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Tuesday, June 11, 2024

GRICE E MATURI

 LA   FILOSOFIA 01 GIORDANO BRUNO   DISCORSO   DI f    SEBASTIANO MATURI    letto nel di della festa letteraria 17 inarco 1872  nel T{_. Liceo di Trapani       AVELLINO   TIPOGRAFIA TULIMIERO ,E C.   1878      ' |               I      »   XAXAXX^^XXXAAÀAAAAAXXAAXXAAAXXXXX^^OOUUUk    »    \   Signori,   Giordano Bruno appartiene alla illustre falange degli  eroi del Risorgimento . I quali, scuotendo il pesante giogo,  che gravava da lunghi secoli sullo spirito umano, inalbe¬  rarono la bandiera di quella indipendenza e sovranità del  pensiero, donde si origina tutta quanta la civiltà moderna.  La più parte di questa illustre falange di eroi furono fi¬  gli dell’ Italia nostra, ma ,la figura più spiccata, il genio  più alto e più originale, la tempra più ferma e più ga- i  gliarda, che allora onorasse l’Italia e in cui si annunzias¬  se più chiara la bella aurora del nuovo spirito del mon¬  do, fu senza fallo il Bruno.   Ma Bruno, o Signori, non fu soltanto un grande eroe;  egli fu eziandio un gran filosofo. Anzi, esprimendo libe¬  ramente il mio pensiero, aggiungerò che, sotto un ceno      I    — 6 —   riguardo, Bruno è il piu g rande filosofo italiano. Impe¬  rocché, fra tutti i nostri pensatori, quello che è penetrato  più addentro nei segreti della scienza, quello che più pro¬  fondamente ne ha compresa la vera natura , quello che  più d’ogni altro ha sostenuto a spada tratta e a visie¬  ra levata gli etem.i dirilt i Jclla Ugjfipe si è appunto il  filosofo di Nola. Egli è vero che, se si considera il Bruno  per ciò che riguarda la trattazione speciale e determinata  delle singole dottrine filosofiche, si deve confessare che,  per questa parte, egli si trova inferiore a molti altri; ma,  sejij)on mente alla sostanza del pensiero speculativo, bi¬  sogna allora convenire che questa sostanza, come c ò nel  Bruno, non c’ è in nessun altro filosofo italiano.   In questo discorso io non posso trattenermi su tutti  gli aspetti del Bruno, perchè, quando si tratta di un per¬  sonaggio gigantesco e moltilatero come questo, è già ben  troppo, se si piglia ad abbozzarne un lato solo nella bre¬  vità del tempo, di cui io posso disporre. Costretto adun¬  que a limitarmi, io mi farò a guardare nel Bruno soltanto  la stia dottrina filosofica. E fo questa scelta tra perchè è la  filosofia quella, che costituisce il titolo maggiore della gran¬  dezza del Nolano, e perchè questa è la scelta, cui mi a-  stringe con debito speciale il posto, che ho l’onore di oc¬  cupare in questo Liceo.        — 7 —    Signori, se noi ci facciamo a considerare in un modo  generale il carattere proprio della speculazione nel periodo  del Risorgimento, scorgiamo soprattutto due cose. In pri¬  mo luogo, tutti questi filosofi, quantunque con forze disu¬  guali, pure, chi più chi meno, combattono la Scolastica.  In secondo luogo, questi stessi filosofi, se da una parte  combattono la Scolastica, dall’ altra ciascuno di essi esplica  in certa guisa, o almeno avvia la esplicazione delle pro¬  fonde esigenze, che in quella si acchiudono. Ma, fra tutti  questi filosofi , ò Bruno quello , che più fieramente guer¬  reggia la Scolastica, e nel medesimo tempo è lo stesso Bru¬  no quello, che più di tutti gli altri traduce in atto, per  quanto è possibile ai suoi tempi, le esigenze poste dalla  Scolastica nella storia della filosofia.   Per occuparmi adunque, con quella brevità che sap¬  pia maggiore, della filosofia Bruniana, io devo innanzi tutto  accennare quale sia la posizione del pensiero filosofico nella  Scolastica, e quali siano quelle esigenze dell’attività spe¬  culativa, che in siffatta posizione si rivelano.   Ebbene la posizione del pensiero filosofico nella &  |^^ca^ è la seguente. In questa filosofia l’intelletto con¬  cepisce la verità come es istente della natura e f  dell’ uomo; c quindi considera tanto F una che P altro co-  me affatto destituiti di ogni elemento divino. La natura,    Wi   Mimi* /sJaVu'M   W” te     1        dinanzi allo intendimento scolastico, non ha valore di sorta;  essa è pura ombra, puro giuoco, e onninamente sfornita di      qualsiasi significazione ideale ed assoluta. Per la stessa ra¬  gione, l’uomo è considerato come una semplice creatura  e come essenzialmente contaminato dalla colpa: tutto quel¬  lo che riguarda 1’ uomo, tutto che gli si attiene in proprio  comecchessia non è altro che miseria, abiettezza, vanità.  Per tal modo, dinanzi allo intendimento scolastico, Dio re¬  sta spogliato di tutti quei principii ideali, che si svolgono  nella natura e nello spirito umano; appunto perchè tanto  il mondo naturale che il mondo umano sono considerati  come una sfera ed una evoluzione del tutto estrinseca al-  1 assoluto, e non già come la estrinsecazione propria del-  1 assoluto medesimo e la effettuazione sempre più verace    della sua unità (i). »   Intanto, mentre da una parte il pensiero scolastico    (l) « In der tibersinnlichen Welt war keine Wirklichkcit dcs  denkenden, allgeuaeincn, vernùnftigcn Selbstbewusstseyns anzutreffen:  in der umnittelbaren Welt der sinnlichen Natur dagegen keine Gòtt-  lichkeit, weil sie nur das Grab des Gottes, wie der Gott ausser  ihr, war. — Gott war wohl im Selbstbewusstesyn, dodi von Aussen  und zugleich ein ihm Anderes, eint andere Wirklichkeit: die Natur  von Gott gemacht, sein Geschòpf, kein Bild seiner » (Hegel, Ge-  schichte der Philosopliie, Zweiter Theil, S. 178, 204, Zweite Auflage).       rimuove in tal guisa e discaccia la verità da tutti gli es¬  seri, e quindi anche da £è stesso, dall’altra parte poi ha  la pretesa di voler comprendere la verità medesima colle  semplici forme vuote ed astratte della propria attività. Que¬  sta pretesa è quella che spiega perchè gli Scolastici det-  tero tanta^ im portane d lo^iudio^ldwPgllsi^rg , fletto, cioè,  al^) studio ^ di_g^m^^|^ch£poi a ragione fu appellata lo¬  gica scolastica. Ed in effetti dovea esser cosi, perchè quante  v volte, ad onta che si sostiene essere la verità estrinseca  al pensiero, si fa tuttavia ogni sforzo per arrivare a de¬  terminarla mediante le forme proprie del pensiero, egli è  giuocoforza che tutto il lavorio preliminare e fondamen¬  tale della speculazione si faccia consistere nello studio di  queste forme.   Considerando però attesamente questa posizione del-   9   l’intelletto scolastico t non si può non iscorgere in essa  una profonda e radicale contraddizione. Imperocché, affer¬  mando che la verità è affatto l«ori del mondo, quella ra¬  gione, che è nel mondo, dovrebbe abbandonare qualsiasi  aspirazione alla conoscenza di essa, e quindi rassegnarsi a  non cercare altrove il proprio obbietto che nella bassa  sfera della esistenza puran^nte fenomenica e peritura. Ma  la Scolastica, ardente come è dell’ amore della verità, e  profondamente agitata dal bisogno dell’ eterno c dell’ as-       ro —    soluto, non potrebbe, per certo, acconciarsi a questa d-   9   miliante condizione. Ed è per questo die, quantunque ella  abbia collocata la verità fuori della natura e fuori dello  s pirito , tuttavia si fa a, cercarla con un ardore indescrivibile,  e il cielo, in cui intende a trasportarla, si è appunto il cielo  del pensiero. Ma, siccome un simile tentativo — quando si  è stabilito un ra pporto di asso luta estrinseche zza tra la verità  ed il pensiero — deve tornare necessariamenie infruttuoso  ed inane, cosi è che, mentre la Scolastica si argomenta con  tutte le sue forze di raggiungere la verità, non riesce che  a notomizzare le forme del proprio intelletto, e, in vece  della verità, non ottiene altro che tritumi, sottigliezze ed  astrattaggini. Sotto questo rapporto adunque si può ben  dire clic la j _^|^srica è una barbara filosofia dell’ intelletto  astratto, una filosofia senza contenuto suo proprio, una fi¬  losofia, che non offre nessun verace interesse ed alla quale  non ò più possibile ritornare (i).   Mi limito a queste poche riflessioni per ciò che ri-  *   (!) « So hoch auch die Gegenstàndc waren, die sie (die Schola-  Stikcr) untersuchten, so cdele, tiefsinnige, gelelirte Individucn es auch  unter ihnen gab: so ist doch diess Ganze eine barbarischc Philosophie  dcs Vcrstandes, oline realen Inhalt, effe uns kein wahrhaftes Interesse  erregt, und zu dcr wir nicht zuruckkehren kOnnen » Hegel, Geschich-  te der Philosophie, Zweiter Theil, S. 177-78.           ri    ■’uarda il lato debole della Scolastica. Ma oltre questo lato   f? - -L.W -- 4'Ji i k - uli-^ .r-t - ‘   la Scolastica ne Ita anche un altro, ed è quello appunto  in cui, se io non m’ingannò, cpnsiste il suo vero signi¬  ficato, e-per cui essa si connette colle filosofie posteriori,  e trova nelle medesime il suo proprio esplicamento. Qui  intanto mi si permetta una breve digressione. Ordinaria¬  mente, quando si fa la critica di una dottrina filosofica, si  crede esser bastevole mostrare gli errori, che in essa si ac¬  chiudono. Eppure egli è un fatto che, in quella guisa stessa  che nel mondo della realtà etica il male ha la sua ragione e  il suo principio nel bene, cosi simigliantemente, nella realtà  storica del pensiero filosofico, l’errore ha la sua segreta  radice nella verità. Per la qual cosa la semplice confuta¬  zione dell’ errore non può costituire che il lato meramente  astratto e negativo della critica filosofica, il cui arduo e  gravissimo compito' consiste, in vece, nello investigare  quella verità, che si nasconde sotto lo involucro apparente  dell’ errore, e senza di cui terrore stesso non sarebbe pos¬  sibile. La storia della filosofia, che è appunto 1’obbietto  della critica filosofica, e che ò critica filosofica essa stessa,  non è un’arena di dispute infeconde, non è una vicenda  di avventure di cavalieri erranti, clic si vadan battendo  soltanto per proprio conto , che si agitino e si affannino  senza scopo, e le cui gesta si dileguino, senza che resti di     12    loro la menoma traccia. Egli è, nella stessa guisa, asso¬  lutamente falso che la storia della filosofia ci presenti lo  spettacolo di tale, che arzigogoli di qua, e di tale altro, che  almanacchi di là a suo proprio talento: egli havvi, all’ in¬  contrario, nel movimento storico del pensiero speculativo,  una continuità ideale e necessaria, ed un procedere deter¬  minato dalle leggi stesse della ragione (i). Chi non è con¬  vinto di questo vero, chi non ammette questo governo del¬  la Provvidenza nella storia della filosofia, come nella sto¬  ria dell’ umanità in generale, non. può intendere affatto il  valore intrinseco di nessun sistema filosofico, e non può  investigare, mediante la critica, quelle ragioni ideali, che  fecero apparire i diversi sistemi, e che, ad onta di tutte le  contraddizioni, fecero passare gli anteriori nei posteriori,  come nella loro propria espressione e nella loro verità. È  con questa convinzione adunque che io mi fo a determina*   (i) Die Thaten der Geschichte der Philosophie.sind   nicht nur eine Saramlung von zufàlligen Begebenheiten, Fahrten ir¬  render llìtter, die sich fur sich heruraschlagen, absichtlos abmOhen,  und deren W’irksamkeit spurlos verschwunden ist. Eben so wenig hat  sich hier Einer etwas ausgeklfigelt, dort ein Anderer nach Villkùr;  sondern in der Bewegung des denkenden Geistes ist wesentlich  Zusamraenhang, und es geht darin vernùnftig zu (Id. ib. Einleitung,   S. 32).         — 13 —    re brevissimamente iMato vero della Scolastica, quel lato,  cioè, in cui consiste il significato storico e razionale della  medesima.   Come ho già innanzi accennato, la Scolastica fa due    cose: da ^yjyyxt^e^one la verità fujp della natura e fuori  dello spirito, e dall’ altra si argomenta, benché indarno, di  trasformare la medesima in contenuto razionale. Ora io  domando in primo luogo: perchè la Scolastica pone la ve¬  rità fuori della natura e fuori dello spirito?      idi*    Ebbene la risposta vera per me è questa. L^^jcok^-  stica ha un profondo sentimento dell’infimtacmKretezza  dell’ Idea cristiana; essa sa che questa Idea è superiore alla  natura ed allo spirito finito, e che la sua realtà non è  quella isolata, astratta e fugace, che ha luogo nella sfera  delle cose sensibili £d illusorie. Egli è vero che, mentre la    Scolastica ha questo profondo sentimento dell’ infinita con¬  cretezza dell’Idea cristiana, dall’altra parte poi non si av¬  vede che questa concretezza si trasforma in una mera a-  strazione, qualora le si sottraggano tutti quei principii, che  si manifestano nella natura e nella spirito; imperocché, in  tal caso, in vece di avere 1’ ente realissimo, la realtà delle  realtà, la idea delle idee, non si ottiene altro che un as¬  soluto indeterminato, solitario e trascendente, un assoluto,  a cui fu tolto tutto quanto il regno della realtà e della       14 —    vita. Ma la Scolastica non poteva accorgersi di questo er¬  rore; imperocché, non essendo ancora sceverata nella na-  ura e nello spirito la esistenza ideale ed eterna dalla e-  sistenza empirica e passeggera, essa non potea fare altro,  che quello che fece: dov ea porre P assoluto fuori della na¬  tura e fuori dello spirito .   Però, se i grandi pensatori della Scolastica ritornas¬  sero in questi tempi, nei quali la scienza ha messo in ri¬  lievo la forma eterna ed immutabile delle cose, certamente  essi non esiterebbero un istante a riconoscere la vita stessa  di Dio in tutto questo contenuto infinito ed imperituro  della realtà naturale e della realtà umana (i). Se adunque  la Scolastica vilipende e degrada in tal guisa la realtà della  natura e dello spirito, questo sbaglio non appartiene a quel  pensiero interiore, da cui essa è animata e a quelle ragioni  ideali, che l’hanno fatta sorgere nella storia, ma appartiene,  in vece, alla semplice posizione immediata e, dirò cosi,  provvisoria, in cui si muove. Quello che appartiene al suo  pensiero Interiore c profondamente speculativo si è il con¬  cetto, benché vago, di una più alta realtà, si ò il bisogno  di un mondo migliore, si è la esigenza di una natura spi-   (i) È inutile dire che questa scienza, di cui qui parlo, non è  certamente il trasformismo,    4           — *5 —    i   rituale, redenta, deificata, di una natura, in cui ci sia dato  ravvisare la realtà stessa di Dio e quindi scernere in ogni  cosa un’ idea assoluta ed immutabile. E difatti, se la Sco¬  lastica rifugge dal mondo, se lo dichiara una vanità, ciò  è perchè nella sua coscienza si agita 1* idea del vero mon¬  do, di quel mondo, in cui ha luogo la vera presenza del-  l’infinito, e in cui perciò si trova realmente conciliato l’e-  lemento mondano col divino.   Egli è vero che fu questa stessa idea quella, che pro¬  dusse nel medio evo la più mostruosa confusione del di¬  vino e dell’ umano, e la più spaventevole barbarie, che im¬  maginar si possa; ma egli è vero altresì che, in fondo a  quella confusione e a quella barbarie, vi è un significato  della più alta" importanza, vi è la sorgente di quella ve¬  race conciliazione, in cui consiste il fondamento incrolla¬  bile della vita moderna (i).   La seconda cosa, che troviamo nella Scolastica, si è lo ^   (i) Es hilft nichts, das Mittelalter eine barbariche Zeit zu nen-  nen. Es ist eben eine eigenthùmliche Art der Barbarei, nicht eine  unbefangene, rohe, sondern die absolute Idee und die hòchste Bil-  dung ist, und zwar durchs Denken, zur Barbarei geworden; was einer-  seits die gràsslichste Gestalt der Barbarei und Verkehsung ist, ande-  rerseits aber auch der unendliche Quellpunkt einer hòhern Versóh-  nung (Id. ib. Zweiter Thell, S. 179).      sforzo di riprodurre il contenuto della fede in una forma  razionale. Ora io domando di nuovo: che cosa vuol dire  questo sforzo? Vuol dire, naturalmente, che la Scolastica, ad  onta di tutte le apparenze contrarie, non si accontenta affatto  di una verità inaccessibile, di una verità, che non sia fatta per  r intelletto umano. Quello, in vece, che essa cerca, quello,  a cui aspira ardentamente, si è appunto la forma razionale  della verità della fede, e tutta l’attività, tutta l’energia infati¬  cabile delle sue profonde meditazioni non tende ad altro  che a tradurre queste verità nel linguaggio proprio della  ragione. Ed in effetti tutti i grandi pensatori della Sco¬  lastica non si accontentano della pura e semplice fede:  essi vogliono credere e credono davvero, ma vogliono  credere pensando ed intendendo; essi, come dice S. An¬  seimo , non cercano d’intendere per credere, ma credo¬  no per intendere; e tutto ciò perchè sanno che la reli¬  gione è fatta per 1’ uomo, non per l’animale e che le  verità, che in essa si contengono sono state rivelate da  Dio, che è la ragione assoluta, e che perciò devono essere  necessariamente razionali (i). Egli è vero che gli Scola-    (i) L’ Hegel, parlando di S. Anseimo, dice cosi: Sehr merkwùrdig  sagt er, was das Ganze seines Sinnes enthàlt, in seiner Abhandlung  Cur Deus homo (i, 2), die reich an speculationen ist: « Es scheint       stici fanno distinzione di verità intelligibile e di verità so¬  vrintelligibile, ma questa distinzione ha tutt* altro signifi¬  cato da quello che si crede ordinariamente. In effetti la  Scolastica non fa questa distinzione, perchè forse ritenga  essere davvero sovrintelligibili in sè stesse quelle verità, che  essa chiama con siffatto appellativo, ma la fa in vece per¬  chè, fino ad un certo punto, essa supera sè stessa, ed ha  una certa coscienza della posizione storica in cui si muove.   %   In altri termini la Scolastica si accorge che quell’ intelletto,  di cui fa uso e i criteri logici, di cui dispone, non sono  sufficienti a far comprendere la natura e le determinazioni  della verità cristiana. Ma con tutto ciò ess? non si arrende e  non si scoraggia, ma si fa in vece a lottare gagliardamente  colla sua stessa posizione storica e dichiara, per cosi dire, col  fatto stesso delle sue profonde lucubrazioni, che 1* impo¬  tenza del pensiero non può essere assoluta ed insupera-   mir eine Nachlàssigkeit zu seyn, wenn wir ini Glauben fest sind,  und nicht suchen, das, was wir glauben, auch zu begreifen ». Utzt  erklàrt man diess fur Hochmuth; unmittelbares Wissen, Glauben hall  man fur bòiler als Erkennen. Anselmus aber und die Scholastiker   haben das Gegentheil sich zum Zweck gemaclit.Dénn der   Gedanke, durch ein einfackes Raisonnement zu beweisen, was ge-  glaubt wurde — das Gott ist —, liess ihm Tag und Naclit keine  Ruhe, und quàlte ihn lange. Ib. S. 146.    3        bile. Ed è per questo che il perpetuo tormento, che tra¬  vaglia quei {orti intelletti di Anseimo, di Abelardo, di Pie¬  tro Lombardo, di Duns Scoto, e via dicendo, è riposto  addirittura in quelle verità, che chiamano sovrintelligibili.  Dal che si può scorgere che, in quehe mjjjafoU^ri^ ed  asmuu^jgmdella Scolastica, vi è un arditissimo ed immenso   tentatm^w ò il tentativo dell’ assoluta autonomia, del-   " .... —   1’ attualità infinita della ragione. In altri termini, vi è quel  colossale tentativo, che poi produsse, sotto lo aspetto reli¬  gioso, la Riforma, sotto lo aspetto sociale, la rivoluzione  francese, e che alla fine divenne filosofia tedesca e parti¬  colarmente filosofia Hegeliana. E fu appunto in questa fi¬  losofia che venne soddisfatta l’aspirazione divina del pen¬  siero scolastico, e trovò il suo adempimento il vaticinio  di Cristo: Ego rogabo Patron et alitivi Paracletum dabit  vobis, S piritimi Veritatis : ille vos docebit omnia.   Come è chiaro adunque da questi pochi cenni, quel-  1’ attività filosofica, che si agitava nella Scolastica, studiata  nelle sue intime ragioni, ha il significato di una duplice  esigenz a, che essa pone nella storia della filosofia. La pri¬  ma è quella che ho già detta, cioè la esigenza di una na-         t ura ideale, di una natura spiritualizzata e in cui si possa  daddovero ravvisare il regno e la realtà di Dio (i).   La seconda esigenza, la quale deriva dalla prima, si è  quella di un intelletto superiore, di un pensiero tale che,  contenendo in sè la verità, sia, per ciò stesso, in grado di  attingerla dal suo fondo medesimo e di provarla in un modo  assolutamente razionale.   Ebbene tutta la storia della filosofìa moderna altro  \   non è che 1’ attuazione successiva e sempre progrediente  di questa duplice esigenza; e la prima, benché parziale, at¬  tuazione df essa si è appunto la filosofìa del Risorgimen¬  to. A me qui spetta di mettere in rilievo brevemente la  gran parte, che ebbe il Bruno nell’ attuazione di questa  duplice esigenza, £ di chiarire come egli, per servirmi delle  sue stesse parole, sia davvero nella mattina per dar fine  alla notte, e notì nellà sera per dar fine al giorno.    (i) È stato detto che ogni scoperta della scienza È una detro¬  nizzazione di Dio. Questo pronunziato è vero soltanto per rispetto  al falso concetto di Dio. Quanto al Dio vero, al Dio cristiano la  sentenza giusta è, in vece, che ogni scoperta della scienza non può^  essere che una nuova affermazione, una nuova prova della esi¬  stenza di Dio.        20 —      cacaXcip    ^tf    cVi\>    Signori, il principio fondamentale della filosofia Bru-  niana è il seguente. Bruno concepisce Dio come essenzial¬  mente creatore. Il che vuol dire che nella creazione il  Bruno non vede già un fatto accidentale ed arbitrario, nè  una verità di second’ ordine, ma ci vede la essenza stessa  di Dio. Dinanzi alla mente del Bruno, Dio in tanto è quello  che^ è, in quanto crea; se non creasse, non sarebbe Dio,  perchè non farebbe atto di divinità. Il Dio del Bruno, in  somma, è il Dio cristiano, è il Dio creatore, o per dir me¬  glio, è il Creatore (i). Anchejhniobe'p^nj pjqmi nostri. lia  conshi^gw^uestaveritj^igji^J^jjigjj^jj^jjj^jjh^^^la   ma nel Gioberti però questa verità non è ac¬  compagnata da una chiara coscienza. Il Gioberti dice sem¬  pre che 1 ’ atto creativo è la verità sup rema. e che nella  contemplazione di quest’ atto, tanto in sè stesso che nelle  forme particolari della natura e dello spirito umano, con¬  siste appunto la vera riflessione filosofica. Il fatto è però  che, quando si* va a vedere, questa grande verità (e che  è realmente il principio e la radice di ogni verità), nella  filosofia del Gioberti, si riduce ad una semplice parola:    (0 Sulla imperl'ezioue di questo concetto come è nel Brnno  vedi in fine.            «    — 21 —   è un detto, di cui egli stesso non si rende conto, e che  perciò non gli giova nè alla sistemazione generale della  sua dottrina, nè, molto meno, alla trattazione speculativa  di una parte qualsiasi della scienza. Nel Bruno in vece  almeno fino ad un certo punto, la cosa non va così. E U v,»   per verità il Bruno dice nettamente: « In Dio il potere e il  f are è tutt’ uno . Egli non può essere altro che quello che  è; non può essere tale, quale non è; non può. .potere altro  che que llo che può: non può. volere altro che quello che  vuole, e necessariamente non può fare altro che quello  che fa. L’ ajone^ sua è_ necessaria, perchè procede data- -t~  le volontà che è la stes sa n ecessità. In lui libertà, volon¬  tà , necessità sono affatto medesima cosa, e il fare col  potere volere ed essere» (i). Ed è per questo appunto che  egli arriva a concepire il principio universale del tutto  come unità di materia e forma ( 2 ). È vero che anche il    (1) De l’infinito Universo e Mondi, Opere itti. Wagner, v. 2,  p. 25 — 26.   (2) L’ Hegel, dopo di aver citato il bellissimo luogo del Bruno  (De la Causa, Principio et Uno, Dial. 3, pag. 261) dove dice: « Se  sempre è stata l a potenza di far e, di produrre, di creare, sempre è  s tata la p o tenza di esser fatto , prodotto e creato; perchè l’una po¬  tenza implica l’altra ecc, soggiunge: Diese Simultancitàt der wir-      l ujtl*   4/C [rifa             — 22 —    Gioberti ha detto che il principio universale non è nè  l’ idea, nè il fatto, ma il fatto ■ ideale. Però questo fatto i-  deale del Gioberti non è che una espressione diversa del  lo stesso atto creativo, e perciò non aggiunge nessun  valore veramente filosofico al principio medesimo. Questo  principio, nella filosofia del Bruno, è la chiave di tutto il  sistema, è il centro vero c produttivo di tutta la sua dot¬  trina, ed è come la fonte, da cui scaturisce liberamente e  consapevolmente tutta la ricchezza delle sue meditazioni.  Nella filosofia del Gioberti, in vece, quantunque la parola  non manchi mai, tuttavia il principio stesso dell’ atto crea¬  tivo ci si trova, come dire a pigione, rincantucciato ora  in nn angolo, ora in un altro, senza aver mai la forza  di girare la mazza a tondo, di cacciare via tutte le rap¬  presentazioni della coscienza ordinaria, e di dichiarare  solennemente che la casa della filosofia è casa sua.   Egli è d’uopo però confessare che, anche nella filosofia  del Bruno, questo principio non arriva a spiegare tutto   kenden Hraft und des BeWìrktwerdens ist eine sebi 1 wichtige Bestim-  mung; die Materie ist nichts ohne die Wirksatrilfeit, die Form also  das Verm&gen und innere Leben der Materie. Vare die Materie bloss  die unbestimmte Móglichkeit, wie k-ame man zum Be'stimniten? Ib.  S. jo8.        il suo valore. Ciò si può vedere, chiaramente quando si  osservi che, se da una parte il Bruno pone la rivelazione  di Dio come essenza stessa di lui, dall’ altra poi non fa  consistere tutta quanta la essenza di Dio in questa rive¬  lazione medesima. Secondo Bruno , Dio rivela^ solo una  gran parte di sò stess o; un’ altra parte, quantunque mini¬  ma e quasi ridotta ad un punto microscopico ed insigni¬  ficante, resta però assolutamente irrivelabile. Dal che si  scorge che Bruno non sa disfarsi in tutto del vecchio so¬  vrannaturale della Scolastica, e mettersi cosi pienamente  d’ accordo con sé medesimo. Imperocché, quantunque egli,  tr asfon d endo la vita di_ Dio nella realtà della natura , ridu¬  ca quel sovrannaturale a minime proporzioni, lo assottigli,  lo scarnifichi e scheletrizzi in guisa da poterlo anche met¬  tere in canzonatura ed abbandonarlo quasi balocco alla me¬  ditazione dei teologi, ciò non ostante lo lascia li come  qualcosa che non si estrinseca, che non cade nella crea¬  zione, che non diviene materia di quell’ atto assolutissimo,  nel quale, secondo lui stesso, consiste la vera essenza di  Dio. Quantuque però quest’ultima .ombra del vecchio Dio  tenebroso induca un grave difetto nella filosofia Bruniana,  tuttavia egli è da osservare che la correzione di questo  difetto è data già, implicitamente, nello stesso concetto,  che il Bruno si forma del principio universale delle cose.           Ed è per questo che Spinoza, continuatore di Bruno, potò  sbarazzarsi totalmente di quel caput mortuum del medio  evo, e recare così a grado di esplicamento più compiuto  il concetto di Dio, o della verità che dicasi, come atto crea¬  tivo. La necessità di questo esplicamento storico e razio¬  nale del principio del Bruno si può vedere agevolmente,  quando si rifletta che la idea di Dio come il Creatore im¬  porta che, non potendo egli avere una doppia natura, non  può, per ciò stesso, nulla contenere, che rimanga al diso¬  pra dell’ atto creativo, e non giunga a grado di esplica¬  zione reale e vivente nella realtà infinita dell’universo.  Dire da una parte che al disopra dell’ atto creativo resta  nell’ assoluto qualche cosa, che non si rivela e non piglia  il suo posto nè nella natura, nè nello spirito, e dire poi  dall’altra che la essenza di Dio consiste nella rivelazione  ^di sè medesimo, sarebbero pronunziati contradditori. Spi¬  noza adunque, rompendola assolutamente con quella falsa  idea dell’ estramondano, non fece che esplicare logica¬  mente il principio fondamentale della filosofia del Bruno.   Da questo principio, di cui ho brevemente discorso  e che costituisce quello, che vi ha di più intimo nella fi¬  losofia Bruniana, come in ogni vera filosofia, perchè non  esprime questa o quella forma dell’ Idea, ma l’Idea stessa  nella sua intrinsechezza ed universalità, da questo princi-        — 2 Ì —    pio, dico, ne scaturiscono due altri, c sono: la esistenza j /  eterna ed ideale di tutte le cose, e quindi la vera imma¬  nenza di Dio nell’universo. Questi due principii, vera¬  mente, non sono che due modi diversi di considerare, e  direi quasi di esprimere, lo stesso concetto; ma questi due  modi hanno una cosi grande importanza nella filosofia del  Bruno e nella filosofia in generale, che io credo mio de¬  bito fare una parola e dell’ uno e dell’ altro. Cito un bre¬  ve tratto relativamente al primo modo di considerare il  detto principio. Il Bruno adunque dice cosi: « Le sole  forme esteriori delle cose si cangiano e si annullano, per¬  chè non sono cosi) ma delle cose, non sono sostanze, ma  delle sostanze sono accidenti e circostanze. Che se delle  sostanze si annullasse qualche cosa, verrebbe ad evacuarsi ^  il mondo. Nulla cosa si annichila e perde 1’ esserg^eflffi- Jj  to che la forma accideittidL£atSàQtS-0^£S2Ì£? P c ™ tiUV  to la materia quanto la forma sostanziale di che si voglia  cosa sono indissolubili e non annichilabili » (i).    Da queste poche parole, che ho citato, si può vedere,  senza una difficoltà al mondo, comedi Bruno sia davvero  un idealista di prima forza. Per Bruno ogni cosa, consi-  derata nella sua forma interiore, è una natura determina-     (i) V. Dialogo 5-° e 4.° De la Causa, Principio et Uno.   4 '       — 26 —    ta, eterna ed immutabile; ogni cosa ha la sua idea. Tut¬  to 1’ universo non è che una trama di principii o for¬  me assolute, le quali si sviluppano e si rinnovano eterna  mente nella loro esistenza esteriore e sensibile, ma con¬  servano eternamente la loro natura ideale ed incorrutti¬  bile. Per tal modo la essenza di tutte le cose dell’ uni¬  verso non è niente di indefinito o di arbitrario. Tutto ciò  che è ha la sua legge, in fondo a tutte le cose vi è un  eterno statuto che le modera e governa; ed è questo sta¬  tuto appunto quello, in cui deve travagliarsi la meditazio¬  ne del filosofo. Egli ò vero che in tutti gli esseri vi ha  numero, differenze e moltiformiti, ma il numero, le dif¬  ferenze e la moltiformità di un essere qualsiasi altro non  è che lo sviluppo di un principio unico e fecondo; e quin -  di anziché importare mutazione o cangiamento nella na- .  tura di esso, ò in questo sviluppo, in vece, che si effet¬  tua e s’invera sempre più compiutamente la natura del-  1’ essere medesimo.   Signori, se il Bruno avesse spinta più oltre la inve¬  stigazione di questo principio, e si fosse fatto ad appli¬  carlo alla storia, egli avrebbe potuto porre un secolo pri¬  ma, almeno in un certo qual modo generale, quel gran  concetto, che forma la gloria di Giambattista Vico. E  s^pWtt^rió^che^èhah^uaidea. se tutto quello        — 27 —    che si svolge nell’ universo ha la sua legge, e come dire,  il suo codice eterno ed immutabile, anc he la storia dev e  a vere la sua legge e il suo statuto ; e quindi deve esser  possibile la ricerca di questo eterno statuto della storia ,  deve esser possibile, io voglio dire, l a^ filosofia della sto -  ria. Il Bruno però, bisogna confessarlo, non ha piena co¬  scienza di tutti quei tesori, che si acchiudono nella sua dot¬  trina. Ciò derivi, in parte, dal soverchio entusiasmo, on-  d’ egli si abbandona e si dimentica nella contemplazione  della infinita natura; e, in parte e principalmente, dalla  profondità stessa e dalla fecondità inesauribile dei suoi prin¬  cipi , dei quali, certamente, non si poteva avere ai suoi  tempi una chiara e perfetta coscienza.   Confessando però che il Bruno non giunse a questo  gran concetto del Vico, io debbo aggiungere che, con tutto  ciò, il Bruno non è affatto inferiore al Vico; anzi, espri¬  mendo liberamente quel che penso, dirò che Bqjqq, come  metafisico, gli $ di gran lunga superiore. Nel Vico que.  sto gran concetto della storia ideale ed eterna non si ap¬  poggia su di una metafisica seria e profonda, anzi questo  concetto è in assoluta opposizione colla metafisica del Vico.  E per vero , quanto a metafisica, il Vici) non esce dalla  posizione dello intendimento scolastico; e credo anche non  sia ingiustizia lo aggiungere che, se si paragona il filosofo        1AV    la    tettar                         napoletano coi più grandi pensatori della Scolastica, que¬  sto riscontro non può riuscirgli molto favorevole. Dal che  si può inferire, che il gran concetto della storia ideale ed  eterna, se da un lato e per ragion di scoperta è tutto pro¬  prio del Vico, dall’ altro poi e per ragion di natura, esso  fa parte della dottrina del Bruno. Imperocché, quantunque  il Bruno non si sia innalzato alla contemplazione del di¬  segno ideale della storia, tuttavolta è nella metafisica del  Bruno e non in quella del Vico il fondamento e la pos¬  sibilità di siffatta contemplazione. Egli è vero che il me¬  rito del Vico non consiste soltanto nell’ avere ammessa    una storia ideale ed eterna , e perciò nell’ avere ricono-     | differisce essenzialmente da quella, che governa la natura.       Nella natura, dice Vico, è Dio che ope ra, mentre nella  storia opera 1’ uomo, e pure, operati lo lui, compie il di¬  segno eterno della storia, effettua gli eterni decreti della  Provvidenza. Cosi l’uomo, in questa nuova posizione, non  è soltanto /’ infinito effetto della infinita causa, non è sem¬  plicemente /’ eterna genitura dell’ eterno generante , ma è  eziandio qualche cosa di più. E in questa posizione sol¬  tanto è possibile la vera filosofia compiuta, la vera con-          templazione di Dio come Causa sui. Questo concetto della  Causa sui , cioè della Causa della Causa non c’ è_^_dav-  vero nell' assoluto Bruniano (come non c’ è neppure in  quello di Spinoza), quantunque sia appunto questo con¬  cetto quello, che travaglia incessantemente la sua coscien¬  za e quello stesso di cui fa uso, come mostrerò in ap¬  presso, nella sua dbttrina della conoscenza e della libertà.   Tutto ciò adunque non si nega. Ma non si può ne¬  gare però, d’ altra parte, che questa nuova e più alta po¬  sizione, in cui ci colloca la dottrina del Vico, è resa pos¬  sibile soltanto dalla posizione Bruniana. Solo ammetten¬  do l’Idea, come essenzialmente manifestazione di sè me¬  desima, si può e si deve arrivare, quandochessia, al con¬  cetto di quella tale manifestazione, la quale esprimendo dav¬  vero V Idea , ed essendo essa proprio quello stesso che è  I Idea , e perciò rappresentando non più una manifesta¬  zione esteriore, ma il ritorno dell’ Idea in sè medesima, de¬  ve necessariamente essere governata da una legge affatto  differente da quella, che governa le manifestazioni este¬  riori, non effettuatrici esse stesse del principio assoluto.  Stando in vece alla posizione della metafisica'del Vico,  non solo non è possibile ammettere questa legge fonda-  mentale della storia, ma non si può neppure ammettere  il concetto generale di una storia ideale ed eterna.    30 —    f- VK^/   5 ^ .    Passando ora al secondo aspetto del principio che  sto esponendo, cito in prima un breve tratto del Bruno.  Nel primo dialogo della Cena delle ceneri il Bruno si e-  sprime cosi: Noi « conoscemo tante stelle, tanti astri, tanti  numi, che son quelle tante centinaia di migliaia eh’ assi¬  stono al ministerio e contemplazione del primo, univer¬  sale, infinito cd eterno efficiente. Non è più imprigionata   la nostra ragione con ceppi di fantastici mobili e motori.   Conoscemo che non è eh’ un cielo, una eterea regione im¬  mensa, dove questi magnifici lumi serbano le proprie di¬  stanze , per comodità de la partecipazione de la perpetua  vita. Questi fiammeggianti corpi sono que’ ambasciatori che  annunziano 1’ eccellenza de la gloria e maestà di Dio. Cosi  siamo promossi a scoprire V infinito effetto de l’infinita  causa, il vero e vivo vestigio dell’ infinito vigore, et abbia¬  mo dottrina di non cercare la divinità rimossa da noi, se  l’abbiamo a presso, anfi di dentro, più che noi medesimi  siamo dentro a noi ».   Signori, questo principio della imma nenza di.Dio ne^Ja  natura e nello j>£Ìrito sorge la prima volta col Bruno nella  storia della filosofia. Fu Bruno il primo che si fece a cer¬  care davvero la Divinità nell’ infinito mondo e nelle infinite  cose, e fece di questa ricerca la esigenza fondamentale e  lo scopo unico di tutto quanto il sapere filosofico. « Di        — 3i —    questa infinita presenza di Dio nell’ universo, dirò colle  belle parole del nostro più profondo pensatore vivente ,  nessun filosofo ha discorso con tanto entusiasmo e con¬  vinzione , quanto Bruno. La sua voce era come il primo  grido di gioia della natura che ora cominciava a scoprire  sè stessa e a conoscersi n#l suo reale valore » (i).   Premesse queste poche cose, io posso ora determi¬  nare il significato che ha nella filosofia Bruniana la dot¬  trina dell unita dell universo. Ciò facendo, resterà meglio  dualità la importanza di quel poco che ho esposto finora.  Ma prima cito un breve tratto del nostro filosofo. « Quan¬  do l’intelletto, dice il Bruno, vuol comprendere la essenza  di una cosa, va semplificando quanto può; voglio dire, da  la moltitudine si ritira, rigettando gli accidenti corruttibi¬  li... Cosi la lunga scrittura e la prolissa orazione non inten-  demo, se non per contrazione ad una semplice intenzione.  I.’ intelletto in questo dimostra apertamente come ne P u-  nità consiste la sostanza de le cose, la quale va cercando o  in verità, o in similitudine.... Quindi è il grado de le intel¬  ligenze, perchè le inferiori non possono intendere molte  cose, se non con molte specie, similitudini e forme; le su¬  periori intendeno migliormente con poche; le altissime con    (t) Spaventa, Saggi di Critica, p. 228.       — 32 —    pochissime perfettamente; la prima intelligenza in una idea  perfettissimamente comprende il tutto... Cosi adunque, mon¬  tando noi a la perfetta cognizione, andiamo complicando la  moltitudine, come, discendendosi a la produzione de le cose,  si va esplicando l’unità ». Quindi è che « ogni cosa che  prendemo nell’ universo, perchè ha in sè tutto quello che  è tulio per tutto, comprende in suo modo tutta l’anima del  mondo. E cosi non è stato vanamente detto, che Giove  empie tutte le cose, inabita tutte le parti dell’ universo ».  È per questa ragione che « quelli filosofi hanno ritrovato  la sua amica Sofia, li quali hanno ritrovato questa unità.  Medesima cosa a fatto è la Sofia, la verità, la unità » (i).   La ragione di questo principio nella filosofia del Bru¬  no risulta già chiaramente da quel poco che ho detto fin  qui. Imperocché se Dio è immanente nella natura e nello  spirito, egli è manifesto che quel principio, che si attua  nell’ uomo e che dà luogo a tutte le forme del suo svi¬  luppo , non può, considerato in sè, essere altra cosa dal  principio che pone la natura. Ammessa la dottrina della  immanenza, /’ arte interna del pensiero , per servirmi delle  stesse parole del Bruno, deve necessariamente appartenere    (i) De la Causa, Principio et Uno, pag. 287, 28}, 282. 283.       — 33 —    allo stesso artefice- interno della natura; e quindi quel prin¬  cipio, che forma i minerali, le piante, gli animali, deve  essere quello stesso principio, che pensa nell’uomo. Il che  vuol dire che, se da una parte tutte le forme della natu¬  ra e dello spirito hanno una sostanzialità loro propria, una  loro natura specifica e diferenziale, dall’ altra cosi le pri¬  me come le seconde non possono essere che gradi diversi  della stessa unità fondamentale del tutto, di quell unità  della materia e della forma, del reale e dell’ ideale, in cui  consiste la radice di ogni esistenza. Ed ò per tal modo  soltanto che si può cessare l’assoluta separazione di spi¬  rito e materia, di realtà consciente e di realtà naturale,  separazione che degrada tanto 1’ una che l’altra, e che fa  dello spirito qualcosa di astratto e d’inconcepibile, e della  natura un mondo senza vita, senza ragione e senza finalità.   Signori, per questa dottrina il Bruno è stato gene¬  ralmente accusato di panteismo; ed anche in questi ultimi  anni la maggior parte di coloro, che in Italia hanno trat¬  tato del Nolano, si son fatti a rinnovare questa vecchia  accusa, senza però investigare seriamente, e spogli di pre¬  concetti, il vero senso della dottrina Bruniana e il signi¬  ficato preciso della teoria panteistica. Io qui, naturalmen¬  te , non posso far la critica di questa accusa. Dirò sol¬  tanto alcune cose principali. E in primo luogo osservo   5        — 34 —    che, anche quando il Bruno non fosse altro che un sem¬  plice panteista, bisognerebbe sapergli grado almeno per  questo: voglio dire che bisognerebbe sapergli grado perchè,  dop o le astrattezze della Scolastica, egli avrebbe posto al¬  meno il principio della unità del mondo, e quindi ricollocata  la filosofia sul suo terreno naturale. Imperocché, si dica pure  tutto quel che si voglia, il principio su cui si fonda il pan¬  teismo, c che è l’unità dell’infinito e del finito, dell’ideale e  del reale, è quel principio, da cui appunto comincia la filo¬  sofia, e senza di cui nessuna filosofia è possibile. E per ve¬  ro dal momento medesimo che comincia la speculazione  filosofica, e quindi la ricerca della essenza universale di tutti  gli esseri, comincia per ciò stesso una certa unificazione,  o identificazione, se così piace dire, di tutte le cose in un  principio unico ed assoluto. Questo principio adunque è  come la prima lettera dell’ alfabeto del pensiero; e chi non  ha pronunziato ancora questa lettera, chi, cioè, non si è  ancora innalzato a questo nesso universale in cui si uni¬  fica e cielo e terra, e che è come il pernio, a cui si ap¬  punta tutto quanto 1’ universo, chi, dirò colla bella imma¬  gine dell’ Hegel, non si è ancora bagnato in questo etere  purissimo della unità del mondo, deve essere ancora cer¬  tamente assai lontano dall’ augusto santuario della coscien-     — 35 —    za filosofica (i). Fino a questo punto adunque la dottrina  panteistica, anziché essere un sistema particolare di filosofia,  é la filosofia stessa nella sua più intima essenza. Onde  è che, se una filosofia si differenzia da un’ altra, questa  differenza non può nascere dilli’ ammettere o non ammet¬    tere l’unità, ma soltanto dal modo diverso di concepirla  e di determinarla; imperocché, come ha già detto bella¬    mente il Bruno, medesima cosa affatto è la Sofia, la ve¬  rità, P unità. La qual cosa è stata vista lucidamente anche  dal nostro acutissimo filosofo Roveretano, Antonio Rosmi¬  ni. Il quale, pur respingendo da sé ogni possibile accusa  di panteismo, ha tuttavia sostenuto anch’egli un principio  unico universale, ed ha considerato tutte le forme della  realtà natur ale, della realtà upiana, e della realtà di Dio  come diversi modi di essere, come diverse determinazioni  del principio medesimo.   Che se poi noi ci facciamo a considerare la dottrina  panteistica non più rispetto a quell’ idea fondamentale che    Ile   r- <K    (i) « Wenn man anfangt ni philosophiren, muss die Seele zuerst  sich in diesem Aether der Einen Substanz baden, in der Alles, was  man fur wahr gehalten hat, untergegangen ist; diese Negation alles  Besondern, zu der jeder Philosoph gekommen seyn muss, ist die  Befreiung des Geistes und scine absolute Grundlage » Id. ib. Drit-  ter Theil, S. 337.    t       — 36 —    in essa si contiene, e per cui il panteismo e la specula¬  zione filosofica in generale fanno tutt’ uno, ma rispetto a  quella determinazione particolare della stessa idea, dalla  quale solamente la dottrina panteistica attinge il suo signi¬  ficato e 1’ essere proprio di sistema speciale di filosofia, in  tal caso non possiamo avere che due soli ed opposti con¬  cetti di siffatto sistema. Imperocché, o il panteismo si con¬  cepisce come identificazione dell’ infinito col finito nella  sua immediatezza e quindi come deificazione di tutte le  cose, ovvero come risoluzione ed annullamento di unte  le differenze ideali dell’ universo nella vuota identità della  pura sostanza. Il primo concetto del panteismo, che è ap¬  punto quello che hanno avuto in mente i nostri critici del  Bruno, non trova affatto qualsiasi riscontro nella filosofia  del Nolano. Il Bruno non ha mai confuso l’infinito col  finito, non ha fatto mai 1’ apoteosi della esistenza caduca  e corruttibile delle cose, non ha mai deificato le forme  accidentali, esteriori e materiali, le quali per lui , come  per ogni vero filosofo, non sono cose, ma delle cose, non  sono sostanze, ma delle sostanze sono accidenti e circo¬  stanze. Il Bruno ha deificato soltanto /’ infinito mondo, la  infinita natura, le infinite cose, ha deificato la eterna genitura  dello eterno generante; la qual dottrina non ha nulla che  fare col panteismo. Questa dottrina è in vece eminente-       mente cristiana, anzi è la essenza stessa del cristianesimo;  e la negazione di questa dottrina non è solamente la ne¬  gazione della vera filosofia, ma è la negazione altresì di  tutti i principii del sapere moderno, e della possibilità stes¬  sa della scienza in generale.   Ma c’ è di più; imperocché questa pretesa confusione  dell’ infinito col finito non pure non si trova affatto nella  filosofia Bruniana, ma non ha nemmeno il suo riscontro  in qualsiasi sistema di filosofia. Tutta la storia della filo¬  sofia , per quanto è lunga e larga, non ci presenta al¬  cun sistema, in cui si possa ravvisare questa strana con¬  fusione ; in quella guisa medesima che la storia della re¬  ligione non ci mostra nessun popolo, che abbia proprio  adorato il finito come finito (i). Lo stesso Bruno, par¬  lando degli Egizi, dice a questo riguardo, le seguenti me¬  morabili parole: « Non furono mai adorati coccodrilli, galli,   (i) ....Diejenigen, welche irgend eine Philosophie fiiir Pantheis-   mus ausgeben.. batteri. es vor Alleni aus nur als Faktum zu   konstatiren, dass irgend ein Philosoph oder irgend ein Mensch in  der That den Alien Dingen an und fur sich seiende Realitat, Sub-  stantialitat zugeschrieben und sie fur Gott angesehen, dass irgend  einem Menschen solche Vorstellung in den Kopf gekommen sei ausser  ihnen selbst allein. Id. Encyklopàdie, Dritter Theil, § 573. Vedi an¬  che: Aesthetik, Zweiter Theil, S: 478.      - 38 -    cipolle e rape, ma la Divinità in coccodrilli, galli, cipolle  e rape ». E parlando dei Greci, si esprime cosi: « I Greci  non adoravano Giove come fosse la Divinità, ma adora¬  vano la Divinità come fosse in Giove » ; il che , come  ognun vede, è cosa assolutamente diversa (x).   Quanto poi all’ altro concetto del panteismo, cioè a  quel concetto secondo il quale Dio non è altro che la  semplice unità astratta dell’ infinito e del finito, dell’ ideale  c del reale, egli è d’uopo riconoscere che una tal dot¬  trina c’ è davvero nella storia della filosofia. Forse non  sarebbe difficile provare che questa dottrina, considerata  nella sua assoluta purezza non ha luogo, in una forma  veramente speculativa, che soltanto nella filosofia Parme-  nidea. Anche la filosofia di Spinoza, quando la si intenda  bene, non è poi addirittura quel rigido panteismo che or¬  dinariamente si crede. Ma, lasciando stare queste rifles¬  sioni, il fatto è che nella filosofia Bruniana il princip io  dell’ unità dell’ ideale e del reale, il concetto della identità  non ha affatto quello stesso significato, che ha nella dot¬  trina panteistica pnra. Imperocché nel puro panteismo que¬  sta unità esclude assolutamente ogni qualsiasi determina¬  zione , ogni differenza, e perciò è la negazione di tutto   (1) V. Spaccio della Bestia Trionfante, Dial. 3. p. 226—27.           — 39 —    quanto 1* universo intelligibile, mentre, nella filosofia Bru-  % niana, questa unità si muove, si distingue, si va specifi¬  cando e, come dire, spezzando in tutte le forme della natura  e dello spirito. Ammettere questo dirompimento dell’unità  universale, guardare in tutte le cose un principio eterno ed  immutabile come forma vera e totale dell’ unità medesima,  riconoscere in somma un mondo infinito, tutto questo non è  affatto panteismo; anzi è la critica vera e positiva della dot¬  trina panteistica. E tale è in fondo, considerata nel suo spi¬  rito, la filosofia Bruniana. Il che è tanto vero che il Bru¬  no è arrivato fino a vedere — cosa degna veramente della  più alta ammirazione — che la vera esigenza della filoso¬  fia, che il vero segreto dell’ arte, come egli dice, consiste  appunto, non già nel semplice innalzarsi all’ unità del mon¬  do , ma nel procedere dall’ unità stessa a tutte le forme  differenziali ed opposte, in cui essa si va esplicando, e in  cui si manifesta la vita tutta dell’ universo. « Profonda  magia, ha detto il Bruno, è trarre il contrario, dopo aver  trovato il punto dell’unione » (i). Se adunque, io dico,   (i) L’ Hegel dopo di aver citato questo passo di Bruno: « Aber  den Punkt der Vereinigung zu finden, ist nicht das Gròsste; sondern  aus Demselben auch sein Entgegengesetztes zu entwickeln, dieses  ist das eigentliche und tiefste Geheiranis der Kunst » soggiunge en-  faticamente: « Dicss ist ein grosses Wort, die Entwickelung der Idee   *    •. '        — 4 ® —    il Bruno ha visto financo che il segreto della filosofia sta  nel tirare le differenze ideali dell’ universo dalla sua unità,  o, in altri termini, nel contemplare 1’ atto proprio del dif¬  ferenziarsi dell’ unità, quell’ atto, che, come egli dice, non  pure è potenza di tutto, ma è atto di tutto, come si può  sostenere che la sua filosofia sia panteismo ? Ha forse il  Bruno inabissate, ha forse estinte nell’ unità assoluta tutte  le forme ideali dell’universo? E non è vero in vece che  la esigenza della sua dottrina si è appunto quella di di¬  stinguere nell’ unità assoluta un mondo intelligibile, un u-  niverso infinito? Ovvero si vuol sostenere che il Bruno è  panteista sol perchè non ci ha presentato, ai suoi tempi,  in una forma veramente speculativa, tutto questo suo u-   è   niverso infinito? perchè, in altri termini, non ci ha dato  una filosofia della natura e una filosofia dello spirito ?  Una simile pretesa non sarebbe certamente degna di una  mente sana. Ma altro è dir questo, anzi altro è anche ag¬  giungere che la dottrina di Bruno non è nemmeno un  sistema nel senso vero della parola, altro è affermare che    so zu erkennen, dass sie eine Nothwendigkeit von Bestimmungen  ist ». Geschichte der Philosophie, Zweiter Tchil, S. 209.              — 41 —   1’ assoluto Bramano sia addirittura come la notte, in cui  tutte le vacche son nere (i).   Ma io mi avveggo, o Signori, di essermi soverchia¬  mente dilungato su questo punto. Dirò dunque ora pro¬  prio di volo, prima di conchiudere, pochissime parole sul-  P applicazione di questi primi principi più generali della  filosofia del Bruno alla teoria della conoscenza e della li¬  bertà. Senza fare ciò non si può vedere la vera impor¬  tanza di questa grande filosofia.   (i) Br uno si può dire pant eista in un senso solo, cioè nel senso  che nella sua filosofia manca il concetto della vera ed assoluta esi¬  stenza di Dio, manc^lconcettodiDio^conHSjjersonalità assoluta.   Il Dip del Bruno vive nell’ infinito universo, ma non ha una vita sua  propria come principio assoluto, non ha una sua realtà distinta,  nella quale si raccolga tutto il mondo intelligibile; inso mma il Di o *  del m Bruno non è l’Idea come autocoscienza assoluta, e perciò non è  ancora realmente Dio=Dio. Tutto questo è vero. Ma siffatta critica  della dottrina Bruniana si può fare soltanto dal punto di vista del-  l’Hegel, non già dal punto di vista de’nostri critici del Bruno. È  l’Hegel soltanto, che ha dritto di chiamare il Bruno panteista. La  spiegazione e la critica del Bruno, a me pare la seguente. Bruno^con-  templa Dio come cosmogonia, come attivitàcosmogonica (ciclo di o-  rigine), ma non contempla il cosmo come teogonia, come attività teo-  gonica (ciclo di ritorno). Egli è vero che non c’ è cosmogonia senza  teogonia, come non c’ è intuito senza riflessione; ma c’ è teogonia e    I           42 —    In ordine alla conoscenza il Bruno insegna che la ve¬  rità di essa non si ha e non si può avere immediatamente,  cioè nella sua forma originaria c primitiva, e finché dura il  carattere proprio della medesima. Il carattere di questo pri¬  mo grado della conoscenza si è quello di essere legata alla  natura esteriore, sensibile, accidentale, e quindi è la estrin-  sechczza del pensiero a sè medesimo. Per potersi scioglie¬  re da questi legami col mondo esteriore e fenomenico, e  giungere davvero a possedere sò stesso, lo spirito ha d uo¬  po o della fede o della scienza. Ma, nella fede, l’uomo  non s’innalza alla verità colle sole forze della ragione e  in un modo assolutamente libero: nella fede 1 uomo, fino  ad un certo punto, accoglie in sè la verità come vaso o  recipiente, e perciò in guisa non corrispondente del tutto   teogonia, come c’è riflessione e riflessione. Ora il Bruno non ar¬  riva al concetto di quella forma del cosmo che non è solamente  una certa teogonia, ma che è la vera ed effettiva teogonia; non ar¬  riva al concetto del cosmo veramente teogonico; e perciò non ar¬  riva alla vera esistenza di Dio. Dunque la personalità assoluta di Dio,  in questa filosofia, è impossibile. Ma d’ altra parte neppure è pos¬  sibile arrivare a questa idea, uscendo da Bruno assolutamente. È  sulla via aperta dal Bruno che bisogna camminare per raggiungerla.  Chi vuole adunque questa idea, accetti il Bruno, vada avanti, e la  troverà.          — 41 —    alla vera eccellenza della propria natura. Nella scienza, al  contrario, lo spirito si eleva alla contemplazione della ve¬  rità colla sola libera energia della sua mente, e produce  la coscienza di essa come vero artefice ed efficiente. Il  processo della contemplazione della verità consiste nel pro¬  fondarsi nel profondo della mente e nel circuire per i gra¬  di della perfezione, cioè nel percorrere col pensiero le di¬  verse manifestazioni dell’ infinito vigore , e perciò nell an¬  dare non già dal finito all’infinito, o viceversa, ma nel¬  l’andare dall’infinito all’infinito. Lo scopo ultimo di sif¬  fatta contemplazione si è di capire quell ' atto assolutissimo  che t medesimo coll’ assolutissima potenza, e di effettuare  così la vera immanenza di Dio in noi colla virtù stessa  della nostra mente.   In conformità di questo concetto della conoscenza, il  Bruno determina il concetto della libertà nel modo che  segue. La verità e, la legge sono tutt’uno. Perciò, come VC/àU  la verità è intima allo spirito umano, cosi anche la legge  è intima all’umana volontà. Questa adunque non si può  considerare come una facoltà vuota ed indeterminata. D al¬  tra parte, nella guisa medesima che la verità non è pos¬  seduta dallo spirito originariamente c senza la sua stessa  attività, così anche la volontà non è oggettivamente li¬  bera, e quindi non è vera ed assoluta volontà, finché non       si ò elevata alla legge ed alla verità. La verità adunqne è  il fondamento ed il contenuto della libertà. Fuori della ve¬  rità, fuori della legge la vera libertà non è possibile. Per  tal modo la libertà non è arbitrio, ma è necessità. Que¬  sta necessità però non è esterna, non è fatalità, ma ap¬  punto perchè s’immedesima colla stessa verità, è neces¬  sità interna e razionale.   Signori, io non ho bisogno di fermarmi sulla impor¬  tanza pratica di questo concetto Bruniano della libertà.  Senza che il dica, ognun vede come in questo concetto  si acchiuda ad un tempo la critica della falsa libertà, e  della falsa autorità, e come sia appunto in questo concetto  che sta il fondamento della nuova vita sociale e il prin¬  cipio animatore di tutta la civiltà moderna. A me qui  spetta soltanto di chiarire brevemente il valore speculativo  di queste applicazioni dei principi metafisici del Bruno, e  di mostrare come in queste applicazioni si possa scorgere  il germe di una più alta filosofia.   Ebbene egli è facile vedere che queste idee del Bru¬  no, relativamente alla conoscenza ed alla libertà, più che  semplici applicazioni del suo principio metafisico, sono in  vece delle conseguenze, che hanno una portata di gran  lunga superiore allo stesso principio. Bruno in queste  applicazioni supera davvero sè stesso, egli va al di là     I    — 45 —   dello jtesso suo punto di partenza. E per vero il punto  di partenza del Brudo è Dio come semplice atto crea¬  tivo , Dio come semplice creare, e perciò come ge¬  nerare ; e quindi l’universo Bruniano è si la infinita,  la eterna creatura o genitura di Dio, ma non è altro  che la eterna, la infinita creatura o genitura di Lui. In¬  tanto il concetto Bruniano della _libertà e della cono¬  scenza ci presenta una vera reazione sullo stesso principio  assoluto : esso importa un’ attività superiore al semplice  creare, importa un’ attività, che non è mera estrinsecazio¬  ne del principio eterno delle cose, ma ò una effettuazione  vera del principio medesimo, come atto dello stessa crea¬  tura fi'). Il Gioberti ha detto ai giorni nostri, in un mo-  mento di profondo intuito filosofico, che l’uomo ren¬  de a Dio la pariglia; anzi egli ha detto anche in genera¬  le che l’atto creativo è essenzialmente atto teogonico. Ora  questo rendere a Dio la pariglia, questa forma di atto crea¬  tivo, che è nel medesimo tempo atto teogonico , è appunto   (i) O meglio: come atto di Dio stesso, ma in quanto creatura.  Col linguaggio della religione si direbbe: come atto dello stesso  Padre, ma m quanto Figlio. Si sa poi che questo atto del Padre,  che è atto di lui in quanto Figlio, è quello che là la verità del Fi¬  glio e la verità del Padre ; e che questo atto è appunto lo Spirito: la  vera Ferità.    ' <     - 46 -    quella idea, che noi non possiamo ravvisare nel principio  metafisico del Bruno, ma che però troviamo adoperata  nella sua dottrina della conoscenza e della libertà. Si può  adunque affermare che, nella filosofia del Bruno, le con¬  seguenze contengono più delle premesse; ma siffatta con¬  traddizione anziché menomare il merito del nostro filoso¬  fo, è appunto quella, se io non mi sbaglio, in cui si ri¬  vela la più alta potenza della sua speculazione. Nè var¬  rebbe il dire che il Bruno non finisce come comincia; impe¬  rocché il Bruno, ha cominciato bene, come era possibile  ai suoi tempi, ed ha finito molto meglio. E se tra il Prin¬  cipio ed il Fine, tra 1* Origine ed il Intorno la sua filosofia  non pone quell’ accordo, in cui consiste la vera Idea, di ciò  non si può fare un’accusa al nostro grande pensatore,  stante che un tale accordo è il risultato di tutta quanta la  speculazione moderna; e perciò non si può pretendere dal¬  la filosofia del Bruno. Nè si può pretendere dal Bruno la  coscienza della contraddizione, che corre tra il suo prin¬  cipio metafisico e la sua dottrina della conoscenza e della  libertà, perchè una tal coscienza non poteva sorgere nella  storia, se prima i due estremi, cioè il Principio ed il Fine,  1’ Origine ed il PJtorno, non avessero spiegato separata-  mente tutto il loro valore e non si fossero presentati dinan¬  zi al pensiero speculativo come le due somme ed opposte      potenze (Teli* universo, 1’ una predominante nel mondo del¬  la natura, 1’ altra in quello dello spirito. La filosofia Car¬  tesiana rivelò il potere del Trincipio, la filosofia Kantiana  (precorsa solo dal Vico) mise in evidemza l’attività indi-  pendente ed assoluta del Fine , e fu perciò solamente la  posteriore filosofia tedesca quella, che potè innalzarsi alla  contemplazione del Principio-Fine, dell’ Origine-Ritorno, e  porre cosi un nuovo e più alto concetto di Dio, il con¬  cetto di Dio come Sviluppo, come Spirito, e quindi una  nuova filosofia: la filosofia dello Spirito.   Raccogliendo adesso le fila del mio ragionamento, io  posso conchiudere così.   La filosofia del Bruno ha riabilitata e {ligni ficat a la  * e l ia restituito il suo vero valore, 1’ ha innalzata a  manifestazione reale e vivente di Dio; dunque il primo ar¬  dente desiderato del pensiero scolastico, in questa filosofia,  è soddisfatto. Ma c’ è di più; imperocché il Bruno, aven¬  do concepito Dio come immaii ^q^ nella coscienza umana  in lorza dell’ attività stess^ai^ essa , ha posto in questo  concetto la possibilità di quella intelligenza superiore, che  formava la seconda e più alta aspirazione dei grandi pensa¬  tori della Scolastica, e la cui attuazione non poteva essere  che il risultato finale di tutta quanta la filosofia moderna. 

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