Grice e Dicante:
la ragione conversazionale e la diaspora
di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico,
a Pythagorean.
Grice e Dicerco:
la ragione conversazionale e la diaspora
di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Taranto). Filosofo italiano. According to Giamblico
di Calcide (“Vita di Pitagora”), a Pythagorean.
Grice e Diconte: la
ragione conversazioale e la setta di Caulonia -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Caulonia). Filosofo italiano. According
to Giamblico, a Pythagorean.
Grice e Dima: la
ragione conversazionale e la setta degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Crotone). Filosofo italiano. According
to Giamblico a Pythagorean.
Grice e Diocle:
la ragione conversazionale e la a setta degl’ottimati -- Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Crotona).
Filosofo
italiano. According to Giamblico, a Pythagorean – one of those who left Italy
when the Pythagorean communities there came under attack. According to Diogene Laerzio, a pupil of Filolao di
Crotona and Eurito di Taranto.
Grice e Diocle:
la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Sibari). Filosofo italiano. Pythagorean. Giamblico.
Grice Diodoro: la
ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A follower of the Gardener. He
committed suicide in a state of contentment and with a clear conscience,
according to Seneca.
Grice e Diodoro:
la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Palermo). Filosofo italiano. He writes a history of the world
that largely survives. The Library of Hstory is a valuable source of
information about the thought of antiquity. Ed. C. H. Oldfather. Diodoro Secolo. Diodoro.
Grice e Diodoro: la
ragione conversazionale e la rettorica filosofica -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. According to Suda, a philosopher
and the son of Polio Valerio. He
wrote on rhetoric. Diodoro Valerio. Diodoro.
Grice e Diodoto: la
ragione conversazionale al portico di Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo italiano. Member of the Porch, tutor of
Cicerone. He lives in Cicerone’s house. He
dies there and leaves Cicerone all his property.
Grice e Diogene:
la ragione conversazionale al portico a Roma
– filosofa italiana – Luigi Speranza
(Roma). Filosofo
italiano. One of a deputation to Roma – with Carneade and Critolao – before the
Senate. Thanks to the lectures he gives during his Roman holiday, many Romans
became interested in the Porch for the first time.
Grice e Dione: la
ragione conversazionale all’orto di Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He appears to have been a follower
of The Garden with whom Cicerone was acquainted but for hom he had little time
or respect.
Grice e Dione: la
ragione conversazionale del principe filosofo -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Cristostomo – Cocceiano – Taught at
Rome, became a philosopher thanks to the influence of Musonio Rufo. According
to Flvio Filostrato, he was acquainted with Apollonio and Eufrate. One of his
pupils was Favorino. He was banished from Italy by Domiziano.
Grice e Dione: la
ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma) Filosofo italiano. Philosopher. He was
honoured by a statue in Rome.
Grice e Dione: la
ragione conversazionale all’isola – Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A friend of Plato for years. He had
an erratic political career, sometimes seeking or managing to rule Syracuse
either directly or through others, sometimes in exile. During one of his
periods in exile he stayed at the Accademia. He was eventually assassinated.
Grice e Dionigi: la ragione
conversazionale e l’implicatura
conversazionale intorno al Cratilo – scuola di Barletta – filosofia barlettese –
filosofia pugliese -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Barletta). Filosofo barlettese.
Filosofo pugliese. Filosofo
italiano. Barletta, Puglia. Grice: “I like Dionigi; for one, he wrote on
Cratylo, which I love!” – Grice: “In Plato’s Cratylo there’s possibly all the
vocabulary you need to understand Peirce! As if Plato foreshadows C. W.
Morris!” -- “Postmodern Italians like Donigi, and they created a cocktail in
his honour! His philosophising on Socrates philosophising with Cratilo on
semeiosis proves Whiteheads’s dictum that all pragmatics is footnotes to Grice,
and all Grice is footnotes to Plato!” Si laurea a Barletta. Il suo primo saggio, sotto Althuser, Bachelard.
La "filosofia" come ostacolo epistemologico. Insegna Bologna. Centrale,
nella sua riflessione, e Nietzsche (Il doppio cervello di Nietzsche),
analizzato sia in chiave ermeneutica che logico-filosofica. Anche Bataille e un
lucido bilancio di Marx ("L'uomo e l'architetto”). Il processo di
ripensamento della sinistra italiana lo vide di nuovo impegnarsi in prima
persona. Si accostò poi alla filosofia analitica e alla svolta
"linguistica", vista come approfondimento della critica della
metafisica. Le saggi si concentrano sull'ermeneutica ("Nichilismo
ermeneutico”), sulla semiotica, segnatura, semantica antica (Nomi Forme Cose.
Intorno il “Cratilo” di Platone) e soprattutto sul pensiero di Wittgenstein (Definite
descriptions – descrivere -- La fatica di descrivere. Itinerario di
Wittgenstein nel linguaggio della filosofia), del quale condivideva pienamente
l'esigenza di ripensare il linguaggio (segnatura) come la "cosa
stessa" della filosofia. “Cocktail
Dionigi” e un documentario contenente testimonianze di alcuni dei maggiori
pensatori italiani su Dionigi, tra i quali Berardi, Bonaga, Picardi, Eco, Cacciari,
Marramao. Altre opere: Bachelard. La
"filosofia" come ostacolo epistemologico, Il doppio cervello di
Nietzsche, Bologna, Cappelli Editore, Nomi Forme Cose. Intorno al Cratilo di
Platone, La fatica di descrivere. Itinerario di Wittgenstein nel linguaggio
della filosofia: “Un filosofo tra Platone e il bar” – cf. Speranza, “Grice: un
filosofo tra Aristotele e il pub”. su
ricerca.repubblica, Cocktail Dionigi. The
development of Plato’s “Cratilo”. Commentaries on the Cratilo nella filosofia romana antica.
Cicerone e il Cratilo. Κρατύλος -- Sulla
correttezza -- dei nomi. Personaggi: Socrate, Cratilo, Ermogene. Il Cratilo è
un dialogo di Platone. In esso è trattato il problema del linguaggio, o meglio,
della “correttezza” -- dei nomi o espressioni. Protagonisti del dialogo sono
Socrate, Ermogene e Cratilo. La maggior parte dei filosofi concorda sul
fatto che venne scritto principalmente durante il cosiddetto periodo di mezzo
di Platone. Incontro tra Socrate, Ermogene e Cratilo. Formulazione del problema
e delle due tesi sulla ‘correttezza’ – corretto – lo corretto – di una
espressione o nome. Socrate incontra Ermogene e Cratilo, che stanno discutendo
attorno al problema del ‘corretto’di una espressione e viene messo a parte da
Ermogene delle teorie di cui sono sostenitori. Cratilo afferma infatti che una
espressione e “per natura” – physei -- ossia rispecchia realmente il reale; Ermogene
crede invece che l’espressione e non naturale, ma arbitrario (lo naturale,
physikos; l’arbitrario – thetikos --. deciso dall’uso e dalla
convenzione. Confutazione della tesi di Ermogene: Una espressione racchiude
in sé qualcosa della cosa (il reale) a cui si riferisce. Socrate comincia a
confutare la tesi di Ermogene, mostrando che una espressione non e solo
convenzioni, ma anzi rappresentano un qualcosa della cosa o del reale a cui si
riferiscono; contiene cioè una qualche caratteristica che la rende perfetta
nell'adattarsi alla cosa descritta. Lo dimostra il fatto che esistono un
discorso vero e un discorso falso. Poiché l’espressione (A, B) è parte del
discorso (A e B, S e P), è evidente che l’espressione utilizzata nel discorso
vero deve essere ‘corretta’. Quella usata nel discorso falso non lo e. Colui
che ha deciso l’espressione, il legislatore, uomo sapiente (the master) ha
infatti rivolto la sua attenzione all' ‘idea’ o concetto (implicatum)
dell’espressione, adattandolo poi a questa o quella necessità descrittiva,
adoperando sillabe e lettere differenti. Il legislatore crea una espressione
solo corretta, basandosi proprio sulla natura della cosa, del reale. Ha
qui inizio una sezione etimologica. Vengono presi in considerazione
l’espressione di dèi come “Tantalo” e “Giove” e viene parallelamente sviluppato
un eguale ragionamento sull’espressione delle qualità dell'uomo, come l' “anima”
o il “corpo”. In seguito si passa ad analizzare il ‘corretto” dell’espresione
degli astri, dei fenomeni naturali. Il ragionamento si dilunga sulle qualità
morali dell'uomo. Il corretto di una espressione si misura in base al
corretto degli elementi che lo compongono, le fonemi Dopo questa disquisizione
Socrate spiega ad Ermogene che l’espressione fino ad adesso analizzato e una
espressione composta (complexus). Questa caratteristica di essere un compost
(complexus) la rende suscettibili di un'ulteriore indagine: quella degli
elementi che lo compongono, come le fonemi. Le fonemi, o, più in generale,
l’elemento morfo-sintattico che forma l’espressione (“Fido is hairy-coated”,
Fido was hairy coated, Fido and Rex ARE hairy coated – l’espressione, deve infatti
riprodurre l'essenza della cosa, del reale, giacché è al reale che si riferisce.
Inizia qui l'analisi di alcune fonemi come rho e lambda. Cratilo si oppone a
questa tesi di Socrate. Sostiene che una espressione è sempre giusta, corretta,
propria, vera, perché è della stessa natura delle cose che descrive. Una sbagliatura
non è una espressione. Socrate comincia a confutare la tesi di Cratilo. Non è
possibile infatti dire che l’espressione e il reale a cui si riferisce siano la
stessa cosa. L’espressione “Fido is hairy coated” e il fatto che Fido is hairy
coated e proprio hanno qualcosa in comune, così come un ritratto di Alcebiade
racchiude qualcosa d’Alcebiade che reproduce. Tuttavia non sono due cose
uguali. Se si ammette questo fatto (e Cratilo, seppur poco convinto, lo fa)
bisogna allora ammettere anche che esistono sbagliatura e l’espressione
corretta, vera, giusta. Del resto un ritrattista può nelle intenzioni riprodurre
Alcebiade e poi essere dissimile. Cratilo contesta ancora a Socrate il
problema della conoscenza tramite il linguaggio. Se l’uomo conosce e apprende
il reale attraverso l’espressione, è evidente che non potrebbe esistere nessuna
conoscenza se l’espressione non fosse corretta, vera, giusta, propira, cioè se
l’espressione non fossero della stessa natura delle cose. Socrate sostiene
allora che un legislatore, all’adopere una espressione, non è detto che avesse
un'opinione giusta corretta vera del reale. Il legislatore infatti non poté
apprendere attraverso l’espressione, perché ancora non era stata inventata (cf.
muon). È possibile allora che abbia fatto dell’errore e ciò è dimostrato dal
fatto che una espressione puo non essere corretta, giusta, vera – atomo, anima,
ecc. Esiste un modo migliore per conoscere: non attraverso l’espressione, ma
attraverso il reale; solo il reale puo non essere contraddetto, mentre
l’espressione si presta a molteplici interpretazioni. La possibilità di una
conoscenza (opinione vera e giustificata) e del corretto dell’espressione
risiede nella stabilità del reale. Poiché la natura è stabile, e rimane sempre
uguale, allora è possibile denominarla con precisione. Cratilo si mostra
poco convinto e alla fine si allontana da Socrate insieme ad Ermogene. Ermogene
simboleggia la concezione sofistica del linguaggio. Per il sofista, a partire
dal italico Protagora, se “l'uomo è misura di tutte le cose”, ogni tipo di
espressione si adatta a seconda delle condizioni poste dall'uso. L’espressione
“Fido is hairy-coated” è puramente arbitraria – convenzionale. E possibile che
non c'è nulla in comune tra una espressione ed il reale (traspassa la fase
iconica). Tuttavia l'uso comune fra il mittente e il recettore ha permesso
quest'accettazione (arbitraria da parte del mittente) e si reputa ‘corretto’
spiegare che Fido è ‘hairy-coated (shaggy)’. Tuttavia ugualmente bene andrebbe
l’espressione "scoiattolo" o "cicala" giacché non sussiste
nessuna somiglianza tra l’espressione (“shaggy”) e il reale
(hairy-coatedness). Cratilo simboleggia invece la concezione naturale
(pre-iconica) della communicazione. Esiste un'assoluta identità tra espressione
e espressum, explicatura ed explicatum, implicatura ed implicatum, profferenza
e profferito. L’espressione è vera sempre, perché racchiude in sé la stessa natura
che pervade il reale segnato per il segno che e primariamente iconico. Ogni
espressione è un “indizio” (index, traccia, segnale) di conoscenza, di una
conoscenza meravigliosa, divina, quasi sacrale. Il segno è giusto perché il
primo legislatore a segnare il segnato fu come un dèo che, essendo perfetto,
assegna un segno (fa un segno – significa) perfetti al segnato. Una sbagliatura
non e un segno; Non tutto e un segno --. Platone fonda la sua concezione
della communicazione sull'ontologia. Per Platone è immediatamente evidente che
esista un segnato al di fuori del segno; è il segnato stesso a cui il segno si
riferisce. Bisogna infatti che esista un segnato perché esista una segnabilita.
Senza questo segnato, senza quest'essenza, rimarrebbe inutile segnare, giacché
non si dovrebbe indicare “nulla” con il segno, perché non ci sarebbe nulla da
indicare. Platone allora comincia dal Cratilo ad elaborare una teoria dell’idea
immutabile: di un'essenza stabile nella natura, che rimanga uguale ed
inalterata nel tempo e che renda valida la segnabilità. Più volte Platone fa
riferimento alla figura del legislatore e a quella del dialettico. La figura
del legislatore è la figura di colui che adopera il segno per riferirsi al
segnato. Si utilizza il termine legislatore in senso molto ampio, intendendolo
sia come uomo sia come divinità, secondo la concezione naturalistica di
Cratilo. Tuttavia si è visto come Socrate alla fine dubiti della infallibilità
del legislatore, poiché egli ha assegnato anche un segno errato. La figura del
dialettico rappresenta invece la nuova concezione del linguaggio elaborata da
Socrate. Secondo Cratilo non esiste altra conoscenza al di fuori del segno.
Platone invece è convinto che la vera conoscenza sia al di là del segno,
nell'essenza stessa del segnato. Se il legislatore è colui che crea il segno
sulla sua opinione riferendosi alla natura del segnato, il dialettico conosce
il segnato e in maniera approfondita e, di conseguenza, sa quale segno attribuire
al segnato (H2O). Tale segno (H20) sarà per forza corretto. Genette,
nell'opera Mimologie. Viaggio in Cratilia, parte dal discorso di Platone per
argomentare l'idea di arbitrarietà del segno. Secondo questa tesi, sostenuta da
Grice con il suo “Deutero-Esperanto” e il nuovo “High-Way Code”, il collegamento
tra il segno e il segnato non ha necessita di essere naturale (“A segna che p”
no implica “p”). Le idee sviluppate nel Cratilo, benché datate, storicamente
sono state un importante punto di riferimento nello sviluppo della prammatica.
Sulla base del Cratilo Licata ha ricostruito, nel saggio Teoria platonica del
linguaggio. Prospettive sul concetto di verità (Il Melangolo), la concezione
platonica della semantica, in base alla quale il segno avrebbero un legame
naturale, una fondatezza essenziale, col loro segnatum. Sedley, Plato's Cratylus,
Cambridge. Bibliografia ̈ Ademollo, ‘The Cratylus of Plato. A Commentary’, Cambridge.. Gaetano Licata, Teoria
platonica del linguaggio. Prospettive sul concetto di verità, Genova: Il
Melangolo, Luigi Speranza, “Platone e il problema del linguaggio” seminario.
Lettura e commentario di testi di filosofia antica. testo completo in italiano
e lingua greco antico. Traduzione integrale del Cratilo su filosofico.net, su
intratext.com. Il testo greco presso il Perseus Project, su perseus.tufts.edu. Sedley,
Plato's Cratylus, in Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy,
Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di
Stanford. Bibliografia su Cratilo. Dialoghi di Platone I tetralogia Eutifrone Apologia
di Socrate · Critone · FedonePlato-raphael.jpg
tetralogia Cratilo Teeteto Sofista Politico III tetralogia Parmenide
Filebo Simposio (o Convivio) Fedro tetralogia Alcibiade primo · Alcibiade
secondo Ipparco Amanti V tetralogiaTeage · Carmide · Lachete · Liside VI
tetralogia Eutidemo Protagora Gorgia Menone VII tetralogia Ippia maggiore Ippia
minore Ione Menesseno VIII tetralogia Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia IX
tetralogia Minosse Leggi Epinomide Lettere Opere spurie Definizioni Sulla
giustizia Sulla virtù Demodoco Sisifo Erissia Assioco AlcioneEpigrammi. Linguistica
Categorie: Dialoghi platonici CRATILO VEL DE RECTA NOMINVM RATIONE: TRANSLATVS
FICINO (si veda) ad Petrum Medicem uirum clariſſimum. A MARSILIO ec HERMOGENES.
CRATYLVS, SOCRATES. Is igitur sermonem nostrū et cum hoc Socrate conferamus:
CRAT. Vo: Io equidem, si tibi uidetur. HER. Cratylus hic ô Socrates, rebus
singulis ait natura inesse rectam nominis rationem, neqid esse nomen, quod
quidã ex constitutione vocant, dum vocis suæ particulam quandā pronunciat, sed
rectam rationem aliquam nominū & græcis et barbaris eandé omnibus innatam.
Percontor itags ipsum, num revera Cratylus sit eius nomen. Ipfe fatetur. Socrati
vero quod nomen, inquam: Socratesait.Nónne cæteris omnibus,inquã,id eft nomen
quo quenquocamus.Illenõ tibi tamen ait Hermogenes nomen eſt,nec etiã ſi omnes
homines teita uocarint. Dumýobfecro ut ſciſcitanti mihi quidnamdicat aperiat,
nihil prorſus declarat, sed me ludens, simulatſeſe aliquid uerſareanimo,quali
nõnihil hac de re intelligat,quod li uellet exprimere,cogeret
meidipfumfateri,eadēý dicere quæ ipſe dicit. Quamobrem libenter ex te audirem,
siqua ratione Cratyli uaticiniâ potes conījce se.libentius tamen fencentiam
tuam denominum rectitudine,fiquidem tibiplacet,audi rem. soc. Hipponici fili
Hermogenes,ueteriprouerbio fertur. Pulchra eſſe cognitü Prouerbia e
difficilia.Atquiilla nominū notitia haud parua res eft.Equidem ſi ex Prodico
illa quin quaginta drachmarum demonſtrationě iam olim audiffem, in cuius
traditione etiã hæc inerant, ut ipſeteſtatur, nihil prohiberet quin tu ſtatim
nominū rectitudiné intelligeres. cam porrò nun audiui, fed illamdrachmæunius
duntaxat. Quare quid in his uerû ſit, neſcio,inueftigare autem tecum ſimul
&cum Cratylo paratus ſum.Quodautem dicit ti bi noneſſe reuera nomen
Hermogenes,quod à lucro dicitur, mordetteputo quaſi pecu niarum auidus ſis,
& impos uoti. Verum,ut modo dicebam, diſficilia hæc cognicu ſunt. Oportet
autem rationes utring in medium adducendo perquirere,utrum ita sit ut dicis ipse,
an potius ut Cratylus ait. HER.Enimuero ô Socrates,licet frequenter cum hoc cær
terisc permultis iam diſputauerim,nondum tamen perſuaderimihi poteft aliã eſſe
no minisrectitudinem, conuentionemipfam conſenlionemě.Mihi quidē uidetur quod
cungnomen quis cuig imponit, id eſſerectů.Acſi rurſus comutat,aliudó imponit,
ni hilominus o primum, quod illi ſuccedit nomen rectấexiſtere, quemadmodüſeruis
no mina cómutare solemus: nulli quippe rei natura nomē ineſſe,fed lege &uſu
illorum qui fic uocare conſueuerunt.Quod quidem ſi aliter ſe habet,paratus ſum
non à Cratylo tan tum,uerumetiã àquouis alio diſcere ac
audire.soc.Forte'aliquid dicis Hermogenes: Conſideremusitap. quodcũq imponit
quis cuinomen uocato, id illi nomen effe af feris:HER.Mihi ſane'ita uidetur.
Soc. Et ſiue priuatus uocet, ſiue civitas. HER. Affero. soc. Quid vero si
ipſerem aliqua vocem, veluti fi quem nunc hominem vocamus, ego “equum” nominē,
quem'ue equum, hominē: publice quidem erit eidē homo nomen, pricatim “equus”,
&priuatim rurſus homo, publice “equus”. Ita loqueris: HER.Ita uider.soc. Diciterum
num aliquid nuncupes vera loqui, aliquid loquifalſa. HER. Equidem. Soc. Nónne
illa quidem uera erit orario,hæcaūtoratio falſa: HER.Ita prorſus. So c.Illa
uero Quæ oratio oratio quæ existentia dicit ut exiſtűt, vera est,quæ ut no
exiſtűt, falsa: HER.Certe. soc. uera, quæ Est autem hoc,oratione,ea quæ ſunt,
& quæ non ſunt,dicere?HER.Idipfum.soc. Ora- falfa cio quæ uera eſt,utrum
tota quidem eft uera,partes non uerærher. Imò&partes ueræ. soc. Vtrữ partes
magnæ ueræ,exiguæ uero particulæ fallæ,an ueræ ſunt omnes. HER. Omnes arbitror.
soc.Habes orationispartem aliquã minorēnominer HER.Nequaç, Orationis hęceſ pars
minima.so c. Et NOMEN quidē hoc pars orationis ueræ.H ER.Proculdubio. pars
minio soc.Pars utiq uera,utais ipſe. HER.Vera.soc.Pars autem falfa.HER.Aio.
soc. Licet ma eſt nos ergonomen uerű, & nomen falſum dicere, fiquidē &
orationem.HER. Quid prohibet, men soc. Quod quis cuiq nomen esse ait,id & cuiq; nomen eft?
HER. Idipſum. soc. An etiam quotcungquis nomina cuique tribuit,totidem erunt:ac
etiam quandocuno tri buit HERM. Haud equidem habeo Socrates, aliquam præter
hanc nominis rectitudinem am rerum ipſas effe dinens, ut uidelicetliceat mihi
quidē alio rem uocare quodipfe impoſuinomine,tibiay tem alio quod tuimpoſuifti.
Ita equidem in ciuitatibus uideo eorundem ppria quædam haberinomina, &
Græcis ad alios Græcos, & Græcis ad Barbaros. soc. Animaduerta. Mus Hermogenes,utrum
resipilaita se habere tibiuideantur, utpropria rerum apudu Sententia numquenq
effentia fit, quemadmodum Protagoras tradidit: rerum omnium dicens ho Protagoræ
minem effemenſuram, ita ut qualiamihiquæq uidentur,talia & mihiſint: item
qualiad circa eflenti big& tibi talia. An potius quædam eſſe putes, quæ
effentiæ ſuæ quandã habeant firmita rém.HER.QuandogóSocrates,dubitansad hæc
deductusfum, quæ tradit Protagoras. Ita tamen effe haud fatis mihi perſuadeo.soc.
Nunquid & ad hoc aliquando es dedu ctus, ut tibinequaquam uideretur aliquem
eſſe hominem omnino malum: her. Non per louem.imò fæpenumero ita fum
affectus,utexiſtimarem hominesnonnullosomni nomalos effe, & quidem
plurimos.soc. Prorſus autem boninulliadhuc cibi ufi funt HER. Admodum pauci.
soc. Viſi ergo ſunt aliqui.HER. Aliqui.soc. Quaratione hociudicaschac ne omnino
quidem bonos eſſe,omnino prudêtes: prorſus vero prauos imprudentes omnino:
HER.Mihi fane'ita uidetur.soc. Si Protagoras uera dixit, eſto hæcipfa
ueritas,ut qualia quæą cuiq uidentur, talia ſint fieri'ne poteft,ut alij
hominum prudentes ſint,imprudentes alí:HER.Nequaquam.soc.Atqui hæc, ut
arbitror,tibi omnino uidentur,cum uidelicet prudentia quædam & imprudentia
fic,Protagorā baud omnino uera loquipoffe.Neqenim alter altero reuera
prudētiorerit,fi quæcuiquiden Sententia tur,cui uera erunt.HER.Ita eft.Atneqz
Euthydemoaffentiris, utarbitror,dicenti om Euthydemi, nia omnibus eſſe ſimiliter
ac ſemper.Nec enim ali boni, alí mali effent,fiſemper & æ nibuselle û que
omnibus & uirtus ineffet & prauitas. HER. Vera loqueris. soc. Ergo
fineqom. militer, ac nia omnibus inſunt ſemper ato ſimiliter,ne cuiq proprium
unumquodq, cõſtat res femper quæ effentiam quandam firmam in fe habent,ne® quo
ad nosneæ ànobis per imaginationem ſurſum deorfumą diſtractæ, fed fecundum
feipras quoad ipsarum elfen tiam ut natura institutæ sunt permanentes. HER.
Idem mihi quoq uidetur Ô Socrates. soc.Vtrum res ipsæ ita natura conſiſtunt, actiones
autem illarum non ita, ſed aliter: an & actiones ipsæ similiter quædam
rerum species ſunt: HER. Et ipfæ omnino. soc. Ergo actiones ipfæ secundum
naturam ſuam, non ſecundum opinionem noftram fiunt. Quemadmodum finosrem quampiam
diuidere ftatuamus,utrum ſic diuidēdares quæ que eft,utnos uolumus, & quo
uolumus: an potius ſi unumquodqs diuidamus ſecun dum naturam qua diuidere &
diuidioportet, item eo quo ſecundum naturam diuiſio fieri debet,diuidemus
utiqrecte, & aliquid proficiemus,ac recte iftud agemus: Sinau tem
præternaturam,aberrabimus,nihilg proficiemus? HER. Mihi quidem ita uidetur.
soc.Atqueetiam ſicomburere aliquid aggrediamur,non fecundum omnem opinio nem
comburereoporter,fed fecundum opinionem rectam. hæc autem eſt qua ratione
naturaliter quode comburi debet atæ comburere,& quo debet. HER. Vera
hæcfunt. soc.Nónne eadem decæteris ratio: HER. Eadem.Soc. Annon & dicere
una quæ dam operationữeſt: HER.Eft plane.soc.Vtrum rectedicet, qui ut ſibi
dicendum ui detur, ita dicitran potius qui ita dicit,utipſa rerum natura dicere
diciç requiritiet fi quo natura exigit,eo & dicat,aliquid dicendo
proficiet:ſin aliter,aberrabic:nihilós efficier. HER.Ita equidem
utais,exiſtimo.soc.An non dicendipars quædam est NOMINARE: & quinominant, loquuntur
quodamodo? HER.Omnino.soc. Et nominare actio quæ dam eft: quando quidem &
dicere actio quædam circa res eft. HER. Prorſus. soc. A. Ationes autem nobis
apparuerunthaud ad nos reſpicere, fed propriam quandam ſui ha bere naturam. Her.
Est ita.so c.Nominandű itaq; ea ratione qua rerum ipsarum natu. ra nominare ac nominari
poftulat, & quo poftulat, nõ autem PRO NOSTRÆ VOLVNTATIS ARBITRIO,liftandum
est in his quæ dicta sunt. HER. Sic
eſt.s o c. Ato ita aliquid per agemus, nominabimusý, aliter uero nequaquam. HER.
Apparet. soc. Quod incidendum eſt, aliquo incidendű. HER. Aliquo.soc. Et quod
texendữ, aliquo certe texendű, quodue perforandum,aliquo perforandū. HER. Plane. soc. ltem quod
nominandũ, aliquo nominandum. HER. Sic oportet. soc. Quid illud, quo aliquid
perforareoportet? HER. Terebrum. soc. Quid quo texere: HER. Radius pecteng.
soc. Quid quo nomina. Reč HER. NOMEN. soc. Beneloqueris, ideog inſtrumentum
aliquod nomen eft. HER Ert Eft. soc. Si quærerē quod inſtrumentū eſt
radiuspectený, reſponderes quo teximus: HER.Non aliud.soc.Texentes uero quid
facimus, an non fubtegmen & stamina confusa, radio diſcernimus. HER. Iſtuc
ipſum.so c. Idem de terebro ac cęteris reſpondebis: HER. Idem. soc. Potes & circa NOMEN similiter declarare, quid facimusdum
nomine Nomen, res ipso quod inſtrumentū eſt, aliquid NOMINAMVS (H. P. GRICE. “I name”). HER. Nequeo. soc. Nűquid
docemus tias docen's inuicem aliquid, ac res ut sunt discernimus. HER.Nempe.
soc. Nomen itaqrerű ſub di discernen Itantias docendi discernendig inſtrumentū
eſt, ficut pecten & radius ipſe telę. HER. Sic diğinftru eft dicendű. soc. Radiusporrò
textorių eſt inſtrumentū. HER. Quid nir'. SOCR.Texcor mentum icaç radio ac
pectinerecte uterur, recte, inquā, ſecundű texendirationē. Ille uero quido cet, nomine Pombaur,
& recte, recte uidelicet ſecundű docendi propriâ rationē: HER. Cer te.soc.
Cuius artificis operebene Pombaurtextor, quando radio pectineś Pombaur: HER. Fabrilignari.
soc. Quiſque'nelignarius faber,an potius quiartē habet? HER.Quiha.
betartē.soc.Cuius item opere recte perforator Pombaur? HER.Aerarijfabri.soc. Num
quiſqz eſt faberærariusè an potius quihabet artem: HER.Quiartē. soc.
Ageergo,dic cuius opere ipſe doctorutatur,quotiesnomine uticur.HER.Neſcio.soc.
Allignare & hocneſcis: quis nobis tradit nomina quibus utimur. Her. Ignoro
& hoc. soc. Nónne lex tibi uidet nobis nomina statuisse HER. Videtur. soc.
Ergo legislatoris Pomba opere doctor ,quádo nomine ipfo Pombaur. HER. Opinor. soc.
Códitor legis quilibet tibi æque uidetur, an quiarte eſt præditus. HER. Arte
præditus. soc. Quarenö cuiuſcunq uiri eſt Hermogenes NOMEN IMPONERE,uerũ
cuiuſdam nominữautoris. hic autem etiam, ut videtur, NOMINVM INSTITVTOR,
quirarior omni artifice inter homines reperit. HER. Apparet. Soc. Animaduerte
obſecro, quô reſpiciens NOMINVM INSTITVTOR, NOMINA REBVS IMPONIT:imò ſuperiorű
exempla dýjudica, quò reſpiciens faber radium pecteng cõficit. non nead tale
aliquid quodad texendum natura fit aptum: HER. Prorſus. soc. Siin ipſo operera
dius hic frangatur, utrum alium iterű fabricabit ad fracti iſtius imaginēžan
potius ad ſpe ciem ipfam reſpiciet, ad cuius exemplar radium qui fractus
eſt,fecerat: HER. Adipſam ut arbitror, speciem.soc. Nón ne speciem ipfam merito
ipſius radij rationé,ipſum pra dium maximenominabimus: HER.Opinor.soc. Siquãdo
oportet cõficiendæ ueſtite nuiuelcraſſiori lineęſiue laneę,ſiue cuiuis
alteriradiữ apparare, radios singulosoportet ſpeciem radīj ipſius habere:qualis
uero cuiqznaturaliter eſt accómodatiſſimus,talem ad opus peragendű, VT NATVRA
POSTVLAT, adhibere. HER. Oportet ſané.soc.Eadem de cætè ris inſtrumétis
eftratio.Nam quod natura cui & congruit; instrumentũadinueniendum eſt,atq
id illiattribuendű,ex quo efficitno qualecunq uult quifabricat, ſed quale natu
ra ipſa exigit. Terebrum nam cuiæ accommodatum ſcire oportetin ferro perficere.
HER. Patet. soc. Radium quinetiam singulis competentem in ligno. Her. Vera hæc
ſunt.soc.Quippeipfa rationenature alius radius telæ alteri competit, & in
alijs eodem modo.HER. Sane. soc. Oportet quoguir optime, ucillenominum inftitutor
nomen Quomố no natura rebus ſingulis aptű in uocibus & fyllabis exprimat,
ad idý reſpiciés quod ipſum minabit qui nomen eſt, ſingula nomina fingat,atque
attribuat, li reuera nominum autor eſt futurus. recte nomi Quod ſinonñſdem
ſyllabis quiſq nominum conditornomen exprimit,animaduerten dum eſt, quod neq
fabriomnesærarñ eodem in ferro id faciunt, quoties eiuſdem gratia idem
fabricant inftrumentum. Verum quatenus eandem ideam attribuunt, licet in alio,
& alio ferro,eatenus recte ſe habet inſtrumentum,ſiuehic,fiue apud Barbaros
fabricēt. Nónne; HER. Maxime. soc.Nónne & eodem modo cenſebis,donec
inſtitutor no minum quiapud nos eſt, & qui apud Barbaros, nominis speciem
cuim cõpetentem tria buunt,in quibuslibet fyllabis nihilo deteriorem efle unű
altero in nominibus imponena dis: HER. Equidem. SOCR. Quis cogniturus eſt utrum
conueniens radij species cui cunqueligno fitimpreſſar num faber qui efficit: an
textor uſurus. HER. Probabile eft ô Socrates,magis eữ quieſt uſurus,
cognoſcere.soc. Quis lyræ fabricatoris opereuti tur:nonne ille qui fabricantem
inſtruere poteft, & opus recte'ne an cótra factâ fit,iudia care: HER. Omnino.soc.Quis
ergo: HER.Cithariſta.soc.Quis autem opere ſtructo. ris nauiữ. HER. Gubernator.soc.Quis
item nominữ conditoris operioptime præſides, bit, & expletû dijudicabit
& apud Græcos & apud Barbaros: Nónne & quiuteſ: HER. Is certe.so
c.Annõ is eſt qui interrogare ſçitç HER. Iſte. $ 0 c.Idem quog reſpondere, HER
nabic zi HER. Nempe. SOC. Eum uero qui interrogare ſcit ato reſpondere, aliumuocas
i diale Dialecticus nouit recte cticum: HER.Dialecticum profecto.socr. Fabri
ita opuseſt temonem facere guber impofita no natore præcipiente,li bonus
futuruseſt temo. HER. Apparet. soc. Nominum quoq au
minarebus torisnomen, monentedialectico uiro, ſi modo recte ponenda ſunt
nomina. HER. Vera ſint, necne hæc funt. Soc. Apparet ergo Hermogenes haud leue
quiddam,utipfecenſes,nominis impoſitionem eſſe,neæ id effe imperitorum
&quorumuis hominum opus.NempeCra tylus uėra loquitur,cum nomina dicit
natura rebus competere, neg unum quemuis eſſa nominum autorem, sed illum
duntaxat quiad nomen reſpicit, quod natura cuiq conue. nit, pofteag ſpeciem eâ
literis ſyllabisq inſerere. Her. Neſcio Socrates qua ratione his quæ
dixiſti,lit repugnandã: forte'uero non facile eſt ſubito fic perſuaderi. Videor
autem mihi hâc in modumtibi potius aſſenſurus,fi oftenderis quam dicaseſſe
natura rectano. minis rationem. soc. Equidem ô beate Hermogenes,adhucnullam
dico, ferme'nama è memoria excidic quod dixerā suprà, meuidelicet
hocignorare,uerum una tecum per quirere. Nunc aucem mihi &tibi limul
inueftigantibus hoc duntaxat præter ſuperiora compertõeſt, rectitudinem aliquã
natura nomen habere, nec quemlibetpoffenomen rebus accommodare.Nónne:
her.Valde.soc.Conſiderandum reſtat, ſi noſſe deſide. ras, quænã ipſius ſit
nominis rectitudo,id eftratio recta. Her. Deſidero equidem.soc. Animaduerte igitur. HER.
Quauia inueſtigandâmones. soc. Rectissima estô amice, consideratio,ab his qui
ſciūt hæc perquirere,oblatis pecunis, & gratöjs inſuper actis:hi uero
ſophiſtæ ſunt, quibus frater tuus Callias multis erogatis pecunijs, ſapiês
euafiffe ui detur. Poftquam uero in res paternas iusnon habes,reliquũ eſt
fratrem ſupplex ores, ut te doceat nominâ rectitudinem quam à Protagora
didicit. HER.Quàm abſurda hæcel Veritas no, ſet petitio Socrates, fi cum illam
Protagoræ ueritatem nullomodo recipiã,ea quæ ex uc men ſcripci,ritate illa
dicuntur,alicuius precí æſtimarē.soc.Acuero ſi tibi hæc non placent,ab Ho aut
ironicũ mero cæterisý poetis est diſcendum. HER. Quid de nominibus, & ubi
Homerus ô Socrates,tradic:so c.Paſimmulta, maximauero & pulcherrimaſuntilla,in
quibus diftin guitcirca eadem quæ nomina homines, &quæ dö ipfi inducunt.
Annoncenfes ipſum in his magnificum alíquid & mirandumde recta ratione
nominữ tradere: Constat enim deos nominibus illis ad rectitudinem ipfam uti,
quæ natura conſiſtunt. Annon putas: HER. Certe equidem fcio,fiqua dij
uocant,recte eos admodum nominare. Verum quæ nam ista: Soc. An ignoras quod de Troiano
flumine, quod ſingulari certamine ca Vul cano pugnauit, inquit: quod Xanthứdijuocant,
uiriScamandrum.HER.Scio. SOCR. Annoncenſes magnificum quiddam cognitu
eſſehoc,qua ratione rectius fit flumen il lud Xanthű, quam Scamandrâ nominare. Item
fi uis, animaduerte &iftud, quod auem eandem dicit Chalcidem quidêa dřs,
Cymindin uero ab hominibus nominari. Leuem cognitionem hanc putas, ut fciat
quanto rectius fit eandem auem Chalcidem quam Cy mindin nuncupare, uel Batieam
aros Myrinen, alias permulta &apud huncpoetam &apud alios talia: Verum
iſtarữrerum inuentio acutius ingenium quam noſtrũ exigit. Scamandrius autē
&Altyanax quid ſignificent,humano ingenio, utmihiuidetur, com
prehendi,facile & percipi poteſt,quam rectitudinem eſſeHomerusuelit in his
nomini bus quibus Hectoris filium nuncupat. Scis ea carmina quibusinfunt,quæ
dico: HER. Omnino.soc. Vcrum iſtorum nominâ putasHomerum exiſtimaſſe conuenire
magis puero, Aſtyanacta'ne,an Scamandriã: HER. Ignoro. soc. Sicautem
conſidera:liquis te interrogaret, utrữ putes fapientiores rectius nomina rebus
imponere, an minus ſapien. tes,reſponderes ucią ſapientiores.HER. Sic certe. soc.Vtrũmulieresin
urbibus sapientiores eſſe tibi uidenč, an uiri: quantı ad genus attinet. HER.
Viri.so c. Neſcisquod in quit Homerus, Hectoris filium a Troianis Altyanacta,a
mulieribus Scamandriū nuncu patum: quandoquidem uiri illum Aſtynacta uocare
conſueuerűt. Her. Videtur, soc. Nónne Homerus Troianos uiros fapientiores, quam
mulieres eorũ exiſtimauit: HER. Arbitror equidem. SOCR. Aſtyanacta
igiturrectius quàm Scamandrium nominatum - esse cenſuit, HER.Apparet.SOCR.
Animaduertamusquam ipſe denominationishuius cauſam affert, Solus enim, inquit,
ciuitatem ipſis cutatus eſt amplas mænia. Quapro prer decet, ut uidetur, protectoris
filium nominare &svavaxta, id est regem urbis, urbis, inč,eius, quam pater
ipſiusſeruauit;ut inquit Homerus. HER. Idem mihi quocuider: Soc.Quod aức hoc
maxime;porrò &ipfe nondum fatisintelligo, ô Hermogenes. Tu vero percipis:
HER. Nõ perlouem.soc.Arqui & Hectori ó boneuir,nomen ipfeHo meras impoſuit.
HER. Quamobrem: soc.Quoniã mihi uidet id nomen Hector Aſtya
sactieſſequamproximum: ferme'enim idem SIGNIFICANT, putanta Græciutraq hæcno
mina regiaeffe. Cuiuſcunæ enim quis avaş, id eſt rex extitit,eiufdem eft &
fxTue, id eſt poſtelfor.Conftat enim dominari illi,pofliderecſ, & habere.An
forte'nihil tibidicere ui deor meg fallit opinio, quaHomeriſcientiam circa
nominum rectitudinem, ceu per ue ftigia quædam attingere cöfidebam: HER. Nullo
modo, ut arbitror. forte enim nonni hil actingis. SocR.Decet,utmihiuidetur,
leonis filiū leonem ſimiliter nominare, equi filium equum haud certe dico,
liquid tanquammonſtrum exequo nafcatur aliud quid dam quám equus: fed cuius
generis ſecundum naturam eſt quod naſcitur, hoc dico.Sies nim bouis fecundum
naturam filius equũ gignit,non uitulus qui naſcit, ſed pullus equi nus eſt
nuncupándus.Et fi equus præter naturam gignit úitulum,non pullus equinus di
cendus eſt hic,fed uitulus. Neqetiam ſi ex homine alia proles quam humana
producit, quodnaſciturhomo uocari debet.Idemg eſt dearboribus,dešcæteris omnib.
iudican dum.Probas hæc: HER.Probo equidem. soc.Obſerua me nequid defraudem.
Eadem quippe ratione,fiquis exrege naſcitur, rex eſt nominandus: in alíis uero
& alíjs ſyllabis idemlignificari,nihil intereſt, neck referc ſiue addatur
litera aliqua,ſiue etiã ſubtrahatur, donec ESSENTIA REI SIGNIFICATÆ IN IPSO
NOMINE dominacur.HER. Qui iſtucais:'soc. Nihil mirum nouum ue dico, uerű ita ut
in elementis fieri cernis, ſcis enim quod elementora nomina dicimus,ipfa uero
elementa nequaç, quacuor duntaxat exceptis.dicimus enim &utonów, o fixpou
& whéya. Cæteris autem tam uocalibus quam non uocalibus alias addentes
liceras,ut Båtte 4.7.c. nomina conſtituimus,atq;ita proferimus. Verum quo uſg
elementi ipſius uim declarată inſerimus, conuenit nomen illud uocare ipſum quod
nobis fignificet elementum, ut in Bizu apparet, ubi additis 8. 7.éc, nihil
obftitit quin in tegro nomine natura elementiilliusoſtenderetur, cuiusnominum
autor uoluit:uſquea deo ſcite literisnominadedit. Her. Vera mihi loqui
uideris.soc.Nónne eadē derege ratio erit: Erit ex regerex, ex bonobonus, ex
pulchro pulcher, &in cæteris omnibus fimiliter ex quolibet genere alterữ
quiddam tale,niſi monſtrữ fiat, eademq dicendano: mina.Variare autem licet per
fyllabas,ut uideantur homini rudi,quæ ſunteadem, eſſe di Gería. quemadmodữ
pharmaca medicorũ coloribus &odoribusuariata ſæpe cã eadem fint,nobis
diuerſa uidentur: Medico aūt uim pharmacorũ conſideranti eadem iudican tur,neß
eum additamēta perturbant. Similiter forte qui eſt in nominibus eruditus, uim
illorum conſiderat,neq; eius turbaſiudicium, liqua litera addita eſt, uel
tranſmutata,uel dempta, uelin alijs literisac multis eadē uis
nominisreperitur.Vteanomina quæ fuprà diximus, Altyanax &Hector, liceras
omnino diuerſas,præter folum habent, idem ta menſignificant. Item quod
&exémolis, id eſt,princeps ciuitatis dicitur, quam literarum communionẽ cum
duobus ſuperioribushabet: Idem nihilominus infert. Multaq; ſunt alia, quæ nihil
aliud quam regem SIGNIFICANT. Multa præterea ſunt, quæ exercitus du cem
ſignificant,ut čys, worém cedoOMG,.Alia item quæ medicinæ profefforem declarant,ut
ictportas, a xecik @ poro. Aliaó
permulta reperiri poflunt,fyllabis & literis diſcordantia, ui autem SIGNIFICATIONIS
penitus conſonantia. Sic ne & ipſe putas, an alia ter: HER. Sic certe.SOCR.
His profecto quæ fecundum naturam fiunt, eadem tribu enda ſuntnomina.HER.
Omnino. SOCR. Quoties uero præter naturam hominesali quifiunt in quadam fpecie
monftri, uelut quum ex bono pioq uiroimpius generatur, quigenitus eft,non
genitoris nomen ſortiri debet, ſed eius in quo ipfe eft generis:quem admodum
ſuprà diximus, ſi equusbouisprolem generet,non equum eiusfilium,fedbo uem
denominandum.HER. Siceſt. Socr. Homini igitur impio ex pio genito, non pa
rentis, sed generis nomen attribuendum. HER. Vera hæc ſunt.soc.Neque
igitur6tocosia Agy, id eft Deiamicum, nex uygoitzoy, id eſt Dei memorem, uel
talem aliquem huiuſmo diuocarefilium talem decet, sed contraria SIGNIFICANTIBVS
NOMINIBVS appellare, ſi modo recte nomina inſtituta effe debent.HER. Sic
prorſusagendum ô Socrates. soc. Profe dio Oreſtinomen recte,o
Hermogenes,uidetur impoſitum, fiue aliqua ſors illi nomen dedit, liue poeta
quidā, ferinam cius naturã agreſtē &moncanã nomine eo SIGNIFICANS. HER.Sic
apparet,Socrates.soc. Viderur &patri eius ſecundum naturam nomen esse. HER.
Apparet.soc. Apparet utiq talis efTe Agamemnon, utſibi laborandũcenſeat,to
lerandumý, &in ijs quædecreuit,per uirtutem perfeuerandã. Argumentũuerotoleran
tiæ ſuæ apud Troiam tanto cum exercitu perduratio prębuit. Quod igitur
mirabilisper feuerantia uir hic fuerit, nomen ſignificai Agamemnon, quali
ayasos 967 oli ümrovlu. Fortè uero & Atreusrecte eft nominatus.Nexenim
Chryfippi, & crudelitas aduerſus Thyeſten,noxiữ perniciofumo illum
demonſtrant.Vnde cognominatio parumperde clinat, & clam innuit,ut non
quibuslibet naturam huius uiri declarent:his autem qui no minum periti ſunt,
ſatis Atrei ſignificatio pater. Dicitur enim ſecundum erogès, afeger's atypów,
quaſiindomitus, inexorabilis, noxius contumeliofusq fuerit. Videtur & Pelopi nomen
haudab re tributum. Hominem quippe quæ prope ſunt uidentem,nomen iſtud congrue
significat. HER. Cur illi id conuenit: socR. Quoniam in Myrtilicæde, utfer tur,
prouiderenihil potuit, nec eminus pſpicere quãta toti generi ex hoc calamitas
im mineret. Quæ enim antepedeserant, &ad præsentia tantum respiciebat, hoc
autem eſt prope aſpicere: quod & fecit, cum Hippodamiæ coniugium omniconatu
inire conten dit. Vnde Pelopinomenawines, id eft,prope,& ontos, quodad
uiſionem pertinet. Tan talo quinetiam nomen natura ipſa uidetur impofitum, ſi
uera ſunt quæ circunferuntur. HER. Quænam iſta: soc. Quoduiuentiadhuc illi
aduería plurima &grauia contige runt,tandemý patria eius omnis fubuerſa
eſt. Defuncto præterea faxum in caput immi. net, ſors certe duriffima.
hæcprorſuscum nomine congruar, perinde ac fi quis nomina re THION to you,id
eft, inteliciſſimű uoluiffet, fed paulo locutus obſcurius, pro Talancato
Tantalum poſuifler. Taleutiæ nomen
fortuna eius aduerſa ipſorumore gentium præ buiſſe uidetur. Quinetiam patri
eius loui recte nomen eſt indicum,nec tamen facileco. gnitu.Eftenim uelut
oratio quædam louis nomen, quod quidcm bifaijā partientes,par tim una,partim
altera parte utimur. Quidamfive, quidamdia, uocani. Quæpartes in unumcópofitæ,
naturam dei ipſius oftendűt, quodmaxiinedebernomen efhcere por ſe. Nulla enim
nobis cæterisomnibus uiuendimagis cauſa eſt, quam princeps, rexo omniữ. Quapropter
decens nomen eſt hic Deus fortitus, per quem uita íemper uiuent bus omnibus
ineſt.Sectum autem in duo eft unum, ut diccbam,nomen,in diæ uidelicet ata awa.
Hinc Saturnifilium cum quis audiat, forte inſolentem contumelioſumópu tarit.
Verű probabile eft,magnæ cuiuſdam intelligentię piolem louem elle. Quod enin
Hóp - dicitur,non puerum ſignificat,ſed puritatem mentisipfius, & fynceram
integria tem. Est aurem is opavo, id eft, cæli filius,ut fertur. Quippeafpectus
ad ſupera merijo z pane uocatur, quafi opacz zecvw. Vnde affirmant,o
Hermogenes, qui derebusiutli mibusagunt, puram mentem adeffe, & recevo,
iure nomen impofitum.Siautem genealo giam deorum ab Hefiodo traditam mente
tenerem, & quos horum progenitores indu. cic,recordarer,haudquaq ceſſarem
oftendere tibérecte illis nomina infcripta fuiffe,quo ad huius fapicntie
periculü facerem,liquid ipſa proficiat peragator, & an deficiatnecne, quæ
mihi tam ſubito ignoro equidem unde nuper illuxit. HER. Profecto mitttiden som
Ô Socrates iliareorum quinumine capitatur, protinus oracula fundere. soc. Reor
equidem,ô Hermogenes,hanc in me ſapientiam ab Euclıyphrone Pantij filio
emanalie. Illi fiquidem aſtiti a matutino affiduus,auresó porrexi. Patet igitur
eum deo plenú non modo aures meas beata ſapientia impleuiſle, uerumetiam animum
occupalle. Sic utico agendum arbitror, ut hodie quidem utamur ipfa, &
reliqua quæ ad nomina pertinet, ini dagemus. Cras uero,fiin hoc conſenſerimus,excutiamuscam,
expiemusý, aliquem par ſcrutati,ſiuefacerdotem, feu ſophiſtam qui purgare hæc
ualeat. HER. Probo hæc maxi.
me Socrates. libentiſſime nang quæ de nominibus reſtant, audirem. soc. Ira
prorſus agendum. Vnde igitur potiffimum exordiendű iudicas,poftquam formulam
quandam præfcripfimus,ut pernoſcamusſi etiã nomina nobis ipía teſtantur non
caſu quodama. » ata fuiſſe,uerum rectitudinem aliquam continere: Nomina quidem
heroum atq;homi / num nos forte deciperent. horum nang multa ſecundum
cognomenta maiorum pofita) ſunt, & fæpe nequağ conueniüt, quemadmodã in
principio diximus.Multa uero ex uo ') to homines nomina tribuunt,ut UtuXidmW,
owciQ, Itópinoy, alia “ permulta.Talia itaq ) prætermittenda cenſeo.decens
eñconſentaneumg maxime reperire nos quæ in rebus ſempio Lempiternis &naturæ
ordine cõſtitutis recte ſunt poſita. Nam
circa iſta in condendis no minibus ftuduiffe maxime decet.Forte'uero
ipſorūnonnulla diuiniore quadam poten tač humanaſunt inſtituta. HER. Præclare
mihi loqui uideris,ô Socrates. soc.Nonne pareſtabipfisdíjs incipere, rationemý
inueſtigare qua bcos uocati ſunt: Her.Nempe, soc.Equidem ita
conício.Videnturutiq mihi Græcorum priſci deos solos putaffe eos, quos etiam
his temporibus Barbarorű plurimiarbitrantur, solem, luna, terrram, stellas,
calum. Cum ergo hæc omnia perpetuo in cursu esse coſpicerent,ab hac natura
moldatu få nominalle uidentur, deinde &alios animaduertêtes omneseodem
nominenuncu pale. Habeoquod dico uerifimile aliquid, nec'ne HER. Habetcerte. soc. Quid poft hac inucftigandum:
Conſtat de dæmonibus heroibusø & hominibus quærendum eſſe, HER. Dedæmonibus
primum. soc. Proculdubio Hermogenes.quidlibi uultdæmo. nun nomen animaduertenum
aliquid dicam.HER.Dicmodo.soc.Scis'nequos Hes Liolus claipovas effe inquit,
HER. Non.soc.Nec etiam, quod aureum genus hominum zitin principio extitiſſe?
HER.Hoc equidem noui. Soc. Ait enim ex hocgenerepoſt przſentis uitæ fara fieri
dæmones ſanctos,terreſtres,optimos,malorũ expullores,& cu licdes
liominum.HCR. Quid cum: soc.Nempe arbitror uocare illum aureum genus; no ex
auro conſtitutū, ſed bonum atos præclarum.quod inde conſcio, genus noftrum
fereum eſſe dicit. HER. Vera narras. Soc. Annon putas ſiquis nunc ex noſtris
bonus fc,aureihunc generis ab Heliodo æftimari? HER. Conſentaneum eſt.soc. Boni
autem anj sprudentes: HER. Prudentes. $ o c.Idcirco,ut arbitror,eosdæmones
præcipuenup cupat,quia fapiêtes d'ahuontsó erant.Et ex noſtraiſtud priſca
lingua nomen exiſtit. Qua obrem &is, & cæteripoetæ permultipræclare
loquuntur, quicunq aiunt uidelicet,poft quambonusaliquis uita functus eſt,
maximam dignitatem præmiumý ſortitur,fic & dæ monſecundum ſapientiæ
cognomentūIca & ipfe affero dæmuova, id eſt ſapientemom- nem efle hominem,
quicung ſitbonus, eumó dæmonicum effe,id eſt felicem,uiuenten » acc defunctũ,
recteý dæmonem nũcupari.HER Videor. mihi ô Socrates, in hoctecum s maxime
conſentire. soc. newsautem quid lignificar: Id nequaſ inuentu difficile.paur lo
enim heroumnomen ab originediſtac,indicans generationem illorum čre WTO
manaſſe. HER.Qua rationeid ais: soc. Anignoras ſemideos heroas effe: HER. Quid
tum: soc.Omnesutiq heroes uel ex amore deorũ erga mulieres humanas, uel amore
uirorum erga deas ſuntgeniti.Prætereaſi hocfecundã priſcam Acticorum linguam
con fideraueris, magis intelliges.reperies enim quòd pauliſper mutatū eſt
nominis gratia ex UTO,undeſunt heroes geniti: quod'ueaut hincheroum nomen eſt
ducium,aut ex eo quòd fapientes,rhetores fuerunc.facundi uidelicet, & ad
interrogandữ diſſerendűó promptiflimi,ziedy Aang dicere eft:Quare,ut
mododicebamus,Attica uoce heroes the tores quidam, & diſputatores & amatori
uidentur. Vnderbetorum ſophiſtarum gee nusheroica prolesexiſtit. Verum nõ
iſtud quidem difficile cognitu,imò illud obfcurű, quamob cauſam homines
ävbewmoi nominantur. habesipfe quid afferas: HER. Vndeid habeābone uir: Quin ſi
reperire quoquo modo poffim,nil cotendo, ex eo quòdtemo lius facilius“
quammereperturum ípero.so c.In Euthyphronis inſpiratione confider se
mihiuideris. HER.Abſc dubio.soc. Ec merito quidem confidis.Nam belle nimium
mihi nunc uideor cogitafle,ac periculü eſt niſi caueam, nehodie ſapiêtior quam
deceat, uidear euafiffe. Attende ad ea quædicã. Hoc in primis circa nomina
animaduertere de serves cet, quòd ſępe literas addimus, lepe ctiam demimus pro
arbitrio,dum nominamus, & a cuta ſæpenumero transmutamus, ut cum dicimus
dicíres: hoc ut pro uerbo nomen nor bis foret,alterum, inde excerpfimus, &
pro acuta fyllaba media, grauem pronūciamus. Jn alijs quibuſdam literasinterſerimus,alia
uero grauiora proferimus. HER. Vera refers. soc. Hoc & in ävegen O côtingit,utmihi
quidem uidetur.Nam ex uerbo nomen con ftitutum eſt,uno a excepto,grauiorig fine
effecto.HER. Quomodo iſtud ais 's o c. Itak" hominis nomen illud
ſignificat, quod cætera quidem animalia quę uident,non confide rant,neq;
animaduertunt,nec contemplantur: homoautem & uidet ſimul &contemu
platur,animaduertito quod uider. Hincmerito solus ex omnibus animátibus homočvrse @puro
eſt nuncupatus, qualiaabeau contemplans,quæ ön WT5, id est, uidit. Quid poft ce haqquæram: Anuidelicet quodlibenter
perciperem HER: Maxime.SOC. Succede D teftas reſtatim ſuperioribusmihi
uideturdeanima & corpore cõſideratio.Nam anima& cor pusaliquid hominis
funt. HER. Sine cótrouerſia. soc. Conemurhæc quem ad modū ſuperiora diſtinguere. Quærendum primodeanima
putas, utrecte Luxá nominata fuerit deindede corpore: HER: Equidem.soc.Vtigitur
ſubito exprimarn quod primumm. hinunc ſe offert,arbitror illos qui
ſicanimāuocitarunt,hocpocillimum cogitaffe, quod » hæc quoties adest corpori,
caula est illi uiuendi, reſpirandi,& refrigerandi uim exhibês: 9 & cum
primūdelierit quodrefrigerat,diffoluitur corpus,& interit.Vnde fuxlu noni
21 naffeuidentur, quaſi awatúzov, reſpirando refrigerans.Atuero, si placet, fifte
parumper. Videor mihi aliquid inspicere probabilius apud eos quiEuthyphronem
ſequütur,nım iftud quidem aſpernarenf,ut arbitror, & durû quiddã eſſe
cenferent. ſed uidean hoc ibi sit placiturű.HER. Dicmodo.soc. Quid aliud
animatibiuidetur corpus continae, uehere, & utuiuat & gradiatur efficerer
HER. Nil aliud.soc. Annon Anaxagoræ ce dis,rerum naturam omniẩmente quadam
& anima exornari ſimul & contineri: HIR. Credo equidem.soc.Pareſt
igitur eam potentia nominare quelw.quæ quan,naturan, oxa & xe, id eft uehit
& continet.politius autem fuxó proferſ.HER. Siceſtomninoji detur &
mihiiſtud artificiofius effe.soc. Eft profecto.Ridiculum aữc quia apparere, si
ita ut pofitüfuit, nominaret. Quod uero pofthoc ſequiſ corpusnonne owua
nücupis: HER.Certe.soc. Atquiuidełmihiin hocnominepauliſper ab origine
declinari. nen. pe corpushoc animæ omua, sepulchrâ quidam eſſe
tradunt:qualiipfa præſenti in tempo se ſic ſepulta:ac etiam quia animaper
corpus omualvd,ſignificat quæcung ohelwa lign ficare poteſt.idcirco & rivec
iure uocari. VidenturmihiprætereaOrpheiſectatores no mēhocobid potiſſimữpoſuiffe,q
anima in corpore hoc delictorũ det pænas, & hocci: cũſepto uallo
claudatur,uelut in carcere quodā,utolor ferueſ. Effeitac uolunthoc ita
utnominat,animęoãu ce ſeruandigratia clauſtrữ, quoad debita quæQ expendar,neq
literam aliquã adăciendam putant. HER. Dehis fatis dictum ô Socrates,arbitror.
Veri denominibusaliquorû deorum poſſemus ne ita utdeloueactum
eſt,conſiderare,fecun dum quam rectitudinēnomina lint impoſica: soc. Per Iouem
nos quidē ſimentem ha beremus Hermogenes, precipuũrectitudinismodấarbitraremur,faceri
nihil nos de dijs cognofcere,ne deipſis inquam, neq deipſorīnominibus quibus
iplifeuocant. Con ſtar enim illos quidem ueris ſenominibusnuncupare. Secundâ
uero recte DENOMINATIONIS modum exiſtimo, ut quem ad modülex in uotis ftatuit
precarideos, quomodocung nominarihis placet,ita & nos ipfos uocemus,tanğ
nihil aliud cognoſcētes.Recte não, utmihiuidetur,eft decretū.Quare, li uis,ad
hanc inueſtigationēpergamus,primo quidē díjs præfati,nosnihilde iplis
conſideraturos: neq; enim poſſe confidimus:fed de homini bus potius, qua
potiſfim opinionecirca deosaffectinomina ipfis inſtituerunt. Hoceñ à diuina
indignatione procul.HER.Modeſte loquiuideris ô Socrates, atqita prorfusa
gendum.soc. Nónneà Vesta fecundum legem incipiendű. HER. Sicutim decet. soc.
Quaratione éstav hanc nominatam dicemus HER. Per Iouem haud facile iftud inuen
9) tu.soc.VidenturprobeHermogenes PRIMI NOMINAM AVTORES non hebetes quidā
fuisse, verum acuti fublimium rerum inveſtigatores HER. Quamobrem: soc. Talium
quo rundam hominum inuentione nomina apparent impofita.ac ſi
quisperegrinaconlide. retnomina, nihil ominus quod ſibiuult, unum quodq; reperiret.quemadmodőhocquod nos
días, eſſentiam nominamus, quidam golov nuncupant,alij wvia.Primo quidem
ſecundum alterum nomen iſtorum, haud procula rationeuidetur rerum effentiam
ésiav uocari. & quia nos quod efteffentiæ particeps ésiav uocamus,ex
hocrecte éstæ poffet denominari. Superioresnoftriquondam šriav,tola
uocabant.Quinetiã ſi quis facrorí ritusanimaduerterit, exiſtimabit ſic
eosputaſſe quihæc poſuerűt.Etenim ante deosom nes Veltæ facra faceredecet eos,
qui effentiam omnium Veſtam cognominarunt. Qui item wola
nominarunt,hifermeſecundâ Heraclitum cenfuerüc fluere omnia femper, nihilo
conſiſtere.Cauſam igitur & ipſorum originem ducem ipſum wow, quod impel
lit.quaproptermerito ipſum wola impellentēcauſam nominari. Dehis hactenusitalic
dictų,uelut ab ijs quinihil intelligunt.Poft Veftam aất, de Rheaato Saturno
conſidera reconuenit, quanğ de Saturninomine in ſuperioribus diximus.Forte'uero
nihildico. HER.Curnam ô Socrates: soc. O boneuir, ſapientiæ quoddam examen
animaduer ti. HER. Quale iſtud: soc. Ridiculum dictu.habet tamen
nonnihilprobabile. HER: Quid ais: & quo pacto probabile.so c.Infpicere mihi
Heraclitum uideor, iã pridem ſa pienter nonnulla de Saturno Rhea tradentem, quæ
& Homerus dixerat. HER. Quid iftud ais:'s o c.Ait enim Heraclitus fluere
omnia,nihilo manere,rerum ipſarum pro - ce greflum amnis fluxuicomparás, haud
fieri poffe inquit,utbis eandem in aquam temerou gas.HER.Vera hæcſunt.soc. An
uidetur tibi ille ab Heraclito diſſentire, qui aliorum a deorum progenitoribus
inſeruitRheam atą Saturnữ:Nunquid putas temere illum no mina iſtis
impoſuiſſe.Quin & Homerus Oceanum deorum originem inſtituit, & The tyn
genitricem.Idemouoluit,utarbitror, & Heſiodus.Aitpræterea Orpheus, Oceanű
primum pulchrifluum cõiugium inchoaſſe, quicum Tethy germana ſeſua commiſcuit.
Vide ő maximehæc inuicem cõfonant,omniağ in opinionē Heracliti redeunt. HER.
Viderismihialiquid dicere Socrates. Tethyosautem nomēhaud fatis quid ſibiuelit,
in telligo. soc.Hocutißidem fermeſignificar:quoniam fontis nomēeſt
reconditů.Nam doctons & xlsus,id eſt ſcaturiens & tranſiliens, fontis
imaginem præ ſe ferunt, ex utrif queuero hiſce nominibusnomen tudúceſt
compoſitum. HER. Hoc quidem belliſi mum eſt ô Socrates.soc..Quid ni? Verum quid
deinceps:Deloue profecto diximus. HER. Siceſt.soc.Fratres autem eius
dicamusNeptunum atq Plutonē,nomeno aliud quo ipfum uocant.HER.Prorſus.soc.
Videtur Neptunusab eo qui primum nomina uit,idcirco mooddãy uocatusfuiſſe, quia
euntem ipſum marisnatura detinuit,nec pro, grediultra permitit,ſed qualiuincula
pedibus ipfius iniecit.Maris ita principem rood @ væ uocauit, quaſi qosideouov,
id eſt pedum uinculũ.& uero decoris gratia forte adie ctum fuit. Forſitan
nő hoc fibiuult,fed pro ar, a primo fuit pofitum, quafi dicat mom sidós, id
eftmultanofcens Deus,Fortaſſis ab eo quod dicitur códy, id eft quatere,okwu
ideft quatiens eſtnominatus, cuiw & d fuitadiectū. Plutonem autem quali
zašto, id eſt diuitiarī datorem dicimus, quoniam diuitiæ ex terræ uiſceribus
eruuntur:& dxs uero multitudo interpretatur, quali addis, triſte
tenebroſum'ue. Atæ hocnomen horrentes Plutonem uocitant.HER.Tuuerò quid fentis
Socrates. soc. Videnturmihi homines circa potētiam Deiiftiusmultifariam
errauiſſe,eumg exhorruiſſeſemper,cum minime deceat. Porrò quiſ ex
hocpertimeſcit,quòd nemo poftquam defunctus eſt,hucredit, quod'ueanimanudata
corpore, illucabit. Cæterum hęcomnia & regnum & nomen hư ius dei,eodem
tenderemihiuidentur.HER.Quo pacto: soc. Dicam quod fentio. Dic age. Vtrữ
horũualidiusuinculâ eft ad quoduis animal alicubidetinendű, neceſſitas'ne, an
cupiditas? HER. Longeô Socrates,præſtat cupiditas.soc.Annõ plurimi,&dw quo
tidie ſubterfugerent,niſi fortiſſimo uinculo eos quiillucdeſcendunt, uinciret:
HER. Vi delicet. Soc. Quare cupiditate quadam eos,utuidetur,potius ő
neceffitate deuincit, fi modouinculo nectitfortiſſimo.Her. Apparet.soc.Nónne
rurſus multæ cupiditates funt HER. Multę.so c.Ergo uehemētiſlimaoñiữ cupiditate
nectit eos, fimododebet inſolubilinodo conectere. HER. Certe.soc.Eft'neuehemētiorulla
cupiditas, ş ea qua quiſcrafficitur,dum alicuius conſuetudine meliorem
feuirūſperat euadere: HER.Nul..“ lamehercle Socrates.so C. Hacdecaufa dicendű Hermogenes,
neminem hucillincuel lereuerti, nec etiã Syrenesipfas, imò & eas &
cæterosomnes ſuauiſſimis Plutonis ora tionibusdemulceri.Éſtý,utratio hæcteſtat,
deus is ſophiſta proculdubio diſertiſſimus & ingentia confert his quipenes
ipſum habitãtbeneficia, qui uſ adeo diuitñs affatim abundat, ut tantanobis bona
ſuppeditet,unde & Pluto eſt nuncupatus. Annõ philoſo. phitibiuidet officium,
q nolithominibus corpora habentibus adhærere, sed tūc demữ admittateos,
cũanimus illorum eft corporeis omnibusmalis cupidinibus* purgatus:
Excogitauitnempehic deus hacratione fe animosmaxime detenturũ,ſi uirtutis eos
aui ditate uinciret. Eosautem quiftupore & infania corporis
ſuntinfecti,nepater quidem Plutonis Saturnus ipfe,fuis illis uinculis coercere
ualeret,fecumý tenere. HER.Nonni hil loquiuiderisÔ Socrates. soc.Longeabeft
Hermogenes utnomē& dos, quali cudes id eft trifte tenebroſum'uefit
dictâ,imoab eò trahiturquod eft sid qvac, id eſt noſle omia pulchra.Ex hoc itaq
deus ifteà nominữ conditore &dys eſt nấcupatus.HER.Quid præ terea dicimusde
Cereris nomine, Iunonis“, Apollinis & Minervæ,Vulcanig &
Martis,cæterorumýdeorum: soc. Ceres quidem dwuktor nuncupatur ab ipſa
alimentorī largitione, quaſi didolæ pektyg,hoc est exhibensmáter. Kex uero, id
eſt Iuno, quali fatá, id eft amabilis,propter amorem quo Iupiter in eam
afficit.Forte'etiam ſublimeſpectans quihoc nomen inſtituit,aeram,spav denominauit,
& obſcurelocutus est, ponensin fine principiữ quod quidem
patebittibi,finomen illud frequenter pronüciaueris. DefélQKT say,id eſt
Proſerpinam, & denómw nominare nõnulliuerent, propterea quòdillis ignota
eſt nominum rectitudo. Enimuero permutantes degregóvlw ipsam considerant,graue
id illis apparet. hocautēdeæ ipsius sapientia indicat. Sapientia utic eft quæ
resfluentes attingit,& aſſequi poteft.Quamobrem gegéraqemerito dea
hæcnominaretur,propter fapientiam, & Encolu, id eſt contacta, qepomlis, id
elt eius quod fertur, ueltale aliquid, Quocirca adhæret illi ſapiens ipſe édes,
quia ipſa talis eſt.Nunc autem nomen hocde. clinant,pluris facientes
prolationis gratiam ueritatem, utqepiqastav nominēt. Idem quoq circa Apollinis
nomen accidir. nam pleriq id nomen exhorrent, quasiterribile ali quid preſeferat.Annõ
noſti:HER.Vera penitus loqueris.soc.Hocaūt,utarbitror,hu ius dei potentięmaxime
cõuenit.HER. Quarationeso c.Conabor sententia meam ex primere.Nullű profecto
nomen aliud unum quatuorhuiusdei potentijs reperiri conue nientius potuiſſet,
quod & cöprehenderet omnes, & iplius quodammodo declaret musicam,
uaticinium, medicinam, & sagittandi peritiam. HER. Aperias iam.Mirum quiddã
nomen effe id ais.soc.Congrue quidem compoſitõeſt, conſonatý, utpote quod ad de
um pertinet muſicum. Principio purgatio purificationesø & ſecundum
medicinam,& ſecundum uaticinium,item quæ medicorum pharmacis peraguntur, ac
uatum incanta tiones expiationes, lauacra, & afperſiones, unum
hocintendunt, purum hominem & corpore & anima reddere. HER. Sic omnino.
soc. Nónnedeus qui purgat, ipse erit aro aówn & Ösp núwy,id eft abluensa
malis, solvens,q Apollo ipfe SIGNIFICAT? HER. Abſque Tubio.soc. Quatenusitap
diluitata soluit, uttaliū medicus, åpnvwy merito nuncupa tur. Secunda vero
divinationem uerumg &moww, id est simplex, quod idem eft, recte more
Theſſalicorű nominarehunc poſſumus.hinempe omnes deum hunc ámró uocãt.
Quatenusaấtási Boda wy, id eft ſemper iaculando arcu uehemens eft,ás Badawy
dicipo teſt,hoc eſt,perpetuus iaculator. Secundữueromuſicam, dehoc eſt
cogitandū quemad modum de eo quod dicit & nórolo & « xomis,id
eftpediſſequus,comes, & uxor, in qui. bus& ur & in alijsmultis,
idem quod ſimul ſignificat.Hic quoq && zónas ſignificant uerfionem quæ
ſimul & unaperagitur, quam cöuerfionem dicamus.Ea in cælis eft,quæ per eos
fit quos sónos uocamus:in cantu uero & quovia, quam dicimus ovuqwricw. Quia
in his, uttraduntmuſicæ & aſtronomiæ periti,harmonia quadā ſimulomnia
cõuertunt. Hicaấtdeusharmoniæ præfidet omonwy,id eft fimuluertenshæc
omnia,& apuddeos & apud homines. Quemadmodum igitoorkeudoy &
Oxóxosniv, id eft ſimuleuntem & ſimul iacentē,uocauimus anonovlov &
KOITIY, o in ermutantes, ita Apollinem nomi navimuseum qui erat &Mortondy,
altero a interiecto, quia æquiuo cũfuiſſetduro cum no mine.quod & his
temporib. ſuſpicati pleriq, ex eo q non recteuim nominishuius ani maduertűt,
perindehocmetuunt, ac si perniciem quandã SIGNIFICARET. Sed reueranomen
hocomneshuiusdei uires cõplectitur, quemadmodūſupra diximus. Significat eſlim
plicem,perpetuũiaculatorem, expiatorē & conuertentem. Muſarā uero &
muſicæno men,ab eo quod dicitpães, id eft inquirere,indagatione & ftudio
ſapientiæ tractõelt. agtá,id eſt Latona,à manſuetudine dicit,quia fic edereuwy,
id eſt prompta & expofita & Tibens ad id quodpetit quiſqs exhibendű.
Forte'uero ut peregriniuocãt:multinamga, tú nomināt, quod nomen tribuiſſe
uident,quia non rigida illi mens,ſed mitis,ideo agli, quali neopress,id eftmos
lenis & mitis ab illo cognominat. opruis, id est Diana, ex eo quòd aprejés,
quali integra modeſtaciz sit propter uirginitatis electionē. Forſitā etiã qua
fiageplisoge,id eft uirtutis conſciã, uocauit nominis inftitutor.Fortaffis etiã
dicta eft'Ar temis,quafi apo u des Chocous,id eft quafiilla cõgreſſum oderit
uiricum muliere.Vel enim propterhorâ aliquid,uel propteromnia huiuſmodinomen
eſt inſtitutű. HER: Quidue ro dióvvoos & espositor's O.Magna petis
Hipponici fili.Atqui eſtnominâ ratio his díjs inpoſitorâ gemina,ſeria uidelicet
& iocoſa.Seriã quippe ab alñs quære,iocofam aứcni hil prohibetrecenſere. locoſi
fanè & difunt: Dionyſuso eft didòs i ciroy id eſt uinida tor, qual tor,
quafi nobivuosioco quodã cognominatus. Vinum autem merito uocari potest oto 18s
quod efficiatut bibentes pleriq mentealienati, oisdocevouü exay, ideftmentem
habe rele putent. DeVenere Hefiodorepugnarenon decet,ſed concedere propter
ipfam ex dogo, hoc eſt ex ſpuma, generationē đopoditlw uocari.HER.Acuero
Minerua, ô Socra tes,Vulcanūča & Martem,cum fis Atheniēlis,ſilentio nõ
præteribis. soc.Haudquais decet.HER.Non certe.soc.Alterâ quidem eius nomen
quamobrē ſit impofitũ, haud difficile dictu.HER.Quod: soc. Palladē eam
uocamus.HER. Planè.soc. NOMEN hoc cenſendum eſt à faltatione in bello ductum
fuiſſe.porro uelfefe,uel aliud à terra attolles re ſeu manibusaliquid
efferre,dicimus cámay, & wameat,id eſt uibrare,agitare & agitari,&
ſaltare, & ſaltationem perpeti. HER. Ablo controuerſia, Palladem hac
ratione uocamus,acmerito.Her.Alterű eiusnomē quo pacto interpretaris: so c.
állwaữ quæris: HER. Id ipsum. soc. Grauius hocamice: vident prisci å blwaw
exiſtimare,quemad, modum hiquihis temporibusin Homeri interpretationibus
ſunteruditi.Nam iftorum plurimi Homerữ exponuntåbwaw tano mentem cogitationemg
finiſſe. Et qui nomi na inuenit,tale aliquid de illa fenfiffe uidetur,imò etiam
altius eam extollēs,utDeimen tem induxit, perinde ac fi diceret sleovõu, hoc
eftutens æ pro y externo quodam ritu, s uero & o detrahens,fortè'uero non
ita, ſed IGavónas, id eft,utpote quæ diuina cogno ſcat,præ cæterisomnibus
deoroli, id eſt diuina cognoſcentē, uocauit.Neqab re erit,li di xerimus
uoluiſſe illũappellareeam klovólw, qualiipſa in more intelligentia fit. Ipſe
poſt modữ,uel eciam pofteriores in pulchrius,ut uidebat,aliquid
producendo,Athenean de nominarunt.HER.Quid de Vulcano quem aquusov nominãt:
so'c. Quidais:Num ge neroſum ipſum páso- isogæ,id eſt luminispræfidem quæris?
HER.Hâc quæliffe uideor. soc.Hic utcuiq patere poteft, quiso eft,& x
ſibiuendicat.Vnde igas id est,lu minis preſes eſtdictus.HER. Apparet: niſitibiquoq
modo adhucaliter uideaf.s o c.An neuideatur aliter de Marte, interroga.HER. Interrogo.
soc. Siplacet, õpys, id eft Mars, dicitur fecundâ ãgger,id eſt maſculã, &
av dogov,id eſt forte. Quinetiã fi uolueris ob na turam quandã aſperam, duram
atq inuictã,immutabilemý, quod totumägøæby appella tur, ogy uocatum fuiffe, hoc
quo & Deo penitusbellicoſo cõueniet. HER. Prorſus.Soči Deosiam mittamus per
deos obsecro.Nãdehis diſſerere uereor.Adalia uero quecung uis,meprouoca,ut
quales Euthyphronis equiſunt, noueris. HER.Faciam utpetis,ſi unű deme
quæfiuero. meliquidē Cratylus Hermogenē eſſe negat. Inueſtigemus ita quid épus,id
eft Mercurii nomen fignificet,ut fiquid ueri hicloquit,uideamus.soc. équis, id
eſt Mercurius, adſermonē pertinere uidetur, quatenus égjelw rús eft, hoc eſt
interpres & nuncius, furtiuús inloquendo ſeductor,ac uehemens concionator.
Totum id circa fer monem uerfatur.profecto quemadmodum in fuperioribus diximus,
kedy ſermonis eſt uſus.Sæpeuero dehocHomerusait £ukcal, id eft machinatuseſt. Ex
utriſq igitur no. men huius dei componit,tum ex eo quod loquieſt,tum ex eo
quodmachinari & exco gitare dicenda, perindeac ſi nominis autornobis
præciperet: Pareſt, ô viri, ut deum illa quiaipfufukcal, id eſtloquimachinatus
eſt, sipíulw uoceris. Nos aấtarbitratiſice legan tius eloqui, éguli uocamus. Quinetiam
ies, ab eo quod apdu, id eſt loqui, nomen habet, propterea quod nuncia eſt. HER.Probemediusfidius
Hermogenē elleme Cratylus ne gauilfe uidetur. Adorationis enim inventionem
hebes ſum.Soc. Conſentaneâ quoc amice, wową biformem filium efle Mercurî.HER.Qua
rationer'soc. Scis quòd fermo # aw,id eftomne ſignificat,circuitý & uoluit
ſemper,eſtó geminus uerusuidelicetac falsus: HER. Equidem. soc. Annon id quod
eſt in ſermoneuerum,leue eftatæ diuinâ, ſu praç in dñshabitans.Contrà quod
falſum,infrà in hominữmultis,afperű ato tragicũ: Hincenim fabularum comenta
& falfa & plurimacirca tragicam uitam reperiunt.HER. Sic eft
omnino.soc.Merito igitur quiefttaw, id eft totâ nuncians, & æs monasy, id
eſt femper uolutans,7 dezóros biformisMercurij filiusdiceret, ex ſuperioribus
partibus lenis ac delicatus, ex inferioribus aſper atok hircinus.Eftg
Panuelipſe ſermo,uel ſermo nis frater,fiquidem eſt Mercurij filius.Fratrem uero
fratri limilem effe quid mirum: Ce terüiã o beate, ut & paulo ante rogabā,
ſermonem dedñshunc abrumpamus. HER. Ta. les quidem deos,li uis,mittamuso
Socrates, huiuſmodiuero quædam percurrere quid prohibet. Solem, lunam, ftellas,terram,
ætherem,aerem,ignem, aquam, ver & annum: D soc. Multa funt acmagna quæ
poftulas. Sicamen gratum tibi futurum eſt,obfequar. HER. Pergratum plane.soc.
Quid primum poſcis: an utipſenarrabas in primis stov, id eft folem; HER. Profecto.soc.Manifeſtius id fore uidetur, li Dorico
nomine quis uta tur. Dorici enim asoy
uocant,ato ita uocatur ſecundữ &nizdv, id eſt ex eo quodcongre gat in unum
homines,cum exoritur. Item ex eo quod circa terram &scina, id eſt ſemper
reuoluitur.Præterea quia uariat circuitu ſuo quæ terra naſcuntur. Variareautem
& duo. agy idem eft. HER. Quid uero de anlws, id eft luna,dicendum:
soc.Nomen hocui detur Anaxagoram premere. HER.Cur.soc. Quoniam præ se aliquid
fert antiquius, quod ille nuperdixit, quodlunaà fole lumen haurit. HER.Quo
pactors o coenas idem eſt quod lumen; HER. Idem. SocR.Lumen hocperpetuo circa
lumen voy & güvoy eſt id eſt nouum ac uetus,limodo Anaxagoriciuera
loquuntur:nam circûluſtranseam con tinue renouatur, Vetusautem eſtmenſis
præteritilumen. HER.Vtig. soc.Lunam qui dem odavalav mulcinominant. HER.Certe.
soc. Quoniam uero lumen nouum acue tus ſemperhabet,merito
uocarideberetadægurteoddam Nunc autem conciſo uocabulo ahavice uocatur. HER.
Dithyrambicum nomen hoc eſt, ô Socrates. Verum uave, id eftmenſem:& äspe
quomodo interpretaris. soc. Menſis quidem várs recteab vas. atroce, id eſtàminuendo,
iure nuncuparetur. Astra uero & sectic, id eſt coruſcationis co gnomentum
habent. « Soekautem quia au o ads avasosqe, ideft uiſum ad fe conuer. tit,
ánæspon á dici deberet, nunc cõcinnioriuocabuloaspauinominal. Her.Vnde no men
trahil mie & idap, id eft ignis & aqua:' Soc. Ambigo equidē,uideturg
autMuſa meEuthyphronisdeſeruiſſe, authocarduum quiddam effe. Aduerte obſecro
quò confu giam in omnibus quæcunq dubito. HER. Quonam: soc. Dicam tibi.ſcis ipſe qua ratio ne wüe nominat: HER. Non
hercle.soc. Vide quid dehoc ſuſpicer.Reor equidêmul ta nomina Graecos a
Barbaris, eos preſertim quiſub Barbaris ſunt, habuiſſe. HER. Quor ſum hæc.soc.Siquis
rectam iſtorũ impoſitionem fecundum græcã uocem quærat,non ſecundum eam qua eſt
nomen inuentũ nimirum ambiget. HER. Verifimile id quidem. soc. Vide itaç
nenomen hoc quebarbaricum ſit.neo enim facile eft iſtud græcæ lin guæ
accomodare, conſtataita hocPhrygios nominare parum quid declinantes, & ý.
dwg & xuías,id eft canes, alia permulta. HER. Vera hæc sunt. soc. Ergo distrahereiſta
nihil oportet, quandoquidem deipſis nihil dicere quiſquã poteſt.Quapropter
nomina illa ignis & aquæ huncinmodum reñcio kázautēſic eft dictus
Hermogenes, quia quæ circa terram ſunt, deed,id eſteleuat.uel quia aega, hoc
eft ſemperfluit,uel quia eiusflu xu ſpiritusconcitatur. Poetæ quippe flamina
aktasnuncupant.Forte igitur aer dicitur quali avocTócow, agzóſſow id eſt
ſpiritus fluens, uel fluens flamen, dedica præterea fic exponendum arbitror,
quoniã đa dicirca ãégæ pêwy, id eft ſemper currit circa aerem fluens, quocirca
čeddeks dicipoteft.gæ autē, id eſt terra,planius fenſum exprimit,ſigara
dicatur. yaa enim recte görkodea, id eltgenitrix dicipoteft,utait
Homerus.Nãquod gazdan dicit, genitum in re,inquit. Quid reftat deinceps. HER. Ver
& annus, ô Socra tes. soc. Spore
quidē, id eftueris temporapriſca & Attica uoce dicendaſunt,ſi uis quod
conueniens eſt, cognoſcere. Horæ nanquocant, quia ief80, id eſt terminant
hyemem atçæftatem uentosca & fructus ex terra nafcentes. giveau tos aất
& čnos, id eft annus,idem effe uidet. Quod eñ in lumen uiciſlim
educit,quęcung naſcunifiunto exterra,ipſum in ſeipſo examinat &
diſcernit,annus eft: & ut ſupra louis nomen diximus in duo ſectű, ab
aliquibus Pavæ,ab alijs diæ uocari,ita & annữ quidam giardy yocant, quia in
ſeipſo, quidā quia examinat.Integra uero ratio eft ipfum q in ſeipſo
examinat.Vndeexo ratiõeunanominaduo ſelecta funt.quòd eñ limuldicit,co giairū
étolov,id eft in ſeipſo examinās, diſtinctum dicitur griaunos, & £70s, id
est annus. HER. Atuero Ô Socrates,iam longe pgrederis.soc.Longiusequidēin
philoſophia uideor euagari. HER. Quinimò. soc.Forte'magis cöcedes. Her.Verum
pofthancfpeciē libentiſlime contêplarer,qua rationerectenomina iſta præclara
uirtutūſint impofira,ut ogórkas,id eft prudentia,cuir as, intelligentia, xacoou's,
iuftitia, ac reliqua huius generisomnia.so c.Haud conte. mnendum genus nominū
ſuſcitas,ô amice. Veruntamen poſto leoninā pellem ſum in dutus,haud
deterreridecet,imò præclara ipfa,utais,nomina prudentiæ,intelligentię, cogitationis
ſciêtiæ cæterorūphuiuſmodicõliderare.HER.Quin profecto prius deſiſtere nullo mododebemus.Soc.
Ædepolnõmalemihide eo conijcere uideor, quod modo conſiderabam, antiquiflimos
uidelicet illos nominữ autores, ut & fapientiâ noftrorum plurimis
accidit,ob frequentem ipfam in rebus perueftigandis reuolutionem, præter
ceteros in cerebri vertiginem incidiſſe:quo factum puto utres ipsæ proferri
& vacillareil lis apparerēt.opinionis autem huius caufam.haud interiorem
uertiginem,ſed exterior? cc ipfarum rerű circuitum arbitrātur:quas ita natura
habere ſe putāt, ut nihil in eis firmum. ZE & ftabile fic,fed
fluantomnesferanturo,& omnifariam agitentur, ſemperø gignantur.PC &
defluant. Quod quidem in his nominibus, quæ nuncrelata ſunt, conſpicio. HERM. CC
Quo pacto Socrates.soc. Haudaduertiſti superior nomina rebus qualidelatis,
fluentibus, & iugigenerationetranslatis impofita fuiſſe: HERM.Nă ſatis
percepi.soc.Prins cipio quod primûretulimus,ad aliquid huius generis attinet. HERM.
Qualeiſtud: soc. apórnois,id eſt prudétia eft,qopás a govórous, id eſt lacionis
& fluxus animaduerſio. Signi ficare quog poteſt,recipere övnou dopás,id eſt
lationis utilitatê.Tádem circa ipfam agita tionem uerſatur. Quinetia liuis
yvaus id eft cogitatio fignificat govis várnoip,id eft gene rationis
cõliderationem.you cû quippecõſiderare eſt. voxois autem, id eft intellectio,
eſt réov čois,id eft nouideſideriũ.nouas uero res eſſe,ſignificat eas fieri
ſemper.atqß hoc deſi derare & aggredi animum indicat qui nomēillud
inuenitvsotow. principio nang vósois, nõdicebatur,fed pro,duo se proferēda
erant,ut rebois, quafivéov, id eſt noui toisappe. titio & aggreſſio.ow
poowy,id eſttemperātia illius quodmodo diximus Opornotus, id eſt prudêtiæ, falus
& conſeruatio eft. udtskun,id eſt ſcientia, ab eo quod inftar & fequit
tra &tum eſt,quafi res fluentesſolas animus perſequatur, inſtetø &
comitetur: at negexmo tra poſterior,neæ præcurſioneſicprior.Quare&
interiecto shylew uocare decet ouisas tanquam fyllogiſmus,id eft ratiocinatio
quædam eſſe uidetur.Cum autem owibrac dici tur,idem intelligiturac fi diceretur
etiska. Nam oftendit cum
rebusanimum congre dirogix, id eft fapiêtia, agitationis eft tactus. Obſcurius autem, & alieniushoc à nobis. Verum
animaduertendữeſt in poetis, quoties uolunt aduentantem aliquem & irruen
tem exprimere,ovulo.id eſt erupit,profiljjt,dicere.Quin & illuftricuidam
apud Lacedæ. moniosuiro nomen erat oös,id eſt præpes.Sic enim Lacedæmones
cõcitationis impe tum indicant. Qualiitaqomnia perferantur, huiusipſiusagitationis,
quę eo quod oos di citur,ſignificatur,iniqw,id eft tactum perceptionem aſophia
demonſtrat..yglóxid eſt bonum cuiufqsnaturæ « y« sóy,id eft mirabile, amabile,delectabile
ſignificat.Enimuero poſtos fluuntomnia,partim celeritas, partim tarditas
ineſt.Eft igiturnon omneuelox, fed ipſius aliquid « y « soy.Quod quidēayasov
ipfius& yali nomine declaratur.ductoo uby, ideft iuſtitia,quod xaiov oubsou
ideſt iuſti intelligentiam importet, facile conijcere pol fumus. Quid autem
ipſum singu op fibi uelit, difficile cognitu.Videtur autem huculoa multis quod
dictum eſt cocellum,reliquum uero dubium. Etenim quicung totum mobile
arbitrantur, plurimum agitari ipſum exiſtimāt,per omnealiquid permanare quo
fingula fiant, quod'ue tenuiſlimum fit & uelociſſimum.Nec enim per
omniadiſcurrere polle,nifiadeo tenuelit ut nihil possit
obliſterepenetráci,& adeo uelox, ut cæteris quafi ſtancibus utatur.Quoniam
uero gubernatomnia, dlačov, id eſt diſcurrens & permanans, merito dinglov
eft appellatū, x uno politioris prolationis gratia interiecto. Hactenus quod
modo diximus, inter plurimosconftat hoceffe iuftum.Ego autem Hermogenes urpo te
diſcēdideſiderio flagranshæc omnia perfcrutatus ſum,& in arcanis
percepiquod hoc ipſum iuftum ſit, & cauſa.quo enim res ipfæ fiunt,hoc eſt
caufa:proprieś ita uocariiſtud debere quiſpiam tradidit.Cum uero ab his iam
auditis iftis nihilominus diligenter ex., quiro quid ipfum iuftum ſit, quando
quidem ita fehabet, uideor iam ulterius quam decet exigere, & caueam,utdicitur,uallūý
ſupergredi.Satis enim femperrogaſſeme & audiſ- Prouerbia fereſpondent,meg
uolentes explere alius aliud afferre conantur,neo ultra coſentiunt. Quidam ait
iuſtű hoc, folem effe.Solâ quippe folem diſcurrendo calefaciendog omnia
gubernare. Cum uero hoc alacer cuiquam qualipræclarum audierim, refero, ftatim
ille meridet, quærito nunquid exiftimem post solis occaſum iuftűnihil hominibus
superef le: Percontanti itaq mihiquid ille fentiret,ipfum ait ignem iuftâ
exiſtere.neqid cogni tu facile, quarealius,inquit,nõignem ipſum ſed ipſum
potius innatum ignicalorē.Alius hæc omnia pro nihilo habet.eſſe enim iustamentem
illâ quâ induxit Anaxagoras. Dominam certe illam fuapte natura,necalicuimixtam
exornare omnia inquit, per omnia pe netrantem.Hic quidem ô amice in maiorē ambiguitaté
fum prolapsus, quàm antea dum nihil deiuſtitia ſclſcicabar.Cæterű utredeamus ad
id cuiusgratia diſputaus,nomēillicale propter hæc, quale diximus,eft tribucũ.her.
Videris Ô Socrates, ex aliquo audiſſe hæc, nec ex tua officinaruditer
deprompſiffe. soc. Quid alia: HERM. Non ita. soc. Atten de igitur;
forte'nançsin reliquis te deciperem, quali quæ afferam non audierim.Poſtiu
ftitiam quid reſtare avdgíay, id eft fortitudinēnondum peregimus.iniuſtitia
faneobſtacu lum eiuseſt quoddilcurrit per omnia, dvd piæ in pugnauerfatur.pugna
in rebus fi quidē fluunt nihilaliud fluxusipfe contrarius. Quapropter fi quis d
ſubtraxerit ex nomine hocadipiæ,nomen quod reftat aveia, opusipſum declarat.
constat planè quòd non flu xus cuiuſqz contrarius gom id eſt fluxus,fortitudo
eft,fed oppoficus illi quipræter iuſtum ficfluxui.Neqzenim aliterfortitudo
eſſet laudabilis. žeệw autem,ideft mas, & civip,uir à ſimili quodã
ducâtoriginē,ſcilicet ab ävw gom,id eſt ſurſum fluxu.pusuero,id eſtmulier,
quafi jová, id eſt fæcunda & generatrix,bãiv,id eft fæmina.cn? Begrãs, id
eſt papilla dici tur,oxå saấcuideturHermogenes dici,quia retraçúc, ideft
germinare pullulareg facit,ut irrigans ea quæ irrigantur.HERM.Sicapparet,ô
Socrates.SOCR.Idride,id eſt uireſcere, adoleſcere, floreſcere, augmentum iuuenum
repræſentat, quaſi uelox quiddam & fu bicum, quod innuitille quinomen
conflauit ex leiv, id eſt currere, & &Ma, id eft faltare.
Animaduertismeuelui extra curſum delatâ,poftquãplana ac peruia nactus ſum: Mul
ta quoqz ſuperſunt quæ ad ſeria pertinere uident.HERM.Veraloqueris.soc. Quorữu
num eft utuideamus quid de xuwid eſt ars importet. HERM. Prorſus.SOCR.Nonnehoc
şuu vä, id eſt habitum mentis oſtendit, ſi z demitur,interſerifautêomediữ inter
x & v,& interv & nézován: HERM. Aridenimiū Socrates & inculte. soc.
Anignoras beateuir no mina uetera diſtracta iam effe,atq cõfuſa à ſermonis
tragiciſtudioſis,elegantiæ gratia ad« dentibus & fubtrahentibus literas,ac
partim tēporis diuturnitate, partim exornationis& ftudio undiq
peruertēcibus ucecce in na rów,id eft fpeculo, abſurdű eft ipliusaddi “ tamentū:
Talia certe,ut arbitror,faciâtquioris illecebras pluris æſtimantő ueritatem.
Quamobré cũ multanominibus ipſis adiecerint,tãdem effecerűt, utnemoiam nominūdu
fenfum animaduertat.Quemadmodãdum o qizæ,id eſtmõſtrum quoddã proferunt,cūcl
oqiya pronunciare deberēt,ac cæteramulta. Profecto fidareturcuiş arbitratu ſuo
& de mere& addere,magna utic eſſet licentia, & quodlibetnomē cuiæ
rei unuſquiſq tribueu ret:HERM.Veranarras, so CR.Vera plane, ſed enim
mediocritatem quandam aros decorum ſeruare te decet præsidem sapiętem.HERM.Outinam.soc.Atqui&
ipſe,o Her mogenes, opto uerum ne exacta nimium diſcuſſione, uir felix,
exquiras, neuim meam prorſus exhaurias.Afcendam quippead ſupradictorum apicen:
posto post artem cõli. derauerimus Myjavlw,id eftmachinationéexcogitationemg
ſolertem. Videtautem li gnificare idem quodmultum pertingere &
aſcēdere.Componitur ergo ex his duobus, púxos, id eſtlonge & multum, &
dvey,id eft aſcendere,penetrare,pertingere. Sedutmo. do dicebam, adſummam
dictorum perueniendum eft, quærendum quid nomina iſta significant, opeta, id est
uirtus, & xcxiæ,id eft prauitas.Alterum quidem nondum reperio, alterum
patere uidetur.Nam ſuperioribusomnibus conſonar,nempetanquam eancom nia:Kards
sok,id eſt male uadens:xariæ, id eft, prauitas erit. quarecum animamale adres
ipfas accedet,communiter praua dicetur. proprie uero acmaximeprocedendihæcfa.
culcas inoshiq,id eſt timiditate patet, quam nondum declarauimus.
prætermiſimuse nim. Oportebatautem continuopoft fortitudinem ipfam inferre. Multa
inſuper alia prę teriſſeuidemur. ddníc SIGNIFICAT durum animæ uinculum.domés
enim uinculum eſt.nian uero forte quiddam durumg SIGNIFICAT quare
timiditasuehemensacmaximum eſt ani mæ uinculum: quemadmodum & exeíc,id eſt
defectus inopia, dubium,malum quiddã eſt,ac fummatim quodcuną progreſſus ipfius
impedimentum,idé male progredi uide tur oſtendere,in ipſa uidelicetmotione
impediri atą detineri. Quod cum animaſubit, prauitate plena dicit. Quod ſi
illud prauitatis nomen talibus quibuſdam cõpecit,contra rium osti,id eſt uirtus
ſignificabit.In primis quidē facilē agilemą progreffum, deinde folutum &
expeditū animæ bonæ impetum effe oportet. Quamobréabloaz impedimēto obſtaculog
és béov,id eſt ſemperfluens iure cognominari poffet adgfútn.fortè uero &
αριτίω degerli uocatquis, quia litaliftas aép&TUTTys,id eftmaxime eligendæ.
Verum colliſo uocabulo obetxdenominatur. Forſitan mefingere dices:ego autem
aſſero, ſimodo no men illud prauitatis quod retuli,recte eſt inductum,recte
quoc & iſtud uirtutis nomen induci. HERM. Arranów,id eftmalum,per quod in
ſuperioribusmulta dixiſti, quid ſibi uult: so c.Extraneum quiddam per louem,ac
inuétu difficile. Icaq ad hoc etiam machi namentum illud fuperiusafferam. HERM.
Quid iſtud: SOCR. Barbaricum quiddam & hoc esse dicam. HERM. Probeloquiuideris.
soc. Cæterum hæciam fi placet mittamus, nominauero iſta menon & degeóv, id
eſt pulchrum & turpe, conſideremus. Quid degepon innuat, fatis mihipatere
uidetur.Nempecum ſuperioribus conuenit. uidetur quinomi na ſtatuit, paſſim
agitationis impedimentum uituperare.utecce,és igorri zion pouw, id eft femper
impedientifluxum nomen dedit aegóggow. Nuncuero collidentes degsów
appellant.HERM. Quid nonoy, id eſt pulchrum: soc.Hoc cognitu difficilius,
quanquam ip ſum ita deducitur,utharmoniæ duntaxat & longitudinis gratia
ipſum æ ſit productum. HERM. Quo pacto: soc. Nomen hoc cogitationis cognomentum
quoddam esse videtur. HERM. Quiiſtud ais:'soc. Quam tu cauſam appellationis rei
cuiuſ cenſes: an nó quod nominatribuit: Herm.Omnino.so c.Nónne causa hæc
cogitatio est veldeorũ, vel hominum,uel amborum: HERM. Nempe.soc.Ergo xaréoa,ideft
quoduocatres, & kxaóv,idem accogitatio ſunt. HERM.Apparet.soc. Quæcunq mens
& cogitatio a gunt,laudanda ſunt:quæ non, uituperanda. HERM. Prorſus.soc.
Quod medicinæ par. ticeps,medicinæ opera efficit:quod fabrilis
artis,fabrilia.Tu vero quid fentis? HERM. Idem. soc.Pulchrum ita pulchra. HERM. Decet.so c.Eft autem
hoc,ut diximus,cogi tatio. HERM.
Maxime. soc. Nomen ita @ hoc naróv, id eſt pulchrum,merito erit pru dentiæ cognomentum,talia
quædam agencis, qualia affirmantes pulchra eſſe,diligimus. HERM. Sicapparet. SOCR.
Quid ultra generis huius reftat inveſtigandum: HERM. Quæ ad bonum &
pulchrum ſpectant,conferentia uidelicet, utilia, conducibilia, emo
lumenta,horum contraria. soc. Quid our popov,id eſt conferens ſit,ex ſuperioribus ip ſeinuenies. Nam
nominis illius quodad ſcientiam attinet, germanum quiddam appa ret.Nihil enim
præ ſe ferc aliud quam qopav,id eſt lationem animæ ſimul cum rebus, quæ ue hinc
proueniunt,uocari orredoporre & ovu qopa, id eſt conferentia,ex eo quod
fimul circumferuntur.Herm. Videtur.soc.Losdantov autem, id eft emolumentum: 7
koše dos, id eſt lucro.xopdos uero,li quisv prod nominihuic inferat, quod uult
exprimit. Ná bonum alio quodam modo nominai. Quod enim omnibus xopavuutui, id
eſt miſcetur diffuſum per omnia,hanc ipfam eiusuim fignificansnomen illud
excogitauit pro vap ponens, ac Kopdo pronunciauit. HERM. Quid autem vorzask,id
eft utile soc.Vides tur Ô Hermogenes,non ſicut cauponeshoc utuntur, idcirco
Avantasy uocari, quia avesa a whece despaúx, id eſt ſumptusuitat &
minuit:uerum quia cum velocissimum sit, res ftareno finit,neq permittit
lationem réao-, id eft finem progreſſionis accipere atæ ceffare: ſed
ſoluitfemper ab illa fugató,fi quis terminusfuperueniat, ipfamós indeſinentem
immor talemg præbet.hac rationebonum avame18yuocatū arbitror.ipſum enim
motionis aú ou do río, id eft foluens terminum,avandou uocari uidetur.coénomoy
uero, id eſt con ducibileperegrinum nomēeſt, quo ſæpenumero Homerus eſt uſus.
Eftauté hocaugen difaciendio cognomētum.Her.Quid de horâ contrarijs eſt
dicendûrsoc. Quæ per negationem iſtorum dicuntur,tractarenequaquam oportet. HER.
Quænã iſtar'sOc.co.uk gogov,kiw deres davandés, axopdes. HERM.Vera loqueris. soc.
Sed Brabopov & yusão s, id eft noxium & damnofum. HERM. Certe.soc.Braboooy
quidembacitou tou how effe dicit,id eſt quod uult& nav, id eſtimpedire
& coercere:pšu id eft fluxum:hocautem passim uituperat:quodő uultanlay góp
pouw, recte bonomopou appellaret. uerum ornatus gratia Brabopón
arbitrornominatū. HERM.Varia tibifuboriâtur,ô Socrates,nomina.at quimihi
uideris in pralentia, quali Palladiæ legispraeludiữ quoddã præcinuiſſe,dum no
men Bracoitopöy pronunciares. so. Nõego in cauſa ſum Hermogenes,fed quinomēip
ſum inſtituerunt. HERM. Vera loqueris.
Verum Cauãdoquid: soc. Quid effe debeat {#ubades dicam Hermogenes: & uide
uere loquar,quoties dico quod addētes ac de mētes literas lõge nominū ſenſum
uariant,adeo ut ſæpe exiguâ quidmutantes, cótraria SIGNIFICATIONEM inducant quod
apparethoc in nomine dear,id eſt opportunữ. uenithocnu permihiin mētem deeo
quod di& urus ſum cogitanti.Recēs eſt profecto uoxnobispul chra
illa,coegitý côtrarium ſonare nobis d'top & {mps&d ov, fenſum ipſum
cõfundens.Ve tus autem quid nomen utrung uulc, explicat. HERM. Qui iftucais:
soc.Dicam equi. dem.haud præteritmaiores noſtrosfrequentero & d
utiſolitos,necrariusmulieres,quæ maximepriſcam uocem feruant.Nunc autem pro
uelipfum & uelx adhibent, produe. ro (quali hæcmagnificentius quiddam
ſonent. HERM. Quo pactorsoc. Vtecceuetu ftiſſimiuiriin op'a diem
uocabant,pofteriores autem partim čuopov,partim su'épow,co cant. HERM.Vera hæc
funt. soc.Scis igitur uetufto illo nomine tantum mentem eius quinomen impoſuit
declarari.Nam ex eo quod imeipzory, id eſt deſiderantibus homini bus
gratulantibus etenebris lumen emicuit,diem inopor cognominarunt. HERM.Ap
paret.so c.Nunc autem illa tragicisdecantata quid ſibiuelit suopa,nequaquam
intelli. gas.quanquam arbitrantur nõnullispopov dici,quod kuopa,id eftmāſueta
quæg efficiat. HERM. Itamihi uidetur.soc.Neq te fugitueteres Puyóv,id eft iugum,
dvozov uocauiſ fe. HERM. Planè. soc. Enimuero luzów nihil aperit. at d'voyou,divoiy
dywylw,id eſt duori conductionem ligandi ſimul gratia,monftrat.Idemø
eftdemultis alijs iudicandű. HER. Patet.soc.Eadem rationediopita pronunciatum
cótrarium nominum omniâ quæ ad bonum ſpectant oſtendit.porro boniſpecies
exiſtens,déondeouós,id eft uinculum quod dam & impedimētum proceſſionis
effe uidet, tanquam Bag Bopo,id eftnoxij affine quid dam.HERM.Icamaximeapparet,ô
Socrates.Soc.Verum nõſicin nomineueteri, quod ueriſimilius eſtrecte inſtitutum
fuiffe, quàm noftrum. Nempe cum ſuperioribus bonis conſenties,fi pro 4,1 uetus
reſtituas.Nec enim deby;ſed toy bonum illud ſignificat,quod ſemper nominūlaudat
inuentor: Atą ita fecũipſenõdiſſidet, imòad idem ſpectat,d'ion, quali δίομ, ώφέλιμομ,
λυσιτελών, κάρδιαλέον, αγαθόν, συμφόβου, εύπορου, ideft facile ad pro,
greffum.uniuerſü hocdiuerlisnominib.innuit aliquid per omnia penetrās, omniaq
pe rornans,idő ubiq laudatü: qd uero obftat & detinet, improbata. Quinetiã
nominehoc {Butãds,liyeterű mored profpoſueris,apparebit tibinomen iſtud
disutisè boy, id eft li ganti fiftentiç quod pergit,impofitum.unde &
Musãdes cognominandum eſt. Herm. Quid ádura,númy, uslupia,uoluptas
ſcilicet,dolor, cupiditas, Socrates, & huius generis reliqua: soc.Haudnimis
obſcura mihi uidentur Hermogenes, šidbvi,id eſt uoluptas lir quidem actionis
illiusnomen eſt, quæ adóvgay, id eſt utilitatem emolumentumo tendit duero
adiectum facit,ut pro eo quod eſt sova,údova proferatur.Ajax, id eftdolor,à
Stanús Gews,id eſtdiſſolutione corporis trahi uidetur.Nam in huiuſmodi paflione
corpus diffol uitur.xvíc, id eſt triſtitia, quod impeditigio,id eft
ire,demonftrat.& aguda, id eft crucia tus,peregrinum nomen uidetur,ab
ängdvö dictum.éduig,id eft dolor & afflictio,ab güdlü Oews,id eft
ingreſſionedoloris denominatur. HERM. Videtur.so Cårigoló, id eftmoe ror
languor,lationis grauedinem tarditatemg ſignificat. ãxto enim onuselt.ioy uero
pergens.xapod uero,id eſt lætitia gaudium,à diazúrews, id eft profuſione, &
progias, id eft facilitate,poas, id eſt motionis animæ, dicitur. Tosalesid eſt
delectatio,ab toptivs,id eft oblectamento ducitur. Topavoy autem à trom,id eft
inſpiratione delectationis in animā Quaremerito uocaretur égaršv,id eſt
inſpirans. Temporis autem interuallo ad Top Arvo deuentum eſt.cuqpoouis,id
eſthilaritas & alacritas, quam ob cauſam dicatur,aſſignareni hil opus.Nam cuicp
patet hocnomen trahiab eo quod dicitur eü, id eſt bene. oum @ opeally id
eft unaſequi qualidicat animabeneres affequi.Vnde cu poporubs uocarideberet:ta
men Bagooutlw appellamus. Sed neg difficile est assignare quid üsgutta, id eſtcupidi.
tas ſibiuelit.Nomen quippehocuim tendentem in Ovuoy, id est animam & iram
& fu rorem oftendit. Ovuós autem à lúoews& toews,id eft flagrantia, feruore,&
impetu animę. proindeiupo,id eft fuauis & blandaperfuſio,dicitur,jm,id eſt
fluxu animam uehemen ter alliciente.ex eo enim quodiulio ga,ideft
incitatusrerumgappetens fluit,animam uehementerattrahitpropter impetum ſiue
incitamērum fluxus.ab hac tota uiHimeros eſt nuncupatus.Præterea Pothos
uocatur,id eſt deſiderium, quod fane præfentem fuaui tatem nõ reſpicit,
quemadmodū iuepo,fed abfentem ardet. Vnde wale_diciturqualiá wóvrG,id eft
abſentis cócupiſcentia.Idem ipſe in id quod gratñeſt animinixus,præ ſente co
quod cupitur iuopo,abſente wólo denominatur. iews autem, id eſt amor, quia
doga,id eft influit extrinſecus,neg propria eſt habēti gas,id eſt fluxio ilta,fed
infuſa per oculos. Quapropterabcogar,id eſt influere,čopo, id eft influctio, amor
ab antiquis no ftris appellabat,nam opro wutebantur.nuncautem épwsdicitur,wproo
interpoſito. Ve. rum quid deinceps conſiderandum præcipis? HERM. dlófæ, id eft
opinio, & talia quædã, undenomen habentisoc.déke,uel à diwa,id
eſtperſecutione dicit, qua pergit & pro ſequituranima, conditionem rerum
inueftigans:uelà tófo Borm,id eft arcus iactu. uides turautem hinc
potiusdependere. oinois, id eft exiſtimatio,huic confonat. oftendit quip
pecioiy,id eſt ingreſſum animæin unumquodß conſiderandum, oioy,id eſt quale
fic:quê admodum & bons,id eft uoluntas a Borá,id eſt iactu dicitur: &
Bóns, id eſt uelle, pro pter ipſum attingendinixum ſignificat etiamélis,id eſt
cupere:& Bonbuch, id eſt cõſu lere. Omnia hæ copinionem fequentia,Boras
ipfius, id eſt iactus & nixus imagines eſſe uidentur.quemadmodum contrarium,
& boniæ, id eſt priuatio uoluntatis,defectusquidã conſequendiimpos apparet,
quali non contendat, neq etiam quod intendit,uult, cupit,
inueftigat,adipiſcatur.HERM.Frequentiora hæc congerere uideris, ô Socrates.
Quare finis iam fic fauence deo. Volo tamen adhuc, ávéyxlu & Exšonoy,id eſt
neceſſarium & uo luntarium declarari. Nempe ſuperioribusilta
ſuccedunt.socRéxóozoy equidem eft si noy,id eſtcedensneg renitens, hoc fiquidem
nomine declaratur zinoy lestorti, id eſt ces denseunti, quod'ue ex uoluntate
perficitur. avayeccoy uero, id eſt neceſſarium & obfi ſtens,cum præter
uoluntatem ſit,circa errorem infcitiam uerſabitur deſcribiturautem ex proceſſu
ſecundum neceſſitatem, quoniam in uia aſpera denſa inceffum prohibent.
Vndeavaysazov dictum eſt,quali per & yroscop,id eſt per uallē uadēs.Quouſ
uero uiget robur,ne deſeramus. Quamobré interrogaamabo, ne deſiſtas. HERM. Ecce
rogo quæ maxima ſunt & pulcherrima:« aksaa,id eft ueritatem, & fordo,id
eftmendacium, & öy,id eft ens, & quareid quodehicagimus,övoua,id eft
nomen, dicitur. SOCR. Quid vo casmaksa: HERM.Voco equidem inquirere.so
c.Videtur nomen hoc ex sermone illo conflatum, quo dicicuröv, id eſt ens esse,cuiusnomen
inquiſitio eſt. Quod clarius certe comprehendes in eo quod dicimus óvojasóy, id
eſt nominandum. hic enim exprimitur nomen quid ſit, entisuidelicet inquiſitio. &ikbļa
uero ficut & alia componiuider.Nam diuina entislatio, nomine hoc includitur,
ankódæ, quaſi exiſtensOscarx,id eft diuina que dam uagatio.Foido- autem
contrarium motionis. Rurſushic uſurpatur agitationis obstaculum, quod'ue ſiſtere cogit. Nam à
reboudw, id eſt dormio dicitur. 4 uero adiectum ſenſum nominis occulicouuero
& Xoia, id estens et essentia,cum & rx66ą, id eſtueritate, congruunt: fic
apponatur.namrov, id elt uadens ſignificat.Atdrøv id eſt non ens,quidam
nominant xxcov, id eſt non uadens. HERM. Hæcmihiuideris, 6 Socrares, fortiter
admo dum discussisse. Verum si quiste perconteturquæ fitrecta iſtorum
interpretatio, quæ di cuntur čov, id eſt uadens:géov, id eft fluens,doww,id eſt ligansac detinens,
quid illi potiſſi. mum reſpondebimus: habes'ne: Socr. Habeo equidem.profecto
nuper ſuccurrit no bis aliquid, cuiusreſponſione quicquam uideamur afferre. HERM.
Quale iſtud: soc. Viquodminime cognoſcimus, barbaricum eſſe dicamus. fortè enim
partim reuera talia ſunt: forte'uero partim, ac præſertim nomina prima,temporum
confuſione infcru. “ tabilia.Etenim
cum paflim uocabula diſtrahantur, nihilmirum eſſet ſi priſcalingua cum Ç noſtra
collatanihilo à barbarica uoce differret. HERM.haud alienum eſtà ratione quod a
dicis. Socr. Conſentanea quidem affero, non tamen idcirco certamen excuſationem
uidetur admittere.Sed conemur hæc diſquirere, ato ita conſideremus: fiquis
femper uerbailla per quænomen dicitur, quæreret,rurſus illa per quæ dicuntur
uerba, ſciſci taretur, pergeretob ita perquirere, non'ne qui refpondet,
defatigari tandem & renuere cogeretur: HERM. Mihiſane'uidetur. SOCR. Quando
ita quireſponſum denegar, merito ceſſabit: An non poftquam ad nominailla
peruenerit, quæ cæterorum ſunt& ſermonum & nominum elementarHæcutio fi
elementa funt,ex alñsnominibus com pofita uiderinon debent.quemadmodum ſupra
& yalóy,id eſt bonâ diximus, ex « y så, id eſtiucundo amabilio, &
805,id eftueloci compofitum.gooy rurſus ex alijs conftare di cemus,illağ ex
alijs. ſed poftquam ad id peruenerimus quod ultra ex alíisnominibusno
coſtituitur,merito nosad elementű perueniſfe dicemus,nec ulteriusbocin alia
nomina, referendum. HERM. Scite mihiloquiuideris.soc. Annon ea de quibuspaulo
ante in terrogabasnomina eleméta funt oportet rectam illorõrationem aliter quam
reliquorum inueftigare. HER. Probabile id quidem.soc.Probabile certeHermogenes.
Supe riora itaq omnia in hæcredacta uidentur:ac ſi ita ſe res habet, ut mihiuidetur,
rurſusage hic unamecum conſidera, neforte delirem dum rectam primorum nominum rationem
exponeretento. HERM. Dicmodo. ego nang pro viribus meditabor. soc. Arbitror
equidem in hoc tecõſentire,unam efferectam & primi&
ultiminominisrationem, nul lumğ illorum eo quod nomen est, ab alio diſcrepare. HERM.
Maxime.so c.Etenim om 2 nium quæ ſuprà retulimusnominum recta ratio in hoc
cõſticit, ut qualis quæ res litin 7) dicaretur. HERM. Proculdubio. soc. Hocutio
non minus prioribus quam pofteriori. bus competere debet sinomina fucura sunt. HERM.
Prorſus.so-c.Atquipoſteriora no. minaper priora hocefficere poterant. HERM.
Apparet. soc. Primauero quibus alia nõ præcedunt, quo pacto quam maximeres ipsas
nobisoftendēt, ſi nomina effe debet: Adhoc mihireſponde. ſiuoce & lingua
caruillemus,uoluiffemusgres inuicem declara re,nonneperindeac nuncmuti, manibus
capite & cæterismembris ſignificare tenta uiſſemus? HERM. Haud aliter Socrates,
soc. Ergo supernữ quippiam ac leue demonftraturi, cælum uerſusmanum
extuliffemus, ipſam rei naturam imitantes: inferiora uero & grauia
deiectione quadã humiinnuillemus. quinetiã currentem equũuelaliud quic quam
animalium indicaturi,corporum noftrorum geftus figuras ad illorum ſimilitudi
nem quam proximequiſo finxiſſet. Herm. Neceſlariû quod ais eſſemihiuidetur.soc.
Huncinmodűutarbitror his corporis partibus ostensum eſſet, corpore videlicet
quod quifq monstrare voluerat imitante. Herm. Ita certe.soc. Postquá uero uoce,
lingua, & ore declarare uoluimus, nónne ita demum per hæcoſtenſio fiet,li
per ea circa quodli bet,facta fuerit imitatio: HERM. Neceſſarium puto.
soc.Nomen itaq eſt, urapparet, imitatio uocis, qua quiſquis aliquid
imitatur,per uocem imitat & nominat. HER. Idem mihi quoq uidetur.soc.
Nondum tamen recte dictum existimo. HERM.Quamobrē: Soc. Quoniam hos ouiū &
gallorum cæterorum animalium imitatores fateri cogere. murnominare eadem quæ
imitantur. HERM.Vera loqueris. SOCR.Decereid cenſes: HERM. Nequaquam sed quænam
ô Socrates imitatio nomen erit: s o c.Non talisimi. tatio qualis quæ permuſicam
fit,quamuis uoce fiat,nec etiã eorundem quorum & mu. fica imitatio eſt,nec
enim permuſicam imitationem nominare uidemur. Dico autê ſic: Adeſtrebusuox
& figura colorø plurimus. HERM. Omnino.soc.Videturmihiſiquis
hæcimitetur,neq circa imitationes iftas nominandifacultas cõfiftere. hæfiquidem
ſunt partim muſica, partim uero pictura.jnonne.HERM. Plane. soc. Quid ad hoc:
nonne essentia eſſe cuiq putas, quemadmodú colori & cæteris quæ ſuprà
diximus: an nõ ineſt coloriacuocieſſentia quædam,& alijs omnibus quæcunc
essendi appellationefundi. gna: HERM. Mihi quidem uidetur. soc. Siquis cuiuſą
eſſentiam imitari literisfylla. biscß ualeret,nonne quid unumquodo fit
declararet: HERM. Maximequidem. Soci Quem hunc eſſe dices: ſuperiores quidem
partim muſicum,partim pictorem cognomi nabas,hũcuero quomodouocabis? HERM.
Videturhicmihiô Socrates quem iamdiu quærimus nominandiautor. soc. Siuerum hoc
eſt,conſiderandum iam denominibus illis quæ tu exigebas, pess, ideſt fluxu,igra,id
eſt ire, géoews, id eſt detentione,utrumli teris ſyllabisą luis reuera
effentiam imitantur,nec'ne.Herm.Prorſus. soc. Ageuidea musnunquid hæcſola
primanominaſint,an fint & alia præterhæc. HER.Alia equidem arbitror. Soc.
Consentaneum est cæterum quis diſtinguendimodusunde imitari incir pitimitator: Nónne
quãdoquidem literis ac ſyllabis eſſentiæ fit IMITATIO, præſta tprimu elementa
distinguere: quemadmodum qui rhytmis dant operam, elementorum primo uires diſtinguunt,
deinde syllabarum tanium, rhythmoscandem iprosaggrediuntur,pri usnequaquam. HERM. Vtiq.soc.Annon ita &
nos primo oportet literas VOCALES distinguere, poftea reliquas ſecundum
ſpecies, mutas & SEMI-VOCALES. Ita enim in his erudi ti uiri
loquuntur.acrurſus uocales quidem,non tamen ſemiuocales, & ipſarű uocalium
ſpecies inuicem differentes. Etpoftquam
bæcbene omnia diſcreuerimus,rurſus induce, renomina,conſiderareg ſi ſuntin quæ
omnia referuntur, quemadmodum elementa,ex quibuscognoſcere licet& ipfa,
& fi in ipſis ſpecies continentureodem modo ficutiner lementis. His
omnibusdiligenter cogitatis,Icire oportet afferre secüdum fimilitudinem unumquodą,
ſiueunum uniſit admouendum, ſeu mulcą inuicem commiſcenda:ceuph Storesctores
similitudinem volentes exprimere, interdum purpureum duntaxat coloré adhi bent,interdum
quemuis alium colorem, quandoque multos conmiscent,ueluti cum imaginem viri
quam similimam effingere volunt, vel aliud quiddam huiusmodi, quatenus ima
goqueo certis coloribus indiget. haud ſecus et noselementa
rebusaccomodabimus,& unum uni, quocunq egere maxime uideatur:oumbona “, id
eſt coniecta conficiemus, quas ſyllabasuocant. Quas ubiiunxerimus, ex eisö
nominauerba constituerimus, rur fusex nominibusac uerbismagnum iam quiddam
& pulchrum & integrum conſtrue mus:& quemadmodum totum ipſum
compoſitum pictura animal uocat, ita noscontes xtum huncintegrű; orationem uel nominandi
peritia,uel rhetorica fábricatam,uel alia quauis quæ id efficiatarte.Imòno nos
iſtudagemus.modūnamą loquendo tranſgref fus fum, quippe ueteres ita
conflarunt,fi ita eſt conſtitutum. Nosautem oportet,fimodo artificiofe
conſideraturiſumus,ipſa omnia fic diſtinguentes, fiue ut conuenit primano mina
& pofteriora ſint poſita,ſiue non,ita excogitare.Aliter autem cõnectere
uidendű eft ôamice Hermogenes,ne forte ſit error.Her. Forte per louem ô
Socrates. soc. Nun quid ipfe cöfidis ita te posse
diſtinguere: Ego enim mepoſſe diffido. HEŘ.Multo igitur magis ipſe
diffido.soc.Dimittemus igitur?an uis utcun @ ualemus experiamur,et ſi pa rum
quid horum noſſe poffumus,aggrediamur,ita tamen utfuprà,dis præfati:ucq illis
ediximus,nihil nosueriintelligentes opiniones hominūdeillis conñcere:ita &
nấcper gamusnobiſipſi ſimiliter prædicentes, quod fi quam optime diſtinguenda
hæc fuiffent, uel ab alio quopiam,uela nobis,ſic certe diſtinguereoportuiſſet:
nuncautem,ut fertur, puiribus ifta nostractare decebit. Admittishęc'uel quid
ais.HER. Sic prorſusopinor. soc. Ridiculum uiſum iri ô Hermogenes, arbitror,
quod res ipfæ imitatione per literas fyllabas a factamanifeſta fiát. Neceſſarium
tamen:nec enim meliushochabemus quic quam,ad quod reſpicientes deueritate
primorum nominū iudicemus:niſi forte quemad modum Tragiciquoties ambigunt,
cõmentiris quibuſdam machinamentis ad deosco fugiunt,ita & nos ocyusrem
expediamus,dicentes deos prima nomina poſuiſſe, & idcir corecte inſtituta
fuiſſe.nunquid potiſſimusnobis hic fermoran ille, quod ipſa a barbaris
quibuſdam accepimus: Nobis quippe antiquiores ſuntbarbari,uelquòd ob uetuftatem
ita ea diſcerninequeuntut & barbara: Tergiuerſationeshæ ſunt, &
belliſſimæ quidem, illorum quicunq nolint derecta impoſitione primorum nominû
reddere rationem. Ete nim quiſquis
rectam primorā nominum rationem ignorat, ſequentium cognoſcerene quit.hæcporrò
ex illis declaranda ſunt,illa autē is ignorat. quin potius neceffe eft fequê
tium peritiam profitentem,multo prius & abfolutius antecedentia
comprehendiffe, por feq oſtendere, aliter autem ſciredebet fe in sequentibus
deliraturũ.an aliter ipſe confess HER.Haud aliter Socrates. soc. Quæ ego
ſenſideprimis nominibus, inſolentia ridicu lag admodum eſſe mihiuidentur,eaç
tecû, ſi uelis, comunicabo. Siquid uero tumelius inueneris,mecum & ipſe
comunica. HER. Efficiam.fed diciam forti animo. soc.Princi pio ipſum g uelut
inftrumentum omnismotuseſſe uidetur. Curautem motuslivrosap pelletur,non
diximus.patet tamen quoditors, id eftitio eſſe uult.Non enim quondam,
fedeutebamur.principiữautē ab liay, id eſtire, quodperegrinum nomen eft,&
igra,id eſtire ſignificat.Quare fi priſcum eiusnomen reperiatur in uocem
noftram translatum, recte i'eois APPELLABITVR. Núc autem ab kiau
nomineperegrino, & ipfiusy conmutatione, & vipſius interpofitione livyoisnuncupatur.
Oportebat autem sidingoy uel any dicere. súčas,id eft ftatio,negatio ipfius iga,
id eft ire eſle uult, ſed ornatuscaufa séas denomi natur.Elementū itaq ipſum
qopportunűm motus inſtrumentum, ut modo dicebā,uiſum eſt nominum autori ad
ipfam lationis fimilitudiné exprimendā: paflim itaggad motus expreſſionē
utitur.In primo quidem ipſo jau & goñ, id eſtfluere, fluxuğ per literampla
tioně imitatur,deinde in touw,id eft tremore,& baya aſpero.item in uerbis
huiufmodi, kódy percutere,&gaver uulnerare, oʻúrdy trahere, @ gúndu
frangere eneruareg, kopuerto siddy incidere,pêué du uacillare, irritare, &
circumuerſare. Hæcomnia ut plurimâperp ad similitudinem motionis effingit. Mitto
enim quod lingua in hac litera pronunciadamini meimmoratur, quin potius
cocitatur. Quocirca ad iſtorũ expreſſione iplo s
potiſſimữ uſus fuiffe uider. Vfus eft &, scilicetiota, ad tenuia quæ per
omniamaximepenetran tia.idcirco igra & icadou, id eft ireprogredió per o
imitatur. Quéadmodū per 4.0, quæ E literæ uehementioris fpiritus ſunt, talia
quædam nominum autor exprimit, fuzeów frigt dum, (soy feruens, osoatare
concuti, & communiter aconoy, concuſſionē quaffationem: quoties uehemens
quippiam &fpiritu plenum imitari uult nominum inftitutor, tales utplurimum
literas adhibet.Quinetiam ipſiusd cõpreſſionem aco, linguæ & uelut ha.
rentis retractionem, peropportunã exiſtimaſſe uideturaduinculi&ftationis
potentiâ exprimendam. Etquia in a proferendo maximelingua prolabitur, idcirco
per hoc uelur ex fimilitudine quadam nominauit nga, id eſt lenia &
órcdaerah labi, & noMūdeslie quidum,Ascrapov pingue, cætera
huiuſmodi.Quiauero labentem linguam y remoratur eo interiecto formauityhioggoy
lubricum, gauxudulce, yrādes uiſcoſum, luculentum. Animaduertens quo&ipfius
v ſonum imoin gutture detineri, eo nominauit so výdby & te gutos, id eſtąd
intus eſt, & quæ intrinfecusſunt, utres per literas repræſentarer.Ipſum
uero w,meyer@,id eſt magno tribuit &ipſum % ukus,id eſt longitudini,
quoniamma. gnäliteræ ſunt.in nomineautem spozzinoy, id eft rotundum,ipfo o
indigens, o ut pluri mummiſcuit. Eadem ratione cętera ſecundum literas ac
ſyllabas rebus ſingulis accom modare uidetur nominum autor,ſignữnomenoconſtitués,ex
his deinde ſpecies iamre liquas per ſimilitudinem conſtituere. Hæc mihi Hermogenes
recta uidetur effe nomina ratio, niſi quid aliud Cratylus hic afferat. HER. Etenim
ở Socrates, fæpemeturbat Craty lus hic, uc à principio dixi,dum eſſe quandã
afferit rectam nominû rationem, quæ uero sit, non explicat, utdiſcernere
nequeam utrum de induſtria, nec'ne adeòfit obſcurus. In præſentia igitur Ô
Cratyle,coram Socrate dicas, utrum placeant ea tibi quæ Socrates de
nominibuspredicat,an preclarius aliquid afferre poffis:quodfi potes,adducas in
me dium, ut uel a Socrate diſcas,uel nos ambos erudias. CRAT. Videtur netibi
Hermoge nes facile eſſe tam breui percipere quoduis atque docere,nedum rem
tantam, quæ maxi mum quid demaximis æstimatur. HER. Non mihi per louem, quinimò
ſcite loquutum Heliodum arbitror, quod operęprecium ſit paruum paruo
addere.Quare fi quicquamli cet exiguum perficere uales,ne graueris, fed &
Socratem istum iuua,& me insuper.de. bes enim.soc. Equidem ô Cratyle, nihil
eorum quæ ſupra comemoraui; aſſererē.Nem peutcunq; uiſumeſt, cum Hermogene hoc indagavi
quocirca aude fi quid melius habes, exprimere, tanquã ſim libenter,quod
dixeris,ſuſcepturus. Neqz enimmirarer liquid tu hiſcehaberespræclarius. Videris
porrò &ipfe talia quædã conſideraffe, &ab alijs di diciſſe. Siquid ergo
præstantius dixeris, me interdiscipulos tuos circa rectam nominā rationem unum
connumerato. CRAT. Certe mihi ô Socrates,utais, curæ hæc fuerunt,ac forte
diſcipulum te efficerem.Vereortamen ne contrà omnino ſe res habeat.Conuenic
mihi nuncidem erga te dicere, quodaduerſus Aiacem in ſacris Achilles
inquit.Genero. Iliadosi fe,ait,Aiax Telamonie populorũ princeps, omnia mea ex
ſententia protulifti.Ita cu quo queô Socrates, nostra exmente uaticinari
uideris, fiue ab Euthyphrone fueris inſpira tus, ſiue Muſa quædam tibipridem
inhærens nuncte protinus concitauerit. soc. O uir bone Cratyle, ego quoß
fapientiam meam iampridem admiror,neq nimis confido. qua re examinãdum quid
dicam, exiftimo.Namaſeipſo decipi grauiſſimum eſt nimis enim 2 periculosa res
eft, quum ſeductorabeſt nunquam ſemperdeceptum proxime comita, tur. Oportetitao superiora frequêter
animaduertere, & utpoeta ille ait, ante illa retros conſpicere.Atqui
&in præsenti videamus quid à nobis sit dictum. Rectam diximus nominis rationem,
quæqualis quæqres fit, oftendit.Nunquid ſufficienter eſſe dictâ afferi mus:
CRAT. Ego quidem aſſero.soc. Docendi igitur
gratia nomina ipfa dicuntur: CRAT. Prorſus. soc. Annon & artem eſſe
hancdicimus, & ipfius artifices: CRAT. Maxime. soc. Quos. CRAT. Quos à
principio tu legum &nominum conditores co gnominabas.soc.Vtrum hanc artem
ſimiliter atą alias ineſſe hominibus, an aliter arhi tramur:Idautem eft
quoduolo.pictores quidam deteriores ſunt,quidam pręſtantiores? CRAT. Sunt.soc. Nónne
præstantiores opera sua pulchriora faciunt, figuras uidelicet animalium:
cætericontra: Aedificatoresquoq ſimiliter partim pulchriores, partim tur piores
domos efficiūt: CRAT.Sic eſt.soc. Nónne et legum ipsarī autores partim opera suapulchriora,
partim turpiora efficiunt: CRAT. Haud ampliusiftud admitto. soc. Non ergo leges
aliæmeliores,deteriores aliæ tibiuidentur. CRAT. Non. soc. Nec etiã nomen
utapparet, aliud melius, aliud deterius impoſitum ARBITRARIS. CRAT. Negiſtud. soc.Ergo
omnia nomina recte poſita ſunt. CRAT. Quecunqueuidelicet nominaſunr. soc. Quid
de huius Hermogenisquod ſupra dictum eſt, nomine: Vtrum dicendű non effeilli
iftud impoſitum, niſiquod équo geridews,id eft Mercurij generationis illicompe
car: Animpoficum quidem, non tamen recte: CRAT. Nec impositum esse ô Socrates,
arbitror,fed uideri.eſſe autem alterius cuiusdā nomen, cui natura inest quæ
nomine con cinetur.soc.Vtrum nequementicur quisquis Hermogenem eſſe eum
dicit:Nec enim hoc eft dubitandum, quin eum dicatHermogenem eſſe,cum non fit. CRAT.
Quaratig ne id ais: so c. Nunquid ex eo quod non datur dicere falſa,ſermo tuus
conftat, & circa id uerſacur permulci nempeô amice Cratyle, et nunc PRÆDICANT
& quondam aſſerue runt. CRAT.Quo pacto ó Socrates,dum dicit quis quod dicit
quod non eſt dixerit; An non hoc eſt falla dicere,quæ nõ ſunt dicere:
soc.Præclarior hic fermoamice,quam con dicio mea & ætas exigat.Attamen mihi
dicas,utrum loqui falſa non poſſe aliquis tibi ui detur,fariautē pofle? CRAT. Neq
fari.soc.Acetiam nec dicere,nec apppellare, falu tare: Quemadmodum liquis tibi
obuiushoſpitalitatis iure manu te prehendens dicat Salue hoſpes Athenienſis,
Šmicrionisfili Hermogenes. illeloqueretiſta,uel fari dicere tur,uel diceret,uel
falutaret,appellaretę ita, non te quidem,ſed hunc Hermogenem,aut nullum:
CRAT.Videtur mihi ô Socrates, incaſſum hæc iſte uociferare.so c.Šat habeo. utrū
uera uociferat, qui ita clamat, an falſa: Anpartim uera, partim falſa: Namhoc
quo queſufficiet. CRAT. Sonare huncego dicam feipfum fruſtra mouentem, ceu
fiquis æra pulſer.soc.Animaduerte Cratyle,utrum quoquo modo conueniamus.Nõne
aliud no men, aliud cuius nomen eſt,effe dicis: CRAT. Equidem. soc. Etnomen rei
ipsius imita tionem quandam effe: CRAT.Maxime omniū. So c. Et picturas alio
quodam modo re rumquarundam imitationes: CRAT. Certe.so c. Ageuero, force'ego
quid dicas, non fa tis intelligo,tu autem forſitã recte loqueris.poffumus has
imitationes utraſą & picturas & nomina rebus his quarű imitationes
ſunt, attribuere, nec'ne: CRAT. Poſſumus. SOC. Adverte hocin primis,nunquid
poffit aliquisuiri imaginē uiro, &mulieri mulieris tri buere, & in
alijs eodem pacto: CRAT.Sic certe.soc.Num &contra,uiri imaginem mu
lieri,& mulieris uiro. CRAT. Ethoc. soc. An utræquediſtributioneshuiuſmo directæ
sunt: uelpotiusaltera,quæ cuiæ proprium fimileg attribuit: CRAT. Mihi quidem
uide tur.SOC.Ne igitur ego actu cum ſimusamici, in uerbis pugnemus, aduerte
quod dico. Talemego diſtributionem in imitationibus utriſqz tam nominibuső
picturis rectã uo co. & in nominibus nõrectam modo, fedueram. Alteramuero
diſsimilisipſius tributio nem illationem non rectam,& in nominibus præterea
falſam. CRAT. Atuide ô Socra tes,nefortè in picturis duntaxat id contingere
poſſit,ut quis male diſpertiat, in nomini bus autem minime,fed neceſſariū ſit
recte femper adſcribere.soc.Quid ais: quo ab illo hoc differt: Nonefieri poteſt
ut cuipiam uiro quis obuius dicat,hæctua figuraeſt, oſten datók illi forte'uiri
illius figuram, forte'etiã mulieris: Oftendere, inquam, ſenſibus oculo rum
offerre. CRAT.Certe.soc.Nónneiterum ut eidem factus obuiam dicat, nomen id tuum
est. Imitatio quippe aliqua nomen est, quemadmodũ & figura. Dico
autéita.Nón ne licebit illi dicere,nomen hoctuum eft: deinde in aurē idem
infundere,fortè'eius imi tationem dicendo quod uir eſt,forte' uero fæminæ
cuiuſdã generis humani imitationē, dicendo quod mulier: Non uidetur tibihoc
aliquãdo fieripoffe: CRAT.Concedere ti bi uolo, o Socrates, licefto.soc. Recte
facis amice.acſi id ita fe habet, controuerſia iam tolletur. Porrò si in his
huius modi quædã partitio fit, alterâ uereloqui,alterữloqui falſa uocamus.Si
hocaccidit, & poſſumus non recte nomina diſtribuere, & quænon propria
funt cuic reddere,fimiliter in uerbis aberrare licebit.Sinautem uerba nominağ
ita con gerere datur, necesse est et orationes similiter. Oratio
quippe,utarbitror, eſt uerborum &nominum cõpoſitio. Quid ad iſta Cratyle:
CRAT. Quod & tu.probe namg loqui ui deris.soc. Quinetiã si prima nomina ad
literas ipſas quadã imitatione referimus, cótin. gere poteſt in his quemadmodã
in picturis,in quibusaccidit ut congruas omnes figuras coloresg;
adhibeamus.Item (ut non omnes,fed partim ſuperaddamus,partim ſubtraha mus,plura
& pauciora exhibeamus. Nõne fieri hoc potest? CRAT. Proculdubio.so..
Quicóuenientia oſia tribuit,pulchras literas & imagines reddit. Quiuero
addit,uel au fert,liceras quidem ac imagines &ipſe facit, fedmalas,CRAT. Nempe.
soc. Qui autem per literas ac syllabas rerum eſſentiam imitatur,nónne eadem
ratione fi comperētia om nia tribuit,pulchram imaginem efficit: Idautem nomen
exiſtic.finautem in paucás defi, ciatuelexcedat,imago quidem efficietur, sed
non pulchra: Quamobrem nomina quæ. dam beneinſtituta erunt, quædam contra.CRAT.
Forte. soc.Forſican ergo nominum hicbonus erit artifex,illemalus.CRAT.Profecto.soc.Nónne
huic nomen erat nomi numcõditor: CRAT.Plane.so c.Erititag in hocquemadmodū in
cæteris artibus con. ditor nominum bonus unus,alius uero non bonus,limodo
fuperiora illa inter noscon ftant. CRAT. Vera hæc funt. Verum cernis ô
Socrates, quotiens has literas « & B & quoduis elementorű nominibus per
artē grammaticamattribuimus, ſiquid auferimus, ueladdimus, uel etiam
permutamus, quod nomen quidem ſcribimus;non tamen recte, imò uero id nullo modo
fcribimus, quin potius ſtatim aliud quiddã eſt, cũ primum horű aliquid
patitur.soc.Videndű Cratyle,ne force'minusrecte hoc pacto conſideremus. CRAT.
Quo pacto:so c. Fortaſſis quæcune aliquo ex numero conſtare uel non cõsta
reneceſſe eſt, id quod ais perpetiuntur, quemadmodūdecem, autquiuis alius numerus.
Nam quilibet numerus quocûç additouel ablato, alius ſtatim efficitur. Fortè
uero qua litatis cuiuslibet & imaginis haud eadēratio eſt, ſed diuerſa. Neg
enim omnia imago ba bere debet quæcũą illud cuius imago eſt, li modoeſt imago
futura. Animaduerte num aliquid dicam. Anduoquædam hęcerunt,Cratylus uidelicet,
& ipfius imago, ſiquis deo rum nõmodo colorem tuum figuramß expreſſerit,ut
pictores ſolent,ſed interiora quò que omnia fimilia tuis effecerit,mollitiem
eandem, caloremý, motum,animā, fapientiā; &ut breui complectar, talia
prorſus effinxerit omnia, qualia tibiinſunt: Varum, inquá, alterum iſtorum Cratylus
erit,alterum Cratyli ipsius imago:AnCratyli potius gemini: CRAT. Cratyli ô
Socrates, ut arbitror, duo.soc.Cernis amicealiam imaginis rationem eſſe
quærendam, quàmillorum quæ paulo ante diximus ne cogendum effe liquiduel
additum,uelablatum fuerit,ut non ampliusſit imago Annonſentis quantã deeſt ima
ginibus, ut eadem habeantquæ & illa quorû imagines sunt: CRAT. Equidem.soc.
Ri. diculum aliquid Cratyle exnominibus contingeret his quorum nomina ſunt, fi
prorfus illis fimilia redderentur.Gemina quippe omniafierent, neutrumą
illorūutrum effetpo tius dici poffet,res'ne ipſa annomen. CRAT. Vera loqueris. soc.
Ingenueitaqz fatearis o uirgeneroſe,nominum aliud bene,aliud contra pofitum
effe:nec cogas omnes literas continere,adeò ut penitus tale fit, quale & id
cuius eft nomen:ſed mitte literá quoq mi nus congruam afferri quãdoq:ſi literam,
&nomen ſimiliter in ſermone: ſi in fermoneno men,ſermonem inſuper nequaq
connenientem rebus tribui, et rem ipsam nihilominus nominari diciç,quoad rei
ipſiuscuius fermo eft figura,inſit: quemadmodü in elemento rum nominibus quæ
nuper ego &Hermogenes comemorauimus,lirecordaris. CRAT. Recordor equidem,soc.
Benehercle igitur quandocung hocinerit, quamvis non om nia conuenientia prorſus
adſint, dicetur.bene quidem, cum omnia:male uero, cum pau ca.Diciitap ô
beate,mittamus,nequemadmodû qui in Aegina noctu circumuagãtur, fero iter
peragūt, ita &nos hoc pacto ad res ipfas reuera ſerius quàm deceat,
perueniſſe uideamur,uelfalutem aliam quandã exquiras rectam nominis rationem,nec
confitea. ris declarationem rei literis ac fyllabis facta,nomen effe.Porrò ſi
ambo hæc dixeris, tibi ipfe conſtare &conſentire non poteris. CRAT.
Viderismihi probeloqui ô Socrates.at que ita pono.soc. Poſtquam de his
conſentimus, quod reſtat diſcutiamus.Si bene no men poſitum eſſe debet,oportere
diximus literas fibi cõuenientes ineſſe. CRAT. Plane. soc. Conuenit autem ut
literæ rerum fimiles inſint. CRAT. Omnino. soc. Quæigi tur recte ſunt poſica
ita pofita ſunt.Siquid autem non recte poſitum eſt ut plurimum qui demex
conuenientibus ſimilibusý literis conſtat, fi quidem imago eſt.habet auté &
ali quidnon conueniens,propterquod non rectâ eſt,nerecte nomen eſt
inſtitutű,Sic'ne an aliter dicimus, CRAT. Nihileft ô Socrates, ut arbitror, contendendã:
neq enim mihi placet,utņomen quidem eſſe dicatur,non tamērecte poſitű.
soc.Vtrum hoc tibi non placet, quod noměreiipfius declaratio lit: CRAT. Placet.
soc.At vero nomina partim ex primis constituta esse, partim esse primanon
probedictâ putas: CRAT.Probe.soo Enimuero prima ſi quorundā declaraciones effe
debent, habes'ne modû commodiore quo id fiat, qa li talia fiát,qualia illa funt
quæ declarari volumus:Anmodus iſte pocius ei bipla. i biplacet, qué Hermogenesalijý plurimi
tradunt,quòd uidelicet nomina conuentiones quædam lint ijs qui ita
coſtituerunt, acresipfa præcognouere,aliquid referentes:rectas nominis ratio in
cõuentioneconſiſtat,nec interſit utrum quis ita utnunc ftatutű eſt de cernat,
an contra:ut uideliceto, quod nunc o paruũuocatur, o magnum cognominetur, wuero
quodmodow magnum, w paruum dicatur: Vter iftorum magis tibimodus pla cer: CRAT.
Pręſtatomninoô Socrates,fimilitudine referre quod quis oftendere uult, quouis
alio. soc. Scice loqueris. Nõneli nomen rei ſimile eſt,neceſſe eſt elemēra ex
qui bus prima nomina cõponuntur,natura ipſa rebus eſſe fimilia: Sic autem dico:
an aliquis quandox picturā iz ſupra diximus,rei cuiuſquã ſimilem
effinxiſſet,niſi colores ipfi qui bus cõſtatimago, efTentnatura reiillius
ſimiles quam pictoris ſtudium mitatur: Anno impoſſibile: CRAT. Impoſſibile
plane. soc. Eadem rationenomina ipſanun alicuius fimilia fierent,niſi illa
quibus nomina cõponuntur, limilitudinem aliquam haberent ea rum reru, quarum
nomina imitationes sunt. Ea vero quibus constant nomina, elementa sunt. CRAT. Sane.
soc. lam tu sermonis eius esto particeps, cuius nu per Hermogenes. An recte diceretibi
uili sumus, quod ipsum plationi, motui, asperitati congruit? CRAT. Rectemihi
quidem. soc. Ipsum aūta leni et molli, accæteris quæ narravimus: CRAT. Profecto.so
c. Scis ne quod idem, id est asperitas ipsa nobis quidē oxigpótys uo icatur,
Eretriensibus vero oxi spóryg: CRAT.Vting.soc. Vtrữambo hæclp& o, eidem
fimilia videntur, idemg ostendűc tam illis per ipliuse determinationē, quam
nobis pero nouissimű, uel alteris nostrum nihil referunt: CRAT. Vtriſą plane demonstrant. soc.
Vtrum quatenus similia ſunt peto, uel quatenus dissimilia: CRAT. Quatenus fimilia. soc. Nunquid penitus ſimilia
ſunt,ad lacionē æque ſignificandā: quin & ipſum a inie ctum,cur non
contrariū aſperitatis ipſius SIGNIFICAT. CRAT. Forte'non recte iniectữeſt ô
Socrates, quamadmodūea quæ tu in superioribus cum Hermogenehoc tractabas, dum &auferebas
& inferebas literas ubimaxime oportebat. Acrecte mihi facere uidebaris. et nunc
forte pro 1, s apponendű eſt. so. Probeloqueris. Quid uero nuncuc loqui nihil
percipimus inuicé, quando quis orangón pronunciat: nec tu quidnuncego dicã,
intelligis: CRAT. Intelligo equidem propter conſuetudiné. soc. Ouir
lepidiſſime, cum consuetudinem dicis, quid aliud præter conuentionem dicere
putas. An aliud conſuetu dinem uocas, quàm quodego cum id pronuncio,illud
cogito,eu quoc quod ipſe cogítē percipis: Nonhocdicis: CRAT. Hoc ipsum. soc. S;
id mepronunciante cognoscis, per mne tibi fit declaratio,ex diſſimili uidelicet
eius quod ipſe cogitans profero: quãdoquide ipsum, dissimile eft eius quo tu
ordygótym, id eſt aſperitatem úocas. Si hoc ita ſe habet, profecto ipfe ad id
teipfum aſſuefacis, et ex hac CONVENTIONE rectam tibi nominis ratio nem
proponis,poſtộ tibi idem tã diſſimiles of ſimiles literæ repræſentãt propter
ipfum conſuetudinis & conuentionis acceſſum. Sin autem CONSUETUDO CONVENTIO
MINIME SIT. Haudadhuc recte dici poterit ſimilitudinē esse declarationem, imò
cõſuetudinem dicere oportebar. Siquidē ex ſimilitudine & diſſimilitudine
conſuetudo declarat, Hisaricco ceffis, o Cratyle nempe ſilentiñ tuum pro
cõceſſioneponam) neceſſe eſt conſuetudině cca aliquid CONVENTIONEM ģconcere, conferreġ
ad eorû quæ sentimus & loquimur expreſſio nem.Nam ſi uelis,optime uir,ad
numerorũ conſiderationem defcendere, quo pactoſpe ras, adeò propria reperturű
te nomina ut ſingulis numeris ſimile nomen attribuas, ſi no permiſeris
cõcefſionem tuam, CONVENTIONEM AVCTORITATE aliquam circa nominū rationem habere.
Mihi quidē et illud placet, ur nomina quoad fieri poteſt, rebus fimilia ſinta
Coc Vereor tamen neforte, utdicebatHermogenes, tenuis quodãmodoſic iſtius
ſimilitudi nis uſurpatio, cogamurg et oneroſa hacre, CONVENTIONE uidelicet uti,
ad recta nominum rationem:quoniã tunc forte pro uiribus optime diceretur,cum
uel omnino,uel maxima ex parte similibus, id eſt cõuenientibus diceremus, turpiſſime
uero cữ contrà. Hocautē poft hæc inſuper mihi dicas: quã nobis uim habētnomina,
quid'ue pulchrâ perhec effi. cinobis afferimus. CRAT. Doceremihi quidē nomina
uident, o Socrates, idý fimplicia ter aſſerendű, quòd quiſquis nomina ſcit,
& res itidē ſciat.so. Forte ô Cratyle, tale quid cuc dam dicis, q cũnouerit
aliquisquale ſitnomē,eſt aūt tale qualis &res exiſtit, rem quoq ipſam
agnoſcet, quandoquidē nominis eft res ſimilis. Arsaūtuna eadem eſt omniüin cor
ter ſe ſimiliū. Hac ratione inductus dixiſſe uideris; quod quiſquis nomina
cognoſcit, res ecc quoghi quoq ipfas agnoſcet. CRAT. Veraloqueris. soc. Age,uideamus
quismodus docenda rum rerum iſte ſit,quem ipſenuncdicis, & utrum alius
prætereaſit,hic tamen potior ha beatur, uel alius præcerhuncnullus. utrum
iſtorum pocius arbitraris: CRAT. Hoccerte, quòd nullusuidelicet alius ſit,fed
hic folus et optimus. soc.Vtrum uero et resipſas ita reperiri cēſes, ut quicung
nomina reperit, ea quoq quorum nomina ſunt,inueniat: An quærendum potiusalium
modum quendā,hunco diſcendű. CRAT.Maxime omniale cundum iſta huncipfum &
quærendű & inueniendum. soc. Age, ita conſideremus, o Cratyle: ſiquis dum
res investigat, nomina ipsa sequitur, rimatur; quale unãquodą uule elle,uides maximum
decepcionis pericula ſubit: CRAT. Quo pacto: soc. Quoniam qui principio nomina poſuit,
quales effe resopinatus est, talia quoq nomina,ut diceba mus, effinxit.Nonne
itar CRAT.Ita prorſus. Soc. Siergo illenõrecteſenlit, et ut ſenlie inſtituit, nõne
& nos sequentes eius ueftigia deceptos iri exiſtimasť CRAT.Haud ita elt
imòneceffe ſciencem fuiffe illum quinomina poſuit.Aliter autem, ut
iamdudâdicebam, nomina nequaſ effent. Euidentiſlimo autem argumento id eſſe
tibipoteſt, haudà ueri tate aberrauisse nominum AUTORE (cf. H. P. Grice,
AUTHORITY), quòd ſimale ſenſiſſet, nequaq libiita omnia consonarent. An non
aduertiſti & ipfe, cum diceresomnia in idem tendere 'soc.Nihil ifta obo. ne
Cratyle,ualet defenſio. Quid enim mirum eft, li primodeceptus nominâ
institutor, se quentia rurſusad primum ui quadã traxit,& ipfi conſonare
coegit:Quemadmodücirca figuras interdűexiguo quodam primo ignoto falſof
exiſtente, reliqua deinceps multa Circa prin, inuicem conſonant. Debetenim
quiſo circa rei cuiuſ principium ſtatuendű differere » cipium ſta,
multa,diligentiſſime conliderare, utrum recte decernat,nec ne. quo quidem
fufficiens tuendă diſ ter examinato,cætera iam principium fequidebent, Miror
tamen,fi nomina libímet con i ſereremulta gruunt. Conſideremus iterum quæ ſupra
retulimus. diximus profecto ita nomina effen. oportet tiam ſignificare
qualiomnia currat,ferant et defluant. Ita'nelignificare cenſes? CRAT. Ita certe. et recte quidē.
soc. Videamusitaqs ex illis aliqua repetentes. Principio nom hocwrshug, id eſt scientia
ambiguum eſt,magis a SIGNIFICARE uidetur, quod istory,ideft fiftit in rebus
animam, ĝ quod cum rebus pariter circumfertur:rectiusos eſſe uidetur, ut
principium eiusutnuncüdishulu dicamus, per e ipſius eiectionem, & pro 4, 5
potius adijciamus. Deinde Bébajok, id eſt firmum dicitur, quoniam badoows et
scotas, ideft firmamenti, et status potius quam lationis est imitation. Præterea
igoelæ ad forte SIGNIFICAT quod isgor t powi, id eft ſiſtit fluxum, & ipſum
nisov, id eſt credendum, isaw, id eſtfira mare omnino SIGNIFICAT. Quinetiã
uykusid eſtmemoria, ostendit prorſus quod in anima nõagitatio est, fedpovni,id
eft quies, ſtabilise permansio. Atquifiquis nomina ipſaobler ueta écueapariæ et
ovuqoça, id eft error & cótingentia caſus, idem uidebuntinferre,quod owens
& ufiskur, id est intelligentia at scientia, & cætera nomina quæ
præclarisſunt rebus impoſita.ltem cualíc et cronacíc, id eſt inſcitia &
intêperantia, proxima hisui dentur icuclic quidē importareuidetur,&cket
demi loves aegear, id est simul cum deo eun tis progreſſum. cronæriæ uero
omnino quandam ipfarum rerum arodubiav,id eft perſe. cutionem atq cogreffum.At
ita quæ rerum turpiſſimarű nominaeffe putamus,nomi num illorû quę circa
pulcherrimaſunt, ſimillimauidebuntur. Arbitror et aliamultare periri
poffe,fiquis ad hæc incumbat, ex quibus iterum iudicabit nominữautorêno cur
rentes delataso res,imò ftabiles indicare. CRAT.Verūtamen multa o Socrates
ſecundi agitationis SIGNIFICATIONEM uides illum conſtituiffe. soc. Quid agemusô
Cratyle: Nun quid suffragiorum calculorum inſtarnomina ipſa dinumerabimus: at
ad hancnormă derecta ratione nominū iudicabimus,ut ea tandem uera ſint,quibus significationes
plu rium nominum fuffragantur: CRAT. Haud decet. soc. Non certe amice. Sed his
iam omiſſis,redeamus illuc unde digreffifumus. Dixiſtinuper, firecordaris, neceffariñelle,
illűquinomina ſtatuit, prænouille ea quibus nomina tribuebat: perſtasadhuc in SENTENTIA,
nec ne' CRAT. Adhuc. so c. Nunquid et illum qui prima nomina poſuit, nouiſicais
dum poneret: CRAT. Nouiſſe. soc. Quibus ex nominibus resueldidicerat, uel invene
rat, quando necdâ prima nomina fuerāt inftitutar cum dicta sit impossibile esse
resuelig vuenire, vel discere, nisi qualia nominaſint, didicerimus, uelipfinosinuenerimus.
CRAT: Videris mihinonnihil ô Socrates, dicere. soc. Quo igitur PACTO dicemus
eos ſcientes, nomina poſgillexuellegum et nominü conditores ante POSITIONEM cuiuslibet
nominis extitille extitiffe, eosý res antea cognouiffe, fiquidem nõ aliter quam
ex nominibus diſcires por finer"CRAT. Reor equidem Socrates uerissimum eum
esse sermonem quo dicitur excellentiorem quandam potentiam quam humanam
primarebus nomina præbuiffe, quo neceffarium lit ut recte fuerint diſtributa.
soc. Nunquid putas cótraria libijpfipofuif-cc ſe nominum AUTORE (cf. H. P. Grice,
AUTHORITY) li dæmõ aliquis ueldeusextitit: an nihiltibi fupra dixiffe uidemur:
CRAT. Forte'nondum alterum iftorum nomina erant. soc. Vtraigitur erantuir opti
me; num quæ ad ftatum uerguntian quæ ad motum potius Neq enim, utmodo dixi mus,
multitudine iudicabitur. CRAT.Sic decet Socrates.soc.Cum itaque diſſentiant
contendanto de ueritate inuicem nomina, & tam hæcquàm illa uero
propinquiora effe feafferant,cuiusadnormam dijudicabimus. Quò nos uertemus: Nec enimad
alia no mina confugiemus, quia præterhæcnulla. Verum alia quædam præter nomina
quæren da funt,quæ nobis ostendantabſque nominibus, utra iſtorum uera ſint,
rerum uidelicet monſtrantia ueritatem. CRAT.Itamihiuidetur.soc.Si hæc uera ſunt Cratyle, pof ſunt,utuidetur, res line nominibus percipi.
CRAT. Apparet. soc. Per quid potiſsi mum aliud fperas res ipfas percipere: Nónne
per quod conſentaneum ac decenseft: pet mutuam illarum communionem, fcilicet
fiquomodo inuicem cognatæ sunt, & perse ipsas maxime. Quod enim aliud eft
ab illis, aliud quiddam non illas SIGNIFICAT. CRAT. Vera loquiuideris. soc. Dicobſecro nonne iam sæpe concessimus, nomina quæ
recte posita sunt, fimilia illorum eſſe quorum ſuntnomina,rerão imagineseffe:
CRAT. Con ceſsimus
planè.soc.Si ergo licet res per nomina diſcere, acetiam per ſeipfas, quæ præ
ftantior erit lucidiorý perceptio:Num si ex imagine cogitetur et imago ipſa
utrum re cteexpreſſa fit, & ueritas cuiushæc eftimago: Anpotiusfi ex
ueritate tam ueritas ipſa. quàmipſius imago, nunquid decenter imago ad eam
fueritinſtitucar CRAT. Siexueri tate.soc. Qua ratione res vel per doctrinam vel
per inventione comprehendendęſint; iudicare, maioris quàm meum ac tuūſit, ingenñ
opus esse uidetur. Sufficiat autem nunc internos conftitiffe quod non ex
nominibus,immoex ſe ipſis potiusdifcendæ quæren dæg ſunt. ERAT. Sicapparet ô
Socrates. soc. Animaduertamus & hocpræterea,në mulra hæcnomina in idem
tendentia nosdecipiant, cũ quiilla impofuerunt, currere om nia semper
flueresputauerint,ato ea cõſideratione poluerint:uidenturnempemihiita
exiftimaffe:quorû camēopinio fi talis extitit,falſahabêda eſt.profecto
illiuelut in quan dam delapfi uertiginem, & ipfi uacillant iactanturcs,
& nosin eadem rapientes immer gunt. Cõlidera uir mirifice Cratyle quod ego
sæpenumero fomnio, utrum dicendû est: esse aliquid ipſum pulchrum ac bonum,&
unum quodas exiſtentium ita,nec ne.CRAT. Mihiquidem ô Socrates eſſe uidetur.so
c.Illud igitur ipſum cõſideremus, non ſi uul cus quidam aut aliquid taliú
pulchrum eſt, quippe hæc omnia fluunt:ſed ipſum pulchrữ dicimus, nonne ſemper
tale quale eſt perfeuerat: CRAT. Neceſſe eſt.soc. Nunquid possibile eft ipſum
recte denominare si ſemper fubterfugit, acprimo quid illud fic dein de quale
ſit dicereruelneceſſariû eſt,dum loquimur aliudipſum ftatim fieri,iugitero dif
fugere,nec tale amplius eſſe: CRAT. Neceflarium.soc. Quo pacto aliquid illud
erit, quod nunquam eodem modo ſe habet: Sienim quandoq eodem modo fe habet, eo
in tempore minime permutatur:fin autem ſemper eodémodo ſe habet;idemg exiſtit,
quo modo tranfituelmouetur, cum ideam ſuam non deferat: CRAT. Nullo pacto: so
ca Præterea ànullo cognosceretur. dum enim cognitura uis ipsum aggrederetur,
aliud alie numosfieret.quare quid ſit aut quale cognoſcinõpoffet.nam
cognitionulla ita réper cipit, utnullo modo fe habentem percipiat. CRAT. Eft ut
ais.soc. Sed ne cognitio nem ipfam effe affirmandẫeſt ô Cratyle ſi
deciduntomnia,nihilg permanet.Sienim co gnitio ex eo quod cognitio eſtnon
decidit, permanebit semper, ac ſemper eritcognitio irautem cognitionis
ſpeciesipſa diſcedit,ſimul & in aliam cognitionis fpeciem delabe tur,neæ
cognitio erit.Quod fi perpetuomigrat, ſempernon erit cognitio. Aro hacra.
tionenew quod.cogniturum eſt,nec quod cognoſcen lum,ſemper erit. Sinautem fem
per eſt quod cognoſcit,eft quod cognoſcitur,eft pulchrű,eft & bonum, eſtý
deniq exi. Itențium unűquod & quæ in præſentia dicimus,fluxus lationis
ſimilia non uidentur.Vtrum uero hæcita ſint,an ut dicebantHeraclitiſectatores,
alijg permulti,haud facile di ſcerni poteſt.Nec hominis ſanæmentis eft feipfum
animumg luū nominibuscredere; & autorem nominum sapientem asseverare, atqz
ita de ſeipſo rebus omnibus maleſen 9 ) tire,ut pPomba nihil integrum firmumą
exiftere,ied omnia uelutfictilia fluere atg conci. v dere, &quemadmodum
homines deſtillationibus capitisęgrotantes,fimiliter quoqres w ipsas affici
iudicet, adeo ut deſtillatione et fluxu omnia comprehendantur. Forteộ Cratyle
ita eſt,forteetiã aliter:forti animo &diligenti ſtudio inueftiganda res
eſt.neqením fácile aſſentiendum.Iuuenis adhuces, arque tibi fufficitætas. Et
liquid inveneris inda gando, mihi quog impartiri debes. CRAT. Nauabo operam
Socrates. Ac certe {cito meetiam in præfentia non torpere,immocogitāti mihi et multa
animo reuoluenti mul tomagis ita ut dicebas ipse, quam ut Heraclitus,res ſeſe
habere uidentur.soc.Dein ceps amice poftquam redieris me docero. Nuncautemut conſtituiſti in agrum perge. Atqui &
Hermogenes hicte comitabitur. CRAT. Fietutmones Socrates.Verum tu quoque iam de
his cogita. IL CRATILO - DELLA RETTA INVENZIONE DE' NOMI. ERMOGENE -- CRATILO
– SOCRATE. A vuoi tu ancora, che noi communichiamo il parlar nostro con
Socrate? c*. Se il pare a te. ehm. O
Socrate, Cratilo dice, che ai ritrova in qualunque degli enti per natura
la retta invenzione del nome, nè aia nome quello, onde convenendo alcuni
il chia- mavano, mentre proferiscono certa particella della sua
Toce: ma sia naturalmente certa retta invenzione di nomi la medesima in
tutti e Greci e Barbari. Sicché io Io addimando se daddovero sia Cratilo
il nome di lui, o nò: ma egli confessa esser questo il suo nome. Or
Scrate dissi io, qual nome tiene egli? di Socrate disse: non hanno tutti
quel nome, col quale chiunque il chiama da noi: nondimeno disse egli uon
è il tuo nome Ermogene, nè se ancora tutti gli uomini ti CHIAMASSERO cosi. E
mentre io lo addimando, e desidero sapere, che cosa dica, non mi dichiara
affatto niente: ma beffandomi, simula di aver nell’ animo alcuna
cosa, come egli intenda non so che d’intorno a questo, i! che se
volesse esprimer niartifVstnmfcnte, farebbe che io confessassi, e dicessi
lo stesse, che egli si dice. Laonde udirci da te volentieri, se in qualche
maniera tu potessi congetturare il vaticìnio di Cratilo. Anzi
udirei molto volentieri la tua opiuione intorno alla RETTA INVENZIONE DE
NOMI, se ti fosse in grado, soc. 0
Ermogene, figliuol di Jponico, è proverbio vecchio, che sia malagevole da
conoscer in qual guisa se ne stiano le cose belle. Or la notizia de’ nomi
non è picciola disciplina. In vero se io avessi udito già molto tempo da
Prodico quella ostentazione di cinquanta dramme, nella cui dottrina
ancora era questo, come egli ne rende testimonianza; niuno impedimento
sarebbe, che tu non conoscessi incontinente la verità intorno alla
retta invenzione de’ nomi. Ma ora io non I’ . ho udita ma si ben quella
d’ una. dramma. Per la quale cosa; non sò quello che d’ intorno a
queslavi sia di vero: ma sono prrsio ad investigar, inlteoie. con
essd.tecoj.èfcon Cratilo. In quanto poi dice, else tu non abbia'
versi mente nome Ermogene, io sospetto, che egli motteggì; perchè egli
forse pensa, che tu sia -desideroso dello acquisto de’ danari, e
impoleule.seinjpre ad otieuer- li: ma come ho detto poco, f», egli è
difficile, «Ite ciò si conosca. Or fa misticri, da tutte due le porli
spoetando iu meszo le ragioni, che si investighi se sia cosi, come tu di
o piuttosto come dice Cratilo. e»m. E pur o Socrate, tuttoché spesso io
abbia disputato già contostai, con altri molti tuttavia non ancora mi posso
persuaderò, che altra ai.» la rotta invenzione del no- me, phe lo
assenso, e il consentimento; perciocché a me pare, clic quel sia nome
retto, il quale impone chiunque a ciascheduno, e se di nuovo il mutasse,
e altro ne ponesse, non meno del primiero quello, che Si
trasportasse sarebbe nome retto, come siamo noi soliti di cambiare i nomi
a servi, non vi essendo per jialura a ninna cosa il nome! ma per legge, e
secon- do la usanza di coloro, che furono soliti cosi chia- marli.
Il che se sia. altrimenti, io sono apparecchiate .ad impararlo, o adirlo
non solamente da Cratilo; ma da qualunque altro, soc. O Ermogene
peravvepto- ra tu dì alcuna cosa: ma consideriamola. Quello che
porrà alcuno, con cui chiama qualunque cosa, sarà egli, il nome di
ciascuna cosa? ehm. A me pare, soc. O se il privato, o la città il
dicesse? uh. Lo assentisco. soc. Ma che, se io chiamassi qua- lunque
degli enti, come per esempio, se quello, che al presente chiamiamo uomo,
chiamassi cavallo, e uo- mo quel, che cavallo: pubicamente sarà egli il
nome all' uomo, privatamente cavallo; e di nuovo privata- mente
uomo, cavai lo puiilicnmenle Parli così tu? erm. Tosi mi pare. soc. Or mi dì questo. Chiami tu alcuna cosa
il dir il vero, e il Tabu? erm. In vero sì. soc. Non lia quella vera ORAZIONE: ma quest’ORAZIONE
falsa? erm. Così affatto, soc. Quei par- lar poi, che die* le cose, che
sono quali son esse ai » ìli h rero: ma
falso quello, che non come sono? n», — Cosi è. soc. Adiviene egli questo, che col par- lare
si dicano le cose, che sono, e che non so- no? ehm. Si. soc. Il parlar che è vero mi di, se
è vero tutto, non vere le parti? ehm. Nò: ma le parti ancora, soc. Dimmi,
le parti grandi saranno vere: ma le picciole nò, oppur tutte? exm. Io
mi stimo tutte, soc* Puoi tu dire altra parte piu pic- ciola del
sermone, che il nome? erm In modo nin- no, essendo questa la minima
parte, soc..Ed an- cora si dice egli peravventura il nome parte della vera
ORAZIONE? erm. - Senza dubbio, soc. Veramente parte vera, come è, tu di.
erm.— Veramente, soc. E la parte del falso, non è ella falsa? erm.
— Lo dico si. soc- — Dunque è lecito dir nome vero, e no- me falso, se si
dice ancora la orazione. erm. In
che modo nò? soc. Dunque quel nome, che
chiun- que dirà, che in alcun si ritrovi, sarà egli il nome di
ciascheduno? erm Si. soc. Peravventura
quanti nomi dice alcun, che abbia chiunque, tanti saranno essi? e
allora, quando egli li dice? erm, Per certo, o Sncrate: io non ho
alcuna retta invenzione di no- / t me, fuor che questa,
in modo, che non sia lecito a « me con altro nome chiamar la cosa, che
con quello, che io ho imposto, nè a te con altro, che con quello,
elle le imponesti. Cosi per certo io veggo nella città, che si hanno alcuni propri nomi delle medesime
co- se, e fra Greci in verso ad altri Greci, « in verso a
i Barbari, «oc. Or
rediamo o Ermogene, se pare a te, che gli enti se ne stiano in questo
modo; che ognun di loro tenga la propria essenza, come diceva Protagora,
dicendo egli esser 1’ uomo misura di tutte le cose in modo, che quali qualunque
cose mi paiono, tali io le abbia; similmente quali tu, e tali le ti abbi;
o pensi piuttosto che siano alcune cose, le quali tenga- no alcuna
fermezza della sua essenza, eem. Alcuna volta, o Socrate, dubitando sono
condotto a quello, che dice Protagora: per tanto non mi persuado a
ba- stanza, che se ne stia egli cosi. soc. Ma che? set tu ancora alcuna volta
condotto a questo, che non li paia in modo niuno, che alcun nomo sia
cattivo? erm. Per Giove nò; anzi
spesse volte cosi sono disposto, che io stimo, che alcuni uomini siano al
tutto catti- vi, e molti, soc. —Ma che? non ti è parso ancora, che
siano molti uomini buoni? erm. Molto pochi, soc. Nondimeno pare a te
vero? erm. A me si. soc. — In che
modo poni tu questo? forse cosi, che i molto buoni siano molto prudenti,
e i rei al lutto molto imprudenti? ebm. In vero a me pare cosi, soc. Se Protagora diceva il vero, e se ò questa
la ventò, che quali qualunque cose pareranno a ciasche- duno, tali
siano; è egli possibile, che altri di noi sia- no prudenti, altri
imprudenti? ebm. —Per certo nò. soc. — E come io penso ti pare ad ogni
modo che Protagora non possa al tutto parlar il vero, essendovi
«erta prudenza, e imprudenza, perciocché non sarebbe veramente l’uno dell’
altro piò prudente, se le cose, che paiono a chiunque, le tenesse
ciascheduno per vere. IBM -Cosi è. Ma nè ed Eutidemo ' assenti-
sci, come io penso, che dice, che tutti abbiamo tutte le cose similmente,
e sempre, perchè cosi' non smeldio. no altri buoni, nitri cattivi, se
sempre, e pariménte si ritrovasse in tulli e la virtù, e la malvagità! ehm;
Tu palli il vero, soc.— Dunque se nè tutte le rose si ritrovano sempre in
tutti, e simiglmutcìiiente; uè qualunque cosa è propria di ciascheduno,
manifesto è, rise siano le cose quelle, che tengono in su stesse
certa essenza ferma, uè sono in quanto a noi tirate in diverse parli, nò
da noi con la imaginazione e in suso, o in giuso: ma stabili secondo se
stesse in quan- to alla loro essenza, come sono 'ordin. ite dalla
natu- ra. uu. Cosi ini è avviso, elio se ue stia questo. *oc Dunque
mi di, se le còse se ne stanno si per u«-. torà, ma non nella stessa guisa
lu loro azioni o eziandio esse azioni sono una certa specie degli enti?
esm. Ani cora esse ad ogni modo. soc.— Dunque le azioni sa
tonno secondo la natura loro, non secondo la nostra opinione, come
per esempio, se noi si mettessimo a divider alcuno degli enti, forse
sarebbe qualunque cosa d» dividersi ila noi come vorremmo, e coti che ci
a„ gradissi.? o più tosto, se volessimo partire quafuo/pio cosa
secondo la natura, con cui fa mislieri che S‘ I 1 al f lisca, e sia
partita; parimente con cui secondo l« tura ti dee fare il partiraento;
invero la dividerei. *io« bene, e si farebbe «la noi alcun profitto, e
questo si operetébbe bene; ma se cóntro la natura travieremmo
nè si farebbe niente «la noi? erm Così mi pare. soc. E se ci mettessimo ancora àd ffhbrugiiir
alcuna cosa: non fa nilstieri, chieda sì ‘ablmigi secóndo Ogni opi-
nione: ma sibbene secondo la reità opinione/ Qué- sta è poi quella, onde
qualunque cosa naturdlòientc è atta ad abbrugiarsi,' é di abbruciare, e
con cui nai turalmente ne era atta, erm Queste cose son vere, soc. Non si ritrova la stessa maniera d’intorno
al- le altre cosi? ehm La medesima sì. soc Anco-ra il dire non è egli
forse una certa delle azioni, ehm. -r Certo si. soc. Or dirà bene chi così dice, co- irne li
par di dire . 5 o piuttosto dii in colai guisa dice, come ricerca la natura del
dire, e che si dica? e- se eziandio dicesse con cui ricerca la natura,
in dicendo farebbe alcun profitto, altrimenti 1 . travierebbe egli,
nè farebbe nulla? ehm. —In vero io stimo co- sì, cometa di. soc.- Dunque
il nominar "è particella di dire; perciocché nominando si fanno i‘
ragionamenti; erm Ad ogni modo. soc. Dunque e il nomina- re è 'certa
azione, se ancora il dire era certa azione; d' intorno alle cose?
erm.-Così è. soc.— Or le azio- ni ci par vero di non risguardar a noi: ma
di teneré certa propria lor natura. ehm. - Così è. soc Sicché è da
nominarsi in quella guisa, onde la natu- ra delle cose ricerca di
nominate, e che si nomini, con cui, ma uon secondo lo arbitrio deWolcr
no- ’ ì ) « ( atro, se ti ba a dire alcuna cosa
concorde alle cosa dette. Ed in colai guisa facessimo noi alcun
guada» gno, e nominaressimo: ma altrimenti nò? krm. Così mi pare. soc. Or dimmi ciò, cbe era da ta- gliarti,
diciamo noi cbe era da tagliarsi con alcuna cosa? erm. Con alcuna si.
soc. —E ciò, cbe si doveva tesser da tessersi con alcuna cosa? e ciò,
che era da forarsi, con alcuna cosa si dovea egli forare? erm. — Al
tutto. soc.—Sim il niente ciò, che nominar si dovea, era da nominarsi con
alcuna cosa? ibi*. Si- soc. Ma che era quello, con cui f«cea
mistieri, che alcuna cosa si forasse? erm. La trivella? soc. Che è quello, con cui fa mistieri, che si
tessa? erm. La navicella, soc. E che con cui si nomi- ni? erm. —Il
nome, soc.— Tu parli bene. Dunque e il nome è certo stromento. ss**. E’ si. soc. Dunque se io cercassi quale
stromento è la navicella • o non sarebbe d' esso quello, con cui si
tesse? erm. Così è. soc. Or
tessendo, che facciam noi? o non separiamo la trama, e gli stami confasi?
ehm. Que- sto stesso, soc. — Or potrai tu dir così della trivel-
la, e delle altre cose? erm. Lo stesso, soc. Puoi • tu ancora dir
similmente d* intorno al nome ciò, che facciamo mentre col nome,
che è stromento, nominia- mo alcuna cosa? erm. Nò il posso nò. soc.
For se di compagnia insegniamo noi mente, c dividiamo le cose, come
sono? erm. Per certo, soc. Sicchò
il nome è certo stromento di insegnare, • divide» 1* sostanza, come !a
navicella della testura erm. 1
lassi a dire in colai guisa, soc La navicella è ella stru- mento acconcio
al tesserei 1 ehm, • In che modo nò. soc. Per la qual cosa il tessitore si vaierà
bene della navicella, dice bene, secondo la maniera del tessere: ma
chi insegna, egli si vaierà del nome, e bene, dico bene secondo la
maniera propria dello insegnare, ehm. Per certo, soc. Dell’ opra di
quale artefice si vaierà bene il tessitore, quando si vaierà della
navicella? erm. Di quella del legnaiuolo, soc. E egli chiunque
legnaiuolo, o piuttosto chi tiene P arte? erm. —Chi tiene l’arte, soc. Similmente del- l’ opera di cui il
foratore si vaierebbe bene, quando si valesse della trivella? erm. Del
maestro del me- tallo. soc. — E forse chiunque maestro di metallo?
o chi tiene l’arte? erm. Chi tiene
l’arte, soc. ' Stiano le cose
cosi. Dell’opera di cui il dottor si vaie- rebbe, qualora si servisse del
nome? erm. Nè ciò pos- so dire io. soc. Ancora non puoi tu dir
questo. Chi ci dà i nomi, dei quali ci serviamo? erm. Per certo nò, i soc. - Non pare a tè
peravventura, che la legge sia quella, che ci dà i nomi? erm. Appari- sce. soc.— Dunque il dottore si
vaierà dell’ opra del legislatore, quando del nome si vaierà, erm. Io penso si. soc. Pare a te, che ognuno
egualmente sia facilor di leggi, o chi è dotato di arte, erm.
Il dotalo delP arte. soc. Si che o
Erinngene non è. ufficio di qualunque uomo lo imporre i nomi; ma di
certo autor di nomi e costui è come apparisce ii legislatore, il quale
fra gli artefici si fa raro appresso agli uomini, ehm. » Apparisce, soc.
Deh conside- ra, ove riguardando il legislatore impone i nomi, e considera
dalle cose antedette ove riguardando il legnaiuolo fa la navicella? non ad una
cosa tale, che da natura sia al tesser acconcia? ehm. Al tutto, soc.— Ma che? se nell’ opera
si rompesse la navicella, mi di se fabbricherà egli un’ altra di nuovo
alla somi- glianza della rotta, o piuttosto alla specie risguarde*
rà, secondo il cui esempio avrà fatto la navicella,' che si ruppe?
erm. — Alla specie, come io stimo, soc. Dunque chiameressimo noi meritamente la
spe- cie la navicella? erm. Io
penso si. soc. — Se fa mestieri alcuna volta, che si apparecchi la
navicella per fornir la veste, o qualunque altra cosa di filo, e di
lana sottile, o grossa, bisogno è, che tutte le navicelle tengano la
specie della navicella; e quale naturalmente è a ciascheduna cosa
accommodatissima, tale si usi al fornir l’opera, come il ricerca la
na- tura, erm. — Iti vero fa mislieri. soc. La medesima ragione è d’ intorno agli altri
stromenti concios- siachè è da ritrovarsi quale stromento si
confaccia per natura a qualunque cosa, ed è da darsi a lei, con
clii si fa ella, uon quale vuole chi fabbricai ma quale è ella per natura.
Perchè fa mistieri, come ap- pare, che si sappia accommodar a qualunque
cosa ciò, die naturalmente acconcia al ferro, erm. Cosi si. soc. ‘Più- oltre nel legno la navicella
confacevole a ciascheduna. e*m. Egli è vero. soe. — Percioc- ché.
secondo la ragione della natura altra navicella si confà ad altra tela, e
nell’ altre nella medesima guisa, ehm* Veramente, soc. Fa mistieri
ancora -ottimo uomo, che il posìlor dei nomi proferisca un nome per
natura acconcio nelle voci, e nelle silla- be a tutte le cose, e
riguardando a quello stesso di cui è nome, formi qualunque nome, e gli
attribui- sca, se daddovero dee esser positor proprio di nomi. Che
se non con le medesime sillabe qualunque po- citor di nomi esprime il
nome, fa mistieri, che noi sappiamo, che nè tutti i fabri ciò fanno nel
ferro per la stessa ragione; qualora fabricauo il medesimo stro-
xnento: ma nondimeno in quanto gli attribuiscono la stessa idea, in tanto
se ne sta egli bene, tutto che in altro e iu altro ferro; o qui si
fabrichi egli, o fra barbari non è egli cosi? ehm. -a. Si. soc. Dunque islimerai tu ancora nel medesimo
modo finché il po- sitor dei nomi, ebe è fra noi, e fra barbari
concede una specie di nome convenevole a qualunque cosa in
qualunque sillaba, che 1’ uno dell’ altro non sia punto peggiore nell’
imporrei nomi. ehm. In vero si. sqc. Chi è per conoscer se sia
impresso in qua- lunque legno una specie convenevole di navicella?
fpr&e il, legnaiuolo, che la fai o il tessitore, che se ne dee
servire? ehm. O Socrate, gli è verisimile, die la conosca molto piu, chi
se ne dee valere, soc. Dunque chi si servili dell’opera del Tacitar
dell* lira? non colui Torse, che benissimo saprà esser so*
prastante alla cosa Tatta, e conoscerà Tatta che sia, se sia Tatta bene o
no? ehm. Al tutto, soc. Chif hm. « Il citarista, soc. Chi poi dell'Opera di coloro, che Tanno le
navi? erm. Il governatore, soc. Chi eziandio benissimo sarà soprastante
all’opra del Tacitar delle leggi, e Tornita la giudicherà e qui, e
Tra barbari? non chi se ne dee servire? ehm.— Cosi è, soc, *- O non è
egli d* esso chi sa interro* gare? ehm. Costui si. soc, — Il medesimo che sa-
prà risponder ancora? ehm. Si certo,
soc. Or chiami tu altro che
dialettico chi sa interrogar, e rispondere? ehm. Non altro; ma lui. soc.
—Siche è Tattura di lignaiuolo il Tabbricar il timone esscn* do
soprastante il governatore, se è egli per dover esser buono, ehm,—
Apparisce, soc.— Ancora come è avviso, è opra di positor di nomi il nome,
cui è soprastante 1’ uomo dialettico, se sono per doversi por bene
i nomi. ERM.-*Que$te cose son vere. soc. — Dunque, a Erraogene,
corre rischio, che non Ha cosa lieve, come tu stimi, il por dei nomi, nè
Tat- tura d’ uomini bassi, e vulgari. Per certo Cratilo par- la il
vero, dicendo, che i nomi per natura siano nel- le cose; nè sia chiunque
autore di nomi: ma colui solamente che risguarda al nome, che è in
ognuno per natura, e sia possente di por la specie di lui nelle
lettere, e nelle sillabe, ehm. — O Socrate, io non so in che modo sia da
opporsi alle cose che tu di: ma peravventura non è cosa agevole il
per* «cadérsi cosi allo improviso: ma mi è avviso, che io ti sarei
piuttosto per ubidire in questo modo, se di- mostrassi quale da te si
dica, esser la retta natura del nome. soc. —In vero, o beato Ermogene,
non di- co alcuna: ma tu ti sei scordato di ciò, che io di- ceva
poco inuanzi, cioè, che io non la conosceva! ma, che io la considererei
insieme con esso teca. Al presente poi questo solamente si è fatto
chiaro oltre alle antedette a me, e a te di compagnia in-
vestigando, che Certa retta invenzione per natura tenga nome, nè chiunque
sappia adattar bene esso nome a qualunque cosa, non è egli così? rum. Grandemente,
soc— Dunque rimane da Considerarsi se tu desideri di conoscer quale sia
la retta invenzione del nome, ehm. — In vero la desidero sapere, soc. r-
Dunque cobsidcra. erM.— In che modo adun- que fa inistierì, che si
consideri? soc.^O umico rot- tissima. è la considerasione; ricercandosi
questo da coloro, che sanno con 1' offerir danari, e col il ren-
der loro grazie’ oppresso. Or d’essi sono i sofisti, coi quali Calia tuo
fratello pare, che sia riuscito sag- gio, pagati molti danari, ma poiché
non hai, che fare nella robba patema, rimane, che tu supplichevole
preghi il fratello, che ti insegni la retta invenzione di questétàll
cose, che Protagora egli imparò, erm. O Socrate, quanta sconvenevole sarebbe
questa dimanda, se non prestando aiuto alla verità di Protagora amassi le
cose, che si dicono con tal verità, quasi degne di alcuna considerazione,
toc. Ma se a te non piacciono
elle, si dee imparar da Omero, e dagli altri poeti. erm. O Socrate, e che è in che luogo ne dice
Omero dei nomi? soc. Per tut- to molte cose: ma grandissime e bellissime
son quel- le, onde distingue d’intorno a quei nomi, che in-
troducono gli uomini, e i Dei, o non istimi tu, che egli d’ intorno a
questi dica alcuna cosa magnifica, e maravigliosa della retta maniera dei
nomi? essendo manifesto, che i Dei chiamano rettamente quei, che son nomi
naturalmente, o no il pensi tu? ikm. In vero io so certo, se i Dei ne
dicono alcuni, che essi lr~cbiamano bene; ma quali di tu questi?
soc. O non sai tu ciò, che si dice del
fiume troiano, che con vulcano combatte a singoiar battaglia, il quale i
Dei chiamano santo, gli uomini Scaman- dro. ehm. Il so. soc. Che dunque? non istimi tu certa cosa
grave il conoscer in che modo sia meglio, che si chiami quei fiume santo
piuttosto, che Scarnan- do? ma se vuoi considera questo, che il
medesimo dice dell’ uccello, che i Dei chiamano Calcidei ma gli
uomini Cimindi. Tu stimi vii disciplina il sapere quanto sia meglio, che
si chiami il medesimo uccello Calcide, che Cimindi, o Bracia, e Mirine, e
molti al- tri tali, detti da questo poeta, e da altrui? ma le.
invenzioni di queste cose peravvenlura superano le forze nostre. Cii cbe
poi signifìchioo Scamandrio, e Astiane si può comprender, come mi pare da
ingegno amano, e apprendersi agevolmente qual retta in- venzione vuole
Omero, che sia in questi nomi, co* quali chiama il figliuolo di Ettore:
perciocché tu cer- tamente sai, ove si ritrovano questi versi, che io di-
v co. a**. Ad ogni modo,
soc, Dimmi, pensi tu, che di
questi nomi stimi Omero che peravventura pili convenisse Astianate al
fanciullo, che Scamandrio? vrm. Io
no il posso dire. soc. Or in colai
mo- do considera, se alcuno ti addimantlasse, se tu pen- sassi che
i piò saggi ponessero i nomi meglio alle cose, o i manco saggi, erm. Chiaro
è, che io risponderei i piò prudenti, soc.— Dimmi, se le don- ne nelle
città pare a te, che siano piò prudenti, o gli uomini? per dir tutto il
genere? erm. Gli uomini. soc. Dunque tu
sai, che dice Omero, che il figliuolo di Ettore era chiamato da’ Troiani
Astiaua. te, dalle donne Scamandro, poiché gli uomini lo chia-
mavano Astianate. erm. Apparisce, soc.- Dunque eziandio stimava Omero,
che gli uomini Troiani fos- sero piò saggi, che le lor donne, erm. Io lo sti- mo. soc. - Dunque stimò, che
egli si chiamasse, me- glio Astianate, che Scamaudrio. ehm. -
Apparisce, soc Consideriamo qual cagione egli apporti di que-
sta denominazione, perchè dice egli, che solo difese loro la città,
e le ampie muraglie. Per la qual co- sa, (come pare) conviene# che si
chiami il figliuolo del Salvatore, cioè di colai, che il padre di lai
sai* va va, come disse Omero, erm. — A me pars soc. — Per qual
cagione? perciocché o Ermogene, nè io lo intendo ancora bene: ma lo
intendi tu? erm. Per Giove nò. soc. O uomo da bene ancora Ome- ro
pose ad Ettore il nome. erm. — Perchè? soc. Perchè mi è avviso, che questo nome
si assomigli ad Astianate; e essi nomi si assomiglino a Greci:
dimo- strando quasi il medesimo, cioè che ambidue que- sti nomi
siano regali; perciocché di cui sarà al- cuno re, dello stesso sia ancora
possessore; essen- do manifesto, che egli lo signoreggi, e
possegga, e abbia. O peravventura non pare a te, che io dica
niente? e m' inganna la opinione, onde mi confida- va, come per certi vestigi,
di toccare la opinione di Omero d’ intorno la retta invenzione dei
nomi? erm. -* In modo niuno, come io penso: perchè^forse tu tocchi
alcuna cosa. soc. Egli conviene,
come a me pare, che si chiami similmente leone il figliuol del
leone, il figliuol del cavallo cavallo; non dico, se alcun’ altra cosa
fuor che il cavallo (come mostro) nasoesse dal cavallo: ma quel mi dico,
del cui genere secondo la natura è ciò, che nasce, se il cavallo
na- turale partorisse il figliuolo del bue vitello contro natura,
non sarebbe da chiamarsi poliedro: ma vitello, nè eziaodio se dall'uomo
altra prole si producesse, che umana, ciò che nascesse si dovrebbe
chiamar no* aio. 11 medesimo è da giudicarsi degli alberi, e
delle altre cole tutte, o non pare ancora a te? erm. A me par si. soc. Tu dì bene-,
perciocché guardati, che io non ti inganni in alcun modo; conciosia,
che secondo la stessa , ragione eziandio se alcuna cosa na- scesse
da re, sarebbe da chiamarsi re, non importan- do che si significhi lo
stesso in queste, e in quelle sillabe, o se vi si aggiugni alcuna
lettera, o se an- che la vi si levi; mentre la essenza della cosa
dichia- rata nel nome signoreggi./, erm Come dì tu cote- sto? soc. Io non dico
oiuna cosa meravigliosa, o nuova: ma siccome tu sai, che diciamo i nomi
degli elementi: ma non essi elementi, eccettuatine sola- mente
quattro, cioè b N E fi ma «1 rimanente, co- sì vocali, come mutoli, tu
sai che aggiugnendovi al- tre lettere, li proferiamo formando i nomi: ma
iinchè inferiamo la forza dichiarata dell’ elemento conviene, che
quel nome si chiami ciò, che egli si dichiara, nor- me per esempio il B,
vedi i che il T aggiunte non impedì che con lo intero nome non si dimostrasse
la natura di quello elemento, di cui volle il positor del nome,
siffattamente non li è prestato fede di aver posto bene i nomi alle lettere,
erm. Tu mi pari di parlar il vero, soc.— Dunque fla la stessa ragion
ancora d’intorno al re. Perciocché sarò alcuna volta il re dal re,
il buono dal buono, dal bello il bello, e le altre cose tutte similmente
da qualunque genere certa altra pro- genie, e sarebbono da dirsi gli
stessi nomi, se non ci facesse mostro. Egli è lecito, che in modo si
variino per sillabe, che sia avviso all’ nomo rosse, che le cose, che
sono le stesse siano diverse tra loro, co- sì come le medicine dei medici
variate con colori, •ed odori spesse volte essendo le medesime, pare
a noi, che siano diverse: ma dal medico considerata la virtii loro,
sono giudicate le stesse; nè il perturbano le cose aggiunte. Similmente
peravventura chi è eru- dito d’intorno a nomi considera la virtii loro nè
si perturba il giudició di lui, se vi è aggiunta alcuna lettera o
trasmutata o levata, o se in altre, e motte lettere si ritrova la stessa
virtii del nome. Come quei nomi, i quali di sopra abbiamo detto
Astianate, e Ettore hanno le lettere ad ogni modo diverse, fuorché
il sol T, non pertanto significano il medesimo... Mei medesimo modo ciò
che si dice prencipe di città, qual communicanza di lettere tiene egli
con li due antedetti? nulladimeno significa il medesimo, e molti
altri vi sono, i quali nient’ altro significano, che il re. Oltre ciò
molti sono, che significano il capitano dell’esercito, come altri ancora,
che dichiarano il professor dell^medecina. E si possono ritrovar mol-
ti altri discordanti nelle sillabe, e nellj lettere: ma accordatisi al
tutto nella virtù, del significare, par egli che così sia, o pur nò? zrm.
Così certo, soc. Or a queste cose,
che si fauno secondo la natura sono da darsi gli stessi nomi, ehm.
Adognimodo, soc. Ma qualora alcuni uomini si fanno contro la natura
in certa specie mostri, come quando sì genera l’empio dall’ uomo buono, k
pio; ohi è gene* rato non dee sortire il nome del genitore- ma di
quel genere, nel quale ei si ritrova, come diami di cent- rilo; se
il cavallo generasse la prole del bue, non sa» rebbe da chiamarsi il
figliuolo di lui cavallo: ma bue* mm. C osi è. soc. -Dunque all’uomo
empio generato dal pio, bassi a dare il nome del genere. ehm. Queste
cose sono vere, soc. Dunque non conviene, che si chiami un figbuol
tale, amico di Dio nè ricordevole di Dio, nè alcuna cosa siffatta: ina
con ' nomi il contrario signi- ficanti se pur i nomi deono conseguire la
retta in- venzione. sbm. Cosi al tutto o Socrate è da farsi* soc.—
Come ancora Oreste, o Ermogene, corre rischio» che sia ben messo, o se
alcuna sorte H pose il no- me, o alcun poeta; con quel nome significando
la dì lui natura ferina, selvaggia, e montana, erm. Cosi apparisce, o Socrate, soc. — Àncora
è avviso, che il parere di lui tenga il nome secondo la natura,
erm. Apparisce, soc. la vero tale appar egli, che sin Agamennone,
quale pare che si affatica, e sopporta» imponendo fine alle cose, le
quali parvero da terminarsi per la virtù. Argomento poi della sua
toleranza ne diede il durar sotto Troia con tanto esercito. Dun-
que che questo uomo sia stato buono nella perseve- ranza, il nome di
Agamennone lo significa. 1$ perav- ventura eziandio Atreo se ne sta bene,
conciosia, che la uccisione di Crisipo, e la crudeltà intoruo a
Tie- sse sono tutte le cose daouosc, e perniciose in verso alla virtù,
onde la denominazione del nome declina un tantino, ed è gelata in modo,
che non dichiari .^chiunque la natura di questo nomo: ma cui som»
periti di nomi si mauifesta bastevolmente la signi- ficazione di Atreo;
perchè esso nome è posto bene in- ogni luogo secondo 1 intrepido. Ancora
pare che il nome di Felope non sia dato a lui fuor di proposito,
significando questo nome, che sia degno di que- sta denominazione chi
vede le cose dappresso, zbm.— • In che modo? soc. — Come si dice nella
morte di Mirtillo contra di lui, che egli non abbia possuto pro-
veder niente, nè da lunge vedere di quanta calamità fosse ripieno il
genere tutto, riguardando alle cose, che gli erano innanzi a piedi, e
solamente alle pre- senti. Ciò poi è il veder dappresso, il che ei
fece avendosi aiTaticato con ogni sforzo di accompagnarsi in
matrimonio con Ipodamia. Appresso penserebbe ognuno, che il nome Tantalo
li sia stato posto bene, e secondo la natura, se sono vere le cose, che
si rac- contano di lui. erm. — Quali sono coteste? soc. Che a lui
ancora vivente moltissime cose avverse, e gravi avvennero, il fio delle
quali si era, che tutta la patria di lui si vogliesse sossopra. Più
oltre, lui mor- to gli sta sopra la testa un sasso, per certo,
durissima sorte. Tutte queste cose adognimodo si confauno col nome,
non altrimenti, che se alcun l’avesse volato nominar pazientissimo: ma
avendo parlato alquanto oscuramente, abbia posto Tantalo per Talantato-
In c vero pare, che un tal nome la fortuna di lui
avversa lì abbia dato col rumor della gente. Anzi che bene si
applicò ancora il nome a Giove padre; nondime» no egli non è agevole da
conoscersi» essendo «1 no» 1 me di Giove qual certa orazione, il quale in
due par- ti partendo, in parte si vagliamo d’nna, in parte del»
l’altra parte, chiamandola. alcuni altri, le quali per» ti in uno poste,
dimostrano la natura di Pio, il che dee poter fare il nome massimamente;
non avendo noi, nè tutti gli altri niuna maggior cagione di viver,
che il prencipe, e re di tutti- Dunque avviene, che si nomini bene in
cotal guisa, essendo ‘Dio, per cui ca» gioite il viver si ritrovi sempre
in tutti i viventi. Es- sendo poi uno il nome, è in dtfe parti partito,
come io dico. Questo poi essendo fìgliuol di Saturno clù all’
improviso l'udisse penserebbe cosa insolente. M* è ragionevole, ehesia
prole Giove di certa grande in» telligenza; perchè quello, che si dice
non significa fanciullo; ma purità, e incorruttibilità deliamente
di lui. Egli è poi, come si dice, figliuolo del cielo; con-
ciossiachè lo aspetto alle cose di sopra meritamente sidee chiamare con
questo nome, come all' alto ris- guardi onde, o Ermogene, affermano
coloro, che trat- tano delle cose sublimi, cheavvegna una pura
mente, e a lui si ponga bene il nome del cielo. Or se io tenessi a
memoria la geneologia scritta da Esiodo: e mi ricor- dassi quali egli
introducesse i progenitori loro, in niuu modo non cesserei di
dimostrarti, che fossero scritti loro i nomi bene, finché facessi la
provi» di questa sapienza, se ella faccia alcun profitto, e alcu-
na cosa fornisca e se si dubiti, o nò, la quale io non se certo, onde
poco fa mi sia venuta cosi allo ìmproviso. za»*— In vero, o Socrate, pare
a me, che t« alia similitudine di coloro, che sono da divinità
rapiti, mandi fuori oracoli. soc. O Ermogene, io stimo, che. questa
sapienza si cagionasse in me da Eu- tifrone figliuolo di Panzio; poiché
assiduo gli era in- stami dal matutino, e li porgeva gli orecchi.
Sicché é manifesto, che egli pieno di Dio, non solamente abbia
ripieni di sapienza beota gli orecchi miei? ma occupato t'animo ancora:
io stimo veramente, che si abbia a fare in cotal guisa. Che si vagliamo
-oggi di lei, e si investighi da noi il rimanente, che pertiene a
nomi: diman poi, se in ciò converremo, la manderemo fuori, e la mondaremo con
diligenza, ricer- cando alcun o sacerdote, ovver sofista, che sia
buono a purgar queste cose, bum.— O Socrate, io approvo questo si,
perchè molto volentieri udirei ciò, che ri- mana d'iutorno a nomi. soc.
Al tutto si dee fare cosi. Dunque ove giudichi tu principalmente,
clic si abbia ad incominciare; poiché abbiamo prescritta Certa
legge per conoscere, se eziandio gli stessi nomi ci attestino, che non
siano stati fatti a «uso: ma con- tengano alcuna invenzione? i nomi
dunque degli croi* C degli uomini peravventura ci inganaerebbono, essendo
molti di questi posti secondo le denominazioni de’ maggiori, e spesse volte non
conven- gono in modo niuno, come abbiamo detto nel principio. Molti nomi
poi pongono gli uomini quasi pel* voto, come e altri molti Per la qual
cosa io stimo, che siffatti siano da tralasciarsi: ma è cosa
verisimì- le si, che noi ritroviamo i nomi posti bene, e naturali intorno
«Ile cose, che son sempre, convenendosi mollo, che qui si abbia a cercare
diligentemente la maniera del por i nomi: ma peravventura alcuni dì
loro sono stati posti ancora da certa potenza più di- vina, che umana.
ehm. 0 S ocrate, tn mi pari dì parlar eccellentemente. soc.« Non è egli
cosa con- venevole lo iucominciar da Dei, considerando in qual
guisa sono stali chiamati i Dei bene con questo stes- so nome? erm.-E
verisimile. soc.-In vero cosi io so- spetto; mi par certo, che i primi
de’ Greci abbiano pensato quei soli Dei, i quali eziandio sono
stimati in questi tempi da molti ,!«' barbari il sole, la luna, la
terra, le stelle, il cielo. Dunque quasi, che essi ve- dessero tutte
queste cose essere in un perpetuo corso, da questa natura è avviso, che
ic si abbiano nominate,* poscia osservandone altri; le abbiano chiamate
tutto con lo stesso nome. Ciò, che io mi dico tiene egli al- ®uua
verisomigliauza, oppur nò? ««.-Appar molto, soc che si ha poscia ad investigare? ehm E ma-nifesto,
che si dee cercare de’ demoni, e degli eroi,» degli uomini. $oc.- De’
demoni? o Ermogene, conside- ra veramente se ti è avviso, che io ti dica
alcuna cosa intorno a ciò. che si vuole inferire il nome de* demoni, ehm.
DI pure. soc. Sai tu dunque quali
si dica Esiodo, che siano i demoni? * km Non intendo. soc.— Nè eziandio, che
egli dica essere stato de- gli uomini primieramente il genere dell' oro?
erm. Solio sì. soc. Or dice d’intorno a lui, poiché la sorte coprì
questo genere, che altri si chiamano demoni puri, terrestri, ottimi fuggatori
di mali, e guar- diani di uomini mortali, erm. Che poi? soc. Per certo io stimo, che egli chiami
genere d’ oro, non fatto d’ oro: ma buono ed eccellente, e di ciò ne
fo la congettura, dicendo egli, che il genere nostro sia del ferro,
ehm.— Tu narri il vero, soc.— O non pensi tu, se al presente alcun de’
nostri fosse buono, «he egli si stimerebbe da Esiodo del genere dell'oro?
erm. E cosa verisimile, soc- Or sono alcun' altra cosa i buoni,
che prudenti? erm Prudenti. soc Sì che come io penso chiama quelli
demoni principalmen- te; perchè erano prudenti ed intelligenti, e
pervenne questo nome dalla nostra lingua antica. Perlaqualco- sa ed
egli, e qualunque altri poeti molti parlano be- ne, che dicono, che
poiché alcun buono si parte di vita, prende in sorte grandissima dignità
e premio, e si fa demone secondo la denominazione della pru- denza.
Così mi affermò ancora, che sia ogni uomo pru- dente, il qual è buono, e
sia egli demonio, e vivendo, e morendo, e si chiami demone bene. erm. Mi
pare o Socrate, che io consento d’intorno a questo con esso loco, soc. Poi, SIGNIFICA
egli? ciò non è molto malagevole da considerarsi, essendo poco di*
stante il nome degli eroi, dimostrando che la gene- razione loro sia
derivata dall’ amore. erm. — In che modo dì tu questo? soc.— O non sai
tu, che sono se-, midei gli eroi? erm. Che dunque? soc. In vero tutti sono generali, avendo o
Dei portato amore a donna mortale, o mortali a Dea, oltre ciò se
consi- dererai queste secondo la vecchia lingua degli Ate- niesi il
saprai maggiormente; perciocché ti dichiare- rà che si è mutato nn
tantino per causa del nome, onde so«o fatti gli eroi, o che egli
significa gli eroi, o perchè furono savi, e retori, e facondi, e al
dispu- tare acconci, essendo bastevoli allo interrogare. Sicché
quello, che poco fa noi dicevamo, dicendosi gli eroi nella vece attica
pare, che gli eroi siano atctmr relo- ri, e che interrogano e amano; onde
il genere degli eroi si fa genere di retori e de' sofisti: ciò poi non
è malagevole da intendersi: ma più oscuro quello, per qual cagione
Si chiamino gli uomini gf$pcTrol’ P uo * tu dire il perchè? ersi. Uomo
dabbene dove avrei io questo? anzi se io potessi ritrovare alcuna
cosa, uon 1’ affermerei, pensando, che tu meglio di me sa- resti
per ritrovarla, soc. — Egli mi è avviso, che tu ti confidi nella
ispirazione di Eutifrone. erm. Senza dubbio, soc. E meritamente tu ti
confidi; percioc- ché troppo bellamente ini pare ora di aver
pensato, ed è pericolo (se io non mi guardassi) che no» pares-
® e °gg>> c h® io fossi divenuto piti saggio, che non
si converrebbe. Or non considera ciò, che io dico; perciocché conviene
primieramente, che si consideri questo intorno a nomi, che spesse volte
aggiugniamo lettere, e ne leviamo, nominandole fuori della nostra
inleuziope, e mutiamo le acutezze, come quando dicia- roo Alì <p'lAo$.
Da questo nome, affine egli ci servi per lo verbo, caviamo poscia fuori
l’uno I, e per la sillaba del mezzo acuta pronunciamo la grave, in alcuni
altri framettendo le lettere, e altre più gravi pro- ferendone. erm — Tu
riferisci il vero. soc. -.Questo come a me pare adivietie ancora al
nome degli uo- mini; essendosi il nome formalo dal verbo, fuori,
che uno A, e fatto grave nel fine. srm. Come di tu questo? soc. — Cosi. Egli
significa questo nome o’ ivoSt cioè di nomo; perchè le'altre fiere non
con- siderano, nè osservano, nè contemplano alcuna delle cose, che
veggono: ma l’uomo incontinente, che vede (e questo significa 1’
oTTùiTTs) e vede, e contempla, e considera ciò, che ha veduto. Quindi
meritamente l’ uomo solo di tutti gli animali è chiamato,
consideran- do ciò che vide. Che da te poscia addimanderò io?
quello peravyeutura, che io udirei volentieri? erm. — Si. soc. —
Dunque mi è avviso, che incontinente succeda alle cose antedette la
considerazione dell’ a- nirua e il corpo alcuna cosa dell’ uomo. erm. In
che modo nò? soc. Ora sforziamoci
di distinguere ancora questo come le antedette, pensi tu, che iunanzi si.
ql>bia a cercare dell’ Miima, come sia ella chia- mala bene? poscia
del corpo? erm. In vero si. soci Dunque acciò io subitamente esprima
quello,' che ora mi si offerisce primieramente, io : stimo che
Colo-i ro, che' cosi chiamarono l’anima abbiano ciò pensato
principalmente, che questa quante Tolte è col corpo si è-, cagione, che
egli viva, dandoli la virtù del ri- spirare, e rifrigerandolo; e come
prima lo abhando-t nera quello, che il refrigera, eglisi scioglie, e
Sene muore, onde pare, che 1’ abbiamo chiamata, quasi ri-
frigerante: rtȈ se, ti aggrada fermati alquanto. Mi par divedere alcuna
cosa più di questa probabile presso coloro, : i quali seguitano
Eotifrooe; perciocché sprez- zerebbono essi questa, come io penso, e la
dimostrereb- bono certa cosa molesta: ma vedi, se ciò ti sia per
dover piacere, erm. Dì pure, soc. Qual* alt+a cosa pare a te, che
contegno il corpo, e il guidi, e faccia, che egli v;va, e vadi intorno*
che 1? anima? eatu.ij-' JNient’ altro? soc. Ma che? non credi tu ad A nassa-' gpra,
che la natura di tutte le cose sia lo inieMetto,- e l’anima che l’adorna
e contiene?. erm. Così si.' soc. Dunque ben fia, che a quella potenza si
applichi questo nome (pvvgyjnj, cioè contenente la naturai ma si
può chiamare ancora ornatamente. ' erm. Così è ad ogni modo, e mi pare,
che questo . sia di» quello' più artificioso- soc. E verameute, anzi par.
certo co- sa ridicolosa, se si nominasse, come le fan posto.: brw” Or,
che dobbiamo dir api ciò, che segue? soc. Tu dì del corpo? brm.-Sì. soc. Questo a me pa- re in molti modi, se
alcun declinasse un tantino. Perciò, che alcuni dicono, che egli sia
all’anima se- polcro, quasi ella sia sepellita in questo tempo pre*
sente, e anco perchè 1’ anima col messo del corpo significa qualunque
cose può significare per questa ca« gione è chiamato ancora bene.
Nondimeno mi Rav- viso, che gli settatori di Orfeo abbiano posto
questo nome principalmente a questo fine; perchè l'anima iti questo
corpo dia la pena de’ delitti, e sia chiusa iti questa siepe, e trincea
affine servi imagine di prigio« ne. Per la qual cosa vogliono, che sia
questo cosi; come è chiamato un chiostro per custodir l’ anima fin,
che purghi qualunque debiti; nè pensano, che vi si abbia a tralasciar
pure alcuna lettera, ehm Or, O
Socrate, mi pare, che d’j intorno a questo si sia detto bjBstevolmetite:
ma de’ nomi de* Dei potressimo forse noi considerare, come si è fatto di
Giove, secondo qual retta invenzione fossero posti i nomi loro?
soc. Per Giove sì, o Ermogónè; se noi avessimo intellet- to
sarebbe una maniera buonissima il confessare, che iton conosciamo niuna
cosa d’ intorno a' Dei, dico nè d’ intorno ad essi, nè a’ nomi loro, co’
quali si chiamano; manifesto essendo, che essi si chiamino coi veri
nomi: ma la seconda maniera della retta inten- zione si è, che così come
ordina la legge, che si pre-i ghino i Dei ne’ voli comunque aggrada loro
di esser chiamati; così ancora noi li chiamiamo, quasi da noi non si
conosca niun' altra cosa. Perchè si è deterrai. nato bène, come mi pare.
Per la qual cosa, se ti pia- ce, consideriamo quasi avendo detto innanzi
a Dei, che da' noi non sia per conoscersi niuna cosa d’ intorno a loro?
‘non confidandosi noi di esser possenti: ma piò tosto- d' intorno agli
uomini oon che opiniti- ne principalmente intorno a Dei disposti posero
lóro i nomi; essendo .ciò lunge da riprensione. fi erm. O '
Socrate; egli è avviso, che tu parli modestamente, c facciasi da
noi in cotal guisa. .Dunque incominciamo .alcuqg ,co$a da Veste. secondo
le legge.- bum. —Cosi veramente conviene, spc.a-t, Q ual cosa porrebbe
dir alcuno, che considerasse chi la si chiamò Veste? erm. -Io
pon penso per Giove, «bis ciò siaagevole do ri- provarsi. som O firnwgene
buono. In vero par bene, che i. prinp autori , de’, nomi non siano «tati
certi grò*, solqni; ma investigatori sottili di cose Sublimi. 11»
Perchè? sac Perchè , mi pare cheil por de' sto- mi sia stato di . certi
uomini siffatti, *' se d leu n consi- derasse i nomi forestieri^; non
tnanbo ritroverebbe ciò, che qualunque significasse, come eziandio in
qae- sto, il qual noi chiamiamo essenza, alcuni sono,.' che il
chiamano altri di nuovo. Primieramente secondo l’uno di questi
nomi,, ,non ^ ovviso^ che si fofamrai forte lontano dalia ragione
la essenza delle Icose, e perchè noi chiamiamo ciò, che è partecipe dS
essenza; per questo si potrebbe nominar Itene; perchè parte, che
ancora noi anticamente,, chiamavamo già < >?rÌ*
o6(rf«fc- Appreso »e «leu* considerali* isàcrifieà, stimerebbe, che; c^»l
cqn|i derisero doloro, ( «bfc .li, & posero;, perciocché è vcrisùniU
iunanM-4-iWtt». • i-, I>«i^ che facessero i sacrifici a Veste
chi denominarono la essenza di tutte le cose.- ma quanti di;, nuovo
,la.fthia- marono ùaiOCV, stimarono quasi di mlovo secondo E- ratlito,
che sempre scorressero tutte le cose, e Piente •Don si fermasse. Danqoe
la cagione, 'e la origine lo- ro fosse, chi le spingesse. Sicché
meritamente si chia- mi la cagione, che spinge. D’ intorno 1 0 questi fin
qui siane detto in .colai guisa, come da coloro, Che' 'non
intendono piente. Dopo Veste con-vien, Che si Iconst- deri di Rea e di
Saturno,* tuttoché de! nome di Sa- turno abbiamo detto di sopras-hiB
forse, chef io noti died nulla. EHM.-Perchè, o Socraté? soc.— O
uomo dabbene, ho considerato certo esime di' sapienzd. erm. Quale é
eglit socv-Cosd'dS dirsi ridfirolosa niol- -U>, fiondimene '«Urn®, che
tenga ‘àfeuno probabil cosà. k*m.> Q uale n’-è dessa? soc. Mi
pàrvedere; che E- • radilo già. molto nani chiaramente aldune cose
sag- gio, che si fecero nel tempo di Saturno e dì Rea, fe quali
eziandio si raccontavano da Omero, ehm. Come di tu cotestoì soc. Eradito dice, che scorrano tuttéalacose,
e, non si fermi nulla; e assomigliandogli -.enti al flusso d’ un- fiume,
dice non esser possibile, che nei medesimo, fiume tu possa entrar due
volte. ehm.— Q uesto A vero. soc. J— O ti par egli, che colui da
praclito dissentisca, il quale pose Rea e Saturno Si < IVa
progenitori degli altri Dei? dimmi, pensi tn, che egli abbia posto
temerariamente i nomi ad ambi lorò delle flussioni; come ancora Omero
dice, che l’Oceano sia la generaeione de' Dei, e la madre Tele; e il
me- desimo, come pare, volle ancora Esiodo. Oltre ciò db ce Orfeo,
che l’Oceano primo abbia dato incominciai mento alle nozzi; che corrono
bene, avendosi accom- pagnato con Tele sua sorella. Dunque considera come
si confacciano insieme queste cose, e tendano tulli al- la opinione di
Eraclito, erm O Socrate* pare a me
che tu dica alcuna cosai ma non intendo bastevolmente ciò, che inferir si
voglia il nomedi Tele, soc. E nondimeno significa quasi questo stesso, che sia
un nome ricondito di fonte; perciocché quello, che corre, e sì
spinge è un simulacro di fonte, e d’ arnbidue questi nomi è composto il
nome erm. O Socrate, questo è bellissimo, soc.— In che modo nò? ina
che poscia? di Giove abbiamo detto veramente, ehm. Così
è. soc. Or diciamo de’ fratelli di lui Nettuno, e di Plutone e dell'altro
nome, col quale è chiamato' da loro. erm. Al tutto, soc. Egli è avviso, che Net-
tuno da chi primieramente il nominò, sia perciò sta. to chiamato*
Troa-g/ofiàlt, perchè mentre egli cambiava, «1 ritenne la natura
del mare, uè permise, che se ue andasse più oltre: ma se li fe quasi
legame a piedi. Sicché chiamò Dio 7T0<retc/là>lùX, il prencipe di
questa virtù, come TTOff/c/lefffiolf OVTK, cioè legame di
piedi: ma l’E vi fu trasmesso forse per ornamento, ftla per-
»M avventura non si vuote egli inferir quatto.- ma in vé- ce
di E si diceva primieramente «on due LL come se dicesse fa ttoAAc
bÌ</IÓto<tTov$*ov, ci °è* che qua» si sia Dio coguitore di molte
cose. Peravveotnra dal ctteu, cioè dal movere fu nominato èa-g/ar, cioè
mo. venie, cui si aggiunse poi il P e il OeilD. Or il no» me di
Plutone fu nominato secondo il compartimento delle ricchezze, cavandosi
etle dalle viscere delta terra. Il nome poi ac/|»J, pare, chela moltitudine
gliele abbia dato quasi t ò AeuAtSt c ' 0 ^ cosa invisibile, e di
questo nome avendo onore il chiami Plutone. , eia. Or in che modo pare a te, o Socrate? soc. A me pare, che gli uomini in molti modi
abbiano errato intorno alla potenza di questo Dio, e lo abbiano
avu- to sempre in orrore, non convenendosi punto, teraen • dolo
chiunque; perchè morto una fiata sta sempre qui- vi; e ancora, perchè
l'anima del corpo spogliata cola se ne vi ella. Alla perfine tutte queste
cose, e il re- gno, e il nome di questo Dio mi pare, ebe tendano al
medesimo, enti. In che modo? soc. Ti
dirò ciò, che mi pare. Perchè dimmi, qual di questi due è le- game
pili forte al tenere in qualsivoglia luogo qualunque animale, la necessiti
forse, o il desiderio? erm. Di gran lunga, o Socrate, avanza il
desiderio, soc. Pensi tu dunque,
che molti non fuggirebbono lo inferno; se egli non legasse coloro, che
quivi di- scendono con un fortissimo legame? srm. C hiaro è. soc.
Sì che li lega, come pare, con certo desiderio, non con neoesiità, se
pure li annoda co* legsmh fortissimo, erm. Apparisce, soc. Sicché di:
n«o?0 sono molli i desideri? «a*i. -Molti si. • soó. -Dunque
li annoda colla grandissima cupidità, se pur li dee contenere col
grandissimo legame. <rm. Per certo, soc. Or vi è «gl* alcuna cupidità
maggiore* che quan- do alcun con altrui accompagnatosi, pensi di
dovere esser uomo migliore per causo di l’uJP «aat. O Socrate, iti ninn modo per Giove, soc. Forte
per questa cagione hassi a dire, o Ermogene, che nien di colà se ne
voglia' ritornar qni, nè iè stesse sirene, anzi e esse, e gli altri tutti
siano addolciti; cosi belle parole sa formar lo inferno, eéttrt
apparisce, ed è questo Dio, come testifica questo parlare Sodala
per- fetto; e a colóro apporta gran benefidi, che abitano presso
lui, e dà loro cotanti beni; siffattamente i egli di ricchezze abbondante
in qael luogo, onde ancora di quà ebbe il nome di Piatone, o non ti pere
officio di filosofo il non volersi accostare agli nomini, che hanno
i corpii ma il riceverli allora finalmente, quan- do l’animo loro é
purgato da tutti i mali, e da de- sideri, che sono d’ intorno al corpo?
per certo pensò questo Dio di dover tener in questa maniera gli
ani- mi, se li legasse col desiderio della virtìit ma chi sono infetti da
stupore e da pazzia di corpo, nè il pa- dre Saturno sarebbe possente di
raffrenarli con quei suoi legami, e di tenerli seco. efcM.-O Socrate,
pa- re, che tu parli alcuna cosa. soc. — O Ermogene, è forte
lontano, che il nome sia quali imminato invisi- bile, ansi ai cava dal
conoscer tutte le cose belle. Per la qual cosa -da ciò è questo Dio
chiamato idei facitore de’ nomi. erm. — Stiano lé cose cosi. Che
diciamo noi pili oltre del nome di Cerere, di Giunone, di ’ Apolline, e di
Minerva, ’e di Vulcano, e di Marte, e del rimanente de’ Dei? soc. Cerere
si chiama Jt«T« -rnvc/lótr/l! rriff èj\a>if(is dal dopare gli
alimenti, crtte/loti<r<X d$ (isp, c '°* quella, che dà quasi,
madrq: ma Spx, Cioè Giunone, come gp«r*TlC>. c ‘°,è certa amata,
così come si racconta, che Giove amata l’ebbe. Ancora risguardqqdo
all’alto peravveulura chi ordini) questo nome, denomino l’aere e parlò
oscurar mente, ponendo ci principio nel fine, il che ti si
farà manifesto, se spesso pronuncierai quel nome di Pro- serpina,
ed enroAAtav temono alcuni 'per quello di no- minare, che è ignota: loro
la retta invenzione de’ np; mi: perciocché mutando considerano la
<pgp(j-£<pótfW, e ciò loro par cosa grave. Ciò poi dimostrai c
h® Dea sia sapienza. In vero la sapienza fìa quella, che tocca, e
palpa le cose, che scorrono, e lepuòcopse; guire. Per la qual cosa
Qepé'lTCUpX, questa Dea meri- tamente si chiamerebbe per la sapienza,
toccamente di quello, che scorre, o alcuna tal cosa. E però lo
inferno, essendo sapiente è congiunto con lei per es- ser. ella siffatta.
Ma ora schivano questo nome, stiman- do più la grazia del proferimento,
chq la verità: in modo, che la nominino (pepp&QXTyxi- M
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ancora adìviene intorno al nome dì A polline, avendo molti in
orrore questo nome, come porti seco alcuna terrihil cosa, o no il conosci
tu? ehm.— Il Conosco ai, e tu di il vero. soc. -Ma ciò, come mi è
avviso, è posto benissimo rispetto alla potenea di Dio. erm.
In che modo? soc. — Sforzerommi di esprimere il mio parere,
in vero non si avrebbe possuto ritrovare un’ altro nome solo più
convenevole -alle quattro po- tenze, di Dio, di maniera, che le tenesse
tutte, e in un certo modo dichiarasse la musica, il vaticinio, la
1 I T u ' ' , medicina, e 1’ arte del saettare. Or di,
per- chè mi è avviso, chp,tu dica un nome strano,, soc. —
Anzi egli è conveuevolmente addattato; essendo Dio musico; perciocché la
purgagioue primieramente, e le mondazioni, che si fanno colla medicina, e
col vaticinio; ancora le cose, che si torniscono col- le medicine ’
de’ medici, e gli incauti degli indovi- ni, C le purificazioni, i
lavacri, egli spargimenti pos- sono questo solo, cioè di. rendere 1’ uomo
puro, e del corpo e deU’aniina; non è egli cosi? erm. Cosi ad ogni
modo, soc. Dunque sarà colui il Dio, il qual purga e lava chi libera da
mali siffatti, ehm. Senza dubbio, soc Per la qual cosa in quanto lava, e libera come
medico di tali inali; è meritamente chiamato liberatore. Ma secondo la
indovinazione, e il vero, e il semplice, essendo una stessa cosa il
possiamo ancora nominar bene secondo il costume de’ Tessali. Per l certo tutti costoro chiamauo questo Dio
, semplice: ma perehè sempre imbroca il sogno con l'arte del
saettare, sempre percuote-, si può dire perpetuo percotente. Se-
condo la musica poi, si ha a pensar di costui come di chi si dice, che
segue alcuno; e della moglie, perchè 1 ’ A dimostra, come in altri molti luoghi
il con- giuogimento, e qui ancora significa 1 * accompagnamen- to
delle conversazione, e intorno o cieli, i quali chia- miamo «7 TÓAovff, «
SIGNIFICA eziandio 1 * armonia, che è nel canto, la qual ai chiama
concordanza. Perchè d’intorno a queste cose, come dicono i periti di
mn- •sica e di astronomia, si rivoglie egli con Certa armonia. Questo
Dio poi è soprastante all’armonia volgendo insieme tutte queste cose, e
appresso agli uomini, e~a'ppresso V Dei. Dunque così come T J y
o^oa/Afii/Sor, Kffì opó- JtO<T«V, 0, °® va insieme, e chi giace nello
stesso let- to abbiamo chiamato «kuAovSov, X ai SttOITtY, ca-
blando l’ O nell’ A, così quello abbiamo chiamato Apollo, il quale era
o’fXOTTCÀàv, frammesso l’altro L: perchè sarebbe stato equivoco col duro
nome. Il che ancora a questi tempi avendo sospettato alcuni per
quello che non considerano bene la virtù del nome, così il temono, come
significasse certa corruzione. Ma daddovero questo nome abbraccia- tutte
le virtù di questo Dio, come di sopra detto abbiamo; conciossia,
che il significa semplice, perpetuo, ‘ percotente, lavatore, e insieme
conversante. Il nome poi delle muse della musica i cavato da quello ebe si
dice h ( c '°® cercare i
come è avviso, e co* la inve- stigazione, e con lo studio della sapienza.
Latona si dice dall* mansnetndine dèlia Dea, perchè sia pronta; ed
esposta, e presta al dar ciò, che chiunque ricerca. Ma peravventura, come
chiamano i peregrini perchè molti nominano il qual nome pare che lì
sia stato dato, perchè non abbia ella la mente rigida: ma,
mite, perciò si denomini qiwaì Aitò» ì$6$, cioè costume piacevole e
mite $prt[ìl(, cioè Diana per quello che s ‘ a quasi integra, e
modesta per lo desiderio della virginità, ancora lo
institutore del nome la chiamò peravventura quasi òlfSTÌi iffTO
p«tj cioè chi conosce virtù eziandio è detta forse SpTeyttS, quasi
£; TÓV «fyoTOV TOt OtVcApài «’»7V- I ctiKi, cioè che ella abbia
avuto' quasi in odio il congiungimento dell’uomo colla donna essendosi
ordina- to il nome,'o per alcuna di queste 1 cose, 0 per tutte di
siffatta sorte, erm. Ma che Airfrtfd'O? g'(pp o</IÌTt cioè di
Dioniso e Venerei soc. O figlinolo di
Iponi- co, tu addimandi gran cose. Or è doppia la maniera de* nomi
imposti a questi Dei, 1* una seria, 1* altra giocosa. Dunque da certi
nitri ricerca fa seria: ma la giocosa niuna cosa vieta, che non si
racconti: percioc- ché sono ancora i Dei de’ giuochi amatori, e sarò
uno Al'orvtrog i J\l<Aoùs to'» ODO», cioè Dioniso mini- atratore
divino, quasi cognominato' JU<A\jtvv<roS, nel giuoco. Ma ti può
meritamente chiamar vino; perché faccia, che molti, i quali beono essendo
alienati di mente, pensino di avere intelletto qh al&S^xl VOÙV
»v«<» tò» TTt*óv3fi>v roti : ttoAAoÙs, d’onde
meritamente si può chiamar obi pensa avere intelletto. D’ intorno a
Venere non è cosa degna, che si contradica ad Esiodo: ma si conceda, che
si chiami &QfO<AiTH TSt T«V «iJ>poù 7 évetrw, ci°é per la
generazione della spama. MM.-Or, o Socrate, non trapasserai sotto
silenzio Minerva, e Vulcano, e Marte essendo ateniese, soc. Non conviene
itKolcun mo- do. ehm. Per certo nò. soc. Egli non è malagevo- le da dirsi, perché
sia posto l’uno de’ nomi di lei. Kit». Quale? soc. Per certo noi là
chiamiamo Palla- de. ehm. Si certo. sac^-Or istimando noi, che 1»
sia posto questo nome dal saltar fra le arme, lo sti- meremo bene, come
io penso, perciocché lo inalzar se stesso, o altra cosa in alto, o da
terra, o colle ma- ni il diciamo TróAAetif, e thxAAe adii, Xfid àpX B ^*.
vi v XK< c ‘°® cr °ll are » e crollarsi, e saltare, e
patire il salto, ehm. Così è. soc Dunque in colai guisa la chiamano
Pallade. ehm. E meritamente; ma 1’ altro suo nome, in, che modo lo di tu.
soc. Cer- chi tu tÒ . À9NV&? ( ehm. Questo stesso, soc. Questo è piu
difficile, o amico, pare che gli antichi sti- mino £$ come costoro, che a
questi tempi sona dotti d’intorno ad Omero. Perciocché di costoro
malti interpretando il poeta dicono, che òt$tlVoiV «- TOV yovv, Kx\
JÌIXVOIXV TTSTTOIHkÌvÓCI, abbia fatto la stessa mente e il discorso, e
chi fece i nomi pare, che abbia considerato alcuna cosa tale d* intorno
a lei: anzi ancora dall’ alto innalzandola, la introduce come
intelligenza di Dio, qnasi dica, che questa sìa 5eovÓo, cioè quella, che
intende Dio, valendosi dell* X in luogo del y secondo certo rito
forestiero; levan- done appresso lo j e il ma peravventura nè a
que- sto modo: ma come, che ella diversamente dagli altri
intenda le cose divine la chiamò ^eoto'nif, cioè inten- dente le cose
diyine. Uè fìa fuori di proposito se di. remo, che egli 1’ abbia voluta
chiamare rf$oVÓtf quasi essa sia intelligeuza d’ intorno a costumi.
Egli dopo, o coloro ancora, che vennero poscia come era avviso
tirandola nel meglio, come credettero la de- nominarono Atene, ehm. Che
di Yulcauo, il quale è nominato ÌQxHnotf in che modo dì tu? soc.—
Ocer- ehi tu il generoso intelligente di lume? ehm. Cosi mi e avviso, soc. Costui come può
esser manifesto a ciascuno è tpoÙffT Off, e si attribuisse lo onde
è * . t . v i detto £ Qxi$TQS- ehm.— Apparisce se
eziandio non ti paresse pra altrimenti, soc.y- Ma acciò non mi paia
cosi addimanda di Marte. ERM.-Addimand,o. soq, —Se li piace KfltTOt TP
Xf>ps, y, cioè Alarle, si dice se- coudo il maschio è «MpetOtfjiCioè
forte. Più «lire sft la vorrai, che egli aia stato chiamato per certa
aspra natura, dura, e invita, e immutabile, la qual si chiama
ttppXTOI, questo ad ogni modo convenirli al Dio guer- riero. xrm. A d ogni modo. soc. Deh per li Dei
lasciamo oggimai i Dei, temendo io di disputar di loro: ma proponimi qualunque
altre cose tu vuoi, af- fine tu conosca quali siano i cavalli di
Eutifrone. un. — Farollo addiinandandoti ancora una cosa di
Mercurio poiché Cratilo nega, che io sia Ermogene, sicché tentiamo di
considerar ciò che significhi éppw$, cioè il nome di Mercurio: affine
conosciamo, se egli dica alcuna cosa. soc. E nondimeno g’pgyg, cioè Mer- curio pare
che sia intorno al sermone in quanto è i/tfmete, Iteti sryeAof, noi) tò
nhu'juKÓne, k«ì to xTxrnXoi s’r ih * <?» x*ì tò ciipopxaTinòv,
cioè interprete e nuncio, e ha nel parlare lo ingannar
furtivamente, e versa nella piazza. Tutto questo tratta- to versa intorno
alla virth del parlare. Per certo come abbiamo detto dianzi yò etpeil, ®
usanza di parlare.* ma spesse volte dice Omero di costui e’p scorro
, cioè machinò egli. Dunque d’ ambidue si compone il nome di questo
Dio, si di quello, che è parlare, sì di ciò cbe è il ntachinare e 1’
investigar le cose da doversi dire, così come 1’ autor del nome ci
ordinasse. O nomini, è cosa decente, che voi chiamiate quel Dio, il
quale ha machinalo il parlare: ma noi al presente it chiamiamo gpjiìy,
pensando di abbellire il nome: anzi, e ipi$ pare che sia chiamata da sip$u per
quello, che era messaggera, erm. Per Giove pare, che Cratilo abbia negato
bene, che io non sia Ermogene, es- sendo io grossolano alla invenzione
del parlare, soc. t- 0 amico, egli è ancora verisimile, che ir fax
figliuol di Mercurio. sia di due forme, erm. - In che modo? soc. Tu
sai, che il sermone significa il tutto, e at- tornia, e versa sempre, ed
è doppio, cioè, vero e fal- so. erm. In vero sì. soc. — Dunque la verità
di lui è cosa piana e divina: e di sopra abita fra Dei: ma la
falsità al basso fra la turba degli uomini, ed è aspra e tragica:
perciocché qui si ritrovano molte favole e falsità intorno la vita
tragica, erm. Così è ad ogni modo,
soc.— Meritamente adunque egli, che significa il tutto, e sempre versa,
sarà di due forme figliuolo di Mercurio nelle parti di sopra molle, e
delicato, nel- le inferiori aspro, e caprino, ed è pane, o il
Sermo- ne, fratello di sermone, poi che è figliuolo di Mercu* /rio.
Non è poi maraviglia che il fratello sia al fratello somigliante. Alla
perfine, o beato, dipartiamoci da’ Dei, il che io poco fa diceva, erm O
Socrate da questi tali sì, se il piace a te: ma quale impedimento ti
tie- ne, che non racconti di questi altri? cioè del sole, della
luna, delle stelle, della terra, del cielo, dell'ae- re, del fuoco,
dell’acqua, della stagione, e dell’anno? soc. Sono molte, e grandi le cose, che tu mi
comandi; non per lauto dovendoti esser ciò grato, ti ubidirò.
( ikm Per cerio tu mi
Tarai cola graia. »oc. Che chiedi
tu prima? o vuoi tu forse, come hai detto, che discorriamo dei soie. erm.
Invero si, soc. Questo è avviso, che potrebbe esser più chiaro, se alcun
si valesse del nome Dorico, chiamandolo i Dorici et\Ì0i ed in cotal
guisa è chiamato secondo xktÌ TO à\i- £s/V e li TOCvyópoòs XìlSp ÓttoIs,
C1 °è per quello, che riduce gli uomini insieme quando nasce :
ancora Kfltl "TÙ TTepì tW «et EtAitv, per quello ched’ intorno
alla terra si rivoglie sempre. Piu oltre perchè varia col suo giro le
cose, che nascono nella terra, il variar poi, è lo stesso, erm. Ma che si dee dire d» <reÀÌvt)J,
della luna? soc. Pare, che questo nome premi Anassagora, erm. Perchè?
soc. Perchè dimostro alcuna cosa vecchia, il che egli poco fa di»
ceva traendo la luna il lume dal sole, erm. In che modo? soc.— Il c-e’A
CCS, P er cer to, e la luce è lo stesso* erri. E’ si. soc. Questo lume
perpetuamente è d’ in- torno alla luna y£ov, hx'i BVVOf, cioè nuovo e
vecchio, se pure gli settatori di Anassagora parlano il vero,
conciossia che attorniandola di continuo la rinova: ma vecchio è egli il
lume del mese passalo? brm. Veramente. soc. Molti chiamano la luna
o-sAxtCclxt, erm. Per certo sì. soc Ma perchè tiene sempre il
lume nuovo, e il vecchio, meritamente si dovrebbe chiamare
<rgAA*eyveo«6t«. Ora poi spezzato il vocabolo si chiama <rgA<m tot.
tMt.— O Socrate, questo nome è ditirambico: ma come interpreti tu T< j
r Cioè il mese, e T * forpx, cioè le stetle? soc.-ll mese si
chiamerebbe bene yg/j, T0 ^ ynuoìfBxu cioè dal sminuirsi: ma pare, che le
stelle abbiano la denominazione di òffTfflnr?S , cioè del folgore :
«TTfMnri poi, perchè a se rivoglie gli occhi si do- vrebbe dire
aTpoì’Jtì: ma ora con vocabolo più ao- concio si chiama ònTTpentì. erm.—
Onde ne cava.il nome "jrSp, nxì TÒ ic/l&p, cioè il fuoco e
l’acqua? •oc. Dubito veramente del fuoco, e corre rischio, o che la
musa di Eutifrone mi abbia abbandonato, ossia questo cosa difficilissima.
Dunque considera qual «na- chinazione io introduca, d' intorno a tutte
siffatte co- se, nelle quali io dubito, erm.— Quale? soc.— Dirpl?
loti. Perchè rispondimi, potresti tu dirmi, perchè si chiami fuoco, erm.
Per Giove nò. soc. Considera ciò, che io sospetti d'intorno a questo: in
vero io sti- mo, che molti Greci abbiano avuto molti nomi da'
Barbari, massimamente coloro, che sono a* Barbari •oggetti, erm. A che
queste cose? soc. Se alcun
cercasse secondo la voce greca la retta imposizione di questi, non
secondo quella, dalla quale ha origine il nome, sai tu com’ egli
dubiterebbe? erm. Verisi- 1 mente si. soc Sicché vedi che questo nome * 7 ^, non
sia alcun nome barbaro, non essendo agevole lo accommodarlo alla
lingua greca, e manifesto è, che declinando alquanto, i Frigi lo
nominino incoiai guisa, TÒ vJìtof K«ì T«£ KÓKX? KtÒ »
cioè l’acqua, ei cani, e altri molti nomi. ehm. Questo sì è vero,
soc.- Dunque non fa raistieri, che si usi violenza a quelle cose, poiché
d’ intorno ad esse non potrebbe alcuno dirne niente. Sicché in que-
sto modo io rifiuto quei nomi di fuoco, e d’acqua: ma lo c('ip, cioè 1*
oere è cosl dell °» 0 Errao B ene » l ,erchè crfpsi T« «TTÒ T*S
ci0è S0lleva Ci6 ’ Cbe è d ’ ia * torno alla terra, o perché scorre
sempre, o perché si genera lo spirito col flusso di lui, conciossiachè
chia- mano » poeti tHrxs, gli «Pi» - '!'Dunque si dice aere
peravventura, quasi *7TI(ev(iflCTÓppoi/V , «STOppov» , cioè corso di
spirito. Ma del cci$epeC >° sospetto in questa tal guisa, perchè
sfóttei, cioè sempre scorre, scorrendo intorno all* aria, perciò meritamente
si può chiamar fatfripo 7* <Aa cioè la terra maggiormente
significarebbe ciò che si vuole se alcun la nominasse 7«?«V, perchè
•ysvl/VITeipflC S1 P u ° cbiamar bene » cioè genitrice, come dice Omero.
Conciossiachè ciò che si dice yeyiwi, diss’egli 7S76V?<r3*i, c,oè l
’ esser fatto, ehm. — Si stiano le cose cosl. soc. Che ci rimane dopo questo? erm. — Le
stagioni, e l’anno, o Socrate, soc.— upxi, cioè le stagioni, sono da
dirsi colla voce vecchia, e Ateniese, se tu vuoi conoscer quello,
che è convenevole, essendo elle ore .upctt, c '°è perchè determinano il
verno, e là state, e i venti, e i tempi, per li fruiti, che nascono dalla
terra, e de- terminando esse, meritamente ore si chiameranno. ilici
t/TOff po«* e sTO?> cioè l’anno pare che sia lo atesso; perciocché
quel che a vicenda manda in luce qualunque cose nascono e si fanno, e le
essamina ia se stesso, e discerne è l’anno, e come di sopra di-
cemmo, che ’l nome di Giove era segato in due, e si chiamava d’alcuni «
d’altri a/# cosi ancora chia- mano qui l’anno altri evi flfUTÒy, perchè
in se stesso, . f ^ altri ajoS, perchè essaraina. Ma ia
ragione intera è, che chi .esamina se stesso, si chiami ia due
maniere essendo uno dj modo che da un parlar solo si fac- ciano
dpepomi,eVl «t/TÒ», e bT-OSì cioè anno, ehm O Socrate, tu te ne vai
luoge oggimai. soc.-In vero mi è avviso di far progresso nella sapienza,
ebm. Ansi si. soc. Per avventura
il concederai maggiormente, xaw.— Hor dopo questa specie Volentieri
contemplerei, in che rpodo questi nomi eccellenti di virili siano
po- sti bene, come (ppóvn<ris, cioè la prudenza anwdcns, la
intelligenza, JitKCltOffvvì 1* giusti®!», e il rimanente di queste sorte,
soc.— O amico, tu susciti una sorte di nomi da non dispreizarsi; tua
nondimeno, poiché mi sono vestito della pelle del Icope, noa conviene,
M<5 ( . che io mi spaventi, anzi consideri, come è
avviso, i no* mi della prudenza, della intelligenza, della
opinione, della scienza, e delle altre cose siffatte. EnM.
-Non dobbiamo veramente cessar innanzi in modo veruno, soc.—
Nondimeno per cane non mi è avviso di far mala congettura d’intorno a
quello, che al presente io ho considerato, cioè che questi antichi autori
di nomi, come adivien ancora a molti de’ nostri savi, siano caduti fra
gli altri nella vertigine dell’intelletto per la frequente rivoluzione
nell’iuvestigar, come se ne stiano gli enti, e poscia pari loro, che le
cose vadino intorno, c si portino da ogni modo. La cagiou poi di
questa opinione stiman essi non la passione interna, che è presso
loro: ma, che esse se ne stiano così per na* tura, e in loro non vi sia
niente di fermo, e istabi- le; ma scorrino tutte, e siano portate,
essendo ripiene sempre d’ogni portamento, e generazione, e ciò mi
dico considerando tutti i nomi, che ora si son detti, kbm — I n che modo
di tu, o Socrate? non hai consi* derato per avventura essersi posti i
nomi pòco fa dct* ti alle cose, che quasi si portano, e fluiscano, e
si facciano, erm. Non li appresi
bastevolmente.' soc Primierameute ciò che abbiamo riferito dinanzi
ap- partiene ad alcuna cosa di questa sorte, ehm. Quale è cotesto? soc.— E £
<ppóvw<r/J, c *°è prudenza, es- sendo ella (popi? xotf poi?
vÓltO'lt?, c *°è intelligenza di portamento, e di flusso. Ancora si
potrebbe imaginare, che significasse o»»<m <P0fXÌ, c ‘ oè nlI1 ‘ tà d: P
or '‘ lamento; nondimeno versa ella intorno alla agitazione.
Anzi se vuoi *7»a(X» cioè la opinione significa al tutto
701»? (TX6 i4»IF KOCÌ l/àima'ir, cioè considerazio- ne di genitura;
essendo lo stesso il i/apit e <rK 0 Trei», cioè il considerare: ma se
vuoi lo stesso g’ V0»<rU, cioè la intelligenza è tov 160 U Ciri?, cioè
de** 4 ! 0 ' rio di cosa nuova; che poi siano gli enti nuovi, si-
gnifica, che essi ai faccian sempre, e dimostra, che ciò desideri, e
prenda a far l’animo, chi pose quel no- me f 0 Hri$ : perchè da principio
non si diceva vonaif: ma erano da proferirsi due in vece di g come
quasi Veoe <r IH, cioè appetito di cosa’ nuova: tracppotri/VU,
cioè la temperanza è salute, e conservazione di quello, che ora
abbiamo considerato, tppovtreaf, cioè della pru- denza: gTriffTItfi»,
cioè 1® scienza è tratta da ciò, che insta e segue, quasi segditi, e
insti, e accompagni I' animo le cose sole, che scorrono, nè per dimora
sia ultimo, nè primo col corpo correr innanzi. Sicché fa mi- stieri
fraroettendo 1 ’ g, si nomini eTr/ffTHfiEVDV, cioè prudenza: (ri/VKa’/f
d* nuovo cosi parerebbe esser sil- logismo, ciò certo discorso. Ma
conciossia, che si dica < rvtìevxt si intende lo stesso: come se si
dicesse 8 Tr/ffT«ff 3 (XI, perchè il dice che concorra
l’animo colle cose, aotpl'a, cioè ,a sapienza significa popvf e<pct i
rye<r9c(l, ctoi i* toccar il portatnento. Ciò poi è egli pih oscuro e
istrano: ma da’ detti de* poeti ci abbiamo ad arricordare qualora
vogliono e- sprimere alcuno, che si avvicini, o se ne venga coti
empito, dicono ga-t/,9», cioè usci con empito, anzi fra Lacedemoni ancora
sol/?, cioè veloce era il nome di certo uomo illustre, significando in
colai guisa i La* cedemoni 1’ empito veloce. Dunque la sapienza
significa TKUTHS T*9 cpopocs e’TTOCtpUf, cioè tatto di questo
portamento ; quasi siano portati gli enti : e pure TO «7«3oV, cioè il
bene di tutta la natura significa Tffl ccyxtncò, c *°è *1 mirabile,
perciocché scorrendo li enti vi si ritrova in loro la prestezza e la
dimo- ra. Dunque non è ogni cosa veloce: ma di lei alcuna cosa
xyocaTOVt *1 4 ua * ^ ene s * dichiara col nome dell’ «7«<ttov,
«/IntaioffW*, eTr», c '°è * a S ,ustiz * a possia- mo fare agevolmente
congettura, che sia tosto questo nome 7-5 tou c/ltK0t'/o!/ffl/V6ff8l,.cioè
nella intelligenza del giusto: ma è malagevole da conoscersi quel che è
giusto, parendo fine a certo termine, che sia ciò conceduto da molti: ma
si dubiti poscia. Perchè chiunque stima, che sia in moto il tutto
sospetta, che la maggior parte di lui sia certa cosa tale, la qual
non sia altro, che capire; e per tutto questo sia alcu- na cosa, che
scorra, con cui si facciano tutte le cose che si fanno, e sia ella
velocissima e tenuissima, per- ) 4M eh è non
potrebbe altrimenti discorrer per tatto L’en- te, se tenuissima non
fosse, in guisa, che niente in penetrando le possa far resistenza, e
velocissima in modo, che se ne serva delle altre cose quasi
stabili. Dunque perchè ella governa c/luoi/, cioè discorrendo per
tutte le altre cose, meritamente è addimandata c/I/kociov framesso uno y
per causa di più leggiadro proferimento. Fin qui ciò, che dicevamo poco
fa, si confessa da molti, che sia il giusto. Or io, o Ermogene, ardendo
di desiderio d’ imparare, ho tutte que- ste cose investigato
sccretamentc, quasi questo sia il giusto e la cagione; essendo quella la
causa, per la quale si fa alcuna cosa, e si disse da alcuno, che in
colai guisa si debba chiamarla. Ma tutto che io abbia udito questo,
tuttavia ritorno ad addimandare. Dunque, o ottimo, che è il giusto, poiché se
ne sta egli cosi? a me par già di ricercar piu oltre di quello, che
si conviene, e salir fuori della fossa; perciocché dicono che io a
sufficienza ho addimandato e udito: e in volendomi empire sì sforzano di
dir chi una, e chi un’ altra cosa, nè convengono più oltre. Altri
dice, che questo giusto si è il sole, poi che egli di- scorrendo sopra la
terra, e riscaldandola governa il tutto. Ma quando io riferisco questo ad
alcuno, quasi io mi abbia udito cosa eccellente, incontinente egli
mi ride, e ricerca se io stimi dopo il tramontar del sole avauzar
agli uomini niente di giusto. Sicché pregradolo, che di nuovo dica ciò, che sia
il giusto, dice, che è il fuoco: nè questo è agevole da conoscersi: altri poi
dice non il fuoco: ma pii» tosto il calore innato nel fuoco: altri di queste
tutte se ne ride: ma dice, che il giusto sia quella mente, la quale
Anossagora introduce. Per certo, dice egli, che ella sia imperatrice, c
adorni tutte le cose; penetrando ella per tutte, nè mescolandosi con
alcuna cosa. Qui, o amico, sono sdrucciolato in ambiguità maggiore,
che prima, mentre io procurava di saper qual fosse il giusto.
Dunque alla fine pare, che QUESTO NOME SIA POSTO per queste cagioni a quello,
d’ intorno al quale noi consideravamo. erm.- 0 Socrate egli è avviso
che tu abbia udito questo da qualcheduno, nè cavatolo rozzamente
dalla tua officina, soc. Ma che dell
al- tre? ERM.-Non molto, nò. soc. - Dunque attendi: perchè forse io
ti ingannerei d’ intorno alle altre co- se, quasi io le riferisca, non
avendole udite. Che ri- mane dopo la giustizia? non ancora come stimo
ab- biamo raccontato eivJìplxV, c *°è f° rlezza » p erc ‘ oc chè
la ingiustizia è lo impedimento di ciò, che discorre: ma 1’ et\iJ\pix dimostra
quasi, che si nomini nel combattimento. Ma che il combattimento sia
nell’ente s’ egli scorre, non è altro, che il contrario flusso. Per
la qual cosa se alcun leverà via il J\ da questo nome av
«/lp/<«, » nome che rimane * V P lX dÌChlara 1* opera stessa. Dunque è
manifesto, che non a qualun- c que io», cioè flusso, il
contrario flusso èforhaxa: ma 'quel flusso Che corre oltre il dovere;
perchè bon al- trimenti sarebbe lodévole la fortezza. Or pò affli*
cioè il maschio, e S XV» f, ci ° ò l ’ uom ? lrae l ’ 0ti ‘ gine da
certa cosa somigliante p j iva pó», c,oe dal flusso di sopra. Ma <p UV
», cioè la donna, mi par che voglia esser *yoV») cioè genitura: po
yxf poi cioè Temine pare, che sia stato detto da $»AÌ£, cioè dalla
mammella. B egli poi avviso, o Ermogene, che $n\n «« dica, perchè fa
pgS«A6tr<XI, c,oè B ene ‘ rare e pullulare come quelle coie che si
irrigano? xkm. Còsi apparisce, o Socrate, soc. — E pure p o 5otA—
Xciv cioè il germogliare mi par, che rassomigli it crescer de’ giovani, facendosi esso
veloce, e alt im- proviso; il che accennò colui, che formò il nome cavò
T0\i reìv, cioè di < Sorrere e «AAso-3«i, c ‘ oè di saltare, consideri
tu, che io sono portato come fuori del corso, poiché ho ritrovato piana e
agevole la via? eziandio rimangono molle cose, le quali paio- no
pertenere al serio? ehm. Tu di il vero. soc. Di cui una, si è, che
vediamo ciò, che si voglia si- gnificare cioè l’arte, erm . Ad ogni
modo. soc. Non si dimostra egli
é^tVfOV, . l’ abito della men- te quasi ej^ovo», cioè avente mente, se si
levi il p, e si fraraetti 1’ o fra il e il y, e f ra '* » e il *?
>**\L è**» Troppo aridamente, o Oberate, ed incivilmente.
1 •oc t-r-Q non sai tn, uomo beato, che i nomi, i quali
prim|erjqjentf furono posti, siano stati celati, da cip tragicamente li
vogliono narrare; aggiugnendo essi per eleganza, e levandone via lettere,
e parte per lunghezza tempo, ® parte per desiderio di ’ ornamento
'rivoltandoli" ■ da tutte le parti , come per esempio tV TcS
Hpctfaipa, c,oi nello specchio, non parola te disconvenevole che si
siaframesso il pa? per certo tali cose fanno, come io stimo, chi
prezzano, pih * vezzi della bocèa, che la verità, per la qual cosa
fra* mettendo molte cose a’ primi nomi, alla fine fanno, che niun
uomo intenda ciò, che si voglia il nome, come mentre proferiscono
T»y aai'y’yce, cioè certo li i ; .-i • » f'iitij n sì . T '
*17 mostro, dovendosi pronunciare <r<t>/'yot, e
"tolte altre ' ! "!.• T I, . sose. ZBM, ciò,
o Socrate se ne sta veramente cosi, soc. Ma se si concedesse di nuovo ad
ognuno secondo il suo volere di aggingnere e levare a’ borni, gran- de in
vero sarebbe la licenza: e chiunque darebbe qualunque nome a ciascheduna
cosa, za»*.—Tu narri il vero; ma si conviene, come io penso, che da
tè presidente savio, si servi certa mediocrità e decoro. irm. I o
il vorrei si. soc. E ancora io, o Ermo’gene, il desidero con esso téco:
ma no il nctìncarè, ò Uòmo félice, coi» troppo eSsata investigazione,
affine non annichili al tutto k virtù mia: perciocché io me ne
vengo alla cimjt delle cose antedette, poiché dopo 1 J-*! arte
avremo considerato |iSJ<^«rÌT, cioè la machinazio-< ne, perchè P
8re me. Che Sia segno f oj)
ecw7l, cioè delio aseender rooho*, perfchè' significo flttOf, cioè
lunghezza, vrpo? T<#TroXv, Cioè appresso al molto. Dunque il nome
^l|^flCy»,.conje egli si com ; - pone da questi due k«Ì TOÙ àtUÌI, :cìoè
di lunghezza, e ascesa. Ma come ora diceva, 4 da perve- nirsi
alla cima della cose dette, e da ceròarai ciò, che significhino questi
nomi «psT*, cioè virtù,- e netti Oli cioè vizio: .ora V uno nou il
ritrovo ancorai l’altro par manifesto, confacendosi eoa tutte le cose ante*
dette, perciocché quasi scorrano le cose ciò che fìa KftK£>£ iti, cioè
è scorre malamente > sari nati i/ct, cioè vizio. Ed il proceder
malamente che si fa nell’ anima inverso alle cose, ritiene massimamente
la de- nominazione del vizio; ma il hxkù)$ (Si'XI, cioè il prò*
cèdere malamente ciò, che egli si sia, pare a me che si dichiari ancora
nel nome t/fgiA/oe, cioè nella timi- dità, la qual non ancora abbiamo
dichiarato; aveodo* la noi tralasciata; facendo mistieri che la si
conside- rasse dopo la fortezza. Appresso ci è avviso di aver
tralasciato molte altre cose. Dunque it«/ls l A/«x signi- fica il forte
legame dell* animai perciocché 7 -$ Aistf è certa forza. Si che J\ei\ix,
cioè la timidità è il gran- dissimo legame dell'anima, così come ancora j
xitopix. )>S4C cioè il dubbio è male,, e , sommariamente
qualunque impedimento del. progresso. Questo dunque pare, che
dimostri x,Ò K*k5s ì«»*», cioè l’ andar male senza mo- versi, e con
impedimento; la proprietà quando l’anima tiene si riempie di vizio, che $e quel
nome di malvagità compatisse ad alcune cose siffatte, il contrario
significherà virtlt. Primieramente SIGNIFICANDO abbondanza, e poscia che il
flusso dell' anima buona sia sempre sciolto. Perlaqualcosa quello- che è
senza re- tto tiono e impedimento xò CÌ<r%B T6>£ Itati
ÌKfl»Aw- /eoa, cioè che sempre scorre ha avuto, come è avviso,
questa denomufazióne. Si che stà bene, che alcun lo chiami À&ippé frtf,
4°*** 8em lj re fluente. Ma peravvèntura lo può chiamar alcuno oupgx&y,
quasi, che qtiesto abito sia da elèggersi massimamente. Ora
Spezzalo il vocabolo si chiama «psT». D *rai lu forse, che io finga: ma
io mi affermo, che se pur quel nome dì viziò, che io ho riferito è
introdotto bene, che an- cor bene si introduca questo nome di virtù, erm —
Ma che si vuole T Ó KfltRf, cioè >* raa,e i P er *° quandi sopra
hai detto molte cosef soc. Certa cosa
strana per Giove, e malagevole da ritrovarsi. Si che ancora a
questo io apporterò quella machinazione. ehm. — Qual macbina'zionef
soc Il dire, che questo ancora sia certa cosa barbara. ERM.-EgH è
avviso, che tn parli bene. soc. -Alla fine lasciamo oggimai questi da
parte, se il ti piace: ma tentiamo d* sedere In die modo se ne stiano
bene ragionevolmente questi nomi TÒ K*A<fr, >t«ì TO edxpoi,
cioè di bello e di turpé. Or ciò, che significa oiìc^pat m > par
manifesto, per certo egli conviene con gli antedetti: perciocché mi
è avviso, che chi ha posto i nomi biadimi ciò, che iro- pedhce e ritiene
dal corso gli enti* e ora pose il nome ocel TW povv a ciò, che sempre
impedis*. se il flusso ocsiaryoppovt. Ma ora «pezzato il nome, lo
chiamano cthry^p 0». Che si vuole il’ kccAov, cioè’ il bello?* soc.
Ciò è via pih malagevole da co-
noscersi, dicendosi che questo solamente per causa di armonia, e di
lunghezza sia derivato, donde sì trasse. érm. In che modo? soc. Questo nome pare, che
sia certa denominazione di discorso. ' erm. Come di tu
questo? soc. Qual cosa stirai tu,
che sia stata causa della DENOMINAZIONE di qualnuqne degli enti? o
non ciò, che diede i nomi? erm.— Ad ogni modo, soc
Dunque questo sarò discorso o dei Dei, o degli uomi- ni, o di
ambidue. erm. Per certo si. soc. Dunque 70 KKÀOV» ret Trp«7(jiflCTflf,
cioè quello, che chiama le cose, e xò k«AÒ? sono lo stesso, che
discorso. erm. Apparisce, soc. — Dunque qualunque cose fa di nuovo
la meote, e il discorso sono degne di. lodi.- ma quelle, che no, sono da
biasimarsi. erm. Ad ogni modo. soc. Dunque ciò, che è alto al
medicare fa ( le opre della medicina, ciò che è atto all’
arte del legnaiuolo quelle, che sono proprie di lei: ma tu co- me
>1 potresti dire? ehm. Cosi. soc. Si,
che ezian- dìo il bello, le cose belle? ehm.— Fa certo mistieri.
soc Poscia è questo egli il discorso, come diciamo noi? erm. Si certo, soc. — Si che questo nome di
bello, meritamente fa la denominazione della prudenza operante certe cose
siffatte, le quali abbracciamo, dicendole belle, erm. Cosi apparisce.
soCi-Quale altra cosa ..oltre al genere di lei rimane da
investi- garsi? e*m. Quelle che
riguardano al buono e al bello, cioè quelle, che conferiscono, e sono
utili e ci giovano, e ci sono di guadagno, e le contrarie a que-
ste. soc.-Ciò, che sia quello che conferisce, tu il ritroverai considerandolo
dalle cose antedette, parcndj» certo germano di quel nome, che peritene
alla scienza , non dimostrando egli niun’ altra cosa , che 7HV Ò(piX(pQp
XV TUS flBfCt T6IV '7rpOC'yjiffTOV, cioè il portamento dell' anima
insieme colle cose, e quelle che quinci provengono sono chiamale
< pjpoVTK K«( ffl jpupopX, cioè giovevoli per quello, che sono insieme
portate intorno. e»m— Apparisce. soc.-Il K <xp</l*XeoV poi.
ci° è *l ueUo che dà * l gUad8 ' gno *jrà toDksHovS, cioòdal guadagno: ma
M pJ\oS esprime ciò, che vuole, se inserisse alcuno in questo nome
il V per lo J\ nominando il buono in certo altro modo: perchè K
gppftlWT«l, cioè si mescola scorreudo in. tutte le cose li POSE IL NOME,
SIGNIFICANDO questa sua virtù; fraroeltendo il J[ per lo y t il proferì
xèpcAo£. jsBM.-Che poi il Av<tìàeAov», cioè l’utile? soc. Pare,
o Ermogene, che non si ragliano di questo, co. me i mercatanti, perciò
sia chiamato e «¥ X'JTCùAÌm, - perchè schivi, e isminuisca tÓ XVxAu^X,
cioè le spese: ma perchè essendo velocissimo non lassa, che Je cose
si fermino, nè permette che il portamento ri- cevi TSÀOJ, c '°è il fine
del progresso, nè si fermi e cessi.* ma se alcun ternane si imponesse, Io
svorreb- be sempre da lui, e il. renderebbe incessabile e im-
mortale, in colai guisa io stimo, che il buono sia chiamato
Al/fflTeAotio», perchè ha chiamato -j-q 7*15 .* Il ,* - ' . ''VI <
. (popis Avo» TO T6À0S, cioè quello, che scioglie il
fine del portamento, à^eAipo» P°'i cioè *1 giovevole è nome
forestiero, di cui Omero spesse fiate si serve. Ma questa denominazione è
dello accrescere, e del fa- re. erm. — Che si ha a dire de’ conlrarii
loro? soc. — - non fa in verun modo mistieri, che di quelli si
trai- ti che si dicono per la negazione di questi. erm Quali
sono d’essi, soc.- A<ri[Upopov *i*ì XV 6 )<p sAÓj, ucci ÌAvafreAs$.
srm— T u parli il vero. soc. 'AAAx fiAxjÌBpoi kxi ^Kp/atc/llS,
cioè >1 nocivo, e il dannoso . erm, Per certo . soc. Ed
il fiAxfiepov, dice sia t 0 fhAxvyov TO» poD, cioè ) 58
( quello che nuoce si corso, t* J\g jSAatT'yOI, TO
jSot/ÀOfievoV cnrrei», cioè quello, che vuole impedire. e cnTTBIV Reti
c/leTlf, c '°è impedire, e il legare di nuovo significa lo stesso, e
questo biasima per tutto. Dunque ciò, che vuole ecmeil K«ì cAell’ T 0
£>6v Aofteroi I ttntTBlV po0\ l si chiamerebbe bene fiovXonr-
TepOV, nia P er ornamento io stimo, che sia stato no- minato /JActjSspoV.
O Socrate, vari nomi se ti
vanno nascendo di sotto via, e mi pare al presente, che tu abbia
cantato innanzi certa quasi ricercata del- la legge di Pallade, mentre
proferivi il nome jJot )- .1 AaTTTepoJ/V. soc.-,0
Ermogene, io non sono cagio- ne. - ma chi posero il nome, ehm,— Tu di il
vero: ma che sarà poi il £uji/£c/|ef, c '°è dannoso? soc. Vedi, o
Ermogeue, ciò, che debba essere e vedi quahto daddovero io parli, qualora
io dico, che aggiugnendo essi, o ^minuendo le lettere, alterano dì
gran lungo il senso de’ nomi» in modo, che cam- biando certa picciol cosa
facciano alcuna volta, che SIGNIFICHINO COSE CONTRARIE, il che. apparisce
in questo nome Jisovjl, cioè opportuno. Ciò poco fa in pen- sando
quello, che io sono per dire, mi e venuto in mente. In vero noi abbiamo
nuova quella voce bella, e ci sforzò a suonare il contrario TO c/l/o» K*ì
TÒ confondendo il senso ma certo nome vecchio f i s 9
( dichiara quello, che ai voglia, e i‘« no e allro me. eem. Come di t„ cotesto? soc Dirolloli, tu
sai che , magg.on nostri erano aoliti di vaierai molto del I e del
A, e maggiormente le donne, le qu.fi mmn . t tengono si la voce
vecchia, ma ora in vece del , vii aggiungono ovver I* g o 1* ma in luogo
del J il o come queste suonino alcuna cosa più magnificamente.
che modof soc.— Come per esempio gli uo - rntm antichissimi eh,
amavano T| ; y . cioè il giorno: ma altri poscia il chiamano é^ p J
t e » presenti ^ epxr , erm.— E gli è vero. soc.-Dun-’ qne tu sai,
che con quel vecchio nome si dichiara so. la mente la mente di colui, che
pose il nome; percioc- ché eh, amarono il giorno S(lepxv> perchè da|Ic
^ bre s, faceva il lume agli «omini «*/ povìjlt , Che
,1 desideravano , e si allegravano . IZ “, AP / arÌSCe * S0C ' ~ Ma
° ra in ”0* ninno non intenderesti , q ue , , cbe voglia
«..tato nelle tragedie, benché stimano alcuni, che si d,c * Wépct,
perchè faccia egli qualunque cose ,u{ po( cioè mansuete, ehm. - Così mi
pare. soc. - Nè ti * occulto, che abbiano chiamato i vecchi ^ 1070
* cioè ,1 giogo t,yQ Vt ' erm Per
cert0( soo _ Ma ye raraeme T0 ' tyyfo aoa dimostra niente: ma j
0V70t ) fio ( dimostra s'neK# T»? J\oaeu$ 65 *m
«7^7*»,*' cioè il conducimento di due per causa di legare, e lo
stesso si dee giudicar di molti altri, erm. E mani- festo. soc. Nel
medesimo modo il to J\&ov cosi pro- ferito dimostra il contrario di
tulli i domi; che ris- guardano si bene; perchè certo essendo il
idea. • * del bene, pare che sia c/ÌSO'piOf, cioè
legame e impe- dimento del progresso » come certa cosa germana TO
jSÀKjSspOÙ, cioè al nocivo. erw: Ó
Socrate, cqs'i appar si. soc. Ma
non già incoiai guisa nel no- me vecchio, il quale è yerisinaile, che
meglio sia; sta-, to ordinato del nostro, per certo tu coovenirai
coj beni antedetti, se per lo g renderai lo / t come anti-r '
4 camente si diceva; non significando c/|èov : ma J\lói quel
bene, il quale è sempre lodato; dall/ inventore dei nomi; e in siffatta
maniera non discorda egli eoa seco, anzi pare che sia lo stesso t/Isoy,
KCtì (à ftov, kx'i A.t/<r/ TeAow, it«ì nepo'ltfAsuv, K«ì
uyx- 0OV, K*ì <rviUpspov, K x) BV-KOpor Tutto questo uni- verso
significa con diversi nomi alcuna cosa, che ador- na, e penetra per
tutto, e questo è lodato: ma biasi- malo ciò, clic ritiene e lega. Anzi
se in questo nome porrai secondo la usanza dei vecchi il J\
per lo £ ti parerà egli posto giti JlovVTl TO ÌOV, cioè a chi lega,
e ferma ciò, che cantina, onde auco- Digitized by Google
) 6 . ( ra è do 1 nominar»! J \iynSJ\s(. «tto.-Che, o
Socrate «dèi \wnn,£'jn8vyilXI, cioè del piacere, del do- lore, e
della cupidità, e del rimanente di cotal sorte? 'soc. O Ermogene, non mi paiono troppo oscuri;
per- ciocché a’c/lov», cioè il piacere ha questo nome, dimo-
strando quella azione, la quale tende alla ov*cr/V, Cioè «dia 'utilità:
ma il J\ aggiunto fa, che in vece di tjuello, che è|,op» si proferisca
Dc/bA.», ryv7r#, cioè il dolort pare che si nomini da^^At/ireaff to?
<r&'ft«T0W cioè dallo scioglimento del corpo; dissòlvendosi
egfi con cosi fatta passione, e xVÌX cioè * a tristezza è
quella, che impedisce 7o teVXl, cioè l’andare A^ye e/l£i>v, cioè
il cruciato par nome forestièro detto da oc^yeiVOV' oJlvì/n poi, cioè il
dolore, e FaSlitione si denomina da e Vc/lu &BCo$ THS Al/TT»?, c! °è
dall’ entrar del dolore, erm. Apparisce, soc.— a ‘yJtiJlÒV, cioè il
dispiacere chiaro è ad ognuno che e assomigliato il nome alla gra-
vezza del portamento, ma ^ctpx cioè l’allegrezza, e la letizia par, che
sia chiamata da J\ loc^vireus, c '°è dall* facilità evTTOpixs cioè del
movimento dell’anima. Si cava T } p'M St cioè il diletto da Tg/>4.t?,
cioè dal di- lettevole; maT-gp^j^ydaTÒ rspJWoy da JìtXTÌS
£pr\-e&)$, cioè dalla inspirazione del diletto aell’auinia. Sicché
meritamente si chiamerebbe tpTrrovi, ' ) ( cioè
inspirante; ma dal progresso del tempo il è di- venuto a t«/>TTV 0».
Per q ual cagione si dica cioè l’allegrezza e vigoria non è bisogno
renderne conto, essendo manifesto a chiunque trarsi questo nome da efò,
che si dice èv TOÌS TrpxypLXXI TtV ffvp Hpepsa<pXI, cioè perchè
l’anima si porti bene con le cose, onde si dovrebbe chiamare
et/tpEfOtrufl, nom- dimeno l’appelliamo tvtppotTOVIV. Egli non- ,è poscia
• • difficile d’assegnar ciò che si voglia i'juSvpHX, cioè il
desiderio, conciossiache questo nome dimostri la for- za tendènte Bnr ) T
jy et/fxòv, cioè all’ira; ma $^9' cnrò TI? Bvaeus, *xì leaeas, cioè dal
furore, e dall’ ardore dell’anima, ipepoS e/)è poi cioè il desiderio
fu chiamato rÒ [ia\t<rTX sAkovtj t*V oj-t/jc.»» pò, cioè dal
flusso, che tira l’anima massimamente, perchè da quello che ìepieVOS pel,
cioè incitato' corre, e desi- dera le cose e tira in colai guisa
grandemente l’anima, J\lX TtV etri r TtS pois, P er lo empito, ovver
incitamento del corso. Da tutta questa forza è chiamato "ipLBpoS,
Oltre ciò è chiamato -j^oBos, cioè desiderio; perchè ve. raraenle non
risguarda la soavità presente come fytg/JOl/, ma di quella vede che
altrove si trova, ed è assente, pnjle si dice ttoSos, '* quale quando è
presente ciò che si desidera si chiama 'ipitpos, «sente votQS,
sptaS, poi cioè l’amore: perchè eitrp$i 6%a$6V, c '°è influisce dal
di fuori nè è proprio questo pon f cioè corso di chi il tiene: ma per gli
occhi infuso. Sicché si chiamava l’amore dagli ontichi nostri da gg-pg??,
cioè dall’in- fluire tapo$, Cl0 ^ in rt uen * a » valendosi doì
dell’ o per Ma ora si dice gpaj per lo cambiamento del o nel &
Or che ordini tu, che si consideri di poi? erm.— J\o%X, c ' 0 ^ * a °P* n
' one > e certe altre si fatte cose, onde hanno esse i nomi?
soc.*-Si dice J\o£oc, o da cioè dall’investigazione, con la qual
ca- mbia, e segue l’anima investigando la coudizion delle cose, o
da -j-jy TO^OU JèohìSt cioè da ^° scoccar del- l’arco: ma quinci pare più
tosto, che dipenda, | omeri J, cioè la stimazione a ciò consona,
assomigliandosi all* entrar dell’anima in qualunque cosa, il qual
dichiara ciò che sia qualunque degli enti, cosi come e jgot/A*,
cioè lo volontà si dice da »l*Ho scoccare, • TO £0VÀE<r8*<,
cioè a volere P er ,0 sr °"° del toccamento, significa ancora
$<f>lecr$ttl, c,oè ll desi ' derare, e j?ovAst/«<rS«l,
cioè 11 con8Ì 8 1,,re ’ Tulte t l ue * «te cose seguenti la opinione pare
che siano simula- ci T«J jgoÀ»5 del ,iro ’ come '* conlrario »
«jSowAi*, cioè il scoccar a falli apparisce certo, difetto impo-
tente *1 percuoter, come non abbia tocco il segno, nè conseguito ciò che
voleva, e di cui si consigliavo, e mr
desiderava. zrm;-P6fc, chè tto metti- insieme questi nomi più frequenti,
si che ornai facciasi fine favorendoci Dio. Oltre di questo desidero, che mi
sia dichia- rato ciò che sia oCVXV.il, e 6X0U<r(0V cioè la
necessità^ e il volontario? soc. Or to' gKOi/fftOV, cioè il vo- lontario
TO 61 K 0 V, K«ì ft« ocrf ITl/TTOt/V, Cl °è chi ced^ nè contrasta, ma
ubidisce a chi camma sarà dichia- rato con questo nome, che si fa secondo
il volere. Ma TO av«7K«tOV cioè il necessario, e il rimanente
essendo fuori della volontà verserà intorno allo errore, e alla
ignoranza, è assomigliato t5 K 0 !T ÒtTot Sc'/VH TCopstOC, cioè al
camino, che è nelle valli, perchè essendo esse malagevoli, e aspere a
passarsi, e dense (V^stTOt/ JeVflft, ritengono dal caulinare. Quindi
dunque fu peravventurà chiamato avcc'yxcclov cioè necessario assomigliato
al cam- mino che si fa per valle. Ma fin che abbiamo possanza non
ci manchiamo sicché ne ancora tu non voler cessare: ma interrogami. ebm. Ora io addimando quelli, che son
grandissimi, e bellissimi tdv T6 Oi\^^BlXV, c ‘° & > l
la verità e t 0 cioè la bugia, e to oy, c,oe l’ente, e 0V0fi«
cioè il nome di cui ora trattiamo, per- chè tenga questo nome. soc. Chiamami tu pcc! ecrBxt, alcuna cosa?
ebm. In vero chiamo lo investigar^,- soc. Egli è avviso, che questo nome
sia generato da quel sermone, onde si dice esser oy, cioè l’ente, di cui
il nome è investigaiipnfc, il che, pii»,, chìqramat^ con^- prend
erai. Per cert,o In quello che, noi; t}icjwò TOtì voj Utr O-TOl/,
cioè nominato esprimendosi qui ciò, che sia no* •® es ‘ <x\nBelX pòi
cioè la verità pare che sì eorapongi ancora come gli altri,
perciocché il 'portaménto ‘cfivi- . a-ji' •»!*.?
no «n, > dell’ente par che si dica con questo nome
QÒpx, w«>; i.i ri ■ ’ r i otatf ;oq[ no«' r ft. r ql«
essendo quasi flst« Oliffflt «A», c,oe certa > div,na in'
,n t>. et «MI scorreria: ma il >J,sV(/|o5, c ‘°è bugia,
£ al portamento. Perciooehèdi nnovo si disprèggi* quello, che vien’
ritenuto, e costretto; a star quieto* ed è asso» migliàio T<) f
? K*9*v^óy<rl, cioè ai * hi dòrmonoi uid lo 4, aggiuntò occhila il
senso del nome, ov pòi e 0 t/tì" ioti cioè l’ente, e la
essenza si confanno con «Aot/^st, c '°^ ó! .. ,1. 1 1 tip II .10105
5 ; ‘"Iti» eoi vero, gettando via il / perchè significa iptfp
( C'oè lo andante, e di nuovo' tq 6K0V il wn C*U e » come il
nominato alcuni oi/Ktov> cioè che 'non va. sart.— Q Socrate, mi
è avviso, che rimilo fortemente' tu abbi» ventilato questi nomi: 'ma se
alesili) li addiniandassè di questi t# tOV, TO p’eOV,KO U Tft (Httl/V
tosse U retta loro interpretazione, che principalipenle 1»
ris* ponti eremo noi ? i 1 tieni tu forse? soc. Teugolo certo. In vero poco fa .tei
sovvenire un non. so che, coir la cui risposta pare a noi di risponder
alcuna cosa, san» Qualej è cotesto? soc. Che diciamo, chesia
Barbarei ciò, che non conoSeijdno,- perchè forse sono daddovc-
>«( re io parte tali, e malagevoli da ritrovarsi i
nomi pfi- mieri per. l’antichità; perciocché «torcendosi i nomi per
tatto, non sarebbe maraviglia niuna, «e la voce an- tica colla nostra
pareggiata non fosse niente differen- te dalla voce Barbara, erm. — Non e
fuor di proposito ciò, che tu db soc.— Dunque io apporto cose veri-
simili, non per tanto perciò pare, che la contesa am- metta la scasa: ma
sforziamoci di investigarli, e con- sideriamo in colai guisa, se alcun
sempre cercasse quei verbi, per li quali si dice il nomò, e di nuovo
pro- curasse di saper quelli, per li quali si dicono i ver- bi, nè
ciò facendo cessasse, forse non sarebbe egli ne-, eessario, che alla fine
si stancasse il. rispondente? brm. — À me par si. soc. Dunque quando
cesserà merita- mente colui, il qual nega la risposta? o non quando
a quei nomi pervenirà, i quali sono quasi elementi del rimanente, cioè
de’ sermoni e de’ nomi? in vero se in colai guisa ne stan' essi, non dee
parer piò, che d’al- tri nomi siano composti, come per esempio
abbiamo detto poco fa che to otyxS OV, cioè d bene fosse com- posto
da ecyxtTTOv, cioè del mirabile, e $ov, tì °à del veloce 3eOV P°* cioè il
veloce, diremo noi che co- sti d’altri, e essi da altri: ma se alcuna
volta a quello perveniremo, che più oltra non si forma d’altri
nomi, meritamente diremo noi di esser pervenuti allo elemen- to, nè
piò oltre faccia mistieri, che’l riferiamo ad al- tri nomi, bum.' T u mi
parj di parlar bene, soc. O non sono quei nomi elementi» i quali tu ora
addì- mandi? e fa egli bisogno che altrimenti si consideri la retta
interpretazione? sbm. Ciò è verisimile, soc. — Ve- risimile certo, o
Ermogene. Per la qual cosa tutti gli antedetti pare, che siano a questi
ascesi, e se ciò se ne sta cosi come mi pare, or di nuovo considera
con esso meco afline per avventura non impazzisca, mentre tento di
dichiarare la retta inlenzion dei primi no- mi. zbm. Di pure, perciocché
io vi penserò secondo il potere, soc. Io stimo veramente, che in questo
tu assentisca, che una sia la retta invenzione di qualun- que nome,
e del primo, e dell’ultimo e niun di loro in quanto nome discordi
dall’altro, ehm. Si. soc. E
nondimeno la retta invenzione de’ nomi, i quali poco fa riferito abbiamo,
voleva esser certa tale, che dichia- rasse, quale si fosse qualunque
degli enti, ehm.— Senza dubbio, soc.— Questo veramente non dee
convenir manco o primieri, che agli ultimi, se sono per dover esser
nomi, ebm. Al tutto, soc. Ma gli ultimi
nomi, come è avviso, potevano fornir questo per li pri- mieri. ebm. Apparisce, soc. — Stiano le cose jcosì.
Or i primi, a quali altri ancora sottoposti non sono, in che modo secondo
’I possibile, ci dichiareranno gli enti, se deono esser nomi? rispondimi
a questo. Se non avessimo voce, nè lingua, e avessimo voluto
dichiarar Vicendevolmente le cose, non avremmo tentato noi co- si,
come i muli al presente, di significarle colle mani, coll* tetta, e col
rimanente del corpo? ibm.- Non al- i ;> i iiit k ' ci : •»
!>«M Ili menti, o Socrate, soc. — Ma, come io penso, se volessi
ni o dimostrar il supremo, e il lieve inalzeremo le •mani in. verso al
cielo, la stessa natura delle cose imitando: ma se le inferiori, c gravi le
rivoglieremo alla terra; pia oltre dovendo dimostrare un cavai
corrente; o alcun altro animale, tu sai, che da noi si sarebbe fin-
to i gesti de’ corpi nostri, e le figure quanto più presso alla loro
somiglianza. erm. Ciò, che tu dì mi pare necessario, soc. la questo modo, com’io penso, con lo
imitar il corpo, si sarebbe con queste parti di cor- po dimostrato
quello, che chiunque avesse voluto di- mostrare. erm. Così certo, soc. —
Ma poiché voglia- mo dimostrar colla lingua, e colla bocca, nou si fa
cosj finalmente la dimostrazione da queste se per esse d’in- torno
a qualunque cosa si fa la imitazione? erm. Io penso necessario, soc. Sicché, come apparisce, è il nome
imitazione di voce di quella cosa, la qual imita, e nomina chi imita con la
voce, erm Il medesimo mi pare ancora si
sia detto bene, erm Perchè? soc.
Perchè saremmo costretti a confessare, ohe ques- ti imitatori di pecore,
e di galli, e d’altri animali no- minassero le stesse cose, de’quali si
imitano. *hm. Tu pnrli il vero, soc. Non pare a te, che stia ben
questo? erm. A menò: ma o Socrate; qual’
imitazione sia il nome? soc. Non tal imitazione, qual è quella che
si fa per la masica tutto che si faccia colla voce: nè delle stesse
ancora delle quali la musica eziandio è imitazione; non dicendo noi,
conio è avviso, la imi ta- llone per la musica. Ma così mi dico, li trova
egli iti quaizfnqtre cosavoce, *v figura, e in motte color an- cora?
twm^kd wgnf modo.'- SOC. Dunque se
alcuno queste imitasse, intorno a queste imitazioni non si ri
Irorarebhe io facoltÒdel nominare, essendo altre d’esse la musica, 1
altre lo dipintura; non è egftì 1 cosi? va*». Veramtfhte. soc, Che a questo? non pensi ta, che
qualunque coso tenga còsi la essenza, come if Colore, e le altre cose,
che abbiamo detto dianri? o hon si ritrova egli* ntìl colore, e nello
vóce certa essenza e in qualunque altre cose, che so n degne della
denominazio- né dell’essere? ehm. A me parsi, soc. Che duh" que è se alcun fosse
possente di imitar con lettere, e con sillabe la essenza di qualonqdé
còsa; non dichia* rerebbe egli ciò, che fosse qualunque 'Cosa, o pur
nò. soc.— Qual diresti tu, che potesse far questo? tu gii
antedetti' parte chiamavi' mùsici, parte dipintori:' ma costui, come il
Chiamerai tu? "e»w\ Mi par, o Socrate, che egli sia l’autore del nominare
1 , ’ ! il quale già molto cerchiamo, soc. Se questo ò vero, ò-òggimni da
cònbiderarsi d’intorno à quei nomi, che 1 ; tu ricer- cavi pouj, c ioò
del flusso, levai dell’andare, a-^e<reo£ della retenzionc, se
daddovero imitino la essenza, ovver nò colle lellere, e colle sillabe
loro, ras:. Al tutto, sóc. Or
vediamo se questi soli sono i nomi primie- ri, o ne siano ancora altri
molti, In vero io sti- mo degli altri, soc. E cosa verosimile. Allo
perfine, qual maniera sia della divisione, onde incomincia
ad imitare, chi imita, non giova egli primieramente, eh* »
distinguano gli dementi; poiché si fa la imitazione dell’essenza con
lettere, e con sillabe? come chi si maneggiano d’intorno a ritmi,
distinguono primiera- mente la virtù degli elementi, poscia le sillabe e
in colai guisa, se ne vengon essi alla considerazione de' ritmi, e
non prima, ehm. — Così è. soc. Onon fa
pri- mieramente mistieri, che ancora noi distinguiamo le lettere vocali,
dopo il rimanente secondo le specie, cioè le mutole, e quelle, che non
rendon suono? parlando- ne iu colai guisa gli uomini eruditi, e di nuòvo
le non vocali: nondimeno non al tutto senza suono? e le specie
vicendevolmente differenti delle vocali: e poi- ché avremo ben diviso
tutti questi enti: di nuovo fa mistieri ebe popiamo i nomi, consideriamo se
sono quelli, ne’ quali si riferiscono tutte le cose come elementi, da'
quali eziandio lecito è, che essi si veggano e se si; contengano in loro
nel medesimo modo le specie, come negli elementi. Considerale bene queste cose
tutte,' fa mestieri, che si sappia apportare qualunque di loro,
secondo la somiglianza; n se una aduna sia daappor-. tarsi, o molte da
mescolarsi, come i dipintori in va- lendo assomigliare alcuna volta
applicano il color pur- pureo solamente, altra volta qualunque-altro.
colore, al- tra volta ne raescolauo molti, conta quando vogliono
figurare la imagine somigliantissima all’uomo, o al- tra siffatta cosa in
quanto ciascuna imagine ha bisogno di ogni colore, non altrimenti ancora
uoi accommoderemo gli elementi alle cose, e l’uno all’uno, ove ps- rosse,
che facesse bisogno, fornendo Ta cioè I SEGNI, i quali son detti sillabe.
Le quali poiché avremo congiunte di compagnia, e di loro formati I NOMI E I
VERBI i nomi, di nuovo fabricberemo de’ nomi e verbi cer- ta gran cosa, e
bella, e intiera. E così come si ft li con la dipintura l'animale, così
qui chiameremo orazione fabricata, o colla perizia del nominare, o colla
retlorica, o con qualunque arte, che ciò si faccia, anzi non faremo
questo avendo noi in parlando trasgredito la misura pet* ciocché i vecchi
cosi composero, come si è ordinato.' Ma fa a noi mistieri, che
investighiamo tutti questi in cotal gnisa, se pur siamo per considerarli
artificiosaroeo- l«, distinguendoli così, o se siano posti i primi
nomi come conviene, e gli ultimi, ovver nò: ma lo annodarli al
rimanente è da vedersi o Ermogene amico, che per avventura, non sia
errore, nè secondo il dovere, zaii - Peravveutnra si per Giove, o
Socrate, soc.- Che don- que ti confidi tu di te stesso di poterli
distinguer in questa maniera? perchè io mi diffido potere, ehm— lo
mi diffido molto piò. soc.-— Dunque li dobbiamo lasciar noi? o vuoi tu,
che comunque siamo possenti faccia- mo esperienza, e incominciamo se si
possa da noi conoscer certo poco di queste cose, dicendo davanti a* Dei così,
come poco fa abbia lor detto, che noi non conoscendo nulla di vero,
congetturiamo le opinioni degl, uomini d’intoriv, ad essi: cosi al
presente ancora seguitiamo, predicendo parimente a noi stessi, che
) r*'C •« fosse atil cosa chfe si distinguessero o d’alcun
altro* ** noi, cosi sarebbe mistieri, che si dividessero: ma .ya»
come si dice, converrà, che noi trattiamo que* sto, secondo il potere, ti
par egli posi, o come di tu? erm.— C osi forte mi pare, soc.— O Ermogene,
io sti- mo, che sarebbe per parer cosa ridicolosa, che le cose •i
facessero manifeste con la imitazione fatta per le lettere, e per le sillabe;
nondimeno necessario è, non a- vendo noi niente di questo miglioro, al
qual riferen- do giudicassimo d’intorno alla verità d e> noroj
primieri, se peravventura, come i tragici, qualora dubitano ricorrono
alle machinazioni innalzando i Dei, cosi an- cora noi non, ci .
espedissinv* tosto questo dicendo; che da’ Dei siano posti primi nomi,
perciò siano stati or- dinati be«e. Duuqne questo parlare sarà egli
ottimo presso noi, Oiquello che gli abbiamo ricevuti da alcuni
barbari, essendo i barbari di noi .più antichi, o per la vecchiezza non
li possiamo discernere cosi come i nomi barbari ancora. Questi sono
schermi, o leggiadri al di chiunque non vogliono render la diffinizione
della imppaiaiono retta de’ primi nomi: perciocché chiunque non
tiene la retta diffinizione de'prirui nomi, non può conoscer i seguenti.
Questi per certo sono da dichia- rarsi da quelli,, de’ quali non è
alcuno, che ne sappia nulla. Anzi chiaro è, che chi fa professione della
perizia de* seguenti, abbia compreso gli antecedenti inolio prima, e
perfeltissimamente li possa dimostrare, ma altrimenti dee sapere, che
egli sia per prender errore ne’
seguenti; c siimi tu in ultra guisa? ehm.— N on al- trimenti, o Socrate,
soc.— Le cose dunque, che io sento d’intorno a' primi nomi mi è avviso,
che sinno cose ingiuriose, e ridicplose, e se vorrqi con esso teco
le conferirò: ma se tu ritroverai cosa migliore, eziaudio tu Con
esso meco la' comruunicherai. erm.— Farollo; ma dì oggimai con fidanza;
soc. Dunque, primiera- mente jl p pare a me, che sia come stromento
del movimento tutto: ma perchè tenga questo nome non l’abbiamo
detto: ma .phiaro è, che vuol esser (eirtS", cioè andata; perchè non
si valevamo noi, per lo- adie- tro del jj- ma dell' 8) egli SIGNIFICA il
principio {la it/str. cioè t'andare, il qual è nóme forestièro; è
egli' lo f e yJj : ‘il j r r . v ' . r cioè lo
atiflarè.- Sicchè^sè 41 prifnt? nóme* di luì si ri- trovasse iraspaptalb
nella voce nostra, bene Ye-rtC si chiamerebbe.' Ora poi chi' K/6/V nome
fòre- stiero, e dal riiutaniento del « e' dal frammettersi il
* , , ‘ y si chiama Ma faceva bi so gii oidio qi dices-
, • !•' • ' ir. t>-| ii -, j se k ieiveei?, ovver eitr/j,
* c/|s <xrxais, c,oè *° stare h ;•«..» . ;, v "T
A'vumsori'.moi . ! vuol esser negativa di temi, cioè dell’audare:
ma per 'fiiijs qfeoa •••unric yi. H causa di oruainento
si , chiama Di >080^0 il p elémento, parve come ora diceva*
opportuno stromento del moto all'autore de’ nomi per esprimer la
somiglianza del, portamento perla qual.cqsa'uso il p pec tutto
alia espressione del movimento.- Primieramente T £ ( p
e 6 1 V K«ì poti, cioè ne Ho scorrere, e nel flusso imita il portamento
per la lettera p poscia nella voce •jrpoy.n cioè tremore, e nel Ypxyjs.1,
cioè nell’aspero, ancora nelle parole di colai sorte ^poveiV >1 percuoter,
Spxvsiy il romper fpln$iy il tirare SpvTTT&lV rompere, xeji«T
t? tagliare in pezzi pspjSeiy, vacillare, tutti questi per lo
pili figura per lo p conciOssiache, io la lingua nel proferir questa
lettera non ritarda niente, anzi pili tosto si commove. Sicché egli è
avviso, che si abbia servito del p principalmente alla espressione di
que- ste cose. Eziandio in tutte le cose tenui penetranti
massimamente per tutto si ba servito del t; laonde imita per lo /
jofapjCI, KCc'l 70 UcBx, cio « l’andare, e il far progresso, come ancora
per lo q e ^ e e £ le quali lettere sono di spirito pili veemente. Cose
si fatte ci esprime l’ autor del nome, come per esem- pi 0 TO 1°
C08a fredda yo ( 90V , la bogliente, 70 <rele<r9xi, i 1
commoversi, e al tutto <rej<r{iov, cioè la commozione; e qualora
l’ordinatore de’ nomi vuol imitare alcuna cosa spiritosa per lo pili
impone let- tere si fatte. Oltre ciò la strettezza del </| del y,
e il tirar in dietro della lingua come attaccata, pare che sia
estimata molto opportuna alio esprimer la potenza del legame, e dello
stare, e perchè nel proferir il ^o- KiaBxmt y.x\ia'7ct ÌVKÙ77X,
sdrucciola la lingua massimamente, perciò con questo come da certa
somi- glianza nominò TfltTfiAfi tot * e cose piacevoli, e «TOUTO
«A/<r0#/veiV lo sdrucciolare, e T0 \nrxpov «1 grasso H«< TO
KoAAà^le?, cioè quello che ha virtù di con- glutinare, e le altre cose di
sì fatta sorte. Ma perchè il «y ritarda la lingua, che se ne scorre,
imitò to V A/o-J^.o» >1 lubrico, T0 «yA^KU *' doIce tt*ì
J^Aottà- cAbs, e il viscoso. Di nuovo avvedendosi
dell’interno suono del p con lui nominò to 6»dlov, K«tì TO 6VT0J,
cioè le cose interne, qnasi assomigliando le opre alle lettere- poi diede
ja fts'yotAw, cioè al grande e t£ p*K6l, c *°è “Ha lunghezza perchè sono
lettere gran- di: ma ffTpq'y'yuA^ c *°ù rotondo, avendo egli biso-
gno dell’ o, per lo più nel nome lo mesoolò. E nella stessa guisa 1’
autor del nome pare, che si sforzi di ac- commodar a qualunque ente
segno, e pome secondo le lettere, e le sillabe, e da questi poscia
comporre il ' rimanente delle specie secondo la somiglianza. O Ermogene,
mi pare che questa sia la retta interpretazio- ne de’ nomi, se non
apportasse Cratilo alcun’altra co- sa. ehm. E pure, o Socrate, spesse volte mi travaglia
Cratilo, come ho detto da principio, mentre af- ferma, che vi sia alcuna
retta interpretazione di no- mi: ma nondimeno quale ella si sia non la
dice chia- ramente in guisa, che io non possa conoscere se egli
volontariamente lo faccia, o pur nò; cosi ne parla semprc d'intorno ad essi.
Dunque, o Cratilo, dimmi ora alla presenza di Socrate, se ti piace il
modo, con cui egli ne parla d’intorno a’ nomi,' o Se tu puoi dire
io altra miglior guisa, il che se puoi il dirai a line, che o da
Socrate tu impari, o ammaestri nmhidue noi. ca. — Ma che, o Ermogeuc? ti
par egli ogevol cosa rap- prender in cosi poco tempo, c lo insegnare
qualun- que cosa noti che una cotanta; la qual d’intorno alle
grandissime è stimata certa grandissima cosa?’ ersi. Per Giove nò, anzi
io stimo, che Esiodo abbia par- lato bene, che utile sia l’aggiuguer il
poco al poco. Sicché se tu sei possente al fornire alcuna cosa se
ben picciola, no il ricusare: ma giova a Socrate, ed a me appresso,
dovendolo tu fare, soc.— In vero, o Crati- lo, nè io stesso affermerei
niuna di quelle cose, le quali dianzi ho raccontato. Ma iu quel modo, che
mi parve ho ciò considerato con Ermogene. Laonde prendi ardir in
esprimere, se hai alcuna cosa migliore, co- me io sia per ricever volentieri
ciò, che dirai: non- dimeno nè mi meraviglierei se tu potessi dire
alcuna cosa di queste migliore, parendo a me, che tu abbia
considerato siffatte cose, e imparatele da altrui. Duo- , que se da te si
dirà alcnna cosa eccellente; mi an- novererai fra tuoi scolari intorno
alla retta investigazione de' nomi, cr.— Per certo, o Socrate, questo tu
di, mi fu a cuore, e ptravvenlura ti farei scolare, nondimeno dubito, che
la cosa se ne stia incontrario ad ogni modo, perchè mi sovvieue di dir in
certa maniera lo stesso in verso a te che disse Achille ne’ sacrifici in verso
od Aiace. O Aiace, nato di Giove, fi- gliuolo di Telamone, re di popoli,
tu hai proferito tutte le cose secondo il mio parere. Ancora tu, o
So- crate, pare che indovini secondo la mente nostra, o essendo tu
inspirato da Eulifrone, o ritrovandosi in te alcun’ altra musa, il che ti
era ceialo innanzi, soc. — O Grati lo, uomo dabbene, ancora io ammiro
già molto la mia sapienza, nè mi confidi troppo. Sicché . io stimo
che sia da considerarsi da nuovo ciò clic io mi dica, essendo gravissima
cosa lo ingannarsi da se stesso; perchè come non fia cosa grave,
quando non è poco lontano: ma sempre presente chi è per ^ingannare?
sicché fa mislieri, come è avviso, voglicr- si spesso alle .cose
antedette, e come dice il poeta, tentar di guardar innanzi, e indietro
parimente. Or al presente vediamo ancora ciò che si è detto. Ab-
biamo detto retta int» rpetrazione di nome ciò, che dimostra quale sia la
cosa. Mi dì, dobbiamo dir noi, che qitesto si sia detto bastevolmente? in
vero io l 'af- fermo. soc — Dunque si dicono i nomi percausa d’insegnare?
eh. Al lutto. , soc. Dunque dobbiamo dir noi, che questa ancora sia arte,
e mietici di le.? er.^Sì. soc. Quali? cn— Quelli che da principio tu
chiamavi facitori di nomi. soc. Mi
di, possiamo dir noi, che questa arte sia negli uomini parimente come le
al- tre, o altrimenti? questo è poi quello, che io voglio I
dire. Sono egli alcuni dipintori peggiori, altri piti eccellenti?
ce. — Sono il. soc. — Non fanno gli ec- cellenti 1’ opere loro più belle,
cioè gli animali? in- contrario gli altri? ancora i muratori fan essi
pari- mente le case parte più belle, parte più turpi? ca. Cosi è. soc. Gli autori eziandio delle leggi
non fanno essi l’ opere loro parte più belle, parte più turpi? ce. Questo non mi par no. soc.— Dunque non
pare a te, che altre leggi siano migliori, altre peggiori? ca. — Per
certo nò. soc. — Nè anco come apparisce stimi, che altro nome sia posto
migliore, altro peggiore, cr. Nè questo, soc. Dunque tutti i nomi
sono posti bene. cr. Quanti sono
nomi, soe. Che del nome di
Ermogene che si è detto di sopra? come dobbiamo dir noi, che a lui non
sia po- sto nome, se non, cheli compatisca spfiov'yGVEO'EflJ, cioè,
che sia della generazione di Mercurio? o che sia posto: ma non bene? cr.
O Socrate, non mi è avviso, che ancora gli sia stato posto: ma paia
si: ma che sia d’altrui questo nome, dì cui è la natura ancora, che
significa il nome. soc.-Dimmi, non mentisce chiunque dice, che egli non
si diea Ermo- gene non essendo da dubitarsi, che egli non si dica
Er- mogene non essendo, cr In che modo di tu questo? soc. Forse
perchè non è lecito al tutto il dir il falso? e si suol SIGNIFICAR poi
questo il tuo sermone? perciocché, o amico Cratilo, sono alcnni
ancora, che il dicono al presente, e il dicevano già. ca. Per- ché,
in che modo, o Socrate, mentre dice alcuno ciò, che dice, dirà egli
quello, che non è? o non è egli il dire il falso,, dicendo le cose, che
non sono? ,soc.-0 amico,questo parlar è più eccellente di qnelche
ricerca la condizione, e età mia; nondimeno dimmi se paia a te; che alena
non possa parlar il falso: ma il possa dir sì. ca. Nè dire, soc
Nè ancora dir- lo, nè chiamarlo? come se alcuno fattosi
incontro prendendoti per la mano iosegoo di ospitalità dices- se,
Dio ti salvi, o Ospite Ateniese Ermogeoe figliuol di Smicrione; parlerebbe
egli questo, o si direbbe che parlasse; a direbbe questo, o saluterebbe
in colai gui- sa non te:, ma Erraogene, o ninno? ca* O Socrate, mi
pare che costui gridi, ciò in vano, soc. Que- sto mi basta, dimmi grida il vero
chi cosi grida, o il falso? o parte il vero, parte il falso?
perciocché basterà eziandio questo. ca. — Io direi, che questo
tale strepitasse, indarno movendo se stesso, come se alcun battesse
i rami. soc. — Considera, o Cratilo, se in alcun modo conveniamo, non
diresti tu forse; che sia altra cosa il nome, altra quello, di cui è il
no- me? cr. Veramente. soc. Dunque
confessi tu, che ’1 nome sia certa imitazione della cosa? ca. Sopra il tutto, toc Dunque e le
dipinture in certo altro modo dì tu, che siano imitazioni di alcune cose?
ca. Per certo sì. soc. Or dimmi, perciocché forse i» non .
intendo, quel, che tu di.- ma tu peravventura parli bene;
polressiroo noi dispartire,, e portare ambedue queste imitazioni, e
dipinture, e quei nomi alle co- se, di cui sono imitazioni, o nò? cr.~
Possiamo si . 1 soc. Or. questo considera primieramente, se
potesse' alcuno attribuire la imngi.ne dell'uomo all'uomo, e alla
donna quella della donna, e le altre nel medesimo modo? cr. Così certo,
soc. Dunque iu contra- rio ancora
la imagine dell’uomo alla donna, e della donna all’uomo? cu. L- E questo,
soc. Or ambe- due questi
compartimenti son forse elli, retti? ovver^ l’un di essi? cn. L'uno dì. soc. Quello pen- so io, il qual dà il
proprio, C simile a ciascheduno. cb, A me par sì. soc. Dunque acciò tu e io es- sendo amici,
non contendiamo nelle parole, conside- ra ciò, che io djco. Io chiamo
retto ( compartimento una cosa siffatta in ambedue le imitazioni e negli
ani- mali, e nei nomi: ma ne* marni non solo, retto: ma vero. Ma
l’altro conducimento, e portamento dal dis- simile non retto, e appresso
falso ne’ nomi. cr. O Socrate redi che ciò peravventura possa solamente
ca- der nelle dipinture, che alcuno compartisca male: ma non nei
nomi: ma sia necessario che sia sempre bene. soc. — In che modo di tu?
d’intorno a che è questo da quelle differente? non è egli forse
possibi- le, che nd alcun uomo fallósi alcun incontro dica, questa è tua
figura, e peravventura a lui dimostri la figura di lui peravventura anche
di donna. Dico essfcr il dimostrare 1* offerire a sensi degli òcchi.' c».’
<*- Per certo. : soc. Ma che? di nuoto’ fattosi all» stesso incontra
dica, questo è il tuo nóme, essendo il nome certa imitazione, cosi come
la Figura; ma dico in colai guisa. Forse non fia lecito a Ini di
di- re questo è il tuo nome? poscia infondergli il medesimo nelle
orecchie, peravventura dicendo la imita- zione di lui, che egli è uomo, e
forse la imitazione di- alcun genere umano dicendo, che è donna?
non pare a te: che ciò sia possibile, e si possa fare al- cuna
tolta? cr. Te il voglio conceder, o
Socrate,’ e così sia. soc. O
amico, tu fai bene, se ciò se ne sta in cotal guisa, perciocché al
presente non fa’ mistieri, che d’ intorno a questo si contrasti.
Dunque sequivi,si ritrova on certo tal compartimento; l’ uno
chiamiamo parlar il'vero, l’altro parlar il falso, e se questo così se
rie slà egli, ed è lecito, che non si conipartnno i nomi bene, nè si
rendano a qualunque i propri: ma alcuna fiata quelli sì, che non
sono propri; sia lecito parimente, che si l'accia questo neU le
parole. Ma se possiamo poner i verbi e i no- mi in cotal guisa,
necessario è, che similmente si póbgano ancora le orazioni, essendo esse,
come io penso componimento di .questi, o come di tu, o Cra- tilo?
cr. Così parendomi, che tu dica bene.
soc. Dunque se assomigliamo i
primi nomi alle lettere con certa imitazione, pnò avvenire d’ intorno a
que- sti come nelle dipinture, che si diano confacevolt tatti
ì colori, e le figure: e medesimamente non li aggiungiamo tutti; ma
parte, e parte ne leviamo, a Li dimostriamo, e più , e manco, non è egli
possibil questo? cr. Possibile sì.
soc. Dunque chi tutte le cose
rende concordanti, rende le lettere belle, e le imagini: ma chi ne leva,,
o ne aggiugne fa egli lettere ancora, e imagini: ma cattive, cr. Per cer- to. soc. — Ma che? chi imita
poi la essenza delle cose per lettere, e per sillabe, non fa egli forse
la imagine bella secondo la stessa ragione, se convene- voli rende
tutte le cose? questo poi è il nome: ma se mancasse poco, o vi
aggiugnesse alcuna volta, si farebbe egli la imagine: ma nou bella?
sicché alcu- ni nomi saranno ordinati bene, altri in contrario? cr.
«. Peravventura. soc. Dunque fia questi peravven- tura buon artefice de’
nomi, quegli cattivo? cr. — Veramente. soc. Orerà costui facitor de’ nomi.
cr. Veramente, soc. Dunque per Giove, fia forse in questo
come nelle altre arti, che sia un buon fa- citor di nomi, l’altro
cattivo, se pur fra noi conve- niamo nelle cose antedette, ca. Questo è vero: ma vedi tu, o Socrate,
qualora diamo queste lettere 1’ x o il fi, e qualunque elemento a’ nomi
con l’arte della grammatica, se li leviamo alcuna cosa, o li aggiugniamo,
o eziandio mutiamo, che da noi si scrive il nome, nondimeno non bene:
anzi egli non si scrive affatto.- ma incontinente è cosa diversa, se li
adiviene alcuna di queste cose. soc. * E da vederti, o Cratilo» che
peravventura non consideriamo bene, in cotal gai* sa considerandolo, cn.—
Iti che modo? soe.— PeraV- ventura quantunque cose, le quali necessario
è, Che siano, o non siano da alcun numero ciò patirebbo- no, che tu
di come il dieci, o qualunque altro nu- mero, che tu vuoit che se tu ne
levassi alcuna cosa, o la aggiugnessi, incontinente si farebbe diversa:
ma non è questa peravventura la retta maniera di alcuna qualità, nè
di tutta la imagine insieme: ma il contrario; nè al tutto bisogna, che la
imagine tenga itt se qaalunqne cose lien quello, di cui è imagine,
sé pure è per dover esser imagine, e considera se io dico alcuna cosa.
Saranno forse queste due cose, cioè Cratilo, e la imagine di lui, se
alcun de’ Dei non sola* mente esprimerà il tuo colore, e la figura, come
so- gliono i dipintori: ma farà eziandio tutti gli interiori somiglianti
a’ tuoi: la stessa tenerezza, é il calore, il moto, 1’anima, la prudenza,
e per abbracciar in poche parole, tali affatto farà tutte le cose, quali in
tè sodo? dimmi questa tal cosa forse sarà ella Cratilo» è la
imagine di Cratilo? o due Cratili? CB.—Due Cra- tili, o Socrate, come io
penso. soc. — Vedi tu, o amico, che è da cercarsi altra retta maniera di
ima* gine, che di quelle cose, che abbiamo poco fa det- te? nè si
abbia a sforzare-, se alcuna cosa si aggiuguesse, òri levasse, che prh imagine
non siti? 0 boa ti avvedi tu quanto manchi aHe imaginì, che ‘tenga-
) m do te stesse cose, che ha quello, di cui sono
imft* gini? ,ca. Veramente, soc. O Cratilo, nvvenirebbe da’, nomi alcuna cosa
ridicolosa d’intorno a que- ste cose, di cui sono nomi; se si rendessero
loro somiglianti al tutto, perciocché si fnrebbono doppie tutte le
cose, nè si potrebbe dir qual fosse l'una, o l’ altra di toro, forse la
cosa, o il nome* cr. Tu parli il vero. soc. Dunque, o uomo generoso, con fidanza
permetti, che altro de’ nomi sia posto be- ne, altro nò; nè voler far
forza, che egli abbia tutte le lettere,, acciò sia tale, quale è quello
ancora di cui è nome: ma permetti, che porti una lettera manco
confacevole, e se lettera, parimente è uomo nell’ora- zione, e se nome,
che si porti eziandio appresso nel parlar sermone non confacevole alle
cose, e niente manco si nomini la cosa, e si dica finché si ritrovi
la figura di ciò, di cui è il sermone, come ne’ nomi degli elementi, se
tu li ricordi, quello che poco fa io, e Ermogene dicevamo, ca. la vero mi lo ri- cordo. soc Dunque
bene; perciocché quando vi farà questo, benché non si ritrovino
tutte le cose coufacevoli; nondimeno si dirà ben la cusa quando
saranno tutte: ina inale quando poche. Sicché per? mettiamo, o beato, che
si dica, acciò come coloro, che iu Egina vanno vagando di notte
forniscono tardi il viaggio,, così paia, che iu questo modo noi per-
veniamo alle cose piò lardi da buon senuo del do- vere; o ricerca alcun
altra retta maniera d’ intorno al nome; nè confessar tu, che sia nome la
dichiaratone della cosa fatta con lettere, c con sìllabe: per- chè, se
queste due cose dirai, tu non potrai accorda- re, e convenir con te
stessei. ex. — O Socrate, tu pari di parlar bene, é cosi io assentisco,
soc. - Poi- ché d’intorno a questo Convenimmo si ventiti da noi il
rimanente. Se dee esser il nome posto bene, di- ciamo far mistieri, che
si ritrovino lettere a lui de- centi. ce — Per certo, soc. — Convien poi,
che let- tere siano simili alle cose, cm —"Sì. sOc. Dunque quelli nomi, che sono posti bene,
cosi son posti: ina se alcuno non « posto bene, perawentura per lo
piu sarà di lettere convenienti, e somiglianti, se do- veri esser
iniagine; terrà poi ancora alcuna cosa noci convenevole, per la quale non
sarà buona, nè fatte bene: diciamo noi in cotal guisa, ovver
altrimenti! ® Socrate, io penso; che non faccia mistieri, che
contendiamo, non mi piacendo, -che si dica esser nome, nondimeno non
posto beile.- soc.J- Forse non-' piace a te, che il nome aia
-dichiarazione di 'cosa! CJt Mi pisce sì.' suo. Ma' pensi tu', che non W
sia detto bene. Che parte siano i nomi de’ primi compo- sti, e
parte siano i primi?' cu. A me sì. soc Or se deooo esser I PRIMI
SIGNIFICAZIONI di alcune cose, hai tu forse più commoda maniera, onde si
'faccia questo, che se si facessero tali, quali son quelle, coi se,
le quali vogliamo, che si dichiarino? o piultosttf ti piace, questa
maniera, la quale è detta da Erbo* ( gene, e da altri molti, cioè,
che i nomi siano certi componimenti, e dichiarino a chi composero le
cose, e le conobbero innanzi, e ne sia questa la retta maniera del nome,
cioè il componimento, nè imporli, se componga alcuno cosi, come si è oro
composto, 0 incontrario? cioè come l ’ o picciolo, il quale ora
o picciolo si addimanda, si nominasse o grande: ma l’& f che al
presente si dice o grande, si dicesse o pie • ciolo? qual di queste due
maniere piace a tef ca. Adognimodo, o Socrate, importo, che alcun
dichiari con somiglianza ciè, che vuole dimostrare: ma non con
qualsivoglia cosa, soc, Tu parli bene. Dunque non è egli necessario, essendo il
nome simile alla cosa, che gli elementi, dei quali si compongono 1 primi
nomi, per lor natura siano alle cose somiglianti? ma così dico, o si sarebbe
fatto da altri la dipintura alcuna volta, la quale dianzi abbiamo
det- to simile ad alcuno degli enti: se i colori, di cui si fa la
iraagine non fossero per natura somiglianti a quella cosa , la quale è
imitata dallo studio del di pintore? « è egli impossibile? ca Impossibile certo, soc. ~ Nel medesimo
modo non si farebbouo i nomi somiglianti mai ad alcuna cosa, se quello,
di cui si compone i nomi non tenesse alcuna somigliànzà di quelle
cose, di cni sono i nomi imitazioni. Quello poi, 'di cui si compongono i
nomi, sono gli elemen- ti. cr.-* Veramente, soc. Oggimai fatti partecipe
di quei sermone, del quale ne è partecipe Ermogene pòco fa. Or dimmi, ti
è egli avviso, che noi diciamó bene. Che il p coovehisse al portamento,
al moto e alla asprezza, o non bene? CR.-Bene sii soc. Ma A piano, e a! molle, e alle altre
cose da noi nar- rate? cr Veramente.
soc Sai tu dunque che Io P :
chiama da noi ffKÀ*pOTl£; ma da Eretriesi
<rKAty>0T«£?. CR--Corto si. *oc.— Dimmi , se questi due p e+ paiono
somiglianti allo stesso, e dimostrano il medesimo cosi loro per la
de- terminazione del p f come a noi per lo ultimo o non
significa niente agli noi di noi? cr -Anzi il significa agli uni e agli
altri, boc Forse in quonto sono
somiglianti il p e il o in quanto dissomigliane ti? ca— In quanto
somiglianti, soc.— Dunque ìn quan- to sono simili in ogni luogo?
CR.-Peravventura al SIGNIFICARE almeno il portamento, soc. 0 il \ framesso
ancora dimostra egli il contrario dell' asperità? CR Peravventura, o
Socrate, non è framesso bene, co-me quelle cose, le quali tu trattavi dianzi
con Ermogene, mentre e levavi via, e ponevi le lettere ove massimamente
facea mislieri. E tu mi parevi dì far bene, e ora hassi a por forse il p per lo
soc. Tu parli bene: ma che?
al presente quando alcuno prò- nuncia <rKÀ»/>oif, come dicevamo,
non ci intendiamo tranci? nè sai tu ciò, che io al presente mi
dica? cr,- 0 amicissimo, per usanza lo so veramente, soc. ( Quando
tu dì usanza, pensi tu dir cosa diversa dal componimento? chiami tu altro
usanza, che quando 10 pronunciando questo, e considerando quello,
tu co- nosci, che io considero; non dì tu questo? cr. Que- sto
stesso, 'soc. Dunque se tu conoscessi questo pronunciandolo io, li si fa per me
la dichiarazione, cr. Così è. soc. Cioè dal dissimile ili quello, che io
pensando proferisco, poi che è dissimile il \ a quello, che tu chiami
<rn?iHp OTUTflC, cioè asprezza, e se ciò se ne sta così, che altro ha
egli se non, che tu I con te stesso sii convenuto? e ti si fa egli
la retta tnaniera del componimento? poiché cosile simili, come le
dissimili lettere li dimostrano lo stesso , conseguendo lat usanza , e il
componimento ma se la usanza nou fosse componimento, nou si potrebbe, dir
bene ancora, che la somiglianza fosse dichiarazio ne: ma usanza; poiché,
come pare, la dichiara colla similitudine, e con la dissomiglianza. Ma, o
Cratilo poiché noi concediamo questo ( couciossiachè, IO PONGO IL TUO SILENZIO
PER CONCESSIONE) è necessario, che la usanza, e il componimento
appartenga alla dichiarazione di quello, che considerando diciamo, perciocché,
se tu ottimo uomo volessi discender alla cousiderazione de 1 ' numeri; donde
penseresti tu di poter apportare nomi somiglianti a qualunque numero, se
non permettessi, che la concessione c componimento tuo tenesse
alcuna autorità intorno alla retta maniera do' nomi? eziandio
mi piace, che i nomi in quanto è pos- sibile, siano simigliatiti alle
cose; dubito nondimeno, che peravventura, come diceva Ermogene, sia in
c^rto snodo lubrica la usurpazione di questa somiglianza, e siamo
sforzati a valersi ancora di questa cosa trava gliosa, cioè del
componimento d’intorno alta retta ma- niera de’norai: percbè secondo il
potere peravventura si direbbe allora bene, quando si dicesse o con tutti,
o similmente con la maggior parte, cioè con conve- nevoli: ma sozzamente
quando in contrario. Or ciò appresso a questo dimmi, qual forza tengano
appressa noi i nomi o qual cosa beilo affermiamo, che si faccia da noi
col mezzo loro? cb. O Socrate, pare a me, che insegnino i nomi, e ciò sia
molto semplice, cioè che chiunque sa i nomi, eziandio sappia le cose.
soc. O Cratilo, tu peravventura dì alcuna cosa siffatta, che quando
conoscerò alcuno quale sia il nome (essendo egli tale, quale ancora si ritrova
la cosa ) eziandio conoscerò la cosa, poiché è la cosa somigliante
al nome; essendo un’arte, e la stessa di tutte le cose tra loro
somiglianti Da questa ragione indotto pare, che tu abbia detto, che
chiunque conosce i nomi, ancora conoscerò le cose stesse, cr. Tu parli il
vero, soc. Or vediamo qual sia questa maniera della dottrina degli enti, la
quale ora tu dì, e se piu oltre ve ne sia d’altra, nondimeno sia questa
tenuta migliore; o fuor di lei, non ve ne sia niun’altra, in qual di
questi due snodi pensi tu? ex. Cosi io stimo, che nou ve oc 6
Cr. sia d’altra; ma questa sola, e ottima- soc. -Ma dimmi se questa
stessa sia la invenzione degli enti, che chi ba ritrovato i itomi, abbia
ritrovato ancora le cose, «li cui sono i nomi? o faccia ni isti
eri, che .altra maniera •„ r c si cerchi, e si ritrovi; e
questa si impari?, ca. Sopra tutte
le cose è da cercarsi questa maniera, e ritrovarsi, soc. Or, o Cratilo consideriamo si, se a!cun
mentre investiga la cose segue i nomi, considerando quale dee esser
ciascheduno. Consideri tu forse, che non sia piccini il pericolo di non
restar ingannato? cu. in che mi'do? soc. Perché chi da principio pose
i nomi quali stimò egli, che fossero le cose, eziandio tali nomi
pose, come diciamo, non è egli cosi? ca. Cosi affatto, soc. Dunque se egli
non pensò bene: ma li pose quali lisi stimò, che pensi Ju, che sia
per avvenir a noi, che lo seguitiamo? altro forse, che di re- star
ingannali? cn. O Socrate, chi sà, che questo non se ne stia cosi: ma sia
necessario, che' quegli. sia Stato scientifico, che pose i nomi,
altrimenti come un pezzo fa diceva, non sarchbono nomi. Questo poi ti può
esser di evidentissimo argomento, che non traviò dalla verità l’au(o e
del nome? che se avesse avuto rea opi- nione, in moilo niuno tutte le co
e non si accorderei)- bono in colai guisa appresso di lui o non
considera- vi ancora tu quando dicevi; che tolti i oomi tendes-
sero nello stesso? soc. O buon Cratilo, non vai niente questa difesa,
perchè non è cosa sconvenevole, se da .principio ingannalo ['ordinatore
de* naini, tirò di uuq- ’) s« f ^0 » seguenti
nbini con ceria fona si primo, e I* sforzò ad accordarsi seco, come
intorno alle figure, ritrovandosi alcuna volta la prima figura ignota e
falsa, I* • 1 : le rimanenti poscia essendo molte
conviene, che insteme Si accordino; conciossiachè ciascheduno dèe dispu-
tar molte cose' intorno al determinare il principio di (]ualunque!tCOsa,
e considerar diligenlissimainente se il principio è supposto bene o nò,
il che bastevo) mente esaminato, le altre cose ornai lo deono seguire.
Nondimeno mi maraviglio, se i nomi couvegnano con loro stessi. Perciocché
considereremo da capo le cose di- nanzi da noi narrate, come, che i pomi
ci significhino la essenza, quàsi che l'universo vada, si porli e
scorra. Stimi tu fórse, che èssi significhino in cotal guisa, o
altrimenti.!^ cr.- Cosi sì, e il significan bene. soc. Sicché
consideriamo se assumendo alcuna cosa da loro. Primieramente questo nome
CTIffTtlftdt, c ‘°*“ di scien- za, come é egli ambiguo, e pare, che più
tosto signi- fichi, 0T / larniTìv etri tùìs Trptryftoctri rnv
cioè che ferma l'animo nostro nelle cose, che sia egli portato
intorno con esse, ed è meglio, che di- ciamo il principio di lui, come
ora, che gettando l’g dir TriffTtljiltV, ma frammettiamo in vece
del g il /. Pos- cia il jSsjSa/GV, cioè il fermo; perchè è imitazione
fix- o-eas Ttvog, hoc) (TTCUreas, c»°è di certo stabilimen to, e
state, che del portamento. Più oltre g’ tO’TOpt* ) 9» I
SIGNIFICA per certo questo, che ciò, che poti» le 1 ™* ‘l corso e
TOTTWTO», c*òè quello che sf ha a credere, significa ad ogni modo tffTXV,
c *°è «l fermare. Poscia) j xytiym, cioè la memoria dimostra certo
ad ognuno, che è nell'anima poM, c '°è fermezza: me non agitazione: come
per esempio, se alcuno rolesse seguire i nomi 0 apiXpTix, ttfltt «
ffV[I(pOpX, c * oè 1 ® errore, e la calamiti; parerebbe di inferire lo
stesso, che si riferisce -jr» e-vvsirej sa) 6Trt<rT»ft», cioè *“
intelligenza, e la scienza, e gli altri nomi, che posti sono alle cose
serie. Ancora £ ec^x 3 ix, xaì rf XKOfiKfflX, cioè la ignoranza, e la
intemperanza paiono simili a questi; perciocché £ xpixBtX pare, che sia
7-01/ x^ixBsu tOVTOS TTOpelx, cioè il progresso di chi se ne va in-
sieme con Dio: ma cctLOXxrix P are •* tulto certa «KOÀov- glg' cioè
conseguenza alle cose. Ed in colai guisa quei, che noi pensiamo nomi t^i
sozzissime cose pareranno somigliantissimi a quelli nomi, che sono in-
torno alle cose bellissime, eziandio stimo, che si po- trebhono ritrovare
d’altri molti, se a ciò alcun atten- desse; onde penserebbe di nuovo, che
l’autor de’ no- mi significasse non cose correnti, e portate: ma
per- manenti. cb. Nondimeno o Socrate tu vedi, che la maggior parte
de* nomi significavano in quel modo, «oc.— Che è dunque questo 0 Cratilo:
annovereremo \ forse ì nomi qual suffragi, e sassettif
e consisterli ?» questo la retta maniera, cioè quat di queste due
gui- se de' nomi paia di SIGNIFICAR pili, e questa sia la vera*
Non convien nò. soc. — O amico in modo miuno. ÌOr qui'
lasciamoli:' ma consideriamo, se in cotal guisa ci assentissi, •ovver nò.
Dimmi non confessavamo noi poco la, die -coloro, che ponevano i nomi nel
Te città GrCche, e Barbane fossero positori de* 1 nomi, é Ifarte,
che ciò poteva ftossC de' nomi postricé? cr — Al tutto slr «oc.— Or dimmi
tu, chi pose i primi nomi, "cono* scevan essi Ié còse, 1 cui
ponevano i nómi, o non le conoscevaSo? 10 c*>. — Io penso, '0 Socrate, che
Ie^etìno 1 - scesseroi s oc;— Per certo, o amidó Crétìlo, non
essèit* do essi ignorami; cir. Non rtìi 2 5 sdt.-iR'itòd
niamo di nuoi-o colà, Ondò si '^ipàrtimriro. Perciò posto fa dicesti-, se
tu li raccordi'; èli® era tìeeessario,' che «hi poneva' i’WóWii
conOSctìsè'Ié^'cbse/'cui 'tl penevai dimmi pare à- tu ancóra' ; cosV; hòP
'cit.4-Eziatf* diO si; "stìd.'— ‘PeTavventura dllu'J'che chi
pose i 'priì ini nómi, cbuoscendòH 'H ponessé. ' cA. Conoseèndòlk
soci. Da’ quàlì homi ' avrebbe egli'imparato, o ritrova- to le cose,- !
sé Otti a fossero ancora 'pósti i primi no- mi! e di nhdVo'tfibiamD nóij
èhè sià’ Còsa impossibi- le di ritrovar lé' èòSéj o impararle altrimenti,
che imparando i nhiéi/’ ò per noi quàlì siWo 1 ritrovandola CR.— O
SOcràte,’fnf è avviso, che lÓ~dìcà alcuna cosa, toc- Duriqóe io che ‘modo
‘dirémo''%iòi che essi sa- pendo abbiano posto ? ‘nomi! ossiatro dati
facitari dd’ )&< Domi insanii che si
ponesse qualunque nome, e abbia! solessi conosciate, le cote innaoti, nou
potendosi) «Ile «llmnenli imparare, che co’ oprm? c«.— In vero: io
pen- so, Soc Fate, che questa sia_ verissime ragiono, d’iniorjse
questo, che certa .potenza maggior dell utnaud sia stata qneHa, che
pn»e,^pri#»i homi ;fl!e cote, 4t maniera die aia necessario, chiosai tfi
pestiano bm»f.3,»«c.-4.Posc»a penti tu, che Fautpr de’ nptni li* abbia
ppsli contras ri a se stesso, o se fu egli alcun dtnipoe p Dio? o
pare fi r te, che di sopra da noi nop ,^;jgi»(deUo,aicn> te? ca. Ma
chi sa, che gli altri j nqmj; non fossero di questi, soc. — Quali d*
questi due p , ottimo uomo e^ano. es s > forse di quelli* che, si
rifulgono olio sta? Io? o di quelli pi u,. tosto, che al mpviinputfe?
[ilrciocchè nou ancora si giudicheranno colla moltitudine seaon r
do , quello chq poco^a abbianao ^ttos ; ,^tf^CÌ0si con»- yjenfj p
^oprate. i u ^o«i e:dV cendo parje di essi .e^er siglili ajlfl. 1
.flfr fermando di so sa il^ medepi 6 &P ' ’.'U ‘ <d i
r torniremo noi?, ©, a chop^vfln^d^ -pgvfthè fcerlp #4 allri
nomi, da .qufstft <K»n;flSftr^rqgjq^»jjii^#r jepdpup. d’oltrg ma
( c^iarp g 8 »,qfe4 'WW HO fi. Cerca rp, perle, altpp c«tSf,^C.,^i
0 9hiM r W n 9 TO%- nifeste ^enaft^qiRijop. ci ^mustrer^ngp ^^Ojit*;,
de- gli epti^cjoè qapLdt questi due, , <y*.,-n-Coj. si . mi
.parer, Mfij-gp C‘V- 0 -i9f* l lKj c .3Bfia«lé ^.coy tf(
guisa.pqssiappo,, comp pa^iip^arj^ gli enti _5.eBXf «pmL. «h-rApjptfjjcp.
sof.T^P^r- mezzo di qual t)r tra cola pensi tu
principalihénte, che ih possami * tip* prender cose, è forse per mezzo di
alcun’ altra, che per quella, che è convenevole, e giustissima per
U Vicendevole tomunicanza loro, Cioè se in qualche modo sono insieme in
parentela congiunte, e per toro stesse msssimàtneute? perciocché quello,
che è diver* ib da lord divèrsa cosa significa non quelle. cu.*- A
- me pare, che tu dVil vero. ioc.-'-Deh d\, non abbia^ tìio noi
conceduto già molte volte, che siano : i nohàiy i quali Spn posti bene
‘similissimi a quelle‘‘Cose, d'i cup Son nomi*, e imagini loèo? ’ Cr.
-< Per certo l'abbiamo conceduto, soc.— Dunque se lecito; è di imparar
le' Cose per li nomi,i e' per loro-stésse ancora, qual sa-' rebbe
apprensione ‘più eccellente, e più chiara: Corse' se dell’imiigine si imparasse,
esprimendone ella 'beilo' la verità di oui è ella imagine, o più. 'tosto
dalla ve^ rilà còsi ella, eome la imagine di 1 lei, se essa fosse
fatta Convenevolmente? ‘ Cri— Mi par ' necessario dalla verità- 1 Sòc.—
Egli Rppar fattura d’ingegno maggiore' del mio e del tuo, il giudicare in
che modo siano da comprendersi le cose, o per dottrina, o per invenaione.
Basterà poi al presente, che siamo fra noi- convnuti, che elle non siano da
impararsi,’ ie da cercarsi/ i da' nomi: ma per loro stesse più tosilo.;'
er.-i*Cos«i «p*v perisce, o Socrate, sóc.— Appressò- considenaino/anco-
■« ri' questo, acciochè questi molti nomi nello stesso/ tercw!
denti ‘boa ci ingannino, avendo pensato, ehi si posero,/ •he Mute le cose
corressero scazp(é, e . socrressi.ro, ci I
Ì9 «f «on quella considerazione «tendali polli, parendome,
che essi abbiano pensato in colai guisa. Ma se a caso, non se ne starebbe
egli eoa). In vero essi quasi sdrucciolati in certa vertigine vacillano,
e ai travaglia, no, e nello .stesso tirando noi, ci alludano. Perchè
considera, o Cratilo, uomo maraviglioso, che io spesse voi* te sogno, se
è da dirsi, clic sia alcuna cosa il bello, e il buono, e Cosi qualunque
degli enti, oppur uò? ca. O Socrate a me par si. aoc.— Dunque
consideriamo questo, se alcun viso, o alcuna delle cose silTalte
sia bella, parendo, che scorrino tutte: ina quello, ebe di-, ciomo
bello non persevera sempre tale, qu.de è egli?, c*.— Necessario è. soc. —
Dunque è possibil forse, cha, egli si denomini bene, se (ugge sempre, e
primieramen- te si dica ciò, che egli sia, poscia quale sia? o
neces- sario è mentre parliamo, che egli si faccia altro incon-
tinente, e si fugga, nè più sia tale? cr.— Egli è necessario. SOC,— In che modo
sia quello alcuna cosa; che non se ne sta mai nella stessa maniera?
percioc-,. cbè se alcuna volta se ne sta nello stesso mod'>,
chia- ro è, che non si muta niente in qui 1 tempo, «die «c do sta
cosi: ma se slà sempre uella stessa guisa, ed è il medesimo, in che
maniera si potrebbe mutare, o mo- ver non diseostaudosi punto dalla sua
idea? cr.— tu modo ninno, soc. Più oltre uè alcuno si conoscereb-
be facendosi altro e diverso incontinente, che se no ; vico quello, che
l’ idee conoscere. Sicché non si po- trebbe conoscer più, che, < quale
si sia, o come si ritrovai*®, ♦ per certo niiina c<jgoÌRÙ)taat$anosce 1*
co* sa, la quii conosce, non stendo ella;inalcuo modo» cu.— figli è
coese tei dii i socy7rMe,nè.onAOW* 0 CraltlPià verisimiln che sùdice
c©gi»iaioDe,,8e si nantanp tulle le cose, -e «ente^sù-ffetow-iChèise la
cognizione ppo ca« desse da quello, onde è cognizione, si f cr m erebbe
SCO* 1 * pre,* e sarebbe sempre qognixione. Ma;se essa Specie anr
Cora di cognizione 'Si' dipartisse, in altea^pecie passe* rebbe -insieme
ilicognitionenè cogniaìone starebbe» che sta' pdrileteamewtfe si 1 mutai
non sia sempre cognizione» d di ^aéSta' ragiorte,; no® 'sarài eli# nè
ciò», che» & per cò'dtfscel^i ttè fciè, éh« è r -per" dovérsi
poposoere: ma se ditèmprè'queito che conosce, >ed è qoelio ohe si
co* no sa e, «d è il bello, ed anche il buono, ed èoquàl*iB4 qnc
degli enti, non mi pare che ciò che diciamo al presente sia simile al
flusso ed al portamento. Or se questo se ne slà egli cosi, o come
dicevano i settatori di Eraclito, e altri molti non si può discerner
agevol* mente, non è ol^jtrid’qaaqèirfbf, jhp intelletto fidar se
stesso, e l’animo suo a’ nomi e raffermar sapiente l’ootore del nome; e
in colai guisa dispreggiar se stes- so e gli enti, quasi, che niuna cosa
sia vera: ma scor- rano, e cadano tutte, conHMewfcne; e qual gli
uomi- ni malati delle distillazioni della testa giudichi, che
iimilmeule si dispongano le cose stesse in modo, che si tengano tutte dallo
scorrimento, o dal flusso. Peravventura, o Cratilo, egli è cosi peravventura è
altrimenti ancora. Dunque egli si dee investigar questo con aui-
Mo fòrte, e heriefaron dovendoti ammetter ^erolmen- te: perciocché
ancora tu sei giovane, e ti à beetetole la età, e se ritroverai alcuna
cosa iti investigante), ezian- dio la dei compartire con esso meco. ca.—
O Socrate, io vi attenderò e saprai certo, che ancor io al presente non sto
senza considerazione; anzi in pensando,, e in rivolgendomi molte cose per
l’animo, pere a me, che se ne stieno elle maggiormente in quel modo,
che. come Eraclito' diceva, soc.— Da qui innanzi o amico poiché
sarai ritornato, mi insegnerai: ma qra come sei. apparecchiato vattene al
campo; perchè ancora Ermogene ti accompagnerà, ci.— -Si farà, o Socrate,
come, tu ammonisci.' ma d’intorno a quello aforzati ancora tu di
considerare. Roberto Dionigi. Dionigi. Keywords:
in torno al cratilo, ermeneutica, svolta linguistica, cratilo, linguaggio, la
forma del linguaggio, forma logica. Nietzsche. Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Dionigi” – The Swimming-Pool Library. Dionigi.
Grice
e Dionisio: il portico a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. Mentioned by Cicerone was a philosopher of the Porch who liked to
quote poetry when he was teaching. Grice: “So do I: never seek to tell thy love
– for love its own pleasure – the four corners.
Grice
e Dionisio Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A slave of Tito Pomponio Attico before being set free. Atticus and
Cicerone often referred to him in their correspondence. He was evidently a man
of learning who had studied philosophy.
Grice
e Dionisio: la ragione conversazionale all’isola -- Roma – filosofia italiana –
Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo
italiano. The ruler of Siracusa, the nephew of Dion of Siracusa. Interested in
philosophy, he invited Plato to his court, but Plato’s attempts to put his
political ideas into practice were thwarted. Dionisio is eventually deposed and
went into exile. Dionisio.
Grice
e Dionisodoro: la ragione conversazionale e l’accademia a Roma – filosofia
italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. A member of the Accademy. Flavio
Mecio Severo Dionisodoro. Dionisodoro.
Grice
e Diofan: la ragione conversazionale a Roma – filosofia italiana – Luigi
Speranza (Roma). Filosofo
italiano. A tutor in philosophy and acquaintance of Plotino. He teaches that
pupils should submit completely to their tutors, including sexually. Plotino
was shocked by this, and asked Porfirio to come up with an argument to use
against D. on this matter. Diofane.
Grice
e Dionneto: la ragione conversazionale del prrincipe filosofo -- Roma –
filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. He was Antonino’s tutor, who first
fired the future emperor with enthusiasm for philosophy. Antonino says that he
learned from hin not to be distracted by trivia, to take a sceptical attitude
towards those who claim to be able to work magic, and to avoid cock fighting. Dionneto.
Grice
e Dioscoro: la ragione conversazaionale a Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo
italiano. D. or Dioscuro studies philosophy in Rome. He writes a letter to
Agustino seeking to discuss a number of philosophical issues. Agostino replies at
length, arguing that the issues are of no real importance. Dioscoro.
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