Monday, November 18, 2024

GRICE ITALO A/Z D DI

 

Grice e Dicante: la ragione conversazionale e  la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.

 

Grice e Dicerco: la ragione conversazionale e  la diaspora di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico di Calcide (“Vita di Pitagora”), a Pythagorean.

 

Grice e Diconte: la ragione conversazioale e la setta di Caulonia -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean.

 

Grice e Dima: la ragione conversazionale e la setta degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According to Giamblico a Pythagorean.

 

Grice e Diocle: la ragione conversazionale e la a setta degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotona). Filosofo italiano. According to Giamblico, a Pythagorean – one of those who left Italy when the Pythagorean communities there came under attack. According to Diogene Laerzio, a pupil of Filolao di Crotona and Eurito di Taranto.

 

Grice e Diocle: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.

 

Grice Diodoro: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower of the Gardener. He committed suicide in a state of contentment and with a clear conscience, according to Seneca.  

 

Grice e Diodoro: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He writes a history of the world that largely survives. The Library of Hstory is a valuable source of information about the thought of antiquity. Ed. C. H. Oldfather. Diodoro Secolo. Diodoro.

 

Grice e Diodoro: la ragione conversazionale e la rettorica filosofica -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to Suda, a philosopher and the son of Polio Valerio. He wrote on rhetoric. Diodoro Valerio. Diodoro.

 

Grice e Diodoto: la ragione conversazionale al portico di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Member of the Porch, tutor of Cicerone. He lives in Cicerone’s house. He dies there and leaves Cicerone all his property.

 

Grice e Diogene: la ragione conversazionale al  portico a Roma – filosofa italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. One of a deputation to Roma – with Carneade and Critolao – before the Senate. Thanks to the lectures he gives during his Roman holiday, many Romans became interested in the Porch for the first time.

 

Grice e Dione: la ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He appears to have been a follower of The Garden with whom Cicerone was acquainted but for hom he had little time or respect.

 

Grice e Dione: la ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Cristostomo – Cocceiano – Taught at Rome, became a philosopher thanks to the influence of Musonio Rufo. According to Flvio Filostrato, he was acquainted with Apollonio and Eufrate. One of his pupils was Favorino. He was banished from Italy by Domiziano.

 

Grice e Dione: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. Philosopher. He was honoured by a statue in Rome.

 

Grice e Dione: la ragione conversazionale all’isola – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A friend of Plato for years. He had an erratic political career, sometimes seeking or managing to rule Syracuse either directly or through others, sometimes in exile. During one of his periods in exile he stayed at the Accademia. He was eventually assassinated.

 

Grice e Dionigi: la ragione conversazionale e  l’implicatura conversazionale intorno al Cratilo – scuola di Barletta – filosofia barlettese – filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Barletta). Filosofo barlettese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Barletta, Puglia. Grice: “I like Dionigi; for one, he wrote on Cratylo, which I love!” – Grice: “In Plato’s Cratylo there’s possibly all the vocabulary you need to understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W. Morris!” -- “Postmodern Italians like Donigi, and they created a cocktail in his honour! His philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on semeiosis proves Whiteheads’s dictum that all pragmatics is footnotes to Grice, and all Grice is footnotes to Plato!” Si laurea a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale, nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche), analizzato sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un lucido bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il processo di ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta "linguistica", vista come approfondimento della critica della metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo ermeneutico”), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose. Intorno il “Cratilo” di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite descriptions – descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa stessa" della filosofia.  “Cocktail Dionigi” e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari, Marramao.  Altre opere: Bachelard. La "filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio della filosofia: “Un filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un filosofo tra Aristotele e il pub”.  su ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi.  The development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia romana antica. Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla correttezza -- dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è un dialogo di Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio, della “correttezza” -- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono Socrate, Ermogene e Cratilo.  La maggior parte dei filosofi concorda sul fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo di Platone. Incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema e delle due tesi sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una espressione o nome. Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo attorno al problema del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da Ermogene delle teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una espressione e “per natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene crede invece che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale, physikos; l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla convenzione.  Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude in sé qualcosa della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a confutare la tesi di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo convenzioni, ma anzi rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si riferiscono; contiene cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta nell'adattarsi alla cosa descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un discorso vero e un discorso falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del discorso (A e B, S e P), è evidente che l’espressione utilizzata nel discorso vero deve essere ‘corretta’. Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui che ha deciso l’espressione, il legislatore, uomo sapiente (the master) ha infatti rivolto la sua attenzione all' ‘idea’ o concetto (implicatum) dell’espressione, adattandolo poi a questa o quella necessità descrittiva, adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore crea una espressione solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa, del reale.  Ha qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in considerazione l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene parallelamente sviluppato un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità dell'uomo, come l' “anima” o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il ‘corretto” dell’espresione degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento si dilunga sulle qualità morali dell'uomo. Il corretto di una espressione si misura in base al corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo questa disquisizione Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad adesso analizzato e una espressione composta (complexus). Questa  caratteristica di essere un compost (complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale, l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”, Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce. Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta, propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa) bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende il reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf. muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima, ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre l’espressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dell’espressione risiede nella stabilità del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre uguale, allora è possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione “Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’ spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale (hairy-coatedness).  Cratilo simboleggia invece la concezione naturale (pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto, assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura non e un segno; Non tutto e un segno --.  Platone fonda la sua concezione della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita. Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura del legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di Cratilo. Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità del legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno. Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno, nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette, nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per argomentare l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da Grice con il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il collegamento tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A segna che p” no implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate, storicamente sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della prammatica. Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la concezione platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un legame naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum.  Sedley, Plato's Cratylus, Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il Melangolo, Luigi Speranza, “Platone e il problema del linguaggio” seminario. Lettura e commentario di testi di filosofia antica. testo completo in italiano e lingua greco antico. Traduzione integrale del Cratilo su filosofico.net, su intratext.com. Il testo greco presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley, Plato's Cratylus, in Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Bibliografia su Cratilo. Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia di Socrate · Critone · FedonePlato-raphael.jpg  tetralogia Cratilo Teeteto Sofista Politico III tetralogia Parmenide Filebo Simposio (o Convivio) Fedro tetralogia Alcibiade primo · Alcibiade secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete · Liside VI tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia maggiore Ippia minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia IX tetralogia Minosse Leggi Epinomide Lettere Opere spurie Definizioni Sulla giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco AlcioneEpigrammi. Linguistica Categorie: Dialoghi platonici CRATILO VEL DE RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS FICINO (si veda) ad Petrum Medicem uirum clariſſimum. A MARSILIO ec HERMOGENES. CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostrū et cum hoc Socrate conferamus: CRAT. Vo: Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus hic ô Socrates, rebus singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid esse nomen, quod quidã ex constitutione vocant, dum vocis suæ particulam quandā pronunciat, sed rectam rationem aliquam nominū & græcis et barbaris eandé omnibus innatam. Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur. Socrati vero quod nomen, inquam: Socratesait.Nónne cæteris omnibus,inquã,id eft nomen quo quenquocamus.Illenõ tibi tamen ait Hermogenes nomen eſt,nec etiã ſi omnes homines teita uocarint. Dumýobfecro ut ſciſcitanti mihi quidnamdicat aperiat, nihil prorſus declarat, sed me ludens, simulatſeſe aliquid uerſareanimo,quali nõnihil hac de re intelligat,quod li uellet exprimere,cogeret meidipfumfateri,eadēý dicere quæ ipſe dicit. Quamobrem libenter ex te audirem, siqua ratione Cratyli uaticiniâ potes conījce se.libentius tamen fencentiam tuam denominum rectitudine,fiquidem tibiplacet,audi rem. soc. Hipponici fili Hermogenes,ueteriprouerbio fertur. Pulchra eſſe cognitü Prouerbia e difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua res eft.Equidem ſi ex Prodico illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam olim audiffem, in cuius traditione etiã hæc inerant, ut ipſeteſtatur, nihil prohiberet quin tu ſtatim nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun audiui, fed illamdrachmæunius duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio,inueftigare autem tecum ſimul &cum Cratylo paratus ſum.Quodautem dicit ti bi noneſſe reuera nomen Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi pecu niarum auidus ſis, & impos uoti. Verum,ut modo dicebam, diſficilia hæc cognicu ſunt. Oportet autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum ita sit ut dicis ipse, an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet frequenter cum hoc cær terisc permultis iam diſputauerim,nondum tamen perſuaderimihi poteft aliã eſſe no minisrectitudinem, conuentionemipfam conſenlionemě.Mihi quidē uidetur quod cungnomen quis cuig imponit, id eſſerectů.Acſi rurſus comutat,aliudó imponit, ni hilominus o primum, quod illi ſuccedit nomen rectấexiſtere, quemadmodüſeruis no mina cómutare solemus: nulli quippe rei natura nomē ineſſe,fed lege &uſu illorum qui fic uocare conſueuerunt.Quod quidem ſi aliter ſe habet,paratus ſum non à Cratylo tan tum,uerumetiã àquouis alio diſcere ac audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conſideremusitap. quodcũq imponit quis cuinomen uocato, id illi nomen effe af feris:HER.Mihi ſane'ita uidetur. Soc. Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER. Affero. soc. Quid vero si ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus, ego “equum” nominē, quem'ue equum, hominē: publice quidem erit eidē homo nomen, pricatim “equus”, &priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita loqueris: HER.Ita uider.soc. Diciterum num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifalſa. HER. Equidem. Soc. Nónne illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio falſa: HER.Ita prorſus. So c.Illa uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit ut exiſtűt, vera est,quæ ut no exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est autem hoc,oratione,ea quæ ſunt, & quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum.soc. Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum tota quidem eft uera,partes non uerærher. Imò&partes ueræ. soc. Vtrữ partes magnæ ueræ,exiguæ uero particulæ fallæ,an ueræ ſunt omnes. HER. Omnes arbitror. soc.Habes orationispartem aliquã minorēnominer HER.Nequaç, Orationis hęceſ pars minima.so c. Et NOMEN quidē hoc pars orationis ueræ.H ER.Proculdubio. pars minio soc.Pars utiq uera,utais ipſe. HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio. soc. Licet ma eſt nos ergonomen uerű, & nomen falſum dicere, fiquidē & orationem.HER. Quid prohibet, men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id & cuiq; nomen eft? HER. Idipſum. soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac etiam quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter hanc nominis rectitudinem am rerum ipſas effe dinens, ut uidelicetliceat mihi quidē alio rem uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti. Ita equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, & Græcis ad alios Græcos, & Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. Mus Hermogenes,utrum resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ minem effemenſuram, ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia & mihiſint: item qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ effentiæ ſuæ quandã habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc deductusfum, quæ tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc. Nunquid & ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem eſſe hominem omnino malum: her. Non per louem.imò fæpenumero ita fum affectus,utexiſtimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, & quidem plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci. soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus vero prauos imprudentes omnino: HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eſto hæcipfa ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur, talia ſint fieri'ne poteft,ut alij hominum prudentes ſint,imprudentes alí:HER.Nequaquam.soc.Atqui hæc, ut arbitror,tibi omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam & imprudentia fic,Protagorā baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera prudētiorerit,fi quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe ſimiliter ac ſemper.Nec enim ali boni, alí mali effent,fiſemper & æ nibuselle û que omnibus & uirtus ineffet & prauitas. HER. Vera loqueris. soc. Ergo fineqom. militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato ſimiliter,ne cuiq proprium unumquodq, cõſtat res femper quæ effentiam quandam firmam in fe habent,ne® quo ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą diſtractæ, fed fecundum feipras quoad ipsarum elfen tiam ut natura institutæ sunt permanentes. HER. Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipsæ ita natura conſiſtunt, actiones autem illarum non ita, ſed aliter: an & actiones ipsæ similiter quædam rerum species ſunt: HER. Et ipfæ omnino. soc. Ergo actiones ipfæ secundum naturam ſuam, non ſecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum finosrem quampiam diuidere ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que eft,utnos uolumus, & quo uolumus: an potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun dum naturam qua diuidere & diuidioportet, item eo quo ſecundum naturam diuiſio fieri debet,diuidemus utiqrecte, & aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus: Sinau tem præternaturam,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita uidetur. soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem opinio nem comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam. hæc autem eſt qua ratione naturaliter quode comburi debet atæ comburere,& quo debet. HER. Vera hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio: HER. Eadem.Soc. Annon & dicere una quæ dam operationữeſt: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut ſibi dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipſa rerum natura dicere diciç requiritiet fi quo natura exigit,eo & dicat,aliquid dicendo proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós efficier. HER.Ita equidem utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est NOMINARE: & quinominant, loquuntur quodamodo? HER.Omnino.soc. Et nominare actio quæ dam eft: quando quidem & dicere actio quædam circa res eft. HER. Prorſus. soc. A. Ationes autem nobis apparuerunthaud ad nos reſpicere, fed propriam quandam ſui ha bere naturam. Her. Est ita.so c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipsarum natu. ra nominare ac nominari poftulat, & quo poftulat, nõ autem PRO NOSTRÆ VOLVNTATIS ARBITRIO,liftandum est in his quæ dicta sunt. HER. Sic eſt.s o c. Ato ita aliquid per agemus, nominabimusý, aliter uero nequaquam. HER. Apparet. soc. Quod incidendum eſt, aliquo incidendű. HER. Aliquo.soc. Et quod texendữ, aliquo certe texendű, quodue perforandum,aliquo perforandū. HER. Plane. soc. ltem quod nominandũ, aliquo nominandum. HER. Sic oportet. soc. Quid illud, quo aliquid perforareoportet? HER. Terebrum. soc. Quid quo texere: HER. Radius pecteng. soc. Quid quo nomina. Reč HER. NOMEN. soc. Beneloqueris, ideog inſtrumentum aliquod nomen eft. HER Ert Eft. soc. Si quærerē quod inſtrumentū eſt radiuspectený, reſponderes quo teximus: HER.Non aliud.soc.Texentes uero quid facimus, an non fubtegmen & stamina confusa, radio diſcernimus. HER. Iſtuc ipſum.so c. Idem de terebro ac cęteris reſpondebis: HER. Idem. soc. Potes & circa NOMEN similiter declarare, quid facimusdum nomine Nomen, res ipso quod inſtrumentū eſt, aliquid NOMINAMVS (H. P. GRICE. “I name”). HER. Nequeo. soc. Nűquid docemus tias docen's inuicem aliquid, ac res ut sunt discernimus. HER.Nempe. soc. Nomen itaqrerű ſub di discernen Itantias docendi discernendig inſtrumentū eſt, ficut pecten & radius ipſe telę. HER. Sic diğinftru eft dicendű. soc. Radiusporrò textorių eſt inſtrumentū. HER. Quid nir'. SOCR.Texcor mentum icaç radio ac pectinerecte uterur, recte, inquā, ſecundű texendirationē. Ille uero quido cet, nomine Pombaur, & recte, recte uidelicet ſecundű docendi propriâ rationē: HER. Cer te.soc. Cuius artificis operebene Pombaurtextor, quando radio pectineś Pombaur: HER. Fabrilignari. soc. Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha. betartē.soc.Cuius item opere recte perforator Pombaur? HER.Aerarijfabri.soc. Num quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER.Quiartē. soc. Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER.Neſcio.soc. Allignare & hocneſcis: quis nobis tradit nomina quibus utimur. Her. Ignoro & hoc. soc. Nónne lex tibi uidet nobis nomina statuisse HER. Videtur. soc. Ergo legislatoris Pomba opere doctor ,quádo nomine ipfo Pombaur. HER. Opinor. soc. Códitor legis quilibet tibi æque uidetur, an quiarte eſt præditus. HER. Arte præditus. soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenes NOMEN IMPONERE,uerũ cuiuſdam nominữautoris. hic autem etiam, ut videtur, NOMINVM INSTITVTOR, quirarior omni artifice inter homines reperit. HER. Apparet. Soc. Animaduerte obſecro, quô reſpiciens NOMINVM INSTITVTOR, NOMINA REBVS IMPONIT:imò ſuperiorű exempla dýjudica, quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit. non nead tale aliquid quodad texendum natura fit aptum: HER. Prorſus. soc. Siin ipſo operera dius hic frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan potius ad ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus eſt,fecerat: HER. Adipſam ut arbitror, speciem.soc. Nón ne speciem ipfam merito ipſius radij rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo oportet cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis alteriradiữ apparare, radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis uero cuiqznaturaliter eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű, VT NATVRA POSTVLAT, adhibere. HER. Oportet ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis eftratio.Nam quod natura cui & congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq id illiattribuendű,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu ra ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ accommodatum ſcire oportetin ferro perficere. HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc ſunt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius telæ alteri competit, & in alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum inftitutor nomen Quomố no natura rebus ſingulis aptű in uocibus & fyllabis exprimat, ad idý reſpiciés quod ipſum minabit qui nomen eſt, ſingula nomina fingat,atque attribuat, li reuera nominum autor eſt futurus. recte nomi Quod ſinonñſdem ſyllabis quiſq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt, quod neq fabriomnesærarñ eodem in ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio, & alio ferro,eatenus recte ſe habet inſtrumentum,ſiuehic,fiue apud Barbaros fabricēt. Nónne; HER. Maxime. soc.Nónne & eodem modo cenſebis,donec inſtitutor no minum quiapud nos eſt, & qui apud Barbaros, nominis speciem cuim cõpetentem tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű altero in nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum conueniens radij species cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an textor uſurus. HER. Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus, cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem inſtruere poteft, & opus recte'ne an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis ergo: HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo. ris nauiữ. HER. Gubernator.soc.Quis item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, & expletû dijudicabit & apud Græcos & apud Barbaros: Nónne & quiuteſ: HER. Is certe.so c.Annõ is eſt qui interrogare ſçitç HER. Iſte. $ 0 c.Idem quog reſpondere, HER nabic zi HER. Nempe. SOC. Eum uero qui interrogare ſcit ato reſpondere, aliumuocas i diale Dialecticus nouit recte cticum: HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri ita opuseſt temonem facere guber impofita no natore præcipiente,li bonus futuruseſt temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt nomina. HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue quiddam,utipfecenſes,nominis impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum &quorumuis hominum opus.NempeCra tylus uėra loquitur,cum nomina dicit natura rebus competere, neg unum quemuis eſſa nominum autorem, sed illum duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag ſpeciem eâ literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates qua ratione his quæ dixiſti,lit repugnandã: forte'uero non facile eſt ſubito fic perſuaderi. Videor autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi oftenderis quam dicaseſſe natura rectano. minis rationem. soc. Equidem ô beate Hermogenes,adhucnullam dico, ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà, meuidelicet hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul inueftigantibus hoc duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem aliquã natura nomen habere, nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne: her.Valde.soc.Conſiderandum reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deſidero equidem.soc. Animaduerte igitur. HER. Quauia inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab his qui ſciūt hæc perquirere,oblatis pecunis, & gratöjs inſuper actis:hi uero ſophiſtæ ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês euafiffe ui detur. Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt fratrem ſupplex ores, ut te doceat nominâ rectitudinem quam à Protagora didicit. HER.Quàm abſurda hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam Protagoræ ueritatem nullomodo recipiã,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa dicuntur,alicuius precí æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut ironicũ mero cæterisý poetis est diſcendum. HER. Quid de nominibus, & ubi Homerus ô Socrates,tradic:so c.Paſimmulta, maximauero & pulcherrimaſuntilla,in quibus diftin guitcirca eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi inducunt. Annoncenfes ipſum in his magnificum alíquid & mirandumde recta ratione nominữ tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti, quæ natura conſiſtunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio,fiqua dij uocant,recte eos admodum nominare. Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano flumine, quod ſingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant, uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs, Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas, ut fciat quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam aros Myrinen, alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum iſtarữrerum inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē &Altyanax quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com prehendi,facile & percipi poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ dico: HER. Omnino.soc. Vcrum iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire magis puero, Aſtyanacta'ne,an Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem conſidera:liquis te interrogaret, utrữ putes fapientiores rectius nomina rebus imponere, an minus ſapien. tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe. soc.Vtrũmulieresin urbibus sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri: quantı ad genus attinet. HER. Viri.so c. Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a mulieribus Scamandriū nuncu patum: quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare conſueuerűt. Her. Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam mulieres eorũ exiſtimauit: HER. Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta igiturrectius quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER.Apparet.SOCR. Animaduertamusquam ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit, ciuitatem ipſis cutatus eſt amplas mænia. Quapro prer decet, ut uidetur, protectoris filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč,eius, quam pater ipſiusſeruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider: Soc.Quod aức hoc maxime;porrò &ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis: HER. Nõ perlouem.soc.Arqui & Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit. HER. Quamobrem: soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya sactieſſequamproximum: ferme'enim idem SIGNIFICANT, putanta Græciutraq hæcno mina regiaeffe. Cuiuſcunæ enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft & fxTue, id eſt poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ, & habere.An forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam: HER. Nullo modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR.Decet,utmihiuidetur, leonis filiū leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico, liquid tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus: fed cuius generis ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum naturam filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum,non pullus equinus di cendus eſt hic,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana producit, quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris omnib. iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem. soc.Obſerua me nequid defraudem. Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in alíis uero & alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc ſiue addatur litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec ESSENTIA REI SIGNIFICATÆ IN IPSO NOMINE dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum ue dico, uerű ita ut in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonów, o fixpou & whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes liceras,ut Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus. Verum quo uſg elementi ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud uocare ipſum quod nobis fignificet elementum, ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.éc, nihil obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur, cuiusnominum autor uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit: Erit ex regerex, ex bonobonus, ex pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet genere alterữ quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano: mina.Variare autem licet per fyllabas,ut uideantur homini rudi,quæ ſunteadem, eſſe di Gería. quemadmodữ pharmaca medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem fint,nobis diuerſa uidentur: Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem iudican tur,neß eum additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in nominibus eruditus, uim illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua litera addita eſt, uel tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis eadē uis nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector, liceras omnino diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod &exémolis, id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum duobus ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil aliud quam regem SIGNIFICANT. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem ſignificant,ut čys, worém cedoOMG,.Alia item quæ medicinæ profefforem declarant,ut ictportas, a xecik @ poro. Aliaó permulta reperiri poflunt,fyllabis & literis diſcordantia, ui autem SIGNIFICATIONIS penitus conſonantia. Sic ne & ipſe putas, an alia ter: HER. Sic certe.SOCR. His profecto quæ fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER. Omnino. SOCR. Quoties uero præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie monftri, uelut quum ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non genitoris nomen ſortiri debet, ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum ſuprà diximus, ſi equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium,fedbo uem denominandum.HER. Siceſt. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa rentis, sed generis nomen attribuendum. HER. Vera hæc ſunt.soc.Neque igitur6tocosia Agy, id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id eſt Dei memorem, uel talem aliquem huiuſmo diuocarefilium talem decet, sed contraria SIGNIFICANTIBVS NOMINIBVS appellare, ſi modo recte nomina inſtituta effe debent.HER. Sic prorſusagendum ô Socrates. soc. Profe dio Oreſtinomen recte,o Hermogenes,uidetur impoſitum, fiue aliqua ſors illi nomen dedit, liue poeta quidā, ferinam cius naturã agreſtē &moncanã nomine eo SIGNIFICANS. HER.Sic apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER. Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon, utſibi laborandũcenſeat,to lerandumý, &in ijs quædecreuit,per uirtutem perfeuerandã. Argumentũuerotoleran tiæ ſuæ apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prębuit. Quod igitur mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen ſignificai Agamemnon, quali ayasos 967 oli ümrovlu. Fortè uero & Atreusrecte eft nominatus.Nexenim Chryfippi, & crudelitas aduerſus Thyeſten,noxiữ perniciofumo illum demonſtrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, & clam innuit,ut non quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum periti ſunt, ſatis Atrei ſignificatio pater. Dicitur enim ſecundum erogès, afeger's atypów, quaſiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit. Videtur & Pelopi nomen haudab re tributum. Hominem quippe quæ prope ſunt uidentem,nomen iſtud congrue significat. HER. Cur illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicæde, utfer tur, prouiderenihil potuit, nec eminus pſpicere quãta toti generi ex hoc calamitas im mineret. Quæ enim antepedeserant, &ad præsentia tantum respiciebat, hoc autem eſt prope aſpicere: quod & fecit, cum Hippodamiæ coniugium omniconatu inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos, quodad uiſionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipſa uidetur impofitum, ſi uera ſunt quæ circunferuntur. HER. Quænam iſta: soc. Quoduiuentiadhuc illi aduería plurima &grauia contige runt,tandemý patria eius omnis fubuerſa eſt. Defuncto præterea faxum in caput immi. net, ſors certe duriffima. hæcprorſuscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to you,id eft, inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus obſcurius, pro Talancato Tantalum poſuifler. Taleutiæ nomen fortuna eius aduerſa ipſorumore gentium præ buiſſe uidetur. Quinetiam patri eius loui recte nomen eſt indicum,nec tamen facileco. gnitu.Eftenim uelut oratio quædam louis nomen, quod quidcm bifaijā partientes,par tim una,partim altera parte utimur. Quidamfive, quidamdia, uocani. Quæpartes in unumcópofitæ, naturam dei ipſius oftendűt, quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim nobis cæterisomnibus uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter decens nomen eſt hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus ineſt.Sectum autem in duo eft unum, ut diccbam,nomen,in diæ uidelicet ata awa. Hinc Saturnifilium cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit. Verű probabile eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin Hóp - dicitur,non puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, & fynceram integria tem. Est aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus ad ſupera merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o Hermogenes, qui derebusiutli mibusagunt, puram mentem adeffe, & recevo, iure nomen impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente tenerem, & quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem oftendere tibérecte illis nomina infcripta fuiffe,quo ad huius fapicntie periculü facerem,liquid ipſa proficiat peragator, & an deficiatnecne, quæ mihi tam ſubito ignoro equidem unde nuper illuxit. HER. Profecto mitttiden som Ô Socrates iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor equidem,ô Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio emanalie. Illi fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur eum deo plenú non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, & reliqua quæ ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc conſenſerimus,excutiamuscam, expiemusý, aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem, feu ſophiſtam qui purgare hæc ualeat. HER. Probo hæc maxi. me Socrates. libentiſſime nang quæ de nominibus reſtant, audirem. soc. Ira prorſus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiendű iudicas,poftquam formulam quandam præfcripfimus,ut pernoſcamusſi etiã nomina nobis ipía teſtantur non caſu quodama. » ata fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam continere: Nomina quidem heroum atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang multa ſecundum cognomenta maiorum pofita) ſunt, & fæpe nequağ conueniüt, quemadmodã in principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW, owciQ, Itópinoy, alia “ permulta.Talia itaq ) prætermittenda cenſeo.decens eñconſentaneumg maxime reperire nos quæ in rebus ſempio Lempiternis &naturæ ordine cõſtitutis recte ſunt poſita. Nam circa iſta in condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero ipſorūnonnulla diuiniore quadam poten tač humanaſunt inſtituta. HER. Præclare mihi loqui uideris,ô Socrates. soc.Nonne pareſtabipfisdíjs incipere, rationemý inueſtigare qua bcos uocati ſunt: Her.Nempe, soc.Equidem ita conício.Videnturutiq mihi Græcorum priſci deos solos putaffe eos, quos etiam his temporibus Barbarorű plurimiarbitrantur, solem, luna, terrram, stellas, calum. Cum ergo hæc omnia perpetuo in cursu esse coſpicerent,ab hac natura moldatu få nominalle uidentur, deinde &alios animaduertêtes omneseodem nominenuncu pale. Habeoquod dico uerifimile aliquid, nec'ne  HER. Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum: Conſtat de dæmonibus heroibusø & hominibus quærendum eſſe, HER. Dedæmonibus primum. soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun nomen animaduertenum aliquid dicam.HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit, HER. Non.soc.Nec etiam, quod aureum genus hominum zitin principio extitiſſe? HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt przſentis uitæ fara fieri dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ expullores,& cu licdes liominum.HCR. Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde conſcio, genus noftrum fereum eſſe dicit. HER. Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis nunc ex noſtris bonus fc,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum eſt.soc. Boni autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdæmones præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex noſtraiſtud priſca lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, & cæteripoetæ permultipræclare loquuntur, quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus eſt, maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic & dæ monſecundum ſapientiæ cognomentūIca & ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle hominem, quicung ſitbonus, eumó dæmonicum effe,id eſt felicem,uiuenten » acc defunctũ, recteý dæmonem nũcupari.HER Videor. mihi ô Socrates, in hoctecum s maxime conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu difficile.paur lo enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem illorum čre WTO manaſſe. HER.Qua rationeid ais: soc. Anignoras ſemideos heroas effe: HER. Quid tum: soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres humanas, uel amore uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam Acticorum linguam con fideraueris, magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper mutatū eſt nominis gratia ex UTO,undeſunt heroes geniti: quod'ueaut hincheroum nomen eſt ducium,aut ex eo quòd fapientes,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, & ad interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam, & diſputatores & amatori uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica prolesexiſtit. Verum nõ iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű, quamob cauſam homines ävbewmoi nominantur. habesipfe quid afferas: HER. Vndeid habeābone uir: Quin ſi reperire quoquo modo poffim,nil cotendo, ex eo quòdtemo lius facilius“ quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione confider se mihiuideris. HER.Abſc dubio.soc. Ec merito quidem confidis.Nam belle nimium mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam, nehodie ſapiêtior quam deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis circa nomina animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus, lepe ctiam demimus pro arbitrio,dum nominamus, & a cuta ſæpenumero transmutamus, ut cum dicimus dicíres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum, inde excerpfimus, & pro acuta fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs quibuſdam literasinterſerimus,alia uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc. Hoc & in ävegen O côtingit,utmihi quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum eſt,uno a excepto,grauiorig fine effecto.HER. Quomodo iſtud ais 's o c. Itak" hominis nomen illud ſignificat, quod cætera quidem animalia quę uident,non confide rant,neq; animaduertunt,nec contemplantur: homoautem & uidet ſimul &contemu platur,animaduertito quod uider. Hincmerito solus ex omnibus animátibus homočvrse @puro eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ ön WT5, id est, uidit. Quid poft ce haqquæram: Anuidelicet quodlibenter perciperem HER: Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi uideturdeanima & corpore cõſideratio.Nam anima& cor pusaliquid hominis funt. HER. Sine cótrouerſia. soc. Conemurhæc quem ad modū  ſuperiora diſtinguere. Quærendum primodeanima putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore: HER: Equidem.soc.Vtigitur ſubito exprimarn quod primumm. hinunc ſe offert,arbitror illos qui ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod » hæc quoties adest corpori, caula est illi uiuendi, reſpirandi,& refrigerandi uim exhibês: 9 & cum primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu noni 21 naffeuidentur, quaſi awatúzov, reſpirando refrigerans.Atuero, si placet, fifte parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos quiEuthyphronem ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut arbitror, & durû quiddã eſſe cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud animatibiuidetur corpus continae, uehere, & utuiuat & gradiatur efficerer HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagoræ ce dis,rerum naturam omniẩmente quadam & anima exornari ſimul & contineri: HIR. Credo equidem.soc.Pareſt igitur eam potentia nominare quelw.quæ quan,naturan, oxa & xe, id eft uehit & continet.politius autem fuxó proferſ.HER. Siceſtomninoji detur & mihiiſtud artificiofius effe.soc. Eft profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin hocnominepauliſper ab origine declinari. nen. pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ quidam eſſe tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia animaper corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco & rivec iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid potiſſimữpoſuiffe,q anima in corpore hoc delictorũ det pænas, & hocci: cũſepto uallo claudatur,uelut in carcere quodā,utolor ferueſ. Effeitac uolunthoc ita utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ expendar,neq literam aliquã adăciendam putant. HER. Dehis fatis dictum ô Socrates,arbitror. Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita utdeloueactum eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica: soc. Per Iouem nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes, precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam, neq deipſorīnominibus quibus iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare. Secundâ uero recte DENOMINATIONIS modum exiſtimo, ut quem ad modülex in uotis ftatuit precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita & nos ipfos uocemus,tanğ nihil aliud cognoſcētes.Recte não, utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis,ad hanc inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc. Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen 9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes PRIMI NOMINAM AVTORES non hebetes quidā fuisse, verum acuti fublimium rerum inveſtigatores HER. Quamobrem: soc. Talium quo rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi quisperegrinaconlide. retnomina, nihil ominus quod ſibiuult, unum quodq; reperiret.quemadmodőhocquod  nos días, eſſentiam nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia.Primo quidem ſecundum alterum nomen iſtorum, haud procula rationeuidetur rerum effentiam ésiav uocari. & quia nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex hocrecte éstæ poffet denominari. Superioresnoftriquondam šriav,tola uocabant.Quinetiã ſi quis facrorí ritusanimaduerterit, exiſtimabit ſic eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim ante deosom nes Veltæ facra faceredecet eos, qui effentiam omnium Veſtam cognominarunt. Qui item wola nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc fluere omnia femper, nihilo conſiſtere.Cauſam igitur & ipſorum originem ducem ipſum wow, quod impel lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam nominari. Dehis hactenusitalic dictų,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam aất, de Rheaato Saturno conſidera reconuenit, quanğ de Saturninomine in ſuperioribus diximus.Forte'uero nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O boneuir, ſapientiæ quoddam examen animaduer ti. HER. Quale iſtud: soc. Ridiculum dictu.habet tamen nonnihilprobabile. HER: Quid ais: & quo pacto probabile.so c.Infpicere mihi Heraclitum uideor, iã pridem ſa pienter nonnulla de Saturno Rhea tradentem, quæ & Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim Heraclitus fluere omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum amnis fluxuicomparás, haud fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou gas.HER.Vera hæcſunt.soc. An uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire, qui aliorum a deorum progenitoribus inſeruitRheam atą Saturnữ:Nunquid putas temere illum no mina iſtis impoſuiſſe.Quin & Homerus Oceanum deorum originem inſtituit, & The tyn genitricem.Idemouoluit,utarbitror, & Heſiodus.Aitpræterea Orpheus, Oceanű primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe, quicum Tethy germana ſeſua commiſcuit. Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ in opinionē Heracliti redeunt. HER. Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem nomēhaud fatis quid ſibiuelit, in telligo. soc.Hocutißidem fermeſignificar:quoniam fontis nomēeſt reconditů.Nam doctons & xlsus,id eſt ſcaturiens & tranſiliens, fontis imaginem præ ſe ferunt, ex utrif queuero hiſce nominibusnomen tudúceſt compoſitum. HER. Hoc quidem belliſi mum eſt ô Socrates.soc..Quid ni? Verum quid deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres autem eius dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum uocant.HER.Prorſus.soc. Videtur Neptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco mooddãy uocatusfuiſſe, quia euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro, grediultra permitit,ſed qualiuincula pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov, id eſt pedum uinculũ.& uero decoris gratia forte adie ctum fuit. Forſitan nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit pofitum, quafi dicat mom sidós, id eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod dicitur códy, id eft quatere,okwu ideft quatiens eſtnominatus, cuiw & d fuitadiectū. Plutonem autem quali zašto, id eſt diuitiarī datorem dicimus, quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus eruuntur:& dxs uero multitudo interpretatur, quali addis, triſte tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes Plutonem uocitant.HER.Tuuerò quid fentis Socrates. soc. Videnturmihi homines circa potētiam Deiiftiusmultifariam errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime deceat. Porrò quiſ ex hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit, quod'ueanimanudata corpore, illucabit. Cæterum hęcomnia & regnum & nomen hư ius dei,eodem tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto: soc. Dicam quod fentio. Dic age. Vtrữ horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű, neceſſitas'ne, an cupiditas? HER. Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ plurimi,&dw quo tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos quiillucdeſcendunt, uinciret: HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam eos,utuidetur,potius ő neceffitate deuincit, fi modouinculo nectitfortiſſimo.Her. Apparet.soc.Nónne rurſus multæ cupiditates funt HER. Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate nectit eos, fimododebet inſolubilinodo conectere. HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla cupiditas, ş ea qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudine meliorem feuirūſperat euadere: HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C. Hacdecaufa dicendű Hermogenes, neminem hucillincuel lereuerti, nec etiã Syrenesipfas, imò & eas & cæterosomnes ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý,utratio hæcteſtat, deus is ſophiſta proculdubio diſertiſſimus & ingentia confert his quipenes ipſum habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat, ut tantanobis bona ſuppeditet,unde & Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo. phitibiuidet officium, q nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ admittateos, cũanimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus: Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore & infania corporis ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere ualeret,fecumý tenere. HER.Nonni hil loquiuiderisÔ Socrates. soc.Longeabeft Hermogenes utnomē& dos, quali cudes id eft trifte tenebroſum'uefit dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt noſle omia pulchra.Ex hoc itaq deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid præ terea dicimusde Cereris nomine, Iunonis“, Apollinis & Minervæ,Vulcanig & Martis,cæterorumýdeorum: soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa alimentorī largitione, quaſi didolæ pektyg,hoc est exhibensmáter. Kex uero, id eſt Iuno, quali fatá, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans quihoc nomen inſtituit,aeram,spav denominauit, & obſcurelocutus est, ponensin fine principiữ quod quidem patebittibi,finomen illud frequenter pronüciaueris. DefélQKT say,id eſt Proſerpinam, & denómw nominare nõnulliuerent, propterea quòdillis ignota eſt nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregóvlw ipsam considerant,graue id illis apparet. hocautēdeæ ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft quæ resfluentes attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem gegéraqemerito dea hæcnominaretur,propter fapientiam, & Encolu, id eſt contacta, qepomlis, id elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret illi ſapiens ipſe édes, quia ipſa talis eſt.Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem quoq circa Apollinis nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ noſti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime cõuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet, quod & cöprehenderet omnes, & iplius quodammodo declaret musicam, uaticinium, medicinam, & sagittandi peritiam. HER. Aperias iam.Mirum quiddã nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoſitõeſt, conſonatý, utpote quod ad de um pertinet muſicum. Principio purgatio purificationesø & ſecundum medicinam,& ſecundum uaticinium,item quæ medicorum pharmacis peraguntur, ac uatum incanta tiones expiationes, lauacra, & afperſiones, unum hocintendunt, purum hominem & corpore & anima reddere. HER. Sic omnino. soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn & Ösp núwy,id eft abluensa malis, solvens,q Apollo ipfe SIGNIFICAT? HER. Abſque Tubio.soc. Quatenusitap diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda vero divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more Theſſalicorű nominarehunc poſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt. Quatenusaấtási Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy dicipo teſt,hoc eſt,perpetuus iaculator. Secundữueromuſicam, dehoc eſt cogitandū quemad modum de eo quod dicit & nórolo & « xomis,id eftpediſſequus,comes, & uxor, in qui. bus& ur & in alijsmultis, idem quod ſimul ſignificat.Hic quoq && zónas ſignificant uerfionem quæ ſimul & unaperagitur, quam cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos fit quos sónos uocamus:in cantu uero & quovia, quam dicimus ovuqwricw. Quia in his, uttraduntmuſicæ & aſtronomiæ periti,harmonia quadā ſimulomnia cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ præfidet omonwy,id eft fimuluertenshæc omnia,& apuddeos & apud homines. Quemadmodum igitoorkeudoy & Oxóxosniv, id eft ſimuleuntem & ſimul iacentē,uocauimus anonovlov & KOITIY, o in ermutantes, ita Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy, altero a interiecto, quia æquiuo cũfuiſſetduro cum no mine.quod & his temporib. ſuſpicati pleriq, ex eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt, perindehocmetuunt, ac si perniciem quandã SIGNIFICARET. Sed reueranomen hocomneshuiusdei uires cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim plicem,perpetuũiaculatorem, expiatorē & conuertentem. Muſarā uero & muſicæno men,ab eo quod dicitpães, id eft inquirere,indagatione & ftudio ſapientiæ tractõelt. agtá,id eſt Latona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy, id eſt prompta & expofita & Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű. Forte'uero ut peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe uident,quia non rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos lenis & mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés, quali integra modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua fiageplisoge,id eft uirtutis conſciã, uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit uiricum muliere.Vel enim propterhorâ aliquid,uel propteromnia huiuſmodinomen eſt inſtitutű. HER: Quidue ro dióvvoos & espositor's O.Magna petis Hipponici fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet & iocoſa.Seriã quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi fanè & difunt: Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor, quafi nobivuosioco quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati, oisdocevouü exay, ideftmentem habe rele putent. DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter ipfam ex dogo, hoc eſt ex ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero Minerua, ô Socra tes,Vulcanūča & Martem,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ præteribis. soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen quamobrē ſit impofitũ, haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam uocamus.HER. Planè.soc. NOMEN hoc cenſendum eſt à faltatione in bello ductum fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à terra attolles re ſeu manibusaliquid efferre,dicimus cámay, & wameat,id eſt uibrare,agitare & agitari,& ſaltare, & ſaltationem perpeti. HER. Ablo controuerſia, Palladem hac ratione uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo pacto interpretaris: so c. állwaữ quæris: HER. Id ipsum. soc. Grauius hocamice: vident prisci å blwaw exiſtimare,quemad, modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus ſunteruditi.Nam iftorum plurimi Homerữ exponuntåbwaw tano mentem cogitationemg finiſſe. Et qui nomi na inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,imò etiam altius eam extollēs,utDeimen tem induxit, perinde ac fi diceret sleovõu, hoc eftutens æ pro y externo quodam ritu, s uero & o detrahens,fortè'uero non ita, ſed IGavónas, id eft,utpote quæ diuina cogno ſcat,præ cæterisomnibus deoroli, id eſt diuina cognoſcentē, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus uoluiſſe illũappellareeam klovólw, qualiipſa in more intelligentia fit. Ipſe poſt modữ,uel eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid producendo,Athenean de nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nominãt: so'c. Quidais:Num ge neroſum ipſum páso- isogæ,id eſt luminispræfidem quæris? HER.Hâc quæliffe uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft, quiso eft,& x ſibiuendicat.Vnde igas id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet: niſitibiquoq modo adhucaliter uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte, interroga.HER. Interrogo. soc. Siplacet, õpys, id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt maſculã, & av dogov,id eſt forte. Quinetiã fi uolueris ob na turam quandã aſperam, duram atq inuictã,immutabilemý, quod totumägøæby appella tur, ogy uocatum fuiffe, hoc quo & Deo penitusbellicoſo cõueniet. HER. Prorſus.Soči Deosiam mittamus per deos obsecro.Nãdehis diſſerere uereor.Adalia uero quecung uis,meprouoca,ut quales Euthyphronis equiſunt, noueris. HER.Faciam utpetis,ſi unű deme quæfiuero. meliquidē Cratylus Hermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita quid épus,id eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc. équis, id eſt Mercurius, adſermonē pertinere uidetur, quatenus égjelw rús eft, hoc eſt interpres & nuncius, furtiuús inloquendo ſeductor,ac uehemens concionator. Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in fuperioribus diximus, kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero dehocHomerusait £ukcal, id eft machinatuseſt. Ex utriſq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo quod loquieſt,tum ex eo quodmachinari & exco gitare dicenda, perindeac ſi nominis autornobis præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id eſtloquimachinatus eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice legan tius eloqui, éguli uocamus. Quinetiam ies, ab eo quod apdu, id eſt loqui, nomen habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius Hermogenē elleme Cratylus ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem hebes ſum.Soc. Conſentaneâ quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî.HER.Qua rationer'soc. Scis quòd fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý & uoluit ſemper,eſtó geminus uerusuidelicetac falsus: HER. Equidem. soc. Annon id quod eſt in ſermoneuerum,leue eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod falſum,infrà in hominữmultis,afperű ato tragicũ: Hincenim fabularum comenta & falfa & plurimacirca tragicam uitam reperiunt.HER. Sic eft omnino.soc.Merito igitur quiefttaw, id eft totâ nuncians, & æs monasy, id eſt femper uolutans,7 dezóros biformisMercurij filiusdiceret, ex ſuperioribus partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus aſper atok hircinus.Eftg Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis frater,fiquidem eſt Mercurij filius.Fratrem uero fratri limilem effe quid mirum: Ce terüiã o beate, ut & paulo ante rogabā, ſermonem dedñshunc abrumpamus. HER. Ta. les quidem deos,li uis,mittamuso Socrates, huiuſmodiuero quædam percurrere quid prohibet. Solem, lunam, ftellas,terram, ætherem,aerem,ignem, aquam, ver & annum: D soc. Multa funt acmagna quæ poftulas. Sicamen gratum tibi futurum eſt,obfequar. HER. Pergratum plane.soc. Quid primum poſcis: an utipſenarrabas in primis stov, id eft folem; HER. Profecto.soc.Manifeſtius id fore uidetur, li Dorico nomine quis uta tur. Dorici enim asoy uocant,ato ita uocatur ſecundữ &nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum homines,cum exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper reuoluitur.Præterea quia uariat circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem & duo. agy idem eft. HER. Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum: soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid fert antiquius, quod ille nuperdixit, quodlunaà fole lumen haurit. HER.Quo pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER. Idem. SocR.Lumen hocperpetuo circa lumen voy & güvoy eſt id eſt nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue renouatur, Vetusautem eſtmenſis præteritilumen. HER.Vtig. soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe. soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus ſemperhabet,merito uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo ahavice uocatur. HER. Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id eftmenſem:& äspe quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab vas. atroce, id eſtàminuendo, iure nuncuparetur. Astra uero & sectic, id eſt coruſcationis co gnomentum habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uiſum ad fe conuer. tit, ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men trahil mie & idap, id eft ignis & aqua:' Soc. Ambigo equidē,uideturg autMuſa meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte obſecro quò confu giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam: soc. Dicam tibi.ſcis ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER. Non hercle.soc. Vide quid dehoc ſuſpicer.Reor equidêmul ta nomina Graecos a Barbaris, eos preſertim quiſub Barbaris ſunt, habuiſſe. HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis rectam iſtorũ impoſitionem fecundum græcã uocem quærat,non ſecundum eam qua eſt nomen inuentũ nimirum ambiget. HER. Verifimile id quidem. soc. Vide itaç nenomen hoc quebarbaricum ſit.neo enim facile eft iſtud græcæ lin guæ accomodare, conſtataita hocPhrygios nominare parum quid declinantes, & ý. dwg & xuías,id eft canes, alia permulta. HER. Vera hæc sunt. soc. Ergo distrahereiſta nihil oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere quiſquã poteſt.Quapropter nomina illa ignis & aquæ huncinmodum reñcio kázautēſic eft dictus Hermogenes, quia quæ circa terram ſunt, deed,id eſteleuat.uel quia aega, hoc eft ſemperfluit,uel quia eiusflu xu ſpiritusconcitatur. Poetæ quippe flamina aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur quali avocTócow, agzóſſow id eſt ſpiritus fluens, uel fluens flamen, dedica præterea fic exponendum arbitror, quoniã đa dicirca ãégæ pêwy, id eft ſemper currit circa aerem fluens, quocirca čeddeks dicipoteft.gæ autē, id eſt terra,planius fenſum exprimit,ſigara dicatur. yaa enim recte görkodea, id eltgenitrix dicipoteft,utait Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum in re,inquit. Quid reftat deinceps. HER. Ver & annus, ô Socra tes. soc. Spore quidē, id eftueris temporapriſca & Attica uoce dicendaſunt,ſi uis quod conueniens eſt, cognoſcere. Horæ nanquocant, quia ief80, id eſt terminant hyemem atçæftatem uentosca & fructus ex terra nafcentes. giveau tos aất & čnos, id eft annus,idem effe uidet. Quod eñ in lumen uiciſlim educit,quęcung naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat & diſcernit,annus eft: & ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab aliquibus Pavæ,ab alijs diæ uocari,ita & annữ quidam giardy yocant, quia in ſeipſo, quidā quia examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo examinat.Vndeexo ratiõeunanominaduo ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū étolov,id eft in ſeipſo examinās, diſtinctum dicitur griaunos, & £70s, id est annus. HER. Atuero Ô Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin philoſophia uideor euagari. HER. Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes. Her.Verum pofthancfpeciē libentiſlime contêplarer,qua rationerectenomina iſta præclara uirtutūſint impofira,ut ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's, iuftitia, ac reliqua huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū ſuſcitas,ô amice. Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud deterreridecet,imò præclara ipfa,utais,nomina prudentiæ,intelligentię, cogitationis ſciêtiæ cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc. Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam, antiquiflimos uidelicet illos nominữ autores, ut & fapientiâ noftrorum plurimis accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter ceteros in cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri & vacillareil lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem uertiginem,ſed exterior? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura habere ſe putāt, ut nihil in eis firmum. ZE & ftabile fic,fed fluantomnesferanturo,& omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC & defluant. Quod quidem in his nominibus, quæ nuncrelata ſunt, conſpicio. HERM. CC Quo pacto Socrates.soc. Haudaduertiſti superior nomina rebus qualidelatis, fluentibus, & iugigenerationetranslatis impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis percepi.soc.Prins cipio quod primûretulimus,ad aliquid huius generis attinet. HERM. Qualeiſtud: soc. apórnois,id eſt prudétia eft,qopás a govórous, id eſt lacionis & fluxus animaduerſio. Signi ficare quog poteſt,recipere övnou dopás,id eſt lationis utilitatê.Tádem circa ipfam agita tionem uerſatur. Quinetia liuis yvaus id eft cogitatio fignificat govis várnoip,id eft gene rationis cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem, id eft intellectio, eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res eſſe,ſignificat eas fieri ſemper.atqß hoc deſi derare & aggredi animum indicat qui nomēillud inuenitvsotow. principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro,duo se proferēda erant,ut rebois, quafivéov, id eſt noui toisappe. titio & aggreſſio.ow poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus, id eſt prudêtiæ, falus & conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia, ab eo quod inftar & fequit tra &tum eſt,quafi res fluentesſolas animus perſequatur, inſtetø & comitetur: at negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare& interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio quædam eſſe uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur etiska. Nam oftendit cum rebusanimum congre dirogix, id eft fapiêtia, agitationis eft tactus. Obſcurius autem, & alieniushoc à nobis. Verum animaduertendữeſt in poetis, quoties uolunt aduentantem aliquem & irruen tem exprimere,ovulo.id eſt erupit,profiljjt,dicere.Quin & illuftricuidam apud Lacedæ. moniosuiro nomen erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones cõcitationis impe tum indicant. Qualiitaqomnia perferantur, huiusipſiusagitationis, quę eo quod oos di citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia demonſtrat..yglóxid eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile, amabile,delectabile ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia,quod xaiov oubsou ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid autem ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis quod dictum eſt cocellum,reliquum uero dubium. Etenim quicung totum mobile arbitrantur, plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo fingula fiant, quod'ue tenuiſlimum fit & uelociſſimum.Nec enim per omniadiſcurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi ſtancibus utatur.Quoniam uero gubernatomnia, dlačov, id eſt diſcurrens & permanans, merito dinglov eft appellatū, x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te diſcēdideſiderio flagranshæc omnia perfcrutatus ſum,& in arcanis percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, & cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt caufa:proprieś ita uocariiſtud debere quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam auditis iftis nihilominus diligenter ex., quiro quid ipfum iuftum ſit, quando quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, & caueam,utdicitur,uallūý ſupergredi.Satis enim femperrogaſſeme & audiſ- Prouerbia fereſpondent,meg uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra coſentiunt. Quidam ait iuſtű hoc, folem effe.Solâ quippe folem diſcurrendo calefaciendog omnia gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualipræclarum audierim, refero, ftatim ille meridet, quærito nunquid exiftimem post solis occaſum iuftűnihil hominibus superef le: Percontanti itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem iuftâ exiſtere.neqid cogni tu facile, quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum potius innatum ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iustamentem illâ quâ induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam exornare omnia inquit, per omnia pe netrantem.Hic quidem ô amice in maiorē ambiguitaté fum prolapsus, quàm antea dum nihil deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad id cuiusgratia diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ.her. Videris Ô Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer deprompſiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita. soc. Atten de igitur; forte'nançsin reliquis te deciperem, quali quæ afferam non audierim.Poſtiu ftitiam quid reſtare avdgíay, id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia faneobſtacu lum eiuseſt quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna in rebus fi quidē fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d ſubtraxerit ex nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat. constat planè quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo eft,fed oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo eſſet laudabilis. žeệw autem,ideft mas, & civip,uir à ſimili quodã ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu.pusuero,id eſtmulier, quafi jová, id eſt fæcunda & generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn? Begrãs, id eſt papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft germinare pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere, augmentum iuuenum repræſentat, quaſi uelox quiddam & fu bicum, quod innuitille quinomen conflauit ex leiv, id eſt currere, & &Ma, id eft faltare. Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus ſum: Mul ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc şuu vä, id eſt habitum mentis oſtendit, ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter x & v,& interv & nézován: HERM. Aridenimiū Socrates & inculte. soc. Anignoras beateuir no mina uetera diſtracta iam effe,atq cõfuſa à ſermonis tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad« dentibus & fubtrahentibus literas,ac partim tēporis diuturnitate, partim exornationis& ftudio undiq peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo, abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū: Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris illecebras pluris æſtimantő ueritatem. Quamobré cũ multanominibus ipſis adiecerint,tãdem effecerűt, utnemoiam nominūdu fenfum animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl oqiya pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto fidareturcuiş arbitratu ſuo & de mere& addere,magna utic eſſet licentia, & quodlibetnomē cuiæ rei unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ſed enim mediocritatem quandam aros decorum ſeruare te decet præsidem sapiętem.HERM.Outinam.soc.Atqui& ipſe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium diſcuſſione, uir felix, exquiras, neuim meam prorſus exhaurias.Afcendam quippead ſupradictorum apicen: posto post artem cõli. derauerimus Myjavlw,id eftmachinationéexcogitationemg ſolertem. Videtautem li gnificare idem quodmultum pertingere & aſcēdere.Componitur ergo ex his duobus, púxos, id eſtlonge & multum, & dvey,id eft aſcendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam, adſummam dictorum perueniendum eft, quærendum quid nomina iſta significant, opeta, id est uirtus, & xcxiæ,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum patere uidetur.Nam ſuperioribusomnibus conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards sok,id eſt male uadens:xariæ, id eft, prauitas erit. quarecum animamale adres ipfas accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa. culcas inoshiq,id eſt timiditate patet, quam nondum declarauimus. prætermiſimuse nim. Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre. Multa inſuper alia prę teriſſeuidemur. ddníc SIGNIFICAT durum animæ uinculum.domés enim uinculum eſt.nian uero forte quiddam durumg SIGNIFICAT quare timiditasuehemensacmaximum eſt ani mæ uinculum: quemadmodum & exeíc,id eſt defectus inopia, dubium,malum quiddã eſt,ac fummatim quodcuną progreſſus ipfius impedimentum,idé male progredi uide tur oſtendere,in ipſa uidelicetmotione impediri atą detineri. Quod cum animaſubit, prauitate plena dicit. Quod ſi illud prauitatis nomen talibus quibuſdam cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus ſignificabit.In primis quidē facilē agilemą progreffum, deinde folutum & expeditū animæ bonæ impetum effe oportet. Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog és béov,id eſt ſemperfluens iure cognominari poffet adgfútn.fortè uero & αριτίω degerli uocatquis, quia litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ. Verum colliſo uocabulo obetxdenominatur. Forſitan mefingere dices:ego autem aſſero, ſimodo no men illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum,recte quoc & iſtud uirtutis nomen induci. HERM. Arranów,id eftmalum,per quod in ſuperioribusmulta dixiſti, quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem,ac inuétu difficile. Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam. HERM. Quid iſtud: SOCR. Barbaricum quiddam & hoc esse dicam. HERM. Probeloquiuideris. soc. Cæterum hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon & degeóv, id eſt pulchrum & turpe, conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere uidetur.Nempecum ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit, paſſim agitationis impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw, id eft femper impedientifluxum nomen dedit aegóggow. Nuncuero collidentes degsów appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum: soc.Hoc cognitu difficilius, quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat & longitudinis gratia ipſum æ ſit productum. HERM. Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum quoddam esse videtur. HERM. Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc cogitatio est veldeorũ, vel hominum,uel amborum: HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa,ideft quoduocatres, & kxaóv,idem accogitatio ſunt. HERM.Apparet.soc. Quæcunq mens & cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ non, uituperanda. HERM. Prorſus.soc. Quod medicinæ par. ticeps,medicinæ opera efficit:quod fabrilis artis,fabrilia.Tu vero quid fentis? HERM. Idem. soc.Pulchrum ita pulchra. HERM. Decet.so c.Eft autem hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM. Maxime. soc. Nomen ita @ hoc naróv, id eſt pulchrum,merito erit pru dentiæ cognomentum,talia quædam agencis, qualia affirmantes pulchra eſſe,diligimus. HERM. Sicapparet. SOCR. Quid ultra generis huius reftat inveſtigandum: HERM. Quæ ad bonum & pulchrum ſpectant,conferentia uidelicet, utilia, conducibilia, emo lumenta,horum contraria. soc. Quid our popov,id eſt conferens ſit,ex ſuperioribus ip ſeinuenies. Nam nominis illius quodad ſcientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim præ ſe ferc aliud quam qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum rebus, quæ ue hinc proueniunt,uocari orredoporre & ovu qopa, id eſt conferentia,ex eo quod fimul circumferuntur.Herm. Videtur.soc.Losdantov autem, id eft emolumentum: 7 koše dos, id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud excogitauit pro vap ponens, ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut cauponeshoc utuntur, idcirco Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id eſt ſumptusuitat & minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit lationem réao-, id eft finem progreſſionis accipere atæ ceffare: ſed ſoluitfemper ab illa fugató,fi quis terminusfuperueniat, ipfamós indeſinentem immor talemg præbet.hac rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum enim motionis aú ou do río, id eft foluens terminum,avandou uocari uidetur.coénomoy uero, id eſt con ducibileperegrinum nomēeſt, quo ſæpenumero Homerus eſt uſus. Eftauté hocaugen difaciendio cognomētum.Her.Quid de horâ contrarijs eſt dicendûrsoc. Quæ per negationem iſtorum dicuntur,tractarenequaquam oportet. HER. Quænã iſtar'sOc.co.uk gogov,kiw deres davandés, axopdes. HERM.Vera loqueris. soc. Sed Brabopov & yusão s, id eft noxium & damnofum. HERM. Certe.soc.Braboooy quidembacitou tou how effe dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire & coercere:pšu id eft fluxum:hocautem passim uituperat:quodő uultanlay góp pouw, recte bonomopou appellaret. uerum ornatus gratia Brabopón arbitrornominatū. HERM.Varia tibifuboriâtur,ô Socrates,nomina.at quimihi uideris in pralentia, quali Palladiæ legispraeludiữ quoddã præcinuiſſe,dum no men Bracoitopöy pronunciares. so. Nõego in cauſa ſum Hermogenes,fed quinomēip ſum inſtituerunt. HERM. Vera loqueris. Verum Cauãdoquid: soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: & uide uere loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria SIGNIFICATIONEM inducant quod apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top & {mps&d ov, fenſum ipſum cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais: soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero & d utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro uelipfum & uelx adhibent, produe. ro (quali hæcmagnificentius quiddam ſonent. HERM. Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem uocabant,pofteriores autem partim čuopov,partim su'épow,co cant. HERM.Vera hæc funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit declarari.Nam ex eo quod imeipzory, id eſt deſiderantibus homini bus gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam intelli. gas.quanquam arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta quæg efficiat. HERM. Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum, dvozov uocauiſ fe. HERM. Planè. soc. Enimuero luzów nihil aperit. at d'voyou,divoiy dywylw,id eſt duori conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø eftdemultis alijs iudicandű. HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum cótrarium nominum omniâ quæ ad bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies exiſtens,déondeouós,id eft uinculum quod dam & impedimētum proceſſionis effe uidet, tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam.HERM.Icamaximeapparet,ô Socrates.Soc.Verum nõſicin nomineueteri, quod ueriſimilius eſtrecte inſtitutum fuiffe, quàm noftrum. Nempe cum ſuperioribus bonis conſenties,fi pro 4,1 uetus reſtituas.Nec enim deby;ſed toy bonum illud ſignificat,quod ſemper nominūlaudat inuentor: Atą ita fecũipſenõdiſſidet, imòad idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ, λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν, συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro, greffum.uniuerſü hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq pe rornans,idő ubiq laudatü: qd uero obftat & detinet, improbata. Quinetiã nominehoc {Butãds,liyeterű mored profpoſueris,apparebit tibinomen iſtud disutisè boy, id eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum.unde & Musãdes cognominandum eſt. Herm. Quid ádura,númy, uslupia,uoluptas ſcilicet,dolor, cupiditas, Socrates, & huius generis reliqua: soc.Haudnimis obſcura mihi uidentur Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis illiusnomen eſt, quæ adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero adiectum facit,ut pro eo quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à Stanús Gews,id eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione corpus diffol uitur.xvíc, id eſt triſtitia, quod impeditigio,id eft ire,demonftrat.& aguda, id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab ängdvö dictum.éduig,id eft dolor & afflictio,ab güdlü Oews,id eft ingreſſionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Cårigoló, id eftmoe ror languor,lationis grauedinem tarditatemg ſignificat. ãxto enim onuselt.ioy uero pergens.xapod uero,id eſt lætitia gaudium,à diazúrews, id eft profuſione, & progias, id eft facilitate,poas, id eſt motionis animæ, dicitur. Tosalesid eſt delectatio,ab toptivs,id eft oblectamento ducitur. Topavoy autem à trom,id eft inſpiratione delectationis in animā Quaremerito uocaretur égaršv,id eſt inſpirans. Temporis autem interuallo ad Top Arvo deuentum eſt.cuqpoouis,id eſthilaritas & alacritas, quam ob cauſam dicatur,aſſignareni hil opus.Nam cuicp patet hocnomen trahiab eo quod dicitur eü, id eſt bene. oum @ opeally id eft unaſequi qualidicat animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta men Bagooutlw appellamus. Sed neg difficile est assignare quid üsgutta, id eſtcupidi. tas ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id est animam & iram & fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft flagrantia, feruore,& impetu animę. proindeiupo,id eft fuauis & blandaperfuſio,dicitur,jm,id eſt fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga,ideft incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos uocatur,id eſt deſiderium, quod fane præfentem fuaui tatem nõ reſpicit, quemadmodū iuepo,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG,id eft abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co quod cupitur iuopo,abſente wólo denominatur. iews autem, id eſt amor, quia doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo, id eft influctio, amor ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem épwsdicitur,wproo interpoſito. Ve. rum quid deinceps conſiderandum præcipis? HERM. dlófæ, id eft opinio, & talia quædã, undenomen habentisoc.déke,uel à diwa,id eſtperſecutione dicit, qua pergit & pro ſequituranima, conditionem rerum inueftigans:uelà tófo Borm,id eft arcus iactu. uides turautem hinc potiusdependere. oinois, id eft exiſtimatio,huic confonat. oftendit quip pecioiy,id eſt ingreſſum animæin unumquodß conſiderandum, oioy,id eſt quale fic:quê admodum & bons,id eft uoluntas a Borá,id eſt iactu dicitur: & Bóns, id eſt uelle, pro pter ipſum attingendinixum ſignificat etiamélis,id eſt cupere:& Bonbuch, id eſt cõſu lere. Omnia hæ copinionem fequentia,Boras ipfius, id eſt iactus & nixus imagines eſſe uidentur.quemadmodum contrarium, & boniæ, id eſt priuatio uoluntatis,defectusquidã conſequendiimpos apparet, quali non contendat, neq etiam quod intendit,uult, cupit, inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora hæc congerere uideris, ô Socrates. Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen adhuc, ávéyxlu & Exšonoy,id eſt neceſſarium & uo luntarium declarari. Nempe ſuperioribusilta ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id eſtcedensneg renitens, hoc fiquidem nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces denseunti, quod'ue ex uoluntate perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium & obfi ſtens,cum præter uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam uerſabitur deſcribiturautem ex proceſſu ſecundum neceſſitatem, quoniam in uia aſpera denſa inceffum prohibent. Vndeavaysazov dictum eſt,quali per & yroscop,id eſt per uallē uadēs.Quouſ uero uiget robur,ne deſeramus. Quamobré interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce rogo quæ maxima ſunt & pulcherrima:« aksaa,id eft ueritatem, & fordo,id eftmendacium, & öy,id eft ens, & quareid quodehicagimus,övoua,id eft nomen, dicitur. SOCR. Quid vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum, quo dicicuröv, id eſt ens esse,cuiusnomen inquiſitio eſt. Quod clarius certe comprehendes in eo quod dicimus óvojasóy, id eſt nominandum. hic enim exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet inquiſitio. &ikbļa uero ficut & alia componiuider.Nam diuina entislatio, nomine hoc includitur, ankódæ, quaſi exiſtensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem contrarium motionis. Rurſushic uſurpatur agitationis obstaculum, quod'ue ſiſtere cogit. Nam à reboudw, id eſt dormio dicitur. 4 uero adiectum ſenſum nominis occulicouuero & Xoia, id estens et essentia,cum & rx66ą, id eſtueritate, congruunt: fic apponatur.namrov, id elt uadens ſignificat.Atdrøv id eſt non ens,quidam nominant xxcov, id eſt non uadens. HERM. Hæcmihiuideris, 6 Socrares, fortiter admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturquæ fitrecta iſtorum interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt uadens:géov,  id eft fluens,doww,id eſt ligansac detinens, quid illi potiſſi. mum reſpondebimus: habes'ne: Socr. Habeo equidem.profecto nuper ſuccurrit no bis aliquid, cuiusreſponſione quicquam uideamur afferre. HERM. Quale iſtud: soc. Viquodminime cognoſcimus, barbaricum eſſe dicamus. fortè enim partim reuera talia ſunt: forte'uero partim, ac præſertim nomina prima,temporum confuſione infcru. “ tabilia.Etenim cum paflim uocabula diſtrahantur, nihilmirum eſſet ſi priſcalingua cum Ç noſtra collatanihilo à barbarica uoce differret. HERM.haud alienum eſtà ratione quod a dicis. Socr. Conſentanea quidem affero, non tamen idcirco certamen excuſationem uidetur admittere.Sed conemur hæc diſquirere, ato ita conſideremus: fiquis femper uerbailla per quænomen dicitur, quæreret,rurſus illa per quæ dicuntur uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita perquirere, non'ne qui refpondet, defatigari tandem & renuere cogeretur: HERM. Mihiſane'uidetur. SOCR. Quando ita quireſponſum denegar, merito ceſſabit: An non poftquam ad nominailla peruenerit, quæ cæterorum ſunt& ſermonum & nominum elementarHæcutio fi elementa funt,ex alñsnominibus com pofita uiderinon debent.quemadmodum ſupra & yalóy,id eſt bonâ diximus, ex « y så, id eſtiucundo amabilio, & 805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex alijs conftare di cemus,illağ ex alijs. ſed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex alíisnominibusno coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe dicemus,nec ulteriusbocin alia nomina, referendum. HERM. Scite mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo ante in terrogabasnomina eleméta funt oportet rectam illorõrationem aliter quam reliquorum inueftigare. HER. Probabile id quidem.soc.Probabile certeHermogenes. Supe riora itaq omnia in hæcredacta uidentur:ac ſi ita ſe res habet, ut mihiuidetur, rurſusage hic unamecum conſidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem exponeretento. HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc. Arbitror equidem in hoc tecõſentire,unam efferectam & primi& ultiminominisrationem, nul lumğ illorum eo quod nomen est, ab alio diſcrepare. HERM. Maxime.so c.Etenim om 2 nium quæ ſuprà retulimusnominum recta ratio in hoc cõſticit, ut qualis quæ res litin 7) dicaretur. HERM. Proculdubio. soc. Hocutio non minus prioribus quam pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt. HERM. Prorſus.so-c.Atquipoſteriora no. minaper priora hocefficere poterant. HERM. Apparet. soc. Primauero quibus alia nõ præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas nobisoftendēt, ſi nomina effe debet: Adhoc mihireſponde. ſiuoce & lingua caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara re,nonneperindeac nuncmuti, manibus capite & cæterismembris ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates, soc. Ergo supernữ quippiam ac leue demonftraturi, cælum uerſusmanum extuliffemus, ipſam rei naturam imitantes: inferiora uero & grauia deiectione quadã humiinnuillemus. quinetiã currentem equũuelaliud quic quam animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi nem quam proximequiſo finxiſſet. Herm. Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc. Huncinmodűutarbitror his corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce, lingua, & ore declarare uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio: HERM. Neceſſarium puto. soc.Nomen itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua quiſquis aliquid imitatur,per uocem imitat & nominat. HER. Idem mihi quoq uidetur.soc. Nondum tamen recte dictum existimo. HERM.Quamobrē: Soc. Quoniam hos ouiū & gallorum cæterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem quæ imitantur. HERM.Vera loqueris. SOCR.Decereid cenſes: HERM. Nequaquam sed quænam ô Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ permuſicam fit,quamuis uoce fiat,nec etiã eorundem quorum & mu. fica imitatio eſt,nec enim permuſicam imitationem nominare uidemur. Dico autê ſic: Adeſtrebusuox & figura colorø plurimus. HERM. Omnino.soc.Videturmihiſiquis hæcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cõfiftere. hæfiquidem ſunt partim muſica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc: nonne essentia eſſe cuiq putas, quemadmodú colori & cæteris quæ ſuprà diximus: an nõ ineſt coloriacuocieſſentia quædam,& alijs omnibus quæcunc essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą eſſentiam imitari literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit declararet: HERM. Maximequidem. Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem partim muſicum,partim pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM. Videturhicmihiô Socrates quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc eſt,conſiderandum iam denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu,igra,id eſt ire, géoews, id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis reuera effentiam imitantur,nec'ne.Herm.Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid hæcſola primanominaſint,an fint & alia præterhæc. HER.Alia equidem arbitror. Soc. Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari incir pitimitator: Nónne quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fit IMITATIO, præſta tprimu elementa distinguere: quemadmodum qui rhytmis dant operam, elementorum primo uires diſtinguunt, deinde syllabarum tanium, rhythmoscandem iprosaggrediuntur,pri usnequaquam. HERM. Vtiq.soc.Annon ita & nos primo oportet literas VOCALES distinguere, poftea reliquas ſecundum ſpecies, mutas & SEMI-VOCALES. Ita enim in his erudi ti uiri loquuntur.acrurſus uocales quidem,non tamen ſemiuocales, & ipſarű uocalium ſpecies inuicem differentes.  Etpoftquam bæcbene omnia diſcreuerimus,rurſus induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ omnia referuntur, quemadmodum elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa, & fi in ipſis ſpecies continentureodem modo ficutiner lementis. His omnibusdiligenter cogitatis,Icire oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą, ſiueunum uniſit admouendum, ſeu mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat coloré adhi bent,interdum quemuis alium colorem, quandoque multos conmiscent,ueluti cum imaginem viri quam similimam effingere volunt, vel aliud quiddam huiusmodi, quatenus ima goqueo certis coloribus indiget. haud ſecus et noselementa rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur:oumbona “, id eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eisö nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam & pulchrum & integrum conſtrue mus:& quemadmodum totum ipſum compoſitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegrű; orationem uel nominandi peritia,uel rhetorica fábricatam,uel alia quauis quæ id efficiatarte.Imòno nos iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref fus fum, quippe ueteres ita conflarunt,fi ita eſt conſtitutum. Nosautem oportet,fimodo artificiofe conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes, fiue ut conuenit primano mina & pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita excogitare.Aliter autem cõnectere uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit error.Her. Forte per louem ô Socrates. soc. Nun quid ipfe cöfidis ita te posse diſtinguere: Ego enim mepoſſe diffido. HEŘ.Multo igitur magis ipſe diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum quid horum noſſe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita & nấcper gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda hæc fuiffent, uel ab alio quopiam,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet: nuncautem,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit. Admittishęc'uel quid ais.HER. Sic prorſusopinor. soc. Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes, arbitror, quod res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát. Neceſſarium tamen:nec enim meliushochabemus quic quam,ad quod reſpicientes deueritate primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt, cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita & nos ocyusrem expediamus,dicentes deos prima nomina poſuiſſe, & idcir corecte inſtituta fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille, quod ipſa a barbaris quibuſdam accepimus: Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem ita ea diſcerninequeuntut & barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, & belliſſimæ quidem, illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû reddere rationem. Ete nim quiſquis rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium cognoſcerene quit.hæcporrò ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin potius neceffe eft fequê tium peritiam profitentem,multo prius & abfolutius antecedentia comprehendiffe, por feq oſtendere, aliter autem ſciredebet fe in sequentibus deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter Socrates. soc. Quæ ego ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum eſſe mihiuidentur,eaç tecû, ſi uelis, comunicabo. Siquid uero tumelius inueneris,mecum & ipſe comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo. soc.Princi pio ipſum g uelut inftrumentum omnismotuseſſe uidetur. Curautem motuslivrosap pelletur,non diximus.patet tamen quoditors, id eftitio eſſe uult.Non enim quondam, fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire, quodperegrinum nomen eft,& igra,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum eiusnomen reperiatur in uocem noftram translatum, recte i'eois APPELLABITVR. Núc autem ab kiau nomineperegrino, & ipfiusy conmutatione, & vipſius interpofitione livyoisnuncupatur. Oportebat autem sidingoy uel any dicere. súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga, id eft ire eſle uult, ſed ornatuscaufa séas denomi natur.Elementū itaq ipſum qopportunűm motus inſtrumentum, ut modo dicebā,uiſum eſt nominum autori ad ipfam lationis fimilitudiné exprimendā: paflim itaggad motus expreſſionē utitur.In primo quidem ipſo jau & goñ, id eſtfluere, fluxuğ per literampla tioně imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya aſpero.item in uerbis huiufmodi, kódy percutere,&gaver uulnerare, oʻúrdy trahere, @ gúndu frangere eneruareg, kopuerto siddy incidere,pêué du uacillare, irritare, & circumuerſare. Hæcomnia ut plurimâperp ad similitudinem motionis effingit. Mitto enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius cocitatur. Quocirca ad iſtorũ expreſſione iplo s potiſſimữ uſus fuiffe uider. Vfus eft &, scilicetiota, ad tenuia quæ per omniamaximepenetran tia.idcirco igra & icadou, id eft ireprogredió per o imitatur. Quéadmodū per 4.0, quæ E literæ uehementioris fpiritus ſunt, talia quædam nominum autor exprimit, fuzeów frigt dum, (soy feruens, osoatare concuti, & communiter aconoy, concuſſionē quaffationem: quoties uehemens quippiam &fpiritu plenum imitari uult nominum inftitutor, tales utplurimum literas adhibet.Quinetiam ipſiusd cõpreſſionem aco, linguæ & uelut ha. rentis retractionem, peropportunã exiſtimaſſe uideturaduinculi&ftationis potentiâ exprimendam. Etquia in a proferendo maximelingua prolabitur, idcirco per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit nga, id eſt lenia & órcdaerah labi, & noMūdeslie quidum,Ascrapov pingue, cætera huiuſmodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto formauityhioggoy lubricum, gauxudulce, yrādes uiſcoſum, luculentum. Animaduertens quo&ipfius v ſonum imoin gutture detineri, eo nominauit so výdby & te gutos, id eſtąd intus eſt, & quæ intrinfecusſunt, utres per literas repræſentarer.Ipſum uero w,meyer@,id eſt magno tribuit &ipſum % ukus,id eſt longitudini, quoniamma. gnäliteræ ſunt.in nomineautem spozzinoy, id eft rotundum,ipfo o indigens, o ut pluri mummiſcuit. Eadem ratione cętera ſecundum literas ac ſyllabas rebus ſingulis accom modare uidetur nominum autor,ſignữnomenoconſtitués,ex his deinde ſpecies iamre liquas per ſimilitudinem conſtituere. Hæc mihi Hermogenes recta uidetur effe nomina ratio, niſi quid aliud Cratylus hic afferat. HER. Etenim ở Socrates, fæpemeturbat Craty lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã afferit rectam nominû rationem, quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere nequeam utrum de induſtria, nec'ne adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô Cratyle,coram Socrate dicas, utrum placeant ea tibi quæ Socrates de nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre poffis:quodfi potes,adducas in me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos ambos erudias. CRAT. Videtur netibi Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere quoduis atque docere,nedum rem tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER. Non mihi per louem, quinimò ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod operęprecium ſit paruum paruo addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne graueris, fed & Socratem istum iuua,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem ô Cratyle, nihil eorum quæ ſupra comemoraui; aſſererē.Nem peutcunq; uiſumeſt, cum Hermogene hoc indagavi quocirca aude fi quid melius habes, exprimere, tanquã ſim libenter,quod dixeris,ſuſcepturus. Neqz enimmirarer liquid tu hiſcehaberespræclarius. Videris porrò &ipfe talia quædã conſideraffe, &ab alijs di diciſſe. Siquid ergo præstantius dixeris, me interdiscipulos tuos circa rectam nominā rationem unum connumerato. CRAT. Certe mihi ô Socrates,utais, curæ hæc fuerunt,ac forte diſcipulum te efficerem.Vereortamen ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic mihi nuncidem erga te dicere, quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex ſententia protulifti.Ita cu quo queô Socrates, nostra exmente uaticinari uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inſpira tus, ſiue Muſa quædam tibipridem inhærens nuncte protinus concitauerit. soc. O uir bone Cratyle, ego quoß fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis confido. qua re examinãdum quid dicam, exiftimo.Namaſeipſo decipi grauiſſimum eſt nimis enim 2 periculosa res eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum proxime comita,  tur. Oportetitao superiora frequêter animaduertere, & utpoeta ille ait, ante illa retros conſpicere.Atqui &in præsenti videamus quid à nobis sit dictum. Rectam diximus nominis rationem, quæqualis quæqres fit, oftendit.Nunquid ſufficienter eſſe dictâ afferi mus: CRAT. Ego quidem aſſero.soc. Docendi igitur gratia nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus. soc. Annon & artem eſſe hancdicimus, & ipfius artifices: CRAT. Maxime. soc. Quos. CRAT. Quos à principio tu legum &nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem ſimiliter atą alias ineſſe hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft quoduolo.pictores quidam deteriores ſunt,quidam pręſtantiores? CRAT. Sunt.soc. Nónne præstantiores opera sua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium: cætericontra: Aedificatoresquoq ſimiliter partim pulchriores, partim tur piores domos efficiūt: CRAT.Sic eſt.soc. Nónne et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora, partim turpiora efficiunt: CRAT. Haud ampliusiftud admitto. soc. Non ergo leges aliæmeliores,deteriores aliæ tibiuidentur. CRAT. Non. soc. Nec etiã nomen utapparet, aliud melius, aliud deterius impoſitum ARBITRARIS. CRAT. Negiſtud. soc.Ergo omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr. soc. Quid de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt, nomine: Vtrum dicendű non effeilli iftud impoſitum, niſiquod équo geridews,id eft Mercurij generationis illicompe car: Animpoficum quidem, non tamen recte: CRAT. Nec impositum esse ô Socrates, arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura inest quæ nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe eum dicit:Nec enim hoc eft dubitandum, quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non fit. CRAT. Quaratig ne id ais: so c. Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa,ſermo tuus conftat, & circa id uerſacur permulci nempeô amice Cratyle, et nunc PRÆDICANT & quondam aſſerue runt. CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum dicit quis quod dicit quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ ſunt dicere: soc.Præclarior hic fermoamice,quam con dicio mea & ætas exigat.Attamen mihi dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui detur,fariautē pofle? CRAT. Neq fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu tare: Quemadmodum liquis tibi obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat Salue hoſpes Athenienſis, Šmicrionisfili Hermogenes. illeloqueretiſta,uel fari dicere tur,uel diceret,uel falutaret,appellaretę ita, non te quidem,ſed hunc Hermogenem,aut nullum: CRAT.Videtur mihi ô Socrates, incaſſum hæc iſte uociferare.so c.Šat habeo. utrū uera uociferat, qui ita clamat, an falſa: Anpartim uera, partim falſa: Namhoc quo queſufficiet. CRAT. Sonare huncego dicam feipfum fruſtra mouentem, ceu fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle,utrum quoquo modo conueniamus.Nõne aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem. soc. Etnomen rei ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū. So c. Et picturas alio quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero, force'ego quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has imitationes utraſą & picturas & nomina rebus his quarű imitationes ſunt, attribuere, nec'ne: CRAT. Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid poffit aliquisuiri imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, & in alijs eodem pacto: CRAT.Sic certe.soc.Num &contra,uiri imaginem mu lieri,& mulieris uiro. CRAT. Ethoc. soc. An utræquediſtributioneshuiuſmo directæ sunt: uelpotiusaltera,quæ cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT. Mihi quidem uide tur.SOC.Ne igitur ego actu cum ſimusamici, in uerbis pugnemus, aduerte quod dico. Talemego diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső picturis rectã uo co. & in nominibus nõrectam modo, fedueram. Alteramuero diſsimilisipſius tributio nem illationem non rectam,& in nominibus præterea falſam. CRAT. Atuide ô Socra tes,nefortè in picturis duntaxat id contingere poſſit,ut quis male diſpertiat, in nomini bus autem minime,fed neceſſariū ſit recte femper adſcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt: Nonefieri poteſt ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hæctua figuraeſt, oſten datók illi forte'uiri illius figuram, forte'etiã mulieris: Oftendere, inquam, ſenſibus oculo rum offerre. CRAT.Certe.soc.Nónneiterum ut eidem factus obuiam dicat, nomen id tuum est. Imitatio quippe aliqua nomen est, quemadmodũ & figura. Dico autéita.Nón ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in aurē idem infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod uir eſt,forte' uero fæminæ cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod mulier: Non uidetur tibihoc aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o Socrates, licefto.soc. Recte facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam tolletur. Porrò si in his huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui falſa uocamus.Si hocaccidit, & poſſumus non recte nomina diſtribuere, & quænon propria funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba nominağ ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter. Oratio quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta Cratyle: CRAT. Quod & tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima nomina ad literas ipſas quadã imitatione referimus, cótin. gere poteſt in his quemadmodã in picturis,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg; adhibeamus.Item (ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha mus,plura & pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so.. Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas & imagines reddit. Quiuero addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe. soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed non pulchra: Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT. Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne huic nomen erat nomi numcõditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in cæteris artibus con. ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo fuperiora illa inter noscon ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô Socrates, quotiens has literas « & B & quoduis elementorű nominibus per artē grammaticamattribuimus, ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam permutamus, quod nomen quidem ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo fcribimus, quin potius ſtatim aliud quiddã eſt, cũ primum horű aliquid patitur.soc.Videndű Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT. Quo pacto:so c. Fortaſſis quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta reneceſſe eſt, id quod ais perpetiuntur, quemadmodūdecem, autquiuis alius numerus. Nam quilibet numerus quocûç additouel ablato, alius ſtatim efficitur. Fortè uero qua litatis cuiuslibet & imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg enim omnia imago ba bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago futura. Animaduerte num aliquid dicam. Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet, & ipfius imago, ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut pictores ſolent,ſed interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem eandem, caloremý, motum,animā, fapientiā; &ut breui complectar, talia prorſus effinxerit omnia, qualia tibiinſunt: Varum, inquá, alterum iſtorum Cratylus erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT. Cratyli ô Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem eſſe quærendam, quàmillorum quæ paulo ante diximus ne cogendum effe liquiduel additum,uelablatum fuerit,ut non ampliusſit imago Annonſentis quantã deeſt ima ginibus, ut eadem habeantquæ & illa quorû imagines sunt: CRAT. Equidem.soc. Ri. diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina ſunt, fi prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrumą illorūutrum effetpo tius dici poffet,res'ne ipſa annomen. CRAT. Vera loqueris. soc. Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum aliud bene,aliud contra pofitum effe:nec cogas omnes literas continere,adeò ut penitus tale fit, quale & id cuius eft nomen:ſed mitte literá quoq mi nus congruam afferri quãdoq:ſi literam, &nomen ſimiliter in ſermone: ſi in fermoneno men,ſermonem inſuper nequaq connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari diciç,quoad rei ipſiuscuius fermo eft figura,inſit: quemadmodü in elemento rum nominibus quæ nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT. Recordor equidem,soc. Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om nia conuenientia prorſus adſint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum pau ca.Diciitap ô beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu circumuagãtur, fero iter peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera ſerius quàm deceat, perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam nominis rationem,nec confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porrò ſi ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire non poteris. CRAT. Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita pono.soc. Poſtquam de his conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men poſitum eſſe debet,oportere diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT. Plane. soc. Conuenit autem ut literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc. Quæigi tur recte ſunt poſica ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt ut plurimum qui demex conuenientibus ſimilibusý literis conſtat, fi quidem imago eſt.habet auté & ali quidnon conueniens,propterquod non rectâ eſt,nerecte nomen eſt inſtitutű,Sic'ne an aliter dicimus, CRAT. Nihileft ô Socrates, ut arbitror, contendendã: neq enim mihi placet,utņomen quidem eſſe dicatur,non tamērecte poſitű. soc.Vtrum hoc tibi non placet, quod noměreiipfius declaratio lit: CRAT. Placet. soc.At vero nomina partim ex primis constituta esse, partim esse primanon probedictâ putas: CRAT.Probe.soo Enimuero prima ſi quorundā declaraciones effe debent, habes'ne modû commodiore quo id fiat, qa li talia fiát,qualia illa funt quæ declarari volumus:Anmodus iſte pocius ei bipla. i  biplacet, qué Hermogenesalijý plurimi tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint ijs qui ita coſtituerunt, acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű eſt de cernat, an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum cognominetur, wuero quodmodow magnum, w paruum dicatur: Vter iftorum magis tibimodus pla cer: CRAT. Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult, quouis alio. soc. Scice loqueris. Nõneli nomen rei ſimile eſt,neceſſe eſt elemēra ex qui bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus eſſe fimilia: Sic autem dico: an aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei cuiuſquã ſimilem effinxiſſet,niſi colores ipfi qui bus cõſtatimago, efTentnatura reiillius ſimiles quam pictoris ſtudium mitatur: Anno impoſſibile: CRAT. Impoſſibile plane. soc. Eadem rationenomina ipſanun alicuius fimilia fierent,niſi illa quibus nomina cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum reru, quarum nomina imitationes sunt. Ea vero quibus constant nomina, elementa sunt. CRAT. Sane. soc. lam tu sermonis eius esto particeps, cuius nu per Hermogenes. An recte diceretibi uili sumus, quod ipsum plationi, motui, asperitati congruit? CRAT. Rectemihi quidem. soc. Ipsum aūta leni et molli, accæteris quæ narravimus: CRAT. Profecto.so c. Scis ne quod idem, id est asperitas ipsa nobis quidē oxigpótys uo icatur, Eretriensibus vero oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo hæclp& o, eidem fimilia videntur, idemg ostendűc tam illis per ipliuse determinationē, quam nobis pero nouissimű, uel alteris nostrum nihil referunt: CRAT. Vtriſą plane demonstrant. soc. Vtrum quatenus similia ſunt peto, uel quatenus dissimilia: CRAT. Quatenus fimilia. soc. Nunquid penitus ſimilia ſunt,ad lacionē æque ſignificandā: quin & ipſum a inie ctum,cur non contrariū aſperitatis ipſius SIGNIFICAT. CRAT. Forte'non recte iniectữeſt ô Socrates, quamadmodūea quæ tu in superioribus cum Hermogenehoc tractabas, dum &auferebas & inferebas literas ubimaxime oportebat. Acrecte mihi facere uidebaris. et nunc forte pro 1, s apponendű eſt. so. Probeloqueris. Quid uero nuncuc loqui nihil percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat: nec tu quidnuncego dicã, intelligis: CRAT. Intelligo equidem propter conſuetudiné. soc. Ouir lepidiſſime, cum consuetudinem dicis, quid aliud præter conuentionem dicere putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id pronuncio,illud cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis: Nonhocdicis: CRAT. Hoc ipsum. soc. S; id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio,ex diſſimili uidelicet eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipsum, dissimile eft eius quo tu ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe habet, profecto ipfe ad id teipfum aſſuefacis, et ex hac CONVENTIONE rectam tibi nominis ratio nem proponis,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles literæ repræſentãt propter ipfum conſuetudinis & conuentionis acceſſum. Sin autem CONSUETUDO CONVENTIO MINIME SIT. Haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē esse declarationem, imò cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex ſimilitudine & diſſimilitudine conſuetudo declarat, Hisaricco ceffis, o Cratyle nempe ſilentiñ tuum pro cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid CONVENTIONEM ģconcere, conferreġ ad eorû quæ sentimus & loquimur expreſſio nem.Nam ſi uelis,optime uir,ad numerorũ conſiderationem defcendere, quo pactoſpe ras, adeò propria reperturű te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen attribuas, ſi no permiſeris cõcefſionem tuam, CONVENTIONEM AVCTORITATE aliquam circa nominū rationem habere. Mihi quidē et illud placet, ur nomina quoad fieri poteſt, rebus fimilia ſinta Coc Vereor tamen neforte, utdicebatHermogenes, tenuis quodãmodoſic iſtius ſimilitudi nis uſurpatio, cogamurg et oneroſa hacre, CONVENTIONE uidelicet uti, ad recta nominum rationem:quoniã tunc forte pro uiribus optime diceretur,cum uel omnino,uel maxima ex parte similibus, id eſt cõuenientibus diceremus, turpiſſime uero cữ contrà. Hocautē poft hæc inſuper mihi dicas: quã nobis uim habētnomina, quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis afferimus. CRAT. Doceremihi quidē nomina uident, o Socrates, idý fimplicia ter aſſerendű, quòd quiſquis nomina ſcit, & res itidē ſciat.so. Forte ô Cratyle, tale quid cuc dam dicis, q cũnouerit aliquisquale ſitnomē,eſt aūt tale qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam agnoſcet, quandoquidē nominis eft res ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor ter ſe ſimiliū. Hac ratione inductus dixiſſe uideris; quod quiſquis nomina cognoſcit, res ecc quoghi quoq ipfas agnoſcet. CRAT. Veraloqueris. soc. Age,uideamus quismodus docenda rum rerum iſte ſit,quem ipſenuncdicis, & utrum alius prætereaſit,hic tamen potior ha beatur, uel alius præcerhuncnullus. utrum iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte, quòd nullusuidelicet alius ſit,fed hic folus et optimus. soc.Vtrum uero et resipſas ita reperiri cēſes, ut quicung nomina reperit, ea quoq quorum nomina ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium modum quendā,hunco diſcendű. CRAT.Maxime omniale cundum iſta huncipfum & quærendű & inueniendum. soc. Age, ita conſideremus, o Cratyle: ſiquis dum res investigat, nomina ipsa sequitur, rimatur; quale unãquodą uule elle,uides maximum decepcionis pericula ſubit: CRAT. Quo pacto: soc. Quoniam qui principio nomina poſuit, quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba mus, effinxit.Nonne itar CRAT.Ita prorſus. Soc. Siergo illenõrecteſenlit, et ut ſenlie inſtituit, nõne & nos sequentes eius ueftigia deceptos iri exiſtimasť CRAT.Haud ita elt imòneceffe ſciencem fuiffe illum quinomina poſuit.Aliter autem, ut iamdudâdicebam, nomina nequaſ effent. Euidentiſlimo autem argumento id eſſe tibipoteſt, haudà ueri tate aberrauisse nominum AUTORE (cf. H. P. Grice, AUTHORITY), quòd ſimale ſenſiſſet, nequaq libiita omnia consonarent. An non aduertiſti & ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta obo. ne Cratyle,ualet defenſio. Quid enim mirum eft, li primodeceptus nominâ institutor, se quentia rurſusad primum ui quadã traxit,& ipfi conſonare coegit:Quemadmodücirca figuras interdűexiguo quodam primo ignoto falſof exiſtente, reliqua deinceps multa Circa prin, inuicem conſonant. Debetenim quiſo circa rei cuiuſ principium ſtatuendű differere » cipium ſta, multa,diligentiſſime conliderare, utrum recte decernat,nec ne. quo quidem fufficiens tuendă diſ ter examinato,cætera iam principium fequidebent, Miror tamen,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt. Conſideremus iterum quæ ſupra retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ſignificare qualiomnia currat,ferant et defluant. Ita'nelignificare cenſes? CRAT. Ita certe. et recte quidē. soc. Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes. Principio nom hocwrshug, id eſt scientia ambiguum eſt,magis a SIGNIFICARE uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus animam, ĝ quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut principium eiusutnuncüdishulu dicamus, per e ipſius eiectionem, & pro 4, 5 potius adijciamus. Deinde Bébajok, id eſt firmum dicitur, quoniam badoows et scotas, ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Præterea igoelæ ad forte SIGNIFICAT quod isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum, & ipſum nisov, id eſt credendum, isaw, id eſtfira mare omnino SIGNIFICAT. Quinetiã uykusid eſtmemoria, ostendit prorſus quod in anima nõagitatio est, fedpovni,id eft quies, ſtabilise permansio. Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ et ovuqoça, id eft error & cótingentia caſus, idem uidebuntinferre,quod owens & ufiskur, id est intelligentia at scientia, & cætera nomina quæ præclarisſunt rebus impoſita.ltem cualíc et cronacíc, id eſt inſcitia & intêperantia, proxima hisui dentur icuclic quidē importareuidetur,&cket demi loves aegear, id est simul cum deo eun tis progreſſum. cronæriæ uero omnino quandam ipfarum rerum arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum.At ita quæ rerum turpiſſimarű nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa pulcherrimaſunt, ſimillimauidebuntur. Arbitror et aliamultare periri poffe,fiquis ad hæc incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur rentes delataso res,imò ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates ſecundi agitationis SIGNIFICATIONEM uides illum conſtituiffe. soc. Quid agemusô Cratyle: Nun quid suffragiorum calculorum inſtarnomina ipſa dinumerabimus: at ad hancnormă derecta ratione nominū iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes plu rium nominum fuffragantur: CRAT. Haud decet. soc. Non certe amice. Sed his iam omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixiſtinuper, firecordaris, neceffariñelle, illűquinomina ſtatuit, prænouille ea quibus nomina tribuebat: perſtasadhuc in SENTENTIA, nec ne' CRAT. Adhuc. so c. Nunquid et illum qui prima nomina poſuit, nouiſicais dum poneret: CRAT. Nouiſſe. soc. Quibus ex nominibus resueldidicerat, uel invene rat, quando necdâ prima nomina fuerāt inftitutar cum dicta sit impossibile esse resuelig vuenire, vel discere, nisi qualia nominaſint, didicerimus, uelipfinosinuenerimus. CRAT: Videris mihinonnihil ô Socrates, dicere. soc. Quo igitur PACTO dicemus eos ſcientes, nomina poſgillexuellegum et nominü conditores ante POSITIONEM cuiuslibet nominis extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe, fiquidem nõ aliter quam ex nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socrates uerissimum eum esse sermonem quo dicitur excellentiorem quandam potentiam quam humanam primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa. soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum AUTORE (cf. H. P. Grice, AUTHORITY) li dæmõ aliquis ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur: CRAT. Forte'nondum alterum iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti me; num quæ ad ftatum uerguntian quæ ad motum potius Neq enim, utmodo dixi mus, multitudine iudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque diſſentiant contendanto de ueritate inuicem nomina, & tam hæcquàm illa uero propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus. Quò nos uertemus: Nec enimad alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter nomina quæren da funt,quæ nobis ostendantabſque nominibus, utra iſtorum uera ſint, rerum uidelicet monſtrantia ueritatem. CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc uera ſunt Cratyle,  pof ſunt,utuidetur, res line nominibus percipi. CRAT. Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res ipfas percipere: Nónne per quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem, fcilicet fiquomodo inuicem cognatæ sunt, & perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft ab illis, aliud quiddam non illas SIGNIFICAT. CRAT. Vera loquiuideris. soc. Dicobſecro nonne iam sæpe concessimus, nomina quæ recte posita sunt, fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe: CRAT. Con ceſsimus planè.soc.Si ergo licet res per nomina diſcere, acetiam per ſeipfas, quæ præ ftantior erit lucidiorý perceptio:Num si ex imagine cogitetur et imago ipſa utrum re cteexpreſſa fit, & ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex ueritate tam ueritas ipſa. quàmipſius imago, nunquid decenter imago ad eam fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt. ERAT. Sicapparet ô Socrates. soc. Animaduertamus & hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto illiuelut in quan dam delapfi uertiginem, & ipfi uacillant iactanturcs, & nosin eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego sæpenumero fomnio, utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum,& unum quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe uidetur.so c.Illud igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid taliú pulchrum eſt, quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ dicimus, nonne ſemper tale quale eſt perfeuerat: CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid possibile eft ipſum recte denominare si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud fic dein de quale ſit dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim fieri,iugitero dif fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq eodem modo fe habet, eo in tempore minime permutatur:fin autem ſemper eodémodo ſe habet;idemg exiſtit, quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non deferat: CRAT. Nullo pacto: so ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim cognitura uis ipsum aggrederetur, aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut quale cognoſcinõpoffet.nam cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe habentem percipiat. CRAT. Eft ut ais.soc. Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandẫeſt ô Cratyle ſi deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio eſtnon decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem cognitionis ſpeciesipſa diſcedit,ſimul & in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,neæ cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat, ſempernon erit cognitio. Aro hacra. tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum,ſemper erit. Sinautem fem per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft & bonum, eſtý deniq exi. Itențium unűquod & quæ in præſentia dicimus,fluxus lationis ſimilia non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores, alijg permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum animumg luū nominibuscredere; & autorem nominum sapientem asseverare, atqz ita de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut pPomba nihil integrum firmumą exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces, arque tibi fufficitætas. Et liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam Socrates. Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero. Nuncautemut conſtituiſti in agrum perge. Atqui & Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones Socrates.Verum tu quoque iam de his cogita.  IL CRATILO - DELLA RETTA INVENZIONE DE' NOMI. ERMOGENE -- CRATILO – SOCRATE. A vuoi tu ancora, che noi communichiamo il parlar  nostro con Socrate? c*.  Se il pare a te. ehm. O Socrate, Cratilo dice, che ai ritrova in qualunque  degli enti per natura la retta invenzione del nome, nè  aia nome quello, onde convenendo alcuni il chia-  mavano, mentre proferiscono certa particella della sua  Toce: ma sia naturalmente certa retta invenzione di  nomi la medesima in tutti e Greci e Barbari. Sicché io  Io addimando se daddovero sia Cratilo il nome di lui,  o nò: ma egli confessa esser questo il suo nome. Or Scrate dissi io, qual nome tiene egli? di Socrate disse:  non hanno tutti quel nome, col quale chiunque il  chiama da noi: nondimeno disse egli uon è il tuo nome Ermogene, nè se ancora tutti gli uomini ti CHIAMASSERO cosi. E mentre io lo addimando, e desidero  sapere, che cosa dica, non mi dichiara affatto niente:   ma beffandomi, simula di aver nell’ animo alcuna cosa, come egli intenda non so che d’intorno a questo, i!  che se volesse esprimer niartifVstnmfcnte, farebbe che  io confessassi, e dicessi lo stesse, che egli si dice. Laonde udirci da te volentieri, se in qualche maniera tu  potessi congetturare il vaticìnio di Cratilo. Anzi udirei  molto volentieri la tua opiuione intorno alla RETTA INVENZIONE DE NOMI, se ti fosse in grado, soc.  0 Ermogene, figliuol di Jponico, è proverbio vecchio, che sia  malagevole da conoscer in qual guisa se ne stiano le  cose belle. Or la notizia de’ nomi non è picciola disciplina. In vero se io avessi udito già molto tempo  da Prodico quella ostentazione di cinquanta dramme,  nella cui dottrina ancora era questo, come egli ne  rende testimonianza; niuno impedimento sarebbe, che  tu non conoscessi incontinente la verità intorno alla  retta invenzione de’ nomi. Ma ora io non I’ . ho udita  ma si ben quella d’ una. dramma. Per la quale cosa;  non sò quello che d’ intorno a queslavi sia di vero: ma  sono prrsio ad investigar, inlteoie. con essd.tecoj.èfcon  Cratilo. In quanto poi dice, else tu non abbia' versi  mente nome Ermogene, io sospetto, che egli motteggì; perchè egli forse pensa, che tu sia -desideroso dello acquisto de’ danari, e impoleule.seinjpre ad otieuer-  li: ma come ho detto poco, f», egli è difficile, «Ite ciò  si conosca. Or fa misticri, da tutte due le porli spoetando iu meszo le ragioni, che si investighi se sia cosi,  come tu di o piuttosto come dice Cratilo. e»m. E pur  o Socrate, tuttoché spesso io abbia disputato già contostai, con altri molti tuttavia non ancora mi posso persuaderò, che altra ai.» la rotta invenzione del no-  me, phe lo assenso, e il consentimento; perciocché  a me pare, clic quel sia nome retto, il quale impone  chiunque a ciascheduno, e se di nuovo il mutasse, e  altro ne ponesse, non meno del primiero quello, che  Si trasportasse sarebbe nome retto, come siamo noi  soliti di cambiare i nomi a servi, non vi essendo per  jialura a ninna cosa il nome! ma per legge, e secon-  do la usanza di coloro, che furono soliti cosi chia-  marli. Il che se sia. altrimenti, io sono apparecchiate  .ad impararlo, o adirlo non solamente da Cratilo; ma  da qualunque altro, soc. O Ermogene peravvepto-  ra tu dì alcuna cosa: ma consideriamola. Quello che  porrà alcuno, con cui chiama qualunque cosa, sarà  egli, il nome di ciascuna cosa? ehm. A me pare,   soc. O se il privato, o la città il dicesse? uh. Lo assentisco. soc. Ma che, se io chiamassi qua-  lunque degli enti, come per esempio, se quello, che  al presente chiamiamo uomo, chiamassi cavallo, e uo-  mo quel, che cavallo: pubicamente sarà egli il nome  all' uomo, privatamente cavallo; e di nuovo privata-  mente uomo, cavai lo puiilicnmenle Parli così tu? erm.  Tosi mi pare. soc.  Or mi dì questo. Chiami tu  alcuna cosa il dir il vero, e il Tabu? erm. In vero  sì. soc.  Non lia quella vera ORAZIONE: ma quest’ORAZIONE falsa? erm. Così affatto, soc. Quei par-  lar poi, che die* le cose, che sono quali son esse ai    »    ìli   h rero: ma falso quello, che non come sono? n»,   — Cosi è. soc.  Adiviene egli questo, che col par-  lare si dicano le cose, che sono, e che non so-  no? ehm.  Si. soc. Il parlar che è vero mi di,  se è vero tutto, non vere le parti? ehm. Nò: ma le  parti ancora, soc. Dimmi, le parti grandi saranno  vere: ma le picciole nò, oppur tutte? exm. Io mi  stimo tutte, soc* Puoi tu dire altra parte piu pic-  ciola del sermone, che il nome? erm In modo nin-   no, essendo questa la minima parte, soc..Ed an-  cora si dice egli peravventura il nome parte della vera ORAZIONE? erm. - Senza dubbio, soc. Veramente  parte vera, come è, tu di. erm.— Veramente, soc.   E la parte del falso, non è ella falsa? erm. — Lo dico si. soc- — Dunque è lecito dir nome vero, e no-  me falso, se si dice ancora la orazione. erm.  In  che modo nò? soc.  Dunque quel nome, che chiun-  que dirà, che in alcun si ritrovi, sarà egli il nome  di ciascheduno? erm  Si. soc. Peravventura quanti  nomi dice alcun, che abbia chiunque, tanti saranno  essi? e allora, quando egli li dice? erm, Per certo,   o Sncrate: io non ho alcuna retta invenzione di no-   / t   me, fuor che questa, in modo, che non sia lecito a «  me con altro nome chiamar la cosa, che con quello,  che io ho imposto, nè a te con altro, che con quello,  elle le imponesti. Cosi per certo io veggo nella città,  che si hanno alcuni propri nomi delle medesime co-  se, e fra Greci in verso ad altri Greci, « in verso a   i  Barbari, «oc.  Or rediamo o Ermogene, se pare a  te, che gli enti se ne stiano in questo modo; che ognun  di loro tenga la propria essenza, come diceva Protagora, dicendo egli esser 1’ uomo misura di tutte le cose in modo, che quali qualunque cose mi paiono, tali  io le abbia; similmente quali tu, e tali le ti abbi; o  pensi piuttosto che siano alcune cose, le quali tenga-  no alcuna fermezza della sua essenza, eem.  Alcuna  volta, o Socrate, dubitando sono condotto a quello,  che dice Protagora: per tanto non mi persuado a ba-  stanza, che se ne stia egli cosi. soc.  Ma che? set  tu ancora alcuna volta condotto a questo, che non li  paia in modo niuno, che alcun nomo sia cattivo? erm.   Per Giove nò; anzi spesse volte cosi sono disposto,  che io stimo, che alcuni uomini siano al tutto catti-  vi, e molti, soc. —Ma che? non ti è parso ancora,  che siano molti uomini buoni? erm. Molto pochi,  soc. Nondimeno pare a te vero? erm.  A me si.  soc. — In che modo poni tu questo? forse cosi, che i  molto buoni siano molto prudenti, e i rei al lutto  molto imprudenti? ebm.  In vero a me pare cosi,  soc.  Se Protagora diceva il vero, e se ò questa la  ventò, che quali qualunque cose pareranno a ciasche-  duno, tali siano; è egli possibile, che altri di noi sia-  no prudenti, altri imprudenti? ebm. —Per certo nò.  soc. — E come io penso ti pare ad ogni modo che  Protagora non possa al tutto parlar il vero, essendovi  «erta prudenza, e imprudenza, perciocché non sarebbe veramente l’uno dell’ altro piò prudente, se le   cose, che paiono a chiunque, le tenesse ciascheduno  per vere. IBM -Cosi è. Ma nè ed Eutidemo ' assenti-  sci, come io penso, che dice, che tutti abbiamo tutte le  cose similmente, e sempre, perchè cosi' non smeldio.  no altri buoni, nitri cattivi, se sempre, e pariménte  si ritrovasse in tulli e la virtù, e la malvagità! ehm;  Tu palli il vero, soc.— Dunque se nè tutte le rose  si ritrovano sempre in tutti, e simiglmutcìiiente; uè  qualunque cosa è propria di ciascheduno, manifesto  è, rise siano le cose quelle, che tengono in su stesse  certa essenza ferma, uè sono in quanto a noi tirate  in diverse parli, nò da noi con la imaginazione e in  suso, o in giuso: ma stabili secondo se stesse in quan-  to alla loro essenza, come sono 'ordin. ite dalla natu-  ra. uu. Cosi ini è avviso, elio se ue stia questo. *oc Dunque mi di, se le còse se ne stanno si per u«-. torà, ma non nella stessa guisa lu loro azioni o eziandio  esse azioni sono una certa specie degli enti? esm. Ani  cora esse ad ogni modo. soc.— Dunque le azioni sa   tonno secondo la natura loro, non secondo la nostra  opinione, come per esempio, se noi si mettessimo a  divider alcuno degli enti, forse sarebbe qualunque cosa d» dividersi ila noi come vorremmo, e coti che ci a„  gradissi.? o più tosto, se volessimo partire quafuo/pio  cosa secondo la natura, con cui fa mislieri che S‘ I 1 al f  lisca, e sia partita; parimente con cui secondo l«  tura ti dee fare il partiraento; invero la dividerei. *io« bene, e si farebbe «la noi alcun profitto, e questo  si operetébbe bene; ma se cóntro la natura travieremmo   nè si farebbe niente «la noi? erm Così mi pare. soc.   E se ci mettessimo ancora àd ffhbrugiiir alcuna cosa:  non fa nilstieri, chieda sì ‘ablmigi secóndo Ogni opi-  nione: ma sibbene secondo la reità opinione/ Qué-  sta è poi quella, onde qualunque cosa naturdlòientc  è atta ad abbrugiarsi,' é di abbruciare, e con cui nai  turalmente ne era atta, erm  Queste cose son vere,  soc.  Non si ritrova la stessa maniera d’intorno al-  le altre cosi? ehm La medesima sì. soc Anco-ra il dire non è egli forse una certa delle azioni, ehm.  -r Certo si. soc.  Or dirà bene chi così dice, co-  irne li par di dire . 5 o piuttosto dii in colai guisa dice, come ricerca la natura del dire, e che si dica?  e- se eziandio dicesse con cui ricerca la natura, in  dicendo farebbe alcun profitto, altrimenti 1 . travierebbe  egli, nè farebbe nulla? ehm. —In vero io stimo co-  sì, cometa di. soc.- Dunque il nominar "è particella di  dire; perciocché nominando si fanno i‘ ragionamenti;  erm Ad ogni modo. soc.  Dunque e il nomina-   re è 'certa azione, se ancora il dire era certa azione;  d' intorno alle cose? erm.-Così è. soc.— Or le azio-  ni ci par vero di non risguardar a noi: ma di teneré certa propria lor natura. ehm. - Così è. soc   Sicché è da nominarsi in quella guisa, onde la natu-  ra delle cose ricerca di nominate, e che si nomini, con cui, ma uon secondo lo arbitrio deWolcr no- ’ ì   ) « (   atro, se ti ba a dire alcuna cosa concorde alle cosa  dette. Ed in colai guisa facessimo noi alcun guada»  gno, e nominaressimo: ma altrimenti nò? krm. Così mi pare. soc.  Or dimmi ciò, cbe era da ta-  gliarti, diciamo noi cbe era da tagliarsi con alcuna  cosa? erm. Con alcuna si. soc. —E ciò, cbe si  doveva tesser da tessersi con alcuna cosa? e ciò, che  era da forarsi, con alcuna cosa si dovea egli forare?  erm. — Al tutto. soc.—Sim il niente ciò, che nominar  si dovea, era da nominarsi con alcuna cosa? ibi*.  Si- soc. Ma che era quello, con cui f«cea mistieri,  che alcuna cosa si forasse? erm.  La trivella? soc.   Che è quello, con cui fa mistieri, che si tessa?  erm.  La navicella, soc.  E che con cui si nomi-  ni? erm. —Il nome, soc.— Tu parli bene. Dunque  e il nome è certo stromento. ss**.  E’ si. soc.   Dunque se io cercassi quale stromento è la navicella  • o non sarebbe d' esso quello, con cui si tesse? erm.  Così è. soc.  Or tessendo, che facciam noi? o non  separiamo la trama, e gli stami confasi? ehm. Que-  sto stesso, soc. — Or potrai tu dir così della trivel-  la, e delle altre cose? erm. Lo stesso, soc. Puoi  • tu ancora dir similmente d* intorno al nome ciò, che   facciamo mentre col nome, che è stromento, nominia-  mo alcuna cosa? erm. Nò il posso nò. soc. For  se di compagnia insegniamo noi mente, c dividiamo  le cose, come sono? erm. Per certo, soc.  Sicchò  il nome è certo stromento di insegnare, • divide» 1*  sostanza, come !a navicella della testura erm.  1 lassi  a dire in colai guisa, soc  La navicella è ella stru-  mento acconcio al tesserei 1 ehm, • In che modo nò.  soc.  Per la qual cosa il tessitore si vaierà bene  della navicella, dice bene, secondo la maniera del  tessere: ma chi insegna, egli si vaierà del nome, e  bene, dico bene secondo la maniera propria dello  insegnare, ehm. Per certo, soc. Dell’ opra di quale  artefice si vaierà bene il tessitore, quando si vaierà  della navicella? erm. Di quella del legnaiuolo, soc.  E egli chiunque legnaiuolo, o piuttosto chi tiene P  arte? erm. —Chi tiene l’arte, soc.  Similmente del-  l’ opera di cui il foratore si vaierebbe bene, quando  si valesse della trivella? erm. Del maestro del me-  tallo. soc. — E forse chiunque maestro di metallo?  o chi tiene l’arte? erm.  Chi tiene l’arte, soc.  '  Stiano le cose cosi. Dell’opera di cui il dottor si vaie-  rebbe, qualora si servisse del nome? erm. Nè ciò pos-  so dire io. soc. Ancora non puoi tu dir questo.  Chi ci dà i nomi, dei quali ci serviamo? erm.  Per  certo nò, i soc. - Non pare a tè peravventura, che la  legge sia quella, che ci dà i nomi? erm.  Appari-  sce. soc.— Dunque il dottore si vaierà dell’ opra del  legislatore, quando del nome si vaierà, erm.  Io  penso si. soc. Pare a te, che ognuno egualmente  sia facilor di leggi, o chi è dotato di arte, erm.   Il dotalo delP arte. soc.  Si che o Erinngene non  è. ufficio di qualunque uomo lo imporre i nomi; ma di certo autor di nomi e costui è come apparisce ii  legislatore, il quale fra gli artefici si fa raro appresso  agli uomini, ehm. » Apparisce, soc. Deh conside-  ra, ove riguardando il legislatore impone i nomi, e considera dalle cose antedette ove riguardando il legnaiuolo fa la navicella? non ad una cosa tale, che  da natura sia al tesser acconcia? ehm.  Al tutto,  soc.— Ma che? se nell’ opera si rompesse la navicella,  mi di se fabbricherà egli un’ altra di nuovo alla somi-  glianza della rotta, o piuttosto alla specie risguarde*  rà, secondo il cui esempio avrà fatto la navicella,'  che si ruppe? erm. — Alla specie, come io stimo,  soc.  Dunque chiameressimo noi meritamente la spe-  cie la navicella? erm.  Io penso si. soc. — Se fa  mestieri alcuna volta, che si apparecchi la navicella  per fornir la veste, o qualunque altra cosa di filo,  e di lana sottile, o grossa, bisogno è, che tutte le  navicelle tengano la specie della navicella; e quale  naturalmente è a ciascheduna cosa accommodatissima,  tale si usi al fornir l’opera, come il ricerca la na-  tura, erm. — Iti vero fa mislieri. soc.  La medesima ragione è d’ intorno agli altri stromenti concios-  siachè è da ritrovarsi quale stromento si confaccia  per natura a qualunque cosa, ed è da darsi a lei,  con clii si fa ella, uon quale vuole chi fabbricai ma  quale è ella per natura. Perchè fa mistieri, come ap-  pare, che si sappia accommodar a qualunque cosa ciò,  die naturalmente acconcia al ferro, erm.  Cosi si. soc.  ‘Più- oltre nel legno la navicella confacevole  a ciascheduna. e*m.  Egli è vero. soe. — Percioc-  ché. secondo la ragione della natura altra navicella  si confà ad altra tela, e nell’ altre nella medesima  guisa, ehm* Veramente, soc. Fa mistieri ancora  -ottimo uomo, che il posìlor dei nomi proferisca un  nome per natura acconcio nelle voci, e nelle silla-  be a tutte le cose, e riguardando a quello stesso di  cui è nome, formi qualunque nome, e gli attribui-  sca, se daddovero dee esser positor proprio di nomi.  Che se non con le medesime sillabe qualunque po-  citor di nomi esprime il nome, fa mistieri, che noi  sappiamo, che nè tutti i fabri ciò fanno nel ferro per  la stessa ragione; qualora fabricauo il medesimo stro-  xnento: ma nondimeno in quanto gli attribuiscono la  stessa idea, in tanto se ne sta egli bene, tutto che  in altro e iu altro ferro; o qui si fabrichi egli, o fra  barbari non è egli cosi? ehm. -a. Si. soc.  Dunque  islimerai tu ancora nel medesimo modo finché il po-  sitor dei nomi, ebe è fra noi, e fra barbari concede  una specie di nome convenevole a qualunque cosa  in qualunque sillaba, che 1’ uno dell’ altro non sia  punto peggiore nell’ imporrei nomi. ehm. In vero   si. sqc. Chi è per conoscer se sia impresso in qua-  lunque legno una specie convenevole di navicella?  fpr&e il, legnaiuolo, che la fai o il tessitore, che se  ne dee servire? ehm. O Socrate, gli è verisimile,  die la conosca molto piu, chi se ne dee valere, soc.  Dunque chi si servili dell’opera del Tacitar dell*  lira? non colui Torse, che benissimo saprà esser so*  prastante alla cosa Tatta, e conoscerà Tatta che sia, se  sia Tatta bene o no? ehm.  Al tutto, soc.  Chif  hm. « Il citarista, soc.  Chi poi dell'Opera di coloro, che Tanno le navi? erm. Il governatore, soc. Chi eziandio benissimo sarà soprastante all’opra  del Tacitar delle leggi, e Tornita la giudicherà e qui,  e Tra barbari? non chi se ne dee servire? ehm.—  Cosi è, soc, *- O non è egli d* esso chi sa interro*  gare? ehm.  Costui si. soc, — Il medesimo che sa-  prà risponder ancora? ehm.  Si certo, soc.  Or  chiami tu altro che dialettico chi sa interrogar, e  rispondere? ehm. Non altro; ma lui. soc. —Siche  è Tattura di lignaiuolo il Tabbricar il timone esscn*  do soprastante il governatore, se è egli per dover  esser buono, ehm,— Apparisce, soc.— Ancora come  è avviso, è opra di positor di nomi il nome, cui è  soprastante 1’ uomo dialettico, se sono per doversi  por bene i nomi. ERM.-*Que$te cose son vere. soc.   — Dunque, a Erraogene, corre rischio, che non Ha  cosa lieve, come tu stimi, il por dei nomi, nè Tat-  tura d’ uomini bassi, e vulgari. Per certo Cratilo par-  la il vero, dicendo, che i nomi per natura siano nel-  le cose; nè sia chiunque autore di nomi: ma colui  solamente che risguarda al nome, che è in ognuno  per natura, e sia possente di por la specie di lui  nelle lettere, e nelle sillabe, ehm. — O Socrate, io non so in che modo sia da opporsi alle cose che  tu di: ma peravventura non è cosa agevole il per*  «cadérsi cosi allo improviso: ma mi è avviso, che io  ti sarei piuttosto per ubidire in questo modo, se di-  mostrassi quale da te si dica, esser la retta natura  del nome. soc. —In vero, o beato Ermogene, non di-  co alcuna: ma tu ti sei scordato di ciò, che io di-  ceva poco inuanzi, cioè, che io non la conosceva!  ma, che io la considererei insieme con esso teca.  Al presente poi questo solamente si è fatto chiaro  oltre alle antedette a me, e a te di compagnia in-  vestigando, che Certa retta invenzione per natura  tenga nome, nè chiunque sappia adattar bene esso  nome a qualunque cosa, non è egli così? rum. Grandemente, soc— Dunque rimane da Considerarsi  se tu desideri di conoscer quale sia la retta invenzione del nome, ehm. — In vero la desidero sapere,  soc. r- Dunque cobsidcra. erM.— In che modo adun-  que fa inistierì, che si consideri? soc.^O umico rot-  tissima. è la considerasione; ricercandosi questo da  coloro, che sanno con 1' offerir danari, e col il ren-  der loro grazie’ oppresso. Or d’essi sono i sofisti,  coi quali Calia tuo fratello pare, che sia riuscito sag-  gio, pagati molti danari, ma poiché non hai, che fare  nella robba patema, rimane, che tu supplichevole  preghi il fratello, che ti insegni la retta invenzione  di questétàll cose, che Protagora egli imparò, erm.   O Socrate, quanta sconvenevole sarebbe questa dimanda, se non prestando aiuto alla verità di Protagora amassi le cose, che si dicono con tal verità,  quasi degne di alcuna considerazione, toc.  Ma se  a te non piacciono elle, si dee imparar da Omero,  e dagli altri poeti. erm.  O Socrate, e che è in  che luogo ne dice Omero dei nomi? soc. Per tut-  to molte cose: ma grandissime e bellissime son quel-  le, onde distingue d’intorno a quei nomi, che in-  troducono gli uomini, e i Dei, o non istimi tu, che  egli d’ intorno a questi dica alcuna cosa magnifica,  e maravigliosa della retta maniera dei nomi? essendo manifesto, che i Dei chiamano rettamente quei,  che son nomi naturalmente, o no il pensi tu? ikm.  In vero io so certo, se i Dei ne dicono alcuni,  che essi lr~cbiamano bene; ma quali di tu questi?  soc.  O non sai tu ciò, che si dice del fiume troiano, che con vulcano combatte a singoiar battaglia,  il quale i Dei chiamano santo, gli uomini Scaman-  dro. ehm.  Il so. soc.  Che dunque? non istimi tu  certa cosa grave il conoscer in che modo sia meglio,  che si chiami quei fiume santo piuttosto, che Scarnan-  do? ma se vuoi considera questo, che il medesimo  dice dell’ uccello, che i Dei chiamano Calcidei ma  gli uomini Cimindi. Tu stimi vii disciplina il sapere  quanto sia meglio, che si chiami il medesimo uccello  Calcide, che Cimindi, o Bracia, e Mirine, e molti al-  tri tali, detti da questo poeta, e da altrui? ma le.  invenzioni di queste cose peravvenlura superano le forze nostre. Cii cbe poi signifìchioo Scamandrio, e  Astiane si può comprender, come mi pare da ingegno amano, e apprendersi agevolmente qual retta in-  venzione vuole Omero, che sia in questi nomi, co*  quali chiama il figliuolo di Ettore: perciocché tu cer-  tamente sai, ove si ritrovano questi versi, che io di- v   co. a**.  Ad ogni modo, soc,  Dimmi, pensi tu,  che di questi nomi stimi Omero che peravventura  pili convenisse Astianate al fanciullo, che Scamandrio?  vrm.  Io no il posso dire. soc.  Or in colai mo-  do considera, se alcuno ti addimantlasse, se tu pen-  sassi che i piò saggi ponessero i nomi meglio alle  cose, o i manco saggi, erm. Chiaro è, che io risponderei i piò prudenti, soc.— Dimmi, se le don-  ne nelle città pare a te, che siano piò prudenti, o  gli uomini? per dir tutto il genere? erm. Gli uomini. soc.  Dunque tu sai, che dice Omero, che il  figliuolo di Ettore era chiamato da’ Troiani Astiaua.  te, dalle donne Scamandro, poiché gli uomini lo chia-  mavano Astianate. erm. Apparisce, soc.- Dunque  eziandio stimava Omero, che gli uomini Troiani fos-  sero piò saggi, che le lor donne, erm.  Io lo sti-  mo. soc. - Dunque stimò, che egli si chiamasse, me-  glio Astianate, che Scamaudrio. ehm. - Apparisce,  soc Consideriamo qual cagione egli apporti di que-   sta denominazione, perchè dice egli, che solo difese  loro la città, e le ampie muraglie. Per la qual co-  sa, (come pare) conviene# che si chiami il figliuolo del Salvatore, cioè di colai, che il padre di lai sai*  va va, come disse Omero, erm. — A me pars soc.  — Per qual cagione? perciocché o Ermogene, nè io  lo intendo ancora bene: ma lo intendi tu? erm.  Per Giove nò. soc. O uomo da bene ancora Ome-  ro pose ad Ettore il nome. erm. — Perchè? soc. Perchè mi è avviso, che questo nome si assomigli ad  Astianate; e essi nomi si assomiglino a Greci: dimo-  strando quasi il medesimo, cioè che ambidue que-  sti nomi siano regali; perciocché di cui sarà al-  cuno re, dello stesso sia ancora possessore; essen-  do manifesto, che egli lo signoreggi, e possegga,  e abbia. O peravventura non pare a te, che io dica  niente? e m' inganna la opinione, onde mi confida-  va, come per certi vestigi, di toccare la opinione  di Omero d’ intorno la retta invenzione dei nomi?  erm. -* In modo niuno, come io penso: perchè^forse  tu tocchi alcuna cosa. soc.  Egli conviene, come  a me pare, che si chiami similmente leone il figliuol  del leone, il figliuol del cavallo cavallo; non dico, se  alcun’ altra cosa fuor che il cavallo (come mostro)  nasoesse dal cavallo: ma quel mi dico, del cui genere  secondo la natura è ciò, che nasce, se il cavallo na-  turale partorisse il figliuolo del bue vitello contro  natura, non sarebbe da chiamarsi poliedro: ma vitello,  nè eziaodio se dall'uomo altra prole si producesse,  che umana, ciò che nascesse si dovrebbe chiamar no*  aio. 11 medesimo è da giudicarsi degli alberi, e delle altre cole tutte, o non pare ancora a te? erm.  A  me par si. soc. Tu dì bene-, perciocché guardati,  che io non ti inganni in alcun modo; conciosia, che  secondo la stessa , ragione eziandio se alcuna cosa na-  scesse da re, sarebbe da chiamarsi re, non importan-  do che si significhi lo stesso in queste, e in quelle  sillabe, o se vi si aggiugni alcuna lettera, o se an-  che la vi si levi; mentre la essenza della cosa dichia-  rata nel nome signoreggi./, erm  Come dì tu cote-  sto? soc. Io non dico oiuna cosa meravigliosa, o  nuova: ma siccome tu sai, che diciamo i nomi degli  elementi: ma non essi elementi, eccettuatine sola-  mente quattro, cioè b N E fi ma «1 rimanente, co-  sì vocali, come mutoli, tu sai che aggiugnendovi al-  tre lettere, li proferiamo formando i nomi: ma iinchè  inferiamo la forza dichiarata dell’ elemento conviene,  che quel nome si chiami ciò, che egli si dichiara, nor-  me per esempio il B, vedi i che il T aggiunte non  impedì che con lo intero nome non si dimostrasse la  natura di quello elemento, di cui volle il positor del  nome, siffattamente non li è prestato fede di aver posto bene i nomi alle lettere, erm. Tu mi pari di  parlar il vero, soc.— Dunque fla la stessa ragion ancora  d’intorno al re. Perciocché sarò alcuna volta il re dal  re, il buono dal buono, dal bello il bello, e le altre cose  tutte similmente da qualunque genere certa altra pro-  genie, e sarebbono da dirsi gli stessi nomi, se non  ci facesse mostro. Egli è lecito, che in modo si variino per sillabe, che sia avviso all’ nomo rosse, che  le cose, che sono le stesse siano diverse tra loro, co-  sì come le medicine dei medici variate con colori,  •ed odori spesse volte essendo le medesime, pare a  noi, che siano diverse: ma dal medico considerata la  virtii loro, sono giudicate le stesse; nè il perturbano  le cose aggiunte. Similmente peravventura chi è eru-  dito d’intorno a nomi considera la virtii loro nè si  perturba il giudició di lui, se vi è aggiunta alcuna  lettera o trasmutata o levata, o se in altre, e motte  lettere si ritrova la stessa virtii del nome. Come quei  nomi, i quali di sopra abbiamo detto Astianate, e  Ettore hanno le lettere ad ogni modo diverse, fuorché  il sol T, non pertanto significano il medesimo... Mei  medesimo modo ciò che si dice prencipe di città,  qual communicanza di lettere tiene egli con li due  antedetti? nulladimeno significa il medesimo, e molti  altri vi sono, i quali nient’ altro significano, che il  re. Oltre ciò molti sono, che significano il capitano  dell’esercito, come altri ancora, che dichiarano il  professor dell^medecina. E si possono ritrovar mol-  ti altri discordanti nelle sillabe, e nellj lettere: ma  accordatisi al tutto nella virtù, del significare, par  egli che così sia, o pur nò? zrm. Così certo, soc.   Or a queste cose, che si fauno secondo la natura  sono da darsi gli stessi nomi, ehm. Adognimodo,  soc. Ma qualora alcuni uomini si fanno contro  la natura in certa specie mostri, come quando sì genera l’empio dall’ uomo buono, k pio; ohi è gene*  rato non dee sortire il nome del genitore- ma di quel  genere, nel quale ei si ritrova, come diami di cent-  rilo; se il cavallo generasse la prole del bue, non sa»  rebbe da chiamarsi il figliuolo di lui cavallo: ma bue*  mm. C osi è. soc. -Dunque all’uomo empio generato dal  pio, bassi a dare il nome del genere. ehm. Queste cose  sono vere, soc. Dunque non conviene, che si chiami  un figbuol tale, amico di Dio nè ricordevole di Dio, nè  alcuna cosa siffatta: ina con ' nomi il contrario signi-  ficanti se pur i nomi deono conseguire la retta in-  venzione. sbm. Cosi al tutto o Socrate è da farsi*  soc.— Come ancora Oreste, o Ermogene, corre rischio»  che sia ben messo, o se alcuna sorte H pose il no-  me, o alcun poeta; con quel nome significando la dì  lui natura ferina, selvaggia, e montana, erm.  Cosi  apparisce, o Socrate, soc. — Àncora è avviso, che il  parere di lui tenga il nome secondo la natura, erm.  Apparisce, soc. la vero tale appar egli, che sin  Agamennone, quale pare che si affatica, e sopporta»  imponendo fine alle cose, le quali parvero da terminarsi per la virtù. Argomento poi della sua toleranza  ne diede il durar sotto Troia con tanto esercito. Dun-  que che questo uomo sia stato buono nella perseve-  ranza, il nome di Agamennone lo significa. 1$ perav-  ventura eziandio Atreo se ne sta bene, conciosia, che  la uccisione di Crisipo, e la crudeltà intoruo a Tie-  sse sono tutte le cose daouosc, e perniciose in verso alla virtù, onde la denominazione del nome declina  un tantino, ed è gelata in modo, che non dichiari  .^chiunque la natura di questo nomo: ma cui som»  periti di nomi si mauifesta bastevolmente la signi-  ficazione di Atreo; perchè esso nome è posto bene  in- ogni luogo secondo 1 intrepido. Ancora pare che  il nome di Felope non sia dato a lui fuor di proposito, significando questo nome, che sia degno di que-  sta denominazione chi vede le cose dappresso, zbm.— •  In che modo? soc. — Come si dice nella morte di  Mirtillo contra di lui, che egli non abbia possuto pro-  veder niente, nè da lunge vedere di quanta calamità  fosse ripieno il genere tutto, riguardando alle cose,  che gli erano innanzi a piedi, e solamente alle pre-  senti. Ciò poi è il veder dappresso, il che ei fece  avendosi aiTaticato con ogni sforzo di accompagnarsi  in matrimonio con Ipodamia. Appresso penserebbe  ognuno, che il nome Tantalo li sia stato posto bene,  e secondo la natura, se sono vere le cose, che si rac-  contano di lui. erm. — Quali sono coteste? soc.   Che a lui ancora vivente moltissime cose avverse, e  gravi avvennero, il fio delle quali si era, che tutta  la patria di lui si vogliesse sossopra. Più oltre, lui mor-  to gli sta sopra la testa un sasso, per certo, durissima  sorte. Tutte queste cose adognimodo si confauno col  nome, non altrimenti, che se alcun l’avesse volato  nominar pazientissimo: ma avendo parlato alquanto  oscuramente, abbia posto Tantalo per Talantato- In   c   vero pare, che un tal nome la fortuna di lui avversa  lì abbia dato col rumor della gente. Anzi che bene  si applicò ancora il nome a Giove padre; nondime»  no egli non è agevole da conoscersi» essendo «1 no» 1  me di Giove qual certa orazione, il quale in due par-  ti partendo, in parte si vagliamo d’nna, in parte del»  l’altra parte, chiamandola. alcuni altri, le quali per»  ti in uno poste, dimostrano la natura di Pio, il che  dee poter fare il nome massimamente; non avendo  noi, nè tutti gli altri niuna maggior cagione di viver,  che il prencipe, e re di tutti- Dunque avviene, che si  nomini bene in cotal guisa, essendo ‘Dio, per cui ca»  gioite il viver si ritrovi sempre in tutti i viventi. Es-  sendo poi uno il nome, è in dtfe parti partito, come  io dico. Questo poi essendo fìgliuol di Saturno clù  all’ improviso l'udisse penserebbe cosa insolente. M*  è ragionevole, ehesia prole Giove di certa grande in»  telligenza; perchè quello, che si dice non significa  fanciullo; ma purità, e incorruttibilità deliamente di  lui. Egli è poi, come si dice, figliuolo del cielo; con-  ciossiachè lo aspetto alle cose di sopra meritamente  sidee chiamare con questo nome, come all' alto ris-  guardi onde, o Ermogene, affermano coloro, che trat-  tano delle cose sublimi, cheavvegna una pura mente,  e a lui si ponga bene il nome del cielo. Or se io tenessi  a memoria la geneologia scritta da Esiodo: e mi ricor-  dassi quali egli introducesse i progenitori loro, in  niuu modo non cesserei di dimostrarti, che fossero scritti loro i nomi bene, finché facessi la provi» di  questa sapienza, se ella faccia alcun profitto, e alcu-  na cosa fornisca e se si dubiti, o nò, la quale io  non se certo, onde poco fa mi sia venuta cosi allo  ìmproviso. za»*— In vero, o Socrate, pare a me, che  t« alia similitudine di coloro, che sono da divinità  rapiti, mandi fuori oracoli. soc. O Ermogene, io  stimo, che. questa sapienza si cagionasse in me da Eu-  tifrone figliuolo di Panzio; poiché assiduo gli era in-  stami dal matutino, e li porgeva gli orecchi. Sicché  é manifesto, che egli pieno di Dio, non solamente  abbia ripieni di sapienza beota gli orecchi miei? ma  occupato t'animo ancora: io stimo veramente, che si  abbia a fare in cotal guisa. Che si vagliamo -oggi di  lei, e si investighi da noi il rimanente, che pertiene  a nomi: diman poi, se in ciò converremo, la manderemo fuori, e la mondaremo con diligenza, ricer-  cando alcun o sacerdote, ovver sofista, che sia buono  a purgar queste cose, bum.— O Socrate, io approvo  questo si, perchè molto volentieri udirei ciò, che ri-  mana d'iutorno a nomi. soc. Al tutto si dee fare   cosi. Dunque ove giudichi tu principalmente, clic si  abbia ad incominciare; poiché abbiamo prescritta  Certa legge per conoscere, se eziandio gli stessi nomi  ci attestino, che non siano stati fatti a «uso: ma con-  tengano alcuna invenzione? i nomi dunque degli  croi* C degli uomini peravventura ci inganaerebbono, essendo molti di questi posti secondo le denominazioni de’ maggiori, e spesse volte non conven-  gono in modo niuno, come abbiamo detto nel principio. Molti nomi poi pongono gli uomini quasi pel*  voto, come e altri molti Per la qual cosa io stimo,  che siffatti siano da tralasciarsi: ma è cosa verisimì-  le si, che noi ritroviamo i nomi posti bene, e naturali intorno «Ile cose, che son sempre, convenendosi  mollo, che qui si abbia a cercare diligentemente la  maniera del por i nomi: ma peravventura alcuni dì  loro sono stati posti ancora da certa potenza più di-  vina, che umana. ehm. 0 S ocrate, tn mi pari dì  parlar eccellentemente. soc.« Non è egli cosa con-  venevole lo iucominciar da Dei, considerando in qual  guisa sono stali chiamati i Dei bene con questo stes-  so nome? erm.-E verisimile. soc.-In vero cosi io so-  spetto; mi par certo, che i primi de’ Greci abbiano  pensato quei soli Dei, i quali eziandio sono stimati  in questi tempi da molti ,!«' barbari il sole, la luna,  la terra, le stelle, il cielo. Dunque quasi, che essi ve-  dessero tutte queste cose essere in un perpetuo corso,  da questa natura è avviso, che ic si abbiano nominate,*  poscia osservandone altri; le abbiano chiamate tutto  con lo stesso nome. Ciò, che io mi dico tiene egli al-  ®uua verisomigliauza, oppur nò? ««.-Appar molto,  soc  che si ha poscia ad investigare? ehm E ma-nifesto, che si dee cercare de’ demoni, e degli eroi,»  degli uomini. $oc.- De’ demoni? o Ermogene, conside-  ra veramente se ti è avviso, che io ti dica alcuna cosa intorno a ciò. che si vuole inferire il nome de*  demoni, ehm. DI pure. soc.  Sai tu dunque quali  si dica Esiodo, che siano i demoni? * km Non intendo. soc.— Nè eziandio, che egli dica essere stato de-  gli uomini primieramente il genere dell' oro? erm.  Solio sì. soc. Or dice d’intorno a lui, poiché la  sorte coprì questo genere, che altri si chiamano demoni puri, terrestri, ottimi fuggatori di mali, e guar-  diani di uomini mortali, erm. Che poi? soc.  Per  certo io stimo, che egli chiami genere d’ oro, non  fatto d’ oro: ma buono ed eccellente, e di ciò ne fo  la congettura, dicendo egli, che il genere nostro sia  del ferro, ehm.— Tu narri il vero, soc.— O non pensi  tu, se al presente alcun de’ nostri fosse buono, «he  egli si stimerebbe da Esiodo del genere dell'oro? erm.   E cosa verisimile, soc-  Or sono alcun' altra cosa i   buoni, che prudenti? erm Prudenti. soc Sì che   come io penso chiama quelli demoni principalmen-  te; perchè erano prudenti ed intelligenti, e pervenne  questo nome dalla nostra lingua antica. Perlaqualco-  sa ed egli, e qualunque altri poeti molti parlano be-  ne, che dicono, che poiché alcun buono si parte di  vita, prende in sorte grandissima dignità e premio, e  si fa demone secondo la denominazione della pru-  denza. Così mi affermò ancora, che sia ogni uomo pru-  dente, il qual è buono, e sia egli demonio, e vivendo, e morendo, e si chiami demone bene. erm.  Mi pare o Socrate, che io consento d’intorno a questo con esso loco, soc. Poi, SIGNIFICA egli? ciò non  è molto malagevole da considerarsi, essendo poco di*  stante il nome degli eroi, dimostrando che la gene-  razione loro sia derivata dall’ amore. erm. — In che  modo dì tu questo? soc.— O non sai tu, che sono se-,  midei gli eroi? erm. Che dunque? soc.  In vero  tutti sono generali, avendo o Dei portato amore a  donna mortale, o mortali a Dea, oltre ciò se consi-  dererai queste secondo la vecchia lingua degli Ate-  niesi il saprai maggiormente; perciocché ti dichiare-  rà che si è mutato nn tantino per causa del nome,  onde so«o fatti gli eroi, o che egli significa gli eroi,  o perchè furono savi, e retori, e facondi, e al dispu-  tare acconci, essendo bastevoli allo interrogare. Sicché  quello, che poco fa noi dicevamo, dicendosi gli eroi  nella vece attica pare, che gli eroi siano atctmr relo-  ri, e che interrogano e amano; onde il genere degli  eroi si fa genere di retori e de' sofisti: ciò poi non è  malagevole da intendersi: ma più oscuro quello, per  qual cagione Si chiamino gli uomini gf$pcTrol’ P uo *  tu dire il perchè? ersi. Uomo dabbene dove avrei  io questo? anzi se io potessi ritrovare alcuna cosa,  uon 1’ affermerei, pensando, che tu meglio di me sa-  resti per ritrovarla, soc. — Egli mi è avviso, che tu ti  confidi nella ispirazione di Eutifrone. erm. Senza  dubbio, soc. E meritamente tu ti confidi; percioc-  ché troppo bellamente ini pare ora di aver pensato,  ed è pericolo (se io non mi guardassi) che no» pares-    ® e °gg>> c h® io fossi divenuto piti saggio, che non  si converrebbe. Or non considera ciò, che io dico;  perciocché conviene primieramente, che si consideri  questo intorno a nomi, che spesse volte aggiugniamo  lettere, e ne leviamo, nominandole fuori della nostra  inleuziope, e mutiamo le acutezze, come quando dicia-  roo Alì <p'lAo$. Da questo nome, affine egli ci servi  per lo verbo, caviamo poscia fuori l’uno I, e per la  sillaba del mezzo acuta pronunciamo la grave, in alcuni altri framettendo le lettere, e altre più gravi pro-  ferendone. erm — Tu riferisci il vero. soc. -.Questo   come a me pare adivietie ancora al nome degli uo-  mini; essendosi il nome formalo dal verbo, fuori,  che uno A, e fatto grave nel fine. srm.  Come di  tu questo? soc. — Cosi. Egli significa questo nome  o’ ivoSt cioè di nomo; perchè le'altre fiere non con-  siderano, nè osservano, nè contemplano alcuna delle  cose, che veggono: ma l’uomo incontinente, che vede  (e questo significa 1’ oTTùiTTs) e vede, e contempla, e  considera ciò, che ha veduto. Quindi meritamente l’  uomo solo di tutti gli animali è chiamato, consideran-  do ciò che vide. Che da te poscia addimanderò io?  quello peravyeutura, che io udirei volentieri? erm.   — Si. soc. — Dunque mi è avviso, che incontinente   succeda alle cose antedette la considerazione dell’ a-  nirua e il corpo alcuna cosa dell’ uomo. erm. In   che modo nò? soc.  Ora sforziamoci di distinguere  ancora questo come le antedette, pensi tu, che iunanzi si. ql>bia a cercare dell’ Miima, come sia ella chia-  mala bene? poscia del corpo? erm. In vero si. soci  Dunque acciò io subitamente esprima quello,' che  ora mi si offerisce primieramente, io : stimo che Colo-i  ro, che' cosi chiamarono l’anima abbiano ciò pensato  principalmente, che questa quante Tolte è col corpo  si è-, cagione, che egli viva, dandoli la virtù del ri-  spirare, e rifrigerandolo; e come prima lo abhando-t  nera quello, che il refrigera, eglisi scioglie, e Sene  muore, onde pare, che 1’ abbiamo chiamata, quasi ri-  frigerante: rt»à se, ti aggrada fermati alquanto. Mi par  divedere alcuna cosa più di questa probabile presso  coloro, : i quali seguitano Eotifrooe; perciocché sprez-  zerebbono essi questa, come io penso, e la dimostrereb-  bono certa cosa molesta: ma vedi, se ciò ti sia per  dover piacere, erm. Dì pure, soc. Qual* alt+a cosa  pare a te, che contegno il corpo, e il guidi, e faccia,  che egli v;va, e vadi intorno* che 1? anima? eatu.ij-'  JNient’ altro? soc.  Ma che? non credi tu ad A nassa-'  gpra, che la natura di tutte le cose sia lo inieMetto,-  e l’anima che l’adorna e contiene?.  erm.  Così si.'  soc.  Dunque ben fia, che a quella potenza si applichi  questo nome (pvvgyjnj, cioè contenente la naturai ma  si può chiamare ancora ornatamente. ' erm. Così è  ad ogni modo, e mi pare, che questo . sia di» quello'  più artificioso- soc. E verameute, anzi par. certo co-  sa ridicolosa, se si nominasse, come le fan posto.: brw”  Or, che dobbiamo dir api ciò, che segue? soc. Tu dì del corpo? brm.-Sì. soc.  Questo a me pa-  re in molti modi, se alcun declinasse un tantino.  Perciò, che alcuni dicono, che egli sia all’anima se-  polcro, quasi ella sia sepellita in questo tempo pre*  sente, e anco perchè 1’ anima col messo del corpo  significa qualunque cose può significare per questa ca«  gione è chiamato ancora bene. Nondimeno mi Rav-  viso, che gli settatori di Orfeo abbiano posto questo  nome principalmente a questo fine; perchè l'anima iti  questo corpo dia la pena de’ delitti, e sia chiusa iti  questa siepe, e trincea affine servi imagine di prigio«  ne. Per la qual cosa vogliono, che sia questo cosi;  come è chiamato un chiostro per custodir l’ anima  fin, che purghi qualunque debiti; nè pensano, che vi  si abbia a tralasciar pure alcuna lettera, ehm  Or, O  Socrate, mi pare, che d’j intorno a questo si sia detto  bjBstevolmetite: ma de’ nomi de* Dei potressimo forse  noi considerare, come si è fatto di Giove, secondo  qual retta invenzione fossero posti i nomi loro? soc.   Per Giove sì, o Ermogónè; se noi avessimo intellet-  to sarebbe una maniera buonissima il confessare, che  iton conosciamo niuna cosa d’ intorno a' Dei, dico  nè d’ intorno ad essi, nè a’ nomi loro, co’ quali si  chiamano; manifesto essendo, che essi si chiamino coi  veri nomi: ma la seconda maniera della retta inten-  zione si è, che così come ordina la legge, che si pre-i  ghino i Dei ne’ voli comunque aggrada loro di esser  chiamati; così ancora noi li chiamiamo, quasi da noi non si conosca niun' altra cosa. Perchè si è deterrai. nato bène, come mi pare. Per la qual cosa, se ti pia-  ce, consideriamo quasi avendo detto innanzi a Dei,  che da' noi non sia per conoscersi niuna cosa d’ intorno a loro? ‘non confidandosi noi di esser possenti:  ma piò tosto- d' intorno agli uomini oon che opiniti-  ne principalmente intorno a Dei disposti posero lóro   i nomi; essendo .ciò lunge da riprensione. fi erm. O '   Socrate; egli è avviso, che tu parli modestamente, c  facciasi da noi in cotal guisa. .Dunque incominciamo  .alcuqg ,co$a da Veste. secondo le legge.- bum. —Cosi  veramente conviene, spc.a-t, Q ual cosa porrebbe dir  alcuno, che considerasse chi la si chiamò Veste? erm.   -Io pon penso per Giove, «bis ciò siaagevole do ri-  provarsi. som O firnwgene buono. In vero par bene,  che i. prinp autori , de’, nomi non siano «tati certi grò*,  solqni; ma investigatori sottili di cose Sublimi. 11»  Perchè? sac Perchè , mi pare cheil por de' sto-  mi sia stato di . certi uomini siffatti, *' se d leu n consi-  derasse i nomi forestieri^; non tnanbo ritroverebbe  ciò, che qualunque significasse, come eziandio in qae-  sto, il qual noi chiamiamo essenza, alcuni sono,.' che  il chiamano altri di nuovo. Primieramente secondo   l’uno di questi nomi,, ,non ^ ovviso^ che si fofamrai   forte lontano dalia ragione la essenza delle Icose, e  perchè noi chiamiamo ciò, che è partecipe dS essenza;  per questo si potrebbe nominar Itene; perchè parte,  che ancora noi anticamente,, chiamavamo già  <   >?rÌ* o6(rf«fc- Appreso »e «leu* considerali* isàcrifieà,  stimerebbe, che; c^»l cqn|i derisero doloro, ( «bfc .li, &  posero;, perciocché è vcrisùniU iunanM-4-iWtt». • i-, I>«i^   che facessero i sacrifici a Veste chi denominarono la  essenza di tutte le cose.- ma quanti di;, nuovo ,la.fthia-  marono ùaiOCV, stimarono quasi di mlovo secondo E-  ratlito, che sempre scorressero tutte le cose, e Piente  •Don si fermasse. Danqoe la cagione, 'e la origine lo-  ro fosse, chi le spingesse. Sicché meritamente si chia-  mi la cagione, che spinge. D’ intorno 1 0 questi fin qui  siane detto in .colai guisa, come da coloro, Che' 'non  intendono piente. Dopo Veste con-vien, Che si Iconst-  deri di Rea e di Saturno,* tuttoché de! nome di Sa-  turno abbiamo detto di sopras-hiB forse, chef io noti  died nulla. EHM.-Perchè, o Socraté? soc.— O uomo  dabbene, ho considerato certo esime di' sapienzd.  erm. Quale é eglit socv-Cosd'dS dirsi ridfirolosa niol-  -U>, fiondimene '«Urn®, che tenga ‘àfeuno probabil cosà.  k*m.> Q uale n’-è dessa? soc. Mi pàrvedere; che E-  • radilo già. molto nani chiaramente aldune cose sag-  gio, che si fecero nel tempo di Saturno e dì Rea, fe  quali eziandio si raccontavano da Omero, ehm. Come di tu cotestoì soc.  Eradito dice, che scorrano  tuttéalacose, e, non si fermi nulla; e assomigliandogli  -.enti al flusso d’ un- fiume, dice non esser possibile,  che nei medesimo, fiume tu possa entrar due volte.  ehm.— Q uesto A vero. soc. J— O ti par egli, che colui  da praclito dissentisca, il quale pose Rea e Saturno  Si <   IVa progenitori degli altri Dei? dimmi, pensi tn, che  egli abbia posto temerariamente i nomi ad ambi lorò  delle flussioni; come ancora Omero dice, che l’Oceano  sia la generaeione de' Dei, e la madre Tele; e il me-  desimo, come pare, volle ancora Esiodo. Oltre ciò db  ce Orfeo, che l’Oceano primo abbia dato incominciai  mento alle nozzi; che corrono bene, avendosi accom-  pagnato con Tele sua sorella. Dunque considera come  si confacciano insieme queste cose, e tendano tulli al-  la opinione di Eraclito, erm  O Socrate* pare a me  che tu dica alcuna cosai ma non intendo bastevolmente  ciò, che inferir si voglia il nomedi Tele, soc. E nondimeno significa quasi questo stesso, che sia un nome  ricondito di fonte; perciocché quello, che corre, e sì  spinge è un simulacro di fonte, e d’ arnbidue questi  nomi è composto il nome erm. O Socrate, questo è bellissimo, soc.— In che modo nò? ina che   poscia? di Giove abbiamo detto veramente, ehm.   Così è. soc. Or diciamo de’ fratelli di lui Nettuno,  e di Plutone e dell'altro nome, col quale è chiamato'  da loro. erm.  Al tutto, soc. Egli è avviso, che Net-  tuno da chi primieramente il nominò, sia perciò sta.  to chiamato* Troa-g/ofiàlt, perchè mentre egli cambiava,   «1 ritenne la natura del mare, uè permise, che se ue  andasse più oltre: ma se li fe quasi legame a piedi.  Sicché chiamò Dio 7T0<retc/là>lùX, il prencipe di questa   virtù, come TTOff/c/lefffiolf OVTK, cioè legame di piedi:   ma l’E vi fu trasmesso forse per ornamento, ftla per-  »M   avventura non si vuote egli inferir quatto.- ma in vé-  ce di E si diceva primieramente «on due LL come se   dicesse fa ttoAAc bÌ</IÓto<tTov$*ov, ci °è* che qua»  si sia Dio coguitore di molte cose. Peravveotnra dal  ctteu, cioè dal movere fu nominato èa-g/ar, cioè mo.  venie, cui si aggiunse poi il P e il OeilD. Or il no»  me di Plutone fu nominato secondo il compartimento  delle ricchezze, cavandosi etle dalle viscere delta terra. Il nome poi ac/|»J, pare, chela moltitudine gliele  abbia dato quasi t ò AeuAtSt c ' 0 ^ cosa invisibile, e  di questo nome avendo onore il chiami Plutone. , eia.   Or in che modo pare a te, o Socrate? soc.  A me  pare, che gli uomini in molti modi abbiano errato  intorno alla potenza di questo Dio, e lo abbiano avu-  to sempre in orrore, non convenendosi punto, teraen •  dolo chiunque; perchè morto una fiata sta sempre qui-  vi; e ancora, perchè l'anima del corpo spogliata cola  se ne vi ella. Alla perfine tutte queste cose, e il re-  gno, e il nome di questo Dio mi pare, ebe tendano  al medesimo, enti.  In che modo? soc. Ti dirò ciò,  che mi pare. Perchè dimmi, qual di questi due è le-  game pili forte al tenere in qualsivoglia luogo qualunque animale, la necessiti forse, o il desiderio?  erm. Di gran lunga, o Socrate, avanza il desiderio,  soc.  Pensi tu dunque, che molti non fuggirebbono  lo inferno; se egli non legasse coloro, che quivi di-  scendono con un fortissimo legame? srm. C hiaro è.  soc. Sì che li lega, come pare, con certo desiderio,  non con neoesiità, se pure li annoda co* legsmh  fortissimo, erm. Apparisce, soc. Sicché di: n«o?0  sono molli i desideri? «a*i. -Molti si. • soó. -Dunque   li annoda colla grandissima cupidità, se pur li dee  contenere col grandissimo legame. <rm. Per certo,  soc. Or vi è «gl* alcuna cupidità maggiore* che quan-  do alcun con altrui accompagnatosi, pensi di dovere  esser uomo migliore per causo di l’uJP «aat.  O Socrate, iti ninn modo per Giove, soc. Forte per  questa cagione hassi a dire, o Ermogene, che nien di  colà se ne voglia' ritornar qni, nè iè stesse sirene,  anzi e esse, e gli altri tutti siano addolciti; cosi  belle parole sa formar lo inferno, eéttrt apparisce, ed  è questo Dio, come testifica questo parlare Sodala per-  fetto; e a colóro apporta gran benefidi, che abitano  presso lui, e dà loro cotanti beni; siffattamente i egli  di ricchezze abbondante in qael luogo, onde ancora  di quà ebbe il nome di Piatone, o non ti pere officio  di filosofo il non volersi accostare agli nomini, che  hanno i corpii ma il riceverli allora finalmente, quan-  do l’animo loro é purgato da tutti i mali, e da de-  sideri, che sono d’ intorno al corpo? per certo pensò  questo Dio di dover tener in questa maniera gli ani-  mi, se li legasse col desiderio della virtìit ma chi sono infetti da stupore e da pazzia di corpo, nè il pa-  dre Saturno sarebbe possente di raffrenarli con quei  suoi legami, e di tenerli seco. efcM.-O Socrate, pa-  re, che tu parli alcuna cosa. soc. — O Ermogene, è  forte lontano, che il nome sia quali imminato invisi-  bile, ansi ai cava dal conoscer tutte le cose belle.  Per la qual cosa -da ciò è questo Dio chiamato  idei facitore de’ nomi. erm. — Stiano lé cose cosi. Che  diciamo noi pili oltre del nome di Cerere, di Giunone, di ’ Apolline, e di Minerva, ’e di Vulcano, e di  Marte, e del rimanente de’ Dei? soc. Cerere si chiama  Jt«T« -rnvc/lótr/l! rriff èj\a>if(is dal dopare gli alimenti,  crtte/loti<r<X d$ (isp, c '°* quella, che dà quasi, madrq:  ma Spx, Cioè Giunone, come gp«r*TlC>. c ‘°,è certa  amata, così come si racconta, che Giove amata l’ebbe.  Ancora risguardqqdo all’alto peravveulura chi ordini)  questo nome, denomino l’aere e parlò oscurar   mente, ponendo ci principio nel fine, il che ti si farà  manifesto, se spesso pronuncierai quel nome di Pro-  serpina, ed enroAAtav temono alcuni 'per quello di no-  minare, che è ignota: loro la retta invenzione de’ np;  mi: perciocché mutando considerano la <pgp(j-£<pótfW,  e ciò loro par cosa grave. Ciò poi dimostrai c h®  Dea sia sapienza. In vero la sapienza fìa quella, che  tocca, e palpa le cose, che scorrono, e lepuòcopse;  guire. Per la qual cosa Qepé'lTCUpX, questa Dea meri-  tamente si chiamerebbe per la sapienza, toccamente  di quello, che scorre, o alcuna tal cosa. E però lo  inferno, essendo sapiente è congiunto con lei per es-  ser. ella siffatta. Ma ora schivano questo nome, stiman-  do più la grazia del proferimento, chq la verità: in  modo, che la nominino (pepp&QXTyxi- M medesime    Digitized by Google    >3U   ancora adìviene intorno al nome dì A polline, avendo  molti in orrore questo nome, come porti seco alcuna  terrihil cosa, o no il conosci tu? ehm.— Il Conosco  ai, e tu di il vero. soc. -Ma ciò, come mi è avviso,  è posto benissimo rispetto alla potenea di Dio. erm.   In che modo? soc. — Sforzerommi di esprimere il   mio parere, in vero non si avrebbe possuto ritrovare  un’ altro nome solo più convenevole -alle quattro po-  tenze, di Dio, di maniera, che le tenesse tutte, e in  un certo modo dichiarasse la musica, il vaticinio, la   1 I T u ' ' ,   medicina, e 1’ arte del saettare. Or di, per-   chè mi è avviso, chp,tu dica un nome strano,, soc. —  Anzi egli è conveuevolmente addattato; essendo Dio  musico; perciocché la purgagioue primieramente, e  le mondazioni, che si fanno colla medicina, e col  vaticinio; ancora le cose, che si torniscono col-  le medicine ’ de’ medici, e gli incauti degli indovi-  ni, C le purificazioni, i lavacri, egli spargimenti pos-  sono questo solo, cioè di. rendere 1’ uomo puro, e  del corpo e deU’aniina; non è egli cosi? erm. Cosi  ad ogni modo, soc. Dunque sarà colui il Dio, il qual  purga e lava chi libera da mali siffatti, ehm. Senza  dubbio, soc  Per la qual cosa in quanto lava, e libera come medico di tali inali; è meritamente chiamato liberatore. Ma secondo la indovinazione, e il vero, e  il semplice, essendo una stessa cosa il possiamo ancora nominar bene secondo il costume de’ Tessali. Per   l   certo tutti costoro chiamauo questo Dio , semplice: ma perehè sempre imbroca il sogno con l'arte del saettare,  sempre percuote-, si può dire perpetuo percotente. Se-  condo la musica poi, si ha a pensar di costui come  di chi si dice, che segue alcuno; e della moglie, perchè 1 ’ A dimostra, come in altri molti luoghi il con-  giuogimento, e qui ancora significa 1 * accompagnamen-  to delle conversazione, e intorno o cieli, i quali chia-  miamo «7 TÓAovff, « SIGNIFICA eziandio 1 * armonia, che  è nel canto, la qual ai chiama concordanza. Perchè  d’intorno a queste cose, come dicono i periti di mn-  •sica e di astronomia, si rivoglie egli con Certa armonia. Questo Dio poi è soprastante all’armonia volgendo insieme tutte queste cose, e appresso agli uomini, e~a'ppresso  V Dei. Dunque così come T J y o^oa/Afii/Sor, Kffì opó-  JtO<T«V, 0, °® va insieme, e chi giace nello stesso let-  to abbiamo chiamato «kuAovSov, X ai SttOITtY, ca-  blando l’ O nell’ A, così quello abbiamo chiamato Apollo, il quale era o’fXOTTCÀàv, frammesso l’altro L: perchè sarebbe stato equivoco col duro nome. Il che  ancora a questi tempi avendo sospettato alcuni per  quello che non considerano bene la virtù del nome,  così il temono, come significasse certa corruzione. Ma  daddovero questo nome abbraccia- tutte le virtù di  questo Dio, come di sopra detto abbiamo; conciossia,  che il significa semplice, perpetuo, ‘ percotente, lavatore, e insieme conversante. Il nome poi delle muse della musica i cavato da quello ebe si dice  h (   c '°® cercare i come è avviso, e co* la inve-  stigazione, e con lo studio della sapienza. Latona si  dice dall* mansnetndine dèlia Dea, perchè sia pronta;  ed esposta, e presta al dar ciò, che chiunque ricerca.  Ma peravventura, come chiamano i peregrini perchè  molti nominano il qual nome pare che lì sia   stato dato, perchè non abbia ella la mente rigida: ma,  mite, perciò si denomini qiwaì Aitò» ì$6$,   cioè costume piacevole e mite $prt[ìl(, cioè Diana  per quello che s ‘ a quasi integra, e modesta   per lo desiderio della virginità, ancora lo institutore  del nome la chiamò peravventura quasi òlfSTÌi iffTO p«tj  cioè chi conosce virtù eziandio è detta forse SpTeyttS,  quasi £; TÓV «fyoTOV TOt OtVcApài «’»7V-   I ctiKi, cioè che ella abbia avuto' quasi in odio il congiungimento dell’uomo colla donna essendosi ordina-  to il nome,'o per alcuna di queste 1 cose, 0 per tutte  di siffatta sorte, erm. Ma che Airfrtfd'O? g'(pp o</IÌTt   cioè di Dioniso e Venerei soc.  O figlinolo di Iponi-  co, tu addimandi gran cose. Or è doppia la maniera  de* nomi imposti a questi Dei, 1* una seria, 1* altra  giocosa. Dunque da certi nitri ricerca fa seria: ma la  giocosa niuna cosa vieta, che non si racconti: percioc-  ché sono ancora i Dei de’ giuochi amatori, e sarò uno  Al'orvtrog i J\l<Aoùs to'» ODO», cioè Dioniso mini-  atratore divino, quasi cognominato' JU<A\jtvv<roS, nel giuoco. Ma ti può meritamente chiamar vino; perché  faccia, che molti, i quali beono essendo alienati di  mente, pensino di avere intelletto qh al&S^xl VOÙV   »v«<» tò» TTt*óv3fi>v roti : ttoAAoÙs,   d’onde meritamente si può chiamar obi pensa avere  intelletto. D’ intorno a Venere non è cosa degna, che  si contradica ad Esiodo: ma si conceda, che si chiami  &QfO<AiTH TSt T«V «iJ>poù 7 évetrw, ci°é per la  generazione della spama. MM.-Or, o Socrate, non  trapasserai sotto silenzio Minerva, e Vulcano, e Marte  essendo ateniese, soc. Non conviene itKolcun mo-  do. ehm. Per certo nò. soc.  Egli non è malagevo-  le da dirsi, perché sia posto l’uno de’ nomi di lei.  Kit». Quale? soc. Per certo noi là chiamiamo Palla-  de. ehm. Si certo. sac^-Or istimando noi, che 1»  sia posto questo nome dal saltar fra le arme, lo sti-  meremo bene, come io penso, perciocché lo inalzar  se stesso, o altra cosa in alto, o da terra, o colle ma-  ni il diciamo TróAAetif, e thxAAe adii, Xfid àpX B ^*. vi v   XK< c ‘°® cr °ll are » e crollarsi, e saltare, e   patire il salto, ehm. Così è. soc Dunque in colai  guisa la chiamano Pallade. ehm. E meritamente; ma  1’ altro suo nome, in, che modo lo di tu. soc. Cer-  chi tu tÒ . À9NV&? ( ehm. Questo stesso, soc. Questo è piu difficile, o amico, pare che gli antichi sti-  mino £$ come costoro, che a questi tempi sona   dotti d’intorno ad Omero. Perciocché di costoro malti interpretando il poeta dicono, che òt$tlVoiV «-  TOV yovv, Kx\ JÌIXVOIXV TTSTTOIHkÌvÓCI, abbia fatto  la stessa mente e il discorso, e chi fece i nomi pare,  che abbia considerato alcuna cosa tale d* intorno a  lei: anzi ancora dall’ alto innalzandola, la introduce  come intelligenza di Dio, qnasi dica, che questa sìa  5eovÓo, cioè quella, che intende Dio, valendosi dell*  X in luogo del y secondo certo rito forestiero; levan-  done appresso lo j e il ma peravventura nè a que-    sto modo: ma come, che ella diversamente dagli altri  intenda le cose divine la chiamò ^eoto'nif, cioè inten-  dente le cose diyine. Uè fìa fuori di proposito se di.  remo, che egli 1’ abbia voluta chiamare rf$oVÓtf  quasi essa sia intelligeuza d’ intorno a costumi. Egli  dopo, o coloro ancora, che vennero poscia come era  avviso tirandola nel meglio, come credettero la de-  nominarono Atene, ehm. Che di Yulcauo, il quale è  nominato ÌQxHnotf in che modo dì tu? soc.— Ocer-  ehi tu il generoso intelligente di lume? ehm.  Cosi  mi e avviso, soc. Costui come può esser manifesto   a ciascuno è tpoÙffT Off, e si attribuisse lo onde è   * . t . v i   detto £ Qxi$TQS- ehm.— Apparisce se eziandio non   ti paresse pra altrimenti, soc.y- Ma acciò non mi paia  cosi addimanda di Marte. ERM.-Addimand,o. soq,  —Se li piace KfltTOt TP Xf>ps, y, cioè Alarle, si dice se-  coudo il maschio è «MpetOtfjiCioè forte. Più «lire sft la vorrai, che egli aia stato chiamato per certa aspra  natura, dura, e invita, e immutabile, la qual si chiama  ttppXTOI, questo ad ogni modo convenirli al Dio guer-  riero. xrm.  A d ogni modo. soc. Deh per li Dei  lasciamo oggimai i Dei, temendo io di disputar di loro: ma proponimi qualunque altre cose tu vuoi, af-  fine tu conosca quali siano i cavalli di Eutifrone.  un. — Farollo addiinandandoti ancora una cosa di  Mercurio poiché Cratilo nega, che io sia Ermogene,  sicché tentiamo di considerar ciò che significhi éppw$,  cioè il nome di Mercurio: affine conosciamo, se egli  dica alcuna cosa. soc.  E nondimeno g’pgyg, cioè Mer-  curio pare che sia intorno al sermone in quanto è  i/tfmete, Iteti sryeAof, noi) tò nhu'juKÓne, k«ì  to xTxrnXoi s’r ih * <?» x*ì tò ciipopxaTinòv,   cioè interprete e nuncio, e ha nel parlare lo ingannar  furtivamente, e versa nella piazza. Tutto questo tratta-  to versa intorno alla virth del parlare. Per certo come  abbiamo detto dianzi yò etpeil, ® usanza di parlare.*  ma spesse volte dice Omero di costui e’p scorro ,  cioè machinò egli. Dunque d’ ambidue si compone il  nome di questo Dio, si di quello, che è parlare, sì di  ciò cbe è il ntachinare e 1’ investigar le cose da doversi dire, così come 1’ autor del nome ci ordinasse.  O nomini, è cosa decente, che voi chiamiate quel Dio,  il quale ha machinalo il parlare: ma noi al presente  it chiamiamo gpjiìy, pensando di abbellire il nome: anzi, e ipi$ pare che sia chiamata da sip$u per quello,  che era messaggera, erm. Per Giove pare, che Cratilo abbia negato bene, che io non sia Ermogene, es-  sendo io grossolano alla invenzione del parlare, soc.  t- 0 amico, egli è ancora verisimile, che ir fax figliuol  di Mercurio. sia di due forme, erm. - In che modo?  soc. Tu sai, che il sermone significa il tutto, e at-  tornia, e versa sempre, ed è doppio, cioè, vero e fal-  so. erm. In vero sì. soc. — Dunque la verità di lui  è cosa piana e divina: e di sopra abita fra Dei: ma la  falsità al basso fra la turba degli uomini, ed è aspra  e tragica: perciocché qui si ritrovano molte favole e  falsità intorno la vita tragica, erm.  Così è ad ogni  modo, soc.— Meritamente adunque egli, che significa  il tutto, e sempre versa, sarà di due forme figliuolo  di Mercurio nelle parti di sopra molle, e delicato, nel-  le inferiori aspro, e caprino, ed è pane, o il Sermo-  ne, fratello di sermone, poi che è figliuolo di Mercu*  /rio. Non è poi maraviglia che il fratello sia al fratello  somigliante. Alla perfine, o beato, dipartiamoci da’ Dei,  il che io poco fa diceva, erm   O Socrate da questi  tali sì, se il piace a te: ma quale impedimento ti tie-  ne, che non racconti di questi altri? cioè del sole,  della luna, delle stelle, della terra, del cielo, dell'ae-  re, del fuoco, dell’acqua, della stagione, e dell’anno?  soc.  Sono molte, e grandi le cose, che tu mi comandi; non per lauto dovendoti esser ciò grato, ti ubidirò.   (   ikm  Per cerio tu mi Tarai cola graia. »oc.  Che  chiedi tu prima? o vuoi tu forse, come hai detto, che  discorriamo dei soie. erm. Invero si, soc. Questo  è avviso, che potrebbe esser più chiaro, se alcun si  valesse del nome Dorico, chiamandolo i Dorici et\Ì0i  ed in cotal guisa è chiamato secondo xktÌ TO à\i-  £s/V e li TOCvyópoòs XìlSp ÓttoIs, C1 °è per quello, che  riduce gli uomini insieme quando nasce : ancora  Kfltl "TÙ TTepì tW «et EtAitv, per quello ched’  intorno alla terra si rivoglie sempre. Piu oltre perchè  varia col suo giro le cose, che nascono nella terra, il  variar poi, è lo stesso, erm.  Ma che si dee dire  d» <reÀÌvt)J, della luna? soc. Pare, che questo  nome premi Anassagora, erm. Perchè? soc. Perchè  dimostro alcuna cosa vecchia, il che egli poco fa di»  ceva traendo la luna il lume dal sole, erm. In che  modo? soc.— Il c-e’A CCS, P er cer to, e la luce è lo stesso*  erri. E’ si. soc. Questo lume perpetuamente è d’ in-  torno alla luna y£ov, hx'i BVVOf, cioè nuovo e vecchio,  se pure gli settatori di Anassagora parlano il vero,  conciossia che attorniandola di continuo la rinova: ma  vecchio è egli il lume del mese passalo? brm. Veramente. soc. Molti chiamano la luna o-sAxtCclxt,   erm. Per certo sì. soc Ma perchè tiene sempre il   lume nuovo, e il vecchio, meritamente si dovrebbe  chiamare <rgAA*eyveo«6t«. Ora poi spezzato il vocabolo si chiama <rgA<m tot. tMt.— O Socrate, questo  nome è ditirambico: ma come interpreti tu T< j r  Cioè il mese, e T * forpx, cioè le stetle? soc.-ll  mese si chiamerebbe bene yg/j, T0 ^ ynuoìfBxu  cioè dal sminuirsi: ma pare, che le stelle abbiano la  denominazione di òffTfflnr?S , cioè del folgore :  «TTfMnri poi, perchè a se rivoglie gli occhi si do-  vrebbe dire aTpoì’Jtì: ma ora con vocabolo più ao-  concio si chiama ònTTpentì. erm.— Onde ne cava.il  nome "jrSp, nxì TÒ ic/l&p, cioè il fuoco e l’acqua?  •oc. Dubito veramente del fuoco, e corre rischio, o  che la musa di Eutifrone mi abbia abbandonato, ossia  questo cosa difficilissima. Dunque considera qual «na-  chinazione io introduca, d' intorno a tutte siffatte co-  se, nelle quali io dubito, erm.— Quale? soc.— Dirpl?  loti. Perchè rispondimi, potresti tu dirmi, perchè si  chiami fuoco, erm. Per Giove nò. soc. Considera  ciò, che io sospetti d'intorno a questo: in vero io sti-  mo, che molti Greci abbiano avuto molti nomi da'  Barbari, massimamente coloro, che sono a* Barbari  •oggetti, erm. A che queste cose? soc.  Se alcun  cercasse secondo la voce greca la retta imposizione  di questi, non secondo quella, dalla quale ha origine  il nome, sai tu com’ egli dubiterebbe? erm. Verisi-  1 mente si. soc  Sicché vedi che questo nome * 7 ^,  non sia alcun nome barbaro, non essendo agevole lo   accommodarlo alla lingua greca, e manifesto è, che   declinando alquanto, i Frigi lo nominino incoiai guisa,   TÒ vJìtof K«ì T«£ KÓKX? KtÒ »   cioè l’acqua, ei cani, e altri molti nomi. ehm.   Questo sì è vero, soc.- Dunque non fa raistieri, che  si usi violenza a quelle cose, poiché d’ intorno ad  esse non potrebbe alcuno dirne niente. Sicché in que-  sto modo io rifiuto quei nomi di fuoco, e d’acqua: ma  lo c('ip, cioè 1* oere è cosl dell °» 0 Errao B ene » l ,erchè   crfpsi T« «TTÒ T*S ci0è S0lleva Ci6 ’ Cbe è d ’ ia *  torno alla terra, o perché scorre sempre, o perché si  genera lo spirito col flusso di lui, conciossiachè chia-  mano » poeti tHrxs, gli «Pi» - '!'Dunque si dice aere  peravventura, quasi *7TI(ev(iflCTÓppoi/V , «STOppov» ,  cioè corso di spirito. Ma del cci$epeC >° sospetto in  questa tal guisa, perchè sfóttei, cioè sempre scorre,  scorrendo intorno all* aria, perciò meritamente si può  chiamar fatfripo 7* <Aa cioè la terra maggiormente significarebbe ciò che si vuole se alcun la nominasse  7«?«V, perchè •ysvl/VITeipflC S1 P u ° cbiamar bene »  cioè genitrice, come dice Omero. Conciossiachè ciò  che si dice yeyiwi, diss’egli 7S76V?<r3*i, c,oè l ’  esser fatto, ehm. — Si stiano le cose cosl. soc.  Che  ci rimane dopo questo? erm. — Le stagioni, e l’anno,  o Socrate, soc.— upxi, cioè le stagioni, sono da dirsi colla voce vecchia, e Ateniese, se tu vuoi conoscer  quello, che è convenevole, essendo elle ore .upctt, c '°è  perchè determinano il verno, e là state, e i venti, e  i tempi, per li fruiti, che nascono dalla terra, e de-  terminando esse, meritamente ore si chiameranno.  ilici t/TOff po«* e sTO?> cioè l’anno pare che sia lo  atesso; perciocché quel che a vicenda manda in luce  qualunque cose nascono e si fanno, e le essamina ia  se stesso, e discerne è l’anno, e come di sopra di-  cemmo, che ’l nome di Giove era segato in due, e si  chiamava d’alcuni « d’altri a/# cosi ancora chia-  mano qui l’anno altri evi flfUTÒy, perchè in se stesso,   . f ^   altri ajoS, perchè essaraina. Ma ia ragione intera è,  che chi .esamina se stesso, si chiami ia due maniere  essendo uno dj modo che da un parlar solo si fac-  ciano dpepomi,eVl «t/TÒ», e bT-OSì cioè anno, ehm   O Socrate, tu te ne vai luoge oggimai. soc.-In vero mi  è avviso di far progresso nella sapienza, ebm. Ansi  si. soc.  Per avventura il concederai maggiormente,  xaw.— Hor dopo questa specie Volentieri contemplerei,  in che rpodo questi nomi eccellenti di virili siano po-  sti bene, come (ppóvn<ris, cioè la prudenza anwdcns,  la intelligenza, JitKCltOffvvì 1* giusti®!», e il rimanente  di queste sorte, soc.— O amico, tu susciti una sorte  di nomi da non dispreizarsi; tua nondimeno, poiché  mi sono vestito della pelle del Icope, noa conviene,    M<5 ( .   che io mi spaventi, anzi consideri, come è avviso, i no*  mi della prudenza, della intelligenza, della opinione,   della scienza, e delle altre cose siffatte. EnM. -Non   dobbiamo veramente cessar innanzi in modo veruno,  soc.— Nondimeno per cane non mi è avviso di far mala  congettura d’intorno a quello, che al presente io ho  considerato, cioè che questi antichi autori di nomi,  come adivien ancora a molti de’ nostri savi, siano caduti fra gli altri nella vertigine dell’intelletto per la  frequente rivoluzione nell’iuvestigar, come se ne stiano  gli enti, e poscia pari loro, che le cose vadino intorno,  c si portino da ogni modo. La cagiou poi di questa  opinione stiman essi non la passione interna, che è  presso loro: ma, che esse se ne stiano così per na*  tura, e in loro non vi sia niente di fermo, e istabi-  le; ma scorrino tutte, e siano portate, essendo ripiene  sempre d’ogni portamento, e generazione, e ciò mi  dico considerando tutti i nomi, che ora si son detti,  kbm — I n che modo di tu, o Socrate? non hai consi*  derato per avventura essersi posti i nomi pòco fa dct*  ti alle cose, che quasi si portano, e fluiscano, e si  facciano, erm.  Non li appresi bastevolmente.' soc   Primierameute ciò che abbiamo riferito dinanzi ap-  partiene ad alcuna cosa di questa sorte, ehm.  Quale  è cotesto? soc.— E £ <ppóvw<r/J, c *°è prudenza, es-  sendo ella (popi? xotf poi? vÓltO'lt?, c *°è intelligenza di  portamento, e di flusso. Ancora si potrebbe imaginare, che significasse o»»<m <P0fXÌ, c ‘ oè nlI1 ‘ tà d: P or '‘  lamento; nondimeno versa ella intorno alla agitazione.   Anzi se vuoi *7»a(X» cioè la opinione significa al   tutto 701»? (TX6 i4»IF KOCÌ l/àima'ir, cioè considerazio-  ne di genitura; essendo lo stesso il i/apit e <rK 0 Trei»,  cioè il considerare: ma se vuoi lo stesso g’ V0»<rU,  cioè la intelligenza è tov 160 U Ciri?, cioè de** 4 ! 0 '  rio di cosa nuova; che poi siano gli enti nuovi, si-  gnifica, che essi ai faccian sempre, e dimostra, che  ciò desideri, e prenda a far l’animo, chi pose quel no-  me f 0 Hri$ : perchè da principio non si diceva vonaif:  ma erano da proferirsi due in vece di g come quasi  Veoe <r IH, cioè appetito di cosa’ nuova: tracppotri/VU, cioè  la temperanza è salute, e conservazione di quello, che  ora abbiamo considerato, tppovtreaf, cioè della pru-  denza: gTriffTItfi», cioè 1® scienza è tratta da ciò, che  insta e segue, quasi segditi, e insti, e accompagni I'  animo le cose sole, che scorrono, nè per dimora sia  ultimo, nè primo col corpo correr innanzi. Sicché fa mi-  stieri fraroettendo 1 ’ g, si nomini eTr/ffTHfiEVDV, cioè  prudenza: (ri/VKa’/f d* nuovo cosi parerebbe esser sil-  logismo, ciò certo discorso. Ma conciossia, che si dica  < rvtìevxt si intende lo stesso: come se si dicesse  8 Tr/ffT«ff 3 (XI, perchè il dice che concorra   l’animo colle cose, aotpl'a, cioè ,a sapienza significa popvf e<pct i rye<r9c(l, ctoi i* toccar il portatnento.  Ciò poi è egli pih oscuro e istrano: ma da’ detti de*  poeti ci abbiamo ad arricordare qualora vogliono e-  sprimere alcuno, che si avvicini, o se ne venga coti  empito, dicono ga-t/,9», cioè usci con empito, anzi fra  Lacedemoni ancora sol/?, cioè veloce era il nome di  certo uomo illustre, significando in colai guisa i La*  cedemoni 1’ empito veloce. Dunque la sapienza significa  TKUTHS T*9 cpopocs e’TTOCtpUf, cioè tatto di questo  portamento ; quasi siano portati gli enti : e pure  TO «7«3oV, cioè il bene di tutta la natura significa  Tffl ccyxtncò, c *°è *1 mirabile, perciocché scorrendo  li enti vi si ritrova in loro la prestezza e la dimo-  ra. Dunque non è ogni cosa veloce: ma di lei alcuna  cosa xyocaTOVt *1 4 ua * ^ ene s * dichiara col nome dell’   «7«<ttov, «/IntaioffW*, eTr», c '°è * a S ,ustiz * a possia-  mo fare agevolmente congettura, che sia tosto questo  nome 7-5 tou c/ltK0t'/o!/ffl/V6ff8l,.cioè nella intelligenza del giusto: ma è malagevole da conoscersi quel  che è giusto, parendo fine a certo termine, che sia  ciò conceduto da molti: ma si dubiti poscia. Perchè  chiunque stima, che sia in moto il tutto sospetta, che  la maggior parte di lui sia certa cosa tale, la qual  non sia altro, che capire; e per tutto questo sia alcu-  na cosa, che scorra, con cui si facciano tutte le cose  che si fanno, e sia ella velocissima e tenuissima, per-      ) 4M   eh è non potrebbe altrimenti discorrer per tatto L’en-  te, se tenuissima non fosse, in guisa, che niente in  penetrando le possa far resistenza, e velocissima in  modo, che se ne serva delle altre cose quasi stabili.  Dunque perchè ella governa c/luoi/, cioè discorrendo  per tutte le altre cose, meritamente è addimandata  c/I/kociov framesso uno y per causa di più leggiadro  proferimento. Fin qui ciò, che dicevamo poco fa, si  confessa da molti, che sia il giusto. Or io, o Ermogene, ardendo di desiderio d’ imparare, ho tutte que-  ste cose investigato sccretamentc, quasi questo sia il  giusto e la cagione; essendo quella la causa, per la  quale si fa alcuna cosa, e si disse da alcuno, che in  colai guisa si debba chiamarla. Ma tutto che io abbia  udito questo, tuttavia ritorno ad addimandare. Dunque, o ottimo, che è il giusto, poiché se ne sta egli  cosi? a me par già di ricercar piu oltre di quello,  che si conviene, e salir fuori della fossa; perciocché  dicono che io a sufficienza ho addimandato e udito:  e in volendomi empire sì sforzano di dir chi una, e  chi un’ altra cosa, nè convengono più oltre. Altri  dice, che questo giusto si è il sole, poi che egli di-  scorrendo sopra la terra, e riscaldandola governa il  tutto. Ma quando io riferisco questo ad alcuno, quasi  io mi abbia udito cosa eccellente, incontinente egli  mi ride, e ricerca se io stimi dopo il tramontar del   sole avauzar agli uomini niente di giusto. Sicché pregradolo, che di nuovo dica ciò, che sia il giusto, dice, che è il fuoco: nè questo è agevole da conoscersi: altri poi dice non il fuoco: ma pii» tosto il calore innato nel fuoco: altri di queste tutte se ne ride:  ma dice, che il giusto sia quella mente, la quale Anossagora introduce. Per certo, dice egli, che ella sia  imperatrice, c adorni tutte le cose; penetrando ella  per tutte, nè mescolandosi con alcuna cosa. Qui, o  amico, sono sdrucciolato in ambiguità maggiore, che  prima, mentre io procurava di saper qual fosse il  giusto. Dunque alla fine pare, che QUESTO NOME SIA POSTO per queste cagioni a quello, d’ intorno al quale  noi consideravamo. erm.- 0 Socrate egli è avviso che  tu abbia udito questo da qualcheduno, nè cavatolo  rozzamente dalla tua officina, soc.  Ma che dell al-  tre? ERM.-Non molto, nò. soc. - Dunque attendi:  perchè forse io ti ingannerei d’ intorno alle altre co-  se, quasi io le riferisca, non avendole udite. Che ri-  mane dopo la giustizia? non ancora come stimo ab-  biamo raccontato eivJìplxV, c *°è f° rlezza » p erc ‘ oc   chè la ingiustizia è lo impedimento di ciò, che discorre: ma 1’ et\iJ\pix dimostra quasi, che si nomini nel  combattimento. Ma che il combattimento sia nell’ente  s’ egli scorre, non è altro, che il contrario flusso.  Per la qual cosa se alcun leverà via il J\ da questo   nome av «/lp/<«, » nome che rimane * V P lX dÌChlara  1* opera stessa. Dunque è manifesto, che non a qualun-  c   que io», cioè flusso, il contrario flusso èforhaxa: ma  'quel flusso Che corre oltre il dovere; perchè bon al-  trimenti sarebbe lodévole la fortezza. Or pò affli*   cioè il maschio, e S XV» f, ci ° ò l ’ uom ? lrae l ’ 0ti ‘  gine da certa cosa somigliante p j iva pó», c,oe  dal flusso di sopra. Ma <p UV », cioè la donna, mi par  che voglia esser *yoV») cioè genitura: po yxf  poi cioè Temine pare, che sia stato detto da $»AÌ£,  cioè dalla mammella. B egli poi avviso, o Ermogene,  che $n\n «« dica, perchè fa pgS«A6tr<XI, c,oè B ene ‘  rare e pullulare come quelle coie che si irrigano?  xkm. Còsi apparisce, o Socrate, soc. — E pure p o 5otA—  Xciv cioè il germogliare mi par, che rassomigli it    crescer de’ giovani, facendosi esso veloce, e alt im-  proviso; il che accennò colui, che formò il nome cavò T0\i reìv, cioè di < Sorrere e «AAso-3«i, c ‘ oè  di saltare, consideri tu, che io sono portato come  fuori del corso, poiché ho ritrovato piana e agevole  la via? eziandio rimangono molle cose, le quali paio-  no pertenere al serio? ehm. Tu di il vero. soc.   Di cui una, si è, che vediamo ciò, che si voglia si-  gnificare cioè l’arte, erm . Ad ogni modo. soc.  Non si dimostra egli é^tVfOV, . l’ abito della men-  te quasi ej^ovo», cioè avente mente, se si levi il p,  e si fraraetti 1’ o fra il e il y, e f ra '* » e il *?    >**\L  è**» Troppo aridamente, o Oberate, ed incivilmente. 1  •oc t-r-Q non sai tn, uomo beato, che i nomi, i quali  prim|erjqjentf furono posti, siano stati celati, da cip  tragicamente li vogliono narrare; aggiugnendo essi per eleganza, e levandone via lettere, e parte per lunghezza tempo, ® parte per desiderio di ’ ornamento  'rivoltandoli" ■ da tutte le parti , come per esempio  tV TcS Hpctfaipa, c,oi nello specchio, non parola  te disconvenevole che si siaframesso il pa? per certo  tali cose fanno, come io stimo, chi prezzano, pih *  vezzi della bocèa, che la verità, per la qual cosa fra*  mettendo molte cose a’ primi nomi, alla fine fanno,  che niun uomo intenda ciò, che si voglia il nome,   come mentre proferiscono T»y aai'y’yce, cioè certo   li i ; .-i • » f'iitij n sì . T ' *17   mostro, dovendosi pronunciare <r<t>/'yot, e "tolte altre   ' ! "!.• T I, .   sose. ZBM, ciò, o Socrate se ne sta veramente cosi,  soc. Ma se si concedesse di nuovo ad ognuno secondo il suo volere di aggingnere e levare a’ borni, gran-  de in vero sarebbe la licenza: e chiunque darebbe  qualunque nome a ciascheduna cosa, za»*.—Tu narri  il vero; ma si conviene, come io penso, che da tè  presidente savio, si servi certa mediocrità e decoro.  irm. I o il vorrei si. soc. E ancora io, o Ermo’gene,  il desidero con esso téco: ma no il nctìncarè, ò Uòmo  félice, coi» troppo eSsata investigazione, affine non  annichili al tutto k virtù mia: perciocché io me ne  vengo alla cimjt delle cose antedette, poiché dopo 1  J-*!  arte avremo considerato |iSJ<^«rÌT, cioè la machinazio-<  ne, perchè P 8re  me. Che Sia segno f oj)   ecw7l, cioè delio aseender rooho*, perfchè' significo  flttOf, cioè lunghezza, vrpo? T<#TroXv, Cioè appresso  al molto. Dunque il nome ^l|^flCy»,.conje egli si com ; -  pone da questi due k«Ì TOÙ àtUÌI, :cìoè di   lunghezza, e ascesa. Ma come ora diceva, 4 da perve-  nirsi alla cima della cose dette, e da ceròarai ciò, che  significhino questi nomi «psT*, cioè virtù,- e netti Oli  cioè vizio: .ora V uno nou il ritrovo ancorai l’altro  par manifesto, confacendosi eoa tutte le cose ante*  dette, perciocché quasi scorrano le cose ciò che fìa  KftK£>£ iti, cioè è scorre malamente > sari nati i/ct,  cioè vizio. Ed il proceder malamente che si fa nell’  anima inverso alle cose, ritiene massimamente la de-  nominazione del vizio; ma il hxkù)$ (Si'XI, cioè il prò*  cèdere malamente ciò, che egli si sia, pare a me che  si dichiari ancora nel nome t/fgiA/oe, cioè nella timi-  dità, la qual non ancora abbiamo dichiarato; aveodo*  la noi tralasciata; facendo mistieri che la si conside-  rasse dopo la fortezza. Appresso ci è avviso di aver  tralasciato molte altre cose. Dunque it«/ls l A/«x signi-  fica il forte legame dell* animai perciocché 7 -$ Aistf  è certa forza. Si che J\ei\ix, cioè la timidità è il gran-  dissimo legame dell'anima, così come ancora j xitopix. )>S4C   cioè il dubbio è male,, e , sommariamente qualunque  impedimento del. progresso. Questo dunque pare, che  dimostri x,Ò K*k5s ì«»*», cioè l’ andar male senza mo-  versi, e con impedimento; la proprietà quando l’anima tiene si riempie di vizio, che $e quel nome di malvagità compatisse ad alcune cose siffatte, il contrario  significherà virtlt. Primieramente SIGNIFICANDO abbondanza, e poscia che il flusso dell' anima buona sia  sempre sciolto. Perlaqualcosa quello- che è senza re-  tto tiono e impedimento xò CÌ<r%B T6>£ Itati ÌKfl»Aw-  /eoa, cioè che sempre scorre ha avuto, come è  avviso, questa denomufazióne. Si che stà bene, che alcun lo chiami À&ippé frtf, 4°*** 8em lj re fluente. Ma  peravvèntura lo può chiamar alcuno oupgx&y, quasi,  che qtiesto abito sia da elèggersi massimamente. Ora  Spezzalo il vocabolo si chiama «psT». D *rai lu forse,  che io finga: ma io mi affermo, che se pur quel nome  dì viziò, che io ho riferito è introdotto bene, che an-  cor bene si introduca questo nome di virtù, erm —   Ma che si vuole T Ó KfltRf, cioè >* raa,e i P er *° quandi  sopra hai detto molte cosef soc.  Certa cosa strana  per Giove, e malagevole da ritrovarsi. Si che ancora a  questo io apporterò quella machinazione. ehm. — Qual   macbina'zionef soc Il dire, che questo ancora sia   certa cosa barbara. ERM.-EgH è avviso, che tn parli  bene. soc. -Alla fine lasciamo oggimai questi da parte, se il ti piace: ma tentiamo d* sedere In die modo  se ne stiano bene ragionevolmente questi nomi TÒ   K*A<fr, >t«ì TO edxpoi, cioè di bello e di turpé. Or  ciò, che significa oiìc^pat m > par manifesto, per  certo egli conviene con gli antedetti: perciocché mi  è avviso, che chi ha posto i nomi biadimi ciò, che iro-  pedhce e ritiene dal corso gli enti* e ora pose il nome  ocel TW povv a ciò, che sempre impedis*.  se il flusso ocsiaryoppovt. Ma ora «pezzato il nome,  lo chiamano cthry^p 0». Che si vuole il’ kccAov,   cioè’ il bello?* soc.  Ciò è via pih malagevole da co-  noscersi, dicendosi che questo solamente per causa di  armonia, e di lunghezza sia derivato, donde sì trasse.  érm.  In che modo? soc. Questo nome pare, che sia   certa denominazione di discorso. ' erm. Come di tu   questo? soc.  Qual cosa stirai tu, che sia stata causa  della DENOMINAZIONE di qualnuqne degli enti? o non   ciò, che diede i nomi? erm.— Ad ogni modo, soc   Dunque questo sarò discorso o dei Dei, o degli uomi-  ni, o di ambidue. erm. Per certo si. soc.  Dunque  70 KKÀOV» ret Trp«7(jiflCTflf, cioè quello, che chiama  le cose, e xò k«AÒ? sono lo stesso, che discorso.  erm. Apparisce, soc. — Dunque qualunque cose fa di  nuovo la meote, e il discorso sono degne di. lodi.- ma  quelle, che no, sono da biasimarsi. erm. Ad ogni   modo. soc. Dunque ciò, che è alto al medicare fa  (   le opre della medicina, ciò che è atto all’ arte del  legnaiuolo quelle, che sono proprie di lei: ma tu co-  me >1 potresti dire? ehm. Cosi. soc.  Si, che ezian-  dìo il bello, le cose belle? ehm.— Fa certo mistieri.   soc Poscia è questo egli il discorso, come diciamo   noi? erm.  Si certo, soc. — Si che questo nome di  bello, meritamente fa la denominazione della prudenza operante certe cose siffatte, le quali abbracciamo,  dicendole belle, erm. Cosi apparisce. soCi-Quale   altra cosa ..oltre al genere di lei rimane da investi-  garsi? e*m.  Quelle che riguardano al buono e al  bello, cioè quelle, che conferiscono, e sono utili e ci  giovano, e ci sono di guadagno, e le contrarie a que-  ste. soc.-Ciò, che sia quello che conferisce, tu il ritroverai considerandolo dalle cose antedette, parcndj»  certo germano di quel nome, che peritene alla scienza , non dimostrando egli niun’ altra cosa , che  7HV Ò(piX(pQp XV TUS flBfCt T6IV '7rpOC'yjiffTOV,   cioè il portamento dell' anima insieme colle cose,  e quelle che quinci provengono sono chiamale  < pjpoVTK K«( ffl jpupopX, cioè giovevoli per quello,  che sono insieme portate intorno. e»m— Apparisce.   soc.-Il K <xp</l*XeoV poi. ci° è *l ueUo che dà * l gUad8 '  gno *jrà toDksHovS, cioòdal guadagno: ma M pJ\oS  esprime ciò, che vuole, se inserisse alcuno in questo  nome il V per lo J\ nominando il buono in certo altro   modo: perchè K gppftlWT«l, cioè si mescola scorreudo in. tutte le cose li POSE IL NOME, SIGNIFICANDO questa  sua virtù; fraroeltendo il J[ per lo y t il proferì xèpcAo£.  jsBM.-Che poi il Av<tìàeAov», cioè l’utile? soc.  Pare, o Ermogene, che non si ragliano di questo, co.  me i mercatanti, perciò sia chiamato e «¥ X'JTCùAÌm,  - perchè schivi, e isminuisca tÓ XVxAu^X, cioè le  spese: ma perchè essendo velocissimo non lassa, che  Je cose si fermino, nè permette che il portamento ri-  cevi TSÀOJ, c '°è il fine del progresso, nè si fermi e  cessi.* ma se alcun ternane si imponesse, Io svorreb-  be sempre da lui, e il. renderebbe incessabile e im-  mortale, in colai guisa io stimo, che il buono sia   chiamato Al/fflTeAotio», perchè ha chiamato -j-q 7*15  .* Il ,* - ' . ''VI < .   (popis Avo» TO T6À0S, cioè quello, che scioglie il   fine del portamento, à^eAipo» P°'i cioè *1 giovevole  è nome forestiero, di cui Omero spesse fiate si serve.  Ma questa denominazione è dello accrescere, e del fa-  re. erm. — Che si ha a dire de’ conlrarii loro? soc. — -  non fa in verun modo mistieri, che di quelli si trai-  ti che si dicono per la negazione di questi. erm   Quali sono d’essi, soc.- A<ri[Upopov *i*ì XV 6 )<p sAÓj,  ucci ÌAvafreAs$. srm— T u parli il vero. soc.    'AAAx fiAxjÌBpoi kxi ^Kp/atc/llS, cioè >1 nocivo, e  il dannoso . erm,  Per certo .  soc.  Ed il  fiAxfiepov, dice sia t 0 fhAxvyov TO» poD, cioè    ) 58 (   quello che nuoce si corso, t* J\g jSAatT'yOI, TO  jSot/ÀOfievoV cnrrei», cioè quello, che vuole impedire.  e cnTTBIV Reti c/leTlf, c '°è impedire, e il legare  di nuovo significa lo stesso, e questo biasima per tutto.  Dunque ciò, che vuole ecmeil K«ì cAell’ T 0 £>6v  Aofteroi I ttntTBlV po0\ l si chiamerebbe bene fiovXonr-  TepOV, nia P er ornamento io stimo, che sia stato no-  minato /JActjSspoV.  O Socrate, vari nomi se ti   vanno nascendo di sotto via, e mi pare al presente,  che tu abbia cantato innanzi certa quasi ricercata del-  la legge di Pallade, mentre proferivi il nome jJot )-   .1   AaTTTepoJ/V. soc.-,0 Ermogene, io non sono cagio-  ne. - ma chi posero il nome, ehm,— Tu di il vero: ma  che sarà poi il £uji/£c/|ef, c '°è dannoso? soc.   Vedi, o Ermogeue, ciò, che debba essere  e vedi quahto daddovero io parli, qualora io dico,  che aggiugnendo essi, o ^minuendo le lettere, alterano  dì gran lungo il senso de’ nomi» in modo, che cam-  biando certa picciol cosa facciano alcuna volta, che SIGNIFICHINO COSE CONTRARIE, il che. apparisce in questo  nome Jisovjl, cioè opportuno. Ciò poco fa in pen-  sando quello, che io sono per dire, mi e venuto in  mente. In vero noi abbiamo nuova quella voce bella,  e ci sforzò a suonare il contrario TO c/l/o» K*ì TÒ  confondendo il senso ma certo nome vecchio f    i s 9 (   dichiara quello, che ai voglia, e i‘« no e allro  me. eem.  Come di t„ cotesto? soc Dirolloli, tu sai  che , magg.on nostri erano aoliti di vaierai molto del  I e del A, e maggiormente le donne, le qu.fi mmn . t   tengono si la voce vecchia, ma ora in vece del , vii  aggiungono ovver I* g o 1* ma in luogo del J il o  come queste suonino alcuna cosa più magnificamente.   che modof soc.— Come per esempio gli uo -  rntm antichissimi eh, amavano T| ; y .   cioè il giorno: ma altri poscia il chiamano é^ p J t  e » presenti ^ epxr , erm.— E gli è vero. soc.-Dun-’  qne tu sai, che con quel vecchio nome si dichiara so.  la mente la mente di colui, che pose il nome; percioc-  ché eh, amarono il giorno S(lepxv> perchè da|Ic ^   bre s, faceva il lume agli «omini «*/   povìjlt , Che ,1 desideravano , e si allegravano .   IZ “, AP / arÌSCe * S0C ' ~ Ma ° ra in ”0* ninno  non intenderesti , q ue , , cbe voglia   «..tato nelle tragedie, benché stimano alcuni, che si  d,c * Wépct, perchè faccia egli qualunque cose ,u{ po(  cioè mansuete, ehm. - Così mi pare. soc. - Nè ti  * occulto, che abbiano chiamato i vecchi ^ 1070 *  cioè ,1 giogo t,yQ Vt ' erm  Per cert0( soo _ Ma ye   raraeme T0 ' tyyfo aoa dimostra niente: ma j 0V70t     ) fio (   dimostra s'neK# T»? J\oaeu$ 65 *m «7^7*»,*' cioè il conducimento di due per causa di legare, e lo  stesso si dee giudicar di molti altri, erm. E mani-  festo. soc. Nel medesimo modo il to J\&ov cosi pro-  ferito dimostra il contrario di tulli i domi; che ris-   guardano si bene; perchè certo essendo il idea.   • *   del bene, pare che sia c/ÌSO'piOf, cioè legame e impe-  dimento del progresso » come certa cosa germana  TO jSÀKjSspOÙ, cioè al nocivo. erw:  Ó Socrate,  cqs'i appar si. soc.  Ma non già incoiai guisa nel no-  me vecchio, il quale è yerisinaile, che meglio sia; sta-,  to ordinato del nostro, per certo tu coovenirai coj  beni antedetti, se per lo g renderai lo / t come anti-r   ' 4   camente si diceva; non significando c/|èov : ma J\lói  quel bene, il quale è sempre lodato; dall/ inventore  dei nomi; e in siffatta maniera non discorda egli eoa  seco, anzi pare che sia lo stesso t/Isoy, KCtì (à   ftov, kx'i A.t/<r/ TeAow, it«ì nepo'ltfAsuv, K«ì uyx-  0OV, K*ì <rviUpspov, K x) BV-KOpor Tutto questo uni-  verso significa con diversi nomi alcuna cosa, che ador-  na, e penetra per tutto, e questo è lodato: ma biasi-  malo ciò, clic ritiene e lega. Anzi se in questo nome  porrai secondo la usanza dei vecchi il J\   per lo £ ti parerà egli posto giti JlovVTl TO ÌOV,  cioè a chi lega, e ferma ciò, che cantina, onde auco-    Digitized by Google    ) 6 . (   ra è do 1 nominar»! J \iynSJ\s(. «tto.-Che, o Socrate  «dèi \wnn,£'jn8vyilXI, cioè del piacere, del do-  lore, e della cupidità, e del rimanente di cotal sorte?  'soc.  O Ermogene, non mi paiono troppo oscuri; per-  ciocché a’c/lov», cioè il piacere ha questo nome, dimo-  strando quella azione, la quale tende alla ov*cr/V,  Cioè «dia 'utilità: ma il J\ aggiunto fa, che in vece di  tjuello, che è|,op» si proferisca Dc/bA.», ryv7r#, cioè il  dolort pare che si nomini da^^At/ireaff to? <r&'ft«T0W  cioè dallo scioglimento del corpo; dissòlvendosi egfi   con cosi fatta passione, e xVÌX cioè * a tristezza è quella, che impedisce 7o teVXl, cioè l’andare A^ye e/l£i>v, cioè  il cruciato par nome forestièro detto da oc^yeiVOV' oJlvì/n  poi, cioè il dolore, e FaSlitione si denomina da e Vc/lu  &BCo$ THS Al/TT»?, c! °è dall’ entrar del dolore, erm.  Apparisce, soc.— a ‘yJtiJlÒV, cioè il dispiacere chiaro  è ad ognuno che e assomigliato il nome alla gra-  vezza del portamento, ma ^ctpx cioè l’allegrezza, e la  letizia par, che sia chiamata da J\ loc^vireus, c '°è dall*  facilità evTTOpixs cioè del movimento dell’anima. Si  cava T } p'M St cioè il diletto da Tg/>4.t?, cioè dal di-  lettevole; maT-gp^j^ydaTÒ rspJWoy da JìtXTÌS  £pr\-e&)$, cioè dalla inspirazione del diletto  aell’auinia. Sicché meritamente si chiamerebbe tpTrrovi,     ' ) (   cioè inspirante; ma dal progresso del tempo il è di-  venuto a t«/>TTV 0». Per q ual cagione si dica  cioè l’allegrezza e vigoria non è bisogno renderne conto, essendo manifesto a chiunque trarsi questo nome  da efò, che si dice èv TOÌS TrpxypLXXI TtV  ffvp Hpepsa<pXI, cioè perchè l’anima si porti bene con  le cose, onde si dovrebbe chiamare et/tpEfOtrufl, nom-  dimeno l’appelliamo tvtppotTOVIV. Egli non- ,è poscia • •  difficile d’assegnar ciò che si voglia i'juSvpHX, cioè  il desiderio, conciossiache questo nome dimostri la for-  za tendènte Bnr ) T jy et/fxòv, cioè all’ira; ma $^9' cnrò  TI? Bvaeus, *xì leaeas, cioè dal furore, e dall’  ardore dell’anima, ipepoS e/)è poi cioè il desiderio fu  chiamato rÒ [ia\t<rTX sAkovtj t*V oj-t/jc.»» pò, cioè  dal flusso, che tira l’anima massimamente, perchè da  quello che ìepieVOS pel, cioè incitato' corre, e desi-  dera le cose e tira in colai guisa grandemente l’anima,  J\lX TtV etri r TtS pois, P er lo empito, ovver incitamento del corso. Da tutta questa forza è chiamato "ipLBpoS,  Oltre ciò è chiamato -j^oBos, cioè desiderio; perchè ve.  raraenle non risguarda la soavità presente come fytg/JOl/,  ma di quella vede che altrove si trova, ed è assente,  pnjle si dice ttoSos, '* quale quando è presente ciò  che si desidera si chiama 'ipitpos, «sente votQS, sptaS,  poi cioè l’amore: perchè eitrp$i 6%a$6V, c '°è influisce  dal di fuori nè è proprio questo pon f cioè corso di chi  il tiene: ma per gli occhi infuso. Sicché si chiamava  l’amore dagli ontichi nostri da gg-pg??, cioè dall’in-   fluire tapo$, Cl0 ^ in rt uen * a » valendosi doì dell’ o per  Ma ora si dice gpaj per lo cambiamento del o nel &  Or che ordini tu, che si consideri di poi? erm.—  J\o%X, c ' 0 ^ * a °P* n ' one > e certe altre si fatte cose,   onde hanno esse i nomi? soc.*-Si dice J\o£oc, o da  cioè dall’investigazione, con la qual ca-  mbia, e segue l’anima investigando la coudizion delle  cose, o da -j-jy TO^OU JèohìSt cioè da ^° scoccar del-  l’arco: ma quinci pare più tosto, che dipenda, | omeri J,  cioè la stimazione a ciò consona, assomigliandosi all*  entrar dell’anima in qualunque cosa, il qual dichiara  ciò che sia qualunque degli enti, cosi come e jgot/A*,  cioè lo volontà si dice da »l*Ho scoccare,   • TO £0VÀE<r8*<, cioè a volere P er ,0 sr °"° del   toccamento, significa ancora $<f>lecr$ttl, c,oè ll desi '   derare, e j?ovAst/«<rS«l, cioè 11 con8Ì 8 1,,re ’ Tulte t l ue *  «te cose seguenti la opinione pare che siano simula-  ci T«J jgoÀ»5 del ,iro ’ come '* conlrario » «jSowAi*,  cioè il scoccar a falli apparisce certo, difetto impo-  tente *1 percuoter, come non abbia tocco il segno, nè  conseguito ciò che voleva, e di cui si consigliavo, e     mr   desiderava. zrm;-P6fc, chè tto metti- insieme questi  nomi più frequenti, si che ornai facciasi fine favorendoci Dio. Oltre di questo desidero, che mi sia dichia-  rato ciò che sia oCVXV.il, e 6X0U<r(0V cioè la necessità^  e il volontario? soc.  Or to' gKOi/fftOV, cioè il vo-  lontario TO 61 K 0 V, K«ì ft« ocrf ITl/TTOt/V, Cl °è chi ced^  nè contrasta, ma ubidisce a chi camma sarà dichia-  rato con questo nome, che si fa secondo il volere. Ma  TO av«7K«tOV cioè il necessario, e il rimanente essendo  fuori della volontà verserà intorno allo errore, e alla  ignoranza, è assomigliato t5 K 0 !T ÒtTot Sc'/VH TCopstOC,  cioè al camino, che è nelle valli, perchè essendo esse  malagevoli, e aspere a passarsi, e dense (V^stTOt/ JeVflft,  ritengono dal caulinare. Quindi dunque fu peravventurà  chiamato avcc'yxcclov cioè necessario assomigliato al cam-  mino che si fa per valle. Ma fin che abbiamo possanza  non ci manchiamo sicché ne ancora tu non voler cessare:  ma interrogami. ebm.  Ora io addimando quelli, che   son grandissimi, e bellissimi tdv T6 Oi\^^BlXV, c ‘° &  > l   la verità e t 0 cioè la bugia, e to oy, c,oe   l’ente, e 0V0fi« cioè il nome di cui ora trattiamo, per-  chè tenga questo nome. soc.  Chiamami tu pcc! ecrBxt,  alcuna cosa? ebm. In vero chiamo lo investigar^,- soc.  Egli è avviso, che questo nome sia generato da quel  sermone, onde si dice esser oy, cioè l’ente, di cui il nome è investigaiipnfc, il che, pii»,, chìqramat^ con^-  prend erai. Per cert,o In quello che, noi; t}icjwò TOtì voj Utr    O-TOl/, cioè nominato esprimendosi qui ciò, che sia no*  •® es ‘ <x\nBelX pòi cioè la verità pare che sì eorapongi   ancora come gli altri, perciocché il 'portaménto ‘cfivi-   . a-ji' •»!*.?    no   «n, > dell’ente par che si dica con questo nome QÒpx,   w«>; i.i ri ■ ’ r i otatf ;oq[ no«' r ft. r ql«   essendo quasi flst« Oliffflt «A», c,oe certa > div,na    in' ,n t>. et «MI    scorreria: ma il >J,sV(/|o5, c ‘°è bugia, £  al portamento. Perciooehèdi nnovo si disprèggi* quello,  che vien’ ritenuto, e costretto; a star quieto* ed è asso»    migliàio T<) f ? K*9*v^óy<rl, cioè ai * hi dòrmonoi uid  lo 4, aggiuntò occhila il senso del nome, ov pòi e 0 t/tì" ioti   cioè l’ente, e la essenza si confanno con «Aot/^st, c '°^   ó! .. ,1. 1 1 tip II .10105 5 ; ‘"Iti»   eoi vero, gettando via il / perchè significa iptfp ( C'oè   lo andante, e di nuovo' tq 6K0V il wn C*U e » come il    nominato alcuni oi/Ktov> cioè che 'non va. sart.— Q  Socrate, mi è avviso, che rimilo fortemente' tu abbi»  ventilato questi nomi: 'ma se alesili) li addiniandassè  di questi t# tOV, TO p’eOV,KO U Tft (Httl/V tosse U   retta loro interpretazione, che principalipenle 1» ris*  ponti eremo noi ? i 1 tieni tu forse? soc.  Teugolo certo.  In vero poco fa .tei sovvenire un non. so che, coir la  cui risposta pare a noi di risponder alcuna cosa, san»  Qualej è cotesto? soc. Che diciamo, chesia Barbarei  ciò, che non conoSeijdno,- perchè forse sono daddovc-     >«(   re io parte tali, e malagevoli da ritrovarsi i nomi pfi-  mieri per. l’antichità; perciocché «torcendosi i nomi  per tatto, non sarebbe maraviglia niuna, «e la voce an-  tica colla nostra pareggiata non fosse niente differen-  te dalla voce Barbara, erm. — Non e fuor di proposito  ciò, che tu db soc.— Dunque io apporto cose veri-  simili, non per tanto perciò pare, che la contesa am-  metta la scasa: ma sforziamoci di investigarli, e con-  sideriamo in colai guisa, se alcun sempre cercasse quei  verbi, per li quali si dice il nomò, e di nuovo pro-  curasse di saper quelli, per li quali si dicono i ver-  bi, nè ciò facendo cessasse, forse non sarebbe egli ne-,  eessario, che alla fine si stancasse il. rispondente? brm.  — À me par si. soc. Dunque quando cesserà merita-  mente colui, il qual nega la risposta? o non quando  a quei nomi pervenirà, i quali sono quasi elementi del  rimanente, cioè de’ sermoni e de’ nomi? in vero se in  colai guisa ne stan' essi, non dee parer piò, che d’al-  tri nomi siano composti, come per esempio abbiamo  detto poco fa che to otyxS OV, cioè d bene fosse com-  posto da ecyxtTTOv, cioè del mirabile, e $ov, tì °à  del veloce 3eOV P°* cioè il veloce, diremo noi che co-  sti d’altri, e essi da altri: ma se alcuna volta a quello  perveniremo, che più oltra non si forma d’altri nomi,  meritamente diremo noi di esser pervenuti allo elemen-  to, nè piò oltre faccia mistieri, che’l riferiamo ad al-  tri nomi, bum.' T u mi parj di parlar bene, soc. O  non sono quei nomi elementi» i quali tu ora addì-  mandi? e fa egli bisogno che altrimenti si consideri la  retta interpretazione? sbm. Ciò è verisimile, soc. — Ve-  risimile certo, o Ermogene. Per la qual cosa tutti gli  antedetti pare, che siano a questi ascesi, e se ciò se  ne sta cosi come mi pare, or di nuovo considera con  esso meco afline per avventura non impazzisca, mentre tento di dichiarare la retta inlenzion dei primi no-  mi. zbm. Di pure, perciocché io vi penserò secondo  il potere, soc. Io stimo veramente, che in questo tu  assentisca, che una sia la retta invenzione di qualun-  que nome, e del primo, e dell’ultimo e niun di loro  in quanto nome discordi dall’altro, ehm. Si. soc.  E  nondimeno la retta invenzione de’ nomi, i quali poco  fa riferito abbiamo, voleva esser certa tale, che dichia-  rasse, quale si fosse qualunque degli enti, ehm.— Senza  dubbio, soc.— Questo veramente non dee convenir  manco o primieri, che agli ultimi, se sono per dover  esser nomi, ebm. Al tutto, soc.  Ma gli ultimi nomi, come è avviso, potevano fornir questo per li pri-  mieri. ebm.  Apparisce, soc. — Stiano le cose jcosì.  Or i primi, a quali altri ancora sottoposti non sono,  in che modo secondo ’I possibile, ci dichiareranno gli  enti, se deono esser nomi? rispondimi a questo. Se non  avessimo voce, nè lingua, e avessimo voluto dichiarar  Vicendevolmente le cose, non avremmo tentato noi co-  si, come i muli al presente, di significarle colle mani,  coll* tetta, e col rimanente del corpo? ibm.- Non al-   i ;> i iiit k ' ci : •»  !>«M   Ili menti, o Socrate, soc. — Ma, come io penso, se volessi ni o dimostrar il supremo, e il lieve inalzeremo le  •mani in. verso al cielo, la stessa natura delle cose imitando: ma se le inferiori, c gravi le rivoglieremo alla  terra; pia oltre dovendo dimostrare un cavai corrente;  o alcun altro animale, tu sai, che da noi si sarebbe fin-  to i gesti de’ corpi nostri, e le figure quanto più presso  alla loro somiglianza. erm. Ciò, che tu dì mi pare  necessario, soc.  la questo modo, com’io penso, con  lo imitar il corpo, si sarebbe con queste parti di cor-  po dimostrato quello, che chiunque avesse voluto di-  mostrare. erm. Così certo, soc. — Ma poiché voglia-  mo dimostrar colla lingua, e colla bocca, nou si fa cosj  finalmente la dimostrazione da queste se per esse d’in-  torno a qualunque cosa si fa la imitazione? erm.  Io  penso necessario, soc.  Sicché, come apparisce, è il  nome imitazione di voce di quella cosa, la qual imita, e nomina chi imita con la voce, erm  Il medesimo mi pare ancora si sia detto bene, erm  Perchè?  soc. Perchè saremmo costretti a confessare, ohe ques-  ti imitatori di pecore, e di galli, e d’altri animali no-  minassero le stesse cose, de’quali si imitano. *hm.  Tu pnrli il vero, soc. Non pare a te, che stia ben  questo? erm.  A menò: ma o Socrate; qual’ imitazione  sia il nome? soc. Non tal imitazione, qual è quella che  si fa per la masica tutto che si faccia colla voce: nè  delle stesse ancora delle quali la musica eziandio è  imitazione; non dicendo noi, conio è avviso, la imi ta-  llone per la musica. Ma così mi dico, li trova egli iti quaizfnqtre cosavoce, *v figura, e in motte color an-  cora? twm^kd wgnf modo.'- SOC.  Dunque se alcuno  queste imitasse, intorno a queste imitazioni non si ri  Irorarebhe io facoltÒdel nominare, essendo altre d’esse  la musica, 1 altre lo dipintura; non è egftì 1 cosi? va*».   Veramtfhte. soc,  Che a questo? non pensi ta, che  qualunque coso tenga còsi la essenza, come if Colore,  e le altre cose, che abbiamo detto dianri? o hon si  ritrova egli* ntìl colore, e nello vóce certa essenza e in  qualunque altre cose, che so n degne della denominazio-  né dell’essere? ehm. A me parsi, soc.  Che duh"  que è se alcun fosse possente di imitar con lettere, e  con sillabe la essenza di qualonqdé còsa; non dichia*  rerebbe egli ciò, che fosse qualunque 'Cosa, o pur nò.   soc.— Qual diresti tu, che potesse far questo?  tu gii antedetti' parte chiamavi' mùsici, parte dipintori:'  ma costui, come il Chiamerai tu? "e»w\ Mi par, o Socrate, che egli sia l’autore del nominare 1 , ’ ! il quale già  molto cerchiamo, soc.  Se questo ò vero, ò-òggimni  da cònbiderarsi d’intorno à quei nomi, che 1 ; tu ricer-  cavi pouj, c ioò del flusso, levai dell’andare, a-^e<reo£  della retenzionc, se daddovero imitino la essenza, ovver  nò colle lellere, e colle sillabe loro, ras:. Al tutto,  sóc.  Or vediamo se questi soli sono i nomi primie-  ri, o ne siano ancora altri molti, In vero io sti-   mo degli altri, soc. E cosa verosimile. Allo perfine,  qual maniera sia della divisione, onde incomincia ad imitare, chi imita, non giova egli primieramente, eh*  » distinguano gli dementi; poiché si fa la imitazione  dell’essenza con lettere, e con sillabe? come chi si  maneggiano d’intorno a ritmi, distinguono primiera-  mente la virtù degli elementi, poscia le sillabe e in  colai guisa, se ne vengon essi alla considerazione de'  ritmi, e non prima, ehm. — Così è. soc.  Onon fa pri-  mieramente mistieri, che ancora noi distinguiamo le lettere vocali, dopo il rimanente secondo le specie, cioè  le mutole, e quelle, che non rendon suono? parlando-  ne iu colai guisa gli uomini eruditi, e di nuòvo le  non vocali: nondimeno non al tutto senza suono? e le  specie vicendevolmente differenti delle vocali: e poi-  ché avremo ben diviso tutti questi enti: di nuovo fa mistieri ebe popiamo i nomi, consideriamo se sono quelli,  ne’ quali si riferiscono tutte le cose come elementi, da'  quali eziandio lecito è, che essi si veggano e se si;  contengano in loro nel medesimo modo le specie, come negli elementi. Considerale bene queste cose tutte,'  fa mestieri, che si sappia apportare qualunque di loro,  secondo la somiglianza; n se una aduna sia daappor-.  tarsi, o molte da mescolarsi, come i dipintori in va-  lendo assomigliare alcuna volta applicano il color pur-  pureo solamente, altra volta qualunque-altro. colore, al-  tra volta ne raescolauo molti, conta quando vogliono  figurare la imagine somigliantissima all’uomo, o al-  tra siffatta cosa in quanto ciascuna imagine ha bisogno  di ogni colore, non altrimenti ancora uoi accommoderemo gli elementi alle cose, e l’uno all’uno, ove ps-  rosse, che facesse bisogno, fornendo Ta cioè I SEGNI, i quali son detti sillabe. Le quali poiché avremo congiunte di compagnia, e di loro formati I NOMI E I VERBI i nomi, di nuovo fabricberemo de’ nomi e verbi cer-  ta gran cosa, e bella, e intiera. E così come si ft li  con la dipintura l'animale, così qui chiameremo orazione  fabricata, o colla perizia del nominare, o colla retlorica,  o con qualunque arte, che ciò si faccia, anzi non faremo  questo avendo noi in parlando trasgredito la misura pet*  ciocché i vecchi cosi composero, come si è ordinato.'  Ma fa a noi mistieri, che investighiamo tutti questi in  cotal gnisa, se pur siamo per considerarli artificiosaroeo-  l«, distinguendoli così, o se siano posti i primi nomi  come conviene, e gli ultimi, ovver nò: ma lo annodarli  al rimanente è da vedersi o Ermogene amico, che per  avventura, non sia errore, nè secondo il dovere, zaii -  Peravveutnra si per Giove, o Socrate, soc.- Che don-  que ti confidi tu di te stesso di poterli distinguer in  questa maniera? perchè io mi diffido potere, ehm— lo  mi diffido molto piò. soc.-— Dunque li dobbiamo lasciar  noi? o vuoi tu, che comunque siamo possenti faccia-  mo esperienza, e incominciamo se si possa da noi conoscer certo poco di queste cose, dicendo davanti a*  Dei così, come poco fa abbia lor detto, che noi non  conoscendo nulla di vero, congetturiamo le opinioni  degl, uomini d’intoriv, ad essi: cosi al presente ancora seguitiamo, predicendo parimente a noi stessi, che     ) r*'C   •« fosse atil cosa chfe si distinguessero o d’alcun altro*  ** noi, cosi sarebbe mistieri, che si dividessero: ma  .ya» come si dice, converrà, che noi trattiamo que*  sto, secondo il potere, ti par egli posi, o come di tu?  erm.— C osi forte mi pare, soc.— O Ermogene, io sti-  mo, che sarebbe per parer cosa ridicolosa, che le cose  •i facessero manifeste con la imitazione fatta per le lettere, e per le sillabe; nondimeno necessario è, non a-  vendo noi niente di questo miglioro, al qual riferen-  do giudicassimo d’intorno alla verità d e> noroj primieri,  se peravventura, come i tragici, qualora dubitano ricorrono alle machinazioni innalzando i Dei, cosi an-  cora noi non, ci . espedissinv* tosto questo dicendo; che  da’ Dei siano posti primi nomi, perciò siano stati or-  dinati be«e. Duuqne questo parlare sarà egli ottimo  presso noi, Oiquello che gli abbiamo ricevuti da alcuni  barbari, essendo i barbari di noi .più antichi, o per  la vecchiezza non li possiamo discernere cosi come i  nomi barbari ancora. Questi sono schermi, o leggiadri  al di chiunque non vogliono render la diffinizione della  imppaiaiono retta de’ primi nomi: perciocché chiunque  non tiene la retta diffinizione de'prirui nomi, non può  conoscer i seguenti. Questi per certo sono da dichia-  rarsi da quelli,, de’ quali non è alcuno, che ne sappia  nulla. Anzi chiaro è, che chi fa professione della perizia de* seguenti, abbia compreso gli antecedenti inolio  prima, e perfeltissimamente li possa dimostrare, ma  altrimenti dee sapere, che egli sia per prender errore   ne’ seguenti; c siimi tu in ultra guisa? ehm.— N on al-  trimenti, o Socrate, soc.— Le cose dunque, che io sento  d’intorno a' primi nomi mi è avviso, che sinno cose  ingiuriose, e ridicplose, e se vorrqi con esso teco le  conferirò: ma se tu ritroverai cosa migliore, eziaudio  tu Con esso meco la' comruunicherai. erm.— Farollo;  ma dì oggimai con fidanza; soc. Dunque, primiera-  mente jl p pare a me, che sia come stromento del  movimento tutto: ma perchè tenga questo nome non  l’abbiamo detto: ma .phiaro è, che vuol esser (eirtS",  cioè andata; perchè non si valevamo noi, per lo- adie-  tro del jj- ma dell' 8) egli SIGNIFICA il principio {la it/str.    cioè t'andare, il qual è nóme forestièro; è egli' lo f e yJj :   ‘il j r r . v ' . r   cioè lo atiflarè.- Sicchè^sè 41 prifnt? nóme* di luì si ri-  trovasse iraspaptalb nella voce nostra, bene Ye-rtC si chiamerebbe.' Ora poi chi' K/6/V nome fòre-   stiero, e dal riiutaniento del « e' dal frammettersi il   * , , ‘   y si chiama Ma faceva bi so gii oidio qi dices-   , • !•' • ' ir. t>-| ii -, j    se k ieiveei?, ovver eitr/j, * c/|s <xrxais, c,oè *° stare   h ;•«..» . ;, v "T A'vumsori'.moi . !   vuol esser negativa di temi, cioè dell’audare: ma per   'fiiijs qfeoa •••unric yi. H   causa di oruainento si , chiama Di >080^0 il p   elémento, parve come ora diceva* opportuno stromento  del moto all'autore de’ nomi per esprimer la somiglianza del, portamento perla qual.cqsa'uso il p pec tutto    alia espressione del movimento.- Primieramente T £    (   p e 6 1 V K«ì poti, cioè ne Ho scorrere, e nel flusso imita  il portamento per la lettera p poscia nella voce •jrpoy.n  cioè tremore, e nel Ypxyjs.1, cioè nell’aspero, ancora  nelle parole di colai sorte ^poveiV >1 percuoter, Spxvsiy  il romper fpln$iy il tirare SpvTTT&lV rompere, xeji«T t?   tagliare in pezzi pspjSeiy, vacillare, tutti questi  per lo pili figura per lo p conciOssiache, io la lingua  nel proferir questa lettera non ritarda niente, anzi pili  tosto si commove. Sicché egli è avviso, che si abbia  servito del p principalmente alla espressione di que-  ste cose. Eziandio in tutte le cose tenui penetranti  massimamente per tutto si ba servito del t; laonde  imita per lo / jofapjCI, KCc'l 70 UcBx, cio « l’andare, e  il far progresso, come ancora per lo q e ^ e e £  le quali lettere sono di spirito pili veemente. Cose si  fatte ci esprime l’ autor del nome, come per esem-  pi 0 TO 1° C08a fredda yo ( 90V , la bogliente,   70 <rele<r9xi, i 1 commoversi, e al tutto <rej<r{iov, cioè  la commozione; e qualora l’ordinatore de’ nomi vuol  imitare alcuna cosa spiritosa per lo pili impone let-  tere si fatte. Oltre ciò la strettezza del </| del y, e  il tirar in dietro della lingua come attaccata, pare che  sia estimata molto opportuna alio esprimer la potenza  del legame, e dello stare, e perchè nel proferir il ^o-  KiaBxmt y.x\ia'7ct ÌVKÙ77X, sdrucciola la lingua  massimamente, perciò con questo come da certa somi-  glianza nominò TfltTfiAfi tot * e cose piacevoli, e «TOUTO  «A/<r0#/veiV lo sdrucciolare, e T0 \nrxpov «1 grasso  H«< TO KoAAà^le?, cioè quello che ha virtù di con-  glutinare, e le altre cose di sì fatta sorte. Ma perchè  il «y ritarda la lingua, che se ne scorre, imitò to   V A/o-J^.o» >1 lubrico, T0 «yA^KU *' doIce tt*ì J^Aottà-   cAbs, e il viscoso. Di nuovo avvedendosi dell’interno suono del p con lui nominò to 6»dlov, K«tì TO 6VT0J,  cioè le cose interne, qnasi assomigliando le opre alle  lettere- poi diede ja fts'yotAw, cioè al grande e  t£ p*K6l, c *°è “Ha lunghezza perchè sono lettere gran-  di: ma ffTpq'y'yuA^ c *°ù rotondo, avendo egli biso-  gno dell’ o, per lo più nel nome lo mesoolò. E nella  stessa guisa 1’ autor del nome pare, che si sforzi di ac-  commodar a qualunque ente segno, e pome secondo  le lettere, e le sillabe, e da questi poscia comporre il '  rimanente delle specie secondo la somiglianza. O Ermogene, mi pare che questa sia la retta interpretazio-  ne de’ nomi, se non apportasse Cratilo alcun’altra co-  sa. ehm.  E pure, o Socrate, spesse volte mi travaglia Cratilo, come ho detto da principio, mentre af-  ferma, che vi sia alcuna retta interpretazione di no-  mi: ma nondimeno quale ella si sia non la dice chia-  ramente in guisa, che io non possa conoscere se egli  volontariamente lo faccia, o pur nò; cosi ne parla semprc d'intorno ad essi. Dunque, o Cratilo, dimmi ora  alla presenza di Socrate, se ti piace il modo, con cui  egli ne parla d’intorno a’ nomi,' o Se tu puoi dire io  altra miglior guisa, il che se puoi il dirai a line, che  o da Socrate tu impari, o ammaestri nmhidue noi. ca.  — Ma che, o Ermogeuc? ti par egli ogevol cosa rap-  prender in cosi poco tempo, c lo insegnare qualun-  que cosa noti che una cotanta; la qual d’intorno alle  grandissime è stimata certa grandissima cosa?’ ersi.  Per Giove nò, anzi io stimo, che Esiodo abbia par-  lato bene, che utile sia l’aggiuguer il poco al poco.  Sicché se tu sei possente al fornire alcuna cosa se ben  picciola, no il ricusare: ma giova a Socrate, ed a me  appresso, dovendolo tu fare, soc.— In vero, o Crati-  lo, nè io stesso affermerei niuna di quelle cose, le  quali dianzi ho raccontato. Ma iu quel modo, che mi  parve ho ciò considerato con Ermogene. Laonde prendi ardir in esprimere, se hai alcuna cosa migliore, co-  me io sia per ricever volentieri ciò, che dirai: non-  dimeno nè mi meraviglierei se tu potessi dire alcuna  cosa di queste migliore, parendo a me, che tu abbia  considerato siffatte cose, e imparatele da altrui. Duo-  , que se da te si dirà alcnna cosa eccellente; mi an-  novererai fra tuoi scolari intorno alla retta investigazione de' nomi, cr.— Per certo, o Socrate, questo  tu di, mi fu a cuore, e ptravvenlura ti farei scolare,  nondimeno dubito, che la cosa se ne stia incontrario  ad ogni modo, perchè mi sovvieue di dir in certa maniera lo stesso in verso a te che disse Achille ne’ sacrifici in verso od Aiace. O Aiace, nato di Giove, fi-  gliuolo di Telamone, re di popoli, tu hai proferito  tutte le cose secondo il mio parere. Ancora tu, o So-  crate, pare che indovini secondo la mente nostra, o  essendo tu inspirato da Eulifrone, o ritrovandosi in  te alcun’ altra musa, il che ti era ceialo innanzi, soc.  — O Grati lo, uomo dabbene, ancora io ammiro già  molto la mia sapienza, nè mi confidi troppo. Sicché  . io stimo che sia da considerarsi da nuovo ciò clic  io mi dica, essendo gravissima cosa lo ingannarsi da  se stesso; perchè come non fia cosa grave, quando  non è poco lontano: ma sempre presente chi è per  ^ingannare? sicché fa mislieri, come è avviso, voglicr-  si spesso alle .cose antedette, e come dice il poeta,  tentar di guardar innanzi, e indietro parimente. Or  al presente vediamo ancora ciò che si è detto. Ab-  biamo detto retta int» rpetrazione di nome ciò, che  dimostra quale sia la cosa. Mi dì, dobbiamo dir noi,  che qitesto si sia detto bastevolmente? in vero io l 'af-  fermo. soc — Dunque si dicono i nomi percausa d’insegnare? eh. Al lutto. , soc. Dunque dobbiamo dir noi,  che questa ancora sia arte, e mietici di le.? er.^Sì.  soc. Quali? cn— Quelli che da principio tu chiamavi  facitori di nomi. soc.  Mi di, possiamo dir noi, che  questa arte sia negli uomini parimente come le al-  tre, o altrimenti? questo è poi quello, che io voglio  I    dire. Sono egli alcuni dipintori peggiori, altri piti  eccellenti? ce. — Sono il. soc. — Non fanno gli ec-  cellenti 1’ opere loro più belle, cioè gli animali? in-  contrario gli altri? ancora i muratori fan essi pari-  mente le case parte più belle, parte più turpi? ca.   Cosi è. soc. Gli autori eziandio delle leggi non  fanno essi l’ opere loro parte più belle, parte più  turpi? ce.  Questo non mi par no. soc.— Dunque  non pare a te, che altre leggi siano migliori, altre  peggiori? ca. — Per certo nò. soc. — Nè anco come  apparisce stimi, che altro nome sia posto migliore,  altro peggiore, cr. Nè questo, soc. Dunque tutti  i nomi sono posti bene. cr.  Quanti sono nomi,  soe.  Che del nome di Ermogene che si è detto di  sopra? come dobbiamo dir noi, che a lui non sia po-  sto nome, se non, cheli compatisca spfiov'yGVEO'EflJ,  cioè, che sia della generazione di Mercurio? o che  sia posto: ma non bene? cr. O Socrate, non mi è  avviso, che ancora gli sia stato posto: ma paia si:  ma che sia d’altrui questo nome, dì cui è la natura ancora, che significa il nome. soc.-Dimmi, non  mentisce chiunque dice, che egli non si diea Ermo-  gene non essendo da dubitarsi, che egli non si dica Er-  mogene non essendo, cr In che modo di tu questo?  soc. Forse perchè non è lecito al tutto il dir il  falso? e si suol SIGNIFICAR poi questo il tuo sermone?   perciocché, o amico Cratilo, sono alcnni ancora, che  il dicono al presente, e il dicevano già. ca. Per-  ché, in che modo, o Socrate, mentre dice alcuno  ciò, che dice, dirà egli quello, che non è? o non è  egli il dire il falso,, dicendo le cose, che non sono?  ,soc.-0 amico,questo parlar è più eccellente di qnelche  ricerca la condizione, e età mia; nondimeno dimmi  se paia a te; che alena non possa parlar il falso: ma  il possa dir sì. ca.  Nè dire, soc  Nè ancora dir-  lo, nè chiamarlo? come se alcuno fattosi incontro  prendendoti per la mano iosegoo di ospitalità dices-  se, Dio ti salvi, o Ospite Ateniese Ermogeoe figliuol  di Smicrione; parlerebbe egli questo, o si direbbe che  parlasse; a direbbe questo, o saluterebbe in colai gui-  sa non te:, ma Erraogene, o ninno? ca* O Socrate,  mi pare che costui gridi, ciò in vano, soc.  Que-  sto mi basta, dimmi grida il vero chi cosi grida, o  il falso? o parte il vero, parte il falso? perciocché  basterà eziandio questo. ca. — Io direi, che questo   tale strepitasse, indarno movendo se stesso, come se  alcun battesse i rami. soc. — Considera, o Cratilo, se  in alcun modo conveniamo, non diresti tu forse; che  sia altra cosa il nome, altra quello, di cui è il no-  me? cr. Veramente. soc.  Dunque confessi tu, che  ’1 nome sia certa imitazione della cosa? ca.  Sopra il  tutto, toc Dunque e le dipinture in certo altro modo  dì tu, che siano imitazioni di alcune cose? ca. Per  certo sì. soc. Or dimmi, perciocché forse i» non  .   intendo, quel, che tu di.- ma tu peravventura parli  bene; polressiroo noi dispartire,, e portare ambedue  queste imitazioni, e dipinture, e quei nomi alle co-  se, di cui sono imitazioni, o nò? cr.~ Possiamo si . 1  soc. Or. questo considera primieramente, se potesse'  alcuno attribuire la imngi.ne dell'uomo all'uomo, e alla  donna quella della donna, e le altre nel medesimo  modo? cr. Così certo, soc.  Dunque iu contra-  rio ancora la imagine dell’uomo alla donna, e della  donna all’uomo? cu. L- E questo, soc.  Or ambe-  due questi compartimenti son forse elli, retti? ovver^  l’un di essi? cn.  L'uno dì. soc.  Quello pen-  so io, il qual dà il proprio, C simile a ciascheduno.  cb,  A me par sì. soc.  Dunque acciò tu e io es-  sendo amici, non contendiamo nelle parole, conside-  ra ciò, che io djco. Io chiamo retto ( compartimento  una cosa siffatta in ambedue le imitazioni e negli ani-  mali, e nei nomi: ma ne* marni non solo, retto: ma  vero. Ma l’altro conducimento, e portamento dal dis-  simile non retto, e appresso falso ne’ nomi. cr. O Socrate redi che ciò peravventura possa solamente ca-  der nelle dipinture, che alcuno compartisca male:  ma non nei nomi: ma sia necessario che sia sempre  bene. soc. — In che modo di tu? d’intorno a che è  questo da quelle differente? non è egli forse possibi-  le, che nd alcun uomo fallósi alcun incontro dica, questa è tua figura, e peravventura a lui dimostri la  figura di lui peravventura anche di donna. Dico essfcr il dimostrare 1* offerire a sensi degli òcchi.' c».’  <*- Per certo. : soc. Ma che? di nuoto’ fattosi all»  stesso incontra dica, questo è il tuo nóme, essendo  il nome certa imitazione, cosi come la Figura; ma  dico in colai guisa. Forse non fia lecito a Ini di di-  re questo è il tuo nome? poscia infondergli il medesimo nelle orecchie, peravventura dicendo la imita-  zione di lui, che egli è uomo, e forse la imitazione  di- alcun genere umano dicendo, che è donna? non  pare a te: che ciò sia possibile, e si possa fare al-  cuna tolta? cr.  Te il voglio conceder, o Socrate,’  e così sia. soc.  O amico, tu fai bene, se ciò se  ne sta in cotal guisa, perciocché al presente non fa’  mistieri, che d’ intorno a questo si contrasti. Dunque  sequivi,si ritrova on certo tal compartimento; l’ uno  chiamiamo parlar il'vero, l’altro parlar il falso, e se  questo così se rie slà egli, ed è lecito, che non si  conipartnno i nomi bene, nè si rendano a qualunque  i propri: ma alcuna fiata quelli sì, che non sono  propri; sia lecito parimente, che si l'accia questo neU  le parole. Ma se possiamo poner i verbi e i no-  mi in cotal guisa, necessario è, che similmente si  póbgano ancora le orazioni, essendo esse, come io  penso componimento di .questi, o come di tu, o Cra-  tilo? cr.  Così parendomi, che tu dica bene. soc.   Dunque se assomigliamo i primi nomi alle lettere  con certa imitazione, pnò avvenire d’ intorno a que-  sti come nelle dipinture, che si diano confacevolt   tatti ì colori, e le figure: e medesimamente non li  aggiungiamo tutti; ma parte, e parte ne leviamo, a  Li dimostriamo, e più , e manco, non è egli possibil  questo? cr.  Possibile sì. soc.  Dunque chi tutte  le cose rende concordanti, rende le lettere belle, e  le imagini: ma chi ne leva,, o ne aggiugne fa egli  lettere ancora, e imagini: ma cattive, cr.  Per cer-  to. soc. — Ma che? chi imita poi la essenza delle  cose per lettere, e per sillabe, non fa egli forse la  imagine bella secondo la stessa ragione, se convene-  voli rende tutte le cose? questo poi è il nome: ma  se mancasse poco, o vi aggiugnesse alcuna volta, si  farebbe egli la imagine: ma nou bella? sicché alcu-  ni nomi saranno ordinati bene, altri in contrario? cr.  «. Peravventura. soc. Dunque fia questi peravven-  tura buon artefice de’ nomi, quegli cattivo? cr. — Veramente. soc. Orerà costui facitor de’ nomi. cr.   Veramente, soc.  Dunque per Giove, fia forse  in questo come nelle altre arti, che sia un buon fa-  citor di nomi, l’altro cattivo, se pur fra noi conve-  niamo nelle cose antedette, ca.  Questo è vero: ma  vedi tu, o Socrate, qualora diamo queste lettere 1’ x  o il fi, e qualunque elemento a’ nomi con l’arte della  grammatica, se li leviamo alcuna cosa, o li aggiugniamo, o eziandio mutiamo, che da noi si scrive il  nome, nondimeno non bene: anzi egli non si scrive  affatto.- ma incontinente è cosa diversa, se li adiviene alcuna di queste cose. soc. * E da vederti, o Cratilo»  che peravventura non consideriamo bene, in cotal gai*  sa considerandolo, cn.— Iti che modo? soe.— PeraV-  ventura quantunque cose, le quali necessario è, Che  siano, o non siano da alcun numero ciò patirebbo-  no, che tu di come il dieci, o qualunque altro nu-  mero, che tu vuoit che se tu ne levassi alcuna cosa,  o la aggiugnessi, incontinente si farebbe diversa: ma  non è questa peravventura la retta maniera di alcuna  qualità, nè di tutta la imagine insieme: ma il contrario; nè al tutto bisogna, che la imagine tenga itt  se qaalunqne cose lien quello, di cui è imagine, sé  pure è per dover esser imagine, e considera se io dico alcuna cosa. Saranno forse queste due cose, cioè  Cratilo, e la imagine di lui, se alcun de’ Dei non sola*  mente esprimerà il tuo colore, e la figura, come so-  gliono i dipintori: ma farà eziandio tutti gli interiori  somiglianti a’ tuoi: la stessa tenerezza, é il calore, il  moto, 1’anima, la prudenza, e per abbracciar in poche parole, tali affatto farà tutte le cose, quali in tè  sodo? dimmi questa tal cosa forse sarà ella Cratilo»  è la imagine di Cratilo? o due Cratili? CB.—Due Cra-  tili, o Socrate, come io penso. soc. — Vedi tu, o  amico, che è da cercarsi altra retta maniera di ima*  gine, che di quelle cose, che abbiamo poco fa det-  te? nè si abbia a sforzare-, se alcuna cosa si aggiuguesse, òri levasse, che prh imagine non siti? 0 boa  ti avvedi tu quanto manchi aHe imaginì, che ‘tenga-    ) m   do te stesse cose, che ha quello, di cui sono imft*  gini? ,ca.  Veramente, soc.  O Cratilo, nvvenirebbe da’, nomi alcuna cosa ridicolosa d’intorno a que-  ste cose, di cui sono nomi; se si rendessero loro  somiglianti al tutto, perciocché si fnrebbono doppie  tutte le cose, nè si potrebbe dir qual fosse l'una,  o l’ altra di toro, forse la cosa, o il nome* cr. Tu parli il vero. soc.  Dunque, o uomo generoso,  con fidanza permetti, che altro de’ nomi sia posto be-  ne, altro nò; nè voler far forza, che egli abbia tutte  le lettere,, acciò sia tale, quale è quello ancora di cui  è nome: ma permetti, che porti una lettera manco  confacevole, e se lettera, parimente è uomo nell’ora-  zione, e se nome, che si porti eziandio appresso nel  parlar sermone non confacevole alle cose, e niente  manco si nomini la cosa, e si dica finché si ritrovi  la figura di ciò, di cui è il sermone, come ne’ nomi  degli elementi, se tu li ricordi, quello che poco fa  io, e Ermogene dicevamo, ca.  la vero mi lo ri-  cordo. soc Dunque bene; perciocché quando vi   farà questo, benché non si ritrovino tutte le cose  coufacevoli; nondimeno si dirà ben la cusa quando  saranno tutte: ina inale quando poche. Sicché per?  mettiamo, o beato, che si dica, acciò come coloro,  che iu Egina vanno vagando di notte forniscono tardi il viaggio,, così paia, che iu questo modo noi per-  veniamo alle cose piò lardi da buon senuo del do-  vere; o ricerca alcun altra retta maniera d’ intorno al nome; nè confessar tu, che sia nome la dichiaratone della cosa fatta con lettere, c con sìllabe: per-  chè, se queste due cose dirai, tu non potrai accorda-  re, e convenir con te stessei. ex. — O Socrate, tu  pari di parlar bene, é cosi io assentisco, soc. - Poi-  ché d’intorno a questo Convenimmo si ventiti da noi  il rimanente. Se dee esser il nome posto bene, di-  ciamo far mistieri, che si ritrovino lettere a lui de-  centi. ce — Per certo, soc. — Convien poi, che let-  tere siano simili alle cose, cm —"Sì. sOc.  Dunque  quelli nomi, che sono posti bene, cosi son posti:  ina se alcuno non « posto bene, perawentura per lo  piu sarà di lettere convenienti, e somiglianti, se do-  veri esser iniagine; terrà poi ancora alcuna cosa noci  convenevole, per la quale non sarà buona, nè fatte  bene: diciamo noi in cotal guisa, ovver altrimenti!  ® Socrate, io penso; che non faccia mistieri,  che contendiamo, non mi piacendo, -che si dica esser  nome, nondimeno non posto beile.- soc.J- Forse non-'  piace a te, che il nome aia -dichiarazione di 'cosa!  CJt Mi pisce sì.' suo. Ma' pensi tu', che non W sia  detto bene. Che parte siano i nomi de’ primi compo-  sti, e parte siano i primi?' cu.  A me sì.  soc Or  se deooo esser I PRIMI SIGNIFICAZIONI di alcune cose,  hai tu forse più commoda maniera, onde si 'faccia  questo, che se si facessero tali, quali son quelle, coi  se, le quali vogliamo, che si dichiarino? o piultosttf  ti piace, questa maniera, la quale è detta da Erbo*   (   gene, e da altri molti, cioè, che i nomi siano certi  componimenti, e dichiarino a chi composero le cose,  e le conobbero innanzi, e ne sia questa la retta maniera del nome, cioè il componimento, nè imporli,  se componga alcuno cosi, come si è oro composto,   0 incontrario? cioè come l ’ o picciolo, il quale ora o  picciolo si addimanda, si nominasse o grande: ma l’& f  che al presente si dice o grande, si dicesse o pie •  ciolo? qual di queste due maniere piace a tef ca. Adognimodo, o Socrate, importo, che alcun dichiari  con somiglianza ciè, che vuole dimostrare: ma non  con qualsivoglia cosa, soc, Tu parli bene. Dunque non è egli necessario, essendo il nome simile alla cosa, che gli elementi, dei quali si compongono 1 primi nomi, per lor natura siano alle cose somiglianti? ma così dico, o si sarebbe fatto da altri la  dipintura alcuna volta, la quale dianzi abbiamo det-  to simile ad alcuno degli enti: se i colori, di cui si  fa la iraagine non fossero per natura somiglianti a  quella cosa , la quale è imitata dallo studio del di  pintore? « è egli impossibile? ca  Impossibile certo,  soc. ~ Nel medesimo modo non si farebbouo i nomi  somiglianti mai ad alcuna cosa, se quello, di cui  si compone i nomi non tenesse alcuna somigliànzà di  quelle cose, di cni sono i nomi imitazioni. Quello  poi, 'di cui si compongono i nomi, sono gli elemen-  ti. cr.-* Veramente, soc. Oggimai fatti partecipe di  quei sermone, del quale ne è partecipe Ermogene pòco fa. Or dimmi, ti è egli avviso, che noi diciamó  bene. Che il p coovehisse al portamento, al moto e  alla asprezza, o non bene? CR.-Bene sii soc.  Ma  A piano, e a! molle, e alle altre cose da noi nar-  rate? cr  Veramente. soc  Sai tu dunque che Io   P : chiama da noi   ffKÀ*pOTl£;   ma da Eretriesi <rKAty>0T«£?. CR--Corto si. *oc.—  Dimmi , se questi due p e+ paiono somiglianti allo  stesso, e dimostrano il medesimo cosi loro per la de-  terminazione del p f come a noi per lo ultimo   o non significa niente agli noi di noi? cr -Anzi il  significa agli uni e agli altri, boc  Forse in quonto  sono somiglianti il p e il o in quanto dissomigliane  ti? ca— In quanto somiglianti, soc.— Dunque ìn quan-  to sono simili in ogni luogo? CR.-Peravventura al SIGNIFICARE almeno il portamento, soc. 0 il \ framesso ancora dimostra egli il contrario dell' asperità?  CR Peravventura, o Socrate, non è framesso bene, co-me quelle cose, le quali tu trattavi dianzi con Ermogene, mentre e levavi via, e ponevi le lettere ove  massimamente facea mislieri. E tu mi parevi dì far bene, e ora hassi a por forse il p per lo soc.  Tu   parli bene: ma che? al presente quando alcuno prò-  nuncia <rKÀ»/>oif, come dicevamo, non ci intendiamo  tranci? nè sai tu ciò, che io al presente mi dica?  cr,- 0 amicissimo, per usanza lo so veramente, soc.  ( Quando tu dì usanza, pensi tu dir cosa diversa dal  componimento? chiami tu altro usanza, che quando   10 pronunciando questo, e considerando quello, tu co-  nosci, che io considero; non dì tu questo? cr. Que-  sto stesso, 'soc. Dunque se tu conoscessi questo pronunciandolo io, li si fa per me la dichiarazione, cr.  Così è. soc.  Cioè dal dissimile ili quello, che io  pensando proferisco, poi che è dissimile il \ a quello, che tu chiami <rn?iHp OTUTflC, cioè asprezza, e se  ciò se ne sta così, che altro ha egli se non, che tu I   con te stesso sii convenuto? e ti si fa egli la retta  tnaniera del componimento? poiché cosile simili, come le dissimili lettere li dimostrano lo stesso , conseguendo lat usanza , e il componimento ma se  la usanza nou fosse componimento, nou si potrebbe, dir bene ancora, che la somiglianza fosse dichiarazio  ne: ma usanza; poiché, come pare, la dichiara colla similitudine, e con la dissomiglianza. Ma, o Cratilo poiché noi concediamo questo ( couciossiachè, IO PONGO IL TUO SILENZIO PER CONCESSIONE) è necessario, che la  usanza, e il componimento appartenga alla dichiarazione di quello, che considerando diciamo, perciocché, se tu ottimo uomo volessi discender alla cousiderazione de 1 ' numeri; donde penseresti tu di poter apportare nomi somiglianti a qualunque numero, se non  permettessi, che la concessione c componimento tuo  tenesse alcuna autorità intorno alla retta maniera do'    nomi? eziandio mi piace, che i nomi in quanto è pos-  sibile, siano simigliatiti alle cose; dubito nondimeno,  che peravventura, come diceva Ermogene, sia in c^rto  snodo lubrica la usurpazione di questa somiglianza, e  siamo sforzati a valersi ancora di questa cosa trava  gliosa, cioè del componimento d’intorno alta retta ma-  niera de’norai: percbè secondo il potere peravventura  si direbbe allora bene, quando si dicesse o con tutti,  o similmente con la maggior parte, cioè con conve-  nevoli: ma sozzamente quando in contrario. Or ciò appresso a questo dimmi, qual forza tengano appressa  noi i nomi o qual cosa beilo affermiamo, che si faccia da noi col mezzo loro? cb. O Socrate, pare a me,  che insegnino i nomi, e ciò sia molto semplice, cioè  che chiunque sa i nomi, eziandio sappia le cose. soc. O Cratilo, tu peravventura dì alcuna cosa siffatta,  che quando conoscerò alcuno quale sia il nome (essendo egli tale, quale ancora si ritrova la cosa ) eziandio  conoscerò la cosa, poiché è la cosa somigliante al  nome; essendo un’arte, e la stessa di tutte le cose tra  loro somiglianti Da questa ragione indotto pare, che  tu abbia detto, che chiunque conosce i nomi, ancora  conoscerò le cose stesse, cr. Tu parli il vero, soc. Or vediamo qual sia questa maniera della dottrina degli enti, la quale ora tu dì, e se piu oltre ve ne sia  d’altra, nondimeno sia questa tenuta migliore; o fuor  di lei, non ve ne sia niun’altra, in qual di questi due  snodi pensi tu? ex. Cosi io stimo, che nou ve oc 6 Cr. sia d’altra; ma questa sola, e ottima- soc. -Ma dimmi  se questa stessa sia la invenzione degli enti, che chi  ba ritrovato i itomi, abbia ritrovato ancora le cose, «li   cui sono i nomi? o faccia ni isti eri, che .altra maniera  •„ r c   si cerchi, e si ritrovi; e questa si impari?, ca.  Sopra  tutte le cose è da cercarsi questa maniera, e ritrovarsi,  soc.  Or, o Cratilo consideriamo si, se a!cun mentre  investiga la cose segue i nomi, considerando quale  dee esser ciascheduno. Consideri tu forse, che non  sia piccini il pericolo di non restar ingannato? cu.   in che mi'do? soc. Perché chi da principio pose i  nomi quali stimò egli, che fossero le cose, eziandio  tali nomi pose, come diciamo, non è egli cosi? ca. Cosi affatto, soc. Dunque se egli non pensò bene:  ma li pose quali lisi stimò, che pensi Ju, che sia per  avvenir a noi, che lo seguitiamo? altro forse, che di re-  star ingannali? cn. O Socrate, chi sà, che questo non  se ne stia cosi: ma sia necessario, che' quegli. sia Stato  scientifico, che pose i nomi, altrimenti come un pezzo fa diceva, non sarchbono nomi. Questo poi ti può  esser di evidentissimo argomento, che non traviò dalla  verità l’au(o e del nome? che se avesse avuto rea opi-  nione, in moilo niuno tutte le co e non si accorderei)-  bono in colai guisa appresso di lui o non considera-  vi ancora tu quando dicevi; che tolti i oomi tendes-  sero nello stesso? soc. O buon Cratilo, non vai niente  questa difesa, perchè non è cosa sconvenevole, se da  .principio ingannalo ['ordinatore de* naini, tirò di uuq-    ’) s« f   ^0 » seguenti nbini con ceria fona si primo, e I*  sforzò ad accordarsi seco, come intorno alle figure, ritrovandosi alcuna volta la prima figura ignota e falsa,   I* •  1 :   le rimanenti poscia essendo molte conviene, che insteme Si accordino; conciossiachè ciascheduno dèe dispu-  tar molte cose' intorno al determinare il principio  di (]ualunque!tCOsa, e considerar diligenlissimainente se  il principio è supposto bene o nò, il che bastevo) mente esaminato, le altre cose ornai lo deono seguire. Nondimeno mi maraviglio, se i nomi couvegnano con loro  stessi. Perciocché considereremo da capo le cose di-  nanzi da noi narrate, come, che i pomi ci significhino  la essenza, quàsi che l'universo vada, si porli e scorra.  Stimi tu fórse, che èssi significhino in cotal guisa, o  altrimenti.!^ cr.- Cosi sì, e il significan bene. soc.   Sicché consideriamo se assumendo alcuna cosa da loro.  Primieramente questo nome CTIffTtlftdt, c ‘°*“ di scien-  za, come é egli ambiguo, e pare, che più tosto signi-  fichi, 0T / larniTìv etri tùìs Trptryftoctri rnv   cioè che ferma l'animo nostro nelle cose, che  sia egli portato intorno con esse, ed è meglio, che di-  ciamo il principio di lui, come ora, che gettando l’g   dir TriffTtljiltV, ma frammettiamo in vece del g il /. Pos-  cia il jSsjSa/GV, cioè il fermo; perchè è imitazione fix-  o-eas Ttvog, hoc) (TTCUreas, c»°è di certo stabilimen  to, e state, che del portamento. Più oltre g’ tO’TOpt*   ) 9» I   SIGNIFICA per certo questo, che ciò, che  poti» le 1 ™* ‘l corso e TOTTWTO», c*òè quello che sf  ha a credere, significa ad ogni modo tffTXV, c *°è «l  fermare. Poscia) j xytiym, cioè la memoria dimostra certo  ad ognuno, che è nell'anima poM, c '°è fermezza: me  non agitazione: come per esempio, se alcuno rolesse  seguire i nomi 0 apiXpTix, ttfltt « ffV[I(pOpX, c * oè 1 ®  errore, e la calamiti; parerebbe di inferire lo stesso,  che si riferisce -jr» e-vvsirej sa) 6Trt<rT»ft», cioè *“  intelligenza, e la scienza, e gli altri nomi, che posti  sono alle cose serie. Ancora £ ec^x 3 ix, xaì rf XKOfiKfflX,  cioè la ignoranza, e la intemperanza paiono simili a  questi; perciocché £ xpixBtX pare, che sia 7-01/ x^ixBsu  tOVTOS TTOpelx, cioè il progresso di chi se ne va in-  sieme con Dio: ma cctLOXxrix P are •* tulto certa «KOÀov-  glg' cioè conseguenza alle cose. Ed in colai guisa  quei, che noi pensiamo nomi t^i sozzissime cose pareranno somigliantissimi a quelli nomi, che sono in-  torno alle cose bellissime, eziandio stimo, che si po-  trebhono ritrovare d’altri molti, se a ciò alcun atten-  desse; onde penserebbe di nuovo, che l’autor de’ no-  mi significasse non cose correnti, e portate: ma per-  manenti. cb. Nondimeno o Socrate tu vedi, che la  maggior parte de* nomi significavano in quel modo,  «oc.— Che è dunque questo 0 Cratilo: annovereremo    \   forse ì nomi qual suffragi, e sassettif e consisterli ?»  questo la retta maniera, cioè quat di queste due gui-  se de' nomi paia di SIGNIFICAR pili, e questa sia la vera*   Non convien nò. soc. — O amico in modo miuno.   ÌOr qui' lasciamoli:' ma consideriamo, se in cotal guisa  ci assentissi, •ovver nò. Dimmi non confessavamo noi  poco la, die -coloro, che ponevano i nomi nel Te città  GrCche, e Barbane fossero positori de* 1 nomi, é Ifarte,  che ciò poteva ftossC de' nomi postricé? cr — Al tutto  slr «oc.— Or dimmi tu, chi pose i primi nomi, "cono*  scevan essi Ié còse, 1 cui ponevano i nómi, o non le conoscevaSo? 10 c*>. — Io penso, '0 Socrate, che Ie^etìno 1 -  scesseroi s oc;— Per certo, o amidó Crétìlo, non essèit*  do essi ignorami; cir. Non rtìi 2 5 sdt.-iR'itòd   niamo di nuoi-o colà, Ondò si '^ipàrtimriro. Perciò posto fa dicesti-, se tu li raccordi'; èli® era tìeeessario,' che  «hi poneva' i’WóWii conOSctìsè'Ié^'cbse/'cui 'tl penevai  dimmi pare à- tu ancóra' ; cosV; hòP 'cit.4-Eziatf*   diO si; "stìd.'— ‘PeTavventura dllu'J'che chi pose i 'priì  ini nómi, cbuoscendòH 'H ponessé. ' cA. Conoseèndòlk  soci. Da’ quàlì homi ' avrebbe egli'imparato, o ritrova-  to le cose,- ! sé Otti a fossero ancora 'pósti i primi no-  mi! e di nhdVo'tfibiamD nóij èhè sià’ Còsa impossibi-  le di ritrovar lé' èòSéj o impararle altrimenti, che imparando i nhiéi/’ ò per noi quàlì siWo 1 ritrovandola  CR.— O SOcràte,’fnf è avviso, che lÓ~dìcà alcuna cosa,  toc- Duriqóe io che ‘modo ‘dirémo''%iòi che essi sa-  pendo abbiano posto ? ‘nomi! ossiatro dati facitari dd’     )&<   Domi insanii che si ponesse qualunque nome, e abbia!  solessi conosciate, le cote innaoti, nou potendosi) «Ile  «llmnenli imparare, che co’ oprm? c«.— In vero: io pen-  so, Soc Fate, che questa sia_ verissime ragiono, d’iniorjse  questo, che certa .potenza maggior dell utnaud sia stata  qneHa, che pn»e,^pri#»i homi ;fl!e cote, 4t maniera die  aia necessario, chiosai tfi pestiano bm»f.3,»«c.-4.Posc»a  penti tu, che Fautpr de’ nptni li* abbia ppsli contras  ri a se stesso, o se fu egli alcun dtnipoe p Dio? o  pare fi r te, che di sopra da noi nop ,^;jgi»(deUo,aicn>  te? ca. Ma chi sa, che gli altri j nqmj; non fossero  di questi, soc. — Quali d* questi due p , ottimo uomo  e^ano. es s > forse di quelli* che, si rifulgono olio sta?  Io? o di quelli pi u,. tosto, che al mpviinputfe? [ilrciocchè  nou ancora si giudicheranno colla moltitudine seaon r  do , quello chq poco^a abbianao ^ttos ; ,^tf^CÌ0si con»-  yjenfj p ^oprate. i u ^o«i e:dV   cendo parje di essi .e^er siglili ajlfl. 1 .flfr   fermando di so sa il^ medepi 6 &P ' ’.'U ‘ <d i r   torniremo noi?, ©, a chop^vfln^d^ -pgvfthè fcerlp #4  allri nomi, da .qufstft <K»n;flSftr^rqgjq^»jjii^#r   jepdpup. d’oltrg ma ( c^iarp g 8 »,qfe4 'WW   HO fi. Cerca rp, perle, altpp c«tSf,^C.,^i 0 9hiM r W n 9 TO%-  nifeste ^enaft^qiRijop. ci ^mustrer^ngp ^^Ojit*;, de-  gli epti^cjoè qapLdt questi due, , <y*.,-n-Coj.  si . mi .parer, Mfij-gp C‘V- 0 -i9f* l lKj c .3Bfia«lé ^.coy  tf( guisa.pqssiappo,, comp pa^iip^arj^ gli enti _5.eBXf  «pmL. «h-rApjptfjjcp. sof.T^P^r- mezzo di qual t)r      tra cola pensi tu principalihénte, che ih possami * tip*  prender cose, è forse per mezzo di alcun’ altra, che  per quella, che è convenevole, e giustissima per U  Vicendevole tomunicanza loro, Cioè se in qualche modo sono insieme in parentela congiunte, e per toro  stesse msssimàtneute? perciocché quello, che è diver*  ib da lord divèrsa cosa significa non quelle. cu.*- A -  me pare, che tu dVil vero. ioc.-'-Deh d\, non abbia^  tìio noi conceduto già molte volte, che siano : i nohàiy  i quali Spn posti bene ‘similissimi a quelle‘‘Cose, d'i cup  Son nomi*, e imagini loèo? ’ Cr. -< Per certo l'abbiamo  conceduto, soc.— Dunque se lecito; è di imparar le'  Cose per li nomi,i e' per loro-stésse ancora, qual sa-'  rebbe apprensione ‘più eccellente, e più chiara: Corse'  se dell’imiigine si imparasse, esprimendone ella 'beilo'  la verità di oui è ella imagine, o più. 'tosto dalla ve^  rilà còsi ella, eome la imagine di 1 lei, se essa fosse  fatta Convenevolmente? ‘ Cri— Mi par ' necessario dalla  verità- 1 Sòc.— Egli Rppar fattura d’ingegno maggiore'  del mio e del tuo, il giudicare in che modo siano da comprendersi le cose, o per dottrina, o per invenaione. Basterà poi al presente, che siamo fra noi- convnuti, che elle non siano da impararsi,’ ie da cercarsi/ i  da' nomi: ma per loro stesse più tosilo.;' er.-i*Cos«i «p*v  perisce, o Socrate, sóc.— Appressò- considenaino/anco- ■«  ri' questo, acciochè questi molti nomi nello stesso/ tercw!  denti ‘boa ci ingannino, avendo pensato, ehi si posero,/  •he Mute le cose corressero scazp(é, e . socrressi.ro, ci       I    Ì9 «f   «on quella considerazione «tendali polli, parendome, che essi abbiano pensato in colai guisa. Ma se a  caso, non se ne starebbe egli eoa). In vero essi quasi  sdrucciolati in certa vertigine vacillano, e ai travaglia,  no, e nello .stesso tirando noi, ci alludano. Perchè considera, o Cratilo, uomo maraviglioso, che io spesse voi*  te sogno, se è da dirsi, clic sia alcuna cosa il bello, e  il buono, e Cosi qualunque degli enti, oppur uò? ca. O Socrate a me par si. aoc.— Dunque consideriamo  questo, se alcun viso, o alcuna delle cose silTalte sia  bella, parendo, che scorrino tutte: ina quello, ebe di-,  ciomo bello non persevera sempre tale, qu.de è egli?,  c*.— Necessario è. soc. — Dunque è possibil forse, cha,  egli si denomini bene, se (ugge sempre, e primieramen-  te si dica ciò, che egli sia, poscia quale sia? o neces-  sario è mentre parliamo, che egli si faccia altro incon-  tinente, e si fugga, nè più sia tale? cr.— Egli è necessario. SOC,— In che modo sia quello alcuna cosa;  che non se ne sta mai nella stessa maniera? percioc-,.  cbè se alcuna volta se ne sta nello stesso mod'>, chia-  ro è, che non si muta niente in qui 1 tempo, «die «c  do sta cosi: ma se slà sempre uella stessa guisa, ed è  il medesimo, in che maniera si potrebbe mutare, o mo-  ver non diseostaudosi punto dalla sua idea? cr.— tu  modo ninno, soc. Più oltre uè alcuno si conoscereb-  be facendosi altro e diverso incontinente, che se no ;  vico quello, che l’ idee conoscere. Sicché non si po-  trebbe conoscer più, che, < quale si sia, o come si ritrovai*®, ♦ per certo niiina c<jgoÌRÙ)taat$anosce 1* co*  sa, la quii conosce, non stendo ella;inalcuo modo»  cu.— figli è coese tei dii i socy7rMe,nè.onAOW* 0 CraltlPià  verisimiln che sùdice c©gi»iaioDe,,8e si nantanp tulle le  cose, -e «ente^sù-ffetow-iChèise la cognizione ppo ca«  desse da quello, onde è cognizione, si f cr m erebbe SCO* 1 *  pre,* e sarebbe sempre qognixione. Ma;se essa Specie anr  Cora di cognizione 'Si' dipartisse, in altea^pecie passe*  rebbe -insieme ilicognitionenè cogniaìone starebbe» che  sta' pdrileteamewtfe si 1 mutai non sia sempre cognizione»  d di ^aéSta' ragiorte,; no® 'sarài eli# nè ciò», che» & per  cò'dtfscel^i ttè fciè, éh« è r -per" dovérsi poposoere: ma se  ditèmprè'queito che conosce, >ed è qoelio ohe si co*  no sa e, «d è il bello, ed anche il buono, ed èoquàl*iB4  qnc degli enti, non mi pare che ciò che diciamo al  presente sia simile al flusso ed al portamento. Or se  questo se ne slà egli cosi, o come dicevano i settatori  di Eraclito, e altri molti non si può discerner agevol*  mente, non è ol^jtrid’qaaqèirfbf, jhp intelletto fidar  se stesso, e l’animo suo a’ nomi e raffermar sapiente  l’ootore del nome; e in colai guisa dispreggiar se stes-  so e gli enti, quasi, che niuna cosa sia vera: ma scor-  rano, e cadano tutte, conHMewfcne; e qual gli uomi-  ni malati delle distillazioni della testa giudichi, che  iimilmeule si dispongano le cose stesse in modo, che  si tengano tutte dallo scorrimento, o dal flusso. Peravventura, o Cratilo, egli è cosi peravventura è altrimenti  ancora. Dunque egli si dee investigar questo con aui-    Mo fòrte, e heriefaron dovendoti ammetter ^erolmen-  te: perciocché ancora tu sei giovane, e ti à beetetole  la età, e se ritroverai alcuna cosa iti investigante), ezian-  dio la dei compartire con esso meco. ca.— O Socrate, io vi attenderò e saprai certo, che ancor io al presente non sto senza considerazione; anzi in pensando,,  e in rivolgendomi molte cose per l’animo, pere a me,  che se ne stieno elle maggiormente in quel modo, che.  come Eraclito' diceva, soc.— Da qui innanzi o amico  poiché sarai ritornato, mi insegnerai: ma qra come sei.  apparecchiato vattene al campo; perchè ancora Ermogene ti accompagnerà, ci.— -Si farà, o Socrate, come,  tu ammonisci.' ma d’intorno a quello aforzati ancora  tu di considerare. Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords: in torno al cratilo, ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la forma del linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Dionigi” – The Swimming-Pool Library. Dionigi.

 

Grice e Dionisio: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Mentioned by Cicerone was a philosopher of the Porch who liked to quote poetry when he was teaching. Grice: “So do I: never seek to tell thy love – for love its own pleasure – the four corners.

 

Grice e Dionisio Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A slave of Tito Pomponio Attico before being set free. Atticus and Cicerone often referred to him in their correspondence. He was evidently a man of learning who had studied philosophy.

 

Grice e Dionisio: la ragione conversazionale all’isola -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. The ruler of Siracusa, the nephew of Dion of Siracusa. Interested in philosophy, he invited Plato to his court, but Plato’s attempts to put his political ideas into practice were thwarted. Dionisio is eventually deposed and went into exile. Dionisio.

 

Grice e Dionisodoro: la ragione conversazionale e l’accademia a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademy. Flavio Mecio Severo Dionisodoro. Dionisodoro.

 

Grice e Diofan: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A tutor in philosophy and acquaintance of Plotino. He teaches that pupils should submit completely to their tutors, including sexually. Plotino was shocked by this, and asked Porfirio to come up with an argument to use against D. on this matter. Diofane.

 

Grice e Dionneto: la ragione conversazionale del prrincipe filosofo -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He was Antonino’s tutor, who first fired the future emperor with enthusiasm for philosophy. Antonino says that he learned from hin not to be distracted by trivia, to take a sceptical attitude towards those who claim to be able to work magic, and to avoid cock fighting. Dionneto.

 

Grice e Dioscoro: la ragione conversazaionale a  Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. D. or Dioscuro studies philosophy in Rome. He writes a letter to Agustino seeking to discuss a number of philosophical issues. Agostino replies at length, arguing that the issues are of no real importance. Dioscoro.

 

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