della «
Biblioteca di cul- tura storica » si era occupato, prima dell’arresto,
Ginzburg, che, come abbiamo visto, era in contatto con Nello Ros-
selli; a questo si rivolgeva il 4 gennaio 1934 l'editore, chiedendogli un
volume su Mazzini per la collana, « dedi- cata per ora ad illustrare
uomini ed avvenimenti di storia italiana moderna », e che avrebbe dovuto
essere inaugurata da uno studio su Cavour di Salvatorelli. In un primo
tempo Rosselli accettò — «mi sorride che un mio libro esca sotto
l’insegna di un nome che tengo in cosî alta stima », scriveva a Giulio
Einaudi nel febbraio 1934 —, lasciando poi cadere la proposta, cosî come
quella, avanzata dall’edi- tore nel 1935, di riprendere — sia pur
ridimensionan- dolo — il suo progetto di una rivista storica, che
Rosselli giudicò impraticabile per la difficoltà dei tempi":
il 127 Cosi Enzo Tagliacozzo nella recensione al Mazzizi di
Bonomi, in « Nuova rivista storica », XX (1936), p. 430. 128
Il 16 aprile 1935 Rosselli scriveva all’editore che « molte delle ragioni
che m’indussero a rinunziare al progetto in grande della rivista
sussistono anche per questo progetto minore; metto in primo piano la mia
personale situazione e la fifa generale. Anche metto in linea di conto la
tendenza che oggi prevale, in alto, di dichiarare guerra a coltello alle
riviste indipendenti (almeno a quelle storiche), per concentrare mezzi
250 Le origini della casa editrice Einaudi
regime aveva infatti provveduto da poco a un rigido con- trollo degli
istituti storici, mentre si annunciava, anche in questo campo, la «
bonifica della cultura » di De Vecchi. La collana si inaugurò quindi con
un’opera dell’« auto- re » per eccellenza di Einaudi in campo storico,
Luigi Sal- vatorelli ‘’. Ne Il pensiero politico italiano — che ebbe
molta fortuna, testimoniata dalle nume- rose edizioni — Salvatorelli
riprendeva una tematica già affrontata su « La Cultura », per dimostrare
come il pen- siero politico italiano fosse nato nel 700, con quello «
spi- rito di umanità » già presente in Muratori, nel quale « tro-
viamo la nuova tavola di valori settecenteschi, tavola che ignora la
grandezza e la trascendenza dello stato dominanti nella trattatistica
anteriore, e destinata a risorgere con l’idealismo hegeliano »; sulla
stessa linea si muove Beccaria, che « nega ogni concetto di un interesse,
di un valore statale distinto e superiore all'interesse e al valore
degli e appoggi su poche rivistone ufficiali. Sa che in questi
giorni anche la torinese Rivista storica ha subito una radicale
trasformazione (imposta) ed è passata al Volpe? Rebus sic stantibus, ho
paura che la nostra rivista raccoglierebbe tutti nomi ingrati, e ben
presto puzzerebbe. Inoltre per fare una rivista occorre un gruppo
omogeneo di collaboratori abituali, 1) meglio di redattori. Intorno a me
questo gruppo, ora come ora, non c'è; né io mi sentirei di far tutto da
me. Le assicuro che questa mia riluttanza a imbarcarmi nell’i impresa
deriva non già da scarso entusiasmo: l’entusiasmo in questo caso non mi
difetterebbe davvero. Ma proprio perché sogno, un giorno, di dar vita a
una bella e viva rivista di studi storici, esito a realiz- zare questo
sogno in un momento cosî poco favorevole. Del resto, dovrò recarmi a
Roma, fra poco; e lf tasterò di nuovo il terreno coi miei amici. Senza
illusioni, però. Debbo proprio dirle che questa rinuncia tanto più mi
costa da quando ho capito di poter contare su di Lei come editore? ». Il
3 aprile 1935 gli aveva scritto di aver parlato della rivista con
Salvatorelli, che « vede molto di buon occhio il progetto ». Ancora nel
1937 Rosselli proporrà a Einaudi un volume su Montanelli (AE, Rosselli).
Il 4 gennaio 1934 l’editore aveva scritto anche a Luigi Russo
proponendogli, per la col- lana storica, « un volume di carattere
sintetico sulle origini storiche e psi- cologiche della nostra guerra »
(AE, Russo). 29 In contatto con Giustizia e Libertà, il 16 giugno
1937 Salvatorelli scrisse ad Amelia Rosselli che i suoi figli « vissero
nobilmente dediti ad alti ideali, e sono caduti combattendo come il
fratello che li precedette. La loro memoria rimarrà viva e alta in molti
cuori» (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789).
Nel 1938-39 l’editore fu in contatto con un altro storico di
formazione liberale, Nino Valeri, e ancora nell’agosto 1945 si dimostrerà
interessato alla sua proposta di un volume su Filippo Maria Visconti (AE,
Valeri). individui componenti l’aggregato sociale », o Pietro
Verri, per il quale « stati forti sono quelli in cui vi è libertà
indi- viduale, stati deboli quelli dispotici ». E, mentre si
accenna all'influenza della Rivoluzione francese sull’Italia —
anche se l’unico « giacobino » preso in considerazione è Mel-
chiorre Gioia —, la genealogia gentiliana dei « profeti del Risorgimento
» è fortemente ridimensionata e corretta nei giudizi: in Alfieri si
coglie, accanto all’anelito alla libertà politica, un chiaro «
individualismo idealistico », e in Maz- zini l’importanza del problema
sociale; si mette in risalto, prima del ’48, la superiorità politica di
moderati come Balbo rispetto a Gioberti, e, in Cavour, il suo debito
verso la Rivoluzione francese che ha fondato le libertà costitu-
zionali e la teorizzazione della separazione Stato-Chiesa che lo statista
piemontese profetizzava si sarebbe sempre più radicata — mentre « l’era
del dopoguerra ha segnato finora una smentita alla profezia cavouriana ».
Infine, dopo aver rilevato come le antinomie di Giuseppe Ferrari
fra libertà e autorità e il suo abbozzo socialisteggiante di
società futura fossero « miscele confuse ed informi », ma rispon-
dessero a bisogni reali — « e conservano quindi ancora oggi il loro
valore » —, il lavoro di Salvatorelli terminava coe- rentemente con
l’inizio, con la figura di un autore caro agli einaudiani, Cattaneo, che
« concludeva il ciclo del pen- siero politico italiano del Risorgimento.
Lo concludeva ricongiungendosi alle idealità che avevano ispirato la
co- scienza storica del Muratori, il riformismo giuridico del Bec-
caria e del Filangieri, la critica economico-politica del Verri; lo
concludeva riaffermando con meditata coscienza i valori di umanità e di
progresso esaltati dal pensiero del Settecento, italiano ed
europeo » !*. 130 L. Salvatorelli, I/ pensiero politico italiano
dal 1700 al 1870, Torino, Einaudi, 1935, pp. 6, 11, 40, 67, 88, 130, 200,
217, 265, 303, 320, 350, 354. Giustamente Alessandro Galante Garrone ha
osservato che, « nella complessiva valutazione salvatorelliana del
Risorgimento, è data una preponderanza forse eccessiva agli aspetti
dottrinali del pen- siero politico » (Risorgimento e Antirisorgimento
negli scritti di Luigi Salvatorelli, in «Rivista storica italiana »,
LXXVIII (1966), p. 534). Sulla riscoperta dell’illuminismo italiano ne I/
pensiero politico concor- dano comunque Walter Maturi (Interpretazioni
del Risorgimento. Lezioni 252 Le origini della casa
editrice Einaudî Ingiusto appare quindi il commento di chi valutò
cro- cianamente l’opera come « un tipico esempio di storio- grafia
senza problema storico » ‘". Indicativi dell’esistenza di una
precisa tesi interpretativa nel lavoro di Salvatorelli sono infatti, da
un lato, i silenzi della « Rivista storica ita- liana » di Volpe e della
« Rassegna storica del Risorgi- mento » di De Vecchi, cosi come la
distorsione del ragio- namento dell’autore che appare sulla gentiliana «
Leo- nardo » !“, e, dall’altro, il tono dei commenti suscitati
nelle riviste meno conformiste. Sulla « Nuova rivista storica » si
nota che Salvatorelli contrappone alla storia della ragion di Stato la
storia dell’individualismo, e che « notevole è la ricostruzione del
pensiero politico del Cavour, cosa che raramente suole esser fatta;
preziose le notizie sull’illumi- nismo giovanile del Mazzini; il Cuoco ne
guadagna e di- venta più modesto per la interpretazione
riformistico-illu- ministica che di lui si fa (disincagliarsi dalle
esumazioni idealistico-gentiliane è già un bel vantaggio!) » !*. Più
cauti, ma improntati a simpatia per le idee dell’autore, sono i
giudizi che compaiono sulle riviste di Codignola: Enzo Tagliacozzo si
chiedeva, rilevando un limite messo in luce di storia della
storiografia, prefazione di E. Sestan, Torino, Einaudi, 1962, p. 554) e
Leo Valiani (Salvatorelli storico dell'Unità d’Italia e del fasci- smo,
in « Rivista storica italiana », LXXXVI (1974), p. 726). Lionello Venturi
scriveva invece a Salvatorelli il 26 aprile 1935: «I capitoli sul tardo
Gioberti e su Cavour naturalmente mi hanno preso di pit, come quelli dove
il pensiero ha più rapporti con la politica concreta [...]. Ma anche per
Alfieri, il suo atteggiamento verso la rivoluzione, è cosf chiaro e mi
era affatto sconosciuto [...]. Noto la tua convinzione sulla inferiorità
del pensiero settecentesco. Hai ragione? Questo non so. Io sento
diversamente » (ACS, Casellario politico centrale, b. 4549, fasc. 89789).
Su Salvatorelli « educatore antifascista » nella Torino degli anni ?30
cfr. la testimonianza di Norberto Bobbio in G. Spadolini, Il mondo di
Luigi Salvatorelli, con un’antologia di scritti di Salvatorelli e
testimo- nianze di N. Bobbio, L. Valiani, A. Galante Garrone, L.
Compagna, Fi- renze, Le Monnier, 1980, pp. 65-72. 131 Cosf
Ezio Chichiarelli nella recensione alla seconda edizione (« La Nuova
Italia », XIII (1942), p. 67). 13 « Troviamo i segni del nostro
moderno concetto totalitario di poli- tica proprio in quel di solito
disprezzato settecento », scriveva Raffaello Ramat (« Leonardo da VINCI Polese
in « Nuova rivista storica », XX (1936), p. 449. Cri. tica è invece la
recensione alla seconda edizione dell’opera di Enrico Guglielmino, sempre
in « Nuova rivista storica », XXV (1941), pp. 571-anche dalla storiografia, «
se sia veramente possibile cogliere il senso delle dottrine politiche
isolandole dal clima sto- rico che determina il loro sorgere », ma
approvava le nota- zioni di Salvatorelli sul « fondo reazionario dell’ottimismo
storicistico » e sulla « necessità di rivedere alcuni giudizi idealistici
passati in giudicato e non più rimessi in discus- sione » ‘4; Paolo
Treves invece, dopo aver notato che « è un certo vezzo attuale tentar di
sminuire l’importanza del contributo francese pre e post-rivoluzionario
alla specula- zione filosofico-politica italiana », affermava che il
saggio dimostrava « quanto sia inutile la disputa recente
sull’indi- pendenza o meno del pensiero italiano in quest'epoca,
per- ché non si tratta di stabilire primati, che non esistono nella
storia delle ideologie, ma di dimostrare invece come le idee prime tolte
dal lavoro degli illuministi oltremontani fossero rivissute e concretate
con la positiva esigenza della vita italiana, in una pit solida e netta
visione storicistica » !°. L’impegno civile dimostrato da
Salvatorelli ne Il pen- siero politico italiano — e riaffermato nella
seconda edi- zione del 1941, in cui l’inclusione degli esponenti del
pen- siero cattolico non modifica la « mentalità liberale » del-
l’autore, come notava « La Civiltà cattolica » evidenziando il giudizio
troppo severo su Monaldo Leopardi, Solaro della Margherita, il principe
di Canosa e Spedalieri —, sembra attenuarsi nel Sommario della storia
d’Italia. In esso Sal- vatorelli sviluppa quella personale
interpretazione dell’unità della storia italiana che aveva espresso
sinteticamente nel 1934, criticando la concezione politico-statuale di
Croce e quella di Volpe che indicava nell’alto Medioevo il sorgere
della nazione italiana — proprio « al momento in cui l’Ita- lia si
risolve in una molteplicità di organismi autonomi », notava Salvatorelli
—, per avvicinarsi alla tesi di Arrigo Solmi nell’individuazione di una «
linea italica » presente nella penisola già prima della conquista romana,
pur ve- dendo, a differenza di Solmi, delle soluzioni di continuità
nell’affermarsi di quel « piano statale tendenzialmente uni- 134 «
La Nuova Italia Civiltà moderna », La Civiltà cattolica Le origini della casa
editrice Einaudi tario » che, interrotto dalle dominazioni
longobarda e bizan- tina, riprende slancio fra il IX e l'XI secolo !*”.
La sua atten- zione più « allo scomporsi e ricomporsi di un’unità
politico- amministrativa che a una storia del popolo italiano »,
come notava Gabriele Pepe !*, si riflette anche nel Somzzario, nel
quale comunque è difficile cogliere, dietro la fitta cronistoria dei
fatti, dei giudizi caratterizzanti; questi si limitano ad alcune
notazioni sulla diffusione popolare delle idee della Riforma o
sull’influenza dell’Illuminismo francese, cui non segue però un
collegamento tra la rivoluzione dell’89 e il Risorgimento; alla
valutazione positiva sulla « epidemia di scioperi » del primo ’900, che «
fu nell’insieme un fatto fisiologico e benefico, poiché una elevazione
del tenor di vita delle classi operaie era urgente, e perfettamente
possi- bile dato il grande incremento delle condizioni economi- che
»; per terminare con una visione sorprendentemente limitativa dell’età
giolittiana — «l’indirizzo di governo giolittiano fu, pur con empirismo
opportunistico, sostan- zialmente liberale; ma non promosse una
formazione orga- nica di partito, e venne a favorire in una certa misura
la svalutazione del parlamento e l’autoritarismo personale » —, e
con una forzata sospensione di giudizio sul fascismo !. Eppure il
Sormzzzario, forse proprio per il suo taglio manua- listico e asettico,
poteva presentarsi assai distante dalle retoriche deformazioni storiografiche
del fascismo, e spin- gere Mario Vinciguerra — un intellettuale liberale
già vicino a Gobetti e quindi a Luigi Einaudi — a vedere in
Salvatorelli « l’uomo che potrebbe benissimo disegnare, se volesse, anche
un programma politico » come Cesare Balbo nel suo Sormzzzario, ma che, «
vivendo in un’epoca non di 137 L. Salvatorelli, L’unità della
storia italiana, in « Pan. 138 «La Nuova Italia », Di importanza
data da Salvatorelli al « popolo » parla invece A. Galante Garrone,
Risorgimento e Antirisorgimento negli scritti di Luigi Salvatorelli,
cit., p. 529. 139 L. Salvatorelli, Sommario della storia d'Italia
dai tempi preistorici ai nostri giorni, Torino, Einaudi, 1938, pp. 635,
641. Nel 1940 il Som- mario fu tradotto in inglese, e nel 1941 in tedesco
dalla casa editrice Junker di Berlino (ACS, Segreteria particolare del
Duce, Carteggio ordi- nario, n. 527470). aspettative, ma di
travaglio mondiale, porta necessaria- mente nella storia uno spirito di
revisione e di nuova siste- mazione » !9. Accoglienze
analoghe non mancheranno nel 1942, come vedremo, a un’opera dalle
caratteristiche simili a quelle del Sommario, il Profilo della storia
d'Europa. Frattanto l’atti- vissimo Salvatorelli, che nel 1937 aveva
pubblicato per l’ISPI La politica della Santa Sede dopo la guerra —
lodata da « Gerarchia » per la « larga e seria preparazione » del-
l’autore !! —, alla morte di Pio XI fa seguire immediata- mente, nel
1939, un primo bilancio del suo pontificato, ricco di penetranti
osservazioni personali e ciò nonostante giudicato da « La Civiltà
cattolica », pur con alcune riserve, fra tutti i libri su Pio XI « uno
dei pit seri per copia di informazioni e per sufficiente oggettività di
presentazio- ne » !£. In esso Salvatorelli, attento, come Omodeo,
alle connessioni fra storia religiosa e storia politica, notava che
nel dopoguerra erano stati «i turbamenti sociali, con il “pericolo
bolscevico”, a rimettere in valore presso larghi ceti europei la Chiesa
cattolica quale fattore di ordine e di conservazione sociale », con la
conseguente tendenza degli Stati a cercare l'appoggio della Chiesa. È in
questo clima che si sviluppa l’azione politica, non solo concordataria,
di Pio XI, « Segretario di Stato di sé medesimo », che « ebbe come
criterio direttivo di mettere al primo posto il raf- forzamento
dell’influenza ecclesiastico-religiosa sulla socie- tà » facendo
addirittura, come Bonifacio VIII, « della rega- lità di Cristo il titolo
giuridico per il governo della Chiesa sul mondo » — e qui « La Civiltà
cattolica » replicava 140 « Nuova rivista storica », XXIV (1940),
p. 419 (cfr. anche E. Camurani, La Repubblica pene nelle lettere di
Einaudi e Vinci- guerra (Contributo alla bibliografia di Vinciguerra), in
Annali della Fon- dazione Luigi Einaudi, vol. XII, 1978, Torino,
Fondazione Luigi Einaudi, 1979, pp. 519-520). Invece per Bruno Brunello,
mentre il Sommario di Balbo «era tutto animato da una fede nei destini
della patria », quello di Salvatorelli appariva « più un’esercitazione
letteraria che il risultato di un’indagine appassionata » (« Rassegna
storica del Risorgimento », Il lavoro di Salvatorelli sarà considerato su «
Primato » « molto preciso e concettoso » (I (1940), p. 15).
141 « Gerarchia », XVII (1937), p. 371. 142 « La Civiltà
cattolica », 92 (1941), vol. IV, p. 217. 256 Le
origini della casa editrice Einaudi che, al contrario, la politica
concordataria aveva visto il pontefice « pronto a cessioni e a sacrifici,
pur di tener gli Stati almeno in qualche modo uniti alla Chiesa » !* —;
e, molto nettamente, Salvatorelli metteva in luce l’antisocia-
lismo, il legame col fascismo, la lotta contro il Fronte popo- lare
francese, l'appoggio alla guerra etiopica e a Franco, il possibilismo nei
confronti della Germania nazista, come elementi caratterizzanti
l’attività del papa, per concludere con l’appello a un « nuovo umanesimo »
cristiano cui avreb- bero dovuto ispirarsi anche i laici !4.
Il nome di Salvatorelli tornerà ancora nelle edizioni Einaudi,
sempre con grande risonanza, durante la guerra. Prima di allora, un altro
autore della casa che suscitò vasta eco fu Ivanoe Bonomi, che abbiamo già
trovato, nel 1924, nel catalogo di Formiggini. Il suo Mazzini triumviro
della Repubblica romana, pubblicato nel 1936 e ristampato nel 1940,
incontrò, per la sua esaltazione di un personaggio storico eroicizzato
dal fascismo, una favorevole accoglienza nelle riviste « ortodosse » !,
ma poté prestarsi anche ad una lettura diversa, come era nelle intenzioni
dell’autore: cosî Tagliacozzo mise in risalto, nell’opera, il fatto che «
le preoccupazioni di politica estera e di carattere militare non
impedirono al Triumvirato di dimostrare il suo inte- ressamento per i
problemi sociali » !#; Aldo Ferrari, lo- dando il lavoro, ricordava che
la qualità di uomo politico dell’autore, il « teorico pit chiaro
equilibrato e sistematico della corrente riformista », era « non un
ostacolo bensî un 14 Ibidem. 14 L. Salvatorelli, Pio
XI e la sua eredità pontificale, Torino, Einaudi, Cfr. ad esempio
«Rassegna storica del Risorgimento », XXIV (1937), pp. 845-846;
«Leonardo», VIII (1937), pp. 28-29; «Rivista storica italiana; «
Meridiano di Roma », 3 gennaio e 31 gennaio 1937. 14 « Nuova
rivista storica », XX (1936), p. 429; contemporaneamente ‘Tagliacozzo,
recensendo il Labriola di Dal Pane, richiamava l’insegnamento di Labriola
come « salutare » in un momento in cui si tendeva a « soprav- valutare
quello che vien comunemente detto il “fattore morale” » (« La Nuova
Italia », VII (1936), p. 261; cfr. anche E. Tagliacozzo, In memoria di
Antonio Labriola nel trentennio della morte, in «La Nuova Italia », aiuto
» alla ricerca storica !'”; mentre il crociano Edmondo Cione opponeva
l’esaltazione degli « autentici valori morali del Risorgimento » operata
da Bonomi alla tendenza, imper- sonata da Luzio, ad « una strana
“riabilitazione” dei varii personaggi del mondo reazionario e clericale e
talora per- sino di quello poliziesco e brigantesco », e notava che «
il dramma religioso dello spirito moderno rende di perenne
attualità il pensiero del Mazzini », nel quale sono conte- nuti « i
fondamentali principi della religiosità laica del pre- sente e
dell’avvenire: la fede nel progresso storico, il valore educativo della
libertà, l'esaltazione del senso del dovere e dello spirito di
sacrificio, il senso della missione e della dignità personali » ‘4: un
giudizio che assumeva tutto il suo significato se confrontato con quello
de « La Civiltà catto- lica », che coglieva nell’opera un « profondo
anticristiane- simo » spiegabile con la « mentalità di antico socialista
» dell’autore !9, I contatti dell’editore con l’ex esponente
del Partito Socialista Riformista continuarono, ma gli umori della
cen- sura fascista, come quelli dei recensori, si dimostrarono
mutevoli. « L’idea di avere un altro libro Suo, sulla storia politica del
cinquantennio che precede la guerra mondiale, mi ha entusiasmato »,
scriveva Einaudi a Bonomi nel no- vembre 1938; il volume era pronto nel
dicembre 1940 e, affermava l’autore, « esso non tocca periodi...
pericolosi, ma certo illustra l’età liberale di cui ricorda le
benemerenze ed i pregi ». Tuttavia, sebbene giudicata dall’editore
opera « tutta permeata di patriottismo e basata su dati inoppu-
gnabili », La politica italiana da Porta Pia a Vittorio Veneto non
ottenne nel 1941 il visto della censura, e potrà essere pubblicata nella
collana solo nel 1944, quando l’autore sarà presidente del consiglio.
Sempre a Bonomi si rivolgeva Einaudi nel dicembre 1937, affermando che «
alcune circo- stanze recenti mi pare abbiano reso nuovamente di attualità
il Diario di guerra di Bissolati » !. Il volume, pubblicato 147 «
La Nuova Italia », VIII (1937), p. 80. 14 « La Nuova Italia », X
(1939), pp. 220, 222. 14 « La Civiltà cattolica », 89 (1930), vol.
I, p. 269. 150 AE, Bonomi. Da notare che, dopo una seconda edizione
nel 1940, 258 Le origini della casa editrice
Einaudi nel 1935 in una collana subito abortita, « Ricordi e
docu- menti di guerra », era stato in un primo tempo seque- strato
!, ma non incontrò nemmeno le simpatie che « La Nuova Italia » aveva
riservato a Bonomi: il recensore della rivista presentava infatti
Bissolati come «uno spirito rivolto al passato, anziché un veggente delle
mete future », preso da una « visione umanitaristica della guerra » che
ren- deva il Diario « animato dall’innegabile patriottismo del-
l’autore, ma anche da idee che compromisero la condotta. della guerra nei
momenti decisivi » !*. Il tono della collana conobbe del resto
anche aspre cadute, veri e propri compromessi col fascismo, come ne
I rovesci più caratteristici degli eserciti nella guerra mon- diale
1914-18 — teso ad esaltare la capacità di ripresa delle forze militari
italiane — del generale Ambrogio Bollati, direttore della « Rivista
coloniale », autore anche, per la casa editrice, della Enciclopedia dei
nostri combattimenti colo- niali, e, assieme al generale Giulio Del Bono,
della Guerra di Spagna sino alla liberazione di Gijon, i cui toni
antico- munisti furono apprezzati, fra gli altri, da Eugenio Passa-
monti '*. Di impronta nettamente antidemocratica è anche il Massimo
D'Azeglio politico e moralista di Paolo Ettore Santangelo, autore di
altri mediocri studi risorgimentali: un volume che, accompagnato da un
giudizio favorevole del- l’Accademia d’Italia, presenta fin dall’inizio
le sue creden- Bonomi chiederà a Einaudi, nell'ottobre 1945, una
terza edizione del Mazzini, perché « il libro usci in periodo fascista
quando la sua diffusione trovava ostacoli d’ogni genere. Io poi terrei
molto a diffondere quel mio libro che, in questa ora, avrebbe un
significato di attualità Il Diario fu sequestrato nel giugno 1934 per le sue
critiche all’ope- rato dei comandi militari (ACS, Segreteria particolare
del Duce, Carteggio ordinario n. 528771, sottofasc. 1). Il 2 luglio 1934
Luigi Einaudi, dopo aver detto di essere stato lui a consegnare il
manoscritto del Diario al figlio, chiese udienza a Mussolini (ACS,
Segreteria particolare del Duce, Carteggio riservato, b. 70).
152 Carmelo Sgroi ne « La Nuova Italia », IX (1938), pp. 300-301. 153
« Rassegna storica del Risorgimento », XXVI (1939), pp. 258-260; cfr.
anche « Leonardo da VINCI. Il 25 gennaio 1938 l’editore scriveva a Del
Bono di essere lieto che il volume sarebbe stato tradotto in tedesco (AE,
Del Bono). Bollati e Del Bono saranno autori de La campagna germanica în
Polonia, Roma, Unione editoriale d’Italia, 1940, e Bollati de L'Europa
contro il bolscevismo, Roma, La Verità, 1942. 259
ziali metodologiche con la difesa della teoria élitaria — «
sono le aristocrazie che dappertutto nella storia hanno fondato l’ordine
nuovo, lo stato saldamente costruito » — e con la negazione di qualsiasi
influenza del fattore econo- mico nel processo storico, sostenendo che
l’idea di nazione « nasce molte volte come creatura puramente
spirituale, non solo indipendentemente, ma anche in contrasto con
precisi interessi materiali ». E mentre cerca di giustificare l’«
intermittenza di temperamento » di Carlo Alberto, alla politica
mazziniana « astratta » l’autore contrappone quella di D'Azeglio, del cui
carattere « democratico » presenta un’immagine quanto mai
singolare: L’Azeglio dunque respinge l’idea democratica, non solo
nei casi di urgenza [...], ma anche come dottrina assoluta, che sarebbe
as- surda in teoria e inattuabile in pratica. Egli è democratico in
un senso superiore e più generale, in quanto non crede a privilegi
di nascita e dà per compito allo stato di venir incontro ai bisogni
del popolo, trattando tutti i cittadini su un piede di uguaglianza;
è dunque democratico nel senso costituzionale, più nello spirito
che nella lettera: la prassi democratica, essendo una specie di
materia- lismo e prestandosi facilmente alle mistificazioni, gli è in
genere sospetta 1%, Tuttavia, con l’apertura a tematiche non
italiane — affrontate sempre con quel taglio narrativo che poteva ren-
derne agevole la lettura anche ai non specialisti —, già prima della
guerra la collana acquista un maggior peso cul- turale e civile. Se solo
con l’opera di Louis Villat su La Rivoluzione francese e l’Impero
napoleonico (1940) si raggiunge un solido impianto storiografico che sostanzia
la narrazione dei fatti e in cui hanno largo posto, soprattutto
nelle appendici sullo « stato attuale delle questioni », temi 15
P.E. Santangelo, Massimo D'Azeglio politico e moralista, Torino, Einaudi.
Santangelo chie- deva all'editore di poter apportare alcune correzioni al
lavoro, « dietro amichevole suggerimento di un alto personaggio
dell’Accademia d’Italia » (AE, Santangelo). Luigi Bulferetti criticò la
distinzione operata dall’autore nel Risorgimento, tra «idea astratta » di
Mazzini e «azione politica » dei moderati (« Rivista storica italiana »,
s. V, III (1938), fasc. II, pp. n e « Rassegna storica del Risorgimento
», XXV (1938), pp. 1584- economico-sociali — tanto che Carlo Morandi vi
vede domi- nare, «e talvolta in modo troppo esclusivo », le tesi di
Albert Mathiez '* —, si fa ricorso anche a storici non pro- fessionali,
in grado tuttavia di esprimere un orientamentò politico. È il caso del
Talleyrand di Alfred Duff Cooper, già ministro della guerra del gabinetto
britannico, e quindi Primo Lord dell’Ammiragliato dal maggio 1937
all’ottobre 1938, quando, dopo Monaco, presentò le dimissioni per
là sua politica contraria all’appeasemzent, ed esponente del gruppo
dei « giovani conservatori » nella cui mentalità — avvertiva l’editore
italiano — « si bilanciano una certa spre: giudicatezza d’idee e una
tendenza al positivo e al concreto nell’applicazione alla vita vissuta ».
Egli svolge, sotto le vesti di una biografia romanzata — in cui peraltro
si preoc- cupa di affermare la necessità che «i cambiamenti nel
metodo di governo siano graduali », e di notare che « gli uomini di
estrema, a qualsiasi partito appartengano, diven- gono sempre germi di
dissoluzione in un organismo poli- tico » —, un elogio della coerenza di
Talleyrand nel porre « la nazione francese al di sopra degl’interessi
particolari dei regimi che in un certo momento la governano », e
pre- senta il diplomatico francese assertore di una politica di
alleanze fra le potenze capace di portare all’unificazione europea: lo
considera infatti, per usare le parole dell’editore che fa propria la
tesi di Cooper, « come un uomo moderno, fors’anche come un nostro
contemporaneo », poiché le sue idee « si riportano al problema della
pacifica organizzazione dell’Europa che attende ancora una vera e sicura
solu- zione » !*. Vinciguerra — che pur aveva curato l’opera —
poteva affermare, da un punto di vista strettamente storio- grafico, che
« non si può accettare neanche con riserve » la tesi « della modernità
democratica e pacifista nella politica estera » di Talleyrand '”, ma
dimostrava di non cogliere il 155 « Primato », I (1940), n. 5, p.
24 (siglato CM.). 15% A.D. Cooper, Talleyrand, a cura di M.
Vinciguerra, Torino, Einaudi. Cooper fu autore di Ceux qui osent répondre è
Hitler, après Munich, Paris, Édinions Nantal, 1938. 157 « Nuova rivista storica », XXIV (1940), p.
99. 261 significato politico di
un’opera apparsa in italiano in un anno cruciale per le sorti
dell'Europa: messaggio che era assai esplicito, se da un’altra ottica
ideologica il commen- tatore di « Leonardo » osservava che « la vita del
grande diplomatico è pretesto a ribadire la concezione diremo cosi
ufficiale della politica britannica improntata ad un conser- vatorismo
pacifista di cui sarebbe garanzia imprescindibile una stretta intesa anglo-francese
» !*. E ancora nel corso della guerra poteva essere accolto
il messaggio di pace affidato al romanzo sul conflitto russo- giapponese
di Frank Thiess, Tsushimza, tradotto nel 1938 sotto gli auspici
dell'Ufficio storico della Marina e giunto nel 1945 all’ottava edizione,
che prima dell’attacco all’ URSS suscitò accenti di umana comprensione
anche sulle pagine di « Critica fascista »: 7 Fra quel popolo russo di
martiri grigi, nel cui seno covava la rivoluzione, e questo popolo
giapponese di tenaci e sorridenti lavo- ratori, la simpatia umana del
lettore, e fors’anche dell’autore, finisce col bilanciarsi: e non è forse
senza un presago significato che il libro si chiuda con la visione
luminosa del porto di Jokohama, in cui centinaia di piccoli russi e di
bimbi giapponesi giocosamente s’incon- trano e si sorridono pur senza
capirsi ancora!, 6. « Cultura della crisi » e spiritualismo
Nella seconda metà degli anni ’30 uno dei messaggi più consistenti
di cui comincia a farsi portatrice la casa editrice è tuttavia di altro
tipo, e tale da prestarsi a letture diverse sul piano ideologico e
politico. Si tratta di quel filo- ne spiritualista che si riallaccia alla
« cultura della crisi » svi- luppatasi in Europa dopo il 1929 con
svariate manifesta- zioni, da quelle politiche dei « non conformisti »
francesi che potevano giocare « un ruolo oggettivamente pro fa-
158 Sergio Martinelli in « Leonardo da VINCI; come « biografia
romanzesca » l’opera era liquidata da Luigi Bulferetti (« Ras- segna
storica del Risorgimento », XXV (1938), p. 1437). " ; LONGO (si
veda), CRITICA FASCISTA. Le origini della casa editrice Einaudi
scista » ‘9, a quelle del mondo cattolico, assai più ambigue perché
difficilmente si concretizzavano sul terreno politico, ma comunque
decisamente anticomuniste e antidemocra- tiche — più ancora che
antinaziste —, come nel caso dei cattolici italiani che individuavano
nella Chiesa l’ultimo baluardo della civiltà, pur senza mettere in
discussione il fascismo !. Anche in Italia questa ondata
irrazionalistica, tesa a mettere in discussione i valori « materiali »
della civiltà contemporanea, fu alimentata in particolare dagli
ambienti cattolici, ma investî anche quelli laici, a indicare la presenza
di un profondo disorientamento e la ricerca di nuove o antiche certezze:
e l’insofferenza per l'ordine costi- tuito poteva seminare dubbi in un
mondo politico, come quello italiano, in cui il fascismo sbandierava le
sue inoppu- gnabili verità. Il pericolo era avvertito dal regime, se
nel suo ambito si poteva parlare, a proposito della Kulturkrisis,
di manifestazioni « patologiche » della cultura contempo- ranea,
augurandosi che « allo storico futuro non abbiano a sfuggire le varie e
numerose manifestazioni del genere: perderebbe con esse una delle più
eloquenti testimonianze di quel singolare squilibrio logico e morale che
imperversò in questi anni »!. Motivi spiritualeggianti, talvolta a
sfondo religioso, sono presenti anche nelle edizioni di Giulio Einaudi,
che fra gli scopi della sua iniziativa nel periodo fascista annovererà
anche quello di « contrapporre all’ottimismo ufficiale un senso profondo
e inquieto dei problemi del momento » !*; ed è significativo che
negli stessi anni Guanda inaugurasse una collana di « Testi per una
religione universale », e che perfino Laterza ne dedi- casse una agli «
Studi religiosi, iniziatici ed esoterici », dove 10 Cfr. R. De
Felice, Mussolini il duce, I. Gli anni del consenso 1929-1936, Torino,
Einaudi, 1974, pp. 545-549. 161 Cfr. R. Moro, La formazione della
classe dirigente cattolica (1929- 1937), Bologna, il Mulino, 1979, cap.
IX. 1@ Cosi il « Meridiano di Roma » del 10 gennaio 1937, nella
recen- sione a René Guénon, La crisi del mondo moderno, Milano, Hoepli,
1937 (con prefazione di J. Evola). Sui precedenti italiani di questa tematica
cfr. E. Garin, Gli italiani e la crisi europea, in « Terzo programma »
(1962), n. 3, pp. 168-176. 163 AE, G. Einaudi. circolò
il pensiero antroposofico di Rudolf Steiner che tanto colpi il giovane
Eugenio Curiel '#, « Che il mondo attraver- si al presente un periodo di
grave scompiglio, foriero di più fosche vicende per l’avvenire, non c’è
alcun dubbio fra quanti hanno un uso passibilmente normale delle
proprie ‘facoltà intellettuali », osservava nel 1938 padre
Brucculeri su « La Civiltà cattolica » passando in rassegna alcuni
libri .sulla «crisi odierna » !9: fra questi, La crisi della
civiltà di: Johan Huizinga tradotto da Einaudi nel 1937, che ebbe
una seconda edizione già l’anno successivo. Il pampblet dello storico
olandese, dal titolo originario Nelle ombre del domani, faceva esplicito
riferimento alla crisi del ’29 cui era attribuita « la sensazione della
minaccia di. un tramonto e del progressivo dissolversi della civiltà
» icome mai si era avuta nel recente passato, se non all’inizio del
secolo con « il pericolo di una rivoluzione sociale che il marxismo
faceva balenare di tanto in tanto ». « Vedia- mo distintamente come quasi
tutte le cose, che altra volta ci apparivano salde e sacre, si siano
messe a vacillare: verità e. umanità, ragione e diritto », affermava
accoratamente Huizinga, la cui analisi della crisi, cosî come le
soluzioni «indicate, presentano elementi di ambiguità che danno ra-
:gione delle letture diverse cui dette luogo. Da un lato si :scaglia
contro il razzismo, contro Sorel « padre spirituale degli odierni regimi
totalitari », contro le filosofie vitali- «stiche, la dottrina della «
autonomia morale dello stato » e «quella dello « stato-potenza privo
d’ogni freno »; dall’altro la sua critica non è meno dura nei confronti
del marxismo, in quanto osserva che « né il secolo XVI né il
principio dell'Ottocento vide mai minare con sistematica coerenza
l’ordine e l’unità sociale mediante una dottrina quale quella dell’odio
di classe e della lotta di classe », e a questa acco- muna « la dottrina
della relatività della morale, insegnata Cfr. ora N. Briamonte, La vita e
il pensiero di Eugenio Curiel, Milano, Feltrinelli, 1979, pp.
20-24. IS A, Brucculeri, La crisi odierna, in «La Civiltà cattolica
», 89 (1938) vol. I, p. 326: accanto a Guénon e Huizinga esaminava Quel
che o e quel che nasce del cattolico Daniel Rops (Brescia,
Morcelliana, ‘264 Le origini della casa editrice
Einaudi sia dal sistema scientifico del materialismo storico,
come: dai sistemi psicologici che derivano da Freud »; accuse
altrettanto dure sono lanciate contro il « superficiale razio:' nalismo
del secolo XVIII », il cui « disastroso effetto » fu di « sradicare il
concetto del servire dalla coscienza popo- lare », e contro il progresso
in generale, aristocraticamente giudicato una «ingenua » illusione
dell’800. Da questa analisi scaturiva la proposta di un « nuovo ascetismo
» — di cui forse era un’eco parziale il « nuovo umanesimo »
auspicato da Salvatorelli —, che « non sarà un ascetismo: della negazione
del mondo per amore della salvezza celeste, ma del dominio di sé e di
un’attenuata stima del potere e del godimento » !*: un invito che non
poteva trovare d’ac- cordo « La Civiltà cattolica » che, pur approvando
nelle linee generali la parte analitica del lavoro di Huizinga,
obiettava come la ricerca di « certe verità eterne » non potesse fare a
meno di chi ne era il depositario naturale; il papato, che con Pio XI si
era dedicato « alla difesa della. nostra civiltà; quindi le sue proteste
contro il bolscevismo, contro il nazismo, contro il governo tirannico del
Messico, contro le nefandezze dei rossi nella Spagna » !”.
Critiche globali al volumetto dello storico olandese provennero da
ambienti culturali diversi: recensendone su: « Leonardo » l’edizione
tedesca, Cantimori, forse già « se- mi-marxista » — come si dichiarerà
più tardi —, ma co- munque attivamente impegnato nella difesa degli
orien- tamenti politici del regime, lo considerò « lo sfogo di uno:
spirito d’artista individualistico, liberaleggiante, contro questo mondo
moderno, che non gli va », aggiungendo —: 16 J. Huizinga, La crisi
della civiltà, Torino, Einaudi, 1937 (ediz. originale 1935), in
particolare (citiamo dall’edizione einaudiana del 1962). Gherardo Casini,
direttore generale per la stampa italiana, assicurava Luigi Einaudi di
aver già provveduto ad assicurare la diffusione del saggio di Huizinga
(AFE, Casini). Enzo Paci ha osservato che «l’ideale di salvezza che
Huizinga propone alla civiltà contemporanea è un ideale etico-razionale
nel quale rinascono in una specie di neogiusnaturalismo le vecchie idee
di Grozio. Quest’ideale finisce per fondersi con una conce- zione
cristiana del fine della vita » (Johan Huizinga, in « Terzo program- ma »
Brucculeri, La crisi odierna, ma il passo sarà espunto dalla riproduzione di
questo giu- dizio nell’introduzione che Cantimori farà alla nuova
edi- zione einaudiana del 1962 — che « questa patetica laudatio
temporis acti potrebbe anche interessarci, potrebbe essere utile a chi
volesse rendersi conto dello stato d’animo di tanta parte della odierna
cultura europea di fronte alla rivo- luzione sociale che in Europa si va
compiendo, se non si mischiasse di politica, e a questo modo non irritasse
il lettore di un paese cosî impegnato nella lotta politica e
sociale di oggi come questa nostra Italia » '#. Analogo il giudizio
espresso sulla « Nuova rivista storica » da Mario M. Rossi, che lo defini
« lo sfogo pit o meno poetico di un laudator temporis acti, come in mille
epoche già ne abbiamo uditi », e lo avvicinò a Dawson, ad Huxley e alle
ultime teorie sulla morale di Bergson !. Anche i giovani di « Cor-
rente » dichiararono di non consentire con la « speranza che la scienza
possa divenire saggezza », in quanto « non dal sapere, ma dal concreto
tumulto della vita nascono i pro- blemi e le soluzioni » ‘*, e quelli de
« La Ruota », pur vedendo nel libro il « prodotto spontaneo di un cuore
sin- cero », vi colsero « opinioni superate e irrigidimenti dottri-
nari tutt'altro che accettabili » !, D'altro lato è interessante notare
come, nell’ambito di un giudizio sostanzialmente positivo, in ambienti
culturali opposti si cogliesse l’occa- sione per polemizzare con
l’idealismo e lo storicismo cro- ciano: « La Civiltà cattolica » criticò
infatti il « plauso della filosofia tedesca » fatto da Huizinga, che
invece « avrebbe potuto rintracciare nelle costruzioni filosofiche
alemanne, nel kantismo particolarmente e nell’hegeliani- smo, le
scaturigini principali e remote della decadenza del pensiero, dello
scetticismo morale, della autonomia della politica e della statolatria e
di altrettali degenerazioni, contro le quali egli scrive delle pagine
brillanti e quanto 168 « Leonardo », VII (1936), p. 383.
16 « Nuova rivista storica », XXIII (1939), p. 145. 170 G.M.
Bertin, La crisi della cultura e il problema della scienza, in « Corrente
di vita giovanile », 15 febbraio 1940. I7l M. Cesarini ne « La
Ruota », II (1938), n. 1, p. 100 (era esami- nato anche H. Keyserling, La
rivoluzione mondiale e la responsabilità dello spirito, Milano,
Hoepli, mai proficue » !; e su « La
Nuova Italia » Alfredo Parente, dopo aver giudicato il libro « altamente
pregevole come sincera espressione di un vivo travaglio e di
preoccupazioni e turbamenti che sono preoccupazioni e turbamenti
dell’in- tera umanità presente », ne traeva spunto per affermare
che « la ormai diffusa concezione idealistica, che il male e l’er-
rore giustifica e redime nell’ordine della vita spirituale, e il
congiunto ottimismo, che non indulge alla disperazione e ispira la più
estrema fiducia nella vittoria definitiva del bene, possono essere un
pretesto di fatalistica inoperosità nella coscienza degl’imbecilli e dei
neghittosi, e un istru- mento di malizia nelle mani dei disonesti che da
quella concezione filosofica credono di poter trarre la giustifica-
zione e l’approvazione del loro qualsiasi operare »; e, dichiarandosi
d’accordo con Huizinga nel veder conculcati i valori morali, si spingeva
in un invito all’azione assai distante dalla proposta di un « nuovo
ascetismo »: sappiamo che gli animi dotati della sensibilità
morale dello scrittore olandese, silenziosi custodi pure in tempo di
burrasca e di travolgi- menti dei valori dello spirito, son molti,
nonostante le loro voci siano sommerse da un assai crudo e talora
bestiale clamore dei popoli. Soltanto non bisogna adagiarsi e cullarsi in
quella certezza, col rischio che il ritorno della serenità e della luce
sia ritardato dal- l’opera di coloro, cui quella speranza non lusinga e
altri meno eletti ideali stimolano o imbestialiscono !?3, «
Ma l’autore non è né uno storico, né un politico, né filosofo: è, mi
pare, un buon cattolico » che sorvola sui problemi della politica e dello
Stato, scriveva a Giulio Finaudi, dopo aver letto Huizinga, il
meridionalista di tra- dizione salveminiana Tommaso Fiore, invitando
l’editore a «pubblicare storia in concreto » !*. Accenti
spirituali- Brucculeri, La crisi odierna, cit., p. 330. 173 «
La Nuova Italia AE, Fiore, 6 gennaio 1938; come esempio di « storia in concreto
» il 26 dicembre 1937 Fiore aveva proposto la traduzione di Richard
Freund, Watch Czechoslovakia! (1937): «Non è un libro antifascista e non
si ‘può dire una difesa della democrazia (molto meno della Cecoslo-
vacchia), ma si capisce che la difesa della democrazia è un sottinteso e
le simpatie per la borghesia ceca e pel “Socrate di Praga” sono naturali
e profonde ». Fiore, nel ’38, auspicava anche « manuali di geografia
politica, fatti senza aridezza, in cui il senso politico sia profondo stici,
di chiaro stampo cattolico, riappaiono invece ne La formazione dell’unità
europea di Christopher Dawson. L’au- tore di Progress and Religion
(1929), di cui « La Civiltà cattolica » aveva fatta propria «
l'impressione di vedere già sorgere una nuova società, che disconoscerà
ogni gerarchia di valori, ogni disciplina intellettuale, ogni tradizione
sociale e religiosa, ma che vivrà per l’attimo presente in un caos
fatto unicamente di sensazioni » !*, era stato già indicato da Mario M.
Rossi, sulle pagine della « Nuova rivista storica », come uno degli
artefici di quelle « sintesi storiche », « fon- date su una determinata
dottrina filosofica o religiosa », che, sempre più frequenti « a mano a
mano che l’Europa va dissolvendosi nel caos », « sono un prodotto di
crisi e non dell’esame di una situazione solida e delineata » !*.
Oppositore del progresso scientifico che gli appariva una religione laica
« che ha voluto sostituire la vera unità cul- turale europea — il
Cristianesimo », anche nel volume einaudiano Dawson considera la Chiesa
elemento unificante della storia europea fra V e XI secolo, in linea con
tutta la componente cattolica della « cultura della crisi », intenta
a costruire « una filosofia della storia che tendeva a gettare
ponti tra i secoli, ridotti ad attimi di un fluire storico di smisurato
respiro attorno alla vita della Chiesa » !7. Dopo aver dichiarato,
con toni spengleriani, che « Azio, come Maratona e Salamina, fu uno
scontro dell’Oriente e dell’Occidente, una finale vittoria degli ideali
europei di ordine e di libertà sopra il despotismo orientale » —
un’af- fermazione che ritroveremo nelle pagine iniziali del Profilo
della storia d’Europa di Salvatorelli e, ancora più puntual- mente, nel
corso sulla Storia dell’idea di Europa tenuto da Chabod —, Dawson faceva una
professione di fede storiografica e ideologica insieme, sostenendo
che « l'influsso del cristianesimo sulla formazione dell’unità
europea è un notevole esempio del modo come il corso dello sviluppo storico
viene modificato e determinato dall’inter- Brucculeri, La civiltà e le sue
moderne involuzioni, in «La Civiltà cattolica Nuova rivista storica » Moro,
La formazione della classe dirigente cattolica, cit., p. 449.
268 Le origini della casa editrice Einaudi vento di
nuovi influssi spirituali », in quanto esiste sempre nella storia « un
elemento misterioso e inspiegabile, dovuto non solo all’influsso del caso
o all’iniziativa del genio indi- viduale, ma anche alla potenza creatrice
delle forze spiri- tuali ». Su questa base l’autore sviluppa il suo
ragiona- mento, teso a dimostrare che la Chiesa non fu coinvolta nella
caduta dell'impero di Occidente perché « era diven- tata una istituzione
autonoma che possedeva il suo prin- cipio d’unità e i suoi propri organi
d’autorità sociale. Essa era in grado di diventare contemporaneamente
l’erede e rappresentante dell’antica cultura romana, e la maestra e
la guida dei nuovi popoli barbarici »; cosi all’inizio del secolo
VIII, quando l’invasione musulmana aprî un’« epoca di universale rovina e
distruzione », « vennero gettate le fon- damenta della nuova Europa, da
uomini come San Gregorio, che non avevano idea di edificare un nuovo
ordine sociale, ma siccome il tempo stringeva, si travagliavano per la
sal- vezza degli uomini in un mondo moribondo. E fu proprio
quest’indifferenza per i risultati temporali che diede al papato
l’energia di diventare, nella decadenza generale della civiltà europea,
un centro di riorganizzazione delle forze della vita ». Al termine di
questo processo, il secolo XI vide « l’incorporazione di tutta l’Europa
occidentale nella cristianità », e l’inizio di « un moto di progresso
che dura poi quasi senza interruzione fino ai tempi moderni »; la
logica conclusione del volume era perciò un invito a proiettare nel
futuro la tradizione culturale ricostruita in sede storica:
Ai nostri giorni l'Europa è minacciata del crollo della cultura
aristocratica e laica su cui era fondata la seconda fase della sua unità.
Sentiamo di nuovo il bisogno di un'unità spirituale o almeno morale. Ma è bene
ricordare che l’unità della nostra civiltà non poggia soltanto sulla
cultura laica e sul progresso materiale degli ultimi quattro secoli. Ci
sono in Europa tradizioni più profonde di queste, e dobbiamo risalire
oltre l’umanesimo e oltre i trionfi super- ficiali della civiltà moderna,
se vogliamo scoprire le fondamentali forze sociali e spirituali che hanno
lavorato alla formazione del l’Europa Dawson, La formazione dell’unità
europea dal secolo V all'XI,
« Non ci manca che la preghiera a Notre-Dame de Lourdes, perché il
Dawson ci appaia come un maresciallo Pétain della cultura », osservava
sarcasticamente, nel 1940, il «libertino» Arrigo Cajumi, ormai distaccato
dall’am- biente della casa editrice ‘, Ma sempre nel 1940, quando
anche l’Italia era entrata in guerra, Mario Delle Piane riconosceva a
Dawson il merito di aver fatto rivivere « un’epoca lontana ed oscura e,
pur tuttavia, attualissima, oggi che si assiste, pare, alla lotta di due
civiltà ed alla fine di una di esse», anche se aggiungeva,
idealisticamente, che « la civiltà è una e imperitura, non essendo altro
che il concretarsi dello sviluppo del libero spirito umano: cioè
storia » !®. Più nettamente si esprimeva, pur mantenendosi sul piano
della discussione storiografica, Gino Luzzatto, che alla storia delle
idee di Dawson contrapponeva il Mao- metto e Carlomagno di Henry Pirenne
— uscito da La- terza nel 1939 —, mosso « dall’osservazione di un
fatto economico », e, giudicando « alquanto azzardato » il ragio-
namento dello storico inglese, si chiedeva « se la mirabile fioritura
della vita cittadina fra il XII ed il XV secolo non abbia avuto per la
formazione della moderna civiltà europea un’importanza assai maggiore dei
rapporti fra Chiesa ed Impero » 15. Il tema del contrasto fra
civiltà materiale e aspirazioni spirituali, presente in Huizinga e
Dawson, circola proble- maticamente anche nei romanzi dei « Narratori
stranieri tradotti », in particolare in quelli di autori inglesi
dell’età traduzione di C. Pavese, Torino, Einaudi. Anche per
Chabod ad opera del pensiero greco si era formata « una Europa che
rappresenta lo spirito di “libertà”, contro il “dispotismo” asiatico »
(Storia dell’idea d'Europa, a cura di E. Sestan ed A. Saitta, Bari,
Laterza Cajumi, Pensieri di un libertino, presentazione di V. Santoli,
Torino, Einaudi, 1970, p. 183. 180 « Rivista storica italiana », s.
V, V (1940), p. 425. Secondo Ga- briele Pepe, per Dawson il mondo europeo
« sente più vivo il bisogno di un ordine culturale nuovo, fondato su un
pivi intimo contatto con le civiltà dei popoli dell’Oriente e di tutto il
restante mondo, che non rien- trano nei quadri della nostra tradizione
culturale » (La nascita dell'Europa, in « Oggi », 24 febbraio
1940). 181 « Nuova rivista storica », XXIV (1940), pp. 262-264
(siglato G.). 270 Le origini della casa editrice
Einaudi vittoriana la cui funzione, in questi anni di crisi di
valori, può apparire analoga a quella svolta a cavallo del secolo
dal Tolstoj fustigatore del « progresso meccanico » !. Di Pater, fin
allora conosciuto in Italia solo come caposcuola di un estetismo immoralistico
» che sarebbe emerso dai suoi studi sul Rinascimento, Einaudi
presenta il romanzo del 1885 MARIO DEL GIARDINO l’epicureo, in cui
l’autore intende « to show the necessity of religion », in un senso assai
diverso dalla difesa della « religione laica » fatta nel 1882 dal Marc
Aurèle di Renan. Il protagonista, la cui vi- cenda è ambientata ai tempi
di Marco Aurelio — espres- sione di una civiltà « arida » paragonata da
Pater a quella materialistica dell’800 —, abbraccia dapprima « un
epicu- reismo elevato a disciplina morale, che ha per suo fine non
il godimento, sia pure raffinato, ma la perfezione dell’es- sere intimo,
“culto reso alla luce dell’intelletto” », per approdare infine al
cristianesimo, come scrive la curatrice del volume: « Il cristianesimo
fervido e sereno di quei primi tempi eroici, scevri di fanatismo,
l’esultanza invulne- rabile dei credenti, la loro speranza serena, gli
mostrano il sorgere di un’umanità dotata di quelle qualità morali di
cui il mondo pagano è privo, ma che pure non rinnega l’amore alla
vita e alla bellezza » !*. « Romanzo filosofico », lo qualificherà Beniamino
Dal Fabbro recensendolo positi- vamente su « Primato », in cui tuttavia
«il significato dottrinario sembra soverchiato da un senso religioso
in- teso liricamente ». Lo stesso Dal Fabbro citava le edizioni
einaudiane, entrambe del 1939, de La storia di Henry Esmond di Thackeray
e del David Copperfield di Dickens tradotto da Pavese, per coglierne « la
contemporaneità in ciò che fu chiamato il “compromesso vittoriano”,
saggia mistura di borghesia e di cristianesimo, di calcolate ribel-
lioni e di più comode acquiescenze » !*. Materia e spirito si
oppongono e si confondono anche 182 Cfr. G. Turi, Aspetti
dell’ideologia del Psi (1890-1910), in « Studi storici », XXI (1980), p.
85 n. 102. 183 W. Pater, Mario l’epicureo, traduzione di L. Storoni
Mazzolani, Torino, Einaudi Primato », I (1940), n. 1, p. 14, e «Oggi in Cosi muore la carne di Samuel Butler, un
romanzo in gran parte autobiografico ambientato nell’età vittoriana,
in cui il curatore notava « la ricerca continua e affannosa di una
fede, in grado di sostituire la religione tradizionale », e « l’ingenua
fiducia accordata a ogni nuova teoria, la quale non tardava ad
abbandonare i precisi limiti scientifici per confondersi in un alone
religioso », la ribellione di Butler al positivismo e il suo invito agli
uomini di liberarsi dal peccato e dal dolore amando « il vero dio » !*.
Dal romanzo traeva spunto il liberalsocialista Vittorio Gabrieli per
pre- sentare la figura dell’autore su « Civiltà moderna », e met-
tere in luce che nell’età vittoriana, in un momento in cui « si accentua
e si propaga il dissidio tra sentimento religioso e spirito scientifico,
misticismo e razionalismo », nasceva in Butler, cosî come nel
protagonista del romanzo, la satira della società, della scuola, della
famiglia, della religione tradizionale, e il suo tentativo di conciliare
la scienza con la religione: di qui, in lui, una «curiosa mescolanza
di immanenza razionalistica e di spiritualità profonda e fan- tasia
suggestiva », e, in contrasto con la visione materia- listica
dell’universo fornita da Darwin, « l’affermazione dell’attività dello
spirito sulla materia, della libertà umana, del progressivo scoprirsi
d’un ordine nell’universo, un prin- cipio vitalistico ed una forza
creativa, sostituendo cosî al meccanismo della selezione naturale una
finalità, un dive- nire teleologico, che effettivamente collima con una
conce- zione religiosa » !, In questo contesto si spiega come
nel 1938 Aldo Capi- tini, esponente di un liberalsocialismo dalle forti
venature religiose, si rivolgesse a Einaudi per proporgli la
pubblica- zione dell’epistolario di Michelstaedter, un autore che
Capitini « scopri » negli anni ’30 e che tanta influenza ebbe sui suoi
Elementi di esperienza religiosa, cosi come 185 S. Butler, Cost
more la carne, prefazione e traduzione di E. Gia- Dio, Torino, Einaudi,
1939, pp. VII, IX (citiamo dalla seconda edizione el 1943). 186 V.
Gabrieli, Presentazione italiana di S. Butler, in « Civiltà moder- na. Landolfi
coglieva invece nel romanzo « un'impressione di triste aridità » (« Oggi Le
origini della casa editrice Einaudî su altri intellettuali che
negli anni fra le due guerre ne. ripresero la riflessione sulla «
situazione » umana, sui valori della morale e della fratellanza; di lui,
ricorderà Capitini, lo aveva colpito « l’antiretorica, quel tipo di
esi- stenzialismo, che poteva divenire supremo impegno pratico,
come poi mi è stato confermato dall’esame dell’epistolario manoscritto,
dall’interesse che egli ebbe negli ultimi suoi anni per i Vangeli;
insomma mi pareva esatto considerarlo. come la premessa di una
tensione pratica etico-religiosa » !”. Carlo Michelstaedter —
scriveva infatti a Einaudi — ha portato. nella cultura italiana un rigore
insolito nell’esigenza dell’assoluto. Egli spicca in confronto di molti
suoi coetanei della « Voce » che furono morbidi e, prima o poi,
arrendevoli. L'elemento intransigente e tragico difetta troppo nella
nostra spiritualità perché non ne sia desiderabile l’innesto. Le riserve
sul pensiero e sulla decisione del Michelstaedter [morto suicida nel
1910] non spengono l’importanza che egli ha per quelli che oggi ascoltano
voci perentorie e disperate per vincere la faciloneria. Cresce
l’interesse per lui; sta diventando un punto di riferimento, anche per
chi comprende che si deve andare oltre e ricostruire ma su serie rovine
!88, Dubbi o disorientamenti, tendenze spiritualistiche ed
esperienze religiose, anche se non univocamente contraddi- stinte, o
recepite, sul piano civile, venivano cosî confe- rendo alla casa editrice
la funzione di stimolo alla rifles- sione, a non affidarsi alle «
certezze » del regime proprio nel momento in cui ci si avvicinava alla
guerra. 7. Una cultura eclettica: i « Saggi » Dubbi e
inviti alla riflessione si accompagnano tut- tavia, ancora in questi
anni, alla difficoltà di attestarsi su una linea culturale ben definita,
che si manifesta in una 187 A. Capitini, Antifascismo tra i
giovani, cit., p. 53. Sulla fortuna di Michelstaedter tra le due guerre
cfr. E. Garin, Intellettuali italiani del XX secolo, cit., pp.
102-103. 18 AE, Capitini (17 agosto 1938). L'editore propose invece
a Capitini di scrivere un libro su Michelstaedter; nel 1938 Capitini
propose anche Ends and means di Aldous Huxley (1937).
273 inquieta ricerca di « novità »: ne è
testimonianza precipua la collana dei « Saggi », quella di maggiore
diffusione, che affronta temi disparati secondo ottiche diverse,
dimostrando talvolta l’insofferenza verso i canoni della cultura
fascista ma, al tempo stesso, il persistere di un eclettismo che
smorza i tentativi innovatori della casa editrice. I « Saggi »
erano stati inaugurati nel 1937 da Voltaire politico dell’illuminismo di
Raimondo Craveri, severamente giudicato da « Giustizia e Libertà » !°
incapace di cogliere gli elementi caratteristici di un’opera che, in
linea con l’interesse per il pensiero settecentesco de « La Cultura
» e di Salvatorelli, si richiamava agli studi più recenti, in
particolare a quelli di Dilthey e di Cassirer negatori della taccia di
antistoricismo mossa al secolo XVIII, per svol- gere una critica
trasparente dell’idealismo e della con- cezione attualista dello
Stato: Le idées claires che l’illuminismo ha amato — osservava
infatti l’autore —, giovano forse a riportatci in più spirabil aere di
quello saturo di aberrazioni mentali mascherate di hegelismo ed
ammantate di dialettica d’oggigiorno [...]. Il teorico del dispotismo
illuminato diverrebbe ora il nemico d’ogni statolatria e d’ogni anarchia
ed, in quanto fautore della tolleranza, l’avversario principe dello
Stato provvidenzialmente onnipresente ed onniagente. Sul terreno
teorico Voltaire scende in campo contro gli epigoni dell’hegelianismo
L’anno successivo appariva il Profilo di Augusto di Ettore
Ciccotti, dove il rifiuto di ogni glorificazione e attua- lizzazione del
personaggio biografato, proprio quando la sua figura era ufficialmente
celebrata dal fascismo — alla ricerca di legittimazioni imperiali — in
occasione del bimil- lenario della nascita dell’imperatore romano,
appariva evidente fin dalle dichiarazioni metodologiche iniziali in
189 « Libro di eccellenti intenzioni, ma di esito abbastanza infelice
[....] l’abuso di filosofia del Craveri lo porta a dedicare l’intero suo
libro al sistema filosofico di Voltaire, che era cosa da trattare in
quattro pagine [...]. Le sole cose sensate ci paiono essere le
riflessioni sul despotismo illuminato, e il suo carattere apolitico, la
indifferenza di Voltaire per lo Stato e il suo ottimismo per la libera
attività nella società esistente » (« Giustizia e Libertà », 23 aprile
1937). 190 R. Craveri, Voltaire politico dell'illuminismo, Torino,
Einaudi, 1937, pp. 13-14, 19. 274 Le origini
della casa editrice Einaudî cui l’autore, riecheggiando, anche se
in forma più blanda, gli interessi economico-sociali che ne avevano
caratterizzato la produzione a cavallo del secolo, affermava che gli
uomini dovevano essere collocati « in relazione all'ambiente e al
tempo », « onde non si tratta di apoteosi o condanne, di glorificazioni
od esecrazioni; e piuttosto, o meglio, di cercare di comprendere come e
per quali vie e tra quale varia cooperazione e con quali effetti sociali
gli eventi si svolsero e si conclusero, e con quali prospettive e
signifi- cato »; ma si limitava in realtà ad una narrazione
puramente cronachistica, in cui spicca un solo giudizio dal
trasparente significato politico, che, ancora una volta, la « Nuova
rivista storica » non mancava di rilevare: « Gli autocrati, d’ordinario,
dovendo farsi perdonare la confiscata libertà e il potere assoluto,
ricorrono a miraggi di conquiste, onde lampeggiano a’ soggetti beneficii
spesso sognati od effimeri e al dominatore ancor più effimero prestigio:
quindi la guerra » !. Distante dalla cultura idealistica era anche
l’in- terpretazione psicanalitica proposta dallo psichiatra spa-
gnolo Gregorio Marafion, che intendeva mettere in luce le qualità umane
dello scrittore ginevrino Henry Amiel sulla base di una concezione
relativistica della morale, secondo la quale « le cose non sono quasi mai
assoluta- mente buone o cattive, e l’efficacia loro, positiva o
negativa, dipende pi dall’orecchio di chi le ascolta che dal labbro
di chi le pronuncia » !, Una linea diversa prevale invece nei saggi
dedicati alla letteratura italiana, nonostante la presentazione
della figura inquieta e non conformista di Tommaseo, di cui
Raffaele Ciampini mette in luce, nel Diario intimo, il lace- 191
E, Ciccotti, Profilo di Augusto, Torino, Einaudi, 1938, pp. 13-14, 61-62;
cfr. la recensione di Giovanni Costa in « Nuova rivista storica », XXII
(1938), pp. 406-407. Cfr. anche M. Cagnetta, Antichisti e impero
fascista, Bari, Dedalo, 1979, p. 133. Nel giugno 1938 Ciccotti propose
all’editore la ristampa de La guerra e la pace nel mondo antico del 1901,
ma Einaudi gli contropropose un saggio sui Gracchi (AE, Ciccotti).
192. G. Marafion, Arziel, o della timidezza, traduzione di M. F.
Canella, Torino, Einaudi, 1938, (ediz. originale 1932), p. XV; Ferrata
osservò che il libro « manca, del tutto, di sensibilità poetica e
psicolo- gica » (« Oggi » rante contrasto fra il richiamo dei sensi e
quello della reli- gione, mentre, presentando la Cronichetta del
Sessantasei dello scrittore dalmata, ne sottolinea, accanto
all’attacca- mento alla Chiesa, la convinzione federalista, all’origine
di quella «critica troppo spesso genialmente e perfida mente malevola »
che investe in primo luogo i protagonisti « piemontesi » del processo di
unificazione, Cavour e Vit- torio Emanuele ‘*, suscitando ovviamente lo
sdegno della « Rassegna storica del Risorgimento » — «che giova il
conoscere tanta ombra, quando alla storia si deve piuttosto chiedere
tanta luce? » !*. Preoccupazione precipua dell’e- ditore appare comunque
la difesa del crocianesimo, testi- moniata anche dal suo fitto carteggio
con quel Luigi Russo che su « La Cultura » Cajumi aveva duramente
stroncato !* Nella raccolta di saggi su Carducci di Tommaso Parodi,
Antonicelli mette in evidenza la vicinanza dei giudizi espres- si
dall’autore e da Croce, entrambi mossi dalla preoccu- pazione di
distinguere l’uomo dall’artista, che in Parodi si esprime nella
sufficienza con cui tratta l’interesse del poeta per la tecnica filologica,
cosî come la sua fase « socialista » e anticlericale, per concludere che
Carducci è « poco fe- lice [...] quando cerca argomento nella storia più
recente, ove facilmente soverchiano in lui le passioni pratiche, e
allora gli s’intorbida la serenità lirica, mancandogli lo sfondo epico
della lontananza » !*. Il timore di non con- 19 N. Tommaseo,
Diario intimo, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi, 1938, e Id.,
Cronichetta del Sessantasei, a cura di R. Ciampini, Torino, Einaudi,
1939, pp. 49-50, 78: Tommaseo, osservava Ciampini, « vedeva e concepiva
l’unità come una oppressione dal forte esercitata sul debole, come un
soffocamento dei vari germi locali. Il Piemonte vincitore in Italia, gli
appariva un arrogante dominatore: per lui, il Piemonte non vuole fare l’Italia,
ma vuole conquistare a proprio profitto l’Italia ». 19 Piero Zama,
in «Rassegna storica del Risorgimento Russo proponeva una serie di volumi
miscel- lanei sugli studi italiani del ’900: due sulla storia e la
filologia (curati da lui), due sugli studi filosofici, giuridici ed
economici (curati da De Rug- giero e Luigi Einaudi), uno sulle scienze
naturali e matematiche (curato da Enriques); nel giugno 1937 accettava di
scrivere un volume sul Per- siero politico di Vittorio Alfieri (AE,
Russo). 1% T. Parodi, Giosue Carducci e la letteratura della nuova
Italia, saggi raccolti da F. Antonicelli, Torino, Einaudi; recensendo il
volume Enrico Falqui osservava che « un Le origini della casa editrice
Einaudi traddire Croce è ancora pit esplicito nella vicenda
della pubblicazione dei saggi sugli Scrittori francesi dell’Otto-
cento di De Lollis, un debito dovuto alla tradizione sulla quale si era
formato il primo nucleo della casa editrice: Giulio Einaudi ne aveva
inizialmente affidata la cura a Cajumi, raccomandandogli di evitare toni
anticrociani tali da provocare una stroncatura da parte della « Critica
»; ma l’ex direttore de « La Cultura » aveva dichiarato di non
poter accettare la « censura crociana », aggiungendo che «le colpe e le
ipocrisie crociane verso De Lollis (e non è solo parer mio, ma anche dei
vecchi delollisiani come Trompeo) devono a/fine venire documentatamente
in luce ». Dopo aver inutilmente proposto dei tagli alla prefazione
di Cajumi per togliere gli « accenni più violenti all’idea- lismo e alla
filosofia in genere », l’editore ne affidò quindi la cura al pi fidato
Vittorio Santoli '”, che nell’introdu- zione dichiarava « decisivo » l’incontro
di De Lollis con Croce, mettendo in luce, nel primo, il
riconoscimento dell’insufficienza dell’indagine filologica secondo la
quale « ogni poeta è l’età sua più qualche cosa che è tutto suo »;
‘e concludeva estendendo i legami fra Croce e De Lollis alle riviste da
loro dirette: « della Cultura si può tranquilla- mente dire ch’essa,
insieme alla Critica, è stata la rivista che più ha contribuito ad
avviare la mentalità universitaria italiana dal tecnicismo all’umanesimo,
da certe angustie pae- sane ad una universalità di sguardo nella quale
era però sem- pre riconoscibile il tranquillo orgoglio d’essere “ah si!
di gran signori” » !*. Ma, a testimoniare l’intersecarsi di linee
diverse, nel 1939 la « Nuova raccolta di classici italiani an- notati »
diretta da Santorre Debenedetti — costretto dalle leggi razziali ad
abbandonare l’insegnamento universitario po’ pit di peso dato alla
filologia nel giudizio sur un’opera letteraria e poetica conferirebbe
alla critica idealistica quella aderenza al fatto arti- stico la quale,
da ultimo, si risolve in una maggior comprensione dell’opera stessa »
(«Oggi », 17 giugno 1939). Nel ’39 Antonicelli accettava din Einaudi
l’incarico di curare un'antologia della letteratura italiana in otto
volumi (AE, Antonicelli). 197 AE, Cajumi. 1% C. De
Lollis, Scrittori francesi dell'Ottocento, con un saggio biogra fico di
V. Santoli, Torino, Einaudi si inaugurava con le Rizze di Dante commentate,
in senso non certo crociano, da Gianfranco Contini, e che pur Luigi
Russo giudicò « opera fondamentale » che « se- gna una data nella storia
degli studi e delle interpretazioni dantesche » !°. Al tempo
stesso, l’opera di sprovincializzazione della cultura italiana cui
abbiamo già accennato a proposito della « Biblioteca di cultura storica »,
iniziava nel 1938 anche nei « Saggi »: l’Autobiografia di Alice Toklas di
Gertrude Stein — un vivace affresco della cultura d’avanguardia
europea dell’inizio del secolo, da Picasso a Matisse, da Henry James a
Hemingway —, permetteva al traduttore, Pavese, di cogliere i debiti
dell’autrice verso Walt Whitman nella « contemplazione ironica e insieme
intenerita di un mondo reale, fuori d’ogni troppo compiaciuto interesse
per i procedimenti dell’arte » e in « quel conturbante realismo
della vita subconscia che resta a tutt’oggi il pit vitale contributo
dell'America alla cultura » ?°, motivi non estra- nei alla ricerca
stilistica dello scrittore piemontese. Nello stesso anno era inaugurata
la collana « Narratori stranieri tradotti » in cui, scriveva l’editore, «
dovrebbero entrare, oltre ai classici, solo scrittori universalmente
riconosciuti come eccellenti » ?". Nata per impulso di Ginzburg
— che con estremo puntiglio filologico ne seguirà le edizioni anche
dal confino di Pizzoli — e con l’apporto di Pavese, la celebre collana
dalla copertina azzurra offrî, sulle tracce della Slavia — da cui riprese
alcuni titoli russi —”, traduzioni integrali di testi molti dei quali mai
fin allora conosciuti in Italia nella loro completezza, ad opera di
traduttori d’eccezione: accanto a Ginzburg e a Pavese, Ettore Lo Gatto,
Alberto Spaini, Pietro Paolo Trompeo, Piero Jahier, Massimo Mila, Camillo
Sbarbaro, per arri- vare, nel 1946, alla prima traduzione di Proust a
cura di 19 Russo a Einaudi, 11 dicembre 1939 (AE, Russo). Sul
direttore della collana cfr. ora L. De Vendittis, Santorre Debenedetti
tra positivismo e idealismo, in « Studi piemontesi », VIII (1979), pp.
3-25. 20 Ora in C. Pavese, La /etteratura americana Einaudi a
Umberto Morra, 8 maggio 1939 (AE, Morra). 2 Cfr. AE,
Polledro. Le origini della casa editrice Einaudi Natalia
Ginzburg. Il lettore italiano venne cosî a contatto soprattutto con i
capolavori del romanzo psicologico otto- centesco, stimolo a riflessioni
su vicende e passioni al di sopra delle contingenze storiche, non senza
talvolta, attra- verso la guida delle introduzioni, riferimenti
indiretti all'attualità. Gli interessi e i suggerimenti dei
curatori sono ovvia- mente diversi: mentre Lo Gatto antepone nell’Oblòmov
di Gonciaròv il valore artistico rispetto a quello sociale ?%, Pavese
coglie in Tre esistenze della Stein « un primo esem- pio perfetto di
quella che sarà ricerca costante della nar- rativa americana del nuovo
secolo: un mondo fantastico che sia la realtà stessa, colta nel suo farsi
espressivo », un giudizio non solo estetico che Mario Alicata
puntualizzerà evidenziando la descrizione della provincia americana «
nel- la sua grama miseria, nella sua disperata solitudine », per
cui « il realismo metafisico della Stein sempre volutamente si nega ad
ogni illuso sentimentalismo » ?*. Nei romanzi di Dostojevskij pubblicati
durante la guerra Ginzburg mette invece in evidenza, pur accanto alle
contraddizioni della « filosofia » dell’autore, il messaggio umano del
prin- cipe Myskin, « assolutamente buono » e non per questo vinto,
la cui figura anima « un libro consolante e vivifica- tore come pochi
altri libri venuti dopo il Vangelo », e, nei Demoni, la critica di
Dostoevskij — che restò tuttavia « lontano da ogni apologia dell’ordine
esistente » — verso i risultati, e non verso le « ragioni » dei
rivoluzionari contro la società, e, come tema dominante, l’inquieta
ricerca della fede ?*. E, mentre nel 1942 è presentato come «la
tra- gedia d’un Amleto americano » e una sofferta « polemica contro
l'umanità » il Pierre o delle ambiguità di Melville, che Pratolini
considera precursore di Meredith, James e Conrad, « una filza di nomi che
potrebbe continuare, prove alla mano, fino a comprendere autori che
respirano l’aria 23 I. Gonciaròv, Oblòmov, prefazione e traduzione
di E. Lo Gatto, Torino, Einaudi, 1938 (II ediz. 1941), p. VII.
2% C. Pavese, La letteratura americana, cit., p. 169; recensione di
Mario Alicata in « Leonardo », XI (1940), p. 174. 25 Ora in L.
Ginzburg, Scritti, di questa lunga giornata di guerra, da una parte e
dall’altra delle trincee » ?*, la difesa dei valori dell’uomo che
trascen- dono sistemi politici o contingenze belliche, e la
speranza di una fratellanza universale, traspaiono, sempre nel
1942, da Guerra e pace, dove « guerra è il mondo storico, pace il
mondo umano », osserva Ginzburg, quel mondo umano che « interessa ed
attrae particolarmente Tolstoj soprat- tutto perché egli è convinto che
ogni uomo — di ieri, di oggi, di domani — valga un altro uomo », e che
trova la sua esaltazione nel finale intimistico e famigliare del
ro- manzo, dove è descritta « quella felicità che può far disto-
gliere lo sguardo di un giusto da un uomo ucciso ingiu- stamente » 2”. «
L’amore per la natura, i diritti del cuore, la gloria del sentimento »,
contrapposti alla « falsità della vita sociale », erano stati messi in
luce nel primo volume della collana, I dolori del giovane Werther ®*; da
Goethe si passa, con la caduta del fascismo, a Diderot, a Jacques
il fatalista in cui Glauco Natoli identifica nel protagonista e nel
padrone dei « personaggi reali, nei quali s’incarna la mortale polemica
fra due classi destinate ad affrontarsi, nel fatale declino l’una,
nell’irresistibile ascesa l’altra, che s’affrancherà sempre più d’ogni
servile retaggio per recla- mare e raggiungere quella dignità umana, che
troverà fra non molto la sua piena espressione nella dichiarazione
dei diritti dell’uomo » °°. Il commento si farà infine ancora più
esplicito nel 1945, sempre attraverso Diderot, di cui Fernanda Pivano
sottolineerà « la passione politica dell’uo- mo che si pone di fronte a
leggi costituite da un’autorità non riconosciuta e a norme imposte da una
tradizione iste- rilita per abbatterle ed eliminare gli ostacoli al
libero pen- 26 H. Melville, Pierre o delle ambiguità, prefazione e
traduzione di L. Berti, Torino, Einaudi, 1941, pp. VII, IX; la recensione
di Pratolini in « Primato », III (1942), pp. 287-288. 20 L.
Ginzburg, Scritti, cit., pp. 285, 287. 28 W. Goethe, I dolori del
giovane Werther, prefazione e traduzione di A. Spaini, Torino, Einaudi Diderot,
Jacques il fatalista e îl suo padrone, traduzione di G. Natoli, Torino,
Einaudi, 1944, p. XV. 280 Le origini della casa
editrice Einaudi siero, alla libera parola, alla libera morale,
alla libera scienza » 7°, Attraverso i classici della
letteratura universale pote- vano cosi passare messaggi emotivi capaci di
« distrarre » il lettore dalla realtà della vita quotidiana, e
sollecitarne la fantasia, la riflessione, la critica. Un raggio
d’influenza più limitato ebbe ovviamente un’altra iniziativa della casa
edi- trice, la « Biblioteca di cultura scientifica » avviata nel
1938, che trovò probabilmente un terreno di coltura già preparato nella
Torino di Giuseppe Peano, e un animatore in Ludovico Geymonat: una collana
che con i testi di De Broglie, Pavlov o Planck, riuscf a presentare, non
senza contrasti ?!, una tematica che era rimasta estranea alla
cultura idealistica, ma che ciò nonostante gli epigoni del positivismo
avevano tenuto in vita; ad essa si affiancò, a partire dal 1940, la
rivista « Il Saggiatore », dedicata alla divulgazione dell’attualità
scientifica nei campi della ma- tematica, della biologia, della fisica —
fino ai problemi dello sfruttamento dell’energia nucleare — e delle
loro applicazioni tecniche, ma che solo in casi isolati si occupò
dell’utilizzazione delle scoperte scientifiche a fini bellici,
dimostrandosi severa custode dell’autonomia della scienza, fino a
definire « ridicola » la condanna papale di Galileo Diderot, La religiosa,
prefazione di F. Pivano, Torino, Einaudi Ad esempio il 14 novembre 1942
Geymonat inviò a Francesco Severi e Armando Carlini un memoriale per
protestare contro il parere negativo dell’Accademia d’Italia alla
traduzione di Die Grundlagen der Arithmetik di Gottlob Frege (AE, Geymonat).
Dedica un breve cenno all'ambiente torinese di Peano C. Pogliano, Mondo
accademico, intellet- tuali, professione sociale dall'Unità alla guerra
mondiale, in Storia del movimento operaio, del socialismo e delle lotte sociali
in Pie monte, diretta da A. Agosti e G.M. Bravo, vol. I. Dall'età
preindustriale alla fine dell'Ottocento, Bari, De Donato. 212
M.G. Fracastoro, Nel 3° centenario della morte di Galileo Galilei, in «
Il Saggiatore. La rivista era diretta da C. Fru- goni, F. P. Mazza, A. M.
Olivo, F. Tricomi, G.C. Wick. 281 8. La
« svolta » della guerra e i collaboratori « romani » La seconda
guerra mondiale rappresenta, per l’itine- rario culturale e politico di
molti giovani intellettuali forma- tisi negli anni ’30, quella « svolta »
in senso antifascista che spinse Bottai a tentare con « Primato » di
recuperarne il consenso attorno alla guerra «italiana ». Il 1940 è
una data periodizzante anche per la casa editrice, i cui inter-
venti — se prescindiamo dalla continuazione della battaglia conservatrice
dei liberisti — si modificano sensibilmente: si accentuano i contatti con
la cultura europea e si rac- coglie attorno alla casa un numero crescente
di intellettuali progressisti, cos che negli anni intercorrenti tra
l’entrata in guerra dell’Italia e il 25 luglio 1943 si pongono
concreta- mente, nelle realizzazioni o anche solo nei progetti —
alcuni dei quali molto coraggiosi per allora le premesse di gran parte delle
iniziative editoriali del periodo postbellico. Uno dei punti nodali
che è necessario mettere in luce, in questi anni, è il rapporto della
casa editrice con Bottai e con l’operazione che questi si proponeva di
svolgere attra- verso « Primato ». Giulio Einaudi ha ricordato che
il nostro gruppo non solo non agî all’interno dello schieramento
fascista, ma tentò di fare in proprio — e spesso con successo — quella
stessa politica che il fascismo intendeva attuare con strumenti come «
Primato ». Forme indirette di opposizione sf, com’era inevi- tabile a
chi, producendo libri, doveva agire alla luce del giorno, e assumere di
volta in volta una maschera, che fosse la più trasparente possibile; concessioni
ideologiche al fascismo, o discussioni alla pari, mai 215,
Queste parole rivelano una sopravvalutazione del ruolo di « opposizione »
che sarebbe stato svolto da Bottai, e di conseguenza potrebbero essere
assunte come prova di un pieno coinvolgimento della linea editoriale
einaudiana nella fagocitante, proprio perché spregiudicata, prospettiva
politi- ca del ministro fascista, diretta in realtà a imbrigliare
ogni opposizione. Infatti, se « Primato » non può essere tutto
213 AE, G. Einaudi. 282 Le origini della casa
editrice Einaudi risolto nella categoria « fascismo » ?!, e se è
necessaria una sua lettura non univoca, che ne colga gli sviluppi nel
corso della guerra #5, la rivista non poteva essere considerata, né
dal fondatore né dai collaboratori, solo come il luogo della « difesa
della cultura », essendo ben marcato il suo carattere militante e ben
netto l’obiettivo di Bottai — come risulta anche dai suoi ricordi e dalle
sue note di diario — di far sopravvivere il fascismo al « mussolinismo
». Non è quindi privo di ambiguità il fatto che, dopo essere
entrato in contatto con Bottai proprio nel 1940, ancora nel 1942 Einaudi
si rivolgesse a lui per proporgli di pubblicare presso la casa editrice
una raccolta dei suoi interventi sull’arte e la cultura — « non può
mancare tra i miei Saggi una presa di posizione nella polemica che
ferve per l’intelligente modernità dell’arte italiana; e chi meglio
di Voi può difendere questo partito in un libro? » —, e che nello stesso
anno fosse in contatto con il redattore capo della rivista Giorgio
Cabella, di cui pubblica il racconto Alloggio sul golfo (1942), oltre ad
affidare la cura delle Memorie di Metternich al bottaiano Gherardo
Casini, direttore generale per la stampa italiana ?!9. Tuttavia, nono-
stante la presenza di elementi contraddittori, proprio nel rapporto con
la casa editrice è possibile misurare lo scarto fra le intenzioni di
Bottai e i risultati della sua politica, in quanto, soprattutto a partire
dal 1941, alcuni dei nuovi collaboratori « romani » di Einaudi che
scrivono su « Pri- mato » hanno già compiuto la scelta antifascista, e
solle- citano l’editore a iniziative più avanzate che reclamizzano
214 E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., p. 527.
%5 Cfr. le osservazioni di Luisa Mangoni premesse all’antologia «
Pri- mato » 1940-1943, Bari, De Donato, Bottai. Il 24 febbraio 1942
Alicata scriveva all'editore: « Vedrò domani Bottai per Primato, e gli
chiederò ancora il suo volume di scritti culturali » (AE, Alicata). Già
il 6 ottobre 1940 l'editore aveva chiesto a Bottai di segnalare « Il Saggiatore
» « all’appo- sita commissione ministeriale affinché vengano sottoscritti
alcuni abbona- menti per le Biblioteche degli Istituti di Istruzione
tecnica »; 1°11 giugno 1942 ringraziava il ministro « per
l’interessamento dimostrato a mio favore in merito alla carta ». Cfr.
anche le lettere dell’editore a Cabella del 5 si 1942, e di Casini
all’editore dell’8 giugno 1942 (AE, Cabella, asini).
sulla rivista, usata come
strumento di discussione e di aper- tura culturale, consentendo cosî alla
casa editrice di atte- starsi su posizioni che superano i confini del
progetto bot- taiano. A dare nuova linfa vitale alla casa
editrice contribuî infatti nel 1941, con l’apertura della sede romana,
l’in- contro dell’originario nucleo torinese con quello romano di Mario
Alicata, Giaime Pintor e Carlo Muscetta, tre gio- vani intellettuali che,
pur con diversi orientamenti, avevano già tradotto politicamente, in
senso antifascista, la loro rapida maturazione culturale; con i loro
contatti, inoltre, essi allargarono il numero dei collaboratori di
Einaudi, fra i quali comparvero, i che rima- sero ancora i più
numerosi —, intellettuali già aderenti al partito comunista o che si
venivano orientando verso di esso, ma tutti uniti nella comune lotta al
fascismo, senza che si manifestassero fra di loro, almeno fino al 25
luglio 1943, contrasti di rilievo. Nell’aprile 1940 Alicata e Mu-
scetta avevano contribuito a inaugurare la nuova serie de « La Ruota » —
cui collaboravano anche Pintor e Pavese —, la rivista diretta da Mario
Alberto Meschini che, sosti- tuendo il sottotitolo « mensile di politica
e letteratura » con quello apparentemente più disimpegnato di «
rivista mensile di letteratura e arte », assumeva in realtà la pro-
spettiva di un’azione politica a più largo respiro ?”, nella convinzione,
comune a tanti giovani intellettuali che davano vita o partecipavano a
iniziative di fronda, di potersi sal- vare — ricorderà Pavese — con «un
tuffo nella folla, un febbrone improvviso d’esperienze e d’interessi
proletari e contadini, per cui la speciale e raffinata malattia che
il fascismo c’iniettava, si risolvesse finalmente nell’umile e
pratica salute di tutti » ?!". Mentre Muscetta era attestato su
posizioni liberalsocialiste, già nel 1940 Alicata aveva superato
l’originaria formazione crociana per abbracciare 2 Cfr. la testimonianza
di Antonello Trombadori in M. Alicata, Lettere e taccuini di Regina
Coeli, prefazione di G. Amendola, introduzione di A. Vittoria, Torino, Einaudi,
Pavese, IÙ fascismo e la cultura 1945), ora in La letteratura americana,
cit., p. 220. 284 Le origini della casa editrice
Einaudî uno storicismo pit concreto maturato sulla conoscenza
di De Sanctis e di Fortunato e sulle prime letture marziste, e
aveva aderito al partito comunista segnalandosi subito per quell’intensa
attività politica — tesa ad allacciare rap- porti con i liberalsocialisti
e i cattolici comunisti — che ne provocò l’arresto alla fine del 1942 ?”.
Ancora tutto « letterato » alto-borghese era invece Pintor, che
tuttavia viene in contatto, nell'ambiente einaudiano, con il catto-
lico Felice Balbo — « il cui influsso sul mio modo di pen- sare è stato
decisivo », annoterà —, e viene maturando politicamente di fronte alla
drammatica realtà della guerra: senza la guerra — ricorderà
nell’ultima lettera al fratello — io sarei rimasto un intellettuale con
interessi prevalentemente letterari [... .J: c’era in me un fondo troppo
forte di gusti individuali, d’indifferenza e di spirito critico per
sacrificare tutto questo a una fede collettiva. Soltanto la guerra ha
risolto la situazione, travolgendo certi ostacoli, sgombrando il terreno
da molti comodi ripari e mettendomi brutal- mente a contatto con un mondo
inconciliabile 2° Pur avendo interessi ancora prevalentemente
letterari, i tre « romani » parteciparono alla diverse iniziative di
Ei- naudi: mentre alla fine del 1941 Pintor diviene « agente
volante » della casa editrice, con « il compito di leggere libri, dare
consigli, e girare in Italia £ soprattutto all’estero come rappresentante
dell’editore » ?!, Alicata tiene i con- tatti col Ministero della cultura
popolare per ottenere le autorizzazioni della censura, e arriva ad
occuparsi di un problema che acquista importanza decisiva nel corso
della guerra, quello dell’acquisto della carta. Inoltre, Alicata e
219 Cfr. l'introduzione di R. Martinelli a M. Alicata, Intellettuali
e azione politica, a cura di R. Martinelli e R. Maini, Roma, Editori
Riuniti, e C. Salinari-A. Reichlin-A. Tortorella-G. Amendola, Mario
Alicata intellettuale e dirigente politico, Roma, Editori Riuniti,
1978. 290 Cfr. G. Pintor, Doppio diario, a cura di M. Serri,
Torino, Einaudi, e Id., Il sangue d'Europa (1939-1943), a cura di
V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1965, p. 186. Di « ambiguità » di Pintor
ha parlato F. ‘Fortini, "Vicini e distanti. A proposito del « Doppio
diario » È Cine Pintor, in «Quaderni piacentini », XVIII (1979), n.
70-71, pp. 221 G. Pintor, Doppio diario, cit., p. 161.
Muscetta aiutano anche dall’esterno l’attività di Einaudi
collaborando a « Primato », su cui entrambi, con lo pseu- donimo
rispettivamente di Don Ferrante e di Don Santi- gliano, segnalano con
continuità le iniziative della casa editrice, coinvolgendo in questa
opera di « propaganda » altri intellettuali, come Beniamino Dal Fabbro.
Cosi nel 1941 Alicata, mentre si impegna con Einaudi per un saggio
sulla letteratura contemporanea, assicura l’editore che ne segnalerà i
volumi — « tutti, via via, più o meno larga- mente, nel mio Cotriere
delle Lettere su Primato, dove cercherò di far fare puntualmente anche le
recensioni » —, e nello stesso anno elogia sulla rivista di Bottai la «
ricer- cata collana di narratori stranieri che Einaudi viene con
grande accortezza riunendo. Poche opere, ma tutte ecce- zionali, tutte
illuminatrici d’una personalità o d’un co- stume » “2. Analogamente
Muscetta, rispondendo all’invito di Einaudi di fare pubblicità ai suoi
volumi su « La Ruota » — cosa che farà regolarmente su « Primato » —,
affer- mava di « aver seguito la sua attività editoriale con inte-
resse affettuoso, e ogni libro pubblicato mi ha recato un nuovo conforto
a credere nei valori della cultura che non sono da difendere soltanto nel
chiuso del nostro pen- satoio » 2, Con la collaborazione di questi tre
intellettuali le tappe di sviluppo della casa editrice si accelerano,
nelle vecchie e nelle nuove collane o nei progetti che non tro-
vano attuazione immediata. Assieme a Pavese Alicata fu incaricato
di curare la « Bi- blioteca dello Struzzo », la collana di narratori
contempo- ranei che puntava soprattutto alla scoperta dei giovani:
Dopo molte riflessioni — scriveva Einaudi ad Alicata all’inizio
del 1941 — si è deliberato — e si attende la tua approvazione AE, Alicata (23
febbraio, 17 aprile e 1 giugno 1941); il 22 ottobre 1941 Alicata diviene
collaboratore fisso, a 1.000 lire mensili; il 21 feb- braio 1942 informa
l’editore di aver acquistato 248 risme di carta. Cfr. inoltre « Primato AE,
Muscetta (s.d.); io e Alicata — scriveva Muscetta all’editore il 20
febbraio 1941 — «ci auguriamo di poter collaborare attivamente
‘all’ardita opera di cultura che la tua casa svolge con spirito giovanile
e con tenacia ». 286 Le origini della casa
editrice Einaudî che la collezione debba accogliere romanzi brevi
italiani e stranieri, di scrittori contemporanei e in genere « scoperti »
da noi, dove, in via d’eccezione, e per alimentare la scarsa produzione
italiana con- temporanea, si accoglierebbero libri dimenticati o rari, di
indiscusso valore artistico, tipo Mio Carso di Slataper. Quanto agli
stranieri... questo è il problema, ché escludendo gli americani e gli
inglesi dob- biamo per ora limitare praticamente la scelta ai russi e ai
tedeschi 24. In realtà fino al 1945, venuta meno con
l’attacco all’URSS anche la possibilità di presentare la narrativa
russa contemporanea, la collana si limitò a pubblicare testi
italiani tesi tuttavia a quell’originale ricerca della realtà, sia pur
non veristica, che contrassegna il primo volume apparso nel 1941, Paesi
tuoi di Pavese. Pavese sollecitava infatti Ali- cata a « predicare l’arte
narrativa, e soprattutto quella narrativa “come vita morale” che a
voialtri ruotai deve essere in votis » 5: un invito cui Alicata, per i
gusti già dimostrati nella sua intensa attività di recensore
lettera- rio ?*, era particolarmente sensibile, e che, preoccupato
di tenersi lontano « dalle piccole chiesuole di marca fioren- tina
», raccolse assicurando alla casa editrice Le trincee di Quarantotti
Gambini, Le donne fantastiche di Arrigo Benedetti e proponendo, fra gli
altri titoli, Una città dî pianura di Giorgio Bassani, da lui già
recensito su « La Ruota » quando era uscito in edizione privata di
pochi esemplari sotto lo pseudonimo di Giacomo Marchi, e che era «
passato per molte ragioni quasi sotto silenzio dalla critica », scriveva
Alicata alludendo alle leggi razziali ??. 24 AE, Alicata.
225 C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 588 (28 aprile 1941).
226 Cfr. G. Tortorelli, Le formazione politica di un intellettuale
comu- nista: Mario Alicata 1937-1945, tesi di laurea discussa presso la
Facoltà di Lettere e Filosofia di Firenze nell’anno accademico 1976-77, e
Id., Contributi alla formazione culturale e politica di Alicata, in «
Italia contemporanea », XXX (1978), n. 132, pp. 93-98. 21 In
C. Pavese, Lettere 1924-1944, cit., p. 589 (9 maggio 1941); il 21
novembre 1941 Alicata suggeriva a Einaudi la possibilità di rilevare
alcuni volumi della casa editrice Ribet Buratti di Torino (Comisso,
Arturo Loria, Stuparich, Sbarbaro, Slataper), e l'11 novembre 1942 la
necessità di ristampare l’Ibsex di Slataper, «che non solo è interessante
per la personalità tutta dell’autore, del cui acuto problema morale
risente, ma rimane per se stesso un documento critico prezioso sull'opera
ibseniana » (AE, Alicata). I toni fortemente elogiativi — anche se
attenuati in una lettera a Einaudi ?* — della recensione che di
Paesi tuoi fece Alicata su « Oggi » ”’, la vivace rivista di Arrigo
Benedetti e Mario Panunzio, furono ripresi da Eugenio Galvano su «
Primato » — «ogni lettore può ritrovarvi gli accenti di una sua
esperienza passata e perduta, e il senso di un paese ritrovato » °° —; e
intensi furono i le- gami fra l’ambiente della rivista di Bottai, cui
collaborava anche Pavese, e la casa editrice, esemplificati dalla
pub- blicazione in volume, presso Einaudi, de L’isola di Stupa-
rich (1942), già apparsa su « Primato ». Rimase un caso isolato il
giudizio negativo riservato da Alfonso Gatto a La strada che va in città
di Alessandra Tornimparte #! — pseudonimo di Natalia Ginzburg —, e non
tale comunque da essere paragonato alle forti riserve di carattere
morale avanzate da « La Civiltà cattolica » nei confronti di Pavese
e della Ginzburg, i cui racconti, osservava Einaudi, riscos- sero «i più
vivi consensi e dissensi » proprio per la no- vità di stile e di
contenuto ?*: mentre in Paesi tuoi l’or- gano dei gesuiti vedeva ritratta
una « gente di campagna » 28 «Ho apprezzato molto il libro di
Pavese, che mi sembra soprat- tutto un racconto e per questo merita
grandi lodi. Quantunque risenta, è chiaro, l’influenza a volte eccessiva
di certi americani e nel gusto d’usare la lingua e la sintassi, e nel
sapore e tono che attribuisce agli uomini e ai loro gesti » (AE, Alicata,
1 giugno 1941). 29 Ora in M. Alicata, Scritti letterari,
introduzione di N. Sapegno, Milano, Il Saggiatore, 1968, pp. 84-88. Cfr.
anche la notizia che Alicata ne dava su «Primato», affermando che Pavese
«rompe un silenzio lungo e fruttuoso durante il quale egli sembra essere
scampato alla reto- rica, agli schemi che affliggono certa narrativa
italiana contemporanea: come prima sensazione d’una lettura che almeno
prende e allaccia in un suo tempo libero e prepotente » (II (1941), n.
11, p. 16, nel « Corriere delle lettere » di Don Ferrante).
230 « Primato; pur osservando che «le rea- zioni psicologiche del
personaggio narratore rimangono moralmente fiac- che », Luigi Vigliani
trovava «felicissima» l’utilizzazione del dialetto piemontese (« Leonardo
», XII (1941), p. 218). 231 Nel volume «la realtà osservata è ferma
alla crisi di una società ‘confusa. Forse questo racconto piacerà,
disposti come sono oggi molti letterati, giunti in ritardo al
ripensamento di un proprio compito umano, a vedersi duri e manuali. Il
racconto della Tornimparte è fradicio di quest’enfasi moderna, semplicistico
e blando altresi nella sua stessa ‘acrisia », osservava Gatto (« Primato).
232 Einaudi a Ginzburg (AE, Ginzburg). Le origini della casa
editrice Einaudi che « non è quella che noi generalmente
conosciamo. Qui sembra piuttosto gente di malavita, dove
predominano tendenze istintive e animalesche », nella « dura »
prosa della Ginzburg coglieva « un indice di ciò che si è comin-
ciato a raccogliere anche in Italia dall’abbondante semina- gione d’una
sfrontata romanzeria straniera, e specialmente americana » ”*. Alla
ricerca di valori umani, laici e reli- giosi, si muovevano anche i nuovi
titoli della collana dei « Poeti », già avviata nel 1939 con la
riedizione degli Ossi di seppia e la nuova raccolta de Le occasioni di
Montale **: accanto a una nuova edizione di Lavorare stanca di
Pavese apparvero infatti Con me e con gli alpini di Jahier la cui
fortuna fra i soldati era testimoniata dai reduci dalla Russia — «
l'hanno aperto per caso e non se ne staccano più. “Fare il bene con
disperazione” è diventato il loro motto » 5 —, e le Poesie di Rilke nella
traduzione di Pintor, in cui Giansiro Ferrata, occupandosene su «
Pri- mato », vedeva l’opera di un poeta « da difendere contro la
sua stessa generosità di vita e contro un frequente estetismo per
seguirne la grande voce umana, semplice infine come un grido ma dal fondo
d’una religiosità vissuta nei suoi slanci e nelle sue ferite » ?*.
In questi stessi anni gli aspetti « emotivi » presenti nella
produzione letteraria trovano modo, come vedremo, di tradursi in un più
marcato impegno civile nei volumi della « Biblioteca di cultura storica »
e in quelli della nuova collana « Universale ». Persistono tuttavia,
almeno fino al 1942, e in particolare nei « Saggi » — dove pur
appaiono le Memorie di madame de Rémusat, la cui critica a Napo-
leone era leggibile in senso antitirannico —, molti dei mo- tivi
spiritualistici d’anteguerra non disgiunti da elementi contraddittori,
che trovarono forse nel cattolico Felice Balbo un sostenitore: « Balbo —
è stato ricordato — non aveva difese contro le proposte e le idee. Tutte
le 233 «La Civiltà cattolica », 93 Per le vicende di queste
edizioni cfr. E. Ferrero, Come nacquero « Le occasioni », in « Libri
nuovi Einaudi AE, dalla redazione romana a Jahier (9 luglio 1943).
236 « Primato proposte e tutte le idee gli piacevano, lo sollecitavano,
lo mettevano in fermento » ?”. Se non ha luogo la proposta di Balbo
di tradurre The mystical elements of religion di von Hiigel, il
modernista « lodato da Loisy pur essendo rimasto cattolico », e Bobbio
non accetta La preghiera dell’uomo di Alfredo Poggi per il suo
insufficiente appro- fondimento teorico, pur considerando che il saggio «
sia ispirato ad un alto senso religioso e morale, e sviluppi una
concezione razionale della vita religiosa, rifuggendo dal dilagante
irrazionalismo »; o mentre resta inedito, per le vicende legate alla
caduta del fascismo, L'infinito e il divino terminato da Giuseppe Tarozzi
nell’aprile 1943 ?*, Einaudi pubblica nel 1942 Le origini del
cristianesimo di Loisy — che giungerà alla terza edizione l’anno
successivo — e, su suggerimento di Gioele Solari, Ragione e fede di
Piero Martinetti: con ciò la casa editrice si faceva banditrice di
una « religione della libertà » che, se potè essere accostata a quella crociana,
se ne differenziava nettamente per l’im- portanza che l’animatore della «
Rivista di filosofia » attri- buiva all'elemento religioso, cui
Martinetti aggiungeva negli ultimi anni di vita, di fronte allo
spettacolo della guerra e della « barbarie », la riflessione sul
pessimismo di Schopenhauer tesa ad accettare « la realtà del male
come principio radicale, autonomo, forse non riducibile ad al- tri
» 2°. Accanto a Martinetti, nel 1941 Einaudi ripropone Huizinga con la
monografia del 1924 su Erasmo che aveva già provocato forti riserve, non
solo storiografiche, da parte di Cantimori, per la « troppo evidente
tendenza a mostrare in Erasmo il tipo classico del dotto-gentiluomo,
moralista e umorista, lontano dagli interessi politici e religiosi
che possono scuotere e commuovere » °°; ma forse proprio per
questo, per la presentazione dell’umanesimo erasmiano 23 N.
Ginzburg, Lessico famigliare, Milano, Mondadori, Cfr. Balbo a Bobbio, e Bobbio
a Finaudi (AE, Bobbio), e il carteggio Tarozzi-Einaudi del 1942-43 (AE,
Tarozzi). 239 Cfr. Bobbio a Finaudi, 21 maggio 1943 (AE, Bobbio};
E. Garin, Cronache di filosofia italiana, cit., pp. 387-391; e la
testimonianza di G. Mita, dee prefazione di L. Salvatorelli, Vicenza,
Neri Pozza Rivista storica italiana Le origini della casa editrice
Einaudî « come un raffinato giuoco intellettuale entro le mura di
un nobile castello oltre le tempeste del mondo e le vicende del
tempo » ?, « Civiltà moderna » poteva accogliere nel lavoro l’indicazione
della « originalità umanistica » rispetto al Medioevo, ma con l’accordo «
fra l'esigenza del risorto classicismo e quella del rigenerato
cristianesimo »; men- tre il recensore della « Rivista storica italiana
», oppo- nendo all’umanesimo « negativo » di Erasmo quello « co-
struttivo » del Rinascimento italiano impersonato da Gior- dano Bruno,
prendeva le distanze dall’autore per « quella tipica mentalità pacifista
che, per contingenze storiche fa- cilmente individuabili, tende a fare
dell’equilibrio e della moderazione la massima espressione della civiltà
uma- na » dii x Alle immagini catastrofiche de La crisi della
civiltà sembra invece richiamarsi, pur senza citare Huizinga, Uomo
e valore di Luigi Bandini — un allievo di Limentani che aveva pubblicato
presso Laterza un saggio su Shaftes- bury —, che sviluppa il tema del
contrasto fra progresso economico e libertà individuale con accenti
indubbiamente retrivi. Il volume — che sarà ristampato nel 1949 con
una introduzione in cui l’autore manifesterà un atteggia- mento
paternalistico verso le masse popolari — è un atto di accusa nei
confronti del liberismo e del liberalismo dell’800 che avrebbero portato
« ad uno stato di cose risolventesi proprio in un massimo di serviti per
una gran quantità di soggetti umani: il caso, precisamente,
dell’indu- strialismo moderno », per cui si era avuto il «
rovescia- mento del rapporto fra uomo e cosa », con l’«
innalzamento ad ideale supremo della realtà economica ». Ma la con-
danna del progresso si traduce nella istituzione di un preciso rapporto
tra la « morte » del cristianesimo, « la religione 2 Cfr.
l'introduzione di E. Garin a J. Huizinga, L'autunno del Medio evo,
Firenze, Sansoni A. Corsano in «Civiltà moderna, ed E. Guglielmino in «
Rivista storica italiana. Rossi coglieva invece in Huizinga la «
disapprovazione per Erasmo », e giudicava l’Encbiridion militis
christiani « opera d’un banale bigotto » (« Nuova rivista storica »,
della esaltazione dell’individuo », « la enorme avidità di possesso e di
successo che caratterizza l'umanità moderna » e, soprattutto, lo sviluppo
del marxismo: una tale dottrina della necessità radicale ed
ineliminabile dell’odio di classe si sostituisce bruscamente e senza
passaggi intermedi proprio alla concezione cristiana nell'animo degli
appartenenti ai ceti sociali più umili, trovando d’altronde nelle
effettive condizioni della società moderna, nel suo sempre più esasperato
affarismo, gli elementi suggestivi più adatti a conferire ad essa la
massima efficacia di persuasione 28, Si comprende quindi
come il ragionamento di Bandini incontrasse le simpatie de « La Civiltà
cattolica » 24, mentre offriva a Luigi Einaudi l’occasione per attribuire
al capita- lismo « storico » dell’800 la responsabilità della
tendenza verso i monopoli, « verso ciò che incatena ed asserve gli
uomini e di cui l’ultima e più perfetta e diabolica espres- sione è il
comunismo russo », ma anche per dissociarsi dalla tesi « che la tendenza
verso il colossale, distruttivo dell’uomo, come persona autonoma, sia
propria dell’eco- nomia contemporanea, capitalistica o trafficante »,
poiché la liberazione dell’uomo dalle cose era frutto precipuo
dell'economia di concorrenza’. Tesa a dimostrare la necessità della
religione contro il materialismo contem- poraneo è anche un’opera di
Bernhard Bavink che racco- glieva alcune conferenze tenute in Germania
prima della « rivoluzione » del 1933, la cui traduzione, uscita nel
i Bandini, Uomo e valore, Torino, Einaudi, « La Civiltà cattolica »,
Einaudi, Dell’uomo, fine o mezzo, e dei beni d’ozio, in « Rivista di
storia economica. Pur riconoscendo la tendenza monopolistica rilevata da
Bandini, Mario Dal Pra osservava: « Ciò non toglie tuttavia che i diritti
e le pi profonde esigenze dell’indi- vidualità non possano essere
salvaguardate, ad esempio, mediante l’attua- zione di quella terza via
che lo stesso Luigi Einaudi propone, fra l’indi- vidualismo da una parte
e il collettivismo dall’altra » (« La Nuova Italia. Nel 1946 Antonio Giolitti —
allora collaboratore della casa editrice — criticherà Bandini per non
aver saputo vedere che il problema dell’individuo è problema politico e
sociale, risolvibile sul piano di quella lotta di classe che l’autore
negava recisamente (« Studi filosofici », VII (1946), pp. 81-84).
292 Le origini della casa editrice Einaudi
1944, era già stata messa in cantiere nel 1942. In essa l’autore
sosteneva che da scienziati « assai religiosi » come Galileo, Keplero e
Newton, si era sviluppata una tendenza culturale approdata « ad un
materialismo e ad un ateismo completo ed aperto, quale è attualmente la
concezione uffi- ciale del mondo nella Russia bolscevica » — alla
quale era contrapposto l’esempio positivo della concezione so-
ciale e statale fascista e nazista —; la fisica moderna, con Bohr e
Planck, aveva invece « definitivamente distrutto certe troppo frettolose
obbiezioni contro la fede », abo- lendo «il concetto classico di sostanza
», e quindi ogni meccanicismo, per cui si poteva concludere che ormai «
fare della fisica non significa, in fondo, far altro che
ricapitolare gli atti elementari compiuti da Dio » ?4 Un
richiamo ai valori dello spirito poteva comunque passare anche da altre
vie meno sospette, dai grandi ro- manzieri ottocenteschi o da I/ problema
dell’inconscio di Jung, tradotto nel 1942: l’opera infatti trova
favorevole accoglienza su « Primato », dove Muscetta considera «
me- rito fondamentale » di Jung aver ricordato che la
psicologia è scienza dell’anima e che nessuna indagine fisio- patologica
potrà mai risolvere lo spirito nella materia, la sua miste- riosa e
libera spontaneità, nell’evidente e misurabile rigore delle leggi fisiche
[...]. Pagine di vent’anni fa, che per vie assai lontane dalla nostra
cultura ci portano affascinanti conferme a quella fede nei valori
spirituali da cui non potremo mai aberrare senza recidere le radici
dell’essere nostro Bavink, La scienza naturale sulla via della religione,
Torino, Einaudi; contro il bolscevismo, « questa terribile
filosofia sociale e storica, che distrugge ogni esistenza degna
dell’uomo, il “fascismo” yitaliano e tedesco propugna una conce- zione
sociale e statale " organica” per la quale lo Stato non è una
costru- zione artificiale, razionale, ma anzi la forma matura di una vera
vita, della vita del proprio popolo » (p. 24). Il 30 marzo 1942 Einaudi
aveva chiesto ad Alicata di sottoporre il volume di Bavink
all’approvazione del Mini- stero della cultura popolare (AE,
Alicata). 21 « Primato », III (1942), p. 381; «la psicologia è una
scienza cre- tina », osservava invece Pintor dopo aver letto Jung
nell’ottobre 1941 (Doppio diario Alicata aveva fatto pre- sente
all’editore l’esistenza di difficoltà per l’autorizzazione della stampa
di Jung, per « certe idee morali e sociali dello Jung non completamente
conformiste » (AE, Alicata). Lo stesso Ernesto De Martino vedeva nello
teoria jun- giana — che riteneva « suscettibile di una traduzione
in termini storicistici » — « una tipica espressione del tra-
vaglio spirituale, dei bisogni e delle aspirazioni della nostra epoca.
Noi siamo giunti a un punto in cui sentiamo viva la necessità di
riprendere possesso della nostra anima, e di esplorarne le sue profondità
sconosciute » **. Diverso, sia pure ambiguo, era il messaggio che si poteva
rica- vare dal pensiero degli eretici e degli utopisti, attorno al
quale si assiste, durante la guerra, a un risveglio d’interesse in vari
settori dell’intellettualità italiana, di cui sono testi- monianza
esemplare gli studi di Cantimori e la « Collana degli utopisti »
dell’editore Colombo. Nel 1941 esce, come secondo volume della « Nuova
raccolta di classici ita- liani annotati », La città del sole di Campanella,
un’edi- zione critica condotta sul testo italiano del 1602, quella
più decisa in senso ereticale, da Norberto Bobbio: respinte come
fittizie le visioni di un Campanella precursore del socialismo o dello
Stato totalitario, in discussione con i recenti tentativi di
rivalutazione cattolica Bobbio ricorre all’« idea della simulazione » per
spiegare la conversione del frate all’ortodossia, provocando le riserve
de « La Civiltà cattolica », che si appuntano anche sulle frasi di
Bobbio « che accennano con un velo di simpatia “ alle menti stanche ma
non asservite, agli animi sfiduciati ma non vinti degli eretici isolati”
» *°. A queste si potrebbe aggiun- gere un accenno contro « la morale
della potenza »; ma il discorso di Bobbio si mantiene volutamente
generico, nel sottolineare il « fondamentale antistoricismo » del
pensiero di Campanella, per cui « c'è in quell’utopia qual- cosa di
selvaggiamente primitivo, che richiama alla mente le comunità degli
indigeni delle Nuove Indie; e c’è nello stesso tempo qualcosa di
lucidamente attuale, che fa pen- sare ad una città operaia dell'America
moderna » ?°. E 28 « Primato », IV (1943), p. 11. 24 «
La Civiltà cattolica. CAMPANELLA (si veda), La città del sole, testo italiano e
testo latino a cura di Bobbio, Torino, Einaudi. Ginzburg avvertiva
Einaudi che Tommaso Fiore stava curando l’edizione de L'utopia
294 Le origini della casa editrice Einaudi Luigi
Einaudi poteva trarne spunto per sostenere che una storia delle utopie non
doveva analizzare i « tipi di società comunistiche immaginati dagli
utopisti » sulla base di una problematica economica, ma «rigettare nel
limbo delle cose che non furono mai scritte le esercitazioni frigide
di letterati in cerca d’argomento in apparenza nuovo e met- tere in
luce le poche le quali risposero veramente ad un’e- sigenza dello spirito
» ?!: un modo, ancora una volta, per esorcizzare il pericolo di un
richiamo eterodosso, sia pur « utopistico », ai problemi concreti della
società contem- poranea. 9. L’anticonformismo storiografico
e l’« Universale » Il settore che, ancora una volta, dimostra
meglio di altri e sempre più l’anticonformismo della casa editrice,
è quello storico, dove troviamo ora impegnati anche due « laici », in
diversa maniera crociani, come Giorgio Falco e Adolfo Omodeo. Il primo —
che, costretto dalle leggi razziali a nascondersi dietro pseudonimo, era
venuto affian- cando agli originari interessi medievalistici o a
quelli per l’illuminismo, dopo la definitiva sconfitta dello Stato
liberale, un’attenzione a figure significative del Risorgi- mento, come
Pisacane — si occupò in particolare fin dal 1941, assieme ad Alicata,
Morra, Ginzburg, Giolitti, Benedetti e Venturi, di quel progetto della
collana « Scrit- tori di storia » che avrà attuazione solo negli anni
’50, anche per le difficoltà allora opposte dalla censura — la
Histoire de la conquéte d’Angleterre di Thierry, ad esem- pio, fu
bocciata come « inopportuna » nel 1942 ?*. Omo- di Moro che uscirà
nel 1942 presso Laterza (AE, Ginzburg). 21 L. Einaudi, Delle
utopie: a proposito della Città del sole, in «R+ vista di storia
economica », VI (1941), pp. 126-127. Luigi Bulferetti invi- tava invece a
collocare l’opera di Campanella nella realtà culturale e poli- tica del
Mezzogiorno («Rivista storica italiana », LVIII (1941), pp.
400-401). 252 Su Falco cfr. le osservazioni di A. Garosci, Una cosa
non ancora del tutto chiara..., in « Rivista storica italiana », LXXIX
(1967), pp. 7-27. 253 Lettera di Alicata all’editore, 24 giugno
1942 (AE, Alicata). deo, contattato nel 1939 da Ginzburg, fu prodigo di
sug- gerimenti — da testi di antichistica o di religione a I/
medioevo barbarico di Gabriele Pepe o il Murat di Angela Valente —, e si
era assunto anche l’impegno, come ricor- derà ad Einaudi, di trovare per
la casa editrice « colla- boratori italiani, per equilibrare le
traduzioni da lingue estere: dovevo formare un complesso di
collaboratori giovani, perché nella situazione presente, con i
“valvas- sori” avviliti e rimbecilliti dalla speranza della feluca
accademica, non c’è nulla da fare » 4. Un contrasto con Falco lo spinse
tuttavia a passare nel 1941, con i suoi progetti di lavoro, all’ISPI”5;
ma aveva frattanto assi- curato alla casa editrice due suoi lavori
caratterizzati da una dura polemica, da un punto di vista liberale,
nei confronti della corrente storiografia fascista sul Risor-
gimento. La leggenda di Carlo Alberto, che raccoglieva saggi
già apparsi sulla « Critica », viene ad affiancare la revisione della
figura del sovrano piemontese condotta « con spie- tato rigore » da Guido
Porzio sulla « Nuova rivista sto- rica », ed è una requisitoria feroce
contro la storiografia sabaudista espressa da Alessandro Luzio, di cui è
messo in luce « il semplicismo del giudizio moralistico e. l’indi-
stinzione dei valori storici », per investire anche Rodolico,
rappresentante di « una nuova sofistica che vuol confon- dere il
moralismo casistico con l’intellezione etico-politica del processo umano
». Tributato un caldo riconoscimento alla Storia del Risorgimento e
dell'Unità d’Italia intrapresa 254 Cfr. le lettere a Einaudi del
25 agosto 1939, 28 ottobre e 24 novembre 1940, 3 gennaio, 13 febbraio, 8
marzo, 22° maggio, 2 e 17 giugno, 2 luglio 1941 (A. Omodeo, Lettere
1910-1946, Torino, Einaudi, 1963, pp. 612, 629-631, 635-636, 638-641,
644-651). 255 Cfr. la lettera a Einaudi del 9 settembre 1941
(ibidem, pp. 655- 656) e varie lettere in AE, Falco, Pepe: il contrasto
riguardava rà ntrodu- zione agli studi storici medievali di Pepe proposto
da Omodeo; Muscetta a Einaudi, 29 dicembre 1941 (AE, Muscetta); Ginzburg
a Finaudi, 21 novembre 1941: « Ho visto il programma della nuova
“Biblioteca storica” dell’ISPI, che non solo nel nome, ma anche nelle
opere mi sembra derivi dalla Vostra, dato che i volumi annunciati sono
tutte opere rifiutate da Voi, se ben ricordo » (AE, Ginzburg); Carteggio
Croce-Omodeo, a cura di M. Gigante, Napoli, Istituto italiano per gli
studi storici, 1978, passize. 296 Le origini della
casa editrice Einaudi da Cesare Spellanzon — « opera che da sola
riabilita i recenti studi risorgimentali, che in genere non
brillano per doti superiori » —, Omodeo nega recisamente, contro
gli apologeti di Carlo Alberto, l’esistenza di una profonda opera
riformatrice nel primo decennio di regno e di un preciso e segreto
disegno politico nazionale prima del 1848, e fa del sovrano « il
discepolo ideale di Giuseppe de Maistre », un convinto «
cattolico-legittimista », accusando lo stravolgimento dei veri valori del
Risorgimento operato da quegli storici che non condannavano le
repressioni del 1833, pur cogliendo l’occasione, da buon liberale, per
una non necessaria puntata antisovietica *. La forza delle argo-
mentazioni critiche di Omodeo è tale da ottenere un ricono- scimento
anche sulla codina « Rassegna storica del Risor- gimento », ma il
significato civile e politico del suo lavoro provoca subito sulla stessa
rivista un duro intervento di De Vecchi ?”. Tuttavia l’invito rivolto a
Luigi Russo da Omo- deo — ferito da questa e da altre critiche —, che
«si 25% A. Omodeo, La leggenda di Carlo Alberto nella recente
storio- grafia, Torino, Einaudi, 1940, pp. 10, 13, 15 n., 27, 45, 47, 49,
111, 120; e a p. 16, criticando lo scarso peso dato dagli storici di
tendenza naziona- lista ai processi del 1833: «È vero che gli odierni
processi di polizia di cui è maestra la Russia di oggi hanno ottuso la
nostra sensibilità morale, e che al confronto i processi del ’33 possono apparire
cosa mitissima... ». Dell’importanza di questo volume, come del Gioberti,
non tiene conto A. Garosci, Adolfo Omodeo. III. Guida morale e guida
politica, in « Ri- vista storica italiana.Cfr. la recensione di Paolo
Romano (Paolo Alatri) in « Rassegna storica del Risorgimento; ma C.M.
De Vecchi di Val Cismon, Ancora di Carlo Alberto: «Questo cercare
di attaccarsi a forme razionalistiche della storia affermando o
demolendo uomini la cui azione può avere riflessi sulla vita presente, è
da una parte errore di storico ma è, peggio, mancanza al dovere di uno
storico in quanto cittadino [...] rilevando le cattive intenzioni
politiche di codesti ingiusti giustizieri [di Carlo Alberto] e non
rinunziando a definirli secondo i loro meriti, vogliamo astenerci dal
scendere nel campo della politica cui pure saremmo chiamati dal contegno
loro » (« Rassegna sto- rica del Risorgimento). Negativo il
giudizio di G. Ferretti (La leggenda di Carlo Alberto, in « Primato, mentre
Luigi Bulferetti, pur prendendo le distanze da alcune affermazioni di
Omodeo, riteneva, a proposito dello Statuto, che «si avvicinasse molto
più alle dottrine di Carlo Alberto (e fosse quindi più nel vero)
l’interpretazione datane nel decennio dai reazionari, che non quella dei
liberali di sinistra » (« Rivista storica ita- liana » prendesse da parte
di persone di buona volontà posizione nelle riviste di Codignola e in
qualche altra che ci fosse aperta » 2*, fu subito raccolto, a
testimonianza dell’eco non solo storiografica suscitata dall'opera: cosi
non solo « La Nuova Italia » con Vinciguerra o « Civiltà moderna »
con Pieri, ma anche altre riviste ormai di fronda come « Oggi », con
Umberto Morra — tutti intellettuali legat. in vario modo alla casa
editrice —, si lanciano in lodi incondizionate al volume, fino ad
arrivare a una vera e propria difesa politica dell’autore sulla « Nuova
rivista storica », sempre ad opera di Pieri: dopo aver affermato —
riecheggiando la recensione di Edmondo Cione al Mazzini di Bonomi — che
«certa storiografia del Risorgimento pare tenda a risolversi in un
capovolgimento di valori, nel- l’apologia di reazionari, di capibanda, di
aguzzini, e nella diffamazione dei nostri cospiratori e dei nostri
martiri », Pieri ricordava come Omodeo, che ha vissuto sul
Carso e sul Piave, prima che negli archivi e nelle biblioteche, la
passione del Risorgimento italiano, e che fin da allora rinunziò agli agi
e alle prebende delle retrovie, può a buon diritto assumersi il nuovo
onere e il nuovo onore. Quanto grande del resto sia oggi l’influenza
dell’Omodeo, negli studi del nostro Risorgimento, presso ogni categoria
di studiosi, non esclusi i suoi più illustri avver- sari, è ormai a tutti
manifesto. Questo è il premio maggiore, per il chiaro studioso, e la
migliore prova del generale consenso che le sue vedute vanno acquistando,
nonché del posto preminente che oggi a lui compete nel campo della nostra
cultura storica 299. Analoga risonanza ha, nelle riviste di
fronda, il volu- metto su Gioberti, che sfata l’immagine gentiliana
del « profeta » del Risorgimento dal « pensiero in sommo grado
speculativo insieme e realistico », per mettere in rilievo, accanto alle
continue oscillazioni politiche, le ca- renze filosofiche e il sacrificio
giobertiano « dell’idea libe- rale al cattolicismo », contrapponendogli
il « liberalismo laico » di Cavour che, « ben lungi dall’essere
agnostico, 258 Lettera del 7 ottobre 1940 (A. Omodeo, Lettere,
cit., p. 628). 259 « La Nuova Italia; « Civiltà moderna; «Oggi;
«Nuova rivista storica. Le origini della casa editrice Finaudi
garantiva lo svolgimento autonomo delle fedi intrinseche alla
cultura ». E mentre Gentile vedeva nell’azione « popo- lare » di Gioberti
« uno degli ammonimenti tuttora più vivi della sua politica nazionale »,
« Omodeo dichiarava la neces- sità di insistere sui suoi « difetti » ed «
errori » « per ricor- dare a certo neoguelfismo di cattiva lega, che va
risorgendo, a certo neogiobertismo che ammicca vantandosi furbo, che
l’esperienza giobertiana è irriproducibile, non ha possibilità di
sviluppi in linea retta; il suo retaggio attivo fu assor- bito nella sana
politica del Cavour » 2°. Un’interpretazione laica, questa, che proveniva
dall'ambiente crociano, il cui legame con la casa editrice è attestato
anche dall’attenzione che alla produzione storiografica di Einaudi
riserva « La Critica ». Spicca in particolare la recensione al
Medioevo barbarico d’Italia di Gabriele Pepe (1941) — che era stato
stroncato dai giudici dell’Accademia d’Italia! —, ritenuto invece da
Croce « una delle opere più pregevoli » della « nuova storiografia »
cresciuta in Italia negli ultimi quindici anni, non cronachistica o
filologica, materialistica, economica, nazionalista ed etnologica, « ma
semplicemente e puramente umana, cioè etica (il che non vuol dire
mora- listica) », trovando in ciò concorde il giudizio di Luigi Ei-
naudi; e, con evidente allusione all’alleanza del fascismo con la Chiesa
e col nazismo, Croce faceva sue le tesi prin- cipali del volume —
giudicate con perplessità o come troppo tendenziose da altri recensori —,
secondo le quali i Longobardi « furono sostanzialmente un elemento
nega- tivo » nella storia d’Italia, cosî come il potere temporale
della Chiesa « non solo fu dannoso alla moralità e alla civiltà, sî anche
dannoso alla stessa azione, quale che sia, 260 A. Omodeo, Vincenzo
Gioberti e la sua evoluzione politica, Torino, Einaudi; per i giudizi di
Gentile, quali si erano venuti configurando fin dal 1919, cfr. ora G.
Gentile, I profeti del Risorgimento italiano, terza edizione accresciuta,
Firenze, Sansoni, 1944, pp. 69, 125. L’anonimo recensore della « Nuova rivista
storica » notava che il carattere di Gioberti « fu piuttosto di teorico e
di sognatore, an- ziché di politico mirante alla realtà dei fenomeni
politici e nazionali ; analogo il giudizio di U. Morra, Gioberti e
Garibaldi, « Oggi. 261 Cfr. G. Turi, Le istituzioni culturali del
regime fascista durante la seconda guerra mondiale, cdella Chiesa in
quanto istituto religioso perché il potere temporale non le dava ma le
toglieva forza, non le accresceva o garantiva libertà, ma la legava. Né è
detto che anche ai nostri giorni essa non abbia sollecitato e
accettato un dono, un piccolo dono, di Danai » ?°. Sulla
linea di una continuità di intervento liberale compare ancora una volta
Salvatorelli col Profilo della storia d'Europa, in cui è sempre presente
l’interpretazione multisecolare dell’unità della storia italiana, e torna
un motivo che abbiamo già trovato in Dawson, quello di una «
civiltà unitaria europea » la cui otigine è retrodatata rispetto
all'opera dello storico inglese, con forti — e attua- lizzati — elementi
di differenziazione dall’Oriente, in quanto la civiltà europea sarebbe
stata « preparata dai caratteri comuni che i popoli europei già
all’inizio dell’età storica presentavano rispetto all’Oriente. Fin
da adesso, insomma, l'Europa di fronte all’Asia rappresenta
l’individualità di fronte al collettivismo, la libertà di fronte al
dispotismo, il progresso di fronte all’immobilità » 2°. Espressione, come
il Sommario della storia d’Italia, di quel « nervoso e moderno
enciclopedismo » di cui ha parlato Sasso °*, il Profilo non esprime
particolari valutazioni sulle vicende della storia europea, se non
nell’unificazione, tipi- camente liberale, dell’esperienza della Russia
bolscevica e dei regimi fascista e nazista sotto la stessa etichetta
di « Europa autoritaria », e ciò nonostante nel volume ap- paiano,
come novità nella storiografia di Salvatorelli, fre- quenti accenni alla
storia economico-sociale, anche se in prevalenza relativi alla storia
antica, e non senza impto- prie attualizzazioni °°. Ma, forse proprio per
avere le stesse 22 «La Critica » Einaudi, Sui fattori
(economici morali ecc.) delle variazioni storiche, in «Rivista di storia
economica. Una certa « tendenziosità » di Pepe era colta da E.
Chichiarelli (« Nuova rivista storica) ed E. Farneti (« Oggi » Salvatorelli,
Profilo della storia d'Europa, Torino, Einaudi Ri Sasso, La
«Cultura» nella storia della cultura italiana, cit., p. A %5
Ad esempio, a proposito di Atene nel VI secolo a.C.: «È da
300 Le origini della casa editrice Einaudi caratteristiche
del Somzzario, la fortuna dell’opera fu note- vole, secondo la profezia
di Ginzburg — per il quale il Profilo, scriveva dal confino il 5 marzo
1942, « di sicuro aumenterà considerevolmente la diffusione della vostra
col- lezione storica » #4 —, e non certo indifferenziata, se nel
concedere il nulla osta ai volumi della casa editrice da introdurre in
Germania il Ministero della cultura popolare suggeri di «levar via il
Salvatorelli » ”, Infatti, pur lasciando scontenti i cattolici e i
crociani — lamentandosi, i primi, delle « due pagine striminzite dedicate
all’avvento del cristianesimo », e, i secondi, della mancanza di
una « superiore giustificazione ideale delle notizie raccolte » a
differenza della Storia d'Europa di Croce ? —, il volume riscuoterà nel
1943 l’elogio appassionato di Giovanni Mira, ospitato anch'egli, già
aderente al Partito d'Azione, sulle pagine della « Nuova rivista storica
»: Nella nostra età tempestosa — egli scriveva —, lontani
come siamo dal dogmatismo della storiografia cattolica, dall’orgoglio
razio- nale della volteriana, dall’ottimismo progressista della
ottocentesca, questo sforzo compiuto dal Salvatorelli per stringere in
breve la storia del nostro continente, per far capire anche agli ignari
come i fatti si sono svolti, con una narrazione cosi lucida da non
aver bisogno di commento, con una parola cosî piana da essere intesa
da tutti, col solo interesse di stimolare in sé e negli altri il riesame
del passato, con la sola morale di ritrovare nei fatti umani il lume
del- l’umanità: quest’opera è forse il più sano cominciamento che si
possa dare alla storiografia di domani ?9. notare come tra i
grandi proprietari ed i piccoli agricoltori si fosse for- mato un partito
medio, che potremmo chiamare della borghesia » (Profilo della storia
d'Europa, cit., p. 39). #6 AE, Ginzburg. 26 Alicata a
Einaudi, 30 maggio 1942 (AE, Alicata). 268 Cfr. «La Civiltà
cattolica », 94 (1943), vol. II, p. 52, e la recen- sione di E.
Chichiarelli ne «La Nuova Italia. 26 « Nuova rivista storica, p.
123. L'opera di Salva- torelli era presentata da Pietro Amendola al
fratello Antonio, in una lettera del 28 aprile 1941, come una « cronaca
», « tranne che per quanto concerne le questioni religiose o dei rapporti
tra gli Stati e la Chiesa, che è come sai il cavallo di battaglia del
Salvatorelli: allora abbiamo della storia vera e propria » (in Lettere di
antifascisti dal carcere e dal SEO, peo di Giancarlo Pajetta, Roma,
Editori Riuniti, Il volume di Salvatorelli testimonia la necessità, av-
vertita dalla casa editrice nel corso della guerra, di confron- tarsi con
le vicende degli altri paesi e di ripensare grandi momenti o figure del
passato, in saggi che, se si eccettua la cattiva cronaca del Cavour e
Napoleone III di Bono, accoppiano sempre alla dignità scientifica una
notevole capacità narrativa, e quasi sempre si fanno portatori di un
messaggio politico. Nel 1941 appaiono due studi di George Macaulay
Trevelyan: la Storia dell’In- ghilterra nel secolo XIX, tradotta da
Umberto Morra, riscosse il plauso di intellettuali di diverso
orientamento, come Curiel, che la giudicò « uno dei pit bei libri
di storia usciti in questi ultimi tempi » per l’« acutissima indagine
sociale », ed Ernesto Rossi, che la riteneva « frut- tuosa, per la
formazione della educazione politica. Contro l’irrazionalismo, oggi tanto
diffuso, mostrare gli sforzi coro- nati dal successo di tanti uomini
egregi del secolo scorso, che si proposero di modificare l'ordinamento
esistente per renderlo più adeguato ad un ideale di superiore civiltà
[...] significa fare una iniezione di ottimismo, e stimolare all’azione
consapevolmente diretta al pubblico bene » ?!. La rivoluzione inglese del
1688-89 era presentata da Ginz- burg come quella che aveva «improntato
del proprio formalismo e conservatorismo tutta la vita pubblica
nazio- nale » fino ad allora, tramandando tuttavia anche il prin-
cipio della tolleranza politica e religiosa — e Ginzburg invitava il
lettore italiano a leggere le conclusioni di Tre- velyan, che vedeva
nella rivoluzione « una vittoria della moderazione », e valorizzava il
sistema parlamentare in- Giudicato dall’editore libro « magistralmente
condotto» (lettera del 21 ottobre 1941, in AE, Del Bono), il lavoro era
negativamente recen- sito sulla « Rassegna storica del Risorgimento »
(XXX (1943), pp. 511-512) da Paolo Romano (Alatri), che gli contrapponeva
l’interpretazione omo- deiana di Cavour. 21 Cfr. CURIEL (si
veda) Scritti, a cura di Frassati, Roma, Editori Riuniti (segnalazione
apparsa nel « Bollettino del Fronte della gioventii » del febbraio 1944),
e la lettera di Ernesto Rossi a Luigi Einaudi del 18 novembre 1941 (AFE,
Rossi). Salvatorelli apprezzò l’opera in quanto correggeva l’immagine
stereotipa della vita politica inglese come semplice contrapposizione di
due partiti (« Nuova rivista storica », XXVI (1942), pp. 81-86).
302 Le origini della casa editrice Einaudi
glese nei confronti di « poteri accentrati di un nuovo tipo e ben più
formidabile che non quelli dell'Europa dell’ ancien régime », quali
quelli instauratisi in Europa nel dopoguerra 7°. Il significato politico
dell’opera è confer- mato dai giudizi negativi di Carlo Morandi, per il
quale, di fronte alle novità del secolo XX, l'Inghilterra non era
stata in grado di rivedere le sue posizioni, « preferendo rinchiudersi
nella difesa del passato » — « Ora, veramente, i motivi fecondi della
rivoluzione liberale del 1688 possono dirsi esauriti » ?? —, e di
Cantimori, pur già in contatto con la casa editrice, che la giudicava «
un saggio di apolo- getica costituzionale » dalla visione conservatrice,
dato l’« insistente paragone, a tutto detrimento di quest’ultima,
con la Rivoluzione francese », e un documento « della mentalità degli ambienti
universitari più vicini alla classe politica attualmente dominante in
Inghilterra » ?*. Sempre nel 1941 appare — non sappiamo se
prima della guerra all’URSS — la Storia della rivoluzione russa di
William H. Chamberlin, un’opera che l’editore aveva in preparazione fin
dal 1938 — opponendola, come « obiet- tiva », a quella degli Webb
proposta da Schiavi ?° —, e tradotta da Mario Vinciguerra: un lavoro in
cui l’autore dell’Età del ferro, pur attenuando gli accenti
apocalittici della prima opera per tentare una esposizione « narrativa
» degli avvenimenti russi dal 1917 al 1921, si presta a una lettura
fortemente antisovietica da parte di Omodeo, il quale osservava che, «
per quanto in vari punti l’autore indulga a correnti punti di vista
materialistico-storici e a connessi schemi classistici », sfuggiva in
realtà « agli schemi generici e vuoti del marxismo », per presentare come
deus ex machina della rivoluzione « la non amabile persona di
Vladimir Ulianov detto Lenin », uomo spregiudicato, con Trevelyan, La
rivoluzione inglese, traduzione di Pavese, Torino, Einaudi Pia di L.
Ginzburg), 168, 171 (citiamo dalla seconda edizione del 1945).
2733 « Primato », I (1940), n. 15, p. 20 (siglato CM.). 274
«Leonardo DA VINCI (si veda); analogo il giudizio di Tullio Vecchietti {«
Rivista storica italiana). 215 Finaudi a Schiavi, (AE,
Schiavi). UA) un legame scarsissimo col mondo circostante »,
caratteriz- zato dal « doppio aspetto del fanatismo implacabile e
della scaltrezza opportunistica », forgiatore di un partito che «
ricorda insieme il primitivo Islìm e la Compagnia di Gesù » e «
concepisce la dittatura sugli schemi del regime zaristico: dispotismo di
polizia » ?°. Analoghi motivi di discussione politica sono
suscitati anche dalla presentazione di grandi individualità
storiche di un più lontano passato, e provocano ora incrinature all’
interno della casa editrice, e fra questa e l’ambiente di « Primato » o
de « La Critica ». Il Richelieu di Carl J. Burckhardt è visto dal
curatore dell’opera Bruno Revel, sulla traccia dell’interpretazione di
Belloc — contestata da Salvatorelli —, come fondatore dell'Europa
moderna e del nazionalismo, artefice di quell’ordine, che
proprio ora ci sta crollando davanti cosi spettacolosamente, fino a
incidere anche nell’ambito della sfera privata. Tanto più se una quasi
ironica coincidenza di suoni con- fonda due nomi cosî ambigui come
Versaglia e Vesfaglia; sf che nou sai se la travolgente e frastuonante
insurrezione contro alla pace di Versaglia non travalichi ora tali
limiti, e non si spinga per avventura più addietro nei secoli, scalzando
dalle basi precisamente l’intero ordinamento europeo, quale era stato
introdotto e legalizzato nella storia dalla pace di Vesfaglia 27.
E contrastanti sono, nel 1942, due opere che presentano la
differente concezione dello Stato di rilevanti persona- lità della Grecia
antica: da un lato l’ Alessandro il grande di Georges Radet, che percorre
le vicende del biografato alla 2î6 La recensione, apparsa su «La
Critica» del 1943, è ora in A. Omodeo, I/ senso della storia, a cura di L.
Russo, Torino, Einaudi, 1970, pp. 362-365. 297 C.J.
Burckhardt, Richelieu, traduzione di B. Revel, Torino, Einau- di, 1941
(ediz. originale 1900), p. 9. Oltre a contestare la tesi di Belloc,
Salvatorelli sosteneva anche l’esistenza di contrasti fra poteri
temporale e spirituale nel Medioevo: «Fa della mitologia, o della
fantasia, il Revel quando ci parla nella sua prefazione di “quella felice
coincidenza di una cattedra sovrumana e di un ordinamento terreno” che
sarebbe esistita prima dell’età moderna » (Assolutismo del Richelieu, in
«Pri- mato. Notava l’analogia con la tesi di oc anche Mario
M. Rossi nella recensione all’edizione tedesca del 1937 («Nuova rivista
storica). Le origini della casa editrice Einaudî luce della
sua ispirazione religiosa — suscitando la critica di Omodeo che invitava
a una più concreta analisi storico- politica —, fa dire al curatore che
nell’opera di Radet si vede «sorgere e progressivamente attuarsi il
gene- roso ideale dell’eguaglianza di tutte le genti in un mon- do
pacificato e concorde » ?*; dall’altro Werner Jaeger — contro gli storici
tedeschi dell’800 che, come Droysen, avevano esaltato l’opera di
unificazione « nazionale » di Filippo il Macedone e di Alessandro, visti
come precut- sori di Guglielmo I difende il « martire della libertà greca
», Demostene: ed è significativo che mentre su « Pri- mato » Gennaro
Perrotta valorizza la politica egemonica di Filippo e di Alessandro
contro l’« angusta » difesa della libertà di Atene fatta da Demostene — «
ch'era libertà comunale, municipale » —, più tardi, sulla « Nuova
rivista storica », Giovanni Costa sosterrà la tesi di Jaeger facen-
done proprie le parole — «la lotta di Demostene è im- mortale, per
mortale che sia stata la nazione per cui com- batté ». Una tesi che già
dieci anni prima la stessa rivista aveva fatto propria, prendendo spunto
dal Demostene e la libertà greca pubblicato nel 1933 da Piero Treves
presso Laterza. Non mancano quindi elementi di contraddizione
all’in- terno della casa editrice, al di là dei limiti posti dalla
censura che non permettevano di superare la linea liberale di Omodeo o
quella moderata di Trevelyan. Sembra tuttavia di avvertire, al tempo
stesso, una maggiore cautela verso la casa editrice da parte
dell'ambiente crociano — come nel caso di Chamberlin — e di « Primato »
che, con l’inasprirsi 8 G. Radet, Alessandro il Grande, traduzione
di M. Mazziotti, To- rino, Einaudi, 1942 (ediz. originale 1931), p. XII.
La recensione di Omo- deo, apparsa su «La Critica » , è ora in A. Omodeo,
Il senso della storia. Secondo Giovanni Costa Radet operava una «
esagerazione magnificatrice » dell’opera di Alessandro, nel quale invece
« si sente l’autocrate, pi che l’uomo di genio » (« Nuova rivista storica
», Jaeger, Demostene, traduzione di A. D'Andrea, Torino, Fina di,
1942 (ediz. originale 1938); G. Perrotta, Demostene, gli antichi © i
moderni, in «Primato », ICosta in « Nuova rivista storica», XXVIII-XXIX
(1944-45), pp. 335-337; E. Cione in « Nuova rivista storica », della guerra, si arrocca in una posizione di
minore « aper- tura » culturale, accompagnata, alla fine del ’42, dalla
ces- sazione della collaborazione di Alicata e dal diradarsi di
quella di Muscetta. Uno sguardo ai progetti della casa editrice in questo
periodo, che riguardano in particolare il settore storico, può aiutarci a
spiegare questa iniziale presa di distanza. Alcune proposte, in questo
campo, tendono infatti a ricostruire una tradizione democratica nel
pensiero politico italiano a partire dalla Rivoluzione francese, e non
perdono il loro significato per il fatto di cadere nel nulla — anche per
le traversie della casa editrice dopo il 25 luglio —, o di essere
realizzate, in gran parte, dopo la Liberazione. Si comprende
come, in questo quadro, non abbiano esito le proposte avanzate da Maturi
nel 1942 ?”, scarsa- mente innovative nella tematica e, forse, ritenute
poco attraenti pet i legami di Maturi con Volpe, o quella di
Vittorio Gorresio, che nel 1941 aveva terminato un saggio sulla « storia
del bolscevismo in Italia » in cui sottolineava « l’isolamento del
partito comunista dal grande tronco del socialismo », ma che fu
sottoposto al giudizio di Pavese che lo ritenne « superficiale. Pieri,
che nella « Nuova rivista storica » aveva segnalato con simpatia alcuni
dei titoli più innovativi di Einaudi, propose una raccolta di saggi di
storia militare che « non furono terminati per il Volpe, perché io non
volli più sottostare alle osservazioni e mutilazioni di due
militari di professione messi alle costole all’Accademico », tanto
da dover subire le « sue basse vendette » 2; e mentre Cantimori, fra gli
altri progetti, avanza quello di una rie- dizione de La repubblica romana
del 1849 del mazziniano ministro degli esteri della repubblica Carlo
Rusconi ?* 280 Maturi propose volumi su Lord Bentinck e i Borboni
di Sicilia, Nigra, e Le interpretazioni del Risorgimento, frutto del
corso pisano del 1942-43 (AE, Maturi). 281 Gorresio a
Einaudi, 20 novembre 1941 (AE, Gorresio}; Einaudi ad Alicata, (AE,
Alicata). Pieri a Einaudi, 6 luglio 1941 (AE, Pieri). 283 Nel
1941-42 l’editore si dimostrava interessato a questa e ad altre
306 Le origini della casa editrice Einaudi Falco
propone, pur con riserve legate alla tendenza « mate- rialistica »
dell’autore, il volume di Domenico Dematco su Il tramonto dello Stato
pontificio — che sarà pubblicato nel 1949 —, e una scelta di scritti di
Giuseppe Montanelli in cui, osservava, « andrebbe conservato quanto
riguarda la coltura del tempo, problemi vivi anche ai nostri
giorni, come la democrazia, il socialismo, la personalità del Mon-
tanelli, soprattutto in relazione coi pensatori e politici contemporanei
» ‘4. Alessandro Schiavi, che aveva già pro- mosso presso Laterza la
pubblicazione di alcune memorie di esponenti socialisti, con la speranza
di poter continuare una battaglia politica ”, propone — senza suc- cesso per il timore
dell’editore di incorrere nella censura — un saggio di Zibordi sulla
Storia del partito socialista italiano nei suoi congressi, e nel 1942 un
proprio volume su I contadini e i socialisti italiani che si sarebbe
giovato di note stese da Nullo Baldini. Il 1° settembre 1942,
infine, Schiavi inviava a Einaudi tre cartelle di un suo Proezzio
al carteggio Turati-Kuliscioff, suscitando l’interesse dell’ editore, che
cercherà di avviare la pubblicazione nell'agosto 1943 perché « il libro —
scriveva — potrà riuscire som- mamente opportuno e formativo, nelle
prossime lotte sociali »; gli scopi politici dell’edizione erano ben
chiari anche a Schiavi, per il quale la giovane generazione,
che non ha avuto modo di conoscere i pionieri e gli artieri del movimento
sociale in Italia trascinati via dalla morte e dall’esilio, inibita di
leggerne la vita e l’opera nei libri perché arsi e sequestrati come
apportatori di veleni, ignara del senso di libertà che tien deste e aperte
le menti alle varie correnti del pensiero e dell’opinione e della critica
che le scerne e le affina, e che non è quindi in grado di giudicare di
quel movimento che fece di una plebe un popolo, proposte di
Cantimori, come la traduzione di Politik als Beruf e Wissen- schaft als
Beruf di Max Weber (AE, Cantimori). 284 AE, Falco. Significativa
la lettera inviata da Schiavi a Anzi per incoraggiarlo a scrivere le sue
memorie: «Non tutto sparisce colla inerzia imposta, oltreché dalle
circostanze, dagli anni, e un po’ della semente gettata germoglierà, e il
nostro spirito rinascerà in quelle particelle che andranno a formare la
società quale noi l’abbiamo sognata. Ed in tal senso il nostro io non
morirà » (ACS, Casellario politico centrale, b. 4689, fasc. 6133).
attraverso lotte, errori, cadute, e sforzi innumerevoli, se non nelle
leggende sconce e vituperose di avversari senza fede in un ideale, senza
rispetti umani, e sol gonfi di sé medesimi, potrà imparare da queste
lettere di che ‘lagrime e di che sangue l’ascensione delle classi
lavoratrici italiane voluta, preparata ed avviata da un pugno di uomini
colla sola forza della persuasione e della comprensione, della
solidarietà e della educazione [sic]. Alicata, mentre rifiuta la
proposta di tradurre Qu'est-ce que la proprieté? di Proudhon,
perché a parte il coraggio di certe formule diventate famose, è un
po’ fiacco nell’analisi dialettica », si faceva portatore della proposta
di Gastone Manacorda — il quale nell’ot- tobre dichiarava di averne già
terminato la traduzione — di pubblicare la Storia della congiura degli
uguali di Filippo Buonarroti — indicato da Venturi, su « Giustizia
e Libertà », come il « primo egualitario italiano” —, e del Sistemza politico
degli uguali di Babeuf. Il primo testo — che sarà pubblicato nel 1946 —
incontrò l’approvazione di Einaudi ?*, che nello stesso anno
pubblicò il Saggio su la Rivoluzione di Pisacane. Dai progetti si era
ormai passati alle prime realizzazioni; e la storia di questa edizione
non è meno significativa delle pagine di prefa- zione scritte da Pintor e
dell’eco che essa suscitò. Nell’e- state del 1941 Aldo Romano, che nel
corso degli anni ’30 si era già occupato della figura di Pisacane, aveva
proposto a Einaudi una scelta di suoi scritti, che in un primo
tempo avrebbe dovuto curare per la collana « Studi e documenti di
storia del Risorgimento » diretta da Gentile e Menghini presso Le
Monnier, e che non prevedeva il saggio sulla 286 Schiavi a Einaudi,
ed Einaudi a Schiavi (AE, Schiavi). 281 Gianfranchi [F.
Venturi], F. Buonarroti, primo egualitario italiano, in « Giustizia e Libertà.
288 Per Proudhon cfr. Alicata a Einaudi, 18 giugno 1942 (AE,
Alicata); per Babeuf e Buonarroti, Alicata a Einaudi, 11 maggio 1942 (AE,
Alicata); Onofri scriveva all'editore di avere esaminato assieme ad
Alicata una scelta di scritti di Babeuf (AE, Onofri); nel marzo 1943
Alessandro Galante Garrone inviava lo schema di un suo volume su Mazzini
e Buonarroti, mentre l’editore lo avvertiva che dal giugno 1942 Gastone
Manacorda era stato incaricato di tradurre la Conspi- ration pour
l’égalité di Buonarroti (AE, Galante Garrone). Le origini della casa
editrice Einaudi Rivoluzione. Alle obiezioni dell'editore, che
chiedeva solo quest’ultimo, Romano rispondeva che il terzo saggio
era « solo una parte dell’opera di Pisacane, ma non certo la più
importante. Staccata dalle altre rappresenta un fram- mento che ora non
vale la pena di pubblicare. Il terzo saggio contiene, nelle sue pagine
migliori, il pensiero sulla quistione sociale, ma non certo tutto il
pensiero poli- tico del Pisacane: le pagine migliori si trovano nel
IV saggio che, collegate a quelle poche del secondo, rappre-
sentano il pensiero del Pisacane sulla guerra, la sua filosofia della
guerra come creatrice di eventi »; ma il 2 settembre 1942 Einaudi gli
rispondeva di aver affidato la Rivoluzione a un suo collaboratore’. Non è
probabilmente senza motivo — o motivi — che il nome del democratico
meri- dionale, annoverato alla fine dell’800 fra i precursori del
socialismo, ma di cui nel 1932 Nello Rosselli aveva messo in luce le
contraddizioni del pensiero sociale per ricavarne l’ammonimento che « il riscatto
di un popolo dalla tirannia, dalla serviti, dalla cronica fiacchezza
politica, è anzitutto problema morale » — e Ferruccio Parri non mancò
di rilevare la riduttività del giudizio di Rosselli ?° —, tornasse
a circolare con lo scoppio della guerra: con patticolare riferimento alla
Guerra combattuta ne parlarono Giansiro Ferrata su « Primato » e, su «
Argomenti », Raffaello Ra- mat, che pose però l’accento anche sul
pensiero politico e sociale di Pisacane ?!. In questo contesto, la scelta
einau- diana trovava già predisposto uno spazio di intervento, ma
assumeva anche particolare rilievo, come ha ricordato Gerratana
affermando che essa « fu in quel periodo uno 289 AE, Romano.
29 Cfr. N. Rosselli, Carlo Pisacane nel Risorgimento italiano, con
un saggio di W. Maturi, Torino, Einaudi, 1977, p. IX, e la recensione di
Parri (siglata F. Pr.) al volume di Rosselli, che notava in Pisacane
delle « rigide postulazioni di comunismo autoritario e spregiudicato, le
quali sono — sembra a me in qualche dissenso da Rosselli — più che fredde
e formali e provvisorie acquisizioni ideologiche », e suggeriva di dare
maggiore spazio all’influenza di Marx su Pisacane {« Nuova rivista
storica). DI G. Ferrata, Strategia di Pisacane, « Primato; Ramat],
Per un'antologia di scritti del Pisacane, in « Argomenti. dei più
importanti contributi alla cultura antifascista della nostra generazione
» ??, Infatti nella presentazione del Saggio Pintor operava una netta
rottura con l’interpreta- zione di Rosselli: pur mettendo in luce i
limiti teorici e politici di Pisacane, coglieva in lui l’intreccio di
motivi maz- ziniani e marxiani e, soprattutto, lo indicava come «
l’unico socialista intransigente dell’Italia pre-unitaria, e un
socia- lista per temperamento e per metodi assai più vicino ai
moderni teorici che ai vecchi dottrinari di un’utopia collet- tivista »,
in quanto « l’affermazione cosi frequente in Pisa- cane che le idee
derivano dai fatti, e non questi da quelle, corrisponde nella sua
sommaria enunciazione al cosiddetto “rovesciamento della dialettica
hegeliana” operato da Marx » ?3, Era un’affermazione che, al di là della
sua cor- rettezza interpretativa, ebbe un’eco significativa: alcuni
la passarono sotto silenzio, come il recensore di « Critica fascista
» che si limitò a sottolineare l’autonomia di pen- siero e l'imperativo
morale del patriota, o la contestarono, come Gabriele Pepe, che dopo aver
messo in luce l’astrat- tezza di pensiero e la lontananza dal marxismo di
Pisacane, assegnò al Saggio un significato « esclusivamente
patriot- tico »; ma subito, nel 1942, Muscetta salutò su « Primato
» la ristampa di « un classico della pix schietta tradizione
rivoluzionaria italiana », mentre sulla « Rivista storica ita- liana »
Armando Saitta difese il valore teorico del suo pensiero, in particolare
l’intuizione, a suo parere marxista e sociologica insieme, del popolo
come « classe politica », e più tardi, nell’inverno 1943, Paolo Alatri
potrà affermare che « alla base di tutto il Saggio è una convinzione che
diffi- cilmente anche oggi, a circa un secolo di distanza nel tempo
da quando esso fu scritto, ci si sentirebbe di rifiutare: che cioè una
rivoluzione, per mutare veramente un mondo, deve 22. Introduzione
a G. Pintor, I/ sangue d'Europa, cit., p. XL.. 293 Cfr. la
prefazione al Saggio, del 1942, ora in G. Pintor, I/ sangue d'Europa.
Nonostante la conclusione della vicenda editoriale, il 16 febbraio 1943
Pintor ammoniva Einaudi: «ti ricordo l'opportunità di non buttare a mare
completamente i collaboratori che ti sono antipatici: i calci in faccia
dati a Romano e la distruzione del suo volume risultano ora piuttosto
dannosi giacché una scelta degli scritti di Pisacane non si improvvisa e
il volume è rarissimo » (AE, Pintor). Le origini della casa editrice
Einaudi essere sovvertimento di un ordine costituito non
soltanto politico ma anche e soprattutto sociale » ?*. Resta
l’interrogativo di come, nello stesso tempo, Pintor potesse consigliare a
Einaudi la pubblicazione, avvenuta nel 1943, de I proscritti di Ernst von
Salomon, uno degli assassini di Rathenau, un volume che l’editore
propagandò perché vi era rievocata la guerriglia « per strappare le
re- gioni baltiche alla minaccia bolscevica », e al quale già nel
41 aveva dichiarato di tenere molto, assieme a Volk obne Raum del
pangermanista Hans Grimm, « per il loro tono documentario
nazionalsocialista » ?5; una proposta che Pin- tor cercherà di «
riscattare » nella recensione al volume — pubblicata postuma —, tesa ad
analizzare, con moduli can- timoriani, anche se concettualmente assai più
fragili, la vi- cenda dei « reazionari di sinistra » tedeschi del primo
dopo- guerra, vista come testimonianza del « destino di un'epoca in
cui la tolleranza doveva diventare una colpa e la morte fisica
scendere con inaudita violenza su intere generazio- ni» 2,
L’interrogativo posto per Pintor ci sembra valido anche per
l’editore, che nel 1939 aveva consigliato cautela a SUCCI (si veda),
CRITICA FASCISTA; Pepe ne « La Nuova Italia », Don Santigliano
[Muscetta] in « Primato; A. Saitta in « Rivista storica italiana; P.
Romano [Alatri], in « Leonardo», XIV (1943), p. 247. 295 Cfr.
Attività Einaudi anno XXI (ACS, Segreteria particolare del duce,
Carteggio ordinario, n. 528771, sottofasc. 1); Einaudi ad Alicata, (AE, Alicata); G. Pintor, Doppio diario, Pintor,
Il sangue d’Europa, cit., pp. 162, 164. Recensendo più tardi il volume
Croce, dopo aver ricordato la nobile figura di Rathenau e la «radicale
negazione della moralità » dei « mistici » tedeschi, in questo simili ai
fascisti italiani, concludeva con velata ironia: «La tra- duzione
italiana del libro del Salomon, è stata pubblicata nel marzo 1943, nel
tempo dell’ancora imperante fascismo, e dovette perciò avere il lascia-
passare di quel regime: al quale è da credere che tale libro sembrasse edificante,
confortante, educativo, persuasivo per gli italiani, perché dettato nello
stesso spirito di talune delle nobili sentenze che allora si facevano
imprimere dappertutto sui muri delle case urbane e rurali. Ma l’accorto
editore, provvedendo a quella traduzione, avrà avuto di mira, crediamo,
l’intento opposto» (Misticismo politico tedesco («La Critica », 1944),
ora in B. Croce, Pagine politiche (luglio-dicembre 1944), Bari, Laterza,
Spellanzon nella cura delle Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848
di Cattaneo: poiché « la materia è, a novant'anni di distanza, ancora
cosi incandescente », scriveva Einaudi, era « indispensabile far
precedere il testo di Cattaneo da un’introduzione, che serva un po’ da
antidoto, un’intro- duzione che non sia naturalmente di piaggeria
carlalbertina, ma renda equilibratamente ragione dell’occasione e
dell’in- tonazione dell'Archivio triennale e di questi scritti che
ne formano l’ossatura ». Ma all’editore di Omodeo, spietato critico
della « leggenda » di Carlo Alberto, Spellanzon aveva risposto di non
essere sicuro di poter scrivere una introduzione-« antidoto », perché si
sentiva « meno caldo di furore di quell’uomo inesorabile e severo, vero
Farinata del secolo decimonono. Ma all’infuori del toro, e
all’infuori di qualche sua deduzione troppo consequenziaria, io condivido
molta parte dei giudizi del fiero lombardo! » ?”. Infatti nella
presentazione dell’opera pubblicata nel 1942 — che nella ristampa del
1949 sarà dedicata a Salvemini, Spellanzon faceva sue le critiche del
democratico mila- nese alla politica di Carlo Alberto, e coglieva negli
scritti dell’« Archivio triennale » «un acerbo disdegno per i
subdoli maneggi di servi cortigiani e gesuitanti, un caldo amore di
libertà inseparabile da ogni impresa di civile progresso. Anche in queste
pagine, il Cattaneo ci appare quel che fu durante l’epico momento delle
Cinque Gior- nate: il Farinata della rivoluzione nazionale italiana » ?*.
Scontate appaiono quindi, da un lato, le critiche de « La Civiltà
cattolica » e, dall’altro, la favorevole accoglienza di Pieri, per il
quale con questo volume « la tanto auspicata ricostruzione della storia
del nostro Risorgimento è final- mente in atto, nelle sue correnti
ideali, nel suo travaglio politico, nello sforzo d’elevazione morale di
tutta la vita italiana »; ma anche Carlo Morandi, su « Primato »,
invi- tava ad una lettura del Cattaneo democratico ben diversa da
quella proposta nel ’39 da Luigi Einaudi: « Nella storia, Einaudi a
Spellanzon, e Spellanzon a Einaudi, 7 luglio 1939 (AE, Spellanzon).
28 C. Cattaneo, Considerazioni sulle cose d’Italia nel 1848, a cura
di C. Spellanzon, Torino, Einaudi, 1942, p. XCII. 312
Le origini della casa editrice Einaudi se l’obbiettività è
un’utopia, la probità è un dovere. Sa- rebbe eccessivo affermare che la
probità del Cattaneo, anche in queste pagine, non è inferiore a quella
degli scrittori suoi contemporanei di parte avversa? Crediamo di no »
?” Ma poco prima del 25 luglio, alla vigilia di una nuova
fase nella vita della casa editrice, Einaudi cercava un punto di
equilibrio affidando ancora una volta a Salvatorelli il compito di
riassumere in rapida sintesi una riflessione del Risorgimento che
unificasse la concezione liberal-moderata di Omodeo e quella democratica
di Spellanzon, pur in una visione sempre etico-politica della storia. In
Pensiero e azione del Risorgimento, individuata nella circolazione
delle idee del '700 europeo la matrice del processo risorgimen-
tale, Salvatorelli superava sue precedenti incertezze inter- pretative
ripercorrendone le tappe attorno al nesso di « pensiero e azione », che
vedeva per la prima volta in- carnato dai giacobini italiani, per passare
poi nell’inse- gnamento di Mazzini e spiegare la « funzione capitale
» svolta dal Partito d’Azione. Pur contestando la sottovalu-
tazione di Cavour e l’unico punto — relativo alla rivolu- zione — in cui l’autore accennava al problema
sociale e il recensore sottolineava la « difettosa impo- stazione
etico-giutidica di tutti i moti socialistici » —, Omodeo poteva salutare,
su « La Critica » del 20 luglio 1943, « un’opera meritoria » nella dura
polemica contro « certi indirizzi semi-camorristici che con la prepotenza
han preteso imporre risultati prestabiliti alla ricerca storica »;
e Curiel inviterà a leggere il volume, perché metteva in luce « le forze
progressive della democrazia, indicandone le insufficienze per cui il
moto rivoluzionario per l’unità d’Italia sboccò nel compromesso
monarchico e nel pseudo- liberalismo antidemocratico » *”. Infatti dalla
ricostruzione ._ 29 «La Civiltà cattolica; Pieri in « Nuova
rivista storica », XXVII (1943), p. 143; Morandi in « Primato », III
(1942), p. 179. Cfr. anche, più tardi, la recensione di Bianca Ceva ne «
«La Nuova Italia. «La Critica; E. Curiel, Scritti (segnalazione sul
« Bollettino del Fronte della gioventd » del febbraio 1944). Anche Carlo
Morandi, pur non condivi- dendo alcune osservazioni particolari di
Salvatorelli, ne sposava comple- storiografica — che arrivava ad
accennare alla crisi del dopoguerra, pur senza nominare il fascismo —
Salvatorelli faceva scaturire nella pagina conclusiva un chiaro
messag- gio politico, invitando a « non subire le deformazioni e i
traviamenti delle visuali nazionalistiche »; ma a « preser- vare la
libertà di pensiero e d’azione, guardare dall’alto e lontano, ascoltare e
riflettere, preparare e costruire, se- condo le direttive di principio
espresse dalla coscienza storico-morale dell’umanità, in cammino verso la
sua meta divina: la pienezza di vita dello spirito nella fraternità
universale » *! A valori umani e civili non confinabili in un
ambito nazionalistico intendeva ispirarsi anche la nuova collana «
Universale » che cominciò a uscire nel 1942 sotto la direzione di
Muscetta, invitato dall’editore ad accelerarne i tempi di pubblicazione «
di fronte alle minacce di con- correnza che si annunziano da varie parti
» ®*”, Infatti, « Primato » presentava con soddisfazione l'uscita di due
collane « universali » ritenute necessarie, in quanto « fra le
caratteristiche di questa guerra, gli sto- rici ricorderanno anche la
fede nei valori della cultura, l'ardente bisogno di dissetarsi alle
sorgenti di vita eter- na » ®*: la « Corona » di Bompiani e la collana
einau- diana, cui avrebbe fatto seguito, nel 1943, la « Meridiana »
di Sansoni, con volumi il cui piccolo formato era imposto tamente
la tesi generale sulle origini non autoctone del Risorgimento, legate
alla Rivoluzione francese (La polemica sul Risorgimento, in « Pri- mato).
%! L. Salvatorelli, Pensiero e azione del Risorgimento, Torino, Einaudi Einaudi
a Muscetta, 23 marzo 1942 (AE, Muscetta). La discus- sione sulle
caratteristiche della nuova collana fu assai vivace quando l’editore pensava di
suddividerla in due sezioni, una « Biblioteca classica universale », dove
avrebbe potuto apparire l'Aesthetica in nuce di Croce, e una « Biblioteca
moderna universale »: cfr. G. Pintor, Doppio diario, cit., pp. 157, 163;
Muscetta a Einaudi, 29 ottobre 1941 (AE, Muscetta); Einaudi ad” Alicata, (AE, Alicata). Vice, Il problema delle «
Universali », in « Primato. A proposito della nuova collana, il redattore capo
della rivista, Giorgio Cabella, il 20 maggio 1942 scriveva a Einaudi: «
Non mancherò di farne parlare su “Primato” con quella cura e attenzione
che abbiamo sempre usato per le Vostre pubblicazioni e che questa
collezione merita » (AE, Cabella). Le origini della casa editrice
Einaudi anche da un dato oggettivo, la carenza di carta. Da
parte fascista si cercò di cogliere in queste iniziative la prova
di un sostegno della cultura alla « guerra italiana », « come se lo
spirito — affermava Lorenzo Gigli in un articolo della « Gazzetta del
popolo » fatto proprio da « Primato » — voglia in pieno conflitto
proclamare e dimostrare il rag- giunto grado della sua emancipazione e
sottintendere fin d’ora un impegno fondamentale nel processo ricostruttivo
di tutti i valori morali e materiali che seguirà alla conqui- stata
indipendenza politica ed economica della Nazione come frutto della guerra
vinta » ®*. La nuova collana di Einaudi si presentò tuttavia, fin
dall’inizio, come espres- sione di un rinnovamento culturale della casa
editrice, che intendeva ora allargare il suo pubblico con volumi agili
e a basso prezzo — non è un caso che dai 29 volumi si balzasse ai 53, per
attestarsi sui 41 nel 1943. Anche se l’annuncio editoriale era
necessariamente ambi- guo — la collana « non vuole assecondare diffuse
abitu- dini culturali, ma orientare il pubblico secondo un gusto
italiano, aperto alle esperienze moderne, ma sempre viva- mente sensibile
alla nostra secolare tradizione umanisti- ca » —, il giudizio espresso
nel dopoguerra, nella fase di preparazione di « Politecnico biblioteca »,
da Vitto- rini, al quale la vecchia « Universale » appariva « com-
promessa dalle inclusioni di opere esplicitamente reazio- narie » **, non
solo prescinde dalla necessaria collocazione storica dell’iniziativa, ma
risulta anche inesatto, e oppor- tunamente contraddetto da Concetto
Marchesi che, all’u- 30 Vice, Calendario, in « Primato.
305 Cit. da C. Cordiè in « Leonardo da VINCI (si veda). Vittorini a
Einaudi, in E. Vittorini, Gli anni del « Politecnico ». Lettere
1945-1951, a cura di C. Minoia, Torino, Einaudi, 1977, p. 8. Nella
comunicazione a Einaudi di un colloquio avvenuto il 4 luglio 1945 tra
Vittorini e Pavese a proposito dell’« Universale », si dirà che Vittorini
«intende aprire la collezione a moderna letteratura progressiva — sia
creativa sia polemica — la quale escluderebbe natural- mente molti titoli
che in passato entrarono nella collezione. Treifschke e Novalis non
possono sopravvivere quando entri, cosî per dite, il teatro di Saroyan,
la poesia di Toller, la polemica di un oratore sovietico. A Pavese pare
che possano » (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma scita dei primi
volumi della collana, lodava Einaudi per aver « fatto entrare la sua
attività editoriale nella storia della nostra cultura italiana che tanti
maltrattamenti e oscuramenti ha dovuto sopportare » *” Ciò
non significa che non siano numerosi titoli pura- mente letterari non
inquadrabili nelle finalità di un orien- tamento politico, prima e dopo
il 25 luglio, o che non fossero scartate proposte di testi più incisivi
da questo punto di vista **. Ma è bene ricordare che alcune
esclusioni sono da attribuirsi alla necessità di un compromesso con
la censura: « Bottai potrebbe dire una parola a Pavolini — scriveva
l’editore a Muscetta l’8 aprile 1942, rivelando un rapporto privilegiato
con il ministro dell’Educazione nazionale — [...]. Noi faremo molti
italiani e quindi anche qualche straniero [...]. Accetteremo nello
svolgimento del piano i loro consigli, e sospenderemo nel caso qualche
vo- lume che può essere inopportuno. Ma occorre che anche loro
collaborino con noi » *°. E tuttavia Einaudi poteva a buon diritto
scrivere ad Arrigo Benedetti che con l’« Uni- versale » gli pareva di
venire incontro « a un vero bisogno della nostra cultura nazionale. Tengo
molto a che questa collezione non passi per un tentativo di
volgarizzamento di cui non si sentiva affatto la necessità, ma per un
con- tributo fattivo a un riesame serio e consapevole del patri-
monio culturale universale. In quest'ultimo senso vorrei appunto che
fosse inteso l’attributo della mia collezio- 30? Marchesi a Einaudi,
(AE, Marchesi). 308 Per i vari progetti di pubblicazione cfr. AE,
Muscetta. Fra i testi non realizzati figurano: La rivoluzione e i
rivoluzionari in Italia di Ferrari, affidato nel giugno 1942 a Mario Ceva
e poi, nell’ottobre, a Cantimori AE, M. Ceva, Cantimori); i Pensieri
politici di Vincenzo Russo scartati dall’editore che, d'accordo con
Alicata, accantonò anche il progetto di pubblicazione del saggio sulla
libertà di Labriola — non sappiamo se quello Della libertà morale del
1873 o quello Del concetto della libertà del 1878 —, in quanto «le
osservazioni interessanti per lo sviluppo futuro del suo pensiero sono
appena marginali; siamo ancora in piena disqui- sizione psicologistica
herbartiana, priva di interesse per noi» (lettere a Muscetta del 24
agosto 1942 e ad Alicata, in AE, Muscetta, Alicata). Il 25 giugno 1943
Ginzburg inviava il sommario di un’antologia di scritti di Cattaneo (AE,
Ginzburg). 39 AE, Muscetta. 316 Le
origini della casa editrice Einaudi ne » *°. In effetti, le
finalità di apertura cosmopolitica della collana vennero rispettate, se
dal 1942 al 1946 i titoli ita- liani risultano solo 17 su un totale di
69, di cui 5 su 10 nel 1942 e 7 su 19 nel 1943; e le prefazioni, stringate
ma spesso assai incisive, furono affidate in molti casi a intel-
lettuali antifascisti, anche se non tutti quelli contattati, come
Marchesi, poterono rispondere all’appello. Cosi, mentre i Canti del
popolo greco di Tommaseo assumono oggettivamente, all’inizio del 1943, un
signifi- cato politico, l’Antologia di Spoon River di Edgar Lee
Masters, da tempo segnalata da Pavese che vi vedeva « un meraviglioso
mondo che ci parve qualcosa di più che una cultura: una promessa di vita,
un richiamo del destino », suggerisce alla curatrice, Fernanda Pivano,
l’osservazione che « solo le anime semplici riescono a trionfare
nella vita » *!, E Ginzburg, se ne La sonata a Kreutzer di Tol-
stoj indicava i motivi artistici come prevalenti su quelli sociali,
terminava la prefazione a La figlia del capitano ricordando l’epigrafe di
Puskin — « tieni da conto l’onore fin da giovane » ?* —, mentre
presentando Cristianità 0 Europa di Novalis Mario Manacorda metteva in
luce la « statolatria reazionaria » dell’autore, che trasferisce
allo stato « etico », nazionale e monarchico, quei compiti ideali di
civiltà che l’illuminismo assegnava allo stato razionale e cosmopolitico,
e, confondendo evidentemente stato e società, dà una cattiva versione
romantica dell’esser cive quando afferma che « il più umano dei bisogni è
quello di uno stato » e predica la necessità che lo stato sia dovunque
visibile anche nei distintivi e nelle uniformi 313. 310 Einaudi a
Benedetti, (AE, Benedetti). La
scelta delle novelle di Maupassant fatta da Benedetti non ottenne il
nulla osta della censura per l’inclusione di quelle riguardanti la guerra
del 1870 (Alicata all'editore, 30 marzo e 24 giugno 1942, in AE,
Alicata); il 30 luglio 1943 l’editore scriveva a Benedetti: «Facciamo
subito il Mau- passant. Dovresti tradurre le novelle di guerra escluse in
un primo tempo » (AE, Benedetti). 311 E. Lee Masters,
Antologia di Spoon River, a cura di F. Pivano, Torino, Einaudi, 1943, p.
XII; C. Pavese, La letteratura americana, cit., p. 64. 32 Ora
in L. Ginzburg, Scritti, cit., pp. 153, 289. 313 Novalis,
Cristianità o Europa, a cura di M. Manacorda, Torino, Einaudi, Accenti
anti-gentiliani, non privi talvolta di risvolti politici, sono
avvertibili anche nella presentazione di molti letterati e uomini
politici italiani dell’800: accanto alla valorizzazione del cristianesimo
di Capponi, ritenuto da Umberto Morra « più vivo » di quello manzoniano
*!, o all’inclusione di esponenti moderati del Risorgimento cari
alla concezione liberale di un Luigi Einaudi o di un Omo- deo, come
Cavour — di cui Cantimori cura una scelta dei Discorsi parlamentari
sottolineandone il realismo poli- tico *° —, appaiono autori propri della
genealogia risorgi- mentale di Gentile — Cuoco, Foscolo o Alfieri —,
ma profondamente rivisitati. Significativo non solo in questo
senso, ma anche come una sorta di manifesto di tutta la collana, è il
primo titolo pubblicato, le Ultizze lettere di Jacopo Ortis, che offriva
a Muscetta l’opportunità di far proprie le affermazioni pacifiste di un
commentatore di Foscolo — « Un popolo non deve snudare la spada se
non per difendere o conquistare la propria indipendenza. Se attacca i
vicini per aggiogarli, si disonora; se invade il loro territorio col
pretesto di fondarvi la libertà, o è ingannato o s’inganna » —, e di
riproporre la concezione democratica e antitirannica espressa in « pagine
dimen- ticatissime » da Cattaneo, per il quale Foscolo fu il
primo a gettare in Italia quella vanissima sentenza, che il « rimedio
vero sta nel riunire in una sola opinione tutte le sètte ». È idea
chinese, idea bizantina; e per essa la Grecia, sf feconda quand'era piena
di sètte, giacque per mille anni nel letargo della sepolcrale ortodossia
bizantina. Ogni setta che invoca questo sofisma intende solo imporre
silenzio alle altre tutte, fuorché a se stessa, e regnare unica e
sola3!. 314 G. Capponi, Ricordi e pensieri, a cura di U. Morra,
Torino, Einau- di, 1942, p.X. 315 C. Benso di Cavour,
Discorsi parlamentari, a cura di D. Cantimoti, Torino, Einaudi, 1942, p.
XII. Scrivendo a Finaudi, Ragghianti giudicava alcune note di Cantimori «
tendenziose, con un profu- mino di “marxismo” aggiornato, che dà noia »
(AE, Ragghianti). Foscolo, Ultime lettere di Jacopo Ortis, a cura di C.
Muscetta, Torino, Einaudi, 1942, pp. XIV-XV. «La Civiltà cattolica »
noterà che l’opera di Foscolo era posta all'Indice. Mazziotti presentava
Il Congresso di Vienna di Treitschke affermando che per l’autore lo Stato era
forza, 318 Le origini della casa editrice
Einaudî 10. I quarantacinque giorni, la Liberazione e il
Fronte della cultura Entusiasmo e frenesia di iniziative
contraddistinguo- no il periodo immediatamente successivo alla caduta
di Mussolini, quando ai tentativi di acquisire il controllo su un
giornale — , quando « Roma vive il primo giorno di libertà », Muscetta
invitava Einaudi a « metter le mani » su « Primato » *” — si aggiungono
a ritmo serrato, fino all’8 settembre, proposte di nuovi vo- lumi e
collane, destinate per la maggior parte ad essere definitivamente
accantonate o sospese fino alla Liberazione, non solo per l’incertezza
della situazione politica generale. Inizia infatti un processo di
riassestamento della casa edi- trice di non facile soluzione — tanto che
si ripresenterà, aggravato, —,
dove ai problemi ma che «una forza che calpesta ogni diritto deve
finalmente andare in rovina, perché nel mondo morale nulla si regge che
non abbia virtî di resistere AE, Muscetta. Intense furono le trattative
per l'acquisto di altri Genta Si pensò, da parte di Muscetta e Ginzburg,
a « La Ruota » da trasformare in settimanale sotto la direzione di Mario
Vinciguerra (AE, Vinciguerra; Muscetta), anche se Pintor affermava:
« Resta da decidere se l’acquisto di una rivista in questo mo- mento e
con le prospettive oscure che ci attendono sia un gesto oppor- tuno e
resta da fissare l’indirizzo politico della rivista. Un uomo come
Vinciguerra, degnissimo ma ufficialmente legato a un partito, non mi pare
il più adatto per la direzione » (AE, Pintor). Vi furono trattative anche
per « Il Lavoro italiano », per cui Pintor entrò in contatto con Piccardi
che non voleva — scriveva Pintor a Einaudi « affi- darlo a elementi troppo di
destra, dato che si tratta del Quotidiano dei Lavoratori. Temeva che tu
avessi le idee di tuo padre» (AE, Pintor, 30 luglio 1943; Muscetta. Per
la « Gazzetta del popolo », che Einaudi avrebbe voluto affidare alla
direzione di Felice Balbo, si chiese l'appoggio di Bonomi presso l’IRI,
ma Pintor non riuscî a convin- cere Menichella che — comunicava
all’editore — « vede nerissimo, pre- vede il regno dei grossi capitalisti
e un attacco in grande stile contro l’IRI. La “Gazzetta del popolo” come
la faremmo noi costituirebbe una provocazione contro i pescicani e
affretterebbe la catastrofe » (AE, Pintor; Bonomi). Il 18 agosto 1943
Einaudi scriveva ad Alicata: «Il periodico di educazione popolare che
saluterei con simpatia, sarebbe quello che votrei faceste tu e Vittorini questo
dovrebbe essere il giornale spregiudicato e vivo, dei tempi nuovi qui tutte le
manifestazioni della vita, politiche ma sovratutto di costume dovrebbero
essere rappresentate » (AE, Alicata). organizzativi si intrecciano le
divergenze fra i collabo- ratori, che acquistano ora rilevanza politica. Einaudi
riteneva « necessario l’accentramento in Piemonte dei servizi relativi al
funzionamento worzzale della casa editrice », mentre nell’agosto
incaricava Ginz- burg, liberato dal confino, di dirigere la sede romana
*: ed è da questa, dove nell’agosto è presente anche Franco
Venturi, che scaturisce una forte pressione degli azionisti — nelle loro
diverse componenti, dai liberalsocialisti ai « crociani » — che cercano
di condizionare a loro favore le scelte editoriali. Il
senato romano (presenti Ginzburg, Muscetta, Pintor, Giolitti, Venturi) —
scriveva Muscetta a Einaudi il 7 agosto 1943 — ha discusso e progettato,
ad unanimità, una collezione di attualità politica, a cui si darebbe il nome di
« Orientamenti ». Suggerisce di pubblicare, preferibilmente a Roma, per
ovvi motivi, una serie di volumetti formato « universale. Come è chiaro
dalla parola « Orientamento » la collana dovrebbe accogliere scritti
delle pi serie tendenze odierne per illuminare il pubblico sulle
condizioni reali dell’Italia e dell'Europa, per disegnare delle
prospettive di concreta ricostruzione politica, per offrire dei
contributi al chiari- mento dei più urgenti problemi, non esclusi quelli
ideologici, Ma le proposte concrete privilegiavano un
indirizzo azionista della collana, prevedendo i saggi di Guido
Calo- gero su Giustizia e Libertà dall’ambizioso sottotitolo «
breviario di politica » —, di Spinelli sull’unità europea, di Manlio
Rossi Doria sul problema agrario in Italia, quello sul Risorgimento che
Ginzburg stava prepa- rando, e una storia del socialismo di Franco
Venturi. Queste proposte — di cui si fece portatore, pur con riserve su
Calogero, anche Pintor? Disposizioni di Finaudi per la sede romana (AE,
Corrispondenza editoriale Roma-Torino). AE, Muscetta. AE, Pintor.
Fra le altre proposte « romane », Dal socialismo al fascismo di Bonomi
(già edito da Formiggini), Synthèse de l'Europe di Sforza, La terreur
fasciste di Salvemini, il Pisacane di Ros- selli e la traduzione da affidare a Rodano — de Les sources et
le sens du communisme russe del pensatore religioso, ex-marxista e ora
antisovietico, Nikolaj A. Berdjaev (AE, Corrispondenza editoriale
Roma-Torino), un’opera che sarà Le origini della casa editrice
Einaudi furono respinte dal gruppo torinese, che invece
approvò la ristampa di Nazionalfascismo di Salvatorelli, un’antolo-
gia di scritti di Gobetti che avrebbe dovuto curare Carlo Levi, un volume
di Mario Vinciguerra — Storia di cento anni (1848-1948) —, e la richiesta
a Guido Dorso di pre- parare una biografia di Mussolini *. Un netto e
signifi- cativo rifiuto riceve invece, a Torino, la proposta di
racco- gliere gli scritti politici di De Sanctis — il suggerimento,
tramite Muscetta, era arrivato da Croce # —, mentre viene lasciata aperta
la possibilità di pubblicare Guerra e dopo- guerra di Giacomo Perticone,
una storia della « crisi della coscienza politica italiana » ritenuta interessante da Giolitti, che
suggeriva l’eventuale opportunità di una collezione specifica che
potrebbe pre- sentarsi come « Contributi alla storia del fascismo »,
intendendo naturalmente il fascismo in senso lato, come crisi, per dir
cosî, della democrazia nazionale italiana; e allora rientrerebbero in
quei contri- buti anche le indagini sulla storia dell’Italia dopo il 1870
le quali sappiano vedere il fascismo già latente in certi aspetti della
vita politica dello Stato italiano, e non lo considerino soltanto come
un mostro emerso improvvisamente da chissà quali profondità, o come
la criminosa avventura di un gruppetto di sopraffattori:
un’indicazione di ricerca che superava la visione crociana della «
parentesi », ma che sarebbe stata raccolta molto tardi dalla cultura
storiografica italiana, anche se Einaudi si dimostrò interessato alla
proposta, cui cercherà di dar seguito dopo il 1945 ®. Di
fronte alle posizioni del « senato romano » — di- tradotta nel
1944 da Giacomo Perticone (Roma, Edizioni Roma); di Berdjaev Laterza
aveva tradotto Il cristianesimo e la vita sociale, mentre Finaudi
pubblicherà La concezione di Dostojevskij. 321 Cfr. C. Pavese,
Lettere; AE, Pavese (11 agosto 1943), Vinciguerra. Muscetta a
Pavese, 19 agosto 1943 (AE, Pavese); «Qui ognuno di noi si infischia sia
del Perticone, sia degli scritti politici di De Sanctis », si rispose da
Torino (AE, Muscetta). Giolitti a
Einaudi, 24 agosto 1943 (AE, Giolitti); «si potrà discutere la proposta
di Giolitti in merito a una collezione critica sul fascismo », scriveva
Einaudi a Pintor (AE, Pintor); e
Pintor era favorevole: cfr. la lettera del 24 agosto a Pavese (in C.
Pavese, Lettere viso al suo interno tra azionisti da un lato, Pintor e
Giolitti dall’altro — e di un Pavese, « nauseato
dall’indaffaramento politico della casa editrice » ’*, Pintor si
dimostrava preoc- cupato dell’unità dell’indirizzo editoriale: scriveva a
Einaudi che « le possibilità di “rottura” si ac- centuano e che la crisi
può intervenire da un momento all’altro », occasionata originariamente
dal « breviario poli- tico » di Calogero; « le varie discussioni —
aggiunge — hanno messo in evidenza un
problema che doveva inevitabilmente maturare. Non si tratta pit cioè
di dissensi personali che hanno sempre alimentato l’attività della
casa, ma di un contrasto di posizioni, che secondo me non è insanabile,
ma che deve essere chiarito se non vogliamo che diventi un elemento
pericoloso di erosio- ne » ?5, Da queste preoccupazioni scaturisce il
deciso inter- vento di Einaudi che provoca il naufragio della
collana « Orientamenti » considerata la « provvisorietà dell’inizia-
tiva » **, e punta su Ginzburg — liberato il 26 luglio dal confino — e
Alicata — uscito dal carcere —
come elementi moderatori delle diverse posizioni: tu avrai di
fronte — scriveva ad Alicata — una
persona che ha dato prova di grande serietà morale, e di w245- sima
comprensione per tutte le idealità politiche degne di questo nome.
Ritengo che tu possa lavorare con Ginzburg amichevolmente Pavese a Pintor,
(C. Pavese, Lettere). « In particolare — aggiungeva Pintor , per
“Orien- tamenti”, nonostante l’unanimità proclamata da Muscetta, io avrei
diverse riserve: vorrei che si tenesse conto del programma originario di
Balbo e vorrei che fosse consultato Vittorini »; e il 16 agosto scriveva
a Einaudi: « Il mio atteggiamento personale è molto conciliante: il clima
di lotta parlamentare che si è creato a Roma mi dà parecchio fastidio e
non vorrei assolutamente che si riproducesse nel lavoro della casa » (AE,
Pintor). 32% Einaudi ad Alicata, 18 agosto 1943 (AE, Alicata). La
decisione di Einaudi parve «discutibile » a Pintor: «In questo modo si
sfugge al primo problema posto dal coesistere delle diverse tendenze:
l’accordo deve essere ottenuto attraverso una rigorosa selezione delle
proposte, ma è indispensabile che la casa editrice segni il passaggio a
una nuova fase uscendo dagli schemi delle vecchie collezioni e
affrontando coraggio- samente l’attualità. A questo non bastano i
progetti di giornali e riviste che cominciano a diventare invadenti ma
occorre che si faccia qualcosa di nuovo anche nel campo editoriale » (a
Einaudi, 19 agosto 1943, in AE, Pintor). Le origini della casa
editrice Einaudi e con rapidità di decisione [...]. Comunque la
funzione di Ginzburg, in quanto collaboratore della casa, più che di
difensore di principi diversi è quella di moderatore, anche nei riguardi
della corrente che a lui può sembrare faccia capo. Tu usa con lui,
collaborando alla casa, altrettanta moderazione, sia pure con
intransigenza, in modo da arrivare nel nostro Senato anziché alla
disgregazione temuta da Pintor, alla collaborazione spontanea ?7,
In questa situazione, fatta di contrasti e di incertezze, cui si
aggiungerà dopo 1’8 settembre la dispersione dei col- laboratori e la
sostituzione di Giulio Einaudi — che si rifugerà in Svizzera — con il
direttore dell’ISPI Pierfranco Gaslini e il commissario prefettizio Paolo
Zappa, con i quali resta in contatto Muscetta, l’attività della casa
edi- trice conosce, nel 1943-44, una stasi, anche se viene dato
esito ad alcuni progetti precedenti. Non vengono pub- blicati,
ovviamente, i testi più politicizzati suggeriti dalla sede romana e
accettati a Torino, cosi come resta ine- dito E il gallo cantò di Augusto
Monti che, scriveva l’au- tore, « pur trattando di casi relativamente
remoti, è del- la più viva attualità, tanto che potrebbe avere per
sotto- titolo: origini del fascismo e dell’antifascismo. Nella «
Biblioteca di cultura storica » esce solo, nel 1944, La politica italiana
da Porta Pia a Vittorio Veneto di Bono- mi *’, mentre nei « Saggi » alle
Riflessioni di Montesquieu curate da Leone e Natalia Ginzburg per venire incontro
a « un rinnovato interessamento per certi valori umani, pro-
clamati dagli uomini del Settecento, e poi a lungo negletti 3 AE,
Alicata. Ma era necessario tener conto, scriveva Pintor a Einaudi il 31
agosto 1943, che Alicata «è preso da un'attività quanto mai turbinosa e
che negli ultimi giorni si è occupato quasi esclusivamente di fare
arrestare fascisti sediziosi » (AE, Pintor); perciò l’editore scriveva a
Ginzburg il 4 settembre: «La sua richiesta di sostituire Giolitti ad
Alicata nel Comitato Politico mi pare utile. Giolitti dovrebbe essere una
specie di supplente al quale Alicata delega, quando è impossibilitato a
partecipare alle riunioni, il mandato di voto » (AE, Ginzburg). 328
Monti a Einaudi, 15 agosto 1943 (AE, Monti). 329 Di Bonomi non fu
invece pubblicato Dd/ socialismo al fascismo, cui si dichiararono
contrari Pavese, Balbo, Venturi e Ginzburg, favorevoli Pintor e Giolitti:
cfr. Pavese a Muscetta (C. Pavese, Lettere, e Muscetta a Pavese, (AE,
Pavese). da un troppo unilaterale storicismo » *°, fa da contrap-
punto, nel 1943, la pubblicazione delle Memorie di Met- ternich in cui Casini
sottolinea l’« orrore » del cancelliere austriaco per la Rivoluzione
francese e la sua testimonianza « sul sangue che è corso per le piazze
di Francia, sulle violenze che hanno reso esecrabile questo evento,
sulla brutalità con cui sono stati incrinati e calpe- stati i fondamenti
dell’ordine » *!, Nell’unica collana che conserva una certa vitalità,
anche per il minor costo che richiedeva, 1’« Universale », accanto a
numerosi testi più propriamente letterari ne appaiono altri segnati da
un chiaro, anche se non univoco, impegno civile: alla presen-
tazione simpatetica del « buon senso » che traspare dagli Opuscoli
politici di D’Azeglio fatta da Vittorio Gorresio **, si accompagna il
Manoscritto di un prigioniero del mazzi- niano Carlo Bini, di cui
Goffredo Bellonci illustra la conce- zione del Risorgimento come
rivoluzione sociale capace di eliminare « le ineguaglianze materiali »
**; nel Della tiran- nide di Alfieri Massimo Rago coglie « uno spirito
veramente rivoluzionario » che cerca di « dar risalto alle forze
che ostacolano l'affermazione della libertà, e questo chiarimento
suona come un invito ad una più accurata osservazione delle esperienze
sociali » *4; mentre presentando Conquista e usurpazione di Benjamin
Constant Franco Venturi osserva come soltanto Jaurès e Mathiez avessero
insegnato a vedere nella Rivoluzione francese « il nostro moderno
problema di una rivoluzione sociale alle sue origini », come tale
non compreso da Constant, di cui per altro è esaltato il libera- lismo
che si manifesta nel « chiudere la rivoluzione, ma non per negarla: per
salvarne i principi rinati dall’espe- Ch. De Montesquieu, Riflessioni e
pensieri inediti 1716-1755, a cura di Leone e Natalia Ginzburg, Torino,
Einaudi, Metternich, Merzorie, a cura di G. Casini, Torino, Einaudi Azeglio,
Opuscoli politici, a cura di V. Gortresio, Torino, Einaudi, Bini,
Manoscritto di un prigioniero, prefazione di G. Bellonci, Torino,
Einaudi, Alfieri, Della tirannide, a cura di M. Rago, Torino, Einaudi, Le
origini della casa editrice Einaudi rienza delle assemblee e del
terrore. L’unico elemento di novità, n@ , è. È « Collana di
cultura giuridica » ‘diretta da Bobbio uno dei primi collaboratori di Einaudi,
la cui firma era apparsa anche ne La Cultura, che già era venuta
configurandosi come distinta dal progetto di una collana filosofica.
Pavese gli comunicò la proposta di Manlio Maz-. ziotti di una «
collezione di classici del diritto, la quale servirebbe a svegliare il
sonno dogmatico dei giuristi ita- liani, i quali credono che la loro
scienza consista nell’inter- pretazione e non nella creazione della legge
», e Bobbio rispose di essere anch’egli convinto che « nel campo
de- gli studi giuridici ci sia molto da fare per la diffusione di.
una cultura seria e creatrice: dalla scuola del diritto naturale ai
grandi giuristi tedeschi del secolo scorso; dalla moderna sociologia
giuridica alla dottrina pura del Kelsen. Che io sappia non è stata mai
tentata in Italia un ‘impresa del genere, che raccolga con un certo
ordine e con inten- dimenti culturali, e non tecnici, opere d’argomento
giuri- dico », a parte i « Classici del diritto » di Formiggini,
fer- matisi tuttavia nel 1933 al primo volume, I difetti della
giurisprudenza di Muratori ** Coadiuvato da Antonio Giolitti,
Bobbio cercò di dar vita alla collana con due opere già da lui preparate per
la « Biblioteca di cultura filosofica » *#’: nel 1943 appare il Giovazni
Althusius di Gierke, il continuatore della scuola storica di Savigny che
considerava il Constant, Conquista e usurpazione, prefazione di F.
Venturi, Torino, Einaudi. Già proiettato esplicitamente nel futuro
è il commento a E. Quinet, La repubblica, a cura di E. Lussu, Torino,
Einaudi, 1944, dove si afferma che gli italiani sono «arretrati d’un
secolo, ché tutti i fondamentali problemi di democrazia che il Risorgimento
poneva sono rimasti insoluti », e che «in Italia, dopo la disfatta, che ha in
comune con quella francese del 1848 solo l’imma- turità politica e non
l’epopea, la classe operaia va lentamente ricompo- nendo le sue forze e
maturando l’esperienza del passato, conscia del compito ch’essa è
chiamata ad assolvere. Pavese a Bobbio, e Bobbio a Einaudi, (AE, Bobbio). Bobbio
a Einaudi, 15 novembre 1942 (AE, Bobbio). diritto come « espressione della
coscienza del popolo », e con lo studio del giurista Althusius aveva
seguito « la via attraverso cui il pensiero moderno è passato per
elaborare quei concetti da cui è uscita la concezione dello Stato di
diritto, tanto più oggi preziosa — scrive Bobbio —, quanto più
minacciata, e tanto più viva quanto più con- dannata dagl’impazienti, dai
fanatici, dagli indotti di tutte le fazioni » **. Nel 1945 seguirà La
fondazione della filo- sofia del diritto di Julius Binder, « il più
intransigente e for- tunato assertore della rinascita hegeliana in
Germania », la cui opera, osservava Bobbio, serviva a scagionare la
filo- sofia italiana recente dall’accusa di provincialismo, « qua-
lunque sia poi il giudizio che si voglia formulare sul neo- hegelismo
italiano, al quale peraltro non si potrà discono- scere il merito di aver
tenuto il pensiero italiano lontano da quegli stessi estremi
dell’intellettualismo e dell’intuizio- nismo » contro cui combatté Binder
*’, Ma dopo questi due titoli — che venivano ad allargare ulteriormente i
già nu- metosi interessi della casa editrice la collana perderà i suoi connotati per
trasformarsi nel 1950 in « Biblioteca di cultura politica e giuridica »,
nonostante gli sforzi di Bobbio di mantenerle l’identità originaria,
convinto, come scriveva nel 1945, che « in un momento in cui è diventato
argo- mento di pubbliche e private discussioni il rinnovamento
delle istituzioni giuridiche tradizionali, dalla proprietà allo stato,
dall’eredità al sistema penale, si ridesta l’interesse per i problemi del
diritto e nello stesso tempo si rivela la ignoranza degli stessi da parte
dei più », per cui la collana poteva giovare « anche agli specialisti, i
quali, abituati a ripetere le solite formule senza ripensarle, ignari per
lo più 338 O. von Gierke, Giovanni Altbusius e lo sviluppo storico
delle teorie politiche giusnaturalistiche. Contributo alla storia della
sistematica del diritto, a cura di A. Giolitti, Torino, Einaudi, Binder,
La fondazione della filosofia del diritto, traduzione di A. Giolitti,
Torino, Einaudi. In «Società» si nota comunque che Binder finisce, come
Hegel, col fondare « una metafisica dello Stato e della storia », e si
ricorda che in altre sue opere « lo Stato nazionalsocialista viene
presentato come la pit rilevante incarnazione del- TOR a etico» (V.
Palazzolo, in «Società. Le origini della casa editrice Einaudi dei
grandi movimenti giuridici stranieri, sono incapaci di cogliere il
significato universale di una tecnica, di vedere in una formula il
risultato di un determinato orientamento del pensiero. La breve, intensa
ma caotica esperienza dei quaranta- cinque giorni non aveva comunque
permesso di definire con precisione quella « nuova » collocazione
culturale e politica della casa editrice sulla quale gli azionisti
avevano cercato di mettere un’ipoteca. Il problema si ripresenta
quindi all'indomani della Liberazione, con una intensità acuita dalla
necessità di individuare una prospettiva di pit lungo periodo, non più
resa precaria dalle contingenze bel- liche #. Il dibattito politico
interno acquista ora rile- vanza maggiore in quanto si intreccia con il
confronto aperto e aspro fra i partiti ai quali aderiscono vari
collabo- ratori di primo piano della casa editrice, e risente delle
spinte diverse provenienti dai vari centri culturali, la cui collocazione
geografica rispecchia la variegata situazione politica creata nel paese
dalla lotta di Resistenza. A quelle di Torino e di Roma si aggiunge nel
1945 la nuova sede di Milano con Elio Vittorini, l’intellettuale che
aderisce al partito comunista assieme a Pavese, col quale aveva
condi- viso l’interesse per la letteratura americana contemporanea,
cogliendovi tuttavia a differenza
di Pavese — soprattutto quegli elementi positivi di un popolo «
nuovo » e quella conferma della superiorità della cultura sulla politica
che trasferirà ne « Il Politecnico » e in alcune iniziative della casa
editrice. Grava sulla civiltà americana la stupidità di una frase:
civiltà Appunto sulla « Collana di cultura giuridica », cui seguono,
nume- rose proposte di pubblicazione (AE, Bobbio). 31 Questa
necessità era ben chiara, oltre che a Balbo, a Bobbio, che ammoniva Einaudi: «
Mi pare che ci stiamo lasciando tutti quanti tentare dalla seduzione
dell’attualità. Ti ripeto una frase memorabile: le case editrici si
misurano a decenni, non a mesi » (Archivio privato Bobbio).
#2 Cfr. le osservazioni di Garin, CRONACHE DI FILOSOFIA ITALIANA. Cfr. E.
Catalano, La forma della coscienza. L'ideologia letteraria del primo
Vittorini, Bari, Dedalo, materialistica. Civiltà di produttori: questo è
l’orgoglio di una razza che non ha sacrificato le proprie forze a
velleità ideologiche e non è caduta nel facile trabocchetto dei « valori
spirituali. Questa America non ha bisogno di Colombo, essa è scoperta
dentro di noi, è la terra a cui si tende con la stessa speranza e la
stessa fiducia dei primi emigranti e di chiunque sia deciso a difendere a
prezzo di fatiche e di errori la dignità della condizione umana,
aveva scritto Pintor cogliendo il messaggio di Americana di
Vittorini **. Caduti nella lotta di Resistenza Pintor e Ginzburg, mentre
Alicata si trova assorbito dall’attività politica, accanto a Vittorini e
Pavese emergono fra i colla- boratori della casa editrice altri
intellettuali comunisti, come Antonio Giolitti e Delio Cantimori, o
l’esponente del movimento cattolico-comunista Felice Balbo.
Nonostante la matrice comunista di questi intellettuali sia tutt'altro
che omogenea, tale da non impedire l’insorgere di contrasti, i
rapporti di forza interni tendono a spostarsi verso il PCI che, privo
all’inizio di propri centri editoriali, individua in Einaudi un
interlocutore privilegiato: ed è attorno al tema dell’orientamento politico
della casa editrice che nelle pagine seguenti concentreremo l’attenzione,
per cercare di coglierne alcune linee di tendenza nell’immediato
dopo- guerra, utili, nell’ambito di una ricerca che ha il suo
centro nel periodo fascista, a verificarne ulteriormente caratteri-
stiche originarie e capacità di rinnovamento. Balbo, da Torino,
scriveva preoccupato a Einaudi che « anche per la Casa vale quello
che vale per i partiti politici: qui la situazione è attualmente molto
spostata a sinistra e molto fluida specie negli ambienti intellettuali
per gran parte disorientati ed in attesa di poli- tica concreta, di
costume, di tecnica. Non dobbiamo lasciarci sfuggire l’occasione
favorevole perché poi le posizioni rea- zionarie potrebbero fissarsi
nuovamente » #5. Ma proposte concrete arrivavano contemporaneamente da
Milano: Il nostro programma editoriale milanese — si scriveva
sempre il 10 maggio a Einaudi — risponde ai criteri da te stabiliti:
iniziare 34 G. Pintor, I/ sangue d’Europa. AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma Le origini della casa editrice Einaudi la
pubblicazione di una rivista di punta che dovrebbe essere quella dal
titolo « Il nuovo politecnico », organo centrale del Fronte della
Cultura, iniziativa di carattere nazionale sorta da Curiel, Banfi, Vit-
torini che ne costituiscono il comitato d’iniziativa nazionale, il quale
a sua volta si appoggerà ai vari comitati regionali che saranno creati
successivamente. Questo Fronte della Cultura è destinato a interes- sarsi
a tutti i problemi di cultura, artistici e scientifici, per una loro
rivalutazione, o superamento, da elementi appartenenti a qualsiasi
ideologia o partito ma sinceramente orientati su un piano progressi- sta:
è un fronte quindi aperto a tutto il popolo italiano. Ma subito
dopo si precisava che il bollettino del Fronte si sarebbe occupato dello
« studio alla luce del marxismo di tutti i fenomeni e le situazioni
politico-culturali, avvalen- dosi delle collaborazioni di Vittorini,
Banfi, Remo Cantoni, Giansiro Ferrata, Pietro Zveteremich, e si accennava
all’ini- ziativa di una « collana marxista. L’estrazione politica
dei membri del Comitato nazionale del Fronte della Cultura ne esprimeva
del resto chiaramente l’orientamento: due esponenti del partito comunista
(Banfi e Vittorini), due rispettivamente di quello socialista e del
partito d’azione, uno (Mario Motta) per i Lavoratori cattolici *’.
Einaudi, pur convinto che « a Milano si giuoca una grande partita
per noi, si preoccupava tuttavia dell’insorgere di attriti fra i
responsabili delle varie sedi, e suggeriva una diversi- ficazione di
funzioni fra di esse. Perciò, mentre raccoman- dava la necessità di una «
fraterna intesa fra Torino, Mi- lano e Roma, in modo da costituire un
unico fronte pro- gressivo di cultura senza settarismi, aperto alla
collaborazione di ogni sincero democratico », nell’impostare il pro-
gramma delle riviste del Fronte proponeva, per Roma, « Risorgimento » e «
Cultura sovietica » — dal carattere, soprattutto la prima, pit « aperto,
una rivista di studi meridionali per Napoli, un settimanale
politico-culturale per Milano Il
Politecnico » — e, per Torino, un perio- dico economico, « sui problemi
della ricostruzione »: « in 36 Renata Aldrovandi a Einaudi (AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma). Einaudi a Renata Aldrovandi, tal
modo osservava — alle diverse sedi si
darebbe un significato concreto di legame tra gli intellettuali e i
pro- blemi che più interessano le masse immediatamente circo-
stanti, dando un pieno significato nazionale ai problemi che più sono
sentiti nelle diverse regioni » *. Al tempo stesso, tuttavia, il
contatto con l’ambiente politico romano gli suggeriva di correggere
l'orientamento che si intendeva dare a Milano al Fronte della
Cultura: « su un piano più generale politico di lavoro — scriveva a
Vittorini — tra gli intellettuali la
linea attuale come si va definendo a Roma è quella di fronte contro
i residui del fascismo, fronte nel quale si possono accogliere elementi
di partiti cosiddetti conservatori, che siano però sinceramente
antifascisti e quindi sostanzial- mente progressivi. Questa linea è meno
settaria di quella definita nell’ultima nota riunione di Milano, dove si
pen- sava in sostanza di fare un fronte delle sinistre, Era la
linea cui si ispirava il PCI, e che sarà espressa pochi giorni dopo la costituzione del
primo governo De Gasperi al suo congresso,
dove Togliatti rivolse un appello all’unità di tutte le forze
democratiche aprendo le porte del partito a quanti ne condividessero la
linea politica, « indipendentemente dalla convinzione religiosa e
filosofica », anche se Alicata si premurava di precisare che compito
degli intellettuali doveva essere la battaglia contro l’idealismo,
espressione della « cristallizzazione del provincialismo della cultura
ita- liana » !, L'indirizzo sostenuto da Einaudi è
rispecchiato fedel- mente dalle riviste edite a Roma, in patticolare da «
Risor- gimento », ma anche da « La cultura sovietica ». Questa
ultima, rivista trimestrale dell’Associazione italiana per i rapporti
culturali con l'Unione Sovietica, diretta nel 1945- Einaudi a Renata
Aldrovandi (e, per conoscenza, a Balbo e Vitto- rini), 16 maggio 1945
(ibidem). 350 AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma Cfr. P.
Togliatti, Opere scelte, a cura di G. Santomassimo, Roma, Editori
Riuniti, Ajello, Intellettuali e Pci 1944-1958, Bari, Laterza, Le origini
della casa editrice Einaudi da Gastone Manacorda, si proponeva di mettere
in cir- colazione quegli elementi di conoscenza della realtà sovie-
tica che erano stati impediti dal fascismo, il quale si ricorda nella Presentazione,
alludendo anche all’« oppo- sizione » liberale durante il regime — « andò
oltre la gros- solana propaganda calunniatrice e, studiandosi di
fuorviare gli intelletti dalla conoscenza del vero con tutti i mezzi pit
subdoli, diede diritto di cittadinanza, con benevola tolleranza, a tutto ciò
che fosse antisovietico anche se fuori del- l’ortodossia reazionaria. E,
pur svolgendo un’opera di acritica esaltazione delle realizzazioni
sovietiche — pubblicando ad esempio alcune pagine de I/ sistema
finanziario dell’URSS di Michail Bogolepov che appare nelle
edizioni Einaudi, o di passiva presentazione di opere come la Storia del
partito comunista (bolscevico) dell'URSS, della quale Manacorda faceva
proprio anche il giudizio sui « germi controrivoluzionari » presenti in
Trotzki anche quando egli era « apparentemente rivoluzionario » ®*, «
La cultura sovietica » si preoccupò soprattutto di mettere in
circolazione, tramite Ettore Lo Gatto e Angelo Maria Ripel- lino, la
letteratura russa contemporanea. Né è senza signi- ficato che l’articolo
di apertura della rivista fosse affidato a un intellettuale azionista, la
cui recente polemica con lo storicismo crociano non era priva di elementi
retorici, come Guido De Ruggiero, teso a dimostrare la necessità di «
ele- vare la politica alla cultura » per superare ogni chiusura
nazionalistica, e pronto a riconoscere che nell’Unione Sovie- tica « s'è
compiuta nell’ultimo trentennio la più profonda trasformazione che la
storia ricordi, e dal cui contatto con Ma, si continuava, il tentativo non
riusci: « ognuno ricorda quale interesse quel mondo abbia sempre
suscitato da noi; come avidamente si leggesse fra le righe di
testimonianze settarie e antisovietiche, le sole cui fosse concesso il privilegio
della pubblicazione o della traduzione; come rapidamente si esaurissero
quelle poche opere, generalmente tradotte dalla produzione di altri
paesi, ispirate ad obiettività d’informazione e a serenità di giudizio,
che qualche editore coraggioso riusciva di tanto in so) a mettere in
circolazione » (« La Cultura sovietica », I (1945), « La Cultura sovietica. la
civiltà occidentale potranno scaturire altri mutamenti non meno profondi Sempre con l’intento di combattere la
pretesa « neutra- lità » della cultura, in quanto tale ritenuta anch’essa
respon- sabile della nascita e dello sviluppo del fascismo, usciva
il 15 aprile 1945, sotto la direzione di Carlo Salinari, « Risor-
gimento »: decisa a operare « dentro la mischia », la rivista voleva
essere organo non di un gruppo, ma di una tendenza, « organo di cultura
di una società aperta e progressiva », unificante intellettuali di fedi
diverse che si erano trovati uniti nella lotta antifascista °°. «
Risorgimento », scriveva Salinari a Vittorini il 25 maggio, « vuol essere
una rivista d’incontro delle correnti progressive della cultura
italiana: ma, sorta fra un cumulo di diffidenze ed energicamente
sabotata dal PdA, deve naturalmente nei primi numeri avere un carattere
un po’ vago, se vuol mantenere la sua linea e non diventare una rivista
di partito. Noi qui a Roma ci troviamo di fronte a difficoltà che voi
forse neppure concepite! »; e, nonostante Vittorini fosse invitato a «
iniet- tare nella rivista del buon sangue del Nord, que- Ruggiero,
Cultura e politica, in «La Cultura sovietica. Su De Ruggiero, « fra le pit
caratteristiche espressioni delle ambiguità e delle incertezze degli
“intellettuali” italiani della prima metà del secolo », cfr. E. Garin,
Intellettuali italiani. « È un fatto — si aggiunge che non s'è avuta in Italia una cultura
dichiaratamente fascista e c'è chi si vanta di questa impermeabilità come
di un’anticipata condanna del fascismo. Ma la verità è che di fronte al
fascismo non bastava assumere un atteggiamento di distacco fra sde- gnoso
e prudente ma bisognava lottare apertamente in difesa di una col-
lettività spinta sempre più verso la schiaviti e la rovina »
(Presentazione, in « Risorgimento. AE, Vittorini: «Non appena potrà
prendere la sua reale figura », continuava Salinari, la rivista avrebbe
dovuto, fra l’altro, sostenere la -«« democrazia progressiva » e l’«
antinazionalismo », e « promuovere, per quanto è possibile, una
letteratura maggiormente legata alle aspirazioni delle masse popolari». Salinari
scriveva a Vittorini di essere stato incaricato da Einaudi di
«raccogliere il materiale per il Politecnico » utilizzando
l’organizzazione di « Risorgimento », e faceva proposte di collaboratori
anche se, aggiungeva, dubito che vi sia oggi in Italia un numero
d'’intellettuali tanto progressivi da poter alimentare una rivista del
genere. Per lo meno nell’Italia centro-meridionale. In un verbale del 6 giugno
1945 relativo ad una riunione per « Risorgimento », si dice: « Onofri
vorrebbe che la rivista si decidesse ad Le origini della casa editrice
Einaudi sta mantenne il suo carattere « vago » ed eclettico che
la espose alle critiche di « Società » *”: condizionata dalla
realtà della lotta politica, che rendeva sempre meno efficaci gli appelli
all’unità della Resistenza, la rivista finî senza poter realizzare il programma
previsto per il momento in cui essa avrebbe potuto « prendere la sua
reale figura ». Cosi, all’articolo di apertura su L'Italia e la
democrazia di Sturzo, per il quale « chi potrà operare la rinascita e la
redenzione del proprio paese non sarà né un uomo né una classe, ma tutto
il popolo animato dal sof- fio di un ideale e dalla forza di una volontà
» **, seguiva l’Esperienza di Spagna di Togliatti; assieme alle
testimo- nianze sul fascismo e sulla Resistenza, apparvero articoli
di Salvatorelli sui rapporti Italia-Jugoslavia o su Weimar, come di
Grifone sul problema bancario. Tuttavia nelle note e nelle recensioni di Salinari, Cantimori o Giolitti le prese di posizione erano più
omogenee: a proposito del dibattito sui rapporti fra liberismo e
liberalismo veniva negata l’identificazione operata da Einaudi, per
affer- mare che « la libertà politica può essere garantita anche da
una economia pianificata e collettivistica » *°, mentre nella polemica
fra De Ruggiero e Croce sullo storicismo si inter- assumere un
tono più polemico nei confronti delle altre tendenze e delle altre
riviste » (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma Risorgimento » ha un
carattere antologico, affermavano G. Pie- raccini e R. Bilenchi: «manca
appunto quello sforzo collettivo uni- tario che forma lo spirito di una
rivista. Anche il carattere progressista di questo periodico non riesce
ad affermarsi con un serio contributo » (« Società »). Nell’Archivio privato di
Felice Balbo si trovano degli « Appunti per “Risorgimento” », senza data
e non firmati, ma dove è rilevabile la mano dell’esponente
cattolico-comunista: « Concetto infor- matore: dopo l'oppressione della
tirannia fascista il Risorgimento riprende il suo cammino nazionale nelle
nuove condizioni obiettive sociali, cioè avendo come spina dorsale, la
classe operaia nella sua storica funzione di classe di governo e classe
nazionale; il Risorgimento continua vera- mente solo su questa strada.
Funzione della nuova classe dirigente rispetto agli intellettuali ed ai
tecnici. Funzione degli intellettuali con la nuova classe dirigente nella
costruzione della democrazia progressiva post-fascista. In una frase il
concetto è: pianificare e articolare la rivo- luzione come è pianificata
e articolata la reazione ». Segue una esempli- ficazione assai puntuale
del contenuto « ideale » della rivista. Risorgimento. Salinari], Libertà
politica e liberismo economico, in « Risorgimento », veniva per sostenere
la necessità che la filosofia crociana fosse « superata da uno storicismo
che affondi le radici più profondamente nel movimento dialettico della
storia degli uomini, da uno storicismo che non sia appannaggio del
conservatorismo, ma potente leva di una società nuova. Ma che sia sempre
storicismo, immanentismo assoluto » *° E sulle pagine di «
Risorgimento, con la Lettera a un intellettuale del Nord Fabrizio Onofri
preannunciava i termini del dibattito sulla « nuova cultura » che si
aprirà su « Il Politecnico » il 29 settembre, rivolgendosi a Vittorini
per affermare la necessità che un intellettuale veramente
progressivo, e perciò in primo luogo antifascista, oggi come ieri debba
necessariamente militare, se non in questo o in quel partito, certo al
fianco di quelle forze sociali organizzate che più e meglio garantiscono
l’abolizione dalla vita nazionale di tutte le forme di oppressione
fascista; debba cioè neces- sariamente « occuparsi di politica », che è
ora il modo migliore di occuparsi della propria sorte di intellettuale,
ossia badare a che non si ricreino sulla sua terra le condizioni di
schiavità in tutti i campi che contrassegnavano il fascismo, e che si
creino invece le condizioni politiche e sociali di quella libertà di cui
egli ha bisogno anche e proprio come intellettuale ?9, Ci è
parso opportuno accennare alle riviste meno cono- sciute del Fronte della
cultura, per rilevare l’ampiezza delle iniziative della casa editrice
tese, in accordo col PCI, a mantenere aperto, nel primo biennio
post-bellico, un dia- logo con tutte le forze democratiche, anche a prezzo
di dis- sonanze e di polemiche interne; ciò vale pur con una
sfasatura cronologica — anche per le più note e discusse ri- viste edite
in quel periodo da Einaudi: « Società », nata con una propria fisionomia
autonoma e critica tanto che
l’intransigenza di Luporini o di Cantimori verso il crocia- nesimo creò
motivi di frizione con « Rinascita, e solo alla fine del 1946 sottoposta
a un pi rigido controllo del partito *; e « Il Politecnico » che, invece,
solo con la nuova Salinari], Lo storicismo. Onofri, Lettera a un
intellettuale del Nord. Cfr. ora, pur senza i necessari approfondimenti, Domenico,
Saggio su « Società ». Marxismo e politica culturale nel dopoguerra e
negli Le origini della casa editrice Einaudi serie mensile passerà
dall’in- genuo dogmatismo del direttore a quella rivendicazione di
indipendenza e « apertura » che fu criticata da Togliatti come « ricerca
astratta del nuovo, del diverso, del sorprendente » *#. Ma al nostro discorso
interessa soprattutto notare che motivi di polemica antivittoriniana
erano pre- senti all’interno della stessa casa editrice, tali da
investirne l'orientamento complessivo nei suoi rapporti col partito
comunista. Pavese scrive a Einaudi, anche a nome di Balbo, che Vittorini
e Ferrata avevano radici troppo fonde in Milano per poterli
einaudizzare, cioè piemon- tesizzare. Vittorini sarà l’uomo del Nuovo
Politecnico, edizione Einaudi, organo del Fronte della Cultura, e del
relativo bollettino, stampati entrambi a Milano; Ferrata darà consigli
specialmente sui libri marxisti in cui è ferratissimo. Io invece, sino a
nuovo ordine, approvo l’eclettismo politico che la Casa conserva. Se
mai, sulla purezza d'orientamento giudichi uno solo (per esempio
Balbo, incorruttibile) non tutti i cani e porci che, muniti di tessera,
salte- ranno fuori, anni cinquanta, Napoli, Liguori, 1979.
Nello stesso senso la testimonianza di Cesare Luporini riportata da N.
Ajello, Intellettuali e Pci, cit., p. 71. A Einaudi, che il 3 maggio ’45
si era offerto di diffondere «Società » a Roma e nell’Italia centro-settentrionale,
il 22 maggio Luporini rispon- deva accettando, e affermava che la rivista
aveva «carattere di alta cul- tura, anche se non strettamente tecnico,
organica e decisa nella tendenza, ma del tutto aperta quanto ai problemi
e agli argomenti presi in considerazione » (AE, Luporini). Nelle «condizioni »
poste da Einaudi, si diceva al punto 3: «La Casa propone di stabilire un
collegamento reda- zionale tra “Società” e gli altri periodici della
Casa, attraverso Carlo Salinari, responsabile editoriale delle riviste
della Casa» (l'editore a Bianchi Bandinelli, in AE, Bianchi
Bandinelli). Ora in P. Togliatti, La politica culturale. Su « Il Politecnico
» come rivista del Fronte della cultura cfr. M. Zancan, « Il Politecnico » e il
Pci tra Resistenza e dopoguerra, in «Il Ponte. All’inizio Vittorini si era
preoccupato di far appa- rire la rivista legata al PCI: «Bisogna che la
Casa Einaudi si faccia conoscere come casa legata al P.C., che “Il
Politecnico” sia riconosciuto come settimanale di cultura legato al
P.C.», scriveva a Einaudi il 6 luglio 1945 (E. Vittorini, Gli cuni del
«Politecnico); si comprende come una collaboratrice di Einaudi, Garufi,
cercando di diffondere le riviste della casa editrice, e in particolare
«Il Poli- tecnico », in ambiente azionista, si fosse sentita rispondere
che «è assurdo pensare ad un interessamento anche minimo del Partito
d’Azione per un giornale cosî evidentemente comunista » (a Einaudi, in
AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma.concludeva duramente Pavese dopo aver
riferito il malcon- tento dei milanesi per la pubblicazione di Ore
decisive, le memorie dell’ex sottosegretario di Stato di Roosevelt
Sum- ner Welles che nel marzo 1940 aveva cercato un accordo con
Mussolini. Einaudi, pur prendendo le difese di Vittorini e Ferrata — « È
appunto perché essi hanno radici fonde a Milano che a noi interessano,
ribadiva la sua conce- zione non partitica del fronte culturale:
La Casa ormai si è acquistata la fiducia più assoluta negli am-
bienti che ci interessano, la nostra linea di attività è stata ampiamente
discussa e trovata la migliore, ed è cosa voluta l’assenza di ogni
settarismo, per concorrere col nostro lavoro all’affermazione di quel
fronte progressivo aperto, di quella unità, che è indispensabile
raggiungere per ragioni politiche, morali e culturali. Questo fronte,
ditelo anche a Milano, ove forse c’è ancora un po’ di settarismo,
comporta l’iriclusione, sul piano internazionale, anche dei Sumner Welles
quando tutti non sono dei Wallace ##, affermava evocando il nome
di quello che si stava dimo- strando uno dei più aperti esponenti
democratici statu- nitensi. Ma a mettere in crisi il «
settarismo » dei milanesi con- tribu probabilmente un intervento di Balbo,
in questo momento forse il più lucido consigliere di Einau- di,
interlocutore autorevole sia di Pavese che di Vittorini, e l’unico — a
quanto risulta — capace di formulare una visione e un programma
complessivi della casa editrice, non senza, tuttavia, elementi di utopia
e di contradditto- rietà. Riferendosi in particolare all’articolo di Remo
Can- toni su Che cosa è il materialismo storico, apparso sui nu- AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma 1945; Einaudi a Balbo. Balbo aveva
scritto a Finaudi: « attento a prendere delle decisioni per il Nord senza
esservi presente. A Milano bisogna andare con piedi veloci ma di piombo.
Vit- torini è tutt'altro che acquisito » (ibidem). Su di lui cfr.
il saggio, assai « interno » e discutibile, di G. Invitto, Le idee di Balbo.
Una filosofia pragmatica dello sviluppo, Bologna, il Mulino, 1979; sul
movimento cattolico-comunista, cui parteciparono alcuni collaboratori
della casa editrice come Motta e Rodano, cfr. Casula, Cattolici-comunisti
e sinistra cristiana, Bo- logna, il Mulino. Le origini della casa
editrice Einaudi meri 2 e 3 de « Il Politecnico », Balbo
scriveva a Einaudi che il tutto rappresenta un tentativo un poco
mistico, un tentativo di sostituire un mito vecchio con un mito nuovo e
quindi è in fondo. antieducativo. Si dovrebbe, mi pare, tendere a formare
in tutti i lettori quella mentalità nuova che è scientifica, critica,
sperimentale e aperta mentre Politecnico presenta il materialismo storico
troppo come una pietra filosofale. Se si deve fare un giornale di cultura
e non di propaganda, come credo debba essere anche se prima d’ora lo
era solo in parte, è necessario, proprio sui piani di cultura in senso
stretto (e in questo caso del materialismo storico), affrontare le
critiche, non eluderle dogmaticamente attraverso impostazioni che
ripetano le formule in cui il materialismo storico è sorto. Un mate-
rialismo storico cosî « affettivo » soffoca ed elude lo stesso sforzo di
apertura di Cantoni. A conferma dell’autorevolezza del suo
intervento, que- ste critiche saranno fatte proprie dall’editoriale che
conclu- deva, « Il Politecnico » settimanale: Noi non abbiamo avuto,
col settimanale, una funzione propria- mente creativa, o, comunque,
formativa. L'altra funzione, la divul- gativa, ci ha preso, a poco a
poco, e sempre di più, la mano. Ci siamo lasciati andare ad essa. Abbiamo
compilato, abbiamo tradotto, abbiamo esposto, abbiamo informato, abbiamo
anche polemizzato, ma abbiamo detto ben poco di nuovo. In quasi tutte le
posizioni che abbiamo prese, pur senza mai sbagliare indirizzo, ci siamo
limi- tati a gridare mentre avremmo dovuto dimostrare. E troppo
spesso abbiamo dato sotto forma di manifesto quello che avremmo
dovuto dare sotto forma di studio. Ci siamo trovati cosî a
divulgare delle verità già conquistate mentre avremmo dovuto cooperare
alla ricerca della verità. Nella stessa lettera del 20
ottobre Balbo allargava il discorso all’attività complessiva della casa
editrice, indivi- duandone la carenza di fondo nella mancanza di una
precisa strategia di politica culturale: L’ottimismo non è
sufficiente alla lotta. Ci vuole positività e 36 AE,
Corrispondenza editoriale Milano-Roma. Remo Cantoni propose un Dizionario
marxista per aggiornare il lettore « su quel sapere: che è stato oggetto
di ricerca e di analisi specifica da parte dei marxisti » (AE,
Cantoni). quindi contatto continuo con i dati veri della totale situazione
italiana. Tra l’altro, Milano, ricordiamolo, è di natura troppo euforica:
a Milano, come osservava Gobetti, è possibile ogni avventura, da quella
di Marinetti a quella del Popolo d’Italia. Il punto di vista è, malgrado
tutto, Roma. In noi c'è ancora troppa men- talità insurrezionalistica e
cioè: a) precipitazione; b) estremismo anzi piuttosto « avanzatismo »; c)
visione asfittica o almeno sempli- cistica di tutti i problemi sia
culturali che politici; d) mancato appro- fondimento del « a che punto
siamo » sia politicamente sia, per noi, soprattutto culturalmente. Come
conseguenza di una matura- zione mancata o non avvenuta, si scivola,
sembra impossibile ma è cosf, su modi e impostazioni ancora fascisti o
almeno vecchi. In- somma Einaudi 1945 è in fondo, capiscimi, pit fascista
di Einaudi 1940. Proporzionalmente siamo calati di tono invece di
crescere; e concludeva individuando un arretramento di posizioni
ri- spetto agli avversari e l’incapacità di sfruttare appieno « le
grandissime possibilità che abbiamo, in uomini e in possi- bile chiarezza
di idee ». Le critiche — e l’apparente paradosso — di Balbo
ave- vano la loro ragion d’essere non solo in rapporto al suo idea-
le di cultura e al suo modello di una casa editrice « critica- mente »
progressista, ma anche, come vedremo, rispetto alle concrete iniziative
di Einaudi, che riflettono, in molti casi, un'eredità difficile da
superare. Ma in queste ebbe probabil- mente un'influenza lo stesso Balbo,
che cercava di coniugare un’analisi ispirata al marxismo con soluzioni di
stampo cat- tolico. Il suo concetto dinamico di cultura, che ne vedeva
il mutamento col mutare dei rapporti di produzione, e coglieva
gramscianamente la lentezza del processo di adeguamento degli
intellettuali ai nuovi stadi via via raggiunti dalla socie- tà, invitava
— senza i toni ingenui di un Vittorini a
quell’avvicinamento fra cultura e realtà che tuttavia — contrad-
dittoriamente — il cattolico Balbo riteneva raggiunto in mo- do esemplare
nel medioevo, perché « nella sua produzione, sia agricola che artigiana,
architettonica o scientifica, nelle ideologie politiche come in quelle
religiose, si rivela una sin- golare unità, superiore ai contrasti, che è
quella del concetto feudale della proprietà o del nascente diritto
comunale ». Al contrario, la cultura contemporanea, gelosa della
pro- pria indipendenza e « irresponsabilità » di fronte alla
classe dominante e ai processi produttivi dell’epoca industriale,
aveva dato luogo, tra le due guerre, a quell’irrazionalismo « che rese
possibili tutte le mitologie disumane che hanno vagato e forse vagano
ancora, paurose, sui continenti », mettendosi di fatto al servizio dei «
privilegiati », per cui « la cultura del capitalismo è scritta sulle
facciate delle metropoli moderne, è la grande officina, la produzione
cro- nometrata, l’esercito motorizzato, la grande stampa, il cine-
ma ». Con un rigore e una violenza intellettuali ben mag- giori
dell’editoriale con cui Vittorini apri « Il Politecni- co » — e per il
quale questo scritto avrebbe forse dovuto servire da traccia —, l’esponente
cattolico-comunista con- tinuava: Rimproveriamo dunque
all’idealismo di Croce, all’umanesimo di Thomas Mann e allo spirito « non
prevenuto » di Gide, o meglio agli idealismi, umanesimi, cristianesimi,
spiritualismi, esistenzialismi ecc. che da quelli provengono (e per
quella parte almeno d’essi e dei loro discepoli che vorrebbe farci
credere d’aver trionfato con la Carta Atlantica e la bomba atomica)
d’essere insufficientemente critica con se stessa e perciò sterile,
imbalsamata, defunta — regressiva. Lottare per una nuova cultura
intellettuale equivale a lottare per una nuova società e ad
affermare — concludeva in conformità con la propria concezione
filosofico-religiosa — « il concetto di persona umana o di uomo
obbiettivo e origine d’ogni cultura, inteso come l'individuo nella
coscienza della propria correlazione col prossimo e delle proprie
determinazioni storiche. Nel quadro di questo discorso, nel quale appare
decisa- mente superato ogni residuo crociano della sua formazione
originaria **, Balbo presentava un « abbozzo di teoria gene- rale di una
casa editrice culturale in senso stretto », in cui il notevole sforzo di
chiarificazione teorica era finalizzato a Balbo, Una nuova cultura,
dattiloscritto senza data ma con l'indicazione «per servire alla
elaborazione dell’editoriale. Si chiede da 3 lo stile con baffi e
favoriti, da falso-Cattaneo » (Archivio privato). Diversamente da quanto
sostiene G. Invitto, Le idee di Felice Balbo, cit., in particolare p.
29.trovare i mezzi necessari alla promozione degli « essenziali valori
dell’uomo. La ricerca di un nuovo orientamento e l’eredità del
passato Le critiche e le proposte di Balbo che ritornerà su
questi temi insistentemente, fino al suo distacco dal marxismo e dalla
casa editrice — miravano ad un fronte « critico » della cultura che
lasciava tuttavia ampi spazi per ritorni mistici o più propriamente
tomistici, come avvertirà più tardi Bobbio. Ma, nonostante alcuni testi
pubblicati portino il segno esplicito o implicito — della sua presenza,
fra il suo modello di casa editrice di cultura e gli indirizzi editoriali
effettivamente attuati esiste un notevole scarto, non attribuibile
soltanto ad una « sordità » dei suoi interlocutori o ad un loro
consapevole rifiuto delle sue proposte, ma, soprattutto, alla situazione
oggettiva. Il suo progetto editoriale si affidava infatti ai tempi lunghi
e non teneva sufficientemente conto — come riconoscerà alcuni anni
dopo lo stesso Balbo — dei contrasti ideologici e poli- tici all’interno
della casa editrice, del peso della tradizione che questa si era formata
nel decennio precedente — di cui Balbo contribui a tenere in vita alcuni
aspetti —, e dei reali rapporti di forza esistenti nella vita politica
italiana, o del loro rapido mutamento, che portò nel giro di due
anni 369 I compiti della casa editrice erano individuati nel «
puntare alla egemonia editoriale nel suo genere », e nello scegliere
«quelle opere che in se stesse ed in riferimento alla situazione storica
che si svolge, siano realmente necessarie o utili a far maturare e
sviluppare il potenziale culturale dell’intero pubblico colto »; la «
capacità di scelta » della casa editrice si doveva misurare sul piano
filosofico e su quello scientifico: « La capacità filosofica significa
essere in grado di giudicare i valori cul- turali in sé, secondo la
nozione di valore e disvalore, e quindi il saper riconoscere tutti gli
essenziali valori dell’uomo, ossia l’essenziale di ciò che è
indispensabile alla sua pienezza. La capacità scientifica significa
essere in grado di giudicare i valori culturali per riferimento al
movimento storico în cui ci si trova, significa quindi comprendere le
necessità della rivoluzione » (Appunti sulla casa editrice,
dattiloscritto senza data in Archivio privato Balbo). Le origini
della casa editrice Einaudi alla rottura dell’unità antifascista e
alla guerra fredda, con pesanti riflessi — non certo favorevoli a visioni
critiche o problematiche — anche negli schieramenti culturali.
Oltre al difficile equilibrio politico fra le varie sedi e fra i
diret- tori delle collane *°, all’organico orientamento della casa
editrice richiesto da Balbo si opponeva la sua stessa multi- forme
attività rilevata da Pavese e da Giolitti, per i quali essa manteneva la
caratteristica originaria di « eclettica officina di culturanon c'è altro
editore in Italia che copra un campo cosi vasto, moltiplicando
contrasti e contraddizioni: ad esempio, mentre la redazione romana
« si oppone energicamente » e con successo alla pubblica- zione dei
Cinquant'anni di vita intellettuale italiana in onore di Croce proposta
da Carlo Antoni, l'edizione delle Lezioni di filosofia di Guido Calogero
vede la netta opposi- zione di Pavese, Balbo e Giolitti, ma
l'approvazione — vin- cente — di Bobbio”. Nei volumi pubblicati
nell’imme- diato dopoguerra possiamo del resto constatare, accanto
ad una notevole opera di sprovincializzazione della cultura ita- Einaudi
invia a Pavese un Pro-memoria della Direzione » inteso a riorganizzare il
lavoro editoriale: Pavese e Vittorini consulenti, Natalia Ginzburg
vice-consulente per « Poeti», « Narratori contemporanei, Giganti, «
Narratori stranieri tradotti »; Pavese e Vittorini consulenti, Balbo
vice-consulente per la progettata collana « Cor- rente »; Mila
consulente, Pavese e Balbo vice-consulenti per i « Saggi; Chabod
consulente esterno, Manacorda e Giolitti vice-consulenti per « Bi-
blioteca di cultura storica » e « Scrittori di storia »; Bobbio
consulente esterno, Balbo vice-consulente per « Biblioteca di cultura
filosofica »; Ceria- ni consulente esterno, Giolitti vice-consulente per
« Biblioteca di cultura e- conomica » e « Problemi contemporanei »;
Cantimori consulente esterno, Manacorda vice-consulente per « Biblioteca
marxista »; Balbo e Rodano consulenti, Giolitti vice-consulente per «
Problemi italiani »; Giolitti e Vit- torini consulenti, Salinari
vice-consulente per «Testimonianze »; Vit- torini consulente, Pavese e
Balbo vice-consulenti per la Vittoriniana che avrebbe dovuto sostituire
l’« Universale »; Aloisi consulente esterno, Mana- corda relatore al
consiglio per « Biblioteca di cultura scientifica »; Ragghianti direttore della
« Biblioteca d’arte »; Debenedetti direttore della « Nuova raccolta di
classici italiani annotati » (AE, Pavese: dove ci sono altre proposte di
Einaudi e la risposta di Pavese del 7 settembre, con alcune osservazioni
critiche.Pavese e Giolitti alla Direzione di sede di Roma, 25 ottobre
1945 (AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945). 37 «
Pro-memoria per la Direzione Generale » della redazione romana, sulla
proposta di Antoni, e sulla proposta di Calogero liana, motivi di
disorientamento, schematiche attualizza- zioni politiche di problemi
storiografici, assieme ad ecces- sive cautele e perfino a tendenze
conservatrici — se misu- rate sul metro dei propositi enunciati da
Einaudi nel 1945 — che i giudizi delle stesse riviste einaudiane,
cosi come di « Rinascita », non mancano di mettere in evidenza.
Senza ripetere, come in precedenza, quell’analisi a tap- peto dei
volumi, e delle relative recensioni, che era indi- spensabile per la
produzione del periodo fascista, quando era importante sottolineare anche
singole affermazioni sfug- gite alle maglie della censura, ci
soffermeremo soltanto sui testi di alcune collane — i « Saggi », la «
Biblioteca di cul- tura economica », la nuova serie dei « Problemi
contem- poranei », i « Problemi italiani » e la « Biblioteca di
cultura filosofica » — che permettono di individuare l’orientamento
generale, culturale e politico, della casa editrice all’indo- mani del
1945. Ciò non ci esime, tuttavia, dall’accennare al significato di alcuni
titoli delle collane letterarie o stori- che: nei « Narratori stranieri
tradotti » apparvero, accanto ai classici, Kafka e Proust, mentre i «
Narratori contempo- ranei » si aprirono alla produzione straniera con I/
muro di Sartre — non senza contrasti ” — e con Fiesta e Avere e non
avere di Hemingway, il cui carattere rivoluzionario, rivendicato da
Vittorini, era sprezzantemente negato e ri- dotto ad una somma di
sensazioni « elementari » ed « egoi- stiche » da Alicata, che giudicò «
superficiale » anche i Dieci giorni che sconvolsero il mondo di Reed con
cui si 393 «Il libro è indubbiamente molto bello e anche l’ultimo
racconto, però può capitare che un pubblico non molto preparato caschi
facilmente in equivoco. Forse libro e autore andrebbero presentati. Resta
da vedere cosa ha fatto Sartre durante l'occupazione nazista — pare che
due o tre suoi libri siano stati pubblicati dalla N.R.F. in questo
periodo », si scriveva da Roma all’editore il 4 giugno 1945 (AE,
Corrispondenza editoriale Torino-Roma). Il libro era già stato suggerito da
Pintor in una lettera a Pavese del 21 aprile 1943 (in C. Pavese, Lettere.
Il muro fu denunciato per oltraggio al pudore; il 4 aprile 1947 Pavese ne
dava notizia a Corrado Alvaro il quale, in veste di presi- dente del
sindacato nazionale scrittori, con lettera a Pavese si metteva a disposizione
della casa editrice: «se non ci difen- diamo, si preparano per noi giorni
assai peggiori di quelli sotto il paterno Ministero della cultura
popolare » (AE, Alvaro). Le origini della casa editrice Einaudi
inaugurò nel 1946 la vittoriniana « Politecnico biblioteca.La «
Biblioteca di cultura storica », posta sotto la direzione di Chabod e con
l’attenta consulenza di Franco Venturi, sensibile in particolare alla
produzione storiografica francese e russa ** —, riprese le
pubblicazioni con i Saggi sul Risorgimento di Nello Rosselli — con la
pre- fazione di Salvemini per continuare, a testimonianza di un
interesse più generale della casa editrice per la « demo- crazia »
americana, con America. La storia di un popolo libero di Allan Nevins e
Henry S. Commager, e aprirsi quindi alle opere di Mathiez e Lefebvre
sulla Rivoluzione francese o, più tardi, alla scuola delle « Annales »
con Bloch e Braudel, nonostante l’opposizione di Cantimori 7%, Non
possono tuttavia essere sottaciute alcune iniziali cadute di tono della
collana, rappresentate dalla ripresa dell’oria- 374 La corrente «
Politecnico » (1946), ora in M. Alicata, Intellettuali e azione politica,
cit., p. 63. Sempre con Hemingway si apri nel 1947 la collana «I Millenni
», dove nel 1948 apparirà Le mille e una notte a cura di Francesco
Gabrieli, di cui si suggeriva, per la pubblicità, di mettere in luce il
«carattere sociale »: «il libro è sempre stato frain- teso come mondo
delle fate e delle meraviglie, mentre, adesso che lo facciamo noi, è ora
di vederlo nel suo vero carattere di straordinario documento su una
medioevale società agreste, con naturale democrazia tra gli umili
(fornai, mendicanti, pellegrini, mercanti, schiavi, donne conculcate
ecc.) » (da Roma a Renata Aldrovandi, 14 novembre 1945, in AE,
Corrispondenza editoriale Milano-Roma. Numerose sono le proposte in AE, Chabod,
Venturi. Chabod scriveva a Einaudi di assumersi la direzione della «
Biblioteca di cultura storica» e degli «Scrittori di storia », annun-
ciando, per le traduzioni, « un piano di lavoro che contemperi opportu-
namente biografie e studi monografici, lavori di grossa mole e studi
assai più smilzi », in modo da « toccare un po’ tutti i principali
problemi della storia europea e nord-americana » (AE, Corrispondenza
editoriale Torino- Roma 1945). 376 Parte del giudizio di
Cantimori su La Méditerranée di Braudel è riportato da G. Miccoli, Delio
Cantimori. La ricerca di una nuova critica storiografica, Torino, Einaudi,
che ricostruisce puntualmente la collaborazione dello storico con la casa
editrice; nello stesso giudizio, del 1949, Cantimori investiva tutta la
scuola delle « Annales »: « non ritengo utile, anzi dannoso, diffondere,
per mezzo della traduzione di un’opera cosi ben scritta brillante, affascinante anche per la sua
facilità ed evasività e superficialità di rifles- sione e di concetti —
il metodo, o il sistema, o il regime o l’arte o la retorica, chiamateli
come credete, del gruppo di L. Febvre, Morazé, Braudel » (AE,
Cantimori). nesimo nell’Axzistoria d’Italia di Fabio Cusin ?” e da
Robe- spierre e il quarto stato di Ralph Korngold dove, come in
altre opere dedicate al giacobinismo, l’intento di rivalutare un
movimento politico dimenticato o disprezzato dall’idealismo e dal fascismo si
accompagna a schematiche e ambigue attualizzazioni Si può dire che tanto
la dittatura fascista quanto quella comunista si siano servite di un
me- todo giacobino perfezionato », affermava Korngold, La
concezione della storia come elemento costitutivo dell’educazione civile
continuerà tuttavia a caratterizzare la collana: assai significativa in
questo senso — e degna di essere citata per esteso — è l'offerta a
Cantimori di scrivere una storia d’Italia dal punto di vista marxista. E
altrettanto significativo è che portatore — e ispiratore, assieme
ad Einaudi — della proposta fosse proprio quel Balbo che abbiamo
visto tanto cauto rispetto a pericolose fughe in avanti:
L'Italia manca fino ad oggi di un’opera storica marxista nel senso più
profondo ed esatto che dia la reale fisionomia della sua storia
dall’indipendenza ai giorni nostri — scriveva Balbo a Cantimori —. Questa mancanza si fa duramente sentire
oggi non solo nel campo degli studiosi ma soprattutto nella scuola e
addi- rittura nella vita politica. Non è esagerato affermare infatti
che questa mancanza è in qualche modo determinante dello stesso
svi- luppo democratico del nostro paese. L'azione concretamente
ideo- logica da parte delle forze progressive sta diventando sempre
più necessaria: il proletariato non ha di fronte a sé soltanto, ad
esem- pio, il problema meridionale, ma anche il problema cattolico e
il problema crociano che sono poi aspetti dello stesso problema
meri- dionale [...]. La proposta è questa: non sarebbe possibile
rispon- dere ai bisogni rivoluzionari in questo campo? non sarebbe
possi. bile cominciare con una Storia dell’Italia moderna o anche
solo contemporanea? Potrebbe essere un nutrito Somzzario che desse
l’avvio a tutti gli studi particolari e per intanto rappresentasse il Cfr.
la recensione di Zangheri in « Società. Perplessità sulla pubblicazione del
volume avanzarono sia Chabod (lettera a Giolitti, in AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma), sia Salinari (a Giolitti, s.d., in AE, Cusin). Korngold,
Robespierre e il quarto stato, trad. di Papa, Torino, Einaudi. Una volta
stampato il libro, ci si rese conto dell’« incongruenza storica e critica
» di questa e di altre affermazioni (Balbo a Giolitti, in AE,
Giolitti). canovaccio, la direttiva generale per un rinnovamento dei
manuali scolastici. Potrebbe essere invece una grande Storia, a largo
respiro, da concretarsi attraverso un lavoro collettivo. Se pensi cosa
ha rappresentato il Sommario di storia della filosofia del De
Ruggiero nel senso della egemonizzazione borghese della cultura italiana,
puoi pensare cosa rappresenterebbe un Sommario storico fatto da te!
Ma anche qui non credo che proprio io debba sottolineare a te l’importanza
di questo lavoro. Voglio solo confermarti che c’è in tutti i compagni,
anzi in tutta la cultura italiana, una profonda aspettativa in tal
senso?”?, Nell'ambito della casa editrice il marxista Cantimori
avrebbe dovuto sostituire il liberale Salvatorelli, ma lo scru- polo
scientifico del primo impedî quello che ancora ricordando un’analoga proposta
di Alicata, consi- derata un preannuncio di « Zdanovismo Cantimori
titerrà un rovesciamento solo ideologico dell’interpretazione crociana,
in assenza di studi preparatori. A un intento educativo immediato risponde
invece prima delle altre, anche per la sua maggiore flessibilità,
la collana-cardine di Einaudi, i « Saggi », che assieme alla nuova
collana « Testimonianze affronta temi di attua- lità politica, da Marcia
su Roma e dintorni di Lussu a Leningrado di Werth a Fascismo e anticomunismo
di Radice, che inizia la riflessione su una tematica ripresa dal Lurgo
viaggio di Zangrandi, e presenta uno dei best sellers del tempo, Cristo AE,
Cantimori (Balbo parlava anche a nome di Einaudi); Einaudi scrive a Giolitti di
una Storia d'Italia degli ultimi cento anni che noi vorremmo far fare a
Cantimori inchiodandolo per uno, due, tre, dieci anni a tavolino per
costruire il monumento più importante che in questo momento gli studiosi
devono impostare: quello IR ST della storia d’Italia, soprattutto di
quella ultima » (AE, jolitti). Pro e contra, in « Movimento
operaio. In questo quadro Balbo propose trovando favorevoli
Giolitti, Salinari, Manacorda e Pavese un’opera collettanea su La guerra
di liberazione in Italia, con documenti, testimonianze, biografie ecc.,
che sarebbe servita « alla nazione italiana per una migliore conoscenza
del pi grande moto popolare che la sua storia ha fino ad oggi avuto;
e per una esatta valutazione di quelle che sono state le vere forze
della liberazione popolare e che sono le vere forze del suo avvenire (si
vedranno finalmente quelli che hanno lottato e quelli che sono compatsi
solo a oa alla consulta) » (AE, Corrispondenza editoriale
Milano-Roma si è fermato a Eboli di Levi, denuncia efficace nonostante le riserve di « Società di quella realtà che contemporaneamente,
nei « Problemi italiani », era argo- mento della Rivoluzione meridionale
di Dorso, già apparsa nelle edizioni Gobetti. E mentre un volu- me
molto caro a Cajumi, La crisi della coscienza europea di Hazard, rientra
nell’interesse per l’illuminismo manife- stato dalla casa editrice fin
dai suoi esordi, il nuovo clima di libertà permette la realizzazione di
progetti già in can- tiere negli anni del fascismo, come la Congiura per
l’egua glianza o di Babeuf di Filippo BUONARROTTI (Filippo, si veda), il primo,
secondo Gastone Manacorda, a fornire una « interpretazione clas-
sista della grande Rivoluzione », nonostante la persistenza di quegli
elementi utopistici ** che non erano invece tenuti presenti da Giuseppe
Berti nella presentazione del Filippo Buonarroti di Samuel Bernstein:
tesi entrambi, autore e prefatore, ad attualizzare oltre il lecito il
significato del giacobinismo Buonarroti è, con Babeuf, uno dei
grandi precursori di Marx e di Engels. Ma un motivo che ci preme segnalare
— a testimonianza di un’altra e più profonda continuità col decennio
prece- Piazzesi, pur affermando che era «uno dei pochi libri dove
abbiamo potuto apprendere qualcosa sulla “questione meri- dionale” »,
nota che Levi « resta sempre spettatore, intelligente quanto volete, ma
di un’altra classe, rispetto a questi contadini, e non sa mai trovare il
modo di farli parlare sinceramente, come si parla da pati a pari, perché
manifestino le loro riposte esigenze» (« Società, F. Buonarroti, Congiura per
l'eguaglianza o di Babeuf, introdu- zione e traduzione di G. Manacorda,
Torino, Einaudi. La proposta di pubblicare Buonarroti e Babeuf era stata
rilanciata anche da Vittorini nella prospettiva di un rinnovamento dell’«
Univer- sale » dove scrive a Einaudi « potremmo inclu- dere anche autori
antichi ma che segnino un punto nella evoluzione del pensiero
progressista » (E. Vittorini, Gli anni del «Politecnico. È Bernstein, Filippo
Buonarroti, traduzione e prefazione di G. Berti, Torino, Einaudi; il
saggio era apparso ne « Lo Stato operaio ». Cfr. le critiche di Sergio
Romagnoli in « Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa», lettere,
storia e filosofia. Ancora Bernstein pubblicò su «Società » un articolo su
Buonarroti storico e teorico comu- nista, affermando che il giacobino
italiano «si avvicina di molto al socia- lismo scientifico » («Società. Le
origini della casa editrice Einaudi dente è la permanenza
dell’interesse per la tematica religiosa, sostenuto ora da nuovi
collaboratori cattolici della casa editrice che affiancano Balbo, come
Franco Rodano e Mario Motta. Questo interesse ha varie
manifestazioni: supera ogni misticismo nella riflessione di Balbo
L’uomo senza miti e Il laboratorio dell’uomo, teso a indicare, in
un altro momento di profonda crisi di valori, il fallimento della
filosofia tradizionale e la necessità di nuove « formule di liberazione »
dell’uomo, che non lo isolino dal contesto storico-sociale *°; ha un’intonazione
nettamente spiritualista in Che cos'è il personalismo? di Emmanuel
Mounier; si pre- senta a sostegno di un vasto e generico affresco « alla
Huizinga », in cui la realtà storica è piegata alla dimostrazione di una
tesi — secondo la quale, nella deprecata età del pro- gresso tecnico, «
il cammino della secolarizzazione della cul- tura non può essere percorso
sino all’estremo » — nel Profilo d’un umanesimo cristiano di Riissel, che
in- vitava a ricucire la frattura fra umanesimo e cristianesimo
operata dalla Riforma, facendo propria quella che gli pareva « la grande
verità della teologia umanistica », la non anti- teticità della filosofia
greca e del cristianesimo: tesi non con- divisa nella prefazione postuma
di un intellettuale dalla tormentata vicenda culturale e politica come Rensi
che pur aveva proposto e curato il volume, mentre Bobbio riconosceva «la
necessità e la perennità di un umanesimo cristiano » per combattere
la « filosofia della crisi » originata da Kirkegaard. Pur riconoscendo ne
L’uomzo senza miti il tentativo di liberarsi dalla spiritualità dello
storicismo immanentistico di Croce, Geymonat riteneva dogmatico il metodo di
ricerca di Balbo (« Rivista di filosofia », terza serie, I (1946), pp.
86-88); cfr. anche le critiche di Croce, ora in Nuove pagine sparse,
serie seconda, Napoli, Ricciardi. Riissel, Profilo d’un umanesimo cristiano,
traduzione di G. Rensi, Torino, Einaudi. La pubblicazione del volume è impedita
dalla censura. Rensi propone anche la traduzione di Platonismus und Christentum
di Ritter (AE, Rensi). La recensione di Bobbio è in « Rivista di
filosofia. Cantimoti, in un parere editoriale su Erasmo e il Rinascimento
di Siro A. Nulli che sarà pubblicato da Einaudi —, dichiara di condividerne le idee, « tanto
per quel che riguarda le interpretazioni del pensiero e della attività di
Erasmo, Alla tematica religiosa si volge anche l’interesse dei «
laici »: è del 1949 la proposta di Remo Cantoni — accet- tata da Balbo ma
poi non realizzata del volume Critiche allo spiritualismo; Nuova
socialità e riforma religiosa di Capitini — il cui liberalsocialismo era
presentato come una concezione sociale e religiosa « postcomu- nista,
proposto da Cantimori come « opera importante per la storia
religiosa-politica e culturale del periodo 1926- 1944 e oltre: come
cronaca, documentazione, e storia del- l’unico movimento antifascista e
anticlericale autoctono e- spontaneo nel terreno italiano dopo il
fascismo, consape- volmente diverso dal comunismo, ma mai anticomunista.
Antonio Banfi, formatosi alla scuola di Martinetti, presentò inoltre il
progetto di una « Collana di studi reli- giosi », che si sarebbe
proposta di far conoscere in Italia a un pubblico più vasto dei
consueti centri di cultura religiosa, sia cattolici che di altre
confessioni, quelle opere, per lo pi recenti, che testimonino di una
problematica viva e nuova nel campo del pensiero religioso; opere che si
propongono tutte un mutamento sensibile nella considerazione del rapporto
fra singolo e collettività appunto in relazione con una differente
valutazione dei principi della confessione di fede; opere che propongono
infine, quanto per quel che riguarda la severa critica allo
Huizinga, al Toffanin, al Riissel, e compagnia. Si tratta di un energico
richiamo alla realtà storica di quel che furono, in quanto affermazione
di idee nuove e critica di una Fiserggi storica culturale, l’'Umanesimo e
il Rinascimento » (AE, Cantimori). Cantoni a Balbo: «La critica
allo spiritualismo teologico e metafisico è il grande tema culturale
degli ultimi cento anni. Vorrei presentare criticamente tutte le
variazioni storiche sul tema, da Feuerbach a Marx, da Kirkegaard a
Stirner, arrivando fino alla filosofia contemporanea. E si tratta di
ricostruire le ragioni sociali per le quali muta la sensibilità
metafisica » (AE, Cantoni). Capitini, Nuova socialità e riforma religiosa,
Torino, Einaudi; Cantimori a Einaudi, 12 gennaio 1949 (AE, Cantimori). Capitini
aveva proposto «un volume quasi pronto » su Anti- fascismo della non
violenza e della non menzogna a Pisa nel ’32 ed uno, già terminato, dal
titolo Saggio sul soggetto della storia anche questo non accettato, ma
preso in visione per consiglio di Cantimori, in cui conduceva
«un'indagine oltre lo storicismo crociano per accertare l’autentico
soggetto, collettivo e corale, della storia, per fondare quella che io
chiamo la compresenza di tutti alla produzione del valore; pro- blema nel
quale rientra quello sociale e quello religioso » (Capitini a Giolitti, e
a Einaudi, in AE, Capitini). Le origini della casa editrice Einaudi
tutte, una precisa presa di posizione per il credente, in ordine
alla vita politica: opere ispirate allo storicismo — e si
facevano i nomi di Newman, Blondel, Barth, Jiger, Troeltsch, Weber e
che, si specificava, prevedono una rottura con le forme
tradizionali di direzione politica definite dalla autorità della Chiesa
come le sole possibili e conse- guenti ed anzi prevedono un mutamento
radicale di prospettiva in tal senso consentendo al credente la più ampia
libertà di ricerca della propria prospettiva politica e la possibilità di
affiancare la pro- pria azione a quella di forze politiche progressive di
ideologia differente, La presenza di queste riflessioni e di queste
proposte relative a tematiche religiose, se da un lato si collegano
a un filone già presente nella casa editrice, dall’altro testimo-
niano l’attenzione che in questo periodo i comunisti dedi- cano al
problema cattolico. Non bisogna tuttavia dimenti- care che,
contemporaneamente, una visione tradizionale del cristianesimo è il punto
di riferimento obbligato di quegli intellettuali che — sulla falsariga di
Huizinga lamentano le degenerazioni
della politica e del progresso contem- poranei per riproporre un assetto
conservatore della società. È il caso de Le democrazie alla prova di Benda
un saggio la cui edizione francese era positivamente recensita su «
Società », con qualche appunto sul tono aristocratico e moralistico
dell’esponente della « letteratura della crisi: se nel momento in cui fu
scritto si giusti- ficava nel suo assunto principale, sostenendo che le
demo- crazie, più deboli in guerra dei totalitarismi, debbono
difen- dersi anche a costo di limitare le libertà un popolo
veramente libero è tanto più grande quanto più sa ridurre le sue libertà,
si faceva poi forte delle argomentazioni di Constant, Kant e Spencer
contro quelle di Bonald, De Maistre, Hegel, Nietzsche e Marx tutti
accomunati come A Banfi, che accettò, Balbo chiede di fare la
prefazione agli Scritti teologici giovanili di Hegel previsti per la
collana filosofica (AE, Banfi). 39 Recensione di Vezio
Crisafulli, in « Società » antidemocratici — per affermare che « i principi
democra- tici sono dei comandamenti della coscienza, e non già
degli insegnamenti dell’esperienza e del costume »; di origine
socratico-cristiana, la democrazia era realizzata solo in Svizzera e negli
Stati Uniti, e non sopportava « abusi » del prin- cipio egualitario come
il suffragio universale, osservava Benda, per concludere che « lo
sviluppo di qualsiasi orga- nizzazione terrena importa sempre qualche
violenza contro i comandamenti divini di giustizia e di libertà: « il
filo- sofo non può riporre le sue speranze se non in quei sistemi,
come il cristianesimo, omogeneo in questo alla democrazia, i quali
dell’uomo non glorificano altro che la sua natura divina » ?!,
A fini decisamente reazionari il cristianesimo era utiliz- zato ne
La crisi sociale del nostro tempo di Wilhelm Ropke, l'economista teorico
della « terza via », « in tante cose affine al Croce e dal Croce assai
pregiato » per il rifiuto del concetto e del termine « capitalismo »,
come osservava Cantimori *. Nel volume, uscito originariamente e già in traduzione presso Einaudi,
l’autore criticava « le incomparabili conquiste meccanico- quantitative
della civiltà tecnica » per lamentare, in una società caratterizzata
dalla grande industria e dalla concen- trazione delle proprietà, la
decadenza del cristianesimo « una delle più formidabili forze
costruttrici della nostra civiltà, da essa inseparabile e della famiglia,
oppure « la diserzione delle comunità rurali e la decadenza del
vil. laggio a favore della città e dell’urbanizzazione e commer-
cializzazione della campagna stessa ». Una critica che ricorda il leit
motiv di Einaudi difesa della piccola pro- 39 J. Benda, Le
democrazie alla prova. Saggio sui principi demo- cratici, traduzione di Crescenzi,
Torino, Einaudi, 1Cantimori, Studi sulle origini e lo spirito del capitalismo,
pubblicato su « Società, ora in Studi di storia, Torino, Einaudi. In una
lettera alla sede romana, l’editore scri- veva di iniziare la traduzione
del volume di Répke, affidandola a Ernesto Rossi (AE, Corrispondenza
editoriale Torino-Roma 1941-1944); scrivendo a Pavese il 9 agosto 1943,
Pintor giudicava il volume «di grande attua- lità » (AE, Pintor). Le
origini della casa editrice Einaudî prietà contadina e condanna
del « gigantismo » economico, e da cui Ropke partiva per indicare una « terza
via » o « umanesimo economico » — il modello era individuato nella
Svizzera, che si risolveva in pratica nella ripro- posta del liberismo
classico in opposizione al socialismo °*: era quanto notava Cantimori,
ricordando che le lodi rivolte all'autore da Luigi Einaudi e da Croce «
furono uno degli ultimi episodi più notevoli, data la personalità
degli autori, della lotta intellettuale condotta sotto il do- minio del
fascismo dal gruppo “crociano” e diretta da una parte contro il fascismo
e dall’altra contro il comuni- smo » °?. Un liberalismo, quello del
futuro collaboratore de « Il Mondo », che sarà messo in dubbio da
Togliatti, per il quale era solo una mascheratura dello « sconcio
ghigno hitleriano. Del resto, se consideriamo i volumi pubblicati fino
al 1946 nella nuova serie dei « Problemi contemporanei nella quale
non aveva più diretta influenza Luigi Einaudi e nella « Biblioteca di
cultura economica che secondo Balbo e Giolitti avrebbe dovuto avere un
carattere « non istituzionale e teorico, ma storico-informativo,
pos- Ropke, La crisi sociale del nostro tempo, traduzione di E.
Bassan, Roma, Einaudi, Nella recensione a Civitas Humana di Répke, pubblicata
su Società, ora in Studi di storia. Einaudi aveva visto rispecchiate le
proprie idee di politica economica nel volume di Ropke, mosso
dall’intento di « salvare la civiltà occidentale dall’avvento di una
democrazia livellatrice e collettivistica » (Economia di concorrenza e
capitalismo storico. La terza via, Rivista. di storia economica. Il
giudizio di Togliatti, è citato da N. Ajello, Intellettuali e Pci, cit.,
p. 259; già nel 1947, in una recensione di Bilancio europeo del
collettivismo pubblicato nei Quaderni di «Rinascita liberale », si
osservava su «Rinascita »: «se i liberali tedeschi non sono mai stati
altro che questo, si capisce benissimo come la Germania sia sempre stato
un paese reazionario e con tanta facilità abbia potuto Hitler pren- dervi
e tenere il potere » (« Rinascita. Dell’« assidua collaborazione » di
Ròpke a « Il Mondo », che nei suoi primi anni si ispi- rava al liberismo
di Luigi Einaudi, parla P. Bonetti, « I{ Mondo » 1949-66. Ragione È
illusione borghese, prefazione di V. Gorresio, Bari, Laterza Balbo (anche a nome di Giolitti) alla sede di
Milano, (AE, Corrispondenza editoriale
Milano-Roma 1945). È da rilevare, tuttavia, che la casa editrice
assicurava Luigi Einaudi siamo notare che Ropke è soltanto la punta
estrema di un ‘orientamento che non si oppone drasticamente alla
linea liberista: la casa editrice non fa altro che rispecchiare
l’arre- tratezza della sinistra nel campo della cultura economica,
e la sua rinuncia, in questo momento, a porre in discussione il
ruolo dell’iniziativa privata nella ricostruzione. È infatti significativo, da
un lato, che nel primo biennio post- bellico l’unica voce favorevole alla
pianificazione sia quella di Saraceno, e, dall’altro, che gli studiosi ai
quali si guarda con maggiore attenzione siano statunitensi, cosî
che il liberatorio « mito » americano di Pavese e di Vittorini temperato dalla critica dei liberisti al
New Deal rooseveltiano trova ora una sua
realistica traduzione nell’immagine che gli economisti e gli uomini
politici americani danno del loro paese, impegnato a supe- rare con la
somma delle sue energie individuali la nuova frontiera posta dall’eredità
della guerra. Cosî, mentre l’opera collettanea di Hayek, Pierson, Mises
e Halm, Pianificazione economica collettivistica, è, come annuncia il
sottotitolo Studi critici sulle possibilità del socialismo e il nome del prefatore, Bresciani-Turroni,
una decisa esaltazione del liberismo ‘*, a incarnare il nuovo mito
riappareWallace, l’esponente democratico che aveva rotto con Truman a
proposito della della prossima pubblicazione — poi non avvenuta —
di The Road to Serfdom di Hayek: «La nostra Casa, come Lei sa, non
persegue un indi- rizzo politico di partito, ma pubblica opere di varie
tendenze da Togliatti a Lippmann a Répke a Schumpeter secondo la linea già corag- giosamente
seguita, nei limiti del possibile, sotto il fascismo » (AE, L.
Einaudi). È quanto osserva, anche in riferimento alle edizioni
Einaudi, G. Santomassimo, Il dibattito economico, in «Italia
contemporanea. Cfr. la prefazione di Saraceno a Bienstock, Schwarz, Yugow, La direzione delle
aziende industriali e agricole nell'Unione Sovietica, traduzione di P.
Saraceno, Torino, Einaudi. Mises tanto
lodato, assieme a Robbins e Hayek, da ROSSI (si veda) nelle sue lettere del
periodo bellico a Einaudi (AE, Rossi) sarà giudicato da Piero Sraffa «
un reazionario antidiluviano » (a Balbo, in AE, Sraffa). Le origini
della casa editrice Einaudi politica del governo americano verso
l’URSS ‘!: in un’ope- retta dall’accattivante titolo Lavoro per tutti
dichiarava che gli USA non avevano nulla da temere dal comunismo «
se il nostro sistema di libera iniziativa si dimostrerà all’al- tezza
delle sue possibilità », e di fronte all’aprirsi di nuovi mercati per
l'economia statunitense si mostrava fiducioso che « la guida economica
americana potrà recare alla regione del Pacifico un grande vantaggio
materiale ed una grande benedizione al mondo » ‘°; e l’esperimento di
colonizza- zione interna nella valle del Tennessee che Wallace
propo- neva a modello per il mondo intero, era puntualmente esa-
minato da Lilienthal in Democrazia in cammino. Un energico richiamo al
liberismo, contro i pianifi- catori di qualsiasi colore, fossero
fascisti, comunisti, o i sostenitori del collettivismo graduale » degli
Stati demo- cratici, veniva da un altro esponente democratico
ameri- cano, Walter Lippmann: ne La giusta società egli si dichiara
debitore della critica a una economia razionalizzata svolta da von
Mises e von Hayek, ma anche da Keynes « la cui opera è tutta volta a
dimostrare che l’economia moderna può essere regolata senza ricorrere
alle dittature ed è com- patibile con istituzioni libere , e cerca di
dimostrare che la libertà dell'individuo era assicurata dai principi
origi- nari del liberismo depurato di quelle degenerazioni che portano a
processi di concentrazione produttiva il
principio basilare del liberalismo è che il mercato deve essere lasciato
libero di funzionare, ed anzi perfezionato, come regolatore principe e primo
della divisione del lavoro, non senza usare toni apocalittici di sapore
puritano che ritroviamo in altri esponenti del mondo anglosassone. Gli uomini
vivono in un mondo torbido, dove non si guarda più con fiducia alla provvidenza
divina, quale ente regolatore delle cose umane, dove il costume ereditato
ha cessato d’essere di guida e la tradizione non pi Cfr., per l’attenzione
di cui era oggetto da parte comunista, Inter- vista con Wallace, in
«l’Unità. Wallace, Lavoro per tutti, traduzione di G. Olivetti, Torino,
Einaudi, santifica le vie fino adesso battute. È lo stesso Lipp- mann che
ne La politica estera degli Stati Uniti e ne Gli scopi di guerra degli
Stati Uniti manifesta la sua tendenza democratica sostenendo la necessità
di un accordo USA-URSS per il mantenimento della pace mondiale, ma
al tempo stesso giustifica l’espansionismo americano e coglie
l’occasione per ammonire l’URSS che « per quanto corrette possano essere
le nostre relazioni diplomatiche, esse non saranno quelle relazioni
veramente buone quali dovrebbero essere, finché nell'Unione Sovietica non
saranno state in- staurate le fondamentali libertà politiche e umane. La
rottura dell’unità antifascista e il rapporto col PCI La
spaccatura politica che si ha nel paese ha profonde ripercussioni sulla casa editrice,
i cui legami col PCI si stringono ulteriormente provocando un
sensibile mutamento negli indirizzi culturali. Anche dopo la fine dei
governi di unità antifascista, all’interno del PCI non scomparve
completamente la prospettiva di una al- leanza con gli intellettuali
democratici: se al VI congresso Togliatti invitava a serrare le fila — «
La nostra attività ideale non può non avere, come l’attività
pratica, l'impronta di partito, nel dicembre dello stesso anno Alicata,
pur notando che «la borghesia del nostro paese sta compiendo un tentativo
estremo per rior- ganizzare in senso reazionario la cultura italiana, per
tra- sformarla ancora una volta in una efficiente barriera ideo-
logica contro il marxismo », con la collusione di cattolici e liberali in
un « blocco antirazionalista », invitava a « conti- nuare a lavorare per
costituire un fronte della cultura il #3 W. Lippmann, La giusta
società, a cura di G. Cosmelli, Roma, Einaudi. Lippmann è autore anche di
A Preface to Morals. Lippmann, Gli scopi di guerra degli Stati
Uniti, Torino, Einaudi, 1946 (ediz. originale 1944), p. 136.
45 Rapporto al VI congresso del PCI del 5-, in P. Togliatti, La
politica culturale. Le origini della casa editrice Einaudi più
possibile ampio » ‘*. La situazione oggettiva non ren- deva tuttavia
immediatamente praticabile questa indicazione, e il rapporto privilegiato che
si venne istituendo fra PCI ed Einaudi provocò profonde lace-
razioni di cui è esempio la vicenda de « Il Politecnico e contrasti interni fra i collaboratori. La
casa editrice riuscf comunque a mantenere una sua sfera di autonomia
basti pensare ai settori letterario, storico e filosofico che le permise
di non essere isolata e, al tempo stesso, di non istituzionalizzare il
suo legame col partito. Proprio il carattere non ufficiale del suo
rapporto col PCI aveva permesso che questo individuasse in Einaudi il
canale più adatto, anche se non unico, per diffondere la conoscenza del
marxismo nella cultura italiana. La deci- sione di affidare a Einaudi,
piuttosto che all’editoria di par- tito, gli scritti di Gramsci, si situa
appunto in un quadro che vedeva la pubblicazione, da parte della casa
editrice, di testi di Monti, Sforza, Sturzo, Nenni, Togliatti,
Grifone e Sereni, e la proposta di edizione delle opere di Salve-
mini o, su suggerimento anche di Togliatti, di quelle di Dorso e dei
Discorsi di Giovanni Giolitti *”. L’uscita, nel 1947, delle Lettere di
Gramsci — che, come osservava 46 M. Alicata, Una linea per l’unità
degli intellettuali progressivi, ora in Inzellettuali e azione politica,
c In una lettera all’editore Muscetta avver- tiva, a proposito di Dorso
di cui curerà le opere: « Bada che il Partito Comunista, appena Togliatti
avrà visto i manoscritti inediti, desidera farsi promotore dell’edizione
»; scriveva che Togliatti desiderava che fosse Einaudi a stampare Dorso
(cfr. anche l'esplicita richiesta di Togliatti a Einaudi, in AE,
Togliatti), e il 1° dicembre si scusava per non aver inviato i
manoscritti di Dorso: « Ma non era mica io a tenermeli. Era Togliatti, e
ce n'è voluto per riaverli »; Giolitti avvertiva l’editore che Togliatti
aveva approvato la prefazione alle opere di Dorso (AE, Muscetta,
Giolitti). Il contributo di Dorso « dal marxismo può essere
accettato per essere sisterzato », affermò Rodano (Dorso, in «Rinascita. Muscetta propone a Pavese i Discorsi di
Giolitti con prefazione di Salvatorelli, e il 16 marzo 1947 gli scriveva:
« Giolitti è stato già da tempo gradito dal Togliatti » (AE, Muscetta).
Inoltre, Bobbio interpellava Dal Pane per una raccolta di scritti rari o
inediti di Labriola, « magari come inizio di una più ampia raccolta
dell’opera filosofica e storica del Labriola » (Archivio privato Bobbio). PLATONE
(si veda), sono in buona parte come una introdu- zione generale agli
scritti che verranno dopo e ambiente- ranno il lettore meglio di
qualsiasi prefazione, costituî un inusitato successo editoriale, se nel
giugno 1949 la tira- tura era arrivata a 43.526 copie, di cui 37.254
vendute ‘*. Comincia la pubblicazione dei Quaderni del carcere, che è
accompagnata tuttavia, da parte della casa editrice, da impazienze e
dubbi sulle reali intenzioni del partito, se il Cantimori poteva
scrivere a Einaudi che con quelli della edizione di Gramsci
bisognerebbe usare mezzi feroci. Mi han fatto vedere il volume sulla
storia degli intellettuali, o com'è il titolo preciso, quello insomma
dove si parla di Croce, e dei problemi filosofici: è pronto (a meno di
una revisione del dattilo- scritto pessimo), e chi sa perché non lo fanno
uscire. Sembra che qualcuno abbia scrupoli per le critiche al Croce che
ci sono in quel volume. Ho protestato contro questi scrupoli, con
chi voleva sentire e con chi non voleva, Ma che cosa aspettano, che
Croce sia morto, per poi farsi dire da qualche stupido che non si è avuto
coraggio di pubblicare le critiche Croce vivo? E lo stupido sembrerebbe
aver ragione! Appena tornerò a Roma mi butterò alla carica 49.
E il 15 ottobre 1948 gli faceva eco Einaudi che, prote- stando con
Togliatti per il ritardo del « si stampi » per i quaderni su Gli intellettuali
e l’organizzazione della cul- tura, invitava il dirigente comunista a
evitare « una tempo- ranea battuta di arresto », essendo AE,
Platone. Togliatti scrive a Einaudi: « siamo perfettamente d’accordo
sulle sue proposte riguardanti l’edizione completa delle opere di
Gramsci. Vogliamo solo porre due condizioni: 1) Eventuali prefazioni e
note di singoli volumi che Ella vorrà pubbli- care in collane
particolari, debbono avere la nostra approvazione. 2) La Direzione del
P.C.I., pur concedendo a Lei tutti i diritti per questa edi- zione e le
successive ristampe, si riserva la proprietà letteraria dell’opera (AE, Corrispondenza editoriale Torino-Roma
1945). 49 Cantimori a Einaudi, 15 maggio 1947; lo stesso giorno
Cantimori scriveva a Balbo: «La Direzione del Partito farebbe meglio a
spicciarsi a consegnarvi le opere di Gramsci invece di farle conoscere a
spizzico, o di avere scrupoli perché si critica Croce »; il 30 settembre
1947 Balbo su suggerimento di Einaudi inviava a Cantimori le bozze de
// materialismo storico e la filosofia di Benedetto Croce «in via
privatissima affinché tu potessi, dando una scorsa veloce, segnalarci
eventuali notevoli lacune » (AE, Cantimori). Le origini della casa
editrice Einaudi ormai chiaro a tutti che Gramsci serve ai nostri
compagni per raf- forzarsi ideologicamente, per imparare a ragionare e a
porsi dei problemi, che Gramsci serve agli intellettuali non comunisti
per far loro misurare nella sua pienezza la nostra forza ideologica.
Non solo, ma è dimostrato che attraverso Gramsci molti intellettuali
si avvicinano al nostro partito e, sovratutto, si creano delle alleanze
41°. L’operazione che riusci con Gramsci non ebbe suc- cesso
— anche per la difficoltà di trovare i testi originali e traduttori
preparati per il progetto di una « Collana marxista » di cui Einaudi
aveva parlato a Lucio Lombardo Radice già il 5 gennaio 1945 ‘, e che
nella fase di prepa- razione occupò, fra gli altri, Manacorda, Cantimori,
Emma Cantimori Mezzomonti, Luporini, Massolo, Bobbio, Balbo e
Giolitti. Su questo terreno si era già impegnata, subito dopo la
liberazione di Roma, l’editrice comunista Nuova Biblioteca diretta da
Carlo Bernari e per la quale Cantimori era stato incaricato di dirigere
la collana « Pensiero sociale moderno » ‘“; l’iniziativa non ebbe
tuttavia seguito e, prima che fosse ripresa dalle edizioni Rinascita,
alcuni dei cura- tori previsti confluirono nel progetto einaudiano. Ma
già nel luglio 1945 la collana veniva definita « minor » ‘, e AE,
Togliatti. Nell’intendimento di soddisfare un’esigenza oggi largamente
dif- fusa, la mia casa ha deciso la pubblicazione di una “Collana
Marxista” »; a Lombardo Radice Finaudi offriva la cura dell’Indirizzo
inaugurale di Marx del 1864 (AE, L. Lombardo Radice. Cfr. G. Manacorda,
Lo storico e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista, in
Storia e storiografia. Studi su Delio Cantimori. Atti del convegno tenuto
a Russi (Ravenna), a cura di Bandini, Roma, Editori Riuniti. Manacorda a
Bobbio, 18 luglio 1945; i testi già « in lavorazione », non esistendo più
il pericolo di interferire con la Nuova Biblioteca, che «non fa
praticamente nulla », erano: Manifesto e scritti preparatori (Emma
Cantimori), Guerra civile in Francia (Enzo Lapiccirella), Lotte di classe
in Francia (Mario Manacorda), Ideologia tedesca (Arturo Mas- solo e
Cesare Luporini), l’Imzperiglismo di Lenin (Bianca Maria Luporini)
(Archivio privato Bobbio). Aldrovandi scrive da Milano a Einaudi che «con
Misha {Kamenetzki, che assumerà in seguito lo pseudonimo di Ugo Stille] è
stata discussa una collezione di civiltà marxista — raccolta di autori
meno classici di quelli del tuo programma ma imperniata sui problemi pit
partico- lari e attuali (es. il libro di Sereni sull’agricoltura in
Italia, ecc.): questa collana sarebbe costituita in parte con libri che
ha Vittorini, e in parte con la critica di libri italiani visti alla luce
marxista » (AE, Corrispon- denza editoriale Torino-Roma). una
circolare editoriale annunciava testi brevi di Marx; Engels, Lenin e
Stalin, col sussidio di un commento espli- cativo, per « orientare il
lettore verso certi punti fermi del marxismo, e di introdurre allo studio
del marxismo, evi- tando quegli accostamenti attraverso materiale di
seconda mano finora tanto frequenti e tanto nocivi » ‘*. Il
progetto naufragò definitivamente nel dicembre 1946, quando Balbo
propose a Giolitti di inserire i vari testi marxisti nelle col- lane
esistenti e di farne una scelta accurata in modo da « mantenere le nostre
caratteristiche di Casa editrice rivolta a un pubblico abbastanza colto o
addirittura di studiosi » ‘. Non mancarono le proteste del PCI per il
fallimento della collana, finché nel 1948, in coincidenza con la
pubblica- zione del primo testo, Le lotte di classe in Francia di
Marx nell’« Universale , Togliatti scrisse a Einaudi che « per i
classici io non sarei favorevole a passare a te l'iniziativa editoriale »
‘”. Si registrava cosî un pesante ri- tardo nella diffusione del
marxismo, reso evidente, ad esempio, dal fatto che ancora nel 1947 «
Rinascita » pub- blicava elenchi di testi di Marx ed Engels, in varie
lingue e Circolare s.d. (ibidem). Balbo a Giolitti, 10 dicembre
’46; nella risposta, Giolitti si dichiarava d’accordo (AE, Giolitti).
Assai riduttiva era invece la proposta di Muscetta, che per il Manifesto
suggeriva «la classica traduzione di Pompeo Bettini e una prefazione di
un tipo come Um- berto Morra: proprio adatta al gran pubblico dei non
marxisti» (all’e- ditore, 21 giugno 1947, in AE, Muscetta). Einaudi
scriveva a Cantimori che, «in se- guito allo smistamento della ex-collana
marxista », aveva proposto a Chabod di includere il volume negli
«Scrittori di storia »; Cantimori rispondeva di non essere d'accordo
perché le Lotte di classe costituivano «un grande esempio di analisi
critica politico-sociale, economico-politica, ma non un libro di storia
come invece può essere considerato il 18 Brumaio che tratta lo stesso
argomento ma a svolgimento storico con- chiuso »; il 13 settembre Chabod
dichiarava a Einaudi di condividere le ‘osservazioni di Cantimori, in
quanto l’opera di Marx era « un'analisi politico-sociale, che è al tempo
stesso un programma d'azione. Sul genere, insomma, dei Discorsi sopra la
prima deca di Tito Livio del Machiavelli » (AE, Cantimori, Chabod).
. 4? AE, Togliatti. Le proteste del PCI per il fallimento della «
Col- lana marxista » sono registrate, ad esempio, da una lettera di
Gio- litti all'editore del 16 aprile 1947: «Togliatti, impazientito per
i ritardi di queste pubblicazioni, ha esortato le edizioni del Partito
a pubblicare senza indugi» (AE, Giolitti). in vecchie edizioni,
presenti nelle biblioteche italiane. È in questo quadro, di
disinformazione e disorienta- mento, che si colloca il « caso » di
Gustavo Wetter,. il gesuita austriaco professore al Pontificio Istituto
Orien- tale in Roma, autore de I/ materialismo dialettico
sovietico. Il saggio è stato presentato da Balbo come opera seria
ed onesta, di carattere informativo, filologicamente cor- retta e
documentata, compiuta tutta su testi originali non accessibili agli
studiosi italiani per molto tempo. Le poche osservazioni critiche,
naturalmente condotte con metodo scolastico, sono però sempre
intelligenti e non settarie ». Bobbio ne prendeva atto, pur con qualche
dubbio, e un anno dopo Cantimori — particolarmente incline a
presen- tare come opere « documentarie » i testi di autori
spiritua- leggianti, come Capitini o Toynbee — esprimeva il suo
parere positivo: « è chiaro che è il libro d’un gesuita e non di un
comunista; è un libro utile, per le discussioni e retti- ficazioni che
provocherà » ‘. Ma, se Miccoli nota opportu- namente che il libro fu pubblicato
un anno dopo questo parere, « in un momento infelicissimo per le
“discussioni e rettificazioni”, evidentemente pacate, alle quali
pensava Cantimori » ‘, è difficile non cogliere l’atteggiamento
patti- giano dell’autore, che dedicherà su « La Civiltà cattolica »
un ritratto a Giuseppe Stalin demone dell’antire- ligione. Nonostante
l'avvertenza editoriale — che presen- tava l’opera come « informatissima
e aggiornata » dichia- rando al tempo stesso un « fondamentale dissenso
dalle premesse e dalle conclusioni dell'Autore, Wetter afferma
infatti che per i sovietici la filosofia era ancella della politica,
coglieva una presunta « affinità tra la filo- sofia di Lenin e la
filosofia religiosa russa nell’intuizione d’un nesso e d’un’unità reali in cui
fra loro si uni- 418 Balbo a Bobbio, 17 ottobre 1945 (Archivio
privato Bobbio); Bobbio a Balbo, (Archivio privato Balbo). Balbo scrive a
Giolitti che il testo era stato revisionato da Cantimori, mentre Giolitti, in
una lettera a Serini, dice di aver preparato l’avvertenza al volume (AE,
Giolitti). G, Miccoli, Delio Cantimori, (anche per il siind a Toynbee}.
Su tutta la vicenda cfr. anche G. Manacorda, Lo storico e la politica. Cantimori
e il partito comunista. scono tutte le cose del mondo » —, e concludeva che
«i materialisti dialettici sovietici, per non esser costretti ad
assoggettarsi a Dio, si gettano nelle braccia d’un idolo. È forse altro,
invero, quella materia a cui, negato Iddio, ven- gono trasferite tutte le
prerogative divine? Sono quindi giustificate le lodi de La Civiltà cattolica e
la violenta stroncatura del volume da parte di Giuseppe Berti, che
ne sottolineava gli errori, la tendenziosità antisovietica, il
privilegiamento di sconosciuti intellettuali sovietici, e accusad’incredibile
leggerezza quei marxisti che ‘ave- vano consigliato la sua pubblicazione che fu un « er- rore », come riconoscerà
più tardi lo stesso Cantimori Una riflessione sul marxismo priva di preconcetti
rimase quindi limitata, in questi anni, a Ordine e vita del biologo Needham,
un volume già proposto da Alicata .che conclude la sua analisi scientifica
con l’accettazione del materialismo dialettico ‘4; mentre una conoscenza
dell’Unione Sovietica più equilibrata di quel. la fornita dagli studiosi
statunitensi fu avviata prima che fosse tradotta l’opera dei coniugi Webb
respinta da Einaudi con la
traduzione di saggi di altri autori inglesi, significativamente
caratterizzati da un acritico confronto con l’esperienza del
cristianesimo primitivo. In Un sesto del mondo è socialista l’alto prelato
angli- Wetter, Il materialismo dialettico sovietico, Torino,
Einaudi, Brucculeri, Scientismo marxista, in « La Civiltà cattolica; cfr.
anche, contro la critica di ‘« Voprosy filosofii » all’edizione tedesca
del volume, U.A. Floridi, Materialismo dialettico e critica sovietica, in
La Civiltà cattolica, vol. Rio Società, in G. Miccoli, Delio Cantimori, Cfr.
Alicata a Einaudi, (AE, Alicata), e
la favorevole recensione di Lucio Lombardo Radice in « Rinascita. Motta
scrive a Einaudi: «I sondaggi sul Webb sono stati eseguiti. Tutto bene.
Il libro non è mai stato attaccato nell'Unione. Tanto Togliatti che
Sereni sono d'accordo sulla sua diffusione anche all’interno del Partito.
Togliatti però pensa ‘che forse sarebbe bene alleggerire l’opera di tutte
quelle parti documentarie che non hanno più un interesse attuale (per es.
la costituzione sovietica ecc.) » (AE. Motta). Le origini della casa
editrice Einaudi cano Hewlett Johnson partiva infatti dalla
constatazione dell’assenza di una base morale nel « sistema »
occidentale per cogliere nell’organizzazione della società sovietica
la possibilità di sviluppo di quei valori umani che sono per chi
scrive indissolubilmente legati con la religione e la tradizione
cristiana » ‘9; un analogo afflato religioso percorre Fede, ragione e civiltà
del laburista Harold J. Laski, per il quale è difficile
vedere su quali basi possa essere ricostruita la tradizione della
civiltà; all’infuori di quelle su cui si fonda l’idea della rivolu- zione
russa. Essa corrisponde, prescindendo dagli elementi sopranna- turali,
con esattezza considerevole al clima spirituale nel quale il
cristianesimo divenne la religione ufficiale dell'Occidente. Ovun- que si
è affermata, l’idea della rivoluzione russa ha suscitato nei suoi
esponenti un’aspirazione ardente alla salvezza spirituale I più stretti
rapporti instaurati col PCI trovano comunque espressione soprattutto nella
pubblicazione di testi di politica e di economia. Esce nel 1948 Il Mezzo-giorno
all’opposizione (Dal taccuino di un ministro în con- gedo) di Emilio
Sereni che, sollecitato nel febbraio dello stesso anno da Balbo a fornire
un parere sulla traduzione di The great conspiracy in cui Michael Sayers
e Albert E. Kahn analizzavano la « cospirazione antisovietica »
dalla Rivoluzione d’ottobre al secondo dopoguerra — un libro,
affermava Balbo, « estremamente utile in se stesso, e oggi, per la
campagna elettorale, chiedeva, anche a nome di Togliatti, di accelerarne
la pubblicazione perché il volume tradotto in « Politecnico biblioteca è «
ancor nuovo e di grande interesse per il pubblico italiano e può avere
ora una grande efficacia propagandi- Johnson, Un sesto del mondo è
socialista, a cura di A. Taglia- cozzo, Torino, Einaudi; cfr. la
recensione di Mario Montagnana i in « Rinascita. Laski, Fede, ragione e
civiltà. Saggio di analisi storica, tradu- zione di È. Bedetti Aloisi
Torino, Einaudi, p.. Del leader laburista fu pubblicato su «l'Unità »
DE sai l’articolo «Ux popolo veramente libero » crea la nuova Cecoslovacchia.
H fascismo e il consenso degli
intellettualistica. In un momento in cui il pro- blema della terra si era
riacutizzato con le lotte contadine nel Mezzogiorno, Balbo si rivolgeva
ancora a Sereni per invitarlo a scrivere quella storia dell’agricoltura
italiana di cui si avvertiva il bisogno in un paese « che nella
risolu- zione del problema agricolo ha uno degli aspetti più deli-
cati dell’intero problema politico del suo sviluppo legata all’attualità
politica era anche l’Introduzione alla riforma agraria pubblicata nel
1949 da Ruggero Grieco, che nello stesso anno, di fronte a « una palese
offensiva contro la costituzione delle Regioni » da parte della DC
propo- neva una raccolta di suoi scritti su Unità statale e
decentra- mento regionale in Italia*®, E una più stretta collabora-
zione fra la casa editrice e il partito veniva chiesta da Einau- di a
Togliatti nel 1948 per promuovere in Italia una mag- giore conoscenza
della cultura sovietica, che avrebbe dovuto essere rappresentata non solo
da I/ marxismo e la questione nazionale e coloniale di Stalin (1948), ma
anche da « un’am- pia scelta di scritti di Zdanov » curata personalmente
da Togliatti ‘!. È inoltre in questo periodo che si
intensifica il ruolo di Antonio Giolitti nell'esame e nella proposta di
testi di eco- nomia, con la consulenza, da Londra, di Piero Sraffa.
Ebbe 48 Balbo a Sereni, 3 febbraio 1948, e Sereni a Einaudi, 12
febbraio 1948 8 (AE, Sereni). Balbo a Sereni , e Sereni che accetta
a Balbo; Sereni propone anche un'antologia intitolata Bertoldo, i canti
dell’oppressione, del lavoro, della lotta (AE, Sereni). La nostra
posizione sull’ordinamento regionale e, quindi, a sostegno della
creazione delle Regioni, parte da due considerazioni fondamentali: dal
fatto che noi siamo sinceri fautori del decentramento amministrativo
regionale (l’ordinamento regionale cosi com’è stato sancito dalla
Costituzione non è dovuto al nostro concorso, se non in parte) e dal
fatto che la Costituzione deve essere applicata: se si comincia con il
rivedere questo o quel punto della Costituzione, si finirà col far
crollare la Repubblica », scriveva Grieco a Einaudi (AE, Grieco).
41 Einaudi a Togliatti, 15 ottobre 1948; il 19 ottobre Togliatti
rispondeva di essere d’accordo anche per la scelta di scritti di Zdanov:
«Quella che fa il partito non uscirà dalla cerchia del partito. L'hanno
cacciata in una collezione che si intitola: “Educazione comunista”. E chi
votrà farsi educare da noi? (AE, Togliatti). Le origini della casa
editrice Einaudi peso il suo giudizio negativo sull’opportunità di
tradurre il saggio di Sidney Hook sul marxismo accusato di trotskismo da Togliatti,
cosî come la presentazione di Political economy and capitalism di Maurice
Dobb, che sarà tradotto nel 1950: in un parere editoriale che mette in
evidenza il distacco dalla prece- dente produzione della casa editrice in
campo economico, Giolitti attribuiva a Dobb il merito di cogliere
il nesso tra Marx e l’economia classica, di cui sono dimostrati
‘il vigore scientifico e il carattere progressivo, mentre le
successive teorie « soggettive » del valore (scuola austriaca, « utilità
marginale, ecc.) manifestano a
un’indagine critica che sappia situarle storicamente il loro significato ideologico conservatore.
La teoria marxista del valore è convalidata sul terreno sperimentale,
nella sua capacità di interpretazione e di previsione di fronte ai
fenomeni più moderni dell’economia capitalistica (crisi, monopoli, ecc.).
Un bellissimo capitolo sull’imperialismo analizza le origini economiche
del fascismo. L’ultimo capitolo sulla validità delle leggi economiche
nell’economia socialista — risponde efficacemente alle obiezioni mosse da
Hayek, von Mises e C. alla pianificazione economica col- lettivistica: e
dimostra la perfetta coerenza dell’economia pianificata con le posizioni
veramente valide e feconde dell’economia classica {la scoperta di questo
nesso costituisce forse l’elemento più interes- sante di tutto il libro,
che proprio per questo segna una data nella scienza economica) 43,
Si profila cosi un orientamento che, sia pure con ritardo, pone
fine all’ideologia liberista che aveva fin allora caratterizzato la casa
editrice. Mentre Dami, collaboratore di « Società » per i problemi economici,
mette a con- fronto in due testi del 1947 e del 1950 l’economia
liberale con quella pianificata, con una chiara preferenza per quest’ultima,
la Relazione su l’impiego integrale del lavoro Cfr. G. Manacorda, Lo
storico e la politica. Delio Cantimori e il partito comunista. Anche
Giolitti, scrivendo a Einaudi il 29 agosto 1946, giudicava trotzkista
l’autore: «Ora tu sai che la tua casa è stata accusata di zoppicare un
po’ da questa gamba (Reed, Franklin, Hemingway); perciò reputerei
politicamente inopportuna la pubblicazione, da parte tua, di un saggio di
Hook » (AE, Giolitti). Si tratta, probabilmente, di From Hegel to Marx:
studies in the develop- ment of Marx. AE, Giolitti. 44
C. Dami, Economia collettivista ed economia individualista (1947), ed
Esperienze di economia pianificata in una società libera di Beveridge e
Gli insegnamenti economici di Arndt suggeriscono l’intervento regolatore
dello Stato nell'economia, venendo incontro all’esigenza, espressa
da Giulio Einaudi, di « fare libri che tengano conto del- l'economia dei
paesi occidentali e ne facciano una critica. Non trascurare certi filoni
del laburismo inglese i quali ten- gono conto dell’economia classica e la
criticano continua- mente al vaglio delle riforme richieste dalla crisi
dell’impe- rialismo » *, La realizzazione di questo nuovo
indirizzo apparve tut- tavia insoddisfacente a chi, come Balbo, pur
consigliando testi come quello di Wetter, concepiva il lavoro
editoriale come continuo suggerimento di problemi, senza la pretesa
di orientare dall’alto, didatticamente, il lettore. Prendendo spunto
dalla pubblicazione de La teoria del diritto nel- l'Unione sovietica di Schlesinger,
Balbo si rivolgerà a Einaudi, in uno dei suoi ultimi interventi
prima del distacco dalla casa editrice, per affermare che libri «
sulla linea di Schlesinger, Cole, Webb, Hook prima ma- niera, Wallace
ecc., insomma libri anglosassoni progressivi e corretti verso URSS e
comunismo sono libri utili, se vuoi, ad una provvisoria propaganda ma non
sono libri di vera cultura. Paiono vicinissimi a capire; in realtà
milioni di anni luce li separano da una vera comprensione. Nel loro
fondo, che non tutti avvertono esplicitamente ma che tutti sentono
subcoscientemente, quei libri sono oppio sottile: fanno in maniera più
inavvertibile e quindi anche meno significativa culturalmente e più
pericolosa, ciò che fece Croce in modo scoperto, chiaro e cosciente » ‘#.
Nel gen- naio 1949, intervenendo a una riunione editoriale sulla «
Biblioteca di cultura economica », egli aveva affermato che il PCI « non
deve prendere posizione, avallando la collana; ma di volta in volta può
consigliare o meno i volumi. La Casa deve svolgere la funzione di Casa editrice
e 435 AE, Verbali delle riunioni editoriali 1949-1950 (riunione
del 12-13 gennaio 1949). 4% Pro-memoria per il dott. Einaudi (AE,
Balbo). Le origini della casa editrice Einaudi non può fare
biblioteche di partito. È una critica impietosa nel paragone con Croce e forse anacronistica,
in quanto non teneva conto dei condizionamenti imposti dall’imperante
clima di guerra fredda: una critica alla propaganda e al monolitismo
culturale che vienne in parte a contraddire il positivo accoglimento, da
parte di Balbo, del nuovo orientamento assunto dalla casa editrice. La
fine dell’eclettismo e delle incertezze proprie della produzione
editoriale è stata anzi auspicata da Balbo, che aveva accolto la svolta non
come indice di una subordinazione al PCI, ma come l’inizio di una
politica d’intervento più organica e avanzata. Già nel dicembre 1946,
informando Rodano di un suo ooqui con l’editore, affermava che Einaudi
aveva deciso i mettersi a fare l’editore sul serio, cioè di affidare
la fabbricazione dei libri specialmente di tema politico-economico e
strutturale (mi capisci!) ecc. alle forze migliori che oggi sono inserite
nel processo democratico del paese. A farla breve si tratta di creare
tutta una rosa di libri seri, impegnativi e urgenti sui problemi che
possono concre- tare sul serio il nuovo corso: capitalismo di stato in
concreto, per- manenza amministrativa del fascismo, situazione culturale
generale da un punto di vista direi di geografia culturale, problema
igienico nazionale, problema agrario ecc. Si tratta naturalmente anche di
dare inizio finalmente a certi temi di marxismo teorico consoni alle esigenze
attuali, conclude proprio nello stesso momento in cui anche col suo avallo naufraga il progetto di una vollana
marxista. Il nuovo corso della casa editrice suggerî a Balbo una
serie di scritti programmatici che si collocano nel periodo immediatamente
successivo alla crisi, e che hanno il loro principale obiettivo polemico
nell’idealismo crociano. Egli invia a Einaudi una serie di proposte,
accomunate dal titolo significativo L’Anticroce, che Giolitti fa pro- AE,
Verbali delle riunioni editoriali. AE, Rodano. prie, relative al
rinnovamento delle varie collane prevedendone
una nuova di cultura sociale-politica, partendo dalla considerazione che la
cultura idealistica, « inva- lidando per principio le possibilità stesse
degli studi socio- logici e in genere degli studi umanistici condotti con
metodi scientifici o fenomenologici », aveva soffocato una nascita
autonoma di questi studi in Italia. Poco dopo, in un articolo di risposta
alla recensione fatta da Croce alle Lettere di Gramsci, prende spunto da
una frase di Croce gli odierni intellettuali comunisti italiani troppo si
discostano dall’esempio del Gramsci, dalla sua apertura verso la verità
da qualsiasi parte gli giunge per
affermare: Riconosciamo che in ciò vi è del vero, che molti di noi si
mantengono al di sotto di quel livello sia nelle intenzioni, sia nelle realizzazioni.
Ma dobbiamo anche ricordare a Croce che molti intellettuali comunisti
cercano sul serio di migliorarsi e di imparare e che co- munque il
livello degli altri intellettuali italiani è forse ancora più basso del
nostro, se non si vuole continuare a scambiare per cultura l’arcadia, la
raffinatezza fine a se stessa, l’educazione ipocrita. Soprat- tutto
dobbiamo ricordare a Croce la realtà che egli più ha dimenticato nel suo
pensiero e che ne è certo stata la ragione più grave di debolezza: questa
realtà è il popolo, il popolo oppresso, spesso ignorante e violento, quel
volgo che egli disprezza e che è pur formato di uomini come noi e come
lui. Forse allora comprende che Gramsci non può essere diviso dal suo partito,
che Gramsci appartiene a tutta la cultura italiana, ma che il
partito comunista italiano è parte integrante della cultura e del
pensiero di Gramsci, è parte integrante della cultura italiana, Può
quindi apparire tUn’ironia della storia che l’inter- vento più organico
del Balbo militante, sulla Cultura antifascista, fosse nato come
promemoria per Einaudi e che, al tempo stesso, venisse pubblicato con
alcune modifiche nel numero col quale Il Politecnico, dopo le critiche di
parte comunista, fu costretto a terminare le pubblicazioni. E di AE,
Balbo; cfr. anche Giolitti a Einaudi, (AE, iolitti). AE, Balbo (articolo
per «l'Unità »); la recensione di Croce è ora in Due anni di vita
politica italiana, Bari, Laterza Oggi l’Italia è tutta piena di Benedetto Croce
(e, nota, del Croce deteriore) e ancora è tutta piena, contrariamente alle
apparenze, di Gentile scrive Balbo. La mentalità papiniana,
giuliot- tesca, prezzoliniana è rimasta come un substrato generalizzato e
diffuso nel retroterra culturale di ognuno. Le categorie di giudizio, sia
culturale, sia politico, si muovono ancora completamente su di un terreno
che va da quello di Mussolini stesso in persona a quello della Civiltà
Cattolica, a quello del più stracco spiritualismo cattolico di
importazione francese e di un esistenzialismo universitario ed estrin-
seco. Insomma in Italia si è rimasti senza Gramsci, senza Dorso e senza
Gobetti. E, rivolgendosi in particolare a Einaudi, affermava che la
casa editrice per la sua struttura, per il suo passato, per i suoi
quadri interni ed esterni, attuali e possibili, può svolgere un compito
fondamentale nel movimento per l’abbattimento della vecchia egemonia
culturale bor- ghese e per la creazione metodica e sensibile della nuova
egemonia culturale proletaria e finalmente moderna. Strumento e
base per la ricerca qualificata e per la socializzazione è oggi non
tanto l’università o la scuola quanto l’editoria; e, in
armonia con una tradizione culturale cara all’editore torinese,
concludeva insistendo per la pubblicazione delle opere di Gobetti, che
avrebbero costituito uno specchio nel quale la borghesia più intelligente
potrebbe scorgere la “sua vera faccia e, per rivalsa, la “falsa faccia”
di una borghesia che vuole a tutti i costi illudersi di saper
soprav- vivere al fascismo. Cosî, proprio quando lo scontro nel
paese si faceva più duro, a Balbo sembrò giunto il momento opportuno per
realizzare il suo modello di casa editrice: sotto la spinta
dell’ottimismo maturarono nella sua fervida mente nuovi progetti, da
quello di una « rivista di ricerche e sviluppo storico-ideologico » per
la quale aveva già impostato il lavoro assieme a Rodano, Motta, Giolitti e
Gerratana, a quello del sostitu-tivo
della rivista di una collana Il nuovo
politecnico assieme a Vittorini, fino alla proposta, realizzata nel 1950,
di trasformare la Collana di cultura giuridica in « Bi- AE, Balbo.
blioteca di cultura politica e giuridica » *. Ma il terreno sul quale
Balbo concentrò i suoi sforzi per realizzare una cul- tura « critica »,
tale tuttavia da scontrarsi duramente col laicismo di Bobbio, fu quello
filosofico. Il primo progetto di una BIBLIOTECA DI CULTURA FILOSOFICA è formulato
da Bobbio, che prende contatti con ABBAGNANO (si veda), dal quale vennero le
proposte di tradurre la Metapbysik di Jaspers e, sempre sull’esistenzialismo,
L'illusione della filosofia della Hersch, pubblicato nei Saggi. Dopo
ulteriori contatti con Della Volpe, Banfi, Levi e Garin, Bobbio ritenne
giunto il momento di annunciare l’uscita della COLLANA FILOSOFICA che, al
di sopra di ogni pregiudizio d’indirizzi e al di là di una visione
tecnicamente angusta della filosofia, raccoglie opere antiche e moderne, tanto
più accette quanto più trascurate dagli storici della filosofia, e considera come
suo principale fine e suo rigoroso dovere tener conto della infinita
problematicità del pensiero filosofico attraverso le sue inesauribili
incarnazioni nei diversi tempi e nei diversi campi del sapere. La
collana, che si configura come una via mediana tra i classici Laterza e la
Cultura dell’anima Carabba, prevede opere di Butler e di Hume per
l’illuminismo, Avenarius e i Principi di una filosofia dell'avvenire di
Feuerbach, Kirkegaard e Jaspers per l’esistenzialismo, JUVALTA (si veda) e
MARTINETTI (si veda) come rappresentanti della filosofia italiana
contemporanea. L’inizio della collana di cultura giuridica, con l’inclusione
delle opere di Binder e Gierke originariamente previste per la COLLANA
FILOSOFICA, fa fallire per il momento l’iniziativa, senza che per questo
si fermasse l’attività di Bobbio, che in una lettera a Banfi presentava
la collana progettata come una raccolta di saggi rappresentativi di
quella filosofia costruttiva (contrapposta alla filosofia spe- Cfr. in
particolare, per questi e altri progetti, i documenti dell’Ar- chivio
privato Balbo.Cfr. in particolare le lettere di Bobbio a Einaudi (A E,
Bobbio). Le origini della casa editrice Einaud?] culativa) che la
filosofia italiana ufficiale, e la stessa storia. della filosofia scritta
dagli scrittori ufficiali quasi sempre ignora, e che è poi l’unica filosofia
veramente perenne; e cita, fra gli altri, saggi di CATTANEO (si veda) e di
Frege, per rafforzare la caratterizzazione neo-positivista della collana da lui
voluta contro la presenza, che pur non riuscirà a evitare, di un filone
esistenzialista. Sono affermazioni coraggiose nel clima culturale
dell’epoca, rese più esplicite quando Bobbio, nell’atto di dare
finalmente: avvio alla collana, parla di saggi rappresentativi di
tutte: quelle correnti filosofiche che nel MONDO FILOSOFICO-ACCADEMICO italiano
diviso tra idealisti e neo-tomisti in
lotta. fra loro sono respinte con maggior o minor impeto come: filosofia
non ufficiale. La collana diretta da Bobbio e Balbo inizia in tono:
minore, con I limiti del razionalismo etico di JUVALTA (si eda), di cui
tuttavia GEYMONAT (si veda) che lo propone mette in luce il rifiuto per le soluzioni
puramente verbali, il valore impegnativo e profondo di tutta l’attività
politica, sociale ed economica, e la negazione del carattere
anti-individualistico del socialismo Continua con le Lezioni di filosofia di CALOGERO
(si veda), caldeggiate da Bobbio, e La mia filosofia di Jaspers, un testo
dal quale: Bobbio prende le distanze, ma che, afferma, puo servire ad
eliminare diffidenze preconcette e altrettanto inconsulti entusiasmi, e venire
incontro ad un’aspettativa talora eccessiva che è in molti. Senza
pretendere: AF, Banfi; Archivio privato Bobbio (Bobbio alla sede romana). Bobbio
si dichiarava d’accordo con Balbo per presentare « le opere
rappresentative dei principali indirizzi di pensiero moderno, da Hegel in
poi, senza correr dietro alla moda» (Archivio privato Balbo). JUVALTA
(si veda), I limziti del razionalismo etico, cur. di GEYMONAT (si veda),
Torino, Einaudi. Cfr. anche le lettere dell’editore alla figlia di JUVALTA
(si veda), (AE, Juvalta), e di GEYMONAT (si veda) a Pavese, (AE,
Geymonat). Cfr. « Pro-memoria per la Direzione Generale » della
redazione romana, in AE, Corrispondenza editoriale Milano-Roma 1945.
Sul « moralismo » dell’opera di Calogero cfr. le osservazioni di Nicola
Badaloni in Società. Jaspers, La mia filosofia, trad. Rosa, Torino,.
Einaudi (avvertenza di N. B.). di dare un giudizio complessivo sulla
collana, ci sembra sufficiente accennare al suo carattere articolato, non
uni- tario, che riflette le diverse « preferenze » dei suoi ispira-
tori. Sono ad esempio significativi i giudizi espressi da Bobbio e da
Balbo sui Principi della filosofia dell’avvenire di Feuerbach:
presentando la prima edizione dell’opera, Bobbio osserva che la filosofia
di Feuerbach si colloca tra la crisi del romanticismo e la nascita del
positivismo, e che dal secondo accoglieva « una netta aspira- zione
antispeculativa, un’accettazione supina ed ingenua della realtà dei
sensi; ma accoglie pure, dal primo, un’invin- cibile ripugnanza a toccare
veramente il fondo del problema concreto, la tendenza ad un
sentimentalismo un po’ faci- le » #*. In occasione della ristampa del
1948, invece, Balbo nota l’affinità tra il nostro mondo attuale in
particolare italiano, e quello in cui si formò il pensiero di Feuerbach e
in cui ebbe origine il grande movi- mento marxista. La crisi culturale
apertasi con la dissoluzione della filosofia di Hegel è tutt’altro che
chiusa, Ancora permangono sia pure in una diversa fase di sviluppo i
motivi sociali ed economici che l'hanno determinata. E, in Italia,
specialmente per via della filosofia di Croce e di Gentile e del
fascismo, c’è stato un ritardo ideologico nel prendere piena coscienza
della crisi. Croce e Gentile in questo senso sono stati veramente epigoni
hegeliani perché hanno mantenuto vivo di Hegel proprio ciò che di pit
«teologico » in senso feuerbacchiano c’era nella filosofia di
Hegel; e osservava che la passione, il violento bisogno di
aria e di luce reale, « sensibile », con cui Feuerbach rompe il sistema
della « Teologia razionale » di Hegel, l’entusiasmo di Marx e di Engels
nel leggerlo, sono ancora cose nostre, sono esperienze di molti e molti
giovani studiosi e uomini di cultura, in Italia che ancora oggi cercano
di rompere l’idea- lismo e ritrovare il mondo, la realtà. Un
giudizio, questo, da cui è ricavabile non solo la divergenza con Bobbio che
sarà esplicita nel #8 L. Feuerbach, Principi della filosofia
dell'avvenire, a cura di Bobbio, Torino, Einaudi, Significato di una ristampa,
in Archivio privato Balbo. Le origini della casa editrice Einaudî
dibattito fra i due sulla Rivista di filosofia, e indica una
spaccatura all’interno della casa editrice, ma anche, nello stesso Balbo,
la tensione fra la necessità di proposte positive in questo caso,
Feuerbach in funzione anti-idealista e l’asserita problematicità del lavoro
editoriale. Mentre dimostrava con questo giudizio il suo settarismo per usare in senso non dispregiativo un
termine che egli respingeva, in alcuni Appunti per l’impostazione delle
pubblicazioni filosofiche Einaudi » Balbo lamen- tava il rinchiudersi del
mondo accademico italiano in scuole e sette, osservava che il
giudizio sulle collane filosofiche dipende in primo luogo dal deci- dere
se si tratta di accettare, « riflettere » e conservare la situazione
storico-sociale presente, o se si tratta di conoscerla, criticarla e
mutarla e, al tempo stesso, che una casa editrice di « op- posizione
culturale » come la Einaudi manca al suo carattere se in un momento
storico in cui messuno ha la soluzione dei gravissimi pro- blemi dell’ora
si schiera da una parte o partito o setta sia pure la pit « intelligente
» 0 colta o ben educata o progressiva. Una casa editrice di opposizione
culturale è una casa editrice che chiede, in tutti i modi che le sono
propri, la soluzione ai problemi dell'ora attraverso alle manifestazioni
di bisogni, problemi aperti, prospettive nuove, fornitura di servizi per
la ricerca teoretica, sensibilità alle voci degli oppressi, degli
esclusi, dei dimenticati ecc. E aggiungeva, lasciando aperta la
possibilità di un recu- pero di forme differenziate di speculazione
filosofica: « Se la situazione culturale è di crisi radicale significa
che nulla più della passata filosofia ci serve per lo meno cosi
come storicamente si è data. Ma quando w%/la più serve o c’è
la fine assoluta o tutto serve. Ora in F. Balbo, Opere, con
introduzione di Ranchetti, Torino, Boringhieri, Archivio privato Balbo.
Riflettendo ancora su «Senso e funzione delle pubblicazioni filosofiche
Einaudi, Balbo affermava che una collana filosofica andava concepita
«come un servizio da rendersi alla società italiana, alle « minoranze
rivoluzionarie (che innanzi tutto si formano con la filosofia)», ma che
«l’idea di servizio implica la concezione dei fruitori come totalità, ed
esclude quindi a priori una qualsivoglia tendenza a identificarsi con i blocchi
dominanti »: «la collana deve mirare a completare, ad allargare e a
tenere aperto, cioè a far progredire 7 va l’orizzonte problematico della
situazione filosofica italiana. Quando si passò alle scelte concrete, il
dissidio tra Bobbio e Balbo — che intendeva riservare un settore
della collana al tomismo non poté essere che profondo. Il punto su cui
siamo d'accordo è questo: massima apertura gli scrive Bobbio. Il guaio è
che la tua parte di chiusura (le correnti empiristiche) coincide
perfettamente con la mia apertura, e la mia parte di chiusura (il
misticismo medio- evale e medioevalizzante) coincide altrettanto
decisamente con la tua apertura. Ti dico francamente che la presenza di
testi come lo Pseudo-Dionigi e Bòhme, in una collana filosofica di una
casa editrice che si presenta come una casa di avanguardia culturale, mi
ha fatto rabbrividire. Doveva essere ben decaduta la filosofia nel
medio- evo se lo Pseudo-Dionigi era destinato a diventare, come tu
giusta- mente riconosci, un fatto decisivo per il pensiero medioevale.
La verità è che tutta la tua impostazione, nonostante la pretesa di
essere della massima apertura, è guidata da una polemica molto chiara: la
polemica contro il pensiero moderno. La cultura universitaria,
aggiunge Bobbio, soffre di grande nostalgia per il pensiero teologico,
perché sembra che le idee (e anche le cattedre) siano meglio garantite
dalla credenza nei cori angelici di Pseudo-Dionigi che dal dubbio
cartesiano. Credi, se oggi in Italia c’è un lavoro culturale da fare, è
per fermare lo zelo antilluministico, non già per aiutare i zelatori
della Contro-riforma a chiuderci la bocca. Bada che a giudicare come vorresti
tu « massimamente insufficienti » le « posizioni più avanzate », si
rischia di fare cosa non tanto nuova né tanto peregrina in Italia, dove
se c'è una vecchia e persistente e sempre contagiosa passione è la
pas- sione per le posizioni più reazionarie non per quelle più
avanzate, e dove le posizioni più avanzate hanno fatto di solito la nota
e tragica fine che sappiamo. Le parole di Bobbio erano indice della
difficoltà estrema in cui veniva a trovarsi la cultura progressista
ancora nel 1952, l’anno della morte di Croce, quando anche
Togliatti 452 Archivio privato Balbo. Il 15 febbraio 1952 Bobbio
gli aveva scritto che «in un ambiente filosofico come il nostro saturo di
spiri- tualismo sedicente cristiano (che è la filosofia della pigrizia
mentale) un po’ di cultura empiristica che abitui alla analisi rigorosa e
paziente fa- rebbe molto bene. Ma già tu hai scritto contro l’empirismo e
hai portato tanta acqua al mulino di tutti i reazionari della filosofia,
di tutti gli spiritualisti... » (ibidem). Sul tomismo di Balbo cfr. G.
Invitto, Le idee di Balbo. Le origini della casa editrice Einaudi come
abbiamo visto riconosce nella politica culturale del partito comunista italiano
discontinuità, asprezze, capitolazioni non necessarie, oscillazioni tra
la pura propaganda e l’azione culturale di più ampia portata, e anche
contraddizioni. La Casa sta attraversando una crisi grossa, la più grossa
dopo quella quando restai letteralmente solo scrive Einaudi a Balbo al
fronte antifascista chiaro e compatto del periodo fascista, che è tenuto
da tutti gli strati sani della nazione, si è sostituito un fronte anti-comunista
che è tenuto da strati sani ed insani della borghesia, e da irrequiete e
intelligenti forze intellettuali. Ma il suo appello all’unità contro
il fronte anti-comunista non puo essere più raccolto da Balbo, divenuto critico
implacabile del settarismo del partito comunista italiano. Se tu davvero
presentassi la linea della casa come lotta contro la cultura ufficiale
insipida e decadente avresti presto o tardi attorno a te le forze sane
della cultura risponde Balbo all'editore. Ma come fai a presentarti così se
accetti di fatto direttamente o meno, la direzione culturale comunista?
Oggi non esiste cultura più ufficiale e insipida di quella comunista:
questo è un fatto. E le riflessioni amare stese da Balbo sulla casa
editrice una specie di sua storia, che
gli servirono per chiarire a se stesso il proprio distacco da Einaudi,
cercano di spiegarne la crisi alla luce di quelle che gli sembrano le sue
caratteristiche originarie: La casa editrice Einaudi è nata da profonde
esigenze di rinnovamento che si manifestarono in Italia dopo l'affermarsi
stabile del fascismo che rivelava il problema del male della civiltà
moderna. Non è stata perciò mai definita unicamente dall’antifascismo ha
sempre teso al postfascismo, alla vittoria costruttiva sul fascismo. A questo
si lega anche la sua adesione al comunismo: in quanto il comunismo in
Italia per opera di GRASCI (si veda)-Togliatti si presentò come la più
forte garanzia e promessa di un effettivo rinnovamento, di una
costruttiva vittoria sul fascismo. In tal senso era più forte dell’arbitrio dei
singoli il suo tendere a congiungersi al comunismo. Togliatti, La politica
culturale. Archivio privato Balbo. va anche da sé che cosi si spiega
come tale adesione non sia mai stata di soggezione né di mitigazione del
comunismo ma da potenza a potenza ossia da realtà a realtà. Veramente era
falso dire che la casa editrice Einaudi fosse una casa editrice comunista
ed era pure falso dire che fosse paracomunista. Anzi, aggiungeva,
l’elemento che aveva accomunato Ginzburg, Pavese, Venturi, Muscetta,
Pintor, Balbo, Giolitti, Bobbio, Alicata e Vittorini, non è il laicismo,
non è il razionalismo, non è il comunismo core tale neanche per i
comunisti. È la causa del rinnovamento, la causa rivoluzionaria; ma
l’incontro di questi intellettuali è soggetto a fatale decomposizione su
due fondamentali sollecitazioni: quella interna della crescita
organizzativa e quella esterna della situazione storica generale. Con
la morte di Pavese venne a mancare l’ultimo residuo puntello dell’autonomia
della casa editrice », la quale si era quindi trasformata in terza forza
para-comunista incapace di costituire un servizio per la cultura italiana
nel suo complesso. Il giudizio di Balbosulla cui posizione ci siamo
soffermati perché emblematica dei problemi e dei difficili equi- libri
nei quali doveva muoversi la casa editrice conteneva alcuni elementi di verità,
ma anche profonde contrad- dizioni, nell’individuare in un primo tempo,
ad esempio, il rinnovamento col comunismo, per poi mettere in netta
contrapposizione i due termini. Esso peccava inoltre, come quello di Einaudi,
di una visione idillica delle ten- denze originarie della casa editrice,
fosse il fronte antifascista chiaro e compatto o la vittoria costruttiva
sul fascismo. Senza voler nulla togliere al peso delle « intenzioni, le
concrete vicende della casa editrice non indicano infatti una univoca e
lineare direttiva culturale e politica. Alla cultura del regime essa non
rispose soltanto col silenzio nei riguardi del fascismo, ma in modi
differenziati, che accanto a coraggiose prese di posizione de La Cultura, Dattiloscritto;
ma nella lettera a Finaudi Balbo dice di aver «preparato una specie di
storia della casa editrice (Archivio privato Balbo). Le origini
della casa editrice Einaudi vide a lungo la battaglia liberista di Luigi
Einaudi, assai più conservatrice di quella crociana, tanto da trovare
punti di convergenza con le scelte culturali e politiche dominanti,
anche al di là del comune antisocialismo; una forte presenza di
intellettuali aderenti a Giustizia e Libertà, al liberal-socialismo e quindi al
Partito d’Azione, il cui scontro con i comunisti non uniti al loro interno sarà assai duro nell'immediato
dopoguerra, proprio attorno al modo concreto di intendere il rinnovamento »; e
infine ma è un dato rilevante fino
alla decisa riaffermazione del laicismo da parte di Bobbio un filone
spiritualista o religioso e cattolico che, se poté avere una funzione di
stimolo alla rifles- sione e al dubbio di fronte alle certezze del
regime, conte- neva in nuce notevoli elementi di ambiguità in quanto connotato,
in molti casi, da un potenziale ideologico reazionario, o, nelle voci più
aperte, da una tendenziale fuga dalla realtà: una tematica religiosa che
confluirà con ben altro respiro, nella Collezione di studi religiosi,
etnologici e psicologici voluta da
Pavese e da MARTINO (si veda). Può forse sorprendere che questi motivi permangano
a caratterizzare la casa editrice fino, almeno, al anno che costituisce la vera
data periodizzante della sua storia, tale da concluderne, a nostro avviso,
il capitolo delle origini. La battuta di Balbo, secondo la quale l’Einaudi
è più fascista di Einaudi, indica infatti la persistenza di un passato
dal quale era difficile sbarazzarsi rapidamente: una tradizione » di cui
abbiamo cercato di mettere in luce la complessità, e che la semplice
categoria di antifascismo è insufficiente a contenere e a spiegare in tutte le
sue articolazioni. Abba Abbagnano Abramo Abrate Agnoletto Agosti Agostino Ajello
Alatri Alberti Aldrovandi Alessandro Alessandro Alfassio Alfieri Alicata Alighieri
Alimenti Aliotta Almagia Aloisi Althusius Alvaro Amendola Amendola Amendola,
Giovanni Amendola Amiel Anderson Andreucci Andriulli Angiolini Anile Antoni Antonicelli
Aquatrone Arangio Ruiz ARGS Armndt Argenson Arpinati Arrivabene Ascoli Asor
Rosa Avenarius Azimonti Babel Babeuf Badaloni Balbo Balbo Baldini Ballarini Bandini
Bandini Banfi Baratono Barbagallo Barbera Barbera Barbera Baretti Bargellini Barié
Barker Barone, G., Barth Bassan Bassani Bassi Basso Battaglia Baur Bavink Beccaria
Bedarida Bellezza Belloc Bellonci Belluzzo Bemporad Benda Benedetti Benedetti
Aloisi Benedetto Berdjaev Ber Jey Bernari Bernstein Berti Berti Bertin, G. M.,
266. Bertoni Jovine Bettini Bettinotti Bevione Beveridge Bianchi
Bandinelli Biasutti Bienstock Bilenchi Binder, bi. vi 368. Bini,
C., Ra a di Bissolati Bloch Blondel Blum Bobbio, Bobbio Bohr Bollati Bompiani
Bonald Bonaparte Bonetti Bonfante Bonghi, R Bongiovanni, Bonifacio VIII Bonomi Bontempelli
Borsa Borso Bortone Bosco Boselli Bossi Bottacchiari, Bottai Bottasso Bourgin
Botti Braudel Bravo Bresciani Briamonte Bricarelli Brissot Brofferio Broglie Brown
Brucculeri Bruers Bruguier Brunello Bruno Bryce Bulferetti Buonaiuti,
Buonarroti Burckhardt Burdach Busnelli Butler Cabella Cabiati Cabrini Cadorna Caffè
Caggese, R., CagnettaCajumi Calabi Calamandrei Calderoni, M., Caldwell Calò Calogero
Calosso Campanella Camurani Canella Cannistraro Cantimori Cantimori Cantoni Cantoni
Caparelli Capasso Capitini Carducci Carducci CarliCarlini Carlo Alberto Carlo
Emanuele Carlo Magno Carocci Carrara Casamassa Casali Casati Casini Cassirer Castelli
Castris, A. Castronovo Casula Catalano Cattaneo Caviglione Cavuor, C. Benso, Cechov
er I Cesarini Ceva Ceva Chabod Chamberlin, E, 3a Chamberlin Chiappelli
Chiavolini Chichiarelli Chiesa Chiovenda Chiuminatto Ciacchi Ciamician Ciampini
Ciarlantini Ciasca Ciccotti Ciliberto Cilibrizzi Cione Ciuffoletti Codignola Codignola
Cognasso Cola di Rienzo Colapietra Cole Colombo Colorni Colozza Comandini,
Comisso Conra Constant Contini Cooper Corbino Corbino Cordié Corradini Corsano Cortese
Corticelli Cosmelli, G., Cosmo Costa Costamagna Costantino Craveri Credaro Crescenzi
Cripps Crisafulli Crispolti Croce Crocioni Cronin Crosa Cuoco Curiel Cusin Dal
Fabbro Dal Pane Dal Pra D'Amelio Dami D'Andrea D'Antonio Darwin D'Azeglio Dawson
Debenedetti De Bernardi De Cecco De Cristofaro De Felice De Gasperi Degli Occhi
De Grand De Karolis Del Bono Delitzsch Della Torre Della Volpe Delle Piane De
Lollis De Luca De Man Demarco Demarsico De Martino De Mattei De Michelis Demostene
De Rosa De Rosa De Ruggiero De Sanctis De Sanctis De Stefani Detti De Vecchi De
Vendittis De Viti De Marco Devoto Dickens Diderot Di Domenico Dilthey Dobb Dos
Passos Dostojevskij Droysen Dvotak Eferembeemt Efirov Egidi Einaudi Einaudi Emanuele
Filiberto Emery, L., Engels Enriques Erasmo Ercole Evola Faggi Falco Falqui Fanelli
Fanfani Fanno Farinacci Farinata degli Uberti Farinelli Farneti Faucci Fausti Favaro
Fazio Febvre Fedele Federici Federico II d’Hohenstaufen Federico II di Prussia Federzoni
Fenoaltea Fenoglio Ferrante, Don, (cfr. Alicata M.) Ferrara Ferrara
Ferrari Ferrari Ferrari Ferrata Ferrero Ferrero Ferretti, Feuerbach Fichte Filangieri
Filippo il Macedone Filograssi Fiore Fiore, Firenzi Firpo Fisher Fitzpatrick Flora
Floridi Foot Moore Forges Davanzati Formiggini Fortini Fortunato Foscolo Fracastoro
Fracchia Franceschini Franchetti Franco Franklin Frassati Frassinelli FrateiliFrege
Freud Freund Frezza Bicocchi Frébel Frugoni Fubini Gabrieli Gabrieli Galante
Garrone Galassi Paluzzi Galiani Galilei (si veda) Gallenga Stuart Galletti Galli
della Loggia Galvano Gambino Garibaldi Garin Garosci Garufi Gaslini Gatto Gava Gazzetti
Gemelli Gencarelli Gennaro Gentile Gentile Gerbi Gerratana Geymonat Ghisalberti
Giachino Gianfranchi, pseudonimo di Venturi Giannantoni Giannini Giannone Gide Gierke
Gifuni Gigante Gigli Giglioli, G.Q. Ginzburg Ginzburg Gioberti Gioia Giolitti Giolitti
Giretti, Giretti Giuliano Giuriati Giuseppe Giusti Gobetti Goethe Gogol Gonciarov
Gorresio Grabmann Gramatica Gramsci Grassi Gravina Graziani Gregorio Grieco Grifone
Grimm Grozio Gruppi Gualino Guanda Guénon Guerri Guglielmino Guglielmo Guiducci
Guzzo (si veda) Hall Halm Harris Harris Hayek Hazard Hegel Helvétius Hersch Hitler
Hobbes Hobsbawm Hook Hiigel Huizinga Hull Hume Huxley Interlandi Invitto Iraci Isnenghi
Jacini Jaeger Jahier James Jaspers Jaurés Jemolo Johnson Joyce Jung Juvalta (si
veda) Kafka Kahn Kamenetzki Kant Kelsen Keplero Keynes Keyserling Kirkegaard Korngold
Kuliscioff Labanca Labriola Lajolo Lalla Lanaro Landolfi Langer La Penna Lapiccirella
Laski Lassalle Laterza Lattes Lavoisier Lazzari Lee Masters Lefebvre Leibniz Lemmi
Monnier Lenin Vinci Leontieff Leopardi Le cha Levi Levi Levi Levi della Vida Lewis
Lilienthal Limentani Lippmann Locke Lo Gatto Loisy Lombardo Radice Lombardo
Radice Lombroso Longhi Longo Loria Losacco Lo Schiavo Losini Lukécs Luperini Luporini
Luporini Lussu Lutero Luti Luzi Luzio Luzzatti Luzzatto Lyttelton Macchioro,
Machiavelli Magini Magrini, Li (pseudonimo di ; A) Garosci
Maini Maiocchi Maistre Malagodi, O Malagola Malthus Manacorda Manacorda Mancini
Mangoni Mann Manzini Matanini Marchesi Marchesini Marchi Marchiafava Marco
Marcolongo Marconi Marescalchi Margherita, S. Della Margiotta Margiotta Broglio
Mariano Marinetti Martoi Marramao Marshall Martinelli Martinelli Martinetti Martini
Marx Mason Massolo, Mathiez Matisse Matteotti Mattioli Maturi Maupassant Maurras
Mautino Mazza Mazzini, Mazziotti Meinecke Melograni Melville Menghini Menichella
Meredith Meschini Metternich Miccoli, G., Michaelstadter Michel Michels Mieli Migliorini
Migone Mila Milano Milano Mill Minocchi Minoia Minoletti Mira Mises Momigliano Momigliano
Mondo Mondolfo Mondolfo Montagnana Montale MontanelliMontenegro Montesquieu Monti
Morandi Morandi Morazé Morelly Morgagni Morghen Mori Mornet Moro Morra Mosca
(si veda) Mosé Motta Mounier, Muratori Murri Muscetta Mussolini Nallino Napoleone
Napoleoni Natoli Needham Negri Negri Negri Nenni Neri Nevins Newman Newton Niccoli,
Nicolini Nietzsche Nitti Nobili Massuero Novalis Nulli Odoacre Ojetti Olivetti Olivo
Omodeo Onofri Operti Orano Osimo Ovidio Owen Paci Pagliaro Pajetta Pajetta Palacio
Palazzi Palazzolo Palla, Palmarocchi Pannunzio Papa Papa Papini Parente Pareto Paribeni
Parodi Parri Pasquali Passamonti Pastonchi Pastore, Pater Pavese Pavlov Pavolini
Peano (si veda) Pellegrini Pelster Pende Pepe Peroni Perosa Perrotta Perticone Pesante
Pétain Petrarca (si ved) Petrini Petrucci Pettazzoni Piazzesi Picasso Piccardi Pieraccini,
Pieri Pierson, N. Ga Pietro il Grande Pigou Pincherle Pintor Pintor Pio Piovani
Pirandello (si veda) Pirenne Pisacane Pivano Pivato Pizzetti PlanckPlatone Poggi
Pogliani, A., Pogliano Polese Polledro Pomba Porena Porzio Pozzani Pratolini Praz
(si veda) Preziosi Prezzolini Proudhon Proust Pseudo-Dionigi Pugliatti Puskin Quadrotta
Querealpiti Candia Quazza Quinet Racca Racinaro Radet Ragghianti, Ragionieri Rago
Ramat Ranchetti RanfagniRapisardi Mirabelli Rathenau Ravà ReedReichlin Rémusat Renan,
E., 2Renouvin, Rensi Rensis Repaci RevelRicardo Ricci Ricciardi Ricciotti Ricuperati
Rigola Ripellino, A. M.,, Ritter Riva, Gi, ds. Rizzoli Robbins Robespierre
Robotti Rocco Rodano Sola Romagnoli Romagnoli Romagnosi Romanelli Romano Romano,
P., (cfr. Alatri) Romano Romano Romeo Roosevelt Ropke Rops Rosa Rosada
Rosada Rosselli Rosselli Rosselli Rossi Rossi Rossi Rossi Rossi Rossi Rossi Rossi
Doria Rossini Rostovzev Rota Rousseau Ruffini Ruffini Ruggiero Rusconi, C.,
Riissel Russo Russo Saitta Saitta Salandra Salata Salinari Salomon Salvadori Salvadori
Salvatorelli Salvemini Santamaria Santangelo FADUBIANO: Don, (cfr.
Muscetta Santoli Santomassimo Sapegno Saraceno Saroyan Sarpi Sartre Sasso Savonarola
(si veda) Sayers Sbarbaro Scaduto Schiavi Schipa Schlesinger Schlosser Schopenhauer
Schumpeter Schwarz Scialoia Scoppola Selmi Semeria Sereni Serra Serri Sestan Setti
Severi Sforza Sgroi Shaftesbury Silva Simonetti, M, Sismondi Slataper
Ss Smith Solari Solari Solari Soldani Solmi Solmi Sombart Sonnino Sonzogno Sorel
Spadolini Spaini Spampanato Spann Spaventa, Spellanzon Spencer Spengler Speranza
(si veda) LucaSpinelli Spini Spinoza Spirito (si veda) Spriano Sraffa Sraffa
(si veda) Stalin Stein Steinbeck Steiner Stille, U., (cfr. Kamenetzki,
M.) Stirner Storoni Mazzolani Strada Stringher Stuart HughesStuparich
Sturzo Succi, Tacchi Venturi Tagliacozzo Tagliacozzo Talleyrand Tardieu Tarnlé Tarozzi
Taylor Telesio (si veda) Teodori Testoni Thackeray Thaon Thierry Thiess Thode Tilgher
(si veda) Timpanaro Tocco Todaro-Faranda, M., Toffanin Togliatti Toller Tolstoj
Tomasi Tommaseo Toniolo Tornimparte (pseudonimo di Ginzburg) Torrini Tortorella
Tortorelli Tosi Toynbee Tramontano Tranfaglia Travi (pseudonimo di Venturi Treccani
Treccani Treitschke Trevelyan Treves Treves Treves Trevisani, P., Tricomi Troeltsch
Troilo Trombadori Trompeo Trotzki Truman Tumminelli, C., Turati Turchi Turgenev,
Tutgot Turi Turiello Vacca Vaccari Vailati Valente Valeri Valiani Valitutti Vallecchi
Valli Varisco Vasoli Vaudagna Vecchietti, Vecchio Venturi Venturi Venturini Verri
Vian Vico Vidari Vieusseux Vigliani Villari Villat Vinciguerra Wallace Visconti
Weber Vita Finzi Welles Vitichindo Werth Vittoria Wetter Vittorini Whitman Wick
Wicksell Wicksteed Vittorio Amedeo II, Woolf Vittorio Emanuele III Wotan Vivanti
Volpe Yugow Zaccaria Zama Zancan Zanella Zangheri Volpicelli Zangrandi, Zappa Volpicelli
Zdanov Volta Zibordi Voltaire, F. M. Arouet de Zini Zoccoli Volterra Zveteremich.
Ideologia e cultura del fascismo: l’« Enciclopedia italiana » La ricerca
del consenso. Il progetto di Martini e Formiggini. L’intervento di Treccani e
Gentile. Lo « specchio fedele e completo della cultura scientifica
italiana ». La « politica di conciliazione » di Gentile. I collaboratori
e le proteste del fascismo estremista. L’ipoteca cattolica. Il controllo del
regime. Le voci politiche e l’ideologia del fascismo. L’assimilazione dei «
competenti »: Gioele Solari e Rodolfo Mondolfo. Gentile, Volpe e il
nazionalismo storiografico. Le voci religiose: presenza e conflittualità
dei cattolici. Formiggini: un editore tra socialismo e fascismo. La
parola, veicolo di « fraternità universale. Positivisti, modernisti,
socialisti. Intenti divulgativi. Una cultura al di sopra della mischia. La
sconfitta di un’illusione e una tenue resistenza. I limiti del consenso:
le origini della casa editrice Einaudi. Iniziative editoriali. L'ideologia
conservatrice di Einaudi. L’impronta liberista sulla casa editrice. La Cultura
e la tradizione gobettiana. Storiografia e impegno civile. Cultura
della crisi e spiritualismo. Una cultura eclettica: i Saggi. La svolta della
guerra e i collaboratori romani. L’anti-conformismo storiografico e
l’Universale. I quarantacinque giorni, la Liberazione e il
Fronte della cultura. La ricerca di un nuovo orientamento e l’eredità del
passato. La rottura dell’unità antifascista e il rapporto col PCI. Grafiche
Galeati di Imola. Turi. IL FASCISMO E.IL CONSENSO: DEGLI INTELLETTUALI. Questo
volume offer un contributo di grende interesse alla storia della cultura
italiana, analizzando alcuni momenti. di gregazione culturale particolarmente.
rilevanti, ta' iat nascita e la caduta del fascismo. La Fondazione dell’Enciclopedia-italiana.
Pattività\edi‘origle di A. Formiggini, la nascita della casa editrice. Einaudi
— chevpetmettonò i; collegare significativamante gli Itinerar di’ singoli
intellettuali con Je vicende politiche ‘delipaese e di individuare, anche
negli anni. del‘ regime, accanto «a condi: zionamenti;»autocensure e
compromessi, il. permanere oil inuscere di. «schieramenti » i! cui
significato «non ‘è' soltanto. culturale, ma anche: politico. L'«
Encicloped'a italiana»; fondata sotto la direzione di Gentile e con la
collaborazione dil'intetlettuali anche antirascisti, testimonia i
esistenza di-una cultura fascista; sia pur. eclettica e forlsmente
condizionata dalla ‘presenza: cattolica MAt- torno-alla casa. editrice.
Formiggini si erano. raccolti,
intellettuali di formazione. positivistache cercheranno di resisiere alla
politica culturale del. regime appellandosi ad una orma l’illùsori autonomia
della cultura. Nella casa editrice fondata da Einaudi, infine; ii liberalismo. Conservatore
di Einaudi convive con l'orientamento di intellettuali. legati a
«{iustizis © libertà» e, vin seguito, con orientamenti: di matrice azionista e comunista:
che prevartranno. nettamente nel'1945 con la presenza delle forti personalità
di Pavese; Vittorini, Cantimoti, Balbo, e Bobbio — cercando’ di dar vita va un
ampios«fronte de:'atcultura +» destinato (a. dissoiversi con la rottura
dele l'unità-antifascista, Introduzione. -tIdeologia «e. cultura:
del fascismo:nl-Enciclopedia. Italiana. Formiggini» un editore tra socialismo
e fascismo. I limiti déell'consenso. Le origini: della casa editrice
Einaudi. GTuri insegna a Firenze. Storia dell'Italia’ contemporanea
nella Facoltà: di Lettere e Filosofia. Sudiato! periodo della riforme
‘setteceritesche e. dell'occupazione francese in, Italia; «pubblicanido
nel:1969 il volume « “Viva Maria”, La reazione alle riforme leopoldine. Su
occupa della cultura italiana, ema sul auzls ha prbblicato diversi contributi.
Gak labora alle riviste Studi storicì..; « Movimento onsraio e
socialista» e « [talia contemtoranea
(i.i.) ©0GO. Fabrizio Desideri. Desideri. Keywords: consenzienti -- consentire,
“i consenzienti del bello” – perizia del bello – imago imaginis – il bello -- costellazione
griceiana, aporia, il riflessivo, l’esperienza del bello, il sentire, sensum,
sentiens, sensus, sentire e esperienza, esperimentare, esperienzare, emozione,
giudizio, giudicare, espressione dell’emozione, contenuto proposizionale, il volitum,
il co-sentire del bello, Grice, Sibley, meta-property, second-order property,
aesthetica, Sibley on Grice, Scruton on Sibley on Grice, aesthesis, sensus,
senso, consensus ------ -- Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Desideri” – The
Swimming-Pool Library. Desideri.
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