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Friday, November 15, 2024

GRICE ITALO A/Z E ER

 

Grice ed Eraclide: la ragione conversazionale e l’esperienza -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. He writes a large work expounding the empiricist philosophy which attracted the admiration of Galeno.

 

Grice ed Eraclio: la ragione conversazionale e il cinargo romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano. Cinargo. He invited the emperor Giuliano to one of his lectures, hoping to make an impression. He did, but it was an unfavouable one, and Julian duly produced a written piece critical of him.

 

Grice ed Era: la ragione conversazionale e l cinargo romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo romano Era was of the Cinargo, and emulated the antics of Diogene the sophist by publicly criticizing emperor Tito in a packed Roman theatre. Unfortunately for E., whereas Diogenes had only been flogged, E. was beheaded.

 

Grice ed Erato: la ragione conversazionale e la setta di Crotone -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Crotone). Filosofo romano. A Pythagorean, according to Giamblico.

 

Grice ed Ercole: la ragione conversazionale e l’implicatura conversazionale della difesa della metafisica – transnaturalia -- esologia, essologia, e sinautologia – scuola di Spinazzola – filosofia pugliese -- filosofia italiana Luigi Speranza (Spinazzola). Filosofo spinazzolese. Filosofo pugliese. Filosofo italiano. Spinazzola, Barletta-Andria-Trani, Puglia. Grice: “I like it when Ercole emphasizes that bit in De Interpretatione which I love – every ‘logos’ is ‘significant’ (significativo, semantikos, -- adds Ercole quoting from the Greek) of this or that – even a prayer!” -- Grice: “I must say I love Ercole; for one, he expands on my idea of the longitudinal unity of philosophy, being an Oxfordian Hegelian, almost, he thinks history can be regarded LOGICALLY: scepticism has to follow dogmatism – this is pretty interesting; for another, he tutored for years on the very same topics I did, notably “De interpretation” and “Categoriae” – The former being a theory of semiotics, of course!” – Studia a Napoli. Si interessa per Hegel. A Berlino si perfeziona sotto Michelet, Trendelenburg, e Mommsen. Adere anche alla "Società filosofica hegeliana". Insegna a Pavia e Torino. Dall'hegelismo iniziale, con l'affermarsi del positivismo, passa a posizioni di adesione all'evoluzionismo di Darwin e di Spencer. Polemizza con il teismo, giudicato contraddittorio e illusorio, manifesta interesse per la riforma del liceo classico secondo Pestalozzi (Ercole attaca Pestalozzi e defende Fröbel. Altre opere: Alcune proposte di riforma nella istruzione secondaria, Pavia, Stabilimento tipografico Successori Bizzoni); “La pena di morte e la sua abolizione dichiarate teoricamente e storicamente secondo la filosofia hegeliana, Milano, U. Hoepli); “Il teismo filosofico cristiano. Teoricamente e storicamente considerato, con speciale riguardo a Tommaso e al teismo italiano” (Torino, Loescher); “L'educazione del bambino secondo Pestalozzi, Fröbel e Spencer” (Roma, Tipografia della Reale Accademia dei Lincei); “L'origine del pitagorismo” (Roma, Tipografia Terme Diocleziane di G. Balbi); “La filosofia della natura di Ceretti” (Torino, Unione tipografico-editrice); “La panlogica di Ceretti” (Torino, Fratelli Bocca); “L'esologia di Ceretti”; “L’essologia di Ceretti”, “La sinautologia di Ceretti”, “Cerettiana”; La logica aristotelica, la logica kantiana ed hegeliana e la logica matematica (Torino, Vincenzo Bona), “La logica algebraica”. Dizionario Biografico degli Italiani.  Il Ceretti fino a pochi anni fa era un uomo quasi del tutto sconosciuto. Io mi consolo immensamente a vedere come egli mano mano venga non solo conosciuto ma anche apprezzato, giacchè merita davvero e l'uno e l'altro.  È probabile che parecchi di quelli, cui capiti nelle mani questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa conoscano ancor poco, o fors’anche men di poco, l'autore della medesima. Io non posso certamente in questa Introduzione entrare nelle particolarità della sua persona e degli scritti suoi, si perché la natura e i limiti di uno scritto introduttivo non lo permetterebbero, si perchè ho già pubblicata intorno a lui un'opera abbastanza voluminosa (1), alla quale chi voglia può avere ricorso.  Ciò non ostante, non posso a meno di pur riferirmici brevemente, e riferirmi sopratutto al suo general pensiere, ed ai suoi scritti; perchè, essendo egli passato  (1) Notizia degli scritti e del pensiero filosofico di PIETRO CERETTI, accompagnata da un cenno autobiografico del medesimo, intitolato: < La mia celebrità » per PASQUALE D'ERCOLE, Torino -- per diverse fasi di si fatto pensiere, non si potrebbe, senza tal ricordo, convenientemente collocare e giudicare questa sua Sinossi.  Quanto alla persona, tanto da invogliare a conoscerla chi ancora non la conosca, mi limiterò a ricordarla con pochissime parole. Nato ad Intra nel 1823, educato nella puerizia e nell'adolescenza da preti e gesuiti, usci, dall'educazione e istruzione loro, l'uomo meno informato allo spirito de'medesimi. Più che coll'opera altrui si è istruito coll'opera propria: sì che può dirsi ch'egli è stato il vero autodidattico.  In giovinezza viaggiò, e per anni, quasi tutta l'Europa a piedi, da una parte, studiandone le diverse genti ne’loro costumi e prodotti scientifici e letterari, dall'altra, vedendone la natura nelle sue diverse forme e manifestazioni.  Ed è, certo, da tal visione ch'egli acquistò un grande amore agli studi naturali, ne'quali riesci a procacciarsi vaste e profonde conoscenze. I predetti viaggi gli furono tanto più fruttuosi, in quanto egli, accanto allo studio de'costumi e delle scienze e lettere de'moderni popoli europei, ne studiava, apprendeva e parlava anche le lingue. Le quali lingue moderne, congiunte ad antiche è classiche, ch'ei pure conobbe (sanscrito, ebraico, latino e greco), divenner poi una mirabile, solida e fruttuosa base pe'suoi studi d'ogni sorta, specialmente filosofici. Ebbe mente assai varia, cioè poetica, filosofica e letteraria, e fu indubbiamente un'alta e cospicua individualità, segnatamente dal lato del pensiero filosofico. Egli è stato, infatti, un fortissimo pensatore e ad un tempo un fecondissimo scrittore. Ha scritto una quantità veramente sorprendente di opere (1), appunto di contenuto filosofico, poetico e letterario. Nel letterario comprendo anche un certo numero di opere sociali, le quali son tra filosofiche e letterarie, e sotto forma di romanzi, commedie, biografie, ecc., propugnano una riforma sociale basantesi su principii filosofici.  In una dozzina d'anni, dal 1854 al 1866 circa cominciò a pubblicar qualcuna di tali opere, e propriamente, di contenuto poetico, un poemetto intitolato: Il Pellegrinaggio in Italia ed alcune Liriche, e di contenuto filosofico, i tre primi volumi di un'opera scritta in latino intitolata : Pasaelogices specimen. Gli scritti poetici pubblicò sotto il pseudonimo di Alessandro Goreni, lo scritto filosofico sotto il pseudonimo di Theophilus Eleutherus; e, quel che più importa, si de' primi che del secondo non ne mise in pubblico (così comincia a comprendersi l'oscurità di Ceretti) che pochissimi esemplari, quasi a scandagliar primamente con essi la pubblica opinione.  De' primi qualche giudizio, e abbastanza favorevole, venne fuori, e poi non se ne parlò più; del secondo, che io sappia, non se ne parlò punto, e credo che non lo lesse nessuno. L'autore stesso, in una sua umoristica autobiografia, riferendosi specialmente a questa  L'elenco compiuto di esse si trova nella mia citata Notizia, ecc., p. xxvi SS., e tra grandi e piccole non sono meno di una quarantina. opera filosofica, dice: « Tuttochè questi volumi non fossero letti da nessuno, furono però variamente interpretati, e da taluni supposti essere inintelligibili pel proprio autore; perciò mi guadagnarono la fama della madre notte, che non lascia vedere cosa veruna. Dopo questa prima, quasi ignorata pubblicazione, non pubblico, anzi non volle pubblicare più nulla; e cosi si finisce di spiegare la predetta oscurità.  Singolare uomo! rispetto a quest'ultima, più che dispiacersene, egli n'era contentissimo, e quasi ne gioiva, avendosela persin proposta per scopo, secondo l'adagio (che sovente ripeteva): Bene vive chi bene si nasconde. E meglio di lui veramente non si era nascosto nessuno; giacchè nel suo oscuro e silenzioso recesso ei volgeva ed agitava nella mente tutto un mondo vastissimo di idee poetiche, filosofiche, storiche, sociali, umane. E, lavoratore infaticabile e costante, queste idee veniva solertemente scrivendo, finchè ha potuto scrivere egli stesso, e dettando, quando non potè più scrivere. Giacchè, colto da una paralisi, da prima leggera, ma pur spietatamente progressiva, dovette a poco a poco smettere lo scrivere e ridursi a dettare i pensieri, che ancor sempre l'occuparono fino alla morte.  Quanto agli scritti, omettendo di allegare i poeticoletterari, che non è qui il luogo e l'intento, ricordo i principali filosofici. La citata opera latina doveva essere  La mia celebrità, pag. 101, allegata alla mia citata opera.  di otto volumi, ma egli non ne scrisse che propriamente cinque e non ne pubblicò che tre soli. Oltre ad essa e ad un'altra opera filosofica, intitolata : Idea circa la natura e la genesi della Forza, e rimasta incompiuta, scrisse questa Sinossi dell' enciclopedia speculativa; Sogni e Favole (il titolo par letterario, ma è opera filosofica e voluminosa); Considerazioni circa il sistema generale dello spirito e circa il sistema della natura entro i limiti della riflessione; Insegnamento filosofico; Stramberie filosofiche, e parecchie altre minori.  Nella gran massa de'suoi scritti il pensiere del Cerelti non rimase stazionario e inalterato, ma si mutò anzi non poco, e passò per diverse fasi. Le quali (comprendendovi anche il pensiero poetico, sociale e letterario) si possono riassumere in quattro o cinque, e sono la fase poetica; la fase filosofica hegeliana; la fase filosofica di transizione; la fase utopistica e riformativa sociale; e finalmente la fase detta del sistema contemplativo (filosofica anch'essa).  La fase poetica fu la prima della mente del Ceretti, e la prima si per aspirazioni che per studi e produzioni. Ciocchè si è notato rispetto alla generale evoluzione della sua mente, va notato anche di questa specifica fase poetica, in quanto egli passò per varii stadii e varie maniere di concezione e corrispondente produzione poetica, cominciando dalla leopardiana e foscoliana, passando un po' per quella di Giusti e finendo con una concezione e forma poetica umoristicofilosofica.  Quanto alla fase filosofica hegeliana, ella è dalla sua propria designazione indicata chiarissimamente da se stessa. Il Ceretti ne' suoi svariati, larghi e profondi studi filosofici giunse ad accogliere come risultato finale di essi la filosofia hegeliana; e nell'alta Italia è stato, credo, il solo hegeliano, o certamente il solo notevole hegeliano. Tanto più che egli non si limitò alla pura e semplice riproduzione dell'hegelianismo, ma si allargò ed elevò ad una propria produzione sotto il nome di riformazione del medesimo (1).  Ma ecco che il Ceretti nella fase filosofica in genere subisce di bel nuovo una evoluzione, la quale passa per diversi stadii, ognuno de'quali è una specifica fase filosofica. Egli stesso crede che questi stadii o queste specifiche fasi sien due, l'una hegeliana, ch'egli designa come « speculazione hegeliana», l'altra di allontanamento da essa, ch'egli designa come di « divorzio dalle idee hegeliane » 2).  Io però (come ho ampiamente mostrato nella mia citata Notizia), modificando e integrando l'istesso pensiere dell'autore, dico che queste fasi specifiche del suo  [ocr errors] Nella prefazione alle Grullerie poetiche, pubblicate in Torino in questi giorni pei tipi di Bona, alla pag. ix, riferendosi ai suoi studi filosotici nella storia filosofica passata e recente, dice: « Le ultime fasi della filosofia ellenica, del neoplatonismo, dell'idealismo germanico, e soprattutto dell'hegelianismo, guadagnarono il mio spirito, che indi prese le mosse per un ulteriore sviluppo speculativo, e si costituì in proprio sistema.Vedi La mia celebrità, pag. 92 e 107.  pensiere filosofico son tre, cioè la hegeliana, una seconda, che ho appellata di transizione, e finalmente quella del sistema contemplativo.  Or la Sinossi, che si pubblica presentemente, è un'opera che cade appunto nella fase di transizione del pensiere filosofico di Ceretti; e di ciò fra poco. Quanto al così detto sistema contemplativo cerettiano, che non entra neppur esso nella considerazione e nei limiti della mia Introduzione, rimando il lettore a ciocchè ne ho scritto nella mia Notizia, segnatamente a pagina cccxxix ss.  Qui mi limito a dir solo che esso è un complesso di idee stoiche, pessimistiche e subbiettivistiche, ed il subbiettivismo poi (già cominciato nella fase di transizione) è spinto a tale estremo da essere un subbiettivismo più immaginativo che pensivo. In filosofia il Ceretti cominciò coll’Idealismo assoluto hegeliano, procedè, attraverso l'Idealismo obbiettivo di Schelling, verso l'Idealismo subbiettivo di Fichte (fase di transizione); e questo Idealismo subbiettivo esagerò poi verso il sistema contemplativo nel senso predetto.  La fase utopistico-sociale è pure in grosso e chiaramente designata dalla sua denominazione stessa. Infatti, il Ceretti in essa propugna uno stato sociale e una relativa costituzione, che non sono lontani da quelli della repubblica di Platone, ossia da una società civile addirittura utopistica.  Poste queste generalità, vengo allo scopo principale di questa Introduzione, cioè quello di riferirmi in modo  [ocr errors] particolare alla Sinossi da me edita. Senonchè, come questa non s'intenderebbe ed apprezzerebbe bene, se non mi riferissi all'antecedente pensiere filosofico cereltiano, del quale ella è, in parte, continuazione, in parte, deviazione, cosi comincerò da quest'ultimo.  L'antecedente pensiere, che fu anche il primo, come è detto, è stato l'hegeliano. Però è stato parimenti detto che il Ceretti non accolse l'hegelianismo come un semplice riproduttore di esso, ma come un riformatore del medesimo. Ora, che cosa pensava egli dell'hegelianismo? pensava che, nella storica evoluzione filosofica il  pensiere hegeliano rappresentasse il momento culminante, il pensiere speculativo più puro, però non ancora tanto puro, quanto è richiesto dal Logo assoluto (1).  Da questo modo di apprezzare il pensiere hegeliano, da lui accolto, seguivano due cose. L'una che, benchè rispetto a tutto il rimanente pensiere, il pensiere hegeliano fosse il più elevato e il più compiuto, pur non era interamente compiuto, era ancora difettivo. L'altra, che bisognava correggerne i difetti ed integrarlo. La correzione e la integrazione sono appunto la riforma dell'hegelianismo, quale il Ceretti la intende; e la esecuzione di ciò costituisce un proprio sistema filosofico, che è il sistema panlogico cerettiano.  [merged small][ocr errors][ocr errors][ocr errors] Logus hegelianus (aveva egli detto nella citata opera latina) est cogitationis cogitatio magis pura quam omnis hactenus a philosophia prolata logica cogitatio, nondum vero quantum logus absolutus requirit. Chi non ha l'edizione latina confronti la traduzione italiana, vol. I, Prolegomeni. I difetti, che il filosofo intrese trovava nel filosofo di Stoccarda si estendevano a tutte le tre parti della filosofia di quest'ultimo, alla Logica, alla Natura ed allo Spirito.  Rispetto alla Logica ei trovava i seguenti. Primo: la Nozione (ossia l'Idea) hegeliana si genera dialetticamente in sè stessa in modo inconscio. Ora, il Ceretti trova giusto che la Nozione si generi dialetticamente in sè e da sè; ma ritiene però vizioso ed irrazionale il prodursi dialettico di una Nozione che non si conosce Nozione (di un'Idea che non si conosce Idea). Secondo: la trattazione logica, nel suo processo dialettico, è una astratta semplice esplicazione delle categorie, mentrechè, per essere vera e concreta, dovrebb' essere, secondo il Ceretti, un processo di esplicazione ed implicazione. Terzo: la predetta trattazione costituisce piuttosto un logo astratto, che si esplica e riassume astrattamente in un risultato, anzichè affermarsi in tutti i momenti del corso esplicativo.  Se questi difetti si guardino nel loro complesso e si esprimano in linguaggio più comune, essi si riducono alla rimproverata incoscienza e astrazione (non concretezza) del processo dell'Idea logica hegeliana. Il rimedio a questi vizii (e questo è uno de' punti della riforma hegeliana) è per lui, primamente che la Nozione o l'Idea logica sia accompagnata da coscienza, secondamente che il processo dialettico logico fosse esplicativo ed implicativo ad un tempo, in terzo luogo, che tal processo logico non lo si vedesse ed esprimesse in un semplice risultato, ma che si veda, affermi e verifichi in ogni singolo momento del suo corso.  Rispetto alla Natura (e corrispondente filosofia), ei trova il general difetto che il processo dialettico, che Hegel segue in questa, è anche astratto (come nella Logica) e non locca le concretezza della Natura istessa. La filosofia della Natura per Ceretti non dev'essere, come per Hegel, un’Idea raccoglientesi in sè stessa dal suo Esser-altro, ossia dalla sua esteriorità, ma dev'essere anche e piuttosto un veramente naturare l'Idea logica. L' emendazione a tal difetto s'intende bene che pel Ceretti consista nell'effettuare il processo naturale della Nozione o dell'Idea in guisa che questa realmente si obbiettivi e concreti nell'esteriore realtà.  Finalmente, rispetto allo Spirito, il filosofo intrese trova, lasciando da banda qualche vizio secondario, due vizii principali. Il primo è che, nel processo dialettico hegeliano, lo Spirito sorga in ultimo come un risultato, invece di sorgere e costituirsi in tutta la serie evolutiva dello Spirito stesso. Il secondo è che lo Spirito non raggiunga quella libertà, nella cui essenza il filosofo tedesco lo fa massimamente consistere. Anche qui l'emendazione consiste nel rimuovere i notati difetti, e però far sì che lo Spirito si costituisca tale nella suc: cession graduale della sua evoluzione e raggiunga veramente la libertà.  lo qui allego senza discutere: qualche vizio rilevato anche a me è parso reale, altri no: rimando per questo il lettore alla mia opera sul Ceretti e lì, in una discussione piuttosto ampia in proposito, veda e giudichi da sè stesso.  Come effettua ora il Ceretti la emendazione dei predetti vizii e la conseguente riforma dell'hegelianismo?  Come segue.  Va innanzi tutto notato che egli nella riforma non vuole uscire dall'hegelianismo istesso; e qui ha ragione, e mostra uno sguardo filosofico veramente speculativo e profondo. Giacchè ei pensa, e giustamente, che i sistemi filosofici tutti costituiscono e debbono costituire tanti singoli, ma pur necessari momenti di un solo universale Principio, di una sola universale Idea, di un solo universale Pensiere. L'hegeliano è stato l'ultimo pensiere e l'ultimo principio, comprensivo di Tutti gli antecedenti. Chi vuole, ora, seguire la catena storica della filosofia deve riattaccarsi a quest'ultimo, e questo stesso, pur accogliendolo, ulteriormente sviluppare in sè stesso. E cosi fa egli.  Di fatto, oltre al pensiere hegeliano or rilevato e da lui accolto del significato della storia filosofica e de' sistemi che lo compongono, ha accolto anche il principio, pur hegeliano, di tre generali forme di sistemi, vale a dire il sistema dommatico, lo scettico e l'idealistico. Ha, inoltre, accolto il pensiere hegeliano fondamentale della triplice forma del principio assoluto, forma logica, naturale e spirituale, non che la conseguente triparti  (1) Citata Notizia, pag. ex ss. Vi troverà anche i corrispondenti luoghi latini dell'opera di Ceretti,  zione e trattazione di tutta la materia filosofica. Ha parimenti accolto il concetto enciclopedico della filosofia, il metodo dialettico con la nota tricotomia che lo accompagna, ed altri principii. Ma, ciò non ostante, egli sviluppa ulteriormente, modifica e riforma l'hegelianismo.  Punti importanti della riforma son primamente l'Assoluto ed il Logo: e chi è a notizia delle cose hegeliane, intende bene che con essi il Ceretti non si colloca punto fuori dell'hegelianismo, ma si pone anzi nel cuore del medesimo. Imperocchè l'Assoluto (già importantissimo in tutta la filosofia tedesca) è, notoriamente, l’un capo della filosofia hegeliana, mentre, d'altra parte, l’Idea, segnatamente logica (il Logo, insomma), ne è l'altro. Assoluto e Logo dunque, ossia riunendo, e giustamente, i due, il Logo assoluto diviene in Ceretti il Principio e pernio di tutta la sua concezione riformativa. Questa concezione, s'intende, vien da lui sistematicamente disegnata ed effettuata; e il sistema che ne risulta è un Panlogismo, ossia una universale considerazione speculativa del Logo.  Il Logo è cosi il nuovo principio, che il filosofo intrese pone innanzi, modificando l'Idea hegeliana e specialmente allargando, anzi addirittura universalizzando l'Idea logica di Hegel. Se non che, accanto al Logo troviamo in Ceretti una seconda designazione di tal nuovo principio, ed è quella di Coscienza. Come questa seconda designazione comincia già ad essere importante nella prima fase filosofica del Ceretti (nella hegeliana) e divien poscia prevalentemente determinante nella seconda (in quella di transizione, in cui cade la Sinossi); cosi vuol essere chiarito come la stia con questi principii, che apparentemente paion due (Logo e Coscienza) e realmente sono il solo principio novello cerettiano.  Si noti che uno de' punti cardinali cerettiani della riforma è che l'Idea o la Nozione logica sia non già inconscia, come in Hegel, ma conscia. Si pensi, d'altra parte, che il principio cerettiano (sorgente dall'hegeliano e modificante l'hegeliano istesso) è, come s'è visto, il Logo assoluto. Ora, tal Logo assoluto (secondo il vizio antecedentemente rilevato e la relativa emendazione) Ceretti lo vuol conscio; ed allora è un passaggio più che naturale, è una naturale esigenza che il Logo assoluto conscio sia e divenga in lui Coscienza (non certo subbiettiva od obbiettiva, ma assoluta).  In tal guisa Logo assoluto e Coscienza pel filosofo intrese costituiscono in fondo un sol principio, e sono il suo novello principio emergente dall'hegeliano. Dico emergente dall'hegeliano, anche perchè, notoriamente, in Hegel, accanto all'Idea, che è posta come principio assoluto, spicca come tale anche lo Spirito (der Geist). Or lo Spirito è l'Idea conscia. Quando si vede la cosa cosi, può dirsi che si in Hegel che in Ceretti spiccano due principii, almeno due speciali denominazioni di un sol principio, che son poi in fondo un sol principio. Cioè, in Hegel spiccano Idea e Spirito, che son poi (l'unico principio) l'Idea spirituale, ossia conscia; e in Ceretti spiccano il Logo e la Coscienza, che son poi (pur un unico principio) il Logo conscio, o puramente e semplicemente la Coscienza.  Che poi e come poi Ceretti colla Coscienza crede di porre innanzi un principio diverso dallo Spirito di Hegel, o almeno più largo dello Spirito, lo vedremo più innanzi. Ora, pel progresso del discorso, è necessario rilevare primamente un'altra cosa: ed è che dei predetti due principii cerettiani (che in fondo son poi uno), il primo o Logo assoluto è quello che dà più specialmente denominazione, concezione e sistemazione alla fase hegeliana del Ceretti, ossia al Panlogismo: ed il secondo, o la Coscienza (pur già appariscente nella predetta prima fase), è quello che dà più specialmente l'intonazione, la concezione e la sistemazione della seconda fase, cioè di quella di transizione, in cui cade la Sinossi. Il che vuol dire, in altri termini, che il Logo informa prevalentemente il sistema panlogico dell'opera latina, Pasaelogices specimen (prima fase), e la Coscienza informa più particolarmente la presente opera italiana della Sinossi.  Diamo ora brevemente uno sguardo al sistema panlogico, che per me costituisce ancor sempre il più poderoso, più originale e più speculativo pensiere Per veder ciò, naturalmente, non bisogna limitarsi al fuggevolissimo e magrissimo cenno che ne fo qui; ma bisogna leggere l'opera cerettiana, alla quale un buon aiuto, mi lusingo di dirlo, è la mia citata Notizia.  del Ceretti: il quale sguardo ci agevolerà l'entrata nel pensiere della presente opera sinottica.  Il Logo per lui è tutto, è l'universale realtà, è l'assoluta realtà; e la filosofia è la scienza che considera appunto il Logo nella sua universalità ed assolutezza. Il Logo ha tre forme di esistenza, cioè è Logo in sé, Logo fuori di sè, Logo per sè; forme, che pel Ceretti hanno anche il significato e valore di essere il Logo nella sua Subbiettività, il Logo nella sua Obbiettività (obbiettivazione, estrinsecazione), il Logo nella unità di Subbiettività e Obbiettività.  Si consideri l'Idea hegeliana e le sue note forme, e si troverà che il Ceretti attribuisce al suo Logo quelle stesse forme di esistenza che Hegel attribuiva alla sua Idea. Si pensi un'altra cosa. L'Idea di Hegel è Pensiere ed Essere insieme: può dirsi però che essa è prevalentemente Pensiere nella Logica, prevalentemente Essere nella Natura, prevalentemente Coscienza nello Spirito. Il Logo di Ceretti è pur Pensiere ed Essere, ma, starei per dire, colla prevalente anzi colla essenziale caratteristica di Pensiere: il Logo é essenzialmente pensivo (senza cessare di essere essente), e però è essenzialmente conscio, è essenzialmente Coscienza. L'Idea logica di Hegel non è conscia; l'Idea naturale del medesimo non è neppure conscia; conscia è soltanto la sua Idea spirituale. Il Logo cerettiano invece è sempre Pensiere ed è sempre Coscienza in tutte le sue forme di esistenza, che, come fondamentali, sono le tre predette.  Queste tre forme di esistenza, speculativamente considerate, costituiscono poi tre parti della filosofia, ciascuna delle quali è una speciale considerazion del Logo. Le quali parti, designate con nomi un po' singolari, ma, in fondo, pur veri, sono la Esologia (da eis, és dentro), o dottrina del Logo in sè, del Logo considerato dentro di sė, la Essologia da (85w, fuori) o dottrina del Logo fuori di sè, e finalmente la Sinautologia (da cúv e aviós, con, stesso) o dottrina del Logo con sè.  A maggiore intelligenza di queste tre parti, rilevo che il concetto e il relativo obbietto di esse son dal loro autore espressi in una maniera, che è pur degna di considerazione, e che, del resto, discende dall'anzidetto. Si è già visto come il Logo cerettiano, benchè genericamente contenga in sè gli elementi dell'essere e del pensiere, pure prevalentemente e più specificamente è pensiere. Conformemente a ciò, il filosofo intrese designa il concetto e obbietto delle tre mentovate parti appunto dal lato del pensiere, e dice che la Esologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensiere; la  Lo dice Logo con sè, ma la espressione ha quel medesimo significato che ha in Hegel quella (del terzo momento) di in sè e per sè. Qui il lettore può intender meglio ciocchè si è detto innanzi del significato ed estensione del Panlogismo cerettiano. Infatti, queste tre parti, che sono tutte, e le sole, dottrine del Logo, nel loro complesso costituiscono la Panlogica (Pasaelogice o Pasalogice: titolo dell'opera latina); onde il Panlogismo. Intende anche un'altra cosa, cioè, la relazione intima di queste tre parti con le hegeliane, in quanto la Esologia corrisponde alla Logica (Logik) di Hegel, la Essologia corrisponde alla filosofia della Natura (Naturphilosophie) e finalmente la Sinautologia corrisponde alla filosofia dello Spirito (Geistesphilosophie) del medesimo.  Essologia, un'altrettale considerazione del pensiere del pensato, e finalmente la Sinautologia è la considerazione speculativa del pensiere del pensante.  Sempre dunque considerazion del pensiere: Il pensiere del pensiere esprime il pensiere nella sua subbiettività; il pensiere del pensato è la considerazione pensiva del pensiere come obbiettivato; e l'ultima è la considerazion del pensiere come unità di subbietto e obbietto (di pensiere subbiettivo e pensiere obbiettivo).  Ciò posto, ecco ora come l'autore pensa e determina la materia di queste tre parti: nel dir delle quali, dirò qualche cosa di più della prima od Esologia, perchè essa nella susseguente Sinossi apparisce poco o punto.  Esologia. Questa è la logica cerettiana, nella quale la coscienza logica, come Coscienza del Logo in genere, è essenzialmente pensante (essentialiter cogitativa, come egli dice). La Coscienza logica è da lui definita quale Coscienza di sè e di altro non ancora esteriore a sè stessa, cioè, non ancora estrinsecata (non ancora divenuta Logo naturale, Natura).  Ei distingue ora l’Esologia in tre parti, che (sempre dal Logo, che è in fondo ad esse) appella Prologia, Dialogia e Autologia. La prima considera il Logo esologico nella astratta identità del pensiero; la seconda lo considera nella differenza del pensiero istesso, la terza lo considera come sintesi della identità e della differenza del pensiero.  Queste tre ultime, ragguagliate alle parti della Logica hegeliana, corrispondono alla sfera del Concetto, a quella dell'Essere e a quella dell’Essenza. Il Concetto in Hegel tien l'ultimo posto; invece, tiene il primo il Ceretti col nome di Prologia.  La Prologia cerettiana (vicinamente alla dottrina hegeliana del Concetto) è dottrina della Proposizione, del Giudizio e del Sillogismo. Il Ceretti comincia dalla Prologia, ed in questa dalla Proposizione, in quanto pensa che il Primo prologico (come dice egli; noi diremmo in generale il Primo logico) non è nè l'Essere di Hegel e Rosmini, nè l'Io di Fichte, nè la schellinghiana Identità dell'Ideale e del Reale; ma è la Proposizione, ch'ei pensa come qualcosa di più semplice e primitivo del Giudizio stesso.  Non entro nelle particolarità nè nell'apprezzamento della cosa; mi limito a far risaltare soltanto il pensiero cerettiano. Non posso però a meno di richiamare l'attenzione del lettore sulla triplicità che pervade (come già in Hegel) la trattazione filosofica cerettiana, la quale triplicità, come si scorge qui, cosi segue in tutta la susseguente trattazione. È inutile dire che, trattando di questa parte, l’autore entra nelle particolarità della teoria si della proposizione, si specialmente del giudizio e del sillogismo.  La Dialogia è la dottrina dell'Essere e considera questo (come già Hegel) siccome distinto ne' subordinati principii o momenti di Qualità, Quantità e Modalità (1), ne'quali, alla lor volta, vengono suddistinti e  La Modalità è la misura hegeliana (das Maas): già Rosenkranz l'avea appellata anche Modalità.speculativamente considerati altri principii subordinati, come qualcosa, il limite, il quanto, la realtà, la sostanza, la essenza, la necessità, ecc.  Chi è pratico delle cose hegeliane, si accorge che il Ceretti anche in questa seconda parte ha fatto degli spostamenti, trasportando e trattando sotto la sfera dell'Essere principii (e persin l'essenza stessa), che in Hegel ricorrono sotto quella dell'Essenza. La cagion di ciò, a mio credere, è che il Ceretti tratta tutta la materia logica (anzi tutta la materia filosofica) secondo i tre momenti della Posizione, della Riflessione e della Concezione. Così facendo, ha potuto accogliere i principii o momenti hegeliani dell’Essenza (la quale, notoriamente, è la sfera della riflessione) sotto il proprio Essere, considerato appunto secondo il momento della riflessione; ossia ha potuto accoglierli sotto l'Essere riflesso.  L'Autologia finalmente, che è pensata come unità della Prologia e della Dialogia, tratta de'tre principii del Sapere, Volere, Agire. S'intende bene che anche in questi vengono distinti, rilevati e trattati altri momenti subordinati come Sapere immediato, mediato e assoluto, Volere subbiettivo, obbiettivo, ecc. I tre principii predetti pur ricorrono nella Logica hegeliana, ma in una guisa e sfera subordinata, mentre qui abbracciano una intera sfera logica per sè, e costituiscono il punto culminante ed unitivo di tutto il pensiere esologico (ossia logico).  Questa parte del sistema panlogico cerettiano non rimane poi così magra ed astratta, come potrebbe sembrare, ma si addentra nella storia, e viene additata in questa la evoluzione di tutte le categorie logiche (esologiche) trattate. Io qui naturalmente non posso entrare nelle particolarità: di più ho detto nella mia Notizia degli scritti e del pensiere filosofico di Ceretti; ma anche in questa fui piuttosto scarso. Ora si è pubblicata in italiano questa parte della filosofia cerettiana sotto il nome di Esologia, ed essa sola comprende ben mille e dugento pagine. Io cercherò un'altra occasione in cui discorrere più lungamente di quest'opera e paragonarla con la Logica hegeliana, dalla quale prende il general pensiere e il generale andamento, ma della quale vuol essere, e in parte è, una modificazione.  EssOLOGIA. La Natura è il Logo obbiettivato: però la dice anche Non-Logo, ossia l'opposto (il negativo) del Logo subbiettivo. La designa parimenti come Coscienza in forma d'Incoscienza, ossia, in fondo, di Coscienza ancora inconscia. Che la dice Coscienza, dopo tutto l'anzidetto, s'intende benissimo; perchè la Coscienza non è che il Logo conscio in genere, salvo poi a passare per diversi gradi della Coscienza, cominciando dalla incoscienza. Questo stato ancora inconscio della Coscienza della Natura è incluso nella mentovata designazione, che, cioè, questa sia Coscienza in forma di incoscienza. Qualche cosa di consimile egli esprime, quando la designa anche come Coscienza dormente.  Distingue la Natura (alla hegeliana) in meccanica, fisica, organica o, come anche si esprime, in Logo meccanico, Logo fisico e Logo organico; e la tratta speculativamente in queste tre forme. Il punto culminante della Natura è la Vita, il cui Logo supremo, dice egli, è l'organo sensorio. Col senso poi (che è funzione e manifestazione di quest'organo) si esce dalla sfera della Natura propriamente detta e si entra in quella dello Spirito, ossia della Coscienza del Logo conscio, e però del pensiero del pensante, la cui speculativa trattazione è la  SINAUTOLOGIA. Il concetto della sinautologia dall'anzidetto è chiarissimo e si riassume in questo, che il pensiero del pensante da essa considerato esprime la concretezza del pensiero istesso, cioè la Coscienza altuosa di quello Spirito (di quel Pensiero), che nella Esologia e nella Essologia era ancora inconscio.  Le parti in cui si suddivide la Sinautologia sono l'Antropologia, l’Antropopedeutica e l'Antroposofia. Queste stesse tre parti sono ulteriormente divise in altre subordinate, trattandosi in ciascuna in grosso quei principii che nell' hegelianismo fan parte dello Spirito e della filosofia dello Spirito. Nelle particolarità io rinunzio di entrare, tanto più che la maggior parte di esse entrano nella Sinossi, che si presenta ora al pubblico.  Con ciocchè è detto, che io lascio senza apprezzamento, è stato certo il lettore messo nel caso di conoscere quelle antecedenze, delle quali la Sinossi, da una parte, è continuazione, dall'altra, ulteriore modificazione, e veniamo dunque alla presente opera sinottica.  Rispetto a questa vi sono due punti a cui mi riferirò: l'uno è quello dell'opera da me prestata nella pubblicazione di essa: l'altro è quello di dare una idea generica del suo contenuto e di rilevare alcune cose che mi paiono degne di nota.  Per ciò che concerne il primo punto, il manoscritto che mi fu consegnato, di indicazioni del contenuto e dello scopo dell'opera non portava che soltanto il titolo generale di essa, cioè Synossi dell'Encyclopedia speculativa. Non aveva prefazione od altra indicazione di sorta, ma cominciava subito col primo paragrafo, e così senz'altro continuava in sussecutivi paragrafi fino all'ultimo.  Or bene, io ho creduto utile di fare innanzi tutto due piccole innovazioni: primamente, di ammodernare l'ortografia dell'autore; secondamente di fornire l'opera di intestazioni.  Quanto all'ortografia, Ceretti era un uomo, dirò cosi, stampato sul classico, e però rispetto ad essa ha ancora ritenuto le forme latine e greche. Gli è per ciò che, conformemente al saggio ricorrente nel titolo predetto, egli scriveva analysi, systema, sympathia, philosophia, abysso, e via dicendo. Adduceva anche le ragioni di ciò, e, in una scrittura umoristica, riferendosi a questo punto, pregava che lo « si lasciasse spropositare a suo agio, perchè la sua crassa ignoranza di orthographia italiana non gli permetteva di fare altrimenti ».  Senza che io mi distenda su questo punto, il lettore intenderà che al nostro tempo una tale ortografia non poteva trovar favore presso il pubblico. L'autore stesso,  Nella Prefazione ai Sogni e Favole (ancora inediti, ma che si pubblicheranno fra non molto).  del resto, non l'aveva seguita neppur egli in tutte le sue scritture italiane. Per esempio, non l'aveva seguita nè in una sua prima opera filosofica italiana, rimasta incompiuta (intitolata Idea circa la genesi e la natura della Forza), nè in qualche opera letteraria de' primi tempi (poniamo, nelle Lettere d'un profugo): in generale poi non l'ha mai seguita nelle sue opere poetiche italiane. Io poteva dunque senza scrupoli innovarla.  Quanto alle intestazioni, mi sono parse utilissime anch'esse. Il Ceretti è uno scrittore molto difficile, è sovente oscuro. Leggere una sua opera senza intestazioni di sorta, tranne quella del titolo generale, è una cosa che non invoglia il lettore. Gli è perciò che, ad agevolare a questo l'intelligenza e la lettura della medesima, ho diviso innanzi tutto l'opera nelle grandi e generali parti che la costituiscono, e ho dato loro le rispettive intestazioni; poscia ho fatto lo stesso coi paragrafi, dando, sia ad un solo sia a più insieme, la intestazione corrispondente al pensiere da essi espresso.  Per la giusta lezione del testo mi son dato tutta la cura possibile. Non una, ma ben molte volte sono intoppato in difficoltà: tanto più che il manoscritto era scritto da un amanuense. Nelle difficoltà ho fatto fare scrupolosi raffronti coll'originale, nei quali la figlia dell'illustre filosofo, tuttora amorosamente intenta alla pubblicazione delle opere paterne, mi ha prestato valido aiuto. Ma,  Ad onor del vero, mi piace di far noto che l'opera della figlia verso il padre non è soltanto di riconoscenza filiale, ma di intelligente ad onta del buon volere e degli aiuti, mi è rimasto qualche scrupolo, che in questo o quel luogo qualche mancamento od inesattezza vi sia rimasto.  Quanto a mancamento, mi cade in acconcio di potere affermare siccome una verità, che, per chi conosce le opere filosofiche cerettiane, quelle che susseguono l'opera latina in genere si risentono un po' tutte di qualche mancamento rispetto all'ordinamento e all'integrità del pensiere. Questo, secondo me, proviene da più cagioni: l’una, che, avendo ogni scrittore un momento culminante nella sua attività intellettiva, il Ceretti lo ha avuto nell'opera latina: l'altra che, avendo egli, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi di questa, fermamente deliberato di non pubblicar più nulla, ha creduto che le sue opere rimanessero inedite; e con tal credenza la cura di esse è minore: una terza, che negli ultimi dieci anni di vita (in cui cadono quasi tutte le opere filosofiche italiane, compresa la Sinossi) egli fu travagliato dalla mentovata infermità.  Continuando a dire dell'opera da me prestata, rilevo che, per l'accennata difficoltà e talvolta anche oscurità del pensiere dell'autore, vi ho pure aggiunto delle note illustrative, ove mi son parse necessarie od almeno utili.  E finalmente, un po' per la ragione ora detta, un po' per continuare a far conoscere la persona é gli scritti di Ceretti, un po' per agevolare al lettore l'entrata nel  prestazione, come ha anche dimostrato, benchè ella lo abbia taciuto, nella mentovata pubblicazione delle Grullerie poetiche, non che delle Poesie giovanili, apparse contemporaneamente ad esse.  pensiere della Sinossi, vi ho preposta la Introduzione che sta ora leggendo.  Per ciocchè concerne il secondo punto, quello del contenuto, comincio col richiamare innanzi tutto l'attenzione del lettore sul principio costitutivo della Sinossi, cioè, la Coscienza; principio, come ho già detto innanzi, che l'autore crede distintivo della propria filosofia da quella di Hegel, il quale, invece, pone in genere l’Idea, e più specificamente l'Idea conscia, ossia lo Spirito. Ebbene, dal poco che ho detto, antecedentemente e da altro che ho qui taciuto, posso affermare che la differenza che Ceretti vuol vedere tra la sua Coscienza e lo Spirito di Hegel a me non pare così essenziale, certo, non così grande, come egli pensa. E che la cosa sia cosi lo voglio confermare con le stesse parole dell'autore. Nella sua Autobiografia, opera interessante e ricca di notizie sul corso de'suoi pensieri, egli stesso dice: « In quel tempo io seppi  che l’Assoluto è la Coscienza, e la Coscienza nel suo svolgimento è, correttamente parlando, una storia, ma fui lontano dal distinguere la Coscienza dallo spirito e considerare lo spirito come un momento storico della Coscienza. Per me la Coscienza era un ente, piuttosto che il termine generale, la cui distinzione costituisce gli enti ».  È chiaro dunque che una distinzione vera dei due principii non l'aveva ancor fatta. Però qualche cosa di  (1) La mia celebrità citata, . Il tempo di cui parla è, certo, dopo la pubblicazione de' tre primi volumi dell'opera latina, pubblicazione che cessò il 1867,  distintivo cominciava ad andargli pel capo. Di fatto, egli afferma in altro luogo dell'opera, che verso quel tempo di cui si sta parlando « principiava a balenargli l'idea di una Coscienza più generale dello spirito, Coscienza, della quale lo spirito fosse uno storico momento. Quest'idea gli era balenata molto tempo prima, ma piuttosto come un'imagine dell'idealità che come una categorica avvertenza, la quale avvertenza principiò in questo tempo ed ebbe il suo categorico fondamento anzitutto nell'infinito nulla, sopra il quale riposa la nostra cogitabilità » (1).  Da questo luogo, che conferma il primo, non solo emerge ulteriormente che la distinzione ei non l'aveva ancor veramente fatta nell'opera latina, ma fa capire che in questa (ov'egli pure aveva cominciato a parlare di tal distinzione) la distinzione era come un primo baleno di pensiere presentatosi alla mente e intraveduto, non però ancora veramente visto, compreso' e consciamente fermato. È questo veramente un punto, che io non aveva neppur nella mia Notizia così determinatamente ancora indicato e, sopratutto, documentato; son lieto, che mi si è presentata l'occasione di farlo qui.  Ora, è nella Sinossi che il Ceretti è veramente conscio di tal distinzione, ed è in essa che la Coscienza predomina e spicca come l'universale e fondamentale principio  Può parere strano che il Ceretti faccia poggiare la cogitabilità sull'infinito nulla. Lo strano sparisce, quando si pensa che per lui l'infinito nulla è uno de' modi di designare l'essere indeterminato. Ora, il pensiere è appunto o una determinazione dell'essere indeterminato, o una ulteriore determinazione dell'essere già determinato.  di tutto l'Essere e di tutto lo Scibile (Pensiero). E la ragion principale della distinzione, come si scorgerà dalla lettura dell'opera, consiste per lui specialmente in ciò: Che, giusto perchè la Coscienza è l'universale ed assoluta realtà, l'unico universale essere, ella accoglie sotto di sè l'istesso spirito come uno de' propri momenti, una delle proprie manifestazioni e forme di esistenza. Ad intendere ciò, e in generale la larghezza della Coscienza cerettiana, allego volentieri il seguente luogo, nel quale ei dice che il filosofo speculativo « considera l'animale come un momento definito nel sistema della Natura, la Natura come un momento nel sistema spirituale, e lo Spirito come un sistema nel sistema della Coscienza.  Ora può meglio comprendere il lettore, perchè io, nel dividere la Sinossi in Tre Parti e nel dare a ciascuna di esse la relativa intestazione, ho sempre fatto entrare la Coscienza. Del resto, l'istesso autore dice che: « la Coscienza, sendo il termine più generale, che possibilita l'essere e l'esistenza, deve necessariamente essere il termine più generale, nella cui distinzione si distingue logicamente l'Enciclopedia speculativa » (3).  Volendo ora con un breve cenno introdurre il lettore nel contenuto della Sinossi, rilevo innanzi tutto che le tre grandi Parti, nelle quali ella è divisa, sono la Coscienza universale, ossia i Principii logici o logico-metafisici, che Si confrontino specialmente il g 164 e la mia relativa nota, non che il S 203.  Sinossi voglian dirsi (Logica); la Coscienza naturale, ossia i Principii naturali (Natura); e la Coscienza spirituale o Principii spirituali (Spirito).  Quanto alla Coscienza universale e ai corrispondenti principii logici, l'autore non entra in particolarità, anzi non ne espone addirittura la dottrina. Si limita soltanto ad indicare innanzi tutto le forme dello scibile e le corrispondenti verità; poscia a designare alcune verità logiche supreme; indi ad accennare in genere la natura della speculazione logica; e finalmente ad una divisione del pensiere sistematico logico.  Rispetto alle forme dello scibile (ch'ei distingue in a) scibile estetico e religioso; b) scibile empirico-induttivo, e c) scibile speculativo), pone che la forma speculativa, che è l'unica e vera filosofica, è quella « che non con: tiene se non verità necessitate dal pensiero in sè stesso, indipendente da qualsivoglia autorità esteriore. Queste verità necessitate poi ricorrono propriamente, od almeno in modo speciale, nella Logica. E delle tre indicate Parti e corrispondenti discipline filosofiche ei pensa che « la scienza veramente speculativa è la Logica, e le discipline della Natura e dello Spirito non possono contenere verità speculative, ossia necessarie, se non in quanto siano ridotte alla loro radicalità logica », vale a dire, alla forma o tipo logico.  Quanto alle verità logiche supreme, elle si concentrano nel mentovato principio della Coscienza.  E, di fatto, ei pone come verità prima e radice di tutte le altre verità, e ad un tempo come « verità generalis sima della speculazione », questa, che a è contenuta nella proposizione: L'assoluto è coscienza ». E pone quindi come a verità più particolare, ma non meno necessaria », quest'altra, « la quale è nella proposizione: La verità assoluta è nella coscienza pensante. A queste due proposizioni se ne può aggiungere una terza, che, benchè ricorra in fin dell'opera, pure è con esse intimamente legata; ed è che a nulla è e nulla può essere fuori della Coscienza » (2).  Quanto alla natura della Logica, ei l'indica, e mi pare eccellentemente, siccome il « sistema generale della cogitabilità », o, come anche dice, « della pura cogitabilità ».  Finalmente l'autore, non entrando nelle esposizioni di tal sistema, ma limitandosi alla partizione di esso in tre cicli, designa il primo siccome « la categoria pura dell'Essere indefinito, l'essere generale qualitativo e quantitativo v: il secondo come « l'Ente, ossia l'Essere finito, per il quale il pensiero si definisce in pensieri particolari reciprocamente differenziati ed opposti »: il terzo come a l'unità del pensiero infinito col pensiero finito, nella quale unità il pensiero s'individualizza. Questa individuazione, soggiunge, estrinsecandosi, genera la Natura.  (1) La Coscienza pensante è per lui la Coscienza razionale o concettiva, com'ei la dice, a differenza delle forme inferiori di Coscienza, cioè la Coscienza riflessa e la Coscienza sentimentale (quest'ultima abbraccia la Coscienza estetica e si estende alla religiosa).  Sinossi Vedi Sinossi   [blocks in formation] Passando a trattare della Coscienza naturale o Natura, ne dà una definizione, in cui si sente l'influsso fichtiano, definendola, cioè, siccome «l'Idea scissa in due termini, che hanno l'apparenza della separazione, e che sono a l’lo e il Non-Io. Quanto alla partizione però, divide ancora hegelianamente la Natura in a) meccanica, b) fisica, c) biologica (organica).  Cominciando a dir della prima, tocca innanzi tutto della considerazione estetica della Natura istessa, di quella considerazione, che attribuisce ai corpi celesti vita e persin coscienza. Tocca parimenti della considerazione riflessa (o empirico-induttiva), la quale, oppostamente alla prima, considera la Natura come disanimata e puramente meccanica. Son due considerazioni ch'ei tiene per egualmente false, ritenendo invece per unicamente vera la considerazione speculativa.  Conformemente a quest'ultima, piglia le mosse da’ principii primitivi e condizioni prime della Natura, che sono lo Spazio, il Tempo, il Movimento, la Forza; quattro principii che nella loro unità costituiscono poi la Materia. Questi principii ei riunisce in guisa da ricordare addirittura la consimile unione di Spencer, la quale, del resto, prima che spenceriana, è stata già hegeliana.  Si addentra poscia vieppiù nella Natura, e la considera nella vita e nel movimento dei corpi celesti. Ribatte la considerazione estetica, che attribuisce a  « Vita e Coscienza analoga all’umana », siccome  questi  (1) Sinossi  [ocr errors] fantastica. Rispetto alla Vita di essi, rileva egli, la speculazione (e considerazione speculativa) a ritiene giusto » che « i corpi celesti.... debbano possedere necessariamente la propria vita, dalla quale abbiano il proprio movimento, la propria forza e le proprie fasi formali ma respinge interamente che « detta vita possa essere analoga all'animale ed alla vegetale.  Passa quindi a considerare, secondo la speculazione, la Coscienza nei corpi celesti; e, anche qui, pur ammettendo una generica coscienza ne' medesimi, dice che « la Coscienza propria de' corpi celesti non può sotto verun rapporto somigliare a quella degli animali e delle piante ». Ritiene però che « l'armonia generale de’loro rapporti cinematici e induttivamente anche dinamici prova evidentemente che sono regolati non solo dalla coscienza, ma anche dalla coscienza pensante e razionale.  Allontanandosi, ciocchè qui dice l'autore, non poco dalle comuni intuizioni, è bene di rilevare e determinare ulteriormente il suo pensiere e la ragione del suo pensiere, non che la ragione, per la quale egli respinge anche la considerazione riflessa della Natura (che è poi in grosso la considerazione delle scienze naturali). Riattaccandosi a quest'ultima, dice che, se la considerazione estetica attribuisce vita e coscienza agli astri, sbagliandosi nel modo dell'attribuzione, la riflessione spegne  Sinossi Sinossi.  addirittura l’una e l'altra. Imperocchè essa, nella concezione e considerazione della natura, è dominata « dalla cardinale irrazionalità » di considerare il pianeta terrestre « come un ente meccanico e fisico, e non mai come un organismo planetario vivente e cosciente di vita e coscienza propria, altra dalla vegetabile ed animale. L'autore attribuisce alla riflessione l'errore della « diremzione (scissione) della Natura e della Coscienza », per cui « deve necessariamente considerare i singoli fenomeni come altri da quelli della Vita e della Coscienza o .  Diversa poi, a senso dell'autore, è la speculativa considerazione si della Natura in genere, che dell'ordine terrestre. In quanto che « la speculazione, ponendo il principio generale, che la Natura e l'Idea della Natura sono reciproci fattori, deve conchiudere necessariamente che una Natura qualsivoglia non può esistere se non come viva e cosciente. Le diverse specifiche nature sono appunto differenziate dalle differenze specifiche della loro vita e coscienza ». E, conformemente a ciò, rileva i diversi gradi di vita e coscienza de' corpi celesti, de' minerali, delle piante, degli animali.  « La speculazione (aggiunge egli) concepisce che nessuna esistenza è possibile se non in quanto sia Coscienza, e nessuna Coscienza è possibile se non come un sistematico svolgimento dall’una nell'altra determi Sinossi Sinossi nazione, locchè è Vita ». Mette però in rilievo che « Vita e Coscienza nella speculazione non sono menomamente limitate all'analogia del processo vegeto-animale; epperciò, dicendo che i corpi celesti, il globo terrestre e le materie terrestri sono vive e coscienti, non intendiamo dire che un numero finito di organismi componga un tale organismo, ma semplicemente che tutta la natura è organica, viva e cosciente, e conseguentemente ogni organismo è principio e fine di altri organismi, cosi nel proprio totale, come in ciascuna minima particella divisibile all'infinito.  Non men lontano dalle comuni intuizioni è ciocchè segue sotto il titolo di anatomia, fisiologia e psicologia del globo. Si badi però che a si fatte denominazioni il Ceretti non attribuisce il significato che lor comunemente corrisponde. La ragione, per la quale egli ha adoperate le predette denominazioni è ch'ei considera il globo siccome un organismo vivo e cosciente. Di fatto ei dice: « Considerando il globo come un individuo organico vivo e cosciente, si conchiude necessariamente che vi sia un'anatomia, una fisiologia ed una psicologia del globo ». Avverte però ch'egli « usa questi vocaboli in un significato più generale che non in quello della vita vegeto-animale. E quanto all'espressione di psicologia del globe, che è quella che più delle altre urta le comuni intuizioni, egli ne giustifica e chiarisce  Sinossi il significato come segue. « Dobbiamo per prima cosa notare, dic'egli, che non intendiamo parlare di psicologia nel significato analogo a quello dell'animalità, ma usiamo questo vocabolo nel significato amplissimo di coscienza vivente. Cosi, per es., la bestia pratica, nell'uso della sua facoltà locomotiva, esattamente le regole matematiche della statica; ma questo non vuol dire che la bestia possegga qualche nozione di matematica e di meccanica razionale; ella non possiede veruna nozione riflessa, ma semplicemente il senso regolativo della statica, requisito della pratica della locomozione; ma non è una regola teorica; ossia una Coscienza riflessa della medesima. In questo significato generalissimo di coscienza la terra possiede la sua psicologia, non altrimenti che ogni individuo vivente.  Da tutto ciocchè il Ceretti dice intorno a coscienza degli astri in genere e a coscienza e corrispondente psicologia della terra in ispecie, se ne deduce ch'egli attribuisce sì ai primi che alla seconda quella coscienza ch'egli nel luogo ultimamente allegato chiama coscienza vivente, cioè una coscienza che si caratterizza e risume nella vita, una coscienza che potrebbe chiamarsi inconscia. E questa è quella coscienza che antecedentemente io stesso ho designata come generica, non già come specificata e molto meno come individuata.  Ad intender ciò, si pensi che per Ceretti il principio universale della realtà (qui nella Sinossi) è appunto la  Sinossi Coscienza come universale ed assoluta. In quanto la Coscienza è universale ed assoluta, è già Coscienza la Natura stessa, che è una delle forme di manifestazione ed esistenza della Coscienza. Se è così, è ben naturale ch'ei pensi come cosciente (genericamente, non individuamente gli astri tutti, anzi le cose tutte. Ma la Coscienza della Natura, nelle formazioni siderali della medesima, non si è ancora individuata, soggettivata , ossia è una coscienza che non è ancora presente a sè stessa, non è consapevole di sè stessa, è una Coscienza ancora inconscia.  Ora, il Ceretti pensa che tutto il processo della Coscienza naturale o, come comunemente diciamo, della Natura, consiste appunto nella graduale individuazione e soggettivazione di questa Coscienza. Nella terra ed in genere nella natura minerale tale individuazione, almeno tal vera e reale individuazione non è ancora avvenuta e ne cerca e segua i relativi gradi evolutivi. « Il primo esordio, secondo lui, della Coscienza verso una propria individuazione, oltre l'individuazione planetaria, appare nella vita vegetativa. E questo esordio è, a tal riguardo, si poca cosa, chè, benchè la pianta abbia « un'individualità distinta dall'individualità planetaria, quest'individualità si manifesta tuttavia equivocamente nella vita vegetabile. E di questa equivocità arreca varie ragioni. Sinossi Sinossi Additata l'individuazione nella pianta, passa ad additarla nella ulteriore e superiore forma di esistenza della animalità. È primamente nell'organismo animale che, secondo il Ceretti, avviene la compiuta individuazione, la quale, si noti, non è ancora soggettivazione in tutta l'animalità. La soggettivazione, che è il grado supremo dell'individuazione, da una parte, « si palesa progressivamente nelle specie superiori », dall'altra, si manifesta nella sua vera compiutezza soltanto nell’uomo; il quale nella serie zoologica è a l'ultimo frutto, ossia il massimo sviluppo psichico dell'animalità. Quando l'animale, dic'egli, arriva definitivamente alla soggettivazione della propria Coscienza, ossia al suo Io distinto categoricamente dal Non-Io, entra categoricamente nella Coscienza spirituale. Questo passaggio costituisce la creazione dell'uomo, e solamente questo passaggio colla propria manifestazione può significare un soggetto umano. Con l'antecedente esposizione Ceretti, nella Evoluzione della Coscienza, esce dalla Coscienza naturale ed entra nella Coscienza spirituale, cioè nella terza parte dell'opera. In questa, cominciando colla distinzione di senso e pensiero, vien subito all'additamento delle forme, 0, com'ei le dice, fasi dello spirito, le quali per lui sono il sentimento, l'intelletto ed il concetto. Il concetto è la facoltà razionale, a distinzione della intellettiva, secondo Sinossi  che ciò s'intende nell'hegelianismo. Il sentimento è da lui inteso in senso più largo del senso, tanto che designa come momenti del sentimento l'attenzione, la memoria e l'immaginazione. Così inteso, il sentimento viene ad esser come una funzione media tra il senso e l’intelletto, quella funzione che costituisce come il passaggio dalla coscienza senziente alla cogitante (1), e che perciò somiglia quella che i tedeschi chiamano facoltà rappresentativa (Vorstellungsvermögen).  Segue l'evoluzione della Coscienza spirituale in quelle forme che, secondo la terminologia hegeliana, fan parte dello spirito soggettivo, come linguaggio e suoi stadii; stato primitivo dell'uomo (primitiva coscienza umana); sonno, sogno e veglia ; temperamento; specifiche disposizioni mentali, tra le quali piglia di mira anche il genio nella sua distinzione dall'ingegno; carattere e criterio.  Dopo di ciò passa alla considerazione di quei principii che possono designarsi come costitutivi della Coscienza oggettiva (oggettivata), che corrispondono a quelli del cosi detto spirito oggettivo hegeliano, e che il Ceretti in questa Sinossi risume ne' tre di Morale, Diritto, Ragione. La Morale regola i rapporti sociali degl'individui consociati, ma soltanto siccome regola interiore alla Coscienza. Il Diritto, facendosi indipendente dalla interiorità della Coscienza morale, statuisce  Ei dice di fatto: La Coscienza che dalla sensazione si svolge nella mentalità si sistematizza in un sentimento pressochè comune alla umanità ». Sinossi, S 128.  una legge che divien comune e normativa nei rapporti esteriori del corpo sociale. La Ragione concilia le esigenze della Morale e del Diritto, cioè dell'elemento soggettivo e dell'elemento oggettivo della civile società.  Continuando, l'autore segue l'evoluzione della Coscienza spirituale nella sua costituzione sociale. Da prima rileva e determina i gradi evolutivi di questa ultima nel regime patriarcale, strategico (militare) e politico. Poscia viene alla determinazione della ragione, la quale è « come il fattore essenziale del buono e del giusto contenuto » nelle organizzazioni sociali. Alla ragione disposa la coltura, in quanto l'una e l'altra si suppongono e svolgono insieme. « La ragione, com’ei si esprime, reclama un libero svolgimento della coltura e la coltura è il corpo della ragione; questa e quella sono reciproche esigenze, epperciò non si possono reciprocamente realizzare se non in quanto concorrono nell'unità del proprio sistema. Termina questa parte con la distinzione, la determinazione ed il rapporto dello scibile delle discipline finite e dello scibile speculativo.  Assolta questa parte della Coscienza spirituale, passa all'ultima e suprema della medesima, che è quella che si riferisce all'Arte, alla Religione ed alla Filosofia, o, che vale lo stesso, alla Coscienza artistica, religiosa, filosofica. Ciascuna di queste tre ei considera non solo Sinossi Sinossi,  nel suo principio, ma anche nella sua storica evoluzione. Gli stadii di si fatta evoluzione sono in genere l'asiatico, il pagano, il cristiano; e quindi arte, religione e filosofia asiatica; arte, religione e filosofia pagana; arte, religione e filosofia cristiana.  Quanto all'arte, egli accenna non solo all'arte in genere, ma anche alle diverse forme di arte, additandone l'evoluzione appunto ne' predetti stadii asiatico, pagano e cristiano.  Il medesimo fa per la religione, e qualificando la religione e le religioni asiatiche per naturalistiche, la religione e le religioni pagane per antropomorfistiche, la religione e le diverse forme religiose cristiane per spiritualistiche.  E finalmente, quanto alla filosofia, rilevato il generale concetto di essa e il suo legame coll'arte e colla religione, viene a toccare della sua storica evoluzione. Comincia dalla filosofia asiatica, nella quale dà importanza alla filosofia indiana, essendo questa nell’Asia « la sola che si possa considerare come un tentativo di speculazione esordiente. Ella si distingue in tre grandi periodi, di cui il primo è teologicamente ortodosso, epperò armonizza colla religione costituita; il secondo ed il terzo consistono di sistemi teoretici, che però non negano il principio fondamentale della religione, alla quale contradicono.  Passa alla filosofia pagana, la quale si risume essen Sinossi, zialmente nella greca, e nella quale la speculazione non s'ispira, come l'indiana, alla teologia, ma « si sente perfettamente libera da ogni prestatuto, da ogni estrinseco alla speculazione » stessa. E ciò si mostra fin dall'inizio della filosofia greca, nella quale « i primi filosofi furono fisici non teologi ». Ella « si distingue in tre grandi cicli. Nel primo è speculazione naturalistico-noologica. Nel secondo è speculazione etica. Nel terzo è speculazione pneumatologica.  Termina colla filosofia cristiana, nella quale, secondo lui, « le speculazioni dei teologi, la così detta filosofia scolastica, non appartengono positivamente alla filosofia, ma piuttosto a quello che si direbbe teologia speculativa », Più vicina al punto di vista filosofico própriamente detto, come poggiante sulla ragione, è la a nuova speculazione », o quella del Rinascimento. Questa « esordi con una semplice rinnovazione della ellenica filosofia ); ma in alcune speculazioni« si distingue per la forma delle nuove filosofie », come in BRUNO (si veda), in Giacobbe Böhm e in qualche altro.  Quello però che fonda la filosofia cristiana propria mente detta è Cartesio, al quale poi si riattaccano i posteriori moderni filosofi per ulteriormente svilupparla. « La filosofia cristiana differisce dall’ellenica; perocchè questa si svolse nel piano dell'Idea fisica o metafisica e della sua identità realizzata nel mondo, quella si svolge nel piano dello Spirito concreto, ossia [Sinossi] unità distinta dell'Idea in sè stessa (metafisica) colla Idea fuori di sè stessa (Natura). Questa concreta unità prima è realizzazione dei suoi termini separabili, che astrattamente si svolgono in astrazioni fisiche o metafisiche; poscia è concreta unità dei suoi termini indirimibili e distinti.  Questa è la tela del pensiere filosofico della Sinossi dell'enciclopedia speculativa. Ora, a complemento della cosa, credo ancora utile di rilevare alcuni punti ed alcune opinioni dell'autore, che mi sembrano degni di nota.  Primamente mi riferisco al punto concernente le idee cerettiane sugli astri in genere e sulla terra in ispecie, e propriamente riguardo all'animazione e persin coscienza che l'autore ha vedute in essi.  Innanzi tutto allego un luogo di un'altra opera di lui: in questo si dice chiaramente come egli intende l’evoluzione planetaria, la quale poi non è altro che l'evoluzione di ciocchè si nella Sinossi, si in questa mia Introduzione si è appellata la Coscienza naturale. « La mia astronomia, dic'egli, ossia perlustrazione de' corpi celesti, non somiglia punto alla disciplina finita (cioè all'astronomia de' naturalisti) di questo nome, ma si riferisce semplicemente alle più arrischiate ipotesi circa la genesi di quei corpi. L'idea fondamentale è che le varie età di un corpo celeste corrispondono alle varie qualificazioni di nebulosa, sole, pianeta, e cosi oltre, e conseguentemente anche i vari fenomeni sulla superficie di esso appartengono a [Sinossi] vari momenti della sua età. Cosi, per es., la vita fitozoica e la storia umana sarebbero una fenomenale momentaneità della vita planetaria sopra il globo, che oggidi dagli uomini si chiama Terra.  Or qui si dice che la vita non solo vegetale ed animale, ossia vegeto-sensitiva, ma la stessa vita pensiva umana è una manifestazione planetaria, che si concreta sulla terra: il che è come dire in altri termini che nella terra vi sono fenomeni sensitivi e pensivi. In conseguenza di ciò il Ceretti ha parlato di vita e coscienza degli astri, vita e coscienza del pianeta terrestre; come, d'altra parte, conformemente a ciò, ha parlato di anatomia, fisiologia e psicologia della terra.  È indubitato che queste ultime espressioni suonano un po'stranamente, e più stranamente ancora suonavano alcuni decennii addietro. Però, a misura che si fa strada nella scienza il realismo e l'evoluzione, quelle espressioni van mano mano perdendo non poco della loro stranezza. Siam giunti a tale, che leggiamo, e senza meraviglia (io almeno non me ne meraviglio, (simiglianti cose in libri seriissimi, che veggono la luce negli stessi nostri giorni. Uno di siffatti libri (che io credo seriissimo e raccomando a chi no'l conosce ancora), è, per esempio, il « Cosmos die Wellentwickelung nach monistisch-psychologischen Principien auf Grundlage der exakten Naturforschung dargestellt von Wolff. Leipzig. La mia celebrità già citata. Ebbene, Wolff parla anch'egli non solo di psicologia animale, ma anche di psicologia della pianta e psicologia della cellula. Notoriamente, di quest'ultima ha parlato e scritto Haeckel, seguito poi da altri. Ma con ciò siamo nella natura organica. Wolff va ancora più innanzi e parla anche di fisiologia della natura inorganica (si badi bene, inorganica). E non si arresta neppur qui: parla persino di segni di manifestazioni psichiche nella natura inorganica: e, dopo avere additati questi segni, anche coll'appoggio di Copernico, Herschel, Haeckel, Schopenhauer, viene alla conclusione che nella natura inorganica c'è un fondo psichico (einen psychologischen Hintergrund der anorganischen Natur). Siffatte manifestazioni, secondo il Wolff, « non sono però segni di una esistenza individuale animata, ma comuni manifestazioni di specie » o generi. Anche Ceretti pensa la cosa in grosso allo stesso modo; giacchè la sua Coscienza degli astri e della terra non è individuale, ma generica come ho fatto innanzi rilevare.  Fo considerare, inoltre, come ora si parli non poco di Panpsichismo: chi è a notizia della recente letteralura filosofica, lo sa. Lo spirito universale di Hegel (der Weltgeist), lo spiritualismo assoluto del medesimo sono imparentati con si fatte intuizioni. Non vi è meno imparentato l'Inconscio del vivente filosofo Hartmann; giacchè l'Inconscio contiene in sè un ele  Vedi dell'Opera citata di Wolff.  Al secondo volume di detta Opera, mento pensivo e spirituale che, foss’anche inconsciamente (e, del resto, nella natura dev'essere cosi), si manifesta ed agisce nel mondo materiale.  Altra intima parentela con queste intuizioni ha l'attuale e assai generale Monismo; perchè col Monismo si ha un solo principio superiore, che è spirituale e materiale, conscio ed inconscio insieme, e che è presente ed agente così nell'animale e nell'uomo, come anche nella pianta e nel minerale. Sicchè dunque bisogna guardare e giudicare con sentimenti amichevoli ed indulgenti ciocchè il Ceretti dice intorno all'animazione e coscienza degli astri.  L'aver testè ricordato il nome di Hartmann accanto a quello di Hegel, mi fa andar per  la mente, che accanto a questi due va collocato immediatamente il Ceretti, e propriamente, da una parte, come contrapposto a quello, dall'altra, come unito a quello nella comune provenienza da Hegel. È indubitato che entrambi  provengono da questo, ma si noti, che vi provengono, propugnando ciascuno un principio opposto a quello dell'altro: Eduardo di Hartmann, propugnando l’Inconscio, Ceretti la Coscienza, ossia il Conscio. È questo un punto assai degno di considerazione, ma che meriterebbe uno sviluppo, il quale non può entrare in questa Introduzione. Prego però che gli rivolgano la mente coloro che ora conoscono il Ceretti, fino a poco fa sconosciuto. Cercherò un'altra occasione, nella quale ritornerò su di ciò.  Un altro punto, che si collega ai precedenti e pure degno di rilievo da parte del Ceretti è il dichiarare e ribatter ch'ei fa come assurda la « supposizione d'una natura meramente inorganica, cieca e macchinale. Con questa dichiarazione egli si fa, sia direttamente, sia indirettamente, oppugnatore del Positivismo e dell'Evoluzionismo, in quanto meccanici. E in ciò bisogna unirsi interamente a lui. Io non ispregio punto, anzi pregio moltissimo le dottrine positivistiche ed evoluzionistiche: e persin dichiaro novellamente (l'ho già fatto altra volta) che accolgo l'evoluzionismo disposato all'hegelianismo sotto il generale concetto e processo di evoluzione finale. Ma ritengo immensamente irrazionale l'evoluzionismo meccanico, col quale non solo non si possono spiegare i prodotti superiori della realtà, l'arte, la religione, la scienza, la vita domestica e sociale ecc., ma neppure la vita animale e vegetale, e diventano inesplicabili gli stessi prodotti minerali nelle ordinate formazioni dei medesimi.  Già l'antichità al meccanismo atomistico e in genere naturalistico aveva giustamente contrapposta la finalità, specialmente nelle scuole platonica ed aristotelica. Il principio finale, che fu accolto ne' tempi e filosofi posteriori, è stato nell'ultima filosofia accentuato specialmente da Schelling ed Hegel, che han visto ed affermato nella natura un finale, razionale e progressivo organizzarsi della medesima in tutte le sue maravigliose forme.  L'evoluzionismo con Spencer ha assai progredito a  [blocks in formation] riguardo de’due grandi filosofi tedeschi in moltissimi rispetti; ma, d'altra parte, col meccanismo ha immensamente regredito rispetto ad essi. Chi sarà l'uomo ragionevole che potrà pensare che la scienza si possa costituire meccanicamente ed automaticamente? Ebbene è proprio cosi che dee pensarne la costituzione e formazione chi accetta il meccanismo comtiano e spenceriano; giacchè da’principii comtiani e spenceriani riguardo alla scienza non ne discende altra conseguenza. Innanzi a una tale assurdità o debbon cadere senz'altro il Positivismo e l'Evoluzionismo, o bisogna, come io penso, integrarli colla finalità. Per ciocchè concerne questo mio pensiere, sono lieto d'incontrarmi nella stessa idea con un uomo assai rispettabile e favorevolmente noto nella scienza, col Vacherot. Il quale, pur movendo dall'hegelianismo, è giunto (nel Nouveau spiritualisme) per altra via a quella conclusione (all'Évolution finale), cui songiunto anch'io.  Altro punto che voglio rilevare è quello dell'opinione del Ceretti rispetto all'origine e natura della specie; e lo fo volentieri, perchè si tratta di cosa oggi tanto dibattuta. Rispetto a questo punto parrebbe che egli si discostasse tanto da Hegel quanto da Darwin; ma a me sembra che, in fondo, ei riesca alla stessa idea di quest'ultimo. Il Ceretti dice: «È assurdo supporre che una specie si  Vedi Le nouveau spiritualisme del VACHEROT, Paris, specialmente il capitolo intitolato l'Évolution finale, pag. 359. Nell'istesso anno 1884, nel mio Teismo filosofico cristiano, senza che io sapessi nulla del filosofo francese, ho sostenuto lo stesso principio, con la stessa espressione di evoluzione finale.  tramuti in un'altra come tale, perocchè le specie sono mere distinzioni teoriche del nostro intelletto. La natura, come disse un sommo naturalista, non facit saltum » ecc. Con ciò parrebbe quasi quasi che non ammettesse vere specie di sorta e non si accordasse col darwinismo. Ma, d'altra parte, ei soggiunge: « La vera trasformazione della specie non si deve investigare nelle specie come lali, ma piuttosto ne'minimi termini della specie, ossia nelle variazioni individuali. Queste variazioni, tuttochè lentissime, modificano col volgere de' secoli le specie » (1).  Ora a me pare che l'opinione cerettiana si converta colla darwiniana: perchè secondo i darwinisti le modificazioni alle specie provengono e non possono d'altronde provenire che dagl'individui.  Un altro punto non meno dibattuto e controverso è ai di nostri quello della religione; e mi piace di rilevare l'opinione cerettiana in proposito. Innanzi tutto egli è contrario ad ogni religione filosofica o scientifica che voglia dirsi. « Provate, dic'egli, a istituire un culto, ossia una pubblica credenza filosoficamente ragionata; e voi fallirete senza dubbio al vostro scopo, perocchè la Coscienza pubblica non è disposta a un filosofico sistema ». E  per tal rispetto può dirsi ch'ei si oppone al positivismo, a dir vero, non a quello del fondatore del medesimo, perchè Comte ammetteva la ragion di essere della religione, ma al comunale positivismo, che vuol sostituita la religione colla scienza. E, venendo poi ad esprimere Sinossi il suo pensiere su tale importante argomento, ei dice: « La religione che conviene al nostro tempo e alla nostra civiltà non può essere una religione di miti e di misteri. Non può essere una rivelazione miracolosa d'un tempo e d'un luogo, epperciò non può essere una religione autorizzata da un codice e da una tradizione. Il solo fondamento religioso, tuttavia reale del nostro spirito, è l'idealismo trascendentale, per es., la credenza in una Coscienza e Ragione generale che governa il mondo: è questa il nostro Dio superstite come Dio, possibile oggetto d'una credenza religiosa.  Probabilmente il lettore troverà che anche questa religione proposta dal Ceretti (e che abbastanza generalmente, e da un pezzo, la si propone ed anche coltiva da filosofi, scienziati e uomini colti) senta un po' del filosofico anch'essa. Io, per parte mia, penso  lo  pensava anche il filosofo intrese) che la religione in genere sorge dalla coscienza popolare. E siccome questa non è nè può essere mai filosofica o scientifica che dir si voglia; così una religione scientifica, quale la vogliono i predetti comunali positivisti, è una chimera e, per giunta, assolutamente contraria alla coscienza del popolo, che costituisce qualitativamente e quantitativamente la larga base e la gran massa de' credenti.  Questi sono i punti principali e le relative opinioni dell'autore, che io voleva in ispecial modo rilevare: altri tralascio.  (1) Sinossi, Prima di terminare questa già lunga Introduzione, non posso a meno di rivolgere ancora l'attenzione del lettore sulla posizione della Sinossi nel complesso e nel corso del pensiere filosofico dell'autore, non che sulle ragioni che hanno consigliata la pubblicazione dell'opera.  Quanto alla posizione, ho già detto che essa rappresenta una fase o momento di transizione dall'idealismo assoluto hegeliano (già accolto dall'autore ed espresso, pur già con modificazione, nella sua opera latina) ad un assoluto idealismo subbiettivo, o ad un assoluto subbiettivismo, assai vicino a quello di Fichte. Ho pur già detto che tal passaggio segue attraverso dello schellinghianismo, del quale son visibili alcuni vestigi nella presente opera. Il lettore che leggerà attentamente questa ultima, scorgerà la cosa da sè stesso. Se non che io voglio ulteriormente rilevare che questo punto io l'ho già rilevato nella mia opera sul Ceretti, e, per non tornare a dir lo stesso, rimando il lettore a questa.  Quanto alle ragioni della pubblicazione (oltre al desiderio, anzi volere della figlia del filosofo, la quale crede dovere filiale di cooperare a far conoscere e pregiare il suo genitore), elle son varie. L'una è che, benchè ella sia un'opera indubbiamente inferiore alla latina, ciò non di meno, con tutta la stessa sproporzione che ha nelle tre parti che la costituiscono, è pur sempre tale da meritare di essere conosciuta. Una seconda è che,  Alla più volte citata notizia, siccome essa rappresenta una delle fasi di transizione del pensiere filosofico cerettiano, cosi, per conoscer questo tutto intero, era necessaria la pubblicazione di essa ; tanto più che essa, tra le opere filosofiche che si riferiscono a tal fase, è una delle migliori. Una terza ragione è questa, che, accanto all'Enciclopedia filosofica latina, è bene che se ne conosca di lui anche una italiana. Una quarta è che, essendo rimasta incompiuta l'opera latina, specialmente per la parte che concerne la filosofia dello spirito, era opportuno di pubblicare la Sinossi, che si estende anche a questa parte. A dir vero, le idee sulla filosofia dello spirito nell'opera latina sarebbero state più vicine alle hegeliane, ma un generico fondo hegeliano v'è in grosso anche nella Sinossi. Un'ultima ragione è questa che, come nella pubblicazione dell'opera latina in traduzione italiana, assai probabilmente non si andrà più in là del secondo volume (dell’Esologia, o logica del Ceretti), perchè il terzo (la Essologia o filosofia della natura) è rimasto incompiuto, così la Sinossi si adatta ad esser come la continuazione della stessa opera latina tradotta. E si adatta tanto più, in quanto questa giunge, come abbiam detto, fino alla logica, che è trattata ampiamente; e la sinossi, invece, appena accennando la logica, tratta più estesamente la filosofia della natura e quella dello spirito, specialmente quest'ultima. E non è improbabile che Ceretti stesso, per avere appunto largamente trattata la logica nell'opera latina, ne abbia poi fatto appena un piccolo cenno nella sinossi, che fu scritta dopo. Termino esprimendo il voto, che una così eminente individualità filosofica, poetica e letteraria, quale fu CERETTI (si veda), venga sempre più conosciuta ed apprezzata. Per conoscerla però ed apprezzarla degnamente, non bisogna arrestarsi ad una sola delle sue opere, ma bisogna abbracciarle tutte; giacchè, essendo stata la sua individualità assai varia e complessa, bisogna vederla e conoscerla nella varietà e nel complesso delle sue opere.  Dividerò e tratterò in "varii punti la quintuplice forma di Logica enunciata nel  titolo. Il primo punto è che questa quintuplice forma di Logica si riattacca nel modo  più intimo al mio scritto già pubblicato ed intitolato: L'essere evolutivo finale come  tentamento di una nuova concezione ed orientazione del pensiero filosofico uscente dal-  l' Hegelianismo. E si riattacca in guisa che la concezione, la posizione e la soluzione  delle indicate forme logiche dipendono in tutto e per tutto dal medesimo. Il secondo punto concerne la importanza della trattazione delle enunciate forme  logiche. La importanza, quanto alla Lo gica aristotelica, è addirittura imm ensa, in quanto  sì fatta Logica conta ormai 24 secoli di esis tenza, di ammirazione e di attuazione  nel pensiero umano in genere e nel pensiero filosofico in ispecie.   Per ciocché concerne la importanza della logica kantiana, benché questa, relativamente al tempo, conti poco più di un secolo di esistenza, pur la sua importanza  è assai grande, in quanto, da una parte, continua ed ulteriormente esplica la Logica  aristotelica, dall'altra, prepara la via, l'indirizzo e la stessa materia alla susseguente  Logica di Hegel. Quanto poi alla Logica hegeliana, se la sua importanza rispetto al tempo è  immensamente minore della aristotelica, e, relativamente, della stessa kantiana, con-  tando appena circa un secolo di vita, pur non di meno, considerata come entit à del  fatto logico in se stesso, è grandissima anch' essa. Giacché, la Logica hegeliana, da  una parte ; riattaccandosi e contrapponendosi com e_ reale od ontolog ica alla aristotelica  ritenuta e detta formale, e, dall'altra, sviluppando, integrando e realizzando in un  compiuto organismo dialettico il tentativo ontologico kantiano, è divenuta il più impor-  tante fatto e pensiero logico de' tempi nostri. Quanto alla importanza della cosi detta Logica matematica, tale importanza  rispetto al tempo è di bel nuovo assai minore non solo della 24 volte secolare ari-  stotelica, e della poco più che secolare kantiana, ma della stessa secolare hegeliana.  Giacche la Logica detta matematica conta soltanto pochi decennii di vita, ed anzi,  nella sua ultima determinata forma, appena una ventina d'anni.   E da ultimo, per ciocche concerne la importanza della Logica indiana, tale impor-  tanza è grandissima anch'essa; in primo luogo, perchè la Logica indiana è una reale  e vera forma logica distinta dalle altre, e pensata ed esercitata da un popolo anti-  chissimo tuttora pensante e logicante con essa; in secondo luogo, perchè, rispetto  alla universale evoluzione della Logica in genere, la Logica indiana è la prima ma-  nifestazione, avente ragion di essere come le altre. A queste ragioni essenziali potrei  aggiunger l'altra di opportunità ; ed è che essa è assai poco conosciuta, ed è invece  degnissima di esserlo, il che avverrà coll'accenno mentovato della medesima.   Un'ultima considerazione rispetto alle predette forme logiche, e specialmente  rispetto alla sequela storica delle medesime, è la seguente. Che, cioè, benché la  indiana sia la prima in ordine di tempo, pur non nuoce, anzi giova di esporla, e trat-  tarla in ultimo, perchè essendo essa di un tipo abbastanza dissimile dalle altre enun-  ciate, sarà più agevole di intenderne ed apprezzarne la natura dopo aver esposte  quelle che rappresentano lo sviluppo maturo e razionale rispetto ad essa. Il terso punto concerne lo scopo della trattazione delle predette Logiche. Il quale  scopo è quello di determinare quale è la vera natura di ciascuna di esse, consi-  derandole sì dal punto di vista storico, epperò evolutivo, sì dal punto di vista  teoretico. Di tutti questi punti dunque tratterò separatamente, cominciando dalla Logica  aristotelica. Aristotele è detto il Padre della Logica. Sorge subito la quistione : Ma non_cI è_ un' altra_ L ogica prima _della sua ? e se ce  n'è un'altra, in qual relazione sono quest'altra e la aristotelica, da una parte, dal  punto di vista della anteriorità e della posteriorità, dall'altra, dal punto di vista della  evoluzione storica dall'una all'altra? La risposta a tal quistione sarà più opportunamente fatta e compresa dopo la  trattazione e giudicazione di tutte le predette Logiche. E veniamo alla Logica ari-  stotelica.   Innanzi tutto è bene di allegare le Fonti della nostra esposizione e trattazione.  Tutti intendono che la prima ed essenzial Fonte è Aristotele stesso e questa  noi avrem sempre presente nel testo originale. Aggiungiamo solo che, come Aristo-  tele, specialmente attraverso del Medio evo e del Rinascimento, è stato ripensato e  riferito nella famosa traduzione latina " interpretibus variis „, riconosciuta come giusta interpretatrice del grande filosofo greco, cosi noi ci serviremo anche di questa,  allegandola persino ordinariamente accanto al testo greco. La edizione de' due testi che noi abbiam presente e seguiamo è quella della  « Academia Regia Borussica, Berolini fatta da Becker e da Brandis. Altre Fonti importantissime sono le seguenti:   Severino Boezio (l'infelice e insigne filosofo, condannato a morte e fatto uccidere  dal re Teodorico). Egli è uno de' più benemeriti della Logica aristotelica come tradut-  tore e illustratore degli scritti logici di Aristotele: Arist. Stag., Organimi, Boethio  Sever. interp. età, Venetiis, Geschichte der Logik etc, von Prantl, che è un'opera addirittura mo-  numentale nel suo genere. System der Logik und Geschichte der Logischen Lehren von Ueberweg, Bonn: opera eccellente anche questa, dovuta al merito e alla giusta  fama di quell'uomo, che ha lasciato durevole traccia di sè anche nella Storia della  Filosofia. Aristotelis Organon etc, edidit Waitz Philos. Dr. Lipsiae:  importantissima e stimatissima opera in due volumi contenenti il testo greco e il  commento di lui al medesimo.   D. r Eduard Zeller, Die Philosophie der Griechen etc, nella quale (zweiter Theil,  zweite Abtheilung) vi è un volume speciale, di quasi un migliaio di pagine, trattante  di Aristotele.   Dello stesso Zeller è fonte anche preziosa il suo Grundriss der Geschichte der  griechischen Philosophie, specialmente nella 10 a edizione del 1911 (Leipzig) elaborata  (bearbeitet) dal D. r Franz Lortzing.   Trendelenburg, Elemento logìces Arist., Berolini: notissima   e importante operetta. Barthélemy Saint-Hilaire, Logique d'Aristote, traduite, ecc. 4 voi.   Alle Fonti già indicate, che son le più importanti, aggiungerò quella del nostro  Galluppi che ha due' opere sulla Logica, luna quella degli Elementi di Filosofia, in  cui ha- una lunga trattazione della Logica pura; l'altra, amplissima, quella delle  Lezioni di Logica e metafisica; e, occasionalmente, forse anche qualche altra Fonte,  per esempio quella di Ruggiero Bonghi.   E ora vengo alla indicazione ed esposizione degli scritti logici aristotelici.  Gli scritti logici o V Organo (tò òqyavov) della filosofia aristotelica.  È opportuno riferire una osservazione che fa iWaitz [Arist. Org.),  e che accoglie e riferisce anche il Zeller (nel suo terzo volume precitato), sulle denominazioni di Logica ed Organo. Questi cioè dice che 8 presso gli espositori greci fino al sesto secolo „ non si trova ne l'una nè l'altra di queste deno-  minazioni come l'espressione tecnica e generalmente accettata degli scritti logici di  Aristotele : ma che però più tardi questi vengono " già denominati organici {òqya-  « vmd), perchè essi si riferiscono all' òqyavov (ovvero sM'ÒQyavixòv fiégog) tpOo-   aotplag ».  Ciò posto, gli scritti logici costituenti l'Organo sono: Le Categorie (KaziqyoQiaì);   2° De Interpretatione {LTeoì c EQH7]vslag) ;  I Primi Analitici (due libri) : 'AvaÀvzixà nqózEQa ;  1 Secondi (o Posteriori) Analitici: 'AvaXvzmà vazEqa;  I Topici (libri): Tomxd;  8U Elenchi Sofistici (De Sophisticis elenchis): Uocpiozixoì "EÀsyxot. Le Categorie. Questa prima parte degli scritti logici aristotelici è importantis-  sima, perchè essa costituisce come un anello di congiunzione tra la Logica e la Metafisica di Aristotele. Il lor significato e la loro estensione appartengono e si allar-  gano ad entrambe queste parti del pensiero filosofico aristotelico. Il significato è che essi esprimono i supremi pensabili, cioè, i supremi concetti  sotto cui cadono e si aggruppano nel nostro pensiere gli ogge tti della universale  realtà.   Il numero di tali supremi pensabili, ovvero delle categorie, secondo Arist., è,  notoriamente, di dieci: infatti, egli dice (Kateg., cap. 4, all'inizio): zwv xazà firjóe-  filav ovfMiÀoxrjv Xeyofièvoìv è'xaozov tfzoi oiaiav ar\\iaivu ?} noaòv ^ noìbv fj tiqóq  zi f} nov ^ note f} xeìo&cu è'xEiv fj noietv ^ nda%Eiv. La traduzione latina men-  tovata di questo luogo suona : " Eorum quae sine coniunctione dicuntur, unumquodque  " aut substantiam significat aut quantum aut quale aut ad aliquid aut ubi aut quando aut situm esse aut habere aut agere aut pati. Il predetto numero e la denominazione delle Categorie son anche riferiti in modo  chiaro e preciso nei Topici (I, 9, al principio) come segue: è'azi óè zavza (scilic. zà  yévrj %&v xazr}yoQiùv) %òv àoid-fiòv déxa, zi èazi, noaòv, noiòv, JiQÓg zi, nov, nozè,  xeìo&at, e%eiv, noisìv, nào%siv. Per lo scopo che io mi propongo non posso entrare in tutte le particolarità,  nelle quali entra la maravigliosa mente analizzatrice di Aristotele. Ma come rias-  suntivo dell'essenziale a tal riguardo allegherò il seguente luogo del Zeller (loc.  cit., pag. 267).   " Fra le singole Categorie, dice questo, la più importante è di gran lunga la  * SQstg^za, della quale in seguito dovrà parlarsi più diffusamente. La Sostanza, in  " senso stretto, è sostanza singola. Ciocche si lascia dividere in parti è un Quanto (ein Quantum) ; se queste parti son divise (getrennt), il Quantum è discreto, una Moltitudine (Menge); se esse sono insiem congiunte, il Quantum è una Grandezza; se sono in una determinata posizione (&éoig), la Grandezza è spaziale; se poi le parti son soltanto in un ordine (zd^ig) senza posizione, allora la Grandezza non e Vedi pei due luoghi greci Zeller, citato; e nel testo greco stesso, vedi  Arist., KaTijy., e Tonino, al luogo indicato. Secondo il gusto e l'uso de' versi memoriali, queste 10 Categorie furono espresse dal seguente  distico :   Àrbor sex servos calore refrigerat ustos ;  Cras ruri stabo, sed tunicatus ero.  spaziale (ist eine unràumliche). L'Indiviso (das Ungetheilte) o l'Unità, per mezzo  di cui vien conosciuta (erkannt) la Grandezza, è la Misura della Grandezza stessa;  ed è questa appunto la nota distintiva della Grandezza, che essa è misurabile, che  ha una Misura. Come la Quantità spetta (zukommt) al Tutto sostanzialmente divisibile, così la Qualità esprime le distinzioni mediante le quali vien diviso il Tutto.  Giacché per Qualità in senso stretto Aristotele non intende altro che la nota distintiva, o la determinazione più vicina, in cui si specifica un dato Generale. E come  le due specie principali delle Qualità egli designa quelle che esprimono una deter-  minazione essenziale, e quelle altre che esprimono un movimento od attività. In  altro luogo egli novera quattro determinazioni qualitative come le principali; ma  - queste però si lasciano sottordinare a quelle due. Siccome nota propria della Qualità vien considerato il contrapposto di Simile e Dissimile. Del resto, l'istesso Aristotele è imbarazzato nel conterminare questa Categoria verso altre. Al Relativo  " appartiene tutto ciò, la cui propria natura o essenza (Wesen) consiste in un determinato comportarsi verso altro; e come tale il Rektivp_è quella. Categoria cui corrisnonde la minima realtà. Aristotele distingue di esso tre specie, le quali però  « si lasciano" ridurre a due. Ma in ciò egli non rimane eguale a sè stesso ; ed ancor   * meno sa evitare più di una miscela (Vermischung) con altre Categorie, ovvero ottenere una nota sicura di quella costituente il Relativo. Le altre Categorie furono da Aristotele sì brevemente trattate nello Scritto delle Categorie, che anche noi  " non possiamo trattarne più diffusamente „.   E basti di ciocche concerne le Categorie, e passo a dire del secondo scritto del-  l'Orbaco, cioè del   " IIeqì èqiirivtiac, „, o De Interpretatiom. Rispetto al tempo in cui fu composto  questo scritto, è bene di rilevare, che esso fu composto dopo gli Analitici, come lo stesso LIZIO dice chiaramente ed esplicitamente. L'oggetto di questo saggio dell' Ermemia è la £rojosizione, e non nel  senso di pura e semplice proposizione grammaticale, ma di proposizione logica od esprimente un pensiere logico (“Pirots karulise elatically’). Il Lizio, analizzatore per eccellenza, comincia coll'esaminare e stabilire l’elementi della proposizione stessa, i quali non sono altro che i nomi delle cose. E  comincia a farlo con una osservazione importantissima intorno al nome, tò ovoma, e al verbo, tò §fj/ta, la quale è che i nomi (“shaggy”), prima della loro unione, sia tra loro, sia  col verbo, non esprimono nulla di vero e di falso. Ed anzi, secondo lui, quando si  dice nome (dvo/ia) IN SENSO LATO, vi si comprende anche il verbo (“... is shaggy”). IIzqì yàg, dic'egli nell' Ermeneia, oév&EOiv k<xì òia'iQEoiv èan tò ipsvóog xal tò àAy&és  NAM IN COMPOSITIONE ET DIVISIONE EST VERITAS AVT FALSITAS. Quando poi col collegamento e colla divisione delle parole (“shaggy”), Qffàa d<jLnomi, comincia la verità e la falsità, allora il nome, come specificamente logico, è propriamente Uyog. Uno scrittore che ha rilevata bene la differenza di òvofia e di Myog  e Biese, Die Philosophie des LIZIO, Berlin, dicendo  che Uyog designa la parola in quanto è espressiva del pensiere (“Pirots karulise elatically” – “karulatico”. In altri termini, λόγοϛ [dictive content, what is said] è la parola logica per eccellenza. Altra cosa notevolissima è che, secondo il LIZIO (IIeqì 'Eq^veiag), ogni  discorso, Àóyog, è SIGNIFICATIVO di alcun che (arjfiavxixóg) – Pirots karulise elatically. Ma non ogni discorso è ENUNCIATIVO, giudicativo (dnotpavxixóg), sì bene quello che ha che fare {imdq%£i) col vero e col falso. E soggiunge, ad esempio, che la preghiera, eb%<t\, DEPRECATIO, è certamente un discorso, ma non è nè vera nè falsa. Son dunque la verità e la  falsità che costituiscono la proposizione logica, o il giudizio, il quale senza di esse non sorgerebbe nè verrebbe ad esistenza. Che il giudizio è dal LIZIO così concepito, ha una importanza straordinaria  rispetto alla quistione della logica formale e della logica reale od ontologica. Comunemente si dice che la logica del LIZIO è formale. Ciò è vero in certi limiti  e non in tutto e per tutto. Infatti, il dire che un giudizio è tale soltanto rispetto  alla verità ed alla falsità, vai tanto quanto dire che un giudizio è vero o falso secondo che esso è conforme o non conforme alle coso, ossia alla realtà. Per forma che un giudizio non puo neppure aver luogo, se, a così dire, non sorgesse ed  anzi non fosse prodotto dalle stesse cose reali. Trendelenburg, autorevolissimo in tal materia, dice. Senza un tal rapporto alle cose non v'è alcun giudizio. E, conformemente a ciò, lo stesso Trendelenburg ne' suoi Ehm. logie. Lizio aggiunge: [LIZIO], qui quidem enunciationis naturam in rerum peritate positam esse voluit etc. Del resto, già in antico pensa ed espresso lo stesso BOEZIO (si veda) (nel cit. Arisi. Stag. LIZIO Organum, etc.)  dicendo. Sed denominationes istae (scilic. categoriae) ex rebus pendent etc. Ciò posto, passiamo a dire del giudizio, o, che vale lo stesso, della proposizione logica. E per l'esposizione di questo punto, ne' limiti dello scopo che ci proponiamo,  ci varremo degli stessi analitici, i quali furon composti prima dell'Ermeneia, e nei  quali Aristotele ne aveva appunto trattato. La proposizione (Ilqóxamg). La definizione che ne da il LIZIO è la seguente:  Ilqóxamg [tèv odv èaxl Zóyog xaxatpaxixòg fj dnocpaxixòg xivòg xaxd xivog. Cioè, la proposizione è un discorso affermante o negante alcunché di alcunché. E la famosa traduzione latina ha: Propositio igitur est oratio affirmans vel negans aliquid de aliquo. Subito appresso, determinando l'estensione e la specifica natura della proposizione, o del predetto discorso, dice: otixog de f xa&óÀov $ èv fiéqei j} dòióqiaxog.  Àéyo) de xad-óÀov fiev xò navxì i) (irjóevì fmaq%£iv, èv fiéqei de xò xivl % (irj navxì  iindqxeiv, àdióqiaxov òh xò Ò7iàq%eiv | fifj vnàq%eiv dvev xov xa&óAov, 1} xaxà fiéqog,  oìov xò xCùv èvavxiav slvai xrjv ctvxrjv èniax^firjv $ xò xrjv ^dovijv fifj eìvai dyadòv. Cioè, nella traduzione latina. Hæc (scilic. ORATIO) autem aut est universalis, aut in parte (particolare), aut indefinita, universale appello omni aut nullo inesse, in parte vero, alicui aut non alicui aut non omni inesse, indefinitum autem, inesse aut non inesse absque universali aut particulari nota, veluti contrariorum eandem  t esse scientiam, aut voluptatem non esse bònum. In Erlauterungen zu den Elementen d. LIZIO Logik, Aufl. Beri. In Waitz, Aristotelis LIZIO Organon etc, vi è una interessante nota sulla voce  jiQÓiuais e le corrispondenti in CICERONE (si veda), nel PORTICO ecc.  „ T ™< T* *ma*m Tf ATJTTANA ED HEGELIANA, ECC. E qtì ad ulteriore intelligenza della cosa, debbo ricordare al lettore la famosa finzione dello quattro forme di posizioni ohe rappresentano una parte „ levan e  nella funzione del Sillogismo, cioè la Svenale affermativa, la umversaU nevai m la   7er 9 ouóle colle uote iniziali di a, e, i, o, prendendo « ed i da afnrnro ed e ed o da   "^Urliamo egualmente l'attenzione del lettore su di un'alt» parlar ^ricor-  rente poco appresso nel luogo stesso e riattaccante a ciocche e teste detto che  ZTu dire di una cosa ohe è interamente in un'altra vai tanto quanto due che  essa interamente attribuita ad un'altra «-** -W*? « «•   ohe il re che una cesa non è in alcun modo frrt nHj B ™ lta °'  uanto dire che essa non è in alcun modo attribuita all'altra. Tott, ricenoscerann  TelTe due espressioni de. e del «* la   oorrisnondente espressione latina del Didum de amni et de nullo.   Tvendo testò detto che nel trattare della Logica aristotelica m sare, limitato   ai punti fondamentali, Ve *V^SJS!^^^^^1  tale e che non posso a meno di riferire. Onesto concerne le regole della conversione  t esse e ricorre (ibid.) al paragrafo secondo; e per migliore intelligenza ed appre -  zam nt'o le allego nella sua integrità. Però nell'allegarie, s> perche e comunemente  neTa la lingua Francese, si per la grande autorità che ha un traduttore delle opere  aristoWi'he, quale è il B~mv ok S^-H^rna, mi valgo della tradu-   ZÌ °" Oomte tonte proposition (eoa, quest'ultimo) exprime quo la obese est sim- moment ou quelle est nécessairement, en qu'elle peut étre; et que dans tonte  •I pTee d'attributien, les prepesitions sont afflrmatives ou negative*: comme, de  - plus les prepesitions afflrmativee et négatives sont tant6t nmverselles, tentot par   • Mières tantot indéterminées, il y a necessitò ,ue la proposto simple umver-   • et privative pnisse se eonvertir en ses prepres termes; par exemple, s, neon  nWsir Test un bien, il faut nécessairement anssi qu'aucun bien ne soit un plaisir. Crepo tion afiirmative doit anssi se convertir, non pas en umverselle, ma,   L narticulière; si, par exemple, tout plaisir est un bien, il faut anssi quo qnelqne  . U sl un piparmi les prepesitions particella, ,'afnrmative se cenver nécessairement en particulière ; car si quelqne plars.r est un   • „ue quelqne bien soit un plaisir. Mais il n'y a pas de couversion necessaire peur a prTpositien privative: en effet, si homme n'est pas attrihnable qnelqne animai,  . il ne s'ensnit pas qne animai ne soit pas attribuable à qnelqne homnie. La règie (cosi ibidem, al paragrafo terzo) sera la meme encore pour les p.o [Notoriamente in queste Ufiene delle Scolo, si esprime™ ciò, dicendo:   A.serit a, no B »t «, veruni universiditer «mbo:  Aisorit i. nogut o, Ter™ particulantei ambo. Il si.eiao.to di „..t. ».'*. & — « * "»» 6 <* e """" positions nécessaires, c'est-à-dire que l'universelle privative se convertii en uni-  ! vergelle, et que chacune des deux affirmatives se convertit en parti culière... Quant  ' à la P r oposition particulière privative elle ne peut ici non plus se convertir, par la mème raison que nous avons dite plus haut. Pour les propositions contingentes, comme contingent se prend dans bien des  " sens, puisque nous disons que le non-nécessaire et le possible sont contingente, la conversion de toutes les propositions affirmatives se fera ici de la mème ma-  8 niòre... La règie change pour la conversion des négatives; mais elle est encore la   * mènie P° ur les Propositions où les choses sont dites contingentes, soit parce que  " nécessairement elles ne sont pas, soit parce qu'elles ne sont pas nécessairement.  *! Par exemple, si l'on dit que l'homme peut ne pas ètre cheval, et que la blancheur  [ peut a ' étre à aucun vètement, de ces deux choses lune nécessairement n'est pas,  " l'autre n'est pas nécessairement. Ici donc la convertion a lieù de la mème ma-  " mete. En effet, si ètre cheval peut n 'appartenir à aucun homme, ètre homme peut  n'appartenir aussi à aucun cheval; et si blancheur peut n'ètre à aucun vètement,  ' vétem ent aussi peut n'ètre à aucune blancheur. Autrement, s'il n'y a nécessité que  '• vétemen t soit à quelque blancheur, blancheur aussi sera nécessairement à quelque  véfcemen t- C'est ce qu'on a démontré plus haut. Au contraire, pour les choses que  " l'on dit contingentes, parce qu'elles sont le plus habituellement et naturellement  " de telle facon, ce qui est la définition que nous donnona de contingent, il n'en   * sera plus de mème pour les conversions négatives. Ainsi la proposition unìversèlle  " privative ne se convertit pas, et la proposition particulière se convertit. Ceci de-  ! viendra évident quand nous traiterons du contingent. Bornons-nous ici à constater,  " a P rès tout ce <l ui précède, que pouvoir n'ètre à aucune chose ou pouvoir n'ètre'  " pas à quelque chose, ont la force d'affirmation. C'est que le verbe pouvoir est place dans la proposition comme le verbe ètre; et que le verbe ètre, à quelques attributions qu'on l'ajoute, forme toujours et absolument une affirmation : par   * exemple, ceci est non bon, ceci est non blanc; ou, d'une manière toute generale,  « ceci est non cela. Du reste cotte théorie sera reprise et confirmée plus loin. Mais, quant aux conversions, ces propositions contingentes seront comme les autres pro-  " positions „.   E ciò basti per lo scopo propostomi, delle proposizioni, e passo a dire dell'ele-  mento del termine.   Il Termine (8qo S ). Questo è definito da Aristotele (ibidem), così: "Ogov óè xalib  rig ov diaAvztai $ 7tQÓ%aai Sì oìov %ó re xaTiryoQoépevov xal %ò xaWoi xait]yoQel-rcu  f] nQoa'uèefiévov % òuuQovftévov %ov elvai mei elvai. Ossia: Io chiamo termine  quello in cui la proposizione si scioglie, cioè l'attributo, e quello a cui si attribuisce,  sia che si aggiunga sia che si separi Tessere o il non essere (nella traduzione latina:  « Terminum vero appello in quem dissolvitur propositio, ut attributum et id cui attribuitur, sive adiiciatur sive separetur verbum esse vel non esse „). L'attributo e  quello a cui si attribuisce sono ciocche comunemente chiamiamo il predicato ed il  soggetto.   Ciocche è qui allegato intorno al termine concerne il concetto e la definizione  del medesimo. Ma vi sono altre particolarità essenziali che si riferiscono ad esso. Se non che, come queste si riferiscono più direttamente al Sillogismo, e si inten-  dono meglio dopo aver detto di questo, così io passo a dir prima di questo.   Il Sillogismo (avUoy^óg). - Prima di venire ad Aristotele stesso, è bene  ricordare un importante luogo di Boezio, il qual luogo è tanto più importante, m  quanto si riferisce alla natura non solo del Sillogismo, ma anche degli Analitici, che  sono la teoria del Sillogismo stesso.   " Duo sunt, dice BOEZIO (si veda), in syllogismo, tamquam in homine corpus et animus.  « In corpore est materia et dispositio ac ordo partium: in animo vis et vita et  « actio. In superiorità Analyticis (Primi Analitici) Aristoteles velut de syllogismi  « praecipit corpore, hoc est, de partibus, deque illarum nexu et compostone : ideoque  « priora nominantur. In his autem posterioribus, hoc est, interionbus, et magis re-  « conditis de anima ipsa syllogismi, nempe de demonstratione , de vi et efficacia  « rationis. Analytici libri sub Aristotelis nomine multi olim circumferebantur, sed hi  « quatuor ex orationis filo, totiusque praecipiendi rationis modo ac facie, Aristoteli  " sunt adiudicati, caeteris reiectis „. Veniamo ora ad Aristotele stesso, e primamente alla stupenda definizione che  egli dà del Sillogismo, la quale è e rimarrà sempre una delle più belle, più precise  e più espressive della vera natura del medesimo.   SvUoyiOfiòg èé hon Xóyog (2) èv § Ts&évwv tivùv foeqóv fi wv ^ifiévcov ég  àvdyxyg ov^aivzi *$ mvw rfvai. Cioè, il sillogismo è un discorso nel quale, posto alcun che, segue necessariamente qualcosa d'altro da quel che e  posto, perciò solo che è posto. E la corrispondente traduzione latina ha: Syllogismus autem est ORATIO, in qua quibusdam positis aliud quiddam diversum ab us quæ posita sunt, necessario accidit eo quod hæc sunt. A spiegar meglio il modo e la necessità della consecuzione, Aristotele (nella  predetta traduzione) soggiunge subito in continuazione: '< Dico autem eo quod haec  " sunt, propter haec evenire, ac propter haec evenire intelligo, nullo esterno termino opus esse ut sit necessaria consecutio Il caso della consecuzione necessaria  senza bisogno di altro termine esteriore è poi quello che costituisce il Sillogismo  perfetto (léAeiog ovXXoyiafióg), come Aristotele lo appella.   Che il Sillogismo imperfetto (cheftfc) si possa poi ridurre al perfetto coi mezzi  da Aristotele indicati, è cosa a tutti nota, che occorre appena di rilevare.   Invece è bene di rilevare intorno al concetto aristotelico del Sillogismo alcune  cose degnissime di attenzione. La prima è che il rapporto delle proposizioni o de*  -iudizii sillogistici ed il procedimento de' medesimi son tali che costituiscono una  necessaria connessità. Il che importa che il Sillogismo non è un fatto accidentale,  ma è tale che ha una necessaria ragion di essere. La seconda è che la conclusione  non è una ripetizione e riproduzione delle due premesse, ma esprime altro da quel  che è espresso da esse: insomma, esprime un principio nuovo. Questa seconda cosa  è tanto più importante, in quanto in tempi posteriori ad Aristotele è stata messa [In Abist. Stag., Organum, già mentovato, pag. Dic'egli subito all'inizio dei Primi analitici. innanzi la opinione che nella conclusione non si contenga un novello principio,  ma soltanto la ripetizione del contenuto delle premesse. Una terza cosa è che la  parola conclusione è a prendere ed intendere nel vero" significato di inclusione di uno  de' termini negli altri due : per forma che la conclusione esprime addirittura il vero  chiudersi de' termini l'un nell'altro.   E giacche si è accennato al concetto del Sillogismo, è hene di accennare anche  al concetto del Sofisma, il cui concetto è proprio l'opposto di quello del Sillogismo.  Infatti, il concetto di quest'ultimo, come si è visto, è costituito da ciò, che le due  premesse conducono ad una necessaria conclusione. Il concetto del Sofisma (tò oó-  <piafia), al contrario, è costituito da ciò, che la conclusione è in contraddizione  colle premesse, che, cioè, queste non concludono rettamente, e però concludono fal-  samente. Ma del Sofisma si dirà più ampiamente in seguito. Ora è opportuno di ritornare alla esposizione dei Termini, ad integrazione di  ciocche di questi è stato teste detto. I Termini di un Sillogismo son tre, e non pos-  sono essere più di tre (Sqol tQsìc;). I quali tre hanno un contenuto od estensione  diversa; e sono il termine maggiore (fist^ov àxqov), il minore (è'Àanov) e il medio  (%ò \ièaov). Aristotele li designa anche puramente e semplicemente coi nomi di  primo (tò TiQ&'cov), ultimo (tò ia%a%ov) e medio (tò [aégov).   Il numero di soli tre termini non vien contradetto neppure dal caso del Poli-  sillogismo, nel quale vi possono essere più medii. Perchè i più medii son ciascuno  sempre il medio di un solo Sillogismo nei varii Sillogismi costituenti il Polisillo-  gismo stesso, cominciando dal cosidetto Prosillogismo e terminando coll'Episillogismo.   Indicata la denominazione e l'estensione de' Termini, la maravigliosa e precisa  mente aristotelica passa alla definizione di essi, che è la seguente: Aèyoy de fisl^ov \iev àxqov èv tò fièaov èativ, e'àccttov de tò imo tò fièaov  òv... KaÀà) óè fièaov fièv o xal aèxò èv àÀÀ(p xal écÀAo èv to-ùto) èativ, 8 xal %f\  &éoei yiyvEtai fièaov. axqog oh tò aè%ó te èv dAÀq> ov xal èv & àXXo èaiiv (3).  Cioè (in italiano): Chiamo (termine) maggiore quello in cui è (contenuto) il medio; e (termine) minore quello che è accolto nel medio Chiamo termine medio quello   il quale è esso stesso in un altro, e nel quale è alla sua volta un altro, che divien  medio anche per posizione. Chiamo poi estremi sì quello che è in altro, sì quello in  cui è altro. E la nota traduzione latina ha : " Maius extremum appello, in quo medium est, minus autem quod est sub medio... Voco autem medium quod et ipsum est  " in alio, cum aliud in ipso sit, et positione quoque sit medium. Estrema autem  " appello et id quod est in alio, et id in quo est aliud. L'esser medio per posizione vuole uno schiarimento, che fa comprendere come  questa espressione aristotelica nella dizione greca è perfettamente esatta. Infatti,  nella prima Figura sillogistica (che è quella del Sillogismo perfetto) noi diciamo:  B (l'uomo) è A (mortale); C (Pietro) è B: dunque C è A.   Aristotele, invece, nella dizione greca dice:   A vale di B; B vale di C; dunque A vale di C. Opinione già espressa dagli antichi scettici, e poi ripetuta ne' tempi moderni.  Amst, Top., 8, 11. Ibid., paragr. 4. Sicch, dna,a, U medio -» nt .a vera   Ma questa popone medtana non e q»> ^ ^ come   la conclusione. ; Qfflntfismo Aristotele ne fa cadere   Però, ooanto a -amerò * che ne. Sillogismo non   tatto il poso «olle promesse, e penano m p u» Ae e dimostraai(m e ed ogni   vi sono ohe A» proposizioni. E dopo aver dette ^consta, e ogn   Siilogismo di soli tre termini (nella tradazmne '^^Zm^J^,: 8 iCplan.mestotiams y llo S ismnmoe„stareexdaabas propos t,on » ^ p   preponi ohe 4 »i sono indahhiamen e ^ ^ adsu .   • mini sunt doae propomtiones (o. yaQ r?«S »v » 3ec nndnm priama t„r, at i„i,i.dictnmest,adper a eiendos «J**»^^^^, Lia eipa.es pro^ositiones ^ * -^J^TlC^ » : ffs :^^r^ti~ - *U-r + — -   ? dimidia pars propositionum „. _ . . , , q:ii ft „i Bm0 la Logica aristo-   ::' "re S?- " — ""•   seguenti otto (ricorrenti in tutte le Logiche delle Scuole).   Termina esto triple*, medius, maiorque, minorque;  Latius hos quam praemissae concludo non vult;  Nequaquam medium capiat concludo oportet;  Jtot semel, mot iterum medi™ generalità esto;  Utraque si praemissa neget, mail inde sequetur;  Ambae affirmantes nequeunt generare negantem;  Nil sequitur geminis ex particulanbus unquam;  Peiorem sequitur semper conclusio partem.   ki igiene di ,neste rogo.e si a^ «ohe ^  le cosi dette diverse forme di Sillogismo, cerne sono 1 Enhmema, V   pag. 95 seg.), ne allego £££££ oviaiano: . SOTV are potai: perderò   Dd»~~ _«* ^^tldolo .11. forma sillogistica di tre prepo-  " an possim, rogas „ ? & lo spiega, nuu   taPP itit:::v:c: o u^^  lettore ne trova in tutte le Logiche che vanno per le Scuole; e passo a dire delle  Figure sillogistiche pur ricorrenti negl’analitici, e intimamente connesse col sillogismo. Le Figure (%à affiliata) sillogistiche. Secondo il LIZIO il sillogismo è di tal natura che si distingue in tre figure sillogistiche, delle quali la prima {o%i\fia jiqùxov) poggia sul sillogismo perfetto, la seconda e la terza (axVP® devtegov e o%ruia tohov) poggiano sul sillogismo imperfetto. E qui è necessario di rilevare una cosa, che a primo aspetto pare di poco momento, ma che è invece importantissima. Ed è che il LIZIO nella esposizione e  dimostrazione delle predette tre figure si serve come SIMBOLI delle lettere dell'alfabeto greco, specialmente delle prime tre del medesimo α, β, γ. Il significato dell'adoperamento di tali SIMBOLI FORMALI, specialmente per l'applicazione di  queste alle matematiche, sarà detto tra poco. Tornando alle figure, è bene avvertire che il LIZIO per esse si vale in complesso degli stessi esempi allegati per triplicità di termini, dovendo ciascun di questi  rappresentare uno de’tre termini sillogistici. Così, per darne una idea, nella prima figura (ove adopera i SIMBOLI FORMALI alfabetici α, β, γ)  si vale de’termini: piacere, bene, animale; animale, uomo, cavallo; scienza, linea, medicina; bene, abito, sapienza; bene, abito, ignoranza; bianco, cigno, neve. Nella seconda figura (ove adopera i TRE SIMBOLI FORMALI alfabetici <5, e, £, ecc.) si vale di  questi esempi: animale, cavallo, uomo; animale, inanimato, uomo; animale, scienza, animale selvaggio; corvo, neve, bianco. Nella terza Figura (ove adopera i TRE SIMBOLI FORMALI n, q, o) si vale di bel nuovo degli stessi esempi, che ricorrono nella prima e nella seconda. E, per essere quanto è possibile esatti, soggiungo che nelle stesse due figure seconda e terza, oltre agli indicati SIMBOLI FORMALI alfabetici, si vale anche dei PRIMI TRE: α, β, γ. La conclusione cui giunge il LIZIO nelle indicate operazioni è che tutti i sillogismi imperfetti diventan perfetti mediante la prima figura (nel famoso testo latino: PERPICVVM EST OMNES IMPERFECTOS SYLLOGISMOS PERFICI PER PRIMAM FIGVRAM. La maravigliosa analisi del LIZIO intorno al sillogismo non si arresta a ciò,  ma si estende alla considerazione e determinazione di altre forme del medesimo,  quali sono il sillogismo per ANALOGIA (cf. Grice, ESCHATOLOGY), il Sillogismo per riduzione all'impossibile, quello per Induzione, per ipotesi, per verisimiglianza, ecc. Ma noi non possiamo entrare  anche nella considerazione di queste forme speciali sillogistiche, e passiamo a considerare la seconda delle tre predette cose. Questa seconda è quella concernente la diretta relazione delle scienze matematiche colla prima figura, o, che vale lo stesso, col sillogismo perfetto: il qual punto è dal LIZIO trattato nell’analitici posteriori. Prima di riferire da questi ciocche concerne le matematiche, rilevo che il LIZIO anche per queste, come ha fatto per le altre discipline, si vale di esempi per chiarire e determinare la cosa. Se non che gl’esempi che egli arreca per esse sono sopratutto di natura matematica. Infatti allega i seguenti esempi tratti dal punto, dalla linea, dal triangolo, ecc.: K triangulo, dic'egli nella famosa traduzione latina, INEST LINEA ET LINEÆ PVNCTVM; ed anche: Triangulo, qua est triangumm, insunt duo recti, quia per se triangulum est aequale duobus recti s, etc.  Ed è, inoltre, oltremodo importante per la determinazione della natura delle  scienze matematiche, che per lui le scienze matematiche versano intorno alle FORME LOGICHE, perchè le cose matematiche non sono in alcun soggetto -- etenim scientiæ mathematicæ circa FORMAS LOGICAS versantur, quia res mathematicæ non sunt in nullo subiecto. Ciò posto, venendo alla considerazione della diretta relazione delle scienze matematiche col sillogismo e colle figure sillogistiche, dice: Delle figure la prima è attissima a produrre la scienza; imperocché le scienze matematiche effettuano le dimostrazioni mediante tal figura tautologica e analitica a priori, come l’aritmetica, la geometria e l'ottica EX FIGVRIS AVTEM PRIMA EST AD SCIENTIAM GIGNENDAM APTISSIMA NAM MATHEMATICÆ SCIENTIÆ PER HANC FIGVRAM DEMONSTRATIONES AFFERVNT VT ARITHMETICA ET GEOMETRIA ET OPTICE. Passo alla terza ed ultima delle tre cose predette, a quella, cioè, concernente  la formazione della conoscenza. La qual formazione è dal grande filosofo (nell’Analitici Posteriori) espressa come segue. Dal senso si genera la memoria. Ma dalla memoria, formatasi dalla ripetuta riproduzione della stessa cosa, si genera l'esperienza; giacche molte memorie costituiscono una sola esperienza. Se non che, dalla esperienza si genera il principio dell'arte e della scienza; dell'arte, se spetta alle cose della generazione; della scienza, se spetta a ciocche  «è,; EX SENSV IGITVR FIT EX MEMORIA VERO SÆPE EIVSDEM REI FACTA FIT EXPERIENTIA MVLTÆ ENIM MEMORIÆ NVMERO SVNT UNA EXPERIENTIA AT VERO EXPERIENTIA FIT PRINCIPIVM ARTIS ET SCIENTIÆ, ARTIS SI PERTINEAT AD GENERATIONEM SCIENTIÆ SI PERTINEAT AD ID QUOD EST. La considerazione dell'arte è ciocche con stupenda designazione poco appresso  è denominato <5ófa, mentre la considerazione della scienza è appellata Àoyiafióg.   Ed ora è tempo che veniamo a determinare quale è in Aristotele il significato dell'adoperamento dei SIMBOLI FORMALI alfabetici α, β, γ, come espressione del sillogismo e delle figure  sillogistiche. Ebbene, tal significato, brevemente indicato nella sua genericità, è che le proposizioni del sillogismo (LE PREMESSE E L’ILLAZIONE) in tutte le figure sillogistiche di questo vengono INTESE ED ADOPERATE IN FORMA UNIVERSALE, ossia in forma  estensibile ed applicabile a tutti gl’elementi della realtà. Ora, questi elementi sono tre, il quantitativo, il qualitativo, e l'unità di entrambi,  ossia il modale (il modo, la misura). Che questo triplice elemento sia costitutivo [E subbie tto ...vai. qui obbietta, cioè, singola e determinata, cosa della realtà. La generazione concerne il sorgere e perirò delle cose. Id quod est, nel corrispondente greco rò.Sv, e ciocche nell'Hegelianismo, e propriamente  nella Logica hegeliana, è stato designato come das Sein an und fiir sich. Anche questa denominazione di Àoyurpós è degna della più grande considerazione, perche il LIZIO ha già con essa additato e determinato l'elemento logico come elemento scientifico per  eccellenza, lasciando all'arte il carattere di elemento soltanto opinativo della Realtà, emerge indirettamente dalla stessa tavola aristotelica de'giudizii, cioè de' giudizii quantitativi, qualitativi e modali, come più chiaramente si sono appellati  nelle posteriori Logiche del LIZIO delle Scuole. Qui basti l'avere accennato di ciò; le importanti applicazioni che ne derivano  rispetto alla scienza matematica e alla voluta corrispondente LOGICA MATEMATICA le  faremo, quando giungeremo alla esposizione e giudicazione di quest'ultima; e ritorniamo per ora all'argomento delle figure sillogistiche, per prendere in considerazione,  da una parte, i modi, dall'altra, il numero di esse. Quanto ai modi, è di bel nuovo il caso di dire che essi sono comunemente allegati e discussi in tutte le logiche del LIZIO delle Scuole. Fra i tanti uomini  autorevoli che potrei citare a tal riguardo, rimando il lettore alla citata Logica e  Storia della dottrina logica d’Ueberweg, che ne tratta ampiamente. Ma, per un breve ricordo di questo punto della sillogistica, mi varrò  invece del nostro insigne GALLUPPI (si veda), il quale, nelle Lezioni di Logica e Metafisica,  Milano, espone tal dottrina con la solita sua lucidezza e precisione. Della sua esposizione e discussione di questa materia, io riferirò brevemente l’essenziale. Il modo del sillogismom dice egli, consiste nella disposizione delle tre proposizioni secondo le loro quattro differenze A, E, I, O. Ora, secondo la dottrina delle combinazioni, quattro termini quali sono A, E,  I, O, venendo presi tre a tre, non possono diversamente disporsi in più di 64 maniere. Ma di queste 64 maniere, *54* sono escluse dalle regole generali sillogistiche,  che sono state innanzi allegate. Restano perciò soli dieci modi concludenti. Ma ciò non vuol dire che solo dieci sieno le specie de’sillogismi, perchè un solo di questi modi può formare diverse specie, secondo la varia disposizione de'  tre termini innanzi detta.   E qui il nostro GALLUPPI (si veda) dispone addirittura i tre termini secondo le possibili combinazioni, e ne risulta una tavola di 64 modi, emergenti dalle quattro figure sillogistiche, delle quali egli indica anche brevemente le diverse regole. A questo breve cenno aggiungo però volentieri due cose: l'una, alcuni versi memoriali dei modi delle quattro figure: l'altra, un esempio di sillogismi secondo i  predetti modi. I versi memoriali, fra i tanti, li allega Ueberweg, come segue:  BARBARA CELARENT PRIMÆ DARII FERIOQVE CESARE CAMESTRES PESTINO BAROCO SECVNDAE TERTIA GRANDE SONANS RECITAT DARAPI FELAPTON DISAMIS DATISI BOCARDO FERISON QVARTÆ SVNT BAMALIP CALERAES DIMATIS FESAPO FRESISON. Dinanzi a queste parole stranissime e non additanti per se stesse alcun senso,  il buon GALLUPPI (si veda) fa la seguente sensata osservazione. Queste formole, dic'egli, di cui la prima comincia infelicemente con BARBARA, sembreranno in effetto oggi molto BARBARE. Esse hanno ricevuto più ingiurie in un secolo, che onore in mille anni. Esse hanno terminato col cadere in un intiero obblio. Coloro che oggi le volgono in ridicolo non si hanno sempre dato la pena di meditarle. Il filosofo che riflette con attenzione sulle regole dell'antica logica è sorpreso nel vedere sino dove gl’autori avevano portato L’ANALISI DEL RAGIONAMENTO [cf. Grice on Barbara, ASPECTS OF REASON, BARBARA CELARENT – Murphy]. Colla più severa imparzialità alcuno non può impedirsi di convenire che ciascuna di queste regole è di una rigorosa esattezza, e che il loro insieme è sì completo che una sola delle forme possibili del ragionamento non è loro sfuggita. Il Lizio, senza dubbio  u non ha sovente il soccorso dell'esperienza. È questa la disgrazia del secolo, nel quale egli nacque. Ma egli è stato forse il pensatore più profondo, il genio più eminentemente didattico che si sia mostrato sull'orizzonte della filosofia. Io dubito che siensi innalzate dopo teoriche sì belle come quelle di cui egli ci ha lasciato il modello. Quanto alla profondità e genialità del LIZIO, GALLUPPI (si veda) ha perfettamente  ragione, e queste due doti spiccano di tale luce e verità proprio nella sillogistica  del LIZIO e ne’modi della medesima, che i posteri non hanno avuto ad aggiungervi nulla, o nulla d'importante. Solo che, contrariamente a GALLUPPI (si veda), che accoglie il  pensi'ere, da non pochi seguito, delle quattro figure, il grande Stagirita non ne  ammette che tre con tre soli corrispondenti modi. Ma del numero delle figure  e de' modi fra poco. Un esempio, intanto, del ragionare e concludere secondo le quattro figure, è per GALLUPPI (si veda) il seguente. La tavola aristotelica dei Modi, quale ricorre in Waitz, Arisi. Organon (rilevando le espressioni tecniche di nata navtòg, **** m óevòg ecc., sia colle corrispondenti De omm  et de nullo ecc., sia colle note quattro iniziali A, E, I, O), è la seguente: I. a', tò A xatà jiavTÒg tov B,  tò B %mà navTÒg tov P, tò A narà navtòg tov P. IL tì'. TÒ A xatà fAfi&svòg zov B,  tò A xatà navzòg zov P,   rò B xazà fiydevòg zov P.  y'. tò A xatà /^ijóevòg zov B,  zò A xazà Tivòg tov P,   zò B xatà Tivòg tov P ov. III. tò A xazà navzòg tov P, tò B xazà navzòg zov V,   zò A xazà zivòg zov B,   y' . zò A xazà zivòg zov P,  zò B xazà navzòg tov P, zò A xazà Tivòg zov B.   e', zò A xazà zivòg tov P ov, tò B xazà navTÒg zov P, tò A nata zivòg tov B oli §. tò A nata ^ijóevòg zov B,  tò B xarà navTÒg tov P,   tò A xazà /^tjdevòg tov P.   /5'. rò A xazà navzòg tov B,  tò A %aTà j^rjÒEVÒg zov P,   tò B naia fA,t]devòg zov P.   5'. tò A xazà navzòg tov B,  zò A xazà zivòg zov P off, tò B xazà zivòg zov P oi!. zò A xazà [A,t]Sevòg tov P,  tò B xazà navzòg tov P, tò A xarà zivòg tov B ov. ò". tò A nata navTÒg zov P, zò B xazà zivòg tov P,   tò A xazà Tivòg tov B.   zò A xarà fifiòsvòg zov T,  tò B xazà zivòg tov P,   tò A xatà tivòg tov B oil. Figura   (avente il medio come sogg. del magg. e predio, del minore). Ogni sostanza pensante è semplice,  L'anima umana è sostanza pensante,  L'anima umana è dunque semplice. II Figura (avente il medio come predicato de’due estremi). Niun corpo è una sostanza pensante, L'anima umana è una sostanza pensante,  L'anima umana dunque non è corpo. Ili Figura (avente il medio come soggetto de' due estremi), Ogni sostanza pensante è semplice, Ogni sostanza pensante è indistruttibile, Dunque qualche sostanza indistruttibile è semplice.  IV FIGURA  (avente il medio come predio, del maggiore e sogg. del minore). QUALCHE ESSERE SEMPLICE È SOSTANZA PENSANTE; OGNI SOSTANZA PENSANTE È ATTIVA; DUNQUE, ALCUNE SOSTANZE ATTIVE SONO ESSERE SEMPLICI. Il numero delle figure e de'modi. Il lettore ha visto a pie' di pagina le tre figure e i tre corrispondenti Modi aristotelici allegati dal Waitz. Del Waitz riferisco volentieri una osservazione concernente la seconda e la terza Figura, nelle quali ei dice: ultimum modum secundae et quintum tertiæ figurae non demonstrari nisi deductione facta ad absurdum. GALLUPPI (si veda) opina doversi ammetter come valida anche la QUARTA figura e i corrispondenti modi. Ma, francamente detto, il sillogismo ch'egli ne arreca ad esempio, da una parte, cammina stentatamente. DALL’ALTRA, È DI DIFFICILE COMPRENSIONE. In generale, puo dirsi che la mente umana, nel suo naturale procedimento logico, non ragiona in quel modo. E un ragionamento logico che contraria la natura nè può considerarsi come il migliore nè deve ammettersi come buon procedimento logico. A conferma di tale osservazione rilevo che, in generale, i grandi filosofi si son  tenuti alla del LIZIO triplità di figure e di modi. Notoriamente, è stato il famoso medico Galeno di Pergamo quello  che ha così legato il suo nome alla dottrina del sillogismo, che apparisce in quasi tutti i compendii della Logica, anche ne' più triviali. Galeno, cioè, secondo l'espressione comune, ha accresciuto il numero delle tre figure aristoteliche del Sillogismo categorico coll'aggiunzione di una quarta, nella quale il concetto (o termine) medio è predicato della maggiore e soggetto della minore. Soggiunge che la  notizia di tale innovazione non si trova in tutta la letteratura greco-romana, Zellek, Grundriss d. Gesch. d. Griechischen Phiìosophie, nell’ediz. del  Loktzing. Così Prantl, Gesch. der Logìlc, età, e che proviene da fonte arabica, e propriamente da Averroe. Il quale Averroe, per  Giunta ne fa menzione proprio nella confutazione che fa della quarta figura. Alcune altre particolarità importanti tanto rispetto ai modi quanto rispetto alle figure sono le seguenti. Quanto ai modi, il LIZIO, per ognuna delle tre Figure da lui ammesse e corrispondentemente alle possibili combinazioni delle loro proposizioni secondo le indicate lettere A E I O, ha trovato che i modi valevoli, perchè non contrarli alle otto regole sillogistiche, sono 4 per la prima figura, 4 per la seconda e 6 per la terza,  in tutto dunque quattordici. GALLUPPI (si veda), che, con Galeno, ammette la quarta figura, anch'egli esamina  le combinazioni e modi che son possibili e valevoli in questa; e trova che,  accanto ai molti modi contrarli alle otto regole sillogistiche, ve ne sono però 5 validi. SICCHÉ IL NOSTRO FILOSOFO NAPOLETANO, INVECE DI 14, AMMETTE 19 MODI VALIDI! Quanto poi alle figure, va considerato un ultimo punto importante, cioè, quello della riduzione della 2* e 3 a Figura, che danno sillogismi imperfetti, alla l a che   sola li dà perfetti. Ora, tal riduzione, secondo il LIZIO, avviene per mezzo di conversione: Azi yaq  ytyvstai òià %fjs dvvunqof^g ovUoyiGfióg, dic'egli, Anal. Pr.   Inoltre, la conversione può avvenire in due modi, cioè, o estensivamente, ovvero  per riduzione all'assurdo òemtix&$ % tov àòvvàiov). E da ultimo, secondo lui, tutti i sillogismi, quando sono rettamente convertiti, si riducono a sillogismi universali della prima figura {tpaveQÒv ovv fot 7zdv%eg  àva%Sf\aov%ai eig rovs & %<$ nqcbto? oxfipan xa&óXov ovMoyiopovg). Di quest'ultimo punto, a maggior intelligenza e a complemento della cosa, allego la solita traduzione latina non soltanto de’passi corrispondenti a quelli da me allegati in greco, ma anche della rimanente parte, che è dimostrativa e illustrativa dei medesimi La traduzione suona così. Semper enim fit syllogismus per conversionem, præterea manifestimi est pronuntiatum indefinitum pro attributivo particulari  acceptum efficere eundem syllogismum in omnibus figurili, item PERSPICVVM est omnes imperfectos syllogismos perfici per primam figuram aut enim demonstratione  aut per impossibile perficiuntur omnes utroque autem modo fit prima figura, ac demonstratione quidem si perficiantur, fit prima figura, quia sic omnes perficiebantur per conversionem: conversio autem efficiebat primam figuram si vero per impossibile confirmentur, adhoc fit prima figura, quia posito quod falsum est, syllogismus conficitur in prima figura, ut in postrema figura si tò a ac tò p omni y,  probatur tò a inesse alicui p. nam si tò a insit nulli 0 ac tò § omni y, tò a inerit nulli y. sed antea positura erat omni inesse, similiter fit etiam in alns. licet etiam reducere omnes syllogismos ad syllogismos universales primæ fìguræ. nam qui fiunt in secunda figura, sine dubio per illos perficiuntur, non tamen omnes  eodem modo, sed universales converso pronuntiato privativo, particularmm autem  uterque per deductionem ad impossibile, particulares autem primæ fìgurae perfìciuntur quidem per se ipsos, sed licet etiam secunda figura eos confirmare ducendo  ad impossibile, ut si tò a inest omni |3 ac tò p alicui y, tò a inerit alieni y. nam  si nulli insit, omni autem fi insit, certe nulli y tò § inerit: hoc enim scimus per  « secundam figuram. similiter enim in privativo syllogismo erit demonstratm. nam  si zò a nulli | ac %b 0 alicui y inest, tò a alicui y non inerit. etenim si omni insit ac nulli § insit, zò § nulli y inerit: hoc enim erat media figura, itaque cum  " omnes sillogismi mediae figurae reducantur ad syllogismos universales primæ figuræ, particulares autem primæ ad syllogismos secundæ, PERSPICVVM est etiam syllogismos particulares primæ figuræ reduci ad syllogismos universales primæ figuræ qui vero fiunt in tertia figura, terminis quidem universaliter acceptis statim per eos syllogismos perficiuntur, terminis autem in parte sumptis perficiuntur per syllogismos particulares primæ figuræ hi vero ad illos reducti sunt: quapropter ad eosdem reducentur etiam syllogismi particulares tertiæ figuræ. perspicuum igitur est omnes reduci ad syllogismos universales primæ figuræ. E ora, ritenendo di aver detto a sufficienza della sillogistica del LIZIO, passo  a dire del saggio dell'Organo, cioè di quello de' Topici.  I Topici {Tonino). Di questo saggio del grande stagirita BOEZIO (si veda) dà la seguente notevole informazione e giudicazione. TOPICA HOC EST LOCI VNDE DVCVNTVR ARGVMENTA. OPVS EST OCTO VOLVMINIBVS DISTINCTVM VARIVM SANE HOC EST MVLTÆ ERVDITIONIS ET OBSERVATIONIS RERVM DIVERSARVM SED VT ILLA OMNIA PRIMVS IPSE PARIEBAT NON POTVIT TAM MVLTA SIMVL EDERE SIMVL EXPOLIRE ITAQVE RELIETA EST VELVT INGENS QVÆDAM MATERIA ET DIVES AD EXTRVENDVM PVLCHERRIMVM ÆDIFICIVM. Questo giudizio di BOEZIO (si veda), primamente, è vero, come il lettore stesso se ne  convincerà dal cenno che noi faremo de' Topici; secondamente, ha grande importanza anche per l'influenza da BOEZIO (si veda) esercitata nell'insegnamento logico delle scuole. Accanto al giudizio di BOEZIO (si veda) debbo riferirne un altro veramente acuto e profondo di Prantl, Gesch. d. Logik im Abendlande, Leipzig, sulla grandezza speculativa della mente del Lizio. Prantl dice  che la superiorità (Ueberlegenheit) della mente di lui ècapace di esaminare secondo il concetto {begrifflich) e di costruire teoricamente secondo concetti adeguati anche campi (Gebiete) ed aspirazioni che sono al di sotto della speculazione propriamente  detta, come sono il campo e la materia de'topici. Rispetto a' Topici riferisco volentieri anche una circostanza rilevata da Zeller,  che cioè, un saggio de’topici rimastoci non provenga dal LIZIO, come dimostra Pplug, de Ar. Topicorum libro. Ma, ciò nonostante, noi ne accenneremo egualmente. Subito nel primo paragrafo, il LIZIO indica lo scopo de’topici in genere, il quale scopo è quello di trovare il metodo di argomentare  di ogni problema proposto dajrobabili je£ èvóófrv, e disputarne in guisa da non dir nulla di ripugnante. Nella traduzione latina il predetto scopo è indicato così. PROPOSITVM HVIVS TRACTATIONIS EST INVENIRE METHODVM PER QVAM POSSIMVS ARGVMENTARI [Tale influenza viene attestata da tutte le parti; la confermano, tra gli altri, Ueberweg-Heinze nel Grundriss d. Gesch. d. Philosoph. das Alterthum, Beri. Nel Grundriss d. Gesch. d. GriecMsohen Philosophie della citata ediz.  del Loetzino] DE OMNI PROPOSITO PROBLEMATE EX PROBABILIBVS ET IPSI DISPVTATIONEM SVSTINENTES NIHIL DICAMVS REPVGNANS. E soggiunge doversi innanzi tutto dire che cosa è il sillogismo estendendosi intorno a questo ed indicarne le diverse specie, ecc. E non ha torto di dire del  sillogismo, della sua natura, delle sue specie, ecc.; perchè, se lo scopo della trattazione de topici è quello di trovare il metodo di argomentare, foss'anche da' probabili,  l'argomentare è un sillogizzare, e quindi bisogna conoscere come si sillogizza, ecc. Ed in generale il lettore vede che in questi topici si tratta di una grande quantità  di cose di cui si è già trattato nelle CATEGORIE, nell'ERMENEIA e negl’analitici tanto primi quanto secondi. Intanto il LIZIO, sempre preciso, dice subito ivi stesso che cosa debba intendersi per probabile. E lo determina dicendo nella traduzione latina. PROBABILE AVTEM SVNT EA QVÆ VIDENTVR OMNIBVS VEL PLERISQVE VEL SAPIENTIBVS ATQVE HIS VEL OMNIBVS VEL PLERISQVE VEL MAXIME NOTIS ET CLARIS. Investiga e determina a quante e quali cose sia ntite  questa trattazione de’topici. E statuisce che ella sia utilis ad tna, ad exercitationem, ad congressi, ad philosophicas scientias. quod igitur ad exemtationem sit utilis, ex his perspicuum est, quoniam hanc methodum habentes facile de omni  re proposita poterimus argumentari, ad congressi autem, quia multorum opmiombus enumerata, non ex alienis sed ex propriis singulorum sententns poterimus cum  eis aere refellentes quod non recte dicere nobis videtur. ad philosophicas autem  scientias, quia cum poterimus in utramque partem dubitare, facile in smgulis perspiciemus veruni et falsum. Il predetto metodo, soggiunge egli, è perfettamente posseduto, quando lo si adoprerà nella retorica e nella medicina, come fanno l'oratore  e il medico. Ho rilevata volentieri questa circostanza della retorica e dell oratore, perche  tutti sanno come questa materia trattata ne’topici è passata realmente, se non m  tutto certo in buona parte nella retorica: Retorica, che specialmente noi gl’italiani studiamo, con qualche profitto sì, ma anche con non poca pedanteria d'insegnanti e d'insegnamento. Sono stato piuttosto diffuso nella indicazione di queste generalità di questo saggio  de’Topici per dare una idea della trattazione e del modo di trattazione de' medesimi. Ma ora procedo più speditamente e più brevemente, fermandomi però alquanto di più ne' punti di maggiore importanza. Continua ad occuparsi di sillogismi e di proposizioni, ma con riguardo ai principii comuni ad entrambi, come sono il genere, il proprio, l'accidente,  Indifferenza, la definizione, ecc.; e nei seguenti determina e illustra  siffatti principii. Pone il quesito: 11 Quot modis idem dicatur; e lo risolve dicendo: [Quanto alla materia de'problemi proposti, anch'essa, secondo l'uso delle scuole, è espressa  nel seguente verso memoriale: Quis? quid? ubi? quibus auxilds? cur? quomodo? quando? Videri autem possit idem, ut typo expìicem, tripertito distributum esse, aut enim numero aut specie aut genere idem soliti sumus appellare, etc. Più avanti si propone di definire i generi delle CATEGORIE, e di indicarne il numero, che è di dieci; e il relativo luogo è stato già riferito. Nei paragr. susseguenti determina la natura della proposizione dialettica, del  sillogismo dialettico, della tesi (determinata come sententia alieuius nobihs philosophi, ut dicebat Antisthenes. Si propone di " esplicare quot sint rationum dialectitram species; e in seguito si occupa ancora de 3 generi delle proposizioni, per  quindi occuparsi della somiglianza, e propriamente della SIMILITVDO CONSIDERANDA IN IIS QVÆ SVNT IN DIVERSIS GENERICA. E con ciò si chiude la considerazione del saggio.   Il lettore che consideri bene la trattazione del LIZIO deve convenire nell'acutezza e giustezza del giudizio di BOEZIO (si veda) intorno ai Topici. Nel primo paragrafo del saggio, Aristotele torna ad occuparsi de’problemi, in quanto ALIA [SCILIC. PROBLEMATA] SVNT VNIVERSALIA, ALIA PARTICVLARIA; e si  fa a considerarli ne’diversi rispetti della generalità e della particolarità [cf. GRICE PARTICULARISED GENERALISED]. Nei paragrafi immediatamente susseguenti torna a considerare i varii modi  secondo cui alcunché si dice, sia quantitativamente sia qualitativamente.  Passa a considerare un punto importantissimo, e propriamente  quello concernente l’opposizione e il principio di contraddizione: il qual punto è da lui considerato  ne più minuti casi ed aspetti, con relative distinzioni, suddistinzioni ecc.; e noi ne riferiremo con qualche ampiezza.  Quoniam autem CONTRARIA (dic'egli, nella traduz. latina) sex modis inter se  coniunguntur, contrarietatem autem efficiunt quattuor modis coniuncta, oportet accipere contraria prout expedit evertenti et adstruenti. sex igitur modis ea coniungi manifestum est aut enim utrumque utrique contrariorum iungitur, atque hoc bifariam, ut de amicis bene mereri et de inimicis male, vel contra de amicis male et de inimicis bene, autem ambo de uno, et hoc quoque bifariam, ut de amicis bene mereri et de amicis male, vel de inimicis bene mereri et de inimicis male aut autem de ambobus et hoc quoque bifariam, ut de amicis bene et de inimicis bene, vel de amicis male et de inimicis male, primæ igitur duæ coniunctiones quas dixi, non faciunt contrarietatem: de amicis enim bene mereri et de inimicis male NON SVNT CONTRARIA, cum ambo sint optabilia et eorundem morum effectus (badi  il lettore alla circostanza e corrispondente espressione del morum effectus, che nel testo greco suona: d/upóreQa yÙQ aÌQ£%à Hai zoì) av%ov ij9ov S ). neque item contraria sunt de amicis male et de inimicis bene mereri. nani et haec sunt ambo fugienda et eorundem morum effectus. E il LIZIO nelle dette distinzioni e suddistinzioni non si arresta neppur qui,  ma procede ad altre, che noi omettiamo di riferire. N Se non che, continuando a parlare de’contrari!, passa a considerarli da quel rispetto, che è stato appellato il principio di contraddizione, sostenendo: fieri nequit ut contraria simul eidem subiecto insint (cioè, nel corrispondente testo greco: àòvvaiov yàq tàvavxia djia t$ ai>%$ òndgxeiv). E trattandosi di un principio tanto importante, che, per giunta ha avuto posteriormente una rigida e non sempre bene intesa applicazione, voglio allegarlo anche nella forma più compiuta in cui ricorre in Metaph. Iti, 3; cioè: xò yàg afixò djm bjia,Q%Eiv xe xal [ir] vnaQxeiv àóvvaxov %(p avxòì uaì xaxà xò avx ó (nella traduzione  latina: IDEM ENIM SIMVL INESSE ET NON INESSE EIDEM ET SECVNDVM IDEM IMPOSSIBILE EST. E soggiunge poco appresso che questo è il più certo di tutti i principii: avxr\  ài] naa&v èaxl ^E§aioxdxmj xcov àq%(àv (HOC AVTEM EST OMNIVM PRINCIPIORVM CERTISSIMVM. Noti però il lettore che, per non fraintendere il principio del LIZIO di contraddizione, si deve aver presente ciocche il Lizio ha detto teste, che, cioè gl’OPPOSTI non sono CONTRADDITTORII, epperò non escludentisi (poniamo, come amici e nemici) quando siffatti opposti sono morum effectus, ossia effetto della natura di essi. L'uomo,  per chiarire ancor meglio l'esempio, ha nella propria natura umana l'essere amico ed anche l'essere nemico, come per sua natura può esser buono e può essere anche cattivo. Non è l'una e l'altra cosa ééfia, nel medesimo tempo. Ma l'uomo è però pur sempre il medesimo soggetto, che ora è amico ora nemico, ora buono ora cattivo: ed inoltre, è amico e buono ne’tali e tali uomini, ed è nemico e cattivo ne’tali e tali altri uomini. E basti di questo importantissimo punto. Ne' paragrafi immediatamente susseguenti si continua a parlare dell'opposizione,  si accenna anche alle simiglianze, e non ricorre altro di rilevante. Passo a dire del saggio. Il Lizio apre questo saggio col quesito di ciocche sia migliore e più desiderabile, e, per giunta, di esaminare e a tal riguardo sermonem instituere non de iis quae longe inter se distant et magnam differentiam habent sed de iis quæ vicina sunt. E risolve la quistione dicendo che quod est diuturnius et constantius, magis est eligendum quam quod est minus tale. E nella elezione è certo anche di peso quod eligat vir prudens, aut lex recta aut ii qui in uno quoque genere scientes sunt. Ne’eguenti paragrafi continua in grosso l'esame e soluzione dell'istesso quesito, per poi venire a prendere in considerazione i luoghi  utili a conoscere ciocche debba eleggersi e ciocche fuggirsi. E statuisce. Sumendi sunt loci de eo quod magis vel maius est quam maxime universales sic enim sumpti ad plura problemata utiles erunt. E questa è la sostanza della ricerca e soluzione del quesito proposto in questo saggio. Passo al saggio. E qui posso essere ancora più breve di quel che sono stato nell'antecedente saggio. Giacche in questo si torna a discorrere de iis quae ad genus et proprium pertinent colla considerazione di differenze, specie, distinzioni e  suddistinzioni di casi, di esempii, di applicazioni (anche al principio di contraddizione),  che servono ad illustrare e confermare il proposto quesito. E si giunge così al saggio che, come è detto innanzi, non proverrebbe dal Lizio. Ma in questo stesso saggio non vi sono altri argomenti veramente nuovi, ma si torna a trattare di quelli antecedentemente trattati. Infatti questo saggio comincia così. Utrum autem proprium sit necne id quod est propositum, ex his locis quos deinceps exponemus considerandum est. E prosegue dicendo: Proponitur autem proprium vel per se et semper, vel per comparationem cum altero et interdum. E passa ad investigare e determinare, quando il proprio è per sè, quando per comparazione, ecc. Continua ancor sempre il discorso intorno al  proprio ne’suoi più diversi aspetti e rapporti: ne’quali aspetti e rapporti non manca  la considerazione de’principii contrarii, e de' principii contrarli relativamente al proprio, per scorgere an contrarium sit contrarii proprium etc. In grosso è lo stesso nel paragrafo in cui ex casibus refellitur, si ille casus non est illius casus proprium etc. Finalmente, refellitur, si quis potestate proprium tradidit, etiam ad id quod non est rettulit illud potestate proprium, cum potestas rei quæ non est, inesse nequeat etc. Rispetto alla predetta opinione di Pflug accennata da Zeller, dico rispetto a  tale opinione, non contro ad essa, mi permetto di fare una personale osservazione. Ed è che, leggendo e considerando attentamente questo saggio, la materia, il modo  di pensarla, ordinarla, distinguerla e suddistinguerla ne’suoi varii rispetti e rapporti,  si mostra, da una parte, interamente simile a quella degli antecedenti saggi topici, dall'altra, interamente conforme alla mente del LIZIO.  Ed ora vengo al saggio. Questo si inizia coll'argomento delle definizioni, e si continua tutto con esse; ma queste stesse vengono di bel nuovo considerate ed esaminate con riferimento al proprio, al genere, alle differenze, ecc. Trattandosi di un argomento che ha della importanza, e che si addentra nella natura delle definizioni e nelle diverse parti costitutive d’esse, allego un lungo luogo in cui ciò è effettuato. Della trattazione dunque quæ ad definitiones pertinet quinque sunt partes vel enim definitio reprehenditur, quia omnino non vere dicitur, de quo nomen, etiam oratio, quandoquidem oportet hominis definitionem de omni homine vere dicitur. vel quia cum sit aliquod genus, non collocavit rem definitam in genere aut non collocavit in proprio geuere, quoniam debet is qui definit, cum in genere definitum collocaverit, differentias adiungere, si quidem eorum quae in definitione  " ponuntur, maxime genus videtur rei definitæ essentiam declarare ; vel quia oratio non est propria (nam oportet definitionem propriam esse, quemadmodum et supra  u fuit); vel quia, cum omnia quae dixi perfecerit, tamen non definivit, nec dixit  " quidditatern rei definitæ reliquum est præterea definitionis vitium, si definivit quidem, non tamen recte definivit. an igitur de quo nomen dicitur, non etiam oratio vere dicatur, ex locis ad accidens pertiuentibus considerandum est. nam ibi quoque omnis consideratio in eo consistit ut intelligatur utrum sit verum an non verum. cum enim disserendo ostendimus accidens inesse, dicimus esse verum. cum  " autem ostendimus non inesse, dicimus non esse verum. an autem non in proprio  " genere posuerit, vel non propria sit oratio tradita, ex dictis locis, qui ad genus  " et ad proprium pertinent considerandum est. reliquum est ut dicamus quomodo  disquiri debeat an non sit definitum, vel an non recte sit definitum, etc. Nel susseguente paragr.vien la considerazione dell'omonimo, del simmetrico, con  le corrispondenti definizioni. Qui stesso LIZIO si fa a considerar la definizione in  rapporto al sillogismo, e se in tal rapporto essa sia fatta chiaramente od oscuramente ecc. Continua sempre l'argomento delle definizioni. Si considera la definizione del corpo, determinandolo (come si è poi sempre  ripetuto e si ripete tuttora, meno il caso presentemente considerato da Zollner ed  altri, della cosi detta 4 a dimensione) siccome ID QVOD HABET TRES DIMENSIONES. Il LIZIO fissa l'attenzione alle differenze, in quanto in esse  considerandum est an generis differentias dixerit. Se tali differenze non sono  state indicate e precisate, non vi sarebbe stata vera definizione. Nei susseguenti paragrafi continua sempre lo stesso argomento delle definizioni, con esemplificazioni intorno all'abito, alla simigliala, e si  termina con la considerazione della composizione delle cose, della quale, per avere  una giusta definizione, bisogna indicare tutti gl’elementi che la costituiscono. E così  si passa all’altro saggio. Gli argomenti di questo saggio sono anch'essi suppergiù i medesimi di quelli trattati negli antecedenti saggi con speciale riguardo all'Oratoria, la quale naturalmente vien congiunta coi modi e forme di sillogizzare, obbiettare, ecc., col consueto riguardo ai generi, specie, differenze, opposizioni, casi tali o tali altri. Ecco, infatti, come al principio del saggio è enunciata la materia da considerare  in essa. Utrum autem id de quo agitur sit idem an diversum, secundum eum modum qui inter modos supra de eodem expositos est maxime proprius, nunc dicendum est. dicebatur autem maxime proprie idem esse quod est numero unum, considerare autem oportet atque argumenta sumere ex casibus et coniugatis et oppositis nam si iustitia est idem quod fortitudo, etiam IVSTVS est idem quod FORTIS et iuste idem quod fortiter similis ratio est oppositorum etc. Qui stesso vien la volta di prendere in considerazione anche il sorgere e perire ortus et interitus delle cose.  Poco appresso ricorre un riferimento anche alle cose che accadono: nam quæ alteri accidunt, etiam alteri accidere debent. E ciò vien messo ivi stesso in relazione anche colle CATEGORIE, in quanto videre oportet an non in uno categoriæ genere ambo sint, sed alterum QVALITATEM alterum QVANTITATEM vel ad aliquid RELATIONEM declaret. Vien la considerazione della definizione e del sillogismo, pur  con riferimento ai generi, alle specie, alle differenze, non che ai contrarii, alle differenze contrarie, ecc. Si ritorna sui luoghi atti a disputa, oratoria, ecc., ma con riferimento all'aiuto della memoria. Infatti statuisce Maxime autem locorum omnium apti sunt ii quos nunc dixi, nec non ex casibus et coniugatis. Ideoque maxime memoria tenere et in promptu habere oportet hos locos (utilissimi enim sunt ad  plurima problemata, atque etiam ex ceteris eos qui sunt maxime communes, quoniam inter reliquos sunt efficacissimi. Nell’ultimo paragrafo ricorrono ulteriori considerazioni pur attinenti  a definizione, sillogismo, a genere, proprio, ecc.; e con esse si chiude il saggio. L'argomento principale di questo saggio de’topici è la disposizione della materia del discorso, con riguardo speciale ad interrogazioni, risposte, e ritrovamento (INVENTIO) di quegl’argomenti che spettano ed importano al dialettico,  al filosofo. E quale argomento conduce naturalmente il LIZIO a connettervi, come d'ordinario, i modi di argomentare, sillogizzare, ecc. Ma sentiamo il LIZIO stesso. Egli indica nella traduzione latina lo scopo e la materia della trattazione con  queste parole. Post hæc de dispositene, et quomodo interrogare oportet, dicendum est primum autem debet is qui INTERROGATVRVS est, locum invenire ex quo argumentetur, deinde interrogare et disponere singula ipse per se, tertio et postremo hæc dicere contra alterum ac loci quidem inventio æque ad philosophum et ad dialecticum pertinet, eorum autem quae inventa fuerunt dispositio et interrogatio dialectici est propria, quoniam hoc totum adversus alterum est philosopho autem et ei qui ipse secum veritatem inquirit, curæ non est, si vera sint et nota ea ex  quibus efficitur syllogismus, nec tamen ea ponat is qui respondet, propterea quod propinqua sint quaestioni ab initio propositæ ac provideat quod eventurum sit quin immo fortasse dat operam ut axiomata sint maxime nota et problemati propinqua, quandoquidem ex his constant syllogismi qui scientiam pariunt. Sillogismo senza proposizioni intanto non si dà. Perciò il LIZIO rivolge la sua  attenzione a queste. Di queste ve n'ha di necessarie ed anche di non necessarie. Necessariae autem dic'egli, dicuntur eæ ex quibus syllogismus conficitur quæ vero præter has sumuntur quattuor sunt vel enim sumuntur inductionis causa,  ut detur quod est universale, vel ut amplificete oratio vel ut celetur conclusio vel ut magis perspicua sit oratio etc. Nell'anzidetto si contiene il pensiere del Lizio di questo saggio, e s'intende  che ciocche segue non può essere che l'ulteriore e più ampia esplicazione di ciò con applicazione a singoli casi e quesiti ed a singole corrispondenti soluzioni. A conferma di ciò, si pone che nel dissertare utendum syllogismo apud dialecticos potius quam apud multos contra inductione apud multos potius. Si fanno di ciò, ad illustrazione, applicazioni a casi vari, poniamo al caso della salute, valetudo, della malattia, morbum, ecc. Quanto alla natura della proposizione dialettica e al corrispondente elemento dialettico, si dice poco appresso. Propositio enim dialectica est ad quam respondere licet etiam aut non. Si prendono in considerazione le hypoiheses, le captiosæ argumentationes con riferimento ai principia ultima, da cui tutte le dimostrazioni e tutti  i principi subordinati traggono origine e ragione probativa. Nam cetera, scilic. Principia, per hæc probantur, ipsa vero per alia probari non possunt. Riferendosi all'interrogare e rispondere, dice: De responsione autem primun determinandum est, quod eius sit officium qui recte respondet, quemadmodum eius qui recte interrogai est autem interroganti ita disputationem deducere  ut respondentem cogat maxime incredibilia dicere ex iis quae praeter thesim sunt necessaria; respondentis vero, ne sua culpa videatur evenire quod absurdum vel præter opinionem est, sed propter thesim. L'istesso argomento dell'interrogare e rispondere viene svolto nei paragrafiseguenti con ulteriori considerazioni di altri casi e rispetti. Ma più innanzi nel paragrafo a proposito della reprehensio argumentationis,  ricorre l'accenno ad argomentazioni false e vere nel senso ed intendimento di ciocche  si è discorso ed esposto negl’analitici; e il corrispondente luogo, relativo a molti  modi d’argomentazione, è degno di essere riferito e suona così. Qui vero, dice  il Lizio, ex falsis verum concludunt, non possunt iure reprehendi, quoniam falsum quidem semper necesse est ex falsis concludi, sed verum licet interdum etiam ex falsis concludere: hoc autera est perspiciram ex analyticis quando autem argumentatio quæ dieta est, alicuius rei est demonstratio, si quid aliud sit quod nihil cum conclusione probanda commune habeat, profecto non erit ex eo syllogismus sin autem videatur, SOPHISMA erit, non demonstratio. est autem philosophema syllogismus demonstrativus, epicheirema vero syllogismus dialecticus, sophisma syllogismus contentiosus, aporema syllogismus dialecticus contradictionis. Per ragione del tecnicismo di queste ultime espressioni della logica del Lizio,  allego quest'ultima parte del luogo nel testo greco, il quale suona così. Eati òe  (piloaócprifia (lèv ovÀÀoyiafiòg ànoòeimixóg, km%eiqrnia òè avlkoyiofiòg òiaXemmóg,  oóqjiofia òè cvAZoyiofiòg ègiormóg, ànóqrifia òe ovZAoyiofiòg òialemwòg àvwpdoewg. Nel seguente paragrafo si stabilisce come massima che argumentatio est  PERSPICUAuno modo, eoque maxime vulgari, si ita concludat ut nihil amplius oporteat interrogare. E dopo altre consimili considerazioni si conclude il saggio con quest'altra massima di carattere generale: oportet paratas argumentationes habere adversus eiusmodi problemata, in quibus cum paucae argumentationes suppetant, adversus plurima problemata utiles erunt. hae vero sunt argumentationes universales, et quas assumere ex rebus passim obviis difficile est. Dopo siffatte, se non diffuse, certo sufficienti indicazioni sulla materia, sullo  scopo e sul modo di trattazione de'topici, passo a dire degl’elenchi sofistici.  JUeqì t&v ooyiauxwv èÀéy%ù)v. Anche per questa parte, come ho fatto per  le altre, della logica del LIZIO comincio coll'allegare un notevole giudizio di BOEZIO (si veda),  il quale dice. ELENCHVS MVLTA SIGNIFICAI SED HOC LOCO PRO REDARGVTIONE SVMITVR. LIBRI SVNT DUO AD CAVENDAS SOPHISTICAS CAPTIONES ET NE IN DISSERENDO FALSA PRO VERIS PER IGNORANTIONEM COLLIGAMVS AVT ADMITTAMVS HUIC OPERI INITIVM DEDIT ACCADEMIA IN EUTHYDEMO OSTENDVNTVR ILLIC PAVCI QVIDEM DOLI DISPVTATORIS CAPTIOSI [LIZIO] AVTEM REM OMNEM VT SOLET A PRIMIS INITIIS COMPLEXVS DIGESSIT IN ORDINEM ET FORMULAS. A questo giudizio di BOEZIO si unisce Prantl il quale colla sua autorità in tal  materia, lo allarga ed integra con altre importanti osservazioni. La qual cosa egli fa nella sua citata opera Gesch. d. Logik, età, primamente,  osservando come quest’elenchi sofistici si colleghino intimamente ai libri topici; e secondamente, esponendo in un breve e  succoso cenno la materia e lo scopo de' medesimi. Ma vi è stato in Italia un uomo, che, riattaccandosi ai due nominati scrittori,  ha fatta una traduzione eccellente de’primi capitoli degl’elenchi, facendovi precedere un elaborato ed illustrativo proemio, corredando i capitoli stessi di sommarli  ragionati abbastanza diffusi, estendendosi a dar sommarli anche de' rimanenti capitoli, e, per giunta, a confermare ed illustrare il tutto con note amplissime e dottissime, nelle quali è abbracciata tutta la parte storica dell'argomento, Quest'uomo, veramente sommo e a tutti noto, è BONGHI (si veda), il quale non  solo mostra vastità di dottrina in questo speciale argomento della logica dal Lizio,  ma allarga ed approfondisce i suoi studi nella traduzione e illustrazione delle  opere dell’ACCADEMIA e della Metafisica del LIZIO, traducendo ed illustrando quasi tutte  le opere del primo, e i primi saggi della Metafisica del secondo. E, per giunta, fortifica i suoi studi filosofici, oltre che collo studio della storia della filosofia fino  agl’ultimi tempi inclusivamente, anche colle sue amplissime conoscenze di storia di tutti i tempi, e con un'ampia erudizione nelle altre discipline dello scibile. La esposizione che io, per assolvere il mio scopo e compito, faccio di quest’elenchi, consiste in tre diversi cenni: il primo, quello di valermi della TRADUZIONE ITALIANA stessa e delle corrispondenti illustrazioni di BONGHI (si veda); quale migliore e più sicura guida nell'adempimento del mio scopo? il secondo, nell'allegamento di un brevissimo luogo di BOEZIO (si veda), riportato in nota dallo stesso BONGHI (si veda), luogo che serve alla indicazione delle ESPRESSIONE LATINE DE’SOFISMI TRATTATI DAL LIZIO; il terzo,  nell'allegamento di un luogo importantissimo d’Ueberweg, nel quale, in breve e  succoso cenno, sono distinti e illustrati tutti i sofismi con le relative denominazioni  greche. E vengo alla esposizione. Cominciando da BONGHI (si veda), è bene ed utile di rilevare alcune importanti affermazioni e considerazioni di lui in riattaccamento a BOEZIO (si veda), a Prantl, allo stesso sorgere  e costituirsi della sofistica, ed anche a Socrate, l’ACCADEMIA e il LIZIO in quanto  riferentisi alla medesima. Per ciocche concerne il sorgere e costituirsi della sofìstica, benché egli ricordi  cose note, pur voglio ricordar le parole di lui. Prodico, LEONZIO (si veda) e Protagora, dic'egli  nell’introduzione alla traduzione dell' Eutidemo, per i  primi accettarono i nomi di sofisti e fondarono la sofistica E, come essa è il principio e il fondamento dell’eloquenza e il più grande stimolo e sprone di coltura, essi sono maestri di eloquenza, e diffonditori di cultura in tutta la Grecia. Senonchè, pur troppo la sofistica degenera in eristica. Ora, l’ACCADEMIA si oppone a questa perversione di giudizii tanto più che non si sarebbe potuto mai far intendere il valore di Socrate, fino a che questa confusione avesse preoccupato le menti. Si aggiunga a ciò, che quando in Grecia si moltiplica il numero di quei professori o maestri che si ripromettevano d'insegnare al cittadino la miglior maniera di condursi per se e per gli altri nello stato nacque una gran contrarietà d'opinioni ne’nuovi metodi d'insegnamento. E da questa, e dal nome d’uno degl’eristici che vi discorre trasse origine l’Eutidemo di Platone. Vengo ora alle confutazioni sofistiche. Nell'avvertenza alle confutazioni sofistiche, come BONGHI (si veda) traduce il trattato jieqì  %ùv oocpMmxcòv èÀéyx<op, egli dice di essere stato indotto alla traduzione dal pensiero, che avrebbe potuto riuscire di molto interesse e utilità il vedere come una mente così sottile, investigatrice, sistematica come quella del LIZIO per la prima volta mette ordine e luce in una MATERIA PER SÈ COSÌ COMPLICATA E BUIA COM’È QUESTA DEL RAGIONAMENTO usato a inganno altrui. Nell’Eutidemo l’ACCADEMIA rappresenta l'arte; nelle Confutazioni Sofistiche il LIZIO, che vi ricorda tante volte l' Eutidemo e l’ACCADEMIA, ne dette la teorica. Soggiunge, il LIZIO non esser facile in nessuno suo saggio; e questo è uno di quelli ne 1 quali è più difficile. Indicando la ragione, i limiti e il modo come ha  Vedi Dialoghi dell’ACCADEMIA, trad. da  BONGHI (si veda), Eutidemo;  Aristotele, Delle Confutazioni Sofistiche, ecc. Torino-Roma-Firenze, Fratelli Bocca. condotto la propria opera, dice essergli  mancato il tempo di condurre a termine  la traduzione; ma che, ciò non ostante, la trattazione teorica de'sofismi è ne' primi compiuta essendo nei seguenti solo indicate le vie praticamente utili a cavarsene fuori; e che, per giunta, come si è detto, anche per  questi ultimi ha aggiunto lunghi sommari!; sì che il lettore finisce per aver  conoscenza di tutta la materia del saggio logico del LIZIO.  Ora ecco i punti sostanziali di questo. Il LIZIO nel Primo Capitolo, paragrafo 1, di questo dice che prende a discorrere delle confutazioni sofistiche e di quelle che paiono bensì confutazioni, ma SONO PARALOGISMI E NON CONFUTAZIONI. Nel seguente paragrafo fonda questo suo giudizio con questa osservazione. Che de’sillogismi alcuni son VERAMENTE TALI; altri paiono e non sono, è manifesto. chè come questa apparenza ha luogo nelle altre cose per una cotal simiglianza,  COSÌ ACCADE ANCORA NEI RAGIONAMENTI. E difatti, la persona che altri hanno aitante, altri col gonfiarsi e acconciarsi paiono averla. E delle cose inanimate è del  pari; chè di queste quale è argento e oro davvero; quale non lo è, ma pare al  senso; per mo' d'esempio, d'argento quelle di stagno e di piombo; d'oro quelle tinte di giallo. E allo stesso modo, sillogismi e confutazioni, quali sono, quali  non sono, ma paiono per l'imperizia. Dappoiché, continua egli, indicando la ragione dottrinale della differenza di SILLOGISMO e confutazione, ossia di sofismo) il sillogismo si compone di alcune PREMESSE per modo, che di necessità per via di esse proposizioni dica qualcosa di diverso dalle proposizioni. Confutazione è sillogismo in cui si contraddice la conclusione. Cominciando ad enumerare le cause, dice che di queste una fonte è più copiosa e comune di tutte, quella per VIA DI VOCABOLI (way of words). I vocaboli sono finiti di numero e i ragionamenti altresì; dove gl’oggetti sono infiniti. Sicché è necessario che un solo ragionamento e un unico nome significhi più oggetti. Fa ulteriori esemplificazioni sulla sofistica, che si intendono e spiegano con ciocche è detto innanzi. Ma passando ad indicare le specie de' ragionamenti sofistici il LIZIO dice che di quelli che occorrono NEL CONVERSARE [LOGIC AND CONVERSATION – CONVERSATIONAL IMPLICATURE], v'ha quattro generi: didascalici, dialettici, pirastici ed eristici. Sono: Didascalico, insegnativo, quello ragionmento che si sillogizzano da’principi propri di ciascuna disciplina e NON DALL’OPINIONE DI CHI RESPONDE  (chè chi impara, deve credere) :   " Dialettico” – “discorsivo” --  quell ragionamento che da proposizioni probabili sillogizzano la contradittoria:   "drastico” – “tentativo” --  quell ragionmento conversazionale che lo fa da proposizioni AMMESSE DA CHI RISPONDE " e necessarie a sapere da chi ha la scienza (e in che modo si è chiarito altrove):   "eristico” – “contenzioso” – quel ragionamento conversazionale che sillogizzano (o paiono sillogizzare) da proposizioni ammesse solo in apparenza, ma non in realtà, Ricordando che di un ragionamento apodittico – “dimostrativo” -- s'è discorso negli Analitici, del dialettico e del pirastico altrove, dice doversi discorrere al presente del ragionamento conversazionale “agonistico” – “garoso” -- e del ragionmaneto conversazionale “eristico” o “contenzioso.” E ciò fa, Aristotele, proponendosi di fermare quante sono le mire di quelli che gareggiano e si puntigliano nel ragionare, dice che queste son V di numero: I confutazione II falsità III paradosso IV solecismo V il farcianciare chi conversi teco (e questo è il costringerlo a dire più volte il medesimo)  o non la realtà, ma l'apparenza di ciascuna di queste cose. E, spiegando le cinque generi di ragionmento, dice che quello che sopratutto si propongono, è di parere di confutare. In secondo luogo, di mostrare che uno dica il falso in qualcosa. Terzo, di tirarlo a un paradosso. Quarto, di fargli commettere un solecismo -- e questo è il fare che chi risponde, per effetto del ragionamento, BARBARIZZA. Per ultimo, il fargli dire più volte la stessa cosa. Venendo all’indicazione dei modi di confutare, dice esservene di due sorte. Gli uni stanno nella dizione, gli altri fuori della dizione. Indicando VIII i motivi che per effetto della dizione generano un falso vedere, dice che di essi ve n'ha VI; e sono I equivocazione – aequi-vocal --, II anfibologia,  III composizione IV divisione V accento VI figura della dizione. E la prova di ciò s'ha per induzione E ne' susseguenti paragrafi chiarisce e illustra con esempi i predetti sofismi della dizione. Passa dopo il nostro filosofo alla designazione  dei paralogismi fuori della dizione e ne novera VII specie: I dell'accidente,  II dal dirsi una cosa in assoluto o non in assoluto ma per un certo modo  o posto o tempo o rispetto, III dall'ignoranza della confutazione IV dal susseguente V dalla petizion di principio VI dal porre la, non causa come causa; VII dal fare di più interrogazioni una sola. E anche per questi paralogismi il LIZIO fa illustrazioni  ed esemplificazioni. Notevole è in questo ciocche il LIZIO statuisce intorno  all'ultimo de' paralogismi allegati, cioè intorno a quelli che nascono dal fare di due interrogazioni una sola. Rispetto a questi, quando resti nascosto che son più, e come se fossero una sola, le si dia una unica risposta; benché rispetto a  tal caso riconosca che in alcune è facile scorgere che son più, ma in altre meno. Il LIZIO pone l'alternativa che " o s'hanno a distinguere così i sillogismi e confutazioni apparenti come si è detto  e fatto negli antecedenti paragrafi, o a ridurre tutti all'ignoranza della confutazione, ponendo per principio questa: che v' è modo di risolvere tutti i modi che se ne son detti, nella definizione della confutazione. E l'alternativa e corrispondente soluzione proposta vien discussa a proposito degli altri ultimi paralogismi  allegati. Si continua a prendere in considerazione altri degli allegati paralogismi, come quelli dall'equivocazione, dall'anfibolia, dalla composizione e dalla divisione, dall'accento e dalla figura della dizione, dall'accidente, ecc. si indica il modo di conoscerli e confutarli. Poiché sappiamo per quante vie si generino i sillogismi apparenti, sappiamo altresì per quante si possano generare i sillogismi e le confutazioni sofistiche. E dico sillogismo e confutazione sofistica non solo il sillogismo o la confutazione che appare e non è, ma anche quello che è bensì, ma proprio della cosa appare soltanto. E cotesti sono quelli che non confutano secondo la cosa, e non mostrano che altri l'ignora, che è il caso della pirastica. Ora, la pìrastica è parte della dialettica. Questa può sillogizzare il falso per ragione dell' igno ranza di chi rende ragione. Invece, le confutazioni sofistiche, quando anche sillgizzino la contradizione, non fanno manifesto se altri ignora, poiché anche chi sa,  impacciano con siffatte argomentazioni. E che gli otteniamo collo stesso metodo, è chiaro. Dappoiché per quante vie appare a chi ascolta, che si siano sillogizzate appunto le proposizioni di cui gli s'era fatta interrogazione, per altrettante potrebbe altresì parere a chi risponda. Sicché per queste, o tutte o alcune, verran fuori sillogismi falsi, che quello che uno non interrogato crede d'aver conceduto, interrogato lo concede. Eccettochè in alcuni paralogismi succede insieme che si dimandi quello che manca, e la falsità si chiarisca, come in quelli dalla dizione e dal solecismo. Si fanno consimili considerazioni intorno ad altri paralogismi, come quelli risultanti dall'accidente, dal conseguente, ecc. Il LIZIO statuisce che da quanti luoghi si traggano confutazioni di quelli che son confutati, non bisogna provarsi a determinarlo senza la cognizione delle cose tutte. Ora, ciò non è di nessun'arte; stantechè le scienze sieno infinite forse, sicché è chiaro che anche  le dimostrazioni son tali. E di confutazioni ve n'ha anche di vere; stantechè quante cose v'ha luogo  " a dimostrare, tante v'ha luogo a confutare a chi asserisca il contraddittorio del vero; p. es., se uno ha asserito commensurabile il diametro, altri lo confuterebbe col dimostrare eh' è incommensurabile. Sicché bisognerà essere scienti d'ogni cosa, ecc. Però, anche le confutazioni false sono del pari infinite; chè v'ha secondo ciascuna arte il sillogismo falso; p. es., secondo geometria il geometrico, secondo medicina il medico; e dico secondo ciascun'arte quello secondo i principi di essa. E ne’seguenti paragrafi, su questi stessi principi stabiliti, si fanno consimili considerazioni. Aristotele pone in discussione e srisolve la seguente  importante quistione intorno a ragionamenti relativi al vocabolo e al pensiero: Non v' ha; dic'egli, tra i ragionamenti la differenza che taluni dicono; alcuni ragionamenti riferirsi al vocabolo, altri al pensiero ; chè è assurdo il pensare, che altri sono i ragionamenti che si riferiscono al vocabolo, e altri quelli al pensiero, e non già i medesimi „. Poiché (paragrafo 2) , che è egli mai il non riferirsi al pensiero se non quando uno non usi del vocabolo nel senso cui l'interrogato ha consentito, credendo che fosse quello che avesse nella interrogazione? Ora, questo stesso è riferirsi al vocabolo. E riferirsi al pensiero è, quando l'altro pensi quello cui egli ha consentito, ecc. E ne' paragrafi immediatamente seguenti viene confermando ciò con ulteriori non  meno acute illustrazioni ed applicazioni, delle quali voglio rilevare l'applicazione che  ne fa alle Matematiche, che attirano in modo speciale la nostra attenzione per la  trattazione della così detta Logica matematica. " I ragionamenti nelle matematiche, dice infatti Aristotele al paragrafo 7, si riferiscono al pensiero o no ? E se ad uno t " ang03 ° SÌgDÌfichÌ PÌÙ C0S6 ' 6 non ha che esso sia la figura flì   della quale s'è concluso, che son due retti rnWn ,  ! tì g ura 0)>   " al pensiero di questo o no? ' '«Wonamento s'è egli diretto   =' a ™a (Paragrafo 2) ,1 comune a piii cose secondo ciascuna è dialettico- eh   «ut 71 m aPPa T a ' è  - D °" d6 " » ritornare suìl' TZ a h   W * ^conducono , so/fe « stessi, ehe . preflggm(Iosi vinler a „ S ni nodo, sappiano a tatto „ come appunto • fauno gli eristici 8  SousUcTche "f T" Ò SOt ' ile, Se,Tat °' ""-*»*' » mesta m at"eria degli Elenchi  ci : lc n T' ° ^ *S C, ' eata SÌCC ° m8 "' Ksta ^ r te 8 log I   ' ehe alcuno di! f!l , P m08trare (dic ' e S li . iafatti, al paragrafo 1)   cacca adatta a co ; che quelli che parlano a caso, errano di più ' e parlano a  caso, quando non si siano proposto nulla P P &   e il" TJIZTJ''J!T S ^° " a "' abbatteraÌ 1 " na Wsita ° a paradosso  ' dir r„Zo s are ' er v 7 T°" Pr ° P0SM0M 0gge "  mt.rroga.iene, ma   • d'attacco ! ' S ° ,mParare ; daF P° Ì<!hè ^ acquisizione dà „,„do   di £ r:i n ~:ir che A " istotek abbk    • lnog„ A Lelirr t (COntÌ , n ° a ArÌ8t ° tele Paragraf ° 4 » Cle "no dica falso, è proprio  luogo quello aojsfco, ,1 menare a tali cose, che s'abbia contro osse copia di aL  m „ta z ,o„, ; e ,„esto vi sarà modo di farlo bene e non bene, seconTs l So     ed ™2 Z deÌTuak 8 ; £S* '"T ** *" relali ™ alla   ' luto f, i " '' lJeVa " lat ° Paradossastico come segue - Il  La qual S gu ,a, se lo noti i, lettore, rappresenterebbe qui Trento del vocabolo. LA LOGICA del LIZIO, LA LOGICA KANTIANA ED HEGELIANA, ECC. 1essere cosa bella secondo legge, ma secondo natura non bella. Sicché bisogna chi   * parla secondo natura, affrontarlo secondo legge ; e chi secondo legge, menarlo alla  a natura; giacche vi sia luogo a dir paradossi ne' due modi „.   Capitolo In questo capitolo si tratta di un argomento che par futile,  cioè quello del cianciare; eppur questo dà luogo a una acuta e teorica disamina della  sofìstica da parte del LIZIO. Prima di allegare le parole del grande filosofo, allego una osservazione interpretativa che fa BONGHI (si veda) in proposito, e che è questa. Col cianciare, cioè, dice quest'ultimo, si passa al quarto fine del sofista, che è il FORZARE L’AVVERSARIO a dir più volte la stessa cosa, che torna al cianciare o infilzar parole senza senso. Il presupposto di tali sofismi è che il vocabolo è tutt'uno colla sua definizione e quello non differisce in nulla da questa, sicché si può in una proposizione surrogare l'uno all'altra. P. es. doppio si definisce doppio di metà. Ora, se la definizione può essere surrogata al definito, noi possiamo definirlo: doppio di metà di metà; e da capo doppio di metà di metà e così in infinito. Ciò posto, ecco ciocche dice il LIZIO intorno al discorrere  per puro cianciare. Tutti i siffatti discorsi vogliono far questo; se non differisce per nulla il dire il vocabolo o la definizione, doppio e doppio di metà è tutt'uno;  se adunque è doppio di metà, sarà doppio di metà di metà ; e di novo, se in luogo di doppio, si ponga doppio di metà si sarà detto tre volte : doppio di metà di metà di metà. Ed evvi egli il desiderio del piacevole? Ora, questo è appetito del piacevole; dunque, desiderio è appetito del piacevole del piacevole, ecc. L'argomento del LIZIO è il solecismo e la sofisticazione in cui può incorrersi con esso. Il Lizio parla e ragiona in questo modo. Questo, cioè, il solecismo, v'è luogo a farlo e a parere senza farlo, e a non parere facendolo. Ssiccome dice Protagora, se ò fiijvig e ò s**Pff sono un mascolino; giacché chi dice oi)Aofiévt]v solecizza secondo lui, ma agli altri non pare; chi ovÀó/ievov pare bensì, ma non SOLECIZZA. Si noti che firjvig e JvfjÀrji son propriamente femminili. Sicché è chiaro che uno puo ad arte far questo; per il che  molti ragionamenti pur non sillogizzando un solecismo paiono di sillogizzarlo, siccome nelle confutazioni. I solecismi apparenti hanno occasione pressoché tutti dal vóde, e QUANDO LA DESINENZA NON MANIFESTA NÉ MASCHIO NÉ FEMMINA, ma il di mezzo. Difatti ofirog significa MASCHIO ed a%%r\ femmina. Ma tomo vuole bensì significare il di mezzo, pure spesso significa anche l'uno o l'altro di quelli: p. es., che è %ov%o ?  Calliope, LEGNO – maschio in italiano, neutro in latino --, Corisco. D'altronde, del maschile e del femminile le desinenze de’casi. Qui mi par di vedere il LIZIO (senza menomare la fina osservazione e interpretazione del  nostro BONGHI (si veda)) riferirsi al famoso dialettico Zenone di VELIA (si veda), del quale uno degl’argomenti famosi, quello cioè del non potersi andare da un punto all'altro dello spazio, è pensato e condotto  appunto in tal guisa. Cioè, di non potersi percorrere l'intero spazio senza giungere alla metà di questo, non potersi giungere a questa metà senza percorrere la metà di questa metà, e così non  potersi giungere a questa seconda senza percorrere la metà della metà della metà, ecc. in infinito,  il che è impossibile a fare in un tempo finito. differiscono tutte, ma del genere di mezzo quali sì, quali no. Ed ecco che spesso, essendosi lor concesso %ov%o, sillogizzano, come se fosse stato detto %ov%ov; e del pari una desinenza in luogo d'un' altra. E il paralogismo si genera perchè il tóóe è comune a più desinenze. Giacche tomo significa quando ovzog quando zovxov. Però deve significare quando l'uno e quando l'altro; con è oixog, con essere iqviqv,  8 per es., è KoQioxog, essere Koqioxov. E nei vocaboli femminili del pari; e in quelli, che son bensì d'utensili, ma però hanno appellazione femminile o maschile. Dappoiché tutti quelli che terminano in o e in v, hanno soli l'appellazione da utensili, come ^vkov, o%oiviov. Ma quelli che non così, l'hanno maschile o femminile, di cui applichiamo alcuni agl’utensili; p. es. daxòg è vocabolo maschile, xÀhrj femminile. Per il che anche rispetto a questi differirà del pari l'è e l'essere. E in un certo modo il solecismo è simile alle confutazioni tratte dal PRENDERE PER SIMILI COSE NON SIMILI. Giacché come a queste accade di solecizzare sulle cose, così a quello su' vocaboli; chè uomo e bianco sono e cosa e  vocabolo. Sicché è manifesto che da simili desinenze bisogna sforzarsi di sillogizzare il solecismo. Le specie, dunque, de’discorsi contenziosi e le parti delle specie e i modi son quelli che si son detti. Con questi capitoli finisce la parte teorica degl’elenchi sofistici, e  che, come si è detto, nei seguenti capitoli si espone e fa l'applicazione dei primi. Io ometto di esporre anche questa parte applicativa, ritenendo sufficiente pel mio scopo la conoscenza della teoria. Passo perciò al secondo punto del triplice cenno che io voglio fare degl’elenchi  predetti, cioè alla indicazione latina de' paralogismi o sofismi, secondo la indicazione di BOEZIO (si veda). Questi infatti (vedi BONGHI (si veda), nota alle Confutazioni Sofistiche) indica le denominazioni sofistiche di Aristotele così: æquivocatio [cf. Grice, aequi-vocal] amphibolia compositio [synthesis] divisio accentus [cf. Grice, STRESS] figura dictionis [cf. Grice, figure of spech] propter accidens propter id quod simpliciter vel non simpliciter propter redargutionis ignorantiam propter consequens propter id quod est in principio sumere propter id quod non est causa ut causam ponere, ovvero, propter non causam ut causam propter phires interrogationes unam facere. In questa stessa nota Bonghi ha un notevole accenno ad Alberto Magno, che pure scrive degli Elenchi Sofistici. E altri accenni non meno notevoli ha nella  nota 160 per Alfarabi ; nella nota 161 per S. Tommaso ; e nella nota 163 per Duns  Scotus, il cui tractatus logicae è l'ultimo nella Scolastica, e che è intitolato De sillo-  gismo sophistico sive fallaciis.   Ed ora pongo termine alla mia esposizione coll'allegamento dello stupendo e  comprensivo luogo dell'TJEBERWEG (Syst. d. Logik u. Gesch. d. Logischen Lehren), che suona come segue. Il LIZIO nel scritto tisqì xtbv ao(pia%iKù>v èXèy%(àv si è fatto guidare nelle diverse parti del medesimo dallo speciale riguardo ai sofismi molto disputati al suo tempo. Egli definisce (Top.) il oócpiofia come avÀÀoyia/iòg EQiatixóg, e divide i sofismi in due classi principali: naqà tìjv As^iv e è'^co vrjg Àé^ecog. Alla prima classe principale novera (De Soph. Elench.) come appartenenti sei specie: ófihìvvfila æquivocatio – cf. Grice, aequi-vocal -- àfMpifioXia AMBIGUITAS – cf. Grice, ‘Avoid ambiguity’, ovv&soig (FALLACIA a  sensu diviso ad sensum compositum, diaigeoig FALLACIA a sensu composito ad sensum divisum jiQoacpòia accentus – cf. Grice STRESS -- a%f[na vf/g Aé^sojg figura dictionis cf. Grice figure of speech --: de’quali sofismi però il terzo ed il quarto (la confusione del senso distributivo e del collettivo,  ovvero la confusione di ciocche vale in modo speciale di tutti i singoli od in ogni singolo rapporto, e di ciocche vale della generalità come tale), in quanto appartenenti alle FALLACIIS SECVNDVM DICTIONEM, si lasciano aggruppare (subsumere) sotto il concetto dell'anfibolia nel senso indicato. Per ayfifiaza zfjg Aé^scog il LIZIO intende qui le forme grammaticali de’nomi e de’verbi, e, secondo Poet., in modo speciale le proposizioni grammaticali fondate sui diversi rapporti di predicato con soggetto – cf. H. P. Grice e P. F. Strawson, Soggetto e predicato nella logica e nella grammatica -- : proposizioni grammaticali, alla cui espressione servono in parte i modi verbali, come comando – Grice: !p], preghiera, minaccia, enunciazione – Grice, .p --,  domanda – Groce ?p -- e risposta – Grice: ?p. Alla seconda classe principale, cioè ai Sofismi è'^oy xfjg Àé^eag, il LIZIO novera come appartenenti le seguenti specie: naqà tò avfi^s^rjìióg FALLACIA RATIONIS EX ACCIDENTE tò ànX&g fj [lì] àicl&g A DICTO SIMPLICITER AD DICTM SECVNDVM QVID fj tov èXéy%ov àyvoia IGNORATIO ELENCHI naqà tò èuó/À,evov FALLACIA RATIONIS EX CONSEQUENTE AD ANTECEDENTEM tò èv àQ%fj Aafifiàveiv, aheìa&ai PETITIO PRINCIPII tò /li] ahiov Ti&épai FALLACIA DE NON CAVSA VT CAVSA tò tó tiàeiù) èqo)%fji4,ma ev noielv FALLACIA PLVRIVM INTERROGATIONVM. Se non che questi errori sono in parte errori di dimostrazione (Beweisfehler). Degli errori indicati adduce il LIZIO stesso esempi  nel scritto tieqì %<òv ao<pianxò)v èXéy%(av. Si può paragonare con esso il dialogo dell’ACCADEMIA (o di un accademico) Eutidemo. Antiche e moderne esemplificazioni, però in gran parte già fatte, dà Fries, System der Logik. Una diffusa ed esatta disamina di sofismi si trova in Mill, Log. tr. Schiel. Rispetto al carattere nebuloso e confuso di parecchie moderne speculazioni, e rispetto ad innumerevoli sofismi, per mezzo de’quali, dato l'insolvibile compito di derivare il pieno dal vuoto, si è creduto di ottenere l'apparenza di una  soluzione, ha detto Trendelenbtjrg (Eri. su den Ehm. der Log. LIZIO)  con ragione. È tempo di tradurre secondo il tempo moderno (iris moderne)  il saggio del LIZIO degl’elenchi sofistici. Questo compito è stato risolto soltanto in modo unilaterale mediante l’Antibarbarus logicus di Cajus, comunque il suo autore nel campo del pensiero filosofico sa esercitare con destrezza di polizia certe funzioni polizeiliche di vigilanza. Chiudo la mia considerazione ed esposizione della logica del LIZIO, e concludo dicendo che questi punti fondamentali del pensiero logico del lizeo o LIZIO e la corrispondente legislazione del medesimo sono addirittura una immortale creazione, che non i soli 24 secoli passati han già confermata e glorificata, ma che continueranno a  confermare e glorificare anche i secoli venturi. Grice: “How can people speak of ‘mathematical logic’ when Russell says that mathematics rests on logic?!” – logica aritmetica, aritmetica logica – His exposition of ‘logica aristotelica’ is impressive, and overlaps with Grice/Strawson’s seminars on Categoriae and De Interpretatione. His editorial work on Ceretti is excellent. He has written on some other Italian philosophers, too. Pasquale D’Ercole. Ercole. Keywords: difesa della metafisica, panlogica, esologia, essologia, sinautologia.  Refs.: Luigi Speranza, “Grice ed Ercole” – The Swimming-Pool Library.

 

Grice ed Ermino: la ragione conversazionale e il portico romano -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. Porch. Contemporary of Plotino. He confined his activities mainly to teaching and wrote little or nothing.

 

Grice ed Ermodoro: la ragione conversazionale all’isola -- Roma -- filosofia italiana – Luigi Speranza (Siracusa). Filosofo italiano. A pupil of Plato of whom he wrote a biography. He also wrote a history of mathematics. According to Suda, he took Plato’s books and sold them.

 

Grice ed Erode: la ragione conversazionale e la filosofia degl’ottimati -- Roma – filosofia italiana – Luigi Speranza (Roma). Filosofo italiano. One of the richest and best connected people in the Roman empire. More of a sophist and a friend of philosophers than a philosopher himself. He condemned the Porch philosophers for their lack of feeling. Erode Attico.

 

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