Grice e Fidanza:
la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale – scuola di
Bagnoregio – filosofia viterbiana – filosofia lazia -- filosofia italiana –
Luigi Speranza (Bagnoregio). Filosofo viterbiano. Filosofo
lazioo. Filosofo italiano. Bagnoregio, Viterbo, Lazio. Grice: “Italians call
Fidanza an ‘anti-dialectician’ but then they have Aquinas, who is an
hypoer-dialectiician!” essential Italian philosopher. Figlio di Giovanni di Fidanza, medico, e di
Rita. Inizia i suoi studi al convento di
San Francesco "vecchio". Si recò a Parigi a studiare nella facoltà
delle Arti. Ddvenne maestro e ottiene la licenza d'insegnare. Francesco predica
agli uccelli. Intervenne nelle
lotte contro l'aristotelismo. Attacca quelli che erano a suo parere gli errori
dell'aristotelismo. Morì a causa di un avvelenamento. è considerato uno dei
filosofi maggiori, che anche grazie a lui si avviò a diventare una vera e
propria scuola di filosofia. Combatté apertamente l'aristotelismo, anche se ne
acquisì alcuni concetti, fondamentali. Inoltre valorizza alcune tesi del platonismo.
La distinzione della filosofia in ‘filosofia naturale’ (res) (fisica,
matematica, meccanica), filosofia razionale (signa, segni) (logica, retorica,
grammatica) e filosofia morale (azione) (politica, monastica, economica)
riflette la distinzione di res, signa ed actiones -- la cui verticalità non è
altro che cammino iniziatico per gradi di perfezione verso l'unione mistica. La
parzialità delle arti è non altro che il rifrangersi della luce con la quale
Dio illumina il mondo. Nel paradiso, Adamo sapeva leggere indirettamente Dio
nel Liber Naturae (nel creato), ma la caduta è stata anche perdita di questa
capacità. Per aiutare l'uomo nel recupero della contemplazione della
somma verità, Dio ha inviato all'uomo il Liber Scripturae, conoscenza
supplementare che unifica ed orienta la conoscenza umana, che altrimenti
smarrirebbe se stessa nell'auto-referenzialità. L’intelletto agente è capace di
comprendere la verità inviata dall'intelletto passivo. Nel “Itinerario della
mente" spiega che la filosofia serve a dare aiuto alla ricerca umana, e
può farlo riportando l'uomo all'anima. La "scala" dei 3 gradi e un
“primo grado” esteriore, è necessario prima considerare il corpo. L’anima ha
anche tre diverse direzioni. La prima direzione si riferisce al corpo, e la
sensibilità o animalita. La seconda direzione dell’anima ha per oggetto lo spirito,
rivolto in sé e a sé. La terza direzione ha per oggetto la “mente” -- che si
eleva spiritualmente sopra di sé. Tre indirizzi che devono disporre l'uomo a
elevarsi a Dio, perché ami Dio con tutto il corpo, l’anima, e la mente. La
sinderesi è la disposizione pratica al bene. Cf. Moore – ‘external world’
– mondo del corpore. Tre modi. Il primo modo e il vestigium (vestigio) o
improntum. Il secondo modo e l’immagine, che si trova solo nell’uomo, l’unica
creatura dotata d'intelletto, in cui risplendono la memoria, l’intelligenza e la
volontà. Il terzo modo e la “similitudine”, che è qualità propria di una buona
persona, una creature giusta, animata di benevolenza e carità. La natura e un
segno sensibile. «Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le
pietre.»» (Lc). The stones
will shout. The shout of the stone MEANS that thou shalt be benevolent. Una creatura, dunque, e una impronta o vestigio, una immagine, una
similitudine (Per Lombardo, ‘imago e similitude’ is redundant). La pietra
"grida" – la pietra e una impronta – la pietra significa – la pietra
segna che p. Altre saggi: “Breviloquio; Raccolte su dieci precetti; Raccolte
sui sette doni dello Spirito Santo; Raccolte nei Sei Giorni della Creazione, Commentari
in quattro libri delle sentenze del maestro Pietro Lombardo, Il mistero della
Trinità; questione disputata, La perfezione della vita alle sorelle, La
riduzione della arti alla teologia), Il Regno di Dio descritto nelle parabole
evangeliche, La conoscenza di Cristo ed il mistero della Trinità, Le sei ali
dei Serafini, La triplice via, Itinerario della mente verso Dio, La leggenda
maggiore di San Francesco, La leggenda minore di San Francesco, L'Albero della
vita, L'Ufficio della passione del Signore, Questioni sopra la perfezione
evangelica, Soliloquio, Complesso di teologia, La vite mistica. Eletto Ramacci,
F. e il Santo Braccio, Bagnoregio, Associazione Organum, Oggi del convento
restano solo i ruderi. Merlo, Storia di frate Francesco e dell'Ordine dei
Minori, in Francesco d'Assisi e il primo secolo di storia francescana, Torino,
Einaudi, G. Bosco, Storia ecclesiastica ad uso della gioventù utile ad ogni
grado di persone” (Torino, Libreria Salesiana Editore, con l'approvazione di Lorenzo
Gastaldi, arcivescovo di Torino, Cesare Pinzi,Storia della Città di Viterbo, Tip.Camera
dei Deputati, Roma, Pinzi parla dettagliatamente degli interventi di
Bonaventura a Viterbo in occasione del Conclave e dell'amicizia con Gregorio
X. Testi: Bonaventura da Bagnorea
presunto, Meditationes vitae Christi, Venezia, Nicolaus Jenson, Legenda maior,
Milano, Ulrich Scinzenzeler, Opera omnia, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre;
Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea, Expositiones in Testamentum novum,
Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea,
Sermones de tempore ac de sanctis, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre;
Arnaud, Laurent, Bonaventura da Bagnorea, Opuscula, Lyon, Borde, Philippe;
Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Opuscula, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre;
Arnaud, Laurent, F., Commentaria in libros sententiarum, Lyon, Borde, Philippe;
Borde, Pierre; Arnaud, Laurent, Commentaria in libros sententiarum, Lyon, Borde, Philippe; Borde, Pierre; Arnaud,
Laurent, Studi Bettoni E., S. Vita e
Pensiero, Milano, Bougerol J.G., Introduzione a F., trad. it. di A. Calufetti,
L.I.E.F., Vicenza, Corvino F., F. francescano e filosofia, Città Nuova, Roma, Cuttini
E., Ritorno a Dio. Filosofia, teologia, etica della “mens” in Fidanza. Rubbettino,
Soveria Mannelli, Maio, Piccolo glossario bonaventuriano. Prima introduzione al
pensiero e al lessico di F., Aracne, Roma, Barbara Faes, da Bagnoregio, Biblioteca
Francescana, Milano, Mathieu V., La Trinità creatrice secondo F. Biblioteca
francescana, Milano. Moretti Costanzi T., San Bonaventura, Armando, Roma, Ramacci
Eletto, F. e il Santo Braccio, Associazione Organum, Bagnoregio, Todisco O., Le
creature e le parole in sant'Agostino e san Bonaventura, Anicia, Roma, Vanni
Rovighi S., Vita e Pensiero, Milano); Raoul Manselli, Dizionario biografico degli italiani, Roma,
Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Emiliano Ramacci, Un Inno, Associazione
Organum, Bagnoregio, Emiliano Ramacci. Treccani Enciclopedie, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. Bonaventura
da Bagnoregio, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. F.
su BeWeb, Conferenza Episcopale Italiana.
F. su ALCUIN, Ratisbona. Opere. Audiolibri di F. su LibriVox. F., su
Santi, beati e testimoni, santiebeati. Biografia di San Francesco d'Assisi, su
assisiofm. scritta da F. Itinerario
della mente in Dio, su lamelagrana.net.
Itinerarium mentis in Deum, Peltiero Edente, su documenta catholicaomnia.
eu. F. su dionysiana.wordpress.com.
L'Opera omnia nell'edizione dei padri francescani di Quaracchi Salvador
Miranda. Trinità (cristianesimo) dottrina centrale delle più diffuse Chiese
cristiane Nota disambigua.svg Disambiguazione – "Santissima Trinità"
rimanda qui. Se stai cercando altri significati, vedi Santissima Trinità (disambigua).
Santissima Trinità Masaccio La Trinità di Masaccio Dio, uno e
trino Attributi Dio Padre, Dio Figlio, Dio Spirito Santo La
Trinità è la dottrina fondamentale e più importante delle chiese cristiane,
quali la cattolica e quelle ortodosse, oltre che delle Chiese riformate
storiche come quella luterana, quella calvinista e quella anglicana. Tale
dottrina non viene comunque presentata in modo univoco. Icona rappresentante i
tre angeli ospitati da Abramo a Mambre, allegoria della Trinità. Dipinta dal
monaco-pittore russo A. Rublëv e conservata a Mosca, Galleria Tret'jakov.
Schema della relazione trinitaria fra Padre, Figlio e Spirito Santo secondo le
chiese cristiane di origine latina come la Chiesa cattolica.
DescrizioneModifica La dottrina si è precisata nell'ambito del Cristianesimo
antico: prima nel credo del primo concilio di Nicea, poi nel Simbolo
niceno-costantinopolitano, dove venne affermato come primo articolo di fede
l'unicità di Dio e, come secondo, la divinità di Gesù Cristo figlio di Dio e
Signore, a seguito, tra le altre, della controversia suscitata dal teologo
Ario, che negava quest'ultima. Il dogma della "trinità" è in
relazione alla natura divina: esso afferma che Dio è uno solo, unica e
assolutamente semplice è la sua "sostanza", ma comune a tre
"persone" (o "ipòstasi") della stessa numerica sostanza
(consustanziali) e distinte. Ciò è stato anche interpretato come se esistessero
tre divinità (politeismo) o come se le tre "persone" fossero solo tre
aspetti di una medesima divinità (per il modalismo semplici energie o modi di
apparire della Divinità). Le tre "persone" (o, secondo il
linguaggiomutuato dalla tradizione greca, "ipòstasi") vengono d'altra
parte tradizionalmente intese come distinte ma della stessa sostanza di
Dio: Dio Padre, creatore del cielo e della terra, Padre trascendente e
celeste del mondo. il Figlio: generato dal Padre prima di tutti i secoli, fatto
uomo come Gesù Cristo nel seno della Vergine Maria, il Redentore del mondo. lo
Spirito Santo che il Padre e il Figlio mandano ai discepoli di Gesù per far
loro comprendere e testimoniare le verità rivelate. Nella dottrina trinitaria
il Dio di Israele Yahwehracchiude tutta la Trinità ed è quindi Padre Figlio e
Spirito Santo. Al mistero della SS. Trinità[Nota 4] è dedicata, nella
Chiesa cattolica, la Solennità della Santissima Trinità, che ricorre ogni anno,
la domenica successiva alla Pentecoste. La dottrina trinitaria è stata
accolta dalla maggior parte dei Protestanti, particolarmente dal
protestantesimo storico (di cui fanno parte fra gli altri il luteranesimo e il
calvinismo). Origine del termine e della nozioneModifica Il termine
"trinità" deriva dal latino trīnĭtas-ātis (a sua volta da trīnus = di
tre, aggettivo distributivo di trēs, tre) e fu utilizzato per la prima volta da
Tertulliano nel II secolo, ad esempio nel suo De pudicitia. Occorre ricordare
che prima di lui già Teofilo di Antiochia (II secolo), apologeta cristiano di
lingua greca, utilizzò nel suo Apologia ad Autolycum il termine analogo greco
di τριας (triás). Se il termine "trinità" non è certamente
antecedente al II secolo, la nozione che rappresenta sembrerebbe invece
apparire già a partire dal Vangelo di Matteo: «πορευθέντες οὖν
μαθητεύσατε πάντα τὰ ἔθνη, βαπτίζοντες αὐτοὺς εἰς τὸ ὄνομα τοῦ πατρὸς καὶ τοῦ υἱοῦ
καὶ τοῦ ἁγίου πνεύματος. Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni,
battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo»
(Vangelo di Matteo) A tal proposito lo studioso e teologo cattolico Doré nota
come l'espressione al singolare eis to onoma (εἰς τὸ ὄνομα) ovvero "nel
nome" unitamente alle due ricorrenze della congiunzione kai(καὶ),
"e", quindi nel significato di "del Padre 'e' del Figlio 'e'
dello Spirito Santo" evidenzierebbe la presenza di un credo già
trinitario. Allo stesso modo e in tale senso possono essere letti alcuni
altri passi dei Vangeli canonici, ad esempio: βαπτισθεὶς δὲ ὁ Ἰησοῦς εὐθὺς
ἀνέβη ἀπὸ τοῦ ὕδατος καὶ ἰδοὺ ἠνεῴχθησαν οὶ οὐρανοί, καὶ εἶδεν πνεῦμα θεοῦ
καταβαῖνον ὡσεὶ περιστερὰν ἐρχόμενον ἐπ' αὐτόν. Appena battezzato, Gesù uscì
dall'acqua: ed ecco, si aprirono i cieli ed egli vide lo Spirito di Dio
scendere come una colomba e venire su di lui.» (Vangelo di Matteo καὶ ἀποκριθεὶς
ὁ ἄγγελος εἶπεν αὐτῇ, πνεῦμα ἅγιον ἐπελεύσεται ἐπὶ σέ, καὶ δύναμις ὑψίστου ἐπισκιάσει
σοι· διὸ καὶ τὸ γεννώμενον ἅγιον κληθήσεται, υἱὸς θεοῦ. Le rispose l'angelo:
"Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la
potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio
di Dio» (Vangelo di Luca) e in particolar modo in alcuni passi del
"discorso dopo la cena" riportato nel Vangelo di Giovanni: «πιστεύετέ
μοι ὅτι ἐγὼ ἐν τῷ πατρὶ καὶ ὁ πατὴρ ἐν ἐμοί· εἰ δὲ μή διὰ τὰ ἔργα αὐτὰ
πιστεύετε μοι. Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro,
credetelo per le opere stesse.» (Vangelo di Giovanni καγὼ ἐρωτήσω τὸν
πατέρα καὶ ἄλλον παράκλητον δώσει ὑμῖν, ἵνα ᾖ μεθ' ὑμῶν εἰς τὸν αἰῶνα τὸ πνεῦμα
τῆς ἀληθείας, ὃ ὁ κόσμος οὐ δύναται λαβεῖν, ὅτι οὐ θεωρεῖ αὐτὸ οὐδὲ γινώσκει· ὑμεῖς
γινώσκετε αὐτό, ὅτι παρ' ὑμῖν μένει καὶ ἐν ὑμῖν ἔστιν. Io pregherò il Padre ed
egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre, lo Spirito
di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce.
Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.»
(Vangelo di Giovanni) «ὁ δὲ παράκλητος τὸ
πνεῦμα τὸ ἅγιον, ὃ πέμψει ὁ πατὴρ ἐν τῷ ὀνόματι μου ἐκεῖνος ὑμᾶς διδάξει πάντα
καὶ ὑπομνήσει ὑμᾶς πάντα ἃ εἶπον ὑμῖν ἐγώ. Ma il Consolatore, lo Spirito Santo
che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà
tutto ciò che io vi ho detto.» (Vangelo di Giovanni) «εἰ οὐ ποιῶ τὰ ἔργα τοῦ πατρός μου, μὴ
πιστεύετέ μοι· εἰ δὲ ποιῶ, κἂν ἐμοὶ μὴ πιστεύητε τοῖς ἔργοις πιστεύετε, ἵνα γνῶτε
καὶ γινώσκητε ὅτι ἐν ἐμοὶ ὁ πατὴρ κἀγὼ ἐν τῷ πατρί . Se non compio le opere del
Padre mio non credetemi, ma se le compio anche se non volete credere a me
credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e
io nel Padre.» (Vangelo di Giovanni X, 37-38) Doré nota anche qui che se
il termine greco πνεῦμα ("spirito", "soffio") è certamente
neutro esso viene indicato con il pronome relativo al maschile come ad
evidenziarne la personificazione. Lo storico delle religioni italiano
Pier Cesare Borispiega al riguardo. La teologia degli scritti di Giovanni è
diversa negli strumenti concettuali: nel Prologo del Vangelo, per comprendere
la natura e il ruolo della funzione messianica di Gesù, diventa fondamentale la
categoria del Lógos, la parola creatrice che "è con Dio, ed è Dio"
(stessa idea di preesistenza in Colossesi ed Ebrei). Un ruolo importante in
questi sviluppi dottrinali dovette avere, più che la filosofia ellenistica, la
speculazione giudaica del tempo, che attribuiva un grande ruolo a potenze
intermedie tra Dio e l'uomo, prime fra tutte il Lógos e la Sapienza divina,
tendenzialmente ipostatizzate. Il risultato complessivo è l'affermazione della
divinità di Gesù, e dello Spirito, uniti nell'invito finale di Matteo, a
battezzare "nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo".
Una formula trinitaria che presiede all'evoluzione che porterà alle
formulazioni trinitarie e cristologiche dei concili. Al termine il monoteismo
biblico riceve una enunciazione completamente nuova: la sostanza, o natura
unica divina, contiene tre ipostasi o tre persone; la seconda ipostasi unisce
in sé nell'incarnazione due nature, quella divina e quella umana.» (Pier
Cesare Bori. Dio (ebraismo e cristianesimo), in Dizionario delle religioni (a
cur. Filoramo) Torino, Einaudi) Allo stesso modo vi sono dei richiami alle tre
figure divine nelle lettere attribuite agli apostoli:«Ἡ χάρις τοῦ κυρίου Ἰησοῦ
[Χριστοῦ] καὶ ἡ ἀγάπη τοῦ θεοῦ καὶ ἡ κοινωνία τοῦ ἁγίου πνεύματος μετὰ πάντων ὑμῶν
La grazia del Signore Gesù Cristo, l'amore di Dio e la comunione dello Spirito
Santo siano con tutti voi» (Seconda lettera ai Corinzi κατὰ πρόγνωσιν θεοῦ
πατρὸς ἐν ἁγιασμῷ πνεύματος εἰς ὑπακοὴν καὶ ῥαντισμὸν αἵματος Ἰησοῦ Χριστοῦ,
χάρις ὑμῖν καὶ εἰρήνη πληθυνθείη. Secondo la prescienza di Dio Padre, mediante
la santificazione dello Spirito, per obbedire a Gesù Cristo e per essere
aspersi del suo sangue: grazia e pace a voi in abbondanza.» (Prima
lettera di Pietro) Uno studio approfondito sulla presenza della Trinità nel
Nuovo Testamento giunge a questa conclusione: É ora possibile
rispondere alla domanda, "La dottrina delle Trinità è presente nella
Bibbia?" La risposta è che non c'è un'affermazione formale della dottrina,
ma una risposta al problema della Trinità. Almeno tre autori neotestamentari,
Paolo, Giovanni e l'autore della Lettera agli Ebrei sono consapevoli
dell'esistenza di un problema. Paolo e l'autore della Lettera agli Ebrei si
concentrano sulla relazione tra Cristo e Dio, ma Giovanni era conscio del
problema della mutua relazione tra Padre, Figlio e Spirito Santo. Nonostante
questo anche la teologa cattolica statunitense Catherine Mowry Lacugna ricorda
che sia gli esegeti sia i teologi concordano sul fatto che il Nuovo Testamento
non contenga un'esplicita dottrina della Trinità. Del tutto assente è invece,
sempre per gli esegeti e per i teologi, qualsivoglia riferimento alla dottrina
della Trinità nell'Antico testamento. San Melitone di Sardi affermò che Dio
Padre aveva un corpo umano e divino come quello del Figlio Dio, e un'anima
distinta da quella del Figlio Dio, unita al proprio corpo. Di fatto, si
affermava la consustanzialità del Padre e del Figlio nella duplice natura umana
e divina del corpo e dell'anima. In tale dottrina, la distinzione fra anima e
spirito descritta in 5.23[4] portava a identificare lo Spirito Santo Dio con
l'unico spirito comune alle due anime e ai due corpi di Dio Padre e di Dio
Figlio, in modo tale da unire due persone distinte in anima e corpo in un solo
Dio tripersonale la cui sostanza è Spirito. Lo studioso cattolico
statunitense William J. Hill nota comunque come questo "trinitarismo
elementare" sia presente anche nell'opera di Clemente di Roma (I secolo)
il quale nella Prima lettera di Clemente si richiama espressamente a Dio Padre,
al Figlio, allo Spirito, menzionando tutti e tre insieme. Allo stesso modo
Ignazio di Antiochia nella sua Lettera agli Efesini chiama il cristiano a
incorporarsi nel tempio divino come per diventare uno con Cristo, nello Spirito
fino alla filiazione del Padre. Ciononostante, anche per lo studioso
statunitense, la soluzione trinitaria, per come successivamente verrà proposta,
era ancora ben lontana[Nota 16]. Sviluppo della nozione nei teologi e nei
confronti conciliari del IV e V secolo Ulteriori informazioni Questa voce o
sezione sull'argomento Cristianesimo non cita le fonti necessarie o quelle
presenti sono insufficienti. Come è possibile affermare che Dio è "uno e
trino"? Secondo la fede cristiana la natura divina è al di là della
conoscenza scientifica, ed è incomprensibile e non conoscibile se non fosse per
quanto è dato sapere attraverso la rivelazione divina. Quindi la dottrina
trinitaria non è una conoscenza, come quella dell'esistenza di Dio, a cui si
potrebbe pervenire attraverso la ragione umana o la speculazione filosofica,
sebbene anch'essa non sia dimostrabile. Tuttavia molti teologi e filosofi
cristiani (cfr. Agostino d'Ippona) hanno scritto innumerevoli trattati per
spiegare la paradossale identità unica e trina di Dio, che è un mistero della
fede, un dogma (cioè una verità irrinunciabile anche se non compiutamente
dimostrabile) in cui ogni cristiano-cattolico è tenuto a credere (dal Concilio
di Nicea) se vuol essere tale. Unicità, Unità e Trinità di Dio Completa
rappresentazione Teo-cristologica Dio è uno solo, e la divinità unica. La
Bibbia ebraicapone questo articolo di fede sopra tutti gli altri, e lo circonda
di numerosi ammonimenti a non abbandonare questo fondamento della fede,
mantenendo la fedeltà al patto che Dio ha fatto con gli ebrei: "Ascolta
Israele, il Signore nostro Dio è uno solo", "tu non avrai altri dei
di fronte a me" e anche "Questo ha detto il Signore re d'Israele e
suo redentore, il Signore delle schiere: io sono il primo e l'ultimo, e oltre a
me non c'è alcun Dio". Ogni formula di fede che non insista sull'unicità
di Dio, o che associ nell'adorazione un altro essere diverso da Dio, oppure che
ritenga che Dio possa venire all'esistenza nel tempo anziché essere Dio
dall'eternità, è contraria alla conoscenza di Dio, secondo la comprensione
trinitaria dell'Antico Testamento. Lo stesso tipo di comprensione è presente
nel Nuovo Testamento: Non c'è altro Dio se non uno. Gli "altri dei"
di cui parla San Paolo non sono affatto dei, ma sostituti di Dio, cioè esseri
mitologici o demoni. Secondo la visione trinitaria, è scorretto dire che
il Padre o il Figlio, in quanto alla divinità, siano due esseri. L'affermazione
centrale e cruciale della fede cristiano-cattolica è che esiste un solo
salvatore, Dio, e la salvezza è manifestata in Gesù Cristo, attraverso lo
Spirito Santo. Lo stesso concetto può essere espresso in quest'altra
forma: Soltanto Dio può salvare Gesù Cristo salva Gesù Cristo è Dio In
parole semplici è possibile esprimere il mistero della Trinità nell'Unità
dicendo che il solo Dio si conosce (nel suo Figlio, Verbo, Pensiero, Sapienza)
e si ama in esso (Spirito Santo, Amore). Il Padre è trascendente e nessun
vivente poté vederlo, attraverso il corpo di uomo di Gesù poté rivelarsi ed
essere visto e creduto dagli uomini. La Trinità e Agostino Lo stesso
argomento in dettaglio: Pensiero di Agostino d'Ippona § Il problema trinitario
e De Trinitate (Agostino d'Ippona). La Coronazione della Vergine, di
Diego Velázquez, Museo del Prado A tale proposito è interessante leggere quanto
scritto da sant'Agostino nel De Trinitate e in altre opere per tentare una
chiarificazione del concetto di unica Sostanza e tre Persone. Nell'uomo,
ragiona Agostino, si può distinguere la sua realtà corporale (esse), la sua
intelligenza (nosse) e la sua volontà (velle). Se Dio ha creato l'uomo a
propria immagine e somiglianza è allora necessario che questi tre aspetti
appartengano anche alla Divinità, anche se in modo perfetto e divino, non
imperfetto e umano: così Dio è Essere (Padre), Verità (Figlio) e Amore (Spirito
Santo). Ecco alcune citazioni bibliche al riguardo: « Dio disse a
Mosè: «Io sono colui che sono!». Poi disse: «Dirai agli Israeliti: Io-Sono mi
ha mandato a voi. Es 3, 14, su laparola.net.)« Gli disse Gesù: "Io
sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me. (
Gv 14, 6, su laparola.net.) « Dio è amore; chi sta nell'amore dimora
in Dio e Dio dimora in lui. 1Gv 4, 16, su laparola.net. La creazione
dell'universo viene attribuita alla Trinità tutta intera; Dio Padre crea
l'universo per mezzo del Figlio ("il Verbo","la Parola") e
"donando" o "riempiendolo" di Spirito Santo. Il credo
recita infatti: «Per mezzo di lui [il Figlio] tutte le cose sono
state create» (Credo) La fonte di questa interpretazione è in Genesi, al
primo capitolo, Dio crea il mondo attraverso la Parola, espresso con la duplice
formula: "Dio disse..." e "Dio chiamò ...". Questo è
appunto il "Verbo di Dio", ossia nella visione cristiana proprio la
seconda persona della Trinità, ovvero il Cristo. Valga, a titolo di esempio il
racconto della creazione: Primo giorno: « Dio disse: «Sia la
luce!». E la luce fu » ( Genesi 1, 3, su laparola.net.) « e chiamò
la luce giorno e le tenebre notte » ( Genesi 1, 5, su laparola.net.)Secondo
giorno: « Dio disse: «Sia il firmamento in mezzo alle acque. Genesi 1, 6,
su laparola.net.)« Dio chiamò il firmamento cielo. » (Genesi 1,6,
su laparola.net.) e così prosegue nei "giorni" successivi con lo
stesso schema, fino alla creazione dell'Uomo: « E Dio disse: «Facciamo
l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, » ( Genesi 1, 26,
su laparola.net.) Anche lo Spirito Santo, che è la relazione d'amore fra il Dio
Padre e il Figlio, terza persona della Trinità, partecipa alla creazione:
« La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e lo
Spirito Santo aleggiava sulla superficie delle acque » ( Genesi 1,
2, su laparola.net.)Natura e ruolo di GesùModifica La Santísima Trinidad,
di Cairo, Museo del Prado In ambito teologico trinitario viene fatta una
distinzione fra la Trinità da un punto di vista "ontologico" (ciò che
Dio è) e da un punto di vista "ergonomico, ciò che Dio fa. Secondo il
primo punto di vista le persone della Trinità sono uguali, mentre non lo sono
dall'altro punto di vista, cioè hanno ruoli e funzioni differenti.
L'affermazione "figlio di", "Padre di" e anche "spirito
di" implica una dipendenza, cioè una subordinazione delle persone. Il
trinitarismo ortodosso rifiuta il "subordinazionismo ontologico",
esso afferma che il Padre, essendo la fonte di tutto, ha una relazione
monarchica con il Figlio e lo Spirito. Ireneo di Lione, il più importante
teologo del II secolo, scrive: "Il Padre è Dio, e il Figlio è Dio, poiché
tutto ciò che è nato da Dio è Dio." Simili affermazioni sono
presenti in altri scrittori pre-niceni,[5] cioè prima dello scoppio della
controversia ariana: «vediamo ciò che avviene nel caso del fuoco, che non
è diminuito se serve per accenderne un altro, ma rimane invariato; e ugualmente
ciò che è stato acceso esiste per se stesso, senza inferiorità rispetto a ciò
che è servito per comunicare il fuoco. La Parola di Sapienza è in sé lo stesso
Dio generato dal Padre di tutto. Giustino. Immagine ripresa anche da scrittori
successivi: «Noi non togliamo al Padre la sua Unicità divina, quando
affermiamo che anche il Figlio è Dio. Poiché egli è Dio da Dio, uno da uno;
perciò un Dio perché Dio è da Se stesso. D'altro lato il Figlio non è meno Dio
perché il Padre è Dio uno. Poiché l'Unigenito Figlio non è senza nascita, così
da privare il Padre della Sua unicità divina, né è diverso da Dio, ma poiché
Egli è nato da Dio.» (Ilario di Poitiers, De Trinitate) Se Gesù Cristo
nel vangelo di Giovanni viene chiamato l'"unigenito" Figlio di Dio,
evidenziando con questa affermazione il suo essere ontologicamente in Dio,
secondo la dottrina ortodossa Gesù è anche diventato una creatura con
l'incarnazione, svolgendo un ruolo "ministeriale", e in un certo
senso subordinato in relazione a Dio, nei confronti dell'umanità. Viene
pertanto chiamato "primogenito" in altri passi, in riferimento alla
creazione e redenzione, ad esempio è detto "immagine del Dio invisibile,
primogenito di tutta la creazione... egli è principio, primogenito dei
risuscitati". La distinzione è ripresa nell'affermazione che Gesù fa
quando dice che dovrà "ascendere al Padre mio e Padre vostro, Iddio mio e
Iddio vostro", distinguendo così fra l'essere figlio di Dio in senso
proprio (caratteristico di Gesù) e in senso figurato (caratteristico degli
uomini). Atanasio di Alessandria sviluppa questa distinzione commentando
il passo evangelico in cui Gesù dichiara di non conoscere il giorno e l'ora
della fine del mondo. Ancora un altro passo che è detto bene, viene
interpretato male dagli ariani: Voglio dire che "Quanto a quel giorno e a
quell'ora, nessuno li conosce, neppure gli angeli, neppure il figlio. Ma essi
ritengono che avendo detto "neppure il figlio", egli, in quanto
ignorante, abbia rivelato di essere creatura. Ma la cosa non sta così, non sia
mai! Come infatti dicendo: "Mi ha creato", lo ha detto in riferimento
all'umanità, così, anche, dicendo: "neppure il Figlio", si è riferito
alla sua umanità. Poiché infatti è diventato uomo, ed è proprio dell'uomo
ignorare, come l'aver fame e il resto (infatti l'uomo non sa se non ascolta e
apprende) egli, in quanto uomo, ha dato a vedere anche l'ignoranza propria
degli uomini per questo motivo: in primo luogo per dimostrare di avere
veramente un corpo umano, poi anche perché, avendo nel corpo l'ignoranza
propria dell'uomo, dopo aver mondato e purificato tutta l'umanità, la
presentasse al Padre perfetta e santa. quando dice: "Io e il Padre siamo
una cosa sola e Chi ha visto me ha visto il Padre e Io nel Padre e il Padre in
me", dimostra la sua eternità e la consustanzialità col Padre. Nel vangelo
di Giovanni i discepoli dicono al Signore: Ora sappiamo che tu sai tutto. Atanasio,
Seconda Lettera a Serapione, trad. M. Simonetti) Origine e sviluppo della
dottrinaModifica La nozione dell'unicità di Dio e di Gesù Cristo come "Dio
da Dio" e consunstanziale al Padre è stata affermata come articolo di fede
al primo concilio di Nicea e sviluppata nei successivi concili ecumenici. Il
termine "trinità" non è utilizzato nel credo niceno, ma il termine è
precedente e rintracciabile già in scrittori ecclesiastici come
Tertulliano. Nel Nuovo Testamento il termine non compare, tuttavia la
cristologia di Giovanni, che presenta Cristo come Logos di Dio, (cioè verbo e
ragione), assieme ad alcune affermazioni di Paolo di Tarso, sono stati
considerate dai Cristiani come le basi per lo sviluppo della dottrina
trinitaria. Per la Chiesa in più punti del Nuovo Testamento si ravviserebbe il
carattere trinitario di Dio, ad esempio quando Gesù dice: "Il Padre ed io
siamo una cosa sola" od ancora nel Prologo del Vangelo di Giovanni: "
In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era
Dio." In un saggio sulla divinità di Gesù nel Nuovo Testamento il
biblista Brown ipotizza che Gesù sia chiamato Dio nel Nuovo Testamento, ma lo
sviluppo sarebbe stato graduale e non sarebbe emerso fino a un'epoca tarda
nella tradizione neo-testamentaria: nella fase più antica del
cristianesimo prevale l'eredità dell'Antico Testamento nell'utilizzo del
termine Dio, per cui Dio era un titolo troppo ristretto per essere applicato a
Gesù. Esso si riferisce strettamente al Padre di Gesù, al Dio da lui pregato.
Gradualmente, con lo sviluppo del pensiero cristiano Dio venne compreso in
un'accezione più ampia. Si vide che Dio rivelò così tanto di sé stesso in Gesù
al punto che Dio includeva sia Padre che il Figlio."» (Does the New
Testament call Jesus God?) Il primo teologo cristiano a discutere
sistematicamente la dottrina della Trinità fu forse Prassea (II secolo),[6] la
cui opera ci è nota solo attraverso la confutazione che ne fece Tertulliano nel
suo Adversus Praxean, opera in cui è esposta per la prima volta la formula del
rapporto tra una sola sostanza e tre Persone. Lo sviluppo completo della
dottrina si ebbe in seguito, anche in reazione alle dottrine di Ario che introdusse
le sue interpretazioni subordinazioniste di Gesù come essere semidivino (vedi
arianesimo). Molti termini che si impiegano per esplicitare questo
insegnamento sono stati mutuati dalla filosofia greca e ulteriormente
approfonditi per evitare di esprimere concetti erronei. Tra questi si possono
citare: sostanza, ipostasi e relazione. La Trinità viene così definita in
teologia come tre ipostasi individuali, cioè tre Persone o sussistenze, che
hanno e vivono in un'unica essenza o sostanza comune. Lo stesso argomento
in dettaglio: Ipostasi § Nel cristianesimo. La controversia ariana Lostesso
argomento in dettaglio: Arianesimo e Ario. La causa che portò alla convocazione
del primo concilio di Nicea fu la disputa ariana, che giunse a una svolta
all'inizio del IV secolo d.C. I protagonisti furono tre teologi-filosofi
provenienti da Alessandria d'Egitto. Da una parte c'era Ario, e dall'altra gli
ortodossiAlessandro e Atanasio. Ario affermava che il Figlio non fosse della
stessa essenza, o sostanza, del Padre e che lo Spirito Santo fosse una persona
ma inferiore a entrambi. Parlava di una "triade" o
"Trinità", pur considerandola formata di persone ineguali, delle
quali solo il Padre non era stato creato. D'altra parte Alessandro e Atanasio
sostenevano che le tre persone della Divinità fossero della stessa sostanza e
che pertanto non fossero tre Dei, ma uno solo, sebbene il Padre è il primo e la
causa delle altre due. Ario, "volendo difendere il monoteismo più
rigoroso, secondo cui Dio è trascendente"[8] accusò Atanasio di
reintrodurre il politeismo. In effetti l'arianesimo viene considerato da molti
studiosi moderni[senza fonte] come il ramo più rigoroso del subordinazionismo
cristologico dei primi padri della Chiesa (Giustino, Ireneo di Lione ecc.) e
scrittori cristiani (Origene, Tertulliano ecc.) i quali ancora non si
interrogavano sul rapporto fra le persone della divinità. Atanasio accusò Ario
di reintrodurre il politeismo, dal momento che distingueva la natura divina
delle tre persone. Accanto a Dio, Ario poneva infatti una creatura
"che può essere chiamata dio in modo improprio"[9], considerato il
Figlio di Dio, ma ritenuto da lui semplicemente "la prima creatura di cui
il Padre si era servito per compiere la creazione", incarnatosi in Gesù,
simile ma non uguale a Dio, che avrebbe avuto esistenza dal nulla, affermando
che "generare" e "creare" fossero sinonimi. Gli ortodossi
invece ribadivano l'assoluta unità di Dio, e se il Logos era divino, (come era
affermato nel prologo di Giovanni "il Logos era Dio"), ciò non
comportava una suddivisione o una moltiplicazione di dei, ma Dio era sempre uno
solo. In questo senso il termine "generazione" indicava l'unità della
natura e non andava inteso in senso temporale e umano, con un "prima"
e un "dopo", ma il Figlio era eternamente generato, cioè era sempre
stato insito in Dio. Al tempo opportuno il Verbo si sarebbe incarnato in Gesù,
in un processo di abbassamento e annichilimento, e l'unione della natura divina
e di quella umana nella persona di Gesù diede origine ad un'altra serie di
controversie nei secoli successivi. La controversia ariana non terminò a
Nicea. L'arianesimo ebbe grande fortuna nell'Impero romano e in certi momenti
presso la corte imperiale. Molte tribù germaniche che invasero l'impero romano
professavano un cristianesimo ariano e lo diffusero in gran parte dell'Europa e
dell'Africa settentrionale, dove continuò a prosperare fino a gran parte del VI
secolo, e in alcune zone anche più a lungo. La Trinità nei primi scritti
cristiani Santissima Trinità, di Hendrick van Balen, Sint-Jacobskerk, Anversa I
primi scrittori cristiani così si esprimono al riguardo: Noi non togliamo al
Padre la sua Unicità divina, quando affermiamo che anche il Figlio è Dio.
Poiché egli è Dio da Dio, uno da uno; perciò un Dio perché Dio è da Se stesso.
D'altro lato il Figlio non è meno Dio perché il Padre è Dio uno. Poiché
l'Unigenito Figlio non è senza nascita, così da privare il Padre della Sua
unicità divina, né è diverso da Dio, ma poiché Egli è nato da Dio. (Ilario di
Poitiers De Trinitate. Quando affermo che il Figlio è distinto dal padre, non
mi riferisco a due dèi, ma intendo, per così dire, luce da luce, la corrente
dalla fonte, ed un raggio dal sole. Ippolito di Roma. Il carattere distintivo
della fede in Cristo è questo: il figlio di Dio, ch'è Logos Dio in principio
infatti era il Logos, e il Logos era Dio - che è sapienza e potenza del Padre
Cristo infatti è potenza di Dio e sapienza di Dio - alla fine dei tempi si è
fatto uomo per la nostra salvezza. Infatti Giovanni, dopo aver detto: In
principio era il Logos, poco dopo ha aggiunto e il logos si fece carne, che è
come dire: diventò uomo. E il Signore dice di sé: perché cercate di uccidere
me, un uomo che ha detto la verità? e Paolo, che aveva appreso da lui, scrive:
Un solo Dio, un solo mediatore fra Dio e gli uomini, Cristo Gesù uomo»
(Atanasio di Alessandria, Seconda lettera a Serapione) Teologia delle Chiese
orientali e della Chiesa latina L'interpretazione trinitaria nella Chiesa
latina si differenzia da quella greca. Se entrambe le Chiese, infatti,
riconoscono l'unità delle tre Persone divine nell'unica natura indivisa, per
cui ciascuna di esse è pienamente Dio secondo gli attributi (eternità,
onnipotenza, onniscienza ecc.), ma ciascuna è a sua volta distinta e
inconfondibile rispetto alle altre due, è altresì vero che nasce il problema di
comprendere le relazioni che intercorrono fra di esse. Con il simbolo
niceno-costantinopolitano, approvato nel primo concilio di Costantinopoli, si
afferma che il Figlio è generato dal Padre, mentre lo Spirito Santo è spirato
dal Padre. Il Padre è dunque l'unica origine della Trinità. Col Concilio di
Toledo, però, e con i suoi successivi sviluppi, la Chiesa latina, usando una terminologia
diversa, stabiliva unilateralmente che lo Spirito Santo procede anche dal
Figlio (la questione del cosiddetto Filioque), cioè che è la terza persona. Gli
ortodossi rifiutano tuttora tale sviluppo, temendo che essa renda il Figlio
concausa dello Spirito Santo; per questo preferiscono parlare, secondo la
teologia greca, di "spirazione dal Padre attraverso il Figlio"
(proposta da grandi teologi come san Gregorio di Nissa, san Massimo il
Confessore e san Giovanni Damasceno), pur non introducendo questa
specificazione nel Credo. La Chiesa cattolicaritiene valide entrambe le
versioni, infatti le chiese cattoliche orientali utilizzano nella liturgia la
versione priva del Filioque. Anche altri gruppi cristiani hanno rifiutato
il Filioque; in particolare bisogna citare il caso dei vetero-cattolici, che
accettano la validità dei primi sette concili ecumenici, rifiutando le dottrine
cattoliche successive. Invece le Chiese nate dalla riforma hanno generalmente
accettato questo dogma nella versione occidentale (comprensivo, cioè, del
Filioque). Simboli di fedeModifica icon mgx2.svgLo stesso argomento in
dettaglio: Simbolo di fede. La dottrina della Trinità è espressa in alcuni
Simboli di fede, cioè proposizioni il più possibile chiare e prive di ambiguità
che si riferiscono a punti controversi della dottrina. Ad esempio al primo
concilio di Nicea venne approvato il seguente paragrafo (dal cosiddetto credo
di Nicea) relativo al significato di Figlio di Dio riferito a Gesù
Cristo: «...nato dal Padre prima di tutti i secoli: Dio da Dio, Luce da
Luce, Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del
Padre; per mezzo di lui tutte le cose sono state create.» Tale
proposizione deriva dal passo del primo capitolo della lettera agli Ebrei:
il Figlio, che Dio ha costituito erede di tutte le cose e per mezzo del quale
ha fatto anche il mondo. Questo Figlio, che è irradiazione della gloria di Dio e
impronta della sua sostanza e sostiene tutto con la potenza della sua parola. Il
simbolo atanasiano (detto anche Quicunque vultdalle parole iniziali) è invece
un'esposizione sintetica della dottrina della Trinità secondo la tradizione
latina, probabilmente composto in Gallia verso la fine del V secolo, ed usato
nelle chiese occidentali: «...veneriamo un unico Dio nella Trinità e la
Trinità nell'unità. Senza confondere le persone e senza separare la sostanza.
Una è infatti la persona del Padre, altra quella del Figlio ed altra quella
dello Spirito Santo. Ma Padre, Figlio e Spirito Santo hanno una sola divinità,
uguale gloria, coeterna maestà. Similmente è onnipotente il Padre, onnipotente
il Figlio, onnipotente lo Spirito Santo. Tuttavia non vi sono tre onnipotenti,
ma un solo onnipotente. Il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è
Dio. E tuttavia non vi sono tre Dei, ma un solo Dio. Poiché come la verità
cristiana ci obbliga a confessare che ciascuna persona è singolarmente Dio e
Signore, così pure la religione cattolica ci proibisce di parlare di tre Dei o
Signori. E in questa Trinità non v'è nulla che sia prima o poi, nulla di
maggiore o di minore: ma tutte e tre le persone sono l'una all'altra coeterne e
coeguali. Il Padre non è stato fatto da alcuno: né creato, né generato. Il
Figlio è dal solo Padre: non fatto, né creato, ma generato. Lo Spirito Santo è
dal Padre e dal Figlio: non fatto, né creato, né generato, ma da essi
procedente.il Signore nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, è Dio e uomo. È Dio,
perché generato dalla sostanza del Padre fin dall'eternità; è uomo, perché nato
nel tempo dalla sostanza della madre. Perfetto Dio, perfetto uomo: sussistente
dall'anima razionale e dalla carne umana. Uguale al Padre nella divinità,
inferiore al Padre nell'umanità.» In seguito vennero elaborati altri
simboli di fede in cui si riassumevano le dottrine precedenti e si trattavano
altri punti controversi, ad esempio al XI Sinodo di Toledo venne elaborata
un'altra "confessione" attribuita in passato ad Eusebio di Vercelli,
di cui si riporta solo l'inizio: «Professiamo e crediamo che la santa ed
ineffabile Trinità, il Padre e il Figlio e lo Spirito Santo, secondo la sua
natura è un solo Dio di una sola sostanza, di una sola natura, anche di una
sola maestà e forza. E professiamo che il Padre non (è) generato, non creato,
ma ingenerato. Egli infatti non prende origine da nessuno, egli dal quale ebbe
sia il Figlio la nascita, come lo Spirito Santo il procedere. Egli è dunque la
fonte e l'origine dell'intera divinità.» Posizioni antitrinitarie glass
icon mgx2.svgLo stesso argomento in dettaglio: Antitrinitarismo, Gesù
nell'ebraismo e Gesù nell'islam. La dottrina del Dio Uno e Trino non è
accettata al di fuori del cristianesimo, dato che afferma la divinità di Gesù
Cristo, che è caratteristica delle maggiori confessioni di questa religione.
Ebraismo ed Islamrifiutano questo aspetto, e nel Corano in particolare questo
punto dottrinale viene esplicitamente negato. Anche nell'ambito del
cristianesimo vi sono movimenti religiosi e diramazioni anti-trinitarie; fra
queste le più note a partire dall'età moderna e contemporanea sono i testimoni
di Geova, la House of Yahweh, i cristadelfiani, gli antoinisti, i mormoni, la
Chiesa del Regno di Dio, la Chiesa cristiana millenarista, il cristianesimo
scientista, la Chiesa dell'unificazione e le chiese odierne che si rifanno all'unitarianismo.
Ordini e congregazioni della Santissima TrinitàModifica Numerosi istituti
religiosi condividono la devozione alla Trinità e sono a essa intitolata:
l'Ordine della Santissima Trinità, con il ramo delle monache e le congregazioni
delle suore di Madrid, Roma, Valence, Valencia e delle Montalve; le
statunitensi congregazioni dei Missionari Servi e delle Ancelle Missionarie
della Santissima Trinità; le canadesi Domenicane della Santissima Trinità; le
spagnole Giuseppine della Santissima Trinità; le messicane Serve della
Santissima Trinità e dei Poveri e le italiane Adoratrici della Santissima
Trinità. Trinitarian
doctrine touches on virtually every aspect of Christian faith, theology, and
piety, including Christology and pneumatology, theological epistemology (faith,
revelation, theological methodology), spirituality and mystical theology, and
ecclesial life (sacraments, community, ethics. La dottrina Trinitaria tocca virtualmente ogni
aspetto della fede cristiana, della teologia e della devozione, comprese la
Cristologia e la pneumatologia, l'epistemologiateologica (fede, rivelazione,
metodologia teologica), la teologia mistica e la spiritualità e la vita
ecclesiale (sacramenti, comunità, etica)» (Catherine Mowry Lacugna. Trinity, in Encyclopedia of
Religion, vol.14. NY, Macmillan, 2005, pp. 9360 e segg.) ^ «non è esatto dire che i cristiani credono in Dio!
Per lo meno non è esatto rispetto al fatto che essi non si contentano di
affermare l'esistenza di quell'Essere supremo, onnipotente, creatore del cielo
e della terra che gli "uomini chiamano Dio" (Tommaso d'Aquino) e che,
nel vasto mondo e nella storia, anche tanti altri credenti riconoscono. La sola
cosa che, in realtà, si possa dire se si vuole usare un linguaggio preciso, è
che i cristiani credono nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo; o ancora
nella Trinità del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che insieme
costituiscono l'unico Dio vivo e vero.» (Joseph Doré. Trinità in
Dictionnaire des Religions (a cur. Poupard). Parigi, Presses universitaires de France. In
italiano: Dizionario delle religioni. Milano, Mondadori, Cfr. ad esempio il Catechismo della Chiesa
Cattolica che riportando l'Expositio symboli (sermo) CCL di Cesario
d'Arlessostiene La fede di tutti i cristiani si fonda sulla Trinità. Il simbolo
niceno-costantinopolitano rispetto al credo di Nicea, amplia gli aspetti
cristologici e pneumatologici: Gesù Cristo figlio di Dio è GENERATO (cf. Grice
– GENITOR) da sempre dal Padre, è increato, è homoúsioncioè della "stessa
sostanza" del Padre e per mezzo di lui si è realizzata la creazione; egli
è dunque Dio vero da Dio vero, luce da luce. Lo Spirito Santo ha parlato per
mezzo dei profeti, egli è Signore e da lui proviene la vita, procede dal Padre
ed è elemento di culto come il Padre e il Figlio. Cfr., ad esempio, Pier Cesare
Bori. Dio (ebraismo e cristianesimo), in Dizionario delle religioni (a cur. Filoramo)
Torino, Einaudi, Per la Chiesa cattolica
la "trinità" è un mistero della fede ovvero uno dei «misteri nascosti
in Dio, che non possono essere conosciuti se non sono divinamente rivelati»
(Concilio Vaticano I, DS; FCC). poreuthentes oun mathēteusate panta ta ethnē
baptizontes autous eis to onoma tou patros kai tou uiou kai tou agiou
pneumatos» ^ «baptistheis de o iēsous euthus anebē apo tou udatos kai idou
ēneōchthēsan oi ouranoi kai eiden pneuma theou katabainon ōsei peristeran
erchomenon ep auton» «kai apokritheis o angelos eipen autē pneuma agion
epeleusetai epi se kai dunamis upsistou episkiasei soi dio kai to gennōmenon agion
klēthēsetai uios theou» ^ «pisteuete moi oti egō en tō patri kai o patēr en
emoi ei de mē dia ta erga auta pisteuete kagō erōtēsō ton patera kai allon
paraklēton dōsei umin ina ē meth umōn eis ton aiōna to pneuma tēs alētheias o o
kosmos ou dunatai labein oti ou theōrei auto oude ginōskei umeis ginōskete auto
oti par umin menei kai en umin estin o de paraklētos to pneuma to agion o
pempsei o patēr en tō onomati mou ekeinos umas didaxei panta kai upomnēsei umas
panta a eipon umin egō» ^ «ei ou poiō ta erga tu patròs mou, pistèuete moi; ei
dè poiō, kan emoì mē pistèuēte tòis ergòis pistèuete, ìna gnōte kai ginōskēte
oti en emoi o patēr kagō en tō patrì. ē charis tou kuriou iēsou [christou] kai
ē agapē tou theou kai ē koinōnia tou agiou pneumatos meta pantōn umōn kata
prognōsin theou patros en agiasmō pneumatos eis upakoēn kai rantismon aimatos
iēsou christou charis umin kai eirēnē plēthuntheiē» Further, exegetes and
theologians agree that the New Testament also does not contain an explicit
doctrine of the Trinity. God the Father is
source of all that is (Pantokrator) and also the father of Jesus Christ;
"Father" is not a title for the first person of the Trinity but a
synonym for God. Inoltre, esegeti e teologi sono d'accordo
che anche il Nuovo Testamento non contiene un'esplicita dottrina della Trinità.
Dio Padre è fonte di tutto ciò che è (Pantokrator) e anche il padre di Gesù
Cristo; "Padre" non è un titolo per la prima persona della Trinità ma
un sinonimo per Dio.» (Catherine Mowry Lacugna. Trinity, in Encyclopedia of Religion, NY,
Macmillan,Exegetes and theologians today are in agreement that the Hebrew Bible
does not contain a doctrine of the Trinity, even though it was customary in
past dogmatic tracts on the Trinity to cite texts like Genesis 1:26, "Let
us make humanity in our image, after our likeness" (see also Gn.; Is.) as
proof of plurality in God. Although the Hebrew Bible depicts God as the father
of Israel and employs personifications of God such as Word (davar), Spirit
(ruah: ), Wisdom (h: okhmah), and Presence (shekhinah), it would go beyond the
intention and spirit of the Old Testament to correlate these notions with later
trinitarian doctrine. Esegeti e teologi
oggi sono d'accordo che la Bibbia ebraicanon contenga la dottrina della
Trinità, anche se era abituale nei trattati dogmatici della Trinità citare
testi come la Genesi, Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza (vedi
anche Gn.; Is.) come prova di pluralità in Dio. Sebbene la bibbia ebraica
descrive Dio come padre di Israele e usi personificazioni di Dio come parola
(davar), spirito (ruah: ), saggezza (h: okhmah) e presenza (shekhinah),
andrebbe oltre le intenzioni e lo spirito del vecchio testamento correlare
queste nozioni con la successiva dottrina trinitaria. Lacugna. Trinity, in
Encyclopedia of Religion, NY, Macmillan, In the last analysis, the theological
achievement is limited. The trinitarian problem may have been clear: the
relation of the son and, at least nebulously, spirit to the godhead. But a trinitarian
solution is still in the future. The apologists spoke too haltingly of the spirit
-- with a measure of anticipation, one might say too impersonally. In ultima analisi i risultati teologici del II secolo
furono limitati. Il problema Trinitario poteva essere stato chiaro: la
relazione fra il Figlio e (almeno nebulosamente), lo Spirito alla Divinità. Ma
una soluzione Trinitaria era ancora futura. Gli apologisti parlano con troppa
esitazione dello Spirito; con il valore di un'anticipazione, si potrebbe dire
in modo troppo impersonale. Richard e
Hill. Trinity, Holy. The New Catholic Encyclopedia, NY, Gale, O Gente
della Scrittura, non eccedete nella vostra religione e non dite su Allah altro
che la verità. Il Messia Gesù, figlio di Maria non è altro che un messaggero di
Allah, una Sua parola che Egli pose in Maria, uno spirito da Lui [proveniente].
Credete dunque in Allah e nei Suoi Messaggeri. Non dite “Tre”, smettete! Sarà
meglio per voi. Invero Allah è un dio unico. Avrebbe un figlio? Gloria a Lui! A
Lui appartiene tutto quello che è nei cieli e tutto quello che è sulla terra.
Allah è sufficiente come garante» (Cor.). RiferimentiModifica ^ Catherine Mowry
Lacugna, "Trinity", in Encyclopedia of Religion, NY, Macmillan,
Trinità in Dictionnaire des Religions, Wainwright, The Trinity in the New
Testament, Londra, SPCK Ts 5.23, su
laparola. net. Bobichon,
"Filiation divine du Christ et filiation divine des chrétiens dans les
écrits de Justin Martyr" in P. de Navascués Benlloch, M. Crespo Losada, A.
Sáez Gutiérrez (dir.), Filiación. Cultura
pagana, religión de Israel, orígenes del cristianismo, vol. III, Madrid, ^
Roger E. Olson, The Story of Christian Theology: Twenty Centuries of Tradition
& Reform, Downers Grove (IL), InterVarsity
^ Tertulliano, Contro Prassea, ed. critica e trad. italiana di Giuseppe
Scarpat, Torino, S.E.I. "Terzo millennio Cristiano", paragrafo:
"Eresie cristologiche Dizionario Mondadori di Storia Universale" ^
John Henry Newman, Gli Ariani del IV secolo, Milano, Jaca Com’è nata la
dottrina della Trinità? JW.org
Wainwright, The Trinity in the New Testament, Londra, SPCK. Voci correlate Corpus Domini Cristologia Dio
(cristianesimo) Dio (ebraismo) Dio Padre Dio Figlio Diofisismo Figlio dell'uomo
Figlio di Dio Gesù di Nazareth Gesù nel cristianesimo Iconografia della Trinità
Inabitazione trinitaria Pericoresi Prosopon Spirito Santo Solennità della
Santissima Trinità Triade (religione) Trinità (araldica) Unione ipostatica
Verbo (cristianesimo) lemma di dizionario «Trinità» Trinità, su Treccani.it –
Enciclopedie on line, Istituto dell'Enciclopedia Italiana. Rosa e Umberto
Gnoli, TRINITÀ, in Enciclopedia Italiana, Istituto dell'Enciclopedia Italiana,
1937. Modifica su trinità, su sapere.it, De Agostini. Trinità, su Enciclopedia
Britannica, Encyclopædia Britannica, Inc. Trinità, in Catholic Encyclopedia, Robert Appleton
Company. Modifica su Wikidata Tuggy, Trinity, in Edward N. Zalta (a cura di),
Stanford Encyclopedia of Philosophy, Center for the Study of Language and
Information (CSLI), Università di Stanford. Baber, The Trinity, su Internet
Encyclopedia of Philosophy.Hunt, The Development of Trinitarian Theology in the
Patristic and Medieval Periods( PDF ), su TRINITY - Nexus of the Mysteries of
Christian Faith, google.it. La Trinità secondo le Sacre Scritture, sito
evangelico pentecostale Portale Gesù: accedi alle voci di che trattano di Gesù.
Antitrinitarismo Cristologia studio su
chi è e cos'è Gesù Cristo Dio (cristianesimo) concetto di Dio nel
Cristianesimo Contenuti sticamente l'ascesa a Dio si scandisce in tre
tappe (ognuna delle quali a sua volta divisa in due): il mondo sensibile,
vestigium Dei l'anima, in quanto realtà naturale, imago Dei l'anima, in quanto
abitata soprannaturalmente dal Mistero trinitario, in Cristo, similitudo Dei Il
mondo, vestigium Dei la predica di Francesco agli uccelli nel pensiero di F. vibra
la nuova percezione francescana della natura. L'importanza data alla prima
tappa, il mondo sensibile è ciò che differenzia F. da Agostino, in forza
dell'eredità francescana, che gli consente di recuperare qualcosa della
impostazione aristotelica, più valorizzatrice del livello corporeo. Il mondo
può essere letto come un SEGNO, un simbolo del Trascendente. Tutto parla di
Dio, e permette perciò di risalire a Lui. Non occorre fuggire dalla realtà, ma
è nella realtà, anzitutto materiale, che l'uomo trova la testimonianza del creatore
invisibile. Secondo F. la realtà ci parla di Dio non solo nella unità
della sua natura, ma ne annuncia anche il mistero trinitario. Ad esempio la
conoscenza delle cose corporee è simbolo della processione del figlio dal padre.
Come dalla cosa si stacca una immagine, così dal padre è GENERATO (cf. Grice,
GENITOR) il Figlio, e come l'immagine della cosa si unisce all'organo
sensoriale corporeo, così il verbo si è unito alla carne, facendosi uomo. L'anima
creata, IMAGO dei. Tuttavia è soprattutto nell'anima che il divino si rivela.
Il mondo è solo un *vestigium*, mentre l'anima è *imago* Dei. Tra l'altro
testimonia e parla del mistero trinitario, come già per Agostino, la
tripartizione dell'anima in memoria (che rimanda in particolare al padre),
intelletto (che rimanda al verbo) e volontà (che rimanda allo spirito santo,
come amore del padre e del figlio). L'anima redenta, *similitudo* Dei. Più
di tutto ci dice chi è il divino l'anima in stato di grazia, l'anima abitata da
Cristo. Nessuno più del santo ci mostra il volto di Dio. Non basta perciò uno
spiritualismo generico. L'uomo non è solo corpo e anima. Ma l'anima stessa deve
superarsi, dilatarsi, accettando una misura più grande. L’ospite che ci inabita
e chiede di crescere in noi. Direzione e gradi del cammino si presentano anche
nelle forme di rapporto, tra cui vengono analizzati la realtà nel suo insieme e
l'uomo in particolare: traccia (*vestigium*) del Creatore nel sensibile, sua
immagine (*imago*) trinitariamente sviluppata, nelle facoltà o attività dello spirito
e massima somiglianza possibile (*similitudo*) con lui nello stato della
contemplazione perfezionatrice o unione con lui. Vestigium o speculum, traccia
o specchio come primo grado della contemplazione riflettente del divino indica
la forma di essere e di movimento del mondo sensibile che rinvia il pensiero
alla sua origine. Imago, immagine, come caratterizzazione della mens conduce il
pensiero che si accerta di se stesso al suo archetipo trinitario. Similitudo,
somiglianza, indica lo stato di colui che supera se stesso nel suo massimo
avvicinamento possibile o nella connessione con la meta
dell'ascesa. Itinerarium: per vestigia e in vestigiis: per imaginem - in
imaginem. All'agire della mens come o nella similitudo, corrispondono i
gradi descritti. Un'interpretazione del rapporto tra vestigium e imago
nell'Itinerarium è stata presentata da Hodl: Die Zeichen-Gegenwart Gottes und
das Gott-Ebenbild- Sein des Menschen in des hl. F. Itinerarium mentis in Deum,
in Miscellanea Mediaevalia, Berlin. Sulla differenziazione di
vestigium-imago-similitudo ulteriormente: De scientia Christi q. 4 concl.
Orizzonte neoplatonico di traccia, ἴχνος. Il male stesso ha ancora una traccia
del bene: ἴχνος ἀγαθοῦ, Proclo, In Remp. Essere come traccia dell'uno, in
Plotino, vedi la relazione con la dottrina dell'immagine. Nel contesto
oggettivo e storico di questa dottrina vi è Agostino: il creato, l'ente
molteplice e temporale nel suo insieme è traccia dell'unità e atemporalità
(divina), (unitatis e aeternitatis vestigium: Vera rel. Gen. ad litt. imp.
Anche Eriugena segue questo concetto di traccia, che vede nel sensibile la
traccia o la manifestazione dell'essere divino in sé nascosto, come punto di
partenza della summitas theoriæ: omnis creatura corporalis atque visibilis
sensibusque succumbens extremum divinæ naturæ vestigium non incongrue solet in scripturis
appellari: Periphyseon. Sulla teofania cfr. Beierwaltes, Negati affirmatio;
sull'aspetto della metafisica della luce. Grice: “Bonaventura is generally more liked than
Aquinas at Oxford. More platonic,
less dogmatic sort of type!” -- Keywords: Lc. 19:38-40 ‘grideranno le pietre’
‘la pietra grida’ – i segni trinitari - primo
grado: vestigio o impronta; secondo grado: immagine; terzo grado: similitudine
--. Refs.: Luigi Speranza, "Grice e
Fidanza," per Il Club Anglo-Italiano, The Swimming-Pool Library, Villa
Grice, Liguria, Italia. Findanza. Fidanza
Grice e Figliucci: la ragione conversazionale e l’implicatura
conversazionale di Giove e Ganimede – scuola di Siena – filosofia toscana -- filosofia
italiana – Luigi Speranza (Siena).
Filosofo sienese. Filosofo toscano. Filosofo italiano. Siena, Toscana. Grice:
“Of course I love Figliucci, who doeesn’t? Of course, there is Figliucci and [Vincenzo]
Figliucci, both moralists at Siena; what I love about Figliucci is that he
championed the big ones: Plato’s Fedro – with the charismatic metaphor of the
winged warrior; and then Fedro is an interesting character for maieutica; and
Aristotle’s ethical ‘books,’ which we hope he instilled on Alexander!” – Studia
a Padova. Dopo aver vissuto le piacevolezze mondane
della corte, entrò nel convento domenicano di Firenze. Altre opere: “Del bello”
(Roma); “Ficino” (Venezia); “Le undici Filippiche di Demostene con una Lettera
di Filippo agli Ateniesi. Dichiarate in lingua Toscana” (Roma, Appresso Vincenzo
Valgrisi); “Della Filosofia morale d'Aristotile” (Roma); “Della Politica,
ovvero Scienza civile secondo la dottrina d'Aristotile, libri VIII scritti in
modo di dialogo” (Venezia, Somascho); “Catechismo, cioè istruzione secondo il
decreto del Concilio di Trento”; Treccani Enciclopedie on line, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana, Dizionario biografico degli italiani, Istituto
dell'Enciclopedia Italiana. FIGLIUCCI, “IL FEDRO O VERO IL DIALOGO
DEL Bello di Platone, tradotto in lìngua toscanà per Felice Figliucci
Sense. IN ROMA Con priuilegio del Sommo
Ponstefice per anni X.IL FEDRO. Ó VERO il D/4iWa id Bello di Telatone. TRADOTTO
in lingua Tofcana» Perfone del Dialogo, SOCRATE, ET FEDRO. O Fedro mio
caro,doue uai tu,ac Soc. donde uieni ^ F E D. Socratc,io uego da cafa di Lifia
figliuolo di Cefalo,flC hora me ne uh un poco à fpafTo fuor della città: per
ciò che buona peza feco à ragionar fedendo, da quefta mattina per tempo, per
fino à hora fon dimorato. Et hora,c(rendo à ciò ftato perfuafo,da Acumeno tuo
amico, fiC mio,fò caminando efTercitio: il qual modo di efTercitarfi, egli
affai più facile, CC molto più gjoueuole giu:sdica, che laftaticarfi nel
correre, come molti fanirsno. SOCR. Certamente Fedro mio, eh* egli ti configlia
bene^ma fecondo il tuo dirc,Lifu dee elTere nella città, è uero. FED, Ve^sro, fi£
alloggia infieme con Epicrate nella cafa di Morico,uicino al Tempio di Gioue Olimpiót
SOCR. rimali di gratia,clie faceuate uoi quiui f Inuitouui forfè Lifia al parto
delle fuc orationii' FED. Tu lo fapra!,par clic tu babbi tempo di uenire i(ifieme
coumeco^fin che io te l habbia narrato. SOCR. Che dici tu.^ Hor Don penfi tu,
che io proponga à ogni mia facen <ìa (come di^Te Pindaro) il ragionamento di
Li:s fia,fl£iltuo? FED, Seguitami adunque SOCR. Di pure. FED. Et fappi Socra;^
tc.che quella difputa, che nacque fra Lifia^a ine.è {lata à punto degna delle
tue orecchie. Per ciò che il parlare,che Ci\ ùilto,(ìx in un cers; to modo
tutto intorno alle cofe d'AMORE; pcr ciò che Lifia haueua fcritto una oratioue
doftiG:: fima, fi£ eIegantiflima, manoDÌn fauore d'uno AMANTE, anzi pier quello
era artificiofa.fi: Icggias: dra,che egli in quella prouaua,che più toftofi dee
far ccfa grata à chi non ama, che à chi ama» SOCR. O huomo certamente
digniffuno; uo:s lefTe lddio,che egli haueffe fcritto,che fi hauefe fe à fave
bene più tofto à unpoueio.che à un ricco, ftàunuecchio, che à un giouane,aà
moltialtrijiquali in molte altre cofe fono mal condotti, come me: per ciò che
fe tale fufTe fta^ ta la fua oratione.all' bora fi poteua degnametc ^nc ce
piaccuole.a utile. Non di meno anchora che ella non fia (lata cefi, egli m'è
foptags giunta una fi gran uogliad' udirla, che (e tu cdis minando te ne
andaflj perfino à Mcgara,flC fc (comeècoftume di Hcrodico ) tofto che alle mura
della città fiifli giunto.indietro te ne tornaflì,io per queflo fon difpofto di
non ti aK? bandonarmai. FED, Che dici tu Socrate^' Penfi turche io giouane
inefperto poffa hora narrarti, flC ramentarti quelle cofe ,chc Lifia moi te più
dotto di quanti Sìcrittori hoggi fi troua:^ no, in molto tempo à fua commodità
compofe/ Sappi,che io fono affai lontano da quello ti uoglio dire,chc iouorrei
più prefto fimil cofa faper fare, che effer d' infinite riccheze poffeffo? re.
SOCR. Fedro cparrebbe.cheip non fi conofcefL, non fai tu, che tanto à me
farebbe il non fapere chi tu fei, quanto lo fcordarmi di me medefimo.^ Delle
quali^ofe neffuna è uera: per ciò che io fo beniflimo,che tu non udirti una
uolta fola quefta Oratione di Lina, ma te U facefli replicare affai uolte. Et
Lifia fo io, che uo lentieri ti ubidiua: ne quefto anchora ti fu affair ma
fattoti al fine dare m mano il libro. doue eri fcritta, confiderafti ineffo
tutte quelle cofe,U quali maggiormente defideraui fapere: il che come hauedi
fatto, fianco di hauere in quel Iugo fi fungamciife fedufo,(i partifti per
andare tene a fpafTo. Et io giiiraréi,che bora tela mefe teui alla memoria, fé
gii non fufTeftata troppo lunga, te neandaui fuor della città^perconi fiderare
date ftefloà quello, che haueui letto» Ma poi che tu ti fei abbatuto ì un'huomo
pazo di udire fimili ragjonamèti,come fono io,toflo che iMiaiucduto, ti fei
oltra modo rallegrato, quafi che tu fufli certo di hauerc uno, che dei
niederimo,che tu,tecori hauefli à rallfgrare,flc fare feft^,flC cofi mi bai
commefTo.che io uenea teco. Quindi pregato da me defiderofiflimo di ud/rti, che
à dir cominciaflj, bai finto ciò efTerti difficile, come fe tu non hauefli
bauto uoglia di raccontarmi quefta cofa: flC io fon certo, che. al fine, quando
alcuno qui non fuffe ftato,che ti haueffe per fe fteflo uoluto udire, tu haueui
tan ta uoglia di dire quello, che haueui udito, che tu cri per sforzare
qualunque fi fuffe. à udirti à fuo mal grado. Et però Fedro mio caro, non tt
fare pregare à mia fòdisfatione di fare queU lo, che eri ogni modo per fare
fenza che alcuno te ne ricercaffe. FED. Sarà adunque me;s gbo dirti quefla
cofa, come jo faprò,purcbc io la dica; per ciò che e mi pare, che tu non fia
per abbandonarmi mai, fin che non Thabbia fentita. <^ Sccr. I o SOCR.
Certamcnfe che tu hai^buon credtere. FED. Cofi adunque faro: ma per dirti il
uero Socrate, io non ho imparate le parole tutte à mente, ma io mi ricordo bene
quafi di tutte le ragioni, flC argomenti: per li quali egli dimcftra un'amante
efferdifTimile da chi no ama, fiC cofirdì fon deliberato nan-artele tutte
ordinatamen:? te. SOC Moftrami di gratia prima quel, che tu hai nella man
fiftiftra fotto il mantello, che à dirti il uero, io dubito che tu non habbia
quel libro proprio: il che fe è uero, pen(à che io ti ftimo afTai; non di meno
fe io poffo udire jLifia, non uoglio ftarc à udir te. Ma che fai tu, che ncn
me' 1 moftrif FED • Deh fta fermo: tu
m'hai leuato d'una grande fperanza o Socrais te, che io haueua di efercitait
hoggi il mio ingc^ gno con teco: ma poi che io non poffo farlo, po niamcd à
federe, per leggere doue più fi piace • SOCR. Aridiamocene, prima che à
leggere. cominciamo, dj U dal fìume Iliffo, ftquiui ci porremo à federe, doue
più ci parrà FED. A tempo mi truouo difcalzo,ma fu non uai mai altrimenti:
& però ci farà ageuole paiTare quefta piccola acqua, ne anchora ci douerà
difpiaccre, tnaflimamente in quefta ftagionc,&à quefta hcra. SOCR. Va uia
adunque, ft in tanto confiderà, doue po(&amo federe » F £ Vedi tu quel
Platano cofi alto SOCR. Si ueggo. FED. Qoiui è una piaceuolc ombra, •fiC un
uentolino fcaue. flC l'herba tenera in ogni parte: fi che pofTjamo porci à
federe,© à giacere, doue più ci piacerà. SOCR. Va Ij^adaquc. FED, Dimmi un pooc
Socrate, non fi dice egli, che già in quefto luogo Borea rapì Oriss
fhia,uicinoaI fiume Iliffoi' SOCR, Col; fi dice» FED. Non ti pare egh, che qui
fi uegga una acquetta grata, pura, fiC chiara, nella quale commodatamcte
pofTano le fanciulle fcher zarci' SOCR. Non é quefto il luogo, ma po co più di
fotto, lontano due ò uero tre ftadi,do:s ue habbiamo trouato il Tempio di Diana,
flc in quel medefimo luogo è un certo altare fatto ad honore di Borea. FED. Io
non fq bene quc ftacofa. Ma dimmi per tua fe Socrate, penfi tu che quefta
fauola fia ftata uera t SOCR. Se -io non penfafli^che fuffc uera, come fanno
an^s chora tutte le perfone fauie non per quefto farei da elTere ftimato
fcioccho: ma non uolendola in tutto negare, potrei fingermi quefta cofa, fiC
dire, che il uento Borea ulcito da quefte pietre ui:s cine à (chcrzare.flC
foUazarfi con Farmacia, fi ina; contro in Onthia, cCla fecegrauemente à terra
cadere, della qual cola ella ne. mori: OC di qui hanno finto, che ella fò
rapita da Borea, non già da qiiefto luogo, ma dallo Ariopago.doue bora fi
giudicano le caufe: per ciò che è /ama affai da quefta diuerfa^che ella non fu
rapita da quello^. ma da quel luogo. Hora io Fedro mio, giudico certamente
quelle cofe molto diletteuoli, ma da huomini troppo curiofi, & folkcjti di
quello» che poco importa, fiC da perfone anzi poco fortunate, che non: le quali
fe per altro non hauefs fimo à chiamare infelici, quefta però farebbe cagione
giuftf/Tima^che eglino tégono cofa neceffarla, che bifogni interpretale la
forma de i Centauri, delle Chimere, flC di molte altre fintioni inutili. Et non
folo fi truouano quefte fi fatte figure, ma à chi fi intrica in fimili cofe.gli
pio^ uonoà doffo.k turbe de i Serpenti, delle Gorgoni,fiC la bugia del cauallo
Pegafo,& di moU te altre forme contrafatte; onde fe alcuno di quefti cofi
diligenti non crederà, che quefte co^ fe fienò flate nel modo, che fi narrano,
ma uorrà Qgni cofa ridurre alla fua allegoria, & al fenfo più, fecondo
lui,conuenienfe,coftui certo bara otio d'auanzo, flf fi fiderà di elTér
ricordato per uia d'una fcientia roza,flc di poco memento» Maio,à dirti il
uero, non ho tempo à cercare (i^ mili ccfe; perche non anchora pc/To ccnofcerc
me fl:e(ro,ri come ci infegna clie dobbiamo fare 1 oracolo Delfico. Et per
qnefto à me pare cofa da ridere, il uoler cercare di fapere le cofe d altri,'
Don conofcendblhcTìora quelle, che à me fi ap35 partengono,flf che fono in me
ftefTo. Per il che laiciate andar quefte cofe.ft crededo paramene» te à quello,
che credono gli altri intorno à qucfto,non perdo il tempo nella cqnfidcrafione
Io ro,malo metto à confiderare me {lefTo. ft^cofi ^ taì'hora fra me dico. Sono
io una beftia più (u^ riofa, flC più rabbiofa,che non fu il gigante det^ to
Tifone,© pure (come è uero ) fono nato ani^ m^ile più placabile, fiC humano,fiC
più femplice; participc per natura della mente diu{na,fiC nato per godere al
fine uno ftafo.ft una forte felicif^s fimar Ma non è egli quefl:o,al quale
ragionado, fiamoarriuati, quello albero, doue tu mimenas ui^ FED, Quefto é d
elfo. SOCR. Cerato che quefto è flato un viaggio degno: per ciò che quefto
Platano hai rami larghifTimi.fiC è molto alto,£(la alteza di qpcllo Agnol
cafto; infieme con l'ombra che fa, è bella oltra modo,' ficpiaceuole: fichoraè
il tempo, nel quale più che mai,fiorifce: per il che il luogo tutto intorbi noe
ripieno di foauiflìmo odore. Oltra ciò, è quefto fonte,che fotlo il Platano la
terra riganjs s ^ do. (io bagna, cliiariflìmo, CC di acqua frefca puc
afrai,comeripaoconofcerenel metterci dren^ to un piede. Et le fanciullesche
quiui fcolpitc j] ueggono &lealfre belle imagini.dimoftra:? no chiaramente,
che il fonte c ftatofagratoak le Ninfe.&ad Acheloo. Non ti accorgi olfra di
quefto, quanto gioconda, écfoanefia Taura^ (che quiui fpjrar fi lente r Oltra
ciò/i ode una moifitu'crine di cicale: ìe quali, fecondo il temrs po cantando,
ne fanno fentiie un concento non fo come fcaue.fiC piaceiiole. ma più dbgni
altra 'Cofa,mj pare degna deffcr lodata quefta tenera herbetta,Iaquale.4
mirarla, pare che ella beni: s griamenteafpetfi, che altri ripofiil capo fopra
4/ lei perriceuerlo.tìcfoftenerlo commodiffima mente. Per il che Fedro mio
caro, fu mi hai me nato hcggi qui, doue io fono come foreftiero, per farmia
ftare più uolenfierijl che hai fatto prudentemente. FED. Chi
ti.fentifre.crede:^ rebbe che tu fufli huomo da pochiTIimo: flC cer:s tamente a
quel. che tu dici, tu pari più prefto un foreftiero.che uno del paefe: talmente
di^ moftn non hauer mai pafTato i noftri confini, ne effer mai ufcito delle
noftre porte, SOCR. Perdonamf Fedro mio da bene,|) ciò che io, coxnc (u
fai^foiamente defidero imparare:& fu bea falche gli alberi, fiele
unie,& li campì, non ttìì pofTono ifegnare cofa alcuna, ma fi bene gli huo
>mini, che habitano la città. Ma tu, fecondo me> hai truouato un modo da
allettarmi all'ufcircì qualche uolta: per ciò che fi come coloro, che à *gli
animali moftrano frondi,ac porgono frutti, li menano doue uogliono: cofi
tii,moftrando5 mi queftolibro,mi menareftiper tuttq il contar no d' Atene, doue
tu uoleffj. Hora poi che fias mo giunti qui, mi pare di pormi à federe: fiC tu
acconciatoti in quel n(iodo,che più commodo ti parrà, comincerai à leggere, F E
D * Odi adunque» • In questo (lato certamente fi trubuano le cofe mie: flC
quefto comc fai,p0:s co fì intefo da me,penfo che m' babbi à gioua:^ re affai.
Hora io uoglio che fappi, che io ftimp, ce giudico, fecoia alcuna io ti
domanderò, dos: uerla da te per quefta cagione impetrare, per ciò che io non
fon prefo del tuo amore • Et che ciò Ca il aero, tu fai che gl'amanti, come
prima han no la lor libidine fatiata,fi pentono de i benefiis cii,che ti hanno
mai fatti: ma quelli, che dall'ai mor legati non fono, non fi pentono per tempo
alcuno, la ragione è quefta, Che eglino fanno li bcneficii per fe fteflì
penfatamente, fiC fecondo che pofTono.fif che le facalfà loro compocifanot
& non fono à ciò sforzati, còme gli amanti. Ob tra cib,gli amanti alle
uolte tra fe ftcflj penfand quanto negligentemente dall'amore impediti J
habbino le lor faccende condotte à fine, ft quaa li beneficii habbino con
troppo danno loro à gli amati fatto.flC quanti affanni,» quante fati^ che
habbino fofferto: fif per quefta cagione mai hanno da gli amati bene
alcuno,tengonù per certo non glie n'effere obligati.mahauera gliene per
J'addietro dato degno guiderdone Ma coloro, che dall'amore non fi truouanoinii
' - gannafi,nonfi lamentano di effere ftati pccd accorti nelle faccende lóro:
non gli duol delle paffate' fatiche, non fi rammaricano, per cagion
deiramato,hauer con li parenti fatte grauiHime nimicitie,come fpeffe uolte fuol
auuenire. Onai k de tolti uia tanti mali, che à gli amati fòlamenie
interuengono, refta folo,che quelli, che non amano, come fo io. fieno fempre
pronti,» para tiffimi à fare tutte quelle cofe,che penfano potergli arrecare
giouamento. Sono molti che dicono,che per quefta cagione fi douerebbond affai
gli amanti appiezare: per ciò che grandif^ fima è la carità, che uerfo gli
amati loro hanno « tutte le bore, flC che fempre apparecchiati fi truo «ano à
ubbidire air amato, ec a fargli cofagri!* fa ce con le parole, & con le
opere, anchora che perqucfto ceruffimi fuffcro, doucre offendere pgni altra
perfona. il qual parere di qui faciU xncnfe fi può confidcrare non edcr
uero.chè Ic^s uafa alle uoltc la beneuolentia da uno,* in ua^ litro portala,
affai più confo de i nuoui amanti 0inno,chc di quelli, che prima haucuano: fiC
che pm,fequefti amanti più frcfchi gli el com mette/fero, diuentarieno
c^udeh/Tjmi inimici de Ipaffati. Etin qual modo pofTjamo noi dirc^ CHE
NEGL’AMANTI SIA COSI ARDENTE AMORE, efTenj: do à quella infelicità, &
calamità fottopofii, dals: la quale perfona alcuna quantunque fauia,& acs:
corta, mai potrebbe rimuouerhV Et quefto è, che codoro ccnfeffano per loro
fleffi effere anzi fuor di loro, che non^ft dicono conofcere la loro
fcioccheza, a: pazia,ft non di meno non poa» tjfrfene rifenere,o i;ifliuouerc.
Et pero gli huoismini faui, come potranno approuare, & giudicar hiioai i
configli,fiC i pareri di perfone da tal mancamento macchiate.'' Olfra CIO, fe
tu uorrai fciogliere un'huomo in ogni parte perfetto tra gli amanti, bifognerà
che tu faccia quella fcelfà tra pochi, che pochi fono quelli, che amantifi
poffano dircma fe tu uorrai procacciarti ungami tò.ì)totnpagfio, recòr)(5ofl
Mi^ctio tuo,^acl t^nicofa atto;&accommodato^tra quelli, chè non amano Jo
potrai più fàcilmente fare: pct tiòchc tra molte petfone ti ùd toncefTo
fctrglict lo:^ più debbi fpcrare di bauere un buono ami co tra molti, cHc tra
pochi, à trotianc- Et fe al fi ne tu temi,» fuggi, come debbi fjre,l'in6mf*
publica.i8C il biafimo unuierfale, quale per òrdi ration delle leggi fi può
ffTet dato.ti & bifos^ gno ramf n(arti,che gli amanti\li quali per quel la
cagione uoriebbono tfTer^ amati ^ per \m quale amanoilogliono poi che al
defiderato fint fi ueggono giunti, gloriarfi, OC uantarfi alla fco3f perta,che
eglino non hanno m uano ncHorol «more confumato il tempo. Ma quelli, che noft
tìmano, con ciò fvache facilmente pofTano taccsi re,a: tenerfi di due quel, che
hanno fatto, han^a no coftume di cercar più toilo quel, che penfa^j no
eflérottim.o per loro.fiì per lamico^che Tefa fer dalla moUitudine, fiC dal
nolgo ricordati,^! portati per bocca. Aggiugnc anchora à que^s fto.che
acccrgendofi la plebe, che un'aman: te fegua un' amatorie afliduaménte in ogni
cofa Mclcntierrgli ubbidifca,^< fimilmente gif compiace a, fubito entra in
fofpùlto^ che tr* loro non fu flato, o nori fia càttiuo defidcdQ^ ma non ha già
ardire di bafitnarc le amicitie dr coloro, che non amano: per ciò che ben fa,
che à gli huomini fa di bifogno ben fpelfo infieme ritroiiarfi.ò uero per
cagione di amicitia,ò uera per qualche lorocommodità. Etfe forfè tu teis fnefTì
di quelli, che non amano, fic penfaffi, che fuffecofa diffìcile, che con quei tali
Tamicitia durafTe, anzi nata qualche guerra, ò nimicitia, du^jitafTe che ne ne
fu(Te per uenire danno deU r uno, ài deir altro: CC (e poi tu, concedendo i un,
che non t'ama, quello che più d'ogni altra Éofa apprezi,ne uenifli per quello
non poco ofss fefo,fiC faccfTì non piccola perdita, facendo cofa grata à chi
poco, ò niente ti appreza, ti dico che per quefta cagione barai maggiormente da
te^s mere GL’AMANTI per ciò che molte cofe fon quel le, che gli offendono, CC
fenipre penfano che ciò the fi fa, per danno loro fia fatto» Et per quefto
uietano à gli amanti loro il conuerfare tra gli aU fri, temendo fempre che quel
l'i, che di loro più ricchi fono, non li fuperino de benefici!, ò uero che gli
huomini dotti non li uincano di fape: re. Et in fomma fe perfona conofcono. che
in fc babbi cofa alcuna di buono, quàto più poffono, fi sforzano da coftui rimuouere
gli amici, flC cofi perfuadendoli, che da fimil pratiche fi guardi^ no. no,à
poco à poco li prfuanó di tutti gli amfciv^ ^ Hora le tu penlerai bene à te, «
a quelJo,chc>i fi conuiene,flC Te farai miglior deliberafione di loro, non
fi appiglierai al parer loro, ma te ne difcofterai quanto potrai. AlT incontro
coloro^ che del tuo amore non fon preri,ma fanno quei le cofe,che ueggonoefTer
conuenienti,& fi fcr^ uono ne i bifogni,folo per operare uirtuofameij
te,(5f efortati à ciò da una mrtù,a: bontà d'ani:? mo, non ti haranno
inuidia,fe ti ucdranno prassticar con altrui, ma piu tofto quelli harani>ojp
odio, che à te non fi uor ranno accoftare,penfando (come è uero ) che coftoro
li fprczino,£Ì gli amici ti giuouino,à; aiutino: flC per qucftp^ molto maggiore
fperanzafi dee hauerc,che da quefta praticane uengano amicitic,che inimù
citie.Aqueftecofe fi può aggiugnere,che la maggior parte de gli aitanti, prima
defiderano pofrcdere,flC godere il corpo dell amato.che hab biano conofciuti li
coftumi fuoi,ò l'altre cofe che debbono in un'amato ritrouarfi. Et di quì
uiene.che fi dubita,fe latiatala uoglia loro,dei bano nella amicitia
perleuerare. Ma traquelli^^ che non amano, li quali efTcndo per T addietro
flati amici, non laceuano quelle fimihcofe in bf neficio dell' amico, per che
eglino fuffero trop:? po afFcttionatl urrfo Ai hì^t cofa ragicneuolc, che l
amieitia fia minore: ima bifogna ben cons; fefEire,chc i beneficii, che
Tannargli facciano, accio che per quel mezo habbiano à efier iicor:s ciati
daqnelli,che dopo loro iierranno,doue gli amanti ad altro, che al prefente, no
attendono. ©Ifra di quefto(credi à nfie)diuenterai affai nusj gliore,fc
afcolterai un che non ti ama, che fe à un amante prederai le orecchie: per ciò
che gli amanti con lodi infinite inalzano oltra modo tutte le cofe,che fu fai,
odici: parte per che te:J tnono,fecendo altrimenti di non ti offendere: parte
per che dallo ardente defiderio loroacce:^ catione! giudicare fi ingannano: per
ciò che la^ more fa, che coloro, che ne i cafi d'amore poco fortunati Ci
ritruouano, fono sforzati à giudicare quelle cofe trjfte.ft infelici, chea gli
altri non darebbono moleflia alcuna ^ Et per il contrario quelli^che hanno
buona fortuna^flf che dtll'as worlofo fi godono, a mal ior grado fonconrx dotti
a lodar quelle co(è, come fauoieuoli.fiC gioconde, che non meritano, ne poffono
fare ftar contento huomo alcuno: ££ però più toflo farebbe di b/fogno di quelli
tali hauer compaf? fione. che fegui tarli. Hora fe tu uorrai credere. alle ter
alle mie parole, io primieramente uoglio effe* tuo amico,ac darti apprcfro,non
per il piac^re^t che di te al prefente potrei haiiere, ma per la utf lifà,che
la mia amicitja per Io auuenire ti potrà dare. Et non farò quefto, legato,
òuinto.ò fog^ gietto all' amore, ma uorrò effer patrone di mcs ftefTo: a non
douerai temere, che io per cagiost ne alcuna, ben che leggiera, habbia fra noi
à (xt nafcerc grauiffime nimicifie,anzi fc pure alle- uolfe mi altererò
alquanto, non lo farò fenza grandiflìma cagione. Et non di menoqnclli er:s rori
che inauuertentemente mi uetran fatti, al fine liconofcerò: ft quelh,nelii
quali uolontariamente incorrerò, mi sforzerò emendare, AC»- fchifare.flCquefli
fono ucri fegni d'unaami^ dtia,che habbia lungamente à durare. Etfe for fé tu
pcnfi,che non pofla truouarfi una ueia^CC ' durabile amfcitia,fe dall'amore non
è cagtona^. fa, debbi confiderare,che per quefta medefinia cagione noi non
appiezeremo gli figliuoli, ne ameremo li padri, ne terremo cari, flC fedeli
co:s, loro.che per buoni ufficii,a: beneficii fattici, d fuffero diuentati
amici, fe da quefto ardore amo rofo non haueflcro hauto principio Potrecs ftr
dirmi. Si dee fempre fare bene à queU li huomini^ che ne hanno più di bifogno;
ft però è cofa conucnientc.non cercar di giouars rcàglihuonnini,chepcr fe
fteflì hanno, mai quelli, che fono più bifognofi: per ciò che co:^ ftoro^fe da
me ne i maggior bifogni loro farani; no aiutati, mi renderanno Tempre infinite
gra:^ tie. Aqueftofi rifpondo che fe ciò fuffe uero, nelle fpefe che
priuatamcte facciamo,fiC ne i do ©eftici conuiti, non haremo à inai tare gli
amis; Ci.ma più torto gli affamati, fiC li mendichi: per che coftoro molto più
apprezeranno un tal bcis,neficio,ti feguiteranno,ti corteggieranno, ti fanno
fefl:a,ti ringratieranno infinitamente, fiC pregherano iddio per te. Onde tu
puoi uedere, che fi conuiene non compiacere à i bifognofi principalmente, ma fi
bene à quelli, che ti pof:^ fono riftorare. Et per quefto non à GL’AMANTI comeà
bifognofi, ma à quelli, che mentano, debbi far piacere: & non debbi
fodisfare à quei lische della tua belleza fi delettano,maà queU lische anchora
quando farai uccchio,ti fono per dare utile: ft non debbi giouare à quelli, i
quali hauendo il defideno loro adempiuto, fcoperta^: mente fe ne uanteranno^ ma
a quelli, che uer:^ gognofi taceranno. Et non debbi far cofa gra^s ta à coloro,
che per ifpafio di breue tempo ti ho BorerAoao.ma a quelli^che tutto il tempo
dell* uifa tua ugualmente ti ameranno: 6C non debb accarezare coloro,! quali,
fpeto l'ardore del loro sfrenato defiderio, cercherano Tempre cagioni di far
nafcere nimicitie^ma quelli,! quali (anchora che la belleza manchi ) Tempre
moftrano la fcrj: meza^flCla conftantialoro. Ricorderatì aduns: que di quelle
cofe, che io ti ho dette, flC penfej: rai che gli amanti fono da i loro amici
riprefi,fiC accufati,per chc.ramoreècofa brutta, OC inde^ gna,ma nenuno
uitupera,ò biafima quelle, che non ama, dicendogli, che egli fi gouerni male,
come fi può dire à gl'amanti. Foife mi domane: derai.fe io fi uoglioconfegliare.che
tu debbia ubidire à tutti quelli, che non tramano. Al che io ti rifpondo,di nò:
perciò che io focerto^chc iimilmentc UN TUO AMANTE con ti comandereb be.chc tu
à un medefimo modo amafli tutti quelli che ti amanorper ciò che quelli, che han
no da hauere gli benefici! da te, non meritano tutti ugualmete.nc à te farebbe
cofa facile coms: piacere à tutti, fe uolefll che uno non s'accorgef fi
dell'altro;&bifogna che di quefto feruirc nonne uenga danno alcuno, ma fi
bene/che r uno a l'altro ne cauì qualche utilità. Hora io penfo hauer detto à
baftanza: fe à te pare, che io ci debbi aggiugnere qualche coU,Aor.uujgi da,ch^
io ti fodisfarò. Cloe ti pare di quefla Ora fione Socrate r' Non é ella fiC
nelle altre cofe,& nelle parole comporta mirabilmen ter SOCR. Ella è tanto
maravigliosa, che mi ha fatto ft(i:s pire,fif tutto, per tua cagione Fedro mio,
mi (os no fentito commouere, mentre che io guardauj gli attrae i gefti,chc nel
leggere quefta Oratio: ne faceui. Et però penfando che tu meglio, che io,
conofca^flC intenda fimili cofe,ho hautoad ufcir di me per troppa allegreza
infieme con tes: co^ FED. Inqueftomodo mi uuoi burss lare? S O C R. Adunque
parti, che io ti burhf' Non penfi tu,ch'io dica da aero/ FED., Non certo: Ma
dimmi un poco per tua fe^penss fi tn,che altro Greco intorno à fimil materia po
fede dire più cofe,« pia d9ttes* SOCR, Pen fiamonoi.chcfia da effer lodato uno
Scrittore folamente per che gh babbi detto quelle cofe, che fono ftate
necefTarier'òpure diremo, che meriti lode, per che egli babbia tutte le fue
paroledifpcfl:e,£(ordniate chiaramente, numeroiamen te, a elcgantementes' Se à
te pare, che bifogni lodare Lifia per la inuentione, IO per farti piacere, tei
concederò ma io per la mia fciocche^: za,(S(ignorantia,non Tho in luì
conofciuta.pcr ciò che folamente ho attefo alla eloquentia dei pariate: al che
poter perfettamente fare, io non penfo che Ljfia fteffo hc'^bbia penfato d'
efier fla fo bafteuole. Et cerfainenfe à irìeè parfo(fé già '^tu non uolefh
dire il contrario) che egli habbia leph'cato dne,flC tre uolte le medefime
cofe.co^ me fe gli fufTe fnacata copta di faper dire diuerfe cofe fopra una
mcdefima materia.ò uero uoglia^ 'imo dire, che egli no babbi hauto Ibcchio à
quc fto. A me certo, fe tu uuoi,cheio ti dica la mia cpintone,è parfo che egli
habbia uolufo parere •^di faper moftrare elegantemente in ogni modo, *cKe à lui
pareua quella cofa,che fi metteua à dl^ chiarare, dicendola bora in uno,&
hora in un' al tro modo. FED. Socrate tu no dici niente: per ciò che quella
Oratione ha in fe quefto,chc neffuna cofa ha lafciato in dietro di quelle, che
intorno à tal fuggietto accomodar fi poteuano: "onde io giudico, che
neffuno poffa di quefto me defimo più cofe dire.tt phi uerifimili di quelle,
che egli ha dette. SOCR. Quefta cofa non 'fi poffo io hormai più concedere, per
ciò che gì' huomini raui,chc ne tempi paffafi furono, flC le donne, che di
queflo hanno parfato.ficfcritto mi riprenderebbono,* mi arguirebbono con:?
1ra,fe io per la tua fodisfàttionc tei concedeffi ^ FED. Chi fono eglino quefti
huomini, flC qiicftc donne Et douchai tu udite migliori cofc diqueftes' SOCR.
Al prcfente io non me ne ricordo cofi bene, ma fappia cerfo,che io non fo in
che luogo ho letto,flC udito quel, che io ti dico, & potrebbe efTere.che
fufTe ò nelle opere della^èlla Saffo. buero ne libri del fa:5 aio Anacreonte,ò
uero d'altri Scrittori: fiC faps; pi, che non per altra cagione fo ioquefta
coniet 4ura,cheper fentirmi pieno d'altri argomenti non forfè peggiori de
fuoi,che intorno à ciò fi potrebbonp addurre, Et per che io conofco be^ ni/Timo
la mia ignoranza, fiC confcfTo che io non fo cofa alcuna, fenon per hauerla
ueduta in aU tri^fiCnonperhauerla imparata da me, hi fogna che io confeffi di
hauere attinte quefte cofe daU le fonti d'altrui à guifa di un uafo: ma per U
piia rQizeza,mi fono fcordato da chi io le habbù.iaiparate,flCinche modo. FED.
O Socrate da bene, tu fai bene à dir cofi.ne uoglio che tu,dica anchor che io
te'l.comanda(ri. dachi,fi(eoa?.me babbi quefte cofe apprefe: ma uaglio benc^
che tu mi moftri (come confeffi di poter fare.).quelle ragioni, che dici, che
fai più efficaci, OC più dì quelle che Lifia intorno a ciò fcriffe.ll che fe
farai, non dicendo le cofe, che diffe Lifu^ ti prometto confegrare in Delfo una
ftatuadcl mcdefimo pefo,chc fci tu j1 che fcgliono fare i none noftri
Magiflrati, come fai» SOCR* Tu mi uuoi Fedro caro un gran bene,& fei uc^^
ramente d'oro,fe tupenfi che io poffa dirti, che Lifia habbia errato, ftche fi
pofTano fcriuerc cofe migliori di quelle, che egli ha fcritto. Io uo glio che
tu fappia,che io non direi, che ciò po:5 tefTe accadere à un uiliflTimo
Scrittore, non che i lui. Ma per dirti anchora quelle cofe,che io fo, non già
per riprendere lui, primieramente parlando folo di quello. che fi appartiene à
quc ftonoftro ragionamento, penfi tu che colui, che uorra prouarc.che fi habbia
più tofto à fare pia:^ cere à chi non ama, che à chi ama.fe prima^nbh
prouerà,chechi non ama,fia fauio,flf pruden:? te,ft l'amante infano, flC fe
quello non loderà, flC queflo non biafimerà (le Squali cofe fenza dù bio
alcuno, ne uengono di neceffità ) poffi nel proceder fuo dir cofa alcuna, che
alle prime fia corrifpondente (Non di meno io giudico, che quefte fimili cofe,
che di neceflìtà ne fegucno, fi habbiano à rimettere nella uolòta de gli Scrit
tori,ficfe non le dicono, gli fi pofTa perdonare: per ciò che di queftj tali
non fi dee lodare la in:^ uentione,man bene la difpofitfone.Ma di quel le
cofe,che neceffanamente non fi concedono, flCcIie difficilmente
firitruouano,non foìo pèfì55 fo io, che fi babbi à lodare la difpofitione niala
muentione anchora. FED. Ti concedo che fu uero quello, che tu dici: per che mi
pare, che tu habbia detto apprcfTo che bene, OC ioanchora intendo non indugiare
k fare quefto.che hai detto: « però ti concedo^che tu prefupponga, che un'
amante fia peggio trattato, che uno che Jima. Hora fe tu nelle altre cofe,che
dirai, mi fass rai fentire p/u dotte ragioni, flC più degne parole che egli nò
fece, ti prometto, che ti farò una ftass tua d'oro nella Olimpia apprcfTo alle
ftatue de gli fucceffori diCipfelo. SOCR. Tu liai Fedro forfè hauto per male,
eh' io habbia ripres: fo un'huomo tantoàtecaro,ma io mi burlaua teco. E penfi
forfè tu, che io fia per pigliare(la:i fciamo andar le baic)un imprefa di
hauere à di^ recofa alcuna più elegantemente di Iui,che.c fauifrimo, C£dottiffimor
FÈD. Tu fei ritornato Socrate mio in un medeftmo, dicendo que fte parole. Tu
hai da dire in ogni modo quel, che tu fai;ft eoe potrai: flcfopra tutto
auuertifct^ che in quefto noftro ragionamento non ci con:» uenga fare quel, che
fanno coloro, che recitano le Comedie.ciÒTè rifponderci troppo fpeiTo T un 1
altro; il che é.fccondo me.mokftjflimo. E non far fi, che io fja sforzato à
dire, come tiJ,pòco fi dicefti. Se ici no fapefli chi fufle Socrate, potrei
dire dj non conofcere anchora me ftefTotperchc certamente fo,che tu hai
defidcrio di fodisfarmi: ma tu uuoi fingere, che quefta cofa ti fia difficii
k,'Et per dirtela, finalmente tu hai da penfare, che tu non Tei per partirti di
qui ^ prima che tu non mi habbi dette tutte quelle cofe,che tu dirs ceui fapere
migliori di quelle, che hai udite: pei! ciò che tu uedi,che nei fiamo foli,(3C
in luogo re moto.fiC regreto,fiC io fon più giouane, (!f più ga gliardo di te.
Si che per quefte cofe tu puoi ìn^ tendere per difcrctione quel, che io uoglia
infes? rire: ne uoler più tofto hauere i ragionare sfor^> zatOjChe di tua
uolontà.. SOCR. Io lo fo mal uolentieri.-perche io conorco,chc io farò degno
delTer beffato, fe io, che fon rozo flC fciòc co al poflibIle,uorrò coptcdere
con uno cofi per fetto Scrittore, flC fe io uorròalla fprouifta difpu tare di
quel mcdefimo,di che eglipenfafamentc ha ragionato. F E D, Sai tu f^gmc la co(a
ua^ Lafcia andar quefte cofe meco: per che io credo quafi hauer trouato una
uia,|) la quale io ti con durrò.flC sforzerò à dir quel, ch'io defidero, Soc.
Non mei dire di gratia. Fed.Come no mei diref anzi Io uoglio dire, io mi
uolterò alli giurameff^ poi che alfro non mi naie. Io ti giuro per qatW iddio
clie tu uuoi, flC anchora,fe ti pare, per quc fto Platano, che fe tu non dici
quel, che tu fai al la fua prefentia,fiC fotto quefta fua ombra, io da qui
innanzi non ti moftrerò.ne ti manifefterò mai più oratìone di perfona alcuna.
SOCR. OfceIerato,chehaitudettor'Ocomc bene hai ritrouato il modo di sforzare
un'huomo defide» rofo di udire orationi,come fono io,à fare queU lo,che ti
fuffe in piacere, FED. Hora fe tu ne fei, come dici,cori defiderofo,che indugi
tu più? S O C R. Io nonindugierò più lunga^ mente, poi che tu4iai fatto un
fimil giuramen:? to: per che come potrei io uiuere.fe io fuffe pri uo di cofi
dolce cibo? FED. Hor dì aduns: que. SOCR, Saituqucl, cheiouogliofa5: re? FED. Che
cofa t' SOCR. Io dirò quel,che io intendo dire, col uolto.fiCcol capo coperto,
per dire più pretto: per che fe io mirafs fi a te, farei impedito dalla
uergogna. FEDi Pur che tu dica, fa quello, che fi piace. SOCR; Hor fu dunque ò
Mufe dolci, il qual cognome ui fi dà perii modo del uóftro cantare, ò uero per la
dolceza della Mufica uoftra, la quale fi dolcemente fuona,fauoritc ui
prego,& aiutate quello mio ragionamento, il quale mi sforzai éitt quefto
huòino da bene: accio che poi che mi harà udito^giudichi anchora molto più pru^
dente il fuo caro amico Lina, che prima cefi uìó gli pareua* T V haicla fapere,chefik
già un fanciullo^anzi pure un giouane di gen:i tiliflìmoafpetto:coftui haueua
molti amanti^ tra li quali un'huomo certamente allato gli diede ad intendere,
che non Tamaua^nc per ciò punto meno de gli altri il fencua caro, fif gli uo
leuabenc.Hora auucnne.che un giorno egli lo pregò, che al fuo defideno
compiacer doucli fe,flC per impetrare quello, che egli domanda» ' ua,gliprouò
che maggiormente fi doueuafare cofa grata à colui, che non ama, che à COLUI CHE
AMA. Et per farglielo intendere, gliCi moflrò con quefte ragioni » In tutte le
còfe fall v^>^^> ciuUo mio à coloro, che confultar bene,ò difpuf-^'^-^\
tar uorranno,fa di bifogno hauere un folo.qjìj roedefimo principio, quale è il
conofcere,flC insK ^tendere che cofa fu quella, intorno alla quale fl'^;: o'
confulta, ce difputa: altrimenti è neceffario in tutto errare» E
fonomolti,chenonfi accorga:» no di non conofcere, ne fapcre la fuftantia della
cofa, della quale ragionano; fif cofi come fc egli» nolafapeffero^nel principio
della difputaloro ' altrimenti non la dichiarano: tal chenel lor pioi^ cedere
ne feguc,come è hccefTario che inferuerii: ga.che eglino dicano cofe fuor del
loro propos: fito^adagli altri male intefe. Adunque acciò che ne à me, ne à tc
interiienga quei, che in al:: ^rui biaCimiamo,pofcia che egli è hora
differctiìi tra noi, Te fi dee più tofto pigliare Tamicitiadi colui, che non
ama, che di colui, che ama, farà buono che uediamo, che cofa fia amore, &
che forza egli habbia, dandogli qualche difFinifio^ ne, alla quale l'uno, fif l
altro di noi acconfenta» tt cofi dipoi, hauendo fcmpre 1 occhio, flC ogni.
fìoftio argomento drizandoà quella dijffinitio:: ne, confideraremo fé egli
dannoso utile near^ reca. E adunque ccfa manifefta a ciafcuno, CHE L’AMORE
ALTRO NON È, CHE UN CERTO DESIDERIO. Sappiamo anchora che fimilmente queni che
non ainano, hanno queflo defiderio di cofe belle, fiC buone. Per intendere
aduBque in che fia diffe^ rente l'amante da quel, che non ama, tu dei fa:5
pere, che in ogni perfona fono due idee, le quali ci fignoreggiano, ó: doue più
li piacerci uolta^ no Je quali noi fumo à feguitare sforzati ouunis que elle ci
conducono. Vna delle quali infiemc con noi è nata.fiCqucftaè j1 defiderio de i
piacer ri, L altra T-habbiamodopo il nafcimento noftro acquiftata; fiC quella è
quella opinionc,che ne gli ììiiomfni (5el fonimo Wne fi ut je,per fa qn* ic
tanto afìetfuofamc'jntc lò defider/arho. Qaeftft: alle uoltefono in noi fra
loro amiche, alle uoltèi' in difcordia fi truouano, & bora quefla uince^
feor fupera quella Quando adunque quella opf fìione del fortìmo bene, cÌ>e
difopra hò detto^ dalla ragione guidafa,à qrfel'lo ciie è nero b^nc^; •ci
conduce, uincendo il defideriode i.piacen\ quefto'nTodo di uiirere fi domanda
femperanfiaS ma quando quello sfrenato defiderio, lontano al tutto dalla
ragione, ci fpingc.flf sforza à feguià tare ipiaceri,& amai grado noftro fi
fa di nof ^padrone, quello fuo imperio fi domanda libidi^si w: ài efTcndo h
libidine di moìu fòrti, £(ha^j uendo molte parti, anchorà è nominata in molss
li modi. Et di quelle molte forti di libidine, chfi io dico, quella cbe più
ch'altra T alc'unb fi ritrud ua,dj à colui quel nome,col quale ella é chiais
mata me può à coloro, li quali ella fignoregà già, nome alcun dare bonefto,ò
buono- per chè quel defiderio, che intorno alli cibi uince &Ia ragione, fiC
ogni altra uoglia,fi domanda golo^s fità: 8C colui;che ha in fe quefto alt pigi
ian:^ do il.nome medcfimo, fi chiama golo(o, Anà chora quel deficlcno, che
intorno al bere,d'ù'à no fi impadronifcc^è co(a chiara, flC maiiifefta^donic fi
douerà chiamare, fiC anchora che nome liauerà colui, che da tal noglia fi
lafcerà uincere: àfimilmentc pofTono cfTer chiarina manifefti. ì nomtde gli
altri defiderii congiunti à quefti. Hora io penfo,che quafi fia
fcoperto.perqual ca gionc 10 ti habbia dette quefte cofc, ma uoglio io tacerlo.
òuoglio dirlo.'' Io lo dirò pure, per elle più fi intende una cofa à dirla, che
à non dirla. Et pero dicp,che quel defiderio priuo di ragione, il qual
fupera,&: uince quella opinion: ne, che è Tempre al giufto,fiC all' honefto
indirirs zata,a ci rapifce à cercare il piacer della belles: za, quindi col
moftrarci quei diletti, che dalìa bellezadiun corpo fi cauano, pigliando non
piccole forze. fiC rinfrancandofi, ci uincealtutrs to>flC ^^^p^t^aquel
defiderio, dico é detto ^§cù9» ciòèamore,daf 6J/^K?,che uuol dire gagliardia.
Parti egli, tedio mio caro,comc ì me, eh' io habbia détto diuinamente T FED »
Certamente ò Socrate che fuor del tuo folito,ti fei non fo co:5 me più
ampiamente allargato. SOCR. Taci adunque,^ odimi; per ciò che qucfto luogo è
certamente diuino,flC pero non ti marauigliare, fe nel parlare farò dalle Ninfe
di quefto luogo iafpirato à dire cofe diuinc: fif tu puoi hauer co
fiofciuto,chequci]o,che iopocofa,diceua,non fono Tono (late molto difllmili da
i uerfi Ditirambi ' che fogliono dire le facerdoti di Bacco all'horaj^, che dal
loro iddio fono ripiene di diuinità. FED. Tudiciiluero. SOCR. Di que? (le cofe
ne fei cagion tu fenza dubio alcunormk odi quelle cofe, che reftano, accio che
io non nji fcordi di quello, che hora me fouuenuto,al che fo certo io che iddio
mi aiuterà, ft no mi ufciran no di mente. Et pero ritorniamo, feguitando il
ragionamcto noftro,al fanciullo,col quale. diao zi parlaua.Hora fanciullo mio,
noi habbiamo detto flC dichiarato che cofa fia quella, della quacs le noi
ragioniamo. Adunque hauendo feraprc- I occhio à quefto confideriamo.lora quel,
che nercftaà dire,flCquefto è,Chegiouamento,Ó: che danno fia per uenirc per
cagion di un aman te,ò di un che non ami,à colui, che gli ubidirà. E adunque
neceffario.chc un' huomo uinto dal la libidine, Sedato alli piaceri, cerchi
femprc con ogni fuo sforzo, che ramato più che altra cofa,gli babbi da piacere.
Sai àhchora che ad uno che é infermo,gli piacciono, flC gli fon gra^ te tutte
quelle cofe, che alla uolontà fua non repugnano, f5C quelle gli fonomo(efte,fi£
difpia^ ceuoli^che fono di lui migliori, ò feno migliori, ugualmente buone /£t
pero efTendo T amante \t)fcmo,fìon potrà mai pafifc,clìe uno amato jpaà lui
uguale, ò da pia, anzi cercherà femprc- ^^uanto potrà, fìflo da manco di lui.a
più bifors ' ^^nofo. Et per che tu fai, che un ignorante è d:a^ manco che un
dct(o,8C d'un forte un'timìdo,* 'id'un oratore,© olequente uno inelegante. fi(po^
co atto adire, d'uno acuto, «uiuo ingegna kinofcmplice,er fcioccho.fe qaefti,»:
molti ali. |ri mancamenti dell' animose per natura conofcè; Ìitfóuar(ì,ò per
ufo in un'amato efTcr nati, ali Thora godeva fi rallegra lamantetS: non gli bi
ìftando quello, fi sforza anchor de gli altii pro^:^ cacciargliene; altrimenti
non gli pare poter ca^ Ilare dell'AMOR fuo piacer alcuno. E adunque-
HeccfTario, che un amante habbia Tempre inui* ^laall'amato & rimoucndolo da
ogni amicitia, ite da ogni efercitio per il quale "pò te (Te diuenà tare
eccellente, bifogna che grandemente glii inuoca; a k non gli nocelle per altro,
per quei, fio al meno gli è dannofc,che lo prfua di queli |a co6, che ne fa
prudentflimr. Per cièche la di iiina fìlofofia è quella.per la quale ueniamo
pru^ "déntiffimi'dalla ì]*tiafc lamanfe e sforzato rfmua ll^rc quanto può
ì' amato, temendo Tempre di' •pon effcre'fprezato da lui, fé pm prudente chft;
V?li nQO è.diuentaiTe,.CC in fomnia fi sforza f?r« ogni cofa,'pèr la qaale egli
al fu((o ignorate dh uenga.&fimaraiiigli folo di quelle parti, che ramante
pofTiede. Qriando adunque farà tale la niato,airhora farà ali amante
carilIìmo,ma dans: nofiffimo a fe ftefTo: fiC cofi puoi uedere,che in torno à
quelle cofc,che al fapere fi appartengo:?. no,è lamicitia con un'amante nocina.
Debbia^ mo bora confiderare in che modo colui, che c sforzato à anteporre il
dilefteuole al buono, hab bia da hauer cura di quel corpo, che egli ama,ca fo
che a lui fuffe una tal cura commefTa. Certas: mente che egli defiderà che quel
corpo non fia fchietto, fiC duro, ma delicato. & molle, non nus:,
trito.aauuezo al Sole nelle fatiche, ma fottò - l'ombra nelle dchcateze. Vorrà
che fiaalleuato lontano da futri Ij pericoli, fatiche, che non habbia mai
prouato fudore,» lo farà uiuere con cibi feminili.ac delicati. Lo auezerà à
crnarfi di colorila fàccia,» di stranieri,fiC nuoui ucftimeti la perfona,» à
fimili altre cofe,le quali tutte eù fendo dishonefte,» brutte à raccontare pia
lun gamente,perpafrare ad altro le lafciercmo an:? dare. Vn corpo adunque fi
fattamente allcuato^ nelle guerre,» in ogni altra pericolofa necefll^
ta,incmicì ficuramente uincono; onde li faci AMICI,» gl’AMANTI hanno femprc più
paura, che à coftui qualche male n5 interuenga^che ad *ltri: ma
qiicftacofa.efTcndo per fc fteffa cliias ra.lapoflTiamolafciarc andare. Hora
habbiama da dire che dannoso che giouamcnto nelle co^ fesche di fuor
uengonojaamicitia.flC laguar^: dia D’UN AMANTE ci arrechi, Qnefto adunque è
chiaro à tutti, flC nnafiime à un amante, che egli ' defidera.che il fuo amato
fia priuato di tutte quelle cofe.che egli pofTjcdeJe quali amiciflì^
lfte»gratiffime,tì:peift:ttiffimegli fono: perciò che egli defidera, che gh
fieno tolti li parenti,, Ce gl’AMICI, penfan do che quelli gli dieno gran df
impedimento à goder la dolceza della ami^ citia dell'amato, Ol tra ciò
penfa,che un fanciul lo ricco dbro.o di qual fi uogli altra cofa,non poffi cofi
facilmente effere prefo d'amore: flC fe pure è prefo.uede che troppo lungamente
in quello amore non può durare. Et pero bifogna che un'amantecomejnuidiofo,fi
dolga della felicità dell' amato, flC fi rallegri della miferia del medefimo,
Defidera anchora,che lungo tempo uiua fenw moglie, fenza figliuoh\OC fenza
cala^ bramando goderfi quel pucere,che quando co:^ (Ifi ritruouano, foIamente
e/fj fentono. Sono ^^n(;hora molti altri mali in quefto amore, ma nel ia
maggior parte di quefti mali, come prima (i comincia i amar qualche fpirita
diuino,mefco5i. la fubifo un certo piacere, come ha fatto à uno adulatore, il
quale è certamente una dannofifljs: ma fiera, fiC una grandifljma calamità: non
di meno la natura ha mefcolato con quefta adulai tione un non foche di piacere
non al tutto da fprezare. Oltra di quefto farà alcuno, che biafi:s mera le
meretrici, come cofa noceuole^fiC altri fimili animali, ò uero fi fatti ftudi,
quali foglio:? no al prefente deiettarci, douc 1 amante non fo^ lamente è
noceuole^ma anchora nel praticarlo c moleftifTimo. Per ciò che tu fai, che il
prouerbio antico è. Che li pari facilmente con li pari s*a^ nifconorper ciò che
la ugualità dei tempo, della età di due(con ciòfiache per lalomiglian za de gli
anni conduca gh huomini à delet tarfi de i medefimi piacerijpartorifce
facilmente 1 amicitia.Ma ne gli amanti la età non pure non genera amicitia.ma
arreca un faftidio troppo grande: per che la neceflìtà in ogni cofa à cia^.
fcuno è mole{la,la quale più che ogni altra cofa è in uno amante uerfo T amato,
accompagnata dalla difTomiglianza de gli anni, Et che fia il uc ro,tu fai, che
amando una perfona attempata qualche giouane,mai ne il dì, ne la notte per fc
ftcffo da Uh partir fi uorrebbe,ma è coftretto dal la necefljtà.à; dalla
pafFionc amorofa^tt è fcm^prc dalle carcze de i piaceri allctfato lc quali nel
ucdcre, l'amato gufta, ft pruoua nell' udirlo, ne! toccarlo. fiC in fomma nel
goderlo con qual fi uogli fciitimento: tale che con grandifTimo fuo piacere
fempre fi ftudia compiacergli. Ma r amato da qual forte di piacere, ò da qual
follai zo potrà effer trattenuto, che in ogni modo egli non fu da grandilTima
molcftia oppreiTo. Eflcn do fempre sforzato mirare una feccia d' un huos ino di
tempo, flCbrutto.<5C molte altre cofe.che Don folo à colui fono molcfte.à
chi elle intera ncngono,maanchoraà chi l'ode.tiouatc folo per una certa
neceflità.che ha l'amante di farfi r amato bèneuolo: flC qucfto è l'effer
fempre disf lìgentemcnte guardato quanti pafll faccia, l'udì re ogn' hora
quelle faftidiofe lodi.tt quelle ima portune riprcnfioni, delle quali fempre
gl'aman* ti abbondano, flC con le quali ogni giorno li ma ' Iettano: le quali
cofe accafcandoà uno, che fia padron di fe.fono però intollerabili: ma à uno,
the è fuor di fe,come uno amante, non folo fos no intollerabili.ma anchora per
la troppa licerla tia,chefj pigliano di dire apertamente quel, che- gli' pare,
fono brutttffime. Oltra di quefto men» tre che uno ama, è fempre dannofo.flC
importa* no: ina quando poi ha l'aujor fine.diuenta perI auuenirc contra dj
quello poco fedele, quale.,.con molti giuramenti, flc preghi, & promcflc ^
pena potè condurre. che egli dalla fpeme di pre mioàciòperfuafo.fidifponcflj à
Apportare la moIeftafuaamicitia.Ai fine quandòpur glie concelTo ritornare in
fe.fi rifolucà pigliare un nuouo padrone,ac ubidire ad altro fignore: £C cofi
in uece dell'amore.a: della pazia.feguita lo intcllctto.a la ragione.* la
temperanza; onde ùtto un altro,cerca fempre dall' amato fuggire, <f
afcondcrfi. All'hora l'amato ricordandofi del le cofc die tra loro fi fono
dette flC fatte, de i dati beneficii la mercede domanda, penfando che la mate
habbia feco à ufar le mcdefime parole,chc prima ufaua. Ma l'uno per la ucrgogna
non artifce confe/Tare d'elTer mutato,ne fa tronarc in ' che modo egli
fodis6cci alli giuramenti, A pro:^ mefle,che mentre fotto la crudel fignoria
d'amo refi ffouaua.inconfideratamenfc fece: « teme, «flendo già diuentato
temperato. & nhidictc alli ragione, facendo le medefime cofe che prima.di
non diuétare il medefimo.che dianzi era. £t di qui nafce.che colui. che poco
fa. amaua, bora ua da fuggcndo.ac fchifando l'amato.ft mutatofi di fantafu.fi
allontani da lui.come fe un di coloro |u|fc,a cui il gittato uafo fw cafcato à
contrailo. tome ben fai.clic nel giuoco infcrutène, elici noftri fanciulli
foglion fare. L altro all'incontro è sforzato à feguifare T amante. flC
parendogli pur mal ageuclc cfler lafciato/j uolta al fine alle ma* le parole.
Ne ciò gli accade contra ragione.per ciò che nel principio quefto tale no
fapeuaquan tomai fi conuenifle, ce quanto poco lecito.» honefto fufTe à
un'amante far cofa grata. quale è di neceffità fuor di mente.» quanto ben fatto
fu (Te compiacere à un'huomo dall'amor libero, che fuor di fe non fi ritrouaffe.
Ne tonofccns dofimilmente.che fidandofi di un'amante.G fida d'un huomo fttano inuidiofo,
moleflo, dannofo.a inutile, prima alla roba. «poi ai corpo.ma molto più
noceuole alla fcientia dell'aoimo.della quale nefTuna cofa è certamente. pia
oenerabile a appreffo Dio,» apprelTo gii huomini. Qucfte cofe adunque douiamo
fans ciullo mio confiderare.CC oltra di quefto fi ha da luuertirc.chc
l'aroicitia d' uno amante da bene» uolcntia alcuna non nafce, ma da una certa
aui» diùdi faturfi.comc gli a ffamati: & però ben diffe colui in quelli
uet6, fe^omeillupo l'agnello. Cefi un giouin l' amante ardendo brama. Qiiefte
fono ò Fedro quelle cofc.che io h Uf ua promcffo narrarti: flC però non uoglio
pa bora dire altro, ma farò fine al mio ragionamens: to,anchòra che io penfaua
d efTer folamcff giun toalmezodcl mio parlare, flC ci reflaffe à dire
altrettanto di quelle, che non ama,&piouarc che più torto fi haiièffi ad
ubbidire i un tale: oltra di quefto penfaua hauere i raccontare di quanti beni,
flC di quante utilità uno, che non ama,fia ripieno, F E D, Perche adunque fi
reftii' SOCR. Non hai tu confiderato,chc io non fo più quei uerfi Ditirambi,
che dianzi m'ufciuano di bocca, quantuque il mio ragiona:? meto fin qui fia
flato nel uituperarei* Hoia le io feguitado uolefli lodare quel, che n6ama, quan
tohobiafimato l'amante, che penfi turche io dice/Iìf' Non ti accorgi tu, che io
fono aiutato,, flC ripieno di fpirito dalle Ninfe di quefto iuos^ go,fiCper
tuagratia,fiC per aiuto diurno l'Per la qualcofaio concluderò breuemente,che
tanti beni fono in quello, che non ama, quanti mali ti ho moftrato truouarfi in
un'amante; ft però iion ci bifogna far più lungo ragionamento, ha:? uendo già
dell' uno, fiC deiTaltrò a bailaiiza ra^ gionato. Et pare à me, che la noftra
fauola hab^ bla hauto quel fine, che era conuenientc & pcs "
ròpaffando d fiunic^mi uoglio partire, prima D i i i the fu mi %(orz\ atìirc
quatcKc altra cofa piuvfm portante, FED. Non ti partire anchora So^ crate,
prima che il caldo non fe ne uada:n6 uedi tu,chehoraè à punto il mezo giorno,
nel qual tempo è il caldo grandiflimoi^Et peròafpettani: <Joqui^ 6C
ragionando infieme delle cofe, che habbiamo dette, come prima il caldo farà
mcinrs cato, ci partiremo. SOCR. Certamente Fe^ dro, che nelle tue parole tu
(ci diuino,fiC uerais mente mirabile: flC però io penfo certo^che dcU
JeOrationi.qualialtuoìtempo fonoftafe fatte, nefTuno ne habbia dato più
cagione, che tu,flC neiTuno altro à più Thabbi potuto pcrfuadere.ò aero
conletue efoifationii quello conducenrs |Cloli,ò uero in qualche altro modo sforzandoli.
Et certamente m quefto(cauatonc SimiaTebac no)tu auanzi tutti gli altrirJC bora
'fecondo me) tu folo fei (lato cagione, che io habbia à dire di nuouo,non fo
checofe,che nella mente mi fo^ no fopraggiunte. Il che facendo tu, pollo dire,
che tu mi facci una guerra. FED. Etinche modo ti fo io guerra flC che cofe fon
quefte.chc tu mi uuoi.dire. SOCR. In quel, che io uo leua paffare il fiume,
quel mio fpìnto fohto,chc tu faì,paiuc che mi faccffe lufato cenno: il che ogni
uol tacche mi accade^ nò è uietato fare quel lo.cJic fogia farpeniaua,Quindi mi
paruc udi:^ re una uocejaquafe mi liietana il partire. prima che io non lùuefTe
placato gli dei,cofl:ie fe con^: fradiIoroIiaueflìconiiiìe(To qualche errore.
Io adunque fono fcnza dubio hoggi indouino, fiC flC fe io non fono cofi de
buoni, fono al meno di forte^che forfè à me farà affai, come battano, anchora
le poche lettere a coloro, che male le hanno apprefe, Lt però Fedro mio, hormai
ip chiammente concfco il mio fallo: per ciò che c,mi pare hauer neiranimo un no
fo che, che mi indouini r erfor,che,^ ho fatto. Et quefta cofa dianzi,mentre
che ioragionaua,mi turbò tnt^ to: per il che io cominciai in un certo modo à
temere di non acquiftarmi gloria apprefFo gli huomini del mcndo^all'hora che io
contra gli iddìi grauemente erraua (fecondo che già dilTe Ibico nella fua opera
)flc bora al fine conofco, come t'ho detto T error mjp. FED, Qnale er^ rorc è
quefto/ SOCR, Ò Fedro.un trillo ragionamento.un tritio ragionamento edro hai
hoggi mcfTo in carapo.fic sforzatomi i ragiona|C ne. FED. In che modqj' SOCR. E
(lata cofa ftoIta.dC empia, della quale che fi può egli più tpfto.a: noccuolc ritrouarcs'
FED. N is cnte.fc tu dici iJ uero. SOCR. Ohimè, non fai tu quel, che fia amore
i Non è egli fi^ gliuolodi Venerei Non penfi tu,che^gli fu uno iddio 1 FED.
Cofi fi tiene per certo. SOCR. Et non di meno Lifia non ha detto.quefto^nc
manco il tuo ragionamento, il quale non io, ma tu hai fatto: per ciò che tu me
T hai à forza canato di bocca, come per incanto, Hora fc [amore è Dio, come e
certamente, ò uero qual che cofa diuina.non può efler cattiuo,& non di meno
noi habbiamo parlato di lui, come fe fuÉ: fe cattiuo. In quefta cofa adunque habbiamo
peccato contra amore. Et certamente quefte no ftre qùeflioni fono moho fuor di
propofito,an^ chora che forfè paiano piaceuoli: le quali non ritenendo in fe
cofa alcuna di fincero,ò di uero, nondi meno fc per cafo faranno approuate da
qualche huomiciuolo di poco fapere, quelli, che le fanno, fe ne gloriano, come
fe fulTero di granrs de importanza. Hcraàme fa di bifcgno per quefto errore,
placare gli iddii: & hai da fapere che a quelli, che nel ragionare, ò nello
fcriuerc errano,è ordinato un certo modo di placare gli iddii antico, il quale
Homeronon feppe cono^ fcert.mafi bene Steficoro: per ciò che efTendo (lato
priuato de gli occhi, per che haueua uituis perata Helena, conobbe come huomo
amico del le Mufe.pfrqual cagione cieco fu/Te diuentafo, il che non fece Homero;
per il che fubito fece quei uerfi,>^Non fu uer quel parlarne in l'alfe naui
Fuggendo, andafle alle troiane mura. Et cofi fatto un'altro poema di nuouo al
conai trario di quello, che prima comporto haueua,fu bitoglifurendutoil
uedere.Ma io in quefto farò più fauio d'ambe due loro, per ciò che innanzi che
male alcuno mi interuenga per il hh fimo, che all'amore ho dato, mi sforzerò
dire il contrario di quello, che tu hai udito r il che facendo mi uogli
fcoprire il capo, flC non uoglio tenerlo per uergogna afcofo,come ho fatto nel
mio primo ragionamento. FED. Tu non mi puoi fare ò Socrate il maggior piacer di
ques fto. SOCR. Telcredo, perchetu tidebbi ricordare con quanta poca uergogna
habbiamo letto quelle cofe.che il libretto di Lifu contess "^Tieua,fiC
quanto anchora fciocchamente io hab^ bia ragionato di amore. Per che fe qualche
huo mo di generofo animo, modello, che al pre:s fente ama(Te qualche fuo
uguale, ò uero per lo addietro l'hauede amato, ci haueffe fentito dire, che gli
amanti fanno per Iteui cagioni nafcerc grandiiTime nimicitie^flc che fono
huomini in^ niàìofi^a noccuolia gli amati, certo clic egli harebbc pcnfato
udire tanti huomini auuezi fo Io,flCalIeuati dentro alle naui,liquali nonco:s
nobbero mai un uero,fiC gentile ancore: CC unaperfonafauia non ci concederà in
modo alcuno, che quelle cofe fieno Licre, che in biafmio d'sts: more habbiamo
ritrouate. FED. Certo che,io crcdo^chc tu dicail ueio per mia fe. SOCR. Et però
temendo, che qualche huomo cofi fat^i lo, non rhabbia à fapcre, fichauendo
anchorz paura d' amore, defidero lauare^fli nettarela mea tc.ÓL le orecchie
noftrc di quello amaro, flC no^, ceuole ragionamento, cbe habbiamo fatto, con
qualche altro più foaue parlare, & al gufto no:2 ^ftro più giocondo. Lo fo
anchora pergiouare à lifia,perfuadèdogli che cglifubito debbia fcri:^ ucre.che
più toftofi habbia da fodisfarc à unoamante,che à uno che non ama, quando
l'amor re è tra li fimili. FED. Sappi certo, che egli lo farà, per ciò che
dipoi che ti barò fenti to lo;:.dare l'amante, farà necefrario,che io lo sforzi
à criuereanch egliii medefimo. SOCR. So certo, che ti uerrà 6tto fin che
durerai dVfferc co mefei alprefente, FED. Hor dì adunque arditamente. SOCR. Hor
fu; douc è egli quel fanciullo, col quale dianzi ragionaua,ac:s ito clic egh
oofi ancìiora cfue^o mio nuouo pire lare, che fe forfè non infendelTe altro cIa
me^ cercarcbbe anch' egli lemerariamente fare pia:: éere a.chi non Tama, FED.
QLieftofaticiulis lohauendotelo finto,tì è femprcappreflo: gni uolti^che
louuoif SOGR. Fa aduns: quc conto fanciullo mio gentilesche il mio pr^ mo
ragionamento Cu flato detto dà Fedro Mirjs rinefe,figh(ioIo di Pitoclc,ÒC
queflo che hora di ro^da Steficoro.figkuolo di Eufemio,fauomo degno d' eiTere
daciaiciino amato.il qual ragio namcnto in quefto modo cominceifemo. Quel
ragionamento non è uero,ìneI ^uale fi è detto, che per edere l'anì^inte pieno
di fiiWc^À quello, che non ama da tal furore lifae^s ro,fi debba mjggriormente
fare cofa grata m pri feotia d^i un'amante, à chi non ama, che per iì contrario:
per ciò che fe fuflè in tutto uero^che il furoretuifecattiuo,haremo per certo
ragioncj» uolmente parlato. Ma io ti uoglio dife,,ch^mol tì.ac grandiffimi beni
ci intcraengonoper mcjs zo del furore, concefTo certamente folo iptxbt^
neficiodiuino.Etchcfia il uero^ucdiche pri-? ma quella Sacerdote, che in Delfo
predice il futuro, fiC qudla altra apprefTo Gioae Dodosc nco. fono
cefliflimamente ripiène di furóre^non di meno hanno Tempre date molte, C(gran
diflimc commodità i gli huomini di Grecia flC priuataniente, flf publicamcnte:
ma mentre che da tal furore fon libererei fanno o poco, ouero nefTuno
giouamento. Et fc io uoleflì horara^s gionare delle Sibille, &dituttiquegli
altri^chc hanno per uirtù diuina indouinato il futuro, flC feiotiuolefli dire
cjuanfo eglino predicendo molte cofe da uenirc,habbino giouafo, troppo farei
nel mio parlare lungo, ol tra che io direi co fa chiara à ciafcuno. Non di meno
par cofagiu^ (la dimofl:rare,che li noftri antichi, li quali pos: fcròi nomi
alle cofc.uiddero.fif conobbero, che il furore non era cofa brutta, o
uituperofa che fc gli haue(Tero altrimenti penfato,non harebbo:^ ^ noqucfta
arte perfettiflima^con la quale il fu:s turo fi conofce, chiamata ^àyiKHv » che
tanto uuol dire, quanto furore diurno: per eie che il furore uiene à gli
huomini peruolontà diuina, & pero parendo k coftoro,chc fufle come è quers.
fto furore, un gran bene,à quefta fi honcfta arte uolfero mettere un fi
honorato norhe. Ma hogs gi quefti pia moderni interponendo i quella uoce un
poco confideratamentc hanno qn erto furore chiamato fuy-v7JH«f, che uuot ^ire
arte di ifadouinare.d: non furore. Et hai da fapcrc,chc il modo dello
indoufnarc il /ufuro^' che hanno gli huomini priui di quel furore dis aino,pcr
uiadegh uccelh^flf delle conietturc, parendo à efli,chc procedere da difcorfo
huma^ nojl domandarono oÌovohsìkh: ma quelli, che fon uenuti dipoi, mutando Io
piccolo nel Io6)grande,]' hanno con più honefta uocc chiamato oiqvisihm Et pero
quanto è più perfetto,a: più nobile lo indouinare per uirtù dinina,chc per
coieffure,flC per uccelli, tt qiun fo il nome diuino,chc è /xocvmK?, c più de^
gnocheThumano^cheè fMy^Kug, ftpiuun opera, che l'altra perfetta, tanto i noftri
antichi hanno detto, che il furore, che uiene dal ciclopc più degno, che la
prudentia^flC l'arte humana. Tu debhi purfapere,che già per riparare alle
grandi infirmiti. che ueniuano,flC per liberarci da qualche auuerfità troppo
grande, che alle uolte per gli antichi errori li popoli minacciai uano,ueniua à
una certaforted'huominique^ (lo furore diuino non fo donde. Et da
quellconfigliati,queirimedii ritrouauano,che erano alla falute loro
neceffarii^facendoli quel furore ricorrere alli uoti.& alli preghi, al
raccoman^ darfi à Dio: per quefla uia impetrando mife^ f icordia/i rendeuano da
ogni infirmità.dCpe^ rìccio fahii CT per quel te nripo,* pcrquc1To,chc haueua
da uenifc: K cofi acquiftauano.fiC rice:^ iieuancpfrmczodi qucfto furore dal'
cielo la sflblutione del II errori loro, pur che di furore de gno,&: buono
fuffeflo ripieni. Il terzo furore è quello,che uien? dalie Mufe, il quale
rapifcc.J'i^nima altrui, anchor dafimile forza non più of fefa,a cefi la
fjfiieglia.flC k infpira. Per il che è per uu di cantico facccdo qualche t^pbile
poe fia, ornando con Ufuoi numeri, fiffcriucndouirs finiti ùtti òc gli antichi,
per tal uiainfegnaà colorii, che dopo Ihì uerranno. #Jf quello, che fenzail
furc^l delle Muk ha ardire di accoftarfi pure alla porta delb poefia,fidajndofi
per quaU che fuaingfgnofà arte haiieicà diuentar buoi^ poeta^ti d'jco,che
qiicfto tale 4 fine farà tenu:^ to fciocco: a lapoefia di un'hUdmoda que:s
furore hbero, «i^fce finalmente uana, fit, fenza fugo alcuno, i couipararione
d/ quella^ che da un' huorao funofo è ritruouata. Tut:^ quefli, a molti altri'
nobilj/Timi effetti del. furor djuifìo tipofloio raccontare: per la qual cofà
noi non hsbbiamo hoimai più da temersi rè ua furiofo.Ne aTgomento-^ò neramente
ra:?- gioac alQU<w.CJllM da fpau. Gntarc^moftrandoci clìepiu foflo fi
Iiabbfa ad eleggere un'amico prudente, & fano,che uno incitato, flC
furiofo. Ma lafciamo andare quefto.jMoftiimi coIlui,fc può, flC in quefto
uincami, che i' ancore non fia da Dio (lato truouato per utilità dell' aman^s
le.flC dell'amato. Doae io hora per il contrae rìogli uog!iomoflTare,chequcflo
tal furore e flato dato da Dio à gli huomini per una gran^ difllma (cìicità.LsL
qual mia dimoflratione à quelli, chehtigiofi fono, & che ogni cofa tropss
po minutamente uogliono' fapere,tt che ogni cofa uituperano,fiCà ogni cofa
appongofièf. fàà rà forfè incredibile: ma afii faui farà il con^ frario. Ma
prima che à quefto ucnga,ci fa di bifogno, confiderando bene le operationi,fiC
gli affetti dell'anima humana, fiC diuina, troitare la uerità di quello, che
intorno à lei fi può ra^ gionare,flC difputarc. Sari adunque il princi:? pio di
queda mia dimoftratione cofi fatto. OGNI anima c immortale, per ciò che quella
cofa, che fcmpre da fe fi muoue^queU. la douiamo direefTere immortale: ma
quella co^ fa,che altri muouc,tì: da altro è mofra,con ciò fia che ilfuomoto
fia terminato, ha anchora il termine, 6: il fine della fua uita. Et pe:sr rò
folamente quella cofa^ che fe (leda muoue/ per ciò che mai non fi
abbanclona.nonfi rcfta mai di muouere^anzi quella e fonte, ££ principi pio del
moto di tutte le altre cofe.che fi muos: iiono.Ettufai,cheil principio è
fenzanakis: mento alcuno; per ciò che egli è neceffario, che tutte le cofe^che
fi generano, nafchino da un principio, flC quel pnncipio non ha altro prin^s
cipio: per ciò che sci principio nafceffe da qual che altra cofa, non potrebbe
gii nafceredaun principio, cfTendo il principio egli Ma cfTendo il principio
fenza nafcimento.è necffTario che;inchorafia fenza mancamento, o fine alcuno;
per ciò che fe il principio mancaffe,© morilTc^ non potrebbe più ne egli
nafcere da un'altro,, tie un'altro rifufcitare da lui, con ciò fia che fu
neceffario, che tutte le cofe nafchino da un pria cipio. Se adunque il
principio è un moto,chc inuoue fe ftefro,queflo principio non può ne mancarcene
nafcere da un'altro* & fe altrimenti fuffe, farebbe neceffario, che tutto
il cielo man:s caffè, a fi diftruggeffe,flC ogni altra cofa creata» ^oltra di
quello non fi potrebbe mai fapere on^ de quefte cofe nafchino, & da chi
fieno moffe^ Adunque effendo chiaro, che quella cpfa^che fc flefla muoue^è
immortale, non harà da temere di due il falfo.chi affermerà che la fuftantia
del l'anima è cofi fatta;Ia ragione è quefi:a,chc ogiiìi corpo, che ha il nìoto
da altri,è corpo inanima:^ to. Ma quel corpo, che ha il moto in fe ileffo^.
& per (e fi miioue, quello è animato: fimilc» adunque puoi penfare,che fia
la natura dell'ara nima. Et però (e gli è uero.che altra cofa non fi truoui,che
in fe fle/Tafi muoua, fuor che Tanis: ma,di neceflìta ne fegue, che I anima Tia
fenzi principio, fiC immortale. Dell' immortahtà dela l'anima habbiamo detto
affai. Voglio bora u:: gionare della fua ideà;ò aero della fua forma,» ìmagine
in quefta guifa. Se io uolefli narrarti tutte le Tue qnalità, CJ particularità,
bifognareb:à becheio (i\([ì un'huomo diuino, fiC poi farei troppo lungo. Ma può
bene un'huomo motà tale,comcfonio, defcriuere una certa fimilitua dine,flC
figura di quefta anima, flC quella porre dauanti à gli occhi; & à far
quefto,fari cofa pia breue,che à entrare nelle altre diffic ulta, che nel
ragionar di lei fi ritruouano. Et però diremo per bora cofi, Facciamola per
quefta uolta fimi^i le à un carro alato, che habbia il fuo rettore: la qua!
figura ci è affai nota, flf (a intendiamo be:s nifijmo. Hai adunque
dafapere.che tutti li cast:Ualh\flC li rettori de i carri de^li iddii fon buo^
ni,tt nati df buoni •De gli altri^che non fona fddii, parte fono buoni, &
parte non. Primierajf. mente colui, che dell'anima. della mente norx j ftra
tiene il gouerno, raffrena, guida, flf corrfg:^ geli duecaualli, cbe il carro
noftro tirano con. le briglie in mano.Oltra diquefl:o,un di quefti duecaualliè
buono.fiC bello,flC nato di ftmilfó Taltro è il contrario, & nato di
contrarii. Per ii che accade, che quefta noftra moderatione,flf reggimento di
caualli fia di ncceflifà difficile. Hora mi uoglio sforzare moftrarti
breuementc. perqual cagione fia detto un'animale mortale, 6: uno immortale,
Ogni anima ha cura di tuts?: i to il corpo inanimato, flc difcorre per tutto il
cielo bora pigliando una forma, bora un' aU fra; fiC mentre che ella è anchora
perfetta, « riaij tiene le fue ale intere inalza in alto,fiC gouer:P na air
bora tutto il mondo. Ma quella anima, alla quale fieno per qualche cafo, come
ti dirò^ cafcatc le 3lc,rouiDa al bado, ne mai fi ferma, fin che non fi intoppi
in qualche corpo fohdo,clic la ritenga. Quando poi quella anima ha trouas^ to
doue habitare,* ha per fua ftanza prefo qual che corpo (errenp (il qual corpo
fabitp che ha, in fe quefta anima, par che comincia à muo^^ ucrfi,macpera
lapotentia della anima, che lomuoue} muoue) ali 'bora tatto qucfto fi chiama
ani? male: & qucfta anima unita infieme con un cor po terreno, come ho
detto, U un'animale.il quale fi domanda mortale. Ma il corpo immorj: tale fi
conofce non per ragione alcuna per ora' didifcorfo ritruouafa.ma quel, che fi
dices'd fingono gli huomini da fe ftefli; perciò che quefto corpo non lo
habbiamo mai ueduto. ne à baftanza ci è maj flato dato ad intendere, Ids dio
adunque è un certo animale immortale il quale fenzadubioha ranima.flcfimilmentc
il corpo, flCquefte due cole fono liate per natura in fempiterno infieme
congiunte. Ma queflc cofé bifogna dire che fieno, come piace i Id* dio, a
ragionandone, à lui bifogna' riferirfcne. Hora ci rcfta à dire per qual cagione
le ale caa (chino all'anima. Tu ha» da fapere,che la nas tura.ef il proprio
delle ale di quefta anima.é il- leuare il graue in alto uerfo quella parte
del'cics lo, la doue habilano gli iddiU Sappi anchos ra, che di tutte le
cofe.chc in un corpo fi nst truouano, ranima,piu d'ogni altra cofa.della diurna
cognitione è participe. Qiiefta diuinità tengo io che fi pofli dire, che fia
cofa bella.iaa uia, bHona,flC ciò che i tali cofe c fimilc.Da quc* (lo adunque
prindpaimclìfc fc ale dell'anima fono nutrite,* per quefto più che per altro
crc:s fcono,flC mchora per le cofe brutte, flC trifte>ac per le altre à
quelle'contrarie, che di fopra ti ho dette, mancano, fl£ uengono à niente.
Oltra di quefto hai da intendere, che in cielo è un gran Principe^il quale fi
chiama Gioue. Coftui pd^ mo à tutti gli altri, guida con uelocità un fuo carro
alato, ornando, fiC affettando ciafcuna cofa,. ce con fomma diHgentia al tutto
procurandoé Dopo coftui feguita lefercito de gli altri iddiì^ femidei,fiC
fpiriti diuini, diuifo, flC ordinato in undici parti, 6C folamènte nella cafa
de gli iddii f cfta la Dea Vesta. Ma gli altri iddii (dico fola^ mente quelli,
li quali fono poftì nel numero de j dodici ) fe ne uanno ordinatamente, fecondò
che fono difpofti,& ordinati. Et hai da fapere^ che dentro al cielo fono
molti fpettacoli,fiC mol ti uiaggi,difcorrendo Intorno fi fanno diuinifTì^
mi,& beatifTjmi: alli quali i beati iddii femprc ftanno intenti, &
ciafcuno fa quello ufficiosa! quale è fl:ato pofto,CC che gli fi conuiene. fiC
cofi ua feguitando ciafcuno iddio fempre potendo ugualmente, uolendo: per ciò
che dal diuin choro è femprc ogni inuidia, ogni maleuolen tia lontana, Quando
poi fe ne uanno al celeftc cofluifo, ce à guflarc le diuinc uiuande, all'ho::
ra inalzate, & già in alfo afcendendo caminano per la circunfèrentiade i
cieli. Li carri delli do5 dici iddìi bene accónci, flC aflettati, con le
briglie de i caualli uguali, flf parimente da ogni banda pefando, fàcilmente
caminano. Ma gli altri carri che cofì no fi truouano.à fatica fi poflono muo
uere: per cicche quel caualio trifto è dalli uitii aggrauato,6C cofi uerfo la
terra fi p^^ga, & feco il carro, & il rettore à forza tira.fiC quefto à
quelsj li rettori interuiene,che j1 caualio non buono, hanno troppo
ingraflato,fiC alThora patifcono le anime una fatica eftrema^fic fono in un
graridifs fimo combattimento. Per ciò che quelle anime; che fon chiamate
immortali, ciò è quelle, che no fono dal trifto caualio sforzate, quando
allafom miti giunte fono,allontanatefi dalle altre, fi fer mano nel dorfo del
cielo, fiC quiui pofatc,fono dalla circunferentia attorno rotate: ft quefte
fos: no quelle anime, che ueggono quelle cofe,chc fuor del cielo fono pofte, Et
quel diuino luogo (opra tutti li cieli non è anchorada alcuno dei noftri Poeti
flato fin qui lodato: ne alcuno fi tro uerà,che mai quanta egli menta, lodar lo
pofla. Quefto luogo è fatto in un tal modc(& mi met^: to i dire quefto; per
che parlando della uerità, pofTo tiene hiuctt ardire di dire il acro ) è adun
que fcnza colore, fenza figtira alcuna. non fi può toccare.è una cfTcntia; la
quale fola fi può dire.chc ucramcntc fiaft qucfta effentia fola» mente li Icrue
dello intelletto, guida, flf gouer^ Inadore dell'anima, il quale intelletto
femprc fta in continoua contemplatione del (omwo bello^Etla uera fcientia,
flCil perfetto fapere altro luogo non ha, che quello, che c pofto ins: torno i
quefta effentia ucra,£c nella fuacognfc ttònc. Come adunque il penficro^a: la
contems plationc diuina è poftafolo intornò i un'ina tellettopuro, fiCà una
fcicntia immaculata, cefi il penfiero, flc la contemplatione d'ogni ani^: '
ìna,che habbia i pigliare che corpo, ò forma fi uoglia (pur che à lei fia
conuenientc ) rifguarp dando per qualche tempo in quella efienfia, che io dico,
che fola fi può dire che fia contea!? ta della contemplatione della uerità,di
quella fi nutrifcc,a: di quella fi con tenta, fin che un'aia: tra uolta la
circa nfercntia aggirandola, non la ritorni in quclmedefimo luogo.Et in quefto
fuo aggiramento uede la giuftitia, con tempia la temperanza, fcorgc la
fciehtia, K non uedc (jueftc uirlù come generate/flCpoftein uno,ò^in un'alfrc
(Ti comé potiamo dire ) che fiend quelle. che noi qua giù confiderandaci paio^
nouirtù,ft cofi le chiamiamo, ma uede quella iiera fcientia, che è in colui,
che folamcntcfi può dire che fia.-flCinquefto medefimo mo:s do ucde, flC
contempla tutte le altre uirtù,chc fono uirtù ueranente. Quindi di quefti cibi
nutrita, a fatia. ritornando di nuouo dentro al cielo, fc ne ritorna à cafa,
dalla quale dianzi fi parti: flC dipoi che è ritornata, il Rettore mets: fendo
li cauallr nella ftalla à ripofarc.gli da:per cibo T Ambrofia. (JC gli fa bere
il Nettati:rc,fif quefta è la uità de gli iddii/te altre ani^.-jne poi, alcuna
che dirittamente ha gli iddìi feguitato,6tta che è à lorofimile, fa tanto, che:4inchora
ella inalza il capo del fuo Rettore à ^uedere quel bellifllmo luogo, che
iotihodet^: oefTer fopra li cieli rftcofi ancho ellainfies» me con gli iddii è
dalla circunferentia de i cicjs li aggirata, a portata, ma à T ultimo dalli
cauals: li e trafportata fuor della uia: talmente che à grandiflìma fatica può
mirare quelle cofe, che in quelli Iuoghj,di uentà piene fi ritruouais no*
Alcuna altra anima hora il capo del Ret^ Jore in alto leua^tt hora la abbafTa:
onde daU £ ini Ifcaiialli sforzata, parfe ucde quel bcne,flf parte non. Et le
altre anime tutte ugualmente defiderando ftar di fopra feguitano quefte tutte
ins, fj fiemc confufamente: a non potendo in alto le:: I uarfi,premendofi tra
loro, fono à torno portate: ! fCcalcandofi^ficrunaialtra fpingendo,ft ciafcu i:na
quanto più può di pafTare innanzi sfor7an5; dofi, fanno tra loro grandiffima
contefa:.onde j ne nafce un romore,un. combattimento, una fafica grandiffjma:
nella qual con(éfa,per uitio, ce difetto de i rettori, molte fi azoppano, molte
delle altre rompono le penne delle ale,a al fin tutte dopo un;i lunga, flC gran
fatica, fen za p 0:5 ter pur uedcre quella effentia diuina.che io di:^, co, che
è ueramente,fi partono, flC dopo quefta lor partita fi pafcono folo d'opinione,
non potendo quel fommo bene per altra uia conofcerc: a ciafcuna fi sforza,
quanto può, di poter haue:5 re quefto cibo,defiderando conofcere doue fia il
bel campo della uerità. Per ciò che di quefto prato la natura dell'anima per fe
fteffa ottima, xaua conucniente cibo,Cf di quefto fi nutrifcc la natura delle
ale,con le quali in alto fi leua^ La potentia diuina poi (la qual non può in
al:^ <un modo fallire ) tiene quefta regola, che cia:^ felina animaja quale
mentre che gli iddii ac:$compagnaua.C6mpagnaua,puotc ucdèrc qualche fcintiTIa
del la uerità, quefta tale dico, uuolc che per fin che un'altra uolta non fia
dalla circunferentia aggi^ rata (come ho detto difopra ) fia fuor del perb xólo
di perder le ale, òdi riceuere danno alcu» no:fiC fe Tempre potefle girando
quella uerità uc •dere,non farebbe mai in parte alcuna offefa,Ma fe non
potendogli iddii Seguitare, non fi fuffc potuta condurre i uedere quel fommo
bene,flC per qualche cafo contrario ripiena d' ebliuione, ce di malignità fuffe
dalli uitii al baffo aggraua:^ ta,flC in queftoabbaffarfi.a deprimcrfi rompete
fi le ale, fiC cefi rouinando in terra cafcafre,al2s rhora la diuina legge
uieta,che quefta tale anb ma la prima uolta, che qua giù à forma alcuna -s
accoda, fi uada ad accompagnare con la natus ra di beftia alcuna fenza ragione,
ma uuolc, che •quella anima, che molte cole fa in cielo habbia uedute^uadaà
trouare lageneratione d'un huo tno,che habbia da effer Filofofo,ò uero defiders
rofo di belleza,ò uero Mufico, ò uero d' un huo modato alle ccfe d'AMORE.
C^ell'altra, che non ^quanto la prima habbia ueduto, ma nel fecon:5 do luogo fu
pofta, comanda quefta legge, che difcendainuncorpo, che habbia da effereRc per
legge, fiC ragioneuolmete ò uero in un bua iao dato alle guerre, flC atto ad
efferc Impera^s <lore,ò Capitano Quelle poi, che nel terzo Iuoj: go fi
fruouano.ordjna che fi mettino jn un huomo.chc habbia da efTere gouernatore
d'una Rcpubhca^òuero in uno, che debba difpenfa^ re,ft diftribuire la robba.ft
hauer cura della fajs miglia, ò in uno,chefia dato al guadagno. Quel
k.chcpiugiu tengono il quarto luogo, fe ne uarino in un huov(}o,Ql}€ hsihbìà da
durar ùth.ca,òaeroin uno, che fi habbia daefercitare in^: torno alla Medicina,
fif alla cura de i corpi.Quel Ic,che più di foltonel quinto luogo fon pofte, é
s'accoftanoà coloro, che debbono fare l'arte di indouinarc,òuero di augurare
per uia di facrb jficii,ò d'altri mifteri, Quelle, che la fefta fede
tengono,defcendono in un'huomo,che hab:s bia da diuentare pQeta,ò ucro in uno
di coloro, che fono nati ad imitare altrui. Quelle, che fono le feftime dalle prime,
uanno;fn uno.che habs biada efTere òartefii^e^ò agricoltore. Le ottauc in un
fofifta,òucro in una perfona plebea.flC iiile. Quelle finalmente, che nel nono,
flfultis: mo luogo fi ritruouano.fc ne uanno a diuentare uno, che debbia efTer
tiranno. Et in tutti quefli •fiati di Ulta qualunque giuftamente haràmes».
-fiato i giorni fuoi.dopo la morte harà miglior forte, clic quelli, che
friftamcnte fono uirtuH: flf quelli, che ingiufti fono flafi,uannOÌ pcg:^ |fóré
fl'a(o,che colore), che fono ftafi buòni: pei d'oche non ritoma Tiinimatn quel
medefimo luogo,dcnde prima fi partì. più preflo che ih fpatio di dieci hhirlia
anni.Per ciò che auanti i queftofpatiodifefnponon può racquiflare le àie, fuor
che l'anima di coluj,che uitiendo hà fenzauitio alcuno atfefo alla Filofofia, òuer«5:
mcnfeha amato la helleza^fiC infieme grande^ ifnente defiderafo la fapienfia:
per ciò che quei ftefali arfime/enza dubio alcuno, dipoi che ^treuolte fono
paiTate mille anni (purché efs Icno^ uoglino dopo la prima morte, tre uolte
tornare in quefta uita ) all' bora hauendo rac» quiftate le ale dopo tre milia
anni,al cicl uo^ landò fi partono. MoHé altre aniine, morte che fono, la prima
uolta fono da Iddio gJu^ dicate, a dannate r ttcofi giudicate, altre an^- dando
fh^un'iù'ògo,il qaaTé ne! cèntro dcU la terra è porta per punit»one delle anime
cgitti tiue.quiui patono del fallir loro meritcnoli pe:» he. Altre pòi dal
giudicio dìuino innalzai te, in certo luogo del cielo forio in quel modo
trattate, che fi hannoqnagiu in terra uiucns do meritato: flf poi tra mille
anni qucfte due- forti d'anime, ritornando al mondo fi eleggono una feconda
uita,ec ciafcuna può pigli^rfi queU la forma, che uuole. Quindi uienc, che
l'anima humaha pafTa alla uita d'una beftia^flC dipoi dunabeftiadiuenta di nuouo
huomo,pur che quella anima fia (lata un'altra iiolta in un'huo mo. Per ciò che
quella anima, che non harà mai ucdutaìa uerità, òpoco,b a(rai,non potrà mai
pigliare la humana figura: per che bifogna che quello, che l'huomo mtende,
l'intenda per me:s zo delle fpetie delle cofe,che dauanti gli ii ap:5
prefentano.a quefte fpetie per uia di molte, ÒC uarie cognitioni nella mente
noftra raccolte, fo^ ijoalfine con difcorfo infieme pofte,eCc9m5s prefe. Et
quefta cofa altro non è, che la rimems: branza di quelle cofe,che già Y anima
noftra in C4elouidde,air bora che infieme con iddio era perfetta.-a quando ella
fprezaua quelle cofe,che noi fcioccamente diciamo che fono,riuolta fola:? mente
allcontemplatione di colui, che è uera mente. Per la qual cofa l'anima folo del
Filofoss fo meritamente racquifta le ale.per ciòchequan to p-r un'huomo è
poflibile,fempre con la mera móna fi riflringe,flC fi accofta à quelle
cofe^allc quali accoftandofi,(5f riftrfngendofi iddio, è di^ uino» Colui adunque,
che farà quefta confide^, ratione din'ttamenfe, & ragioneuoImente,flC cefe
cherà fempre di nempirfi la mente di qucfti cofi pcrfet(i,fi£ fanti mifteri,
quefto folo diucnterà perfetto. Et cefi diiiifo dalli ftu di, che fanno gli
altri huomini,flf accoftandofi alla diuinità,è th prcfo,flC morfo dal uolgo,comc
fe egli fufle ufci to di fe. Ma egli ripieno, flC ebbro della contem plationc
di Dio, non fi lafcia cònofcere alla mol titudine. Per quefto adunque ho fatto
io qùc^ fto mio ragionamento, il quale è porto intorno alla quarta forte di
furore-peri! qual furore quan do alle uolte uno di quefti tali nel uederequa
giù qualche belleza, fi ricorda di quella uera, che gii uìde in cielo,rimettc
fubito ralc,fiC cofi rimelTe che V ha, fi sforza,quanto puo,uolando al cielo
inalzarfi. Ma non potendo ciò fare^coje me gli uccelli po(rono,guarda,flC
confiderà pur uerfo il cielo, fprezando qucfte cofe bade «onde ne è biafimato
fiC ne riporta uergogna,dicendo:j gli ciafcuno,che egli è poco fauio,flC
ripieno di furore. Per la qual cofa quefta diuina separatio: ne dell'anima dal
corpo è fopra tutte le altre, che interuehire ne poffano migliori, Et da ca:^
gioni ottime nata,d: non folo è gioueuole à chi in tuttolapo(riede,ma à chi
qualche poco ne participa. Et coiui,che di quefto iurore fanto.tt |>uotio è
ripiano, con ciò fia clic egli afmrla bel:? ilcxa.quefìo ueramente fi può dire
arhantc. Per ciò che, fi come ho difbpra detto.ogni anis ma huroana già ha
iieduto quelle cofe, che ue^ ramente fono: per ciò che fe non le haueffe uc
jàiite, non farebbe difcefa in quefto animale hu mano: & non, è f^c^le i
tutte le anime ricor:i darfidclfecòfedilàfù.per uedere quelle/cbc qui fono. Et
prima lo poflono mal fare quelle; che per breue fpatto di tempo fù in ciclo gli
fu conceffo uederic: dipoi non è conccfTo anchora quelle, che nel mondo
uenendofono fiate ina felici, ce Ila nno hauto mala fortuna: di modo che
corrotte da alcuni coftumi cattiui.che qui pjgliano/ifccrdano in tutto di molte
cofe (st^ gre,©: buone, nelle quali in cielo erano gii ammacftrate. Perii che
poche anime fi ritruor? uano,che àbaflan2a delle cofe celefti fi ricors dino.
Ma quelle poche quando tal'hora qua giù- scorgono qualche iomiglianza di quelle
cofe che in cielo gii urdderò, fi ftupifcono, ftquafi cfcono di fe. Et non di
meno non fanno don^ de quefto lor mouimcnto proceda; per ciò che non conofcono
in tutto la uerità.ne a baftanza fe ne ricordano. Ne pct/amonoi fcorgere,menp
tKchcqyagiàftiaDoioin quelle fi^ure, imaa gini,fplrndòrucro alcuno di
giuflitia, di tfmp< ranza, fiC delle altre uirtù,che gl'animi npftji J)<^
norano.flC amano. Ma per certi inftruirenti,fiC fxìczi imperfetti ofcuri à pena
pochiflimi huomini accoftandofi pure alle imagi ni> di iq^cl le
uirtùcelefti,che nel mondo fi ritruQuano, tifguardanoin qaelle imagini quella forte,
di uirtù,che fimile imagine gli. rapprefej?ta. ali' hora ci era lecitc,<X
conceffo uedere una chi^ riflima^flC pmiflìma belleza, quando con quel beato
choro fegiutando noi quella felice uìGq:» ne, 6: quella fanti/Tjma
contemplatione. della quale dianzi fi ragionai, noi infiemc conGio:^ ut,&
ìt aìttc 2nitrìc inficmecon qualche altro iddio, fecodo che era ordinato,
pQtcmo con teni:^ piare la diuiniti: flC quando à quelli miftcri,fl£ cofc fagre
dauamo opera, li quali potiamo ragio iicuolmentc dire efTer più di tutti gli
altri miftc ri fagri,flC beati, alli quali all'hora noi poteuamq attendere,
quando anchora immaculati. flC nò of fefi da mille mali efauamo,che poi
habbianio in quefto modo prouati.Onde confiderando all'ho ra quelli celeftì fpcttacoli
cafti,femplici,durabi li^tt beafi^poteuamo beniflìmoà tal fanto efcr^l tic
fcruirc ftado noiin una luce pura pun^ttfen M machia alcuaa,Iib^ri,&fciolti
da c^uedo^chcWtor chiamiamo <;orpo,il qiul crbifogna ì torno portarci noftro
mal grado, efTendo à quello le:5 gati,6f in quello rinchmfi à guifa d'oftnchej
ce quefte cofc non fi fanno, feno per uia di mc^: nicria,per che noi ci ueniamo
à ricordare delle cofe padatecdallaqual ricordaza hora io fon fpin to: ce
efortato perii defiderio) che ho di quelle xofe.che già ho altre uolteuedute,
ti ho fàtto queflo ragionamento, Hora la belleza(come ti ho detto ) quando già
erano le anime in cielo,^ Infieme con loro caminando rifplcndeua,fiC di poi,
chequi fumouenuti.rhahbiamo riconos fciuta, per ciò che ella chiariffimamente
rifplen:? de,& fi moftraà quel fenfo dellj noftri,che più •di tutii gli
altri ha in noi forza, flC quefto é il feri fo del uedere: per ciò che quello é
il più acuto di tutti gl'altri noftri fenfi^che permezo del tòVpo fon
cagionati, col qual corpo, flC con li quali fenfi non fi può cognofcere.nc
uedcria fapientia: per ciò che ella farebbe nafcere in noi ìun'ardentiffimp
amore di po(rcderla,fe un qual chcfimulachro, òimagine di ki dauanti à gli
occhi manjfefìamcnte ci fi pofgefTe: fiC il medefi mò potiamo dire di tutte
l'altre cofe,che fono degne de/Tere amate. Non dimenolabellezsi fok ha jpiu
dellaltre haute quella preminentfa^^ che ella più;d- ogni altra ci fi fa
uederc,& piu che ogni altra cofa ad amarla ci muoue. Et però colui, che
dianzi non atteie à quelli fagri miftc;? ri, ch'io ti difli,anzi più tofto e,
dando qua gm^ corrotto da quefte cofe bafle^non cofi preftofi inuoue,fiC leua
ranimo all' amor di quella bels: Ieza,anchor che qui uegga una certa fc^iglian
za di quella, che da quella eterna il nome pi:^ ghando pur belleza fi chiama.
£t per quello nel uederla non l'ha in ueneratione, flC non l'ha nora,maà guifa
d' una beftia.dato folamente al piacere, uorrebbe pure à quella belleza acco:5
ftarfi, flC generare, & produrre figliuoli: fiC cofi importunamente
afTaltandola, non teme punto fargli difpiacere.ne.fi ucrgogna dandofi in prc:?
dai quel fuo difordinato appetito, pafTar gli or^s dini della natura, Ma colui,
che alli detti mifte;^ ri poco fa diede opera, fiC che già in ciclo con^
tempio, molte cofe degne, flC (ante, quando egli uede un uolto ben fatto,ft di
belleza diuina ot^ nato, il quale perfettamente quella diuina, & uc ra
belleza rapprefenta,ò uero quando contems? pia nò pure il uolto, ma qualche
altra parte ben fatta del corpo, primieramente fi empie dihorrs rore,fiC tofto
teme di lui, come fe fufleunacofa (ckfte già dalui pa altri tempi u^duta:
quindi più minutamente rifguarclandolò come Iddio lifaonora.flC fé egli non
temefTc di edere accuiaj«; to per matto, ti dico che egli non altrimenti aUj L’AMATO
SUO facrifìcarebbe^chc farebbe à una fta^r tua di iddio. Et mentre che egli
pure il contem pla/ifentequcU'hprrore. del quale era pieno, in fudore,fl(in
ardore conuertire, dal quale in brcuc tempo tutto fi truoua occupato. Per ciqr
che air hora,che egli per gli occhi beue quclU bcllcia Cubito tutto dentro fi
riicalda: dal qual caldo la natura delle penne della lua anima é co me
matfiata,a dipoi che egli è bene infuocai^ to,fi intcncnkono quelle parti delle
ale,clic pullular doueuano.ac che dalla dureza riftrctte, metano alle penne il
poter gernpogliare. Qjiianp do poi per gli occhi e ben penetrato il nutrìs;
nicnto di queftc alenali' hora il germoghar delle penne, che prima comincia
dalla radice i ingrof (àfC,ìmpetuo{amente per tutta 1 anima moftrarfi (i sterza
per ciò che Tcinima era già tutta dalle pcnne copcita.fif da quelle io alto
foftenuta} tak^^ in quello tempo ci anima tutta in grao dèiiìmo leiuore^tt
uonebbe pure inaizarii: flC non aitranrti che làccino ifanciuUt. quali allW u
che pruni mcttoiìo i depti^t^no da on certo iociOiC iMfitfi, aiiiciué dà un
dolore delie gicQ gfc moleftatì.cofi l anima iicl meffere le penne tutta fi
commuoucflffi riempie in un tempo dj piacere,» di moleftia. Per il che mentre
che eia la uede un giouane bello, beucndo per gli ocs chi quel piacere, «quel
defiderio chc da lu|'t uiene,airhora inaflìata.come ho detto, fi rifcalr da,flC
all'hora nó fi duole. ma fi rallegra cifra mo do. Ma quando poi egli s
allontana.flC che quefcl li meati fi rifeccano.per li quali l'ala uoleua ufcir
fuon.allliora andi fif riftretti.uiefano il gcrmoa gliare delleale: di modo che
quefta ala infieme2i con quello amorofo defiderio, parendogli elTcr dentro
rinchiufa, uolendo pur' "faltar fuori dai (e flcfTa, richiude quei meati.donde
ufcìr po* trcbbe fif fa che di nuouo ne nafce ali anirra nó poco dolore. Et
pe^quéfto è tutta l'anima da ogni banda oii'efa,fiC grandemente dimoiata, mal
trattata Ma ricordandofi poi di nuouo del? la ueduta belleza,in quello fi
diletta.» di quel Io folo fi rallegra. Et cofi da ambe due queftc paffioni
infiemc mefcolate.ciò è da quello sfor* zamento.ec impeto di rimettere le ale.
& dalU maraiiiglia della piacciuta belleza è in un fems po moleftata.Onde
piena di anfietà,<urio(à d/» licnfa flCè daqucftofuror in tal modo condotta,
che ne la notfc può dormire, ne il giorno in lue go alcuno fermarfi, ma quinci,
6f quindi fi ags gira,fiC fi fbatte,mofra pure dal defidcrio di riue dcre
quella bcUeza, la quale di nuououedcn^ tìo,& beuendoquel defiderioamorofo
per gli occhi, CQmc ti ho detto, all' hora di nuouo apre, & ageuola quelle
parti delle fue penne, che prtp ma erano infieme riftrette.fic chiù fé: fiC
cefi àh poiché ella ha cominciato à rifpirare,fiCriha2: uerfi,à poco à poco fi
hbera da quelli ftimoli'i ft da quelli dolori, dalli quali prùr^a era offef^é
Tale che da quefto foaui/Tjmo piacere 6nto è in quei tempo uinta,che mai per fe
da quelli allet^: tamenti non fi partirebbe, ne altra perfona più appreza,chc
l'amato, ma fi fcorda del padre, CC della madre, de i fratelli, fif di tutti
gli amici fuoirttfe tal' bora (come interuiene ) manda in quefto amoremale.ft
confuma il fuo,non fe ne cura punto. Oltra di quefto fpreza tutte le
'.amicitie,flC dignità, che haueua fuo padre, delle quali gli fi farebbe tra
gli altri gloriato,^ fole fi contenta di feruire^fiC diefler foggietto àogni
''«olontà dell' amato, pur cbe egli pofTa efferaps: prefTo al fuo fuoco. Per
ciò che non folo honoi^ ra,ficha in ueneratione quefto b^llo, chc tgli ama^ma
anchora Io truoua ottimo medico d' gni fiu grauifTima paflionc. Quefto afFetto
adun qac,2(quefl:o mouimento,b giouane gentile, gìihuomini l'hanno chiamafc
ef^SiDC cioè amore. Et fe io ti dicelTe in che modo quefto amore è chiamato fu
in cielo dalli dei, certamen te,che per cfTer tu giouane, harefli ragione di
ridere. Et che fi^il uero, certi imitatori d' Hos: fnero compofero già due
iierfi fopra quefto amo re.cauati (come penfo ) dalli fecreti.flC mifteri
diuini,delliquali unoèin uenti affai goffo,flC poco elega n te, flC dicono
cofi, Chiamano amor uolatore i mortali. Li dei alato, per che à forza uola., ^
A quefti uerfi in ^arte fi può credere, in parte non: ma fia come (ì uoglia,un
tratto quefta^ che io di fopra ho detta, è la aera cagione damo rc,fiC lo
affetto, flC la paffione de gli amanti; Ci però tutti quelli, che ameranno, h
quali già fe^ guitarono Gioue,po(fono più fauiaméte,fiC più conftanfemente
portare il pefodi quello alato, che io ti ho detto. Ma coloro, che già
honoraro^ no MARTE, Ce fu in cielo infieme con lui andoro^ no intorno, poi che
dall' amore allacciati fi truo^ uano,fe mai penfano di riceuere dall' amato in^
giuria alcuna, facilmente corrono à far dei ma^ lc,fi£ à uccidere; cefi
furiofamente ò fe ftefli, è gTi amati loro priuano uifa/SimìImfnfc eia fcuno honoraquel
roedefimo iddio, col quale già andò in fchicra: flC quello cerca fcmprc quan to
più può, in Ulta fua di imitare, fin che egli non fi lafda da i uifii
corrompere. & in quefto modo mena i giorni della prima fua uita,t3C cofi
fafto a gli amati fuoi^flC à gli altri Tempre fi mos: ftra, Et però cfaicu nò,
fecondo i coltumi fuci.fi elegge à amare uno, che à lui paia bello. Qujns:
di,comc fé quello fufTe il fuo iddio, fe ne labri^ ca una imagine.fiC
quellaorna & fa bella in quel modp,che fe à quclla,flC non ad altro idolo
ha:? uedeà dare honcri,flCà facrificare» Onde co:5 loro.che di GiòUe furono
feguaci,flf che quello honorarono, cercano d'amare uno. che Simiù mente habbia
T animo giouiale: fiC per quefto / confiderano, prima che l'amino, molto bc5:
nc,fe quefto tale è atto per naturatila FìIoì: fofia, òueramente al regnare,
alle quali cofe Gioue inclina. Et poi che conofcmto(o,fiC ri:^ truouatolo tale,
lo amano, fi sforzano con ogni ftudiodi farlo diuentare fimile al fuo iddio. Et
fe forfè eglino non fapeffero per loro quel, che à gli altri uogliono
inregnare, airhora ol:? tra modo fi sforzano, flC cercano di imparar fem:5 pre
qualche co(à per qualunque uia gli è con:s cef?o: flf coli infiemtf con gli
amati à queftrf coli honcfta.flclodeuole opera fi mettono, (alt che
diligentemente ricercando, fif in fc fteffi inue^ ftjgando la natura di quello
iddiojl quale ad honorarc fono inclinati tanto fanno. che al fu: re pur uengono
a capo di quefto loro honc;^ ftodcfiderio. Etnon'c ciòmarauiglia,per ciò che
eglino fono dall' angore sforzati à dirizarc la mente, ftconfiderare con
intentione gran^ dilTjnia à quel fuo iddio: di modo che pur al fine
ricordandofene, fono fubito di undiuino fpiiito ripieni: il quale fpirito fa,
che eglino pt^.glino coftumi, fif ftudi tali, che in brcuc tem^s pofi fanno
participi della cognitione di Dio, tanto però, quanto à un'huomo è lecito. Et
per che di tutte quefte cofe fanno che ne è cas: gione l'amato, ogni giorno più
ardentemente nel fuo amore fi accendono. Et fe cclloro th ceuono quefta
diuinità da Giove (come anchoss ra le Sacerdoti di Baccho,cheda lui di furor
fono ripiene ) infondendola tutta ncir animo dell'amante, in breuefpatio di
tempo, quanto poffono. à Gioue lor proprio iddio, fimilifTimo Io rendono. Tutti
quelli poi, che già in cielo feguitarono Giunone, cercano per amato loro un
giouane d'animo regio: ilqual poi che han^ ìfìo frbuato.dfucntano Cmili à
*q!iclli\che di fos prati ho detto.fiC uerfo di quello operano in quel mcdefimo
modo» Oltra di quefto, quelli, che honorano Apollo, ò qualunque altro iddio,
ciafcuno il fuo proprio iddio, imitando, cercano ' tutti un giouanc.che per
natura habbi il medcsi fimoanimq^chc loro: il quale poi che hanno trouato,
prima il lor proprio iddio imitando, poi alli giouani pcrfuadendo,che li
medehmo faccino,flC moderandogli in ogni loro cperatio:? ne, fecondo il lor
fine, quanto le forze loro com portano, di condurlo fi sforzano alla imitatione
del proprio loro iddio, fiC alle loro fimili operai troni «Non portano coftoro
alli fuoi giouani ìnis uidia,òmaleuolentia alcuna, ma con ogniftu^ dio fi
sforzano di conformarli alla loro perfetta Ulta, ùmilmente a quella di quello
iddio^ che ambe due naturalmente honorano. La cura ' adunque, & il fine di
quelli, che ueramente fo5 no amanti (pur che eglino fi conducano à poÉs federe
quel,che io ti ho detto, che defidcrano ) fenza dubio alcuno altra non è, che
qucftachc io ti ho defcritta. Et è quefto fine per cagion del Tamtete per amor
furiofo in ultimo all'amato lodeuole, 2C feliciflìmo.fe quefto amato farifi^
inamente prefo d'amore, £t per che tu fappu irCome un amafo fi conofce dallamor
uinto.te Io;:dirò. In quefto inodo adunque qualunque ama ^(ofarà d'amor prelo, fi
conolceri. Nel prii ci pio di quefta noftr^. fintione diuidemmo ogni anima in
tre parti, flfdimoftrammo li caualli di;due lorti.ò: cofi ppncmo^fpiDjC due
parti dell'ai fili ma, li Rettore fu poi la terza parte. Quefte me;defime cofe
ci fa di bifogno cònfiderare al pre:? rfente,Già tu fai, che di quelli caualli
uno ne è buono, flc uno trjrto; ma qual.uirtù habbia quel ivjibuon cauallo,fi(qual
fia la malignità del trifto non Thabbiamo ar)chor detto^flf però bora deb biamo
dirlo. Il caual buono è di perfonapiu ^ j.grande,(Sf più ben formato, ben
compofto,flCà »^artei parte tutto ben fatto, con la tefta alta, le narici affai
bene aperte, come quelle dell' Aqui^ 'la, di color bianchifTimo.coJi gli occhi
negri,. defiderofo folamente di honore, fiC ripieno di temperantia,fiC di
uergcgna, & amiciffimo del { aero; non ha bifogno di ftimulc^òdifprone al:»
ccuno^ma folamente fi regge, fl£ guida con l' efor.Catione, & con la
ragione. L'altro poi è torto, uario,CC malifTimo fatto, di una oftinata
"oglia, }{b col collo bado, ha il modaccio fpàanato,^^ fchiaciato di color
fuko,cò gl'occhi brutti,flC di color fanguigno macchiatile garofo^bcftiale, con
le orecchie pelofe OC forde^flf à pena ubedi> fcc alle battiture, fiCalli
ftimoli. Oliando adun^ quc il Rettore uede un uolfo degno defTer ama to.fiC
infiamma tutta I anima del piacere, che ne fente,è fubito da una certa
allegreza commofc fo, flC da certi ftimoli di defiderio. all'hora quel cauallo,
che delìi due è al rettore ubedienfe,co me è fuo coftume, dalla uergogna
raffrenato da fe fte/To indietro fi ritin per non andar' ali amac (oàd doflo.
Ma l'altro non fi può far reftare ne con gli ftimoli.ne con le battiture, anzi
auanti fi fcaglia,ft per forza il cauailo,che è feco con^s giunto, ac il
rettore infiemc rcompigIia,flCà/cit mal grado li tira à uoler fentire il
piacere, che da Venere fi caua. Ma quelli due nel principio no
l'ubidifcono,fdegnati che dal rio cauallo à cofc indegne & ingiufte fieno à
forza tratti.finalmefc lìoncefTando quello importuno diùxcil peg^: g/o, che j
può, sforzati purfilafciano portare, flC cofi gli cedono, & Io contentano
di fare quello^ che à lui piace; (ale che in qucfto modo fi ucn^i gono ad
accodare al piaciuto bello, flC uaghegs.giano tutti infiemc il charo afpetto di
quella, Ilqualpoiche ha bene il Rettorconfiderato, a poco à poco della uera
natura di quella bclleza Ti uien ricordando^& cofi un' altra uolta^come già
in del fece, col pènderò riiiede.mà u^clc quella nera dalla temper^ntia
accompagnata, fiC ftabilita nel fermo fondamenfo della caftjia: però parendogli
pur iiedcre quella uera,& diui na t'elfeza, comincia di lei riucrentcmente
à tc^r mere; flc dairhonoiT.che gli porta uintojn tcx^ ra hufnilmente fi lalcia
andare.-fiC facèdo qucfto, c sforzato di tal forfè tirare le briglie delli due
ca ual!(,che bifogna che k forra dieno dellegropsc pe in ferrala uno di quelli
per fe flelfc,ptf ciò che non fa ali' incontro sforzo alcuno, ft l' altro, che
è tiif(o,fiC bestiale,C! na al tatto contrafua fcogliartì ariojifanandod poi da
quella belleza^ iìV dì quelli per la uergogna,d marauiglia grafi che
hahauta,tuttaranifnadi fudor lafcial^a gnatafiC laltro libero da quel' dolore,
di che il tia rar del freno,5C il cafcar in terra Thaiiea ripieno,i fatica può
tr^it il fiato.-ma poi eli e tn fe r itornaK)', tutto da fdtgno comoffo il
Rettore, & il cauallo feco congiunto riprede, che per paura, fiC da po^
cagine di là fi fieno pattiti, doue egli tirati gl'ha ue i. Quindi non uolcdo
però eglino ritornargli, di nuouo sforzadcglf,pur al fine à fatica gli con
cede, che con preghi da lui impetrino, che per fino all'altro giorno fi indugi
à ntornare!il quale ordinato tempo'uentndo, fingono di non (e nt ricordare;.ma
egli con tutto cicgh el rammcna ta,ftdi nuouo sforzandoli, 2f gridandoli, flf
df nuouo à forza feco tiradoli, pur li conduce à uo Icr dire all'amato le
medefime parole, che hieri gli differo. Ma dipoi che più appre/Tati fi fono,
egli torcendofi.flCabbafTandofi (tendendo la co da,ftringeil freno, flCcofi
furiofamcntc feco li tira. Ma il Rettore. che l'altra uolta affai mags
giormentehaueua lemedefimc forze fofFerto. pur in altra parìe uoltandofi, molto
più forte,. che dianzi, le briglie ritirala: cofi sforza la dura bocca del
triftocaiiallo, flC bagnandoli in que^s fto modo la brutta linguacce le
mafcelle di fan^i gue,lo butta al fuo difpetto di nuouo à ferra, fiC còfi del
fuo errore gli fa patir le pene, il che poi the più uolte hail trifto cauallo
fofFerto,lafcia pur al fine la fua pazia, fif cofi horamai diuenu:^ to
piaceuoIe,ubidifce alla prouidentia del Ret^ tore.flCinfiemecon lui, quando
l'amato bello rifguarda, tutto per la paura trema: di modo che affai
fpeffoauuienc, che egli feguiti le pe:^ date dell'amante con reuerentia, flC
honorc.flC quelle dell'amato con timore. L amato aduns que connfcendo efTer
dall'amante fuo, come fe à iddio fufTc uguale, ubbedito, flCofreruatò,fl£
ucdendo che egli no finge, ma è à ciò fare dalla inore sfor2ato(ac maffime che
ogni perfona ho^ fiorata, per natura pare che fia amica di colui,' che r honora
) al fine fi diTpone hauer la mcdc^ fima uoiontà,che l'amante. Et ben che
pnipai tt dalli amici fuoi,CC da quelli, che infieme feco ftudiauano,flC da gli
altri, forfè per dargli biafis ino,fufli flato ingannato, elTendcgli da quei
tali detto efTercofa brutta, che un giouane appreffo al fuo amante fia ueduto,
fl£ per quefto forfè habbia già l'amante da fe fcacciato,non di me^ no air
ultimo per fpatio di tempo &' la età, fiC r ordine debito delia natura del
fuo amante lo rendono amico: per ciò che non fi trouò mai, che un trifto non
fufTe amico d' un trifto,flC un buono d' un buono. Et però poi che un giouane
comincia à praticare col fuo amante, & afcoU ta i fuoi ragionamenti,
airhora facendo lamanar te ogni giorno più il fuo amore conofcere,sfor:j za
ramato à marauigliarfenc nel confiderare: che fe la beneuolentia de i parenti,
flC di tutti gli altri amici à paragon fi metterà di quella di un' amante
ripieno di furore, a di fpirito diui:? no, farà per certo di pochifTimo,© di
nefTuno momento. Et fe quello huomo di più età, che (ara amante, feguiterà in
queftaguifa per quaU che tempora: fempre « nelle fchuole,ft in fijs miìi altri
luoghi apprefTo all' amato cercherà ri^ frcnaifi,alI*hora il fonte di quel
liquore f quale già Giove, quando dall’AMOR di GANIMEDE è preso, dicono che
chiamò inf]ufroa rDororo)qua le nell amante dall'amato belìo. più abbondanti
temente, che nell'amafo è infufo, parte nelTarJ mante fi uùz^Ct parte di fuor
traboccndo fi fpar ge.flC cofi in quel modo,che fapiamo fare laerc. ^ flC
quella ucce,ché chiamiamo Eccho,qua!e da qualche corpo c)heue, òfòIfdo
percoda/tn quel luogo, donde prjma fi partì, ritorna: cofi quello influffo
amcrcfo ritornando per uia de gli rechi i in quel bello. donde già fi lcuò,p€r
li quah egli hacoftume di penetrare alTanima noftra,di tali) forte
inaffia,& bagna i meati delle penne della anima delTamafo/che facilmente
po/Tono.fiC co minciano à germcgliare: flc cofi T amante lanist model fuo amato
ikmpie d'un corntpondentc ^ amore. Et di qui uiene, che egli ama, ma non fa
certo quel,che egli ami, ne conofce quefta fua paflicne.ne la può, ò (a dire.
Ma;ion altrimenti che fe perlagiiaLdafLU-i d'uno, che hauc/Tegli cechi mal
fàni, fi fei] ti ffe hmiimcnte gli occhi fuoiguafti, cofi non fa.dire ia
cagione di quella Uia infirmiti, ne fi accorge, che egli uede.a ua4 gbeggia fe
ftcfTo nell'amante. come in uno fpec «hia*Oi:ide cientre.che gli ci amante
prcfente^ fcnfc anch' egli mancare il dolore: fic quan dog, poi r ha lontano,
in quel modo, che egli é defi^ dèrato, altrui defidera: flC cofi in fe haiiendo
unt ìmaginfe ucra d' un cortifpon dente amore, non- più amore, ma amicitia la
chiama, flc cofi penfa^ chefia* Defidera adunque quafi quanto Ta mante (hen che
alquanto più moderatamente) uederlo, goder (empre deirefTer con lui,fiC femprechegli
è concelTo» cerca, flcfj sforza di farlo. Per jl che durando quella pratica tra
co:$ ftoro,iI cauallo trifto dell'amante al Rettore riuolto, domanda per tante
fue fatiche un breue, flCinhonefto piacere. Il cauallo all'incontro del giouane
non fa quello,che fi habbia à dire, ma tutto anfio^fiC nell'amor commoflo,ama
raman te tanto,quanto egli é amato.à: fi gode di luti uer uno ritruouato^che
tanto lo ami,£C di qucU io con lui fa fefta,&fi rallegra. Et ftando iti
quefta conuerfatione.è paratiiTimo quanto à lui è poiTibile à ogni defideno
dell' amante fcdif^ fare: ma l'altro cauallo col Rettore inficroe.dalis la
uergogna,à: dalla ragione ammaefiirati/ems pre in fimili cofe gli tono
contrani. Per la qual cofa fe coftoro, fecondo un giuftomodo di uiuerc, fi:
fecondo li ftudi della Filofofia fi empieranno di buom^belii^ft Unti pcijiien^^.meneranno
la uita loro feliciffima, flcbeata^con concordia grandiffima.di loro fteflì
padronf;^K in ogni loro affare modefti. Hauendo quella parte foggiogata, OC
uinta, nella quale fta tutto il ultio dell anima noftra,a: per il contrario
quel là altra libera, alla quale la prudentia,& la bon^ tà fi appartiene.
Et cofi al fine di quefla uita ha^s '^uejidogià le ale racquifl.ate,ueloci al
cielo uo^ landò fe n'anderanno, con ciò fia che habbino uinto un combattimento
delli tre, nelli quali fi fono ri{rouatì,come hai innanzi udito, quale bc ne fi
può dire efTere della maniera, che fon quel li, che olimpici fi domandano; del
quale bene nefTuno più degno può à gli huomini arrecare l'humana temperantia,ò
uero quel diuino furo^ re,chehabbiamo detto. MafeqMeftì tali fegui^; fcranno
nell'amor loro una uita brutta. fiC in tut lo di Filofofia priua,& non di
meno piena d am bitione,gli potrà auuenire,che li intemperati cauallj asfalteranno
le poco auucrtite anime lo^: ro,nnientre che ò à qualche difordinato defideno
fodisfaranno,ò mentre che in qualche altra ma:: -niera licentiolamente
perderanno tempo:& con ^ducendoli pure à delettarfi di quelli piaceri^ nel
liquali gli hanno troaati (ommerfi^lj sforzerano ri fejguitare qudk forte di
follazo^chc è dal uoU go perfettifTimo giudicato. Tale che poi femprc fi
daranno inuol(i,flf occupati nella fantafia fodjsfare à quel trifto defidcrio.
Ma haranno quefta fodisfattione, che cercano di rado: per ciò che il penfiero
deir animo non confente tutto à far qucfto, & però quefti fimili amici
anchora f ben che manco amicitia fia la loro che quella, che di fopra ho detto)
fiC mentre che 1 AMOR loro bolle, fiC poi che egli è eftinto infieme amrche^
uolmente uiuono; per ciò che tengono per cer^j to di hauerfi lun 1 altro data
una ftabiliffima ks de: flC però giudicano eder cpfa ingiufta quel^ la fede
rompere, flc doue già erano amici, inimiss ci diuenìre. Finalmente quando poi
alla natura cedono, fiC dal mondo fi partono, non hauendo anchor mefTe le ale,
ma folo hauendo cominciai to à mettere le penne, non riportano poco pre^t.mio
del loro amorofo furore. P^r, ciò. che la diui^ na legge non uuole,che coloro,
che già haueua no cominciato à caminare per quel uiaggio,chc al ciel può
condurre,difcendino nelle tenebre fottola terra.Ma quelli, che qualche lodeuolc
uita fanno, mentre che infiemc uiuono amore^ uolmente, ac infieme rimettono le
ale.comanda (}ue(U legge che fieno beati: di queflo ne c folo cagione amoVe.
Tante adunquc^fl: fi fatte utilità giouancmio gentile, dall' amicitia d'u^» fio
AMANTE, come da cofa diuina ti faranno dars t2,Ma la compagnia di coluiche non
ama,con:s / giunta folamente con la temperantia del mons: do,fiC non con la
diuina, come è lamicitia d uno amante, & data in tutto ad atti,ft
operationi mortali, fiC uili, genererà nell'animo del fuo ami co quella
licentia di parlare, che pare al uolgo uirtù:fiC farà fi che dopo la fua morte
preftamens: teanderànoue miliaanni intorno allaterra,fiC fotto aggirandon &
errando. Quefta nuoua can zona, ò amatiflimo amore, flc contraria in tutto à
quella, che prima detta haueua. quanto più dottamente, fif in quel migliore
modo, che ho U puto, con paroIe, flC figure poetiche, pereforta:/ (ione di
Fedro in tuo honore ho cantato; per il che perdona à quelle parole,che prima
diffu, Etqqefte cofc afcoltan do, dette da me con gra^s to ànimo^ benigno,
flcfauoreuole mi ti moftra^ fiC non mi priuare per qualche fdegno dell' arte
damare, la quale già m'hai conceffa, ne manco punto fcemar la uogli.anzi più
tofto fammi gra tia,che per Tauuenire io fia per que(la cofa più apprezato^chc
per 1 adictro ftato non fono.oUra eli qucflo fe io.ò Fedro co/à alcuna foco
degna del tue bel nome habbiamo det(o,accofa di ciò lifia.il quale fu primo
autore del noftro ragios namento.acfa.che egli per lo auueiiire più di fimili
cofc non patii: JC riuoltalo alla Filorofia, ' ^ome il fuo fratello
Polemarco.acciò che Fes dro.chcfommamentc io ama, non habbia da tenere bora una
opinione, fic bora un' altra, co* me fino à hoggi ha fatfo,ma più torto nello
ftu dio dell'amore. & della Filofofia meni / giorni della Ulta fua. FED. Io
anchora.fe gh è il •meglio, prego Iddio, che ciò mi conceda. Ma io ti dico
benejl uero. che io flupifco del ragios Bar, che hai fatto, ucdendo di quanto
babbiauanzato quel di piima: tale che io comincio à dubitare.che il parlare di
Xifia non mi babbi à parer ba(ro,«humile.fe forfè un nuouo ragios mmento
facendo, à qucfto tuo lo uorrà aiToes oiigliare, Et uoglio che tu fappi,che
pochiffB mi giorni fono, che un certo noftro cittadino lo uituperò grandemente,
folamente per qucs fto fuo fcriuere.* in tutu la fua accufationc lo chiamaua,
per largii ingiuria. Scrittore d'oratio ili. Tale che per qucfto potrebbe
forfe,fe egli c punto defidcrqib di. hpnore.per lo aiuenire fteocriidircriucrc,
SOCR. Fedro que» Ha tua opinione c degna certamente di rifo, ficfarcftimolto
lontano dalla fàn(afia, & dals la mente di Lifia.fe tu pcnfafli. chc
eglifufs fc cofi timido. Ma forfè che tu credi, che quel fuo accufatore dicefli
il nero in tutte quelleco* fe;checon(raLifiadiflc. FED. Certamente Socrate che
à me parue cofi ne anchora à te è oc culto, che gl'huomini grandi, flC nobili
delia no (Ira Republica temono, fiC fi guardano di coms porre orationi.flC no
uogliono.chc fieno uedutc fcritte,per non moftrarc à quelli, che uerranno,
dcÀTcr flati fofifti.effcndocofa facile lo fcriuerc ttnaOratione. SOCR. A
quefto modo ò Fedro tu non intendi il prouerbio del gombito dolce, ilqual
prouerbioc tratto dal lungo, fiC trifto gombito del Nilo.flC debbi pen fare,
che ^, dicendofi dolce, fia facile, come pare che tu cress da, anchora che il
fare Orationi fia di poca fiti* ca.eiTtndo però di grandi (Ti ma. Et ne
folamens te iiò fai quefta cofa.ma anchora penfo che non ti fia noto.che quelli
cittadini. li quali per pruss dcntia fono eccellenti, attendono grandemente à
fcriuerc Orationi.CC à fare che quelli, che uers ranno,le po/Tino uedere.
Etqueftì tali di mo* do amano quelle perfone, che lodano le compo iitioni
loro,che la prima cofa di quelli fanno mentione.meutione.che hano ufanza dir
bene delli fcrifs ti daltrui.douc 11 truouano. FED. Come dici tu queftoJ'Io non
ti intendo a mio modo •r. SOCR, Non fai tu,chc nel principio d'un libro, che da
qualche huomociuile fia corapo^ fto.fi fa fempre mentione di colui, che l'ha
lo^ dato? FED. Inchcmodof. SOCR La primacofa,che,dicono,cquefta. La opinione
noftra,òuerolanofl:rafcrittura fu appruouafa dal Senato, ò dal popolo, ò da
ambe duerquindi con una certa ambitiofa ricordatone di loro ftef fi, mettono
per ordine tutte quelle parole, che quei tali in fauor loro hanno dette, fempre
dando colui, à cui è il lor parere piaciuto.Dopo quefto dicono quello, che
intendono di fcriucj^ re; fempre faccendo moftra del lor faperc à cos^ loro,
che li lodano, flC quefto lo fanno affai uol^s te: ce non folo nel principio,
ma anchora dipoi che una lunghiffima Orationc haranno detta. Parti egli quefto
altro, che uno fcriuerc Oratici ni? FED. Ccrtamentcnon. SOCR. Ho rafe queftò
dir loro è approuato,fubitOj d' allc:s greza ripieni, fi partono dal
Senato,comc fareb bc un Poeta dal Teatro, fe la fua Comedia fuffe piaciuta. Ma
fe per forte fuffe riprouato,ò rifiu^s Wo^ac il lor configlio non fuffe
ammeffo, ne ri:s pìlfafo dfgfiò di cffere fcritfò con gTi àlfrf /non foJofi
cnvpfono di triftitìaqufi tali, ma li loro amici anchora. FED. Sitrattnftano
certa: in rn te non pòco. SOCR. In queflo mo^ do adunque dimcftrànò,chc eglino
non fanno poco conto di qnefto efercitio di fcriuerc, anzi diapprczirloafTai.
FED. Grandemente cer toloftimano. SOCR. Dimmi un poco, Se qualche grande
Oratore, ò ucro uu Re/i haueCs feacquiftata t^nta facultà,a: tanta fcientia nel
dire, che come Ligurgo, Solonc.o Dario, pote& fe degnamente nella fna città
efTer tenuto Scritii tore perfettifllmo^flC immortale, non gli parria f/Tcre,
mentre che anchor qua giù uinefTe quafl fimile^ò uguale à Iddio / Et quelli,
che dopo luiuengono,conriderandoIeccfe,che egli ha lafciato Tcritto, non hanno
di lui quel medefi^ mocrcderer' FED. CertifTimo. SOCR. Pcnfi tu adunque, che
alcuno (fia pur quanto fi lioglia trillo, ft inuidicfo) Uituperi quefto flu dio
dì fcriuerc? FED. Per quelle core,chc tu hai dette, non par conucniente: per
che eia:» {cuno,pare à me,uituperarcbbc quelle cofe,del le quah egli fi
diletta. SOCR. Etperòque^ fto può efferc à ciafcuno chiaro, che alcuno non c
daelTerc uituperato folamentc per che egli i • fciiua. fcriua. FED. Per che
adunque f SOCR. Ma quello c bene, come io penfo, brutto, par:^ lare, a fcriuere
cofe brutte, ftcattìuc. FED. Quefto è ccrtiflimo. SOCR., Qual farà adun qtie la
ragione dj fciiuerc benc,tt male f Non penfi tu Fedro, che ci facci di bifogno
di firoili cofe domandarne Lifia^ò qualunque altri, che ò nero habbia à qualche
tempo fcritto qualche cofa.ò uerohabbiada fcriueie ò qualche fatto publico d
una citta, ò qualche faccéda priuata, quefto lo facci in uerfi, come Pceia,ò
uero in profa come perfona priuata FED. Mi doman di fe io penfo,chc facci di
bifogno domandare, & cercar di fapere quefla Cofaf' Dimmi un pocd, nó fono
alcuni, che uiucndo ad altri piaceri non, attcdono,che à quelli di domandare K
di uoler da ciafcuno fapere la ragioe delle cofef Et quefti tali come faui, nò
attendono nella loruitaà quel li piaceri,]^ quali di ncceflltà hanno prima quaU
chedifpiacere,altrimeti il piacere no fi potrebbe godere.il quale effetto
interuiene quafi à tutti li piaceri del corpciflfp quello ragioneuolmetc fo no
chiamati piaceri uili H di poco momcio. Soc. Noi habbiamo tepo ÓC cfio aliai,
& ancora mi par ueder,che quefte cicaie,<:he fopr'il Capo noftro,.cantano^com'è
ufan«Joio:ncl caJdo,att^ndar^o à quefta noftra difputa. Se adunque elleno ci
uedefTcro addormentati, come fpeffo molti altri fanno, li quali nel mezo giorno
non difputan:: do, ma più prefto dormendo, fono al fonno per poca anuertenza
loro da quelle allettati, merita^ mente fi potrebbono ridere di noi,confideran2:
do,fl£uedendo che dal fonno uinti fuffimo. Ma fe elleno ci uedranno
difputare,fiC conofce^: tanno, che noi non fiamo flati uinti dà loro(co:5 me
fono alcuni dalle Serene, per il che non pof fono pigliar porto ) forfè che
uolentieri ci donc fanno quel premio, del quale per gratia de gli iddii poffono
à gli huomini fare dono. F E Chedonoèquefto? A me non pare hauerlo mai intefo.
SOCR. Non fi conuiene,che uno huomoftudiofo,flC amico delle Mufe, come fci tu,
non fappi una fimil cqfa. Si narra che quc^: (le cicale inanzi che fuffero le
mufe, crono huo mini: ma nate che furono le Mufe,fiC poi che il canto hebbero
moftrafo,fi dice che ad alcuni di quelli tanto quel canto piacque, che per
cantare non fi curauano di mangiare, ne di bere: £C cofi imprudentemente fi
lafciarono mancare la uita: delti quali nacque la fpetie delle cicale, le quali
hanno dalle Mufe quefta gratia,che non han bi fogno di nutrimento alcuno.ma
mentre che ui iooà uono, foci lO'lOOf IfìOt Sì nono, ftmprc cantando fi
mantengono fcnza mangiare, flC fenza bere, Dipoi finiti i lor gior^ ni, (e ne
uanno à trouar le U iife per dargli no^ titia,fl: informare quali fieno quegli
huoniini^ che qua giù amano più una Mufa,che un'altra» Per il che dimoftrando.
à^.Tcrficore quelli, che ^iu che in altro, ne i canti, flC nelle fefte femprc
fi ritruouano, gliela rendono propitia, OC fauo^ reuole, A Erato poi moftrano
tutti coloro, che ne i càfi amorofi Vitrouandofi, hanno il fuo ftu::
dio&ìmitato,6Chonorato.Et cofi fimilraentc fanno con le altre Mufe,flC gli
mettono in gratia coloro, che più che h altri lamano.Rapportano anchoraà
Calliope, OC à Vrania,che fippreflogli ua,la uita.flC i fitti di coh)ro,che
nella Filofofia fi efercitano;fiC honorano la loro fcientia.Lc qua li oltra
tutte le altre Mufe*hanno cura della cojs - gnitione del cielo, ficfi
efercitano in ragionai menti cofi diuini, come humani con uocifoa^ uiflime* Et
però per molte cagioni dobbiamo dir qualche cofa,ne in modo alcuno habbiamo nel
mezo dì a dormire. FED, Habbiamo à dire per certo. S.O C R. E adunque hormai
tempo di dichiarare quello, di che poco fa ordisi nammo di difputare,ciò è in
che modo un'huo inofcriua,ò parli bene, fiC non bene, £ £ Qocfto c propfo
quello, fopra il qnalf ha da eù: fere il noflro ragionamento. SOCR. Non pcnfi
turche fia neceffario^chc colui, che habx^ fcia da dire qualche cofa/e ne uorrà
ragionare a pieno, fiC bene, habbiapiena^flCuera cognitio:: ne^flCintelIigcntia
di quella coia, della quale pirlaf' FED. Io c Socrate, ho udito dire, che a
uno, che debbi diuentare Oratore, non e nes: ceflario il fapcre quali fieno
quelle cofe che ue^s ramentc fieno giufte, ma debba folamente quel le
conofcerc,che al giudicio del uolgo parran:: no cofi: ne manco debba fapere
quelle cofe^ che ueramente fono buone, « hcnefte,nia quel Ie,chc compaiono.
Perciò che dicono quefti tali, che per uia di quefte cofe non uere^fi può più
facilmente perfuadere.che ccn la uerità, SOCR. Mai òf fdromio,non fi hanno da
iprezare li detti de gli huomini faui,anzi fi deedil/gentemente considerare
quel, che fignifichi:?:iio. Et però à me non pare di iafciar pacare quel le
parole,che hai poco fa dette, FED. Tu parli bene, S o C R. Confideriamo adunque
quefta cola in quefte modo. FED. Cowtf SOCR. Cefi, Se io per cafo fi uolefFi
perfuasi dcre,che tu fuffiper uinceregli tuoi inimici.;quando tu haueffi un
buon cauallo,nc alcuno Ai noi f^ipein che coA Me quefto cauallo,m4'tb
fohtfìtnìt tkpm:chc kù ndtì fai gii come uh tJiaalfo fia fatto, ma che tu penfi,ch'C
egli fià ti*» ànimale domefì/co con gì Wcxhi gridi. FED. v
Sequeftofu/fe/ceftameinte farebbe cofa da rr* <ìere. SOCR, N òn ^t^u cfto
non bafta. Ma quando io con ogni sforzo nìi?ngegfìaffi di pet fuaderti (non
f^pendo nt tu^nfc io àltfC ) chè quello anÌTTidefurti^ un cauàlJo/a per quefto
iò liaue^S compóflÀ nna Òrationeìn lode dell'Afiis no, chiamando quello anrm^lè
càuàilo, afferà mando efTere animale pérfètdfTinìo, utile per ca fa, perle
facccnde/tSc prontiiTimo/fiiore aib battaglia, atto à p citar fome.'fiC à molte
altre cofe tommodiffiiT>o> FED. CJi^^efto fi /che farebì be fuòrd^*
pfopofitóalpònTjble. SOCR. Kon è egli meglio, che un'amico fia ficetó,fit
piaceuò!e,5Cche faccia ridere, che ftrano,ttdi malanimof F '£ O.Cofi par à me.
SOCR. Qnan do adunque un oratore ignorate del male,tt deì bene perfuade i una
città fimilmenre ignoranti non con una oratione compofta in lodxr d'uno Afino,
penfando che fia un Caudillo, ma ragion Dando. flC difputado del male, cr€dedo
che quel lo fia bcnetflC cofi tirando à Tua diiiotionc le opf n oni del uolgo,
metta in quella citta tìn'ufanzà dì far male in cambio dì b'efie,che ricolta
pcnfi tu che un fimile oratore facci della fua (cmtiìUi FED. Non troppo buona.
SOCR. Non confeffihoratu,chc noi habbiamo uitupcrato l'arte dell'orare un. poco
più fcioccamcnte.chc non fi conueniuai' Et fc per cafo ella ci haucfle fentifo,
flf bora fiuoltafTc à noi, «ci dicertr* Seteuoiimpazati Socrate, fiC Fedro mici
cari^ 10 n5 sforzo alcuno à orare, che prima non hab bia cognitione del uero:
ma fé gli huomini fa;? ranno à mio modo,airhora mi imparerano quan do la ueriti
haranno cpnofciufa.fiC io ui pofTo af fermare quefto con uerifà (il che è
certamente gran co(à)che anchor fenza l'aiuto mio, pur che uno fappi render
ragione delle cofe.flC le cono:? fca,harà in fe ogni modo l'arte del perfuadcre
5, Se coftei dicerte cofi,non harebbe ella ragione. FED. Io te'lconfertb^purche
molte ragion ni, che io ho intefo, faccino teftimonio,che il fa per folamente
fia arte; per che è mi pare hauer^ udito certe ragioni, che prouano^che l'arte
del dfre fenza il fapere dicendo d'eflèr l'arte, nò dice 11 uero: per cièche
altro non è, che un' ufo fen za arte. Et Lacone difre,che la uera arte del dire
fenza la uerità trouar non fi può, ne mai fi tro^s uerà. Qtjefte ragioni ò
Socrate fanno hor di bi? fogno, flC però adducendole moftrami un po^
coqucl,checoftoro dicano, flCin qual modot^ SOCR, Soccorrlnmi adunque, ft
ucngano -in mio faiiore tutti gli animali generofi. fiC pcrsx iiiadinoà Fedro,
che fc egli non attenderà alla Filofofia non faperà mai di cofa alcuna à
baftanza ragionare, flC Fedro mi rifponda ogniuolta, che io lo domanderò. FED.
Domandami adunque SOCR. Dimmi un poco,la Ret^ torica non diremo noi, che (la una
arte, che per mezo delle parole alletti gli animi de gli huos mini^ Et queflo
lo fa non folamcnte dauanti al li giudici, flC nelk altre publiche raunate di
huo mini.maanchoraquefta medefima arte difpu^.terà nelli priuati ragionamenti
Mi ciafcunacofa cofi d'importantia,comc non. Per ciò che nien^ te è più
honoreuoie,ò più degno il parlare con arte nelle materie grandi,che fia nelle
piccole* Hai tu mai udito dire quefto.^ FED. Non io certamente,anzi ho
intefo,che quefta arte fola^ mente (ì efercita nelli giudicii,flC nelle
Orationi al populo,ne ho mai udito, che ella fi di^lenda più in la. SOCR • Hai
tu mai intefo ragion tiare della grande arte del dire, che Neftore,fiC VlifTe
efercitauano, mentre che erano à Troia? Hai intefo quella di Palamede 1* FED. Non
io,fe gii tu nò uoleffe dire che Gorgia fuffe Nes ilore,£C Kimilmente che
Trafimaco^ Teodoro fttfléio \Wc. SOCR. forfè che io !o pos»rei dire. Ma Ufciamo
andate ccfloro.fiC rifpon» aiini à quefto, ISe i gindicii gliauuerfani^cb*
liàtaftcìoi «gUno r Non cercheranno feinprc dt cònfradire à tutto quello ^che
dice la parfc confrariac Puoi tu dire,che.faccino altro;' F FED. Quefto
ianno.ft non altro. SOCR. Non contendono, & djfputano fempre cjual fia il
giù ftoi,« qua! fu k) iingiiifto f FED. Cofi è, j^ SOCR. Colui.che faprà fare
quefta cofa con jirtc,i.ion potrà fare anchora che a quelli mede» fin^i pai»
uni cola ficflahora giufta.fthora in;s giufta,.^ fEI>. lo potrà fare per
certa» / SOCR.. Ijtfuwlmeute egli orerà in pu*» l>ljco,potrà fàre,cheaHi fuoi
cittadini le medes fitBCCQf? parranno Upra buone, <SC hora triftc;* FED. ,
Cerfaaiente. SOCR. Et quefta nonèsnarauigliofo.perchc noi habbiamo rn*
tefo.ehe.i^aUiBede Eleaf€,eol fuo artificio del dire era fclito far fi che à
chi,!f)..udÀua.pareflero ie noe defw«.<pfe bora fimili.Sf bofa'diuerfe,ho ta
una c.o{a,iibU,ft hor» wp] te-, bora che ogni cq. fafufreiaiwobile.&hora
che i'ufliuerfa fcms: pre fteffe i,n moto, FED. l' ho intefo ans ^' io pei
certQ. SOCR, Adunque quefta jppteftUa, di confradiKiik fiofe d^tte innanzi^.
non folo è porta nélli giud/di, ft nelle pubfi^' che radunate, ma anchora^come
ti ho moflratoj fi truoua in ogni ragionamenfo,che fi fa: per ciò che dò che fi
dice tutto è un'arte, con la qui le ciafcuno potrà fingere, flc dare ad
intendere à ogni perfona, che tutte le cofe fieno fimih'^ac faperi trouare i
nìodi di moftrare quefta cofa,fl(intenderà come habbia a fare, chiare quefte.
fo:*. miglianze. FED. In che modouuoi tu,' che fi facci quefto.^ SOCR. In
quefto* Dimmi un poco,rngannanfi gii huomini in quelle cofe, che fono tra loró
molto differenti, ò in quelle. che fono poco? FED. Inquelle^ che poco fono
diffimili, SOCR, Bene ha( rifpofto. Hora fe tua poco i poco pafferaida un
fimile all' altro, più facilmente potrai inganni naregli auditori,che fe in un
tratto dfalterai FED. Chi dubita di queftof' SOCR. Adunquc bifogna.che
ogniuno,che uorrà ingannare un* altro, facci prima in modo, che no fia
ingannata egli. Et però farà necefrario,'che conofca beijiJ(fi ino le
fomigliaze flf le diffomigllanze delle cofe. FED, Quefto è neceffario, SOCR.
Potrà adunque uno che fia ignorate della uerftà di eia fcuna cofa dar giuditio
della fimilif udine ò gran de^ò piccola di quella cofa eh egli non cooofcc/
FED. Qnéftocimpofribile. SOCR. Et però c cofa chiara, che coloro, che hanno
qual^s che opinione fuor del naturale, ò credono il fal^ fó di qualunche 'cofa,
non per altra cagione fo^ no in quella fantafia, flCin quel falfo parere, che
per qualche finiilitudine,che gif ha ingan^ mti. FED. Cofi interuiene. SOCR.
Potrai tu dire adunque che alcuno, fé farà di quellocheuorriadifputare
ignorante, pofTa con con arte,flC aftutamente à poco à poco rimuoue^ re uno dal
uero,fiC fargli credere il falfo per uia di qualche firnilitudinej'ò crederai,
che quefto tale poffa fardi non cafcarc nell'errore, nel qua^? Ic'cerca gli
altri condurre FED. Certo che io noi crederò mai. SOCR. Et per quefta cagione
qùàlutìque perfona farà ignorante della uerità dolina cofa, & folo
dairopinione fi lafirie* rà guidare, coftui dimoftrerà di hauere un'arte di
dire fciocca.flC più da fare altrui ridere, che buona ad altro, FED. Cefi mi
pare certe. SOCR. V noi tu hora uedere, ft confiderare flC neiroratione di
Ljfia,che hai in mano,& nel feritire il mio ragionamento, douc fi parli
artifi^t. ciofamentc,a: doue fénza arte. FED. Que^i fto uorrei io più che altra
cofa. Per ciò che al prefcnU noi ragioniamo troppo feccamcnte.no potendo
pofendo dimoftrarc ercnopi chiari di quelle co* fc. che diciamo. SOCR. Si.ma
ionogho, che tu fappia.chc la maggior parte delle Orationi fon dette à
cafo.come è manifefto: le quaxs li ci moftrano chiaramente, che un' huomo.chc
appia bene.flc conofca la uerità delle cofe.men tre che egli con parole
fcherza, ec fenza punto penfarci.ragiona.conduce l'audifore à quello, che
uuole. Et io certamente Fedro, penfo che gliiddìi di quello luogo habbiano
hoggi cagio nato in me quefto effetto di perfuaderti.ft forfè potrei anchor
dire.che le cicale interpreti delle Mufe.le quali fopra di noi cantano,mi
habbias no fatto quefta gratia. per che in foma in me nó è arte alcuna di dire.
FED. Sia come tu uuoi. pur che tu mi moftri qucl.che mi hai promelfo. SOCR.
Leggi adunque il proemio dell' Os catione di Lifia. FED. In questo stato certamente
fi truouano le cofe mierflC quefto.come hai poco fa intefo da me, penfo che mi
babbi à gjouarc affai. Hcra io uoglio che fappia.chc io ftimo,a: giudico, fe
cofa alcuna io ti domanderò.doucrs la da te per quefta cagione impetrare: per
ciò che 10 nó fon prefo del tuo amore. Et che ciò fu iluero,tu fai che gli
amanti, come prima han*; 1)0 la !or libidine faflata/i pentono de i benefis
ci.che t'hanno mai fatti. SOCR. Non legge/ pili. Bifogna bora dire in che cofa
coftm erri.flC quel, che dica fenza artt. Nò ti par cofi:' FED. Certamente.
SOCR. Dimmi un poco, non è quefto chiaro à ciafcuno.che in molte cofe ne i
ragionamenti noftri tutti crediamo à un modo, fi(in molte altre non habbiamo il
medefimo ere derei? FED. Ben che mi paia intendere quel, che tu dici, però io
uorrei che lo diceffi più chia ro. SOCR. Quando unofa mentione del fer ro,ò
dell' argento, tutti fubito intendiamo una incdefima cofa. FED. Certo. SOCR.
Inter uiene egli cofi.quado fentiamo il nome del giù fto.ò del buono, nò crede
all' bora ciafcuno dis uerfamente? Et non pure non ci accordiamo con l'opinione
de gli altri.ma anchora fiamo in dubio della noflra. FED. Cofi ua. SOCR. tt
però in molte cofe acconfentiamo tutti à un inedefimo.flC in molte fiamo di uarie
opinioni. FED. Cofi è., SOCR. Doue potiamo noi più facilméte effere ingannati.
« in qual d,i que ftc cofe ha la Rettorica più forza:* FED. E cofa chiara, che
in. quelle. delle quali più dubis(iamo.piu ha forza l'arte del dire. SOCR, Et
per quefto fa di bifognoi colui, che uuolc ini. parare. jwirare, R atrquiflare
la Retorica, prima di uederc quefte cofe tutte ordinatamente, & feparare
Tuss na dair altra, & gli è neccflàrio ccnofcere di quaf forte fieno le
cofe tatte,intorno alle quali fi può. ragionare, ò uero della forte delle
dubitò pero delle certe:fiC fapere doue maggiormete il uolgo poffi elTere
ingannato,fiC doue nà, J^Jf. U. Ccf tamente Socrate che colui, che col penfiero
^ja^ piffe quefta cofa,che tu dici,harel)l>c una bella cognitione. SOCR.
Dipoi io penfo, che quc fto tale debbia fapere la natura diciafcunacofa, acciò
che dj quella quado gh' farà bifognOjpofFa render ragione: fiC uoglioche
ingegnofamente intenda di qual forte, fiC di che genere fia quella cofa,
intorno alla quale fi debba ragionare ò delle dùbie,Q delle certe. FED. Perche
noni SOCR. Diremo noi, che 1 amore fia poftq tra le cofe certe, ò tra le
dubiei' FED.Trale dùbiecertamente. SOC, Penfi tu ch'egli fi conceda.maliche tu
dica di lui quelle cofe, che poco, fa.hai dettecelo è eh egli fia noceuole all'
amato, flC ali amante Et dipoi ch'egli fia il maggior bene chefitruoui:'' FED,
Tu parli bene. SOC, (Ma dimmi un poco anchora quefta cofa, per cheÀdirti il
uerojo non mene ricordo troppo bene Ì>er effer ^ato io nel ragionamcto mioi
occupato a uinto da quella diuinifà,clic fu (af. Ho io nel principio della mia
difpufa difBnifo^chc cofa fia amore? FED. Si hai,flC beniflimo. SOCR quanto tu
dimoftri (dicendo che io fi bene rho diffinito ) che le Ninfe d' Acheloo.flC
Pan figliuolo di Mercurio, fono più ingegnofi al comporre Orationi, che no fu
Lifu,per ciò che quefti mi hanno fatto dire. Non ti pare egli, che iodica il
ueroi' Ma Lifiaanchora nel principio della sua orazione ci sforza ad intendere,
che la more (come egli vuole ) è un non fo che po fto fra le cofe dubbie, flC
incerte; flC cefi accomodando a quefta cofa tutto il feguente fuo ragionamento,
fini la fua Oratione • Vuoi tu, che un'altra uolta leggiamo il fuo principio.''
FED. Come tu uuoi,ben che quel, che tu cerchi, ih efTo non ci fia • SOCR. Leggi,
acciò che io loda. FED. I N Q^V E S T O flato certamente fi truouano le cofe
mie: ft quefto,come hai po:s co fa intefoda me^penfo che mi babbi à gioua^ re
affai. Hora io uoglio, che fappi,che io iiimo, ce giudico, fe cofa alcuna io ti
domanderò, do:s uerla da te per quefta cagione impetrarerper ciò che io non fon
prefo del tuo amore. Et che ciò fu il uero^tu fai che gì' amanti^come prima haa
DO la lor libidine fatiata, fì pentono de i bcnes: fìci, che ti hanno mai fatti.
SOCR. Egli c molto lontano, fecondo me, da quello, che noi cerchiamo r perciò
che egli pare, che fi sforza di ordinare il fuo ragionamento, non cominciando
dal principio, ma dal fine, con un certo modo à contrari0,ac fotto fopra» Et
che fu il ucro,uedi che comincia da quelle cofe,che l'amante rin^j fàccia al l'
amato, dipoi che T ancore è eftinto, "N 5 tifare egli.che 10 habbia detto
il uero FED. Senza dubio che quello, di che egli nel princirs pio ragiona,è.il
fine. SOCR. Che diremo noi delle altre cofer Non ti pare egli, che tutte le
parti di qiiefla Oratione fieno fparfe confufa:? mente Pcnfi tu che quello, ch^
egli nel fecon;? do luogo ha detto della fua Oratione, egli V hab bia congiunto
con la prima parte, conofcendo cheneceffariamentegli bifognaffefàrlor Et fi::
milmentc le altre cofe,che^egIi ha dette, credi tu, che le habbia con ordinc,flC
con modo difpo fte^ Per ciò chea me, che fono dbgp.i cofa igne rante.pare che
tutte le cofe, che da uno fcrittore fono dette, non debbano cfler dette, flC
ordinate fenza cagione. £ t però uedi, fe tu fapefli truo;? uare qualche
cagione nectffaria^per la quale noi potiamo.dirc,che egli fi fia mcflo à
ordinare,flC H ili djTporrc il fuo ragionamento nel moclo,chc hib biamo
ucdiifo. FED, Troppofareblfc ò So crafe,fe io cefi fcttilmente fapeffi dare
giudicio dellifcritti d'altrui SOCR. Io penfopu:^ rechebjTogneri,che al meno tu
dica,a:con5: fe/Tj quefio cbe tutta un'Orationc debbia ciictc come Ufi animale,
fiC debbia bauete il fuo corpo, i\ quale non fia fenza capone non gli manchi:^
no li piedi, ma che gli babb/a ciafcuna fua parJe conuemente,a: coirifpondente
al tutto. FED. Che uuoitu dire per qucfto?' SOCR. Cons: fiderà ti prego, fc
TOratione del tuo amico Ga fatta cofi,c) altrimcnte,truouerai che ella none
punto difterenfe da quello Epigramma Jl^ua^s le alcuni dicono,che fu fatto
(opra il fepolcro diMida Frigio. FED. Che Epigramma è ques fto,ftdicheforte/
SOCR, Odilo,egli di^ ccuacofi, Son fu' 1 fepolcro una Vergìn di Mida/ Fin
ch'andran T acque, & fien le piante ucrdi. Qui dando, ammonirò cialcun che
pafTj, Che nel mefto fepolcro Mida giace. tìora 10 penfo, che per te fteffo
beniffimo co nofca, che non importa qua! parte di quello •ponghi prima^flC qual
dopo. FED. A ques: fto modo ò Socrate^ tu bufimi, fi£ mordi la no^ ftra
Oràtiòìiè SOCR. Lafciamo adunque àhdare.acciòche tu non (i corrucci meco, ben
che in efTa fi potrebberotroirarcmolti efempi, li qaali confidcrati^ci uerrebbe
quefta utilità, che non imitafiTimofinrili modìdi dire. Ma pafe fiamo alle
Orationi di certi altri, le quali certa:^ irierife hanno in fe qualche ccfa
degna d' cfTerc offeruata da coloro, che di quefta arte fono fturs dioG. FED.
Che cofa è quella, che in que:s fte Orafionifj pnoofTeruarer SOCR. Queftc'
Oratfoni erano tra loro contrarie, per c òchc una irfFernnaua,cbe un giouane
aniato fi douefle ac:? coftare alTamante: <3C un'altra à uno, che non
amafTe. FED. Beniflimo certamefc. SOCR: Io penraua, chc tu rifpondeflj con più
uerità,flC che tu diceffi non bcniflimo^ma pazamente,flC furiofamenfe
certifTimo/non di meno quel, che 10 uoglio dire flC che io cercaua,che tu
diccffi nò può efTerc alfritnenti^come fi ixìoftrerò. Nò hab biamo noi detto
che lanDore abro non è, che un certo furerei' Ì FED.Cofl hàbbiam detto. Soc;
Horaio pogo due forti di furore J'una delle qua 11 èda mancamèto humano
cagionata, lai tra prò cede da una diuina alienatone dr menfe^per la quale è
l'huomo rapifoflC leuato d^lla fu a ordina Ila uita. FED. Cofi è per certo.
Soc. le parti adunque di qucfto furor diuino fon quattro, aU le quali anchora
quattro iddii fono propoftjrpcr dò che noi diciamo, che Apollo fia di quella
inrs fpiratione cagione, che à quelli Sacerdoti uiene, che poi indouinano quel,
che debbe efTere nel tempo auuenire, Dionifio della cognitione di quelli
mifteri,che fono più occulti, flC delle co^ fe, che s appartengono al culto
diuino. Le Mu fc della Poefia, Venere, & Amore dell'amorofo furore affai
migliore di tutti gli altri, £C io non fo in che modo,metre che dianzi uolfi
con imagi^ fìijflC fimilitudini moftrar l'effetto d' amore /orfc può cffcre che
io habbia detto qualche uerità,flC forfè anchora ho trapaffati li termini del
uero. Et perqueflo mefcolando cofi quelle cofe,chc hora ho dette, quel mio ragionamento,
il quale non fu al tutto da efler biafimato,tu fai, ch'io or dinai,flC compofi
quella mia fabulofa diceria, flC quafi fcherzando, fiC per giuoco, modeflamentc
lodai il tuo, ce mio Signore Amore, protettore de giouani gentil* & belli,
come fei tu, FED. Qiiefle cofc l'odo molto uolentieri. SOCR. Et però bora da
quella mia Oratione potremmo cauare, fiCfapereinchemodo la noftra difputa
uenifTe dal biafimo,onde la cominciamo, alle iodi* F E Etcomeuuoitu fare
queflof SÒCR, A mccertamchff pare, che fin qui habbiamo parlato per burla. Ma
fe farà alcuno, che artificiofamente conofca la forza delle due forti, flc
delli due modi di difpufare, nelle quali bora fiamo à cafo incorfi,coftui certo
harà fatto un'opera degna. & bella. FED. Che forti, fiC che modi di dire
fono qriefl:i,che tu dkii SOC La prima è qucfta. Che colui, che uuol
dirputare,facendofi nella mVnte un'idea di tutte le cofe,che uuol dire: &
hauendo à quel [a folamente l'occhio, metta infieme tutte le cose,che fono
fparfe fif diuife, acciò che uedendole tutte raccolte, dando poi la uera
dìffinitione di ciafcuna.quello facci chiaro,& manifeftp,intor:3 no al
quale fi difputerà: come al prefente hab:* biamo fatto noi, che habbiamo
diffinito che cofa fia amore, flC ò bene, ò male, che Thabbiamo fatto, hai pure
hauuto la noftra difputa,per quefta cagione una chiareza, flC una concordanza
in tutte le cofe,che dipoi fi fono dette. FED. Le altre forti di direnò modi,
quali iiuoi tu che Heno ò Socrate. SOCR. L altro modo é quc fto. Che come egli
ha tutte le cofe raunatein uno, di nuouo parte per parte, fecondo la natu^ ra
loro, le diuida,flC parta, flf non fpezi,ògua{|ti membro alcuno del fuo
ragionamento, come farhora li cuocKi mài pratichi fogliono farc,rna faccia quel
medefimo.che habbiamo fatto noi ne i ragionamenti pafTati; nelli quali habbiamo
tntefo quella mutati6e,ò alienatione della mtrte generalmente, ac con parola
commane, anchora che fia buona,& cattiua, Ma fi come in un cot^ po quelle
membra, che fono doppie, si chiama? nocol medefimo nome. ma uno é detto dcftro;
raltrofiniftro",ccfi qiicfta forma della aliena:: tione deliamente
noftra,la quale è dall'amor cagionata, è per natura fua in noi una foIa;flC
cefi babbiamo detto nel ragionamento noftro. Et pero quel pripio parlare,che
facemmo, diuij dendola parte finiftra di quella alienatione, ò mouimento della
mente, fiC di nuouo poi pars: fèndola,non fi reftò,fin che egli ritruouò unais
mor finiflro.il quale conofciuto come cofa non conueneuolfe, uìtuperò. L'altro
ragionamene: fo/he dipoi habbiamo fatto, ci con du (Te à co:s nofcere la deftra
parte di qucfto furore, doue un amor ritruouando inquanto al nome fimile al
fJrimo, inquanto à gh effetti diuinojo lodò, & ingrandì con parole, come
cagione di gran^s diffimi noftri beni. FED. Tu dici il uero. Si SÒCR. Io
certamente o Fedro fon molfo. imito di quefle dmifioni, fiC diquefti
raccogli:?* tendere quel, che io ucgl/o più facilmente; Ò[ meglio ne polfa
ragionare. Et fé mai io ueggo alcuno, che fo penfi^ che egh fia atto a confide
fare bene prima quella idea unfueifale,chc io fi ho detto, pei particolarmente
la moltrfudinc delle cofe fecondo la Datura tero di coftai io feguito le.
pedate, ftgli uo dietm mn altrias menti, che fi fuffe diuino: & colcrO;che
tal eoa: fa fono atti à fare, io gli cKiiimo Dialettici, fc io li chiamoo
bene,o male. Iddio lo fa lui.. Ho: ra dimmi tu di grafia in che modo secondo il
parer tuo, ò di Lifia, tu chiamavcfti coftoro. pare à te quefta q^iella'^arte
del dire, che ufb Trafi^ maco,'flC molti altri faui, li quali per il dir lo?
ìfo furono fenzadubio fiut,coiiìeho detto, flC anchora fecero gli altris"
Talmente che q^ielli^ che da loro impaiono, uorrehbero o'fterirgli do:? )i, come
fi fuol fare à grvndifTimi Re FED. t), Certamente che cometudici.qucUi tali
huo* mini fonodiqncllo honore meriteucli, chealli Re darfi uediamo,ma non per
qaeflo fon dotti in quelle cofe, delle quali hoxa tu domandi. Ma à me pare, che
qnefto fìuouo modo di ragiò nare,tt di difputare^che hai truccato, il quale tu
chiami Dialettica Jo chiami cofi r^ioneuob mcntc.manon per qucdo fappiamo
anchora;' ihccofafialaRettorica.ma fi bene la Dialets fica. SOCR. Come dici tu
quefto !" Penfi tu che cofa alcuna bella,ò ben detta pofli efTerc
giudicata, che quefti miei ordini non feguitf, quantunque con arte fi impari i
Hora per ciò che queftofolononbafta non uoglio che noi lafciamo à dietro
quello.che oltra ciò nella Ret torica faccia di bifogno. FED. Molte cofe ò Socrate
fonoftate lafciafe fcritte ne i libri, che dell'arte del dire fono flati
compofti. SOCR. Hai detto beniflimo, Pcnfo aduque.che il proc mio fi debbi dire
la prima parte della Oratione^ Non domandi tu quefte fimili cofe gli orna*
menti iieri di quefta arte. FED. Senza diibs tio. SOCR. Seguita nel fecondo
luogo la fiarrationé.flC infieme il produrre de i teftimos ni, nel terzo
ucngono le conietture.flC nel quar to gli argomenti, cauati da cofe uerifimili.
Et pa re à mecche un gran compofitor d'Orationi.chc fu da Bizantio,ci mettelTe
anchora le pruoue,CC le ragioni, che faceuanoper colui, chcoraua. FED; Tu uuoi
dire Teodoro, che fu fi eccels lente, è ucro;" SOCR. Si certamente. Coftui
anchora trojiò nella accufatione,fiC nella difens fione^i argomèti raddoppiati,
£t per che non faciamo fìoi ricordanza di Euano Parìo? il qùàfc prima à
tuffigli altri frouò le dichiarafioni: flC cifra di quefto fu inucntorc delle
Oratiohi.chc in lode d'altrui fi fanno, fiC non mancano molti che dicano, che
egli per meglio à memoria ntc^ nerlc,tramezaua le fuc Orationi con certe uifua
pcrationi fatte in uerfi. Et di ciò non è da mara^ uigliarfi^per che egli è un
huomo fauio.Lafcia^ mo pur andare Tifia,flC Gorgia, li quali propone gonoil
uerifiHiile al aero, flc con la forza delle Orationi fanno le cofe grandi parer
piccole, flC le piccole grandi, fimilmcnte che le cofe uec:s chic moftrino effcr
nuoue,& le nuouc uecchie, hanno trouato una breuità di parlare moza, ft poi
per il contrario una infinita lunghcza di parole. Le quali cofe gii fentendomi
raccontare Prodico,fe ne rife,a moftromi.chc egli folo ha: ucua trouafo, quali
parole à quella arte (àceffe; ro di bisogno; & mi difTe^chc ella 'non
haucua di bifogno di molte, ne di pochc^ma fi gouer^ naua in quel mezo. FED.
Sauiamentc difTcProdico. SO CR. Non fa di bifogno ricor^s dare Hippia,per che
io penfo,chc con lui s'accordi anchora il noftro hoftc Helienfe. F E Non
bifogna per certo. SOCR, Che dirc^ mo noi della confonante concordanza.che ha
rif rollato Toh? il q irate In qu arte introcìufjs le repllcationi delle parole
Je fent?tie,le com paratìoni Je fi m i li fri di ni, & Tufo de i nomi con.
elegantia in quel n5odo,che egli da Lidmnionc l'apprefTe. FED. Dimmi un poco
Socrate^ li (critti di Protcìgora non erano quafi fimilià Èjuefti.^ SOCR.
f^edro mio, il parlar di Pros rtagora è buono, fif propio,££ nel luo ftilc fi
truo uaJiomoltecofcnurauigliofe.tTia nel niuouerc à pietà, fiC a
milericordia^ccl ricorJfe41i iiecchie za^ò la pouerfà lorafore di Calccdonia fù
cccel:r Jente, & aiicliora ikH' incitare,fl£ mitigare l' ira ^cra
potentifiìnio^fii non altrimenti placaua una.ifato^che fe egli liane/Te
adoperato li incanti: fa anchcra fopia tutti gl'altri nel difendeifri, fif pur
garfi dalle calumnie dateli, & nel darle ad aU tri ogni uolta,che gli
bilognaua. Ip forno al fi:? ne delloratione pare a mecche tutti s accordino
infieme^ma-ino^ti chiamano quello fìne, Repetitione, 5(molti Ju altro modo. F FED.
Voi tU che li fine fu il ridurre nella memoria alli audi:^ toribrtuemente tutte
k cofe^che difopra fono fiate detter SOCR. Q^ieflo uoglio che fia^, Ci fe tu
inforno à ciò fapeifi qualche altra ccfa; dillà,cheiouolentieri ti. afcolfo»
FED. Io certamente non fo fenoa cofe di poco moipens! to,ac non degne d'efTer
rfcordafe. SOCR. le cofe di poca importanza lafciamole andare;' flC pm predo
attendiamo à dichiarare che forza habbia qiiefta arte quando quefta arte fi pot
ficonofccre. F E Grande certamente, fes; condo me, è.la forza della oratoria
apprefTo alla moltitudine, flf al uolgo, SOCR. Grande per certo. Ma confiderà
un poco di gratia,co^ me fo io, come queftì Oratori, uanno con tutu quefta
loroarte.non di meno male in ordine, flC mefchinamente, FED. Dimmi un poco^
quefta cofacome uaf' SOCR. Stammià udì:: te, Se fuffe unoxhe trouando il tuo
amico Lifi:^ inaco,gli djccfli in quefto modo (o uero a fuo padre Acumeno ) Io
ui dico, che io fo beniffi;: 8ìo,flC conofco quelle cofe, che accoftate à nn
corposo uero da un corpo adoperate ufate,fa rò chea mio fenno quel corpo fi
rifcalderà^flC raffredderà.oltra di quefto io fo prouocare il uo mito,fo fare
reuacuatione,fo ordinare lepurga^. tioni,& intedo molte altre cofe funili:
per il che io fo profeffione di Medico, flC dico di poter fare diuetare Medico
ciafcuno che uprrà. Se uno gli parlalTi cofi,che penfi tu che gli rifpondeffero
Ped.Che uuoi tu ch'io dica altro, fenó ch'eglino i'^auefferoà domadareje anco
egli fa à quali per fonc.in che fempi.ft fin quanto queftc tali co* fe.chc egli
dice fapere.fic conofcere/i hauefles ro à operare, fif ordinare. SOCR. Seaduns
quc colui gli rifpondeflé.che egli di qucfto nó (àpe/Tj render ragione. ma che
faccfTc di bifos gno.che colui che hauelTe imparato da lui quel le cofe che egli
fa/apeffe per fe fteflo.fiC potcfle fare il rcfto.fiC conofcefle i tempi, £t le
perfonc, uerfo di chi.fic quando fi haucfTerà à mandare à effetto. Se quefto
tale gli dicelTe cofi.che penfi tu.che eglino gli rifpondelTero.'FED. Cers
tamente che altro non potrebbono dire.fenon che quefto (al'huomo fiifTe fuor di
fe, con ciò fia.che hauendo folamente da qualche libro di Medicina udito una
pocp cofa.ft elfendogli nel leggere uenutoalle mani qualche modo di mes dicare,
& non di meno non intendendo di quel la arte cofa alcuna, penfi per quefto
effere diuen tato Medico. SOCR. Ma che diretti tu.fe fulfe uno, che.andaffe à
dite a Sofocle, flf à Èus ripide.che egli fa i -una piccola cofa fare un lungo
parlamento, ec per il contrario fopra una grande parlar breuemeute.'' Oltra di
quefto che ogni yolta.ehe uuole.fa commouerc gli audis tori à mifericordia; flC
fimilmentc all'ira.che è fua centuria, fa far nafcere horrore ec spauento/ fa
minacciarci fa fare fimili altre còfc, fiCchc fieli' infegnarle egli penia
faper moftrare Tartc, ce la Poefia Tragica. FED. Io penso che costoro similmcnte
si riderebbero di lui, uedendo che egli teneffe per fernìO,che la Tragedia
folas niente fi conteneffe nel far quelle cofc^chc egli dice fapere.CC non
peniaffe^chc la uera Tragedia uuole tutte quefte cofe bene infieme compo fte,a
ordinate, fic uuole hauere tutte le parti tra loro corrifpondenti.flC
conuenicnti alla materia, CCalfubiettodellacofa* SOCR. Etnopea fo io, che per
quefto eglino lo riprendeffero uiU lanefcamentc, ma farebbero come un Mufico,
che fi abbatteffe in un'huomo,che fi pcnfafTe d'efTer Mufico folo per fapere in
che modo le corde fi faccino fonare, hor bafre,hor alte.Que^ fto Mufico, che fi
deffe in coftui,non gli direb^: be con un mal uolto, O pouero \ te, tu impazi (iome
ogn' altro forfè farebbe ) ma come Mu^i fico. h quali fono tutti piaceuoli.cofi
più amo$ reuolmente lo ammonirebbe. O huomo da be^ ne,colui che debba effer
Mufico, bifogna che fappia quelle cofe, che fo io: £C colui, che fa deU la
Mufica quello^che fai tu/i può dire, che non ne fappia cofa alcuna: per ciò che
tu folamente conofci quelle cofe, che dauanti all'armonìa fof^ no nfceffaric^ma
della armonia ne fefignoranfc; FED, Beniflimo, S O C R. Similmcnfe potrebbe
Sofocle dire à colui, che gli fi facciTe incontro, come io ti ho detto, ciò è,
che egli più predo fapcfTe quelle cofe,che uanno innanzi alla Tragedia, che
eghconofceffe, che cofa fuflc Tragedia. Et fimilmente Acunieno Medico po trebbe
dire à quello altro, che egli fapcffe queU le cofe,che uanno innanzi alia
Medicina, ma che la Medicina non la intendere • FED Cofièper certo. SOCR, Ma fe
lo clegans: tifljmo Adraflo,flC Pericle udifTero quelle parole fcelte,
ftartificiofe, quelli parlari mozi, quelle fimilitudini,fi£ quelle altre
cofe,chepocol'arac contauamo, fiC narrandole giudicauamo effer da confiderare^
penfiamo noi, che eglino (come forfè faremo noi ) fi adiraffero con coloro, che
tal cofc infegnando,penfafrero infegnare l'arte ora^ toria,òpure uogliamo dire,
che eglino, come più faui di noi, in quefto modo dicendo ci ris: prendefferoi'O
Socrate, Fedro Je fonoalcu:? tti.che elTendo ignoranti dell' arte della dialettica
non pofrono,ne fanno diffinireche cofafia rettorica, con coftoro non dobbiamo
adirarci, ma più tofto hauergh compaflione, ££ perdos: nargli Et fono aUuni^chc
ftandofi in quella lo ro fgnorantia, mentre ch'eglino folamenfepof^s^^ggono, fiCfanno
gli amniacftramcnfi, che quel lecofe inlegnano, che uanno innanzi all'arte
della Rettorica,fi uantano,fiC gloriano di hauer troua(a,ec di faper
perfettanìente la Rettorica! ce infegnando folamente quelle cofe che fanno, pensano,tt
dicono di infegnare l'arte dell'orai fc perfettamente. Ma poi il modo di
teffeie in^j Cerne, 6f commettere tutte quelle cofe in un cor po,in tal modo,
che à chi rafcoIta,po(rano per:? fuadere, dicono che fa di bifogno,che lo
fcho;s lare fe lo guadagni, fiC per fe ftelTo Timpari^cois me le à ciò non fi
facelle di bifogno il maeftro, FED. Tale certamente, fecondo me, èquellaarte,
che coftoro in cambio di Rettorica infegna no,a: fcriuono; & mi pare, che
tu habbia detto il uero. Ma dirami un poco in che modo,flC per che uia potremmo
noi acquiftare l'arte d'uno Oratore.flCd'unperfuaforeuero SOCR. Egh è cofa
conueniente Fedro, & forfè neceffa^ ria, che fi come in ogni altra
cofa,cori in quefta un'huomochclauuole acquifl:are, fia in ogni parte perfetto.
Per ciò che fe la natura ti incih nera à effere oratore, fc poi ci aggiugnerai
la dot trina,a la efercitatione,diuenterai un'oratore ec celiente, Ma fe una di
quelle due cofe,prarte,ò la natura tì nianclicri.noii farai perfetto. Hora
quanto quefta arte fia grande, non fi puojecod do me, per quella uia fapere,chc
Gorgia.A Tra:s fimaco feguifarono.ma per altra. FED. Per qualef' SOCR, Non
fenza cagione Pericle è flato giudicato il più perfetto Oratore,che mai fufTe FED.
Perches SOCR. Tutte le arti granxij hanno di bifogno della efercitatione nella
Dialettica, & della contemplatione delle cofe celefti,fiC della cognitione
della natura del le cofe: per ciò che quella alfeza^che nella men te noftra fi
uede,flC quella efficace forza di po: tereciafcunaimprefa cominciata condurre à
ne, pare che nafchi in noi per Io ftimolo^chc quefte cofe baffe^fiC terrene ci
danno, il che Pe^^ ride congiunfe con la fottiglieza del fuo inge^ gno: per ciò
che fidatofi nella domefticheza,CC amicitia di AnafCigora ritrouafore di fimili
cofe, n de in tutto alla contemplatione,tt cofi com^ prefe^^ imparò la natura
della mente noflra^flC anchora del mancamento di quella, il quale •Anaffagora
copiofamente dichiarò,flC di quiui ca uò tutto quello, che à lui parue,che
fuffe al prp porito,flC utile per l'arte della Rettorica. FED. Come andò
queftacofa SOCR. 'Tu fai, <he il modo di medicafe^flC di orare è quafi il
medefimo» Hiedefimo. FED. Ìnchcmodo SÒCR. In ambe due ijfticftc arti fcifogha
diuidcrc la na tura, ma in una fi parte la naturi del corpo, nek l'altra quella
della anima. Pur che non fole per uia di efercitio^flC di far buona, e moderata
ui^ fa.maanchora con Tarte habbia un Medico à dare à un corpo & medicine,
ÓCcibi, di forte che Io faccia fano, ac rcbufto diuentare.Et fimik niente, pur
che fi habbia à metteré in una anà ma la urrtii.flf la perfùafione per ragioni,
flC per giufte,fiC legittime ordinatiorri. FED. Cofi ò Socrate fi dee credere
che fia. SOCR. Uo^ ra penfi tn,chefi pòfll conofcere la natura di djuefta
stnitn^t bafteuolmente, fenza là cognitiòij ne di tutto quefto noftro
compofto.il quald chiamiamo huomor FED. Se fi debba crcs^ dcre a Hippocratc
fucceffore di AfcIepo,non fo lamenfe diremo che non fi pofla conofcere la n*
turi! della a'tìima fenza quella cognittónc,che ta dici,maalnchorache non fi
poffa fapcre queib del corpo. SOCR. Dottamente parlò Hip:^ pocrate. Hòra è
bifògria^ eòrifiderare,fe quefta cofa,ché io t'ho detto, fa al propofito della
no^ ftradifputa. FED. Faccificome tu uuoi. SOCR. Attendi adunque qitello,che
non iblo Hipjpocrate^i^ia anchora la uera ragione di^cario di
qucftainucftfgationc della na(uta,cli€ IO t'ho detto. Cofi adunque la natura di
ciafcurs nacofa fi ha da confiderare* Principalmentehabbiamo da uederc.fe
quella cora,,della quale noi uorremmo fapere 1 attera: ad altri ifegnarla,
èYcn)plice,flC d'una loia natura, ò pure di molte forti. Dipoi cafo che fia fempUce,fi
ha da confi derare, che natura fia la Tua neiradoperarri, ac nel fare, conìe
anchora nell'effere adcperata, fiC nel patire.Mafequefta cola harà più
capi,diui dendoh* prima tutti;& raccontandoh ordinata^ mente, in ciafcuno
habbiamo à cercare particors larmcnte quella fua natura, & intorno al
farc,flC intorno al patire. FED. Cofi pare, che s'hab bia da fare. SOCR. Et
fenza far quefto fasi fi il procedere di colui, come il caminó d' un cieco. Ma
colui, che qualche cofa tratta con ar^, non fi harà adafTomigliare à un decorò
à un Tordo, anzi bifognerà dire, che qualunque farà, che con arte parli à un
altro, prima cercherà chia ramente moftrarc la natura di colui, al quale
parlerà, flC quefto altro no è che lanima. FED. Senza dubbio. SOCR. Dimmi un
poco, Vno che parli ccaarte ad un'
altro, non fi sforss za egli fopra ogni altra cofa perfuadergli tutto ^
fluello,che auolei. FED. Certamente, SOCR. Et péro c cola chiara.che
Trafimaco.Cf qualuns que altro attende à infegnare la Reftorica, prima donerà
con (omnia dilic;entia defcriuere. ìBC di^ chiarare fe l'anima è per natura Tua
una cofi fo^ la^ficfimile tutta afe fl:e(Ta,òuero fe à fimilitu^ dine del corpo,
fia di pia forti. Per ciò che qtian do 10 dico, che fi debba moftrare la natura
della anima, non uogiio intendere altro, che quefto# FED. Cofi douerà fare
certamente. SOCR. Patto che farà quello, bifognerà che egli dimo^: ftri che
potentia fia la fua,fiCuerfo che cofc la polTi ufare,C(à che paffioni ella fia
fottopofta. FED. Certamente. SOCR. Dipoi ha:^ ucndo già diftinte,CC diuife
tutte le forti degli affetti dell'animala de li difcorfi, & ragionai menti
fuoi,gli farà di bifogno raccontare tutte le cagioni, per le quali tali
affretti in lei nafcono, accommodando fempre le cagioni a gli affetti
fuoi,& infegnando le qualità dell'anima, Cf che difcorfi fiano I
fuoi,fiCper che cagione qucfta ftia fcmprcin confideratione,flC in nioto,flC
quel la mal à contemplatione alcuna ne fi leui,flC fem pre fi ftia ferma. FED. Quefta
farebbe una cofa ingegnofiHima. SOC. Et perciò ti dico, che no fi potrìmai
dire, che uno fratti, ò ragioni bene di cofa alcuna, non pur di quefta, di che
t'ho ragio mtòjc alfrimcti procccJèrà.Ma li fcritfbri Ai qut fta arte de i
noftri tepidi quali tu anchora puoi haucre uditi, fono aftuti.flC conofccndo
beniffi^: mo quefta natura deiranima,chc io dico, non di meno ce la afcondono, flC
non ce la uoglionomoftrare. Et io ti dico, che fé eglino non parler
ranno^flCnon fcriueranno feguitando il modo mio, non dirò maliche con arte, ò
bene fcriua no. FED. Qual modo dici tu. SOCR.
Io non ti potrei cofi facilmente dire le parole, che ci uanno,ma in che modo ci
bifognaffe feri ucre,fe l'hauefTemo à fare,te'l dichiareiò in quel miglior
modo, che mi farà poffibile. FED. Dillódì grafia, SOCR. Poi che noi hab:s biamo
ueduto^che la fcientia del dire altro non è, che un tirare à fegP animi, flC un
dikttarfi,bi^ fogna che colui, che debba effere Oratore, cono^j (ca quante
parti habbia quefto animo. Hora quc fte fono affai, flC di molte, flC uarie
qualità, fiC forti,per le quali gli huomini uengono anch' efli diucrfi.ft di
molte qualità. Confiderate quefte cofCiCjpuiamo dire, che fieno tante forti di
Oras: ' tioni,fl(di parlari, di quante forti fono le qua:: liti delle anime noftre.Etperò quelli animi,
che peir le qualità loro fono à qualche lor parti:? «olar dcfiderio
difpofti/fàcilmente con quellimodi di dire fi perfuadono, che alla natura loro
fieno fimili: doue che fe tu in un modo parler rai,a; 1 anime di chi ti ode,
fia altrimenti difpo:? fto,non lo perfuaderai mai. Et però à colui, che harà
bene quefte cofc confiderato,poi che hariueduto,flf conofciuto la natura d'uno,
flC le ope:: re,fif le attioni comprefe farà di bisogno potere in un fubito nel
Tuo ragionamento a{regnare,flC dimoftrare ijuefte Tue attieni, flc dimeftrare
di conofcerle: ft fe altrimenti farà, potrà dire di no Tapere altro che quelle
core,che già dalli maeftri gli furono infegnafe. Ma colui, che può con uc rità
dire,flCconofcecon qual forte di parole fi può ciafcuno huomo perruadere, flC
ingegnofamente auuertifce, che colui, che gli è dauanti,c di quello ingegno,
flc di quella natura, della qua le egli ha dimoftrato,flC fapendo fimilmentc,
che un tale huomo ha bifogno di parole tali^ quale egli è ^per uolerlo condurre
à far quelle co fe,alle quali egli è dalla fua natura inchnato^co^ ftui dico,
che cefi farà ammae (Irato, all' hora po trà u erame n te affermare di
poffedere qneftaarte del dire. Quando aggiugneràà quefte cofe,che iotihodettedifopra,ilfapere
quando fi habs bia à tacere, ce quando à parlare, quando fi habsj bia à effer
breue nel direna quando non^Oltca di qucfto quando conofccrà, quando fi haràda
-uCire una Commiseratione, e qciando una uehe mcntia di parlare più afpra,
quando s'habbia da fare una Amplificaticnc,flC qtiando in fomma fa, prà in
quefto fimil modo uiarc tutte le altre par ti della Oratione,che fono dalli
maeftn (late in:5 degnate: flf prima che tal cofa non fappia^non potrà in modo
alcuno e(Ter detto Oratore. flC co^ lui^al quale una di quelle cofe.qual fi
fia^mans; cheràònel dire,ò nello rcriucrè.òhello infe:? gnare,flC non di meno
affermerà parlare con ar:? tc.airiioraquel tale, che tenia eller perfuafo fi
partirà da lui, fi potrà dire uincitore. Ma forfè qualcuno di queftì
Sciittoridi Rcttorica ci potrebbe direnò Socrate, & Fedro. peniate uoi che
l'arte del dire fi habbiaa imparare in quefto mo do.flC non in altroi' FED.
Socrate à me pare impoffibiìe/he fi pcffi intendere altiimcnti, quantunque
quefta dimodri eflere una opera, & una fatica gianiffima, SOCR. Tu dici il
acro, per ciò che ella è, come tu dici.dilfi:: Cile. bifogna parlando, &
ri£arlando di quefta. cala più uolte,ceicare,tt confiderare fe forfè po teffjmo
ntrouare una uia,che più facilmente, fl£ in più breue tempo iui ci pofc/Ie
menare, acciò che noi noli ^iidiaaio inconfideratamente er;i rando ' ranJo per
ufa lunga, d: difficile, pofendo noi ca minare per una piana, & breue: per
il che fé a qucfta cofa tu mi pcteffi dare qualche aiuto coiji quelle cofe^che
hai ò da Iifia,ò da altri imparai te,uedi di ricordartene, e dichiaramele» F
ED. Potrei forre, per prnnare k mi riufcifle/arquci; che tu dici, ma non in
queflo tempo. SOCR. Vuoi adunque,che io ti racconti un ragionai irento^che io
gii non fo quando, udì intorno a queftacofaf FÉD. Di gratia. SOCR. E fi dice.che egh
ègiufto iddio quello, che uno ha neir animo, come coloro, che pagano quelli
danari alla fiatuii di Lupo, come (ai, FED. Cefi uoglio che ^cci, SOCR. Dicono
^diin qne coftoro,clie non fa di bilbgno tanfo con pa role inalzare (e cofe,che
un dice, ne con lunga Oratione ingrandirle, come fare fi fuole: perciò che
uogliono quefti tali (come habbiamo det^s to nel pnijcipio del ncftfo
ragionamento che à uno,che habbia da eHere Oratori, non faccia di bifogno
ccncfcere la uerifà delle ccfe giufte, & buone A dicendo quefto, intendono
cofi/dcl le cofe,come de gli hucmini òper naturalo pcf ufo giudi. Et
allegganoquefla ragione à prora uare che non bifognjfapere,che cofa Ca il gitH
&o: per che ueJii gmcUcu h Oiatori nò fogliono hauer cura dimoftrarc la
uerità,ma pia prefto at fendono à pcrfuaderc l'opinioni Io. C£ pero dico. Ilo,
che è cofa uerifimile à credere che ia perfuac iìone fola fia quella, alla
quale debba indrizar la mete colui, che con arte uorrà faper dire. Et che» fii
il ucro, dicono cofloro che nefTuna cofa fi ere àttì mai che fia (lata fatta,
fé prima non farà mo ftrato effer cofa probabile fiC aerifimile,che pcfTì
<ffercaccaduta. Ma pure uogliono coftoro,chc -jpiu tofto fi habbino à
addurre le cofe uerifimili neiraccufare.che nel difendere: flC cofi affermano,
che un' Oratore fa poco conto della uerità, & che folo feguita il
uerifimile^flC uogliono che fe quello loro Oratore feruerà in tutte le fue Ora
tioni quefto ordine di moftrare il uerifimile, fi pofli dire, che egli moftri
di faperc l' arte oratoria beniflimo. FED. Socrate tu hai raccon^ fato quelle
cofe, che fogliono dire coloro, che fanno profeffione di infegnare la
Rettorica.Et io mi ricordo.che nel ragionamento nostro poco fa toccammo un poco
di quella cosa e quel, che haidetto, foche debba parere cofa troppo grande à
coloro, che in quella arte fi efercitano. Ma io ti fo dire, che tu hai dato una
buona ba^ donata à Tifia. SOCR. Poi che tu mi hai ticordatoTifia^uorrei che
egli mi dice/Te, fe e pcnfa.chcii probabile, flC il ucrifimilc fia alfro;^ che
quello, che pare al uolgo. FED, Che uuoi fu che riaaltrof*. SOCR. Trono olxra
di quefto, fecondo me, Tifia qucfta altra cofabeU la,& degna di lui, &
la fcrifle anchora. Et que:* fto è, che fé per cafo un'huomo debole, ma au^
dace.che hauc/Te battuto, flC fpogiiatouD'huoi^ mo forte, flC timido^fafTe
menato in giudicio,, uiiole TiTia che nefTuno dicoftoro habbia à con fefTare il
uero,ma uuole che il timido dica.chc egli non è (lato battuto folamente
dall'audace, & 1 audace l'ha à negare, moftrare d effer ft^ (0 folo,flC
pigliare quefto argomento. Come uo^ leteuoi,chcio,chefon debole, habbia
aflalita coftni,che è gagliardo. Ma quel timido no coraj fefTerà per quefto la
fua timidità, ma penfando, ritruouando qualche falfità,cercherà di accu^ fare
Tanuerfario, Et cofi fimilmcntc in molte altre cofe accafcono fimili cafi,
nclli quali(dicc^ ua Tifia ) bisogna haucrc quella arte. Non ti p;i re egli
cofi FedroJ' FED, Cosi certo. SOCR. quanto aftutamente dimoftra
TifiadihauejCieritruouata un'arte afcofa,* diffìcile, ò ueroqua^ lunche altro
(ìa (lato, che habbia tenuta quefta Tua opinione, ft habbia nonfe^comc £i
uoglU»! Ma uuoi tu, ch'io dica quefta coiàio od^ JF £ p« ' Chccofaèqucfla.clicfu
uuofdìre^ SOCR. 'Io uoglio parlare un pcco con Tifia.O Tifia ih» «anzi che tu
ueniffi con quefta tua atte, noi tes ncuamo per certo, che quefto probabile,fiC
ucris fimile.nonfipotefii al uolgo per altro iTiodo mostrare che con la fomiglianza
della ucrità.fiC pcnfauamo.che quelle fomiglianie del uero fos lo da colui
potefTero cfTer trouate,chc peifettas niente la uerif a ccnofceffi. Per il che
fé tu cidi'raiintorno àqiicfta arte qualche altra cosa volentieri ti afcol
faremo: ma Te non dirai altro, noi ci ftarenso à quello, che poco fa habbiamo
defcs to.ft^ 9 crederemo. Et questo è che se
uno non conosce bene gli ingegni delli audfe tori.ft fe quelli l'un da
l'ahro non. diftinguerà, a fe non diuiderà le cofe.di che egli ha da pars lare
nelle fue parti fe quindi di tutte un'idea fola facendo, in quel modo non le
comprendes rà auefto tale nó potri mai acqui{lar*e quella ars te del dire. che
può hauere un'huonrto. Etques > fta cofa non la può imparare fenza,un lungo
uu, dio. Nella qua! cofa un' huomo prudente nófo lamentc fi affaticherà per
poter dùe.a orare in modo, che piaccia a gi'huomini, ma anchora ut cherà di
poter djre.a tare quelle cofc chc habs jj^j^jano da e(ftr gxate a Dio. Per
cièche io uoglioche tu fappia Tifia/he quelli Iiuomini, chc fors no flati più
faui di noi, bino detto che un'huo mo fauio non debba follmente penfare di (om^
piacere à tutte le bore à quelli, che feco fono fa un niedefimo fcruitio, ma fi
ha da cercar di ubi dire à buoni Signori. Per il che non ti maraui^: gliarc.fe
io ufoquefta lunghcza di parole, per ciò che gh è neceffario che io fia lungo efTcndo
le cofc,che io tratto, di importanza, il che forfè tu non credi.Etfappi,che (come
fi fuol dire ) che dalle cofe buone ne nafcono le buone, cofi anchor dalle uere
pofTono uenirne le uerifimili. FED. Qyefta cofa pare à me che fia beniffimo
detta. SOCR. Egli è certo difficile, ma egl'è anchora cofa hoaorata,flf degna
lo sforzaifi (em predi aitiuare air acquifto di cofe eccellenti, fl(degnerà
patire tutti quelli difagi,che in tale sforzo ne interuengcno. FED. Tu hai
ragio ne. SOCR, Habbiamo horaà baftanza ra^ gionato della arte j ce del trifto
modo del comrs porre Orationi. FED. A baftanza per certo. SOCR. Ci refla bora à
ragionare intorno alla bclleza dello fcnuere^flC à dire onde nafca labru teza
dell'orare, FED. Quefto ci refla. SOC. Sai tu in che modo ò ragionandolo orando
lì f offa nelle parole piacere a Iddio FED, Non ccrfo^ft tu? Spc. Io ho udito
dire no fo che cog. fc, le quali già furono infegnate dalli noflri anti
chiamala uerità di qucfta cofa la fanno cffi^fif ilo io. Hora fe noi
ritrouaffemo modo di piacer nel parlate a iddio, pefi tu che ci bifognafTe più
haucre cura di quello,che gl'hucmini intorno a ciò fciocamente pcnfanor FED. Qnefla
tua do ìiiada è da ridere. Ma raccontami un poco quellecofe^chc tu dici hauere
udite. SOCR lo ho udito, che là prefTo al Naucrato di Egitto; fu già un certo
iddio de gli antichi. al quale e dedicato quello uccello, che chiamano Ibin^flC
quefto iddio é detto Theute. Quefto dicono, che fu il primo^che trouòii
numerosa la com:? putatione,flf raccpglimento de i numeri, non folo uogliono
che fuffi ritrouatore di quefta co::^ fa, ma anchora della Geometria, &
della Aftrono miarritrouò anchora- fecondo loro, Tufo de i das di.fiCil mododi
fare le forti, flC finalmente fu inuenfore delle lettere. Era in quel tempo Re
di tutto r Egitto Tamo,2C ftaua in quella granr: di/Tima, CL nobilifTima Città,
che chiamano li Greci Thebe di'Egitto; flC queftì popoli hannp po(]:o nome à
Iddio Ammone. A quello Reue nendo Theute, gli moflrb le fue arti, flf gli diC^
(e.che farebbe flato buono, che egli à poco à pp co le diftribuifcc à tuffi li
popoli dì Egitto. Ma egli domandò a Thcute,che utilità ciafcuna di quelle arti
à gli huomini apportai » Il che di^ chiarandoli Thcute,Tamo approuaua quello,)
che gli pareua ben detto: quello poi, che non gli piaceua. lo biafimaua. fiC
all' hora fi dice che Tamo dichiarò^a moftrò à Theute intorno à eia fcuna arte
molte cofe,flC per una parte^ & per la altra; le quali fe io tutte uolcffi
nan-arti/arei trop po lungo. Ma poi che uennero al ragionar dcU le lettere^
di/Te Theute, Sappi Re. Che quefta difciphnafaràdiuentar egli Egitfii più
faui^flC di maggior memoria: per ciò che ella è ftata tro:j uata per rimedio
della sapientia^ft della memo: riamai che egli rifpofe, Aftutiflimo Theute uo:s
glio che (àppia,che fono alcuni^che fono atti k ^ fabricare gli inftrumentijchc
per una arte fono neceflarii,ac buoni; alcuni altri faranno poi più pronti à
giudicare che dannoso che utile quelli arte debba an:ecare. Matu,chefci padre
delle lettere, forfè perla troppa bcneuoIcntia, che gli porti, haidimofl:ratodi
conofcer poco la forza loro, hauendo affermato che elle cagionano in noi quello
efFetto, del quale niente é uero,anzi fanno il contrario. Per ciò che T ufo
delle lettere facendo che noi poco ci curiamo di tenere à me moria co(aa!cuna, pàrtoriTcfnciram
eli chi fe impara obliaionc di ciascuna cosa. Et qiìefto ne auuicne,pcr db che
confidati nelli fcritti dal tri,non uogliamo cercare di rauuoUarci troppo ncir
animo le cofe: per il che tu non puoi dire d'haucr troiiato il rimedio della
memoria, tna più tofto d' un rammentarfi delle cofe già fapuis (e.Oltra di
quefto à me pare, che tu più preda infegni alli tuoi scholari una opinioe della
Icien ha, che la uerità: per ciò che hauendo quelli fen za la dottrina del
maeftro lette, flC imparate mol: te cofe parràal uolgo.anchor che fieno ignors
ranfi,che non di meno molte cofe fappiano,oU fra di queflo diueterànno nel
praticarli più mos: lefti,flcfafl; idiofi, ne ciòauuerrà senza cagione: per ciò
che efFi non pofTederanno la ucra fapien tiajfhapiutofto feranno ripieni d'
un" opiniors ne di hauerla. FED. O Socrate, tu con poca fatica fingi, che
li Egittii parlano, ft qualunis que altro più ti piace, pur che ti uenga bene. SOC.
Qaefta non è gran cofa, per che ancora quelli, che ftanno nel Tempio di Giove
Dodoneo, affermano che le prime parole del fufuro indouine, che effi udirtera, ufcirono
d'una Querele: li che à quelli popoli del tempo anti^ co (per CIÒ che eghno non
erano cofi faui.co^ SOC fetc uot del dì d'^hoggi ) baftaua pci fr disfare alla
loro fcioccheza udire ie^.pktrf ^i) k Qucrcie.pur che elle gli diceflero il
uero* Ma (i5 peni! che importi qualche cofa chi fia.ò d'onde lia qucllo, ckc
parlj. Et ciò ti auuiene, pcr >ch^ tu non confideri folo fe qucUo.che parla,
dice il uero,ò non, ma uuoi udire parlare i p^erfone à tuo modo, FED.
Ragion^uolmcntc finii h«ii riprefo fif à me certamente pare, che nelle letiP
tere interaenga quello, che fecondo il tuo dire, diceua Tama; chc à coloro
accadeua.chc U (ape tiano. SOCR. Et pero qualunque perfona penfa fcriuendo
intorno à quefta arte, 6 quelle cofc imparando. che da gli altri di lei fono
itatc fcritte, per queftoche dalli fuoi fcritti fi habs» bla certeza alcuna i
cauare.ò uero per il fuo im^ parare,douer faper cofa ucra.coftui certamente c
fciocco, a: di poco cervello.flc fi può dire, che egli fia in tutto ignorante
dello Oraculo di Gìq ue Ammonio, con ciò fia che egli pensi che le Orationi
fcritte pifi poffuio,che non potrà uno chcdafe fteffo fappia quelle cole, delle
quali Quelle Orationi ragionano. F £ BeùiSì^, tno. SOC. Queftoo Fedro ha la
fcnttura piena di grauità,& dignità, che ella è fimihdl^ ina alla pittura:
per ciò cIk ie^opere della pittUiP ra pare clic fìcno ufue^ma fc tu gli
domanderai qualche cofa, uergognofam ente fi taceranno. Hon altrinienti delle
Orationi potrai dire,fif ti parrà, che elleno intendendo qualche cola, U
polfano anchora dire,ft moftrarc. Ma fe poi for^ (e di laperdefiderofo, gli
domanderai di quaU che fuo detto la cagione femprc ti diranno una cosa, e
^<^»^pre ti lignificheranno il medefimo: <3CogniOratione,comeellaè
feritta una uolta, Tempre. flf in ogni luogo la medéfima lì ritruo^ ua,fiC
moftra le cofe fue à quelli, che fanno, à gh' altri,'alli quali forfè niente
importa, flC non faella,o puo dire à chi bifogni manifeftarfi, 6 àchi
nonb]fogni,2(fe mai gh è ingiulla:^ mente fatto ingiuria,© detto mal di
lei,femprc ha bifogno dell'aiuto di fuo padre, ciò è di chi rha fcritta,per ciò
che ella al.nemico non rcpu? gna,ne à fe fteffa può dare aiuto. FED.Quc Ite
còfc anchora pare à me, che fieno ueriffimc,. SOCR. Ma che dirai tu à quello?
Credi tu, che fi polU uedere un'altra forte di parlare fras: tello di i^ueftof
Et che fi polfa concfcere come quello, che io ti dico,fia legittimo, fiC quello
del quale habbumo ragionato badando, & quanto migliore, flC più potente
nafcai' FED. Che parlare è queltof CC come uuoi tu che fi facciaf^ tu' ' Soc. SOCR.
Qucfto parlare è queIIo,chc fi kwt ncir animo di chi impara per mezo della
fcipnjs tia,flC è migliore, per che quefto può aiutare à fc flefro,fif conofce
co qua] forte di p<rfonc fi bia a parlare., flC con quale à tacere. FED. Xji
uuoi dire il parlare d' un dotto, che fia uiuo,flC che habbia fpirito,deI quale
una Oratione fcri(» ta ragioneuolmente potremo chiamare un fimu^s lacro. SOCR.
Quefto dico fenza dubbio. Ma dimmi anchora quefta altra cofa, Vno agr(^
culflcre che fia fauio^ credi tu che uorrà fpargerc^ ft gettare nel tempo della
ftate quelli femi.chc egli bara più cari.ft delti quali egli afpetta con defiderioil
frutto, ne gli horti d'Adone, cor» ogni ftudio,fiC diligentia,acciòche
perfpatio di otto giorni ne pQ)[fi uedcre i fiorii (comelai^chc miracolofamenfe
in quel terreno ìnteruiene) ò nero dirai, che fe egli pure il farà, Io farà per
pat fac tempo in qualche giorno di fefta.fif per darfi piacere, fiC no per
cauarne utile alcuno^Ma quan do egli farà da uero, ce che uorrà "attendere
alla agricuItura,non li feminerà in quelli horti,ma in terreni conueneuoli,flC
gli parrà hauere affair fc con interuallo di otto meli, flC non d otto gior ni
la fuafementafi maturerà. FED. Certamente Socrate, che come tu dici, quel tale
femi;? fi^^è gfi WrH (!• AcJdftc pft btirla.ft per foU lazt),^ nel terreno
buono da uero. SOCR. t>^jf nfaremo noi, che un^huomo. ch^ (appia xke toù'fu
il giudo, Ce il buono, ft« rhonefl-o, fi^ iiello fj^argere la fua fementa pia
fciocco d u fio-agricultorer FED. In nessuno modo. SOCR Ef pero egli no femmerà
i (noi detti ftudiòfamente con la penna nell'acqua negra, ^órtmietten doli alle
fcritturc,fapendo egli che ft'mai poi portaflero pericolo alcuno non gli po tra
dare aiuto: flC conofcendo anchora^che con lèfcriuere non fi può moftrare à
pieno la ueri:? ti. FED. Certo ch^ il feminarecome hai dctfe, è fuor di
propofifo. SOCR. Certo, ma prahìerà beh coilui gli horti delle lettere per
darfi in quella follazo, fiC per pafTarc il tempo/ ce in quelli feminerà^ftcofi
fcriuerà qualche co Éi^t'Af pofcia che fi uederà hauerc scritto, terrà qùéli
fuoi (catti per mcmoria,&' gli harà cari, come fe fu (fero tefori atti à
fargli fcordaie gli afi^ tìnni/che gli ha da arrecare la futura uecchieza.
Etnonfelopenferà,chcgli habbino à cagioni rtàrecjUefto in lui ma in tutti
coloro che feguis teranno le fue pedate, ecinfieme fi rallegrerà di tiedere già
nati i fuoi teneri frutti: fif mentre che Ili altri huomini uanno pur altri
piaceri fegui» tando. tando, cclebràndo conuit?,& fimili altri cU;:»*ti%
egli lafciate quefte cofe folamcntc attenderà a ui nere nclli piaceri^ che
danno li piaceuolj, e dotti ragionamenti* FED, Socrate tu mi nioftli un
trattenimento molto più degno di molti altri, cheà me paiono nili, narrandomi
quei di co^ lui, che può Tempre hauer piacere ne i ragionamenti, a disputare
della giuftitia, «di quelle altre cofe, che tu dici. SOCR. Cofièccrtamente
Fedro mie caro, ma molto più degno ftio c quello di quefti tali (fecondo me )
quando alcuno, poi che ha ritrouata un animala quel locheegh intende infegnarli
afta, ufaudo Tarlc della dialettica, piantala: femina in quella ani; male fue
parole con la scienfia: le quali parole fono bafteuolià giouarà fe ftefre, &
à colui, che le pianta: per ciò che non folamentc portano fc co grandilTinìO
frutto, ma anchoia il if me doa^s de nuoui frutti pedano nalcetc.Onclt^
pafTando poi quefte paroÌe,6: quefte fcientie <A]ixn hixf:^ mo in un' altro,
mantengono qucftft.gtiecic dono immortale: colui, che Ila in fe tal do:? no,
pongono in qdello ftato di beatitudine, che è ^oflibile à un'huomo. FED, Qaxtlh
è an^ chora molto più degno, & honoreuole* S o Hormaio Fedro hauendg noi le
cofe^ che Labe L un biamo dette diTopra conceflc, potiamo beniflirs- ino
confiderarc quelle cofe,che^tu fai. FED. Quali. SOC. Qijelle, che per
conofccrlc fin giù habbiamo ragionato, il qual ragionamen tb non habbianìo per
altro fatto, che per poter ^ confxderare il modo di uitupcrare Lifia tuo in^
quanto all'arte dello fcriuere: non folamcte Liria,ma anchora tutte quelle
Orationi.che con arte.ò fenza arte fi fcriuono. Età me pare, che già à baftanza
habbiamo dichiarato, chi fia colui, cheartificiofofipofli dire, ficchi quello,
che fia priuo d' arte. FED. Cofi pare à me. SOCR. Et però bisogna di nuouo
ricor^ darfi,che alcuno non può perfettamente faperc l'arte del dire,ò uoglila
faperc per perfuaderc Viltrni,òper infegnarla (fi come le ragioni di fo |)ra ci
hanno dichiarato )fc prima non conors fcerà la uerità di quelle cofe ch' egli
dice, òfcri^: uc t ce fe non faprà diffinire tutta la materia deU la cofa,che
tratta: fl£ fatta qùeftà diffinitione,di nuouó diuidere tutte le parti, tenendo
alle co:s fc particolari, ftindiuidue,fl£cofi contemplanti do,flC confiderando
in quefto modo un'anima, alla quale habbia da perfuadere qual si vogli cosa, ac
haucdo quelle cofc ritrouate,che con ogni forte di ingegni fi accompagnano, flC
fono convenienti. 'ucjjJenti.cofi fopra fu«o ordini^ fi: acconci il fuo
parlare, che co un' anima uaria.fi: di diuerle fantafie.accommodi parole, &
modi di dire uas rii.flC di molte forti.flt con una anima semplice, fi£ di un
fol uolere ufi parole femplici.fl£ pure. FED. Cofifièdetto. SOCR. Chedires mo
hora noi di quella queftionc, che di fopra habbiamo tocco. ciòè fe egli è cofa
honefta. ò bratta il comporre Orationi. fi: in che modo questo studio si possi
ragioneuolmente uituperarc, a in che modo non. Non ti pare egli,che le ragioni
dette di fopra ci habbiano dichiarato ques fto paHb i bastanza. FED. QjaaU
ragioni? SOCR. Quefte.che fe Lifia.ò altri. Ccfiachi uuole ignorante della verità
fcyfTe mai.ò ucro fcnue al prefente.ò fcriuerà cofa alcuna priuatas rmcnte.ò
ucro che fi appartenga al publico.cos me farebbeno certe ordinationi ciuili.ó
fimili cofe,flC che coftui penfi.che di quefti fuoi fcritti fe ne possa cauare
una certeza. flC una fermiflima ftabilità.quefta tal cofa T uno fcrittore fe fi
ha da giudicare che fia^brutta. Dichinlo le perfonc. ò noi dichino. chequefto
imparta poco:| ciò che il non sapere, che cosa sia il vero ne il falso intot no
alle cofe giufte.fiC ingiufte, buone, CCtriftc, (anchora che il uolgo tutto
lodoiTe quefta igno.twifia}non può pero effefc.che confidcrarK^o il uero non fu
bruttiflima. FED. Bruftiflima pcrccrfo. SOCR. Perii contrario poi. colui che
penfa che fu neceflàrio qualche uolta per trattenimento, fif per fcherzo
fcriuere^at nó giù <ljca che Oratione alcuna oin profa.o iq ucrfi mcrti^che
fi perdi un gran tempo nel comporta '{come fanno quelh. che fenza
confidcratione al tuna.CC fcnza dottrina, folamentc per daxad ins tendere una
cola.fogliono alle uolte recitare ucr fi)ma terrà per certo.chc li fcritti,che
buoni fi poflono dirc.fieno flaticompofti folo à quelli, chefanno.ma faprà che
nelli ragionamenti, che fi &nno per cagione di imparare.fif di infegnarc
adaltri.fifchc jicrauientc fi fcriuono.fiCimpria: ^tnono nell'animo d' uno.li
quali trattano delle cofe gi"uftc, hcnefte. abuone,in quelli folas mente è
ia uera chiareza flC la pcrfettione. A quc ragionamenti foli tiencche mcntino studio,
ttquefti/olifuoi figliuoli legittimi chiama.dt di queftl ragionamenti
primieramente appr/za quello.chc m fe ftefTo efler conofcc(pur che in fe h
ntroui}dipoi tutti quelji,che di quel fuo parto.comc %lmoli,Cf fratelli,© nel
fuo ania wo.ó nell'altrui menti fono nati: fic. tutti gl'als tri difpreza, a
difcaccia, quefto tale, dico, pare 4 me mt telile fia tale,qualc 3a noi fi
potrcì fyé^8drK!*« rare. FED. lo acmi ò S cerate, efièr conife t:olui,cIic ttì
ilici di queflo ne priego Aìhàtas mente Iddio. SOCR. Ma fia detto aflai^cl
r^rte del dire per qaefta uolta^iiauendo noiparr lato più
per{ratteiiimtnto,-clTe per altra cagioine. E t però tu potrarf dire à Lifia,
ciré ncrtlTenfi do andati doue è il fonte delle Ninfe, ideile
Mufe,habi>iaino uditi certi ragion ameti, li cpali hanno comandato, che noi
dtcfatno A à itif (à tutti gli altri
Scrittori d' Orat foni: ol tra dì quefto à Honicro,ò;fe altri è (lato che c
qualche ftuda,CC bada Poefia babbi compofl:o,ó pùre or nata, fiC
niimerofa,ul{irnaoien(e à Solone/fiCi tutti gii altri^che delle ordinationi
tiiiili hanno fcritto,che fe eglino tali cose: onìpofero con faji peucli della ue<ità,flC
col difputarc, pofTono dì: difendere le cofe^cbe eglino hanno trattato, SOC con
ragioni fa^r fi,chc li fcritti dinioftrano c{{ctc dainanco,ft pia uili delle
parole loio,fif dclU noce uiua,fe quefto che io dico, faranno Farei ine,<he
habbiano à pigliare il nome ne da quel le cose,che con la penna fcrifTero^twa
pio prcftat da quello, che doftamete ccnfiderarono. FED. Etchc cognome lata
quefto, <££ in the modelli lo darai tui' SOC il gran ccgncMM ài piente folo
à iddio/ccondo me, fi conufener flC pero à qucfti tali huomi ni, ch'io tlio
difopradc^ fcritti,gli porrci più conucnicntemete il cogno:: medi Filofofo,ò di
qualche altra uoce fimile. FED, Certo che quefto no fi difconuerrebbc. SOCR. Et
pero dimmi un poco, chiamerai tu ragioneuolmcnte Poeta, ò vero fcritfore d'Os:
rationi.òdi leggi colui, che in fé cofa alcuna no habbia migliore di quelle,
che ha fcrittof' Et che lungo tempo rauuollendofi, fiC aggirandofi il
ceruelIo,con una affidua emendafione finalmen te habbia fatto una compofitionef
FED. Che uuoitudircperquefto? SOCR. Voglio di re, chetudica tutte quefte cofe
al tuoLifia. FED. Et tu non farai il medefimo col tua amico. per che in uero
non mi pare da lafciarlo andare. SOCR. Quale amico dici tu F E Dico
Tfocratcgiouanc perfetto. Che dirai tu à coftui Socrate Chi diremo noi, che
egli fia (SOCR. Ifocrate ò Fedro, è anchora giouanetto^ma io non uoglio
lafciarc di dire quek lo,cheioindouinodilui, FED. Che cofa f SOCR. A me pare, che
egli fia di migliore ingegno,chenon dimoftra d'eflcrLifia per li fuoi Sritti,
& oltra di quello di più gencrcfi cofiumi ornato» Per il che io non mi
marauigliarci punto. punto,fccrcfcendoinIuigIi anni, egli diuens tafTc più
eccellente nell’arte del dire, nella qua le hora si esercita di quànti mai à
quella si sono dati: flC credo, che egli non contento di queftc cofe per un
certoinftintodiuino,cheè in lui, fi inalzerà ad imprefe maggiori; per ciò che
io uo glio che fappi,che nel fuo ingegno è (lata daU la natura poftain un'
certo modo la Filofofia, Quefte cofe adunque, che da quefti iddìi hofa^
pute,manife(leròal mio amicilTimo irocrate,& tu dirai al tuo cariffimo
Lifia quelle altre cose. FED. Cofì farò. Ma partiamoci di qui,con ciò fia che
il caldo fu hormai calatto à fatto SOC« InnanziportajrCjò trarre feco, fen6colui,che
fia t» perato, Penfi tu che fi debba domandare altro ò Fedro A me par hauerc con preghi domandato
uclfo,cbefaceuadi fxifognó, F E Pieg afichoia,che quel trcdcfmio conccdinoa me:
pei ciò che tra gli amici cani cola è conh SOCR Partiamoci Adunque. Ricerca Ganimede (mitologia) personaggio della
mitologia greca, figlio di Troo, coppiere degli dei, Ganimede Ganymede eagle
Chiaramonti Inv1376. jpg Ganimede e l’aquila, Nome orig. Γανυμήδης Sesso Maschio
Luogo di nascita Dardania Professione dio dell'amore omosessuale e Principe dei
Troiani Ganimede (in greco antico: Γανυμήδης è un personaggio della mitologia
greca. Fu un principe dei Troiani. Omero lo descrive come il più bello di tutti
i mortali del suo tempo. «La vicenda mitologica di Ganimede servì da
emblema significante per la natura dell'amore tra uomini, un amore
filosoficamente più elevato rispetto a quello rivolto alle donne: la vicenda
dell'aquila divina si assicurò così un posto d'onore tra i riferimenti
artistici al desiderio omoerotico. In una versione del mito viene rapito da
Zeus in forma di aquila divina per poter servire come coppiere sull'Olimpo: la
storia che lo riguarda è stata un modello per il costume sociale della
pederastia greca, visto il rapporto, di natura anche erotica, istituzionalmente
accettato tra un uomo adulto e un ragazzo. La forma latina del nome era
Catamitus, da cui deriva il termine catamite, indicante un giovane che assume
il ruolo di partner sessuale passivo-ricettivo. Genealogia Figlio di Troo e di Calliroe (o di
Acallaride). Le varianti della sua ascendenza sono molte, Marco Tullio
Cicerone scrive che sia figlio di Laomedonte, Tzetzes che sia figlio di Ilo,
per Clemente Alessandrino è figlio di Dardano[9] e secondo Igino suo padre fu
Erittonio[10] oppure Assarco. Non risulta aver avuto spose o
progenie. Mitologia Bassorilievo di epoca romana raffigurante l'aquila,
Ganimede che indossa il suo berretto frigio e una terza figura, forse il padre
in lutto Il tema mitico fondante di Ganimede è costituito dalla sua bellezza,
di cui si invaghirono sia il re di CretaMinosse sia Tantalo ed Eos, come infine
il re degli dei Zeus, così come si racconta nelle varie versioni della stessa
leggenda. Nell'Iliade di Omero, Diomede racconta che il Signore degli
Dei, affascinato dalla sublime beltà rappresentata dal ragazzo, lo volle rapire
nei pressi di Troia in Frigia, offrendo in cambio al padre una coppia di
cavalli divini e un tralcio di vite d'oro: il padre si consola pensando che suo
figlio era ormai divenuto immortale e sarebbe stato d'ora in avanti il coppiere
degli dei, una posizione che era considerata di gran distinzione. Zeus
per sottrarre Ganimede alla vita terrena si sarebbe camuffato da enorme aquila;
sotto tale aspetto si avventò sul giovanetto mentre questi stava pascolando il
suo gregge sulle pendici del monte Ida, nelle vicinanze della città iliaca, se
lo porta quindi sull'Olimpo dove ne fa il suo amato. Per questo motivo nelle
opere d'arte antiche Ganimede è spesso raffigurato accanto a un'aquila,
abbracciato a essa, o in volo su di essa, e, in varie opere d'arte, è quindi
raffigurato con la coppa in mano. Burkert ha trovato un precedente riguardante
il mito di Ganimede in un sigillo in lingua accadicaraffigurante l'eroe-re
Etana di Kish volare verso il cielo a cavalcioni proprio di un'aquila. Da
alcuni viene anche associato con la genesi della sacra bevanda inebriante
dell'idromele, la cui origine tradizionale è proprio la terra di Frigia.
Tutti gli dei erano riempiti di gioia nel vedere il bel giovane in mezzo a
loro, con l'eccezione di Era; la consorte di Zeus considerava difatti Ganimede
come un rivale più che mai pericoloso nell'affetto del marito. Il padre degli
Dei ha successivamente messo Ganimede nel cielo come costellazione
dell'Acquariola quale è strettamente associata con quella dell'Aquila e da cui
deriva il segno zodiacaledell'Acquario. Busto di Ganimede, opera
romana d'epoca imperiale (Parigi, Museo del Louvre) Mito iniziatico Lo stesso
argomento in dettaglio: Pederastia § Origini iniziatiche. La coppia
Zeus-Ganimede costituisce il modello mitico del rapporto omoerotico tra maschio
adulto e giovinetto, relazione colorantesi spesso di un significato iniziatico
(vedi la pederastia cretese) in quanto finalizzata - anche attraverso il legame
sessuale - all'inserimento del giovane nella comunità dei maschi adulti. Questi
amori "paidici" di un adulto amante-erastès che rapiva simbolicamente
un giovinetto passivo-eromenos potevano venir praticati attraverso schemi
rituali imitanti i veri e propri rapporti matrimoniali e dove, in un luogo
appartato, avveniva la sua iniziazione sessuale. Zeus e Ganimede,
rappresentando la perfetta coppia di amanti maschili, sono stati come tali
cantati dai poeti. Il cosiddetto "tema di Ganimede" era adottato
durante il simposio a modello dell'amore efebico: se anche il Signore degli dei
fu incapace di resistere alle grazie di un fanciullo, come avrebbe potuto farlo
un mortale e poter rimanerne immune? Certamente nella mitologia greca si
riscontra la grande voglia di Zeus nel sedurre le Dee, ninfe, ecc.; per questo
a volte si considera il padre degli dei strettamente d'accordo
all'eterosessualità. Filosofia. Platone rappresenta l'aspetto pederastico del
mito attribuendo la sua origine a Creta e ponendo, quindi, il rapimento sull'omonimo
monte Ida dell'isola: la sua è una critica dell'usanza della pederastia cretese
che aveva oramai perduto quasi completamente la sua funzione originaria,
accusando quindi i Cretesi di essersi inventati il mito di Zeus e Ganimede per
giustificare i loro comportamenti. Nel dialogo platonico poi Socrate nega
che il bel giovane possa mai esser stato l'amante carnale del padre degli Dei,
proponendone, invece, un'interpretazione del tutto spirituale: Zeus avrebbe
amato l'anima e la mente o psiche del ragazzo, non certo il suo corpo. Il
neoplatonismo ci offre una rappresentazione mistica del rapimento di Ganimede;
esso sta a significare il rapimento dell'anima a Dio, e in questo senso è stato
usato, anche in opere d'arte funerarie e anche durante il Neoclassicismo, sia
nell'arte figurativa sia in letteratura. Si veda, per un esempio, il Ganymed di
Johann Wolfgang von Goethe. Mazza (attribuzione), Ratto di Ganimede (National
Gallery, Londra) Poesia In poesia
Ganimede divenne un simbolo dell'attrazione e del desiderio omosessuale rivolto
verso la bellezza giovanile dell'adolescenza. La leggenda fu menzionata per la
prima volta da Teognide, poeta del VI secolo a.C., anche se la tradizione
potrebbe essere più antica; di essa parla anche il poeta latino Ovidio nella
sua opera Le metamorfosi, poi Virgilio nell'Eneide all'interno del proemio,
Apuleio e infine anche Nonno di Panopoli nel suo poema epico intitolato
Dionysiaca narrante la vita e le gesta del dio Dioniso. Virgilio ritrae
con pathos la scena del rapimento: il ragazzo che lo accompagna tenta invano di
trattenerlo con i piedi sulla terra, mentre i suoi cani abbaiano inutilmente
contro il cielo. I cani fedeli che continuano a chiamarlo con latrati disperati
anche dopo che il loro padrone è sparito nell'alto dei cieli è un motivo
frequente nelle rappresentazioni visive e vi fa riferimento anche
Stazio. Ma egli non è sempre raffigurato come acquiescente: ne Le
Argonautiche di Apollonio Rodio ad esempio Ganimede risulta essere furibondo
contro Eros per averlo truffato nel gioco d'azzardo con gli astragali, Afrodite
si trova così costretta a rimproverare il figlio di barare come un
principiante. Nell'opera Come vi pare di Shakespeare il personaggio di
Rosalind si traveste da uomo quando deve andare nella foresta di Arden,
scegliendo il nome di Ganimede: ciò ha portato ad approfondire lo studio del
rapporto che si era creato tra Rosalind e sua cugina Celia, il quale andava ben
oltre la semplice amicizia, avendo dei tratti molto simili all'amore, in questo
caso omosessuale. Statuina di Zeus-Aquila e Ganimede di epoca
paleocristiana Astronomia Per il rapporto esistente fra Giove e Ganimede, il
maggiore satellite naturale del pianeta Giove - il pianeta più grande del
sistema solare e per questo chiamato per omologia come la versione latina di
Zeus, ovvero Giove - è stato battezzato appunto Ganimede da Simon Marius. Gli è
inoltre stato dedicato l'asteroide Ganymed. Nelle arti Nella scultura una
delle immagini più famose di Ganimede è il gruppo scultoreo di Leocare (lo
stesso a cui viene attribuito anche l'Apollo del Belvedere) e tanto ammirato da
Plinio il Vecchio: Leocare ha realizzato un'aquila che trattiene con forza
Ganimede; innalza il fanciullo piantandogli gli artigli nella sua veste. Questo
particolare del rapimento tramite l'aquila è stato spesso elogiato anche in
seguito. Stratone di Sardi lo evoca in uno dei suoi epigrammi, così come fa
anche Marco Valerio Marziale. La leggenda di Ganimede ha ispirato anche un
gruppo in terracotta, probabilmente originario di Corinto e oggi conservato nel
Museo Archeologico di Olimpia: questo è uno dei pochi esempi di grande scultura
in terracotta, e una rappresentazione scultorea molto rara della coppia in cui
Zeus si mantiene in forma umana. Nella ceramica il tema di Ganimede si
ripete spesso, di solito raffigurato nei crateri, quei particolari grandi vasi
entro cui venivano mescolati acqua e vino durante i banchetti (o simposi) che
si svolgevano solo tra uomini, in cui gli ospiti gareggiavano in immaginazione
poetica e filosofica per celebrare i meriti dei loro rispettivi eromenos. Tra i
più famosi è incluso il craterea figure rosse che ritrae da un lato Zeus in
pieno esercizio, dall'altro Ganimede mentre sta giocando con un grande cerchio,
il simbolo della sua giovinezza: il ragazzo è completamente nudo, così come
vuole la tradizione antica sportiva di origine in parte pederastica (vedi
nudità atletica). Il ratto di Ganimede, di Sueur Il Rinascimento ha visto
riapparire innumerevoli rappresentazioni di questo mito, con artisti quali
Buonarroti, Cellini ed Allegri tra tutti. In questo periodo è anche uno dei
temi con più forte significato omoerotico, divenendo una sorta di icona gay
ante litteram almeno fino al XIX secolo inoltrato. Quando il
pittore-architetto Baldassarre Peruzziinclude un pannello riguardante il
rapimento di Ganimede in uno dei soffitti di Villa Farnesina a Roma, i lunghi
capelli biondi del ragazzo e l'aspetto effeminato contribuiscono a farlo
rendere identificabile a prima vista: si lascia difatti catturare verso l'alto
senza opporre la minima resistenza. Nel Ratto di Ganimede di Antonio
Allegri detto Il Correggio la sua figura e l'intera scena è più
contestualizzata intimamente. La versione del Ratto di Ganimede di Pieter Paul
Rubens ritrae invece un giovane uomo. Ma quando Rembrandt dipinse il suo Ratto
di Ganimede per un mecenate calvinista olandese, ecco che un'aquila scura porta
in alto un bambino paffuto in stile putto, che strilla e si fa la pipì addosso
per lo spavento. Ratto di Ganimede, di Gabbiani Gli esempi di
Ganimede in Francia sono stati studiati da Worley. L'immagine raffigurata era
invariabilmente quella di un adolescente ingenuo accompagnato da un'aquila,
mentre gli aspetti più omoerotici della leggenda sono stati raramente affrontati:
in realtà, la storia è stata spesso "eterosessualizzata". Inoltre,
l'interpretazione del mito data dal Neoplatonismo, così comune nel Rinascimento
italiano, in cui lo stupro di Ganimede ha rappresentato la salita alla
condizione di perfezione spirituale, sembrava non essere di alcun interesse per
i filosofi e i mitografi dell'Illuminismo. Pierre, Natoire, Guillaume II
Coustou, Julien, Regnault e altri hanno contribuito ad arricchire le immagini
di Ganimede nell'arte francese tra fine XVIII e inizio XIX secolo. La
scultura che ritrae Ganimede e l'aquila di Cubero, eseguita a Parigi, ha portato
all'immediato riconoscimento dell'artista spagnolo come uno degli scultori più
importanti del suo tempo. L'artista danese Thorvaldsen, di gran lunga il
più notevole degli scultori danesi, ha scolpito una scultura dedicata alla
scena di Ganimede e l'aquila. Particolare di una scultura della
seconda metà del II secolo d.C., da un modello tardo ellenistico a sua volta
derivato dall'ambito figurativo greco del IV secolo a.C. Conservato al Museo
archeologico nazionale di Napoli. AltroModifica Nel linguaggio corrente il nome
di Ganimede è passato a indicare un bellimbusto, un damerino o anche un giovane
amante omosessuale. Pittore di Berlino, Ganimede gioca con il cerchio,
tenendo in mano un gallo, dono di corteggiamento di Zeus. Cratere attico a
figure rosse (Parigi, museo del Louvre). Ganimede e Zeus, e Apollo
e Ciparisso, illustrazione di due miti a carattere omosessuale per le
Metamorfosi di Ovidio (Venezia) Illustrazione gli Emblemata di
Andrea Alciati Ganimede rappresenta allegoricamente l'anima che si
"rallegra" in Dio. Raffaello da Montelupo, Giove bacia
Ganimede Ashmolean Museum, Oxford Alberti, Copia rovesciata da originale di
Polidoro da Caravaggio, Giove bacia Ganimede (sec. XVII). La borsa di denaro in
mano al giovane allude alla prostituzione, in spregio al mito pagano.
Il Ganimede di Antonio Canova "Ganimede", di Cubero
Ganimede abbevera l'Aquila divina, di Thorvaldsen Albero genealogico Atlante Pleione
Scamandro Idea Elettra Zeus Teucro Dardano Batea Erittonio Ilo Troo Calliroe
Euridice Ilo Assarco Ieromnene Ganimede Laomedonte Strimo (o "Leukyppe")
Temiste Capi Priamo Ecuba Anchise Afrodite Latino Ettore Paride Creusa Enea Lavinia
Ascanio Silvio Silvius Enea Silvio Bruto di Troia Latino Silvio Alba Atys Capys
Capeto Tiberino Silvio Agrippa Romolo Silvio Aventino Proca Numitore Amulio
Marte Rea Silvia Ersilia Romolo Remo Età regia di Roma She-wolf suckles Romulus
and Remus. jpg Zanotti Il gay, dove si raccnta come è stata inventata
l'identità omosessuale Fazi editore Secondo l'AMHER ("The American
Heritage Dictionary of the English Language, catamite,
Apollodoro, Biblioteca, su theoi Omero, Iliade su theoi Diodoro Siculo,
Biblioteca Historica, su theoi Dionigi
di Alicarnasso, Antichità romane, su penelope. uchicago.edu. Cicerone,
Tusculanae disputationes, Tzetzes a Licofrone Clemente Alessandrino, su
theoi.com. Igino, Fabulae Igino, Fabulae Iliade, Burkert; Burkert fa
purtuttavia notare che non esiste un nesso diretto con l'iconografia.
Veckenstedt. Guidorizzi, Il mito greco Volume primo - Gli dèi Guidorizzi, Il
mito greco Volume primo Gli dèi Platone, Leggi, Platone, Fedro, Platone,
Simposio, Ovidio, Metamorfosi, 10,152. ^ Apuleio, L'asino d'oro, Virgilio, Eneide,
Stazio, Tebaide, Marius/Schlör, Mundus Iovialis, Worley, The Image of Ganymede
in France, The Survival of a Homoerotic Myth, in Art Bulletin, Chisholm (a cura
di), Alvarez, Don José, in Enciclopedia Britannica, Cambridge
"Ganimede" Ferrier Fonti antiche Apollonio Rodio, Le Argonautiche.
Apuleio, L'asino d'oro. Cicerone, De natura deorum. Diodoro Siculo, Bibliotheca
historica. Euripide, Ifigenia in Tauride. Nonno di Panopoli, Dionisiache.
Omero, Iliade. Omerico, Piccola Iliade. Ovidio, Le metamorfosi. Pausania,
Periegesi della Grecia. Pindaro, Olimpiche, Platone, Fedro. Platone, Leggi.
Platone, Simposio. Pseudo-Apollodoro, Biblioteca. Strabone, Geografia.
Teognide, Frammenti. Virgilio, Eneide. AA.VV., Suda. Christian Wilhelm Allers,
Giove rapisce Ganimede Fonti moderne Edmund Veckenstedt, Ganymedes, Libau,
Saslow, Ganymede in the Renaissance: Homosexuality in Art and Society, New
Haven (Connecticut), Yale; Burkert, The Orientalizing Revolution: Near Eastern
Influence on Greek Culture in the Early Archaic Age, Cambridge (Massachusetts),
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Dizionario di mitologia greca e romana, Roma, Newton & Compton, Cerinotti,
Miti greci e di Roma antica, Firenze-Milano, Giunti, Ferrari, Dizionario di
mitologia, Torino, UTET, Keuls, The Reign of the Phallus. Sexual Politics in Ancient
Athens, Berkeley, University of California Press; Sergent, Homosexualité et
initiation chez les peuples indo-européens, coll. « Histoire », Parigi, Payot,
Gély (a cura di), Ganymède ou l'échanson. Rapt, ravissement et ivresse
poétique, Presses Universitaires de Paris; Guidorizzi, Il mito greco, 1 Gli dèi.
Particolare di Zeus accanto a Ganimede,
di Christian Griepenkerl Voci correlate Icona gay Mito di Etana Omoerotismo
Pederastia Re latini Re di Troia Temi LGBT nella mitologia Altri
progettiModifica Collabora a Wikimedia Commons Wikimedia Commons contiene
immagini o altri file su Ganimede The Androphile Project, The myth of Zeus and
Ganymede. Griffith, Visual arts: Gaymede. "Ganymed" (testo, in
tedesco e italiano). Circa 200 immagini di Ganimede nel Warburg Institute
Iconographic Database Archiviato in Internet Archive. Portale LGBT
Portale Mitologia greca Troo re di Troia nella mitologia greca, figlio di
Erittonio Leda personaggio della mitologia greca, figlia di Testio e
moglie di Tindaro Laomedonte re di Troia nella mitologia greca, figlio di
Ilo Grice: “While some Englishmen would use euphemysms when subtitling
Phaedrus, “a dialogue on love and beauty”, Figliucci contradicts Diogenes for
whom Phaidros is ‘peri ton erotes’ – and has it as ‘il fedro o vero dialogo del
bello’ – del bello is neuter in Italian (kalon), but also masculine – hence
Figliucci’s reference to Giove and Ganimede. Keywords: Giove e Ganimede, il
bello, bei, kalos, kaloi, kaloskagathos, kalon, eros, to kalon, to kalos, eros.
Refs.: Luigi Speranza, “Grice e
Figliucci” – The Swimming-Pool Library. Felice Figliucci. Figliucci.
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