Wednesday, November 13, 2024

GRICE ITALO A/Z F FI

 

Grice e Fidanza: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di Bagnoregio – filosofia viterbiana – filosofia lazia -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Bagnoregio). Filosofo viterbiano. Filosofo lazioo. Filosofo italiano. Bagnoregio, Viterbo, Lazio. Grice: “Italians call Fidanza an ‘anti-dialectician’ but then they have Aquinas, who is an hypoer-dialectiician!” essential Italian philosopher. Figlio di Giovanni di Fidanza, medico, e di Rita.  Inizia i suoi studi al convento di San Francesco "vecchio". Si recò a Parigi a studiare nella facoltà delle Arti. Ddvenne maestro e ottiene la licenza d'insegnare. Francesco predica agli uccelli.   Intervenne nelle lotte contro l'aristotelismo. Attacca quelli che erano a suo parere gli errori dell'aristotelismo. Morì a causa di un avvelenamento. è considerato uno dei filosofi maggiori, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e propria scuola di filosofia. Combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne acquisì alcuni concetti, fondamentali. Inoltre valorizza alcune tesi del platonismo. La distinzione della filosofia in ‘filosofia naturale’ (res) (fisica, matematica, meccanica), filosofia razionale (signa, segni) (logica, retorica, grammatica) e filosofia morale (azione) (politica, monastica, economica) riflette la distinzione di res, signa ed actiones -- la cui verticalità non è altro che cammino iniziatico per gradi di perfezione verso l'unione mistica. La parzialità delle arti è non altro che il rifrangersi della luce con la quale Dio illumina il mondo. Nel paradiso, Adamo sapeva leggere indirettamente Dio nel Liber Naturae (nel creato), ma la caduta è stata anche perdita di questa capacità.  Per aiutare l'uomo nel recupero della contemplazione della somma verità, Dio ha inviato all'uomo il Liber Scripturae, conoscenza supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che altrimenti smarrirebbe se stessa nell'auto-referenzialità. L’intelletto agente è capace di comprendere la verità inviata dall'intelletto passivo. Nel “Itinerario della mente" spiega che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana, e può farlo riportando l'uomo all'anima. La "scala" dei 3 gradi e un “primo grado” esteriore, è necessario prima considerare il corpo. L’anima ha anche tre diverse direzioni. La prima direzione si riferisce al corpo, e la sensibilità o animalita. La seconda direzione dell’anima ha per oggetto lo spirito, rivolto in sé e a sé. La terza direzione ha per oggetto la “mente” -- che si eleva spiritualmente sopra di sé. Tre indirizzi che devono disporre l'uomo a elevarsi a Dio, perché ami Dio con tutto il corpo, l’anima, e la mente. La sinderesi è la disposizione pratica al bene. Cf. Moore – ‘external world’ – mondo del corpore. Tre modi. Il primo modo e il vestigium (vestigio) o improntum. Il secondo modo e l’immagine, che si trova solo nell’uomo, l’unica creatura dotata d'intelletto, in cui risplendono la memoria, l’intelligenza e la volontà. Il terzo modo e la “similitudine”, che è qualità propria di una buona persona, una creature giusta, animata di benevolenza e carità. La natura e un segno sensibile. «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre.»»  (Lc). The stones will shout. The shout of the stone MEANS that thou shalt be benevolent. Una creatura, dunque,  e una impronta o vestigio, una immagine, una similitudine (Per Lombardo, ‘imago e similitude’ is redundant). La pietra "grida" – la pietra e una impronta – la pietra significa – la pietra segna che p.  Altre saggi: “Breviloquio; Raccolte su dieci precetti; Raccolte sui sette doni dello Spirito Santo; Raccolte nei Sei Giorni della Creazione, Commentari in quattro libri delle sentenze del maestro Pietro Lombardo, Il mistero della Trinità; questione disputata, La perfezione della vita alle sorelle, La riduzione della arti alla teologia), Il Regno di Dio descritto nelle parabole evangeliche, La conoscenza di Cristo ed il mistero della Trinità, Le sei ali dei Serafini, La triplice via, Itinerario della mente verso Dio, La leggenda maggiore di San Francesco, La leggenda minore di San Francesco, L'Albero della vita, L'Ufficio della passione del Signore, Questioni sopra la perfezione evangelica, Soliloquio, Complesso di teologia, La vite mistica. Eletto Ramacci, F. e il Santo Braccio, Bagnoregio, Associazione Organum, Oggi del convento restano solo i ruderi. Merlo, Storia di frate Francesco e dell'Ordine dei Minori, in Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana, Torino, Einaudi, G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso della gioventù utile ad ogni grado di persone” (Torino, Libreria Salesiana Editore, con l'approvazione di Lorenzo Gastaldi, arcivescovo di Torino, Cesare Pinzi,Storia della Città di Viterbo, Tip.Camera dei Deputati, Roma, Pinzi parla dettagliatamente degli interventi di Bonaventura a Viterbo in occasione del Conclave e dell'amicizia con Gregorio X.  Testi: Bonaventura da Bagnorea presunto, Meditationes vitae Christi, Venezia, Nicolaus Jenson, Legenda maior, Milano, Ulrich Scinzenzeler, Opera omnia, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea, Expositiones in Testamentum novum, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea, Sermones de tempore ac de sanctis, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea, Opuscula, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Opuscula, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, F., Commentaria in libros sententiarum, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Commentaria in libros sententiarum,  Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent,  Studi Bettoni E., S. Vita e Pensiero, Milano, Bougerol J.G., Introduzione a F., trad. it. di A. Calufetti, L.I.E.F., Vicenza, Corvino F., F. francescano e filosofia, Città Nuova, Roma, Cuttini E., Ritorno a Dio. Filosofia, teologia, etica della “mens” in Fidanza. Rubbettino, Soveria Mannelli, Maio, Piccolo glossario bonaventuriano. Prima introduzione al pensiero e al lessico di F., Aracne, Roma, Barbara Faes, da Bagnoregio, Biblioteca Francescana, Milano, Mathieu V., La Trinità creatrice secondo F. Biblioteca francescana, Milano. Moretti Costanzi T., San Bonaventura, Armando, Roma, Ramacci Eletto, F. e il Santo Braccio, Associazione Organum, Bagnoregio, Todisco O., Le creature e le parole in sant'Agostino e san Bonaventura, Anicia, Roma, Vanni Rovighi S., Vita e Pensiero, Milano); Raoul Manselli,  Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Emiliano Ramacci, Un Inno, Associazione Organum, Bagnoregio, Emiliano Ramacci. Treccani Enciclopedie, Istituto dell'Enciclopedia Italiana.  Bonaventura da Bagnoregio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. F. su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.  F. su ALCUIN, Ratisbona. Opere. Audiolibri di F. su LibriVox. F., su Santi, beati e testimoni, santiebeati. Biografia di San Francesco d'Assisi, su assisiofm. scritta da F.  Itinerario della mente in Dio, su lamelagrana.net.  Itinerarium mentis in Deum, Peltiero Edente, su documenta catholicaomnia. eu.  F. su dionysiana.wordpress.com. L'Opera omnia nell'edizione dei padri francescani di Quaracchi Salvador Miranda. Trinità (cristianesimo) dottrina centrale delle più diffuse Chiese cristiane Nota disambigua.svg Disambiguazione – "Santissima Trinità" rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Santissima Trinità (disambigua). Santissima Trinità Masaccio La Trinità di Masaccio   Dio, uno e trino    Attributi Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo La Trinità è la dottrina fondamentale e più importante delle chiese cristiane, quali la cattolica e quelle ortodosse, oltre che delle Chiese riformate storiche come quella luterana, quella calvinista e quella anglicana. Tale dottrina non viene comunque presentata in modo univoco. Icona rappresentante i tre angeli ospitati da Abramo a Mambre, allegoria della Trinità. Dipinta dal monaco-pittore russo A. Rublëv e conservata a Mosca, Galleria Tret'jakov.  Schema della relazione trinitaria fra Padre, Figlio e Spirito Santo secondo le chiese cristiane di origine latina come la Chiesa cattolica. DescrizioneModifica La dottrina si è precisata nell'ambito del Cristianesimo antico: prima nel credo del primo concilio di Nicea, poi nel Simbolo niceno-costantinopolitano, dove venne affermato come primo articolo di fede l'unicità di Dio e, come secondo, la divinità di Gesù Cristo figlio di Dio e Signore, a seguito, tra le altre, della controversia suscitata dal teologo Ario, che negava quest'ultima.  Il dogma della "trinità" è in relazione alla natura divina: esso afferma che Dio è uno solo, unica e assolutamente semplice è la sua "sostanza", ma comune a tre "persone" (o "ipòstasi") della stessa numerica sostanza (consustanziali) e distinte. Ciò è stato anche interpretato come se esistessero tre divinità (politeismo) o come se le tre "persone" fossero solo tre aspetti di una medesima divinità (per il modalismo semplici energie o modi di apparire della Divinità). Le tre "persone" (o, secondo il linguaggiomutuato dalla tradizione greca, "ipòstasi") vengono d'altra parte tradizionalmente intese come distinte ma della stessa sostanza di Dio:  Dio Padre, creatore del cielo e della terra, Padre trascendente e celeste del mondo. il Figlio: generato dal Padre prima di tutti i secoli, fatto uomo come Gesù Cristo nel seno della Vergine Maria, il Redentore del mondo. lo Spirito Santo che il Padre e il Figlio mandano ai discepoli di Gesù per far loro comprendere e testimoniare le verità rivelate. Nella dottrina trinitaria il Dio di Israele Yahwehracchiude tutta la Trinità ed è quindi Padre Figlio e Spirito Santo. Al mistero della SS. Trinità[Nota 4] è dedicata, nella Chiesa cattolica, la Solennità della Santissima Trinità, che ricorre ogni anno, la domenica successiva alla Pentecoste.  La dottrina trinitaria è stata accolta dalla maggior parte dei Protestanti, particolarmente dal protestantesimo storico (di cui fanno parte fra gli altri il luteranesimo e il calvinismo).  Origine del termine e della nozioneModifica Il termine "trinità" deriva dal latino trīnĭtas-ātis (a sua volta da trīnus = di tre, aggettivo distributivo di trēs, tre) e fu utilizzato per la prima volta da Tertulliano nel II secolo, ad esempio nel suo De pudicitia. Occorre ricordare che prima di lui già Teofilo di Antiochia (II secolo), apologeta cristiano di lingua greca, utilizzò nel suo Apologia ad Autolycum il termine analogo greco di τριας (triás).  Se il termine "trinità" non è certamente antecedente al II secolo, la nozione che rappresenta sembrerebbe invece apparire già a partire dal Vangelo di Matteo:  «πορευθέντες οὖν μαθητεύσατε πάντα τὰ ἔθνη, βαπτίζοντες αὐτοὺς εἰς τὸ ὄνομα τοῦ πατρὸς καὶ τοῦ υἱοῦ καὶ τοῦ ἁγίου πνεύματος. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»  (Vangelo di Matteo) A tal proposito lo studioso e teologo cattolico Doré nota come l'espressione al singolare eis to onoma (εἰς τὸ ὄνομα) ovvero "nel nome" unitamente alle due ricorrenze della congiunzione kai(καὶ), "e", quindi nel significato di "del Padre 'e' del Figlio 'e' dello Spirito Santo" evidenzierebbe la presenza di un credo già trinitario.  Allo stesso modo e in tale senso possono essere letti alcuni altri passi dei Vangeli canonici, ad esempio: βαπτισθεὶς δὲ ὁ Ἰησοῦς εὐθὺς ἀνέβη ἀπὸ τοῦ ὕδατος καὶ ἰδοὺ ἠνεῴχθησαν οὶ οὐρανοί, καὶ εἶδεν πνεῦμα θεοῦ καταβαῖνον ὡσεὶ περιστερὰν ἐρχόμενον ἐπ' αὐτόν. Appena battezzato, Gesù uscì dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio scendere come una colomba e venire su di lui.»  (Vangelo di Matteo καὶ ἀποκριθεὶς ὁ ἄγγελος εἶπεν αὐτῇ, πνεῦμα ἅγιον ἐπελεύσεται ἐπὶ σέ, καὶ δύναμις ὑψίστου ἐπισκιάσει σοι· διὸ καὶ τὸ γεννώμενον ἅγιον κληθήσεται, υἱὸς θεοῦ. Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio»  (Vangelo di Luca) e in particolar modo in alcuni passi del "discorso dopo la cena" riportato nel Vangelo di Giovanni: «πιστεύετέ μοι ὅτι ἐγὼ ἐν τῷ πατρὶ καὶ ὁ πατὴρ ἐν ἐμοί· εἰ δὲ μή διὰ τὰ ἔργα αὐτὰ πιστεύετε μοι. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.»  (Vangelo di Giovanni καγὼ ἐρωτήσω τὸν πατέρα καὶ ἄλλον παράκλητον δώσει ὑμῖν, ἵνα ᾖ μεθ' ὑμῶν εἰς τὸν αἰῶνα τὸ πνεῦμα τῆς ἀληθείας, ὃ ὁ κόσμος οὐ δύναται λαβεῖν, ὅτι οὐ θεωρεῖ αὐτὸ οὐδὲ γινώσκει· ὑμεῖς γινώσκετε αὐτό, ὅτι παρ' ὑμῖν μένει καὶ ἐν ὑμῖν ἔστιν. Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.»  (Vangelo di Giovanni)  «ὁ δὲ παράκλητος τὸ πνεῦμα τὸ ἅγιον, ὃ πέμψει ὁ πατὴρ ἐν τῷ ὀνόματι μου ἐκεῖνος ὑμᾶς διδάξει πάντα καὶ ὑπομνήσει ὑμᾶς πάντα ἃ εἶπον ὑμῖν ἐγώ. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.»  (Vangelo di Giovanni)  «εἰ οὐ ποιῶ τὰ ἔργα τοῦ πατρός μου, μὴ πιστεύετέ μοι· εἰ δὲ ποιῶ, κἂν ἐμοὶ μὴ πιστεύητε τοῖς ἔργοις πιστεύετε, ἵνα γνῶτε καὶ γινώσκητε ὅτι ἐν ἐμοὶ ὁ πατὴρ κἀγὼ ἐν τῷ πατρί . Se non compio le opere del Padre mio non credetemi, ma se le compio anche se non volete credere a me credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre.»  (Vangelo di Giovanni X, 37-38) Doré nota anche qui che se il termine greco πνεῦμα ("spirito", "soffio") è certamente neutro esso viene indicato con il pronome relativo al maschile come ad evidenziarne la personificazione.  Lo storico delle religioni italiano Pier Cesare Borispiega al riguardo. La teologia degli scritti di Giovanni è diversa negli strumenti concettuali: nel Prologo del Vangelo, per comprendere la natura e il ruolo della funzione messianica di Gesù, diventa fondamentale la categoria del Lógos, la parola creatrice che "è con Dio, ed è Dio" (stessa idea di preesistenza in Colossesi ed Ebrei). Un ruolo importante in questi sviluppi dottrinali dovette avere, più che la filosofia ellenistica, la speculazione giudaica del tempo, che attribuiva un grande ruolo a potenze intermedie tra Dio e l'uomo, prime fra tutte il Lógos e la Sapienza divina, tendenzialmente ipostatizzate. Il risultato complessivo è l'affermazione della divinità di Gesù, e dello Spirito, uniti nell'invito finale di Matteo, a battezzare "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo". Una formula trinitaria che presiede all'evoluzione che porterà alle formulazioni trinitarie e cristologiche dei concili. Al termine il monoteismo biblico riceve una enunciazione completamente nuova: la sostanza, o natura unica divina, contiene tre ipostasi o tre persone; la seconda ipostasi unisce in sé nell'incarnazione due nature, quella divina e quella umana.»  (Pier Cesare Bori. Dio (ebraismo e cristianesimo), in Dizionario delle religioni (a cur. Filoramo) Torino, Einaudi) Allo stesso modo vi sono dei richiami alle tre figure divine nelle lettere attribuite agli apostoli:«Ἡ χάρις τοῦ κυρίου Ἰησοῦ [Χριστοῦ] καὶ ἡ ἀγάπη τοῦ θεοῦ καὶ ἡ κοινωνία τοῦ ἁγίου πνεύματος μετὰ πάντων ὑμῶν La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con tutti voi»  (Seconda lettera ai Corinzi κατὰ πρόγνωσιν θεοῦ πατρὸς ἐν ἁγιασμῷ πνεύματος εἰς ὑπακοὴν καὶ ῥαντισμὸν αἵματος Ἰησοῦ Χριστοῦ, χάρις ὑμῖν καὶ εἰρήνη πληθυνθείη. Secondo la prescienza di Dio Padre, mediante la santificazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cristo e per essere aspersi del suo sangue: grazia e pace a voi in abbondanza.»  (Prima lettera di Pietro) Uno studio approfondito sulla presenza della Trinità nel Nuovo Testamento giunge a questa conclusione:   É ora possibile rispondere alla domanda, "La dottrina delle Trinità è presente nella Bibbia?" La risposta è che non c'è un'affermazione formale della dottrina, ma una risposta al problema della Trinità. Almeno tre autori neotestamentari, Paolo, Giovanni e l'autore della Lettera agli Ebrei sono consapevoli dell'esistenza di un problema. Paolo e l'autore della Lettera agli Ebrei si concentrano sulla relazione tra Cristo e Dio, ma Giovanni era conscio del problema della mutua relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Nonostante questo anche la teologa cattolica statunitense Catherine Mowry Lacugna ricorda che sia gli esegeti sia i teologi concordano sul fatto che il Nuovo Testamento non contenga un'esplicita dottrina della Trinità. Del tutto assente è invece, sempre per gli esegeti e per i teologi, qualsivoglia riferimento alla dottrina della Trinità nell'Antico testamento. San Melitone di Sardi affermò che Dio Padre aveva un corpo umano e divino come quello del Figlio Dio, e un'anima distinta da quella del Figlio Dio, unita al proprio corpo. Di fatto, si affermava la consustanzialità del Padre e del Figlio nella duplice natura umana e divina del corpo e dell'anima. In tale dottrina, la distinzione fra anima e spirito descritta in 5.23[4] portava a identificare lo Spirito Santo Dio con l'unico spirito comune alle due anime e ai due corpi di Dio Padre e di Dio Figlio, in modo tale da unire due persone distinte in anima e corpo in un solo Dio tripersonale la cui sostanza è Spirito.   Lo studioso cattolico statunitense William J. Hill nota comunque come questo "trinitarismo elementare" sia presente anche nell'opera di Clemente di Roma (I secolo) il quale nella Prima lettera di Clemente si richiama espressamente a Dio Padre, al Figlio, allo Spirito, menzionando tutti e tre insieme. Allo stesso modo Ignazio di Antiochia nella sua Lettera agli Efesini chiama il cristiano a incorporarsi nel tempio divino come per diventare uno con Cristo, nello Spirito fino alla filiazione del Padre. Ciononostante, anche per lo studioso statunitense, la soluzione trinitaria, per come successivamente verrà proposta, era ancora ben lontana[Nota 16].  Sviluppo della nozione nei teologi e nei confronti conciliari del IV e V secolo Ulteriori informazioni Questa voce o sezione sull'argomento Cristianesimo non cita le fonti necessarie o quelle presenti sono insufficienti. Come è possibile affermare che Dio è "uno e trino"? Secondo la fede cristiana la natura divina è al di là della conoscenza scientifica, ed è incomprensibile e non conoscibile se non fosse per quanto è dato sapere attraverso la rivelazione divina. Quindi la dottrina trinitaria non è una conoscenza, come quella dell'esistenza di Dio, a cui si potrebbe pervenire attraverso la ragione umana o la speculazione filosofica, sebbene anch'essa non sia dimostrabile. Tuttavia molti teologi e filosofi cristiani (cfr. Agostino d'Ippona) hanno scritto innumerevoli trattati per spiegare la paradossale identità unica e trina di Dio, che è un mistero della fede, un dogma (cioè una verità irrinunciabile anche se non compiutamente dimostrabile) in cui ogni cristiano-cattolico è tenuto a credere (dal Concilio di Nicea) se vuol essere tale.  Unicità, Unità e Trinità di Dio Completa rappresentazione Teo-cristologica Dio è uno solo, e la divinità unica. La Bibbia ebraicapone questo articolo di fede sopra tutti gli altri, e lo circonda di numerosi ammonimenti a non abbandonare questo fondamento della fede, mantenendo la fedeltà al patto che Dio ha fatto con gli ebrei: "Ascolta Israele, il Signore nostro Dio è uno solo", "tu non avrai altri dei di fronte a me" e anche "Questo ha detto il Signore re d'Israele e suo redentore, il Signore delle schiere: io sono il primo e l'ultimo, e oltre a me non c'è alcun Dio". Ogni formula di fede che non insista sull'unicità di Dio, o che associ nell'adorazione un altro essere diverso da Dio, oppure che ritenga che Dio possa venire all'esistenza nel tempo anziché essere Dio dall'eternità, è contraria alla conoscenza di Dio, secondo la comprensione trinitaria dell'Antico Testamento. Lo stesso tipo di comprensione è presente nel Nuovo Testamento: Non c'è altro Dio se non uno. Gli "altri dei" di cui parla San Paolo non sono affatto dei, ma sostituti di Dio, cioè esseri mitologici o demoni.  Secondo la visione trinitaria, è scorretto dire che il Padre o il Figlio, in quanto alla divinità, siano due esseri. L'affermazione centrale e cruciale della fede cristiano-cattolica è che esiste un solo salvatore, Dio, e la salvezza è manifestata in Gesù Cristo, attraverso lo Spirito Santo. Lo stesso concetto può essere espresso in quest'altra forma:  Soltanto Dio può salvare Gesù Cristo salva Gesù Cristo è Dio In parole semplici è possibile esprimere il mistero della Trinità nell'Unità dicendo che il solo Dio si conosce (nel suo Figlio, Verbo, Pensiero, Sapienza) e si ama in esso (Spirito Santo, Amore). Il Padre è trascendente e nessun vivente poté vederlo, attraverso il corpo di uomo di Gesù poté rivelarsi ed essere visto e creduto dagli uomini.  La Trinità e Agostino Lo stesso argomento in dettaglio: Pensiero di Agostino d'Ippona § Il problema trinitario e De Trinitate (Agostino d'Ippona).  La Coronazione della Vergine, di Diego Velázquez, Museo del Prado A tale proposito è interessante leggere quanto scritto da sant'Agostino nel De Trinitate e in altre opere per tentare una chiarificazione del concetto di unica Sostanza e tre Persone. Nell'uomo, ragiona Agostino, si può distinguere la sua realtà corporale (esse), la sua intelligenza (nosse) e la sua volontà (velle). Se Dio ha creato l'uomo a propria immagine e somiglianza è allora necessario che questi tre aspetti appartengano anche alla Divinità, anche se in modo perfetto e divino, non imperfetto e umano: così Dio è Essere (Padre), Verità (Figlio) e Amore (Spirito Santo). Ecco alcune citazioni bibliche al riguardo:  «  Dio disse a Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi ha mandato a voi. Es 3, 14, su laparola.net.)«  Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. ( Gv 14, 6, su laparola.net.) «  Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui. 1Gv 4, 16, su laparola.net. La creazione dell'universo viene attribuita alla Trinità tutta intera; Dio Padre crea l'universo per mezzo del Figlio ("il Verbo","la Parola") e "donando" o "riempiendolo" di Spirito Santo.  Il credo recita infatti:   «Per mezzo di lui [il Figlio] tutte le cose sono state create»  (Credo) La fonte di questa interpretazione è in Genesi, al primo capitolo, Dio crea il mondo attraverso la Parola, espresso con la duplice formula: "Dio disse..." e "Dio chiamò ...". Questo è appunto il "Verbo di Dio", ossia nella visione cristiana proprio la seconda persona della Trinità, ovvero il Cristo. Valga, a titolo di esempio il racconto della creazione:  Primo giorno:  « Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu »  ( Genesi 1, 3, su laparola.net.) « e chiamò la luce giorno e le tenebre notte »   ( Genesi 1, 5, su laparola.net.)Secondo giorno:  « Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque. Genesi 1, 6, su laparola.net.)« Dio chiamò il firmamento cielo. »   (Genesi 1,6, su laparola.net.) e così prosegue nei "giorni" successivi con lo stesso schema, fino alla creazione dell'Uomo:  « E Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, »   ( Genesi 1, 26, su laparola.net.) Anche lo Spirito Santo, che è la relazione d'amore fra il Dio Padre e il Figlio, terza persona della Trinità, partecipa alla creazione:  « La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo Spirito Santo aleggiava sulla superficie delle acque »   ( Genesi 1, 2, su laparola.net.)Natura e ruolo di GesùModifica  La Santísima Trinidad, di Cairo, Museo del Prado In ambito teologico trinitario viene fatta una distinzione fra la Trinità da un punto di vista "ontologico" (ciò che Dio è) e da un punto di vista "ergonomico, ciò che Dio fa. Secondo il primo punto di vista le persone della Trinità sono uguali, mentre non lo sono dall'altro punto di vista, cioè hanno ruoli e funzioni differenti.  L'affermazione "figlio di", "Padre di" e anche "spirito di" implica una dipendenza, cioè una subordinazione delle persone. Il trinitarismo ortodosso rifiuta il "subordinazionismo ontologico", esso afferma che il Padre, essendo la fonte di tutto, ha una relazione monarchica con il Figlio e lo Spirito. Ireneo di Lione, il più importante teologo del II secolo, scrive: "Il Padre è Dio, e il Figlio è Dio, poiché tutto ciò che è nato da Dio è Dio."  Simili affermazioni sono presenti in altri scrittori pre-niceni,[5] cioè prima dello scoppio della controversia ariana:  «vediamo ciò che avviene nel caso del fuoco, che non è diminuito se serve per accenderne un altro, ma rimane invariato; e ugualmente ciò che è stato acceso esiste per se stesso, senza inferiorità rispetto a ciò che è servito per comunicare il fuoco. La Parola di Sapienza è in sé lo stesso Dio generato dal Padre di tutto. Giustino. Immagine ripresa anche da scrittori successivi:  «Noi non togliamo al Padre la sua Unicità divina, quando affermiamo che anche il Figlio è Dio. Poiché egli è Dio da Dio, uno da uno; perciò un Dio perché Dio è da Se stesso. D'altro lato il Figlio non è meno Dio perché il Padre è Dio uno. Poiché l'Unigenito Figlio non è senza nascita, così da privare il Padre della Sua unicità divina, né è diverso da Dio, ma poiché Egli è nato da Dio.»  (Ilario di Poitiers, De Trinitate) Se Gesù Cristo nel vangelo di Giovanni viene chiamato l'"unigenito" Figlio di Dio, evidenziando con questa affermazione il suo essere ontologicamente in Dio, secondo la dottrina ortodossa Gesù è anche diventato una creatura con l'incarnazione, svolgendo un ruolo "ministeriale", e in un certo senso subordinato in relazione a Dio, nei confronti dell'umanità. Viene pertanto chiamato "primogenito" in altri passi, in riferimento alla creazione e redenzione, ad esempio è detto "immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione... egli è principio, primogenito dei risuscitati". La distinzione è ripresa nell'affermazione che Gesù fa quando dice che dovrà "ascendere al Padre mio e Padre vostro, Iddio mio e Iddio vostro", distinguendo così fra l'essere figlio di Dio in senso proprio (caratteristico di Gesù) e in senso figurato (caratteristico degli uomini).  Atanasio di Alessandria sviluppa questa distinzione commentando il passo evangelico in cui Gesù dichiara di non conoscere il giorno e l'ora della fine del mondo. Ancora un altro passo che è detto bene, viene interpretato male dagli ariani: Voglio dire che "Quanto a quel giorno e a quell'ora, nessuno li conosce, neppure gli angeli, neppure il figlio. Ma essi ritengono che avendo detto "neppure il figlio", egli, in quanto ignorante, abbia rivelato di essere creatura. Ma la cosa non sta così, non sia mai! Come infatti dicendo: "Mi ha creato", lo ha detto in riferimento all'umanità, così, anche, dicendo: "neppure il Figlio", si è riferito alla sua umanità. Poiché infatti è diventato uomo, ed è proprio dell'uomo ignorare, come l'aver fame e il resto (infatti l'uomo non sa se non ascolta e apprende) egli, in quanto uomo, ha dato a vedere anche l'ignoranza propria degli uomini per questo motivo: in primo luogo per dimostrare di avere veramente un corpo umano, poi anche perché, avendo nel corpo l'ignoranza propria dell'uomo, dopo aver mondato e purificato tutta l'umanità, la presentasse al Padre perfetta e santa. quando dice: "Io e il Padre siamo una cosa sola e Chi ha visto me ha visto il Padre e Io nel Padre e il Padre in me", dimostra la sua eternità e la consustanzialità col Padre. Nel vangelo di Giovanni i discepoli dicono al Signore: Ora sappiamo che tu sai tutto. Atanasio, Seconda Lettera a Serapione, trad. M. Simonetti) Origine e sviluppo della dottrinaModifica La nozione dell'unicità di Dio e di Gesù Cristo come "Dio da Dio" e consunstanziale al Padre è stata affermata come articolo di fede al primo concilio di Nicea e sviluppata nei successivi concili ecumenici. Il termine "trinità" non è utilizzato nel credo niceno, ma il termine è precedente e rintracciabile già in scrittori ecclesiastici come Tertulliano.  Nel Nuovo Testamento il termine non compare, tuttavia la cristologia di Giovanni, che presenta Cristo come Logos di Dio, (cioè verbo e ragione), assieme ad alcune affermazioni di Paolo di Tarso, sono stati considerate dai Cristiani come le basi per lo sviluppo della dottrina trinitaria. Per la Chiesa in più punti del Nuovo Testamento si ravviserebbe il carattere trinitario di Dio, ad esempio quando Gesù dice: "Il Padre ed io siamo una cosa sola" od ancora nel Prologo del Vangelo di Giovanni: " In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio."  In un saggio sulla divinità di Gesù nel Nuovo Testamento il biblista Brown ipotizza che Gesù sia chiamato Dio nel Nuovo Testamento, ma lo sviluppo sarebbe stato graduale e non sarebbe emerso fino a un'epoca tarda nella tradizione neo-testamentaria: nella fase più antica del cristianesimo prevale l'eredità dell'Antico Testamento nell'utilizzo del termine Dio, per cui Dio era un titolo troppo ristretto per essere applicato a Gesù. Esso si riferisce strettamente al Padre di Gesù, al Dio da lui pregato. Gradualmente, con lo sviluppo del pensiero cristiano Dio venne compreso in un'accezione più ampia. Si vide che Dio rivelò così tanto di sé stesso in Gesù al punto che Dio includeva sia Padre che il Figlio."»  (Does the New Testament call Jesus God?) Il primo teologo cristiano a discutere sistematicamente la dottrina della Trinità fu forse Prassea (II secolo),[6] la cui opera ci è nota solo attraverso la confutazione che ne fece Tertulliano nel suo Adversus Praxean, opera in cui è esposta per la prima volta la formula del rapporto tra una sola sostanza e tre Persone. Lo sviluppo completo della dottrina si ebbe in seguito, anche in reazione alle dottrine di Ario che introdusse le sue interpretazioni subordinazioniste di Gesù come essere semidivino (vedi arianesimo).  Molti termini che si impiegano per esplicitare questo insegnamento sono stati mutuati dalla filosofia greca e ulteriormente approfonditi per evitare di esprimere concetti erronei. Tra questi si possono citare: sostanza, ipostasi e relazione. La Trinità viene così definita in teologia come tre ipostasi individuali, cioè tre Persone o sussistenze, che hanno e vivono in un'unica essenza o sostanza comune. Lo stesso argomento in dettaglio: Ipostasi § Nel cristianesimo. La controversia ariana Lostesso argomento in dettaglio: Arianesimo e Ario. La causa che portò alla convocazione del primo concilio di Nicea fu la disputa ariana, che giunse a una svolta all'inizio del IV secolo d.C. I protagonisti furono tre teologi-filosofi provenienti da Alessandria d'Egitto. Da una parte c'era Ario, e dall'altra gli ortodossiAlessandro e Atanasio. Ario affermava che il Figlio non fosse della stessa essenza, o sostanza, del Padre e che lo Spirito Santo fosse una persona ma inferiore a entrambi. Parlava di una "triade" o "Trinità", pur considerandola formata di persone ineguali, delle quali solo il Padre non era stato creato.  D'altra parte Alessandro e Atanasio sostenevano che le tre persone della Divinità fossero della stessa sostanza e che pertanto non fossero tre Dei, ma uno solo, sebbene il Padre è il primo e la causa delle altre due.  Ario, "volendo difendere il monoteismo più rigoroso, secondo cui Dio è trascendente"[8] accusò Atanasio di reintrodurre il politeismo. In effetti l'arianesimo viene considerato da molti studiosi moderni[senza fonte] come il ramo più rigoroso del subordinazionismo cristologico dei primi padri della Chiesa (Giustino, Ireneo di Lione ecc.) e scrittori cristiani (Origene, Tertulliano ecc.) i quali ancora non si interrogavano sul rapporto fra le persone della divinità. Atanasio accusò Ario di reintrodurre il politeismo, dal momento che distingueva la natura divina delle tre persone.  Accanto a Dio, Ario poneva infatti una creatura "che può essere chiamata dio in modo improprio"[9], considerato il Figlio di Dio, ma ritenuto da lui semplicemente "la prima creatura di cui il Padre si era servito per compiere la creazione", incarnatosi in Gesù, simile ma non uguale a Dio, che avrebbe avuto esistenza dal nulla, affermando che "generare" e "creare" fossero sinonimi. Gli ortodossi invece ribadivano l'assoluta unità di Dio, e se il Logos era divino, (come era affermato nel prologo di Giovanni "il Logos era Dio"), ciò non comportava una suddivisione o una moltiplicazione di dei, ma Dio era sempre uno solo. In questo senso il termine "generazione" indicava l'unità della natura e non andava inteso in senso temporale e umano, con un "prima" e un "dopo", ma il Figlio era eternamente generato, cioè era sempre stato insito in Dio. Al tempo opportuno il Verbo si sarebbe incarnato in Gesù, in un processo di abbassamento e annichilimento, e l'unione della natura divina e di quella umana nella persona di Gesù diede origine ad un'altra serie di controversie nei secoli successivi.  La controversia ariana non terminò a Nicea. L'arianesimo ebbe grande fortuna nell'Impero romano e in certi momenti presso la corte imperiale. Molte tribù germaniche che invasero l'impero romano professavano un cristianesimo ariano e lo diffusero in gran parte dell'Europa e dell'Africa settentrionale, dove continuò a prosperare fino a gran parte del VI secolo, e in alcune zone anche più a lungo.  La Trinità nei primi scritti cristiani Santissima Trinità, di Hendrick van Balen, Sint-Jacobskerk, Anversa I primi scrittori cristiani così si esprimono al riguardo: Noi non togliamo al Padre la sua Unicità divina, quando affermiamo che anche il Figlio è Dio. Poiché egli è Dio da Dio, uno da uno; perciò un Dio perché Dio è da Se stesso. D'altro lato il Figlio non è meno Dio perché il Padre è Dio uno. Poiché l'Unigenito Figlio non è senza nascita, così da privare il Padre della Sua unicità divina, né è diverso da Dio, ma poiché Egli è nato da Dio. (Ilario di Poitiers De Trinitate. Quando affermo che il Figlio è distinto dal padre, non mi riferisco a due dèi, ma intendo, per così dire, luce da luce, la corrente dalla fonte, ed un raggio dal sole. Ippolito di Roma. Il carattere distintivo della fede in Cristo è questo: il figlio di Dio, ch'è Logos Dio in principio infatti era il Logos, e il Logos era Dio - che è sapienza e potenza del Padre Cristo infatti è potenza di Dio e sapienza di Dio - alla fine dei tempi si è fatto uomo per la nostra salvezza. Infatti Giovanni, dopo aver detto: In principio era il Logos, poco dopo ha aggiunto e il logos si fece carne, che è come dire: diventò uomo. E il Signore dice di sé: perché cercate di uccidere me, un uomo che ha detto la verità? e Paolo, che aveva appreso da lui, scrive: Un solo Dio, un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo»  (Atanasio di Alessandria, Seconda lettera a Serapione) Teologia delle Chiese orientali e della Chiesa latina L'interpretazione trinitaria nella Chiesa latina si differenzia da quella greca. Se entrambe le Chiese, infatti, riconoscono l'unità delle tre Persone divine nell'unica natura indivisa, per cui ciascuna di esse è pienamente Dio secondo gli attributi (eternità, onnipotenza, onniscienza ecc.), ma ciascuna è a sua volta distinta e inconfondibile rispetto alle altre due, è altresì vero che nasce il problema di comprendere le relazioni che intercorrono fra di esse.  Con il simbolo niceno-costantinopolitano, approvato nel primo concilio di Costantinopoli, si afferma che il Figlio è generato dal Padre, mentre lo Spirito Santo è spirato dal Padre. Il Padre è dunque l'unica origine della Trinità. Col Concilio di Toledo, però, e con i suoi successivi sviluppi, la Chiesa latina, usando una terminologia diversa, stabiliva unilateralmente che lo Spirito Santo procede anche dal Figlio (la questione del cosiddetto Filioque), cioè che è la terza persona. Gli ortodossi rifiutano tuttora tale sviluppo, temendo che essa renda il Figlio concausa dello Spirito Santo; per questo preferiscono parlare, secondo la teologia greca, di "spirazione dal Padre attraverso il Figlio" (proposta da grandi teologi come san Gregorio di Nissa, san Massimo il Confessore e san Giovanni Damasceno), pur non introducendo questa specificazione nel Credo. La Chiesa cattolicaritiene valide entrambe le versioni, infatti le chiese cattoliche orientali utilizzano nella liturgia la versione priva del Filioque.  Anche altri gruppi cristiani hanno rifiutato il Filioque; in particolare bisogna citare il caso dei vetero-cattolici, che accettano la validità dei primi sette concili ecumenici, rifiutando le dottrine cattoliche successive. Invece le Chiese nate dalla riforma hanno generalmente accettato questo dogma nella versione occidentale (comprensivo, cioè, del Filioque).  Simboli di fedeModifica icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Simbolo di fede. La dottrina della Trinità è espressa in alcuni Simboli di fede, cioè proposizioni il più possibile chiare e prive di ambiguità che si riferiscono a punti controversi della dottrina. Ad esempio al primo concilio di Nicea venne approvato il seguente paragrafo (dal cosiddetto credo di Nicea) relativo al significato di Figlio di Dio riferito a Gesù Cristo:  «...nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create.»  Tale proposizione deriva dal passo del primo capitolo della lettera agli Ebrei:  il Figlio, che Dio ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della gloria di Dio e impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola. Il simbolo atanasiano (detto anche Quicunque vultdalle parole iniziali) è invece un'esposizione sintetica della dottrina della Trinità secondo la tradizione latina, probabilmente composto in Gallia verso la fine del V secolo, ed usato nelle chiese occidentali:  «...veneriamo un unico Dio nella Trinità e la Trinità nell'unità. Senza confondere le persone e senza separare la sostanza. Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio ed altra quella dello Spirito Santo. Ma Padre, Figlio e Spirito Santo hanno una sola divinità, uguale gloria, coeterna maestà. Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo. Tuttavia non vi sono tre onnipotenti, ma un solo onnipotente. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio. E tuttavia non vi sono tre Dei, ma un solo Dio. Poiché come la verità cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e Signore, così pure la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o Signori. E in questa Trinità non v'è nulla che sia prima o poi, nulla di maggiore o di minore: ma tutte e tre le persone sono l'una all'altra coeterne e coeguali. Il Padre non è stato fatto da alcuno: né creato, né generato. Il Figlio è dal solo Padre: non fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo è dal Padre e dal Figlio: non fatto, né creato, né generato, ma da essi procedente.il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. È Dio, perché generato dalla sostanza del Padre fin dall'eternità; è uomo, perché nato nel tempo dalla sostanza della madre. Perfetto Dio, perfetto uomo: sussistente dall'anima razionale e dalla carne umana. Uguale al Padre nella divinità, inferiore al Padre nell'umanità.»  In seguito vennero elaborati altri simboli di fede in cui si riassumevano le dottrine precedenti e si trattavano altri punti controversi, ad esempio al XI Sinodo di Toledo venne elaborata un'altra "confessione" attribuita in passato ad Eusebio di Vercelli, di cui si riporta solo l'inizio:  «Professiamo e crediamo che la santa ed ineffabile Trinità, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, secondo la sua natura è un solo Dio di una sola sostanza, di una sola natura, anche di una sola maestà e forza. E professiamo che il Padre non (è) generato, non creato, ma ingenerato. Egli infatti non prende origine da nessuno, egli dal quale ebbe sia il Figlio la nascita, come lo Spirito Santo il procedere. Egli è dunque la fonte e l'origine dell'intera divinità.»  Posizioni antitrinitarie glass icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Antitrinitarismo, Gesù nell'ebraismo e Gesù nell'islam. La dottrina del Dio Uno e Trino non è accettata al di fuori del cristianesimo, dato che afferma la divinità di Gesù Cristo, che è caratteristica delle maggiori confessioni di questa religione. Ebraismo ed Islamrifiutano questo aspetto, e nel Corano in particolare questo punto dottrinale viene esplicitamente negato.  Anche nell'ambito del cristianesimo vi sono movimenti religiosi e diramazioni anti-trinitarie; fra queste le più note a partire dall'età moderna e contemporanea sono i testimoni di Geova, la House of Yahweh, i cristadelfiani, gli antoinisti, i mormoni, la Chiesa del Regno di Dio, la Chiesa cristiana millenarista, il cristianesimo scientista, la Chiesa dell'unificazione e le chiese odierne che si rifanno all'unitarianismo.  Ordini e congregazioni della Santissima TrinitàModifica Numerosi istituti religiosi condividono la devozione alla Trinità e sono a essa intitolata: l'Ordine della Santissima Trinità, con il ramo delle monache e le congregazioni delle suore di Madrid, Roma, Valence, Valencia e delle Montalve; le statunitensi congregazioni dei Missionari Servi e delle Ancelle Missionarie della Santissima Trinità; le canadesi Domenicane della Santissima Trinità; le spagnole Giuseppine della Santissima Trinità; le messicane Serve della Santissima Trinità e dei Poveri e le italiane Adoratrici della Santissima Trinità. Trinitarian doctrine touches on virtually every aspect of Christian faith, theology, and piety, including Christology and pneumatology, theological epistemology (faith, revelation, theological methodology), spirituality and mystical theology, and ecclesial life (sacraments, community, ethics. La dottrina Trinitaria tocca virtualmente ogni aspetto della fede cristiana, della teologia e della devozione, comprese la Cristologia e la pneumatologia, l'epistemologiateologica (fede, rivelazione, metodologia teologica), la teologia mistica e la spiritualità e la vita ecclesiale (sacramenti, comunità, etica)»  (Catherine Mowry Lacugna. Trinity, in Encyclopedia of Religion, vol.14. NY, Macmillan, 2005, pp. 9360 e segg.) ^ «non è esatto dire che i cristiani credono in Dio! Per lo meno non è esatto rispetto al fatto che essi non si contentano di affermare l'esistenza di quell'Essere supremo, onnipotente, creatore del cielo e della terra che gli "uomini chiamano Dio" (Tommaso d'Aquino) e che, nel vasto mondo e nella storia, anche tanti altri credenti riconoscono. La sola cosa che, in realtà, si possa dire se si vuole usare un linguaggio preciso, è che i cristiani credono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; o ancora nella Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che insieme costituiscono l'unico Dio vivo e vero.»  (Joseph Doré. Trinità in Dictionnaire des Religions (a cur. Poupard). Parigi, Presses universitaires de France. In italiano: Dizionario delle religioni. Milano, Mondadori,  Cfr. ad esempio il Catechismo della Chiesa Cattolica che riportando l'Expositio symboli (sermo) CCL di Cesario d'Arlessostiene La fede di tutti i cristiani si fonda sulla Trinità. Il simbolo niceno-costantinopolitano rispetto al credo di Nicea, amplia gli aspetti cristologici e pneumatologici: Gesù Cristo figlio di Dio è GENERATO (cf. Grice – GENITOR) da sempre dal Padre, è increato, è homoúsioncioè della "stessa sostanza" del Padre e per mezzo di lui si è realizzata la creazione; egli è dunque Dio vero da Dio vero, luce da luce. Lo Spirito Santo ha parlato per mezzo dei profeti, egli è Signore e da lui proviene la vita, procede dal Padre ed è elemento di culto come il Padre e il Figlio. Cfr., ad esempio, Pier Cesare Bori. Dio (ebraismo e cristianesimo), in Dizionario delle religioni (a cur. Filoramo) Torino, Einaudi,  Per la Chiesa cattolica la "trinità" è un mistero della fede ovvero uno dei «misteri nascosti in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati» (Concilio Vaticano I, DS; FCC). poreuthentes oun mathēteusate panta ta ethnē baptizontes autous eis to onoma tou patros kai tou uiou kai tou agiou pneumatos» ^ «baptistheis de o iēsous euthus anebē apo tou udatos kai idou ēneōchthēsan oi ouranoi kai eiden pneuma theou katabainon ōsei peristeran erchomenon ep auton» «kai apokritheis o angelos eipen autē pneuma agion epeleusetai epi se kai dunamis upsistou episkiasei soi dio kai to gennōmenon agion klēthēsetai uios theou» ^ «pisteuete moi oti egō en tō patri kai o patēr en emoi ei de mē dia ta erga auta pisteuete kagō erōtēsō ton patera kai allon paraklēton dōsei umin ina ē meth umōn eis ton aiōna to pneuma tēs alētheias o o kosmos ou dunatai labein oti ou theōrei auto oude ginōskei umeis ginōskete auto oti par umin menei kai en umin estin o de paraklētos to pneuma to agion o pempsei o patēr en tō onomati mou ekeinos umas didaxei panta kai upomnēsei umas panta a eipon umin egō» ^ «ei ou poiō ta erga tu patròs mou, pistèuete moi; ei dè poiō, kan emoì mē pistèuēte tòis ergòis pistèuete, ìna gnōte kai ginōskēte oti en emoi o patēr kagō en tō patrì. ē charis tou kuriou iēsou [christou] kai ē agapē tou theou kai ē koinōnia tou agiou pneumatos meta pantōn umōn kata prognōsin theou patros en agiasmō pneumatos eis upakoēn kai rantismon aimatos iēsou christou charis umin kai eirēnē plēthuntheiē» Further, exegetes and theologians agree that the New Testament also does not contain an explicit doctrine of the Trinity. God the Father is source of all that is (Pantokrator) and also the father of Jesus Christ; "Father" is not a title for the first person of the Trinity but a synonym for God. Inoltre, esegeti e teologi sono d'accordo che anche il Nuovo Testamento non contiene un'esplicita dottrina della Trinità. Dio Padre è fonte di tutto ciò che è (Pantokrator) e anche il padre di Gesù Cristo; "Padre" non è un titolo per la prima persona della Trinità ma un sinonimo per Dio.»  (Catherine Mowry Lacugna. Trinity, in Encyclopedia of Religion, NY, Macmillan,Exegetes and theologians today are in agreement that the Hebrew Bible does not contain a doctrine of the Trinity, even though it was customary in past dogmatic tracts on the Trinity to cite texts like Genesis 1:26, "Let us make humanity in our image, after our likeness" (see also Gn.; Is.) as proof of plurality in God. Although the Hebrew Bible depicts God as the father of Israel and employs personifications of God such as Word (davar), Spirit (ruah: ), Wisdom (h: okhmah), and Presence (shekhinah), it would go beyond the intention and spirit of the Old Testament to correlate these notions with later trinitarian doctrine. Esegeti e teologi oggi sono d'accordo che la Bibbia ebraicanon contenga la dottrina della Trinità, anche se era abituale nei trattati dogmatici della Trinità citare testi come la Genesi, Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza (vedi anche Gn.; Is.) come prova di pluralità in Dio. Sebbene la bibbia ebraica descrive Dio come padre di Israele e usi personificazioni di Dio come parola (davar), spirito (ruah: ), saggezza (h: okhmah) e presenza (shekhinah), andrebbe oltre le intenzioni e lo spirito del vecchio testamento correlare queste nozioni con la successiva dottrina trinitaria. Lacugna. Trinity, in Encyclopedia of Religion, NY, Macmillan, In the last analysis, the theological achievement is limited. The trinitarian problem may have been clear: the relation of the son and, at least nebulously, spirit to the godhead. But a trinitarian solution is still in the future. The apologists spoke too haltingly of the spirit -- with a measure of anticipation, one might say too impersonally. In ultima analisi i risultati teologici del II secolo furono limitati. Il problema Trinitario poteva essere stato chiaro: la relazione fra il Figlio e (almeno nebulosamente), lo Spirito alla Divinità. Ma una soluzione Trinitaria era ancora futura. Gli apologisti parlano con troppa esitazione dello Spirito; con il valore di un'anticipazione, si potrebbe dire in modo troppo impersonale. Richard e  Hill. Trinity, Holy. The New Catholic Encyclopedia, NY, Gale, O Gente della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Allah altro che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria non è altro che un messaggero di Allah, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno spirito da Lui [proveniente]. Credete dunque in Allah e nei Suoi Messaggeri. Non dite “Tre”, smettete! Sarà meglio per voi. Invero Allah è un dio unico. Avrebbe un figlio? Gloria a Lui! A Lui appartiene tutto quello che è nei cieli e tutto quello che è sulla terra. Allah è sufficiente come garante» (Cor.). RiferimentiModifica ^ Catherine Mowry Lacugna, "Trinity", in Encyclopedia of Religion, NY, Macmillan, Trinità in Dictionnaire des Religions, Wainwright, The Trinity in the New Testament, Londra, SPCK  Ts 5.23, su laparola. net. Bobichon, "Filiation divine du Christ et filiation divine des chrétiens dans les écrits de Justin Martyr" in P. de Navascués Benlloch, M. Crespo Losada, A. Sáez Gutiérrez (dir.), Filiación. Cultura pagana, religión de Israel, orígenes del cristianismo, vol. III, Madrid, ^ Roger E. Olson, The Story of Christian Theology: Twenty Centuries of Tradition & Reform, Downers Grove (IL), InterVarsity  ^ Tertulliano, Contro Prassea, ed. critica e trad. italiana di Giuseppe Scarpat, Torino, S.E.I. "Terzo millennio Cristiano", paragrafo: "Eresie cristologiche Dizionario Mondadori di Storia Universale" ^ John Henry Newman, Gli Ariani del IV secolo, Milano, Jaca Com’è nata la dottrina della Trinità? JW.org Wainwright, The Trinity in the New Testament, Londra, SPCK. Voci correlate Corpus Domini Cristologia Dio (cristianesimo) Dio (ebraismo) Dio Padre Dio Figlio Diofisismo Figlio dell'uomo Figlio di Dio Gesù di Nazareth Gesù nel cristianesimo Iconografia della Trinità Inabitazione trinitaria Pericoresi Prosopon Spirito Santo Solennità della Santissima Trinità Triade (religione) Trinità (araldica) Unione ipostatica Verbo (cristianesimo) lemma di dizionario «Trinità» Trinità, su Treccani.it – Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Rosa e Umberto Gnoli, TRINITÀ, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, 1937. Modifica su trinità, su sapere.it, De Agostini. Trinità, su Enciclopedia Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Trinità, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton Company. Modifica su Wikidata Tuggy, Trinity, in Edward N. Zalta (a cura di), Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and Information (CSLI), Università di Stanford. Baber, The Trinity, su Internet Encyclopedia of Philosophy.Hunt, The Development of Trinitarian Theology in the Patristic and Medieval Periods( PDF ), su TRINITY - Nexus of the Mysteries of Christian Faith, google.it. La Trinità secondo le Sacre Scritture, sito evangelico pentecostale Portale Gesù: accedi alle voci di che trattano di Gesù. Antitrinitarismo Cristologia studio su chi è e cos'è Gesù Cristo  Dio (cristianesimo) concetto di Dio nel Cristianesimo  Contenuti sticamente l'ascesa a Dio si scandisce in tre tappe (ognuna delle quali a sua volta divisa in due):  il mondo sensibile, vestigium Dei l'anima, in quanto realtà naturale, imago Dei l'anima, in quanto abitata soprannaturalmente dal Mistero trinitario, in Cristo, similitudo Dei Il mondo, vestigium Dei la predica di Francesco agli uccelli nel pensiero di F. vibra la nuova percezione francescana della natura. L'importanza data alla prima tappa, il mondo sensibile è ciò che differenzia F. da Agostino, in forza dell'eredità francescana, che gli consente di recuperare qualcosa della impostazione aristotelica, più valorizzatrice del livello corporeo. Il mondo può essere letto come un SEGNO, un simbolo del Trascendente. Tutto parla di Dio, e permette perciò di risalire a Lui. Non occorre fuggire dalla realtà, ma è nella realtà, anzitutto materiale, che l'uomo trova la testimonianza del creatore invisibile.  Secondo F. la realtà ci parla di Dio non solo nella unità della sua natura, ma ne annuncia anche il mistero trinitario. Ad esempio la conoscenza delle cose corporee è simbolo della processione del figlio dal padre. Come dalla cosa si stacca una immagine, così dal padre è GENERATO (cf. Grice, GENITOR) il Figlio, e come l'immagine della cosa si unisce all'organo sensoriale corporeo, così il verbo si è unito alla carne, facendosi uomo. L'anima creata, IMAGO dei. Tuttavia è soprattutto nell'anima che il divino si rivela. Il mondo è solo un *vestigium*, mentre l'anima è *imago* Dei. Tra l'altro testimonia e parla del mistero trinitario, come già per Agostino, la tripartizione dell'anima in memoria (che rimanda in particolare al padre), intelletto (che rimanda al verbo) e volontà (che rimanda allo spirito santo, come amore del padre e del figlio). L'anima redenta, *similitudo* Dei. Più di tutto ci dice chi è il divino l'anima in stato di grazia, l'anima abitata da Cristo. Nessuno più del santo ci mostra il volto di Dio. Non basta perciò uno spiritualismo generico. L'uomo non è solo corpo e anima. Ma l'anima stessa deve superarsi, dilatarsi, accettando una misura più grande. L’ospite che ci inabita e chiede di crescere in noi. Direzione e gradi del cammino si presentano anche nelle forme di rapporto, tra cui vengono analizzati la realtà nel suo insieme e l'uomo in particolare: traccia (*vestigium*) del Creatore nel sensibile, sua immagine (*imago*) trinitariamente sviluppata, nelle facoltà o attività dello spirito e massima somiglianza possibile (*similitudo*) con lui nello stato della contemplazione perfezionatrice o unione con lui. Vestigium o speculum, traccia o specchio come primo grado della contemplazione riflettente del divino indica la forma di essere e di movimento del mondo sensibile che rinvia il pensiero alla sua origine. Imago, immagine, come caratterizzazione della mens conduce il pensiero che si accerta di se stesso al suo archetipo trinitario. Similitudo, somiglianza, indica lo stato di colui che supera se stesso nel suo massimo avvicinamento possibile o nella connessione con la meta dell'ascesa. Itinerarium: per vestigia e in vestigiis: per imaginem - in imaginem. All'agire della mens come o nella similitudo, corrispondono i gradi descritti. Un'interpretazione del rapporto tra vestigium e imago nell'Itinerarium è stata presentata da Hodl: Die Zeichen-Gegenwart Gottes und das Gott-Ebenbild- Sein des Menschen in des hl. F. Itinerarium mentis in Deum, in Miscellanea Mediaevalia, Berlin. Sulla differenziazione di vestigium-imago-similitudo ulteriormente: De scientia Christi q. 4 concl. Orizzonte neoplatonico di traccia, ἴχνος. Il male stesso ha ancora una traccia del bene: ἴχνος ἀγαθοῦ, Proclo, In Remp. Essere come traccia dell'uno, in Plotino, vedi la relazione con la dottrina dell'immagine. Nel contesto oggettivo e storico di questa dottrina vi è Agostino: il creato, l'ente molteplice e temporale nel suo insieme è traccia dell'unità e atemporalità (divina), (unitatis e aeternitatis vestigium: Vera rel. Gen. ad litt. imp. Anche Eriugena segue questo concetto di traccia, che vede nel sensibile la traccia o la manifestazione dell'essere divino in sé nascosto, come punto di partenza della summitas theoriæ: omnis creatura corporalis atque visibilis sensibusque succumbens extremum divinæ naturæ vestigium non incongrue solet in scripturis appellari: Periphyseon. Sulla teofania cfr. Beierwaltes, Negati affirmatio; sull'aspetto della metafisica della luce. Grice: “Bonaventura is generally more liked than Aquinas at Oxford. More platonic, less dogmatic sort of type!” -- Keywords: Lc. 19:38-40 ‘grideranno le pietre’ ‘la pietra grida’ – i segni trinitari -  primo grado: vestigio o impronta; secondo grado: immagine; terzo grado: similitudine --. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e Fidanza," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa Grice, Liguria, Italia. Findanza. Fidanza

 

Grice e Figliucci: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale di Giove e Ganimede – scuola di Siena – filosofia toscana -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siena). Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Siena, Toscana. Grice: “Of course I love Figliucci, who doeesn’t? Of course, there is Figliucci and [Vincenzo] Figliucci, both moralists at Siena; what I love about Figliucci is that he championed the big ones: Plato’s Fedro – with the charismatic metaphor of the winged warrior; and then Fedro is an interesting character for maieutica; and Aristotle’s ethical ‘books,’ which we hope he instilled on Alexander!” – Studia a Padova. Dopo aver vissuto le piacevolezze mondane della corte, entrò nel convento domenicano di Firenze. Altre opere: “Del bello” (Roma); “Ficino” (Venezia); “Le undici Filippiche di Demostene con una Lettera di Filippo agli Ateniesi. Dichiarate in lingua Toscana” (Roma, Appresso Vincenzo Valgrisi); “Della Filosofia morale d'Aristotile” (Roma); “Della Politica, ovvero Scienza civile secondo la dottrina d'Aristotile, libri VIII scritti in modo di dialogo” (Venezia, Somascho); “Catechismo, cioè istruzione secondo il decreto del Concilio di Trento”; Treccani Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. FIGLIUCCI, “IL FEDRO O VERO IL DIALOGO DEL Bello di Platone, tradotto in lìngua toscanà per Felice Figliucci Sense.  IN ROMA Con priuilegio del Sommo Ponstefice per anni X.IL FEDRO. Ó VERO il D/4iWa id Bello di Telatone. TRADOTTO in lingua Tofcana» Perfone del Dialogo, SOCRATE, ET FEDRO. O Fedro mio caro,doue uai tu,ac Soc. donde uieni ^ F E D. Socratc,io uego da cafa di Lifia figliuolo di Cefalo,flC hora me ne uh un poco à fpafTo fuor della città: per ciò che buona peza feco à ragionar fedendo, da quefta mattina per tempo, per fino à hora fon dimorato. Et hora,c(rendo à ciò ftato perfuafo,da Acumeno tuo amico, fiC mio,fò caminando efTercitio: il qual modo di efTercitarfi, egli affai più facile, CC molto più gjoueuole giu:sdica, che laftaticarfi nel correre, come molti fanirsno. SOCR. Certamente Fedro mio, eh* egli ti configlia bene^ma fecondo il tuo dirc,Lifu dee elTere nella città, è uero. FED, Ve^sro, fi£ alloggia infieme con Epicrate nella cafa di Morico,uicino al Tempio di Gioue Olimpiót SOCR. rimali di gratia,clie faceuate uoi quiui f Inuitouui forfè Lifia al parto delle fuc orationii' FED. Tu lo fapra!,par clic tu babbi tempo di uenire i(ifieme coumeco^fin che io te l habbia narrato. SOCR. Che dici tu.^ Hor Don penfi tu, che io proponga à ogni mia facen <ìa (come di^Te Pindaro) il ragionamento di Li:s fia,fl£iltuo? FED, Seguitami adunque SOCR. Di pure. FED. Et fappi Socra;^ tc.che quella difputa, che nacque fra Lifia^a ine.è {lata à punto degna delle tue orecchie. Per ciò che il parlare,che Ci\ ùilto,(ìx in un cers; to modo tutto intorno alle cofe d'AMORE; pcr ciò che Lifia haueua fcritto una oratioue doftiG:: fima, fi£ eIegantiflima, manoDÌn fauore d'uno AMANTE, anzi pier quello era artificiofa.fi: Icggias: dra,che egli in quella prouaua,che più toftofi dee far ccfa grata à chi non ama, che à chi ama» SOCR. O huomo certamente digniffuno; uo:s lefTe lddio,che egli haueffe fcritto,che fi hauefe fe à fave bene più tofto à unpoueio.che à un ricco, ftàunuecchio, che à un giouane,aà moltialtrijiquali in molte altre cofe fono mal condotti, come me: per ciò che fe tale fufTe fta^ ta la fua oratione.all' bora fi poteua degnametc ^nc ce piaccuole.a utile. Non di meno anchora che ella non fia (lata cefi, egli m'è foptags giunta una fi gran uogliad' udirla, che (e tu cdis minando te ne andaflj perfino à Mcgara,flC fc (comeècoftume di Hcrodico ) tofto che alle mura della città fiifli giunto.indietro te ne tornaflì,io per queflo fon difpofto di non ti aK? bandonarmai. FED, Che dici tu Socrate^' Penfi turche io giouane inefperto poffa hora narrarti, flC ramentarti quelle cofe ,chc Lifia moi te più dotto di quanti Sìcrittori hoggi fi troua:^ no, in molto tempo à fua commodità compofe/ Sappi,che io fono affai lontano da quello ti uoglio dire,chc iouorrei più prefto fimil cofa faper fare, che effer d' infinite riccheze poffeffo? re. SOCR. Fedro cparrebbe.cheip non fi conofcefL, non fai tu, che tanto à me farebbe il non fapere chi tu fei, quanto lo fcordarmi di me medefimo.^ Delle quali^ofe neffuna è uera: per ciò che io fo beniflimo,che tu non udirti una uolta fola quefta Oratione di Lina, ma te U facefli replicare affai uolte. Et Lifia fo io, che uo lentieri ti ubidiua: ne quefto anchora ti fu affair ma fattoti al fine dare m mano il libro. doue eri fcritta, confiderafti ineffo tutte quelle cofe,U quali maggiormente defideraui fapere: il che come hauedi fatto, fianco di hauere in quel Iugo fi fungamciife fedufo,(i partifti per andare tene a fpafTo. Et io giiiraréi,che bora tela mefe teui alla memoria, fé gii non fufTeftata troppo lunga, te neandaui fuor della città^perconi fiderare date ftefloà quello, che haueui letto» Ma poi che tu ti fei abbatuto ì un'huomo pazo di udire fimili ragjonamèti,come fono io,toflo che iMiaiucduto, ti fei oltra modo rallegrato, quafi che tu fufli certo di hauerc uno, che dei niederimo,che tu,tecori hauefli à rallfgrare,flc fare feft^,flC cofi mi bai commefTo.che io uenea teco. Quindi pregato da me defiderofiflimo di ud/rti, che à dir cominciaflj, bai finto ciò efTerti difficile, come fe tu non hauefli bauto uoglia di raccontarmi quefta cofa: flC io fon certo, che. al fine, quando alcuno qui non fuffe ftato,che ti haueffe per fe fteflo uoluto udire, tu haueui tan ta uoglia di dire quello, che haueui udito, che tu cri per sforzare qualunque fi fuffe. à udirti à fuo mal grado. Et però Fedro mio caro, non tt fare pregare à mia fòdisfatione di fare queU lo, che eri ogni modo per fare fenza che alcuno te ne ricercaffe. FED. Sarà adunque me;s gbo dirti quefla cofa, come jo faprò,purcbc io la dica; per ciò che e mi pare, che tu non fia per abbandonarmi mai, fin che non Thabbia fentita. <^ Sccr. I o SOCR. Certamcnfe che tu hai^buon credtere. FED. Cofi adunque faro: ma per dirti il uero Socrate, io non ho imparate le parole tutte à mente, ma io mi ricordo bene quafi di tutte le ragioni, flC argomenti: per li quali egli dimcftra un'amante efferdifTimile da chi no ama, fiC cofirdì fon deliberato nan-artele tutte ordinatamen:? te. SOC Moftrami di gratia prima quel, che tu hai nella man fiftiftra fotto il mantello, che à dirti il uero, io dubito che tu non habbia quel libro proprio: il che fe è uero, pen(à che io ti ftimo afTai; non di meno fe io poffo udire jLifia, non uoglio ftarc à udir te. Ma che fai tu, che ncn me' 1 moftrif  FED • Deh fta fermo: tu m'hai leuato d'una grande fperanza o Socrais te, che io haueua di efercitait hoggi il mio ingc^ gno con teco: ma poi che io non poffo farlo, po niamcd à federe, per leggere doue più fi piace • SOCR. Aridiamocene, prima che à leggere. cominciamo, dj U dal fìume Iliffo, ftquiui ci porremo à federe, doue più ci parrà FED. A tempo mi truouo difcalzo,ma fu non uai mai altrimenti: & però ci farà ageuole paiTare quefta piccola acqua, ne anchora ci douerà difpiaccre, tnaflimamente in quefta ftagionc,&à quefta hcra. SOCR. Va uia adunque, ft in tanto confiderà, doue po(&amo federe » F £ Vedi tu quel Platano cofi alto SOCR. Si ueggo. FED. Qoiui è una piaceuolc ombra, •fiC un uentolino fcaue. flC l'herba tenera in ogni parte: fi che pofTjamo porci à federe,© à giacere, doue più ci piacerà. SOCR. Va Ij^adaquc. FED, Dimmi un pooc Socrate, non fi dice egli, che già in quefto luogo Borea rapì Oriss fhia,uicinoaI fiume Iliffoi' SOCR, Col; fi dice» FED. Non ti pare egh, che qui fi uegga una acquetta grata, pura, fiC chiara, nella quale commodatamcte pofTano le fanciulle fcher zarci' SOCR. Non é quefto il luogo, ma po co più di fotto, lontano due ò uero tre ftadi,do:s ue habbiamo trouato il Tempio di Diana, flc in quel medefimo luogo è un certo altare fatto ad honore di Borea. FED. Io non fq bene quc ftacofa. Ma dimmi per tua fe Socrate, penfi tu che quefta fauola fia ftata uera t SOCR. Se -io non penfafli^che fuffc uera, come fanno an^s chora tutte le perfone fauie non per quefto farei da elTere ftimato fcioccho: ma non uolendola in tutto negare, potrei fingermi quefta cofa, fiC dire, che il uento Borea ulcito da quefte pietre ui:s cine à (chcrzare.flC foUazarfi con Farmacia, fi ina; contro in Onthia, cCla fecegrauemente à terra cadere, della qual cola ella ne. mori: OC di qui hanno finto, che ella fò rapita da Borea, non già da qiiefto luogo, ma dallo Ariopago.doue bora fi giudicano le caufe: per ciò che è /ama affai da quefta diuerfa^che ella non fu rapita da quello^. ma da quel luogo. Hora io Fedro mio, giudico certamente quelle cofe molto diletteuoli, ma da huomini troppo curiofi, & folkcjti di quello» che poco importa, fiC da perfone anzi poco fortunate, che non: le quali fe per altro non hauefs fimo à chiamare infelici, quefta però farebbe cagione giuftf/Tima^che eglino tégono cofa neceffarla, che bifogni interpretale la forma de i Centauri, delle Chimere, flC di molte altre fintioni inutili. Et non folo fi truouano quefte fi fatte figure, ma à chi fi intrica in fimili cofe.gli pio^ uonoà doffo.k turbe de i Serpenti, delle Gorgoni,fiC la bugia del cauallo Pegafo,& di moU te altre forme contrafatte; onde fe alcuno di quefti cofi diligenti non crederà, che quefte co^ fe fienò flate nel modo, che fi narrano, ma uorrà Qgni cofa ridurre alla fua allegoria, & al fenfo più, fecondo lui,conuenienfe,coftui certo bara otio d'auanzo, flf fi fiderà di elTér ricordato per uia d'una fcientia roza,flc di poco memento» Maio,à dirti il uero, non ho tempo à cercare (i^ mili ccfe; perche non anchora pc/To ccnofcerc me fl:e(ro,ri come ci infegna clie dobbiamo fare 1 oracolo Delfico. Et per qnefto à me pare cofa da ridere, il uoler cercare di fapere le cofe d altri,' Don conofcendblhcTìora quelle, che à me fi ap35 partengono,flf che fono in me ftefTo. Per il che laiciate andar quefte cofe.ft crededo paramene» te à quello, che credono gli altri intorno à qucfto,non perdo il tempo nella cqnfidcrafione Io ro,malo metto à confiderare me {lefTo. ft^cofi ^ taì'hora fra me dico. Sono io una beftia più (u^ riofa, flC più rabbiofa,che non fu il gigante det^ to Tifone,© pure (come è uero ) fono nato ani^ m^ile più placabile, fiC humano,fiC più femplice; participc per natura della mente diu{na,fiC nato per godere al fine uno ftafo.ft una forte felicif^s fimar Ma non è egli quefl:o,al quale ragionado, fiamoarriuati, quello albero, doue tu mimenas ui^ FED, Quefto é d elfo. SOCR. Cerato che quefto è flato un viaggio degno: per ciò che quefto Platano hai rami larghifTimi.fiC è molto alto,£(la alteza di qpcllo Agnol cafto; infieme con l'ombra che fa, è bella oltra modo,' ficpiaceuole: fichoraè il tempo, nel quale più che mai,fiorifce: per il che il luogo tutto intorbi noe ripieno di foauiflìmo odore. Oltra ciò, è quefto fonte,che fotlo il Platano la terra riganjs s ^ do. (io bagna, cliiariflìmo, CC di acqua frefca puc afrai,comeripaoconofcerenel metterci dren^ to un piede. Et le fanciullesche quiui fcolpitc j] ueggono &lealfre belle imagini.dimoftra:? no chiaramente, che il fonte c ftatofagratoak le Ninfe.&ad Acheloo. Non ti accorgi olfra di quefto, quanto gioconda, écfoanefia Taura^ (che quiui fpjrar fi lente r Oltra ciò/i ode una moifitu'crine di cicale: ìe quali, fecondo il temrs po cantando, ne fanno fentiie un concento non fo come fcaue.fiC piaceiiole. ma più dbgni altra 'Cofa,mj pare degna deffcr lodata quefta tenera herbetta,Iaquale.4 mirarla, pare che ella beni: s griamenteafpetfi, che altri ripofiil capo fopra 4/ lei perriceuerlo.tìcfoftenerlo commodiffima mente. Per il che Fedro mio caro, fu mi hai me nato hcggi qui, doue io fono come foreftiero, per farmia ftare più uolenfierijl che hai fatto prudentemente. FED. Chi ti.fentifre.crede:^ rebbe che tu fufli huomo da pochiTIimo: flC cer:s tamente a quel. che tu dici, tu pari più prefto un foreftiero.che uno del paefe: talmente di^ moftn non hauer mai pafTato i noftri confini, ne effer mai ufcito delle noftre porte, SOCR. Perdonamf Fedro mio da bene,|) ciò che io, coxnc (u fai^foiamente defidero imparare:& fu bea falche gli alberi, fiele unie,& li campì, non ttìì pofTono ifegnare cofa alcuna, ma fi bene gli huo >mini, che habitano la città. Ma tu, fecondo me> hai truouato un modo da allettarmi all'ufcircì qualche uolta: per ciò che fi come coloro, che à *gli animali moftrano frondi,ac porgono frutti, li menano doue uogliono: cofi tii,moftrando5 mi queftolibro,mi menareftiper tuttq il contar no d' Atene, doue tu uoleffj. Hora poi che fias mo giunti qui, mi pare di pormi à federe: fiC tu acconciatoti in quel n(iodo,che più commodo ti parrà, comincerai à leggere, F E D * Odi adunque» • In questo (lato certamente fi trubuano le cofe mie: flC quefto comc fai,p0:s co fì intefo da me,penfo che m' babbi à gioua:^ re affai. Hora io uoglio che fappi, che io ftimp, ce giudico, fecoia alcuna io ti domanderò, dos: uerla da te per quefta cagione impetrare, per ciò che io non fon prefo del tuo amore • Et che ciò Ca il aero, tu fai che gl'amanti, come prima han no la lor libidine fatiata,fi pentono de i benefiis cii,che ti hanno mai fatti: ma quelli, che dall'ai mor legati non fono, non fi pentono per tempo alcuno, la ragione è quefta, Che eglino fanno li bcneficii per fe fteflì penfatamente, fiC fecondo che pofTono.fif che le facalfà loro compocifanot & non fono à ciò sforzati, còme gli amanti. Ob tra cib,gli amanti alle uolte tra fe ftcflj penfand quanto negligentemente dall'amore impediti J habbino le lor faccende condotte à fine, ft quaa li beneficii habbino con troppo danno loro à gli amati fatto.flC quanti affanni,» quante fati^ che habbino fofferto: fif per quefta cagione mai hanno da gli amati bene alcuno,tengonù per certo non glie n'effere obligati.mahauera gliene per J'addietro dato degno guiderdone Ma coloro, che dall'amore non fi truouanoinii ' - gannafi,nonfi lamentano di effere ftati pccd accorti nelle faccende lóro: non gli duol delle paffate' fatiche, non fi rammaricano, per cagion deiramato,hauer con li parenti fatte grauiHime nimicitie,come fpeffe uolte fuol auuenire. Onai k de tolti uia tanti mali, che à gli amati fòlamenie interuengono, refta folo,che quelli, che non amano, come fo io. fieno fempre pronti,» para tiffimi à fare tutte quelle cofe,che penfano potergli arrecare giouamento. Sono molti che dicono,che per quefta cagione fi douerebbond affai gli amanti appiezare: per ciò che grandif^ fima è la carità, che uerfo gli amati loro hanno « tutte le bore, flC che fempre apparecchiati fi truo «ano à ubbidire air amato, ec a fargli cofagri!* fa ce con le parole, & con le opere, anchora che perqucfto ceruffimi fuffcro, doucre offendere pgni altra perfona. il qual parere di qui faciU xncnfe fi può confidcrare non edcr uero.chè Ic^s uafa alle uoltc la beneuolentia da uno,* in ua^ litro portala, affai più confo de i nuoui amanti 0inno,chc di quelli, che prima haucuano: fiC che pm,fequefti amanti più frcfchi gli el com mette/fero, diuentarieno c^udeh/Tjmi inimici de Ipaffati. Etin qual modo pofTjamo noi dirc^ CHE NEGL’AMANTI SIA COSI ARDENTE AMORE, efTenj: do à quella infelicità, & calamità fottopofii, dals: la quale perfona alcuna quantunque fauia,& acs: corta, mai potrebbe rimuouerhV Et quefto è, che codoro ccnfeffano per loro fleffi effere anzi fuor di loro, che non^ft dicono conofcere la loro fcioccheza, a: pazia,ft non di meno non poa» tjfrfene rifenere,o i;ifliuouerc. Et pero gli huoismini faui, come potranno approuare, & giudicar hiioai i configli,fiC i pareri di perfone da tal mancamento macchiate.'' Olfra CIO, fe tu uorrai fciogliere un'huomo in ogni parte perfetto tra gli amanti, bifognerà che tu faccia quella fcelfà tra pochi, che pochi fono quelli, che amantifi poffano dircma fe tu uorrai procacciarti ungami tò.ì)totnpagfio, recòr)(5ofl Mi^ctio tuo,^acl t^nicofa atto;&accommodato^tra quelli, chè non amano Jo potrai più fàcilmente fare: pct tiòchc tra molte petfone ti ùd toncefTo fctrglict lo:^ più debbi fpcrare di bauere un buono ami co tra molti, cHc tra pochi, à trotianc- Et fe al fi ne tu temi,» fuggi, come debbi fjre,l'in6mf* publica.i8C il biafimo unuierfale, quale per òrdi ration delle leggi fi può ffTet dato.ti & bifos^ gno ramf n(arti,che gli amanti\li quali per quel la cagione uoriebbono tfTer^ amati ^ per \m quale amanoilogliono poi che al defiderato fint fi ueggono giunti, gloriarfi, OC uantarfi alla fco3f perta,che eglino non hanno m uano ncHorol «more confumato il tempo. Ma quelli, che noft tìmano, con ciò fvache facilmente pofTano taccsi re,a: tenerfi di due quel, che hanno fatto, han^a no coftume di cercar più toilo quel, che penfa^j no eflérottim.o per loro.fiì per lamico^che Tefa fer dalla moUitudine, fiC dal nolgo ricordati,^! portati per bocca. Aggiugnc anchora à que^s fto.che acccrgendofi la plebe, che un'aman: te fegua un' amatorie afliduaménte in ogni cofa Mclcntierrgli ubbidifca,^< fimilmente gif compiace a, fubito entra in fofpùlto^ che tr* loro non fu flato, o nori fia càttiuo defidcdQ^ ma non ha già ardire di bafitnarc le amicitie dr coloro, che non amano: per ciò che ben fa, che à gli huomini fa di bifogno ben fpelfo infieme ritroiiarfi.ò uero per cagione di amicitia,ò uera per qualche lorocommodità. Etfe forfè tu teis fnefTì di quelli, che non amano, fic penfaffi, che fuffecofa diffìcile, che con quei tali Tamicitia durafTe, anzi nata qualche guerra, ò nimicitia, du^jitafTe che ne ne fu(Te per uenire danno deU r uno, ài deir altro: CC (e poi tu, concedendo i un, che non t'ama, quello che più d'ogni altra Éofa apprezi,ne uenifli per quello non poco ofss fefo,fiC faccfTì non piccola perdita, facendo cofa grata à chi poco, ò niente ti appreza, ti dico che per quefta cagione barai maggiormente da te^s mere GL’AMANTI per ciò che molte cofe fon quel le, che gli offendono, CC fenipre penfano che ciò the fi fa, per danno loro fia fatto» Et per quefto uietano à gli amanti loro il conuerfare tra gli aU fri, temendo fempre che quel l'i, che di loro più ricchi fono, non li fuperino de benefici!, ò uero che gli huomini dotti non li uincano di fape: re. Et in fomma fe perfona conofcono. che in fc babbi cofa alcuna di buono, quàto più poffono, fi sforzano da coftui rimuouere gli amici, flC cofi perfuadendoli, che da fimil pratiche fi guardi^ no. no,à poco à poco li prfuanó di tutti gli amfciv^ ^ Hora le tu penlerai bene à te, « a quelJo,chc>i fi conuiene,flC Te farai miglior deliberafione di loro, non fi appiglierai al parer loro, ma te ne difcofterai quanto potrai. AlT incontro coloro^ che del tuo amore non fon preri,ma fanno quei le cofe,che ueggonoefTer conuenienti,& fi fcr^ uono ne i bifogni,folo per operare uirtuofameij te,(5f efortati à ciò da una mrtù,a: bontà d'ani:? mo, non ti haranno inuidia,fe ti ucdranno prassticar con altrui, ma piu tofto quelli harani>ojp odio, che à te non fi uor ranno accoftare,penfando (come è uero ) che coftoro li fprczino,£Ì gli amici ti giuouino,à; aiutino: flC per qucftp^ molto maggiore fperanzafi dee hauerc,che da quefta praticane uengano amicitic,che inimù citie.Aqueftecofe fi può aggiugnere,che la maggior parte de gli aitanti, prima defiderano pofrcdere,flC godere il corpo dell amato.che hab biano conofciuti li coftumi fuoi,ò l'altre cofe che debbono in un'amato ritrouarfi. Et di quì uiene.che fi dubita,fe latiatala uoglia loro,dei bano nella amicitia perleuerare. Ma traquelli^^ che non amano, li quali efTcndo per T addietro flati amici, non laceuano quelle fimihcofe in bf neficio dell' amico, per che eglino fuffero trop:? po afFcttionatl urrfo Ai hì^t cofa ragicneuolc, che l amieitia fia minore: ima bifogna ben cons; fefEire,chc i beneficii, che Tannargli facciano, accio che per quel mezo habbiano à efier iicor:s ciati daqnelli,che dopo loro iierranno,doue gli amanti ad altro, che al prefente, no attendono. ©Ifra di quefto(credi à nfie)diuenterai affai nusj gliore,fc afcolterai un che non ti ama, che fe à un amante prederai le orecchie: per ciò che gli amanti con lodi infinite inalzano oltra modo tutte le cofe,che fu fai, odici: parte per che te:J tnono,fecendo altrimenti di non ti offendere: parte per che dallo ardente defiderio loroacce:^ catione! giudicare fi ingannano: per ciò che la^ more fa, che coloro, che ne i cafi d'amore poco fortunati Ci ritruouano, fono sforzati à giudicare quelle cofe trjfte.ft infelici, chea gli altri non darebbono moleflia alcuna ^ Et per il contrario quelli^che hanno buona fortuna^flf che dtll'as worlofo fi godono, a mal ior grado fonconrx dotti a lodar quelle co(è, come fauoieuoli.fiC gioconde, che non meritano, ne poffono fare ftar contento huomo alcuno: ££ però più toflo farebbe di b/fogno di quelli tali hauer compaf? fione. che fegui tarli. Hora fe tu uorrai credere. alle ter alle mie parole, io primieramente uoglio effe* tuo amico,ac darti apprcfro,non per il piac^re^t che di te al prefente potrei haiiere, ma per la utf lifà,che la mia amicitja per Io auuenire ti potrà dare. Et non farò quefto, legato, òuinto.ò fog^ gietto all' amore, ma uorrò effer patrone di mcs ftefTo: a non douerai temere, che io per cagiost ne alcuna, ben che leggiera, habbia fra noi à (xt nafcerc grauiffime nimicifie,anzi fc pure alle- uolfe mi altererò alquanto, non lo farò fenza grandiflìma cagione. Et non di menoqnclli er:s rori che inauuertentemente mi uetran fatti, al fine liconofcerò: ft quelh,nelii quali uolontariamente incorrerò, mi sforzerò emendare, AC»- fchifare.flCquefli fono ucri fegni d'unaami^ dtia,che habbia lungamente à durare. Etfe for fé tu pcnfi,che non pofla truouarfi una ueia^CC ' durabile amfcitia,fe dall'amore non è cagtona^. fa, debbi confiderare,che per quefta medefinia cagione noi non appiezeremo gli figliuoli, ne ameremo li padri, ne terremo cari, flC fedeli co:s, loro.che per buoni ufficii,a: beneficii fattici, d fuffero diuentati amici, fe da quefto ardore amo rofo non haueflcro hauto principio Potrecs ftr dirmi. Si dee fempre fare bene à queU li huomini^ che ne hanno più di bifogno; ft però è cofa conucnientc.non cercar di giouars rcàglihuonnini,chepcr fe fteflì hanno, mai quelli, che fono più bifognofi: per ciò che co:^ ftoro^fe da me ne i maggior bifogni loro farani; no aiutati, mi renderanno Tempre infinite gra:^ tie. Aqueftofi rifpondo che fe ciò fuffe uero, nelle fpefe che priuatamcte facciamo,fiC ne i do ©eftici conuiti, non haremo à inai tare gli amis; Ci.ma più torto gli affamati, fiC li mendichi: per che coftoro molto più apprezeranno un tal bcis,neficio,ti feguiteranno,ti corteggieranno, ti fanno fefl:a,ti ringratieranno infinitamente, fiC pregherano iddio per te. Onde tu puoi uedere, che fi conuiene non compiacere à i bifognofi principalmente, ma fi bene à quelli, che ti pof:^ fono riftorare. Et per quefto non à GL’AMANTI comeà bifognofi, ma à quelli, che mentano, debbi far piacere: & non debbi fodisfare à quei lische della tua belleza fi delettano,maà queU lische anchora quando farai uccchio,ti fono per dare utile: ft non debbi giouare à quelli, i quali hauendo il defideno loro adempiuto, fcoperta^: mente fe ne uanteranno^ ma a quelli, che uer:^ gognofi taceranno. Et non debbi far cofa gra^s ta à coloro, che per ifpafio di breue tempo ti ho BorerAoao.ma a quelli^che tutto il tempo dell* uifa tua ugualmente ti ameranno: 6C non debb accarezare coloro,! quali, fpeto l'ardore del loro sfrenato defiderio, cercherano Tempre cagioni di far nafcere nimicitie^ma quelli,! quali (anchora che la belleza manchi ) Tempre moftrano la fcrj: meza^flCla conftantialoro. Ricorderatì aduns: que di quelle cofe, che io ti ho dette, flC penfej: rai che gli amanti fono da i loro amici riprefi,fiC accufati,per chc.ramoreècofa brutta, OC inde^ gna,ma nenuno uitupera,ò biafima quelle, che non ama, dicendogli, che egli fi gouerni male, come fi può dire à gl'amanti. Foife mi domane: derai.fe io fi uoglioconfegliare.che tu debbia ubidire à tutti quelli, che non tramano. Al che io ti rifpondo,di nò: perciò che io focerto^chc iimilmentc UN TUO AMANTE con ti comandereb be.chc tu à un medefimo modo amafli tutti quelli che ti amanorper ciò che quelli, che han no da hauere gli benefici! da te, non meritano tutti ugualmete.nc à te farebbe cofa facile coms: piacere à tutti, fe uolefll che uno non s'accorgef fi dell'altro;&bifogna che di quefto feruirc nonne uenga danno alcuno, ma fi bene/che r uno a l'altro ne cauì qualche utilità. Hora io penfo hauer detto à baftanza: fe à te pare, che io ci debbi aggiugnere qualche coU,Aor.uujgi da,ch^ io ti fodisfarò. Cloe ti pare di quefla Ora fione Socrate r' Non é ella fiC nelle altre cofe,& nelle parole comporta mirabilmen ter SOCR. Ella è tanto maravigliosa, che mi ha fatto ft(i:s pire,fif tutto, per tua cagione Fedro mio, mi (os no fentito commouere, mentre che io guardauj gli attrae i gefti,chc nel leggere quefta Oratio: ne faceui. Et però penfando che tu meglio, che io, conofca^flC intenda fimili cofe,ho hautoad ufcir di me per troppa allegreza infieme con tes: co^ FED. Inqueftomodo mi uuoi burss lare? S O C R. Adunque parti, che io ti burhf' Non penfi tu,ch'io dica da aero/ FED., Non certo: Ma dimmi un poco per tua fe^penss fi tn,che altro Greco intorno à fimil materia po fede dire più cofe,« pia d9ttes* SOCR, Pen fiamonoi.chcfia da effer lodato uno Scrittore folamente per che gh babbi detto quelle cofe, che fono ftate necefTarier'òpure diremo, che meriti lode, per che egli babbia tutte le fue paroledifpcfl:e,£(ordniate chiaramente, numeroiamen te, a elcgantementes' Se à te pare, che bifogni lodare Lifia per la inuentione, IO per farti piacere, tei concederò ma io per la mia fciocche^: za,(S(ignorantia,non Tho in luì conofciuta.pcr ciò che folamente ho attefo alla eloquentia dei pariate: al che poter perfettamente fare, io non penfo che Ljfia fteffo hc'^bbia penfato d' efier fla fo bafteuole. Et cerfainenfe à irìeè parfo(fé già '^tu non uolefh dire il contrario) che egli habbia leph'cato dne,flC tre uolte le medefime cofe.co^ me fe gli fufTe fnacata copta di faper dire diuerfe cofe fopra una mcdefima materia.ò uero uoglia^ 'imo dire, che egli no babbi hauto Ibcchio à quc fto. A me certo, fe tu uuoi,cheio ti dica la mia cpintone,è parfo che egli habbia uolufo parere •^di faper moftrare elegantemente in ogni modo, *cKe à lui pareua quella cofa,che fi metteua à dl^ chiarare, dicendola bora in uno,& hora in un' al tro modo. FED. Socrate tu no dici niente: per ciò che quella Oratione ha in fe quefto,chc neffuna cofa ha lafciato in dietro di quelle, che intorno à tal fuggietto accomodar fi poteuano: "onde io giudico, che neffuno poffa di quefto me defimo più cofe dire.tt phi uerifimili di quelle, che egli ha dette. SOCR. Quefta cofa non 'fi poffo io hormai più concedere, per ciò che gì' huomini raui,chc ne tempi paffafi furono, flC le donne, che di queflo hanno parfato.ficfcritto mi riprenderebbono,* mi arguirebbono con:? 1ra,fe io per la tua fodisfàttionc tei concedeffi ^ FED. Chi fono eglino quefti huomini, flC qiicftc donne Et douchai tu udite migliori cofc diqueftes' SOCR. Al prcfente io non me ne ricordo cofi bene, ma fappia cerfo,che io non fo in che luogo ho letto,flC udito quel, che io ti dico, & potrebbe efTere.che fufTe ò nelle opere della^èlla Saffo. buero ne libri del fa:5 aio Anacreonte,ò uero d'altri Scrittori: fiC faps; pi, che non per altra cagione fo ioquefta coniet 4ura,cheper fentirmi pieno d'altri argomenti non forfè peggiori de fuoi,che intorno à ciò fi potrebbonp addurre, Et per che io conofco be^ ni/Timo la mia ignoranza, fiC confcfTo che io non fo cofa alcuna, fenon per hauerla ueduta in aU tri^fiCnonperhauerla imparata da me, hi fogna che io confeffi di hauere attinte quefte cofe daU le fonti d'altrui à guifa di un uafo: ma per U piia rQizeza,mi fono fcordato da chi io le habbù.iaiparate,flCinche modo. FED. O Socrate da bene, tu fai bene à dir cofi.ne uoglio che tu,dica anchor che io te'l.comanda(ri. dachi,fi(eoa?.me babbi quefte cofe apprefe: ma uaglio benc^ che tu mi moftri (come confeffi di poter fare.).quelle ragioni, che dici, che fai più efficaci, OC più dì quelle che Lifia intorno a ciò fcriffe.ll che fe farai, non dicendo le cofe, che diffe Lifu^ ti prometto confegrare in Delfo una ftatuadcl mcdefimo pefo,chc fci tu j1 che fcgliono fare i none noftri Magiflrati, come fai» SOCR* Tu mi uuoi Fedro caro un gran bene,& fei uc^^ ramente d'oro,fe tupenfi che io poffa dirti, che Lifia habbia errato, ftche fi pofTano fcriuerc cofe migliori di quelle, che egli ha fcritto. Io uo glio che tu fappia,che io non direi, che ciò po:5 tefTe accadere à un uiliflTimo Scrittore, non che i lui. Ma per dirti anchora quelle cofe,che io fo, non già per riprendere lui, primieramente parlando folo di quello. che fi appartiene à quc ftonoftro ragionamento, penfi tu che colui, che uorra prouarc.che fi habbia più tofto à fare pia:^ cere à chi non ama, che à chi ama.fe prima^nbh prouerà,chechi non ama,fia fauio,flf pruden:? te,ft l'amante infano, flC fe quello non loderà, flC queflo non biafimerà (le Squali cofe fenza dù bio alcuno, ne uengono di neceffità ) poffi nel proceder fuo dir cofa alcuna, che alle prime fia corrifpondente (Non di meno io giudico, che quefte fimili cofe, che di neceflìtà ne fegucno, fi habbiano à rimettere nella uolòta de gli Scrit tori,ficfe non le dicono, gli fi pofTa perdonare: per ciò che di queftj tali non fi dee lodare la in:^ uentione,man bene la difpofitfone.Ma di quel le cofe,che neceffanamente non fi concedono, flCcIie difficilmente firitruouano,non foìo pèfì55 fo io, che fi babbi à lodare la difpofitione niala muentione anchora. FED. Ti concedo che fu uero quello, che tu dici: per che mi pare, che tu habbia detto apprcfTo che bene, OC ioanchora intendo non indugiare k fare quefto.che hai detto: « però ti concedo^che tu prefupponga, che un' amante fia peggio trattato, che uno che Jima. Hora fe tu nelle altre cofe,che dirai, mi fass rai fentire p/u dotte ragioni, flC più degne parole che egli nò fece, ti prometto, che ti farò una ftass tua d'oro nella Olimpia apprcfTo alle ftatue de gli fucceffori diCipfelo. SOCR. Tu liai Fedro forfè hauto per male, eh' io habbia ripres: fo un'huomo tantoàtecaro,ma io mi burlaua teco. E penfi forfè tu, che io fia per pigliare(la:i fciamo andar le baic)un imprefa di hauere à di^ recofa alcuna più elegantemente di Iui,che.c fauifrimo, C£dottiffimor FÈD. Tu fei ritornato Socrate mio in un medeftmo, dicendo que fte parole. Tu hai da dire in ogni modo quel, che tu fai;ft eoe potrai: flcfopra tutto auuertifct^ che in quefto noftro ragionamento non ci con:» uenga fare quel, che fanno coloro, che recitano le Comedie.ciÒTè rifponderci troppo fpeiTo T un 1 altro; il che é.fccondo me.mokftjflimo. E non far fi, che io fja sforzato à dire, come tiJ,pòco fi dicefti. Se ici no fapefli chi fufle Socrate, potrei dire dj non conofcere anchora me ftefTotperchc certamente fo,che tu hai defidcrio di fodisfarmi: ma tu uuoi fingere, che quefta cofa ti fia difficii k,'Et per dirtela, finalmente tu hai da penfare, che tu non Tei per partirti di qui ^ prima che tu non mi habbi dette tutte quelle cofe,che tu dirs ceui fapere migliori di quelle, che hai udite: pei! ciò che tu uedi,che nei fiamo foli,(3C in luogo re moto.fiC regreto,fiC io fon più giouane, (!f più ga gliardo di te. Si che per quefte cofe tu puoi ìn^ tendere per difcrctione quel, che io uoglia infes? rire: ne uoler più tofto hauere i ragionare sfor^> zatOjChe di tua uolontà.. SOCR. Io lo fo mal uolentieri.-perche io conorco,chc io farò degno delTer beffato, fe io, che fon rozo flC fciòc co al poflibIle,uorrò coptcdere con uno cofi per fetto Scrittore, flC fe io uorròalla fprouifta difpu tare di quel mcdefimo,di che eglipenfafamentc ha ragionato. F E D, Sai tu f^gmc la co(a ua^ Lafcia andar quefte cofe meco: per che io credo quafi hauer trouato una uia,|) la quale io ti con durrò.flC sforzerò à dir quel, ch'io defidero, Soc. Non mei dire di gratia. Fed.Come no mei diref anzi Io uoglio dire, io mi uolterò alli giurameff^ poi che alfro non mi naie. Io ti giuro per qatW iddio clie tu uuoi, flC anchora,fe ti pare, per quc fto Platano, che fe tu non dici quel, che tu fai al la fua prefentia,fiC fotto quefta fua ombra, io da qui innanzi non ti moftrerò.ne ti manifefterò mai più oratìone di perfona alcuna. SOCR. OfceIerato,chehaitudettor'Ocomc bene hai ritrouato il modo di sforzare un'huomo defide» rofo di udire orationi,come fono io,à fare queU lo,che ti fuffe in piacere, FED. Hora fe tu ne fei, come dici,cori defiderofo,che indugi tu più? S O C R. Io nonindugierò più lunga^ mente, poi che tu4iai fatto un fimil giuramen:? to: per che come potrei io uiuere.fe io fuffe pri uo di cofi dolce cibo? FED. Hor dì aduns: que. SOCR, Saituqucl, cheiouogliofa5: re? FED. Che cofa t' SOCR. Io dirò quel,che io intendo dire, col uolto.fiCcol capo coperto, per dire più pretto: per che fe io mirafs fi a te, farei impedito dalla uergogna. FEDi Pur che tu dica, fa quello, che fi piace. SOCR; Hor fu dunque ò Mufe dolci, il qual cognome ui fi dà perii modo del uóftro cantare, ò uero per la dolceza della Mufica uoftra, la quale fi dolcemente fuona,fauoritc ui prego,& aiutate quello mio ragionamento, il quale mi sforzai éitt quefto huòino da bene: accio che poi che mi harà udito^giudichi anchora molto più pru^ dente il fuo caro amico Lina, che prima cefi uìó gli pareua* T V haicla fapere,chefik già un fanciullo^anzi pure un giouane di gen:i tiliflìmoafpetto:coftui haueua molti amanti^ tra li quali un'huomo certamente allato gli diede ad intendere, che non Tamaua^nc per ciò punto meno de gli altri il fencua caro, fif gli uo leuabenc.Hora auucnne.che un giorno egli lo pregò, che al fuo defideno compiacer doucli fe,flC per impetrare quello, che egli domanda» ' ua,gliprouò che maggiormente fi doueuafare cofa grata à colui, che non ama, che à COLUI CHE AMA. Et per farglielo intendere, gliCi moflrò con quefte ragioni » In tutte le còfe fall v^>^^> ciuUo mio à coloro, che confultar bene,ò difpuf-^'^-^\ tar uorranno,fa di bifogno hauere un folo.qjìj roedefimo principio, quale è il conofcere,flC insK ^tendere che cofa fu quella, intorno alla quale fl'^;: o' confulta, ce difputa: altrimenti è neceffario in tutto errare» E fonomolti,chenonfi accorga:» no di non conofcere, ne fapcre la fuftantia della cofa, della quale ragionano; fif cofi come fc egli» nolafapeffero^nel principio della difputaloro ' altrimenti non la dichiarano: tal chenel lor pioi^ cedere ne feguc,come è hccefTario che inferuerii: ga.che eglino dicano cofe fuor del loro propos: fito^adagli altri male intefe. Adunque acciò che ne à me, ne à tc interiienga quei, che in al:: ^rui biaCimiamo,pofcia che egli è hora differctiìi tra noi, Te fi dee più tofto pigliare Tamicitiadi colui, che non ama, che di colui, che ama, farà buono che uediamo, che cofa fia amore, & che forza egli habbia, dandogli qualche difFinifio^ ne, alla quale l'uno, fif l altro di noi acconfenta» tt cofi dipoi, hauendo fcmpre 1 occhio, flC ogni. fìoftio argomento drizandoà quella dijffinitio:: ne, confideraremo fé egli dannoso utile near^ reca. E adunque ccfa manifefta a ciafcuno, CHE L’AMORE ALTRO NON È, CHE UN CERTO DESIDERIO. Sappiamo anchora che fimilmente queni che non ainano, hanno queflo defiderio di cofe belle, fiC buone. Per intendere aduBque in che fia diffe^ rente l'amante da quel, che non ama, tu dei fa:5 pere, che in ogni perfona fono due idee, le quali ci fignoreggiano, ó: doue più li piacerci uolta^ no Je quali noi fumo à feguitare sforzati ouunis que elle ci conducono. Vna delle quali infiemc con noi è nata.fiCqucftaè j1 defiderio de i piacer ri, L altra T-habbiamodopo il nafcimento noftro acquiftata; fiC quella è quella opinionc,che ne gli ììiiomfni (5el fonimo Wne fi ut je,per fa qn* ic tanto afìetfuofamc'jntc lò defider/arho. Qaeftft: alle uoltefono in noi fra loro amiche, alle uoltèi' in difcordia fi truouano, & bora quefla uince^ feor fupera quella Quando adunque quella opf fìione del fortìmo bene, cÌ>e difopra hò detto^ dalla ragione guidafa,à qrfel'lo ciie è nero b^nc^; •ci conduce, uincendo il defideriode i.piacen\ quefto'nTodo di uiirere fi domanda femperanfiaS ma quando quello sfrenato defiderio, lontano al tutto dalla ragione, ci fpingc.flf sforza à feguià tare ipiaceri,& amai grado noftro fi fa di nof ^padrone, quello fuo imperio fi domanda libidi^si w: ài efTcndo h libidine di moìu fòrti, £(ha^j uendo molte parti, anchorà è nominata in molss li modi. Et di quelle molte forti di libidine, chfi io dico, quella cbe più ch'altra T alc'unb fi ritrud ua,dj à colui quel nome,col quale ella é chiais mata me può à coloro, li quali ella fignoregà già, nome alcun dare bonefto,ò buono- per chè quel defiderio, che intorno alli cibi uince &Ia ragione, fiC ogni altra uoglia,fi domanda golo^s fità: 8C colui;che ha in fe quefto alt pigi ian:^ do il.nome medcfimo, fi chiama golo(o, Anà chora quel deficlcno, che intorno al bere,d'ù'à no fi impadronifcc^è co(a chiara, flC maiiifefta^donic fi douerà chiamare, fiC anchora che nome liauerà colui, che da tal noglia fi lafcerà uincere: àfimilmentc pofTono cfTer chiarina manifefti. ì nomtde gli altri defiderii congiunti à quefti. Hora io penfo,che quafi fia fcoperto.perqual ca gionc 10 ti habbia dette quefte cofc, ma uoglio io tacerlo. òuoglio dirlo.'' Io lo dirò pure, per elle più fi intende una cofa à dirla, che à non dirla. Et pero dicp,che quel defiderio priuo di ragione, il qual fupera,&: uince quella opinion: ne, che è Tempre al giufto,fiC all' honefto indirirs zata,a ci rapifce à cercare il piacer della belles: za, quindi col moftrarci quei diletti, che dalìa bellezadiun corpo fi cauano, pigliando non piccole forze. fiC rinfrancandofi, ci uincealtutrs to>flC ^^^p^t^aquel defiderio, dico é detto ^§cù9» ciòèamore,daf 6J/^K?,che uuol dire gagliardia. Parti egli, tedio mio caro,comc ì me, eh' io habbia détto diuinamente T FED » Certamente ò Socrate che fuor del tuo folito,ti fei non fo co:5 me più ampiamente allargato. SOCR. Taci adunque,^ odimi; per ciò che qucfto luogo è certamente diuino,flC pero non ti marauigliare, fe nel parlare farò dalle Ninfe di quefto luogo iafpirato à dire cofe diuinc: fif tu puoi hauer co fiofciuto,chequci]o,che iopocofa,diceua,non fono Tono (late molto difllmili da i uerfi Ditirambi ' che fogliono dire le facerdoti di Bacco all'horaj^, che dal loro iddio fono ripiene di diuinità. FED. Tudiciiluero. SOCR. Di que? (le cofe ne fei cagion tu fenza dubio alcunormk odi quelle cofe, che reftano, accio che io non nji fcordi di quello, che hora me fouuenuto,al che fo certo io che iddio mi aiuterà, ft no mi ufciran no di mente. Et pero ritorniamo, feguitando il ragionamcto noftro,al fanciullo,col quale. diao zi parlaua.Hora fanciullo mio, noi habbiamo detto flC dichiarato che cofa fia quella, della quacs le noi ragioniamo. Adunque hauendo feraprc- I occhio à quefto confideriamo.lora quel, che nercftaà dire,flCquefto è,Chegiouamento,Ó: che danno fia per uenirc per cagion di un aman te,ò di un che non ami,à colui, che gli ubidirà. E adunque neceffario.chc un' huomo uinto dal la libidine, Sedato alli piaceri, cerchi femprc con ogni fuo sforzo, che ramato più che altra cofa,gli babbi da piacere. Sai àhchora che ad uno che é infermo,gli piacciono, flC gli fon gra^ te tutte quelle cofe, che alla uolontà fua non repugnano, f5C quelle gli fonomo(efte,fi£ difpia^ ceuoli^che fono di lui migliori, ò feno migliori, ugualmente buone /£t pero efTendo T amante \t)fcmo,fìon potrà mai pafifc,clìe uno amato jpaà lui uguale, ò da pia, anzi cercherà femprc- ^^uanto potrà, fìflo da manco di lui.a più bifors ' ^^nofo. Et per che tu fai, che un ignorante è d:a^ manco che un dct(o,8C d'un forte un'timìdo,* 'id'un oratore,© olequente uno inelegante. fi(po^ co atto adire, d'uno acuto, «uiuo ingegna kinofcmplice,er fcioccho.fe qaefti,»: molti ali. |ri mancamenti dell' animose per natura conofcè; Ìitfóuar(ì,ò per ufo in un'amato efTcr nati, ali Thora godeva fi rallegra lamantetS: non gli bi ìftando quello, fi sforza anchor de gli altii pro^:^ cacciargliene; altrimenti non gli pare poter ca^ Ilare dell'AMOR fuo piacer alcuno. E adunque- HeccfTario, che un amante habbia Tempre inui* ^laall'amato & rimoucndolo da ogni amicitia, ite da ogni efercitio per il quale "pò te (Te diuenà tare eccellente, bifogna che grandemente glii inuoca; a k non gli nocelle per altro, per quei, fio al meno gli è dannofc,che lo prfua di queli |a co6, che ne fa prudentflimr. Per cièche la di iiina fìlofofia è quella.per la quale ueniamo pru^ "déntiffimi'dalla ì]*tiafc lamanfe e sforzato rfmua ll^rc quanto può ì' amato, temendo Tempre di' •pon effcre'fprezato da lui, fé pm prudente chft; V?li nQO è.diuentaiTe,.CC in fomnia fi sforza f?r« ogni cofa,'pèr la qaale egli al fu((o ignorate dh uenga.&fimaraiiigli folo di quelle parti, che ramante pofTiede. Qriando adunque farà tale la niato,airhora farà ali amante carilIìmo,ma dans: nofiffimo a fe ftefTo: fiC cofi puoi uedere,che in torno à quelle cofc,che al fapere fi appartengo:?. no,è lamicitia con un'amante nocina. Debbia^ mo bora confiderare in che modo colui, che c sforzato à anteporre il dilefteuole al buono, hab bia da hauer cura di quel corpo, che egli ama,ca fo che a lui fuffe una tal cura commefTa. Certas: mente che egli defiderà che quel corpo non fia fchietto, fiC duro, ma delicato. & molle, non nus:, trito.aauuezo al Sole nelle fatiche, ma fottò - l'ombra nelle dchcateze. Vorrà che fiaalleuato lontano da futri Ij pericoli, fatiche, che non habbia mai prouato fudore,» lo farà uiuere con cibi feminili.ac delicati. Lo auezerà à crnarfi di colorila fàccia,» di stranieri,fiC nuoui ucftimeti la perfona,» à fimili altre cofe,le quali tutte eù fendo dishonefte,» brutte à raccontare pia lun gamente,perpafrare ad altro le lafciercmo an:? dare. Vn corpo adunque fi fattamente allcuato^ nelle guerre,» in ogni altra pericolofa necefll^ ta,incmicì ficuramente uincono; onde li faci AMICI,» gl’AMANTI hanno femprc più paura, che à coftui qualche male n5 interuenga^che ad *ltri: ma qiicftacofa.efTcndo per fc fteffa cliias ra.lapoflTiamolafciarc andare. Hora habbiama da dire che dannoso che giouamcnto nelle co^ fesche di fuor uengonojaamicitia.flC laguar^: dia D’UN AMANTE ci arrechi, Qnefto adunque è chiaro à tutti, flC nnafiime à un amante, che egli ' defidera.che il fuo amato fia priuato di tutte quelle cofe.che egli pofTjcdeJe quali amiciflì^ lfte»gratiffime,tì:peift:ttiffimegli fono: perciò che egli defidera, che gh fieno tolti li parenti,, Ce gl’AMICI, penfan do che quelli gli dieno gran df impedimento à goder la dolceza della ami^ citia dell'amato, Ol tra ciò penfa,che un fanciul lo ricco dbro.o di qual fi uogli altra cofa,non poffi cofi facilmente effere prefo d'amore: flC fe pure è prefo.uede che troppo lungamente in quello amore non può durare. Et pero bifogna che un'amantecomejnuidiofo,fi dolga della felicità dell' amato, flC fi rallegri della miferia del medefimo, Defidera anchora,che lungo tempo uiua fenw moglie, fenza figliuoh\OC fenza cala^ bramando goderfi quel pucere,che quando co:^ (Ifi ritruouano, foIamente e/fj fentono. Sono ^^n(;hora molti altri mali in quefto amore, ma nel ia maggior parte di quefti mali, come prima (i comincia i amar qualche fpirita diuino,mefco5i. la fubifo un certo piacere, come ha fatto à uno adulatore, il quale è certamente una dannofifljs: ma fiera, fiC una grandifljma calamità: non di meno la natura ha mefcolato con quefta adulai tione un non foche di piacere non al tutto da fprezare. Oltra di quefto farà alcuno, che biafi:s mera le meretrici, come cofa noceuole^fiC altri fimili animali, ò uero fi fatti ftudi, quali foglio:? no al prefente deiettarci, douc 1 amante non fo^ lamente è noceuole^ma anchora nel praticarlo c moleftifTimo. Per ciò che tu fai, che il prouerbio antico è. Che li pari facilmente con li pari s*a^ nifconorper ciò che la ugualità dei tempo, della età di due(con ciòfiache per lalomiglian za de gli anni conduca gh huomini à delet tarfi de i medefimi piacerijpartorifce facilmente 1 amicitia.Ma ne gli amanti la età non pure non genera amicitia.ma arreca un faftidio troppo grande: per che la neceflìtà in ogni cofa à cia^. fcuno è mole{la,la quale più che ogni altra cofa è in uno amante uerfo T amato, accompagnata dalla difTomiglianza de gli anni, Et che fia il uc ro,tu fai, che amando una perfona attempata qualche giouane,mai ne il dì, ne la notte per fc ftcffo da Uh partir fi uorrebbe,ma è coftretto dal la necefljtà.à; dalla pafFionc amorofa^tt è fcm^prc dalle carcze de i piaceri allctfato lc quali nel ucdcre, l'amato gufta, ft pruoua nell' udirlo, ne! toccarlo. fiC in fomma nel goderlo con qual fi uogli fciitimento: tale che con grandifTimo fuo piacere fempre fi ftudia compiacergli. Ma r amato da qual forte di piacere, ò da qual follai zo potrà effer trattenuto, che in ogni modo egli non fu da grandilTima molcftia oppreiTo. Eflcn do fempre sforzato mirare una feccia d' un huos ino di tempo, flCbrutto.<5C molte altre cofe.che Don folo à colui fono molcfte.à chi elle intera ncngono,maanchoraà chi l'ode.tiouatc folo per una certa neceflità.che ha l'amante di farfi r amato bèneuolo: flC qucfto è l'effer fempre disf lìgentemcnte guardato quanti pafll faccia, l'udì re ogn' hora quelle faftidiofe lodi.tt quelle ima portune riprcnfioni, delle quali fempre gl'aman* ti abbondano, flC con le quali ogni giorno li ma ' Iettano: le quali cofe accafcandoà uno, che fia padron di fe.fono però intollerabili: ma à uno, the è fuor di fe,come uno amante, non folo fos no intollerabili.ma anchora per la troppa licerla tia,chefj pigliano di dire apertamente quel, che- gli' pare, fono brutttffime. Oltra di quefto men» tre che uno ama, è fempre dannofo.flC importa* no: ina quando poi ha l'aujor fine.diuenta perI auuenirc contra dj quello poco fedele, quale.,.con molti giuramenti, flc preghi, & promcflc ^ pena potè condurre. che egli dalla fpeme di pre mioàciòperfuafo.fidifponcflj à Apportare la moIeftafuaamicitia.Ai fine quandòpur glie concelTo ritornare in fe.fi rifolucà pigliare un nuouo padrone,ac ubidire ad altro fignore: £C cofi in uece dell'amore.a: della pazia.feguita lo intcllctto.a la ragione.* la temperanza; onde ùtto un altro,cerca fempre dall' amato fuggire, <f afcondcrfi. All'hora l'amato ricordandofi del le cofc die tra loro fi fono dette flC fatte, de i dati beneficii la mercede domanda, penfando che la mate habbia feco à ufar le mcdefime parole,chc prima ufaua. Ma l'uno per la ucrgogna non artifce confe/Tare d'elTer mutato,ne fa tronarc in ' che modo egli fodis6cci alli giuramenti, A pro:^ mefle,che mentre fotto la crudel fignoria d'amo refi ffouaua.inconfideratamenfc fece: « teme, «flendo già diuentato temperato. & nhidictc alli ragione, facendo le medefime cofe che prima.di non diuétare il medefimo.che dianzi era. £t di qui nafce.che colui. che poco fa. amaua, bora ua da fuggcndo.ac fchifando l'amato.ft mutatofi di fantafu.fi allontani da lui.come fe un di coloro |u|fc,a cui il gittato uafo fw cafcato à contrailo. tome ben fai.clic nel giuoco infcrutène, elici noftri fanciulli foglion fare. L altro all'incontro è sforzato à feguifare T amante. flC parendogli pur mal ageuclc cfler lafciato/j uolta al fine alle ma* le parole. Ne ciò gli accade contra ragione.per ciò che nel principio quefto tale no fapeuaquan tomai fi conuenifle, ce quanto poco lecito.» honefto fufTe à un'amante far cofa grata. quale è di neceffità fuor di mente.» quanto ben fatto fu (Te compiacere à un'huomo dall'amor libero, che fuor di fe non fi ritrouaffe. Ne tonofccns dofimilmente.che fidandofi di un'amante.G fida d'un huomo fttano inuidiofo, moleflo, dannofo.a inutile, prima alla roba. «poi ai corpo.ma molto più noceuole alla fcientia dell'aoimo.della quale nefTuna cofa è certamente. pia oenerabile a appreffo Dio,» apprelTo gii huomini. Qucfte cofe adunque douiamo fans ciullo mio confiderare.CC oltra di quefto fi ha da luuertirc.chc l'aroicitia d' uno amante da bene» uolcntia alcuna non nafce, ma da una certa aui» diùdi faturfi.comc gli a ffamati: & però ben diffe colui in quelli uet6, fe^omeillupo l'agnello. Cefi un giouin l' amante ardendo brama. Qiiefte fono ò Fedro quelle cofc.che io h Uf ua promcffo narrarti: flC però non uoglio pa bora dire altro, ma farò fine al mio ragionamens: to,anchòra che io penfaua d efTer folamcff giun toalmezodcl mio parlare, flC ci reflaffe à dire altrettanto di quelle, che non ama,&piouarc che più torto fi haiièffi ad ubbidire i un tale: oltra di quefto penfaua hauere i raccontare di quanti beni, flC di quante utilità uno, che non ama,fia ripieno, F E D, Perche adunque fi reftii' SOCR. Non hai tu confiderato,chc io non fo più quei uerfi Ditirambi, che dianzi m'ufciuano di bocca, quantuque il mio ragiona:? meto fin qui fia flato nel uituperarei* Hoia le io feguitado uolefli lodare quel, che n6ama, quan tohobiafimato l'amante, che penfi turche io dice/Iìf' Non ti accorgi tu, che io fono aiutato,, flC ripieno di fpirito dalle Ninfe di quefto iuos^ go,fiCper tuagratia,fiC per aiuto diurno l'Per la qualcofaio concluderò breuemente,che tanti beni fono in quello, che non ama, quanti mali ti ho moftrato truouarfi in un'amante; ft però iion ci bifogna far più lungo ragionamento, ha:? uendo già dell' uno, fiC deiTaltrò a bailaiiza ra^ gionato. Et pare à me, che la noftra fauola hab^ bla hauto quel fine, che era conuenientc & pcs " ròpaffando d fiunic^mi uoglio partire, prima D i i i the fu mi %(orz\ atìirc quatcKc altra cofa piuvfm portante, FED. Non ti partire anchora So^ crate, prima che il caldo non fe ne uada:n6 uedi tu,chehoraè à punto il mezo giorno, nel qual tempo è il caldo grandiflimoi^Et peròafpettani: <Joqui^ 6C ragionando infieme delle cofe, che habbiamo dette, come prima il caldo farà mcinrs cato, ci partiremo. SOCR. Certamente Fe^ dro, che nelle tue parole tu (ci diuino,fiC uerais mente mirabile: flC però io penfo certo^che dcU JeOrationi.qualialtuoìtempo fonoftafe fatte, nefTuno ne habbia dato più cagione, che tu,flC neiTuno altro à più Thabbi potuto pcrfuadere.ò aero conletue efoifationii quello conducenrs |Cloli,ò uero in qualche altro modo sforzandoli. Et certamente m quefto(cauatonc SimiaTebac no)tu auanzi tutti gli altrirJC bora 'fecondo me) tu folo fei (lato cagione, che io habbia à dire di nuouo,non fo checofe,che nella mente mi fo^ no fopraggiunte. Il che facendo tu, pollo dire, che tu mi facci una guerra. FED. Etinche modo ti fo io guerra flC che cofe fon quefte.chc tu mi uuoi.dire. SOCR. In quel, che io uo leua paffare il fiume, quel mio fpìnto fohto,chc tu faì,paiuc che mi faccffe lufato cenno: il che ogni uol tacche mi accade^ nò è uietato fare quel lo.cJic fogia farpeniaua,Quindi mi paruc udi:^ re una uocejaquafe mi liietana il partire. prima che io non lùuefTe placato gli dei,cofl:ie fe con^: fradiIoroIiaueflìconiiiìe(To qualche errore. Io adunque fono fcnza dubio hoggi indouino, fiC flC fe io non fono cofi de buoni, fono al meno di forte^che forfè à me farà affai, come battano, anchora le poche lettere a coloro, che male le hanno apprefe, Lt però Fedro mio, hormai ip chiammente concfco il mio fallo: per ciò che c,mi pare hauer neiranimo un no fo che, che mi indouini r erfor,che,^ ho fatto. Et quefta cofa dianzi,mentre che ioragionaua,mi turbò tnt^ to: per il che io cominciai in un certo modo à temere di non acquiftarmi gloria apprefFo gli huomini del mcndo^all'hora che io contra gli iddìi grauemente erraua (fecondo che già dilTe Ibico nella fua opera )flc bora al fine conofco, come t'ho detto T error mjp. FED, Qnale er^ rorc è quefto/ SOCR, Ò Fedro.un trillo ragionamento.un tritio ragionamento edro hai hoggi mcfTo in carapo.fic sforzatomi i ragiona|C ne. FED. In che modqj' SOCR. E (lata cofa ftoIta.dC empia, della quale che fi può egli più tpfto.a: noccuolc ritrouarcs' FED. N is cnte.fc tu dici iJ uero. SOCR. Ohimè, non fai tu quel, che fia amore i Non è egli fi^ gliuolodi Venerei Non penfi tu,che^gli fu uno iddio 1 FED. Cofi fi tiene per certo. SOCR. Et non di meno Lifia non ha detto.quefto^nc manco il tuo ragionamento, il quale non io, ma tu hai fatto: per ciò che tu me T hai à forza canato di bocca, come per incanto, Hora fc [amore è Dio, come e certamente, ò uero qual che cofa diuina.non può efler cattiuo,& non di meno noi habbiamo parlato di lui, come fe fuÉ: fe cattiuo. In quefta cofa adunque habbiamo peccato contra amore. Et certamente quefte no ftre qùeflioni fono moho fuor di propofito,an^ chora che forfè paiano piaceuoli: le quali non ritenendo in fe cofa alcuna di fincero,ò di uero, nondi meno fc per cafo faranno approuate da qualche huomiciuolo di poco fapere, quelli, che le fanno, fe ne gloriano, come fe fulTero di granrs de importanza. Hcraàme fa di bifcgno per quefto errore, placare gli iddii: & hai da fapere che a quelli, che nel ragionare, ò nello fcriuerc errano,è ordinato un certo modo di placare gli iddii antico, il quale Homeronon feppe cono^ fcert.mafi bene Steficoro: per ciò che efTendo (lato priuato de gli occhi, per che haueua uituis perata Helena, conobbe come huomo amico del le Mufe.pfrqual cagione cieco fu/Te diuentafo, il che non fece Homero; per il che fubito fece quei uerfi,>^Non fu uer quel parlarne in l'alfe naui Fuggendo, andafle alle troiane mura. Et cofi fatto un'altro poema di nuouo al conai trario di quello, che prima comporto haueua,fu bitoglifurendutoil uedere.Ma io in quefto farò più fauio d'ambe due loro, per ciò che innanzi che male alcuno mi interuenga per il hh fimo, che all'amore ho dato, mi sforzerò dire il contrario di quello, che tu hai udito r il che facendo mi uogli fcoprire il capo, flC non uoglio tenerlo per uergogna afcofo,come ho fatto nel mio primo ragionamento. FED. Tu non mi puoi fare ò Socrate il maggior piacer di ques fto. SOCR. Telcredo, perchetu tidebbi ricordare con quanta poca uergogna habbiamo letto quelle cofe.che il libretto di Lifu contess "^Tieua,fiC quanto anchora fciocchamente io hab^ bia ragionato di amore. Per che fe qualche huo mo di generofo animo, modello, che al pre:s fente ama(Te qualche fuo uguale, ò uero per lo addietro l'hauede amato, ci haueffe fentito dire, che gli amanti fanno per Iteui cagioni nafcerc grandiiTime nimicitie^flc che fono huomini in^ niàìofi^a noccuolia gli amati, certo clic egli harebbc pcnfato udire tanti huomini auuezi fo Io,flCalIeuati dentro alle naui,liquali nonco:s nobbero mai un uero,fiC gentile ancore: CC unaperfonafauia non ci concederà in modo alcuno, che quelle cofe fieno Licre, che in biafmio d'sts: more habbiamo ritrouate. FED. Certo che,io crcdo^chc tu dicail ueio per mia fe. SOCR. Et però temendo, che qualche huomo cofi fat^i lo, non rhabbia à fapcre, fichauendo anchorz paura d' amore, defidero lauare^fli nettarela mea tc.ÓL le orecchie noftrc di quello amaro, flC no^, ceuole ragionamento, cbe habbiamo fatto, con qualche altro più foaue parlare, & al gufto no:2 ^ftro più giocondo. Lo fo anchora pergiouare à lifia,perfuadèdogli che cglifubito debbia fcri:^ ucre.che più toftofi habbia da fodisfarc à unoamante,che à uno che non ama, quando l'amor re è tra li fimili. FED. Sappi certo, che egli lo farà, per ciò che dipoi che ti barò fenti to lo;:.dare l'amante, farà necefrario,che io lo sforzi à criuereanch egliii medefimo. SOCR. So certo, che ti uerrà 6tto fin che durerai dVfferc co mefei alprefente, FED. Hor dì adunque arditamente. SOCR. Hor fu; douc è egli quel fanciullo, col quale dianzi ragionaua,ac:s ito clic egh oofi ancìiora cfue^o mio nuouo pire lare, che fe forfè non infendelTe altro cIa me^ cercarcbbe anch' egli lemerariamente fare pia:: éere a.chi non Tama, FED. QLieftofaticiulis lohauendotelo finto,tì è femprcappreflo: gni uolti^che louuoif SOGR. Fa aduns: quc conto fanciullo mio gentilesche il mio pr^ mo ragionamento Cu flato detto dà Fedro Mirjs rinefe,figh(ioIo di Pitoclc,ÒC queflo che hora di ro^da Steficoro.figkuolo di Eufemio,fauomo degno d' eiTere daciaiciino amato.il qual ragio namcnto in quefto modo cominceifemo. Quel ragionamento non è uero,ìneI ^uale fi è detto, che per edere l'anì^inte pieno di fiiWc^À quello, che non ama da tal furore lifae^s ro,fi debba mjggriormente fare cofa grata m pri feotia d^i un'amante, à chi non ama, che per iì contrario: per ciò che fe fuflè in tutto uero^che il furoretuifecattiuo,haremo per certo ragioncj» uolmente parlato. Ma io ti uoglio dife,,ch^mol tì.ac grandiffimi beni ci intcraengonoper mcjs zo del furore, concefTo certamente folo iptxbt^ neficiodiuino.Etchcfia il uero^ucdiche pri-? ma quella Sacerdote, che in Delfo predice il futuro, fiC qudla altra apprefTo Gioae Dodosc nco. fono cefliflimamente ripiène di furóre^non di meno hanno Tempre date molte, C(gran diflimc commodità i gli huomini di Grecia flC priuataniente, flf publicamcnte: ma mentre che da tal furore fon libererei fanno o poco, ouero nefTuno giouamento. Et fc io uoleflì horara^s gionare delle Sibille, &dituttiquegli altri^chc hanno per uirtù diuina indouinato il futuro, flC feiotiuolefli dire cjuanfo eglino predicendo molte cofe da uenirc,habbino giouafo, troppo farei nel mio parlare lungo, ol tra che io direi co fa chiara à ciafcuno. Non di meno par cofagiu^ (la dimofl:rare,che li noftri antichi, li quali pos: fcròi nomi alle cofc.uiddero.fif conobbero, che il furore non era cofa brutta, o uituperofa che fc gli haue(Tero altrimenti penfato,non harebbo:^ ^ noqucfta arte perfettiflima^con la quale il fu:s turo fi conofce, chiamata ^àyiKHv » che tanto uuol dire, quanto furore diurno: per eie che il furore uiene à gli huomini peruolontà diuina, & pero parendo k coftoro,chc fufle come è quers. fto furore, un gran bene,à quefta fi honcfta arte uolfero mettere un fi honorato norhe. Ma hogs gi quefti pia moderni interponendo i quella uoce un poco confideratamentc hanno qn erto furore chiamato fuy-v7JH«f, che uuot ^ire arte di ifadouinare.d: non furore. Et hai da fapcrc,chc il modo dello indoufnarc il /ufuro^' che hanno gli huomini priui di quel furore dis aino,pcr uiadegh uccelh^flf delle conietturc, parendo à efli,chc procedere da difcorfo huma^ nojl domandarono oÌovohsìkh: ma quelli, che fon uenuti dipoi, mutando Io piccolo nel Io6)grande,]' hanno con più honefta uocc chiamato oiqvisihm Et pero quanto è più perfetto,a: più nobile lo indouinare per uirtù dinina,chc per coieffure,flC per uccelli, tt qiun fo il nome diuino,chc è /xocvmK?, c più de^ gnocheThumano^cheè fMy^Kug, ftpiuun opera, che l'altra perfetta, tanto i noftri antichi hanno detto, che il furore, che uiene dal ciclopc più degno, che la prudentia^flC l'arte humana. Tu debhi purfapere,che già per riparare alle grandi infirmiti. che ueniuano,flC per liberarci da qualche auuerfità troppo grande, che alle uolte per gli antichi errori li popoli minacciai uano,ueniua à una certaforted'huominique^ (lo furore diuino non fo donde. Et da quellconfigliati,queirimedii ritrouauano,che erano alla falute loro neceffarii^facendoli quel furore ricorrere alli uoti.& alli preghi, al raccoman^ darfi à Dio: per quefla uia impetrando mife^ f icordia/i rendeuano da ogni infirmità.dCpe^ rìccio fahii CT per quel te nripo,* pcrquc1To,chc haueua da uenifc: K cofi acquiftauano.fiC rice:^ iieuancpfrmczodi qucfto furore dal' cielo la sflblutione del II errori loro, pur che di furore de gno,&: buono fuffeflo ripieni. Il terzo furore è quello,che uien? dalie Mufe, il quale rapifcc.J'i^nima altrui, anchor dafimile forza non più of fefa,a cefi la fjfiieglia.flC k infpira. Per il che è per uu di cantico facccdo qualche t^pbile poe fia, ornando con Ufuoi numeri, fiffcriucndouirs finiti ùtti òc gli antichi, per tal uiainfegnaà colorii, che dopo Ihì uerranno. #Jf quello, che fenzail furc^l delle Muk ha ardire di accoftarfi pure alla porta delb poefia,fidajndofi per quaU che fuaingfgnofà arte haiieicà diuentar buoi^ poeta^ti d'jco,che qiicfto tale 4 fine farà tenu:^ to fciocco: a lapoefia di un'hUdmoda que:s furore hbero, «i^fce finalmente uana, fit, fenza fugo alcuno, i couipararione d/ quella^ che da un' huorao funofo è ritruouata. Tut:^ quefli, a molti altri' nobilj/Timi effetti del. furor djuifìo tipofloio raccontare: per la qual cofà noi non hsbbiamo hoimai più da temersi rè ua furiofo.Ne aTgomento-^ò neramente ra:?- gioac alQU<w.CJllM da fpau. Gntarc^moftrandoci clìepiu foflo fi Iiabbfa ad eleggere un'amico prudente, & fano,che uno incitato, flC furiofo. Ma lafciamo andare quefto.jMoftiimi coIlui,fc può, flC in quefto uincami, che i' ancore non fia da Dio (lato truouato per utilità dell' aman^s le.flC dell'amato. Doae io hora per il contrae rìogli uog!iomoflTare,chequcflo tal furore e flato dato da Dio à gli huomini per una gran^ difllma (cìicità.LsL qual mia dimoflratione à quelli, chehtigiofi fono, & che ogni cofa tropss po minutamente uogliono' fapere,tt che ogni cofa uituperano,fiCà ogni cofa appongofièf. fàà rà forfè incredibile: ma afii faui farà il con^ frario. Ma prima che à quefto ucnga,ci fa di bifogno, confiderando bene le operationi,fiC gli affetti dell'anima humana, fiC diuina, troitare la uerità di quello, che intorno à lei fi può ra^ gionare,flC difputarc. Sari adunque il princi:? pio di queda mia dimoftratione cofi fatto. OGNI anima c immortale, per ciò che quella cofa, che fcmpre da fe fi muoue^queU. la douiamo direefTere immortale: ma quella co^ fa,che altri muouc,tì: da altro è mofra,con ciò fia che ilfuomoto fia terminato, ha anchora il termine, 6: il fine della fua uita. Et pe:sr rò folamente quella cofa^ che fe (leda muoue/ per ciò che mai non fi abbanclona.nonfi rcfta mai di muouere^anzi quella e fonte, ££ principi pio del moto di tutte le altre cofe.che fi muos: iiono.Ettufai,cheil principio è fenzanakis: mento alcuno; per ciò che egli è neceffario, che tutte le cofe^che fi generano, nafchino da un principio, flC quel pnncipio non ha altro prin^s cipio: per ciò che sci principio nafceffe da qual che altra cofa, non potrebbe gii nafceredaun principio, cfTendo il principio egli Ma cfTendo il principio fenza nafcimento.è necffTario che;inchorafia fenza mancamento, o fine alcuno; per ciò che fe il principio mancaffe,© morilTc^ non potrebbe più ne egli nafcere da un'altro,, tie un'altro rifufcitare da lui, con ciò fia che fu neceffario, che tutte le cofe nafchino da un pria cipio. Se adunque il principio è un moto,chc inuoue fe ftefro,queflo principio non può ne mancarcene nafcere da un'altro* & fe altrimenti fuffe, farebbe neceffario, che tutto il cielo man:s caffè, a fi diftruggeffe,flC ogni altra cofa creata» ^oltra di quello non fi potrebbe mai fapere on^ de quefte cofe nafchino, & da chi fieno moffe^ Adunque effendo chiaro, che quella cpfa^che fc flefla muoue^è immortale, non harà da temere di due il falfo.chi affermerà che la fuftantia del l'anima è cofi fatta;Ia ragione è quefi:a,chc ogiiìi corpo, che ha il nìoto da altri,è corpo inanima:^ to. Ma quel corpo, che ha il moto in fe ileffo^. & per (e fi miioue, quello è animato: fimilc» adunque puoi penfare,che fia la natura dell'ara nima. Et però (e gli è uero.che altra cofa non fi truoui,che in fe fle/Tafi muoua, fuor che Tanis: ma,di neceflìta ne fegue, che I anima Tia fenzi principio, fiC immortale. Dell' immortahtà dela l'anima habbiamo detto affai. Voglio bora u:: gionare della fua ideà;ò aero della fua forma,» ìmagine in quefta guifa. Se io uolefli narrarti tutte le Tue qnalità, CJ particularità, bifognareb:à becheio (i\([ì un'huomo diuino, fiC poi farei troppo lungo. Ma può bene un'huomo motà tale,comcfonio, defcriuere una certa fimilitua dine,flC figura di quefta anima, flC quella porre dauanti à gli occhi; & à far quefto,fari cofa pia breue,che à entrare nelle altre diffic ulta, che nel ragionar di lei fi ritruouano. Et però diremo per bora cofi, Facciamola per quefta uolta fimi^i le à un carro alato, che habbia il fuo rettore: la qua! figura ci è affai nota, flf (a intendiamo be:s nifijmo. Hai adunque dafapere.che tutti li cast:Ualh\flC li rettori de i carri de^li iddii fon buo^ ni,tt nati df buoni •De gli altri^che non fona fddii, parte fono buoni, & parte non. Primierajf. mente colui, che dell'anima. della mente norx j ftra tiene il gouerno, raffrena, guida, flf corrfg:^ geli duecaualli, cbe il carro noftro tirano con. le briglie in mano.Oltra diquefl:o,un di quefti duecaualliè buono.fiC bello,flC nato di ftmilfó Taltro è il contrario, & nato di contrarii. Per ii che accade, che quefta noftra moderatione,flf reggimento di caualli fia di ncceflifà difficile. Hora mi uoglio sforzare moftrarti breuementc. perqual cagione fia detto un'animale mortale, 6: uno immortale, Ogni anima ha cura di tuts?: i to il corpo inanimato, flc difcorre per tutto il cielo bora pigliando una forma, bora un' aU fra; fiC mentre che ella è anchora perfetta, « riaij tiene le fue ale intere inalza in alto,fiC gouer:P na air bora tutto il mondo. Ma quella anima, alla quale fieno per qualche cafo, come ti dirò^ cafcatc le 3lc,rouiDa al bado, ne mai fi ferma, fin che non fi intoppi in qualche corpo fohdo,clic la ritenga. Quando poi quella anima ha trouas^ to doue habitare,* ha per fua ftanza prefo qual che corpo (errenp (il qual corpo fabitp che ha, in fe quefta anima, par che comincia à muo^^ ucrfi,macpera lapotentia della anima, che lomuoue} muoue) ali 'bora tatto qucfto fi chiama ani? male: & qucfta anima unita infieme con un cor po terreno, come ho detto, U un'animale.il quale fi domanda mortale. Ma il corpo immorj: tale fi conofce non per ragione alcuna per ora' didifcorfo ritruouafa.ma quel, che fi dices'd fingono gli huomini da fe ftefli; perciò che quefto corpo non lo habbiamo mai ueduto. ne à baftanza ci è maj flato dato ad intendere, Ids dio adunque è un certo animale immortale il quale fenzadubioha ranima.flcfimilmentc il corpo, flCquefte due cole fono liate per natura in fempiterno infieme congiunte. Ma queflc cofé bifogna dire che fieno, come piace i Id* dio, a ragionandone, à lui bifogna' riferirfcne. Hora ci rcfta à dire per qual cagione le ale caa (chino all'anima. Tu ha» da fapere,che la nas tura.ef il proprio delle ale di quefta anima.é il- leuare il graue in alto uerfo quella parte del'cics lo, la doue habilano gli iddiU Sappi anchos ra, che di tutte le cofe.chc in un corpo fi nst truouano, ranima,piu d'ogni altra cofa.della diurna cognitione è participe. Qiiefta diuinità tengo io che fi pofli dire, che fia cofa bella.iaa uia, bHona,flC ciò che i tali cofe c fimilc.Da quc* (lo adunque prindpaimclìfc fc ale dell'anima fono nutrite,* per quefto più che per altro crc:s fcono,flC mchora per le cofe brutte, flC trifte>ac per le altre à quelle'contrarie, che di fopra ti ho dette, mancano, fl£ uengono à niente. Oltra di quefto hai da intendere, che in cielo è un gran Principe^il quale fi chiama Gioue. Coftui pd^ mo à tutti gli altri, guida con uelocità un fuo carro alato, ornando, fiC affettando ciafcuna cofa,. ce con fomma diHgentia al tutto procurandoé Dopo coftui feguita lefercito de gli altri iddiì^ femidei,fiC fpiriti diuini, diuifo, flC ordinato in undici parti, 6C folamènte nella cafa de gli iddii f cfta la Dea Vesta. Ma gli altri iddii (dico fola^ mente quelli, li quali fono poftì nel numero de j dodici ) fe ne uanno ordinatamente, fecondò che fono difpofti,& ordinati. Et hai da fapere^ che dentro al cielo fono molti fpettacoli,fiC mol ti uiaggi,difcorrendo Intorno fi fanno diuinifTì^ mi,& beatifTjmi: alli quali i beati iddii femprc ftanno intenti, & ciafcuno fa quello ufficiosa! quale è fl:ato pofto,CC che gli fi conuiene. fiC cofi ua feguitando ciafcuno iddio fempre potendo ugualmente, uolendo: per ciò che dal diuin choro è femprc ogni inuidia, ogni maleuolen tia lontana, Quando poi fe ne uanno al celeftc cofluifo, ce à guflarc le diuinc uiuande, all'ho:: ra inalzate, & già in alfo afcendendo caminano per la circunfèrentiade i cieli. Li carri delli do5 dici iddìi bene accónci, flC aflettati, con le briglie de i caualli uguali, flf parimente da ogni banda pefando, fàcilmente caminano. Ma gli altri carri che cofì no fi truouano.à fatica fi poflono muo uere: per cicche quel caualio trifto è dalli uitii aggrauato,6C cofi uerfo la terra fi p^^ga, & feco il carro, & il rettore à forza tira.fiC quefto à quelsj li rettori interuiene,che j1 caualio non buono, hanno troppo ingraflato,fiC alThora patifcono le anime una fatica eftrema^fic fono in un graridifs fimo combattimento. Per ciò che quelle anime; che fon chiamate immortali, ciò è quelle, che no fono dal trifto caualio sforzate, quando allafom miti giunte fono,allontanatefi dalle altre, fi fer mano nel dorfo del cielo, fiC quiui pofatc,fono dalla circunferentia attorno rotate: ft quefte fos: no quelle anime, che ueggono quelle cofe,chc fuor del cielo fono pofte, Et quel diuino luogo (opra tutti li cieli non è anchorada alcuno dei noftri Poeti flato fin qui lodato: ne alcuno fi tro uerà,che mai quanta egli menta, lodar lo pofla. Quefto luogo è fatto in un tal modc(& mi met^: to i dire quefto; per che parlando della uerità, pofTo tiene hiuctt ardire di dire il acro ) è adun que fcnza colore, fenza figtira alcuna. non fi può toccare.è una cfTcntia; la quale fola fi può dire.chc ucramcntc fiaft qucfta effentia fola» mente li Icrue dello intelletto, guida, flf gouer^ Inadore dell'anima, il quale intelletto femprc fta in continoua contemplatione del (omwo bello^Etla uera fcientia, flCil perfetto fapere altro luogo non ha, che quello, che c pofto ins: torno i quefta effentia ucra,£c nella fuacognfc ttònc. Come adunque il penficro^a: la contems plationc diuina è poftafolo intornò i un'ina tellettopuro, fiCà una fcicntia immaculata, cefi il penfiero, flc la contemplatione d'ogni ani^: ' ìna,che habbia i pigliare che corpo, ò forma fi uoglia (pur che à lei fia conuenientc ) rifguarp dando per qualche tempo in quella efienfia, che io dico, che fola fi può dire che fia contea!? ta della contemplatione della uerità,di quella fi nutrifcc,a: di quella fi con tenta, fin che un'aia: tra uolta la circa nfercntia aggirandola, non la ritorni in quclmedefimo luogo.Et in quefto fuo aggiramento uede la giuftitia, con tempia la temperanza, fcorgc la fciehtia, K non uedc (jueftc uirlù come generate/flCpoftein uno,ò^in un'alfrc (Ti comé potiamo dire ) che fiend quelle. che noi qua giù confiderandaci paio^ nouirtù,ft cofi le chiamiamo, ma uede quella iiera fcientia, che è in colui, che folamcntcfi può dire che fia.-flCinquefto medefimo mo:s do ucde, flC contempla tutte le altre uirtù,chc fono uirtù ueranente. Quindi di quefti cibi nutrita, a fatia. ritornando di nuouo dentro al cielo, fc ne ritorna à cafa, dalla quale dianzi fi parti: flC dipoi che è ritornata, il Rettore mets: fendo li cauallr nella ftalla à ripofarc.gli da:per cibo T Ambrofia. (JC gli fa bere il Nettati:rc,fif quefta è la uità de gli iddii/te altre ani^.-jne poi, alcuna che dirittamente ha gli iddìi feguitato,6tta che è à lorofimile, fa tanto, che:4inchora ella inalza il capo del fuo Rettore à ^uedere quel bellifllmo luogo, che iotihodet^: oefTer fopra li cieli rftcofi ancho ellainfies» me con gli iddii è dalla circunferentia de i cicjs li aggirata, a portata, ma à T ultimo dalli cauals: li e trafportata fuor della uia: talmente che à grandiflìma fatica può mirare quelle cofe, che in quelli Iuoghj,di uentà piene fi ritruouais no* Alcuna altra anima hora il capo del Ret^ Jore in alto leua^tt hora la abbafTa: onde daU £ ini Ifcaiialli sforzata, parfe ucde quel bcne,flf parte non. Et le altre anime tutte ugualmente defiderando ftar di fopra feguitano quefte tutte ins, fj fiemc confufamente: a non potendo in alto le:: I uarfi,premendofi tra loro, fono à torno portate: ! fCcalcandofi^ficrunaialtra fpingendo,ft ciafcu i:na quanto più può di pafTare innanzi sfor7an5; dofi, fanno tra loro grandiffima contefa:.onde j ne nafce un romore,un. combattimento, una fafica grandiffjma: nella qual con(éfa,per uitio, ce difetto de i rettori, molte fi azoppano, molte delle altre rompono le penne delle ale,a al fin tutte dopo un;i lunga, flC gran fatica, fen za p 0:5 ter pur uedcre quella effentia diuina.che io di:^, co, che è ueramente,fi partono, flC dopo quefta lor partita fi pafcono folo d'opinione, non potendo quel fommo bene per altra uia conofcerc: a ciafcuna fi sforza, quanto può, di poter haue:5 re quefto cibo,defiderando conofcere doue fia il bel campo della uerità. Per ciò che di quefto prato la natura dell'anima per fe fteffa ottima, xaua conucniente cibo,Cf di quefto fi nutrifcc la natura delle ale,con le quali in alto fi leua^ La potentia diuina poi (la qual non può in al:^ <un modo fallire ) tiene quefta regola, che cia:^ felina animaja quale mentre che gli iddii ac:$compagnaua.C6mpagnaua,puotc ucdèrc qualche fcintiTIa del la uerità, quefta tale dico, uuolc che per fin che un'altra uolta non fia dalla circunferentia aggi^ rata (come ho detto difopra ) fia fuor del perb xólo di perder le ale, òdi riceuere danno alcu» no:fiC fe Tempre potefle girando quella uerità uc •dere,non farebbe mai in parte alcuna offefa,Ma fe non potendogli iddii Seguitare, non fi fuffc potuta condurre i uedere quel fommo bene,flC per qualche cafo contrario ripiena d' ebliuione, ce di malignità fuffe dalli uitii al baffo aggraua:^ ta,flC in queftoabbaffarfi.a deprimcrfi rompete fi le ale, fiC cefi rouinando in terra cafcafre,al2s rhora la diuina legge uieta,che quefta tale anb ma la prima uolta, che qua giù à forma alcuna -s accoda, fi uada ad accompagnare con la natus ra di beftia alcuna fenza ragione, ma uuolc, che •quella anima, che molte cole fa in cielo habbia uedute^uadaà trouare lageneratione d'un huo tno,che habbia da effer Filofofo,ò uero defiders rofo di belleza,ò uero Mufico, ò uero d' un huo modato alle ccfe d'AMORE. C^ell'altra, che non ^quanto la prima habbia ueduto, ma nel fecon:5 do luogo fu pofta, comanda quefta legge, che difcendainuncorpo, che habbia da effereRc per legge, fiC ragioneuolmete ò uero in un bua iao dato alle guerre, flC atto ad efferc Impera^s <lore,ò Capitano Quelle poi, che nel terzo Iuoj: go fi fruouano.ordjna che fi mettino jn un huomo.chc habbia da efTere gouernatore d'una Rcpubhca^òuero in uno, che debba difpenfa^ re,ft diftribuire la robba.ft hauer cura della fajs miglia, ò in uno,chefia dato al guadagno. Quel k.chcpiugiu tengono il quarto luogo, fe ne uarino in un huov(}o,Ql}€ hsihbìà da durar ùth.ca,òaeroin uno, che fi habbia daefercitare in^: torno alla Medicina, fif alla cura de i corpi.Quel Ic,che più di foltonel quinto luogo fon pofte, é s'accoftanoà coloro, che debbono fare l'arte di indouinarc,òuero di augurare per uia di facrb jficii,ò d'altri mifteri, Quelle, che la fefta fede tengono,defcendono in un'huomo,che hab:s bia da diuentare pQeta,ò ucro in uno di coloro, che fono nati ad imitare altrui. Quelle, che fono le feftime dalle prime, uanno;fn uno.che habs biada efTere òartefii^e^ò agricoltore. Le ottauc in un fofifta,òucro in una perfona plebea.flC iiile. Quelle finalmente, che nel nono, flfultis: mo luogo fi ritruouano.fc ne uanno a diuentare uno, che debbia efTer tiranno. Et in tutti quefli •fiati di Ulta qualunque giuftamente haràmes». -fiato i giorni fuoi.dopo la morte harà miglior forte, clic quelli, che friftamcnte fono uirtuH: flf quelli, che ingiufti fono flafi,uannOÌ pcg:^ |fóré fl'a(o,che colore), che fono ftafi buòni: pei d'oche non ritoma Tiinimatn quel medefimo luogo,dcnde prima fi partì. più preflo che ih fpatio di dieci hhirlia anni.Per ciò che auanti i queftofpatiodifefnponon può racquiflare le àie, fuor che l'anima di coluj,che uitiendo hà fenzauitio alcuno atfefo alla Filofofia, òuer«5: mcnfeha amato la helleza^fiC infieme grande^ ifnente defiderafo la fapienfia: per ciò che quei ftefali arfime/enza dubio alcuno, dipoi che ^treuolte fono paiTate mille anni (purché efs Icno^ uoglino dopo la prima morte, tre uolte tornare in quefta uita ) all' bora hauendo rac» quiftate le ale dopo tre milia anni,al cicl uo^ landò fi partono. MoHé altre aniine, morte che fono, la prima uolta fono da Iddio gJu^ dicate, a dannate r ttcofi giudicate, altre an^- dando fh^un'iù'ògo,il qaaTé ne! cèntro dcU la terra è porta per punit»one delle anime cgitti tiue.quiui patono del fallir loro meritcnoli pe:» he. Altre pòi dal giudicio dìuino innalzai te, in certo luogo del cielo forio in quel modo trattate, che fi hannoqnagiu in terra uiucns do meritato: flf poi tra mille anni qucfte due- forti d'anime, ritornando al mondo fi eleggono una feconda uita,ec ciafcuna può pigli^rfi queU la forma, che uuole. Quindi uienc, che l'anima humaha pafTa alla uita d'una beftia^flC dipoi dunabeftiadiuenta di nuouo huomo,pur che quella anima fia (lata un'altra iiolta in un'huo mo. Per ciò che quella anima, che non harà mai ucdutaìa uerità, òpoco,b a(rai,non potrà mai pigliare la humana figura: per che bifogna che quello, che l'huomo mtende, l'intenda per me:s zo delle fpetie delle cofe,che dauanti gli ii ap:5 prefentano.a quefte fpetie per uia di molte, ÒC uarie cognitioni nella mente noftra raccolte, fo^ ijoalfine con difcorfo infieme pofte,eCc9m5s prefe. Et quefta cofa altro non è, che la rimems: branza di quelle cofe,che già Y anima noftra in C4elouidde,air bora che infieme con iddio era perfetta.-a quando ella fprezaua quelle cofe,che noi fcioccamente diciamo che fono,riuolta fola:? mente allcontemplatione di colui, che è uera mente. Per la qual cofa l'anima folo del Filofoss fo meritamente racquifta le ale.per ciòchequan to p-r un'huomo è poflibile,fempre con la mera móna fi riflringe,flC fi accofta à quelle cofe^allc quali accoftandofi,(5f riftrfngendofi iddio, è di^ uino» Colui adunque, che farà quefta confide^, ratione din'ttamenfe, & ragioneuoImente,flC cefe cherà fempre di nempirfi la mente di qucfti cofi pcrfet(i,fi£ fanti mifteri, quefto folo diucnterà perfetto. Et cefi diiiifo dalli ftu di, che fanno gli altri huomini,flf accoftandofi alla diuinità,è th prcfo,flC morfo dal uolgo,comc fe egli fufle ufci to di fe. Ma egli ripieno, flC ebbro della contem plationc di Dio, non fi lafcia cònofcere alla mol titudine. Per quefto adunque ho fatto io qùc^ fto mio ragionamento, il quale è porto intorno alla quarta forte di furore-peri! qual furore quan do alle uolte uno di quefti tali nel uederequa giù qualche belleza, fi ricorda di quella uera, che gii uìde in cielo,rimettc fubito ralc,fiC cofi rimelTe che V ha, fi sforza,quanto puo,uolando al cielo inalzarfi. Ma non potendo ciò fare^coje me gli uccelli po(rono,guarda,flC confiderà pur uerfo il cielo, fprezando qucfte cofe bade «onde ne è biafimato fiC ne riporta uergogna,dicendo:j gli ciafcuno,che egli è poco fauio,flC ripieno di furore. Per la qual cofa quefta diuina separatio: ne dell'anima dal corpo è fopra tutte le altre, che interuehire ne poffano migliori, Et da ca:^ gioni ottime nata,d: non folo è gioueuole à chi in tuttolapo(riede,ma à chi qualche poco ne participa. Et coiui,che di quefto iurore fanto.tt |>uotio è ripiano, con ciò fia clic egli afmrla bel:? ilcxa.quefìo ueramente fi può dire arhantc. Per ciò che, fi come ho difbpra detto.ogni anis ma huroana già ha iieduto quelle cofe, che ue^ ramente fono: per ciò che fe non le haueffe uc jàiite, non farebbe difcefa in quefto animale hu mano: & non, è f^c^le i tutte le anime ricor:i darfidclfecòfedilàfù.per uedere quelle/cbc qui fono. Et prima lo poflono mal fare quelle; che per breue fpatto di tempo fù in ciclo gli fu conceffo uederic: dipoi non è conccfTo anchora quelle, che nel mondo uenendofono fiate ina felici, ce Ila nno hauto mala fortuna: di modo che corrotte da alcuni coftumi cattiui.che qui pjgliano/ifccrdano in tutto di molte cofe (st^ gre,©: buone, nelle quali in cielo erano gii ammacftrate. Perii che poche anime fi ritruor? uano,che àbaflan2a delle cofe celefti fi ricors dino. Ma quelle poche quando tal'hora qua giù- scorgono qualche iomiglianza di quelle cofe che in cielo gii urdderò, fi ftupifcono, ftquafi cfcono di fe. Et non di meno non fanno don^ de quefto lor mouimcnto proceda; per ciò che non conofcono in tutto la uerità.ne a baftanza fe ne ricordano. Ne pct/amonoi fcorgere,menp tKchcqyagiàftiaDoioin quelle fi^ure, imaa gini,fplrndòrucro alcuno di giuflitia, di tfmp< ranza, fiC delle altre uirtù,che gl'animi npftji J)<^ norano.flC amano. Ma per certi inftruirenti,fiC fxìczi imperfetti ofcuri à pena pochiflimi huomini accoftandofi pure alle imagi ni> di iq^cl le uirtùcelefti,che nel mondo fi ritruQuano, tifguardanoin qaelle imagini quella forte, di uirtù,che fimile imagine gli. rapprefej?ta. ali' hora ci era lecitc,<X conceffo uedere una chi^ riflima^flC pmiflìma belleza, quando con quel beato choro fegiutando noi quella felice uìGq:» ne, 6: quella fanti/Tjma contemplatione. della quale dianzi fi ragionai, noi infiemc conGio:^ ut,& ìt aìttc 2nitrìc inficmecon qualche altro iddio, fecodo che era ordinato, pQtcmo con teni:^ piare la diuiniti: flC quando à quelli miftcri,fl£ cofc fagre dauamo opera, li quali potiamo ragio iicuolmentc dire efTer più di tutti gli altri miftc ri fagri,flC beati, alli quali all'hora noi poteuamq attendere, quando anchora immaculati. flC nò of fefi da mille mali efauamo,che poi habbianio in quefto modo prouati.Onde confiderando all'ho ra quelli celeftì fpcttacoli cafti,femplici,durabi li^tt beafi^poteuamo beniflìmoà tal fanto efcr^l tic fcruirc ftado noiin una luce pura pun^ttfen M machia alcuaa,Iib^ri,&fciolti da c^uedo^chcWtor chiamiamo <;orpo,il qiul crbifogna ì torno portarci noftro mal grado, efTendo à quello le:5 gati,6f in quello rinchmfi à guifa d'oftnchej ce quefte cofc non fi fanno, feno per uia di mc^: nicria,per che noi ci ueniamo à ricordare delle cofe padatecdallaqual ricordaza hora io fon fpin to: ce efortato perii defiderio) che ho di quelle xofe.che già ho altre uolteuedute, ti ho fàtto queflo ragionamento, Hora la belleza(come ti ho detto ) quando già erano le anime in cielo,^ Infieme con loro caminando rifplcndeua,fiC di poi, chequi fumouenuti.rhahbiamo riconos fciuta, per ciò che ella chiariffimamente rifplen:? de,& fi moftraà quel fenfo dellj noftri,che più •di tutii gli altri ha in noi forza, flC quefto é il feri fo del uedere: per ciò che quello é il più acuto di tutti gl'altri noftri fenfi^che permezo del tòVpo fon cagionati, col qual corpo, flC con li quali fenfi non fi può cognofcere.nc uedcria fapientia: per ciò che ella farebbe nafcere in noi ìun'ardentiffimp amore di po(rcderla,fe un qual chcfimulachro, òimagine di ki dauanti à gli occhi manjfefìamcnte ci fi pofgefTe: fiC il medefi mò potiamo dire di tutte l'altre cofe,che fono degne de/Tere amate. Non dimenolabellezsi fok ha jpiu dellaltre haute quella preminentfa^^ che ella più;d- ogni altra ci fi fa uederc,& piu che ogni altra cofa ad amarla ci muoue. Et però colui, che dianzi non atteie à quelli fagri miftc;? ri, ch'io ti difli,anzi più tofto e, dando qua gm^ corrotto da quefte cofe bafle^non cofi preftofi inuoue,fiC leua ranimo all' amor di quella bels: Ieza,anchor che qui uegga una certa fc^iglian za di quella, che da quella eterna il nome pi:^ ghando pur belleza fi chiama. £t per quello nel uederla non l'ha in ueneratione, flC non l'ha nora,maà guifa d' una beftia.dato folamente al piacere, uorrebbe pure à quella belleza acco:5 ftarfi, flC generare, & produrre figliuoli: fiC cofi importunamente afTaltandola, non teme punto fargli difpiacere.ne.fi ucrgogna dandofi in prc:? dai quel fuo difordinato appetito, pafTar gli or^s dini della natura, Ma colui, che alli detti mifte;^ ri poco fa diede opera, fiC che già in ciclo con^ tempio, molte cofe degne, flC (ante, quando egli uede un uolto ben fatto,ft di belleza diuina ot^ nato, il quale perfettamente quella diuina, & uc ra belleza rapprefenta,ò uero quando contems? pia nò pure il uolto, ma qualche altra parte ben fatta del corpo, primieramente fi empie dihorrs rore,fiC tofto teme di lui, come fe fufleunacofa (ckfte già dalui pa altri tempi u^duta: quindi più minutamente rifguarclandolò come Iddio lifaonora.flC fé egli non temefTc di edere accuiaj«; to per matto, ti dico che egli non altrimenti aUj L’AMATO SUO facrifìcarebbe^chc farebbe à una fta^r tua di iddio. Et mentre che egli pure il contem pla/ifentequcU'hprrore. del quale era pieno, in fudore,fl(in ardore conuertire, dal quale in brcuc tempo tutto fi truoua occupato. Per ciqr che air hora,che egli per gli occhi beue quclU bcllcia Cubito tutto dentro fi riicalda: dal qual caldo la natura delle penne della lua anima é co me matfiata,a dipoi che egli è bene infuocai^ to,fi intcncnkono quelle parti delle ale,clic pullular doueuano.ac che dalla dureza riftrctte, metano alle penne il poter gernpogliare. Qjiianp do poi per gli occhi e ben penetrato il nutrìs; nicnto di queftc alenali' hora il germoghar delle penne, che prima comincia dalla radice i ingrof (àfC,ìmpetuo{amente per tutta 1 anima moftrarfi (i sterza per ciò che Tcinima era già tutta dalle pcnne copcita.fif da quelle io alto foftenuta} tak^^ in quello tempo ci anima tutta in grao dèiiìmo leiuore^tt uonebbe pure inaizarii: flC non aitranrti che làccino ifanciuUt. quali allW u che pruni mcttoiìo i depti^t^no da on certo iociOiC iMfitfi, aiiiciué dà un dolore delie gicQ gfc moleftatì.cofi l anima iicl meffere le penne tutta fi commuoucflffi riempie in un tempo dj piacere,» di moleftia. Per il che mentre che eia la uede un giouane bello, beucndo per gli ocs chi quel piacere, «quel defiderio chc da lu|'t uiene,airhora inaflìata.come ho detto, fi rifcalr da,flC all'hora nó fi duole. ma fi rallegra cifra mo do. Ma quando poi egli s allontana.flC che quefcl li meati fi rifeccano.per li quali l'ala uoleua ufcir fuon.allliora andi fif riftretti.uiefano il gcrmoa gliare delleale: di modo che quefta ala infieme2i con quello amorofo defiderio, parendogli elTcr dentro rinchiufa, uolendo pur' "faltar fuori dai (e flcfTa, richiude quei meati.donde ufcìr po* trcbbe fif fa che di nuouo ne nafce ali anirra nó poco dolore. Et pe^quéfto è tutta l'anima da ogni banda oii'efa,fiC grandemente dimoiata, mal trattata Ma ricordandofi poi di nuouo del? la ueduta belleza,in quello fi diletta.» di quel Io folo fi rallegra. Et cofi da ambe due queftc paffioni infiemc mefcolate.ciò è da quello sfor* zamento.ec impeto di rimettere le ale. & dalU maraiiiglia della piacciuta belleza è in un fems po moleftata.Onde piena di anfietà,<urio(à d/» licnfa flCè daqucftofuror in tal modo condotta, che ne la notfc può dormire, ne il giorno in lue go alcuno fermarfi, ma quinci, 6f quindi fi ags gira,fiC fi fbatte,mofra pure dal defidcrio di riue dcre quella bcUeza, la quale di nuououedcn^ tìo,& beuendoquel defiderioamorofo per gli occhi, CQmc ti ho detto, all' hora di nuouo apre, & ageuola quelle parti delle fue penne, che prtp ma erano infieme riftrette.fic chiù fé: fiC cefi àh poiché ella ha cominciato à rifpirare,fiCriha2: uerfi,à poco à poco fi hbera da quelli ftimoli'i ft da quelli dolori, dalli quali prùr^a era offef^é Tale che da quefto foaui/Tjmo piacere 6nto è in quei tempo uinta,che mai per fe da quelli allet^: tamenti non fi partirebbe, ne altra perfona più appreza,chc l'amato, ma fi fcorda del padre, CC della madre, de i fratelli, fif di tutti gli amici fuoirttfe tal' bora (come interuiene ) manda in quefto amoremale.ft confuma il fuo,non fe ne cura punto. Oltra di quefto fpreza tutte le '.amicitie,flC dignità, che haueua fuo padre, delle quali gli fi farebbe tra gli altri gloriato,^ fole fi contenta di feruire^fiC diefler foggietto àogni ''«olontà dell' amato, pur cbe egli pofTa efferaps: prefTo al fuo fuoco. Per ciò che non folo honoi^ ra,ficha in ueneratione quefto b^llo, chc tgli ama^ma anchora Io truoua ottimo medico d' gni fiu grauifTima paflionc. Quefto afFetto adun qac,2(quefl:o mouimento,b giouane gentile, gìihuomini l'hanno chiamafc ef^SiDC cioè amore. Et fe io ti dicelTe in che modo quefto amore è chiamato fu in cielo dalli dei, certamen te,che per cfTer tu giouane, harefli ragione di ridere. Et che fi^il uero, certi imitatori d' Hos: fnero compofero già due iierfi fopra quefto amo re.cauati (come penfo ) dalli fecreti.flC mifteri diuini,delliquali unoèin uenti affai goffo,flC poco elega n te, flC dicono cofi, Chiamano amor uolatore i mortali. Li dei alato, per che à forza uola., ^ A quefti uerfi in ^arte fi può credere, in parte non: ma fia come (ì uoglia,un tratto quefta^ che io di fopra ho detta, è la aera cagione damo rc,fiC lo affetto, flC la paffione de gli amanti; Ci però tutti quelli, che ameranno, h quali già fe^ guitarono Gioue,po(fono più fauiaméte,fiC più conftanfemente portare il pefodi quello alato, che io ti ho detto. Ma coloro, che già honoraro^ no MARTE, Ce fu in cielo infieme con lui andoro^ no intorno, poi che dall' amore allacciati fi truo^ uano,fe mai penfano di riceuere dall' amato in^ giuria alcuna, facilmente corrono à far dei ma^ lc,fi£ à uccidere; cefi furiofamente ò fe ftefli, è gTi amati loro priuano uifa/SimìImfnfc eia fcuno honoraquel roedefimo iddio, col quale già andò in fchicra: flC quello cerca fcmprc quan to più può, in Ulta fua di imitare, fin che egli non fi lafda da i uifii corrompere. & in quefto modo mena i giorni della prima fua uita,t3C cofi fafto a gli amati fuoi^flC à gli altri Tempre fi mos: ftra, Et però cfaicu nò, fecondo i coltumi fuci.fi elegge à amare uno, che à lui paia bello. Qujns: di,comc fé quello fufTe il fuo iddio, fe ne labri^ ca una imagine.fiC quellaorna & fa bella in quel modp,che fe à quclla,flC non ad altro idolo ha:? uedeà dare honcri,flCà facrificare» Onde co:5 loro.che di GiòUe furono feguaci,flf che quello honorarono, cercano d'amare uno. che Simiù mente habbia T animo giouiale: fiC per quefto / confiderano, prima che l'amino, molto bc5: nc,fe quefto tale è atto per naturatila FìIoì: fofia, òueramente al regnare, alle quali cofe Gioue inclina. Et poi che conofcmto(o,fiC ri:^ truouatolo tale, lo amano, fi sforzano con ogni ftudiodi farlo diuentare fimile al fuo iddio. Et fe forfè eglino non fapeffero per loro quel, che à gli altri uogliono inregnare, airhora ol:? tra modo fi sforzano, flC cercano di imparar fem:5 pre qualche co(à per qualunque uia gli è con:s cef?o: flf coli infiemtf con gli amati à queftrf coli honcfta.flclodeuole opera fi mettono, (alt che diligentemente ricercando, fif in fc fteffi inue^ ftjgando la natura di quello iddiojl quale ad honorarc fono inclinati tanto fanno. che al fu: re pur uengono a capo di quefto loro honc;^ ftodcfiderio. Etnon'c ciòmarauiglia,per ciò che eglino fono dall' angore sforzati à dirizarc la mente, ftconfiderare con intentione gran^ dilTjnia à quel fuo iddio: di modo che pur al fine ricordandofene, fono fubito di undiuino fpiiito ripieni: il quale fpirito fa, che eglino pt^.glino coftumi, fif ftudi tali, che in brcuc tem^s pofi fanno participi della cognitione di Dio, tanto però, quanto à un'huomo è lecito. Et per che di tutte quefte cofe fanno che ne è cas: gione l'amato, ogni giorno più ardentemente nel fuo amore fi accendono. Et fe cclloro th ceuono quefta diuinità da Giove (come anchoss ra le Sacerdoti di Baccho,cheda lui di furor fono ripiene ) infondendola tutta ncir animo dell'amante, in breuefpatio di tempo, quanto poffono. à Gioue lor proprio iddio, fimilifTimo Io rendono. Tutti quelli poi, che già in cielo feguitarono Giunone, cercano per amato loro un giouane d'animo regio: ilqual poi che han^ ìfìo frbuato.dfucntano Cmili à *q!iclli\che di fos prati ho detto.fiC uerfo di quello operano in quel mcdefimo modo» Oltra di quefto, quelli, che honorano Apollo, ò qualunque altro iddio, ciafcuno il fuo proprio iddio, imitando, cercano ' tutti un giouanc.che per natura habbi il medcsi fimoanimq^chc loro: il quale poi che hanno trouato, prima il lor proprio iddio imitando, poi alli giouani pcrfuadendo,che li medehmo faccino,flC moderandogli in ogni loro cperatio:? ne, fecondo il lor fine, quanto le forze loro com portano, di condurlo fi sforzano alla imitatione del proprio loro iddio, fiC alle loro fimili operai troni «Non portano coftoro alli fuoi giouani ìnis uidia,òmaleuolentia alcuna, ma con ogniftu^ dio fi sforzano di conformarli alla loro perfetta Ulta, ùmilmente a quella di quello iddio^ che ambe due naturalmente honorano. La cura ' adunque, & il fine di quelli, che ueramente fo5 no amanti (pur che eglino fi conducano à poÉs federe quel,che io ti ho detto, che defidcrano ) fenza dubio alcuno altra non è, che qucftachc io ti ho defcritta. Et è quefto fine per cagion del Tamtete per amor furiofo in ultimo all'amato lodeuole, 2C feliciflìmo.fe quefto amato farifi^ inamente prefo d'amore, £t per che tu fappu irCome un amafo fi conofce dallamor uinto.te Io;:dirò. In quefto inodo adunque qualunque ama ^(ofarà d'amor prelo, fi conolceri. Nel prii ci pio di quefta noftr^. fintione diuidemmo ogni anima in tre parti, flfdimoftrammo li caualli di;due lorti.ò: cofi ppncmo^fpiDjC due parti dell'ai fili ma, li Rettore fu poi la terza parte. Quefte me;defime cofe ci fa di bifogno cònfiderare al pre:? rfente,Già tu fai, che di quelli caualli uno ne è buono, flc uno trjrto; ma qual.uirtù habbia quel ivjibuon cauallo,fi(qual fia la malignità del trifto non Thabbiamo ar)chor detto^flf però bora deb biamo dirlo. Il caual buono è di perfonapiu ^ j.grande,(Sf più ben formato, ben compofto,flCà »^artei parte tutto ben fatto, con la tefta alta, le narici affai bene aperte, come quelle dell' Aqui^ 'la, di color bianchifTimo.coJi gli occhi negri,. defiderofo folamente di honore, fiC ripieno di temperantia,fiC di uergcgna, & amiciffimo del { aero; non ha bifogno di ftimulc^òdifprone al:» ccuno^ma folamente fi regge, fl£ guida con l' efor.Catione, & con la ragione. L'altro poi è torto, uario,CC malifTimo fatto, di una oftinata "oglia, }{b col collo bado, ha il modaccio fpàanato,^^ fchiaciato di color fuko,cò gl'occhi brutti,flC di color fanguigno macchiatile garofo^bcftiale, con le orecchie pelofe OC forde^flf à pena ubedi> fcc alle battiture, fiCalli ftimoli. Oliando adun^ quc il Rettore uede un uolfo degno defTer ama to.fiC infiamma tutta I anima del piacere, che ne fente,è fubito da una certa allegreza commofc fo, flC da certi ftimoli di defiderio. all'hora quel cauallo, che delìi due è al rettore ubedienfe,co me è fuo coftume, dalla uergogna raffrenato da fe fte/To indietro fi ritin per non andar' ali amac (oàd doflo. Ma l'altro non fi può far reftare ne con gli ftimoli.ne con le battiture, anzi auanti fi fcaglia,ft per forza il cauailo,che è feco con^s giunto, ac il rettore infiemc rcompigIia,flCà/cit mal grado li tira à uoler fentire il piacere, che da Venere fi caua. Ma quelli due nel principio no l'ubidifcono,fdegnati che dal rio cauallo à cofc indegne & ingiufte fieno à forza tratti.finalmefc lìoncefTando quello importuno diùxcil peg^: g/o, che j può, sforzati purfilafciano portare, flC cofi gli cedono, & Io contentano di fare quello^ che à lui piace; (ale che in qucfto modo fi ucn^i gono ad accodare al piaciuto bello, flC uaghegs.giano tutti infiemc il charo afpetto di quella, Ilqualpoiche ha bene il Rettorconfiderato, a poco à poco della uera natura di quella bclleza Ti uien ricordando^& cofi un' altra uolta^come già in del fece, col pènderò riiiede.mà u^clc quella nera dalla temper^ntia accompagnata, fiC ftabilita nel fermo fondamenfo della caftjia: però parendogli pur iiedcre quella uera,& diui na t'elfeza, comincia di lei riucrentcmente à tc^r mere; flc dairhonoiT.che gli porta uintojn tcx^ ra hufnilmente fi lalcia andare.-fiC facèdo qucfto, c sforzato di tal forfè tirare le briglie delli due ca ual!(,che bifogna che k forra dieno dellegropsc pe in ferrala uno di quelli per fe flelfc,ptf ciò che non fa ali' incontro sforzo alcuno, ft l' altro, che è tiif(o,fiC bestiale,C! na al tatto contrafua fcogliartì ariojifanandod poi da quella belleza^ iìV dì quelli per la uergogna,d marauiglia grafi che hahauta,tuttaranifnadi fudor lafcial^a gnatafiC laltro libero da quel' dolore, di che il tia rar del freno,5C il cafcar in terra Thaiiea ripieno,i fatica può tr^it il fiato.-ma poi eli e tn fe r itornaK)', tutto da fdtgno comoffo il Rettore, & il cauallo feco congiunto riprede, che per paura, fiC da po^ cagine di là fi fieno pattiti, doue egli tirati gl'ha ue i. Quindi non uolcdo però eglino ritornargli, di nuouo sforzadcglf,pur al fine à fatica gli con cede, che con preghi da lui impetrino, che per fino all'altro giorno fi indugi à ntornare!il quale ordinato tempo'uentndo, fingono di non (e nt ricordare;.ma egli con tutto cicgh el rammcna ta,ftdi nuouo sforzandoli, 2f gridandoli, flf df nuouo à forza feco tiradoli, pur li conduce à uo Icr dire all'amato le medefime parole, che hieri gli differo. Ma dipoi che più appre/Tati fi fono, egli torcendofi.flCabbafTandofi (tendendo la co da,ftringeil freno, flCcofi furiofamcntc feco li tira. Ma il Rettore. che l'altra uolta affai mags giormentehaueua lemedefimc forze fofFerto. pur in altra parìe uoltandofi, molto più forte,. che dianzi, le briglie ritirala: cofi sforza la dura bocca del triftocaiiallo, flC bagnandoli in que^s fto modo la brutta linguacce le mafcelle di fan^i gue,lo butta al fuo difpetto di nuouo à ferra, fiC còfi del fuo errore gli fa patir le pene, il che poi the più uolte hail trifto cauallo fofFerto,lafcia pur al fine la fua pazia, fif cofi horamai diuenu:^ to piaceuoIe,ubidifce alla prouidentia del Ret^ tore.flCinfiemecon lui, quando l'amato bello rifguarda, tutto per la paura trema: di modo che affai fpeffoauuienc, che egli feguiti le pe:^ date dell'amante con reuerentia, flC honorc.flC quelle dell'amato con timore. L amato aduns que connfcendo efTer dall'amante fuo, come fe à iddio fufTc uguale, ubbedito, flCofreruatò,fl£ ucdendo che egli no finge, ma è à ciò fare dalla inore sfor2ato(ac maffime che ogni perfona ho^ fiorata, per natura pare che fia amica di colui,' che r honora ) al fine fi diTpone hauer la mcdc^ fima uoiontà,che l'amante. Et ben che pnipai tt dalli amici fuoi,CC da quelli, che infieme feco ftudiauano,flC da gli altri, forfè per dargli biafis ino,fufli flato ingannato, elTendcgli da quei tali detto efTercofa brutta, che un giouane appreffo al fuo amante fia ueduto, fl£ per quefto forfè habbia già l'amante da fe fcacciato,non di me^ no air ultimo per fpatio di tempo &' la età, fiC r ordine debito delia natura del fuo amante lo rendono amico: per ciò che non fi trouò mai, che un trifto non fufTe amico d' un trifto,flC un buono d' un buono. Et però poi che un giouane comincia à praticare col fuo amante, & afcoU ta i fuoi ragionamenti, airhora facendo lamanar te ogni giorno più il fuo amore conofcere,sfor:j za ramato à marauigliarfenc nel confiderare: che fe la beneuolentia de i parenti, flC di tutti gli altri amici à paragon fi metterà di quella di un' amante ripieno di furore, a di fpirito diui:? no, farà per certo di pochifTimo,© di nefTuno momento. Et fe quello huomo di più età, che (ara amante, feguiterà in queftaguifa per quaU che tempora: fempre « nelle fchuole,ft in fijs miìi altri luoghi apprefTo all' amato cercherà ri^ frcnaifi,alI*hora il fonte di quel liquore f quale già Giove, quando dall’AMOR di GANIMEDE è preso, dicono che chiamò inf]ufroa rDororo)qua le nell amante dall'amato belìo. più abbondanti temente, che nell'amafo è infufo, parte nelTarJ mante fi uùz^Ct parte di fuor traboccndo fi fpar ge.flC cofi in quel modo,che fapiamo fare laerc. ^ flC quella ucce,ché chiamiamo Eccho,qua!e da qualche corpo c)heue, òfòIfdo percoda/tn quel luogo, donde prjma fi partì, ritorna: cofi quello influffo amcrcfo ritornando per uia de gli rechi i in quel bello. donde già fi lcuò,p€r li quah egli hacoftume di penetrare alTanima noftra,di tali) forte inaffia,& bagna i meati delle penne della anima delTamafo/che facilmente po/Tono.fiC co minciano à germcgliare: flc cofi T amante lanist model fuo amato ikmpie d'un corntpondentc ^ amore. Et di qui uiene, che egli ama, ma non fa certo quel,che egli ami, ne conofce quefta fua paflicne.ne la può, ò (a dire. Ma;ion altrimenti che fe perlagiiaLdafLU-i d'uno, che hauc/Tegli cechi mal fàni, fi fei] ti ffe hmiimcnte gli occhi fuoiguafti, cofi non fa.dire ia cagione di quella Uia infirmiti, ne fi accorge, che egli uede.a ua4 gbeggia fe ftcfTo nell'amante. come in uno fpec «hia*Oi:ide cientre.che gli ci amante prcfente^ fcnfc anch' egli mancare il dolore: fic quan dog, poi r ha lontano, in quel modo, che egli é defi^ dèrato, altrui defidera: flC cofi in fe haiiendo unt ìmaginfe ucra d' un cortifpon dente amore, non- più amore, ma amicitia la chiama, flc cofi penfa^ chefia* Defidera adunque quafi quanto Ta mante (hen che alquanto più moderatamente) uederlo, goder (empre deirefTer con lui,fiC femprechegli è concelTo» cerca, flcfj sforza di farlo. Per jl che durando quella pratica tra co:$ ftoro,iI cauallo trifto dell'amante al Rettore riuolto, domanda per tante fue fatiche un breue, flCinhonefto piacere. Il cauallo all'incontro del giouane non fa quello,che fi habbia à dire, ma tutto anfio^fiC nell'amor commoflo,ama raman te tanto,quanto egli é amato.à: fi gode di luti uer uno ritruouato^che tanto lo ami,£C di qucU io con lui fa fefta,&fi rallegra. Et ftando iti quefta conuerfatione.è paratiiTimo quanto à lui è poiTibile à ogni defideno dell' amante fcdif^ fare: ma l'altro cauallo col Rettore inficroe.dalis la uergogna,à: dalla ragione ammaefiirati/ems pre in fimili cofe gli tono contrani. Per la qual cofa fe coftoro, fecondo un giuftomodo di uiuerc, fi: fecondo li ftudi della Filofofia fi empieranno di buom^belii^ft Unti pcijiien^^.meneranno la uita loro feliciffima, flcbeata^con concordia grandiffima.di loro fteflì padronf;^K in ogni loro affare modefti. Hauendo quella parte foggiogata, OC uinta, nella quale fta tutto il ultio dell anima noftra,a: per il contrario quel là altra libera, alla quale la prudentia,& la bon^ tà fi appartiene. Et cofi al fine di quefla uita ha^s '^uejidogià le ale racquifl.ate,ueloci al cielo uo^ landò fe n'anderanno, con ciò fia che habbino uinto un combattimento delli tre, nelli quali fi fono ri{rouatì,come hai innanzi udito, quale bc ne fi può dire efTere della maniera, che fon quel li, che olimpici fi domandano; del quale bene nefTuno più degno può à gli huomini arrecare l'humana temperantia,ò uero quel diuino furo^ re,chehabbiamo detto. MafeqMeftì tali fegui^; fcranno nell'amor loro una uita brutta. fiC in tut lo di Filofofia priua,& non di meno piena d am bitione,gli potrà auuenire,che li intemperati cauallj asfalteranno le poco auucrtite anime lo^: ro,nnientre che ò à qualche difordinato defideno fodisfaranno,ò mentre che in qualche altra ma:: -niera licentiolamente perderanno tempo:& con ^ducendoli pure à delettarfi di quelli piaceri^ nel liquali gli hanno troaati (ommerfi^lj sforzerano ri fejguitare qudk forte di follazo^chc è dal uoU go perfettifTimo giudicato. Tale che poi femprc fi daranno inuol(i,flf occupati nella fantafia fodjsfare à quel trifto defidcrio. Ma haranno quefta fodisfattione, che cercano di rado: per ciò che il penfiero deir animo non confente tutto à far qucfto, & però quefti fimili amici anchora f ben che manco amicitia fia la loro che quella, che di fopra ho detto) fiC mentre che 1 AMOR loro bolle, fiC poi che egli è eftinto infieme amrche^ uolmente uiuono; per ciò che tengono per cer^j to di hauerfi lun 1 altro data una ftabiliffima ks de: flC però giudicano eder cpfa ingiufta quel^ la fede rompere, flc doue già erano amici, inimiss ci diuenìre. Finalmente quando poi alla natura cedono, fiC dal mondo fi partono, non hauendo anchor mefTe le ale, ma folo hauendo cominciai to à mettere le penne, non riportano poco pre^t.mio del loro amorofo furore. P^r, ciò. che la diui^ na legge non uuole,che coloro, che già haueua no cominciato à caminare per quel uiaggio,chc al ciel può condurre,difcendino nelle tenebre fottola terra.Ma quelli, che qualche lodeuolc uita fanno, mentre che infiemc uiuono amore^ uolmente, ac infieme rimettono le ale.comanda (}ue(U legge che fieno beati: di queflo ne c folo cagione amoVe. Tante adunquc^fl: fi fatte utilità giouancmio gentile, dall' amicitia d'u^» fio AMANTE, come da cofa diuina ti faranno dars t2,Ma la compagnia di coluiche non ama,con:s / giunta folamente con la temperantia del mons: do,fiC non con la diuina, come è lamicitia d uno amante, & data in tutto ad atti,ft operationi mortali, fiC uili, genererà nell'animo del fuo ami co quella licentia di parlare, che pare al uolgo uirtù:fiC farà fi che dopo la fua morte preftamens: teanderànoue miliaanni intorno allaterra,fiC fotto aggirandon & errando. Quefta nuoua can zona, ò amatiflimo amore, flc contraria in tutto à quella, che prima detta haueua. quanto più dottamente, fif in quel migliore modo, che ho U puto, con paroIe, flC figure poetiche, pereforta:/ (ione di Fedro in tuo honore ho cantato; per il che perdona à quelle parole,che prima diffu, Etqqefte cofc afcoltan do, dette da me con gra^s to ànimo^ benigno, flcfauoreuole mi ti moftra^ fiC non mi priuare per qualche fdegno dell' arte damare, la quale già m'hai conceffa, ne manco punto fcemar la uogli.anzi più tofto fammi gra tia,che per Tauuenire io fia per que(la cofa più apprezato^chc per 1 adictro ftato non fono.oUra eli qucflo fe io.ò Fedro co/à alcuna foco degna del tue bel nome habbiamo det(o,accofa di ciò lifia.il quale fu primo autore del noftro ragios namento.acfa.che egli per lo auueiiire più di fimili cofc non patii: JC riuoltalo alla Filorofia, ' ^ome il fuo fratello Polemarco.acciò che Fes dro.chcfommamentc io ama, non habbia da tenere bora una opinione, fic bora un' altra, co* me fino à hoggi ha fatfo,ma più torto nello ftu dio dell'amore. & della Filofofia meni / giorni della Ulta fua. FED. Io anchora.fe gh è il •meglio, prego Iddio, che ciò mi conceda. Ma io ti dico benejl uero. che io flupifco del ragios Bar, che hai fatto, ucdendo di quanto babbiauanzato quel di piima: tale che io comincio à dubitare.che il parlare di Xifia non mi babbi à parer ba(ro,«humile.fe forfè un nuouo ragios mmento facendo, à qucfto tuo lo uorrà aiToes oiigliare, Et uoglio che tu fappi,che pochiffB mi giorni fono, che un certo noftro cittadino lo uituperò grandemente, folamente per qucs fto fuo fcriuere.* in tutu la fua accufationc lo chiamaua, per largii ingiuria. Scrittore d'oratio ili. Tale che per qucfto potrebbe forfe,fe egli c punto defidcrqib di. hpnore.per lo aiuenire fteocriidircriucrc, SOCR. Fedro que» Ha tua opinione c degna certamente di rifo, ficfarcftimolto lontano dalla fàn(afia, & dals la mente di Lifia.fe tu pcnfafli. chc eglifufs fc cofi timido. Ma forfè che tu credi, che quel fuo accufatore dicefli il nero in tutte quelleco* fe;checon(raLifiadiflc. FED. Certamente Socrate che à me parue cofi ne anchora à te è oc culto, che gl'huomini grandi, flC nobili delia no (Ira Republica temono, fiC fi guardano di coms porre orationi.flC no uogliono.chc fieno uedutc fcritte,per non moftrarc à quelli, che uerranno, dcÀTcr flati fofifti.effcndocofa facile lo fcriuerc ttnaOratione. SOCR. A quefto modo ò Fedro tu non intendi il prouerbio del gombito dolce, ilqual prouerbioc tratto dal lungo, fiC trifto gombito del Nilo.flC debbi pen fare, che ^, dicendofi dolce, fia facile, come pare che tu cress da, anchora che il fare Orationi fia di poca fiti* ca.eiTtndo però di grandi (Ti ma. Et ne folamens te iiò fai quefta cofa.ma anchora penfo che non ti fia noto.che quelli cittadini. li quali per pruss dcntia fono eccellenti, attendono grandemente à fcriuerc Orationi.CC à fare che quelli, che uers ranno,le po/Tino uedere. Etqueftì tali di mo* do amano quelle perfone, che lodano le compo iitioni loro,che la prima cofa di quelli fanno mentione.meutione.che hano ufanza dir bene delli fcrifs ti daltrui.douc 11 truouano. FED. Come dici tu queftoJ'Io non ti intendo a mio modo •r. SOCR, Non fai tu,chc nel principio d'un libro, che da qualche huomociuile fia corapo^ fto.fi fa fempre mentione di colui, che l'ha lo^ dato? FED. Inchcmodof. SOCR La primacofa,che,dicono,cquefta. La opinione noftra,òuerolanofl:rafcrittura fu appruouafa dal Senato, ò dal popolo, ò da ambe duerquindi con una certa ambitiofa ricordatone di loro ftef fi, mettono per ordine tutte quelle parole, che quei tali in fauor loro hanno dette, fempre dando colui, à cui è il lor parere piaciuto.Dopo quefto dicono quello, che intendono di fcriucj^ re; fempre faccendo moftra del lor faperc à cos^ loro, che li lodano, flC quefto lo fanno affai uol^s te: ce non folo nel principio, ma anchora dipoi che una lunghiffima Orationc haranno detta. Parti egli quefto altro, che uno fcriuerc Oratici ni? FED. Ccrtamentcnon. SOCR. Ho rafe queftò dir loro è approuato,fubitOj d' allc:s greza ripieni, fi partono dal Senato,comc fareb bc un Poeta dal Teatro, fe la fua Comedia fuffe piaciuta. Ma fe per forte fuffe riprouato,ò rifiu^s Wo^ac il lor configlio non fuffe ammeffo, ne ri:s pìlfafo dfgfiò di cffere fcritfò con gTi àlfrf /non foJofi cnvpfono di triftitìaqufi tali, ma li loro amici anchora. FED. Sitrattnftano certa: in rn te non pòco. SOCR. In queflo mo^ do adunque dimcftrànò,chc eglino non fanno poco conto di qnefto efercitio di fcriuerc, anzi diapprczirloafTai. FED. Grandemente cer toloftimano. SOCR. Dimmi un poco, Se qualche grande Oratore, ò ucro uu Re/i haueCs feacquiftata t^nta facultà,a: tanta fcientia nel dire, che come Ligurgo, Solonc.o Dario, pote& fe degnamente nella fna città efTer tenuto Scritii tore perfettifllmo^flC immortale, non gli parria f/Tcre, mentre che anchor qua giù uinefTe quafl fimile^ò uguale à Iddio / Et quelli, che dopo luiuengono,conriderandoIeccfe,che egli ha lafciato Tcritto, non hanno di lui quel medefi^ mocrcderer' FED. CertifTimo. SOCR. Pcnfi tu adunque, che alcuno (fia pur quanto fi lioglia trillo, ft inuidicfo) Uituperi quefto flu dio dì fcriuerc? FED. Per quelle core,chc tu hai dette, non par conucniente: per che eia:» {cuno,pare à me,uituperarcbbc quelle cofe,del le quah egli fi diletta. SOCR. Etperòque^ fto può efferc à ciafcuno chiaro, che alcuno non c daelTerc uituperato folamentc per che egli i • fciiua. fcriua. FED. Per che adunque f SOCR. Ma quello c bene, come io penfo, brutto, par:^ lare, a fcriuere cofe brutte, ftcattìuc. FED. Quefto è ccrtiflimo. SOCR., Qual farà adun qtie la ragione dj fciiuerc benc,tt male f Non penfi tu Fedro, che ci facci di bifogno di firoili cofe domandarne Lifia^ò qualunque altri, che ò nero habbia à qualche tempo fcritto qualche cofa.ò uerohabbiada fcriueie ò qualche fatto publico d una citta, ò qualche faccéda priuata, quefto lo facci in uerfi, come Pceia,ò uero in profa come perfona priuata FED. Mi doman di fe io penfo,chc facci di bifogno domandare, & cercar di fapere quefla Cofaf' Dimmi un pocd, nó fono alcuni, che uiucndo ad altri piaceri non, attcdono,che à quelli di domandare K di uoler da ciafcuno fapere la ragioe delle cofef Et quefti tali come faui, nò attendono nella loruitaà quel li piaceri,]^ quali di ncceflltà hanno prima quaU chedifpiacere,altrimeti il piacere no fi potrebbe godere.il quale effetto interuiene quafi à tutti li piaceri del corpciflfp quello ragioneuolmetc fo no chiamati piaceri uili H di poco momcio. Soc. Noi habbiamo tepo ÓC cfio aliai, & ancora mi par ueder,che quefte cicaie,<:he fopr'il Capo noftro,.cantano^com'è ufan«Joio:ncl caJdo,att^ndar^o à quefta noftra difputa. Se adunque elleno ci uedefTcro addormentati, come fpeffo molti altri fanno, li quali nel mezo giorno non difputan:: do, ma più prefto dormendo, fono al fonno per poca anuertenza loro da quelle allettati, merita^ mente fi potrebbono ridere di noi,confideran2: do,fl£uedendo che dal fonno uinti fuffimo. Ma fe elleno ci uedranno difputare,fiC conofce^: tanno, che noi non fiamo flati uinti dà loro(co:5 me fono alcuni dalle Serene, per il che non pof fono pigliar porto ) forfè che uolentieri ci donc fanno quel premio, del quale per gratia de gli iddii poffono à gli huomini fare dono. F E Chedonoèquefto? A me non pare hauerlo mai intefo. SOCR. Non fi conuiene,che uno huomoftudiofo,flC amico delle Mufe, come fci tu, non fappi una fimil cqfa. Si narra che quc^: (le cicale inanzi che fuffero le mufe, crono huo mini: ma nate che furono le Mufe,fiC poi che il canto hebbero moftrafo,fi dice che ad alcuni di quelli tanto quel canto piacque, che per cantare non fi curauano di mangiare, ne di bere: £C cofi imprudentemente fi lafciarono mancare la uita: delti quali nacque la fpetie delle cicale, le quali hanno dalle Mufe quefta gratia,che non han bi fogno di nutrimento alcuno.ma mentre che ui iooà uono, foci lO'lOOf IfìOt Sì nono, ftmprc cantando fi mantengono fcnza mangiare, flC fenza bere, Dipoi finiti i lor gior^ ni, (e ne uanno à trouar le U iife per dargli no^ titia,fl: informare quali fieno quegli huoniini^ che qua giù amano più una Mufa,che un'altra» Per il che dimoftrando. à^.Tcrficore quelli, che ^iu che in altro, ne i canti, flC nelle fefte femprc fi ritruouano, gliela rendono propitia, OC fauo^ reuole, A Erato poi moftrano tutti coloro, che ne i càfi amorofi Vitrouandofi, hanno il fuo ftu:: dio&ìmitato,6Chonorato.Et cofi fimilraentc fanno con le altre Mufe,flC gli mettono in gratia coloro, che più che h altri lamano.Rapportano anchoraà Calliope, OC à Vrania,che fippreflogli ua,la uita.flC i fitti di coh)ro,che nella Filofofia fi efercitano;fiC honorano la loro fcientia.Lc qua li oltra tutte le altre Mufe*hanno cura della cojs - gnitione del cielo, ficfi efercitano in ragionai menti cofi diuini, come humani con uocifoa^ uiflime* Et però per molte cagioni dobbiamo dir qualche cofa,ne in modo alcuno habbiamo nel mezo dì a dormire. FED, Habbiamo à dire per certo. S.O C R. E adunque hormai tempo di dichiarare quello, di che poco fa ordisi nammo di difputare,ciò è in che modo un'huo inofcriua,ò parli bene, fiC non bene, £ £ Qocfto c propfo quello, fopra il qnalf ha da eù: fere il noflro ragionamento. SOCR. Non pcnfi turche fia neceffario^chc colui, che habx^ fcia da dire qualche cofa/e ne uorrà ragionare a pieno, fiC bene, habbiapiena^flCuera cognitio:: ne^flCintelIigcntia di quella coia, della quale pirlaf' FED. Io c Socrate, ho udito dire, che a uno, che debbi diuentare Oratore, non e nes: ceflario il fapcre quali fieno quelle cofe che ue^s ramentc fieno giufte, ma debba folamente quel le conofcerc,che al giudicio del uolgo parran:: no cofi: ne manco debba fapere quelle cofe^ che ueramente fono buone, « hcnefte,nia quel Ie,chc compaiono. Perciò che dicono quefti tali, che per uia di quefte cofe non uere^fi può più facilmente perfuadere.che ccn la uerità, SOCR. Mai òf fdromio,non fi hanno da iprezare li detti de gli huomini faui,anzi fi deedil/gentemente considerare quel, che fignifichi:?:iio. Et però à me non pare di iafciar pacare quel le parole,che hai poco fa dette, FED. Tu parli bene, S o C R. Confideriamo adunque quefta cola in quefte modo. FED. Cowtf SOCR. Cefi, Se io per cafo fi uolefFi perfuasi dcre,che tu fuffiper uinceregli tuoi inimici.;quando tu haueffi un buon cauallo,nc alcuno Ai noi f^ipein che coA Me quefto cauallo,m4'tb fohtfìtnìt tkpm:chc kù ndtì fai gii come uh tJiaalfo fia fatto, ma che tu penfi,ch'C egli fià ti*» ànimale domefì/co con gì Wcxhi gridi. FED. v Sequeftofu/fe/ceftameinte farebbe cofa da rr* <ìere. SOCR, N òn ^t^u cfto non bafta. Ma quando io con ogni sforzo nìi?ngegfìaffi di pet fuaderti (non f^pendo nt tu^nfc io àltfC ) chè quello anÌTTidefurti^ un cauàlJo/a per quefto iò liaue^S compóflÀ nna Òrationeìn lode dell'Afiis no, chiamando quello anrm^lè càuàilo, afferà mando efTere animale pérfètdfTinìo, utile per ca fa, perle facccnde/tSc prontiiTimo/fiiore aib battaglia, atto à p citar fome.'fiC à molte altre cofe tommodiffiiT>o> FED. CJi^^efto fi /che farebì be fuòrd^* pfopofitóalpònTjble. SOCR. Kon è egli meglio, che un'amico fia ficetó,fit piaceuò!e,5Cche faccia ridere, che ftrano,ttdi malanimof F '£ O.Cofi par à me. SOCR. Qnan do adunque un oratore ignorate del male,tt deì bene perfuade i una città fimilmenre ignoranti non con una oratione compofta in lodxr d'uno Afino, penfando che fia un Caudillo, ma ragion Dando. flC difputado del male, cr€dedo che quel lo fia bcnetflC cofi tirando à Tua diiiotionc le opf n oni del uolgo, metta in quella citta tìn'ufanzà dì far male in cambio dì b'efie,che ricolta pcnfi tu che un fimile oratore facci della fua (cmtiìUi FED. Non troppo buona. SOCR. Non confeffihoratu,chc noi habbiamo uitupcrato l'arte dell'orare un. poco più fcioccamcnte.chc non fi conueniuai' Et fc per cafo ella ci haucfle fentifo, flf bora fiuoltafTc à noi, «ci dicertr* Seteuoiimpazati Socrate, fiC Fedro mici cari^ 10 n5 sforzo alcuno à orare, che prima non hab bia cognitione del uero: ma fé gli huomini fa;? ranno à mio modo,airhora mi imparerano quan do la ueriti haranno cpnofciufa.fiC io ui pofTo af fermare quefto con uerifà (il che è certamente gran co(à)che anchor fenza l'aiuto mio, pur che uno fappi render ragione delle cofe.flC le cono:? fca,harà in fe ogni modo l'arte del perfuadcre 5, Se coftei dicerte cofi,non harebbe ella ragione. FED. Io te'lconfertb^purche molte ragion ni, che io ho intefo, faccino teftimonio,che il fa per folamente fia arte; per che è mi pare hauer^ udito certe ragioni, che prouano^che l'arte del dfre fenza il fapere dicendo d'eflèr l'arte, nò dice 11 uero: per cièche altro non è, che un' ufo fen za arte. Et Lacone difre,che la uera arte del dire fenza la uerità trouar non fi può, ne mai fi tro^s uerà. Qtjefte ragioni ò Socrate fanno hor di bi? fogno, flC però adducendole moftrami un po^ coqucl,checoftoro dicano, flCin qual modot^ SOCR, Soccorrlnmi adunque, ft ucngano -in mio faiiore tutti gli animali generofi. fiC pcrsx iiiadinoà Fedro, che fc egli non attenderà alla Filofofia non faperà mai di cofa alcuna à baftanza ragionare, flC Fedro mi rifponda ogniuolta, che io lo domanderò. FED. Domandami adunque SOCR. Dimmi un poco,la Ret^ torica non diremo noi, che (la una arte, che per mezo delle parole alletti gli animi de gli huos mini^ Et queflo lo fa non folamcnte dauanti al li giudici, flC nelk altre publiche raunate di huo mini.maanchoraquefta medefima arte difpu^.terà nelli priuati ragionamenti Mi ciafcunacofa cofi d'importantia,comc non. Per ciò che nien^ te è più honoreuoie,ò più degno il parlare con arte nelle materie grandi,che fia nelle piccole* Hai tu mai udito dire quefto.^ FED. Non io certamente,anzi ho intefo,che quefta arte fola^ mente (ì efercita nelli giudicii,flC nelle Orationi al populo,ne ho mai udito, che ella fi di^lenda più in la. SOCR • Hai tu mai intefo ragion tiare della grande arte del dire, che Neftore,fiC VlifTe efercitauano, mentre che erano à Troia? Hai intefo quella di Palamede 1* FED. Non io,fe gii tu nò uoleffe dire che Gorgia fuffe Nes ilore,£C Kimilmente che Trafimaco^ Teodoro fttfléio \Wc. SOCR. forfè che io !o pos»rei dire. Ma Ufciamo andate ccfloro.fiC rifpon» aiini à quefto, ISe i gindicii gliauuerfani^cb* liàtaftcìoi «gUno r Non cercheranno feinprc dt cònfradire à tutto quello ^che dice la parfc confrariac Puoi tu dire,che.faccino altro;' F FED. Quefto ianno.ft non altro. SOCR. Non contendono, & djfputano fempre cjual fia il giù ftoi,« qua! fu k) iingiiifto f FED. Cofi è, j^ SOCR. Colui.che faprà fare quefta cofa con jirtc,i.ion potrà fare anchora che a quelli mede» fin^i pai» uni cola ficflahora giufta.fthora in;s giufta,.^ fEI>. lo potrà fare per certa» / SOCR.. Ijtfuwlmeute egli orerà in pu*» l>ljco,potrà fàre,cheaHi fuoi cittadini le medes fitBCCQf? parranno Upra buone, <SC hora triftc;* FED. , Cerfaaiente. SOCR. Et quefta nonèsnarauigliofo.perchc noi habbiamo rn* tefo.ehe.i^aUiBede Eleaf€,eol fuo artificio del dire era fclito far fi che à chi,!f)..udÀua.pareflero ie noe defw«.<pfe bora fimili.Sf bofa'diuerfe,ho ta una c.o{a,iibU,ft hor» wp] te-, bora che ogni cq. fafufreiaiwobile.&hora che i'ufliuerfa fcms: pre fteffe i,n moto, FED. l' ho intefo ans ^' io pei certQ. SOCR, Adunque quefta jppteftUa, di confradiKiik fiofe d^tte innanzi^. non folo è porta nélli giud/di, ft nelle pubfi^' che radunate, ma anchora^come ti ho moflratoj fi truoua in ogni ragionamenfo,che fi fa: per ciò che dò che fi dice tutto è un'arte, con la qui le ciafcuno potrà fingere, flc dare ad intendere à ogni perfona, che tutte le cofe fieno fimih'^ac faperi trouare i nìodi di moftrare quefta cofa,fl(intenderà come habbia a fare, chiare quefte. fo:*. miglianze. FED. In che modouuoi tu,' che fi facci quefto.^ SOCR. In quefto* Dimmi un poco,rngannanfi gii huomini in quelle cofe, che fono tra loró molto differenti, ò in quelle. che fono poco? FED. Inquelle^ che poco fono diffimili, SOCR, Bene ha( rifpofto. Hora fe tua poco i poco pafferaida un fimile all' altro, più facilmente potrai inganni naregli auditori,che fe in un tratto dfalterai FED. Chi dubita di queftof' SOCR. Adunquc bifogna.che ogniuno,che uorrà ingannare un* altro, facci prima in modo, che no fia ingannata egli. Et però farà necefrario,'che conofca beijiJ(fi ino le fomigliaze flf le diffomigllanze delle cofe. FED, Quefto è neceffario, SOCR. Potrà adunque uno che fia ignorate della uerftà di eia fcuna cofa dar giuditio della fimilif udine ò gran de^ò piccola di quella cofa eh egli non cooofcc/ FED. Qnéftocimpofribile. SOCR. Et però c cofa chiara, che coloro, che hanno qual^s che opinione fuor del naturale, ò credono il fal^ fó di qualunche 'cofa, non per altra cagione fo^ no in quella fantafia, flCin quel falfo parere, che per qualche finiilitudine,che gif ha ingan^ mti. FED. Cofi interuiene. SOCR. Potrai tu dire adunque che alcuno, fé farà di quellocheuorriadifputare ignorante, pofTa con con arte,flC aftutamente à poco à poco rimuoue^ re uno dal uero,fiC fargli credere il falfo per uia di qualche firnilitudinej'ò crederai, che quefto tale poffa fardi non cafcarc nell'errore, nel qua^? Ic'cerca gli altri condurre FED. Certo che io noi crederò mai. SOCR. Et per quefta cagione qùàlutìque perfona farà ignorante della uerità dolina cofa, & folo dairopinione fi lafirie* rà guidare, coftui dimoftrerà di hauere un'arte di dire fciocca.flC più da fare altrui ridere, che buona ad altro, FED. Cefi mi pare certe. SOCR. V noi tu hora uedere, ft confiderare flC neiroratione di Ljfia,che hai in mano,& nel feritire il mio ragionamento, douc fi parli artifi^t. ciofamentc,a: doue fénza arte. FED. Que^i fto uorrei io più che altra cofa. Per ciò che al prefcnU noi ragioniamo troppo feccamcnte.no potendo pofendo dimoftrarc ercnopi chiari di quelle co* fc. che diciamo. SOCR. Si.ma ionogho, che tu fappia.chc la maggior parte delle Orationi fon dette à cafo.come è manifefto: le quaxs li ci moftrano chiaramente, che un' huomo.chc appia bene.flc conofca la uerità delle cofe.men tre che egli con parole fcherza, ec fenza punto penfarci.ragiona.conduce l'audifore à quello, che uuole. Et io certamente Fedro, penfo che gliiddìi di quello luogo habbiano hoggi cagio nato in me quefto effetto di perfuaderti.ft forfè potrei anchor dire.che le cicale interpreti delle Mufe.le quali fopra di noi cantano,mi habbias no fatto quefta gratia. per che in foma in me nó è arte alcuna di dire. FED. Sia come tu uuoi. pur che tu mi moftri qucl.che mi hai promelfo. SOCR. Leggi adunque il proemio dell' Os catione di Lifia. FED. In questo stato certamente fi truouano le cofe mierflC quefto.come hai poco fa intefo da me, penfo che mi babbi à gjouarc affai. Hcra io uoglio che fappia.chc io ftimo,a: giudico, fe cofa alcuna io ti domanderò.doucrs la da te per quefta cagione impetrare: per ciò che 10 nó fon prefo del tuo amore. Et che ciò fu iluero,tu fai che gli amanti, come prima han*; 1)0 la !or libidine faflata/i pentono de i benefis ci.che t'hanno mai fatti. SOCR. Non legge/ pili. Bifogna bora dire in che cofa coftm erri.flC quel, che dica fenza artt. Nò ti par cofi:' FED. Certamente. SOCR. Dimmi un poco, non è quefto chiaro à ciafcuno.che in molte cofe ne i ragionamenti noftri tutti crediamo à un modo, fi(in molte altre non habbiamo il medefimo ere derei? FED. Ben che mi paia intendere quel, che tu dici, però io uorrei che lo diceffi più chia ro. SOCR. Quando unofa mentione del fer ro,ò dell' argento, tutti fubito intendiamo una incdefima cofa. FED. Certo. SOCR. Inter uiene egli cofi.quado fentiamo il nome del giù fto.ò del buono, nò crede all' bora ciafcuno dis uerfamente? Et non pure non ci accordiamo con l'opinione de gli altri.ma anchora fiamo in dubio della noflra. FED. Cofi ua. SOCR. tt però in molte cofe acconfentiamo tutti à un inedefimo.flC in molte fiamo di uarie opinioni. FED. Cofi è., SOCR. Doue potiamo noi più facilméte effere ingannati. « in qual d,i que ftc cofe ha la Rettorica più forza:* FED. E cofa chiara, che in. quelle. delle quali più dubis(iamo.piu ha forza l'arte del dire. SOCR, Et per quefto fa di bifognoi colui, che uuolc ini. parare. jwirare, R atrquiflare la Retorica, prima di uederc quefte cofe tutte ordinatamente, & feparare Tuss na dair altra, & gli è neccflàrio ccnofcere di quaf forte fieno le cofe tatte,intorno alle quali fi può. ragionare, ò uero della forte delle dubitò pero delle certe:fiC fapere doue maggiormete il uolgo poffi elTere ingannato,fiC doue nà, J^Jf. U. Ccf tamente Socrate che colui, che col penfiero ^ja^ piffe quefta cofa,che tu dici,harel)l>c una bella cognitione. SOCR. Dipoi io penfo, che quc fto tale debbia fapere la natura diciafcunacofa, acciò che dj quella quado gh' farà bifognOjpofFa render ragione: fiC uoglioche ingegnofamente intenda di qual forte, fiC di che genere fia quella cofa, intorno alla quale fi debba ragionare ò delle dùbie,Q delle certe. FED. Perche noni SOCR. Diremo noi, che 1 amore fia poftq tra le cofe certe, ò tra le dubiei' FED.Trale dùbiecertamente. SOC, Penfi tu ch'egli fi conceda.maliche tu dica di lui quelle cofe, che poco, fa.hai dettecelo è eh egli fia noceuole all' amato, flC ali amante Et dipoi ch'egli fia il maggior bene chefitruoui:'' FED, Tu parli bene. SOC, (Ma dimmi un poco anchora quefta cofa, per cheÀdirti il uerojo non mene ricordo troppo bene Ì>er effer ^ato io nel ragionamcto mioi occupato a uinto da quella diuinifà,clic fu (af. Ho io nel principio della mia difpufa difBnifo^chc cofa fia amore? FED. Si hai,flC beniflimo. SOCR quanto tu dimoftri (dicendo che io fi bene rho diffinito ) che le Ninfe d' Acheloo.flC Pan figliuolo di Mercurio, fono più ingegnofi al comporre Orationi, che no fu Lifu,per ciò che quefti mi hanno fatto dire. Non ti pare egli, che iodica il ueroi' Ma Lifiaanchora nel principio della sua orazione ci sforza ad intendere, che la more (come egli vuole ) è un non fo che po fto fra le cofe dubbie, flC incerte; flC cefi accomodando a quefta cofa tutto il feguente fuo ragionamento, fini la fua Oratione • Vuoi tu, che un'altra uolta leggiamo il fuo principio.'' FED. Come tu uuoi,ben che quel, che tu cerchi, ih efTo non ci fia • SOCR. Leggi, acciò che io loda. FED. I N Q^V E S T O flato certamente fi truouano le cofe mie: ft quefto,come hai po:s co fa intefoda me^penfo che mi babbi à gioua^ re affai. Hora io uoglio, che fappi,che io iiimo, ce giudico, fe cofa alcuna io ti domanderò, do:s uerla da te per quefta cagione impetrarerper ciò che io non fon prefo del tuo amore. Et che ciò fu il uero^tu fai che gì' amanti^come prima haa DO la lor libidine fatiata, fì pentono de i bcnes: fìci, che ti hanno mai fatti. SOCR. Egli c molto lontano, fecondo me, da quello, che noi cerchiamo r perciò che egli pare, che fi sforza di ordinare il fuo ragionamento, non cominciando dal principio, ma dal fine, con un certo modo à contrari0,ac fotto fopra» Et che fu il ucro,uedi che comincia da quelle cofe,che l'amante rin^j fàccia al l' amato, dipoi che T ancore è eftinto, "N 5 tifare egli.che 10 habbia detto il uero FED. Senza dubio che quello, di che egli nel princirs pio ragiona,è.il fine. SOCR. Che diremo noi delle altre cofer Non ti pare egli, che tutte le parti di qiiefla Oratione fieno fparfe confufa:? mente Pcnfi tu che quello, ch^ egli nel fecon;? do luogo ha detto della fua Oratione, egli V hab bia congiunto con la prima parte, conofcendo cheneceffariamentegli bifognaffefàrlor Et fi:: milmentc le altre cofe,che^egIi ha dette, credi tu, che le habbia con ordinc,flC con modo difpo fte^ Per ciò chea me, che fono dbgp.i cofa igne rante.pare che tutte le cofe, che da uno fcrittore fono dette, non debbano cfler dette, flC ordinate fenza cagione. £ t però uedi, fe tu fapefli truo;? uare qualche cagione nectffaria^per la quale noi potiamo.dirc,che egli fi fia mcflo à ordinare,flC H ili djTporrc il fuo ragionamento nel moclo,chc hib biamo ucdiifo. FED, Troppofareblfc ò So crafe,fe io cefi fcttilmente fapeffi dare giudicio dellifcritti d'altrui SOCR. Io penfopu:^ rechebjTogneri,che al meno tu dica,a:con5: fe/Tj quefio cbe tutta un'Orationc debbia ciictc come Ufi animale, fiC debbia bauete il fuo corpo, i\ quale non fia fenza capone non gli manchi:^ no li piedi, ma che gli babb/a ciafcuna fua parJe conuemente,a: coirifpondente al tutto. FED. Che uuoitu dire per qucfto?' SOCR. Cons: fiderà ti prego, fc TOratione del tuo amico Ga fatta cofi,c) altrimcnte,truouerai che ella none punto difterenfe da quello Epigramma Jl^ua^s le alcuni dicono,che fu fatto (opra il fepolcro diMida Frigio. FED. Che Epigramma è ques fto,ftdicheforte/ SOCR, Odilo,egli di^ ccuacofi, Son fu' 1 fepolcro una Vergìn di Mida/ Fin ch'andran T acque, & fien le piante ucrdi. Qui dando, ammonirò cialcun che pafTj, Che nel mefto fepolcro Mida giace. tìora 10 penfo, che per te fteffo beniffimo co nofca, che non importa qua! parte di quello •ponghi prima^flC qual dopo. FED. A ques: fto modo ò Socrate^ tu bufimi, fi£ mordi la no^ ftra Oràtiòìiè SOCR. Lafciamo adunque àhdare.acciòche tu non (i corrucci meco, ben che in efTa fi potrebberotroirarcmolti efempi, li qaali confidcrati^ci uerrebbe quefta utilità, che non imitafiTimofinrili modìdi dire. Ma pafe fiamo alle Orationi di certi altri, le quali certa:^ irierife hanno in fe qualche ccfa degna d' cfTerc offeruata da coloro, che di quefta arte fono fturs dioG. FED. Che cofa è quella, che in que:s fte Orafionifj pnoofTeruarer SOCR. Queftc' Oratfoni erano tra loro contrarie, per c òchc una irfFernnaua,cbe un giouane aniato fi douefle ac:? coftare alTamante: <3C un'altra à uno, che non amafTe. FED. Beniflimo certamefc. SOCR: Io penraua, chc tu rifpondeflj con più uerità,flC che tu diceffi non bcniflimo^ma pazamente,flC furiofamenfe certifTimo/non di meno quel, che 10 uoglio dire flC che io cercaua,che tu diccffi nò può efTerc alfritnenti^come fi ixìoftrerò. Nò hab biamo noi detto che lanDore abro non è, che un certo furerei' Ì FED.Cofl hàbbiam detto. Soc; Horaio pogo due forti di furore J'una delle qua 11 èda mancamèto humano cagionata, lai tra prò cede da una diuina alienatone dr menfe^per la quale è l'huomo rapifoflC leuato d^lla fu a ordina Ila uita. FED. Cofi è per certo. Soc. le parti adunque di qucfto furor diuino fon quattro, aU le quali anchora quattro iddii fono propoftjrpcr dò che noi diciamo, che Apollo fia di quella inrs fpiratione cagione, che à quelli Sacerdoti uiene, che poi indouinano quel, che debbe efTere nel tempo auuenire, Dionifio della cognitione di quelli mifteri,che fono più occulti, flC delle co^ fe, che s appartengono al culto diuino. Le Mu fc della Poefia, Venere, & Amore dell'amorofo furore affai migliore di tutti gli altri, £C io non fo in che modo,metre che dianzi uolfi con imagi^ fìijflC fimilitudini moftrar l'effetto d' amore /orfc può cffcre che io habbia detto qualche uerità,flC forfè anchora ho trapaffati li termini del uero. Et perqueflo mefcolando cofi quelle cofe,chc hora ho dette, quel mio ragionamento, il quale non fu al tutto da efler biafimato,tu fai, ch'io or dinai,flC compofi quella mia fabulofa diceria, flC quafi fcherzando, fiC per giuoco, modeflamentc lodai il tuo, ce mio Signore Amore, protettore de giouani gentil* & belli, come fei tu, FED. Qiiefle cofc l'odo molto uolentieri. SOCR. Et però bora da quella mia Oratione potremmo cauare, fiCfapereinchemodo la noftra difputa uenifTe dal biafimo,onde la cominciamo, alle iodi* F E Etcomeuuoitu fare queflof SÒCR, A mccertamchff pare, che fin qui habbiamo parlato per burla. Ma fe farà alcuno, che artificiofamente conofca la forza delle due forti, flc delli due modi di difpufare, nelle quali bora fiamo à cafo incorfi,coftui certo harà fatto un'opera degna. & bella. FED. Che forti, fiC che modi di dire fono qriefl:i,che tu dkii SOC La prima è qucfta. Che colui, che uuol dirputare,facendofi nella mVnte un'idea di tutte le cofe,che uuol dire: & hauendo à quel [a folamente l'occhio, metta infieme tutte le cose,che fono fparfe fif diuife, acciò che uedendole tutte raccolte, dando poi la uera dìffinitione di ciafcuna.quello facci chiaro,& manifeftp,intor:3 no al quale fi difputerà: come al prefente hab:* biamo fatto noi, che habbiamo diffinito che cofa fia amore, flC ò bene, ò male, che Thabbiamo fatto, hai pure hauuto la noftra difputa,per quefta cagione una chiareza, flC una concordanza in tutte le cofe,che dipoi fi fono dette. FED. Le altre forti di direnò modi, quali iiuoi tu che Heno ò Socrate. SOCR. L altro modo é quc fto. Che come egli ha tutte le cofe raunatein uno, di nuouo parte per parte, fecondo la natu^ ra loro, le diuida,flC parta, flf non fpezi,ògua{|ti membro alcuno del fuo ragionamento, come farhora li cuocKi mài pratichi fogliono farc,rna faccia quel medefimo.che habbiamo fatto noi ne i ragionamenti pafTati; nelli quali habbiamo tntefo quella mutati6e,ò alienatione della mtrte generalmente, ac con parola commane, anchora che fia buona,& cattiua, Ma fi come in un cot^ po quelle membra, che fono doppie, si chiama? nocol medefimo nome. ma uno é detto dcftro; raltrofiniftro",ccfi qiicfta forma della aliena:: tione deliamente noftra,la quale è dall'amor cagionata, è per natura fua in noi una foIa;flC cefi babbiamo detto nel ragionamento noftro. Et pero quel pripio parlare,che facemmo, diuij dendola parte finiftra di quella alienatione, ò mouimento della mente, fiC di nuouo poi pars: fèndola,non fi reftò,fin che egli ritruouò unais mor finiflro.il quale conofciuto come cofa non conueneuolfe, uìtuperò. L'altro ragionamene: fo/he dipoi habbiamo fatto, ci con du (Te à co:s nofcere la deftra parte di qucfto furore, doue un amor ritruouando inquanto al nome fimile al fJrimo, inquanto à gh effetti diuinojo lodò, & ingrandì con parole, come cagione di gran^s diffimi noftri beni. FED. Tu dici il uero. Si SÒCR. Io certamente o Fedro fon molfo. imito di quefle dmifioni, fiC diquefti raccogli:?* tendere quel, che io ucgl/o più facilmente; Ò[ meglio ne polfa ragionare. Et fé mai io ueggo alcuno, che fo penfi^ che egh fia atto a confide fare bene prima quella idea unfueifale,chc io fi ho detto, pei particolarmente la moltrfudinc delle cofe fecondo la Datura tero di coftai io feguito le. pedate, ftgli uo dietm mn altrias menti, che fi fuffe diuino: & colcrO;che tal eoa: fa fono atti à fare, io gli cKiiimo Dialettici, fc io li chiamoo bene,o male. Iddio lo fa lui.. Ho: ra dimmi tu di grafia in che modo secondo il parer tuo, ò di Lifia, tu chiamavcfti coftoro. pare à te quefta q^iella'^arte del dire, che ufb Trafi^ maco,'flC molti altri faui, li quali per il dir lo? ìfo furono fenzadubio fiut,coiiìeho detto, flC anchora fecero gli altris" Talmente che q^ielli^ che da loro impaiono, uorrehbero o'fterirgli do:? )i, come fi fuol fare à grvndifTimi Re FED. t), Certamente che cometudici.qucUi tali huo* mini fonodiqncllo honore meriteucli, chealli Re darfi uediamo,ma non per qaeflo fon dotti in quelle cofe, delle quali hoxa tu domandi. Ma à me pare, che qnefto fìuouo modo di ragiò nare,tt di difputare^che hai truccato, il quale tu chiami Dialettica Jo chiami cofi r^ioneuob mcntc.manon per qucdo fappiamo anchora;' ihccofafialaRettorica.ma fi bene la Dialets fica. SOCR. Come dici tu quefto !" Penfi tu che cofa alcuna bella,ò ben detta pofli efTerc giudicata, che quefti miei ordini non feguitf, quantunque con arte fi impari i Hora per ciò che queftofolononbafta non uoglio che noi lafciamo à dietro quello.che oltra ciò nella Ret torica faccia di bifogno. FED. Molte cofe ò Socrate fonoftate lafciafe fcritte ne i libri, che dell'arte del dire fono flati compofti. SOCR. Hai detto beniflimo, Pcnfo aduque.che il proc mio fi debbi dire la prima parte della Oratione^ Non domandi tu quefte fimili cofe gli orna* menti iieri di quefta arte. FED. Senza diibs tio. SOCR. Seguita nel fecondo luogo la fiarrationé.flC infieme il produrre de i teftimos ni, nel terzo ucngono le conietture.flC nel quar to gli argomenti, cauati da cofe uerifimili. Et pa re à mecche un gran compofitor d'Orationi.chc fu da Bizantio,ci mettelTe anchora le pruoue,CC le ragioni, che faceuanoper colui, chcoraua. FED; Tu uuoi dire Teodoro, che fu fi eccels lente, è ucro;" SOCR. Si certamente. Coftui anchora trojiò nella accufatione,fiC nella difens fione^i argomèti raddoppiati, £t per che non faciamo fìoi ricordanza di Euano Parìo? il qùàfc prima à tuffigli altri frouò le dichiarafioni: flC cifra di quefto fu inucntorc delle Oratiohi.chc in lode d'altrui fi fanno, fiC non mancano molti che dicano, che egli per meglio à memoria ntc^ nerlc,tramezaua le fuc Orationi con certe uifua pcrationi fatte in uerfi. Et di ciò non è da mara^ uigliarfi^per che egli è un huomo fauio.Lafcia^ mo pur andare Tifia,flC Gorgia, li quali propone gonoil uerifiHiile al aero, flc con la forza delle Orationi fanno le cofe grandi parer piccole, flC le piccole grandi, fimilmcnte che le cofe uec:s chic moftrino effcr nuoue,& le nuouc uecchie, hanno trouato una breuità di parlare moza, ft poi per il contrario una infinita lunghcza di parole. Le quali cofe gii fentendomi raccontare Prodico,fe ne rife,a moftromi.chc egli folo ha: ucua trouafo, quali parole à quella arte (àceffe; ro di bisogno; & mi difTe^chc ella 'non haucua di bifogno di molte, ne di pochc^ma fi gouer^ naua in quel mezo. FED. Sauiamentc difTcProdico. SO CR. Non fa di bifogno ricor^s dare Hippia,per che io penfo,chc con lui s'accordi anchora il noftro hoftc Helienfe. F E Non bifogna per certo. SOCR, Che dirc^ mo noi della confonante concordanza.che ha rif rollato Toh? il q irate In qu arte introcìufjs le repllcationi delle parole Je fent?tie,le com paratìoni Je fi m i li fri di ni, & Tufo de i nomi con. elegantia in quel n5odo,che egli da Lidmnionc l'apprefTe. FED. Dimmi un poco Socrate^ li (critti di Protcìgora non erano quafi fimilià Èjuefti.^ SOCR. f^edro mio, il parlar di Pros rtagora è buono, fif propio,££ nel luo ftilc fi truo uaJiomoltecofcnurauigliofe.tTia nel niuouerc à pietà, fiC a milericordia^ccl ricorJfe41i iiecchie za^ò la pouerfà lorafore di Calccdonia fù cccel:r Jente, & aiicliora ikH' incitare,fl£ mitigare l' ira ^cra potentifiìnio^fii non altrimenti placaua una.ifato^che fe egli liane/Te adoperato li incanti: fa anchcra fopia tutti gl'altri nel difendeifri, fif pur garfi dalle calumnie dateli, & nel darle ad aU tri ogni uolta,che gli bilognaua. Ip forno al fi:? ne delloratione pare a mecche tutti s accordino infieme^ma-ino^ti chiamano quello fìne, Repetitione, 5(molti Ju altro modo. F FED. Voi tU che li fine fu il ridurre nella memoria alli audi:^ toribrtuemente tutte k cofe^che difopra fono fiate detter SOCR. Q^ieflo uoglio che fia^, Ci fe tu inforno à ciò fapeifi qualche altra ccfa; dillà,cheiouolentieri ti. afcolfo» FED. Io certamente non fo fenoa cofe di poco moipens! to,ac non degne d'efTer rfcordafe. SOCR. le cofe di poca importanza lafciamole andare;' flC pm predo attendiamo à dichiarare che forza habbia qiiefta arte quando quefta arte fi pot ficonofccre. F E Grande certamente, fes; condo me, è.la forza della oratoria apprefTo alla moltitudine, flf al uolgo, SOCR. Grande per certo. Ma confiderà un poco di gratia,co^ me fo io, come queftì Oratori, uanno con tutu quefta loroarte.non di meno male in ordine, flC mefchinamente, FED. Dimmi un poco^ quefta cofacome uaf' SOCR. Stammià udì:: te, Se fuffe unoxhe trouando il tuo amico Lifi:^ inaco,gli djccfli in quefto modo (o uero a fuo padre Acumeno ) Io ui dico, che io fo beniffi;: 8ìo,flC conofco quelle cofe, che accoftate à nn corposo uero da un corpo adoperate ufate,fa rò chea mio fenno quel corpo fi rifcalderà^flC raffredderà.oltra di quefto io fo prouocare il uo mito,fo fare reuacuatione,fo ordinare lepurga^. tioni,& intedo molte altre cofe funili: per il che io fo profeffione di Medico, flC dico di poter fare diuetare Medico ciafcuno che uprrà. Se uno gli parlalTi cofi,che penfi tu che gli rifpondeffero Ped.Che uuoi tu ch'io dica altro, fenó ch'eglino i'^auefferoà domadareje anco egli fa à quali per fonc.in che fempi.ft fin quanto queftc tali co* fe.chc egli dice fapere.fic conofcere/i hauefles ro à operare, fif ordinare. SOCR. Seaduns quc colui gli rifpondeflé.che egli di qucfto nó (àpe/Tj render ragione. ma che faccfTc di bifos gno.che colui che hauelTe imparato da lui quel le cofe che egli fa/apeffe per fe fteflo.fiC potcfle fare il rcfto.fiC conofcefle i tempi, £t le perfonc, uerfo di chi.fic quando fi haucfTerà à mandare à effetto. Se quefto tale gli dicelTe cofi.che penfi tu.che eglino gli rifpondelTero.'FED. Cers tamente che altro non potrebbono dire.fenon che quefto (al'huomo fiifTe fuor di fe, con ciò fia.che hauendo folamente da qualche libro di Medicina udito una pocp cofa.ft elfendogli nel leggere uenutoalle mani qualche modo di mes dicare, & non di meno non intendendo di quel la arte cofa alcuna, penfi per quefto effere diuen tato Medico. SOCR. Ma che diretti tu.fe fulfe uno, che.andaffe à dite a Sofocle, flf à Èus ripide.che egli fa i -una piccola cofa fare un lungo parlamento, ec per il contrario fopra una grande parlar breuemeute.'' Oltra di quefto che ogni yolta.ehe uuole.fa commouerc gli audis tori à mifericordia; flC fimilmentc all'ira.che è fua centuria, fa far nafcere horrore ec spauento/ fa minacciarci fa fare fimili altre còfc, fiCchc fieli' infegnarle egli penia faper moftrare Tartc, ce la Poefia Tragica. FED. Io penso che costoro similmcnte si riderebbero di lui, uedendo che egli teneffe per fernìO,che la Tragedia folas niente fi conteneffe nel far quelle cofc^chc egli dice fapere.CC non peniaffe^chc la uera Tragedia uuole tutte quefte cofe bene infieme compo fte,a ordinate, fic uuole hauere tutte le parti tra loro corrifpondenti.flC conuenicnti alla materia, CCalfubiettodellacofa* SOCR. Etnopea fo io, che per quefto eglino lo riprendeffero uiU lanefcamentc, ma farebbero come un Mufico, che fi abbatteffe in un'huomo,che fi pcnfafTe d'efTer Mufico folo per fapere in che modo le corde fi faccino fonare, hor bafre,hor alte.Que^ fto Mufico, che fi deffe in coftui,non gli direb^: be con un mal uolto, O pouero \ te, tu impazi (iome ogn' altro forfè farebbe ) ma come Mu^i fico. h quali fono tutti piaceuoli.cofi più amo$ reuolmente lo ammonirebbe. O huomo da be^ ne,colui che debba effer Mufico, bifogna che fappia quelle cofe, che fo io: £C colui, che fa deU la Mufica quello^che fai tu/i può dire, che non ne fappia cofa alcuna: per ciò che tu folamente conofci quelle cofe, che dauanti all'armonìa fof^ no nfceffaric^ma della armonia ne fefignoranfc; FED, Beniflimo, S O C R. Similmcnfe potrebbe Sofocle dire à colui, che gli fi facciTe incontro, come io ti ho detto, ciò è, che egli più predo fapcfTe quelle cofe,che uanno innanzi alla Tragedia, che eghconofceffe, che cofa fuflc Tragedia. Et fimilmente Acunieno Medico po trebbe dire à quello altro, che egli fapcffe queU le cofe,che uanno innanzi alia Medicina, ma che la Medicina non la intendere • FED Cofièper certo. SOCR, Ma fe lo clegans: tifljmo Adraflo,flC Pericle udifTero quelle parole fcelte, ftartificiofe, quelli parlari mozi, quelle fimilitudini,fi£ quelle altre cofe,chepocol'arac contauamo, fiC narrandole giudicauamo effer da confiderare^ penfiamo noi, che eglino (come forfè faremo noi ) fi adiraffero con coloro, che tal cofc infegnando,penfafrero infegnare l'arte ora^ toria,òpure uogliamo dire, che eglino, come più faui di noi, in quefto modo dicendo ci ris: prendefferoi'O Socrate, Fedro Je fonoalcu:? tti.che elTendo ignoranti dell' arte della dialettica non pofrono,ne fanno diffinireche cofafia rettorica, con coftoro non dobbiamo adirarci, ma più tofto hauergh compaflione, ££ perdos: nargli Et fono aUuni^chc ftandofi in quella lo ro fgnorantia, mentre ch'eglino folamenfepof^s^^ggono, fiCfanno gli amniacftramcnfi, che quel lecofe inlegnano, che uanno innanzi all'arte della Rettorica,fi uantano,fiC gloriano di hauer troua(a,ec di faper perfettanìente la Rettorica! ce infegnando folamente quelle cofe che fanno, pensano,tt dicono di infegnare l'arte dell'orai fc perfettamente. Ma poi il modo di teffeie in^j Cerne, 6f commettere tutte quelle cofe in un cor po,in tal modo, che à chi rafcoIta,po(rano per:? fuadere, dicono che fa di bifogno,che lo fcho;s lare fe lo guadagni, fiC per fe ftelTo Timpari^cois me le à ciò non fi facelle di bifogno il maeftro, FED. Tale certamente, fecondo me, èquellaarte, che coftoro in cambio di Rettorica infegna no,a: fcriuono; & mi pare, che tu habbia detto il uero. Ma dirami un poco in che modo,flC per che uia potremmo noi acquiftare l'arte d'uno Oratore.flCd'unperfuaforeuero SOCR. Egh è cofa conueniente Fedro, & forfè neceffa^ ria, che fi come in ogni altra cofa,cori in quefta un'huomochclauuole acquifl:are, fia in ogni parte perfetto. Per ciò che fe la natura ti incih nera à effere oratore, fc poi ci aggiugnerai la dot trina,a la efercitatione,diuenterai un'oratore ec celiente, Ma fe una di quelle due cofe,prarte,ò la natura tì nianclicri.noii farai perfetto. Hora quanto quefta arte fia grande, non fi puojecod do me, per quella uia fapere,chc Gorgia.A Tra:s fimaco feguifarono.ma per altra. FED. Per qualef' SOCR, Non fenza cagione Pericle è flato giudicato il più perfetto Oratore,che mai fufTe FED. Perches SOCR. Tutte le arti granxij hanno di bifogno della efercitatione nella Dialettica, & della contemplatione delle cofe celefti,fiC della cognitione della natura del le cofe: per ciò che quella alfeza^che nella men te noftra fi uede,flC quella efficace forza di po: tereciafcunaimprefa cominciata condurre à ne, pare che nafchi in noi per Io ftimolo^chc quefte cofe baffe^fiC terrene ci danno, il che Pe^^ ride congiunfe con la fottiglieza del fuo inge^ gno: per ciò che fidatofi nella domefticheza,CC amicitia di AnafCigora ritrouafore di fimili cofe, n de in tutto alla contemplatione,tt cofi com^ prefe^^ imparò la natura della mente noflra^flC anchora del mancamento di quella, il quale •Anaffagora copiofamente dichiarò,flC di quiui ca uò tutto quello, che à lui parue,che fuffe al prp porito,flC utile per l'arte della Rettorica. FED. Come andò queftacofa SOCR. 'Tu fai, <he il modo di medicafe^flC di orare è quafi il medefimo» Hiedefimo. FED. Ìnchcmodo SÒCR. In ambe due ijfticftc arti fcifogha diuidcrc la na tura, ma in una fi parte la naturi del corpo, nek l'altra quella della anima. Pur che non fole per uia di efercitio^flC di far buona, e moderata ui^ fa.maanchora con Tarte habbia un Medico à dare à un corpo & medicine, ÓCcibi, di forte che Io faccia fano, ac rcbufto diuentare.Et fimik niente, pur che fi habbia à metteré in una anà ma la urrtii.flf la perfùafione per ragioni, flC per giufte,fiC legittime ordinatiorri. FED. Cofi ò Socrate fi dee credere che fia. SOCR. Uo^ ra penfi tn,chefi pòfll conofcere la natura di djuefta stnitn^t bafteuolmente, fenza là cognitiòij ne di tutto quefto noftro compofto.il quald chiamiamo huomor FED. Se fi debba crcs^ dcre a Hippocratc fucceffore di AfcIepo,non fo lamenfe diremo che non fi pofla conofcere la n* turi! della a'tìima fenza quella cognittónc,che ta dici,maalnchorache non fi poffa fapcre queib del corpo. SOCR. Dottamente parlò Hip:^ pocrate. Hòra è bifògria^ eòrifiderare,fe quefta cofa,ché io t'ho detto, fa al propofito della no^ ftradifputa. FED. Faccificome tu uuoi. SOCR. Attendi adunque qitello,che non iblo Hipjpocrate^i^ia anchora la uera ragione di^cario di qucftainucftfgationc della na(uta,cli€ IO t'ho detto. Cofi adunque la natura di ciafcurs nacofa fi ha da confiderare* Principalmentehabbiamo da uederc.fe quella cora,,della quale noi uorremmo fapere 1 attera: ad altri ifegnarla, èYcn)plice,flC d'una loia natura, ò pure di molte forti. Dipoi cafo che fia fempUce,fi ha da confi derare, che natura fia la Tua neiradoperarri, ac nel fare, conìe anchora nell'effere adcperata, fiC nel patire.Mafequefta cola harà più capi,diui dendoh* prima tutti;& raccontandoh ordinata^ mente, in ciafcuno habbiamo à cercare particors larmcnte quella fua natura, & intorno al farc,flC intorno al patire. FED. Cofi pare, che s'hab bia da fare. SOCR. Et fenza far quefto fasi fi il procedere di colui, come il caminó d' un cieco. Ma colui, che qualche cofa tratta con ar^, non fi harà adafTomigliare à un decorò à un Tordo, anzi bifognerà dire, che qualunque farà, che con arte parli à un altro, prima cercherà chia ramente moftrarc la natura di colui, al quale parlerà, flC quefto altro no è che lanima. FED. Senza dubbio. SOCR. Dimmi un poco,  Vno che parli ccaarte ad un' altro, non fi sforss za egli fopra ogni altra cofa perfuadergli tutto ^ fluello,che auolei. FED. Certamente, SOCR. Et péro c cola chiara.che Trafimaco.Cf qualuns que altro attende à infegnare la Reftorica, prima donerà con (omnia dilic;entia defcriuere. ìBC di^ chiarare fe l'anima è per natura Tua una cofi fo^ la^ficfimile tutta afe fl:e(Ta,òuero fe à fimilitu^ dine del corpo, fia di pia forti. Per ciò che qtian do 10 dico, che fi debba moftrare la natura della anima, non uogiio intendere altro, che quefto# FED. Cofi douerà fare certamente. SOCR. Patto che farà quello, bifognerà che egli dimo^: ftri che potentia fia la fua,fiCuerfo che cofc la polTi ufare,C(à che paffioni ella fia fottopofta. FED. Certamente. SOCR. Dipoi ha:^ ucndo già diftinte,CC diuife tutte le forti degli affetti dell'animala de li difcorfi, & ragionai menti fuoi,gli farà di bifogno raccontare tutte le cagioni, per le quali tali affretti in lei nafcono, accommodando fempre le cagioni a gli affetti fuoi,& infegnando le qualità dell'anima, Cf che difcorfi fiano I fuoi,fiCper che cagione qucfta ftia fcmprcin confideratione,flC in nioto,flC quel la mal à contemplatione alcuna ne fi leui,flC fem pre fi ftia ferma. FED. Quefta farebbe una cofa ingegnofiHima. SOC. Et perciò ti dico, che no fi potrìmai dire, che uno fratti, ò ragioni bene di cofa alcuna, non pur di quefta, di che t'ho ragio mtòjc alfrimcti procccJèrà.Ma li fcritfbri Ai qut fta arte de i noftri tepidi quali tu anchora puoi haucre uditi, fono aftuti.flC conofccndo beniffi^: mo quefta natura deiranima,chc io dico, non di meno ce la afcondono, flC non ce la uoglionomoftrare. Et io ti dico, che fé eglino non parler ranno^flCnon fcriueranno feguitando il modo mio, non dirò maliche con arte, ò bene fcriua no. FED.  Qual modo dici tu. SOCR. Io non ti potrei cofi facilmente dire le parole, che ci uanno,ma in che modo ci bifognaffe feri ucre,fe l'hauefTemo à fare,te'l dichiareiò in quel miglior modo, che mi farà poffibile. FED. Dillódì grafia, SOCR. Poi che noi hab:s biamo ueduto^che la fcientia del dire altro non è, che un tirare à fegP animi, flC un dikttarfi,bi^ fogna che colui, che debba effere Oratore, cono^j (ca quante parti habbia quefto animo. Hora quc fte fono affai, flC di molte, flC uarie qualità, fiC forti,per le quali gli huomini uengono anch' efli diucrfi.ft di molte qualità. Confiderate quefte cofCiCjpuiamo dire, che fieno tante forti di Oras: ' tioni,fl(di parlari, di quante forti fono le qua::  liti delle anime noftre.Etperò quelli animi, che peir le qualità loro fono à qualche lor parti:? «olar dcfiderio difpofti/fàcilmente con quellimodi di dire fi perfuadono, che alla natura loro fieno fimili: doue che fe tu in un modo parler rai,a; 1 anime di chi ti ode, fia altrimenti difpo:? fto,non lo perfuaderai mai. Et però à colui, che harà bene quefte cofc confiderato,poi che hariueduto,flf conofciuto la natura d'uno, flC le ope:: re,fif le attioni comprefe farà di bisogno potere in un fubito nel Tuo ragionamento a{regnare,flC dimoftrare ijuefte Tue attieni, flc dimeftrare di conofcerle: ft fe altrimenti farà, potrà dire di no Tapere altro che quelle core,che già dalli maeftri gli furono infegnafe. Ma colui, che può con uc rità dire,flCconofcecon qual forte di parole fi può ciafcuno huomo perruadere, flC ingegnofamente auuertifce, che colui, che gli è dauanti,c di quello ingegno, flc di quella natura, della qua le egli ha dimoftrato,flC fapendo fimilmentc, che un tale huomo ha bifogno di parole tali^ quale egli è ^per uolerlo condurre à far quelle co fe,alle quali egli è dalla fua natura inchnato^co^ ftui dico, che cefi farà ammae (Irato, all' hora po trà u erame n te affermare di poffedere qneftaarte del dire. Quando aggiugneràà quefte cofe,che iotihodettedifopra,ilfapere quando fi habs bia à tacere, ce quando à parlare, quando fi habsj bia à effer breue nel direna quando non^Oltca di qucfto quando conofccrà, quando fi haràda -uCire una Commiseratione, e qciando una uehe mcntia di parlare più afpra, quando s'habbia da fare una Amplificaticnc,flC qtiando in fomma fa, prà in quefto fimil modo uiarc tutte le altre par ti della Oratione,che fono dalli maeftn (late in:5 degnate: flf prima che tal cofa non fappia^non potrà in modo alcuno e(Ter detto Oratore. flC co^ lui^al quale una di quelle cofe.qual fi fia^mans; cheràònel dire,ò nello rcriucrè.òhello infe:? gnare,flC non di meno affermerà parlare con ar:? tc.airiioraquel tale, che tenia eller perfuafo fi partirà da lui, fi potrà dire uincitore. Ma forfè qualcuno di queftì Sciittoridi Rcttorica ci potrebbe direnò Socrate, & Fedro. peniate uoi che l'arte del dire fi habbiaa imparare in quefto mo do.flC non in altroi' FED. Socrate à me pare impoffibiìe/he fi pcffi intendere altiimcnti, quantunque quefta dimodri eflere una opera, & una fatica gianiffima, SOCR. Tu dici il acro, per ciò che ella è, come tu dici.dilfi:: Cile. bifogna parlando, & ri£arlando di quefta. cala più uolte,ceicare,tt confiderare fe forfè po teffjmo ntrouare una uia,che più facilmente, fl£ in più breue tempo iui ci pofc/Ie menare, acciò che noi noli ^iidiaaio inconfideratamente er;i rando ' ranJo per ufa lunga, d: difficile, pofendo noi ca minare per una piana, & breue: per il che fé a qucfta cofa tu mi pcteffi dare qualche aiuto coiji quelle cofe^che hai ò da Iifia,ò da altri imparai te,uedi di ricordartene, e dichiaramele» F ED. Potrei forre, per prnnare k mi riufcifle/arquci; che tu dici, ma non in queflo tempo. SOCR. Vuoi adunque,che io ti racconti un ragionai irento^che io gii non fo quando, udì intorno a queftacofaf  FÉD. Di gratia. SOCR. E fi dice.che egh ègiufto iddio quello, che uno ha neir animo, come coloro, che pagano quelli danari alla fiatuii di Lupo, come (ai, FED. Cefi uoglio che ^cci, SOCR. Dicono ^diin qne coftoro,clie non fa di bilbgno tanfo con pa role inalzare (e cofe,che un dice, ne con lunga Oratione ingrandirle, come fare fi fuole: perciò che uogliono quefti tali (come habbiamo det^s to nel pnijcipio del ncftfo ragionamento che à uno,che habbia da eHere Oratori, non faccia di bifogno ccncfcere la uerifà delle ccfe giufte, & buone A dicendo quefto, intendono cofi/dcl le cofe,come de gli hucmini òper naturalo pcf ufo giudi. Et allegganoquefla ragione à prora uare che non bifognjfapere,che cofa Ca il gitH &o: per che ueJii gmcUcu h Oiatori nò fogliono hauer cura dimoftrarc la uerità,ma pia prefto at fendono à pcrfuaderc l'opinioni Io. C£ pero dico. Ilo, che è cofa uerifimile à credere che ia perfuac iìone fola fia quella, alla quale debba indrizar la mete colui, che con arte uorrà faper dire. Et che» fii il ucro, dicono cofloro che nefTuna cofa fi ere àttì mai che fia (lata fatta, fé prima non farà mo ftrato effer cofa probabile fiC aerifimile,che pcfTì <ffercaccaduta. Ma pure uogliono coftoro,chc -jpiu tofto fi habbino à addurre le cofe uerifimili neiraccufare.che nel difendere: flC cofi affermano, che un' Oratore fa poco conto della uerità, & che folo feguita il uerifimile^flC uogliono che fe quello loro Oratore feruerà in tutte le fue Ora tioni quefto ordine di moftrare il uerifimile, fi pofli dire, che egli moftri di faperc l' arte oratoria beniflimo. FED. Socrate tu hai raccon^ fato quelle cofe, che fogliono dire coloro, che fanno profeffione di infegnare la Rettorica.Et io mi ricordo.che nel ragionamento nostro poco fa toccammo un poco di quella cosa e quel, che haidetto, foche debba parere cofa troppo grande à coloro, che in quella arte fi efercitano. Ma io ti fo dire, che tu hai dato una buona ba^ donata à Tifia. SOCR. Poi che tu mi hai ticordatoTifia^uorrei che egli mi dice/Te, fe e pcnfa.chcii probabile, flC il ucrifimilc fia alfro;^ che quello, che pare al uolgo. FED, Che uuoi fu che riaaltrof*. SOCR. Trono olxra di quefto, fecondo me, Tifia qucfta altra cofabeU la,& degna di lui, & la fcrifle anchora. Et que:* fto è, che fé per cafo un'huomo debole, ma au^ dace.che hauc/Te battuto, flC fpogiiatouD'huoi^ mo forte, flC timido^fafTe menato in giudicio,, uiiole TiTia che nefTuno dicoftoro habbia à con fefTare il uero,ma uuole che il timido dica.chc egli non è (lato battuto folamente dall'audace, & 1 audace l'ha à negare, moftrare d effer ft^ (0 folo,flC pigliare quefto argomento. Come uo^ leteuoi,chcio,chefon debole, habbia aflalita coftni,che è gagliardo. Ma quel timido no coraj fefTerà per quefto la fua timidità, ma penfando, ritruouando qualche falfità,cercherà di accu^ fare Tanuerfario, Et cofi fimilmcntc in molte altre cofe accafcono fimili cafi, nclli quali(dicc^ ua Tifia ) bisogna haucrc quella arte. Non ti p;i re egli cofi FedroJ' FED, Cosi certo. SOCR. quanto aftutamente dimoftra TifiadihauejCieritruouata un'arte afcofa,* diffìcile, ò ueroqua^ lunche altro (ìa (lato, che habbia tenuta quefta Tua opinione, ft habbia nonfe^comc £i uoglU»! Ma uuoi tu, ch'io dica quefta coiàio od^ JF £ p« ' Chccofaèqucfla.clicfu uuofdìre^ SOCR. 'Io uoglio parlare un pcco con Tifia.O Tifia ih» «anzi che tu ueniffi con quefta tua atte, noi tes ncuamo per certo, che quefto probabile,fiC ucris fimile.nonfipotefii al uolgo per altro iTiodo mostrare che con la fomiglianza della ucrità.fiC pcnfauamo.che quelle fomiglianie del uero fos lo da colui potefTero cfTer trouate,chc peifettas niente la uerif a ccnofceffi. Per il che fé tu cidi'raiintorno àqiicfta arte qualche altra cosa volentieri ti afcol faremo: ma Te non dirai altro, noi ci ftarenso à quello, che poco fa habbiamo defcs to.ft^ 9 crederemo. Et questo è che se  uno non conosce bene gli ingegni delli audfe tori.ft fe quelli l'un da l'ahro non. diftinguerà, a fe non diuiderà le cofe.di che egli ha da pars lare nelle fue parti fe quindi di tutte un'idea fola facendo, in quel modo non le comprendes rà auefto tale nó potri mai acqui{lar*e quella ars te del dire. che può hauere un'huonrto. Etques > fta cofa non la può imparare fenza,un lungo uu, dio. Nella qua! cofa un' huomo prudente nófo lamentc fi affaticherà per poter dùe.a orare in modo, che piaccia a gi'huomini, ma anchora ut cherà di poter djre.a tare quelle cofc chc habs jj^j^jano da e(ftr gxate a Dio. Per cièche io uoglioche tu fappia Tifia/he quelli Iiuomini, chc fors no flati più faui di noi, bino detto che un'huo mo fauio non debba follmente penfare di (om^ piacere à tutte le bore à quelli, che feco fono fa un niedefimo fcruitio, ma fi ha da cercar di ubi dire à buoni Signori. Per il che non ti maraui^: gliarc.fe io ufoquefta lunghcza di parole, per ciò che gh è neceffario che io fia lungo efTcndo le cofc,che io tratto, di importanza, il che forfè tu non credi.Etfappi,che (come fi fuol dire ) che dalle cofe buone ne nafcono le buone, cofi anchor dalle uere pofTono uenirne le uerifimili. FED. Qyefta cofa pare à me che fia beniffimo detta. SOCR. Egli è certo difficile, ma egl'è anchora cofa hoaorata,flf degna lo sforzaifi (em predi aitiuare air acquifto di cofe eccellenti, fl(degnerà patire tutti quelli difagi,che in tale sforzo ne interuengcno. FED. Tu hai ragio ne. SOCR, Habbiamo horaà baftanza ra^ gionato della arte j ce del trifto modo del comrs porre Orationi. FED. A baftanza per certo. SOCR. Ci refla bora à ragionare intorno alla bclleza dello fcnuere^flC à dire onde nafca labru teza dell'orare, FED. Quefto ci refla. SOC. Sai tu in che modo ò ragionandolo orando lì f offa nelle parole piacere a Iddio FED, Non ccrfo^ft tu? Spc. Io ho udito dire no fo che cog. fc, le quali già furono infegnate dalli noflri anti chiamala uerità di qucfta cofa la fanno cffi^fif ilo io. Hora fe noi ritrouaffemo modo di piacer nel parlate a iddio, pefi tu che ci bifognafTe più haucre cura di quello,che gl'hucmini intorno a ciò fciocamente pcnfanor FED. Qnefla tua do ìiiada è da ridere. Ma raccontami un poco quellecofe^chc tu dici hauere udite. SOCR lo ho udito, che là prefTo al Naucrato di Egitto; fu già un certo iddio de gli antichi. al quale e dedicato quello uccello, che chiamano Ibin^flC quefto iddio é detto Theute. Quefto dicono, che fu il primo^che trouòii numerosa la com:? putatione,flf raccpglimento de i numeri, non folo uogliono che fuffi ritrouatore di quefta co::^ fa, ma anchora della Geometria, & della Aftrono miarritrouò anchora- fecondo loro, Tufo de i das di.fiCil mododi fare le forti, flC finalmente fu inuenfore delle lettere. Era in quel tempo Re di tutto r Egitto Tamo,2C ftaua in quella granr: di/Tima, CL nobilifTima Città, che chiamano li Greci Thebe di'Egitto; flC queftì popoli hannp po(]:o nome à Iddio Ammone. A quello Reue nendo Theute, gli moflrb le fue arti, flf gli diC^ (e.che farebbe flato buono, che egli à poco à pp co le diftribuifcc à tuffi li popoli dì Egitto. Ma egli domandò a Thcute,che utilità ciafcuna di quelle arti à gli huomini apportai » Il che di^ chiarandoli Thcute,Tamo approuaua quello,) che gli pareua ben detto: quello poi, che non gli piaceua. lo biafimaua. fiC all' hora fi dice che Tamo dichiarò^a moftrò à Theute intorno à eia fcuna arte molte cofe,flC per una parte^ & per la altra; le quali fe io tutte uolcffi nan-arti/arei trop po lungo. Ma poi che uennero al ragionar dcU le lettere^ di/Te Theute, Sappi Re. Che quefta difciphnafaràdiuentar egli Egitfii più faui^flC di maggior memoria: per ciò che ella è ftata tro:j uata per rimedio della sapientia^ft della memo: riamai che egli rifpofe, Aftutiflimo Theute uo:s glio che (àppia,che fono alcuni^che fono atti k ^ fabricare gli inftrumentijchc per una arte fono neceflarii,ac buoni; alcuni altri faranno poi più pronti à giudicare che dannoso che utile quelli arte debba an:ecare. Matu,chefci padre delle lettere, forfè perla troppa bcneuoIcntia, che gli porti, haidimofl:ratodi conofcer poco la forza loro, hauendo affermato che elle cagionano in noi quello efFetto, del quale niente é uero,anzi fanno il contrario. Per ciò che T ufo delle lettere facendo che noi poco ci curiamo di tenere à me moria co(aa!cuna, pàrtoriTcfnciram eli chi fe impara obliaionc di ciascuna cosa. Et qiìefto ne auuicne,pcr db che confidati nelli fcritti dal tri,non uogliamo cercare di rauuoUarci troppo ncir animo le cofe: per il che tu non puoi dire d'haucr troiiato il rimedio della memoria, tna più tofto d' un rammentarfi delle cofe già fapuis (e.Oltra di quefto à me pare, che tu più preda infegni alli tuoi scholari una opinioe della Icien ha, che la uerità: per ciò che hauendo quelli fen za la dottrina del maeftro lette, flC imparate mol: te cofe parràal uolgo.anchor che fieno ignors ranfi,che non di meno molte cofe fappiano,oU fra di queflo diueterànno nel praticarli più mos: lefti,flcfafl; idiofi, ne ciòauuerrà senza cagione: per ciò che efFi non pofTederanno la ucra fapien tiajfhapiutofto feranno ripieni d' un" opiniors ne di hauerla. FED. O Socrate, tu con poca fatica fingi, che li Egittii parlano, ft qualunis que altro più ti piace, pur che ti uenga bene. SOC. Qaefta non è gran cofa, per che ancora quelli, che ftanno nel Tempio di Giove Dodoneo, affermano che le prime parole del fufuro indouine, che effi udirtera, ufcirono d'una Querele: li che à quelli popoli del tempo anti^ co (per CIÒ che eghno non erano cofi faui.co^ SOC fetc uot del dì d'^hoggi ) baftaua pci fr disfare alla loro fcioccheza udire ie^.pktrf ^i) k Qucrcie.pur che elle gli diceflero il uero* Ma (i5 peni! che importi qualche cofa chi fia.ò d'onde lia qucllo, ckc parlj. Et ciò ti auuiene, pcr >ch^ tu non confideri folo fe qucUo.che parla, dice il uero,ò non, ma uuoi udire parlare i p^erfone à tuo modo, FED. Ragion^uolmcntc finii h«ii riprefo fif à me certamente pare, che nelle letiP tere interaenga quello, che fecondo il tuo dire, diceua Tama; chc à coloro accadeua.chc U (ape tiano. SOCR. Et pero qualunque perfona penfa fcriuendo intorno à quefta arte, 6 quelle cofc imparando. che da gli altri di lei fono itatc fcritte, per queftoche dalli fuoi fcritti fi habs» bla certeza alcuna i cauare.ò uero per il fuo im^ parare,douer faper cofa ucra.coftui certamente c fciocco, a: di poco cervello.flc fi può dire, che egli fia in tutto ignorante dello Oraculo di Gìq ue Ammonio, con ciò fia che egli pensi che le Orationi fcritte pifi poffuio,che non potrà uno chcdafe fteffo fappia quelle cole, delle quali Quelle Orationi ragionano. F £ BeùiSì^, tno. SOC. Queftoo Fedro ha la fcnttura piena di grauità,& dignità, che ella è fimihdl^ ina alla pittura: per ciò cIk ie^opere della pittUiP ra pare clic fìcno ufue^ma fc tu gli domanderai qualche cofa, uergognofam ente fi taceranno. Hon altrinienti delle Orationi potrai dire,fif ti parrà, che elleno intendendo qualche cola, U polfano anchora dire,ft moftrarc. Ma fe poi for^ (e di laperdefiderofo, gli domanderai di quaU che fuo detto la cagione femprc ti diranno una cosa, e ^<^»^pre ti lignificheranno il medefimo: <3CogniOratione,comeellaè feritta una uolta, Tempre. flf in ogni luogo la medéfima lì ritruo^ ua,fiC moftra le cofe fue à quelli, che fanno, à gh' altri,'alli quali forfè niente importa, flC non faella,o puo dire à chi bifogni manifeftarfi, 6 àchi nonb]fogni,2(fe mai gh è ingiulla:^ mente fatto ingiuria,© detto mal di lei,femprc ha bifogno dell'aiuto di fuo padre, ciò è di chi rha fcritta,per ciò che ella al.nemico non rcpu? gna,ne à fe fteffa può dare aiuto. FED.Quc Ite còfc anchora pare à me, che fieno ueriffimc,. SOCR. Ma che dirai tu à quello? Credi tu, che fi polU uedere un'altra forte di parlare fras: tello di i^ueftof Et che fi polfa concfcere come quello, che io ti dico,fia legittimo, fiC quello del quale habbumo ragionato badando, & quanto migliore, flC più potente nafcai' FED. Che parlare è queltof CC come uuoi tu che fi facciaf^ tu' ' Soc. SOCR. Qucfto parlare è queIIo,chc fi kwt ncir animo di chi impara per mezo della fcipnjs tia,flC è migliore, per che quefto può aiutare à fc flefro,fif conofce co qua] forte di p<rfonc fi bia a parlare., flC con quale à tacere. FED. Xji uuoi dire il parlare d' un dotto, che fia uiuo,flC che habbia fpirito,deI quale una Oratione fcri(» ta ragioneuolmente potremo chiamare un fimu^s lacro. SOCR. Quefto dico fenza dubbio. Ma dimmi anchora quefta altra cofa, Vno agr(^ culflcre che fia fauio^ credi tu che uorrà fpargerc^ ft gettare nel tempo della ftate quelli femi.chc egli bara più cari.ft delti quali egli afpetta con defiderioil frutto, ne gli horti d'Adone, cor» ogni ftudio,fiC diligentia,acciòche perfpatio di otto giorni ne pQ)[fi uedcre i fiorii (comelai^chc miracolofamenfe in quel terreno ìnteruiene) ò nero dirai, che fe egli pure il farà, Io farà per pat fac tempo in qualche giorno di fefta.fif per darfi piacere, fiC no per cauarne utile alcuno^Ma quan do egli farà da uero, ce che uorrà "attendere alla agricuItura,non li feminerà in quelli horti,ma in terreni conueneuoli,flC gli parrà hauere affair fc con interuallo di otto meli, flC non d otto gior ni la fuafementafi maturerà. FED. Certamente Socrate, che come tu dici, quel tale femi;? fi^^è gfi WrH (!• AcJdftc pft btirla.ft per foU lazt),^ nel terreno buono da uero. SOCR. t>^jf nfaremo noi, che un^huomo. ch^ (appia xke toù'fu il giudo, Ce il buono, ft« rhonefl-o, fi^ iiello fj^argere la fua fementa pia fciocco d u fio-agricultorer FED. In nessuno modo. SOCR Ef pero egli no femmerà i (noi detti ftudiòfamente con la penna nell'acqua negra, ^órtmietten doli alle fcritturc,fapendo egli che ft'mai poi portaflero pericolo alcuno non gli po tra dare aiuto: flC conofcendo anchora^che con lèfcriuere non fi può moftrare à pieno la ueri:? ti. FED. Certo ch^ il feminarecome hai dctfe, è fuor di propofifo. SOCR. Certo, ma prahìerà beh coilui gli horti delle lettere per darfi in quella follazo, fiC per pafTarc il tempo/ ce in quelli feminerà^ftcofi fcriuerà qualche co Éi^t'Af pofcia che fi uederà hauerc scritto, terrà qùéli fuoi (catti per mcmoria,&' gli harà cari, come fe fu (fero tefori atti à fargli fcordaie gli afi^ tìnni/che gli ha da arrecare la futura uecchieza. Etnonfelopenferà,chcgli habbino à cagioni rtàrecjUefto in lui ma in tutti coloro che feguis teranno le fue pedate, ecinfieme fi rallegrerà di tiedere già nati i fuoi teneri frutti: fif mentre che Ili altri huomini uanno pur altri piaceri fegui» tando. tando, cclebràndo conuit?,& fimili altri cU;:»*ti% egli lafciate quefte cofe folamcntc attenderà a ui nere nclli piaceri^ che danno li piaceuolj, e dotti ragionamenti* FED, Socrate tu mi nioftli un trattenimento molto più degno di molti altri, cheà me paiono nili, narrandomi quei di co^ lui, che può Tempre hauer piacere ne i ragionamenti, a disputare della giuftitia, «di quelle altre cofe, che tu dici. SOCR. Cofièccrtamente Fedro mie caro, ma molto più degno ftio c quello di quefti tali (fecondo me ) quando alcuno, poi che ha ritrouata un animala quel locheegh intende infegnarli afta, ufaudo Tarlc della dialettica, piantala: femina in quella ani; male fue parole con la scienfia: le quali parole fono bafteuolià giouarà fe ftefre, & à colui, che le pianta: per ciò che non folamentc portano fc co grandilTinìO frutto, ma anchoia il if me doa^s de nuoui frutti pedano nalcetc.Onclt^ pafTando poi quefte paroÌe,6: quefte fcientie <A]ixn hixf:^ mo in un' altro, mantengono qucftft.gtiecic dono immortale: colui, che Ila in fe tal do:? no, pongono in qdello ftato di beatitudine, che è ^oflibile à un'huomo. FED, Qaxtlh è an^ chora molto più degno, & honoreuole* S o Hormaio Fedro hauendg noi le cofe^ che Labe L un biamo dette diTopra conceflc, potiamo beniflirs- ino confiderarc quelle cofe,che^tu fai. FED. Quali. SOC. Qijelle, che per conofccrlc fin giù habbiamo ragionato, il qual ragionamen tb non habbianìo per altro fatto, che per poter ^ confxderare il modo di uitupcrare Lifia tuo in^ quanto all'arte dello fcriuere: non folamcte Liria,ma anchora tutte quelle Orationi.che con arte.ò fenza arte fi fcriuono. Età me pare, che già à baftanza habbiamo dichiarato, chi fia colui, cheartificiofofipofli dire, ficchi quello, che fia priuo d' arte. FED. Cofi pare à me. SOCR. Et però bisogna di nuouo ricor^ darfi,che alcuno non può perfettamente faperc l'arte del dire,ò uoglila faperc per perfuaderc Viltrni,òper infegnarla (fi come le ragioni di fo |)ra ci hanno dichiarato )fc prima non conors fcerà la uerità di quelle cofe ch' egli dice, òfcri^: uc t ce fe non faprà diffinire tutta la materia deU la cofa,che tratta: fl£ fatta qùeftà diffinitione,di nuouó diuidere tutte le parti, tenendo alle co:s fc particolari, ftindiuidue,fl£cofi contemplanti do,flC confiderando in quefto modo un'anima, alla quale habbia da perfuadere qual si vogli cosa, ac haucdo quelle cofc ritrouate,che con ogni forte di ingegni fi accompagnano, flC fono convenienti. 'ucjjJenti.cofi fopra fu«o ordini^ fi: acconci il fuo parlare, che co un' anima uaria.fi: di diuerle fantafie.accommodi parole, & modi di dire uas rii.flC di molte forti.flt con una anima semplice, fi£ di un fol uolere ufi parole femplici.fl£ pure. FED. Cofifièdetto. SOCR. Chedires mo hora noi di quella queftionc, che di fopra habbiamo tocco. ciòè fe egli è cofa honefta. ò bratta il comporre Orationi. fi: in che modo questo studio si possi ragioneuolmente uituperarc, a in che modo non. Non ti pare egli,che le ragioni dette di fopra ci habbiano dichiarato ques fto paHb i bastanza. FED. QjaaU ragioni? SOCR. Quefte.che fe Lifia.ò altri. Ccfiachi uuole ignorante della verità fcyfTe mai.ò ucro fcnue al prefente.ò fcriuerà cofa alcuna priuatas rmcnte.ò ucro che fi appartenga al publico.cos me farebbeno certe ordinationi ciuili.ó fimili cofe,flC che coftui penfi.che di quefti fuoi fcritti fe ne possa cauare una certeza. flC una fermiflima ftabilità.quefta tal cofa T uno fcrittore fe fi ha da giudicare che fia^brutta. Dichinlo le perfonc. ò noi dichino. chequefto imparta poco:| ciò che il non sapere, che cosa sia il vero ne il falso intot no alle cofe giufte.fiC ingiufte, buone, CCtriftc, (anchora che il uolgo tutto lodoiTe quefta igno.twifia}non può pero effefc.che confidcrarK^o il uero non fu bruttiflima. FED. Bruftiflima pcrccrfo. SOCR. Perii contrario poi. colui che penfa che fu neceflàrio qualche uolta per trattenimento, fif per fcherzo fcriuere^at nó giù <ljca che Oratione alcuna oin profa.o iq ucrfi mcrti^che fi perdi un gran tempo nel comporta '{come fanno quelh. che fenza confidcratione al tuna.CC fcnza dottrina, folamentc per daxad ins tendere una cola.fogliono alle uolte recitare ucr fi)ma terrà per certo.chc li fcritti,che buoni fi poflono dirc.fieno flaticompofti folo à quelli, chefanno.ma faprà che nelli ragionamenti, che fi &nno per cagione di imparare.fif di infegnarc adaltri.fifchc jicrauientc fi fcriuono.fiCimpria: ^tnono nell'animo d' uno.li quali trattano delle cofe gi"uftc, hcnefte. abuone,in quelli folas mente è ia uera chiareza flC la pcrfettione. A quc ragionamenti foli tiencche mcntino studio, ttquefti/olifuoi figliuoli legittimi chiama.dt di queftl ragionamenti primieramente appr/za quello.chc m fe ftefTo efler conofcc(pur che in fe h ntroui}dipoi tutti quelji,che di quel fuo parto.comc %lmoli,Cf fratelli,© nel fuo ania wo.ó nell'altrui menti fono nati: fic. tutti gl'als tri difpreza, a difcaccia, quefto tale, dico, pare 4 me mt telile fia tale,qualc 3a noi fi potrcì fyé^8drK!*« rare. FED. lo acmi ò S cerate, efièr conife t:olui,cIic ttì ilici di queflo ne priego Aìhàtas mente Iddio. SOCR. Ma fia detto aflai^cl r^rte del dire per qaefta uolta^iiauendo noiparr lato più per{ratteiiimtnto,-clTe per altra cagioine. E t però tu potrarf dire à Lifia, ciré ncrtlTenfi do andati doue è il fonte delle Ninfe, ideile Mufe,habi>iaino uditi certi ragion ameti, li cpali hanno comandato, che noi dtcfatno A à itif  (à tutti gli altri Scrittori d' Orat foni: ol tra dì quefto à Honicro,ò;fe altri è (lato che c qualche ftuda,CC bada Poefia babbi compofl:o,ó pùre or nata, fiC niimerofa,ul{irnaoien(e à Solone/fiCi tutti gii altri^che delle ordinationi tiiiili hanno fcritto,che fe eglino tali cose: onìpofero con faji peucli della ue<ità,flC col difputarc, pofTono dì: difendere le cofe^cbe eglino hanno trattato, SOC con ragioni fa^r fi,chc li fcritti dinioftrano c{{ctc dainanco,ft pia uili delle parole loio,fif dclU noce uiua,fe quefto che io dico, faranno Farei ine,<he habbiano à pigliare il nome ne da quel le cose,che con la penna fcrifTero^twa pio prcftat da quello, che doftamete ccnfiderarono. FED. Etchc cognome lata quefto, <££ in the modelli lo darai tui' SOC il gran ccgncMM ài piente folo à iddio/ccondo me, fi conufener flC pero à qucfti tali huomi ni, ch'io tlio difopradc^ fcritti,gli porrci più conucnicntemete il cogno:: medi Filofofo,ò di qualche altra uoce fimile. FED, Certo che quefto no fi difconuerrebbc. SOCR. Et pero dimmi un poco, chiamerai tu ragioneuolmcnte Poeta, ò vero fcritfore d'Os: rationi.òdi leggi colui, che in fé cofa alcuna no habbia migliore di quelle, che ha fcrittof' Et che lungo tempo rauuollendofi, fiC aggirandofi il ceruelIo,con una affidua emendafione finalmen te habbia fatto una compofitionef FED. Che uuoitudircperquefto? SOCR. Voglio di re, chetudica tutte quefte cofe al tuoLifia. FED. Et tu non farai il medefimo col tua amico. per che in uero non mi pare da lafciarlo andare. SOCR. Quale amico dici tu F E Dico Tfocratcgiouanc perfetto. Che dirai tu à coftui Socrate Chi diremo noi, che egli fia (SOCR. Ifocrate ò Fedro, è anchora giouanetto^ma io non uoglio lafciarc di dire quek lo,cheioindouinodilui, FED. Che cofa f SOCR. A me pare, che egli fia di migliore ingegno,chenon dimoftra d'eflcrLifia per li fuoi Sritti, & oltra di quello di più gencrcfi cofiumi ornato» Per il che io non mi marauigliarci punto. punto,fccrcfcendoinIuigIi anni, egli diuens tafTc più eccellente nell’arte del dire, nella qua le hora si esercita di quànti mai à quella si sono dati: flC credo, che egli non contento di queftc cofe per un certoinftintodiuino,cheè in lui, fi inalzerà ad imprefe maggiori; per ciò che io uo glio che fappi,che nel fuo ingegno è (lata daU la natura poftain un' certo modo la Filofofia, Quefte cofe adunque, che da quefti iddìi hofa^ pute,manife(leròal mio amicilTimo irocrate,& tu dirai al tuo cariffimo Lifia quelle altre cose. FED. Cofì farò. Ma partiamoci di qui,con ciò fia che il caldo fu hormai calatto à fatto SOC« InnanziportajrCjò trarre feco, fen6colui,che fia t» perato, Penfi tu che fi debba domandare altro ò Fedro  A me par hauerc con preghi domandato uclfo,cbefaceuadi fxifognó, F E Pieg afichoia,che quel trcdcfmio conccdinoa me: pei ciò che tra gli amici cani cola è conh SOCR Partiamoci Adunque.  Ricerca Ganimede (mitologia) personaggio della mitologia greca, figlio di Troo, coppiere degli dei, Ganimede Ganymede eagle Chiaramonti Inv1376. jpg Ganimede e l’aquila, Nome orig. Γανυμήδης Sesso Maschio Luogo di nascita Dardania Professione dio dell'amore omosessuale e Principe dei Troiani Ganimede (in greco antico: Γανυμήδης è un personaggio della mitologia greca. Fu un principe dei Troiani. Omero lo descrive come il più bello di tutti i mortali del suo tempo.  «La vicenda mitologica di Ganimede servì da emblema significante per la natura dell'amore tra uomini, un amore filosoficamente più elevato rispetto a quello rivolto alle donne: la vicenda dell'aquila divina si assicurò così un posto d'onore tra i riferimenti artistici al desiderio omoerotico. In una versione del mito viene rapito da Zeus in forma di aquila divina per poter servire come coppiere sull'Olimpo: la storia che lo riguarda è stata un modello per il costume sociale della pederastia greca, visto il rapporto, di natura anche erotica, istituzionalmente accettato tra un uomo adulto e un ragazzo. La forma latina del nome era Catamitus, da cui deriva il termine catamite, indicante un giovane che assume il ruolo di partner sessuale passivo-ricettivo.  Genealogia  Figlio di Troo e di Calliroe (o di Acallaride).  Le varianti della sua ascendenza sono molte, Marco Tullio Cicerone scrive che sia figlio di Laomedonte, Tzetzes che sia figlio di Ilo, per Clemente Alessandrino è figlio di Dardano[9] e secondo Igino suo padre fu Erittonio[10] oppure Assarco.  Non risulta aver avuto spose o progenie.  Mitologia Bassorilievo di epoca romana raffigurante l'aquila, Ganimede che indossa il suo berretto frigio e una terza figura, forse il padre in lutto Il tema mitico fondante di Ganimede è costituito dalla sua bellezza, di cui si invaghirono sia il re di CretaMinosse sia Tantalo ed Eos, come infine il re degli dei Zeus, così come si racconta nelle varie versioni della stessa leggenda.  Nell'Iliade di Omero, Diomede racconta che il Signore degli Dei, affascinato dalla sublime beltà rappresentata dal ragazzo, lo volle rapire nei pressi di Troia in Frigia, offrendo in cambio al padre una coppia di cavalli divini e un tralcio di vite d'oro: il padre si consola pensando che suo figlio era ormai divenuto immortale e sarebbe stato d'ora in avanti il coppiere degli dei, una posizione che era considerata di gran distinzione.  Zeus per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da enorme aquila; sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando il suo gregge sulle pendici del monte Ida, nelle vicinanze della città iliaca, se lo porta quindi sull'Olimpo dove ne fa il suo amato. Per questo motivo nelle opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila, abbracciato a essa, o in volo su di essa, e, in varie opere d'arte, è quindi raffigurato con la coppa in mano. Burkert ha trovato un precedente riguardante il mito di Ganimede in un sigillo in lingua accadicaraffigurante l'eroe-re Etana di Kish volare verso il cielo a cavalcioni proprio di un'aquila. Da alcuni viene anche associato con la genesi della sacra bevanda inebriante dell'idromele, la cui origine tradizionale è proprio la terra di Frigia.  Tutti gli dei erano riempiti di gioia nel vedere il bel giovane in mezzo a loro, con l'eccezione di Era; la consorte di Zeus considerava difatti Ganimede come un rivale più che mai pericoloso nell'affetto del marito. Il padre degli Dei ha successivamente messo Ganimede nel cielo come costellazione dell'Acquariola quale è strettamente associata con quella dell'Aquila e da cui deriva il segno zodiacaledell'Acquario.   Busto di Ganimede, opera romana d'epoca imperiale (Parigi, Museo del Louvre) Mito iniziatico Lo stesso argomento in dettaglio: Pederastia § Origini iniziatiche. La coppia Zeus-Ganimede costituisce il modello mitico del rapporto omoerotico tra maschio adulto e giovinetto, relazione colorantesi spesso di un significato iniziatico (vedi la pederastia cretese) in quanto finalizzata - anche attraverso il legame sessuale - all'inserimento del giovane nella comunità dei maschi adulti. Questi amori "paidici" di un adulto amante-erastès che rapiva simbolicamente un giovinetto passivo-eromenos potevano venir praticati attraverso schemi rituali imitanti i veri e propri rapporti matrimoniali e dove, in un luogo appartato, avveniva la sua iniziazione sessuale. Zeus e Ganimede, rappresentando la perfetta coppia di amanti maschili, sono stati come tali cantati dai poeti. Il cosiddetto "tema di Ganimede" era adottato durante il simposio a modello dell'amore efebico: se anche il Signore degli dei fu incapace di resistere alle grazie di un fanciullo, come avrebbe potuto farlo un mortale e poter rimanerne immune? Certamente nella mitologia greca si riscontra la grande voglia di Zeus nel sedurre le Dee, ninfe, ecc.; per questo a volte si considera il padre degli dei strettamente d'accordo all'eterosessualità. Filosofia. Platone rappresenta l'aspetto pederastico del mito attribuendo la sua origine a Creta e ponendo, quindi, il rapimento sull'omonimo monte Ida dell'isola: la sua è una critica dell'usanza della pederastia cretese che aveva oramai perduto quasi completamente la sua funzione originaria, accusando quindi i Cretesi di essersi inventati il mito di Zeus e Ganimede per giustificare i loro comportamenti.  Nel dialogo platonico poi Socrate nega che il bel giovane possa mai esser stato l'amante carnale del padre degli Dei, proponendone, invece, un'interpretazione del tutto spirituale: Zeus avrebbe amato l'anima e la mente o psiche del ragazzo, non certo il suo corpo.  Il neoplatonismo ci offre una rappresentazione mistica del rapimento di Ganimede; esso sta a significare il rapimento dell'anima a Dio, e in questo senso è stato usato, anche in opere d'arte funerarie e anche durante il Neoclassicismo, sia nell'arte figurativa sia in letteratura. Si veda, per un esempio, il Ganymed di Johann Wolfgang von Goethe.  Mazza (attribuzione), Ratto di Ganimede (National Gallery, Londra) Poesia  In poesia Ganimede divenne un simbolo dell'attrazione e del desiderio omosessuale rivolto verso la bellezza giovanile dell'adolescenza. La leggenda fu menzionata per la prima volta da Teognide, poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione potrebbe essere più antica; di essa parla anche il poeta latino Ovidio nella sua opera Le metamorfosi, poi Virgilio nell'Eneide all'interno del proemio, Apuleio e infine anche Nonno di Panopoli nel suo poema epico intitolato Dionysiaca narrante la vita e le gesta del dio Dioniso. Virgilio ritrae con pathos la scena del rapimento: il ragazzo che lo accompagna tenta invano di trattenerlo con i piedi sulla terra, mentre i suoi cani abbaiano inutilmente contro il cielo. I cani fedeli che continuano a chiamarlo con latrati disperati anche dopo che il loro padrone è sparito nell'alto dei cieli è un motivo frequente nelle rappresentazioni visive e vi fa riferimento anche Stazio. Ma egli non è sempre raffigurato come acquiescente: ne Le Argonautiche di Apollonio Rodio ad esempio Ganimede risulta essere furibondo contro Eros per averlo truffato nel gioco d'azzardo con gli astragali, Afrodite si trova così costretta a rimproverare il figlio di barare come un principiante.  Nell'opera Come vi pare di Shakespeare il personaggio di Rosalind si traveste da uomo quando deve andare nella foresta di Arden, scegliendo il nome di Ganimede: ciò ha portato ad approfondire lo studio del rapporto che si era creato tra Rosalind e sua cugina Celia, il quale andava ben oltre la semplice amicizia, avendo dei tratti molto simili all'amore, in questo caso omosessuale. Statuina di Zeus-Aquila e Ganimede di epoca paleocristiana Astronomia Per il rapporto esistente fra Giove e Ganimede, il maggiore satellite naturale del pianeta Giove - il pianeta più grande del sistema solare e per questo chiamato per omologia come la versione latina di Zeus, ovvero Giove - è stato battezzato appunto Ganimede da Simon Marius. Gli è inoltre stato dedicato l'asteroide Ganymed.  Nelle arti Nella scultura una delle immagini più famose di Ganimede è il gruppo scultoreo di Leocare (lo stesso a cui viene attribuito anche l'Apollo del Belvedere) e tanto ammirato da Plinio il Vecchio: Leocare ha realizzato un'aquila che trattiene con forza Ganimede; innalza il fanciullo piantandogli gli artigli nella sua veste. Questo particolare del rapimento tramite l'aquila è stato spesso elogiato anche in seguito. Stratone di Sardi lo evoca in uno dei suoi epigrammi, così come fa anche Marco Valerio Marziale. La leggenda di Ganimede ha ispirato anche un gruppo in terracotta, probabilmente originario di Corinto e oggi conservato nel Museo Archeologico di Olimpia: questo è uno dei pochi esempi di grande scultura in terracotta, e una rappresentazione scultorea molto rara della coppia in cui Zeus si mantiene in forma umana.  Nella ceramica il tema di Ganimede si ripete spesso, di solito raffigurato nei crateri, quei particolari grandi vasi entro cui venivano mescolati acqua e vino durante i banchetti (o simposi) che si svolgevano solo tra uomini, in cui gli ospiti gareggiavano in immaginazione poetica e filosofica per celebrare i meriti dei loro rispettivi eromenos. Tra i più famosi è incluso il craterea figure rosse che ritrae da un lato Zeus in pieno esercizio, dall'altro Ganimede mentre sta giocando con un grande cerchio, il simbolo della sua giovinezza: il ragazzo è completamente nudo, così come vuole la tradizione antica sportiva di origine in parte pederastica (vedi nudità atletica). Il ratto di Ganimede, di Sueur Il Rinascimento ha visto riapparire innumerevoli rappresentazioni di questo mito, con artisti quali Buonarroti, Cellini ed Allegri tra tutti. In questo periodo è anche uno dei temi con più forte significato omoerotico, divenendo una sorta di icona gay ante litteram almeno fino al XIX secolo inoltrato.  Quando il pittore-architetto Baldassarre Peruzziinclude un pannello riguardante il rapimento di Ganimede in uno dei soffitti di Villa Farnesina a Roma, i lunghi capelli biondi del ragazzo e l'aspetto effeminato contribuiscono a farlo rendere identificabile a prima vista: si lascia difatti catturare verso l'alto senza opporre la minima resistenza.  Nel Ratto di Ganimede di Antonio Allegri detto Il Correggio la sua figura e l'intera scena è più contestualizzata intimamente. La versione del Ratto di Ganimede di Pieter Paul Rubens ritrae invece un giovane uomo. Ma quando Rembrandt dipinse il suo Ratto di Ganimede per un mecenate calvinista olandese, ecco che un'aquila scura porta in alto un bambino paffuto in stile putto, che strilla e si fa la pipì addosso per lo spavento.   Ratto di Ganimede, di Gabbiani Gli esempi di Ganimede in Francia sono stati studiati da Worley. L'immagine raffigurata era invariabilmente quella di un adolescente ingenuo accompagnato da un'aquila, mentre gli aspetti più omoerotici della leggenda sono stati raramente affrontati: in realtà, la storia è stata spesso "eterosessualizzata". Inoltre, l'interpretazione del mito data dal Neoplatonismo, così comune nel Rinascimento italiano, in cui lo stupro di Ganimede ha rappresentato la salita alla condizione di perfezione spirituale, sembrava non essere di alcun interesse per i filosofi e i mitografi dell'Illuminismo.  Pierre, Natoire, Guillaume II Coustou, Julien, Regnault e altri hanno contribuito ad arricchire le immagini di Ganimede nell'arte francese tra fine XVIII e inizio XIX secolo.  La scultura che ritrae Ganimede e l'aquila di Cubero, eseguita a Parigi, ha portato all'immediato riconoscimento dell'artista spagnolo come uno degli scultori più importanti del suo tempo.  L'artista danese Thorvaldsen, di gran lunga il più notevole degli scultori danesi, ha scolpito una scultura dedicata alla scena di Ganimede e l'aquila.   Particolare di una scultura della seconda metà del II secolo d.C., da un modello tardo ellenistico a sua volta derivato dall'ambito figurativo greco del IV secolo a.C. Conservato al Museo archeologico nazionale di Napoli. AltroModifica Nel linguaggio corrente il nome di Ganimede è passato a indicare un bellimbusto, un damerino o anche un giovane amante omosessuale. Pittore di Berlino, Ganimede gioca con il cerchio, tenendo in mano un gallo, dono di corteggiamento di Zeus. Cratere attico a figure rosse (Parigi, museo del Louvre).   Ganimede e Zeus, e Apollo e Ciparisso, illustrazione di due miti a carattere omosessuale per le Metamorfosi di Ovidio (Venezia)  Illustrazione gli Emblemata di Andrea Alciati Ganimede rappresenta allegoricamente l'anima che si "rallegra" in Dio.   Raffaello da Montelupo, Giove bacia Ganimede Ashmolean Museum, Oxford Alberti, Copia rovesciata da originale di Polidoro da Caravaggio, Giove bacia Ganimede (sec. XVII). La borsa di denaro in mano al giovane allude alla prostituzione, in spregio al mito pagano.   Il Ganimede di Antonio Canova  "Ganimede", di Cubero  Ganimede abbevera l'Aquila divina, di Thorvaldsen Albero genealogico Atlante Pleione Scamandro Idea Elettra Zeus Teucro Dardano Batea Erittonio Ilo Troo Calliroe Euridice  Ilo Assarco Ieromnene Ganimede Laomedonte Strimo (o "Leukyppe") Temiste Capi Priamo Ecuba Anchise Afrodite Latino Ettore Paride Creusa Enea Lavinia Ascanio Silvio Silvius Enea Silvio Bruto di Troia Latino Silvio Alba Atys Capys Capeto Tiberino Silvio Agrippa Romolo Silvio Aventino Proca Numitore Amulio Marte Rea Silvia Ersilia Romolo Remo Età regia di Roma She-wolf suckles Romulus and Remus. jpg Zanotti Il gay, dove si raccnta come è stata inventata l'identità omosessuale Fazi editore Secondo l'AMHER ("The American Heritage Dictionary of the English Language,  catamite,  Apollodoro, Biblioteca, su theoi Omero, Iliade su theoi Diodoro Siculo, Biblioteca Historica, su theoi  Dionigi di Alicarnasso, Antichità romane, su penelope. uchicago.edu. Cicerone, Tusculanae disputationes, Tzetzes a Licofrone Clemente Alessandrino, su theoi.com. Igino, Fabulae Igino, Fabulae Iliade, Burkert; Burkert fa purtuttavia notare che non esiste un nesso diretto con l'iconografia. Veckenstedt. Guidorizzi, Il mito greco Volume primo - Gli dèi Guidorizzi, Il mito greco Volume primo Gli dèi Platone, Leggi, Platone, Fedro, Platone, Simposio, Ovidio, Metamorfosi, 10,152. ^ Apuleio, L'asino d'oro, Virgilio, Eneide, Stazio, Tebaide, Marius/Schlör, Mundus Iovialis, Worley, The Image of Ganymede in France, The Survival of a Homoerotic Myth, in Art Bulletin, Chisholm (a cura di), Alvarez, Don José, in Enciclopedia Britannica, Cambridge "Ganimede" Ferrier Fonti antiche Apollonio Rodio, Le Argonautiche. Apuleio, L'asino d'oro. Cicerone, De natura deorum. Diodoro Siculo, Bibliotheca historica. Euripide, Ifigenia in Tauride. Nonno di Panopoli, Dionisiache. Omero, Iliade. Omerico, Piccola Iliade. Ovidio, Le metamorfosi. Pausania, Periegesi della Grecia. Pindaro, Olimpiche, Platone, Fedro. Platone, Leggi. Platone, Simposio. Pseudo-Apollodoro, Biblioteca. Strabone, Geografia. Teognide, Frammenti. Virgilio, Eneide. AA.VV., Suda.  Christian Wilhelm Allers, Giove rapisce Ganimede Fonti moderne Edmund Veckenstedt, Ganymedes, Libau, Saslow, Ganymede in the Renaissance: Homosexuality in Art and Society, New Haven (Connecticut), Yale; Burkert, The Orientalizing Revolution: Near Eastern Influence on Greek Culture in the Early Archaic Age, Cambridge (Massachusetts), Harvard; Graves e Elisa Morpurgo, I miti greci, Milano, Longanesi, Carassiti, Dizionario di mitologia greca e romana, Roma, Newton & Compton, Cerinotti, Miti greci e di Roma antica, Firenze-Milano, Giunti, Ferrari, Dizionario di mitologia, Torino, UTET, Keuls, The Reign of the Phallus. 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Portale LGBT   Portale Mitologia greca Troo re di Troia nella mitologia greca, figlio di Erittonio  Leda personaggio della mitologia greca, figlia di Testio e moglie di Tindaro  Laomedonte re di Troia nella mitologia greca, figlio di Ilo Grice: “While some Englishmen would use euphemysms when subtitling Phaedrus, “a dialogue on love and beauty”, Figliucci contradicts Diogenes for whom Phaidros is ‘peri ton erotes’ – and has it as ‘il fedro o vero dialogo del bello’ – del bello is neuter in Italian (kalon), but also masculine – hence Figliucci’s reference to Giove and Ganimede. Keywords: Giove e Ganimede, il bello, bei, kalos, kaloi, kaloskagathos, kalon, eros, to kalon, to kalos, eros.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice e Figliucci” – The Swimming-Pool Library. Felice Figliucci. Figliucci.

 

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